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La qualifica di amministratore di fatto di una società può essere attribuita a un soggetto che, pur in assenza di una formale investitura, eserciti in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla gestione dell'ente, come dimostrato dalla sua partecipazione attiva alle attività operative, dalla sua identificazione da parte di dipendenti e terzi come figura apicale, dal suo intervento nelle scelte strategiche e nelle fasi nevralgiche dell'impresa. Tali elementi, accertati in concreto dal giudice di merito sulla base di una motivazione logica e coerente, integrano gli indici sintomatici della posizione di amministratore di fatto, la cui valutazione è sottratta al sindacato di legittimità ove non inficiata da errori di diritto o da manifesta illogicità.
L'amministratore unico di una società è responsabile per gli atti di distrazione del patrimonio sociale, in violazione dei doveri di conservazione dell'integrità del patrimonio sociale nell'interesse della società e dei creditori. Egli è tenuto a giustificare i singoli prelievi e pagamenti effettuati con denaro sociale, dimostrando la loro strumentalità al perseguimento dell'oggetto sociale; in mancanza di tale prova, i prelievi e i pagamenti devono essere qualificati come atti distrattivi, con conseguente responsabilità dell'amministratore per il danno cagionato alla società. L'amministratore è altresì responsabile per il mancato versamento di imposte, tasse e contributi obbligatori, dovendo rispondere per le sanzioni, gli interessi e gli ulteriori accessori maturati a causa del ritardo o dell'omesso pagamento, in quanto tali oneri non avrebbero gravato sulla società se l'amministratore avesse provveduto tempestivamente agli adempimenti o attivato i rimedi previsti dalla legge. Viceversa, l'amministratore non può essere chiamato a rispondere per operazioni di acquisto e cessione di rami d'azienda, in assenza di prova della sua qualità di amministratore di fatto successivamente alla cessazione dalla carica formale, nonché della sussistenza di un conflitto di interessi e di un danno effettivo per la società derivante dall'operazione. Parimenti, l'amministratore non può essere ritenuto responsabile per l'aggravamento del dissesto societario a causa dell'indebita prosecuzione dell'attività, in mancanza di adeguata allegazione e prova del danno da parte del curatore fallimentare.
Il soggetto che, pur non rivestendo formalmente la qualifica di amministratore, di fatto esercita in modo continuativo e prevalente il potere di gestione e controllo di una società, è considerato amministratore di fatto ai sensi dell'art. 2369 c.c. e risponde solidalmente con gli amministratori formali per le obbligazioni doganali derivanti da condotte illecite poste in essere nell'ambito di tale gestione, salvo che dimostri la propria buona fede e l'assenza di consapevolezza circa la natura fraudolenta delle operazioni. L'accertamento della posizione di amministratore di fatto non richiede necessariamente la prova di una delega formale, essendo sufficiente la dimostrazione di un'attività gestoria continuativa e prevalente, anche attraverso il controllo di fatto di ogni aspetto operativo, contabile e logistico della società. Pertanto, laddove risulti che una società di fatto gestiva in modo integrale un'altra società, utilizzandola come mero strumento per condotte illecite di contrabbando, i soggetti che di fatto esercitavano il potere di gestione e controllo sulla prima società rispondono solidalmente con la seconda per le conseguenti obbligazioni doganali, salvo che dimostrino la propria buona fede e l'assenza di consapevolezza circa la natura fraudolenta delle operazioni.
La qualifica di amministratore di fatto di una società si configura quando il soggetto esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla carica gestoria, pur in assenza di una formale investitura, attraverso l'esercizio di un'apprezzabile attività direttiva, organizzativa e decisionale, anche in relazione a specifici settori dell'attività sociale, come i rapporti con dipendenti, fornitori o clienti. Tale qualifica può essere desunta da una pluralità di elementi indiziari, quali l'impartire istruzioni operative, il sottoscrivere obbligazioni sociali, il costituire società collegate, il gestire i flussi finanziari e commerciali, il rapportarsi con i terzi in nome e per conto della società, senza che sia necessario l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione. L'accertamento della posizione di amministratore di fatto, basato su una valutazione complessiva degli elementi probatori, costituisce un giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da congrua e logica motivazione. La recidiva, anche se non dichiarata o riconosciuta, rileva ai fini della determinazione della pena, in quanto circostanza aggravante che incide sul trattamento sanzionatorio, salvo che non sia esclusa per decorso del quinquennio. Il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee non è condizionato dalla qualificazione della recidiva, potendo il giudice valorizzare comunque il disvalore espresso dalla pluralità dei fatti di bancarotta e dai precedenti penali dell'imputato.
Il superamento della soglia di punibilità prevista dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5, per il reato di omessa presentazione delle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi, può essere legittimamente accertato dal giudice attraverso l'utilizzo di elementi probatori di natura induttiva, quali i verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza e l'accertamento induttivo dell'imponibile operato dagli uffici finanziari, a condizione che il giudice proceda ad una specifica e autonoma valutazione di tali elementi, confrontandoli con quelli eventualmente acquisiti aliunde. L'amministratore di fatto di una società, ai fini della responsabilità per i reati tributari commessi dalla società, è colui che, pur non formalmente investito della carica di amministratore, eserciti in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, senza che sia necessario l'esercizio di tutti i poteri dell'organo di gestione, essendo sufficiente una attività gestoria svolta in modo non episodico od occasionale. Il dolo specifico di evasione, richiesto per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5, può essere desunto da elementi fattuali dimostrativi di una consapevole preordinazione dell'omessa dichiarazione all'evasione dell'imposta per quantità superiori alla soglia di punibilità.
Il soggetto che, pur privo di una formale investitura, esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione di amministratore di una società, è equiparato all'amministratore di diritto ai fini dell'applicazione delle norme penali societarie e fallimentari. Tale qualifica di "amministratore di fatto" può essere attribuita anche in presenza del solo esercizio di alcuni, e non necessariamente di tutti, i poteri gestori, purché tale attività sia svolta con carattere di continuità e rilevanza, e non in modo meramente episodico od occasionale. L'accertamento della posizione di amministratore di fatto è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua e logica motivazione. Inoltre, anche in assenza della qualifica di amministratore di fatto, il soggetto che abbia consapevolmente concorso nell'attuazione di condotte illecite, in concorso con gli amministratori di diritto, può essere ritenuto penalmente responsabile ai sensi dell'art. 110 c.p.
Il soggetto che, pur non rivestendo formalmente la carica di amministratore, eserciti di fatto poteri gestori e direttivi in seno alla società, ingerendosi stabilmente nella conduzione dell'impresa e condizionandone le scelte operative, deve ritenersi amministratore di fatto e, in quanto tale, responsabile delle condotte distrattive e dissipative del patrimonio sociale, anche qualora non ne sia il principale beneficiario. Infatti, l'amministratore di fatto, essendo tenuto ad impedire ex art. 40, comma secondo, cod. pen. le condotte illecite riguardanti l'amministrazione della società o a pretendere l'esecuzione degli adempimenti previsti dalla legge, è responsabile di tutti i comportamenti, sia omissivi che commissivi, posti in essere dall'amministratore di diritto, al quale è sostanzialmente equiparato. La qualifica di amministratore di fatto sussiste quando le funzioni gestorie svolte in via di fatto abbiano carattere sistematico e non si esauriscano nel compimento di alcuni atti di natura eterogenea ed occasionale, come desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società. Pertanto, la mancata giustificazione della destinazione di somme della società per finalità personali di altri soci, nonché l'utilizzo di risorse sociali per l'acquisto di beni intestati a terzi anziché alla società, integrano le fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale, anche in capo all'amministratore di fatto, a prescindere dal suo ruolo di beneficiario diretto delle condotte distrattive.
La nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'articolo 2639 c.c., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, senza che ciò comporti necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione. La prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, quali i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare. Tali elementi sintomatici devono essere valutati in modo congiunto, non parcellizzato e coerente, sulla base di precise risultanze processuali, senza che possano essere prese in considerazione doglianze difensive meramente assertive e disancorate da un reale confronto con l'impianto motivazionale della decisione impugnata. La sussistenza della recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale, nonché il diniego delle attenuanti generiche, possono essere adeguatamente motivati sulla base della sistematicità delle condotte distrattive poste in essere dall'imputato, della brevità del tempo decorso dalle precedenti condanne e della natura sostanzialmente analoga di alcune delle violazioni commesse, espressione di un evidente disprezzo per gli interessi economici altrui.
La qualifica di amministratore di fatto di una società può essere attribuita a un soggetto che, pur in assenza di una formale investitura, eserciti in modo continuativo e significativo i poteri tipici dell'amministrazione, come emergente da elementi sintomatici quali l'apertura e la gestione dei conti correnti societari, la partecipazione alle verifiche fiscali, la collocazione della sede presso un'altra società riconducibile al medesimo soggetto, nonché l'assenza di specifiche tracce di attività gestionale da parte dell'amministratore di diritto. Tali circostanze, delineando un quadro di gestione personale ed esclusiva della società, integrano i requisiti necessari per l'attribuzione della qualifica di amministratore di fatto, a prescindere dalla formale titolarità della carica, in quanto rivelatori dell'inserimento organico del soggetto in questione in qualsiasi fase dell'attività societaria, sia essa aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale o disciplinare. L'accertamento di tali elementi costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, purché sorretta da congrua e logica motivazione.
Il ruolo di amministratore di fatto di una società può essere riconosciuto anche in assenza di incarichi formali, qualora emerga l'esercizio continuativo e significativo dei poteri tipici della gestione, attraverso il coinvolgimento in attività gestionali, produttive, amministrative, contrattuali o disciplinari, senza che sia necessaria l'esclusività di tale ruolo rispetto agli amministratori di diritto. La prova di tale posizione si basa su elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto nell'attività sociale, la cui valutazione è rimessa al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione congrua e logica. Inoltre, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta, il recupero o la possibilità di recupero del bene distratto sono ininfluenti sull'integrazione dell'elemento materiale del reato, che si perfeziona al momento del distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore, indipendentemente da eventuali restituzioni successive. Infine, la regola di giudizio dell'oltre ogni ragionevole dubbio impone di pronunciare condanna solo quando il dato probatorio escluda ipotesi alternative remote e prive di riscontro nelle emergenze processuali, senza che residuino dubbi ragionevoli sulla responsabilità dell'imputato.
In tema di arbitrato societario, la clausola arbitrale dettata per dirimere le controversie con gli amministratori è applicabile non solo all'amministratore nominato dall'assemblea, ma anche all'amministratore di fatto, cioè colui che sia stato nominato in modo invalido o abbia iniziato ad esercitare le funzioni prima della formale nomina e accettazione, oppure che abbia usurpato le funzioni ad altri, comportandosi come rappresentante senza averne i poteri, poiché, trattandosi di soggetto in grado di rivestire pienamente un rapporto organico all'interno della struttura organizzativa della società, è parimenti destinatario dei diritti e degli obblighi che conseguono alla funzione, incluse le previsioni statutarie riguardanti gli amministratori.
La nozione di amministratore di fatto, ai sensi dell'art. 2639 c.c., presuppone l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, senza che sia necessario l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, essendo sufficiente l'accertamento di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. La prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, quali i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare. Tali elementi, se adeguatamente motivati, costituiscono una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, purché sorretta da una congrua e logica motivazione.
In tema di responsabilità da reato degli enti, ai fini della configurabilità della condotta riparatoria che esclude l'applicabilità delle sanzioni interdittive, devono ricorrere tutte le condizioni previste dall'art. 17 del d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, non essendo sufficiente la sola predisposizione di un modello organizzativo idoneo alla prevenzione dei reati.
La nozione di amministratore di fatto, ai fini della responsabilità penale, postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, senza che sia necessario l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, essendo sufficiente l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. L'accertamento della posizione di amministratore di fatto si basa sull'individuazione di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, quali i rapporti con dipendenti, fornitori o clienti, ovvero l'attività in qualunque settore gestionale dell'impresa, anche in concomitanza con l'esplicazione dell'attività di altri soggetti di diritto. Ai fini della responsabilità per reati tributari, la qualifica di amministratore di fatto può essere attribuita anche a chi, pur non essendo formalmente investito di tale carica, eserciti in modo continuativo e significativo le funzioni tipiche dell'amministratore, come il controllo della gestione contabile e amministrativa, la formulazione di programmi, la selezione delle scelte e l'emanazione di direttive, nonché l'attività di rappresentanza, senza che sia necessario l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione. La prova della posizione di amministratore di fatto in una società "schermo", priva di autonomia e costituita per essere utilizzata in un meccanismo fraudolento, può desumersi dall'assunzione di una significativa e continua attività gestoria e dal ruolo di dominus ed ideatore del sistema fraudolento, non essendo ipotizzabile l'accertamento di elementi sintomatici di un inserimento organico all'interno di un ente esistente solo da un punto di vista giuridico. La confisca per equivalente dei beni dell'imputato è legittima nei casi in cui, a seguito di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, non risulti possibile procedere alla confisca diretta del profitto del reato nel patrimonio della persona giuridica, in assenza di elementi idonei a consentire tale confisca.
La qualifica di amministratore di fatto di una società, ai fini della responsabilità penale per reati fallimentari, postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, anche in assenza della formale investitura, attraverso l'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività imprenditoriale. Tale qualifica non può trarsi dal solo conferimento di una procura generale ad negotia, ma richiede l'individuazione di prove concrete e univoche dello svolgimento effettivo di attività gestorie, anche attraverso l'attivazione dei poteri conferiti con la procura stessa. La presenza di amministratori di diritto non esclude di per sé l'attribuzione della qualifica di amministratore di fatto ad altro soggetto, in applicazione del principio di effettività, purché risulti accertato il concreto esercizio di una gestione della società e del suo patrimonio, insieme agli amministratori legali ovvero in luogo di essi, con carattere continuativo e sistematico. Ai fini della responsabilità per bancarotta documentale, la mancata o incompleta tenuta delle scritture contabili obbligatorie integra il reato anche in assenza di dolo, essendo sufficiente la mera negligenza o imperizia, salvo che il soggetto non dimostri l'impossibilità di adempiere per cause a lui non imputabili. Tuttavia, qualora risulti che gran parte della documentazione contabile sia stata regolarmente tenuta e consegnata alla curatela fallimentare, il giudice è tenuto a valutare specificamente le deduzioni difensive volte a escludere la configurabilità del reato di bancarotta documentale, non potendo limitarsi a un generico richiamo alle carenze riscontrate.
Il ruolo di amministratore di fatto di una società di capitali, pur in assenza di formale investitura, comporta l'assunzione di responsabilità per la gestione dell'impresa e l'obbligo di agire nell'interesse sociale, con diligenza e nel rispetto delle norme di legge. Tuttavia, l'accertamento di tale ruolo richiede la prova rigorosa dell'esercizio continuativo e sistematico di attività gestorie con autonomia decisionale e funzioni direttive, estranee all'esecuzione di incarichi professionali di mero supporto all'amministratore di diritto. La transazione intervenuta tra le parti, che ha definito ogni questione relativa all'esecuzione dei contratti di consulenza, preclude la possibilità di contestare la congruità dei compensi professionali percepiti, anche ove ritenuti "fuori mercato", e di ottenerne la restituzione. Pertanto, in assenza di prova dell'effettiva assunzione del ruolo di amministratore di fatto e di un danno patrimoniale direttamente riconducibile a tale posizione, non può essere riconosciuta la responsabilità del professionista per il mancato pagamento di tributi, sanzioni ed interessi, che rimane imputabile all'amministratore di diritto.
Il reato di bancarotta fraudolenta, sia documentale che per distrazione, è configurabile quando l'amministratore di diritto o di fatto di una società, consapevole della situazione di dissesto e insolvenza della stessa, pone in essere condotte distrattive o di occultamento della documentazione contabile, cagionando un danno patrimoniale di rilevante gravità. Il momento rilevante per l'accertamento dello stato di dissesto è quello in cui l'amministratore ha assunto la carica, a prescindere dal momento in cui tale situazione si sia manifestata in modo irreversibile, essendo sufficiente che egli abbia agito con la consapevolezza della concreta pericolosità della propria condotta per il patrimonio sociale. L'amministratore di fatto è colui che, pur in assenza di una formale investitura, esercita in modo continuativo e significativo poteri gestori, partecipando in maniera organica alla vita societaria e ingerendosi nelle scelte strategiche, a prescindere dall'esercizio di tutti i poteri tipici dell'organo di amministrazione. Il giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti e attenuanti, ai fini della determinazione della pena, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, la cui motivazione è immune da vizi logici se fa riferimento ai criteri di cui all'art. 133 c.p., senza necessità di un'analitica esposizione. Tuttavia, l'aumento di pena per il reato continuato di bancarotta fraudolenta, previsto dall'art. 219, comma 2, n. 1, L. Fall., deve essere applicato nel rispetto del principio di bilanciamento con le eventuali circostanze attenuanti. Infine, le pene accessorie della inabilitazione all'esercizio di impresa commerciale e dell'incapacità di ricoprire uffici direttivi, previste dall'art. 216, ultimo comma, L. Fall., devono essere determinate nel rispetto dei limiti temporali indicati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 222 del 2018.
In tema di reati societari, ai fini dell'attribuzione della qualifica di amministratore di fatto, può essere valorizzato l'esercizio, in modo continuativo e significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione o anche soltanto di alcuni di essi, ipotesi, quest'ultima, in cui spetta al giudice di merito valutare la pregnanza, ai fini dell'attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati.
Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: La responsabilità penale per reati fallimentari, in particolare per bancarotta fraudolenta, può essere attribuita sia all'amministratore di diritto che all'amministratore di fatto di una società, in quanto la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'art. 2639 c.c., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, senza che sia necessario l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione. Pertanto, la responsabilità dell'amministratore di fatto può cumularsi con quella degli amministratori di diritto, senza che ciò comporti un'indebita "sommatoria" di responsabilità, in quanto l'esercizio dei poteri o delle funzioni dell'amministratore di fatto può verificarsi in concomitanza con l'esplicazione dell'attività di altri soggetti di diritto. Il concorso apparente di norme tra il reato di occultamento e distruzione di documenti contabili, previsto dall'art. 10 del D.Lgs. 74/2000, e quello di bancarotta fraudolenta documentale, di cui all'art. 216, comma 1, n. 2, l. fall., è escluso in ragione della diversità degli elementi costitutivi delle fattispecie, del diverso oggetto materiale dell'illecito, dei differenti destinatari del precetto penale, del divergente effetto lesivo delle condotte di reato. Pertanto, tali reati concorrono tra loro, non trovando applicazione la clausola di riserva contenuta nell'art. 10 D.Lgs. 74/2000, la quale opera solo in relazione a fattispecie poste a tutela del medesimo bene giuridico. Infine, il trattamento sanzionatorio, pur potendo differire per i concorrenti, non è viziato da irragionevolezza o paradossalità ove la diversità di posizioni e di ruoli assunti dai coimputati sia stata adeguatamente motivata dal giudice di merito.
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