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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - rel. Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/03/2022 della CORTE APPELLO di POTENZA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore KATE TASSONE che ha concluso chiedendo. udito il difensore. IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Potenza riformava parzialmente in senso favorevole all'imputato, limitatamente alla dosimetria della pena, la sentenza con cui il tribunale di Potenza, in data 3.7.2019, aveva condannato (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, in relazione al delitto ex articolo 595, comma 3, c.p., in rubrica ascrittogli, commesso in danno di (OMISSIS). La condotta attribuita all' (OMISSIS) consiste, in particolare, nell'avere immesso nel web attraverso il sito del social network (OMISSIS), un filmato da lui stesso realizzato, avente ad oggetto il vice-sindaco del comune di (OMISSIS), (OMISSIS), mentre utilizzava l'automobile di servizio del comune, immagini che l'imputato commentava sul proprio profilo (OMISSIS), utilizzando le espressioni riportate testualmente nel capo d'imputazione, ritenute offensive per la reputazione del (OMISSIS). 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, lamentando: 1) violazione di legge in punto di affermazione della responsabilita', non essendovi alcuna certezza in ordine alla riconducibilita' all' (OMISSIS) del "post" offensivo pubblicato sul suo profilo (OMISSIS), in quanto la corte territoriale ha omesso ogni verifica tecnica in ordine all'indirizzo IP da cui proveniva il messaggio ritenuto offensivo della reputazione della persona offesa, in mancanza della quale non puo' escludersi l'utilizzo del nickname del presunto autore del reato da parte dei terzi, senza tacere che la corte territoriale ha rigettato l'eccezione difensiva sul punto con motivazione del tutto apparente, non avendo fatto buon governo dei principi in tema di prova indiziaria in base ai quali ha ritenuto di poter ovviare alla mancanza del menzionato accertamento tecnico; 2) violazione di legge con riferimento al processo di acquisizione forense del materiale diffamatorio presente su (OMISSIS), che, nel caso in esame, e' avvenuto mediante il deposito della mera trascrizione su carta dei commenti incriminati, con conseguente inutilizzabilita' del materiale cartaceo, alla luce dell'articolo 260, comma 2, c.p.p., secondo cui le copie forensi devono essere eseguite adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l'alterazione, con una procedura che assicuri la conformita' dei dati acquisiti a quelli originali e la loro immodificabilita'; 3) violazione di legge in punto di mancata applicazione dell'esimente del diritto di critica politica; 4) violazione di legge e vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, piuttosto che di semplice equivalenza, rispetto alla ritenuta circostanza aggravante di cui all'articolo 595, comma 3, c.p.p., nonche' di irrogazione di una pena detentiva, invece che di una pena pecuniaria. 3. Con requisitoria scritta del 17.2.2023, depositata sulla base della previsione dell'articolo 23, comma 8, Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, che consente la trattazione orale in udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalita' di celebrazione e' stata specificamente richiesta da una delle parti, i cui effetti sono stati prorogati fino al 31 dicembre 2022, per effetto dell'articolo 16, comma 1, del Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla L. n. 15 del 25 febbraio 2022, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, chiede che la sentenza impugnata sia annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione. Con conclusioni scritte del 28.2.2023, il difensore di fiducia dell'imputato, nel replicare alla requisitoria del pubblico ministero, insiste in via principale, per l'accoglimento del ricorso e, in subordine, aderisce alle conclusioni dell'organo della Pubblica Accusa. Con conclusioni scritte del 7.3.2023 il difensore di fiducia della costituita parte civile chiede la conferma della sentenza oggetto di ricorso e la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, come da allegata nota spese. 4. Il ricorso appare fondato solo in parte, con riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio, e va, pertanto, accolto nei seguenti termini. 5. Inammissibile deve ritersi il primo motivo di ricorso, posto che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimita' il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. In questa sede di legittimita', infatti, e' precluso il percorso argomentativo seguito dal ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimita', quale e' quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Cass., Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758). La corte territoriale, del resto, con motivazione affatto apparente, manifestamente illogica o contraddittoria, ha risolto il tema della riconducibilita' del video diffamatorio, diffuso sulla pagina del soda network (OMISSIS) collegato all'account dell' (OMISSIS), sulla base delle dichiarazioni del teste (OMISSIS) (il quale ha riferito come "il suddetto video gli fosse stato inviato dallo stesso imputato sul sui account (OMISSIS)) e dell' (OMISSIS) medesimo, "che non ha disconosciuto di avere effettuato la ripresa e di averla commentata, postandola su internet", come del resto si evince dall'ulteriore circostanza, del pari evidenziata con logico argomentare dal giudice di secondo grado, che "il luogo in cui il Vice-sindaco stava effettuando il rifornimento di carburante era proprio una piazza del comune di (OMISSIS) intitolata a " (OMISSIS)" e l'imputato, nel video, rivendicava il proprio nome e cognome come quello attribuito alla piazza in questione, luogo in cui erano stati ripresi i fatti. Sicche' risulta dotata di intrinseca coerenza logica la motivazione con cui la corte territoriale ha rigettato la censura difensiva, volta a eccepire la mancanza di accertamenti sull'indirizzo IP (Internet Protocol) dell'utenza impiegata per la diffusione del video, evidenziandone l'inutilita', oltre che conforme ai condivisibili principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in subiecta materia. Si e', infatti, evidenziato che "la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimita' si attesta sulla riferibilita' della diffamazione anche su base indiziaria, a fronte della convergenza, pluralita' e precisione di dati quali il movente, l'argomento del forum su cui avviene la pubblicazione, il rapporto tra le parti, la provenienza del post dalla bacheca virtuale dell'imputato, con utilizzo del suo nickname, anche in mancanza di accertamenti circa la provenienza del post di contenuto diffamatorio dall'indirizzo IP dell'utenza telefonica intestata all'imputato medesimo. Si e', inoltre, attribuito rilievo, assieme agli elementi indiziari sopra sottolineati, anche all'assenza di denuncia di cd. furto di identita' da parte dell'intestatario della bacheca sulla quale vi e' stata la pubblicazione dei post incriminati (cfr., Sez. 5, n. 45339-18 del 13/07/2018, Petrangelo, n. m.; Sez. 5, n. 8328 del 13/07/2015, dep. 2016, Martinez, n. m.). Risponde, dunque, a criteri logici e a condivise massime di esperienza ritenere la provenienza di un post da un profilo (OMISSIS) proveniente dal profilo di un utente che ometta di denunciarne l'uso illecito eventualmente compiuto da parte di terzi" (cfr. Sez. 5, n. 24212 del 21.1.2021, n. m.). Sicche', non puo' essere esclusa la riferibilita' del fatto all'imputato, quando, come nel caso di specie, pur non essendo stati svolti accertamenti sull'indirizzo IP, risultano significativi elementi convergenti a suo carico quali la provenienza del post dal profilo (OMISSIS), collegato all'account del prevenuto, le dichiarazioni del teste (OMISSIS) e la stessa ammissione dell' (OMISSIS), nonche' la circostanza che il ricorrente non risulta abbia denunciato l'uso improprio del suo nickname, prendendo le distanze dalle affermazioni offensive in addebito. 6. Infondata appare la seconda censura difensiva, sulla quale bisogna soffermarsi, pur non essendo stata articolata con i motivi di appello, con essa deducendosi un vizio di inutilizzabilita', che puo' essere rappresentato anche per la prima volta in questa sede. Si tratta, in ogni caso, di censura infondata, sotto un duplice profilo. Da un lato, se e' vero, come affermato dalla giurisprudenza di legittimita', che l'articolo 260, comma 2, c.p.p., si limita a richiedere l'adozione di misure tecniche e di procedure idonee a garantire la conservazione dei dati informatici originali e la conformita' ed immodificabilita' delle copie estratte per evitare il rischio di alterazioni, senza imporre misure e procedure tipizzate (cfr. Sez. 3, n. 37644 del 28/05/2015, Rv. 265180), e' altrettanto vero che l'eventuale inosservanza di tali misure e procedure non determina di per se' l'inutilizzabilita' dei dati informatici acquisiti, essendo sempre necessario dimostrare quanto meno l'esistenza di un concreto dubbio sulla conformita' e sulla modificabilita' delle copie estratte, rispetto agli originali, che, nel caso in esame, il ricorrente non ha fornito. D'altro lato, ritiene il Collegio di aderire a un recente orientamento della giurisprudenza di legittimita', secondo cui ai fini dell'utilizzabilita' della trascrizione delle conversazioni via "wathsapp" effettuata dalla persona offesa (ma ovviamente il principio e' applicabile con riferimento a ogni spazio telematico), la necessita' di acquisire il supporto telematico o figurativo contenente la relativa registrazione deve essere valutata in concreto, tenendo conto della credibilita' della persona offesa e dell'attendibilita' delle sue dichiarazioni accusatorie. (Fattispecie in tema di atti persecutori, in cui la Corte ha affermato che correttamente il giudice di merito aveva ritenuto superflua la richiesta difensiva di accertamento tecnico e di estrazione dei dati del traffico telefonico delle utenze interessate, non essendovi ragione di dubitare dell'attendibilita' delle dichiarazioni della persona offesa in merito alla provenienza e al contenuto dei messaggi: cfr. Sez. 5, n. 2658 del 06/10/2021, Rv. 282771). Orbene nel caso in esame non e' stato sollevato alcun rilievo specifico sulla credibilita' personale della persona offesa ovvero sull'attendibilita' delle sue dichiarazioni, che hanno consentito di ricostruire i fatti, ovvero delle dichiarazioni del teste (OMISSIS), sicche' nessuna inutilizzabilita' per violazione di legge processuale penale e' configurabile in relazione alla utilizzazione ai fini della decisione della trascrizione cartacea delle frasi incriminate. 7. Infondato deve ritenersi il terzo motivo di ricorso. Non ignora, il Collegio, il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Sezione, secondo cui in tema di diffamazione, il rispetto della verita' del fatto assume, in riferimento all'esercizio del diritto di critica politica, un rilievo piu' limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, ed ancor piu' quella politica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non puo', per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (cfr. Cass., Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, Rv. 249239; Cass., Sez. 5, n. 25518 del 26/09/2016, Rv. 270284). Allo stesso tempo va, pero', rammentata la costante riflessione operata dalla giurisprudenza di legittimita', volta ad individuare i limiti interni alla scriminante di cui si discute, oltrepassati i quali la condotta oggettivamente contra legem posta in essere non puo' trovare giustificazione nell'esercizio del diritto di critica politica. Si tratta di un approdo interpretativo, che, nel corso degli anni, ha approfondito e sviluppato nelle sue diverse implicazioni, il fondamentale principio, secondo cui il limite immanente all'esercizio del diritto di critica e' essenzialmente quello del rispetto della dignita' altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale, anche mediante l'utilizzo di argumenta ad hominem (cfr. Cass., Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, Rv. 249239). Si e', cosi', affermato che sussiste l'esimente dell'esercizio del diritto di critica politica qualora l'espressione usata consiste in un dissenso motivato, anche estremo, rispetto alle idee ed ai comportamenti altrui, nel cui ambito possono trovare spazio anche valutazioni non obiettive, purche' non trasmodi in un attacco personale lesivo della dignita' morale ed intellettuale dell'avversario (cfr. Cass., Sez. 5, n. 46132 del 13/06/2014, Rv. 262184). Pertanto l'esimente di cui si discute, che pure tollera l'uso di espressioni forti e toni aspri, non ricorre ove tali espressioni siano generiche e non collegabili a specifici episodi, risolvendosi in frasi gratuitamente espressive di sentimenti ostili (cfr. Cass., Sez. 5, n. 48712 del 26/09/2014, Rv. 261489; Sez. 5, n. 9566 del 16/12/2020, Rv. 280809). Tale e' la fattispecie che ci occupa, in considerazione della natura gratuitamente offensiva delle frasi profferite nei confronti della persona offesa ("nulla....solite porcherie di una serpe resuscitata), peraltro riferite a un episodio in cui il vice-sindaco aveva dimostrato come l'utilizzazione del veicolo, al rifornimento del quale presso una pompa di benzina era stato immortalato nel video incriminato, fosse consentito, in quanto funzionale allo svolgimento di un'attivita' istituzionale (cfr. p. 4 della sentenza oggetto di ricorso). 8. Fondato, invece, risulta l'ultimo motivo di ricorso. Come affermato, infatti, dalla giurisprudenza di legittimita', con orientamento costante e assolutamente condivisibile, e' legittima, in relazione all'articolo 10 Cedu, secondo un'interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata della norma, l'irrogazione di una pena detentiva, ancorche' sospesa, per il delitto di diffamazione commesso, anche al di fuori di attivita' giornalistica, mediante mezzi comunicativi di rapida e duratura amplificazione (nella specie "internet"), ove ricorrano circostanze eccezionali connesse alla grave lesione di diritti fondamentali, come nel caso di discorsi di odio o di istigazione alla violenza. L'applicazione della pena detentiva per il delitto di diffamazione a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicita', in particolare, a seguito della sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, e' subordinata alla verifica della "eccezionale gravita'" della condotta, che, secondo un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, si individua nella diffusione di messaggi diffamatori connotati da discorsi d'odio e di incitazione alla violenza ovvero in campagne di disinformazione gravemente lesive della reputazione della vittima, compiute nella consapevolezza della oggettiva e dimostrabile falsita' dei fatti ad essa addebitati (cfr. Sez. 5, n. 28340 del 25/06/2021, Rv. 281602; Sez. 5, n. 13993 del 17/02/2021, Rv. 281024). Siffatto profilo, nonostante la presenza di un motivo di appello con cui si chiedeva di rivisitare l'entita' del trattamento sanzionatorio, per adeguare l'entita' della pena alla gravita' del fatto, non e' stato minimante preso in considerazione dalla corte territoriale, che ha rideterminato in mesi due di reclusione la pena detentiva irrogata dal giudice di primo grado, senza procedere ad alcuna valutazione sulla necessita' di irrogare una pena detentiva, sia pure contenuta. Ne consegue che, sul punto, la sentenza va annullata con rinvio alla corte di appello di Salerno, che provvedera' a colmare l'evidenziata lacuna motivazionale, uniformandosi ai principi di diritto in precedenza indicati. Ai sensi dell'articolo 624, c.p.p., va dichiarato il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, con riferimento all'affermazione di responsabilita' dell' (OMISSIS), dovendosi, sul punto, rilevare che, tenuto conto dei periodi di sospensione del relativo decorso intervenuti nel corso del giudizio, il termine di prescrizione del reato per cui si procede, nella sua estensione massima, non risulta affatto perento. La parziale fondatezza dei rilievi difensivi, implica che, pur dovendosi rigettare nel resto il ricorso, l'imputato non sia condannato al pagamento delle spese processuali, laddove l' (OMISSIS), essendo soccombente sul punto dell'affermazione della sua responsabilita' per la condotta in addebito, deve, invece, essere condannato, conformemente alla richiesta formulata dalla parte civile, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio da quest'ultima, che si liquidano in complessivi Euro 3500,00 oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo esame sul punto alla corte di appello di Salerno. Rigetta nel resto il ricorso. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 3500,00 oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 08-06-2022 della Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Fabio Zunica; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Baldi Fulvio, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; uditi gli avvocati (OMISSIS), difensori di fiducia del ricorrente, i quali hanno insistito nell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza dell'8 giugno 2022, la Corte di appello di Milano confermava la decisione del 15 dicembre 2020, con cui il G.U.P. del Tribunale di Milano aveva condannato (OMISSIS) alla pena di 3 anni, mesi 4 di reclusione ed Euro 14.000 di multa, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui agli articoli 81 e 600 ter c.p., a lui contestato per avere prodotto materiale pornografico utilizzando la minorenne (OMISSIS) istigando la minore, mediante esplicite richieste, a ritrarsi in 26 fotografie e in 14 video dal contenuto sessualmente esplicito; fatto commesso in (OMISSIS). 2. Avverso la sentenza della Corte di appello meneghina, (OMISSIS), tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando ventuno motivi. Con il primo, la difesa deduce l'inosservanza dell'articolo 603 ter c.p., comma 1, richiamando i principi espressi nelle pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte (sentenze n. 51815 del 2018 e n. 4616 del 2022) ed evidenziando che la Corte di appello avrebbe erroneamente applicato tali canoni ermeneutici, avendo valorizzato esclusivamente la differenza di eta' tra imputato e persona offesa, seguendo un'impostazione superata dalla successiva evoluzione interpretativa. Con il secondo motivo, la difesa contesta l'affermazione della penale responsabilita' del ricorrente, osservando che nel caso di specie ricorrevano tutti gli indici sintomatici della cd. "pornografia domestica", posto che lo scambio di foto e video tra imputato e persona offesa e' avvenuto senza alcuna condivisione con terze persone e nell'ambito di un rapporto affettivo, al di fuori di qualsivoglia costrizione o induzione, per cui i giudici di merito avrebbero ignorato i principi espressi dalle Sezioni Unite nelle ricordate sentenze del 2018 e del 2022, che peraltro attenevano a procedimenti a carico di maggiorenni, riferendosi la seconda a un maggiorenne che aveva intrattenuto una relazione affettiva con una minorenne e che era stato completamente assolto. Con il terzo motivo, e' stato denunciato il travisamento delle risultanze degli atti di indagine, dai quali sono emersi dati fattuali ignorati dalla Corte di appello, ovvero che (OMISSIS) e la (OMISSIS) si sono conosciuti sulle chat e non si sono mai incontrati e che, nell'ambito di una relazione quotidiana in cui parlavano di argomenti vari, si sono reciprocamente inviati files autoprodotti, posto che anche l'imputato si e' ritratto in video e foto trasmessi alla minore. Il quarto motivo censura il travisamento delle risultanze delle relazioni del consulente informatico della Procura della Repubblica, Dott. (OMISSIS), il quale, nella relazione finale del 1 marzo 2019, ha dato atto dell'interlocuzione quotidiana tra imputato e persona offesa, i quali si scambiavano messaggi dalla prima mattinata fino alla notte inoltrata, cio' a conferma del forte grado di complicita' dei due interlocutori e della assoluta liberta' di azione della ragazzina. Con il quinto motivo, ci si duole del travisamento delle dichiarazioni confessorie dell'imputato, il quale, nel premettere di essere consapevole della minore eta' della (OMISSIS), ha sempre negato di aver costretto o indotto costei a ritrarsi in foto e video pornografici, inserendosi lo scambio degli sporadici contenuti audiovisivi autoprodotti nell'ambito del clima di complicita' instauratosi. Con il sesto motivo, si censurano il travisamento, l'inosservanza della legge penale e il vizio di motivazione in relazione alle dichiarazioni di (OMISSIS), la quale, a riscontro del racconto dell'imputato, ha confermato l'esistenza di una relazione affettiva con (OMISSIS), escludendo sia qualsiasi forma di induzione nei suoi confronti ai fini della realizzazione del materiale autoprodotto, sia la sussistenza di presunti "ordini" o "direttive" da parte dell'imputato. Con il settimo motivo, la difesa lamenta la mancata considerazione delle risultanze della relazione redatta dalla psicologa infantile (OMISSIS) intervenuta in sede di audizione protetta, la quale ha ritenuto attendibile la narrazione della persona offesa, anche nella parte cui costei ha riferito di aver inviato liberamente il materiale contestato all'imputato, senza subire alcuna costrizione o induzione, non avendo la Dott.ssa (OMISSIS) rinvenuto alcun sintomo di abuso nella ragazzina. L'ottavo motivo e' dedicato al giudizio sull'asserita e apodittica sussistenza di presunti "ordini" o "direttive" rivolti dall'imputato alla minore, risultando tale affermazione fondata su un travisamento delle risultanze probatorie. Con il nono motivo, ci si duole dell'affermazione circa il presunto condizionamento da parte di (OMISSIS) che sarebbe stato favorito dalla fragilita' della (OMISSIS), risultando tale conclusione frutto di un fraintendimento degli esiti dell'audizione della persona offesa, la quale, come chiarito anche dalla Dott.ssa (OMISSIS), aveva instaurato un legame affettivo con l'imputato, idoneo a spiegare l'invio volontario del materiale audiovisivo reciprocamente prodotto. Con il decimo motivo, la difesa insiste sul difetto di induzione da parte del ricorrente nei confronti della (OMISSIS), risultando la condotta per cui si procede inquadrabile nel contesto della cd. "pornografia domestica" penalmente irrilevante, non essendovi stata alcuna violenza o induzione, essendo il materiale inviato destinato esclusivamente inter partes e avendo la persona offesa, che all'epoca dei fatti aveva compiuto 14 anni, liberamente espresso il suo consenso. Con l'undicesimo motivo, si contesta la mancata derubricazione del fatto nel reato di detenzione di materiale pedopornografico, risultando la meno grave qualificazione giuridica del fatto imposta dal principio di irretroattivita' della disciplina penale piu' sfavorevole, ancorche' di derivazione giurisprudenziale (articolo 7 della C.E.D.U.), avendo le Sezioni Unite dato luogo, con la sentenza n. 51815 del 2018, a un mutamento in peius dell'orientamento giurisprudenziale, posto che, per effetto dell'overruling, sono state incluse nell'ambito applicativo 600 ter c.p. condotte che, per essere prive, come nel caso di specie, del pericolo di diffusione del materiale, sarebbero state assoggettate, secondo il precedente orientamento, alla disciplina del reato ex articolo 600 quater c.p.. Il dodicesimo motivo e' dedicato al trattamento sanzionatorio, non avendo la Corte di appello fornito risposta alle deduzioni difensive, con cui era stato censurato il difetto di motivazione rispetto alla determinazione della pena, fissata in maniera ingiustificatamente superiore rispetto al minimo edittale. Con il tredicesimo, il quattordicesimo, il quindicesimo, il sedicesimo, il diciassettesimo, il diciottesimo, il diciannovesimo e il ventesimo motivo, si contesta sotto diversi aspetti il diniego delle attenuanti generiche, non avendo la Corte di appello fornito adeguata motivazione al riguardo (motivo 13) e non avendo tenuto conto di vari elementi positivi, ovvero: la confessione dell'imputato, avvenuta gia' in sede di dichiarazioni spontanee rese in sede di perquisizione e poi reiterate nelle successive fasi del procedimento penale (motivo 14); la condotta collaborativa di (OMISSIS), il quale, come emerso dagli atti delle indagini preliminari acquisiti al fascicolo processuale, ha coadiuvato il consulente tecnico del P.M., fornendo password e codici di sblocco, non essendo dipese le difficolta' di accertamento da alcuna azione volontaria di (OMISSIS) (motivo 15); la resipiscenza del ricorrente, il quale, oltre a rendere piena confessione gia' dinanzi agli operanti e ad aver compreso la gravita' del suo comportamento, ha effettuato il pieno risarcimento del danno, provvedendo al pagamento di 27.000 Euro alla minore e alla famiglia, che hanno rinunciato alla costituzione di parte civile (motivo 16); il fatto che (OMISSIS) ha interagito solo con la (OMISSIS), non avendo contatti con altre minorenni, come emerso dagli accertamenti informatici svolti (motivo 17); il comportamento processuale dell'imputato, che e' stato presente in tutte le sedi procedimentali e ha espresso piena consapevolezza per l'errore da lui commesso (motivo 18); la condizione di incensurato del ricorrente, l'assenza di carichi pendenti e la mancanza di denunce a suo carico, precedenti o successive ai fatti di causa (motivo 19); nonche' il documentato avvio, da parte dell'imputato, di un percorso psicoterapeutico, accanto al trattamento farmacologico gia' in atto, idoneo alla risoluzione delle fragilita' che hanno pesato sul suo comportamento nella vicenda (motivo 20). Il ventunesimo motivo, infine, e' dedicato all'aumento di pena ex articolo 81 c.p., comma 2, non avendo la Corte di appello illustrato le ragioni poste a fondamento del non lieve incremento di pena (mesi 6 di reclusione ed Euro 3.000 di multa) operato su un gia' elevatissimo minimo edittale. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' infondato. 1. In via preliminare, occorre evidenziare che i ventuno motivi di ricorso possono ricondursi a due aree tematiche: quella riguardante l'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato (i primi 11 motivi) e quella concernente il trattamento sanzionatorio (motivi da 12 a 21). Le due categorie di doglianze, nel loro rispettivo ambito, sono invero suscettibili di trattazione unitaria, risultando sostanzialmente sovrapponibili le questioni affrontate per ogni area tematica. 2. Iniziando dalle censure in punto di giudizio di colpevolezza, occorre evidenziare che le valutazioni compiute al riguardo nelle due conformi sentenze di merito non presentano vizi di legittimita' rilevabili in questa sede. In proposito si ritiene utile una breve e preliminare ricostruzione fattuale. Emerge invero dalle sentenze di primo e secondo grado, le cui argomentazioni sono destinate a integrarsi reciprocamente per formare un apparato motivazionale unitario, che il 31 ottobre 2018 si recava presso la Squadra Mobile di Como (OMISSIS), madre di (OMISSIS), nata nel (OMISSIS). La (OMISSIS) riferiva che sette giorni prima, il 24 ottobre, mentre si trovava in casa, aveva sentito la figlia parlare a telefono in vivavoce con un uomo, vertendo la conversazione su argomenti di natura sessuale: ella entrava quindi subito in camera di (OMISSIS), cui chiedeva spiegazioni, ma costei, dopo alcune iniziali reticenze, si limitava ad ammettere di aver parlato di sesso con un suo coetaneo. Tuttavia la (OMISSIS), avendo ascoltato interloquire con la figlia la voce di un adulto, a fronte delle negazioni della figlia, chiamava il marito, dicendogli di tornare subito a casa: i genitori di (OMISSIS) controllavano quindi il cellulare della figlia, rinvenendo nell'applicazione whatsapp solo conversazioni amichevoli e uno scambio di foto non allarmanti con tale (OMISSIS). Questi veniva comunque contattato dai genitori della minore, che gli dicevano che la figlia aveva solo 14 anni, al che l'uomo registrato come (OMISSIS) si scusava dicendo di aver sbagliato. Il pomeriggio del giorno successivo, la denunciante parlava di nuovo con la figlia, chiedendole se per caso avesse inviato all'uomo foto e video; dopo essere stata inizialmente reticente, (OMISSIS) confidava alla madre che, tramite l'applicazione Telegram, vi era stato uno scambio di foto e video di natura sessuale. A quel punto la minore mostrava alla madre le immagini in questione, che ritraevano ella nell'atto di masturbarsi in camera sua, nonche' il pene in erezione dell'uomo, il quale tuttavia non inviava mai foto del suo volto alla ragazzina. Venerdi' 26 ottobre la (OMISSIS) e la figlia si recavano presso lo studio della psicologa che aveva avuto in cura (OMISSIS) per un anno per attacchi e crisi di ansia, informandola dell'accaduto nel tentativo di superare quella situazione. Nel successivo fine settimana, la minore raccontava alla madre che tutto era nato nell'agosto 2017, allorquando, durante una vacanza con la zia, ella e la cugina (OMISSIS) si erano iscritte a una chat di incontri, dove aveva conosciuto (OMISSIS), che non ha mai incontrato, ma che sapeva fosse residente in Toscana. Dopo la presentazione della denuncia da parte della (OMISSIS), venivano avviate le indagini e, a seguito di verifiche tecniche sul cellulare della persona offesa, l'intestatario dell'utenza con cui (OMISSIS) aveva interloquito veniva identificato in (OMISSIS), nato nell'(OMISSIS) e residente in provincia di Pistoia. Il 14 dicembre 2018 veniva eseguita una perquisizione presso l'abitazione e il luogo di lavoro dell'imputato e, pur risultando cancellate dall'interessato le chat delle sue applicazioni whatsapp e telegram, venivano rinvenuti nei suoi dispositivi elettronici elementi di interesse investigativo, ovvero la presenza di modulistica del liceo classico di Como frequentato dalla persona offesa, e la registrazione dell'imputato in siti di incontri con due account che rimandavano al nome di (OMISSIS) indicato da (OMISSIS), ovvero "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)". Il contenuto degli scambi avvenuti quotidianamente tra l'imputato e la persona offesa veniva invece reso noto dall'analisi forense del cellulare in uso alla minore. In particolare, nel periodo compreso tra il 7 luglio e il 24 ottobre 2018, venivano registrati contatti quasi giornalieri tra i due, contraddistinti da conversazioni sia brevi che lunghe e dallo scambio di 132 files multimediali, tra i quali anche foto e video che ritraggono (OMISSIS) in atteggiamenti erotici, sia nuda che intenta nel compimento di atti di autoerotismo, emergendo dalla lettura delle chat che (OMISSIS), ovvero (OMISSIS) (l'identificazione dell'imputato e' pacifica), ben conosceva la minore eta' della sua interlocutrice, che le aveva detto di avere 15 anni. Nelle conversazioni, il ricorrente manifestava piu' volte l'intenzione di recarsi a Como per incontrare (OMISSIS), al fine di consumare un rapporto sessuale, ma la ragazzina esprimeva preoccupazione per il fatto di essere alla sua prima esperienza, manifestando inoltre la minore segni di paura per la conservazione del materiale pornografico che si scambiava con il suo interlocutore, temendo che qualche familiare potesse scoprire tale circostanza, emergendo altresi' una certa insofferenza di (OMISSIS) di fronte della frequenti richieste di (OMISSIS) di inviare immagini pornografiche, anche se ella poi cedeva dopo le insistenze di lui. Peraltro, dall'analisi tecnica compiuta dal consulente del P.M. e' emersa una significativa differenza numerica tra i contenuti sessuali che i due interlocutori si scambiavano, nel senso che le immagini erotiche prodotte e inviate dalla minore erano una cinquantina, mentre quelle inviate dall'imputato erano una decina. Nel prosieguo delle indagini, il 7 marzo 2019, veniva sentita (OMISSIS), la quale, nell'ambito di un'audizione spesso interrotta dal pianto, confermava le circostanze gia' riferite alla madre, precisando di essersi sentita gratificata dai complimenti e dalle attenzioni dell'imputato, il quale le aveva detto di avere 27 anni e di chiamarsi " (OMISSIS)" ed era diventato una presenza costante della sua vita quotidiana, anche quando egli aveva cominciato a chiederle con insistenza di inviargli foto intime, richiesta che ella assecondava, avendo paura che l'uomo si allontanasse definitivamente, come aveva minacciato piu' volte di fare. Dal canto suo, (OMISSIS), sentito il 6 marzo 2020 in sede di interrogatorio richiesto dopo la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, riferiva di non aver mai costretto o istigato la minore a fare qualcosa, ma l'aveva solo assecondata, posto che ella amava masturbarsi e spesso gli aveva chiesto di inventare situazioni erotiche, anche utilizzando un linguaggio volgare. Aggiungeva di non aver mai incontrato la ragazzina e di avere, dopo la telefonata della madre, formattato tutti i suoi dispositivi non per cancellare prove, ma per evitare di cadere nella tentazione di ricontattare (OMISSIS). Infine, in sede di dichiarazioni spontanee rese in sede di rito abbreviato, (OMISSIS) ha ribadito che con la minore si era creata una "forte amicizia" che l'aveva obbligato a starle vicino e ad assecondare le sue richieste, senza mai forzarla. 2.1. Orbene, cosi' ricostruiti i fatti di causa, all'esito di una disamina del materiale probatorio esauriente e priva di vizi di travisamento, i giudici di merito sono pervenuti alla coerente conclusione circa l'ascrivibilita' all'imputato della fattispecie di cui all'articolo 600 ter c.p., essendo stato richiamato a tal fine, in modo pertinente, il principio elaborato dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Sez. Un., n. 51815 del 31/05/2018, Rv. 274087), secondo cui, ai fini dell'integrazione del reato di produzione di materiale pedopornografico di cui all'articolo 600 ter c.p., comma 1, non e' richiesto l'accertamento del concreto pericolo di diffusione di detto materiale, essendo stato cosi' superato il precedente indirizzo ermeneutico (Sez. Un. 13 del 31/05/2000, Rv. 216337), con cui la rilevanza penale della condotta era stata invece ancorata alla verifica della sussistenza di un concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto. L'impostazione delle Sezioni Unite del 2018 e' stata peraltro condivisa e ulteriormente sviluppata nel 2021 con la sentenza n. 4616 del 28/10/2021, dep. 2022, Rv. 282718, con cui le Sezioni Unite hanno ribadito che, ai fini della configurabilita' del reato di cui all'articolo 600 ter c.p., comma 1, si ha "utilizzazione" del minore allorquando, all'esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell'eta', maturita', esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volonta' del minore stesso, restando invece escluse dalla rilevanza penale del fatto solo le condotte realmente prive di offensivita' rispetto all'integrita' psico-fisica dello stesso, come ad esempio avviene quando la produzione del materiale pornografico, con il consenso del minore ritratto, si realizza nell'ambito di una relazione paritaria tra minorenni ultraquattordicenni, unicamente a uso privato delle persone coinvolte (cd. "pornografia domestica"). Nel caso di specie, e' stata esclusa sia l'irrilevanza penale del fatto, sia la possibile derubricazione del fatto nella meno grave ipotesi di cui all'articolo 600 quater c.p., essendosi osservato (pag. 8 ss. della sentenza di primo grado e pag. 7 ss. della pronuncia di appello), in maniera tutt'altro che illogica, come nel caso di specie doveva escludersi l'esistenza di una semplice relazione affettiva tra imputato e persona offesa, avendo il primo 43 anni e la seconda 1314 all'epoca dei fatti ed essendo il rapporto contraddistinto non da condizioni paritarie, ma da un'evidente posizione di supremazia del ricorrente, il quale, nel relazionarsi con (OMISSIS), di quasi 30 anni piu' giovane di lui e in palesi condizioni di fragilita' psicologica, non mancava di screditare l'operato della psicoterapeuta che aveva in cura la minore, tentando di indirizzare sempre di piu' costei a lui, e cio' anche approfittando del fatto che la ragazzina, sentendosi lusingata dai suoi apprezzamenti, si e' sentita sempre piu' coinvolta in questo legame, finendo per assecondare le richieste del ricorrente per evitare di perdere il rapporto con lui. In tal senso, l'alternanza tra conversazioni normali e scambi di materiale pornografico e' stata ragionevolmente intesa dai giudici di merito come indizio non della spontaneita' della relazione, ma al contrario del proposito dell'imputato di condizionare psicologicamente la giovanissima (OMISSIS), al fine di spingerla ad assecondare le sue insistite richieste di inviargli materiale pornografico, richieste accompagnate peraltro da precise direttive su cosa dire e cosa fare. In definitiva, in quanto ancorata a considerazioni non irrazionali e anzi coerenti con gli indirizzi ermeneutici elaborati da questa Corte, l'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato non presta il fianco alle censure difensive, che, nella ricostruzione dei fatti di causa, soprattutto rispetto alla dinamica del rapporto intercorso tra (OMISSIS) e la persona offesa, si articolano nella sostanziale proposta di una lettura alternativa del materiale istruttorio, operazione non consentita in questa sede, dovendosi ribadire (cfr. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482 e Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601) che, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalita', sono precluse al giudice di legittimita' la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. 2.2. Ne' infine appare invocabile nel caso di specie l'asserita violazione dei principi convenzionali in ragione dell'overruling in tema di pornografia minorile, avendo questa Corte chiarito (cfr. Sez. 3, n. 46184 del 23/11/2021, Rv. 282238), peraltro proprio rispetto all'applicazione dei principi elaborati dalle Sezioni Unite con la richiamata sentenza n. 51815 del 2018, che, in tema di successione di leggi penali nel tempo, l'articolo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, non consente l'applicazione retroattiva dell'interpretazione giurisprudenziale piu' sfavorevole di una norma penale, solo quando il risultato interpretativo non fosse ragionevolmente prevedibile al momento della commissione del fatto, atteso che l'irretroattivita' del mutamento giurisprudenziale sfavorevole presuppone il ribaltamento imprevedibile di un quadro interpretativo consolidato, mentre, nel caso di specie, l'intervento nomofilattico del 2018 non poteva ritenersi affatto sorprendente, avuto riguardo all'evoluzione del quadro normativo, mutato con la L. n. 38 del 2006, con il Decreto Legge n. 11 del 2009, convertito dalla L. n. 38 del 2009, con la L. n. 172 del 2012 e da ultimo con il Decreto Legge n. 93 del 2013 convertito dalla L. n. 119 del 2013, avendo tali modifiche normative anticipato la soglia di punibilita' del reato, rendendo non imprevedibile, anche alla luce del grado di sviluppo tecnologico maturato rispetto al contesto storico in cui e' stato elaborato il differente approdo interpretativo, l'affermazione secondo cui, ai fini della configurabilita' del reato de quo, non e' piu' richiesto l'accertamento del pericolo concreto di diffusione del materiale pornografico. Di qui l'infondatezza delle censure in tema di responsabilita' penale. 3. Residuano le doglianze in materia di trattamento sanzionatorio. Anche sul punto, tuttavia, non si ravvisa nelle sentenze di merito alcuna criticita'. Occorre premettere al riguardo che il primo giudice ha irrogato all'imputato la pena finale di anni 3, mesi 4 di reclusione ed Euro 14.000 di multa, cosi' determinata: pena base, anni 6, mesi 9 di reclusione ed Euro 27.000 di multa, ridotta per l'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6 (riconosciuta in ragione dell'avvenuto risarcimento del danno alla persona offesa) ad anni 4, mesi 6 ed Euro 18.000 di multa, aumentata per la continuazione interna ad anni 5 di reclusione ed Euro 21.000 di multa, ridotta di un terzo per la scelta del rito. La Corte di appello ha ritenuto congrua la pena irrogata dal G.U.P., osservando che la pena base si discosta in misura contenuta dal minimo edittale di anni 6 di reclusione ed Euro 24.000 di multa, nonostante l'eta' nettamente inferiore a 18 anni della persona offesa, risultando non eccessivo anche l'aumento per la continuazione interna, stante la reiterazione nel tempo delle condotte illecite. Quanto al diniego delle attenuanti generiche, i giudici di secondo grado hanno condiviso il rilievo del primo giudice circa l'assenza di profili meritevoli di positiva considerazione, a parte il risarcimento del danno, che e' stato comunque adeguatamente valorizzato con il riconoscimento dell'attenuante ex articolo 62 c.p., n. 6, applicata peraltro nella sua estensione massima di un terzo. Non sono state ritenute invece dirimenti la collaborazione e la confessione invocate dalla difesa, dovendo le stesse essere valutate alla luce delle prove granitiche a carico dell'imputato, acquisite peraltro non attraverso il materiale da lui fornito, ma solo tramite l'esame del cellulare della persona offesa, tanto e' vero che (OMISSIS), avvisato dalla madre della persona offesa della sua intenzione di denunciarlo, aveva provveduto a cancellare i dati presenti sui propri dispositivi informatici, aspetto questo che, come osservato dal G.U.P. (pag. 11 della sentenza di primo grado), "colora di particolare intensita' anche il dolo del reato". Orbene, a fronte di considerazioni non manifestamente illogiche, non vi e' spazio per l'accoglimento delle censure difensive, che anche in tal caso sollecitano differenti valutazioni di merito non consentite in sede di legittimita', dovendosi richiamare la consolidata affermazione di questa Corte (cfr. ex multis Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269 e Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899) secondo cui, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non e' necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione. 4. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) deve essere rigettato, con onere per il ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4449 del 2022, proposto da Nt. Da. It. S.p.A. ed altri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Bo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Consip Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti De. Ri. Ad. S.r.l. Società Be., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Pa. Be., Pi. Ot., Jo. Br., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ey Ad. S.p.A. ed altri, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 04840/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Consip Spa e di De. Ri. Ad. S.r.l. Società Be.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2022 il Cons. Massimo Santini e uditi per le parti gli avvocati Bo. e Be.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Si controverte su un appalto quadro indetto da CONSIP per i servizi di sicurezza informatica (in particolare: sicurezza da remoto, compliance e controllo) delle pubbliche amministrazioni. Obiettivo: proteggere le stesse pubbliche amministrazioni da "attacchi informatici di particolare gravità " (cfr. pag. 10 capitolato generale di appalto). Il lotto 2 (attività di compliance (ossia "conformità alle procedure") e controllo) era da aggiudicare a due operatori: oltre 70 milioni di contratti esecutivi al primo classificato; oltre 46 milioni di contratti esecutivi al secondo classificato. 2. La terza classificata NTT contestava dinanzi al TAR Lazio il primo posto di De. (la quale era stata anche previamente sottoposta a giudizio di congruità dell'offerta) a causa del cospicuo numero di lavoratori autonomi che quest'ultima avrebbe impiegato nella commessa (44% della complessiva forza lavoro). Cospicuo numero che peraltro, nella prospettiva della stessa NTT, non avrebbe consentito a De. un sufficiente margine di utile. Il TAR Lazio rigettava tuttavia il ricorso affermando che: a) Il disciplinare di gara non era stato concepito in modo di ammettere soltanto lavoratori subordinati in seno alle società appaltatrici. Le formule adesso previste dal diritto del lavoro nonché il tipo di mansioni e di organizzazione aziendale richiesti dalla legge di gara ("lavoro in team") consentono di dare ingresso anche a tipologie contrattuali diverse rispetto a quella del lavoro subordinato in senso stretto (es. co.co.co, lavoro etero direzionato, etc.). Il tutto non senza trascurare la libertà imprenditoriale e la discrezionalità organizzativa di cui godono i soggetti appaltatori nella scelta del proprio "modello di organizzazione del lavoro"; b) La società ricorrente ha inoltre fornito una propria personale ricostruzione dei costi del lavoro senza tenere conto delle peculiari differenze (es. regime contributivo) tra il regime di lavoro autonomo e quello di tipo subordinato; c) Altre voci di costo sono state infine correttamente computate, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente NTT, e tra queste anche quelle legate alle "trasferte" del personale. 3. La sentenza di primo grado formava oggetto di appello per error in iudicando nella parte in cui non sarebbe stato considerato che: 3.1. Le regole di gara presupporrebbero (unicamente) la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra l'appaltatore e le risorse impiegate nella commessa; 3.2. A ben vedere, le medesime risorse impiegate nella commessa da parte di De. - o per lo meno quel 44% di cui si controverte in questa sede - sarebbero solo formalmente lavoratori autonomi ma, nella sostanza, lavoratori subordinati a tutti gli effetti; 3.3. L'offerta economica sarebbe inconsistente con particolare riguardo al costo medio giornaliero; 3.4. La stazione appaltante non avrebbe compiuto alcuna istruttoria né avrebbe espresso una articolata motivazione con riferimento ai giustificativi presentati da De. in merito alla sostenibilità dei costi del lavoro; 3.5. Non si sarebbe tenuto conto della insostenibilità dell'offerta economica, sempre sul piano del costo del lavoro, sulla base delle stime elaborate dalla stessa NTT (odierna appellante); 3.6. Vi sarebbe stato un certo scostamento dalle tabelle ministeriali con particolare riguardo al TFR; 3.7. I costi di trasferta stimati da De. non avrebbero tenuto conto del fatto che le prestazioni del fornitore dovrebbero svolgersi primariamente in situ, ossia "in presenza" presso le singole amministrazioni; 3.8. Gli stessi costi di trasferta sarebbero in ogni caso fortemente inattendibili; 3.9. Non si sarebbe tenuto conto dei "buoni pasto" da corrispondere ai lavoratori autonomi; 3.10. La stazione appaltante non avrebbe compiuto una esauriente istruttoria, né avrebbe formulato una adeguata motivazione in merito alla durata dei contratti esecutivi ipotizzata da De.. 4. Si costituivano in giudizio CONSIP e De. per chiedere il rigetto del gravame mediante articolate controdeduzioni che, più avanti, formeranno oggetto di specifica trattazione. 5. Alla pubblica udienza del 1° dicembre 2022 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso veniva infine trattenuto in decisione. 06. Tutto ciò premesso l'appello è infondato per le ragioni di seguito indicate. 6. Quanto al primo motivo di appello, si ripropongono nella sostanza le stesse argomentazioni del ricorso di primo grado senza tuttavia dimostrare che la legge di gara imponeva l'uso esclusivo di personale con rapporto di lavoro subordinato. Allo stesso modo non si dimostra in che modo una simile formula organizzativa non consentirebbe il raggiungimento degli obiettivi di commessa. Più in particolare: 6.1. Qui di seguito le principali disposizioni di gara che riguardano le modalità di lavoro del fornitore: - Articolo 7.1.2 del Capitolato Tecnico Generale ("Risorse impiegate"): "Il Fornitore dovrà garantire un elevato grado di flessibilità nel rendere disponibili le risorse, nonché nel garantire l'aggiornamento tecnico delle necessarie competenze"; - Articolo 7.2.1 del Capitolato Tecnico Generale ("Responsabile Unico delle Attività Contrattuali" RUAC): "Il RUAC dovrà riferire... su tutte le tematiche contrattuali, quali ad esempio:... -coordinamento fra i gruppi ed i referenti tecnici per garantirne il massimo grado di sinergia e omogeneità d'azione"; - Articolo 7.2.2 del Capitolato Tecnico Generale ("Referenti tecnici per l'erogazione dei servizi"): "I Referenti tecnici... dovranno: - svolgere il coordinamento delle attività e delle risorse impiegate negli specifici servizi"; - Articolo 3 del Capitolato Tecnico Speciale ("Descrizione dei servizi"): "il Fornitore dovrà garantire la totale copertura dei fabbisogni dell'Amministrazione, anche in situazioni di particolare urgenza o complessità, prevedendo la totale flessibilità e puntualità nell'impiego delle risorse professionali per l'esecuzione dei servizi"; - Articolo 4.3 del Capitolato Tecnico Speciale ("Trasferimento know how"): "Il Fornitore dovrà mettere a disposizione un apposito gruppo di lavoro dedicato, con un numero adeguato di risorse professionali, strumenti organizzativi e tecnologici"; - Articolo 5.6 del Capitolato Tecnico Speciale ("Team di Lavoro"): "Il Fornitore per erogare i servizi contrattuali dovrà disporre delle competenze, esperienze e capacità richieste ai profili professionali indicati di seguito, che devono tutte obbligatoriamente fare parte dei Team di Lavoro (o Team Ottimale) di ciascun servizio. I Team di Lavoro sono sotto la responsabilità e l'organizzazione del Fornitore che ha la responsabilità di strutturare i migliori gruppo di lavoro in funzione dell'operatività e dei deliverable richiesti, garantendo la disponibilità dei profili professionali e delle competenze previste". "Il Fornitore sarà libero di organizzare le suddette figure nell'ambito del proprio Team Ottimale in autonomia per soddisfare le richieste progettuali dell'Amministrazione... il Fornitore sarà libero di organizzare le suddette figure nell'ambito del proprio "team ottimale" per singolo servizio"; 6.2. Emerge, dalle disposizioni appena descritte, come il capitolato tecnico operi costante riferimento a "responsabilità " (di risultati e non di mezzi) e "organizzazione" del team di lavoro, attribuendo per tale via ampio risalto al "lavoro di gruppo" che dal canto suo implica, giocoforza, coordinamento e flessibilità (modello organizzativo, questo, compatibile anche con collaboratori esterni e dunque autonomi, come si avrà modo di osservare) e non piuttosto direzione strettamente gerarchica (propria dei soli lavoratori subordinati). In estrema sintesi, gli elementi principali del modello organizzativo descritto dalla legge di gara si basa su alcuni capisaldi tra cui: a) modalità di lavoro basate su team e dunque "gruppi di lavoro"; b) stile direzionale improntato di conseguenza sul coordinamento, piuttosto che sulla direzione verticistica in senso stretto; c) ampia flessibilità se non proprio libertà di organizzazione, da parte del fornitore, nel costruire i suddetti gruppi di lavoro; d) inserimento di lavoratori ad elevata qualificazione professionale (caratteristica questa propria dei lavoratori autonomi); e) libertà più in generale del fornitore, infine, nella scelta del modello organizzativo più efficace per il raggiungimento degli obiettivi che la legge di gara gli impone di realizzare. Il modello proposto dalla SA, in altre parole, non ponendo in essere alcun vincolo organizzativo nell'impiego delle risorse (le disposizioni di capitolato operano espresso riferimento a concetti come libertà di organizzazione e flessibilità nell'impiego delle risorse) non è allora necessariamente di tipo "divisionale" (il quale tollera solo lavoratori subordinati in quanto fortemente direzionale e gerarchico) ma ben può rivelarsi altresì "a matrice" in quanto basato non solo su funzioni ma anche su progetti. Tale modello implica in particolare ampia flessibilità di intervento, decisioni collegiali e dunque risulta compatibile con la presenza di lavoratori sia subordinati, sia autonomi/consulenti. Ciò anche in linea con la libertà di organizzazione imprenditoriale che la legge di gara stessa garantisce al fornitore (cfr. art. 5.6. del CTS cit.) e che trova peraltro un certo riconoscimento nella giurisprudenza di questa stessa sezione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 31 maggio 2021, n. 4150) laddove si afferma che vige in materia il "principio di autonomia dell'imprenditore (che discende dal principio costituzionale della libera iniziativa privata di cui all'art. 41 Cost.), il quale organizza e predispone autonomamente le risorse e i mezzi idonei e necessari ad adempiere alle obbligazioni contrattuali oggetto dell'appalto"); 6.3. Si veda altresì, sul tema specifico, la giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui: "in tema di distinzione tra rapporto di lavoro subordinato ed autonomo, l'organizzazione del lavoro attraverso disposizioni o direttive - ove le stesse non siano assolutamente pregnanti ed assidue, traducendosi in un'attività di direzione costante e cogente atta a privare il lavoratore di qualsiasi autonomia - costituisce una modalità di coordinamento e di eterodirezione propria di qualsiasi organizzazione aziendale e si configura quale semplice potere di sovraordinazione e di coordinamento, di per sè compatibile con altri tipi di rapporto, e non già quale potere direttivo e disciplinare, dovendosi ritenere che quest'ultimo debba manifestarsi con ordini specifici, reiterati ed intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa e non in mere direttive di carattere generale, mentre, a sua volta, la potestà organizzativa deve concretizzarsi in un effettivo inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale e non in un mero coordinamento della sua attività . Cass. lav. n. 1717 del 23/01/2009" (così : Cass. Civile, sez. lav., 24 luglio 2020, n. 15922). Ed ancora: "quanto allo schema normativo di cui all'art. 2094 c.c., si è precisato che costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato (v. Cass., 27.2.2007 n. 4500)" (Cass. Civile, sez. VI, 26 maggio 2021, n. 14530). Infine: "l'elemento essenziale di differenziazione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato consiste nel vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, da ricercare in base ad un accertamento esclusivamente compiuto sulle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. In particolare, mentre la subordinazione implica l'inserimento del lavoratore nella organizzazione imprenditoriale del datore di lavoro mediante la messa a disposizione, in suo favore, delle proprie energie lavorative (operae) ed il contestuale assoggettamento al potere direttivo di costui, nel lavoro autonomo l'oggetto della prestazione è costituito dal risultato dell'attività (opus)" (Cass. Civile, sez. lav., 26 giugno 2020, n. 12871); 6.4. Sintetizzando il punto che precede: mentre il lavoro subordinato si caratterizza per la soggezione del dipendente alla "direzione costante e cogente" del datore di lavoro, il quale si esprime a sua volta attraverso "ordini" (oggetto della prestazione sono dunque le "energie lavorative" del dipendente), nel lavoro autonomo lo stile direzionale è quello più flessibile del "coordinamento" che si esprime attraverso "direttive" di carattere generale (in siffatto contesto, oggetto della prestazione è dato più propriamente dal "risultato" che scaturisce dalla prestazione lavorativa stessa). 6.5. Trasponendo tali coordinate al modello organizzativo descritto nella legge di gara di cui in questa sede si controverte (si vedano le considerazioni di cui al punto 6.2.), deve allora concludersi che è agevole assistere, nel caso di specie, ad un modello organizzativo per lo più basato su coordinamento e dunque su "direttive" impartite ai propri collaboratori (che dunque possono essere sia dipendenti, sia lavoratori autonomi) e non soltanto su direzione costante e cogente espressa mediante "ordini" (non traspare giammai, in altre parole, quel "vincolo di soggezione" che è tipico del lavoro subordinato). Il modello delineato dalla legge di gara, in altri termini, è compatibile con la assegnazione di specifici obiettivi - piuttosto che rigide mansioni - ai singoli componenti del gruppo di lavoro. Obiettivi che i medesimi potranno raggiungere con un certo grado di autonomia funzionale data anche l'elevata qualificazione professionale da loro posseduta. Di qui la compatibilità, altresì, con la figura di lavoratori non solo subordinati ma anche autonomi. 6.6. Unico passaggio della legge di gara evidenziato dalla difesa di parte appellante - e in base al quale vi sarebbe una certa indicazione di impiegare soltanto lavoratori subordinati - sarebbe quello in cui si afferma che: "Il Team di Lavoro è sotto la responsabilità e l'organizzazione del fornitore" (cfr. punto 3.2.2. del Capitolato tecnico speciale). Trattasi tuttavia, ad avviso del collegio, di affermazione inidonea a suffragare una simile restrittiva lettura (solo lavoratori subordinati e non anche autonomi), e tanto sulla base della già accennata considerazione secondo cui: allorché si parli di "responsabilità " ci si deve riferire non tanto ad una responsabilità "di mezzi" quanto, piuttosto, "di risultato" (dunque occorre avere presenti gli "esiti concreti" dell'attività svolta e non le singole "energie lavorative" per conseguirli); allorché si tratti di "organizzazione" il riferimento può essere a diverse opzioni che, secondo la scienza aziendalistica, possono variare come visto da modelli "funzionali" e "divisionali" (i quali presuppongono stili direzionali di natura gerarchica e verticistica) a modelli "a matrice" oppure "a rete" che privilegiano stili direzionali e decisionali più collegiali e dunque di natura orizzontale. Modelli questi ultimi improntati sulla tecnica direzionale del (più flessibile) coordinamento organizzativo che, per le ragioni sopra esposte al punto 6.2., risulta senz'altro più aderente alle condizioni ed alle modalità lavorative impresse dalla legge di gara. In altre termini: "responsabilità " e "organizzazione" richiesti per la conduzione del gruppo di lavoro non implicano necessariamente "direzione costante e cogente" ma, piuttosto, un più flessibile ed ampio potere di "coordinamento" (seguendo la ridetta impostazione della Corte di cassazione) che pertanto ben può esprimersi attraverso "direttive" e non necessariamente mediante "ordini" (che implicano vincoli di soggezione e dunque solo lavoro subordinato). Del resto, la stessa invocata disposizione del capitolato (art. 5.6.) prevede altresì che da responsabilità e organizzazione del fornitore discenda altresì la piena facoltà, in capo a quest'ultimo, di scegliere "i migliori gruppi di lavoro in funzione dell'operatività e dei deliverable (risultati) richiesti"; 6.7. Da quanto sinora detto consegue la piena possibilità, da parte delle imprese concorrenti, di prevedere nei propri asset organizzativi sia lavoratori subordinati, sia lavoratori autonomi entro certi limiti qui comunque osservati, dal momento che queste ultime figure corrispondono a meno della metà della forza lavoro complessivamente impiegata; 6.8. Alla luce delle considerazioni appena esposte, il primo motivo di appello deve dunque essere rigettato con conseguente conferma, sul punto, delle condivisibili statuizioni del giudice di primo grado. 7. Con il motivo sub 3.2. si lamenta che, a ben vedere, le risorse impiegate nella commessa da parte di De. - o per lo meno quel 44% di cui si controverte in questa sede - sarebbero solo formalmente lavoratori autonomi ma, nella sostanza, lavoratori subordinati a tutti gli effetti. Viene dedotta al riguardo la presenza di alcuni indici sintomatici tra cui orario di lavoro predeterminato, continuità del servizio e luogo di esecuzione. Osserva al riguardo il collegio che: 7.1. Trattasi di valutazioni che attengono alla fase esecutiva della commessa e che dunque possono essere operate soltanto ex post (tra l'altro ad opera di altro plesso giurisdizionale (AGO)) ossia sulla base delle concrete modalità e condizioni di lavoro e non ex ante sulla sola base di presunzioni astrattamente ricavabili da documenti di gara concernenti il mero assetto organizzativo dell'impresa concorrente. In questa sede ci si può occupare, in altri termini, soltanto dell'an ossia sul "se" tali lavoratori autonomi possano astrattamente essere utilizzabili nella commessa in questione e non anche del quomodo ossia se gli stessi soggetti siano anche concretamente utilizzati come tali. Una simile prognosi, in tale fase, non è in altri termini effettuabile; 7.2. Ad ogni modo, pur volendo ammettere simili presunzioni trattasi pur sempre di indici non dirimenti né decisivi, onde poter configurare la presenza di un effettivo rapporto di subordinazione, e ciò sulla base di un certo orientamento giurisprudenziale secondo cui: "caratteri dell'attività lavorativa... come la continuità, la rispondenza dei suoi contenuti ai fini propri dell'impresa e le modalità di erogazione della retribuzione non assumono rilievo determinante, essendo compatibili sia con il rapporto di lavoro subordinato, sia con quelli di lavoro autonomo parasubordinato. Conforme, tra l'altro, Cass. n. 224 del 2001" (così Cass. Civile, sez. lav., 24 luglio 2020, n. 15922, cit.). 7.3. Alla luce delle suddette considerazioni, anche tale motivo deve pertanto essere rigettato. 8. Con il motivo sub 3.3. si deduce che l'offerta economica di De. sarebbe inconsistente con particolare riguardo al costo medio giornaliero (130 euro per professionista 1 e 150 euro per professionista 2). La censura si rivela tuttavia generica e dunque inammissibile in quanto un simile importo non ha formato oggetto di più specifica contestazione (piuttosto, come si avrà modo più avanti di osservare al punto 10, la stessa voce di costo è stata poi del tutto ricalibrata dalla difesa di parte appellante sulla base di proprie soggettive valutazioni). La stessa difesa di parte appellante si è infatti limitata ad affermare che: "La quantificazione di tali costi... risulta del tutto generica". Di qui il suo integrale rigetto. 9. Con il motivo sub 3.4. si lamenta che la stazione appaltante non avrebbe compiuto alcuna istruttoria né avrebbe espresso una articolata motivazione con riferimento ai giustificativi presentati da De. in merito alla sostenibilità dei costi del lavoro. Osserva al riguardo il collegio che, per giurisprudenza costante: "nelle gare pubbliche, ove l'Amministrazione consideri congrua l'offerta sulla base delle spiegazioni fornite dal concorrente in sede di verifica dell'anomalia, la sua valutazione deve ritenersi sufficientemente motivata con richiamo "per relationem" ai chiarimenti ricevuti, tanto più che la verifica delle offerte anomale non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, mirando invece ad accertare se l'offerta nel suo complesso sia attendibile e, dunque, se dia o non serio affidamento circa la corretta esecuzione" (così, testualmente, Cons. St., V, n. 4450/11 cit.). "Il giudizio di anomalia dell'offerta richiede una motivazione rigorosa ed analitica solo ove si concluda in senso negativo mentre, in caso positivo, non occorre che la relativa determinazione sia fondata su un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute attendibili, essendo sufficiente anche una motivazione espressa "per relationem" alle giustificazioni rese dall'impresa vincitrice, sempre che queste, a loro volta, siano state congrue ed adeguate" (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 2014, n. 6154). Dalle suddette considerazioni discende il rigetto altresì della specifica censura. 10. Con il motivo sub 3.5. si deduce che non si sarebbe tenuto conto della insostenibilità dell'offerta economica, sempre sul piano del costo del lavoro, sulla base delle stime elaborate dalla stessa NTT (odierna appellante). Rammenta al riguardo il Collegio che sul giudizio di anomalia la giurisprudenza consolidata, per quanto di interesse in questa sede, ha in particolare affermato che nelle gare pubbliche un simile giudizio circa l'incongruità dell'offerta costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile dal giudice amministrativo solo in caso di macroscopica illogicità o di palese erroneità (ex multis, Cons. Stato, III, 6 febbraio 2017, n. 514; Cons. Stato, V, 17 novembre 2016, n. 4755): di qui l'impossibilità di censurare la mera non condivisibilità del giudizio, dovendosi piuttosto dimostrare la sua palese inattendibilità nonché l'evidente insostenibilità dell'offerta e delle relative giustificazioni. Con la conseguenza che, ove non emergano evidenti travisamenti o irrazionalità ma solo margini di fisiologica opinabilità della valutazione tecnico-discrezionale operata dalla Pubblica amministrazione, il giudice amministrativo non potrebbe in alcun caso sovrapporre la propria valutazione a quella del competente organo della stazione appaltante, né potrebbe parimenti procedere ad una autonoma verifica di congruità dell'offerta medesima e delle sue singole voci (cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 novembre 2018, n. 6689). Tanto doverosamente premesso, le stime di costo ricalibrate dalla società appellante si riducono ad una mera sovrapposizione di calcoli già effettuati e valutati come congrui in sede di gara. Dunque nessuna dimostrazione di manifesta inattendibilità delle stime effettuate, si ravvisa, ma soltanto mera opinabilità delle valutazioni già effettuate dalla stazione appaltante. Valutazioni queste che, come già anticipato, sono rimesse in discussione dalla difesa di parte appellante (cfr. modelli e tabelle alle pagg. 33-37 atto di appello) attraverso una propria operazione di riparametrazione e rielaborazione dei costi (dunque sovrapposta a quella stimata come congrua dalla SA) che, ove accettata da questo giudice di appello, determinerebbe conseguentemente una inammissibile sostituzione nei confronti dell'amministrazione stessa. Il tutto riproponendo sic et simpliciter, tra l'altro, il modello dei lavoratori subordinati e dunque senza depurare - come correttamente posto in evidenza dal giudice di primo grado - alcuni importanti costi che non sarebbero altrimenti sopportati attraverso l'impiego di lavoratori autonomi (contributi INPS, TFR, indennità di contingenza). In ultimo si osserva che, se è ben vero che questo giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. III, 25 marzo 2019, n. 1979) ha ritenuto legittimo, in caso di valutazione di congruità delle prestazioni professionali di lavoratori autonomi, il ricorso ai parametri retributivi (comunque non vincolanti) dei lavoratori subordinati che svolgono analoghe mansioni, è anche vero che tale decisione si riferiva al diverso caso in cui l'appellante contestava (e non pretendeva, come nel caso di specie) l'utilizzo di tale metodo da parte della stazione appaltante (la quale, giova rammentare, esercita al riguardo un potere tecnico-discrezionale, laddove il ricorrente non potrebbe giammai far valere tale identico metodo onde riparametrare certi costi in via del tutto alternativa e sostitutiva rispetto alle valutazioni al riguardo già svolte dalla stessa SA). Nei termini suddetti anche tale censura deve dunque essere rigettata 11. Con la censura sub 3.6. si lamenta che vi sarebbe stato un certo scostamento dalle tabelle ministeriali con particolare riguardo al TFR. Rammenta al riguardo il collegio che, per giurisprudenza costante, in sede di valutazione della non anomalia dell'offerta i valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali costituiscono un semplice parametro di valutazione della congruità dell'offerta: per tali ragioni, l'eventuale scostamento delle voci di costo da quelle riassunte nelle tabelle ministeriali non legittima un giudizio di anomalia o di incongruità in quanto occorre, affinché possa dubitarsi della congruità, che la discordanza sia considerevole e palesemente ingiustificata (cfr., ex multis: Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 2022, n. 10071; Cons. Stato, sez. V, 6 settembre 2022, n. 7762). Ebbene, alla luce di quanto appena rammentato la difesa di parte appellante non allega elementi tali da poter ipotizzare che la suddetta discordanza possa essere ritenuta considerevole o palesemente ingiustificata, e ciò dal momento che la stessa si limita in proposito a rilevare che: "il RTI... ha palesemente sottostimato tale voce di costo". Ed ancora che: "emergono delle differenze rispetto alle tabelle ministeriali di riferimento" (pag. 39 atto di appello). Inoltre che: "il valore della rivalutazione del TFR è stato calcolato con una percentuale ben inferiore al minimo di legge" (pag. 40 atto di appello), senza tuttavia quantificare l'entità di tale denunziato scostamento. Infine, anche in via pressoché meramente sostitutiva, che: "Dalle tabelle che precedono si evince che il RTI ha sottostimato, per ciascuna categoria di risorse professionali, di ciascuna delle aziende del raggruppamento coinvolte, i reali costi che dette aziende avrebbero dovuto sostenere" (pag. 42 atto di appello). Dalle suddette considerazioni emerge dunque che anche tale motivo deve giocoforza essere rigettato. 12. Con il motivo sub 3.7. si deduce che i costi di trasferta stimati da De. non avrebbero tenuto conto del fatto che le prestazioni del fornitore dovrebbero svolgersi primariamente in situ, ossia "in presenza" presso le singole amministrazioni. Osserva al riguardo il collegio che: 12.1. Ai sensi del punto 3 del Capitolato tecnico generale: "le prestazioni contrattuali dovranno essere svolte come di seguito indicato: - per i servizi erogati da remoto: presso i Centri Servizi del Fornitore; - per i servizi on-site: presso le sedi dell'Amministrazione ove specificato dall'Amministrazione stessa; in alternativa presso la Sede del Fornitore". Inoltre, ai sensi dell'art. 3 del Capitolato tecnico speciale si prevede che: "La modalità di esecuzione dei servizi di "Compliance e controllo" è di tipo "on-site": ovvero primariamente presso le sedi dall'Amministrazione, ove dalla stessa indicate; in alternativa presso la sede del Fornitore"; 12.2. Non vengono utilizzate, con riguardo al servizio prestato presso la sede del fornitore, espressioni come "in via secondaria" oppure "in via subordinata" ma la diversa formula "in alternativa" che, anche ai sensi dell'art. 1285 c.c., lascia presumere che ci si trovi dinanzi a modalità di adempimento dell'obbligazione per l'appunto "alternative" la cui scelta, di conseguenza, spetta a colui che deve effettuare la prestazione stessa (ossia l'appaltatore); 12.3. Nei sensi sopra indicati l'espressione "primariamente", quanto alle modalità di lavoro "in presenza", va allora letta come "preferibilmente" o comunque "in linea tendenziale", salvo una diversa scelta effettuata dall'appaltatore circa la possibilità di effettuare interventi "da remoto" e dunque direttamente dalla sede del fornitore stesso; 12.4. Del resto, una simile opzione interpretativa risulta pienamente ed anche evolutivamente coerente con esigenze non solo di emergenza sanitaria (limitazione al minimo dei contatti personali per via del COVID) ma anche di carattere ambientale (limitazione degli spostamenti per ragioni di inquinamento atmosferico) ed economico (legate al costo dei carburanti e dei mezzi di trasporto): insomma tutte necessità che inducono a promuovere in ogni contesto, ivi ricompreso il settore delle pubbliche commesse, lo strumento del "lavoro da remoto"; 12.5. Per tutte le ragioni sopra evidenziate, anche tale motivo deve pertanto essere rigettato. 13. Con il motivo indicato sub 3.8. si lamenta poi che gli stessi costi di trasferta sarebbero in ogni caso fortemente inattendibili (costo medio giornaliero pari ad euro 50,00). Osserva al riguardo il collegio che la difesa di De., sin dai giustificativi resi in sede di giudizio di congruità, aveva indicato una serie di fattori idonei a configurare economie di scala utili, in quanto tali, a contribuire ad un forte abbattimento di simili costi di trasferta. Tra queste voci: presenza di numerosi uffici locali, in capo al concorrente RTI, idonei a garantire adeguata copertura logistica su tutto il territorio nazionale (di qui il venir meno della necessità di ricorrere alla trasferta); utilizzo importante di "lavoro da remoto" (smart working, video conferenze, etc.); utilizzo di auto aziendali; convenzioni con strutture alberghiere; collaborazioni con professionisti ad elevata qualificazione (per l'appunto: lavoratori autonomi) dislocati nelle varie regioni italiane che sono così in grado di coprire l'intero territorio nazionale. Ebbene in merito a tali considerazioni (fatte proprie dalla stazione appaltante ma anche dal giudice di primo grado) la difesa di parte appellante non ha mosso specifiche contestazioni in termini di manifesta incongruità oppure di evidente erroneità in fatto. Ciò risulta piuttosto evidente nella parte in cui la stessa: a) si limita ad affermare genericamente che: "risulta evidente che i costi prospettati dal RTI per garantire la corretta esecuzione del servizio sono così bassi rispetto al loro reale ammontare da mettere in dubbio la serietà dell'offerta" (pag. 46 atto di appello); b) propone una propria stima alternativa di tali costi - in quanto tale inammissibile per le stesse ragioni evidenziate al punto 10 della presente decisione - laddove si afferma in via del tutto sovrapponibile rispetto alle valutazioni della SA che: "Calcolando il 30% del numero di giornate lavorative complessive stimate, risulta che i giorni di trasferta saranno pari ad almeno 115.075 che, moltiplicati per il costo giornaliero di trasferta stimato dal RTI in Euro 50,00, determina un aggravio di costi pari a Euro 5.527.271" (pag. 47 atto di appello). Da quanto sopra detto consegue l'infondatezza, altresì, della specifica censura ed il suo conseguente rigetto. 14. Con il motivo sub 3.9. viene dedotto che non si sarebbe tenuto conto dei "buoni pasto" da corrispondere ai lavoratori solo formalmente autonomi ma sostanzialmente subordinati. Osserva il collegio come la censura sia strettamente collegata a quella già affrontata al punto 7. Pertanto, poiché in quell'occasione si è negata la possibilità di riconoscere in questa sede la qualità effettiva di lavoratori subordinati in capo ai suddetti "collaboratori esterni" di De., va conseguentemente rigettata anche tale specifica censura. 15. Con ultima censura si lamenta che la stazione appaltante non avrebbe compiuto una esauriente istruttoria, né avrebbe formulato una adeguata motivazione in merito alla durata dei contratti esecutivi ipotizzata da De.. Osserva il collegio che, in sede di giustificativi, De. ha fornito ampie delucidazioni circa il fatto che, pur nell'arco complessivo del periodo di attivazione dell'accordo quadro (6 anni), la durata media dei singoli contratti esecutivi sarebbe pari a due anni. Ebbene tali precisazioni sono state evidentemente fatte proprie dalla stazione appaltante mediante motivazione per relationem, come tale non necessitante di più specifiche argomentazioni sulla base delle conclusioni di cui al punto 9 della presente decisione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 2014, n. 6154, cit.). A ciò si aggiunga che, pur a fronte di tali delucidazioni da parte di De., la difesa di parte appellante si è limitata ad affermare alquanto genericamente e dubitativamente che: "il RTI... non ha mai chiarito cosa debba intendersi per contratti di "grande" e "media" dimensione, che rimangono concetti astratti e privi di qualsivoglia significato. Allo stesso modo non è dato comprendere i criteri sottesi all'attribuzione dei relativi pesi specifici" (pag. 25 e 26 memoria NTT in data 15 novembre 2022). Anche tale motivo deve pertanto essere rigettato. 16. In conclusione l'appello è infondato e deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza di primo grado. Le spese di lite possono in ogni caso essere integralmente compensate tra tutte le parti costituite stante la peculiarità delle esaminate questioni. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Angela Rotondano - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Elena Quadri - Consigliere Massimo Santini - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6278 del 2022, proposto da In. s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. An., Ma. Or., An. Ru. e An. Fa., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia, con domicilio eletto presso lo studio AO. Avvocati in Roma, via (...); contro Am. Tr. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fr. Ca., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia, con domicilio eletto presso la segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza (...); nei confronti di Si. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvvocato Se. Ga., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sezione prima, n. 892 del 16 giugno 2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Am. Tr. s.p.a. e di Si. s.r.l.; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2022 il consigliere Claudio Tucciarelli, uditi per le parti gli avvocati Fr. Ca. e Fr. Br. su delega di Se. Ga. e vista l'istanza di passaggio in decisione depositata dagli avvocati An. An., An. Ru., An. Fa. e Ma. Or.. FATTO e DIRITTO 1. Con bando del 31 maggio 2021, Am. Tr. s.p.a. ha indetto una procedura di gara aperta telematica sul portale Em., avente ad oggetto l'affidamento della fornitura di un "Sistema informativo per la gestione del servizio di raccolta domiciliare dei rifiuti solidi urbani, gestito da AM. S.p.a., nella Città di (omissis)". Il valore complessivo della gara era pari a Euro 195.000, il criterio di aggiudicazione prescelto dalla stazione appaltante era quello dell'offerta più vantaggiosa, con l'attribuzione di 80 punti massimi all'offerta tecnica e 20 punti massimi all'offerta economica. In particolare, il disciplinare di gara ha previsto quali requisiti di capacità economica e finanziaria: a) un fatturato globale medio annuo riferito agli ultimi tre esercizi finanziari disponibili, non inferiore ad euro 200.000,00, Iva esclusa; b) un fatturato specifico medio annuo per forniture e servizi analoghi a quelli oggetto dell'appalto riferito agli ultimi tre esercizi finanziari disponibili, non inferiore alla metà dell'importo a base d'asta, Iva esclusa. Quali requisiti di capacità tecnica e professionale, il bando ha previsto: "aver realizzato e collaudato nell'ultimo triennio almeno una fornitura con attivazione di un sistema informativo (hardware + software) ana, utilizzato in un comune con popolazione non inferiore a 50.000 abitanti gestito con modalità di raccolta domiciliare porta a porta (in alternativa due forniture per comuni che complessivamente sommano almeno 50.000 abitanti)". Inoltre, il capitolato speciale d'appalto, all'art. 5 concernente "Caratteristiche minime previste", ha precisato che "il sistema deve garantire elevati standard tecnici in materia di protezione dei dati comprovati da idonee certificazioni quali, a mero titolo esemplificativo, ISO 15408 e ISO 27000 (il fornitore dovrà essere in possesso della certificazione o dovrà produrre la documentazione a garanzia di futura prossima certificazione)". Nel termine del 16 giugno 2021, hanno presentato la propria offerta la ricorrente In. - Consorzio per l'I. e la Te. s.r.l. e Si. s.r.l. Dopo l'ammissione alla gara in data 5 ottobre 2021, la Commissione, nominata nel frattempo, ha proceduto all'apertura delle Buste B e ha disposto per il prosieguo. Con specifico riferimento alla busta B presentata da Si. s.r.l., la Commissione ha rilevato che "contiene i documenti richiesti dall'art. 14 del disciplinare di gara, e cioè la "Relazione Tecnica dei servizi offerti costituita da 46 facciate formato A4 oltre a ulteriori 5 facciate A4 costituite da dichiarazione di avvalimento e dichiarazione di diniego per l'accesso. La documentazione contenuta nella busta B risulta quindi conforme a quanto previsto dal Disciplinare di Gara e pertanto l'offerta della Ditta Si. s.r.l. viene ammessa al prosieguo della gara". Quindi, la Commissione ha proceduto alla valutazione delle offerte tecniche e delle offerte economiche e ha stilato la graduatoria finale in cui Si. è risultata collocata al primo posto e In. S.r.l. al secondo. Con verbale del 19 novembre 2021, il Responsabile Unico del Procedimento ha aggiudicato l'appalto alla Si. S.r.l. in via definitiva. Dopo l'accesso agli atti da parte di In., in data 17 dicembre 2021, sarebbe emerso che l'oggetto del contratto di avvalimento è costituito dal prestito da parte della società Ma. S.p.a. di una caratteristica minima dell'offerta tecnica: la certificazione ISO 27001, come richiesta dall'art. 5 del capitolato. 2. In. ha quindi proposto ricorso al T.a.r. per la Puglia, al fine di ottenere: a) l'annullamento a1) del verbale prot. 7249 del 19.11.2021, trasmesso via pec, recante l'aggiudicazione definitiva della gara indetta da AM. (omissis) avente ad oggetto l'affidamento della fornitura di un "Sistema informativo per la gestione del servizio di raccolta domiciliare dei rifiuti solidi urbani, gestito da AM. S.p.a., nella Città di (omissis)" in favore di Si. S.r.l.; a2) del verbale del 5 ottobre 2021 con cui la Commissione di gara, dopo aver proceduto all'apertura delle buste B, con specifico riferimento alla busta B presentata da Si. ha rilevato che "contiene i documenti richiesti dall'art. 14 del Disciplina di gara, e cioè la "Relazione Tecnica dei servizi offerti costituita da 46 facciate formato A4 oltre a ulteriori 5 facciate A4 costituite da dichiarazione di avvalimento e dichiarazione di diniego per l'accesso. La documentazione contenuta nella busta B risulta quindi conforme a quanto previsto dal Disciplinare di Gara e pertanto l'offerta della Ditta Si. s.r.l. viene ammessa al prosieguo della gara"; a3) del verbale con cui la Commissione ha proceduto alla valutazione delle offerte tecniche; a4) del verbale con cui la Commissione ha proceduto alla valutazione delle offerte economiche, provvedendo alla formulazione della graduatoria finale in cui Si. risulta collocata al primo posto; a5) del verbale di apertura delle buste amministrative; a6) per quanto occorrer possa, in parte qua del bando, del disciplinare e del capitolato; b) la declaratoria di inefficacia del contratto, se stipulato; c) la condanna al risarcimento dei danni; 3. Il ricorso al T.a.r. era affidato a tre gruppi di motivi. 3.1. Violazione e falsa applicazione dell'art 63 della Direttiva 2014/24 e art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016; disparità di trattamento; difetto e carenza di istruttoria e motivazione; contraddittorietà ; illogicità ed irragionevolezza; sviamento; violazione della par condicio competitorum; irragionevolezza manifesta. L'aggiudicataria avrebbe fatto un uso improprio dell'avvalimento, per colmare non la carenza di un requisito di partecipazione alla gara, ma una condizione minima di partecipazione prevista dall'art. 5 del capitolato tecnico con riferimento all'offerta tecnica, quale sarebbe la certificazione ISO 27001, relativa alla gestione della sicurezza delle informazioni. L'art. 89 consentirebbe il ricorso all'avvalimento dei requisiti economico finanziari, tecnici e professionali solo nell'ipotesi in cui il concorrente ne sia privo e ne abbia bisogno per partecipare alla gara. Inoltre, il medesimo istituto non sarebbe ammesso nel caso in cui il concorrente vi faccia ricorso per conseguire un punteggio maggiore o per integrare la mancanza di caratteristiche tecniche indicate dalla stazione appaltante come minime. L'avvalimento non potrebbe avere ad oggetto elementi diversi dai requisiti richiesti dal bando per l'ammissione alla gara. L'art. 89 del d.lgs. n. 50/2016 prevede che "L'operatore economico, singolo o in raggruppamento di cui all'articolo 45, per un determinato appalto, può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale di cui all'articolo 83, comma 1, lettere b) e c), necessari per partecipare ad una procedura di gara, e, in ogni caso, con esclusione dei requisiti di cui all'articolo 80, avvalendosi delle capacità di altri soggetti, anche partecipanti al raggruppamento, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi". L'avvalimento servirebbe solo a consentire la partecipazione alla gara, non anche a migliorare le condizioni di tale partecipazione, garantendo il rispetto delle prescrizioni minime per l'esecuzione o accrescendo il proprio punteggio tecnico. In base alla giurisprudenza, l'avvalimento sarebbe utilizzabile solo per rimediare alla carenza di requisiti di partecipazione, ma non per sopperire alla mancanza di caratteristiche minime dell'offerta tecnica. 3.2. Violazione e falsa applicazione della Direttiva n. 24/2014 e dell'art. 89 del D. lgs. n. 50 del 2016; nullità del contratto di avvalimento, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1418 c.c., 1325 c.c., 89 d.lgs. n. 50/2016 e 88 d.P. R. n. 207/2010, disparità di trattamento, difetto e carenza di istruttoria e motivazione; contraddittorietà ; illogicità e irragionevolezza; sviamento; violazione della par condicio competitorum; irragionevolezza manifesta. Secondo un recente orientamento del Consiglio di Stato, il contratto di avvalimento prodotto in sede di gara dall'aggiudicataria dovrebbe essere considerato nullo, in quanto la determinazione del suo oggetto non consentirebbe di soddisfare la richiesta del capitolato di gara. Poiché il contratto di avvalimento avrebbe dovuto consentire all'aggiudicataria di avvalersi della certificazione di qualità ISO 27001 messale a disposizione dalla ausiliaria, esso avrebbe dovuto indicare tutte le risorse necessarie ad ottenere il rilascio dall'organismo indipendente della predetta certificazione di qualità . Nello specifico, lo schema ISO 27001 prevede uno standard per la gestione della sicurezza delle informazioni in tutti gli ambiti interessati per prevenire i rischi derivanti da attacchi dall'esterno o dall'interno, informatici e non informatici, da errori o dal mancato rispetto della normativa vigente pertinente. L'ausiliaria, invece, avrebbe messo a disposizione risorse che non integrerebbero alcuno degli elementi, materiali o immateriali, tipizzati a fondamento della certificazione ISO 27001 (né struttura organizzativo-gestionale, né procedure operative aziendali né altro). La stazione appaltante, quindi, avrebbe dovuto procedere all'esclusione dell'aggiudicataria. 3.3. Violazione dell'art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016; violazione dell'art. 97 della Costituzione; disparità di trattamento; difetto di istruttoria e motivazione; sviamento; violazione della par condicio competitorum; irragionevolezza manifesta. 4. In subordine, la ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'intera procedura di gara in quanto l'oscurità della lex specialis avrebbe prodotto un effetto distorsivo sui principi di concorrenza e parità di trattamento. L'inserimento della certificazione ISO27001 nell'art. 5 del capitolato avrebbe indotto gli operatori economici a ritenere che la certificazione medesima costituisse un elemento minimo ed inderogabile dell'offerta tecnica, in quanto tale non suscettibile di avvalimento (istituto riservato a garantire il prestito dei requisiti di ammissione alla gara di cui all'art. 83 d.lgs. n. 50/2016). Gli operatori economici privi della certificazione ISO non avrebbero partecipato alla gara, nella convinzione di non potere ricorrere all'istituto dell'avvalimento per sopperire alla mancanza della caratteristica minima. La oscurità della legge di gara avrebbe indotto in confusione gli operatori economici, alterando la regolare partecipazione alla gara e incidendo sul confronto concorrenziale. 5. Am. Tr. s.p.a. e la società controinteressata, Si. s.r.l., si sono costituiti in giudizio per resistere al ricorso. 6. La sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sezione prima, n. 892 del 16 giugno 2022: - ha rigettato il primo motivo, ritenendo che la certificazione di qualità non coincida con un requisito di idoneità professionale ma sia ascrivibile ai requisiti di partecipazione indicati dall'art. 83, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 50/2016, e quindi che essa possa essere oggetto di avvalimento ex art. 89, comma 1, del medesimo d.lgs.; il fatto che AM. s.p.a. abbia chiesto il possesso della certificazione di qualità con il capitolato tecnico e nell'ambito delle caratteristiche minime richieste, invece che nel disciplinare di gara e nell'elencazione dei requisiti di partecipazione, non assume rilievo dirimente, né rileva la circostanza che l'aggiudicataria abbia inserito la documentazione relativa all'avvalimento nella busta relativa all'offerta economica, invece che nella busta contenente la documentazione amministrativa. Inoltre, l'art. 5 del capitolato non imponeva alcun specifico sistema di certificazione, in quanto le certificazioni ISO 15408 e ISO 27000 erano indicate a mero titolo esemplificativo né era richiesto il possesso immediato della certificazione di qualità ; - ha rigettato il secondo motivo, ritenendo che vada esclusa la nullità del contratto di avvalimento, in quanto solo i requisiti tecnici richiedono una puntuale specificazione delle risorse messe a disposizione, mentre tale obbligo va escluso in relazione alla certificazione di qualità che costituisce un bene immateriale per il quale non è rilevante la specificazione puntuale delle risorse messe a disposizione della società ausiliata; inoltre, ha sottolineato che, ai fini della determinazione del contenuto necessario per il contratto di avvalimento nelle gare di appalto, occorre tenere conto anche della natura e dell'oggetto del servizio richiesto; - ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse e comunque infondato il terzo motivo; - ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio (2.000 euro). 7. In. ha proposto appello, provvisto di domanda cautelare. 7.1. I motivi dell'appello sono i seguenti. 7.1.1. La sentenza del T.a.r. Puglia sarebbe erronea nel punto in cui ha ritenuto che la certificazione relativa alla protezione e alla sicurezza dei dati, richiesta dall'art. 5 del Capitolato di gara quale caratteristica minima di esecuzione, potesse essere, viceversa, oggetto di avvalimento, nonostante la tipologia del servizio richiesto e l'espressa, diversa indicazione nel capitolato di gara. Sarebbe inoltre contraddittoria la sentenza impugnata nel punto in cui, dopo avere sostenuto che la certificazione ISO 27001 debba essere intesa come requisito di partecipazione, osserva di converso che "il capitolato non richiedeva nemmeno il possesso immediato della certificazione di qualità ": in realtà, o la certificazione di cui si tratta era un requisito di partecipazione e, dunque, avrebbe potuto essere oggetto di avvalimento e il relativo possesso avrebbe dovuto essere verificato in sede di ammissione dei concorrenti; oppure si tratta di una prescrizione relativa alle stesse caratteristiche dell'offerta tecnica del concorrente, il quale avrebbe dovuto "dimostrare che il sistema fornito garantisse elevati standard tecnici in materia di protezione dei dati", senza la possibilità di ricorrere all'avvalimento. Inoltre, la prescritta condizione minima di esecuzione sarebbe relativa al sistema e, di conseguenza, al prodotto da fornire. La certificazione - come confermato dal suo inserimento nel capitolato tecnico - avrebbe costituito requisito minimo, al fine di garantire elevati standard tecnici per la protezione dei dati, e non requisito tecnico. A ulteriore dimostrazione, Si. aveva inserito la dichiarazione di avvalimento nella busta dell'offerta tecnica e non in quella relativa alla documentazione amministrativa. Solo i requisiti di partecipazione - e non i requisiti minimi - possono essere oggetto di avvalimento. 7.1.2. E' criticata, in subordine al primo motivo, la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la nullità del contratto di avvalimento e ritenuto che solo i requisiti configurabili come beni materiali impongano una specificazione delle risorse, mentre tale obbligo va escluso in relazione alla certificazione di qualità che costituisce un bene immateriale. L'ausiliaria avrebbe messo a disposizione risorse (una stampante e un impiegato) che non integrano alcuno degli elementi posti a fondamento della certificazione ISO 27001 e non sarebbero in grado di assicurare la sicurezza della protezione dei dati, richiesta dalla stazione appaltante. 7.1.3. E' contestata, in via ulteriormente subordinata, l'inammissibilità della terza censura, mentre il T.a.r. avrebbe dovuto considerare l'interesse strumentale alla riedizione della procedura di selezione del contraente. 8. Si sono costituite nel giudizio di appello la controinteressata Si. s.r.l. e Am. Tr. s.p.a. 9. Con ordinanza n. 4201 del 30 agosto 2022, la Sezione ha preso atto della rinuncia all'istanza cautelare da parte dell'appellante e ha compensato le spese della fase cautelare. 10. All'udienza pubblica del 20 ottobre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione. 11. Il Collegio rileva innanzitutto che il primo motivo dell'appello è infondato. Infatti, è da condividere la tesi secondo cui è legittimo l'avvalimento da parte dell'aggiudicataria per la certificazione di qualità (Cons. Stato, sez. III, n. 4418 del 2019; sez. III, n. 3517 del 2015). "Giurisprudenza prevalente, dopo alcuni contrari avvisi, ne ammette oramai pacificamente l'ammissibilità (ex multis, Cons. Stato, Ad. plen. 4 novembre 2016, n. 23; V, 27 luglio 2017, n. 3710; 17 maggio 2018, n. 2953; III, 8 ottobre 2018, n. 5765; V, 10 settembre 2018, n. 5287; 20 novembre 2018, n. 6551; 18 marzo 2019, n. 1730), in particolare rilevando, come di recente, che "I certificati rilasciati da organismi indipendenti di cui all'art. 87 del Codice dei contratti pubblici sono pur sempre attinenti a capacità tecniche e professionali dell'impresa, così come definite dall'art. 58, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/UE ("requisiti per garantire che gli operatori economici possiedono le risorse umane e tecniche e l'esperienza necessarie per eseguire l'appalto con adeguato standard di qualità "), di modo che, ai sensi del successivo art. 63, ben possono essere oggetto di avvalimento" (Cons. Stato, V, 13 settembre 2021, n. 6271)" (Cons. Stato, sez. V, n. 7370 del 2021). Come questo Consiglio di Stato ha sottolineato (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 5765 del 2018, Sez. V, n. 2953 del 2018) in linea generale l'istituto dell'avvalimento è stato introdotto nell'ordinamento nazionale in attuazione di puntuali prescrizioni dell'ordinamento U.E. ed esso risulta volto, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'U.E., a conseguire l'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile. Si tratta, secondo la Corte, di un obiettivo perseguito dalle direttive a vantaggio non soltanto degli operatori economici, ma parimenti delle amministrazioni aggiudicatrici (in tal senso, sentenza del 23 dicembre 2009 in causa C-305/08, CoNISMa). L'enucleazione dell'istituto mira inoltre a facilitare l'accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, cui tende altresì la direttiva 2004/18, come posto in rilievo dal considerando 32 (in tal senso la sentenza del 10 ottobre 2013 in causa C-94/12, SWM Costruzioni). Trattandosi di obiettivi generali dell'ordinamento eurounitario (e sulla base di generali canoni ermeneutici di matrice U.E.), grava sull'operatore nazionale l'obbligo di interpretare le categorie del diritto nazionale in senso loro conforme (c.d. criterio dell'interpretazione conforme) e di non introdurre in relazione ad essi vincoli e limiti ulteriori e diversi rispetto a quelli che operano in relazione alle analoghe figure del diritto interno (si tratta di un corollario applicativo dei generali principi di parità di trattamento e di non discriminazione che devono assistere le posizioni giuridiche e gli istituti di matrice eurounitaria); in particolare, in assenza di motivate condizioni eccezionali, l'applicazione dei richiamati principi di parità di trattamento e di non discriminazione osta all'introduzione da parte dei legislatori nazionali di vincoli e limiti alla generale possibilità per gli operatori di fare affidamento sulle capacità di altri soggetti (in tal senso la sentenza 7 aprile 2016 in causa C-324/14, Partner Apelski Dariusz). In tale contesto è stato chiarito che "nelle gare pubbliche la certificazione di qualità, essendo connotata dal precipuo fine di valorizzare gli elementi di eccellenza dell'organizzazione complessiva, è da considerarsi anch'essa requisito di idoneità tecnico organizzativa dell'impresa, da inserirsi tra gli elementi idonei a dimostrarne la capacità tecnico professionale assicurando che l'impresa, cui sarà affidato il servizio o la fornitura, sarà in grado di effettuare la prestazione nel rispetto di un livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò predisposto" (così Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6125, vedi anche Sez. V, 6 marzo 2013, n. 1368; Sez. IV, n. 4958 del 2014; Sez. V, n. 3517 del 2015; Sez. V, n. 2953 del 2018). In caso di avvalimento, quindi, l'impresa ausiliata può senz'altro utilizzare tutti i requisiti afferenti alla capacità economica e tecnica dell'impresa ausiliaria, non esclusa la certificazione di qualità . Gli argomenti dedotti dall'appellante sono volti a limitare la possibilità di avvalimento nel caso di specie, identificando la certificazione di qualità con i requisiti minimi di partecipazione. Si tratterebbe di soluzione contrastante con i principi appena richiamati di matrice europea, accolti ormai da tempo dal Consiglio di Stato. I medesimi argomenti non tengono peraltro conto del fatto che la giurisprudenza del giudice amministrativo ha chiarito che benché il bando, il disciplinare di gara e il capitolato speciale d'appalto abbiano ciascuno una propria autonomia ed una propria peculiare funzione nell'economia della procedura, il primo fissando le regole della gara, il secondo disciplinando in particolare il procedimento di gara ed il terzo integrando eventualmente le disposizioni del bando, tutti insieme costituiscono la lex specialis della gara (Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 2014, n. 6154; id., sez. V, 5 settembre 2011, n. 4981; id. 25 maggio 2010, n. 3311; id. 12 dicembre 2009, n. 7792), in tal modo sottolineandosi il carattere vincolante che (tutte) quelle disposizioni assumono non solo nei confronti dei concorrenti, ma anche dell'amministrazione appaltante, in attuazione dei principi costituzionali fissati dall'art. 97 (v. Cons. Stato, Sez. III, n. 1804 del 2021). 12. A diversa conclusione si deve giungere con riguardo al secondo motivo dell'appello, che risulta fondato. La giurisprudenza amministrativa ha infatti precisato a più riprese (v. da ultimo Cons. Stato, Sez. V, n. 2515 del 2022) che, qualora oggetto di avvalimento sia la certificazione di qualità, è indispensabile che l'impresa ausiliaria metta a disposizione dell'impresa ausiliata tutta la propria organizzazione aziendale comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse che, complessivamente considerate, le hanno consentito di acquisire la certificazione di qualità (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 settembre 2021, n. 6271; Sez. V, 18 marzo 2019, n. 1730; sez. V, 27 luglio 2017, n. 3710), poiché si tratta di avvalimento complessivo o, meglio, avente ad oggetto un requisito "inscindibile" nel senso che la medesima organizzazione aziendale non può essere contemporaneamente utilizzata dall'ausiliata e messa a disposizione dell'ausiliaria. L'avvalimento deve quindi essere effettivo e non fittizio, non potendosi ammettere il c.d. "prestito" della sola certificazione di qualità quale mero documento e senza quel minimo d'apparato dell'ausiliaria atta a dar senso al prestito stesso, a seconda dei casi i mezzi, il personale, il know how, le prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti (cfr. così, Cons. St., Sez. V, n. 3574 del 2014; Sez. III, n. 3517 del 2015). La certificazione di qualità, in quanto finalizzata ad assicurare l'espletamento del servizio o della fornitura da una impresa secondo il livello qualitativo accertato dall'apposito organismo e sulla base di parametri rigorosi delineati a livello internazionale -che danno rilievo all'organizzazione complessiva della relativa attività ed all'intero svolgimento delle diverse fasi di lavoro -, non può essere oggetto di avvalimento senza la messa a disposizione di tutto o di quella parte del complesso aziendale del soggetto al quale è stato riconosciuto il sistema di qualità, occorrente per l'effettuazione del servizio o della fornitura. Occorre infatti che il requisito di ammissione dimostrato dall'impresa partecipante mediante l'avvalimento rassicuri la stazione appaltante circa l'affidabilità della futura offerta allo stesso modo in cui ciò avverrebbe se il requisito fosse posseduto in via diretta dalla partecipante alla gara (v. ex multis, Cons. Stato, Sez. III, n. 3517 del 2015; Sez. V, n. 3710 del 2017). In altri termini, l'ausiliaria deve mettere a disposizione dell'ausiliata l'intera organizzazione aziendale, comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse, che, complessivamente considerata, le ha consentito di acquisire la certificazione di qualità da mettere a disposizione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 2017, n. 852; Cons. Stato., sez. V, 12 maggio 2017, n. 2225, con considerazioni riferite al prestito dell'attestazione S.O.A., che valgono a maggior ragione per il prestito della certificazione di qualità ). La qualità risulta, infatti, inscindibile dal complesso dell'impresa che rimane in capo all'ausiliaria (Cons. Stato, Sez. V, n. 3710 del 2017). L'avvalimento riferito alla certificazione di qualità ha dunque carattere complessivo o, meglio, ha ad oggetto un requisito "inscindibile" nel senso che la medesima organizzazione aziendale (comprensiva, non solo del personale operativo, ma anche di quello preposto al controllo di qualità, degli audit periodici) non può essere contemporaneamente utilizzata dall'ausiliata e messa a disposizione dell'ausiliaria (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. V, n. 2515 del 2022). Nel caso di specie, ciò che rileva è l'incompletezza del contratto di avvalimento (rispetto alla complessiva organizzazione aziendale dell'ausiliaria), con conseguente inidoneità dello stesso a trasferire il requisito non posseduto della certificazione di qualità . Infatti, il contratto di avvalimento del 9 giugno 2021 tra Ma. s.p.a. e Si. s.r.l fa riferimento espresso al capitolato speciale d'appalto che, all'art. 5, prevede il seguente requisito: "il sistema deve garantire elevati standard tecnici in materia di protezione dei dati, comprovati da idonee certificazioni quali, a mero titolo esemplificativo, ISO 15408 o ISO 27000 (il fornitore dovrà essere in possesso della certificazione o dovrà produrre la documentazione a garanzia di futura prossima certificazione)" e precisa che l'ausiliaria è in possesso dei requisiti generali di cui all'articolo 80 del D.Lgs. 50/2016 e successive modificazioni, e dispone dei requisiti obbligatori di cui è carente il concorrente e precisamente è in possesso della Certificazione ISO 27001:2014. Peraltro, il medesimo contratto stabilisce che l'ausiliaria debba mettere a disposizione del concorrente i mezzi e le risorse di cui quest'ultima è carente, elencati in modo determinato e specifico: mezzi, n. 1 Personal Computer e n. 1 stampante; risorse, n. 1 Impiegato tecnico. Nessuna ulteriore indicazione è invece fornita, atta a garantire l'idoneità del contratto di avvalimento a soddisfare i requisiti posti al riguardo dalla giurisprudenza, allorchè l'avvalimento interessi la certificazione di qualità . 13. Il terzo motivo, proposto dall'appellante in via subordinata al precedente, è assorbito dall'accoglimento di quest'ultimo. 14. Per le ragioni e nei termini esposti, l'appello va quindi accolto e di conseguenza deve essere riformata la sentenza impugnata, con annullamento dei provvedimenti impugnati con il ricorso in primo grado, cui dovrà conseguire l'aggiudicazione in favore della società appellante. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza, come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (n. r.g. 6278/2022): a) lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata: a1) annulla i seguenti provvedimenti impugnati dalla ricorrente in primo grado: il verbale prot. 7249 del 19 novembre 2021, recante l'aggiudicazione definitiva della gara indetta da AM. s.p.a. avente ad oggetto l'affidamento della fornitura di un "Sistema informativo per la gestione del servizio di raccolta domiciliare dei rifiuti solidi urbani, gestito da AM. S.p.a., nella Città di (omissis)" in favore di Si. S.r.l.; il verbale della Commissione di gara del 5 ottobre 2021; il verbale con cui la Commissione ha proceduto alla valutazione delle offerte tecniche; il verbale con cui la Commissione ha proceduto alla valutazione delle offerte economiche, provvedendo alla formulazione della graduatoria finale; il verbale di apertura delle buste amministrative; a2) dichiara inefficace il contratto per l'affidamento del servizio della fornitura di un "Sistema informativo per la gestione del servizio di raccolta domiciliare dei rifiuti solidi urbani, gestito da AM. s.p.a., nella città di (omissis)", stipulato il 15 febbraio 2022 tra AM. Tr. e Si. s.r.l; b) condanna Am. Tr. s.p.a. e Si. s.r.l, in solido tra loro, a rifondere alla società appellante le spese del doppio grado di giudizio, liquidate in complessivi Euro 6.000 (euro seimila), oltre oneri di legge ove dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Nicola D'Angelo - Consigliere Silvia Martino - Consigliere Claudio Tucciarelli - Consigliere, Estensore Ugo De Carlo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Venezia sezione PRIMA Penale composta dai Magistrati: 1. Dott. Francesco Giuliano - Presidente 2. Dott. Alberta Beccaro - Consigliere 3. Dott. David Calabria - Consigliere Udita la relazione della causa fatta alla udienza pubblica/camerale, odierna dai Dott.ri Beccaro e Calabria Inteso il P.G. dott. appellant (...) difensor come da verbale, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: GI.EM. Nato a Roma il 03.06.1969 Elettivamente domiciliato presso Avv. Or.Do. del Foro di Milano Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Or.Do. del Foro di Difensore di fiducia Avv. Co.Mi. del Foro di Milano MA.PA. Nato a (...) Domiciliato presso l'Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza PE.MA. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna PI.AN. Nato (...) Domiciliato presso Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Difeso di fiducia dall'Avv. Gi.To. del Foro di Milano ZI.GI. Nato a (...) Residente a (...) Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza ZO.GI. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. En.Am. del Foro dì Vicenza Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. En.Am. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Tu.Pa. del Foro di Pisa RESPONSABILE AMMINISTRATIVO BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona del legale rappresentante pro tempore Difensore Avv. Fr.Mu. del Foro di Milano - non presente, sostituito dall'Avv. Ro.Bo. del Foro di Padova per delega orale PRESENTE RESPONSABILE CIVILE - ESTROMESSO con ordinanza depositata all'udienza del 22/04/2022. BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona dei legali rappresentanti pro tempore Di.Gi., Fe.Cl. e Vi.Fa. Parti civili: + 229 (omissis) IMPUTATI: Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. stralciato ad altro procedimento, Zi.Gi. e Zo.Gi., a.1) in ordine al reato previsto e punito dagli arti 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., e 2637 c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amava), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie di seguito descritta, attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della. Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta piassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., stralciato ad altro procedimento in qualità di direttore generale delia medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione. Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuatone della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, della segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; in tempi diversi, diffondevano notizie false e ponevano in essere operazioni simulate ed altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni B. (deliberato annualmente - ai sensi dell'art. 6 dello Statuto sociale e dell'art 2528 c.c. -dall'assemblea dei soci su proposta del consiglio di amministrazione, formulata sulla scorta di una perizia di stima del valore del relativo soprapprezzo elaborata da un esperto indipendente appositamente incaricato), e ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della medesima Banca (...) e dell'omonimo Groppo bancario. Operazioni simulate ed altri artifici consistite (condotte poste in essere da ciascuna delle persone indagate, secondo il rispettivo ruolo): i) nella ripetuta concessione di finanziamenti a favore di terzi soggetti finalizzati all'acquisto (nel mercato secondario) ed alla sottoscrizione (in occasione delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014) di azioni B., per un controvalore complessivo di circa Euro 963 mln (di cui circa Euro 545 mln sino al 31.122012, circa Euro 155 nel 2013, circa Euro 255 nel 2014 e circa Euro 8 mln nel primo trimestre 2015), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito (per talune operazioni formalizzato per iscritto, per un complessivo controvalore azionario di circa Euro 160 mln), cosi determinando una apparenza di liquidità del titolo sul mercato secondario e, al contempo, cosi consentendo la riduzione contabile del controvalore delle azioni proprie detenute; ii) nella omessa iscrizione al passivo dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014 di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., pari all'importo complessivo delle operazioni di finanziamento finalizzate all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. sopra indicato; iii) nella mancata comunicazione all'esperto incaricato della stima del valore del soprapprezzo dell'azione B., dell'esistenza e dell'entità della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come sopra descritta. Diffusione di notizie false compiuta mediante la pubblicazione di comunicati stampa, di comunicazioni al pubblico, anche ex art. 114, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, di comunicazioni ai soci e dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014, contenenti mendaci indicazioni circa (condotte materiali poste in essere da Zo.Gi., Zi.Gi., So.Sa. (Stralciato ad altro procedimento) e Pe.Ma., con il contributo di GI.Em., Pi.An. e Ma.Pa., che partecipavano alla attuazione della prassi dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. sopra descritta): - la reale entità del patrimonio (nei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014), a causa della mancata iscrizione di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., per un importo corrispondente all'ammontare dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. (pari a circa Euro 545 mln al 31.12.2012, circa Euro700 mln al 31.12.2013 e circa Euro 955 mln al 31.12.2014); - la solidità patrimoniale della Banca (comunicati stampa e comunicazioni ai soci del 30/3/2012; 8/8/2012; 3/9/2012; 19/3/2013; 27/4/2013; 27/4/2013; 10/9/2013; 2/4/2014; 9/9/2014; 26/10/2014; 4/12/2014; 19/3/2014) enfatizzata a dispetto della reale situazione derivante dal sopra descritto fenomeno di concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizioni di azioni B. e di lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle medesime e/o di garanzia del rendimento dell'investimento; - la crescita progressiva della compagine sociale (comunicati 27/8/2013; 18/3/2014; 29/8/2014; 26/10/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), lasciando intendere che essa derivasse dalla progressiva maggiore appetibilità dell'azione B. quale strumento di investimento, omettendo di rappresentare resistenza e l'entità della prassi della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie sopra descritta; - il buon esito delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014 (comunicati 9/8/2013; 27/8/2013; 18/3/2014; 8/8/2014; 29/8/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), tacendo la circostanza relativa al massiccio ricorso al finanziamento per la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione nell'ambito dei c.d. Aucap; Con raggravante di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone. In (...), nel corso degli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014. Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) a.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. r) D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - ZO.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società a capo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenite reati della stessa specie, commettevano il reato sub a.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nel mantenimento del valore dell'azione e dell'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto, realizzati anche attraverso un artificioso funzionamento del mercato secondario delle azioni B. e mediante una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca. In (...), nel corso degli anni (...), alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa., (stralciato ed altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., b1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 81, co. II 110, 112, n. 1, c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a., in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1), e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale e traendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti, e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalatone e comunicazioni air Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, durante l'attività ispettiva compiuta dalla stessa Autorità presso la sede sociale, occultavano con mezzi fraudolenti - l'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario, per un controvalore complessivo di circa Euro 250 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di oltre Euro 300 mln, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - l'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. c/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; e, comunque, omettevano di dare comunicazione di tali circostanze, cosi determinando effettivamente, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, che, conseguentemente, non dava luogo ad approfondimenti conoscitivi in sede ispettiva ed alla quale, di fatto, era impedito di accertare l'esistenza della suddetta prassi. Mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale sia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58. In (...) dal (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) b.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub b.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. c.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81 co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.6.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.9.2012) contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 268 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2012), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 280 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia medesima, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2012, stabiliva, con Lettera di intervento datata 5.3.2013, un obiettivo patrimoniale (c.d. Target ratio, in termini di Core Tier 1 capital ratio pari o superiore all'8%) non coerente con la situazione patrimoniale della stessa B. e, comunque, ometteva di assumere ulteriori misure ed iniziative di vigilanza coerenti rispetto alla reale situazione patrimoniale della B., Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.pa, in liquidazione coatta amm.va (già Sc.p.a.) c.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett., a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub al), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad atro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. d.1) reato previsto e punito dagli artt. 61 n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., 2638, co. II e III, c.., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 5.3.2013 - n. 228149, di fornire "dettagliate informazioni in ordine alle motivazioni sottostanti l'incremento, sia a livello individuale che consolidato, delle azioni o quote proprie ricomprese tra gli elementi negativi del patrimonio di base, passate da Euro 30,48 mln a Euro 239,85 mln" nel periodo 30.6/30.9.2012), nella Comunicazione 20.3.2013, con la quale era rappresentato falsamente che "L'incremento ... registrato al 30 settembre 2012 rispetto al 30 giugno 2012 è da ascrivere principalmente a fenomeni di ciclicità legati alle procedure di gestione delle azioni proprie. Le domande di acquisto di azioni della banca si sono invece concentrate nel IV trimestre, anche in relazione alla consueta maggiore propensione e convenienza sotto il profilo finanziario di procedere, da parte dei soci, all'acquisto nell'ultimo periodo dell'anno... I dati al 31 dicembre 2012 evidenziano un Core Tier 1 ratio e un Total Capital ratio rispettivamente all'8,37% e all'11,40%, ipotizzando l'integrale capitalizzazione dell'utile. Nell'ipotesi di distribuire un dividendo pari al 50% dell'utile distribuibile, il Tier 1 ratio si posizionerebbe all'8,23% comunque al di sopra del target minimo". - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.12.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.3.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 545 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistato da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 544 mln; ed inoltre, - nella Informativa preventiva 23.4.2013 relativa alla imminente operazione dì aumento di capitale (mediante emissione di azioni ordinarie e contestuale emissione di prestito obbligazionario convertibile, per l'importo complessivo di Euro 506 mln), nella quale non era indicato che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione di finanziamenti correlati alla sottoscrizione medesima ed era rappresentato, pertanto contrariamente al vero, che il relativo "impatto... sul Tier 1 ratio " era stimato in un incremento complessivo di 175 punti base; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della B., adottava la Lettera di intervento datata 24.6.2013 con la quale (rilevato che "alla data del 30 settembre 2012" B. deteneva azioni proprie per un controvalore complessivo superiore al limite del "5% del capitale" in assenza della necessaria autorizzazione) prescriveva a B. l'adozione di "ogni Iniziativa sul piano procedurale e dei controlli alfine di assicurare uno scrupoloso rispetto dei limiti previsti per il riacquisto o rimborso di proprie azioni" e di richiedere "la prescritta autorizzazione, laddove ne ricorrano i presupposti" senza assumere ulteriori misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, DI L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.p.a.) d.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub d. 1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. e.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, il 2,81, co. II, 110 e 112, n. 1, cp., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione delia medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30-6-2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.9.2013), contraente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 555 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca, anteriore e prossima al 25.10.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 626 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.3.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 700 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e dì garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) e.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di prendente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sube.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. f.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. n. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai scasi della L. 1 settembre 1993, a 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; -- So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delie operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella Informativa preventiva datata 5.3.2014 relativa alla imminente operazione di aumento di capitale mediante emissione di azioni ordinarie per l'importo complessivo massimo di Euro 700 min, tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima e rappresentando, pertanto falsamente, die "nell'ipotesi di effettuazione dell'importo massimo", l'Aucap determinerebbe un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma" del 10,89% (rispetto a quello esistente dell'8,50%) e del ''Total Capital ratio" del 13,85% (rispetto a quello esistente dell'11,41%) con un incremento "quantificabile in circa 239" punti base; - nella Informativa integrativa datata 11.4.2014 relativa alla operazione di aumento di capitale sopra indicata (contenente la precisazione che la stessa sarebbe stata compiuta per un importo massimo di Euro 683,754 mln), tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima ed attestando, pertanto falsamente, che le azioni di nuova emissione soddisfano "tutte le condizioni previste dagli artt. 28 e 29 della CRR" e rappresentando, pertanto ancora falsamente, che la relativa "stima dell'impatto patrimoniale" evidenziava un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma post aucap" del'11,65% (rispetto a quello esistente del 9,21%) e del "Total Capital ratio pro-forma post aucap" del 14,25 (rispetto a quello esistente dell'11,81%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, a seguito della "istanza di autorizzazione a classificare gli strumenti di capitale come strumenti di capitale primario di classe 1 ai sensi dell'art 26 par. 3, del Regolamento (UE) n. 575/2013" (contenuta nella Informativa integrativa suddetta), sulla scorta della mendaci informazioni ricevute, adottava il provvedimento autorizzato richiesto con atto del 15.4.2014, in difetto dei prescritti presupposti (trattandosi, in parte, di c.d. azioni finanziate). Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) BANCA (...) S.p.a. in liquidatone coatta amm.va (già S.c.p.a.) f.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s) D. L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub f1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nella autorizzata classificazione delle azioni di nuova emissione sottoscritte come strumenti di capitale primario di classe 1". In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. g.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co, II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi die precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella Use di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione dì vigilanza periodica al 31.3.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 728 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica ai 30.6.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in data 11.8.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra, indicata, per un importo complessivo di circa Euro 718 mln; - nella Comunicazione 1.9.2014, nella quale era rappresentato falsamente che "con riferimento alla segnalazione di vigilanza prudenziale al 30 giugno 2014... si è ravvisato il mancato soddisfacimento a livello consolidato del requisito combinato di riserva di capitale... con un deficit di euro 85 milioni rispetto al livello minimo previsto.... l'aumento dì capitale di euro 607,8 milioni - già in corso alla data del 30 giugno, completato lo scorso 8 agosto con l'integrale sottoscrizione dello stesso... consentiva di coprire ampiamente il deficit registrato... tenendo conto dell'aumento di capitale già regolato, la posizione patrimoniale del Gruppo risulta in surplus di euro 550,8 milioni..." ed era attestato falsamente il livello dei "Fondi Propri" (indicato in Euro 2,989 mld e, quelli "pro-forma" in Euro 3,635 mld) e dei ratios patrimoniali (ovverosia, 8,55% CET1 Ratio e 10,67% CET1 Ratio pro-forma; 8,55% Tier 1 Ratio e 10,67% Tier 1 Ratio pro-forma; 10,21% Total Capitai Ratio e 12,38% Total Capital Ratio pro-fonna); - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 886 mln; - (a seguito della richiesta di Banca d'Italia, formulata con Nota datata 25.10.2014 - n. 1053731/14 nella quale, dato atto che "Banca (...) ha eseguito dall'inizio del 2014 operazioni di riacquisto di azioni proprie (buybacks) per un ammontare complessivo netto di Euro 195 mln. Le segnalazioni prudenziali di codesta banca confermano il progressivo aumento delle deduzioni per azioni proprie in portafoglio dal common equity tier 1: Euro 32,3 mln a dicembre 2013; Euro 91,7 mln a marzo 2014; Euro 178,2 mln, di cui 52,4 mln detenute indirettamente, a giugno 2014.... (la B.) ha altresì proceduto al rimborso e successivo annullamento di azioni proprie per complessivi Euro 61,7 mln, a motivo di successioni ed escussioni per recupero crediti", era domandata "la puntuale verifica della correttezza dei dati segnalati tempistica e modalità di esecuzione dei buybacks; ... le informazioni necessarie alla comprensione delle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie, precisando le controparti (società veicolo/OICR) presso le quali ì titoli sono depositati; chiarimenti circa la coerenza dei riacquisti effettuati con le disposizioni della Capital Requirement Regulation e delle successive norme tecniche di attuazione") nella Comunicazione datata 4.11.2014, ove era rappresentato falsamente che "La Banca... ha proceduto ai riacquisti da Soci e agli annullamenti delle azioni proprie nella consapevolezza che la riduzione di capitale connessa ai medesimi era più che compensata dalla sottoscrizione degli aumenti di capitale in corso.... le predette operazioni di riacquisto e annullamento di azioni proprie eseguite dalla banca dall'inizio del 2014... sono comunque avvenute nell'ambito dì un complessivo rafforzamento patrimoniale del Gruppo Bancario, che ha visto il proprio Common Equity Tier 1 Ratio incrementarsi dal 1° gennaio 2014 di circa 141 bps"; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) g2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità, di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub g.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., h1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a, in liquidatone cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposte alla vigilanza della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a. 1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente fa predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberatone degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca Centrale Europea, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2014 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 15.3.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2015 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 25.4.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 963 mln; - nella Informativa al Pubblico al 31.12.2014, contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa delia mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln e, di conseguenza, l'indicazione falsata dei requisiti patrimoniali prudenziali (CET 1 ratio pari al 10,44% e Total Capital ratio pari all'11,55%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca Centrale Europea che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a., in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) h.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001. n. 231, perché, in concorso tra loro. - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di (fingente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub h1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. i) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a-1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente si processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinalo ed attuato concretamente la predetta prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alte proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Dividerne Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili relativa alle operazioni di aumento di capitale realizzate nel corso del 2013 (c.d. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2012 e nel primo quadrimestre 2013 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a.1), ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo (felle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo, la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancate evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sui prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In Vicenza, in data 10 giugno 2013 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. 1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a.1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predette prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predispostone dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalatone e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di adoni di nuova emissione relativa alle operazioni di aumento di capitate realizzate nel corso del 2014 (c.c. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2013 e nel primo quadrimestre 2014 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a1) ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo delle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo" la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancata evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sin prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., m.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110, 112, n. 1, c.p. e 2638 co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche in riferimento alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 RGNR - Mod. 21, (allegata al presente Avviso) in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione Della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, e della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di numerosi finanziamenti finalizzati air acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie (operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito, per talune operazioni formalizzato per iscritto), attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallalo la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. Srl, operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attualo concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase dì istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazioni e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea, nell'ambito dello svolgimento dell'esercizio di valutazione approfondita (c.d. "Comprehensive Assessment") previsto dall'art. 33, par. 4, del Regolamento (UE) n. 1024/2013 cit. ed oggetto della Decisione della Banca centrale Europea del 4 febbraio 2014 i) durante l'attività ispettiva compiuta dalla Banca d'Italia presso la sede sociale nel periodo marzo/agosto 2014 (consistita nel c.d. "Asset Quality Rewiev") occultavano con mezzi fraudolenti e, comunque, omettevano di dare comunicazione, - dell'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario e/o alla sottoscrizione delle medesime azioni in sede di operazioni di aumento di capitale, per un controvalore complessivo di circa Euro 728 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di circa 6 886 min, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - dell'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale aia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate; ii) esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 9.6.2014 - il 590133/14 di compilare un "questionario... (Preliminary Capital Plan)" contenente "informazioni idonee a valutare, distintamente per i vari annali di raccolta (interni ed esterni) l'ammontare aggiuntivo di capitale e di strumenti di ATI che potrebbero essere ottenuti in tempi rapidi (6 o 9 mesi) per fronteggiare eventuali shortfall" precisando "sia le operazioni già pianificate o in corso di attuazione, sia le misure aggiuntive che potrebbero essere perfezionate in caso di necessità entro i termini sopra indicati") nella Comunicazione datata 20.6.2014 ove erano indicati, quali interventi di rafforzamento patrimoniale realizzabili celermente, il "rimborso anticipato in azioni del prestito obbligazionario 2013-2018 convertibile di tipo soft mandatory... per un importo di euro 253 milioni e "l'incremento di CET" per effetto degli aumenti di capitale attualmente in corso per un importo totale di euro 673 milioni, di cui euro 608 milioni di aumento in opzione ai soci", omettendo di rappresentare che la sottoscrizione del suddetto prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni dì nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra descritta; - nelle comunicazioni trasmesse alle Autorità di vigilanza nell'ambito dell'esercizio di "stress test", contenenti l'indicazione, contrariamente al vero, di ratios patrimoniali e dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quelli reali, a causa della mancata considerazione, quale cimento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln; - nel Capital Plan comunicato in data 10.11.2014, relativo alle misure programmate per la copertura del deficit di capitale emerso all'esito dell'esercizio di "stress test" (nello scenario avverso, pari a Euro 223 mln), contenente l'indicazione, contrariamente al vero, dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln, ed omettendo di precisare che la sottoscrizione del prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni di nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea medesime, le quali, conseguentemente, non davano luogo, neppure in sede ispettiva, ad approfondimenti conoscitivi, e la BCE valutava idonee le misure di rafforzamento patrimoniale indicate da B. per fare fronte alla deficienza emersa all'esito del c.d. "Comprehensive Assessment" ed all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2014 stabiliva (con la relativa decisione SREP) requisiti prudenziali non coerenti con la reale situazione patrimoniale della stessa B. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richieda di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), dal marzo ad agosto 2014 (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) m.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n, 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em. in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub m.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) SO.SA. (stralciato ad altro procedimento) e GI.EM. n.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso rispetto al capo che precede ed alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 (allegata al presente Avviso), - SO.SA. in qualità di direttore generale, - GI.EM., in qualità di vice direttore generale responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), società sottoposta alla vigilanza della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa ai sensi del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, con riferimento alla operazione di aumento di capitale compiuta nel periodo 12.5/8.8.2014, avente in oggetto una offerta in opzione agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili di azioni ordinarie di nuova emissione e di obbligazioni nominative (e anche una offerta al pubblico indistinto dell'eventuale inoptato), a seguito della richiesta di dati e notizie di CONSOB datata 16.5.2014, nella successiva interlocuzione con la medesima Autorità di Vigilanza, comunicavano, contrariamente al vero (condotta materiale di So.Sa., quale firmatario delle missive, compiuta d'intesa con Gi.Em.), i) nella Nota datata 23.5.2014, - la decisione assunta dalla Banca "di astenersi, con riferimento all'Offerta in opzione, dalla prestazione di raccomandazioni personalizzate all'investimento" e, pertanto, del "divieto di prestare qualsivoglia attività consulenziale a favore dei titolari del diritto di opzione"; - l'adozione da parte della Banca "allo scopo di dare effettività alla menzionata prescrizione interna ed evitare forme surrettizie di raccomandazione personalizzata all'investimento... " di "modalità specifiche di adesione all'offerta idonee a contenere occasioni di contatto diretto tra gli addetti alla rete ed i titolari del diritto di opzione" (costituite, "a seguito della comunicazione informativa" neutra da parte della Banca contenente indicazione delle "caratteristiche principali dell'operazione e le modalità richieste per l'adesione", dalla preventiva manifestatone di interesse alla sottoscrizione da parte degli interessati "accedendo ad una apposita sezione del sito internet della Banca" oppure tramite l'invio per posta di un modulo prestampato, preventivamente trasmesso agli aventi diritto in allegato alla suddetta comunicazione informativa preliminare); - che la Banca si sarebbe astenuta dalla erogazione di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione di azioni B., essendo questa possibilità limitata all'operazione di aumento di capitale riservato a nuovi soci e finalizzato all'ampliamento della base sociale (c.d. "mini Aucap"); ii) nella Nota datata 4.7.2014, che - erano "immutate le modalità di offerta in opzione, agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili... " e, nel fornire i dati relativi all'andamento della operazione, che l'offerta in opzione aveva registrato adesioni da parte di 20.448 clienti, tutte perfezionate ad "iniziativa cliente", con valutazione positiva della appropriatezza nella misura del 83,9%; iii) nella Nota 15.10.2014, - che l'unica operatività effettuata nell'ambito dell'Offerta in opzione, era quella ad "iniziativa cliente"; - che tutti i 29,364 sottoscrittori "aventi diritto" avevano aderito all'offerta previa valutazione di appropriatezza, il cui esito era stato positivo nella misura del 82% circa; - che (nella unita Nota di osservazioni della funzione di Compliance), "la Banca ha inteso presidiare il rischio di consulenze surrettizie prevedendo un meccanismo volto a fare in modo che il contatto tra banca e clienti titolari del diritto di opzione si stabilisse solo in seguito ad una comunicazione preliminare"; e omettevano dunque, di rappresentare alla Commissione medesima, la realizzazione da parte della Banca, sino dal febbraio 2014 (e, dunque, prima dell'approvazione del prospetto previsto dall'art. 94, D.L.vo n. 58/98 cit.), di una strutturata azione commerciale finalizzata alla promozione della partecipazione all'aumento di capitale e concretizzatasi in consigli personalizzati di investimento, cosi ostacolando consapevolmente le funzioni di vigilanza della CONSOB, cui era conseguentemente impedita l'emanazione degli opportuni provvedimenti e l'adozione delle pertinenti iniziative di Vigilanza. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell'art. 116, D.L.vo n. 58/98 cit. ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) n. 2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e punito dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato indicato sub e.l) commesso da - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale, responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), in concorso tra loro, in difetto di un modello di organizzazione idoneo (comunque non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi, e nell'interesse ed a vantaggio della stessa BANCA (...) S.c.p.a., consistiti nel rafforzamento patrimoniale dell'ente perseguito ed attuato con l'operazione dì aumento di capitale compiuta nel corso dell'anno 2014. In (...), in data (...) CONCLUSIONI PEL PROCURATORE GENERALE: Con riferimento agli appelli proposti dagli imputati ZO., MA. e PI. chiede dichiararsi l'improcedibilità con riguardo alle fattispecie medio tempore prescritte, con conseguente rideterminazione della pena, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, Per il resto chiede confermarsi la sentenza. Con riferimento all'appello proposto dall'imputato GI. chiede affermarsi la penale responsabilità del predetto, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando la pena richiesta come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. Con riferimento all'appello proposto da B. in L.c.a. chiede ridursi l'entità della sanzione ex art. 12 comma 2 lett. a) D.Lgs. 231/2001 nella misura massima della metà, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, con irrogazione, per l'effetto, della sanzione pecuniaria nella misura di euro 324.000,00= e conferma nel resto. Con riferimento, infine, agli appelli proposti dal Pubblico Ministero nei confronti degli imputati PE. e ZI. chiede affermarsi la penale responsabilità dei predetti, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando le pene richieste come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di equivalenza. CONCLUSIONI PELLE PARTI CIVILI: Il difensore della parte civile Banca d'Italia, Avv. St.Ce., conclude chiedendo che la Corte rigetti gli appelli degli imputati Gi., Ma., Pi. e Zo. e confermi la sentenza per quanto riguarda le statuizioni civili a favore delta Banca d'Italia, inclusa la conferma della condanna in solido alla provvisionale. In accoglimento degli appelli della Pubblica Accusa, proposti contro gli imputati Pe. e Zi., chiede estendersi ai medesimi le statuizioni civili in favore della Banca d'Italia e per l'effetto la loro condanna in solido al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da liquidarsi in separato giudizio, con condanna a una provvisionale pari a quella stabilita in primo grado. Per il resto conclude come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022. Il difensore della parte civile CONSOB, Avv. Va.Ci., in sostituzione dell'Avv. Deborah Spedicati, chiede la conferma dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato Gi. per il reato di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza svolte da CONSOB, contestato nel capo d'imputazione NI, e la conferma delle statuizioni civili pronunciate in favore della stessa CONSOB, con condanna al pagamento delle spese per questo grado dì giudizio. Si richiama per il resto alla memoria depositata all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Pa.Ci. (67), chiede l'accoglimento delle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Re.Be. (24), si associa alle conclusioni della Procura Generale e si riporta alle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9,2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca. (55), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca., in sostituzione dell'Avv. Br.Ba. (16), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce. (62), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ca.Sp. (205), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimene deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ro.Pa. (163), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ca.Ma. (140), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delie parti civili, Avv. Ca.Ma., in sostituzione dell'Avv. Ni.D'A. (80), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co. (72), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. An.Bu. (42), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. Na.De. (84), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Si.Ba. (13), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ve.Bo. (40), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. An.Ca. (44), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ma.Ma. (139), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Gi.Vi. (219), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa. (160), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa., in sostituzione dell'Avv. Da.Tr. (211), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Pi.Ce. (63), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. St.An. (7), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Lu.Be. (22), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Al.Le. (127), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23,9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Mo. (156), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Sa., in sostituzione dell'Avv. Pi.Lu. (136), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ra.Di. (92), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Si dà altresì atto che all'udienza del 23.9.2022 le parti civili sotto elencate, su invito del Presidente e con l'accordo delle parti, hanno depositano le rispettive conclusioni scritte con allegate note spese, alle quali si riportano integralmente chiedendone l'accoglimento: (omissis) Il difensore delle parti civili, Avv. Fr.Ra., in sostituzione dell'Avv. An.Fi. (105), dichiara di non presentare conclusioni scritte dei propri assistiti e di riportarsi alle conclusioni già depositate in primo grado, chiedendone l'accoglimento, senza ulteriore deposito, CONCLUSIONI DELLE DIFESE MA., PI. e ZO.: Chiedono in principalità l'assoluzione dei rispettivi assistiti, avanzando richieste subordinate come da rispettivi atti di appello e motivi nuovi successivamente depositati, giusta conclusioni rispettivamente rassegnate alle udienze del 28.9.2022 (ZO.), del 30.9.2022 (MA.) e del 5.10.2022 (PI.), alle quali si riportano. CONCLUSIONI DELLA DIFESA GI.: Dichiara di rinunciare espressamente a tutti i motivi enunciati nell'atto di appello tranne che ai motivi nn. II, III, XIII, XX (quest'ultimo peraltro reso oggetto di rinuncia implicita, come da verbale d'udienza 23.9.2022, quanto alla svolta eccezione di nullità della sentenza), XXI, XXII e XXIII. Quanto al trattamento sanzionatorio invoca la rideterminazione in senso più favorevole come da verbale d'udienza 23.9.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA ZI.: Conclude per l'accoglimento del proprio appello e per il rigetto di quello del Pubblico Ministero, come da verbale d'udienza 5.10.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA PE.: Conclude chiedendo il rigetto dell'appello del Pubblico Ministero e la conferma della sentenza di assoluzione, come da verbale d'udienza 30.9.2022. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. La sentenza Con sentenza 19.3.2021, il Tribunale di Vicenza: - dichiarava Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. responsabili, nelle qualità dai predetti rispettivamente rivestite all'interno della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in LCA.), dei reati, siccome loro rispettivamente ascritti in rubrica (il capo NI era ascritto, fra essi, al solo GI.), di aggiotaggio ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 2637 c.c. (reato di cui al capo A1, commesso in Vicenza nel periodo successivo al 27.4,2013 e sino al 2015, in occasione della pubblicazione dei bilanci di esercizio degli anni 2013 e 2014), di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr 1 c.p., 2638 co. II, III c.c., aggravato dalla natura di società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116 D.L.vo 58/98 (capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1, posti in essere in Vicenza, dal maggio del 2012 all'anno 2015, nelle date di cui ai rispettivi capi di imputazione), di falso in prospetto, ex artt. 61 nr. 2, 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 173 bis D.L.vo 58/98 (capi I ed L, posti in essere, in Vicenza, rispettivamente, il 10 giugno del 2013 ed il 9 maggio del 2014) e, esclusa l'aggravante di cui all'art. 112 nr. 1 c.p., riconosciute a tutti gli imputati le attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alle residue aggravanti contestate ed unificati detti reati sotto il vincolo della continuazione, ritenuto più grave il delitto di cui al capo H1, condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione; - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno; - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Dichiarava i predetti imputati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Disponeva nei confronti dei medesimi la confisca per equivalente sino a concorrenza dell'importo di euro 963.000.000. - Dichiarava non doversi procedere nei confronti degli stessi imputati, con riferimento ai reati di aggiotaggio di cui al capo A1 (limitatamente alle condotte contestate fino alla data del 27.4.2013), perché estinti per prescrizione. - Condannava i suddetti imputati, nei termini seguenti, al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili: - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili private di cui all'elenco allegato alla sentenza (con esclusione, relativamente agli imputati GI. e MA., del risarcimento in favore delle parti private Al.Br., Lo.Al., Lo.Da., Lo.Tr., Pi.So. e To.La.), con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute da dette parti; - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile Banca d'Italia, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore della medesima parte, pari ad euro 601,017,39 oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte civile; - Gi.Em. era condannato al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile CONSOB, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore di detta parte nella misura dì euro 186.570,00, oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte avite. - Assolveva Pe.Ma. e Zi.Gi. dai reati loro ascritti perché il fatto non costituisce reato. - Dichiarava, inoltre, Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) e, riconosciuta l'attenuante ex art. 12, co. II, lett. a) D.L.vo 231/01 ed applicata la disciplina della pluralità di illeciti ex art. 21 D.L.vo cit., condannava detto ente al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 364.000,00, oltre al pagamento delle spese processuali, disponendo inoltre, nei confronti del medesimo ente, la confisca della somma di euro 74.212.687,50. - Disponeva, con riferimento alla posizione di Zo.Gi., la trasmissione degli atti al P.M. in relazione all'ipotesi di reato contestata sub capo N1; - Dichiarava improcedibile la domanda risarcitoria avanzata nei confronti del responsabile civile Banca (...) in L.C.A. 1.1 Gli addebiti L'affermazione di penale responsabilità attiene alle vicende emerse a seguito dell'ispezione avviata dalla squadra inviata presso l'istituto di credito vicentino dalla BCE nel febbraio del 2015 in relazione a irregolarità emerse nella gestione dell'attività d'impresa bancaria, irregolarità rappresentate: - dal sistematico ricorso della banca al sostegno finanziario concesso ai clienti/soci per l'acquisto di azioni proprie sul mercato primario e su quello secondario; - dal rilascio, in favore dei soci, di lettere con le quali l'istituto assumeva l'impegno al riacquisto delle azioni ovvero forniva garanzie di rendimento dei titoli; - dagli "storni" di interessi, autorizzati dagli organi di vertice dell'istituto onde neutralizzare i costi dei finanziamenti all'uopo erogati dalla Banca; - dagli investimenti di consistenti risorse in fondi esteri poi utilizzati, almeno in parte, per la detenzione indiretta dì azioni proprie. Tali anomalie operative, per effetto dei provvedimenti adottati all'esito dell'ispezione BCE del febbraio del 2015, avevano generato un impatto negativo sotto il profilo patrimoniale, stimato in circa un miliardo di euro di deduzioni dal patrimonio di vigilanza, come confermato dalla stessa banca verificata nella relazione semestrale del 30.6.2015 e, quindi, nel bilancio d'esercizio 2015. Ne era seguita anche l'iscrizione di rettifiche relative a crediti deteriorati per circa 1,3 miliardi di euro. Quindi, nel 2016, la banca aveva deliberato un piano di rafforzamento patrimoniale che tuttavia non era andato a buon fine (con particolare riferimento all'aumento di capitale, previsto nella consistente misura di 1,5 miliardi, tanto che il Fondo (...) aveva rilevato la proprietà dell'istituto sottoscrivendo aumenti di capitale per complessivi 2,3 miliardi). Di qui la dichiarazione, da parte della BCE, dello stato di dissesto o di rischio di dissesto e, successivamente, ravvio della procedura di LCA, decisa con decreto del Ministro dell'Economia del 25.6.2017. Con sentenza 21.12.2018, poi, il tribunale di Vicenza aveva dichiarato lo stato di insolvenza dell'istituto di credito. E' in questo contesto di crisi - successivamente sfociato, come appena precisato, nella dichiarazione dello stato di insolvenza - che si inscrivono le condotte di aggiotaggio manipolativo ed informativo, di ostacolo alla vigilanza della Banca d'Italia, della BCE e (quanto al solo imputato GI.) della CONSOB, nonché di falso in prospetto, condotte che costituiscono (oltre agli illeciti amministrativi contestati all'ente Banca (...) in L.C.A.) gli addebiti ritenuti provati nella pronunzia del tribunale di Vicenza. In particolare gli imputati, nelle loro rispettive qualità di esponenti di vertice dell'istituto bancario, avrebbero posto in essere una serie di azioni coordinate finalizzate alla manipolazione del mercato, attraverso una artificiosa rappresentazione di una solidità patrimoniale della banca in realtà inesistente e della liquidità del titolo azionario, mediante la sistematica concessione di assistenza finanziaria ai clienti per l'acquisto di azioni della banca, l'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo del valore delle azioni finanziate ed il mantenimento di un valore sovradimensionato del suddetto titolo (aggiotaggio manipolativo). Avrebbero, altresì, diffuso informazioni mendaci (prevalentemente attraverso la emissione di comunicati stampa indirizzati al mercato ed ai soci) inerenti alla situazione della banca, alla liquidità del titolo azionario e al pieno successo delle operazioni di aumento di capitale effettuate negli anni 2013 e 2014 (aggiotaggio informativo). Inoltre avrebbero posto in essere condotte di ostacolo alla vigilanza ai danni della Banca d'Italia e della BCE occultando la sistematica attività di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie e in tal guisa impedendo l'adozione di tempestivi piani di vigilanza coerenti con la reale situazione della banca, conseguendo, inoltre, l'autorizzazione alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale primario di classe 1 e superando positivamente, infine, il Camprehensive Assessment (ovverosia l'esercizio di valutazione approfondita con il quale la BCE aveva verificato lo stato di salute delle principali banche europee) con l'effetto di accedere al Meccanismo Unico di Vigilanza. Il solo GI., poi, avrebbe ostacolato la vigilanza della CONSOB in relazione all'aumento di capitale 2014, omettendo la rappresentazione delle operazioni commerciali finalizzate alla promozione dell'aumento di capitale in questione. Ulteriori condotte delittuose poste in essere dagli imputati, infine, sarebbero state quelle di falso in prospetto in relazione alla predisposizione e diffusione dei prospetti informativi inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni all'atto degli aumenti di capitale degli anni 2013 e 2014. Nell'occasione, infatti, per un verso, sarebbero state occultate le informazioni inerenti al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie; e, per altro verso, sarebbero state comunicate informazioni fuorvianti in merito all'andamento del mercato secondario delle azioni stesse. Nel complesso si sarebbe trattato di condotte tutte avvinte da un evidente nesso di strumentalità in quanto sistematicamente ispirate dalla medesima intenzione, da un lato, di creare un'apparenza di liquidità del titolo azionario e, dall'altro, di accreditare la solidità patrimoniale dell'istituto di credito. Solo in quest'ottica, del resto, nella prospettiva d'accusa, sarebbero interpretabili le condotte dei singoli imputati, altrimenti del tutto prive di senso, posto che le corrette attività di appostazione della riserva di bilancio e di scomputo del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza avrebbero reso prive di ogni effetto le operazioni correlate. Di qui la contestazione della responsabilità concorsuale degli imputati. 1.2 Il compendio probatorio Il giudizio di penale responsabilità scaturiva dalla valutazione coordinata di un panorama probatorio assai vasto e composito, segnatamente costituito da elementi di natura testimoniale (deposizioni degli agenti operanti, di ex dirigenti dell'istituto di credito, nonché di funzionari e dipendenti della banca, di clienti, ecc.) e documentale (e-mail, documenti contabili, verbali del CdA, piani industriali, ecc.), dagli esiti di operazioni di intercettazione telefonica, nonché dalle conclusioni cui erano pervenute approfondite attività di ispezione; conclusioni, queste ultime, che erano state dapprima documentate attraverso l'acquisizione delle relative relazioni e, quindi, confermate e precisate in sede di escussione dibattimentale degli ispettori e dei funzionari di vigilanza. Inoltre un rilievo significativo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato anche all'approdo cui era pervenuta la meticolosa attività di ricostruzione di quegli aspetti della gestione aziendale rilevanti ai fini della compiuta comprensione delle reali dinamiche e della esatta portata del fenomeno delle operazioni di capitale finanziato siccome effettuata dai consulenti tecnici del P.M.. Costoro, in effetti, avevano ripercorso, attraverso uno scrupoloso vaglio della notevole mole della documentazione disponibile, tutte le singole operazioni giungendo ad una precisa quantificazione del fenomeno; quantificazione, peraltro, sostanzialmente allineata, seppure per difetto, ai dati indicati dalla stessa banca nella Relazione sulla Gestione dei bilanci 2015-2016 (euro 1086,9 mln). Le indagini della GdF, poi, avevano consentito di riscontrare le evidenze ispettive e di delineare compiutamente il contributo fornito dai singoli imputati. Infine, anche la relazione ex art 33 L.f. - nella quale erano stati compendiati gli esiti di un accurato esame dei bilanci e degli indici di redditività, efficienza e solidità patrimoniale, nonché dei margini di struttura essenziale dell'istituto di credito - aveva rappresentato un prezioso contributo (peraltro convergente con le ulteriori risultanze processuali) per l'esatta comprensione del fenomeno del capitale finanziato. 1.3 La competenza Il tribunale, dopo avere premesso che la questione della competenza territoriale avrebbe dovuto essere valutata alla stregua delle indicazioni contenute nell'imputazione nonché delle allegazioni delle parti unicamente relative al fatto storico siccome stigmatizzato nell'imputazione medesima (fatta salva l'ipotesi - espressamente esclusa dal primo giudice - che dal capo di incolpazione emergessero macroscopici errori, immediatamente rilevabili come tali), ribadiva la competenza territoriale dell'a.g. vicentina, siccome già affermata (in sede di udienza preliminare e, quindi, negli atti preliminari al dibattimento), ritenendo le eccezioni difensive inammissibili e, comunque, infondate. Sotto il primo profilo il tribunale di Vicenza, per un verso, richiamava il contenuto della decisione della Corte di Cassazione (Cass. Sez. I, nr. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018) che - già investita della questione a seguito di conflitto negativo sollevato dal GIP di Milano - aveva in tal senso deliberato, la trama argomentativa della quale veniva dal primo giudice puntualmente ripercorsa; per altro verso evidenziava il difetto di fatti nuovi idonei a superare tale decisione (posto che il capo di incolpazione, medio tempore, non aveva subito sostanziali modifiche), concludendo, quindi, per la vincolatività della decisione medesima. In ogni caso, sotto il secondo profilo (quello dell'infondatezza delle eccezioni di incompetenza), il tribunale respingeva le ricostruzioni difensive che individuavano in Roma il luogo di commissione del più grave reato contestato sub B1, trattandosi del luogo nel quale aveva sede la Banca d'Italia e ove, pertanto, detto istituto aveva ricevuto il rendiconto ICAAP (Internal Capital Adequacy Assessment Process), al momento della ricezione (ovvero della valutazione) del quale - sempre secondo le prospettazioni difensive -, atteso il contenuto asseritamente decettivo del documento in questione, si sarebbe verificato l'evento di ostacolo. Ciò in ragione del fatto che la falsa informazione - sub specie di "occultamento fraudolento" - contenuta in tale documento non rientrava affatto nel perimetro dell'imputazione di riferimento; imputazione che - precisava il primo giudice - circoscriveva al periodo ricompreso tra l'inizio e la fine dell'ispezione il momento di commissione delle attività di intralcio alla vigilanza. Assegnare rilievo, sul punto, all'invio del citato documento da parte del coimputato So.Sa. (posizione stralciata e giudicata separatamente), infatti, avrebbe significato modificare indebitamente il capo di imputazione (peraltro inserendovi una condotta che, nella sua materialità, sarebbe stata espressione di una differente modalità di aggressione al bene giuridico presidiato dalla fattispecie incriminatrice), con conseguente contestazione di un fatto nuovo. Più nel dettaglio il tribunale non condivideva le osservazioni difensive, le quali: - da un lato evidenziavano come il capo di imputazione sub B1, là dove faceva riferimento all'occultamento o, comunque, alla mancata comunicazione di informazioni, necessariamente ricomprendesse, tra le comunicazioni "fuorvianti", anche la suddetta comunicazione ICAAP (sulla base della quale, del resto, l'ente incaricato della vigilanza aveva determinato l'oggetto dell'attività ispettiva che di lì a poco avrebbe svolto presso la sede dell'istituto vigilato); - dall'altro lato contestavano che dall'indicazione del tempus commissi delicti siccome precisato in imputazione potessero desumersi effetti decisivi in ordine alla delimitazione del perimetro dell'imputazione, trattandosi di indicazione - espressione dell'avvenuta, censurabile selezione, da parte del P.M., di una sorta di "finestra temporale" non corrispondente alle evidenze disponibili - non certo prevalente, sempre secondo le difese, rispetto alla descrizione del fatto siccome esposto nel capo di imputazione medesimo. Ad avviso del primo giudice, invero, la prospettazione d'accusa era chiara nell'individuare l'oggetto dell'addebito nelle condotte poste in essere nel corso dell'attività ispettiva, condotte rispetto alle quali l'invio della citata comunicazione ICAAP costituiva un fatto autonomo, estraneo a quello contestato sub B1 e neppure preso in considerazione come antecedente causale delle medesime condotte incriminate. Conclusivamente, l'eccezione di incompetenza territoriale, avanzata in relazione all'asserito rilievo da assegnarsi, sul punto, alla citata comunicazione ICAAP, oltre ad essere inammissibile per difetto di sopravvenienze rilevanti ex art, 25 c.p.p. (l'addebito di riferimento essendo rimasto inalterato rispetto all'imputazione provvisoria valutata dalla citata Cass. 15537/2018), era comunque infondata. Infine, neanche poteva sostenersi la competenza territoriale dell'a.g. milanese, pure prospettata da talune difese facendo leva sulle contestazioni di falso in prospetto di cui ai capi I ed L della rubrica. Si era in presenza, infatti, di reati puniti con pena edittale inferiore rispetto a quella prevista per il reato ex art. 2638 c.c., siccome nella specie aggravato ai sensi del comma terzo. In effetti, il raddoppio delle pene previsto dall'art. 39 co. 1 L. 262/05 non poteva ritenersi applicabile alla fattispecie in esame, in quanto modificata, anche in punto di trattamento sanzionatorio, dal medesimo intervento legislativo, come arguibile dalla ratio di detto intervento, quale ricavabile tanto dal tenore della disposizione ex art. 39, co. 3 L. cit., quanto dai relativi lavori preparatori. In ogni caso - e fermo, comunque, il principio di irretrattabilità del foro commissorio sancito dall'art. 25 c.p.p., - anche i reati di cui ai predetti capi I ed L erano stati commessi in Vicenza, presso la sede della banca vicentina, all'atto della pubblicazione dei prospetti informativi, tale essendo il momento consumativo del reato (e non già in Milano, sede della CONSOB, presso la quale detti prospetti erano stati depositati per l'approvazione). Donde la conferma della competenza del tribunale berico. 1.4 Il patrimonio di vigilanza e l'acquisto di azioni proprie: quadro normativo di riferimento Il tribunale, dopo avere esplicitamente richiamato il quadro normativo in ordine alla vigilanza informativa, regolamentare ed ispettiva sul settore bancario ed avere puntualmente delineato nozione e caratteristiche del "patrimonio di vigilanza" (nella sua accezione più ampia rispetto al semplice "patrimonio aziendale", in quanto ricomprendente, oltre al capitale sociale e alle riserve, anche gli strumenti di natura non strettamente patrimoniale ma rappresentanti "canali di patrimonializzazione"), precisava come, alia stregua delle disposizioni in materia, il "patrimonio di vigilanza" dovesse necessariamente corrispondere quantomeno all'ammontare del patrimonio interno assorbito dalle attività bancarie, in ragione della funzione assegnatagli di copertura dei rischi di mercato, operativo e di credito. Quindi, richiamati gli indici di riferimento per la valutazione delia capacità degli istituti di credito di sostenere le proprie attività in presenza dei rischi tipici ed evocata, altresì, la più recente disciplina di riferimento, il primo giudice precisava come il patrimonio di vigilanza complessivo dovesse intendersi costituito dalla somma algebrica tra il "patrimonio di base o capitale di classe 1" (Tier 1) e il "patrimonio supplementare o capitale di classe 2" (Tier 2), intesi come insieme di risorse capaci di assorbire le perdite, rispettivamente, in condizioni di continuità di impresa, ovvero di stato di crisi-In un siffatto contesto - proseguiva il tribunale - l'attività di vigilanza della Banca d'Italia assolveva, tra l'altro, alla funzione di valutare se gli strumenti finanziari emessi dagli istituti di credito fossero o meno computabili come strumenti di capitale primario, con la precisazione che, tra gli strumenti destinati ad essere integralmente dedotti dal capitale primario, rientravano certamente gli investimenti in azioni proprie (ivi comprese quelle che la banca fosse stata contrattualmente obbligata ad acquistare), e questo all'evidente fine di evitare il doppio computo del capitale. Con specifico riferimento al periodo interessato dalle imputazioni (2012-2015), poi, il giudice di prime cure puntualizzava come la composizione del patrimonio di vigilanza fosse disciplinata dalle Circolari della Banca d'Italia n. 263 del 27.12.2006 e n. 155 del 18.12.1991, circolari che, identificando il patrimonio di vigilanza come la somma algebrica tra il patrimonio di base (Tier 1) e il patrimonio supplementare (Tier 2), al netto delle deduzioni, esigevano che il rapporto tra il Tier 1 ed il totale delle esposizioni creditizie ponderate non dovesse essere inferiore al 4,00% e che il patrimonio di vigilanza, inteso come la somma di patrimonio di base Ver 1 e patrimonio supplementare Tier 2, dovesse essere almeno pari all'8% delle attività ponderate per il rischio. La Circolare n. 263/2006, poi, non prevedeva alcuna autorizzazione della Banca d'Italia per la computabilità delle azioni proprie nel patrimonio di vigilanza. Inoltre, a decorrere dal 2014, la disciplina di riferimento era costituita dal regolamento UE n. 575/2013 (Capital Requirements Regulation - CRR) e dalla Circolare della Banca d'Italia n. 286 del 17 dicembre 2013, con l'effetto che alla nozione di patrimonio di vigilanza era subentrata quella di "fondi propri" (costituiti dalle tre componenti: CET1, Additional Tier 1 e Tier 2), Secondo il CRR le banche avrebbero dovuto disporre di un requisito di capitale primario di classe 1 (CET) pari al 4,5% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio, di un requisito di capitale di classe 1 (Tier 1) pari al 6% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio e, infine, di un patrimonio di vigilanza totale (patrimonio di base più patrimonio supplementare) pari all'8% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio. Ciò posto, il primo giudice, con riferimento al tema dell'acquisto delle azioni proprie da parte di un istituto di credito, richiamava i limiti progressivamente sempre più stringenti introdotti sul punto, oltre alle specifiche condizioni legittimanti le autorizzazioni in materia da parte dell'autorità di vigilanza, sottolineando come il principio dell'obbligatoria deduzione dal patrimonio di vigilanza delle azioni riacquistate fosse rimasto immutato nel tempo, trattandosi di principio (nel periodo 2006-2013 previsto dalle citate circolari della Banca d'Italia, come progressivamente aggiornate) essenziale per la tutela dei terzi, posto che, nel momento in cui la banca finanziava l'acquisto di azioni proprie, l'apporto patrimoniale era destinato ad assumere carattere fittizio, inidoneo a incrementare il patrimonio destinato alla copertura di rischi e perdite aziendali. E, in proposito, il primo giudice delineava puntualmente il regime prudenziale previsto successivamente all'1.1.2014, regime nel cui ambito rilevava anche il processo interno di autodeterminazione dell'adeguatezza patrimoniale che gli istituti di credito erano chiamati ad effettuare e di cui avrebbero dovuto comunicare gli esiti alfa Banca d'Italia attraverso una apposita comunicazione (ICAAP) - la responsabilità della quale era rimessa agli organi societari di amministrazione e di controllo - destinata ad illustrare le caratteristiche di tale processo. Era proprio il resoconto ICAAP - proseguiva il tribunale - a consentire all'organo di vigilanza di effettuare una valutazione completa (destinata a concludersi con l'attribuzione di un punteggio ricompreso tra 1 e 5) delle caratteristiche qualitative fondamentali (attraverso un'attività di supervisione denominata SREP/Supervisory Review Evaluation Process, caratterizzata anche da un confronto diretto tra organo di vigilanza ed istituto vigilato). 1.5 La ricostruzione dei fatti. 1.5.1 L'ispezione della BCE del febbraio 2015 ed i riscontri all'analisi BCE. In ordine all'ispezione BCE del febbraio 2015 - avviata dopo che una serie di evidenze (ivi compresa la pubblicazione, a ottobre del 2014, di un articolo sul quotidiano "Il Sole 24 Ore", a firma Cl.Ga., nel quale si era fatto espresso riferimento proprio al tema del finanziamento delle azioni) avevano fatto emergere come la B. avesse riacquistato azioni proprie in difetto della previa autorizzazione alla vigilanza - il Tribunale precisava che detta ispezione, svoltasi dal febbraio al luglio del 2015, aveva effettivamente dimostrato il diffuso ricorso da parte dell'istituto di credito ad operazioni di assistenza finanziaria ai soci per l'acquisto di azioni proprie; azioni che, proprio in quanto acquistate con finanziamenti concessi dall'emittente, non avrebbero dovuto essere conteggiate nel patrimonio di vigilanza (ovverosia nei "fondi propri", secondo la terminologia adottata dall'art. 28, par. 1, lett. B, CRR). Sulla base, in particolare, della puntuale deposizione dell'ispettore Em.Ga. (responsabile del team della vigilanza), il primo giudice ricostruiva dettagliatamente natura, svolgimento ed esiti dell'ispezione in questione. Ebbene, si era trattato di una ispezione sul rischio di mercato, finalizzata, nell'ordine: - a verificare eventuali fenomeni di assistenza finanziaria relativi alle operazioni di aumento di capitale; - a controllare la corretta valutazione del prezzo delle azioni; s ad analizzare, infine, le operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi sottoscritti alla fine del 2012 dalla banca vigilata. L'arco temporale di riferimento assunto dagli ispettori era stato quello tra il 1.1.2014 ed il 28.2.2015. Il c.d. "mini aucap", poi, non era stato incluso nell'accertamento perché, in tale occasione, la banca aveva effettuato operazioni dì taglio piccolo (6250 euro/100 azioni) per le quali aveva espressamente previsto la possibilità di finanziamento da parte dello stesso istituto di credito, con corretta deduzione delle azioni acquistate dal patrimonio di vigilanza. Per il mercato secondario, poi, erano state analizzate tutte le operazioni per un controvalore superiore ai 250.000 euro. Quanto alla metodologia operativa seguita per intercettare le operazioni di capitale finanziato erano stati adottati criteri dì tipo quantitativo e qualitativo. Sotto il primo profilo erano state tracciate le operazioni caratterizzate da "una relazione forte" tra ammontare finanziato e sottoscritto (nel senso che il "finanziato" avrebbe dovuto essere superiore al "sottoscritto", sia con riferimento alle operazioni "full", ovverosia quelle in cui l'intero finanziamento era stato utilizzato per l'acquisto delle azioni; sia a quelle cc.dd. "fifty-fifty", ovverosia nelle quali solo una parte del finanziamento era stato impiegato per l'acquisto dei titoli). In ordine al dato temporale erano stati analizzati, in relazione al mercato primario, solo i finanziamenti concessi nel "periodo sospetto", ricompreso tra la data di inizio del collocamento e il giorno della consegna del titolo al cliente (c.d. delivery date), pari a circa tre mesi. Diversamente, in ordine al mercato secondario, erano state analizzate tutte le operazioni di acquisto in cui i finanziamenti erano stati erogati nei tre mesi antecedenti (posto che dai colloqui avuti con Se.Ro., addetto all'ufficio soci, gli ispettori avevano appreso che la tempistica media seguita dalla banca per evadere un ordine di acquisto di azioni non superava, per t'appunto, ì 90 giorni circa). In ogni caso - precisava il tribunale - gli ispettori avevano verificato che, generalmente, ì finanziamenti erano risultati concessi pochi giorni prima dell'esecuzione dell'ordine di acquisto. Altri elementi considerati ai fini ispettivi erano stati l'analisi dei conti, quasi tutti caratterizzati da bassissima operatività, nonché la valutazione delle P.E.F., (ovverosia le pratiche elettroniche di fido), risultate costantemente connotate dall'indicazione di causali estremamente generiche e ripetitive e, pertanto, ritenute sintomatiche di "operazioni eccentriche". Inoltre, anche la circostanza che le operazioni fossero "operazioni in bianco" (ovverosia prive di garanzia) costituiva una prassi anomala rispetto ai normali standard creditizi di sana e prudente gestione del portafogli creditizio di una banca. Quindi, con specifico riferimento agli esiti dell'ispezione, il tribunale illustrava le seguenti evidenze: a) l'esistenza di capitale finanziato per un importo complessivo di 506 milioni, capitale che, proprio in quanto oggetto di finanziamento, avrebbe dovuto essere detratto dal patrimonio di vigilanza; b) il rilascio di lettere di impegno collegate ad acquisti sul mercato secondario (peraltro non registrate nella contabilità aziendale né rappresentate nei documenti di bilancio) con le quali l'istituto si era vincolato al rimborso del capitale investito dagli azionisti nella banca, A fine ispezione, in relazione a tali lettere di impegno (la scoperta delle quali - precisava il tribunale sulla scorta della deposizione del teste Em.Ga. - aveva rappresentato un vero e proprio punto di svolta nell'ispezione, trattandosi della prova documentale della consapevolezza, da parte del management, del carattere finanziato dell'acquisto delle azioni), l'istituto era stato costretto a dedurre dal CET 1 circa 21 milioni di euro; c) il fenomeno degli storni di interessi alla clientela fonde tenerla indenne dei costi derivanti dal finanziamento correlato all'acquisto delle azioni). In alcuni casi si era trattato di storni non "baciati" da finanziamenti e, pertanto, sintomatici di un comportamento concludente dell'azienda finalizzato a riconoscere al cliente un corrispettivo per il possesso delle azioni, con conseguente accrescimento dei rischi legale e reputazionale a carico dell'azienda medesima. Peraltro la pratica degli "storni" aveva generato un vincolo sul rendimento delle azioni tale da precluderne la computabilità nel patrimonio di vigilanza; d) la sopravvalutazione del valore dell'azione, valore deciso a monte dal CdA senza considerare i dati fondamentali dell'azienda sotto il profilo economico-patrimoniale; profilo, in effetti, caratterizzato da risultati economici modesti; e) lo squilibrio del mercato secondario delle azioni, in quanto connotato da una marcata asimmetria tra ordini di acquisto e ordini di vendita (572,5 milioni contro 1.000.000,000, nel periodo gennaio 2013 - dicembre 2014); asimmetria, peraltro, risultata all'origine proprio del ricorso al capitale finanziato, quale strumento per contrastare l'illiquidità del titolo; f) l'investimento per euro 350,000.000 nei fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" ad esposizione sconosciuta, effettuato in modo non prudente né trasparente. Si trattava, in effetti, di fondi ad esposizione non comunicata, dei quali, sostanzialmente, B. era sottoscrittore unico (sicché, più che di fondi, si era in presenza di una gestione patrimoniale delle risorse dell'istituto di credito). Né i dirigenti della banca avevano fornito delucidazioni agli ispettori sulla natura degli investimenti in detti fondi se non a seguito della comunicazione che la mancata disclosure avrebbe comportato lo scomputo dell'intero importo di 350 milioni di euro dal patrimonio di vigilanza. Solo a quel punto, infatti, erano stati comunicati gli investimenti sottostanti ed era così emerso non solo che detti fondi avevano investito in asset in buona parte legati allo stesso istituto di credito ma, soprattutto, che i fondi medesimi erano stati lo strumento utilizzato per l'acquisto di azioni proprie, nel 2012, per un importo di 60 milioni di euro (in luogo di quello dichiarato di 54 milioni circa), titoli poi dismessi al 31 dicembre del 2014; g) l'esistenza della società di diritto irlandese B.Fi., utilizzata anche per alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato (operazioni relative, segnatamente: a) alla campagna "svuota fondo" 2012, tradottasi nell'acquisto dì azioni proprie, per il valore complessivo di 30 milioni di euro, per il tramite delie società italiane denominate Pe., Gi. e Lu., all'uopo provviste del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate da B.Fi.; b) alla dismissione delle azioni proprie detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" ed "(...)" ed acquistate, per una rilevante percentuale, dalla società So. Ltd. a mezzo di un finanziamento erogatole dalla predetta società di diritto irlandese B.Fi.). In definitiva - precisava il primo giudice - gli esiti cui era pervenuta l'attività ispettiva avevano generato un impatto deflagrante sul patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito, comportandone la riduzione per un valore di 607 milioni di euro (come da tabella riassuntiva riportata a pag. 288 della sentenza impugnata). Ne era seguita la predisposizione di un radicale piano di rafforzamento del capitale, onde consentire alla banca di rientrare immediatamente nei parametri richiesti dalla BCE. Nondimeno, nel prosieguo, la verificata impraticabilità degli interventi necessari a ripristinare la corretta operatività dell'istituto ne aveva imposto la liquidazione coatta amministrativa. Quindi, in ordine alla capacità probatoria da riconoscersi, nei limiti delineati dalla giurisprudenza di legittimità, agli accertamenti ispettivi, il tribunale precisava che tale capacità derivava, segnatamente, dalla competenza del personale dell'organo di vigilanza; dalla imparzialità propria dì tale organo (le cui valutazioni, del resto, avevano determinato un nuovo assetto di governance dell'istituto di credito); dalla coerenza, infine, tra gli esiti dell'ispezione e quanto verificato dai consulenti del P.M.. Peraltro anche il dott. Fe.Pa., consulente della difesa dell'imputato PE., aveva rimarcato il carattere "profondamente innovativo" e metodologicamente "ineccepibile" dei criteri seguiti dal team ispettivo nel corso della vigilanza, sottolineando anche la natura prudenziale dell'accertamento (sottostimato) che ne era derivato in punto di quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre - precisava il tribunale - numerosi erano stati i riscontri all'analisi della BCE. Trattavasi: a) dello squilibrio del mercato secondario, siccome manifestatosi a partire dal 2011 (squilibrio che, in difetto del ricorso al finanziamento delle azioni, avrebbe portato al "blocco della liquidità" già dal secondo trimestre del 2012; b) delle dichiarazioni di numerosi esponenti del management aziendale (segnatamente: i testi Fi.Ro., responsabile dell'Ufficio Soci, e Se.Ro., addetto allo stesso Ufficio Soci, i quali avevano rievocato l'incremento della richiesta di vendita delle azioni a partire dagli anni 2011/2012 e l'abbandono del relativo criterio cronologico a decorrere dallo stesso 2011; il teste Co.Tu., il quale aveva riferito che già dal 2009 erano state effettuate "operazioni svuota fondo" - rivolte cioè ad azzerare il fondo acquisto azioni proprie della banca - a ridosso della fine dell'anno per abbellire il bilancio; il teste Ma.Ba., il quale aveva dichiarato che dalla metà del 2011 aveva iniziato a sentire parlare di "operazioni K", finanziamenti correlati e operazioni c.d. "baciate" nel corso delle riunioni della Divisione Mercati con i capi area; l'ex direttore generale dal 2001 al 2005 e dal 2008 all'ottobre 2011, Di.Gr., il quale aveva confermato le tensioni sul mercato a causa della scarsità di domande di acquisto delle azioni, tensioni da lui fronteggiate rivolgendosi a investitori istituzionali che avevano comprato azioni B. con intesa verbale di riacquisto); c) degli appunti del segretario generale Ma.So. relativi alle operazioni c.d. "baciate", dal medesimo teste definite come operazioni sulle quali, dietro indicazione dei vertici aziendali, occorreva "spingere" per aumentare il capitale; d) degli ulteriori riscontri documentali in ordine all'andamento asimmetrico del mercato secondario (in particolare la e-mail di cui al documento nr. 166 e l'appunto di cui al documento 881 prodotti dal P.M. - cfr. pag. 304 della sentenza impugnata); e) delle attività "svuota fondo", attuate anche attraverso le operazioni c.d. "baciate" (per un importo stimato dai CCTT del P.M., con riferimento all'anno 2012, pari a 287 milioni di euro), delle quali avevano complessivamente riferito svariati testi (segnatamente i testi Fi.Ro., En.Da., Gi.Ca., Ma.Ba., Co.Tu. e Fr.Pi.); f) delle stesse dichiarazioni rese, nel corso del suo esame, dall'imputato Gi.Zi. (il quale aveva riferito che alla fine del 2012, attraverso la sua società Ze. s.r.l. aveva acquistato azioni dell'istituto di credito per "dare una mano alla banca" e consentire lo sblocco di richieste di vendita inevase); g) della ricostruzione del fenomeno del capitale finanziato siccome effettuata dall'Internal audit (e compendiata nel documento nr. 22 prodotto dal P.M.); h) delle dichiarazioni dibattimentali del teste Ro.Ri., gestore private di Contrà Porti (il quale aveva riferito delle modalità di attuazione delle operazioni più consistenti di capitale finanziato - i cc.dd. "big ticket" -caratterizzate da un arco temporale ristretto di 6/12 mesi e dalla corresponsione di un compenso variabile tra lo 0,50% e il 2%); i) delle articolate modalità di occultamento delle operazioni correlate, costituite, segnatamente: dal divieto di comunicazioni scritte (come riferito dai testi Co.Tu., Al.Cu. e Gi.Gi.; il teste Fr.Te., dal canto suo, aveva parlato di un eccesso di riservatezza al riguardo); dall'utilizzo di formule generiche nelle causali degli affidamenti (in particolare "cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare e/o immobiliare") tali da occultare all'esterno - ma, al contempo, da rendere immediatamente riconoscibili all'interno - le operazioni correlate; dal distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni; dalla cura prestata nell'evitare l'assoluta coincidenza di importo tra finanziamento ed azioni acquistate; e, infine, dall'inserimento nel portafoglio titoli dei clienti anche di azioni diverse; j) dell'esistenza delle lettere di impegno (l'Internal audit ne aveva censite in numero di 65); k) degli "storni" di interessi, siccome verificati anche dalle attività di audit (il documento richiamato era quello nr. 18 della produzione del P.M.) e oggetto di deposizione testimoniale (segnatamente, le deposizioni di Da.Es., funzionario addetto al "Risk Management", nonché quelle di Co.Tu., di Gi.Ca. e di Lu.Ve.); l) delle modalità seguite per il collocamento delle azioni quali evidenziate, ancora, dalla relazione di audit (modalità costituite: dall'acquisto con mezzi propri a fronte della promessa di una remunerazione proveniente dal pagamento dei dividendi, associata all'eventuale plusvalenza del prezzo dell'azione con eventuali scostamenti compensati attraverso storni di competenze non giustificati; dall'acquisto con mezzi propri di azioni B. per circa il 50% dell'importo disponibile e sottoscrizione per la parte rimanente di un time deposit a tasso di favore, in linea di massima del 4%, acquisto, questo, proposto a partire dal 2013; da finanziamenti "baciati" con storno competenze/spese e rendimento garantito, con durata, in genere, di 6/12 mesi; da fidi per "operazioni K" concessi a clienti cui era proposto un affidamento per ragioni proprie del cliente e con erogazione condizionata alla sottoscrizione di almeno il 10% dell'operazione per acquisto di azioni proprie; operazione, questa, poi estesa anche alle posizioni con fidi a revoca da revisionare su clienti individuati in tabulati forniti dalla Divisione Mercati; dall'acquisto di azioni proprie proposto in occasione di affidamenti su clientela con rating compreso tra 1 e 5 per il retati (ovverosia per i singoli clienti) e tra 1 e 6 per il corporate (ovverosia per le imprese); m) dei riscontri dibattimentali in ordine alla prassi adottata dai vertici dell'istituto per dare attuazione alle operazioni correlate con l'obiettivo di raggiungere, sia in occasione dei nuovi finanziamenti che nelle procedure di rinnovo, il rapporto del 10% tra il capitale sottoscritto e l'importo erogato. Dalle dichiarazioni dei testi, invero, era emersa la forte pressione praticata sulla rete aziendale per la conclusione delle operazioni "baciate" (deposizioni Al.Ba., Gi.Gi., Co.Tu., Ma.Ni., Di.Ip., Al.Cu.) al punto tale che alcuni collaboratori, come i private banker An.Vi. e Fr.Te., avevano rassegnato le dimissioni (il Te. proprio sul rilievo della contrarietà etica rispetto alle operazioni di capitale finanziato). Il verbale di conciliazione successivo alle dimissioni del Te., peraltro, aveva previsto l'inserimento di una clausola di riservatezza. Anche i bollettini sindacali acquisti nel corso del dibattimento, infine, avevano comprovato, così come le e-mail parimenti acquisite, le pressioni per il raggiungimento degli obiettivi di capitale assegnati (cfr. pagg. 317-318 della sentenza); n) delle dichiarazioni dibattimentali rese da clienti di rilievo (cfr. dep. Lo., Fe., Mo., Ro., To., Ti., Ma., Ca., Ma., Br., Ca., Gi. e Si.Ra.) che avevano concluso le operazioni aventi ad oggetto i "big ticket', là dove costoro avevano concordemente delineato lo schema operativo di riferimento (operazione a termine/apertura conto corrente dedicato/remunerazione variabile tra lo 0,5% e l'1%); o) delle dichiarazioni rese dall'ispettore Gi.Ma. (confermate dalla testimonianza del direttore regionale B. della Lombardia, della Liguria e del Piemonte, Gi.Gi. e dal direttore di B.Fi. Pi.Ra.) con specifico riferimento alle modalità operative seguite per realizzare lo "svuota fondo" del 2012 attraverso la società controllata irlandese B.Fi. per il tramite delle tre società italiane Pe., Lu. e Gi., all'uopo provviste -come detto sopra - del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate, per l'appunto, da B.Fi.; p) dell'operazione di acquisto di un'importante frazione delle azioni B. già detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", effettuata dalla società So. Ltd. per l'importo di 25 milioni di euro, secondo quanto emerso dalle stesse risultanze delle attività di revisione interna nonché dal contenuto delle deposizioni dibattimentali, ivi compresa quella di Iorio Francesco, amministratore delegato e d.g. di B. dal 1.6.2015 al 4,12,2016; questi aveva confermato come, di fatto, i suddetti fondi esteri fossero stati utilizzati sia per acquistare in origine azioni della banca sia per effettuare investimenti in società riconducibili a soggetti già finanziati dall'istituto (investimenti, questi ultimi, che, generando un rischio aggiuntivo, avrebbero imposto che fosse seguito un iter autorizzativo ben diverso, con competenza al rilascio del benestare da parte del CdA - cfr. pagine 325-329 della sentenza); q) delle dimissioni del private banker An.Vi., generate dalle pressioni ricevute per concludere le operazioni "baciate" e dall'atteggiamento dilatorio assunto dal d.g. Sa.So. a seguito delle conseguenti richieste di approfondimento della vicenda provenienti dal responsabile dell'audit Ma.Bo. (cfr. deposizione Vi. e documentazione di riferimento); r) della denunzia del fenomeno degli acquisti correlati effettuata, nel corso dell'assemblea del 26 Aprile 2014, dal socio Ma.Da. e della conseguente inerzia degli organi societari; s) delle anomalie riscontrate in occasione della revisione legale del bilancio della banca da parte della società K. in punto di adeguatezza patrimoniale con particolare riferimento alle operazioni fatte in contestualità, anomalie che avevano indotto la responsabile dell'ufficio legale interno a sollecitare l'esecuzione di un apposito audit ottenendo, tuttavia, un fermo diniego da parte del d.g. So. e di Pi.An., responsabile della Divisione Finanza (il quale ultimo aveva replicato: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa" - cfr. deposizione An.Pa., responsabile dell'ufficio legale interno); t) del contenuto del file audio (ritenuto dal tribunale utilizzabile, trattandosi di documento registrato dagli addetti informatici a ciò deputati e non già di abusiva registrazione effettuata da ignoti, donde il rigetto della relativa eccezione avanzata dal difensore dell'imputato MA.) inerente allo svolgimento dei lavori del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Tale registrazione aveva inequivocabilmente documentato tanto l'esistenza del fenomeno delle operazioni "baciate" quanto l'approntamento di strategie per occultare tale fenomeno alla vigilanza (cfr. pagg. 335-336 della sentenza); u) dell'allestimento della "Task Force gestione soci" che, nelle intenzioni dei vertici della banca, avrebbe dovuto approntare, in extremis, una strategia difensiva in relazione ai diversi profili di irregolarità emersi nel corso degli accertamenti ispettivi e favorire l'assunzione di una posizione comune a fronte delle sempre più pressanti richieste da parte dei clienti, dei reclami relativi al deprezzamento delle azioni e del rischio di fuga dei correntisti. Era stata proprio la questione, emersa sin dalle prime interlocuzioni, del fenomeno del capitale finanziato, peraltro di dimensioni notevolissime (pari a un miliardo di euro, secondo il teste Ma.Li.) che, di fatto, aveva impedito alla Task Force di esplicare qualsivoglia concreta attività (cfr. deposizione del teste Gi.Am.; e-mail di cui ai documenti nn.ri 525, 528 del P.M:); v) della quantificazione del capitale finanziato chef determinata dall'audit interno, su incarico BCE, nella misura di euro 941.335.883 e riferita a nr. 917 posizioni correlate, era poi stata fissata dalla società Er. (all'esito di una accurata ricostruzione del fenomeno, a partire dall'anno 2008, che aveva visto coinvolti il personale della Divisione Mercati ed i singoli capi area, questi ultimi richiesti di confermare/integrare i dati che andavano emergendo) nella misura di euro 1.086.892.062; w) della relazione redatta ex art. 33 l.f. dai commissari giudiziali che avevano individuato le cause del dissesto dell'istituto di credito, segnatamente: nella fissazione di un prezzo delle azioni sovrastimato (anche a causa della predisposizione di piani economico-finanziari mirabolanti, se non addirittura fantasiosi e per l'effetto dell'ausilio di professionisti incuranti dei dati utilizzati per le loro stime e valutazioni); nel massiccio ricorso alle operazioni correlate; nell'effettuazione di operazioni non strettamente riconducibili all'attività di erogazione del credito alla clientela bensì consistenti in investimenti in altre società, partecipazioni, ovvero in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) quali i fondi lussemburghesi (che avevano anche agito da "società veicolo" per operazioni "back to back") e, quindi, in definitiva, in operazioni eccessivamente speculative, rischiose o addirittura illecite; nella continua pratica di sollecitare il mercato azionario stimolando gli acquisti di azioni proprie grazie ai finanziamenti correlati, occultando le perdite e sovrastimando i titoli; e, infine, nella decisione di celare il continuo peggioramento della qualità del credito attraverso la sottostima delle rettifiche e l'occultamento delle perdite a bilancio. 1.5.2 La consulenza tecnica dei P.M. Assoluto rilievo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato agli esiti della consulenza tecnica disposta - nel corso delle indagini - dagli inquirenti. In particolare i consulenti dott.ssa La.Ca. e prof. Ro.Ta., all'esito di una valutazione analitica della documentazione a disposizione riferibile a ciascuno dei 965 clienti che erano stati segnatati per avere operato tramite finanziamento - valutazione, peraltro, fondata sull'adozione di un approccio prudenziale (caratterizzato, per evitare duplicazioni nel caso di finanziamenti indiretti, dall'attribuzione all'organo deliberante il finanziamento del controvalore di uno solo degli acquisti) - avevano evidenziato: con riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati (quesito nr. 1): - che dei 965 clienti segnalati solamente 91 non erano stati finanziati da B., sicché le posizioni finanziate erano pari a nr. 874; - che l'ammontare degli acquisti finanziati era pari a complessivi 1.031,6 milioni di euro (per un totale di azioni B. acquistate tramite finanziamento pari a 15.426.391), di cui euro 963 milioni riferiti ad acquisti di azioni B. ed euro 68 milioni riferiti a sottoscrizioni di prestito obbligazionario convertibile; - che la quota prevalente degli acquisti era riferibile a operazioni finanziate da B. (essendo imputabili alle controllate B.Fi. e Ba.Nu., rispettivamente, acquisti per euro 55,4 milioni e per euro 5,2 milioni); - che, quanto all'aumento di 506 milioni di euro di capitale effettuato nel 2013, la banca aveva finanziato il 28% dell'operazione, per un valore complessivo di euro 143 milioni; - che, quanto all'aumento di capitale nell'anno 2014 per euro 607,8 milioni, l'ammontare finanziato era stato di 136 milioni (pari al 22%); - che nel 64% degli acquisti il rapporto tra finanziamento e acquisto delle azioni era risultato pari o superiore al 90%; - che, quanto all'ammontare del valore dei titoli suddiviso per ciascun organo deliberante in relazione al periodo oggetto di indagine (30.6.2012-31-3.2015), al CdA andava "attribuito" un valore di euro 414.193.319 (pari al 35% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al Comitato Crediti un valore di euro 160-029.069 (pari al 13% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile Divisione Crediti, Ma.Pa., un valore di euro 108.418.754 (pari al 9% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile della Divisione Mercati, Gi.Em., un valore di euro 32.941.194; al Comitato Esecutivo un valore di euro 63.196.606; al Comitato Centrale Fidi, infine, un valore di euro 49.936.575; con riferimento al fenomeno della vendita delle azioni con patto di riacquisto (quesito nr. 2): - che tale fenomeno si era concretizzato nel rilascio di lettere in favore di 14 azionisti, trattandosi dei soggetti nei confronti dei quali la banca si era incontrovertibilmente impegnata al riacquisto delle azioni, il tutto per un valore complessivo di 46,6 milioni di euro (le restanti lettere non erano state prudenzialmente considerate in quanto contenenti un impegno "più debole", ovvero perché mai consegnate agli azionisti); con riferimento alla determinazione del patrimonio di vigilanza e del livello dei coefficienti patrimoniali prudenziali (quesito nr. 3) : - che, doverosamente detratti dall'ammontare del patrimonio di vigilanza (ovvero dall'ammontare dei "fondi propri", secondo la terminologia introdotta dal CRR), quale comunicato dalla Banca all'organo di vigilanza, tanto l'importo complessivo degli acquisti di azioni B. effettuati dai clienti considerati finanziati, quanto l'ammontare degli impegni al riacquisto di azioni ritenuti effettivamente vincolanti e prudenzialmente diminuite anche le attività ponderate per il rischio (RWA) del medesimo ammontare (sul rilievo che le operazioni di finanziamento non sarebbero state ragionevolmente poste in essere se non per il raggiungimento dello scopo in questione), la differenza tra il Total Capital Ratio comunicato e quello rettificato andava da un minimo di 1,16% a un massimo del 3,4% (31.3.2015). Inoltre: il CET 1 ratio rettificato al 31.3.2014 (6,63%) ed al 30.6.2014 (6,24%) si attestava a un livello inferiore alla soglia minima regolamentare del 7%; il Tier 1 Ratio rettificato si attestava ad un livello inferiore rispetto alla soglia target comunicata alla Banca d'Italia, pari all'8%, per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013 (valore minimo 6,32%, valore massimo 7,34%); per il Total Capital Ratio, infine, il dato rettificato al 31.3.2014 (8,51%), al 30.6.2014 (7,94%), al 30.9.2014 (9,57%), al 31,12.2014 (8,47%) e, infine, al 31,3,2015 (8,51%), si posizionava costantemente sotto la soglia minima regolamentare del 10,5%. con riferimento all'effetto distorsivo del fenomeno di assistenza finanziaria all'acquisto di azioni sul funzionamento ed andamento del mercato secondario (quesito nr. 5): - che il fenomeno del ricorso al capitale finanziato - risultato massiccio in coincidenza della fine dell'anno, con conseguenti, repentine diminuzioni del fondo acquisto azioni proprie - aveva comportato una profonda distorsione del mercato. In effetti la dettagliata ricostruzione delle dinamiche di acquisto dei titoli sul mercato secondario aveva reso evidente come il ricorso ai finanziamenti degli acquisti di azioni avesse consentito alla banca di mantenere il funzionamento del mercato secondario solo fino al 2012, A partire dall'anno successivo, infatti, l'istituto non era più stato in grado di garantire la liquidità del titolo; con riferimento alla stima del valore dell'azione (quesito nr. 4): - che il prof. Ma.Bi. (l'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) aveva basato il suo giudizio sui criteri, rispettivamente, reddituale (c.d. Income Approach), di mercato (c.d. Market Approach) e del costo (c.d. Cost Approach). Il CdA dell'istituto, dal canto suo, nel determinare il valore del titolo aveva assegnato rilievo pressoché esclusivo al criterio reddituale (Income Approach). Peraltro, l'assemblea, nel triennio di riferimento, aveva approvato il valore dell'azione allineandosi al valore massimo calcolato dal predetto professionista con riferimento al parametro in questione. Ebbene, l'approccio del prof. Bi. non era condivisibile in quanto non conforme alle raccomandazioni della dottrina e della prassi professionale, avendo comportato una sopravvalutazione del capitale economico di B. nel periodo 31.12.2012 - 31.12.2013. Quanto all'anno successivo, sebbene il professionista avesse preso atto di una riduzione del valore del titolo, si era comunque in presenza di una sovrastima dell'azione, in considerazione degli effettivi risultati economici consuntivi dell'attività dell'istituto e del marcato disallineamento con le quotazioni di borsa delle principali banche italiane. Pertanto, doverosamente considerato il fenomeno del capitale finanziato, era stato necessario procedere ad effettuare una nuova stima del capitale economico della banca e, quindi, del valore delle azioni, sia non rettificando gli RWA sia operando tale rettifica (ricostruzione, quest'ultima, più favorevole agli imputati). Il risultato era stato, in entrambi i casi, quello di una significativa riduzione di valore del titolo, stimato nei seguenti termini: al 31.12.2012 tra euro 21,94 e euro 22,49 (a fronte dì un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 55,77 euro e 56,31 euro); al 31.12.2013 tra euro 26,78 ed euro 27,45 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 54,40 e 55,05 euro); al 31.12.2014 tra euro 23,87 ed euro 24,94 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 41,68 euro e 42,70 euro). In definitiva, secondo il tribunale, i consulenti del P.M., avevano compiuto una ricostruzione dei fenomeni analizzati esaustiva e affidabile in quanto espressione di metodologia ispirata a prudenza; ricostruzione, peraltro, significativamente coerente con il perimetro già tracciato dagli ispettori BCE. In particolare ì consulenti avevano verificato che gli acquisti di azioni e obbligazioni fossero avvenuti attingendo, in tutto o in parte, a risorse fornite dalla banca mediante un nuovo affidamento concesso prima dell'operazione, ovvero mediante l'impiego di eventuali preesistenti erogazioni non ancora utilizzate. Inoltre avevano rispettato la normativa prudenziale in materia. In particolare la riprova dello scrupolo che aveva guidato l'azione dei consulenti era costituita dal fatto che i predetti avessero espunto ben 91 posizioni rispetto al numero di operazioni finanziate originariamente individuati dall'Internai audit. La diversa quantificazione del capitale finanziato compiuta dagli ispettori BCE, poi, era essenzialmente dipesa dal differente arco temporale oggetto di verifica (sul punto il tribunale, a pagina 380 della sentenza, riportava una tabella sinottica). Gli esiti di consulenza, inoltre, erano risultati coerenti con il materiale probatorio acquisito, non solo di tipo testimoniale ma anche documentale (davvero inequivoco, sul punto, ad avviso del primo giudice, era il contenuto della registrazione audio della seduta del Comitato di Direzione del 10 novembre 2014, là dove il d.g. So. aveva affermato espressamente "...abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare..."). Né, del resto, i consulenti delle difese avevano proposto una quantificazione alternativa del fenomeno del capitale finanziato in esame, sostanzialmente essendosi limitati a sostenere come i cc.tt. del P.M. avessero effettuato una stima in eccesso. Per converso emergevano dati inequivoci del fatto che si fosse trattato di una stima prudenziale, attuata per difetto. A riscontro di ciò il Tribunale richiamava la vicenda dell'operazione finanziata conclusa con la El. (operazione avente un valore, ad avviso dei consulenti, di 17 milioni di euro ma ammontante, secondo il teste Pi.Ca., a ben 20 milioni di euro). Infine, neppure le ulteriori censure difensive erano fondate ad avviso del primo giudice. In particolare, nella prospettiva del tribunale, era errata la tesi secondo la quale l'obbligo di detrazione dal capitale di vigilanza avrebbe presupposto l'esistenza di un "nesso teleologico" tra il finanziamento erogato e l'acquisto delle azioni (tesi che i consulenti delle difese ZO. e ZI. ancoravano alla circolare n. 263/2006 della Banca d'Italia). In effetti la ratio della normativa prudenziale - precisava il primo giudice - era quella di tutelare l'effettiva integrità del patrimonio aziendale, sicché non era affatto sostenibile un'interpretazione tale da rimettere alla volontà dei contraenti l'individuazione delie operazioni di finanziamento destinate all'acquisto delle azioni, esponendo a scontate elusioni le regole poste a presidio dell'integrità del patrimonio dì vigilanza. In realtà tutta la normativa di riferimento (a partire dalla circolare di Banca d'Italia n. 155/91 fino al Regolamento UE 575/13 e, ancora, al Regolamento UE 241/14) assegnava rilievo unicamente al dato oggettivo dell'utilizzo del finanziamento per l'acquisto delle azioni. Parimenti oggettivi, del resto, erano i criteri di cui alla circolare n. 263/2006 evocata dalle difese (contenente, sul punto, disposizioni che suggerivano di porre a confronto elementi meramente oggettivi, quali il dato temporale dell'erogazione del finanziamento e quello dell'acquisto delle azioni, nonché i relativi importi, senza assegnare rilievo alcuno alla finalità perseguita dalle parti). Anche l'ulteriore prospettazione difensiva secondo cui la deduzione del valore del finanziamento dal patrimonio di vigilanza non si sarebbe dovuta effettuare con riferimento all'acquisto di azioni sul mercato secondario (in quanto, in tal caso, la banca, avendo finanziato un cliente dotato di merito creditizio, non si sarebbe esposta al rischio di impresa) era destituita di fondamento. Questo non solo per l'assenza di un regime differenziato (tanto nella normativa comunitaria quanto in quella nazionale) con riferimento agli acquisti sul mercato primario, ovvero secondario, ma, soprattutto, per ragioni logiche. Anche in caso di acquisto di azioni proprie sul mercato secondario, infatti, l'omessa decurtazione del valore delle azioni dal patrimonio di vigilanza avrebbe determinato l'effetto distorsivo di annacquamento di tale presidio di garanzia. Senza considerare, poi, che subordinare alla ponderazione del merito creditizio la computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza avrebbe significato, in ultima analisi, rimettere a valutazioni discrezionali l'effettiva entità del patrimonio di vigilanza medesimo. Infine, nella prospettiva del primo giudice, neppure la censura relativa alla mancata specifica considerazione - nel valutare l'esistenza di operazioni correlate - del fattore temporale coglieva nel segno. Questo, solo a considerare il fatto che larghissima parte (circa l'86%) degli acquisti di azioni che, secondo i consulenti del P.M., erano stati finanziati aveva avuto luogo entro novanta giorni dal finanziamento. Conclusivamente, le stime effettuate dai predetti consulenti erano affidabili e semmai peccavano per difetto piuttosto che per eccesso nella quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. 1.6 Il reato di aggiotaggio Il tribunale di Vicenza riteneva provata la commissione di una pluralità di reati di aggiotaggio, posti in essere tra l'anno 2012 e l'anno 2015 e concretizzatisi: - nella sistematica concessione di assistenza finanziaria per l'acquisto e la sottoscrizione di azioni della banca onde determinare l'apparenza di liquidità del titolo; nell'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo delle azioni finanziate; e, infine, nella mancata comunicazione all'esperto incaricato di stimare il sovrapprezzo delle azioni B. dell'esistenza della prassi del capitale finanziato (aggiotaggio manipolativo): - nella diffusione di mendaci informazioni relative all'entità del patrimonio societario, alla solidità patrimoniale della banca, alla crescita della compagine sociale e al buon esito delle operazioni di aumento di capitale (aggiotaggio informativo. In particolare, dopo una accurata ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, il tribunale, quanto all'ipotesi di "aggiotaggio manipolativo", indicava come simulate le sistematiche operazioni di capitale finanziato effettuate, trattandosi di operazioni, per l'appunto, di natura simulata o, comunque, artificiosa. Simulata, più precisamente, doveva ritenersi tale natura con riferimento alle operazioni di finanziamento per importi corrispondenti al valore delle azioni e caratterizzate non già dal rimborso del finanziamento da parte del cliente bensì dall'impegno (orale, ovvero assunto per iscritto) al riacquisto delle azioni stesse da parte della banca, senza costi per il cliente (e talvolta con un rendimento garantito), essendosi in presenza, in tal caso, di un mutamento solo apparente della titolarità delle azioni, in realtà sempre rimaste nella proprietà della banca (con conseguente rischio derivante dalla fluttuazione del valore del titolo non già in capo al cliente, ma all'istituto di credito), donde una radicale estraneità di siffatte operazioni rispetto all'ipotesi ex art. 2358 c.c.. Analogamente simulate erano anche le operazioni di acquisto di azioni proprie effettuate tramite i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", trattandosi - di fatto - di una gestione patrimoniale di risorse interne, attuata al solo fine di svuotare il "fondo acquisto azioni proprie". Artificiosa, con riferimento alle altre operazioni di capitale finanziato, doveva ritenersi la loro natura sia quanto allo scopo (costituito, al solito, dal finanziamento dell'acquisto con risorse della banca) sia quanto alle modalità di gestione del trattamento contabile (in ragione dell'omessa appostazione a riserva del controvalore, dell'omessa decurtazione del patrimonio di vigilanza ed anche dell'occultamento al mercato), il tutto al fine di fare apparire tali acquisti come espressione della dinamica fisiologica di un attivo mercato secondario. Peraltro - precisava il tribunale - era emersa la mancata comunicazione al prof. Bi. (ovverosia all'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie, con l'effetto che detta stima (come, del resto, precisato dallo stesso Bi.) ne era risultata pesantemente condizionata (cfr. pagg. 419-422 della sentenza). Quanto, poi, agli addebiti di "aggiotaggio informativo" costituiti dalla diffusione di notizie false, si trattava - secondo la valutazione del primo giudice, pienamente adesiva, anche sul punto, rispetto all'impostazione d'accusa - di informazioni comunicate con una pluralità di mezzi che, per diffusività e platea dei destinatari di riferimento, erano obiettivamente risultate idonee a raggiungere praticamente tutte le tipologie di operatori. Più nel dettaglio, la falsità era risultata effettivamente attinente: - ai bilanci d'esercizio al 31.12.2012, al 31.12.2013 ed al 31.12.2014, stante la mancata iscrizione di una quota di riserva pari al valore delle azioni proprie; -ai comunicati stampa (taluni dei quali - quelli emessi ex art. 114 TUF - valevoli anche come comunicazioni al pubblico) dell'8.8.2012 diffuso ex art. 114 D.L.vo 58/98 (ove si evidenziavano, in particolare, valori falsati quanto alla solidità patrimoniale del gruppo e al miglioramento della liquidità strutturale, il tutto in un contesto nel quale si rimarcavano l'espansione della rete di vendita, l'incremento della clientela e l'aumento della compagine sociale); del 19.3.2013 (nel quale, comunicandosi i risultati del bilancio di esercizio e consolidato al 31.12.2012, si evidenziavano "Il rafforzamento della posizione di liquidità" e "l'ulteriore incremento della solidità patrimoniale" e si riportava l'entusiastico messaggio del presidente ZO.); del 27.4.2013 (di comunicazione del risultato del bilancio al 31.12.2012, nel quale si sottolineava la stabilità del valore dell'azione a 62,50 euro sulla base di un'approfondita perizia formulata da un autorevole consulente esterno", si riportava l'apprezzamento dell'assemblea per i risultati positivi conseguiti dalla banca e, ancora, si citava il giudizio lusinghiero del presidente ZO.); del 27.8.2013 (significativamente dedicato alla comunicazione del "miglioramento della gestione operativa" e del significativo rafforzamento patrimoniale", per effetto della positiva conclusione dell'operazione di raccolta di ingenti risorse, in ragione di un consistente aumento di capitale e di una altrettanto consistente raccolta di ben 253 milioni di prestito convertibile, comunicandosi che l'istituto poteva vantare un Core Tier al 30 giugno pari al 9%; anche in tal caso la comunicazione riportava il consueto messaggio positivo dei presidente ZO.); deH'8.8.2014, effettuato ai sensi dell'art. 114 D.L.vo 58/98 (con il quale si comunicavano i risultati dell'aumento di capitale 2014, conclusosi con "pieno successo", e si riferiva il giudizio del presidente ZO. in ordine al fatto che l'istituto potesse vantare "coefficienti patrimoniali particolarmente elevati"); del 29,8,2014 (nel quale si illustravano ì risultati della semestrale del 2014, ribadendosi il successo dell'aumento di capitale di tale anno, segnalandosi l'accrescimento della base sociale e della clientela e l'incremento "significativo" dei proventi derivanti dall'attività bancaria tradizionale e, complessivamente, si enfatizzavano gli elementi di crescita); del 26.10.2014 (nel quale si comunicava il positivo superamento del Comprehensive Assessment si evidenziavano, altresì, gli effetti positivi delle iniziative di patrimonializzazione esperite nel 2013 e nel 2014 e, infine, si informavano i destinatari che tali iniziative avevano portato l'istituto di credito a poter vantare una *eccedenza di CET1 pari a circa 30 milioni di euro"); del 10.2.2015 (avente ad oggetto i risultati preliminari del bilancio al 31.12.2014, nel quale si evidenziava la politica particolarmente prudenziale adottata dal CdA su indicazione della BCE, con aumento degli accantonamenti su crediti e rettifica degli avviamenti; si precisava che il risultato negativo era conseguente proprio all'adozione di una politica improntata a misura e all'origine, secondo il presidente ZO., di scelte al contempo *coraggiose e prudenziali"; si ribadiva il successo delle iniziative di rafforzamento patrimoniale; si sottolineava, infine, la crescita dei proventi derivanti dall'attività tradizionale in favore di una clientela ulteriormente aumentata); del 3.3.2015 (avente ad oggetto i risultati definitivi al 31.12.2014, nel quale, pur dandosi atto dei rilievi della BCE in ordine alla possibile riduzione del requisito minimo di CET 1, si rassicuravano gli interlocutori con la precisazione che i requisiti minimi erano stati ripristinati e, anzi, superati "già prima della citata riduzione del requisito di Cet1 Ratio"); - alle comunicazioni ai soci (tutte confezionate sulla base di un apposito format e sottoscritte dal presidente ZO.) in data 30.3.2012, 3.9.2012, 19.3.2013, 10.9.2013, 2.4.2014, 9.9.2014, 4.12.2014 e 19.3.2015, tutte costantemente caratterizzate da informazioni rassicuranti in punto di patrimonializzazione dell'istituto, di sicurezza dell'investimento azionario, di enfatizzazione della stabilità del titolo e nelle quali, inoltre, si minimizzava il profilo dell'allungamento dei tempi di vendita dell'azione. Ebbene, tutte le citate condotte manipolative e informative avevano avuto l'effetto di alterare sensibilmente il prezzo delle azioni B.. Se ciò, in effetti, era di immediata percezione per le condotte manipolative (l'investitore essendo stato evidentemente influenzato dalla vivacità degli scambi del titolo sul mercato secondario e dalle valutazioni conseguentemente alterate del valore del titolo medesimo siccome assegnato dall'esperto prof. Bi., la stima del quale aveva prodotto effetti anche sul mercato primario, sollecitato artificiosamente), altrettanto doveva dirsi per quanto riguardava le condotte di alterazione informativa. Questo, in ragione della marcata influenza della comunicazione di dati falsati inerenti a profili di assoluto rilievo nell'economia della scelta di un soggetto interessato all'investimento azionario, in particolare con riferimento ai dati inerenti alla patrimonializzazione dell'emittente (prospettata come particolarmente solida) e alla liquidità del titolo (presentato come appetibile, tanto sul mercato primario quanto su quello secondario). Di qui la conclusione, alla quale coerentemente perveniva il tribunale, in ordine all'efficacia decettiva delle comunicazioni effettuate, nelle occasioni sopra indicate, dall'istituto dì credito. Del resto gli effetti concreti prodotti da tali comportamenti manipolativi e di falsa informazione erano agevolmente riscontrabili - proseguiva il tribunale -analizzando le vicende societarie dell'epoca: - da un lato, infatti, gli investitori avevano perseverato nel riporre fiducia nell'istituto di credito, continuando a investire, ovvero astenendosi dal disinvestimento; - dall'altro, gli aumenti di capitale confluiti senza assistenza finanziaria erano stati comunque consistenti (nell'aucap 2013, su un totale di 506 milioni, 363 milioni erano confluiti senza finanziamenti; nel mini aucap 2013, su 100 milioni, 44 erano confluiti senza assistenza finanziaria; nell'aucap 2014 il rapporto era stato di 471,8 milioni confluiti senza assistenza su un totale di 607,8 milioni; nel mini aucap 2014, infine, il rapporto era stato di 60 milioni su 102 milioni). Inoltre la movimentazione sul mercato secondario, depurata dalle azioni finanziate, sì era attestata sul significativo valore di 900 milioni di euro. Tutto ciò aveva consentito di mantenere il valore del titolo artificiosamente alto. In effetti, a fronte dei valori stimati dal prof. Bi., erano emersi - all'esito di una rinnovata valutazione, posta in essere con criteri prudenziali - valori decisamente inferiori. In particolare: - nel 2012 l'azione era stata sovrastimata di un valore tra 6,73 euro e 6,19 euro rispetto al valore reale, da ridursi, rispettivamente, di una percentuale tra il 10,8% e il 9%; - al 31.12.2013 la sovrastima era stata ricompresa tra 8,10 e 7,20 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 13% alni,9%; - al 31.12.2014 la sovrastima era stata ricompresa tra 6,32 e 5,30 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 18,9% al 16,9%. Inoltre le condotte di aggiotaggio informativo avevano contribuito a rafforzare l'affidamento sulla stabilità patrimoniale dell'istituto di credito. Infatti i dati rettificati avevano evidenziato, anche nell'ipotesi più favorevole, un CET 1 ratio al 31.3.2014 del 6,63% e, al 30.6.2014, del 6,24% (valori, entrambi, al di sotto della soglia regolamentare del 7%); un Tier 1 Ratio dal 6,32% al 7,345% per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013, inferiore, pertanto, rispetto alla soglia-target comunicata alla Banca d'Italia pari all'8%; un Total Capital Ratio al 31.3.2014 dell'8,51%, al 30,6,2014 del 7,94%, al 30.9.2014 del 9,57%, al 31.12.2014 dell'8,47%, al 31.3.2015 dell'8,51% (ovverosia sempre inferiore rispetto alla soglia regolamentare dei 10,5%), Analogamente, le condotte di aggiotaggio manipolativo avevano contribuito ad accreditare l'immagine della banca come credibile e sostenuta del mercato, secondo quanto puntualmente evidenziato dai consulenti del P.M.. Con riferimento, poi, al profilo del concorso dei reati, il tribunale precisava come l'art. 2637 c.c prevedesse tre diverse modalità di esplicazione della condotta delittuosa, all'origine, rispettivamente, delle ipotesi di aggiotaggio informativo e aggiotaggio manipolativo o operativo. Di qui la natura della disposizione in esame quale disposizione contenente "norme penali miste cumulative", ovverosia inerenti a condotte non equipollenti o alternative, bensì costituenti differenti elementi materiali di altrettanti reati, con la conseguenza, nel caso di realizzazione di tali diverse condotte, della sussistenza di una pluralità di reati. Questo con la doverosa precisazione che, mentre tra aggiotaggio manipolativo e informativo era ravvisabile unicamente il concorso materiale di reati, nel caso di pluralità di condotte omogenee, per concludere nel senso dell'unicità ovvero della pluralità di reati, sarebbe stato necessario verificarne l'appartenenza o meno ad un'unica manovra manipolativa, ovvero informativa. E, a tale fine, il tribunale precisava come il momento consumativo del reato dovesse individuarsi nel tempo e nel luogo in cui si fossero verificate la sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario e la destabilizzazione del sistema bancario. In applicazione di tali criteri il primo giudice concludeva nel senso della ravvisabilità di ben 16 reati, posti in essere nel periodo tra il 2012 ed il 2015 e, segnatamente: -di 4 reati di aggiotaggio finanziario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio finanziario operativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario operativo (2012, 2013, 2014, 2015) traendone, peraltro, la conseguenza che le condotte poste in essere sino al 27.4.2013 (data di approvazione del bilancio 2012) dovessero ritenersi prescritte. Infine, quanto alle posizioni soggettive degli imputati - successivamente oggetto di separata, dettagliata analisi - il tribunale precisava che dovevano ritenersi responsabili dei reati di aggiotaggio: - Zo.Gi., per avere egli sostenuto e condiviso l'operatività del capitale finanziato; per avere sottoscritto personalmente i comunicati ai soci rappresentativi dì uno stato patrimoniale, finanziario ed economico, totalmente contrario a quello effettivo; nonché per avere approvato, in qualità di presidente del CdA, il bilancio privo dell'appostazione delle riserve previste per legge, oltre ai comunicati che contenevano le mendaci informazioni della situazione della banca e degli esiti degli aucap, in tal guisa rafforzando con le proprie dichiarazioni, l'apparenza di solidità dell'istituto di credito; - Gi.Em., Ma.Pa. e Pi.An., in ragione del totale coinvolgimento dei predetti nell'operatività dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie, e ciò nella piena, effettiva consapevolezza (stanti le modalità di occultamento) della finalizzazione di tale operatività ad alterare gli equilibri del mercato, ad annacquare il capitale e, infine, ad ingannare il pubblico. 1.7 I reati di ostacolo alla vigilanza Dopo avere effettuato una ricostruzione degli esiti delle attività di vigilanza della Banca d'Italia poste in essere, nei confronti dell'istituto di credito, nel periodo 2007-2012 - esiti che avevano evidenziato delle criticità, poi parzialmente superate dall'istituto - il tribunale collocava le condotte di ostacolo alla vigilanza ravvisabili nella vicenda sub iudice nel periodo che aveva avuto inizio con le ispezioni poste in essere a decorrere dal 2012. Al riguardo il primo giudice premetteva come la fattispecie di reato in esame consistesse, per un verso, nell'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero nonché nell'occultamento, con mezzi fraudolenti, di fatti che avrebbero dovuto essere comunicati all'autorità di vigilanza (2638 co. 1 c.c.); e, per altro verso, nella frapposizione di ostacoli alla vigilanza, posti in essere in qualsiasi forma, anche omissiva (2638, co. 2 c.c.). Segnatamente, la fattispecie di cui al primo comma della disposizione in esame prevedeva un reato di mera condotta, integrato, in via alternativa, da taluni specifici comportamenti; il secondo comma, invece, delineava un reato a forma libera, di danno (consistente nell'evento naturalistico dell'ostacolo). Ciò posto, nell'ipotesi di condotta di omessa comunicazione con mezzi fraudolenti che avesse creato ostacoli rilevanti all'autorità di vigilanza, il tribunale riteneva sussistente unicamente l'ipotesi di reato ex art. 2638, co. 2, c.c., dovendo farsi applicazione, in tal caso, dei principi di sussidiarietà e consunzione (valorizzati anche dalla Corte EDU e riconosciuti nell'art. 4 protocollo 7 CEDU e nell'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea), posto che emergeva con evidenza come l'evento di ostacolo previsto dalla fattispecie di cui all'art. 2638 co. 2 c.p. esaurisse l'intero disvalore della condotta. Nel pervenire a siffatta conclusione, peraltro, il tribunale si discostava motivatamente dalla ricostruzione effettuata, in fattispecie analoga, dalla giurisprudenza di legittimità, là dove la corte regolatrice (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, n. 42778 del 26/05/2017, Consoli e altro) aveva invece ravvisato, tra le due fattispecie in esame, un rapporto riconducibile al concorso formale. Tanto premesso, il primo giudice precisava come la contestazione sub B1 avesse ad oggetto la vigilanza ispettiva a differenza delle condotte stigmatizzate ai successivi capi C1, D1, E1, F1, G1 ed H1, dal primo giudice indicate come inerenti alla vigilanza informativa. Ebbene, nel caso dell'addebito sub B1 si era in presenza sia di attività di occultamento, con mezzi fraudolenti, delle operazioni di capitale finanziato e delle lettere di impegno al riacquisto, al fine di ostacolare l'autorità di vigilanza (attraverso, segnatamente, l'indicazione di una causale generica, la mancata contabilizzazione delle operazioni finanziate e il materiale occultamento delle lettere), sia dell'omessa comunicazione delle suddette operazioni alla squadra ispettiva. Diversamente - proseguiva il tribunale - gli addebiti di cui ai capi C1, D1, G1, H1 avevano ad oggetto l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in relazione alle segnalazioni ed alle interlocuzioni con le autorità di vigilanza (Banca d'Italia e BCE) intercorse negli anni 2012, 2013, 2014, 2015 e, quanto all'addebito di cui al capo F1, l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in occasione dell'aumento di capitale del 2014. Ciò posto, il tribunale: - esclusa, con riferimento alle condotte predette, la ravvisabilità dell'esimente fondata sul principio del nemo tenetur se detegere in relazione al precedente delitto di aggiotaggio (trattandosi di principio unicamente disciplinato nell'art. 384 c.p., ovverosia in una disposizione contenente una norma eccezionale derogatoria rispetto a quella di cui all'art. 61 nr. 2 c.p. e, in ogni caso, di esimente avente valore eminentemente processuale); s escluso, del pari, che quelli oggetto di contestazione fossero addebiti frutto di u una sorta di "replicazione" di contestazioni in realtà aventi ad oggetto una unitaria condotta di ostacolo alla vigilanza, protrattasi per un triennio (essendosi piuttosto in presenza di condotte che erano state realizzate nel corso di plurime attività di vigilanza, ciascuna compiutamente esauritasi), ricostruiva i singoli fatti di reato nei termini di seguito esposti. 1.7.1 L'ostacolo alla vigilanza durante l'ispezione di Banca d'Italia 2012 (capo B1) Nel corso dell'anno 2012 (segnatamente tra il 28 maggio e il 12 ottobre 2012) era stata effettuata una attività di ispezione avente ad oggetto la governance dell'istituto, gli standard creditizi, i meccanismi di sorveglianza e di controllo delle singole posizioni, la correttezza dei criteri di classificazione all'interno delle regole di vigilanza e l'osservanza delle regole di provisioning (attività, questa, di correzione del valore dei crediti con impatto sul conto economico della banca e sul bilancio), ispezione che si era conclusa con un giudizio parzialmente sfavorevole fondato sulla constatazione di un complessivo degrado del portafoglio accompagnato da inefficienze nei processi allocativi e di gestione dell'erogato. Ebbene, alla stregua delle testimonianze degli ispettori (e, segnatamente, di quanto riferito dal teste Gi.Sc., responsabile della squadra ispettiva), poteva dirsi pacifico che ove agli ispettori fossero state esibite le lettere di impegno al riacquisto e fosse stata comunicata l'esistenza del capitale finanziato - come sarebbe stato doveroso, peraltro, nell'ottica di una leale collaborazione tra vigilato e autorità vigilante - sarebbe effettivamente emersa l'irrealizzabilità del piano industriale approntato dall'istituto per migliorare la gestione del credito. La prassi del ricorso al capitale finanziato (e, nell'ambito di tale prassi, quella del rilascio delle lettere di impegno), infatti, era già consolidata nel 2012, come pure documentalmente provato. Né, d'altro canto, poteva sostenersi che tale fenomeno fosse comunque emerso nel corso dell'ispezione, in quanto le dichiarazioni rese, sul punto, dal teste Cl.Am. della Divisione Crediti - là dove questi aveva sostenuto di avere riferito in proposito all'ispettore Ge.Sa. - erano - state decisamente smentite tanto dal predetto Sa. quanto dai restanti componenti della squadra ispettiva. Peraltro - puntualizzava il tribunale - la versione dell'Am., finalizzata a ridimensionare il coinvolgimento della Divisione Crediti nell'operatività illecita della banca sul capitale finanziato, scontava plurimi profili di incertezza e contraddittorietà (segnatamente in relazione al ricorso alla formula generica "cogliere opportunità mobiliari o immobiliari" quale causale dei finanziamenti, nonché in ordine alle motivazioni per le quali il predetto Am. non avrebbe comunicato al collega Bo., responsabile dell'audit, le rivelazioni asseritamente fatte all'ispettore Sa.), Era certamente vero che anche la deposizione del Sa. si presentava scandita da contestazioni e da incertezze circa la corretta individuazione dei documenti esibiti, nel corso dell'ispezione, con riferimento alle posizioni finanziate. Nondimeno, mentre le dichiarazioni dell'Ambrosino in ordine alla presunta rivelazione agli ispettori delle operazioni finanziate non avevano trovato riscontro alcuno, neppure nelle dichiarazioni del collega De. (il quale aveva riferito che l'Am. gli aveva confidato di avere consegnato agli ispettori medesimi documenti che avrebbero potuto loro consentire di verificare l'esistenza di operazioni "baciate", negando, tuttavia, detto teste che l'Am. gli avesse rivelato di avere esplicitamente palesato tale prassi agli ispettori), le stesse erano anzi state smentite dai testi Lu.Br., Fr.Fe. e Sa. Re., dei quali i primi due erano appartenenti alla squadra ispettiva; quanto riferito dal Sa. era stato del resto confermato dalla narrazione dei fatti proposta tanto dal responsabile delia squadra ispettiva, Gi.Sc., quanto dagli altri componenti del team oltre che dal responsabile del servizio di vigilanza ispettiva, Ca.Ba.. Pertanto il tribunale, valorizzando altresì la puntuale deposizione del teste ispettore Gi.Ma., traeva la conclusione che la prassi del capitale finanziato non fosse stata "intercettata" nel corso dell'ispezione del 2012 poiché si era trattato di fenomeno che aveva essenzialmente interessato clienti affidabili sotto il profilo del rischio creditizio, rispetto ai quali, quindi, non emergeva alcuna anomalia (sicché, tenuto conto del perimetro del mandato ricevuto dagli ispettori, non v'era stata ragione di effettuare, con riferimento a costoro, alcun approfondimento ispettivo). Del resto, sul piano logico, la circostanza che nessun dirigente dell'istituto di credito (né il menzionato Cl.Am., né l'imputato Pa.Ma. e neppure l'imputato Em.Gi.) avesse fatto cenno alcuno, in occasione delle successive verifiche ispettive (compresa quella, decisiva, effettuata dalla BCE nel 2015), al fenomeno in esame, nonché il fatto che tutti i predetti dirigenti avessero pervicacemente negato, interloquendo con l'ispettore Ma., la natura finanziata delle operazioni in questione, costituivano formidabili riscontri dell'infondatezza delle dichiarazioni rese dal predetto teste Am.; infondatezza, del resto - soggiungeva il tribunale - ulteriormente avvalorata dal rinvenimento, negli appunti contenuti nell'agenda sequestrata al teste Al.Ba., dell'inequivoca ed assai significativa annotazione, redatta in prossimità del 23.4.2015: "evitare di fare ammissioni. Giustificare creditiziamente le operazioni". Di qui la conclusione della sussistenza dei presupposti tutti del reato di ostacolo contestato, essendosi in presenza, per un verso, del fraudolento occultamento dell'illecita operatività realizzata nel contesto temporale in cui si era svolta l'ispezione del 2012; e, per altro verso, della sistematica omissione della comunicazione agli ispettori tanto delle operazioni di finanziamento correlato quanto delle lettere di impegno al riacquisto delle azioni. 1.7.2 Le condotte di ostacolo successive all'ispezione del 2012 Quindi il tribunale evidenziava come, con riferimento ai periodo successivo all'ispezione del 2012 (e, segnatamente, all'arco temporale ricompreso tra il 30.6,2012 ed il 31.3.2015), fosse stato effettivamente possibile ricostruire documentalmente il dipanarsi del dialogo tra l'istituto bancario vicentino e l'autorità di vigilanza attraverso l'acquisizione dei flussi informativi inviati da B.. A tale riguardo era costantemente emerso l'occultamento della reale situazione patrimoniale del gruppo, in particolare con riferimento all'incidenza del fenomeno del capitale finanziato sui coefficienti del patrimonio di vigilanza in tale ampio periodo. Sul punto le conclusioni cui erano pervenuti i consulenti del P.M. - peraltro, precisava il primo giudice, all'esito di una valutazione particolarmente prudente (in quanto caratterizzata dallo scomputo dal CET 1 anche dell'ammontare degli RWA) - non consentivano davvero di nutrire perplessità. Si era in presenza, in effetti, di violazioni costanti dei requisiti patrimoniali, peraltro mai comunicate nelle informazioni rese all'autorità di vigilanza (comunicazioni, tutte, puntualmente riportate nella tabella riassuntiva di cui al documento nr. 485 prodotto dal P.M. all'udienza del 21.11.2019). Più nel dettaglio: - con riferimento all'anno 2012 (capo CI) si trattava della comunicazione del 17.9,2012, riferita al 30.6.2012, e di quella del 21.11.2012, riferita al 30.9.2012, nelle quali venivano indicati, rispettivamente, valori delle azioni proprie nella misura di 30 milioni e di 240 milioni. In entrambi i casi, infatti, era stata omessa la comunicazione delle operazioni di capitale finanziato per i significativi valori di 268 milioni a giugno e di 280 milioni a fine settembre. L'effetto distorsivo che ne era derivato era evidente, posto che il Tier Ratio, tenuto conto dei valori non comunicati, si sarebbe abbassato al 30 giugno dall'8,20% ai 7,34% nonché, al 30 settembre, dal 7,38% al 6,48%. Analogamente il TCR (Total Capital Ratio) si sarebbe ridotto dall'I 1,33% al 10,50% e dal 10,46% al 9,59%. La falsa comunicazione, poi, era stata all'origine del target patrimoniale deciso dalla Banca d'Italia, come precisato dal teste Ma.Pa.. In effetti, qualora i dati omessi fossero stati comunicati, ciò avrebbe comportato un immediato innalzamento del livello di monitoraggio e l'adozione di provvedimenti restrittivi concernenti operatività dell'istituto, distribuzione degli utili e fissazione di limiti all'importo totale della parte variabile delle remunerazioni della banca. Di assoluta evidenza, quindi, era l'ostacolo frapposto alla vigilanza; con riferimento al primo semestre dell'anno 2013 (capo DI) si trattava: - della falsa rappresentazione dei dati patrimoniali contenuta nelle segnalazioni relative al 31.12.2012 ed al 31.3.2013 (in effetti, con riferimento alia segnalazione relativa al 31.12.2012, la comunicazione del capitale finanziato per 545 milioni, ove effettuata, avrebbe comportato la flessione del Tier 1 Ratio dall'8,23% al 6,46% e del Total Capital Ratio dall'll,26% al 9,55%; nella comunicazione del 31.3.2013, poi, non erano state segnalate azioni proprie); - della falsità della comunicazione inoltrata il 20.3.2013 e relativa al superamento del limite del 5% degli acquisti (comunicazione con la quale, nel rispondere al rilievo critico della Banca d'Italia risalente al 5.3.2013, l'istituto di credito aveva rassicurato la vigilanza sostenendo che l'incremento del valore del fondo acquisto azioni proprie fosse imputabile a una mera contingenza, legata alla gestione delle attività dì compravendita delle azioni proprie con i soci e sostenendo, in particolare, che vi era stata una vendita di azioni da parte di pochi clienti con successivo ricollocamento dei titoli presso clienti soci). Inoltre l'istituto aveva inserito un ulteriore elemento di rassicurazione, là dove aveva dichiarato che era in corso la valutazione di un rafforzamento patrimoniale il quale avrebbe portato il Core Tier 1 al 9% già entro la fine del 2013; aveva prospettato, infine, il raggiungimento del 10% nel biennio successivo. Ne era seguita la lettera di richiamo del 24.6.2013, lettera nella quale era stato stigmatizzato il superamento, a causa dell'acquisto di azioni proprie, del limite del 5% del capitale sociale. A seguito dell'ispezione del 2015, poi, era emersa la falsità delle circostanze esposte nella missiva a firma Sa.So. del 20.3.2013 e, segnatamente, si era compreso come l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie non fosse stato affatto la conseguenza contingente di un'impennata nelle richieste di acquisto di azioni concentrate nel quarto trimestre, bensì l'effetto dell'illiquidità del titolo azionario; illiquidità che, infatti, proprio a partire dal 2012, aveva indotto l'istituto di credito a fare massiccio ricorso alle operazioni di capitale finanziato onde azzerare il fondo acquisto azioni proprie che impattava negativamente sul capitale di vigilanza; - della falsità, infine, dell'informativa preventiva del 23 aprile 2013 relativa al programmato aumento di capitale (informativa, a firma Sa.So., nella quale erano stati illustrati gli effetti del rafforzamento patrimoniale, segnalandosi che dopo tale operazione il Tier Ratio 1 sarebbe passato dall'8,23% al 9,1% e, quindi, al 9,98%, a seguito della conversione del soft mandatory). Peraltro neppure a seguito delle successive interlocuzioni dì Banca d'Italia, inerenti anche al profilo della liquidabilità del titolo, erano stati effettuati riferimenti, da parte dei rappresentanti di B., al fenomeno del capitale correlato. Infatti sì era sempre sostenuto, da parte dell'istituto di credito, che l'operazione di aumento di capitale si sarebbe presto conclusa con pieno successo. Sul punto - precisava il tribunale - il teste Ma.Pa. aveva chiarito che se la prassi delle operazioni di capitale finanziato fosse stata riferita, come doveroso, la Banca d'Italia sarebbe certamente intervenuta esercitando i poteri di controllo derivanti dalla legge. In particolare l'ente di vigilanza avrebbe imposto sia lo scomputo dell'ammontare del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza sia l'adozione di misure di risanamento. Invece, tacendo queste informazioni, l'istituto di credito aveva lucrato effetti favorevoli immediati: la Banca d'Italia aveva deciso di non avviare un procedimento sanzionatorio e neppure aveva adottato interventi che avrebbero precluso la distribuzione dei dividendi ed imposto il decremento della parte variabile della remunerazione dei dirigenti come previsto dalla normativa della stessa Banca d'Italia. La stessa operazione di aumento di capitale, poi, sarebbe stata valutata diversamente; ° con riferimento al secondo semestre dell'anno 2013 (capo E1) si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza relative al 30.6.2013, al 30.9.2013 e al 31.12.2013 (nelle quali mai era stato ricompreso l'ammontare delle operazioni di capitale finanziato per gli importi calcolati dai consulenti tecnici nella misura di 555 milioni a fine giugno, di 626 milioni a fine settembre e di 700 milioni a fine dicembre del 2013). Conseguentemente, senza l'effetto distorsivo prodotto dall'omessa rappresentazione della corretta quantificazione dei coefficienti patrimoniali, il T1 Ratio sarebbe passato a fine giugno dall'8,1% al 6,32%; al 30.9.2013 dall'8,50% al 6,50%; al 31.12.2013 dal 9,1% al 6,89%. Analogamente il TCR si sarebbe ridotto dall'I 1,06% al 9,32% al 30 giugno; dall'11,41% al 9,48% nel settembre; dall'11,8% al 9,55% al 31 dicembre. In definitiva in tutto il periodo in esame il Tier 1 Ratio sarebbe stato ben inferiore alla soglia-target dell'8%, siccome fissata dall'autorità di vigilanza; con riferimento all'aumento di capitale 2014 (capo F1) si trattava: - dell'informativa preventiva del 5.3.2014 e dell'informativa integrativa dell'11.4.2014. In entrambi i casi era stata omessa l'indicazione che l'operazione di aumento di capitale sarebbe stata portata a termine anche mediante la concessione di forme di assistenza finanziaria ai clienti, con conseguente indicazione di ratios patrimoniali post-aucap del tutto falsati. Quanto al c.d. miniaucap (ovverosia ad un aumento di capitale destinato a nuovi soci), previsto anche nel 2014, si era precisato che le quote di capitale finanziato non sarebbero state computate nel patrimonio di vigilanza. Vi era stato anche, in data 9.4.2014, un incontro tra i vertici dell'istituto di credito e la vigilanza. All'esito delle interlocuzioni la Banca d'Italia aveva autorizzato la classificazione patrimoniale richiesta. Solo a seguito dell'ispezione BCE e CONSOB del 2015, infatti, era emerso come l'operazione di aumento di capitale fosse stata pianificata con erogazione di finanziamenti correlati, per un importo accertato di euro 136.314.287 (pari al 22% dell'operazione). I dati dell'aumento di capitale erano stati, pertanto, gravemente falsati. Di qui la conclusione che il provvedimento autorizzativo della Banca d'Italia fosse stato ottenuto a seguito dello sviamento della funzione di vigilanza. Il teste Ma.Pa., del resto, aveva anche in tal caso precisato come, se la Banca d'Italia avesse avuto contezza dei dati occultati, non avrebbe di certo autorizzato l'operazione nei termini in cui ciò era avvenuto. Per contro, sarebbe palesemente emersa la grave difficoltà della banca di collocare i propri titoli sul mercato; - con riferimento alla vigilanza prudenziale della banca d'Italia nel 2014 (capo G1), si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza alla data del 31.3.2014, del 30.6.2014, del 30.9.2014 (per l'omessa indicazione tra gli elementi negativi delle quote di capitale finanziato, pari a 728 milioni alla data del 31 marzo, a 718 milioni alla data del 30 giugno e a 886 milioni alla data del 30 settembre. Conseguentemente il CET 1 ratio era passato, a fine marzo, dall'8,99% al 6,63%; a fine giugno dall'8,55% al 6,24%; a fine settembre dal 10,8% all'8,01%); - della falsità della comunicazione 1.9.2014 nella parte in cui si era attestato il raggiungimento degli obiettivi di raccolta aucap 2014 per l'importo di 607,8 milioni e, di conseguenza, il livello dei fondi propri e dei ratios patrimoniali. In particolare la comunicazione dell'istituto di credito di avere già riassorbito, attraverso la chiusura dell'aumento di capitale, il temporaneo mancato rispetto del "buffer" - ovverosia della riserva obbligatoria di conservazione del capitale pari al 2,5% - aveva indotto l'autorità di vigilanza a non assumere iniziative in ordine a tale violazione (dovuta ai riacquisti di azioni proprie che, dì fatto, avevano neutralizzato, per il valore corrispondente, l'aumento di capitale, come precisato dal teste En.Se.) perché, per l'appunto, immediatamente "riassorbita"; - nonché della falsità della comunicazione 4.11.2014, relativa alle giustificazioni fornite all'organo di vigilanza in relazione al fenomeno di riacquisto delle azioni proprie (per l'ammontare di 194 milioni nel primo semestre del 2014) nonché in relazione ai 52,4 milioni di euro di azioni detenuti indirettamente attraverso i fondi lussemburghesi "(...)" e, "(...)". In particolare la banca, da un lato, aveva ribadito che sì era trattato di riacquisti imposti dalla necessità di evadere (e domande di investimento dei clienti nella consapevolezza che il disavanzo sarebbe stato coperto dall'aumento di capitale in corso; aumento di capitale che, peraltro, aveva portato ad un incremento proprio del CET Ratio di circa 141 bps (punti base). Dall'altro lato la banca aveva confermato la correttezza dei dati contenuti nelle segnalazioni di vigilanza sulle operazioni svolte attraverso i fondi esteri. Diversamente, ove la Banca d'Italia avesse avuto contezza di quanto occultatole (e cioè, complessivamente, delle operazioni di capitale finanziato e dell'impegno al riacquisto delle azioni), avrebbe preso atto di una situazione patrimoniale radicalmente differente. La falsità della comunicazione, quindi, aveva prodotto l'effetto di impedire interventi dì vigilanza coerenti con l'effettiva situazione patrimoniale dell'istituto di credito. 1.7.3 Le condotte di ostacolo alfa vigilanza BCE (capo H1) Al riguardo il tribunale, premesso che a seguito dell'entrata in vigore, in data 4.11.2014, del Sistema di Vigilanza Unico, talune competenze primarie in materia di vigilanza erano state trasferite alla BCE, con conseguente ricomprensione anche della predetta Banca Centrale tra i soggetti destinatari della tutela ex art. 2638 c.c., individuava, alla stregua dell'imputazione, le condotte di ostacolo rispettivamente: - nella segnalazione di vigilanza al 31.12.2014 (in ragione della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dall'11,73% all'8,04%) e nella segnalazione di vigilanza al 31.3.2015 (in ragione, anche in tal caso, della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dal 10,67% al 7,49%). Tali condotte decettive, in entrambi i casi, avevano impedito alla vigilanza l'adozione di tempestivi provvedimenti; - nonché nella informativa al pubblico al 31.12.2014; 1.7.4 Le condotte di ostacolo relative al Comprehensive Assessment (capo M1) Con riferimento alle condotte di ostacolo poste in essere in danno di Banca d'Italia e BCE impegnate nella vigilanza in fase di valutazione approfondita (Comprehensive Assessment), svoltasi nel periodo tra il febbraio e l'agosto del 2014, il tribunale riteneva provate condotte di ostacolo tradottesi tanto nell'omessa comunicazione di informazioni essenziali (inerenti al fenomeno dell'assistenza finanziaria e al rilascio della lettere di impegno al riacquisto) quanto nell'esposizione di fatti non veritieri sulla situazione patrimoniale del gruppo come descritta nella nota 20,6.2014 e nel capital pian inviato in data 10.11.2014. In particolare nel corso della Asset Quality Review - AQR (ovverosia della Revisione della Qualità degli Attivi di bilancio), dopo che erano stati formulati rilievi molto critici per la banca da parte delle autorità di vigilanza (con l'ispettore Vi.Ca. che aveva esposto forti perplessità in ordine alla patrimonializzazione dell'istituto di credito, evidenziando come il progettato aumento di capitale sarebbe sostanzialmente servito solo a colmare il deficit; e aveva anche avanzato seri dubbi sulla stessa concreta possibilità di portare a compimento l'operazione di aumento di capitale), i vertici dell'istituto avevano rassicurato la vigilanza stessa sotto tutti i profili. Nel corso dell'ispezione, tuttavia, non era emerso in alcun modo il fenomeno del capitale finanziato né era venuta alla luce l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto; elementi che, se conosciuti, avrebbero portato ad esiti del Comprehensive Assessment ben diversi. Anche il Preliminary Capital Plan - predisposto dall'istituto di credito su richiesta della Banca d'Italia in data 9.6.2014, in previsione dell'entrata in vigore del meccanismo unico di vigilanza, e inviato all'autorità di vigilanza il 20.6.2014 - era stato caratterizzato dalla prospettazione di un obiettivo di patrimonializzazione rassicurante (euro 608 milioni per effetto dell'aumento di capitale); prospettazione, tuttavia, radicalmente falsata dalla mancata precisazione che anche tale risultato era dovuto al massiccio ricorso al capitale finanziato. Quindi, con il Capital Pian elaborato il 10.11.2014 (e, pertanto, successivamente agli esiti del Comprehensive Assessment che, pubblicati il 26.10.2014, avevano evidenziato la necessità dell'adozione di misure di implementazione del capitale, posto che gli Stress Test avevano rivelato un deficit da scenario avverso di 223 milioni), l'istituto di credito vicentino aveva adottato delle contromisure (segnatamente: l'utilizzo dell'aumento di capitale già collocato e la conversione del soft mandatory per 223 milioni) che avevano portato la BCE ad adottare una decisione SREP (ovverosia una decisione inerente al processo di revisione e valutazione prudenziale, consistente nell'analisi dei profili di rischio delle banche) con la quale veniva fissato un requisito minimo di CET1 ratio pari ad almeno il 10,25% ed erano stati richiesti l'adozione di un piano di capitale, da realizzarsi entro l'aprile del 2016, nonché il rafforzamento delle strutture organizzative dei processi e delle strategie di controllo interno. Al solito, la mancata comunicazione delle essenziali informazioni in ordine al massiccio ricorso al capitale finanziato, anche in occasione dell'aumento di capitale, aveva avuto lo scopo - effettivamente raggiunto - di procrastinare l'emersione delle situazioni di illiquidità del titolo e di sotto-patrimonializzazione dell'istituto di credito, di fatto seriamente ostacolando le funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della BCE, tenute all'oscuro delia esatta situazione patrimoniale e finanziaria del gruppo. Di qui l'adozione da parte degli organi di vigilanza di provvedimenti (la citata decisione SREP del febbraio 2015) incoerenti con tale situazione e, per contro, la mancata adozione di contromisure impellenti e indifferibili (come precisato dal teste ispettore En.Se.). Solo in occasione dell'ispezione BCE del 2015 - concludeva il tribunale - sarebbe effettivamente emersa la macroscopica divergenza tra i flussi informativi indirizzati alla vigilanza nel triennio 2012-2015 e la reale situazione patrimoniale della banca. 1.7.5 L'ostacolo alla vigilanza nei confronti di CONSOB (capo N1 - posizione G1) Il tribunale riteneva provato anche l'addebito stigmatizzato sub N1), inerente alle condotte di ostacolo alla vigilanza poste in essere, nei confronti di CONSOB, in relazione all'operazione di aumento di capitale 2014. In estrema sintesi, dopo avere dettagliatamente illustrato - in relazione tanto alla disciplina generale quanto al modello concretamente adottato da B. - il quadro normativo delle attività di intermediazione finanziaria (con particolare riguardo agli obblighi incombenti sugli intermediari nella relazione con la clientela sia nella fase precontrattuale, sia in quella di conclusione del contratto, sia nel corso dell'esecuzione del rapporto in un'ottica di tutela dell'investitore al fine di agevolarlo nella comprensione delle caratteristiche, dei rischi e dei costi dei prodotti finanziari offerti in un mercato di libera concorrenza), il primo giudice ricostruiva puntualmente l'episodio in questione. Nel caso di specie B. aveva pianificato una operazione che prevedeva un'offerta a pagamento mediante emissione di azioni ordinarie in opzione ai soci per un importo massimo di euro 700.000.000, nonché un aumento di capitale ordinario a pagamento mediante emissioni di azioni ordinarie finalizzata all'ampliamento della base sociale da offrire ai non soci per un importo massimo di 300.000.000 di euro. Nel corso della seduta del CdA 15.4.2014, poi, era stata definitivamente approvata l'operazione in questione, con l'individuazione dell'ammontare definitivo dell'aumento di capitale (aumento di capitale scindibile fino al controvalore massimo di 608.000,000 dì euro), la definizione del rapporto di opzione (una nuova azione ogni nove possedute con definizione del rapporto di attribuzione del premio fedeltà nella misura di un'azione ogni quattro) e la decisione che le azioni eventualmente inoptate sarebbero state offerte al pubblico indistinto e assegnate a coloro che ne avessero fatto richiesta durante il perìodo di offerta. Le azioni erano state emesse al prezzo di 62,5 euro, determinato sulla base della relazione di stima dell'esperto indipendente. Solo con riferimento al mini aucap, poi, era stato previsto che potessero essere concessi ai nuovi soci finanziamenti correlati alla sottoscrizione dell'aumento di capitale. In relazione a tale operazione l'istituto di credito aveva rappresentato, nelle relative comunicazioni inviate alla CONSOB, siccome specificamente richiamate in imputazione (trattasi della comunicazione formale 23.5.2014 in risposta alla richiesta di dati e notizie del 16.5.2014; della nota 4.7.2014; dell'ulteriore nota 15.10.2014), l'adozione di un modello operativo fondato su un atteggiamento neutro in ordine alla collocazione dei propri titoli nei confronti dei titolari dei diritti di opzione, attestando di avere predisposto modelli procedurali tesi a garantire la genuinità dell'iniziativa del cliente e sottolineando altresì che, come deciso, eventuali operazioni dì finanziamento sarebbero state previste solo con riferimento all'operazione di mini aucap. Tali modelli prevedevano, per i soci titolari del diritto di opzione: - da un lato l'esclusione dell'applicabilità della valutazione di adeguatezza, onde non interferire con l'esercizio del predetto diritto di opzione; - dall'altro lato l'astensione dalla prestazione di raccomandazioni all'investimento e di consulenza per i medesimi titolari del diritto di opzione e della connessa prelazione, i quali, infatti, onde contenere le occasioni di contatto diretto tra costoro e gli addetti di rete, avrebbero potuto aderire autonomamente all'aumento di capitale inviando richieste via internet, inserendo il proprio codice fiscale in una apposita pagina web, ovvero a mezzo raccomandata. In altri termini l'istituto di credito aveva rappresentato, nella comunicazione formale 23.5.2014, che avrebbe compensato il "sacrificio" della valutazione di adeguatezza (sacrificio resosi necessario per evitare che tale "filtro", posto a presidio dell'investitore, potesse pregiudicare il libero esercizio del diritto di opzione - e della connessa prelazione - nel caso di soggetto che, già socio e interessato ad avvalersi dell'opzione, non avesse superato detto vaglio) con l'assicurazione che i titolari di opzione sarebbero stati messi al riparo da influenze di sorta da parte della rete dell'istituto di credito, onde scongiurare qualsivoglia rischio che le determinazioni dei clienti potessero essere influenzate da consigli dì investimento fomiti dalla rete della banca in una situazione di conflitto di interesse. La CONSOB aveva approvato il prospetto relativo all'aucap 2014 in data 8.5.2014 e il successivo 9.5.2014 la banca aveva comunicato agli azionisti i dettagli delle operazioni informandoli della facoltà di esercitare i! diritto di opzione. In linea con l'originaria comunicazione alla CONSOB, por, si collocavano le successive comunicazioni dell'istituto all'ente di vigilanza rese nelle date del 4.7.2014 e del 15.10.2014. Ebbene, precisava il primo giudice, contrariamente a quanto comunicato a COIMSOB ed alla stregua di inequivoche prove tanto testimoniali (oltre alla deposizione del dirigente CONSOB, Francesco Adria, il tribunale valorizzava quelle dei dirigenti B. Al.Mo. e Gi.Am.) quanto documentali (tra le quali plurime, assai significative, comunicazioni via e-mail intercorse tra dirigenti B.), era emersa la natura meramente formale dei presidi organizzativi adottati dall'istituto di credito, peraltro sistematicamente aggirati nella pratica commerciale in attuazione di un'attività di pianificazione che si era caratterizzata per una fortissima pressione commerciale sulla rete (come precisato da numerosi dirigenti B. e, segnatamente, dai testi Gi.Ca., Ma.Ni., Lu.Ve., Ro.Pr. e Fu.Bo.), posto che: a) ben lungi dall'essere riconducibili alla spontanea iniziativa dei clienti, gli acquisti erano stati sollecitati dalla rete commerciale dell'istituto, appositamente istruita e sistematicamente resa oggetto di forti pressioni per la collocazione dei titoli; b) circa il 60% delle richieste di acquisto di azioni inviate via internet (modalità che, come detto, secondo il modello predisposto, unitamente all'invio della richiesta in modalità cartacea attraverso la spedizione di lettera raccomandata, avrebbe dovuto essere seguita dalla clientela interessata alla sottoscrizione di azioni onde evitare contatti inappropriati con la rete dell'istituto) erano risultate inviate da indirizzi IP di computer in uso a dipendenti della banca. Inoltre era emersa la prassi della presentazione brevi manu delle missive, in luogo dell'invio per raccomandata; c) contrariamente a quanto esposto all'autorità di vigilanza, in larghissima parte le adesioni all'offerta da parte degli opzionisti (26.000 su 29.000) si erano concretizzate al di fuori del sistema nella preventiva raccolta delle manifestazioni di interesse; d) mediante le modalità predisposte dalla banca, infatti, avevano aderito solo 2778 del 29.360 titolari del diritto di opzione, inviando 1695 lettere e 1083 manifestazioni di interesse via web; e) erano state create vere e proprie liste di clienti da contattare per supportare° la rete di vendita, nell'ambito di un'accurata pianificazione commerciale volta a favorire al massimo la collocazione delle azioni (ben 7434 soci che avevano aderito all'iniziativa, infatti, erano risultati inseriti nelle liste predisposte dalla banca); f) il 32% degli aderenti all'aucap censiti nel database delle manifestazioni di interesse aveva richiesto al momento dell'adesione un quantitativo di azioni esattamente corrispondente a quanto registrato nell'applicativo predisposto dalla banca nella fase di preadesione; g) era emersa la prassi di aggirare il test di adeguatezza (previsto per le adesioni del pubblico indistinto sino al 9.7.2014) facendo acquistare sul mercato secondario al cliente 100 azioni prima dell'aucap, in modo che il medesimo cliente potesse rientrare tra i soci e, quindi, potesse partecipare all'aumento di capitale senza effettuare le valutazioni di adeguatezza. Più nel dettaglio, i casi di consulenza surrettizia accertati - come precisato dall'ispettore An.Me. - erano risultati corrispondenti ad operazioni di acquisto per un valore pari a 143,17 milioni di euro su 497,98 milioni di euro complessivi. Secondo gli esiti della replica del test di adeguatezza standard effettuato in sede ispettiva (test che, infatti, sarebbe stato doveroso effettuare in caso di consulenza) era poi emerso che in almeno il 72% dei casi per un controvalore di 83 milioni di euro si sarebbe trattato di operazioni non adeguate, in quanto tali destinate ad essere bloccate dalla procedura. Inoltre si era acquisita contezza di agevolazioni (segnatamente, time deposit a tassi vantaggiosi) e anche di massicci finanziamenti concessi per l'acquisto di azioni proprie, non solo per garantire l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie ma anche per conseguire gli obiettivi di aumento di capitale, peraltro nell'ambito di iniziative commerciali che erano state taciute alla CONSOB e che avevano portato alla conclusione di operazioni di vendita di titoli in assenza delle doverose informazioni circa la natura e le caratteristiche delle operazioni medesime. Pertanto l'incremento di rischio per la clientela era stato del tutto privo di presidi nei sistemi di verifica di adeguatezza degli investimenti. In definitiva - concludeva il primo giudice - B. aveva fornito alla CONSOB, con riferimento alla predetta operazione di aumento di capitale, un quadro informativo falso e gravemente fuorviante, tanto in ordine al modello di servizio adottato per rapportarsi alla clientela quanto in punto di erogazione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie. La rilevanza decettiva di tali condotte era stata indubbia: ove la CONSOB fosse stata informata della pianificazione commerciale all'origine del collocamento delle azioni, infatti, avrebbe sicuramente esercitato in modo più pervasivo i propri poteri, sia di controllo che istruttori ex art. 94 TUF, e avrebbe imposto un più rigoroso modello di operatività fondato sulla consulenza e sull'obbligo di somministrazione di test di adeguatezza bloccante. Né, ad avviso del giudice di prime cure, poteva aderirsi alla tesi difensiva proposta dall'imputato Em.Gi.. Costui - risultato il dirigente che aveva maggiormente supportato e coadiuvato il direttore generale Sa.So. nell'iniziativa commerciale tesa a garantire il buon esito dell'aumento di capitale - aveva sostenuto, infatti, di avere agito nella convinzione dell'esistenza di una pregressa pianificazione commerciale concordata dall'istituto di credito con l'autorità di vigilanza. Tale tesi difensiva, tuttavia, era stata nettamente smentita dalle emergenze istruttorie. Da un lato, infatti, la banca aveva sempre attestato alla vigilanza che le operazioni di sottoscrizione erano avvenute ad iniziativa dei clienti; dall'altro lato era emersa un'operatività volta alla pianificazione commerciale dell'operazione non verbalizzata e, quindi, evidentemente elaborata e attuata nella piena consapevolezza di agire al di fuori del perimetro di regolarità tracciato dalla normativa Mifid. Né - proseguiva il tribunale - poteva accedersi alla tesi difensiva dell'imputato GI. secondo cui questi non era responsabile del reato in esame essendosi limitato a dare attuazione alle direttive impartitegli; in contrario deponevano la sua veste di dirigente apicale (responsabile della Divisione Mercati e vice direttore generale) nonché la prova - da considerarsi raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio - dell'incondizionato allineamento del GI. all'illecita politica gestoria ideata dal direttore generale So., cui il GI. medesimo aveva contribuito materialmente offrendo un fondamentale apporto partecipativo. Peraltro - concludeva, sul punto, il primo giudice - lo stesso presidente Zo.Gi. aveva preso parte tanto alla riunione del 3 aprile 2014, nel corso della quale il d.g. So. aveva illustrato alla rete le modalità operative pianificate per l'aucap e la campagna di contatto della clientela (al riguardo il riferimento era alla e-mail di cui al doc. 241 del P.M. in cui si esplicitava chiaramente la "campagna di contatto" all'uopo programmata), quanto alla precedente seduta del CdA del 4 marzo, in occasione della quale aveva fatto esplicito riferimento alla necessità dì "fare formazione sulla rete", chiarendo che "non devono parlare", ovverosia all'esigenza di stimolare i clienti ad aderire all'aumento di capitale e alla congiunta necessità di occultare tale prassi operativa. Donde la trasmissione degli atti al P.M. con riferimento alla posizione di tale imputato. 1.8. I reati di falso in prospetto In proposito va premesso che oggetto dei capì di imputazione sub I) ed L) sono i prospetti informativi redatti dall'istituto dì credito e depositati presso la CONSOB relativi agli aumenti di capitale realizzati negli anni 2013 e 2014 ed inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni La condotta di falso, secondo le suddette imputazioni, sarebbe consistita nell'occultamento di informazioni rilevanti in merito all'esistenza, all'entità e agli effetti del fenomeno degli investimenti correlati all'acquisto di azioni B., nonché nella comunicazione dì informazioni fuorvianti in ordine all'andamento del mercato secondario delle stesse azioni. Sul punto il tribunale, dopo avere richiamato il quadro normativo di riferimento (artt. 94, 94 bis, 173 bis D.Lvo 58/98 - TUF), evidenziava gli elementi costituivi della fattispecie delittuosa in esame precisando trattarsi di "reato comune", finalizzato ad approntare tutela al risparmio nella sua accezione "dinamica" e caratterizzato da una condotta reticente o fuorviante idonea a trarre in inganno l'investitore (senza peraltro la necessità della causazione di danno, come invece previsto dalla previgente fattispecie ex art. 2623 c.c.). In siffatta prospettiva la falsità non avrebbe dovuto necessariamente avere a oggetto dati materiali necessari ma anche notizie e valutazioni fondanti l'offerta (con l'ovvia precisazione che, in tal caso, più che di falsità delle predette valutazioni si sarebbe trattato di un difetto di genuinità e di imparzialità delle stesse). Anche l'occultamento di informazioni, poi, avrebbe potuto integrare la condotta materiale della fattispecie in questione, qualora inerente a dati o informazioni parimenti rilevanti. In ogni caso, essendosi in presenza dì reato di pericolo concreto, requisito essenziale della condotta decettiva era l'idoneità a trarre in inganno il destinatario; quest'ultimo, nella concretezza del caso sub iudice, non si sarebbe dovuto identificare nell'investitore professionale e neppure - ed a fortiori - in quello istituzionale, bensì nel piccolo/medio risparmiatore, ovverosia in quel soggetto che, generalmente, si limita alla lettura della sola "nota di sintesi", decisamente più breve e predisposta proprio al fine di renderlo edotto del contenuto "concreto" della proposta di investimento. Sotto il profilo soggettivo, poi, la norma era caratterizzata dalla combinazione del dolo specifico e di quello intenzionale: alla volontà e rappresentazione del fatto tipico commesso con l'intenzione di ingannare i destinatari del prodotto finanziario, infatti, si accompagnava lo scopo di conseguire un ingiusto profitto, per sé ovvero per altri. Tanto premesso - proseguiva il tribunale - negli anni 2013 e 2014 la banca vicentina aveva realizzato due aumenti di capitale, il primo deliberato il 16.4.2013 ed il secondo, caratterizzato da due offerte, il 15.4.2014. In entrambi i casi i prospetti comunicati dalla banca erano risultati caratterizzati dall'occultamento dell'esistenza, dell'entità e degli effetti del fenomeno della concessione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. e, quindi, dall'occultamento di informazioni essenziali perché l'investitore potesse determinarsi correttamente. Questo benché la prassi della concessione di siffatta tipologia di finanziamenti risalisse al 2009 (quando l'istituto aveva iniziato a proporre a clienti "amici" acquisto dì azioni proprie in grandi quantità - i c.d. "big ticket" - nell'ambito di operazioni "baciate", ovvero caratterizzate dalla tendenziale corrispondenza tra importo del finanziamento concesso e controvalore delle azioni acquistate, al fine di procedere allo svuotamento periodico del fondo acquisto azioni proprie) e benché detto fenomeno, che aveva interessato tanto il mercato primario quanto quello secondario, avesse raggiunto dimensioni consistenti già a partire dal 2012 (nel quarto trimestre de) 2012, infatti, il numero dì azioni finanziate era risultato corrispondere ad un controvalore di euro 545.520.996). Ora, con riferimento al mercato primario, nell'ambito degli aumenti di capitale finalizzati all'ampliamento della base sociale (mini aucap 2013 e 2014), l'istituto di credito aveva previsto espressamente l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie. Analoga informativa, invece, non era stata inserita nei prospetti relativi agli aumenti di capitale destinati ai titolari del diritto di opzione, ovvero al pubblico indistinto, sebbene, poi, in concreto, gli accertamenti ispettivi BCE e CONSOB avessero dimostrato come gli aumenti di capitale 2013 e 2014 fossero stati in larga parte realizzati proprio ricorrendo al massiccio finanziamento degli investitori che sottoscrivevano azioni di nuova emissione (nel 2013, su un controvalore totale di euro 506 milioni, le operazioni finanziate erano ammontate a 136.034,044,00 euro; nel 2014, poi, i finanziamenti concessi dall'istituto avevano riguardato azioni per un controvalore di 146,451.259 euro). Solo a seguito dell'ispezione BCE del 2015, infatti, l'istituto aveva ammesso l'esistenza delle operazioni di finanziamento correlato, per un valore complessivo determinato, in sede di internai audit, di 1.086 milioni di euro alla data del 31.10.2015, informazione che, come inevitabile, aveva provocato effetti dirompenti. Di qui la conclusione cui perveniva il primo giudice circa la penale responsabilità derivante dalla radicale assenza, nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento di capitale, dell'esistenza e dell'entità del fenomeno delle operazioni finanziate, trattandosi di informazioni che, ove conosciute, avrebbero evidentemente indotto un investitore ragionevole ad una ben maggiore ponderazione nella decisione di sottoscrivere gli aumenti di capitale. L'occultamento di tali informazioni, poi, aveva ovviamente alterato anche i dati di bilancio e, di conseguenza, le informazioni ad essi inerenti che erano state riportate nei prospetti relativi agli aumenti di capitale in questione. L'effetto che ne era derivato era stato, anche in tal caso, quello di distorcere gravemente la conoscenza degli investitori circa la rappresentazione dei livelli patrimoniali della società. Per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2012, infatti, il Tier 1 Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia dell'8% quale prescritta dalla Banca d'Italia nella lettera di intervento del 2.3.2012. Anche nel 2013, poi, si era registrata analoga violazione di detto requisito target. Così come durante il successivo esercizio 2014, quando il CET Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia regolamentare del 7% e il Total Capital Ratio aveva parimenti raggiunto un livello inferiore a quello minimo regolamentare del 10,5%. I dati di bilancio richiamati nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento del capitale, quindi, avevano indotto i risparmiatori a confidare in un livello di solidità patrimoniale dell'istituto di credito in realtà ben inferiore a quello prescritto. Donde l'idoneità decettiva delle informazioni fornite sul punto. Infine, anche le informazioni inerenti ai volumi delle azioni scambiate nell'ambito del mercato secondario erano risultate del tutto inattendibili per effetto della mancata comunicazione del fenomeno delle operazioni finanziate (fenomeno al quale la banca aveva fatto ricorso massicciamente, a partire dal 2012, proprio allo scopo di assicurare la negoziabilità del titolo, provocando, tuttavia, in tal guisa, una grave alterazione della dinamica del mercato secondario) e avevano ingenerato nei terzi la convinzione di una solo apparente liquidità delle azioni. In questo contesto era stata occultata al mercato - sostenendosi, nei prospetti, che le richieste di cessioni delle azioni sarebbero state sottoposte appena possibile al CdA - la persistente situazione di grave ritardo nell'evasione delle richieste di vendita di azioni provenienti dai soci (nel corso del 2013, in effetti, il time to sell era passato dai 28 giorni del mese di gennaio ai 311 giorni della fine dell'anno); richieste, peraltro, neppure sempre evase in ordine cronologico. In definitiva la mancata comunicazione di tali informazioni aveva ingenerato l'apparenza di un'appetibilità del titolo in realtà inesistente. Donde, anche sotto tale profilo, la sussistenza della condotta di reato di falso in prospetto. Quanto, poi, alle singole posizioni soggettive, il tribunale evidenziava come Zo.Gi., presidente del CdA dal 1996 al 2015, fosse certamente responsabile delle operazioni di aumento di capitale del 2013 e anche della redazione dei relativi prospetti, per avere egli, su incarico del CdA, conferito al d.g. So. e al vice d.g. PI. i poteri all'uopo necessari, nonché per avere egli sottoscritto il documento di registrazione e la dichiarazione di responsabilità. Analogamente, con riferimento all'aumento di capitale 2014, i poteri conferiti allo ZO. dal CdA in ordine all'operazione di aumento di capitale rendevano evidente la responsabilità del predetto nella falsificazione dei prospetti illustrativi di detta operazione Considerazioni del medesimo tenore, poi, venivano dal tribunale svolte con riferimento alla posizione del PI., trattandosi di un vice direttore B. nonché del responsabile della Divisione Finanza, ovverosia di una divisione alla quale, secondo l'organigramma dell'istituto di credito, competeva proprio l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi. Infine anche gli imputati GI. e MA. venivano giudicati responsabili del reato in questione, avendo i predetti, sebbene non coinvolti - secondo il primo giudice - nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, partecipato attivamente ad assicurare, conoscendone perfettamente le esigenze sottostanti, l'operatività del meccanismo dei finanziamenti correlati all'acquisto delle azioni B. mediante massiccio ricorso al capitale finanziato; meccanismo del quale avevano contribuito a occultare l'esistenza e l'entità. 1.9. Le singole posizioni processuali. 1.9.1 Zo.Gi. Il tribunale, dopo avere richiamato la normativa di dettaglio emanata da Banca d'Italia per disciplinare gli assetti del governo societario dell'impresa bancaria (assetti che attribuivano al presidente del CdA il ruolo di garanzia in ordine al corretto funzionamento dell'organo, precisando come costui non dovesse essere un componente esecutivo e non dovesse svolgere, neppure di fatto, funzioni gestionali) e dopo avere ricostruito la composizione, all'epoca dei fatti, del CdA di B., precisava che Zo.Gi. era stato presidente dell'istituto di credito dal 1996 al novembre del 2015 nonché presidente del comitato esecutivo. Tutti gli elementi disponibili, poi, convergevano nel delineare il ruolo dominante e pervasivo svolto dall'imputato nell'organizzazione dell'attività della banca, tanto che l'attenzione degli organi di vigilanza, sin dal 2007, aveva evidenziato tale criticità, stigmatizzando l'autoreferenzialità dei meccanismi di governance instaurati dall'imputato. Peraltro era stata proprio la strategia di crescita (aumento degli sportelli; continua espansione dimensionale) imposta alla banca dal Presidente a porsi all'origine delle problematiche degli aspetti patrimoniali del gruppo che, infatti, proprio per fare fronte alla progressiva crescita dei costi di gestione, era stato costretto a ricorrere sistematicamente ad aumenti di capitale. Inoltre i meccanismi di governo societario - e, in particolare, il ruolo predominante rivestito, nel consiglio di amministrazione, dall'imputato nonché la visione maturata e attuata dallo stesso dì un successo imprenditoriale commisurato alla continua espansione dimensionale dell'istituto - erano stati sistematicamente censurati dall'autorità di vigilanza (in particolare: in occasione del rapporto ispettivo del 2008; dell'ispezione di follow up del 2009; dell'ispezione sul credito del 2012; della vigilanza in relazione all'aumento di capitale del 2013). Del resto la struttura verticistica del governo aziendale era emersa da tutte le risultanze probatorie disponibili. In effetti - precisava il primo giudice - l'imputato esercitava una forma pervasiva di controllo sulle dinamiche del consiglio, nel cui seno le decisioni assunte non erano mai state oggetto di discussione o dibattito, il tutto mentre il controllo assicurato dal collegio sindacale era risultato meramente formale, come verificato da Banca d'Italia nell'ispezione 2008. Di fatto era lo ZO., con riferimento tanto al consiglio di amministrazione, quanto al collegio sindacale, a selezionare i candidati (dep. Zi., Gr., Lo.), scegliendoli, per cooptazione, tra esponenti dell'imprenditoria locale (individuando, peraltro, soggetti inesperti dei complessi meccanismi dell'impresa bancaria) e ad affiancare loro professionisti già legati alla persona dello stesso presidente da pregresse esperienze professionali. In particolare il tribunale, sulla base di puntuali deposizioni al riguardo (trattasi, segnatamente, della deposizione resa dal teste Da.Lo.), ricostruiva una situazione caratterizzata dall'assenza di obiezioni di sorta alle proposte presidenziali, da un clima dì effettiva intimidazione - se non di vero e proprio terrore - che rendeva difficile manifestare qualsiasi dissenso, nonché da modalità di votazione, in assemblea, che rendevano identificabili le singole manifestazioni di voto. In effetti il CdA si era costantemente limitato ad approvare le proposte del presidente e tutte le decisioni erano state sempre unanimi, sicché lo stesso ruolo del consiglio era stato, di fatto, svuotato di ogni profilo sostanziale. Emblematica di ciò - ad avviso del tribunale - era stata la vicenda dell'acquisizione di un immobile da adibire a sportello bancario nella località turistica di Cortina, operazione fortemente voluta dallo ZO. (in particolare per il ritorno di immagine che, a suo giudizio, ne sarebbe derivato) e che era stata conseguentemente accettata dal d.g. So. contro ogni logica dì convenienza economica, tanto che aveva portato all'esito fallimentare di una perdita di oltre venti milioni di euro (come peraltro comprovato dal contenuto della conversazione telefonica intercettata riportata a pag. 589 della sentenza impugnata e come confermato dalla relazione ex art. 33 l.f.). Altrettanto significativa del ruolo predominante dell'imputato in seno al CdA, poi, era la vicenda - la cui ricostruzione esatta era stata resa possibile dalla documentazione costituita dal relativo file audio - inerente alla determinazione del prezzo dell'azione in deroga alle stesse regole procedurali dell'istituto deliberata in occasione della seduta 1.4.2014. Connotato da analoga "impronta padronale", inoltre, era anche il rapporto tra l'imputato, da un lato, ed il management e le strutture aziendali, dall'altro. Infatti, ripetutamente, gli incarichi di vertice erano stati assegnati a soggetti indicati dal presidente (era il caso dei d.g. Gr. e So., di Ro., di Fa., consulente nel settore degli affari internazionali; di Ra., al quale era stato affidato l'incarico di presidente della società Mo. che gestiva il patrimonio immobiliare della banca), con il CdA che si era limitato a ratificarne le decisioni. Era lo ZO. a decidere su tutto: retribuzioni, posizioni, crediti, affidamenti, parco automobili (si veda la deposizione di Um.Se., direttore della controllata siciliana Ba.Nu. dal 2012), L'imputato si era occupato anche delle campagne pubblicitarie (cfr. la deposizione del teste Ma.Pa.) e addirittura della concessione, agli amici, di tassi di interesse fuori mercato ed in perdita per la banca (come nel caso dell'imprenditore amico Re.Ca., secondo la deposizione del teste Gi.Am.). Più nel dettaglio, il coinvolgimento dello ZO. nell'attività gestionale era stato confermato da numerose, convergenti deposizioni. Era il caso, in particolare, delle testimonianze di Al.Sa., Iv.Me. e Gi.Am., quest'ultima relativa anche alla riunione tenutasi l'il.11.2014 a seguito della pubblicazione dell'articolo del Sole 24 Ore che aveva messo in discussione il valore del titolo. In detta riunione ZO. aveva esplicitamente affermato, tra l'altro, che ì soci che avessero voluto vendere i titoli avrebbero potuto essere sostenuti con finanziamenti e la trascrizione della già menzionata seduta del Comitato di Direzione 10.11.2014 (doc. P.M. nr. 110) riscontra tali indicazioni del presidente. Le e-mail acquisite al fascicolo del dibattimento (docc. P.M. nr. 298, 299, 322, 320, 521), al pari degli appunti di Ma.So. contenuti nel "maxi quaderno giallo", poi, confermavano il ruolo operativo del presidente. Il teste Se.Ro., inoltre, aveva riferito al teste Ma.Pa. - cfr. la deposizione di quest'ultimo - che le decisioni di vendita delle azioni andavano ricondotte allo ZO. e, sul punto, non mancavano conferme documentali: la e-mail del 16.6.2014 (allegato 31 relazione CONSOB), avente ad oggetto il sollecito rivolto dalla segreteria del presidente ZO. al Ro. circa un reclamo - indirizzato direttamente al medesimo presidente ZO. -riguardante i ritardi nella vendita di azioni della sig.ra Ro.Sa.; il documento del P.M. nr. 321 (relativo a una corrispondenza e-mail tra Fi.Ro. e Da.Fa. del 20.1.2014); gli appunti del So.; infine le stesse dichiarazioni ammissive rese dall'imputato nel corso dell'interrogatorio del 24.3.2017. Lo strettissimo rapporto tra lo ZO. ed il d.g. So. (quest'ultimo, peraltro, proposto dallo stesso ZO. come consigliere delegato nel 2015, ovverosia poco prima dell'ispezione BCE, quando oramai la banca versava in condizioni di forte criticità ed aveva superato solo per il "rotto della cuffia" il Comprehensive Assessment tramite la conversione del prestito obbligazionario deliberata d'urgenza dal CdA nella seduta del 26.10.2014, convocata presso la tenuta toscana del presidente sita in (...) era stato delineato da numerosi testi escussi (Di.Gr., Se.Ro., Ad.Ca., Pa.An., Vi.Do., Ma.So.) e confermato dallo stralcio della conversazione intercettata tra Gi.Zi. e il suo interlocutore Pa.Ba. nello del 26.8.2015 (riportata a pag. 599 della gravata sentenza), dove si affermava che i due erano sostanzialmente inscindibili e "viaggiavano a braccetto". Lo stesso So. del resto, in occasione di talune conversazioni intercettate, si era riferito spesso al diretto coinvolgimento del Presidente nelle vicende gestorie della banca (il richiamo era ai progressivi 459, 300, 610, 845, 1570, 1587, nonché agli SMS di cui ai documenti nn.ri 653, 654, 655 - pagg. 600-603 della gravata sentenza). Con riferimento all'aucap del 2014, poi, la scheda file audio della seduta del CdA del 4.3-2014 aveva documentato il diretto coinvolgimento del presidente nella pianificazione dell'operazione in questione, mentre le dichiarazioni del coimputato GI. avevano ribadito tale coinvolgimento, peraltro confermato anche dalla documentazione disponibile (era il caso della e-mail costituente l'allegato nr. 75 alla relazione CONSOB). Lo ZO., inoltre, aveva avuto un ruolo attivo anche durante il comitato di direzione "allargato" del 20.4.2015 nel quale erano state affrontate, tra gli altri temi, le questioni dei soci finanziati e della creazione di una task force che avrebbe dovuto gestire il problema dei soci che chiedevano di vendere le proprie azioni. In tal senso deponeva il documento nr. 362 del P.M. costituito dagli appunti di Gi.Am., siccome "interpretati" dallo stesso Am. durante la propria deposizione. Nel corso di tale comitato di direzione, infatti, si era discusso anche del problema costituito dall'impossibilità di ricorrere all'impiego del fondo acquisto azioni proprie, ovvero allo strumento che, ad avviso del Presidente, doveva servire - secondo quanto riferito dal teste Am. - "a rendere più liquido l'investimento in azioni della (...)". Del resto le modalità della risoluzione del rapporto con il d.g. So. (risoluzione intervenuta solo quando, nel corso dell'ispezione BCE, la situazione era divenuta insostenibile a seguito dell'emersione della vicenda dei fondi lussemburghesi, della prassi delle lettere di impegno e dei finanziamenti correlati) dovevano ritenersi sintomatiche - nella ricostruzione dell'episodio fattane dal primo giudice - delle modalità gestorie dello ZO. e della volontà di assicurare al So. un commodus discessus. L'imputato, infatti, aveva fulmineamente risolto il contratto con il direttore generale (al quale, nondimeno, era stato riconosciuto di avere operato "con diligenza e correttezza nell'interesse della banca" e, soprattutto, era stata attribuita una buonuscita di ben 4 milioni di euro); questo era avvenuto nonostante il contrario parere del consigliere Gi.Zi. (documentato dal file audio della seduta del CdA) il quale aveva chiesto di valutare il licenziamento, al posto della risoluzione consensuale, al fine di salvaguardare la posizione dello stesso CdA. Peraltro dell'intervento dello ZI. il verbale consiliare non recava traccia alcuna (e questo nonostante la esplicita richiesta avanzata, in tal senso, dal menzionato consigliere). Si era trattato, quindi, di una decisione unilaterale di ZO., non preceduta da alcun dibattito in seno asl CdA (come riferito dallo stesso ZI. e come, del resto, confermato dalla deposizione del teste Ad.Ca.). Nell'occasione la finalità perseguita dallo ZO. - ad avviso del tribunale - era stata evidentemente quella di assicurarsi, "attraverso il fulmineo e ben retribuito congedo del direttore generale infedele", "un salvacondotto a fronte delle condotte illecite in fase di accertamento da parte della squadra ispettiva" (così si legge a pagina 611 della sentenza impugnata). Solo in quest'ottica, pertanto, poteva essere ragionevolmente interpretato quanto avvenuto in occasione delle successive sedute del CdA del 15 maggio, 27 maggio, 9 giugno e 11 giugno 2015, allorché sì era discusso della possibilità di intraprendere azioni legali nei confronti del So. per poi alla fine decidere, su proposta dello stesso ZO., di non procedere in alcun modo nei confronti dell'ex direttore generale. In definitiva l'accordo per la risoluzione del contratto con il manager con riconoscimento di una buonuscita multimilionaria - accordo deciso e repentinamente attuato dallo ZO. non solo in contrasto con le previsioni statutarie (che attribuivano al CdA la competenza in materia) e con la normativa di vigilanza in materia di remunerazione dei dirigenti, ma anche in radicale conflitto con l'interesse dell'istituto di credito - costituiva un elemento di prova della corresponsabilità dell'imputato. Sintomatiche dell'interesse (a proteggere il So.) perseguito, con detto accordo, dallo ZO. - significativamente definito, in un colloquio captato dagli investigatori, uno che ha governato come un monarca assoluto" e che, quindi, non era certo all'oscuro di quanto andava emergendo nel corso dell'ispezione - erano proprio alcune conversazioni intercettate (cfr. stralci riportati alle pagg. 611-613 della sentenza). Quindi il primo giudice, ad ulteriore sostegno della conclusione cui perveniva in ordine alla piena responsabilità dello ZO. nella gestione dell'istituto di credito con riferimento specifico alle condotte oggetto di imputazione, richiamava specificamente le operazioni correlate effettuate da taluni imprenditori. Trattasi, segnatamente: - di Se.Pi. (presidente del CdA della società It.). Costui, nel corso della deposizione resa in dibattimento, aveva ricostruito gli acquisti "baciati" dì azioni B. effettuati, originariamente su proposta dello ZO., con il ricorso ad affidamenti da parte dell'istituito di credito (il tutto per un'operatività di euro 4.400.000). Secondo detto teste lo ZO. era a conoscenza dell'esistenza dei finanziamenti correlati a lui concessi, iniziati nel 2005. Nel 2013, quando il teste era stato ospite dell'imputato a Castello di Albola, lo ZO. si era dimostrato soddisfatto dell'aumento di capitale e nell'occasione avevano parlato, tra l'altro, delle operazioni finanziate effettuate dal Pitacco, facendo anche specifico riferimento all'importo complessivo; - di Al.Be., imprenditore del settore dell'editoria legato da risalente rapporto di amicizia con l'imputato. Anche tale dichiarante (cfr. verbale di s.i.t. acquisito ex art. 493, co, 3, c.p,p.) aveva ricostruito le operazioni finanziate effettuate al fine di acquistare le azioni di B., per un valore complessivo di euro 1,25 milioni a fronte di un finanziamento di pari importo. Sebbene detto teste avesse riferito di non avere mai parlato con lo ZO. di tali operazioni "baciate", le relative dichiarazioni - sul punto - erano state smentite dai testi Gi.Gi. (direttore regionale della Lombardia) e Al.Ba. (responsabile della Divisione Crediti di B. dal gennaio 2015). Il primo, dopo avere ricostruito le operazioni "baciate" effettuate da detto imprenditore in condizioni di neutralità economica (donde i relativi storni che gli avevano garantito il totale rimborso degli interessi maturati), aveva precisato che il Be. gli aveva riferito di avere parlato con lo ZO. di una di tali operazioni (quella effettuata tramite la B.Me.), Il teste Al.Ba., dal canto suo, aveva dichiarato di avere discusso con l'imputato ZO. della posizione del Be., ragguagliandolo circa gli acquisiti di azioni tramite finanziamenti "baciati" effettuati in precedenza dallo stesso Be. per "Vare una cortesia alla banca". Ciò era avvenuto nel corso di un incontro cui aveva partecipato lo stesso imprenditore, il quale, nell'occasione, aveva espressamente chiesto che l'operazione "fosse smontata"; - di Do.Ir.. presidente di C., società del settore delle costruzioni e amica di famiglia dello ZO.. In questo caso le azioni B. erano state acquistate, per un valore di 1 milione di euro, impiegando parte di un più consistente finanziamento (5 milioni) concesso dall'istituto. A detta della Ir. la proposta iniziale le era stata avanzata, con riferimento all'aumento di capitale allora in fieri, proprio dallo ZO. il quale, poi, l'aveva "dirottata" sul d.g. So.. Dal canto suo il figlio della Ir., Ha.Mi. (vicepresidente e amministratore delegato di C.), il quale aveva poi portato avanti la trattativa, escusso in dibattimento non aveva ricordato con chi avesse effettivamente trattato (sebbene in sede di indagini, come emerso dalla contestazione del P.M., avesse riferito di avere interloquito, in proposito, con lo ZO. oppure con il manager Al.Cu.; soggetto, quest'ultimo, che - parimenti escusso in dibattimento - aveva smentito di essersi personalmente occupato della questione); - dei fratelli Ra.. In particolare Ra.Si., imprenditore del settore abbigliamento e cliente storico di B., aveva riferito di avere aderito, unitamente ad alcuni suoi familiari, alla proposta di operazioni "baciate". Più volte costui (al pari dei fratelli) aveva chiesto rassicurazioni al riguardo allo ZO. ed era stato sempre tranquillizzato. Nel 2013 i Ra. avevano iniziato a sollecitare la chiusura delle operazioni, al che Fu.Bo. ed Em.Gi. avevano tentato di dissuaderli. Dichiarazioni di analogo tenore, poi, erano state rese da Ra.Gi., sebbene costui avesse riferito, diversamente dal fratello, che le discussioni con lo ZO. avevano riguardato la solidità della banca e non già le operazioni "baciate" in corso. Nondimeno - precisava il tribunale - la conversazione nr. 560 intercettata sull'utenza in uso al So., nella quale costui, esprimendo disappunto sull'atteggiamento negazionista dello ZO., riferiva in termini coincidenti con la narrazione di Ra. Silvano, confermava la tesi di quest'ultimo in ordine al contenuto dei colloqui - aventi ad oggetto proprio il tema dell'acquisto delle azioni della banca - intercorsi tra i fratelli Ra. e il presidente ZO.; - di Fr.Zu. e Fe.Ri.. Il primo, cognato di ZO., aveva riferito di un fido concessogli per partecipare, a titolo di amicizia e senza alcun rischio, all'aucap 2014, operazione della quale, tuttavia, non aveva parlato con lo ZO.. Nondimeno dalle schede di analisi dei consulenti del P.M. erano emersi, complessivamente, acquisti di azioni effettuati dalla famiglia Zu. per 984 mila euro con risorse erogate all'uopo dall'istituto. Quanto al Ri., amico dell'imputato da decenni, ex direttore di musei e consulente della banca per la stima delle opere d'arte, aveva effettuato operazioni per gli aucap 2013 (300 mila euro) e 2014 (200 mila euro) e aveva riferito che lo ZO., quando aveva appreso di una di tali operazioni, aveva espresso il proprio compiacimento, sebbene il teste avesse pure precisato che con l'imputato aveva interloquito solo in relazione alla sua sottoscrizione dell'aucap, non già circa le modalità di acquisto delle azioni. Quando poi, nel 2015, aveva manifestato allo ZO. le proprie preoccupazioni per gli acquisti finanziati, l'imputato aveva ribattuto in modo brusco ("Ma chi ti ha detto di farli?"), lasciandolo perplesso; s di Gi.Ro., noto imprenditore del settore della valigeria. In tal caso le operazioni finanziate erano state molteplici (la prima per l'ammontare di 700,000 euro; successivamente anche per l'importo di 5 milioni). Ripetutamente aveva incontrato lo ZO. in occasione di cene e pranzi e, quando gli aveva chiesto rassicurazioni, era stato costantemente tranquillizzato. Richiesto di precisare se l'imputato fosse a conoscenza delle modalità seguite per l'acquisto delle azioni, il teste aveva risposto affermativamente sulla base di considerazioni di tipo logico (basate, per un verso, sulla posizione di vertice rivestita dall'interlocutore, definita dal teste quella del "capo", del "padre-padrone della banca" e, per altro verso, sull'importanza di dette operazioni nell'ambito della gestione dell'istituto di credito). Peraltro, precisava il tribunale, la registrazione del file audio del 18.6,2013 relativo alla breve conversazione intercorsa tra lo ZO. ed il coimputato GI. poco prima dell'inizio della seduta del CdA - conversazione della quale lo stesso GI. aveva poi chiarito il significato (inerente all'interesse manifestato da un imprenditore catanese, tale Riccardo Coffa, per una operazione "baciata") - dimostrava la piena consapevolezza, in capo allo ZO., della prassi esistente in relazione a tale tipologia di operazioni. Altro significativo elemento a carico dello ZO. era rappresentato, nella prospettiva del tribunale, dall'elevatissima concentrazione di operazioni correlate presso il "gestore private" Ro.Ri. nella filiale di Contrà Porti, la stessa ove l'imputato aveva acceso i propri conti correnti. In effetti lo strettissimo rapporto tra i due (ulteriormente comprovato dalla riassunzione de) "gestore" dopo che questi si era dimesso a seguito del trasferimento ad altra filiale; riassunzione, con immediata ricollocazione presso la filiale di Contrà Porti, conseguente a una semplice visita dello stesso Ri. presso l'abitazione dell'imputato) avrebbe avvalorato la conclusione circa la piena consapevolezza, in capo al presidente, della prassi delle operazioni "baciate" che il predetto Ri. effettuava in favore di una selezionatissima cliente, peraltro per importi estremamente ingenti. Questo benché il medesimo Ri. avesse negato di avere parlato di tali operazioni con l'imputato e, a maggior ragione, di avere da questi ricevuto, al riguardo, autorizzazioni di sorta. Del resto - precisava il tribunale - il teste Da.Ti. aveva dichiarato di essere stato rassicurato dallo stesso presidente ZO. - all'uopo interpellato dal "gestore private" Ri. che aveva sostanzialmente fatto da tramite - circa ii fato che le operazioni "baciate" di sua pertinenza sarebbero state chiuse. Anche l'inerzia dell'imputato a seguito della segnalazione di anomalie inerenti ad operazioni correlate ricevuta nella primavera-estate del 2014 deponeva nel senso della fondatezza dell'impostazione d'accusa, al pari, del resto, delle dimissioni del consulente private banker An.Vi., dimessosi in conseguenza delle insostenibili pressioni che riceveva dai superiori (a loro volta in tal senso istruiti dai vertici aziendali) proprio con riferimento alla conclusione di operazioni "baciate". Peraltro, una pec contenente l'esposizione delle ragioni delle dimissioni era stata trasmessa dal Vi., su consiglio del proprio avvocato, sia al CdA che allo stesso ZO., il quale ultimo l'aveva letta in data 7.7.2014 senza, tuttavia, sollecitare approfondimenti al riguardo. Del resto era significativo che la vicenda si fosse poi definita con un accordo transattivo e con l'impegno alla riservatezza. Di spiccato rilievo probatorio, poi, erano tanto l'inerzia manifestata dallo ZO. a seguito della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 26.4.2014, dal socio B. Da. con riferimento alla prassi degli acquisti finanziati, quanto l'atteggiamento, altrettanto inerte, assunto dallo stesso imputato a seguito della ricezione di due lettere anonime che denunziavano il fenomeno della pressione della rete commerciale per favorire la sottoscrizione di operazioni correlate. Conclusivamente, a fronte di tali convergenti elementi, le dichiarazioni rese dall'imputato in occasione degli interrogatori resi in fase di indagine e, successivamente, nel corso dell'esame dibattimentale svoltosi alle udienze - 23,6.2020 e 26.11.2020 - là dove questi aveva sostenuto di essere stato tenuto all'oscuro dell'esistenza del fenomeno delle operazioni correlate, di essersi fidato della valutazione di un esperto di indiscusso prestigio con riferimento al valore assegnato al titolo azionario e, infine, di avere avviato le operazioni di aumento di capitale facendo affidamento sul giudizio della Banca d'Italia in ordine alla solidità dell'istituto di credito - venivano dal tribunale giudicate come destituite di fondamento e scopertamente difensive. I fenomeni del capitale finanziato, delle lettere di impegno e degli investimenti effettuati tramite fondi esteri, infatti, erano stati espressione di prassi note, avallate e, anzi, incentivate dal presidente, vero e proprio dominus assoluto dell'istituto di credito. Egli aveva ricoperto, per circa un ventennio, una posizione di dominio incontrastato, aveva selezionato e fidelizzato il management, anche con trattamenti economici più che generosi (cfr. sul punto, la deposizione del teste Ma.Ma.), aveva imposto la regola dell'approvazione unanime delle sue proposte in CdA ed aveva sistematicamente agito (in forza di una asimmetria di poteri che, peraltro, trovava plastico riscontro anche nell'ammontare delle rispettive retribuzioni, quella dell'imputato risultando quasi dieci volte superiore a quelle degli altri consiglieri) in modo tale da indirizzare l'espansione territoriale dell'istituto nelle aree del Paese ove egli aveva i suoi insediamenti imprenditoriali (Toscana, Friuli, Sicilia), ovvero nelle località di vacanza da lui frequentate (Cortina). In definitiva tutte le dinamiche inerenti alla vita dell'istituto di credito erano state determinate dallo ZO., a partire dalle più importanti strategie d'impresa e fino alle attività più spicciole (posto che era emerso che all'imputato veniva sottoposta, per approvazione, finanche la lista degli invitati alle cene "istituzionali" periodicamente organizzate a casa Lo.), In siffatta prospettiva le conversazioni telefoniche intercettate nelle quali il d.g. Sa.So. evidenziava la piena riconducibilità delle scelte operative al Presidente, ben lungi dall'essere interpretabili come attuazione di una callida determinazione del predetto So., ispirata da logica autodifensiva (come invece sostenuto dalla difesa dello ZO.), costituivano coerente riscontro del pieno coinvolgimelo dell'imputato nell'attività delittuosa. Del resto talune conversazioni significative erano state effettuate impiegando utenze riconducibili a terzi (trattasi dell'utenza 3311650993 intestata a De.Mi.), donde, anche sotto tale profilo, l'insostenibilità della tesi della artificiosità di tali colloqui, il tenore dei quali, peraltro, era del tutto coerente con le richiamate acquisizioni probatorie testimoniali e documentali. Inoltre le affermazioni fatte dal So. in ordine al coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni dì capitale finanziato avevano trovato conforto anche negli SMS inviati dai coimputati MA. e GI. al predetto So., messaggi attraverso i quali costoro sollecitavano il benestare del presidenti su alcune operazioni correlate (trattasi dei documenti nn.ri 653 "ricordati di messaggiare il presidente per le pratiche di oggi in CdA - quelle su acquisto, valori mobiliari... Fe. 11 milioni, Mo. 14 milioni, Fe. 20 milioni"; 654: "il presidente sta arrivando bisogna parlargli di Da. e Ca."; 655: "Ti ricordo Zi. da parlarne al pres per il fido da farsi alla sua finanziaria". Di qui la conclusione in ordine alla sussistenza dei presupposti tutti per affermare il coinvolgimento dell'imputato, a titolo di concorso, in tutti i reati ascrittigli. 1.9.2 Gi.Em. Con riferimento a Gi.Em. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Mercati (della quale egli, a far tempo dalla fine del 2007, era stato il responsabile -spettandogli in tale veste, fino alla cessazione del rapporto avvenuta nel giugno 2015, la direzione e il coordinamento dell'attività commerciale della banca - oltre a rivestire in B. il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma di cui ai docc. nr. 262-267 del Pubblico Ministero. Evidenziava poi come il GI. fosse anche membro del Comitato Soci, ossia dell'organo endoconsiliare deputato alla disamina preventiva delle richieste di acquisto e cessione delle azioni B. prima che le stesse fossero sottoposte al CdA. Ciò premesso il tribunale, nel rinviare al cap. X della sentenza quanto alla disamina della penale responsabilità del GI. per il reato di cui al capo N1, affermava che l'istruttoria dibattimentale consentiva di ritenere "emerso in modo univoco" il diretto coinvolgimento del GI. "in tutti gli aspetti della illecita operatività della Banca", elencando al riguardo le seguenti condotte dal predetto poste in essere: - aveva significativamente contribuito alla definizione e all'attuazione delle prassi operative in tema di capitale finanziato: - aveva partecipato direttamente alle più rilevanti operazioni di capitale finanziato (c.d. "big ticket"); - aveva personalmente sottoscritto alcune lettere di impegno di B. al riacquisto delle azioni precedentemente vendute ai clienti cui esse erano indirizzate, autorizzando altresì in via preventiva la sottoscrizione di analoghe lettere da parte dei funzionari a lui sottoposti; - aveva co-organizzato e programmato una capillare attività di monitoraggio della produttività della rete commerciale, esercitando forti pressioni sui dipendenti della stessa al fine di stimolare il raggiungimento degli obiettivi di raccolta del capitale; - aveva personalmente autorizzato storni di interessi come forma di remunerazione dell'investimento in azioni B.; - aveva, in molteplici occasioni, ostacolato l'accertamento dell'illecita operatività della banca non soltanto nei confronti delle autorità di vigilanza esterna ma altresì nei confronti delle società di revisione (cfr. in particolare l'episodio che aveva coinvolto la società di revisione K.) e della vigilanza interna (audit). Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il primo giudice anzitutto illustrava i contenuti - evidenziati in particolar modo negli appunti manoscritti redatti dal segretario generale Ma.So. (doc. nr. 389 del P.M.), il quale ne aveva riferito nel suo esame dibattimentale - della riunione del Comitato di Direzione tenutasi l'8.11.2011, cui avevano partecipato fra gli altri, oltre al GI., il direttore generale Sa.So., il presidente Zo.Gi., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. (dirigente altresì preposto alla redazione dei documenti contabili), il responsabile della Divisione Finanza An.Pi., il direttore generale della controllata toscana Ca. Fr.To., il vicedirettore generale della controllata siciliana Ba.Nu. Um.Se.. In quella sede, dopo che il PE. aveva evidenziato la necessità di collocare più di 100 milioni di azioni, il To. e il Se. (secondo quanto ricostruito nel suo esame dibattimentale dal teste assistito To., il quale peraltro evidenziava come all'epoca si ritenesse in generale inapplicabile l'art. 2358 c.c. alle banche popolari in quanto cooperative) avevano prospettato espressamente la necessità di ricorrere ad operazioni c.d. "baciate" - benché "non facili da proporre come nell'occasione riconosciuto dal To. - al fine di aumentare il collocamento delle azioni, tenuto conto anche del fatto che mancavano ormai solo poco più di 30 giorni alla chiusura natalizia. Indi il primo giudice evidenziava come al GI. fosse ben nota -quantomeno dal giugno 2011 - la situazione, documentata in atti e altresì, riferita da vari testi, di crescente disallineamento tra le domande di acquisto di azioni e le richieste di vendita delle stesse (le quali sopravanzavano le domande di acquisto in maniera sempre più accentuata ed evidente), il che aveva determinato sin dal 2011 un incremento progressivo ed esponenziale del ricorso al capitale finanziato, secondo un "cambio di passo" riscontrabile proprio all'indomani della menzionata riunione del comitato di direzione tenutasi l'8.11.2011. In tale contesto - proseguiva il tribunale - Em.Gi. si era distinto in modo particolare per l'attivo ruolo svolto nell'organizzazione e nel coordinamento delle iniziative c.d. "svuota fondo", rivolte cioè ad attuare il sistematico svuotamento del fondo acquisto azioni proprie di B. (portato infatti a zero tanto alla fine del 2012 quanto alla fine del 2013) nonché per le pressioni - sempre più accentuate specie a partire dalla fine dell'anno 2012 - da lui esercitate sulla rete commerciale affinché fosse incrementato il collocamento delle azioni. Ampio spazio veniva dato al riguardo, in sentenza, alla deposizione dei testi Fi.Ro. (responsabile dell'Ufficio Soci) e Co.Tu. (funzionario in staff alla Divisione Mercati), secondo i quali il direttore generale So. e il GI. - che veicolava le direttive del So. all'intera rete - monitoravano congiuntamente l'andamento delle domande di acquisto e cessione delle azioni e prendevano le decisioni su quante azioni la banca potesse riacquistare, al che conseguiva il sorgere di un'esigenza di occultamento del capitale finanziato. Indi il primo giudice illustrava gli elementi probatori (fra cui le deposizioni dei testi Co.Tu., Gi.Gi., Ma.Ni., Al.Ba., Al.Cu., En.Da., Lu.Ve., Se.Ro., Ro.Ri. e altri) in base ai quali emergeva il ruolo del GI. nell'organizzazione delle attività di occultamento del capitale finanziato, segnatamente: - mediante il divieto, imposto alla rete, di comunicare per iscritto informazioni sul capitale finanziato; - mediante l'utilizzo nelle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) di una formula - estremamente generica ("necessità per investimenti immobiliari e mobiliari"); - mediante la raccomandazione di attuare un distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni e/o di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche azioni diverse da quelle di B.. La promozione e sollecitazione da parte del GI. dell'occultamento del capitale finanziato, posta in essere nei modi sopra indicati, ad avviso del primo Giudice si traduceva in un rilevante contributo dato dall'imputato all'alterazione della veridicità dei flussi informativi indirizzati all'autorità di vigilanza. In particolare tre episodi, secondo il tribunale, evidenziavano quella che in sentenza (cfr. pag. 647) veniva definita come la * pervicace condotta di Em.Gi. tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delle autorità di vigilanza ovvero della società di revisione": - la vicenda del private banker An.Vi., oggetto di una segnalazione da parte dell'avv. Es. che aveva a sua volta dato luogo ad accertamenti effettuati dall'audit, il cui responsabile Ma.Bo. (sentito come teste in dibattimento) aveva consegnato il 4.9.2014 il relativo report al direttore generale So., che dapprima assumeva un atteggiamento dilatorio salvo poi, pressato dal Bo., convocare il GI. nel gennaio 2015 e consegnargli il report dell'audit; di quest'ultimo, secondo il teste Co.Tu., il GI. aveva detto allo stesso Tu. - il quale pure aveva avuto in visione il report - che non avrebbe dovuto parlare con nessuno; s l'episodio della società di revisione K. (ricostruito all'udienza del 19.12.2019 dal teste Vi.An., partner di detta società; allo stesso episodio aveva altresì fatto riferimento l'avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., ricordando di essere stata zittita in malo modo tanto dal direttore generale So. quanto dal responsabile della Divisione Finanza PI. quando aveva cercato di sollecitare un audit su ciò che era stato riscontrato dalla società di revisione); per la precisione K. aveva, nel corso del suo controllo, individuato 17 posizioni a suo avviso sospette a causa della sostanziale coincidenza tra il valore delle azioni sottoscritte e l'utilizzo dei fidi concessi nonché a causa della vicinanza temporale tra la concessione del finanziamento e la data di acquisto delle azioni; il teste An. aveva dapprima informato il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio, Ma.Pe., e il collegio sindacale; indi, unitamente al PE., aveva presentato l'elenco delle 17 posizioni al direttore generale So. che lo aveva indirizzato al GI.; questi aveva rassicurato l'An. di K. circa la regolarità delle operazioni, l'assenza di criticità, il' rispetto del merito creditizio, l'assenza di correlazioni tra gli acquisti delle azioni e le erogazioni dei finanziamenti; tuttavia K. aveva insistito per ottenere un parere favorevole della direzione affari legali della banca (parere che l'avv. Pa. non riteneva di poter rilasciare), sicché si era giunti a un compromesso - secondo quanto riferito dalla stessa teste Pa. - basato sull'invio a K. di una lettera interlocutoria (elaborata con il contributo anche del GI. che aveva insistito per evidenziare in essa il rispetto del requisito del merito creditizio) contenente l'impegno a svolgere le operazioni necessarie per chiarire le operazioni segnalate; - le modalità di interlocuzione tenute dal GI. con la squadra ispettiva della BCE nel 2015, allorquando l'ispettore Gi.Ma., sentito come teste, aveva cercato di instaurare un contraddittorio preliminare con i vertici aziendali su poco meno di una cinquantina di posizioni già emerse, durante l'ispezione, come connotate dal compimento di operazioni correlate. Secondo quanto riferito dal teste Ma. il GI., nell'incontro con lui avuto il 12.5.2015 (presente anche il teste Al.Ba., la cui agenda conteneva al riguardo appunti idonei a riscontrare appieno il teste Ma.) aveva escluso trattarsi di operazioni correlate, ribadendo all'ispettore che tutti i finanziamenti erano giustificati dal merito creditizio; il GI. aveva anche preso parte alla predisposizione, sempre in relazione a quella cinquantina di posizioni emerse come critiche, di schede da consegnare all'ispettore Ma., il quale però le aveva giudicate inadeguate e insufficienti (analoga valutazione delle schede era stata previamente compiuta dal teste Ma.Bo., responsabile dell'audit). Indi il tribunale passava in rassegna le risultanze istruttorie - indicate in sentenza come plurime e convergenti (fra esse si citavano le deposizioni dei testi Gi.Ca., capo area; Gi.Gi., direttore regionale; Ma.Ni., capo area, Al.Cu., capo area, ed altri ancora) - circa il ruolo svolto dai GI. nell'azione di coordinamento e impulso della rete commerciale tesa a promuovere la stipula, a ritmi sempre più incalzanti, di operazioni correlate. Il primo Giudice evidenziava altresì come il GI. risultasse avere personalmente sottoscritto 16 - per un totale di 80 milioni di euro - fra le 65 lettere B. di impegno al riacquisto delle proprie azioni (tali lettere - in alcuni casi particolarmente impegnative per la banca - avevano l'evidente funzione di rassicurare i soci) consegnate alla squadra ispettiva BCE nella primavera del 2015. Sul punto la sentenza dava ampio risalto, in particolare, alla deposizione del teste Co.Tu. e a quella del teste Lo.Be., capo area. Sempre sul tema delle lettere di impegno il primo giudice indicava come particolarmente significativa, riportandone il contenuto (leggibile a pag. 95 della relativa perizia), la trascrizione della conversazione telefonica n. progr. 359 dell'1.9.2015 intercorsa tra il GI. e il sindaco La.Pi.. Sulle lettere di impegno il tribunale citava altresì - più avanti nel tessuto motivazionale della sentenza: cfr. sue pagg. 671-672 - il contenuto della deposizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'Internal audit, nella parte in cui riferiva di un incontro tenutosi con l'avv. An.Ge. - col quale il d.g. So. voleva concordare una linea difensiva - il 24.4,2015 a Vicenza (presenti, oltre allo stesso Bo. e al So., l'imputato GI. per la Divisione Mercati nonché An.Pi. per la Divisione Finanza, Ma.Pe. per la Divisione Pianificazione e Bilancio, l'avv. An.Pa. dell'ufficio legale e altri ancora); in tale occasione era stato proprio il GI. a parlare espressamente delle lettere di impegno dicendo che erano una ventina (in realtà, come detto, ne emersero oltre il triplo di cui 16 sottoscritte dallo stesso GI.), ammettendo di averne sottoscritte alcune e precisando che la situazione era grave, avendo ormai il fenomeno dei finanziamenti correlati raggiunto dimensioni rilevanti che avrebbero messo in crisi la banca. Il collegio vicentino passava indi ad esaminare le risultanze istruttorie (in particolare le deposizioni dei testi Gi.Ca., Co.Tu., Lu.Ve., nonché la e-mail - doc. 755 del P.M. - inviata il 29.9.2014 da Vi.Ga. al GI.) inerenti al ruolo concretamente svolto dallo stesso GI. nell'attuazione degli storni di interessi. Il primo giudice evidenziava poi come talune fra le operazioni correlate - soprattutto le c.d. big ticket, ossia quelle più importanti per rilevanza ed entità - vedessero un diretto coinvolgimento del GI. in prima persona nella loro conduzione (unitamente al direttore generale So.: i due si recavano appositamente in visita congiunta ai clienti - per lo più imprenditori - maggiormente patrimonializzati), menzionando le evidenze probatorie raccolte al riguardo e in particolare le deposizioni rese dai testi, fra cui Ro.Ri. (gestore private della filiale di Contrà Porti), Tr.Lo. (cliente), Gi.Ra. (cliente), Luca Fe.ni (cliente), Sa.Bu. (cliente), Lu.Mo. (cliente), Gi.Ro. (cliente), Pi.Ca. (cliente) e altri. Indi il tribunale passava in rassegna le deposizioni rese da parecchi testi (Di.Ip., Ma.Ni., Lu.Ve., Fu.Bo.) - fra i quali molti capi area ma anche due private banker come An.Vi. e Fr.Te., dimessisi entrambi, a loro dire, proprio a causa delle pressioni ricevute - dalle quali emergevano, a suo avviso, le sistematiche pressioni esercitate non soltanto dal direttore generale So. ma anche dall'imputato GI. sulla rete commerciale - a partire dal 2012 - affinché fossero raggiunti gli obiettivi di raccolta del capitale prefissati. L'effettivo esercizio di tali pressioni - proseguivano i giudici vicentini - trovava comunque plurimi riscontri documentali, in particolare nelle produzioni di cui ai docc. nn. 22, 91-95, 298, 657, 660 del P.M.. Altro elemento probatorio di pregnante rilevanza a carico del GI., secondo il primo giudice, era rappresentato dalla trascrizione del file audio corrispondente alla registrazione dì quanto detto nell'ambito del Comitato di Direzione tenutosi il 10.11.2014, al quale il GI. aveva preso parte unitamente al direttore generale So. e agli altri immediati suoi sottoposti. Ampi stralci di tale trascrizione sono riportati alle pagg. 666-667 della gravata sentenza. In particolare il direttore generale So., alla pag. 34 della trascrizione, dichiarava fra l'altro agli astanti che la banca aveva "fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare ... Noi dobbiamo selezionare molto di più i nostri impieghi (...). Non possiamo smontarli perché ci sono azioni dietro, ma non possiamo neanche tenerci questo popò di problema. Quindi dobbiamo risolvere il problema delle azioni appiccicate a questi e poi andiamo a vedere nominativo per nominativo (...)". Alla pag. 27 della trascrizione il responsabile della Divisione Finanza, An.Pi., parlava della necessità di collocare 27 milioni residui di azioni detenute dai fondi esteri trovando qualcuno che le compra a sconto"; il GI. gli replicava prospettando un possibile scambio con (...) (già (...)) che deteneva a sua volta titoli di (...) Banca. Alla pag. 67 della trascrizione il GI. si rivolgeva al So. nei seguenti termini: "Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? (...)". Al riguardo il tribunale vicentino affermava che, a differenza di quanto sostenuto dagli imputati in dibattimento, non emergeva dalla trascrizione (e ancor meno dall'ascolto diretto del file audio) alcun disallineamento degli astanti rispetto alla posizione espressa dal direttore generale So., né era dato cogliere, per converso, alcuna supina subordinazione dei predetti alla volontà dello stesso So., trattandosi piuttosto di un dialogo ove ognuno dei presenti prospettava - alla pari - problemi e ipotesi di soluzione. Il primo giudice passava quindi a valutare il complesso delle affermazioni rese dall'imputato GI. in sede di esame dibattimentale, sostenendo che l'assunto di questi circa la sua non consapevolezza delle reali dimensioni quantitative del capitale finanziato era ampiamente smentito da varie convergenti emergenze probatorie fra le quali spiccavano, oltre al tenore della trascrizione del menzionato file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014, alcune produzioni documentali (segnatamente le tabelle di rendicontazione sub docc. nn. 272, 273, 274, 275 del Pubblico Ministero) e varie deposizioni testimoniali (tra cui quelle dei testi Ma.So., Co.Tu., Cl.Gi. e Ro.Pr., quest'ultimo responsabile della direzione private dall'ottobre 2014, ma anche le deposizioni dei testi Gi.Am. e Ma.Li.); veniva riportato al riguardo in sentenza anche il tenore della già sopra menzionata deposizione del teste Ma.Bo. - responsabile dell'Internal audit - in ordine ai contenuti dell'incontro con l'avv. An.Ge. tenutosi in data 24.4.2015. Il tribunale - dopo avere illustrato alle pagg. 672-676 la versione resa dall'imputato GI. su vari argomenti (oltre al tema delle lettere di impegno anche quello degli storni di interessi, quello dell'episodio della società di revisione K., quello dei propri rapporti con il d.g. So. del quale eseguiva le direttive, quello delle pesanti pressioni provenienti a suo dire dallo stesso So. e dal CdA della banca e rivolte a sé come a tutti gli altri manager, sempre a suo dire tutti coinvolti, senza esclusione di alcuno, nella vicenda delle operazioni correlate) - riteneva tale versione smentita, tanto sulla piena consapevolezza dell'illegittimità delle svolte operazioni correlate (che il GI. - a suo dire - pensava fossero invece legittime, specie dopo che l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 non aveva mosso rilievi circa l'operatività dell'art. 2358 c.c.) quanto sul loro occultamento al mercato e alla vigilanza, da una serie di risultanze probatorie di segno contrario, così sunteggiate dai giudici vicentini: - il divieto di dare indicazioni scritte, l'utilizzo della P.E.F. generica, lo scostamento temporale tra delibera di fido e acquisto delle azioni; le indicazioni date di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche titoli diversi dalle azioni di B.; - l'inserimento nelle delibere autorizzale e nei documenti di offerta - in occasione dei miniaucap 2013 e 2014 - del richiamo al rispetto dei limiti di cui all'art 2358 c.c.; - l'omesso riferimento, nel corso dei colloqui con gli ispettori Vi.Ca. (AQR - Asset Quality Review) e Gi.Ma. (BCE), tanto al capitale finanziato quanto, in alternativa, agli esiti - di presunta rassicurazione circa l'inapplicabilità a B. dell'art. 2358 c.c. - dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012; - la valenza dei tre episodi relativi alle vicende del private banker An.Vi., della società di revisione K. e delle schede consegnate all'ispettore Ma.. Il primo giudice escludeva altresì la fondatezza dell'assunto del GI. circa il suo essere convinto che lo scorporo delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza avesse avuto luogo, definendolo come una "tesi (...) assolutamente inverosimile; è evidente che lo scopo delle operazioni finanziate era quello di dissimulare riliquidità del titolo, in ipotesi di corretta appostazione delle stesse esse sarebbero state inutili" (cfr. pag. 677 sentenza gravata). Non poteva avere infine alcuna valenza scriminante, secondo il tribunale, la necessità, dedotta dal GI., di dare esecuzione a direttive impartitegli dal CdA e/o dal direttore generale So., tenuto conto della sua veste di dirigente apicale membro della struttura esecutiva e investito ex lege di dirette responsabilità di gestione. 1.9.3 Ma.Pa. Con riferimento a Ma.Pa. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Crediti (della quale egli era stato il responsabile dal giugno 2010 sino al dicembre 2014, il che lo rendeva membro di diritto del Comitato Centrale Fidi e del Comitato Crediti) oltre a rivestire in B., a far tempo dal 18 ottobre 2011, anche il ruolo di vice direttore generale; citava a tal proposito la relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia nonché (con apparente riguardo alla sola gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati) il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale n. 262 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Crediti erano così descritte dal tribunale: - assicurare, in materia di erogazione del credito, il rispetto delle norme e disposizioni dell'Organo di Vigilanza, dello statuto nonché delle delibere degli organi superiori; - garantire l'analisi e la valutazione degli affidamenti secondo quanto previsto dalla normativa interna, nonché il loro perfezionamento e quello delle relative garanzie; - verificare la regolarità dell'iter di delibera delle concessioni di credito, nei limiti delle facoltà delegate, avvalendosi dell'attività delle strutture preposte che dipendevano dalla Divisione Crediti stessa; - presentare le proposte di finanziamento di competenza degli organi superiori, avvalendosi dell'attività della UO Analisi, anche alla luce dell'andamento del Gruppo e del settore economico di appartenenza; s garantire alla rete delle filiali un adeguato supporto di consulenza sulle tematiche di competenza, in particolare attraverso le strutture delle UO crediti di area e della U.O. Analisi; s assicurare la gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati. Nel far ciò il collegio vicentino affermava più in generale che "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito, compreso il rispetto della normativa in materia, sia di fonte "esterna" (norme e disposizioni delie Autorità di vigilanza) sia di fonte "interna"(statuto e delibere degli organi sovraordinati). In particolare, oltre a curare, per quanto di competenza, la fase di analisi e valutazione degli affidamenti, la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (e delle relative garanzie) e di gestione dell'anagrafe generale (...). In ogni caso la Divisione Crediti era chiamata a stabilire - sulla base degli indirizzi dei CdA e della Direzione Generale e per quanto di competenza - le politiche di gestione del credito" (cfr. pagg. 678-679 sentenza gravata). Nondimeno - proseguiva il tribunale - nel suo esame dibattimentale del "13.6.2013" (rectius 13.6.2019) il teste Cl.Gi., indicato in tale passo della sentenza impugnata come capo area di Vicenza, aveva dettagliatamente spiegato che la struttura dei Crediti era articolata su base territoriale: vi erano una funzione crediti dedicata in capo a ogni singolo capo area e una funzione crediti in capo alla direzione regionale; ciascuna direzione regionale a sua volta coordinava le proprie quattro aree di riferimento; entro certi limiti tali strutture decentrate godevano anche di una potestà deliberativa autonoma, di talché il processo di elaborazione del credito era definito in autonomia quanto agli aspetti relativi all'analisi e alla definizione della delibera; solo se esso eccedeva la potestà deliberativa si faceva luogo a una mera verifica di adeguatezza della proposta che la struttura decentrata inviava alla Divisione Crediti, deputata in quel caso a valutare in autonomia la relativa pratica. Ciò premesso il tribunale affermava che la svolta istruttoria dibattimentale consentiva dì ritenere univocamente provata la penale responsabilità dell'imputato, dimostratosi pienamente consapevole di tutte le condotte di reato ascrittegli. Premetteva al riguardo il collegio che, a detta del teste Em.Ga. (responsabile del team ispettivo che aveva operato nei confronti di B. nell'anno 2015), l'analisi delle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) condotta in sede ispettiva ne aveva subito evidenziato l'assenza di garanzie nonché l'estrema genericità e ripetitività delle causali indicate (le quali per lo più utilizzavano espressioni come cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare o immobiliare), il che era indice di sospettosità dal momento che in genere una banca, in caso di erogazione di fidi destinati ad acquisti di strumenti finanziari, era ben informata su quale tipologia di strumento finanziario il cliente desiderasse acquistare, su quali ne fossero le caratteristiche principali di rischio e su quali beni fossero costituiti in garanzia (essi corrispondevano per lo più agli stessi strumenti finanziari acquistati o ad altri di valore equivalente). Affermava il primo giudice che la svolta istruttoria aveva evidenziato in capo a Pa.Ma. un ruolo di centralità nel garantire che la rete si uniformasse all'istruzione operativa di utilizzare, nelle P.E.F. aventi ad oggetto capitale finanziato, la sopra evidenziata causale improntata a una formula generica e di stile (dal tribunale indicata come "causale sentinella" proprio in quanto consentiva di rendere immediatamente riconoscibile ai diversi addetti l'effettiva finalità dell'operazione di finanziamento). Il collegio giudicante citava al riguardo le deposizioni rese da vari testi. Quanto alla genesi della ed. "causale generica sentinella" il primo giudice evidenziava quanto segue: il capo area Gi.Ca. affermava che l'uso della causale generica gli era stato consigliato dai suoi superiori Ro.Pr., Lu.Ve. e Gi.Gi.; il capo area Lu.Ve. affermava che l'uso della causale generica era stato raccomandato da una direttiva di area illustrata nelle riunioni, probabilmente ad opera del responsabile della Divisione Mercati Em.Gi., ma che la Direzione Crediti ne era a sua volta a conoscenza tanto che in un'occasione egli aveva parlato direttamente con Pa.Ma. - e in maniera esplicita - dell'effettiva natura di un'operazione di finanziamento che andava a perfezionarsi con il titolare di un noto pastificio; il capo area Ma.Ni. indicava Cl.Gi. ed Em.Gi. come i soggetti dai quali proveniva l'indicazione di usare la causale generica aggiungendo che comunque la Divisione Crediti sapeva che un'operazione connotata da siffatta causale era un'operazione correlata all'acquisto di azioni della banca (in alcuni casi gli analisti della Divisione Crediti avevano anche chiesto al capo area di confermare che l'operazione fosse "baciata"); il capo area En.Da. ricordava che in alcune occasioni il direttore di filiale non aveva inserito la causale indicata (al che - a suo dire - l'Ufficio Crediti aveva restituito la pratica per il cambio della causale); il capo area e indi direttore regionale Cl.Gi. affermava di avere parlato - in alcune occasioni - di finanziamenti correlati con la Divisione Crediti e precisamente con il suo responsabile Pa.Ma. (la formula generica era stata a suo dire suggerita forse da Em.Gi. o forse da Co.Tu., funzionario in staff alla Divisione Mercati), fermo restando che - sempre a detta del Gi. - in alcune occasioni lo stesso Comitato Crediti, al quale partecipavano i direttori regionali, aveva deliberato operazioni di finanziamento in tutto o in parte correlate; il capo area e indi direttore regionale Al.Ca. (escusso ex art 210 c.p.p.) aveva attribuito - a seguito di contestazione - al MA. l'indicazione, data nel corso di alcune riunioni operative, di utilizzare la causale generica; anche secondo il teste Co.Tu. l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data dal MA., e ciò ancora alla fine dell'anno 2012 (secondo il teste Tu. il MA. aveva dato tale consiglio "perché questo tipo di operazioni era borderline e poteva destare l'attenzione della CONSOB e della Banca d'Italia"); il teste Gi.Am., responsabile nel periodo 2013-2014 della divisione retail, affermava che l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data da Em.Gi. ma era stata ripresa e ribadita anche da Pa.Ma., il quale - sempre a detta del teste Am. - aveva altresì respinto alcune pratiche in cui era indicata in modo esplicito la destinazione del finanziamento all'acquisto delle azioni di B.. Quanto poi all'altro espediente emerso durante l'istruttoria dibattimentale, ossia la precauzione di mantenere - per prevenire eventuali sospetti - una qual certa sfasatura temporale tra l'erogazione del fido e l'acquisto delle azioni B., il teste Co.Tu. affermava che il consiglio di far intercorrere un lasso di tempo alquanto lungo tra la delibera di affidamento, la sottoscrizione delle azioni e l'addebito sul conto era venuto da Ma.Pa. (peraltro nel corso del controesame il teste Tu. aveva dichiarato che lo scopo dell'indicazione di mantenere una sfasatura temporale non era quello di occultare l'effettiva finalità del finanziamento bensì, "principalmente", quello di evitare sconfinamenti sul c/c); il teste Lu.Ve. ricordava che la raccomandazione di far rispettare la sfasatura temporale era stata del GI., il quale aveva comunque precisato trattarsi di una linea operativa concordata con la Divisione Crediti. A memoria del teste En.Da. il consiglio di osservare la sfasatura temporale era venuto - benché di fatto i fidi non venissero gestiti dalla loro divisione di appartenenza che era la Divisione Mercati - da Em.Gi. e Co.Tu., i quali a loro volta dissero che ciò era stato specificamente concordato con la Divisione Crediti; sempre il teste capo area Da. ricordava che il MA. in una o due occasioni lo aveva contattato per operazioni correlate ove il teste stesso aveva mandato contestualmente alla Divisione Crediti sia la pratica di finanziamento sia il modulo già compilato di acquisto delle azioni, restituendogli tali pratiche con il seguente rimprovero: "non voglio vedere queste cose qua, mandi la pratica in maniera corretta e le azioni le acquisti quando la pratica è stata deliberata". Il teste Se.Ro., dell'Ufficio Soci, affermava che, a seguito dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012, il direttore generale So. e i vicedirettori GI. e MA. avevano raccomandato alla rete di fare in modo che la data di acquisto delle azioni fosse successiva alla data di delibera dei finanziamenti, ma ciò solo per evitare - a suo dire - sconfinamenti sul c/c. Il primo giudice affermava che vi era anche una prova documentale -rappresentata dal sopra illustrato file audio della registrazione dello svolgimento del Comitato di Direzione dd. 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.) - del fatto che la linea di indirizzo in tema di rispetto della sfasatura temporale nelle operazioni "baciate" fosse stata concordata con la Divisione Crediti diretta da Pa.Ma.; ne riportava al riguardo (cfr. pagg. 685-686 sentenza gravata) un lungo stralcio - a suo dire particolarmente eloquente - relativo a un dialogo tra lo stesso MA. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.. Il tribunale procedeva quindi a illustrare la ed. "campagna riqualificazione impieghi", deliberata dal CdA il 21.10.2014 (giusta doc. nr. 102 del P.M.) e presentata al Consiglio proprio da Pa.Ma.; trattavasi di un'iniziativa finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate - in sede di rinnovo o di revisione degli affidamenti - in base al peso percentuale delle azioni B. detenute dal cliente. Il primo giudice, sempre al fine dì illustrare il ritenuto protagonismo della posizione rivestita da Pa.Ma. nell'attuazione delle operazioni correlate, ricordava un episodio narrato da Um.Se., già direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu.: dalla capogruppo B. era giunta (su indicazione di Em.Gi. e Co.Tu. della Divisione Mercati, condivisa dalla Divisione Crediti nella persona di Pa.Ma.) una lista di nominativi ai quali la stessa Ba.Nu. avrebbe dovuto concedere affidamenti accompagnati dall'acquisto di azioni B. per un controvalore pari al 10-15-20% dell'intero affidamento; il teste Se., notando che alcuni dei nomi compresi nell'elenco corrispondevano a società sottoposte a procedura concorsuale, aveva parlato con Cl.Am. - della Divisione Crediti di B., subalterno del MA. - per chiedere spiegazioni; l'Am., dopo aver conferito con il suo superiore Pa.Ma., aveva replicato che Ba.Nu. doveva limitarsi a eseguire le direttive senza discuterle e che un tanto gli era stato detto dal MA.: "Guarda, il dottor Ma. mi ha urlato e mi ha detto che questa cosa la dovete fare. Punto e basta". Il collegio vicentino passava quindi ad illustrare gli estremi di una operazione correlata di finanziamento proposta personalmente nell'ottobre 2012 da Pa.Ma. a un imprenditore da lui conosciuto nel 2007 (quindi tre anni prima di entrare in B.), ossia Ez.Ci. del gruppo (...), del quale veniva acquisito in dibattimento ex art. 493 comma 3 c.p.p. il verbale delle s.i.t. rese il 24.10.2016. Il Ci. aveva dichiarato a s.i.t. che nell'occasione il MA. si era presentato a lui proponendogli di sottoscrivere azioni B. per complessivi 5 milioni di euro; alle perplessità del Ci., che aveva risposto di non disporre delle risorse a ciò necessarie. Il MA. aveva a sua volta replicato che B. avrebbe erogato un finanziamento di pari importo, a termine con scadenza di un anno, destinato ad essere garantito dalle stesse azioni B. che poi sarebbero state tenute in custodia dalla banca. Il Ci. si era risolto ad accettare la proposta dopo che MA. lo aveva rassicurato dicendogli che operazioni analoghe erano del tutto lecite ed erano state proposte anche ad altri imprenditori (da lui non nominati trattandosi a suo dire di notizia riservata); a ottobre 2013 detta operazione era stata rinnovata annualmente e così pure l'anno seguente. Nel maggio-giugno del 2013 B. aveva proposto al Ci. di partecipare all'aumento di capitale di quell'anno, il che anche in tal caso era avvenuto grazie a un finanziamento concessogli dalla stessa B.. Un pieno riscontro alle s.i.t. del Ci. era rappresentato - ad avviso del tribunale - dalla deposizione del teste Fr.Pi., capo area del distretto Veneto occidentale (indicato al Ci., nel racconto di questi, dal MA. come colui che avrebbe seguito la sua pratica, e così era stato). Il primo giudice individuava ulteriori elementi probatori del coinvolgimento a pieno titolo di Pa.Ma. nelle operazioni correlate effettuate da B. mediante c.d. "baciate" nelle deposizioni dei testi Gi.Gi., in B. con il ruolo di direttore regionale di Lombardia, Liguria e Piemonte (secondo il quale le pratiche di fido relative a operazioni "baciate" erano preannunciate alla Divisione Crediti e condivìse con i componenti di essa incluso il suo vertice MA., il quale partecipava altresì al comitato crediti ove pure veniva sempre evidenziata - dai componenti la Divisione Crediti che vi partecipavano - l'eventuale natura "baciata" delle pratiche di fido ivi presentate), e Fu.Bo., capo area (che rendeva sul punto dichiarazioni di analogo tenore), nonché in alcuni messaggi sms (in particolare il doc. nr, 653 del Pubblico Ministero, relativo a un sms del 27.9.2011, e il suo doc. nr. 655, relativo a un sms del 26.10.2012) nei quali il MA. ricordava al direttore generale So. di riferire al Presidente circa alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato, indicandogli nominativamente i soggetti suscettibili di essere finanziati - effettivamente risultati tali in seguito - nonché, in molti casi, il relativo importo). Ulteriore elemento probatorio indicato dal primo giudice a carico del MA. erano le risultanze degli accertamenti interni svolti dall'audit di B. sul capitale finanziato, in particolare la nota 7.5.2015 dell'Internaf audit (doc. nr. 23 del Pubblico Ministero) nella quale si evidenziava tra l'altro come la maggior parte delle numerose posizioni correlate rinvenute nel portafoglio di Ro.Ri., gestore private della filiale di Contrà Porti, fossero state deliberate da organi collegiali su presentazione proprio di Pa.Ma. (87%) oppure fossero state deliberate dallo stesso responsabile della Divisione Crediti. Il collegio vicentino passava quindi a ricostruire le interlocuzioni avute dal MA. con la vigilanza, rinviando - quanto a quelle inerenti all'ispezione della Banca d'Italia del 2012 - all'apposito cap. IX della sentenza, interamente dedicato a tale ispezione. In particolare tanto il teste Ma.Pa. (nel riferire di due incontri interlocutori da lui condotti cui aveva partecipato il MA. nel luglio 2013, il primo assieme al segretario generale Ma.So. e il secondo assieme al direttore generale Sa.So.) quar°z(il teste Vi.Ca. (nel riferire dell'accesso da lui condotto da febbraio ad agosto 2014 nell'ambito dell'AQR - Asset Quality Review, ove si era stabilmente relazionato con il MA.) precisavano che in tali occasioni nessuno aveva fatto il benché minimo riferimento al ricorso all'assistenza finanziaria per il collocamento delle azioni. Il primo giudice indi illustrava la versione dell'imputato, resa in occasione dell'esame dibattimentale tenutosi nelle udienze dell'11 e del 16 giugno 2020, evidenziando come essa da un lato fosse difforme dalle stesse dichiarazioni rese dal MA. in sede di indagini preliminari (interrogatori del 28 aprile e del 2 maggio 2017) e dall'altro lato configgesse in più punti - ad esempio nella parte in cui egli affermava che la causale generica "acquisto valori mobiliari e immobiliari", in uso almeno dal 2006, fosse un mero espediente tecnico per garantire il perfezionamento del fido in quanto, a suo dire, non esisteva il prodotto "finanziamento per acquisto azioni", o nella parte in cui egli affermava di non essere mai stato informato del fatto che i finanziamenti fossero destinati all'acquisto delle azioni - con il sopra delineato quadro probatorio. Il primo giudice evidenziava come l'esame dibattimentale del MA. divergesse radicalmente dai suoi interrogatori resi in sede dì indagine preliminare, in particolare dall'interrogatorio del 28.4,2017 in relazione alla vicenda dell'Operazione Sorgente (in tesi accusatoria si trattava di un'operazione "baciata" attraverso la quale la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato un finanziamento di 25 milioni di euro alla società So. Ltd., facente parte del gruppo Mainetti, che era stato utilizzato per acquisto di azioni B. al fine di consentirne la dismissione dal fondo estero "(...)"). In sede di esame dibattimentale il MA. negava trattarsi di operazione correlata mentre durante le indagini preliminari l'aveva definita "un'operazione baciata imposta da PI. al So. (...) Sono venuto a conoscenza di questa operazione con la proposta di affidamento giunta in Divisione Crediti. Ho compreso che si trattava di un'operazione baciata in quanto la causale dell'affidamento era indicata con la generica dicitura di cui ho detto prima, "cogliere opportunità di mercato" o analoghe, e inoltre vi era l'impegno al deposito dei titoli presso B.". Che la versione rispondente al vero fosse quella resa dal MA. in sede di indagini preliminari - proseguiva il tribunale - lo si evinceva da due elementi di prova rappresentati dal più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014 (nella trascrizione prodotta dal Pubblico Ministero quale suo doc. nr. 110, cfr. ieri particolare sua pag. 43) e da una conversazione intercettata Io.-Ma. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. Il tribunale evidenziava altresì come un ulteriore assunto del MA. - secondo cui egli e il suo sottoposto Cl.Am. avevano disvelato agli ispettori della Banca d'Italia nel 2012 il carattere correlato delle operazioni effettuate da almeno una quindicina circa dei clienti dì cui alla lista dei primi trenta soci di B. - fosse stato smentito dalle deposizioni dei predetti ispettori (che avevano concordemente negato la circostanza) e non avesse trovato il benché minimo riscontro in atti. Né - significativamente, secondo il collegio vicentino - il MA., soggetto da ritenersi nel complesso del tutto inattendibile, aveva mai accennato a tale preteso disvelamento neppure nei suoi atti giudiziari relativi alle cause di lavoro e all'azione di responsabilità dinanzi al tribunale delle imprese. Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono il primo giudice riteneva indubitabili il rilevante apporto causale concorsuale del MA. a tutti i reati ascrittigli (in base alla tabella n. 1 allegata al supplemento di consulenza tecnica del Pubblico Ministero dd. 14.11.2019 egli risultava avere partecipato consapevolmente alla fase deliberativa di finanziamenti correlati per un importo di circa 800 milioni di euro, di cui 414 milioni deliberati dal CdA su pratiche presentate dall'imputato, 160 milioni deliberati dal Comitato Crediti di cui il MA. era membro, 108 milioni deliberati dallo stesso MA. quale organo monocratico dotato di autonoma potestà deliberativa, 63 e 49 milioni rispettivamente deliberati dal Comitato esecutivo e dal Comitato Centrale fidi, anche in tal caso sulla base della presentazione di pratiche effettuata dal MA.) e il pieno ricorrere dell'elemento soggettivo del reato. 1.9.4 Pi.An. Con riferimento all'imputato Pi.An. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Finanza (nella quale egli operava con tale qualifica dal 2009 oltre a rivestire in B. anche il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale nr. 261 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Finanza erano così descritte dal tribunale: - partecipare al coordinamento e allo sviluppo delle attività del mercato primario e secondario su comparti azionari e obbligazionari: - curare l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi e l'emissione dei prestiti obbligazionari del gruppo, coordinandosi con le Unità competenti; - collaborare con la Divisione Mercati nell'adeguare i prodotti e i servizi finanziari da offrire alla clientela, sulla base delle esigenze/opportunità rilevate, tenendo conto delle linee guida definite dal Comitato Prodotti e Wealth Management; s all'interno della Divisione Finanza poi il nucleo "Documentation" si occupava di valutare l'adeguatezza e l'allineamento degli strumenti finanziari e dei processi alla normativa primaria (TUF, TUB, Regolamenti CONSOB e Banca d'Italia) e secondaria nonché alla normativa interna nella prestazione dei servizi d'investimento o comunque nello svolgimento dell'attività della Divisione Finanza, con precipuo riferimento alla materia dei servizi di investimento, supportando la divisione nei rapporti con le funzioni di compliance, legale, auditing e organizzativa; - l'Unità svolgeva inoltre un ruolo di supporto alle funzioni responsabili del processo di gestione delle informative da fornire alla clientela prima della negoziazione di strumenti finanziari, in conformità al dettato dell'art, 31 del Regolamento intermediari, nelle fasi di aggiornamento delle stesse; - partecipazione, per la parte di competenza della Divisione Finanza, alla redazione della relazione per le Autorità di vigilanza sulle procedure di svolgimento dei servizi di investimento; s assicurare l'informativa e le segnalazioni istituzionali di propria competenza, coordinandosi con le Unità competenti. Il primo giudice affermava (cfr. pag. 703 sentenza gravata) che dall'istruttoria dibattimentale era emersa "la prova del ruolo svolto da An.Pi. in alcune operazioni di capitale finanziato di rilevante importo effettuate attraverso la controllata irlandese B.Fi. e nella sottoscrizione dei fondi lussemburghesi utilizzati come strumento di detenzione indiretta delle azioni proprie da parte della banca vicentina, in particolare - attraverso i fondi esteri - nell'ambito dell'iniziativa svuota fondo 2012 furono collocati 60 milioni di euro di azioni B.". Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il collegio vicentino individuava plurime condotte ritenute penalmente rilevanti a carico del PI. e in particolare: - operazioni di capitale finanziato effettuate, estero su estero, dalle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" - tre società denominate Ma., Ju. e Br. - tanto nel 2012 (in occasione della relativa campagna svuota fondo) quanto nel 2013 (in occasione dell'aumento di capitale di quell'anno). Per la precisione - in base alla ricostruzione effettuata in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma., riscontrato dalle deposizioni rese dai testi Gi.Gi. (in B., come detto, con la veste di direttore regionale per Lombardia-Liguria-Piemonte) e Pi.Ra. (d.g. di B.Fi.) - nel novembre/dicembre 2012 la controllata irlandese B.Fi., il cui direttore era il teste Pi.Ra., risultava avere erogato tre fidi c.d. "bullet", di 10 milioni di euro l'uno, alle suddette società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali a loro volta avevano girato la liquidità cosi ricevuta a tre società italiane neocostituite e denominate Pe. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime (facenti capo al gruppo Fi., il cui direttore finanza era Ma.Sb.) avevano provveduto ad acquistare azioni B. per importi corrispondenti ai finanziamenti erogati. Indi, nel luglio 2013, la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato nuovi finanziamenti per 3 milioni di euro alle tre società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali anche in tale occasione avevano girato la liquidità così ricevuta alle tre società italiane denominate Pe.In. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime a loro volta avevano sottoscritto azioni e obbligazioni convertibili per un ammontare equivalente; i testi Gi. e Ra. avevano delineato il ruolo attivo dell'imputato PI. in entrambe le operazioni (la cui istruttoria era stata seguita dalla Divisione Crediti della capogruppo B.) e in particolare il teste Ra., direttore della controllata irlandese B.Fi., aveva indicato il PI. come colui che gli aveva richiesto di impostare i suddetti finanziamenti, affermando altresì essersi trattato di operazioni atipiche per B.Fi., la quale generalmente finanziava aziende produttrici dì beni e non concludeva operazioni strettamente finanziarie (cosa questa obiettata dal Ra. al PI., il quale tuttavia gli aveva replicato - nella prima delle due occasioni - che occorreva fare l'operazione "per aiutare la banca a comprare le proprie azioni" e riuscire così a svuotare il fondo acquisto azioni proprie entro la fine dell'anno 2012). Un altro teste, Gi.Fe., direttore della Divisione Compliance, ricordava che, nel corso di un'attività ispettiva svolta dalla Compliance a Dublino nel 2013 nei confronti di B.Fi., i finanziamenti concessi alle "tre sorelle" lussemburghesi erano emersi, il che lo aveva indotto a rivolgersi al direttore generale So. che a sua volta lo aveva indirizzato al PI.; questi aveva rassicurato il Fe. dicendogli che in quel periodo B. stava acquistando molte azioni (...) e che in contropartita la Save stava comprando azioni B.; s investimento della somma complessiva di 350 milioni di euro (di cui 200 milioni investiti dalla capogruppo B., 100 per ciascun fondo, e i restanti 150 milioni investiti dalla controllata irlandese B.Fi. in due fondi lussemburghesi denominati "(...)" e "(...)" (sotto-fondi (...) Multistrateqy I e II). utilizzati quale strumento di detenzione indiretta delle azioni di B. (per tale tramite nel 2012 erano state concluse operazioni c,d. "svuota fondo" - atte cioè ad alleggerire il fondo acquisto azioni proprie di B. - del valore di 60 milioni di euro). La delibera di investimento nei fondi in oggetto, adottata dal CdA di B. in data 21.2.2012 (in atti quale doc. n. 325 del Pubblico Ministero), era stata sottoscritta dal PI. quale responsabile della Divisione Finanza dopo che lo stesso aveva illustrato al CdA i termini dell'operazione, a sua volta in precedenza pianificata nel corso di una riunione tenutasi il 5.12,2011 tra Ma.So., Fi.Ro. e An.Pi. per B. e la coppia di rappresentanti del fondo "(...)" formata da Al.Ma. - sentito quale teste ex art, 507 c.p.p. su richiesta della difesa del PI. - e Gi.Ma.. Ciò risultava dalle deposizioni del teste ispettore Gi.Ma., dei testi Ma.So. e - soprattutto - Fi.Ro. nonché dai messaggi sms (in atti quale doc. nr. 311 del P.M.) intercorsi nel novembre 2012 - pochi giorni prima della sottoscrizione dei contratti con i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" avvenuta il 28.11.2012 - fra An.Pi. e i gestori dei fondi stessi. Subito dopo aver ricevuto tali capitali i due fondi "(...)" e "(...)" avevano comprato azioni B.. Secondo il tribunale vicentino il fatto che tale investimento di B. nei fondi lussemburghesi - lungi dall'indicare un interesse di questi ultimi a diventare soci della banca, come ammesso, secondo il teste Fi.Ro., anche dal direttore generale So. durante il comitato soci del 18.12.2012 - fosse stato puramente strumentale all'esigenza della stessa banca dì svuotare il proprio fondo acquisto azioni emergeva non soltanto dalla stretta consequenzialità temporale fra tutte le operazioni come sopra descritte ma altresì dalla deposizione dello stesso teste Fi.Ro. (facente parte dell'Ufficio Soci di B.), che ricordava di avere assistito al riguardo - nel novembre 2012 -a un breve incontro sul tema tra il direttore generale Sa.So., il responsabile della Divisione Mercati Em.Gi. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi. (nell'occasione il So., secondo la ricostruzione del teste Ro., aveva esposto la necessità di svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B. per un ammontare di 100 milioni di euro; il PI. si era Impegnato a effettuare operazioni "svuota fondo" per 60 milioni di euro e il GI. aveva assicurato che avrebbe fatto altrettanto per un valore di 40 milioni di euro). Sempre il teste Ro. affermava che, come preannunciatogli dall'imputato PI., egli era stato contattato poco prima della fine del 2012 dagli intermediari dei fondi (per il fondo "(...)" trattavasi del broker inglese Ma.Sp.; l'operazione sul piano amministrativo era stata gestita per Ma.Sp. da Ti.Ch., anch'egli sentito come teste); - di questi, gli investimenti nel sotto-fondo (...) Multistrategy II erano stati posti in essere, come sopra accennato, dalla controllata irlandese B.Fi.. Nel luglio 2013 il CdA della capogruppo B. aveva infatti ampliato il portafoglio di investimento della controllata irlandese B.Fi. portandolo dalla somma di 35 milioni a quella di 300 milioni di euro, dei quali 150 milioni erano stati dalla stessa controllata investiti, nei due mesi seguenti, nel sotto-fondo (...) Multistrategy II in due tranche rispettivamente da 100 e da 50 milioni di euro; tale investimento era avvenuto - in base alla deposizione del teste Pietro Ra., direttore di B.Fi. - su precisa indicazione di An.Pi., il quale, sempre a detta del Ra. (che evidenziava altresì l'anomalia dell'ingente importo degli investimenti in un singolo fondo rispetto a quanto era usuale per B.Fi. nonché l'anomalia relativa alla non visibilità dei sottostanti), aveva messo quest'ultimo in contatto con Gi.St. (membro del CdA di (...) Evolution Fund SIF e funzionario senior di (...) Asset Management), soggetto che - citato a deporre quale teste dalla difesa del PI. nel presente procedimento con le garanzie ex art. 210 c.p.p. in quanto indagato per reato connesso di bancarotta fraudolenta a seguito della dichiarazione di insolvenza di B. - si era avvalso della facoltà di non rispondere. Dal canto suo il teste Pi.Ra. - che aveva evidenziato una progressivamente crescente ingerenza di B. nell'autonomia gestionale di B.Fi. - affermava di essere stato rassicurato dal PI. circa le sue perplessità e preoccupazioni derivanti dalle anomalie come sopra illustrate. Le articolate modalità della successiva dismissione (avvenuta nel corso del 2014, in parte mediante operazione di equity swap in compenso tra azioni B. e azioni Veneto Banca) delle azioni B. detenute dai fondi esteri in oggetto venivano illustrate dal collegio vicentino alle pagg. 712-713 della gravata sentenza (la dismissione, accertata in sede ispettiva, era riscontrata - al pari del ruolo svolto in essa da An.Pi. - anche dalle dichiarazioni del teste Ro.Ri., gestore private della filiale B. di Contrà Porti); s operazione correlata di finanziamento effettuata in favore della società So. Ltd. (appartenente al gruppo MainettO attraverso la controllata irlandese B.Fi., che le aveva erogato un fido c.d. "bullet" per un importo di circa 25 milioni di euro. Con tale liquidità la So. Ltd. a sua volta aveva acquistato, nel dicembre 2014, 13,5 milioni dì euro di azioni B. dal fondo "(...)" di milioni di euro di azioni B. dal fondo "(...)". Il tutto emergeva dall'ispezione BCE del 2015 e anche in questo caso - osservava il primo giudice - il ruolo centrale nell'organizzazione della relativa operazione era stato rivestito da An.Pi., secondo quanto dichiarato in sede dibattimentale dai testi Pi.Ra. - direttore della controllata irlandese B.Fi. - e Wa.Ma., amministratore delegato del gruppo So. (quest'ultimo precisava che era stato il PI. a proporgli un finanziamento di 25 milioni di euro "siccome dobbiamo collocare un po' delle nostre azioni" e affermava che, vinta la propria iniziale perplessità, alla fine aveva accettato); un solido riscontro a tali deposizioni - e non solo ad esse ma altresì, ad esempio, al coinvolgimento del PI. nella decisione della banca di ricorrere alle lettere di impegno nonché al suo attivarsi per reperire una soluzione atta a consentire la dismissione delle azioni B. detenute dai fondi - era individuato dal primo giudice nel più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione tenutosi in data 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.); un ulteriore riscontro veniva individuato nella conversazione intercettata Io./MA. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. A tutto ciò si aggiungeva la deposizione resa da Al.Ma. - fondatore di (...) Asset Management - il quale, sentito come teste ex art, 507 c.p.p., su richiesta della difesa del PI., confermava che i fondi (...) Multistrategy I e II erano stati costituiti nell'interesse esclusivo di B. quale unico investitore del fondo. Il tribunale vicentino proseguiva la propria disamina indicando come dimostrati anche gli investimenti, operati dai fondi esteri in questione, su indicazione del PI., in obbligazioni emesse da società legate ai gruppi imprenditoriali Ma., Fu. e De., già fortemente esposti nei confronti di B.; contestualmente anche gli impieghi in equity risultavano essere stati indirizzati, su indicazione dello stesso PI., nei confronti di società illiquide clienti di B.: la Me.Ca. SpA (legata ad Al.Ma.) e la Ital-Finance SpA (riconducibile al gruppo De Gennaro). Inoltre - notava il primo giudice - il PI. risultava coinvolto più in generale nell'intera illecita operatività di B., risultando egli essere stato fra l'altro presente (giusta appunti manoscritti redatti dal teste Ma.So., in atti quale doc. nr. 389 del P.M.) al Comitato di Direzione tenutosi l'8.11.2011 nel quale erano stati effettuati inequivoci riferimenti alle c.d. operazioni "baciate" quale strumento da adottare per svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B.. Allo stesso modo, sempre secondo la ricostruzione operata dal primo giudice, il PI. doveva ritenersi coinvolto anche nel rilascio delle lettere di impegno da parte di B. oltre che in altre operazioni di capitale finanziato, come riferito dai testi An.Fa. (imprenditore del settore tessile) ed Ed.Ta. (altro imprenditore). Ancora, il teste Ma.So. aveva riferito di avere presenziato a un colloquio tra il direttore generale So. e il PI. su come strutturare "operazioni volte ad acquisire capitale" con l'imprenditore Luca Fe.ni (sentito a sua volta quale teste) e con il Fondo Ag. (in quest'ultimo caso l'operazione - ricostruita in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma. -in sede ispettiva non era stata considerata finanziata pur essendo assistita da una lettera di impegno). Il collegio vicentino richiamava altresì l'episodio della società di revisione K. (già esaminato sopra in relazione alla posizione dell'imputato GI.) evidenziando come, in base alla deposizione resa dalla teste avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., risultasse essere stato presente anche il PI. - assieme al direttore generale So. e al responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. - a una riunione convocata a seguito delle richieste dì delucidazioni rivolte alla banca da K.; nell'occasione, come già detto, l'avv. Pa. si era rifiutata di fornire il parere legale richiestole, suggerendo invece al So. (che aveva reagito in malo modo) di fare subito un audit, al che il PI. - come già evidenziato supra - aveva, a suo dire, ribattuto: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa". L'imputato PI. risultava aver fatto parte anche della già citata "Task Force Gestione Soci" costituita e attivata - ufficialmente - a seguito dell'entrata in vigore del Regolamento UE n. 575/2013 (c.d. CRR) e del Regolamento Delegato UE n. 241/2014 nonché del D.L. n. 3/2015; la costituzione di tale Task Force trasversale alle varie Divisioni, che avrebbe dovuto reperire e adottare misure atte a ripristinare l'interazione con la base sociale attraversata da crescente disorientamento e scontento, era stata preceduta da una documentata riunione operativa tenutasi il 24.4.2015 (il relativo resoconto è in atti quale doc. nn. 525 del P.M.). In realtà - proseguiva il primo giudice - la partecipazione e il coinvolgimento del PI., responsabile della Divisione Finanze, nella Task Force in questione apparivano funzionalmente eccentrici rispetto agli scopi di essa e si spiegavano solo "in ragione dei suo coinvolgimento in tutti gli aspetti relativi all'anomala operatività della banca" (cfr. pag 724 sentenza gravata). Il primo giudice si diffondeva altresì sulle occasioni nelle quali il PI. aveva avuto interlocuzioni con la vigilanza. Per la precisione si trattava di due riunioni interlocutorie tenutesi nel 2013 (durante la fase preparatoria dell'aumento di capitale di quell'anno) e nell'autunno del 2014 (allorquando erano emerse le problematiche relative ai riacquisti effettuati da B. nonché al deficit patrimoniale a seguito del Comprehensive Assessment). Il tribunale affermava che in ambedue le occasioni il PI. aveva fornito alla vigilanza indicazioni false e fuorvianti circa i livelli di patrimonializzazione di B.; era stato altresì omesso in tali occasioni qualsiasi accenno agli squilibri del capitale azionario e al fenomeno del capitale finanziato. Sulla prima riunione interlocutoria, tenutasi il 27 marzo 2013 su richiesta j della stessa B. (e alla quale avevano partecipato per la banca il direttore° generale Sa.So., il segretario generale Ma.So., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. e per l'appunto il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.), il teste Ma.Pa. - nel precisare che si trattava dì una riunione finalizzata a fornire, da parte della banca, aggiornamenti circa gli interventi pianificati per rafforzare il livello di patrimonializzazione del gruppo - aveva affermato che gli esponenti di B. gli avevano illustrato le caratteristiche principali dell'operazione programmata; queste ultime corrispondevano a quelle dell'aucap 2013 poi effettivamente realizzato, compresa la "campagna soci volta all'ampliamento della base azionaria (Euro 100 mln)", con "associata l'erogazione di finanziamenti, ai sensi dell'art. 2358 c.c. riservata ai nuovi soci. Sempre secondo il teste Pa., inoltre, tanto il PI. quanto il PE. avevano dimostrato di essere già a conoscenza del fatto che il capitale sottoscritto mediante finanziamenti concessi dalla banca non potesse essere computato ai fini del patrimonio di vigilanza se non nella quota del finanziamento nel frattempo oggetto di rimborso. A null'altro di quanto fino a quel momento accaduto si era fatto cenno, da parte dei predetti, in tale prima riunione come pure nella seconda riunione, tenutasi il 20.10.2014 tra Banca d'Italia e B. (in rappresentanza di quest'ultima erano stati presenti if PI. e il PE.). In base alla deposizione del teste ispettore Em.Ga., poi, risultava un contegno estremamente reticente del PI. in relazione alla sua conoscenza di quali investimenti fossero sottostanti ai fondi esteri dei quali sopra si è detto. Interpellato al riguardo dal team ispettivo il PI. si era limitato a giustificare tale assenza di informazioni con la reticenza dei gestori. Era stato allora rappresentato al direttore generale So., da parte della vigilanza, che in caso di mancata disclosure degli investimenti sottostanti si sarebbe scomputato l'intero importo di Euro 350 milioni dal patrimonio di vigilanza, al che le informazioni richieste erano prontamente pervenute. Il tribunale vicentino, dopo aver illustrato i contenuti della deposizione resa dal teste Massimo Castelluccio - all'epoca dei fatti in forza alla Divisione Finanza e dunque subalterno del PI. - circa le modalità della predisposizione dei documenti di offerta, passava in rassegna i contenuti di alcune conversazioni telefoniche e messaggi sms oggetto di intercettazione, contenenti, a suo avviso, significative ammissioni dello stesso PI. in ordine al proprio pieno coinvolgimento nei fatti per i quali qui si procede: conversazione progr. n. 360 dell'1.9.2015 tra il PI. e Mo.An.di UBS; messaggi sms scambiati il 3 maggio 2015 dal PI. con Em.Gi. (il primo scriveva ivi al secondo: "Deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori"). Indi il primo giudice illustrava i contenuti della versione dei fatti resa dall'imputato PI. - in sede di esame dibattimentale dd. 3.3.2020 - sui vari temi sopra ampiamente passati in rassegna (fra questi: prassi gestionale dei finanziamenti correlati, a suo dire appresa solo a seguito dell'ispezione BCE; lettera di impegno al riacquisto rilasciata all'imprenditore tessile Fa., in relazione alla quale il PI. sosteneva di avere detto all'imprenditore - che la pretendeva - di non poter fare nulla e di essersi limitato per parte sua a metterlo in contatto con il direttore generale So., che in effetti risultava essere il sottoscrittore della lettera di impegno poi concretamente emessa; operazione "So.", in relazione alla quale il PI. sosteneva non trattarsi di una operazione correlata; triangolazione coinvolgente le società c.d. "tre sorelle lussemburghesi", in relazione alla quale il PI. sosteneva di non aver mai saputo che alle anzidette società fosse stato erogato un finanziamento correlato per l'acquisto di azioni, scoprendolo solo dopo l'erogazione, allorquando si era avveduto che nel portafoglio titoli delle società stesse vi erano azioni B.; episodio, già più volte citato, dello scontro con l'avv. Pa. dell'ufficio legale di B. riguardo alla vicenda della società di revisione K., in relazione alla quale il PI. sosteneva di essersi limitato a dire alla Pa. che, come dirigente dell'ufficio legale alla quale era stato richiesto di redigere un parere, si sarebbe dovuta assumere le sue responsabilità; vicenda fondi "(...)" e "(...)", in relazione alla quale il PI. affermava che si era trattato di un'idea del direttore generale So. in vista dell'aucap 2013, che comunque i fondi erano stati sottoscritti dal So. sulla base del parere favorevole tanto dell'ufficio legale quanto della compliancet che in relazione alla seconda delle due operazioni egli si era limitato a presentare Gi.St. di (...) Asset Management al direttore generale della controllata irlandese B.Fi., Pi.Ra. e che, - in ogni caso - egli non era stato mai coinvolto dai fondi nella scelta degli investimenti sottostanti). Secondo il collegio vicentino tutte le anzidette affermazioni di esclusione della propria responsabilità rese dal PI. in sede di esame trovavano smentita nel complesso delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale come sopra passate in rassegna nel ricostruire i vari episodi ritenuti dallo stesso primo giudice idonei a rivestire rilevanza penale a carico dell'imputato. Quanto poi alla linea difensiva del PI. riguardo a numerosi fra i testi a suo carico (in particolare i testi Pi.Ra. e Fi.Ro.), ossia che si sarebbe trattato di testi del tutto inattendibili perché interessati a incolpare lo stesso PI. pur di allontanare ogni sospetto nei loro confronti, il tribunale ribatteva che le loro deposizioni risultavano munite di plurimi riscontri, indicati nel dettaglio alle pagg. 730-732 della gravata sentenza, 1.9.5 Pe.Ma. Con riferimento a Pe.Ma. il primo giudice - dopo avere richiamato l'ipotesi d'accusa, secondo la quale costui avrebbe concorso nei reati di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza nella sua qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili rilevanti nella prassi aziendale della concessione dì finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. ed avrebbe, altresì, fornito un concreto contributo alla realizzazione dei reati di falso in prospetto in ragione della sua responsabilità nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazioni all'autorità di vigilanza - evidenziava come l'imputato, nel periodo d'interesse 2011-2014, avesse ricoperto l'incarico di responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione nonché quello di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, donde la sua estraneità alla esecuzione delle operazioni di capitale finanziato. La responsabilità del PE., pertanto, avrebbe richiesto la verifica, per un verso, "a monte", della consapevolezza, in capo al predetto, dell'esistenza e della consistenza del fenomeno in esame; e, per altro verso, "a valle", dell'apporto da questi fornito alla realizzazione delle attività delittuose attraverso la predisposizione di documenti, diretti al mercato ed alle autorità di vigilanza, contenenti informazioni caratterizzate dall'occultamento di detto fenomeno. Sotto il primo profilo il tribunale premetteva una analitica individuazione del ruolo concretamente svolto dall'imputato all'interno delia compagine bancaria, sottolineando come il PE., nella sua qualità di direttore della suddetta Divisione, dipendesse gerarchicamente dal solo d.g. So.. Nella sua qualifica di dirigente preposto, poi, il predetto riferiva direttamente al CdA per il tramite del comitato di controllo. Più nel dettaglio, l'imputato costituiva il vertice di una divisione che comprendeva due uffici di staff (l'ufficio studi e lo staff del dirigente preposto), disponeva di ben 75 unità e che, attraverso le sue articolazioni (segnatamente attraverso la Direzione Pianificazione Strategica, diretta da An.Fa.), svolgeva una pluralità di attività che andavano dal supporto alla direzione generale nella redazione dei piani economici pluriennali e dei budget annuali di tutte le strutture della banca, alla gestione dei rapporti con le società di consulenza e con la struttura dell'esperto indipendente incaricato annualmente di effettuare la valutazione dell'azione; dal monitoraggio teso a verificare il rispetto dei ratios patrimoniali della banca in relazione agli attivi ponderati (RWA) e all'andamento del fondo acquisto azioni proprie, al controllo costante dell'andamento della rete commerciale (verificato attraverso l'attività dell'ufficio CRM). Per il tramite della Direzione Ragioneria Generale - diretta da Lu.Tr. e facente parte anch'essa della Divisione Bilancio - poi, venivano curati gli adempimenti fiscali, gestita la contabilità, predisposto il bilancio di esercizio e quello consolidato e, infine, redatte le segnalazioni all'autorità di vigilanza. Ebbene, in un contesto tanto articolato era giocoforza che il PE. svolgesse un ruolo di coordinamento, occupandosi anche di assicurare una garanzia di coerenza fra i dati gestionali e quelli contabili, mentre la gestione dei dati di dettaglio e le attività correnti erano necessariamente demandate alla struttura nel suo complesso, adeguatamente dotata di risorse umane (numerose unità; plurimi dirigenti) e materiali. Quanto, poi, alle funzioni attribuite al dirigente preposto (figura prevista e disciplinata dall'art. 154 bis TUF), tale soggetto si occupava non già della redazione materiale dei documenti contabili societari, bensì della "predisposizione di adeguate procedure amministrative e contabili per la formazione del bilancio di esercizio e, ove previsto, del bilancio consolidato, nonché di ogni altra comunicazione di carattere finanziario" (art. 154 bis co. 3). Inoltre a costui competeva attestare la corrispondenza degli atti e delle comunicazioni "alle risultanze documentali ai libri e alle scritture contabili", come previsto dall'art. 154 bis TUF. Nello specifico, all'interno di B., in linea con la normativa di riferimento, la figura del dirigente preposto era disciplinata dal "Modello del Dirigente Preposto alla redazione dei documenti contabili societari"; modello che prevedeva che ciascuna funzione aziendale di controllo trasmettesse al dirigente preposto i risultati delle verifiche di propria competenza. Di qui la necessità, affinché il dirigente preposto potesse svolgere correttamente il proprio ruolo, della correttezza e veridicità delle informazioni che ciascuna struttura aziendale trasmetteva al suddetto dirigente. Tanto premesso, nessuno degli organi di controllo (collegio sindacale, audit, organismo di vigilanza, compliance) - precisava il primo giudice - aveva segnalato al PE. l'esistenza dì prassi scorrette nell'operatività del mercato interno delle azioni proprie. Quando il responsabile dell'Internal audit Ma.Bo. aveva tentato di portare a compimento la prima attività ispettiva sui finanziamenti correlati, infatti, era stato bloccato dal d.g. Sa.So., il quale gli aveva impedito di divulgare il relativo report. Il collegio sindacale, dal canto suo, pur avendo ricevuto vari segnali (sul punto il riferimento specifico del tribunale era al caso del socio Dalla Grana), non aveva effettuato alcuna comunicazione in proposito. Altrettanto doveva dirsi per la funzione di compliance che, chiamata a gestire la vicenda Vi., non aveva segnalato nulla al riguardo. In definitiva, nessuna informazione in ordine al fenomeno delle operazioni correlate era pervenuta al PE. attraverso i canali istituzionali. Né tale fenomeno era stato percepito nell'ambito dell'attività - parimenti di competenza della Divisione facente capo all'imputato - di gestione della contabilità adottata dalla banca. Il teste Lu.Tr., infatti, aveva dichiarato di avere appreso per la prima volta del fenomeno del capitale finanziato nel marzo del 2015, nel corso di una riunione tra le società di revisione e il collegio sindacale in vista della redazione della relazione al bilancio 2014. Prima di allora, infatti, secondo tale teste, il suddetto fenomeno non era rappresentato nei sistemi contabili, né era comunque noto alla struttura, né, infine, vi erano possibilità che potesse essere rilevato dalla Ragioneria Generale attraverso l'analisi dei dati disponibili. Inoltre, neppure erano emersi elementi che consentissero di concludere che il PE. avesse acquisito aliunde (rispetto ai canali istituzionali) la consapevolezza circa l'operatività dei finanziamenti correlati. Anzi, in senso opposto orientavano le deposizioni dei testi An.Fa., Lu.Tr. e Al.Mo.. Del teste Tr. si è già detto. Il teste Fa., dal canto suo, aveva riferito di avere appreso delle operazioni correlate solo nel corso della ispezione BCE del 2015, precisando che anche il PE., fino ad allora, si trovava nella medesima situazione di ignoranza del fenomeno in questione. Il teste Mo., infine, aveva sostenuto che prima dell'ispezione vi fosse consapevolezza delle "baciate" ma non della loro diffusività e, con riferimento al PE., aveva precisato che costui era a conoscenza solo dello slogan del d.g, Sa.So. secondo il quale ogni cliente affidato avrebbe dovuto possedere azioni B. pari almeno al 10% del finanziamento. Aggiungasi che anche il teste Ma.Li. - all'epoca vicedirettore di Ba.Nu. ed in rapporto di wbuona colleganza" con l'imputato durante la precedente esperienza in B. - aveva dichiarato di avere avuto con costui un colloquio confidenziale nel mese di aprile 2015 (ovverosia in piena ispezione BCE e poco prima dell'avvio della Task Force voluta dal d.g. So.) traendone la convinzione che l'imputato non fosse a conoscenza "di questa rilevanza del problema". Anche la vicenda della comunicazione delle 17 posizioni sospette da parte di K. e la deposizione dell'avvocato Pa. (vicenda oggetto di puntuale ricostruzione da parte del primo giudice alle pagg. 746-748 della sentenza) deponevano tanto per la mancata consapevolezza, in capo al PE., dell'entità del problema del capitale finanziato (problema del quale lo stesso imputato, apprendendone in occasione della qui più volte menzionata riunione nell'ufficio del So., si era poi dimostrato seriamente preoccupato, al pari della suddetta Pa.), quanto per l'estraneità del medesimo PE. rispetto alle macchinazioni tese ad occultarlo. Analoghe conclusioni dovevano trarsi, ad avviso del tribunale, con riferimento alla disclosure sui fondi "(...)" e "(...)". In proposito era stato dall'ufficio del PE. che era partita la richiesta di disclosure sui sottostanti dei fondi (richiesta, peraltro, più volte ripetuta, come precisato dal teste Lu.Tr.). Quindi, in presenza di una risposta solo parziale, l'ufficio ricompreso nella Divisione diretta dall'imputato aveva applicato il trattamento previsto dalla normativa, segnalando l'intera esposizione verso quei fondi come una "esposizione sconosciuta". Peraltro, quando, successivamente, era entrato in vigore il CRR che imponeva alla banca di avere piena conoscenza anche degli investimenti sottostanti, era stato proprio l'imputato a segnalare che, in difetto di disclosure, l'istituto avrebbe dovuto detrarre integralmente l'intero investimento dal CET 1 e solo per effetto di tale segnalazione era stato finalmente comunicato l'investimento in azioni B., come segnalato dal teste ispettore Em.Ga.. Anche l'intervento effettuato dal PE. nel corso della seduta del CdA 1.4.2014 - allorché questi non si era affatto allineato alle valutazioni del prof. Bi. in ordine al valore da assegnare all'azione, ma, al contrario, aveva mosso delle critiche al riguardo - deponeva in senso favorevole all'imputato. Ove costui fosse stato coinvolto nell'illecita operatività del capitale finanziato, infatti, sarebbe stato lecito attendersi che non dissentisse rispetto alla metodologia applicata nella stima del valore del titolo. Né, a fronte di tali plurime emergenze probatorie favorevoli, gli elementi valorizzati in senso contrario dal P.M. potevano legittimare differenti conclusioni circa la consapevolezza, da parte del PE., del fenomeno in esame. Non l'episodio del Comitato di Direzione dell'8 novembre 2011, nel quale pure v'era prova che si fosse parlato delle "operazioni baciate" in presenza del PE., poiché l'affermazione fatta, nell'occasione, da costui, secondo quanto riportato negli appunti del teste Ma.So. ("Avrei bisogno di 110 milioni andare a 8 con capitalizzazione dell'utile trimestrale") e, più in generale, ciò che era stato sostenuto nel corso della riunione, anche dal d.g. So. ("dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. abbiamo degli impegni nei confronti di Banca d'Italia e del Consiglio di Amministrazione"), non consentivano di concludere che il medesimo PE. fosse consapevole delle specifiche caratteristiche di quella tipologia di operazioni, né della diffusività del fenomeno e, quindi, della sua incidenza sul patrimonio della banca. Tutt'altro che inverosimile, infatti, appariva quanto sostenuto, al riguardo, dallo stesso imputato, là dove il predetto aveva precisato di non avere dato adeguato peso agli interventi effettuati, in tale occasione, dal Se. e dal Tonato in quanto, all'epoca, neppure conosceva il significato della parola "baciata". Peraltro - precisava il primo giudice - a tale riunione era stata presente anche l'avv. An.Pa., la quale tuttavia aveva dichiarato di essere venuta a conoscenza del fenomeno solo nel 2015, in occasione della citata comunicazione della società di revisione K.. Non le dichiarazioni rese dal teste So. - sebbene costui avesse narrato di colloqui con figure apicali dell'istituto nei quali si era fatto ripetutamente riferimento alle "baciate" a partire dagli anni 2010-2011 - in quanto detto teste non aveva riferito di colloqui intercorsi, a tale specifico riguardo, con il PE.. E neppure le deposizioni - sostanzialmente analoghe e, comunque, assolutamente vaghe ed incerte - rese dei testi Gi.Am., Al.Ba. e Co.Tu.. Quanto, poi, al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (del quale nel corso dell'istruttoria dibattimentale era stata ascoltata la registrazione audio), il primo giudice precisava, per un verso, che si era trattato di riunione alla quale il PE. non aveva partecipato (in quanto si trovava a Francoforte) e, per altro verso, che il riferimento alla necessità di confrontarsi con il predetto, nell'occasione chiamato in causa da GI. ("... però dobbiamo confrontarci con Ma..."), costituiva un elemento insuscettibile di univoca lettura. Era lecito ipotizzare, infatti, che il predetto GI. - come, peraltro, da questi sostenuto - intendesse riferirsi alla necessità di "tagliare gli attivi", donde, in questa prospettiva, la regolarità del coinvolgimento del PE., in quanto titolare della Divisione "competente in materia". Inoltre, con riferimento alla deposizione rese dal teste Co.Tu. in relazione alla riunione del 7 gennaio 2015 (deposizione nel corso della quale detto testimone, dapprima, aveva riferito che si era trattato della prima occasione nella quale sì era parlato di "baciate" anche in presenza di PE. e successivamente, in sede di controesame, aveva smentito le precedenti dichiarazioni, negando che nel corso di questo incontro fosse stato affrontato tale argomento), si era evidentemente in presenza, ad avviso del primo giudice, di un contributo dichiarativo del tutto inattendibile. Infine il tribunale esaminava la tesi del coimputato GI. (tesi secondo la quale: il fenomeno del capitale finanziato era noto a tutti all'interno della banca; lo stesso GI. ne ignorava la dimensione; il medesimo dichiarante aveva confidato nella regolare appostazione a bilancio dei dati relativi a detto fenomeno) evidenziandone: - per un verso, il contrasto con gli elementi probatori in precedenza citati; ° per altro verso, la intrinseca contraddittorietà (posto che non era dato comprendere cosa avrebbe dovuto appostare a bilancio la ragioneria se neppure il GI. era a conoscenza di dati precisi al riguardo e se difettavano flussi informativi interni sul punto); - e, peraltro verso ancora, la palese illogicità (in quanto la contabilizzazione di tale fenomeno avrebbe vanificato la finalità di evitare la decurtazione del valore delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza). In definitiva - concludeva il primo giudice - il compendio probatorio non consentiva di giungere all'affermazione di responsabilità del PE.. Non solo l'imputato era del tutto estraneo alla strutturazione dell'operatività delle c.d. "baciate", ma neppure era provato che fosse consapevole di tale fenomeno. Al più erano emerse una vaga e generica conoscenza, da parte del predetto, della tematica in esame e la conseguente sottovalutazione della serietà delle relative implicazioni sul patrimonio di vigilanza, non già la consapevolezza delle caratteristiche e della diffusività della illecita operatività in esame, necessarie per fondare l'elemento psicologico dei reati oggetto di addebito. Di qui l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato 1.9.6 Zi.Gi. Con riferimento alla posizione processuale di Zi.Gi., al quale era addebitato il concorso nei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto (concorso estrinsecatosi nell'avere egli avallato la prassi aziendale del capitale finanziato, avendo compiuto per il tramite di Ze. s.r.l. operazioni di tale natura), il tribunale premetteva, alla stregua della deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma., la seguente ricostruzione delie operazioni riferibili all'imputato: - il 13 novembre 2012 il CdA aveva deliberato ex art. 136 TUB un affidamento di 12,5 milioni di euro in favore di Ze. s.r.l.. La causale era: "cogliere eventuali opportunità sia nel settore industriale che nel settore finanziario, nello specifico è in fase di avanzata trattativa l'acquisizione di un rilevante pacchetto di quote di Ar.Li. s.p.a. sono inoltre nell'intenzione degli imprenditori ulteriori significativi investimenti che al momento non sono ancora nel complesso definiti". Il fido era stato accreditato il 21 novembre e, lo stesso giorno, era stato effettuato un giroconto di 10 milioni di euro utilizzati per l'acquisto di azioni B. per un pari importo; - quindi, nel luglio del 2013, la Ze. S.r.l. aveva beneficiato di un finanziamento di 1.5 milioni di euro, fido erogato il 2.9.2013 sul conto corrente (...), intestato alla predetta società. Si trattava di un incremento del fido già concesso nel 2012. In data 2 settembre 2013 - data di regolamento dell'aucap 2013 - risultava poi un'erogazione di 1,13 milioni di euro su altro conto corrente intestato alla medesima società con l'impiego di detta somma per l'acquisto di azioni B. di pari valore; - ancora, il 4.12.2014, Zi.Gi. aveva ricevuto un affidamento di 5.200.000,00 euro. La P.E.F. indicava, quale causale: "finalizzato ad intercettare alcune opportunità immobiliari e di partecipazione". Non appena ricevuta l'erogazione, il relativo importo era stato bonificato su un conto U.It. s.p.a., filiale di Padova; - il 16.2.2015, infine, Ze. s.r.l. aveva venduto 5,5 milioni di azioni sul secondario e, con il ricavato, aveva ridotto parte del debito relativo al finanziamento di 15 milioni di euro. Tale ricostruzione - precisava il tribunale - coincideva con le conclusioni dei cc.tt. del P.M. dove sì attestava che l'importo delle azioni acquistate dalla società Ze. s.r.l. tramite finanziamenti era pari a 10 milioni di euro dal 31.12.2012 al 30.6.2013, ad euro 10.565.250 dal 30.9.2013 al 30.6.2014, ad euro 10.355.250 dal 30.9.2014 al 31.12.2014 e, infine, ad euro 4.855.250 al 31.3.2015. Così ricostruite le evidenze contabili, il primo giudice concludeva per la natura "correlata" delle operazioni effettuate dalla Ze. s.r.l. sulla scorta, in particolare, delle dichiarazioni rese dai testi Ma.Ba. e An.Cr.. Il primo, infatti, aveva rievocato (peraltro coerentemente con gli / esiti della consulenza dei cc.tt. del P.M.) l'operazione (da lui stesso curata su input di Em.Gi. ovvero di Al.Ba.) effettuata alla fine del 2012 e relativa al fido da 12,5 milioni di euro, parte dei quali (2,5 milioni), destinata all'acquisto della partecipazione in Ar.Li., la restante parte riservata a investimenti in azioni della banca. La pratica, poi, era stata materialmente seguita dal Criscuolo. L'operazione avrebbe dovuto avere carattere temporaneo, la liquidità essendo stata "parcheggiata" in azioni B. in attesa di un differente impiego, da effettuare previa liquidazione delle azioni. Nel 2013, poi, in occasione dell'aumento di capitale, il fido era stato esteso di ulteriori 1,5 milioni e con la relativa provvista Ze. s.r.l. aveva aderito all'iniziativa in questione. Il secondo teste (Cr.), poi, aveva sostanzialmente confermato la versione del collega Ba.. Infine anche il teste Al.Ba., responsabile della divisione "Corporate", aveva rievocato l'operazione posta in essere dallo ZI., operazione della quale, in parte, si era anche personalmente occupato allorquando, nel 2012, vi era stato un apposito incontro con lo stesso ZI. e con GI. per discuterne l'impostazione. Il teste Ba. ha precisato che vi era urgenza di effettuare l'operazione con rapidità in quanto si avvicinava la fine dell'anno 2012; che era impellente l'esigenza di liberare il fondo acquisto azioni; che, nell'occasione, ZI. aveva acconsentito ad effettuare l'operazione purché la cosa fosse gradita allo ZO.. Successivamente lo stesso ZI. gli aveva confidato di essersi prestato ad effettuare l'operazione a richiesta dì So. e GI., i quali "in sostanza gli avevano chiesto un favore e che lui si era messo a disposizione della banca". Dal canto suo lo stesso ZI. aveva ricordato di avere agito aderendo alla proposta di GI. e solo dopo avere ricevuto esplicite rassicurazioni in ordine al fatto che l'operazione non fosse intesa dal presidente ZO. come una iniziativa ostile. Il messaggio SMS inviato da MA. a So. il 26.10.2012 (doc. nr. 665 del P.M.) "ti ricordo Zi. di parlarne con il presidente per il fido da farsi sulla sua finanziaria", nonché il precedente' messaggio trasmesso, il 17.10.2012, dal GI. allo stesso So. "faccio anche ZI., Ma. d'accordo. Vedi problemi?" "il fratello ha già in atto l'operazione" costituivano, poi, significativi riscontri documentali dell'operazione in questione. Quindi il tribunale precisava, sulla scorta della deposizione del Criscuolo, che, con rifermento al finanziamento concesso allo ZI., erano stati applicati tassi differenziati per l'importo destinato all'acquisto di Ar. e per la parte destinata all'acquisto delle azioni e che i tassi erano stati "sistemati" con il consueto sistema dello storno. Alcuni documenti disponibili, peraltro, confermavano tale circostanza. Trattasi, segnatamente: - della richiesta di storno di cui al documento nr. 103 del P.M.; - dell'annotazione redatta da Zi.Gi. (doc nr. 730 del P.M.), contenente l'elenco delle azioni acquistate tramite finanziamento con l'indicazione di importi e tasse non deducibili "che avanziamo dalla banca" e con l'indicazione finale rimane da risolvere la vendita delle altre 80.000 azioni"; - del prospetto riassuntivo dell'applicazione del tasso di interesse (doc, nr. 737 del P.M.), estratto dal computer della segretaria della Ze. S.r.l., Ca.Ro., la quale aveva riferito di averlo redatto probabilmente su incarico di Gi.ZI. (questi, tuttavia, non aveva confermato la circostanza). In detto documento veniva riportato il tasso di interesse del 4,5% con riferimento al finanziamento di 2,5 milioni di euro relativo all'acquisizione di Ar.Li. e in esso si leggeva "calcolo eseguito non considerando il milione di aumento di capitale che si riferisce ai 10 milioni". Quanto, poi, al finanziamento di 10 milioni destinati all'acquisto delle azioni, nel consuntivo finale, alle competenze addebitate, comprensive di interessi ed imposte, venivano sottratti gli interessi "effettivamente dovuti" in ordine al finanziamento di 2,5 milioni destinato ad Ar.Li. e la differenza tra queste due somme era indicata come "differenza da rimb"; - della e-mail 15.7.2014 inviata dalla Ca. alla filiale B. in cui si precisava che le imposte di bollo andranno a confluire nel famoso rimborso concordato a suo tempo", così confermandosi l'esistenza dell'accordo per rimborsare a Ze. s.r.l. tutte le spese. La natura correlata delle operazioni effettuate dagli ZI. del resto emergeva, ad avviso del tribunale, anche da un appunto (doc. nr. 731 del P.M.) redatto dallo stesso imputato per ricostruire le operazioni effettuate con la banca. In detto appunto si legge che in data 8 maggio, a colloquio con ZO., Br. e l'avv. Am., ZI. aveva affermato essergli stato chiesto "in due occasioni di comprare azioni (2011 e 2012) con finanziamenti dove non ho percepito utili ma ho anticipato interessi passivi. La prima si è chiusa nel 2014 e la seconda per il 50% nel 2015". "Attualmente ci perdo 280.000 più oltre un milione di calo di valore: quindi la banca non è danneggiata ma ci ha guadagnato. Operazioni proposte da E. ma definite in ufficio da SS che mi ringraziava per l'aiuto. Ho sempre messo due condizioni, di non guadagnarci e che il Presidente fosse informato". Lo stesso imputato, poi, nel corso dell'esame, ha ricordato che il finanziamento era stato strutturato per l'acquisto di azioni dell'istituto e che egli lo aveva effettuato, sollecitato da GI., "per dare una mano alla banca". Del resto, nel corso della conversazione telefonica nr. 153 del 25.8.2015 intercorsa tra l'imputato e Lu.Bo., il primo aveva ammesso di essere stato finanziato dalla banca per l'acquisto delle azioni. Sicché la natura correlata dell'operazione di acquisto finanziato di azioni per 10 milioni di euro non poteva essere fondatamente revocata in dubbio. Altra operazione correlata era stata quella effettuata, per l'importo di 5 milioni di euro, da Zi.Gi. (finanziamento del 27.12.2011 ed acquisto delle azioni effettuato due giorni dopo). Con analoghe modalità, poi, lo stesso Zi.Gi. aveva partecipato all'aumento di capitale del 2013 per l'importo di 500.000 euro. La prima operazione era stata chiusa il 29.5.2014 con rimborso e annullamento delle azioni, ovverosia con un ricorso surrettizio - come emerso anche dalla deposizione del teste Ro. il quale aveva confermato che l'annullamento era un espediente al quale si ricorreva in casi eccezionali per chiudere operazioni correlate - ad uno strumento (quello dell'annullamento) previsto in caso di "inadempienza grave" del socio, inadempienza che, nel caso dì specie, non si era affatto verificata. Quindi il tribunale richiamava il finanziamento di 5 milioni di euro concesso da B. a Ze. s.r.l. e girato sul conto UBS il 5.12.2014. Nell'occasione al dipendente UBS Visentin, il quale si era relazionato con So., PI. e GI., l'imputato aveva riferito che aveva un "credito nei loro confronti" e che questa operazione "gli era dovuta" in quanto "aveva fatto molti favori alla banca". Infine il primo giudice evocava la e-mail inviata dallo ZI. a Em.Gi. e a Cl.Gi. con, in calce, l'analoga missiva inviatagli da Mi.Ga., il quale si lamentava del fatto che un dipendente B. gli avesse comunicato che il rinnovo di un secondo fido era stato anch'esso subordinato, al pari del primo, alla sottoscrizione di 50.000 azioni dell'istituto di credito. Nell'occasione l'imputato si era limitato a spiegare che "B. non opera con questa politica e che forse o hanno capito male o il funzionario si è espresso male". Ebbene, in presenza di tali evidenze probatorie lo ZI., come detto, aveva bensì ammesso di avere effettuato operazioni correlate per dare una mano alla banca ma aveva negato di essere stato consapevole delle problematiche connesse al capitale finanziato e, meno che mai, delle sue dimensioni, protestando altresì la propria totale inconsapevolezza circa la necessità dello scomputo delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza. Pertanto il tribunale riteneva certamente provato che l'imputato, attraverso Ze. s.r.l., avesse posto in essere operazioni correlate. Nondimeno, sempre secondo il tribunale, non soltanto lo ZI. non aveva minimamente preso parte alla concertazione - intercorsa, ai massimi livelli, tra il management della banca ed il presidente ZO. - che aveva reso possibile la manipolazione del mercato e le condotte di false informazioni alla vigilanza, ma neppure vi era prova affidabile circa la consapevolezza, in capo ai membri del CdA (e, quindi, allo stesso ZI.), in ordine alla diffusività dell'operatività illecita in questione. Il teste ispettore Em.Ga., invero, aveva puntualmente evidenziato la difficoltà di percepire se una operazione fosse o meno correlata da parte del CdA. Dal canto suo lo stesso coimputato MA., in sede di esame, aveva ammesso che, quando presentava le pratiche di acquisti correlati in Consiglio, era solito non esplicitare mai la natura delle operazioni, limitandosi a riportare sinteticamente i dati della P.E.F.. In buona sostanza - secondo il tribunale - la valutazione circa la sussumibilità o meno delia condotta dello ZI. nell'alveo della penale responsabilità implicava, necessariamente, la esatta comprensione dei termini della questione inerente al complesso tema della responsabilità dei componenti del CdA non esecutivi, estranei a qualsivoglia funzione gestoria dell'impresa bancaria, questione che, nel caso sub iudice, andava poi "calata" in un contesto obiettivamente peculiare in quanto caratterizzato, per un verso, dalla concreta fisionomia di un organo collegiale - il CdA di B. - sottoposto alla direzione di un presidente "assolutamente operativo"; e, per altro verso, dall'assenza, in capo ai consiglieri, della effettiva conoscenza della situazione di reale illiquidità del titolo azionario. In effetti, solo in presenza di segnali di allarme effettivamente percepibili (e realmente percepiti) come tali dai consiglieri sarebbe stato possibile ritenere costoro - e, quindi, tra essi, lo ZI., il quale non si trovava affatto in una situazione dissimile rispetto a quella dei "colleghi" che avevano posto in essere anch'essi operazioni correlate - responsabili, ex art. 40 c.p., per non avere impedito attività delittuose in itinere, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità. Nel caso di specie, tuttavia, nulla consentiva di affermare che l'imputato avesse volontariamente omesso di intervenire per scongiurare la consumazione dei reati, all'uopo non potendosi ritenere sufficiente la partecipazione, da parte del predetto, ad operazioni di capitale finanziato; operazioni, peraltro, da costui poste in essere su sollecitazione dei vertici dell'istituto e senza alcun tornaconto personale. In definitiva difettavano prove univocamente sintomatiche di un consapevole concorso materiale di Zi.Gi. nei reati ascrittigli, in difetto di adeguati riscontri circa la consapevolezza, in capo al predetto, delle condotte manipolatorie e decettive poste in essere dalle figure apicali dell'istituto di credito e, ancor meno, circa la dimensione del fenomeno del capitale finanziato. Donde l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non costituisce reato 1.10 La responsabilità amministrativa di B. in L.C.A. Il tribunale, inoltre, riteneva Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) in relazione ai reati dì aggiotaggio ex art, 2637 c.c. e di ostacolo alla vigilanza ex art. 2638 c.c. (ovverosia con riferimento a fattispecie incluse nell'art. 25 ter lett. R ed S del D.L.vo 231/01) posti in essere da soggetti sia di vertice che sottoposti alla direzione e vigilanza di posizioni apicali. In proposito, dopo avere richiamato, in ordine alla sussistenza delle ipotesi delittuose di riferimento, quanto già in precedenze esposto al riguardo, il tribunale in primo luogo evidenziava come, ai fini della responsabilità dell'ente, non rivestisse rilievo alcuno la sottoposizione della banca a procedura concorsuale, trattandosi di evento non ricompreso tra le cause dì estinzione dell'illecito da reato previste dalla disciplina in materia (come del resto era evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, che assegnava rilievo, al riguardo, unicamente al decorso del termine di legge, ovvero all'improcedibilità in caso di amnistia in relazione al reato presupposto). Fino alla cancellazione conseguente all'esito della procedura concorsuale, infatti, la società avrebbe dovuto ritenersi esistente. Né, d'altro canto, era possibile opinare diversamente sulla base di una sorta di giudizio prognostico fondato sul prevedibile esito della procedura fallimentare. Tanto premesso, neppure poteva dubitarsi che gli imputati avessero agito nell'interesse e a vantaggio dell'ente. Al riguardo il tribunale premetteva che l'interesse (da valutarsi, ex ante, secondo criteri "soggettivi" che, sebbene non coincidenti con l'elemento psicologico della fattispecie delittuosa di riferimento, dovevano comunque essere tali da esprimere la tensione finalistica dell'operato dell'autore del reato presupposto) avrebbe dovuto individuarsi nella prefigurabilità di un risultato positivo per la società. Quanto poi al vantaggio (da apprezzarsi, ex post, secondo criteri oggettivi), tale requisito si sarebbe dovuto identificare negli effetti favorevoli derivati dalla realizzazione degli illeciti. Questo con la precisazione, per un verso, che la mancata considerazione del criterio del vantaggio secondo la formulazione della disposizione vigente all'epoca dei fatti (art. 25 ter D.L.vo cit.) era circostanza di ben scarso rilievo, posto che, nel caso di specie, tutti i reati perpetrati erano caratterizzati dal correlativo interesse dell'istituto di credito; per altro verso, che l'antieconomicità a posteriori dell'operazione era ininfluente; e, peraltro verso ancora, che l'interesse dell'ente avrebbe potuto essere anche parziale o marginale, dovendosi escludere la responsabilità della società solo nel caso di interesse esclusivo dell'autore del reato (in ragione, in tal caso, della rottura "dello schema di immedesimazione organica" che costituiva il fondamento teorico dell'istituto in questione). Ebbene, nella vicenda sub iudice, le condotte delittuose erano state pacificamente poste in essere nell'interesse (anche) dell'istituto di credito. In effetti la contraria tesi difensiva (secondo la quale dette condotte si sarebbero poste in conflitto con il reale interesse della banca, in quanto, da un lato, avrebbero precluso l'effettuazione di ulteriori operazioni e in tal guisa avrebbero cagionato, fin dal momento genetico, un grave nocumento all'istituto di credito, mentre, dall'altro lato, sarebbero state realizzate nell'esclusivo interesse degli imputati, al di fuori di una politica di impresa e per finalità di mantenimento del potere gestionale da parte dei vertici amministrativi) non poteva affatto essere accolta. Ciò avrebbe infatti rappresentato l'espressione di un'interpretazione atomistica, fuorviante e retrospettiva del fenomeno delittuoso in esame e non già di una doverosa visione prospettica delle azioni criminose. Le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, infatti, erano state funzionali a far conseguire all'ente un beneficio, occultando le operazioni di capitale finanziato e così consentendo all'istituto di credito di mantenere standard elevati nell'esercizio dell'attività bancaria e di acquisire nuovo capitale o mantenere quello esistente. Si era trattato, quindi, di condotte che, a tutto discapito del mercato, avevano generato indubbi benefici per la banca, assicurandone la continuità e garantendone la competitività nel mercato del credito, sia pure in modo rivelatosi non sufficiente, nel lungo termine, a risolvere le carenze di un'errata politica di impresa (peraltro preesistente alle operazioni di capitale finanziato) che aveva portato ad un progressivo, inesorabile, deterioramento della situazione patrimoniale (con i relativi coefficienti che, già dal 2012, erano inferiori alla soglia target, come evidenziato dai consulenti del P.M.). Le ricadute positive per l'ente delle attività delittuose, del resto, erano state convincentemente delineate dalla deposizione del teste ispettore Em.Ga.. In assenza delle condotte delittuose, in effetti, la banca si sarebbe trovata nella necessità di impegnare le risorse disponibili per reintegrare i requisiti patrimoniali, oppure di disvelare una situazione di crisi che avrebbe inevitabilmente impattato negativamente, al contempo, tanto sul capitale (trattandosi di banca cooperativa), quanto sull'operatività (trattandosi di banca commerciale). In definitiva - precisava il primo giudice - occorreva distinguere tra le singole condotte operative di capitale finanziato (che costituivano solo una parte della politica imprenditoriale e non erano indicative della proiezione finalistica del reato) e le soprastanti condotte delittuose delle false prospettazioni al mercato e alla vigilanza, nelle quali si sostanziavano i reati presupposto che erano stati funzionali a favorire l'ente, consentendo alla società di conseguire un vantaggio economico. Ponendosi in questa prospettiva, diveniva allora evidente l'interesse (se non esclusivo, quantomeno prevalente) della banca alla commissione dei delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, in quanto espressione di una politica d'impresa funzionale a garantire la prosecuzione dell'attività dell'istituto, assicurando, per un verso, l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, il mantenimento di quello esistente. D'altronde, il peggioramento delle condizioni economiche dell'ente non era stato certo effetto della commissione dei reati, bensì del ricorso dissennato al capitale finanziato nell'ambito di un meccanismo divenuto progressivamente ingovernabile, il tutto mentre le condotte delittuose (che si ponevano a valle di tale fenomeno) avevano per un certo periodo di tempo consentito di contenere, limitare e ritardare gli ulteriori effetti negativi per l'ente che dal disvelamento di una siffatta realtà sarebbero inevitabilmente derivati. Quanto poi al criterio soggettivo di imputazione dell'illecito, costituito dalla colpa di organizzazione, il primo giudice ne ravvisava il ricorrere in ragione del fatto che l'ente non si fosse strutturato in modo idoneo a prevenire le condotte in questione. Nel caso di specie, infatti, non solo il modello organizzativo, nella versione aggiornata a febbraio del 2012 (documento nr. 269 del P.M.), non era stato predisposto in modo adeguato (essendo prevalentemente strutturato ai fini di anti-riciclaggio), ma neppure era stato applicato ed implementato convenientemente. Nulla era stato previsto in relazione alle modalità di predisposizione dei bilanci, al computo dei requisiti patrimoniali, anche ai fini del patrimonio di vigilanza, all'attività di erogazione del credito, ovvero alla gestione operativa, contabile e patrimoniale delle azioni (proprie e non) che, pure, costituiva l'attività su cui si focalizzava l'operatività della banca. Nessuna procedimentalizzazione delle attività di acquisto e vendita delle azioni, inoltre, era stata programmata nel modello. Né detto modello era mai stato implementato in tal senso. Si aggiunga che erano risultate assenti modalità operative per garantire la tracciabilità dei finanziamenti per l'acquisto dì azioni proprie e che neppure era stato previsto alcunché per assicurare la corretta registrazione dei collegamenti tra affidamenti e acquisto/sottoscrizione di azioni, ovvero per disciplinare le comunicazioni all'esterno, ovvero ancora per regolamentare gli aspetti afferenti al patrimonio di vigilanza. Inoltre il modello aveva previsto un Organismo dì Vigilanza collegiale composto da tre soggetti e, segnatamente, da due avvocati esterni all'istituto di credito, nonché dal responsabile interno dell'audit, soggetto, quest'ultimo, dipendente gerarchicamente dal d.g. e funzionalmente dal CdA, ovverosia proprio da coloro che egli avrebbe dovuto controllare. Donde un evidente deficit di autonomia di tale organismo. Quanto, poi, al Collegio sindacale, era risultato composto da soggetti alcuni dei quali (Za., Za., Ca.) legati personalmente allo ZO., ovvero a società riconducibili a tale imputato. Le stesse relazioni ispettive di Banca d'Italia, del resto, avevano censurato la logica di cooptazione alla base della composizione dell'organo in questione, stigmatizzandone l'attività di mero controllore formale. Di qui il giudizio di complessiva grave inadeguatezza dei presidi organizzativi predisposti da B. per fronteggiare i rischi operativi assunti e la conseguente affermazione della responsabilità dell'ente. Quindi, passando alla quantificazione della sanzione, il primo giudice stabiliva, quanto al più grave delitto di aggiotaggio, il numero di 600 quote (a fronte di una forbice di riferimento tra le 400 e le 1000 quote), ridotte a 400 in ragione dell'attenuante ex art. 12, co, 2, D.L.vo 231/01, essendosi l'ente adoperato (con una proposta di transazione rivolta agli azionisti ed avente ad oggetto l'offerta di una somma a titolo di indennizzo) per ridurre le conseguenze dannose dell'illecito. Considerata, poi, la pluralità di illeciti, il tribunale determinava nella misura di 150 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter R ed in 360 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter S, Conseguentemente, precisato che la prescrizione di talune condotte delittuose non poteva rivestire alcun rilievo in relazione all'illecito amministrativo dell'ente, quantificava le quote complessive nella misura di 910 quote e, determinato il valore di ciascuna quota in euro 400, fissava la sanzione pecuniaria complessiva nella misura di euro 364.000,00. Infine, evidenziato che il profitto del reato andava identificato nel vantaggio economico (inteso come benefìcio aggiunto di tipo patrimoniale) causalmente derivato dal reato presupposto, e sottolineato, inoltre, come una stima in tal senso fosse stata unicamente effettuata con riferimento al reato di cui al capo N2, all'origine del sequestro, disposto dal GIP del tribunale di Vicenza in data 18.5.2017, con riferimento al valore di euro 106.012.687,50 (corrispondente all'ammontare delle sottoscrizioni di capitale versate alla banca, a seguito dell'aucap, dai soci il cui acquisto era stato sollecitato dalla banca stessa e che non avrebbero potuto sottoscriverlo ove fosse stato applicato il "test di adeguatezza bloccante"), il tribunale disponeva la confisca in tal senso, detraendo tuttavia l'importo di euro 31,8 milioni, oggetto di restituzione effettuata a titolo transattivo, e fissando, quindi, l'ammontare della confisca nella misura di euro 74.212.687,50 (con conseguente parziale revoca del sequestro). 1.11 Il trattamento sanzionatorio Con riferimento ai reati commessi dagli imputati ZO., PI., MA. e GI., dei quali andava ad affermare la penale responsabilità, il tribunale ravvisava la sussistenza del vincolo della continuazione, trattandosi di reati espressione di un'unitaria determinazione criminosa. Quindi: - esclusa quanto ai reati di cui ai capi A1, B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1 l'aggravante ex art. 112 nr. 1 c.p., in ragione del numero inferiore a cinque degli autori delle relative condotte; - riconosciuta, quanto ai reati di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1 l'aggravante ad effetto speciale ex art. 2638 co. 3, c.c., essendosi in presenza di istituto di credito emittente strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ex art. 116 D.L.vo 58/98; - riconosciuta, altresì, in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1, N1, l'aggravante di cui all'art. 61 nr. 2 c.p., trattandosi di condotte di ostacolo, susseguitesi nel tempo, al fine di occultare l'illecita manipolazione del prezzo sia di nascondere la falsità dei precedenti flussi informativi; - riconosciute, inoltre, a tutti gli imputati le attenuanti generiche, trattandosi di soggetti incensurati che avevano anche tenuto corrette condotte processuali (in effetti, presenti a tutte le udienze, costoro si erano anche sottoposti ad esame, eccezion fatta per ZO. il quale, peraltro, aveva reso dichiarazioni spontanee); - valutate le predette attenuanti in regime di mera equivalenza rispetto alle ravvisate aggravanti, in considerazione della notevole entità dei danni cagionati con le condotte delittuose; - ritenuto più grave il reato di cui al capo H1, in ragione della pena edittale di riferimento e del tempo significativo di protrazione della relativa condotta (esauritasi solo nell'aprile del 2015); - considerati, infine, i criteri tutti di cui agli art. 132, 133 c.p. (e, segnatamente: il ruolo apicale rivestito dagli imputati; il numero e la varietà delle condotte delittuose, protrattesi per anni; l'intensità del dolo all'origine delle medesime condotte e, in particolare, la pervicacia e l'ostinazione che avevano orientato l'azione di occultamento al mercato e alla vigilanza della reale situazione dell'istituto di credito), condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di anni due in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 ed N1 (essendo evidentemente un errore materiale la quantificazione sintetica di tale aumento nella misura di anni uno, in ragione della specifica indicazione, nella misura di mesi tre, dell'aumento di pena irrogato per ciascuno di detti reati), con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia; aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, infine, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre e mesi sei di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati). Gli imputati, infine, erano dichiarati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. 1.12 La confisca per equivalente. Il tribunale, premesso che la disposizione di cui all'art. 2641 c.c., prevedeva, in relazione ai reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c,, la confisca (diretta, ovvero, in via sussidiaria, per equivalente) non solo del prodotto/profitto dei reati, ma anche dei beni utilizzati per commetterlo, precisava, a tale ultimo riguardo (richiamando sul punto la sentenza della Corte Costituzionale nr. 112/2019 e la giurisprudenza di legittimità espressasi in fattispecie analoga), come in tale categoria di beni non rientrassero unicamente i tradizionali "instrumenta sceleris", ovverosia le cose intrinsecamente pericolose (il grimaldello, la stampante utilizzata per la produzione di cartamoneta falsa, ecc..) bensì qualsivoglia res l'impiego della quale avesse reso possibile la commissione del reato e, pertanto, con riferimento alla vicenda sub iudice, anche le risorse finanziarie concesse dall'istituto a titolo di finanziamento ed impiegate per l'acquisto delle azioni dell'istituto medesimo; risorse che, nella specie, erano state convincentemente quantificate dai consulenti del P.M. nella misura di euro 963,000,000,00. Nella prospettiva del primo giudice, infatti, erano proprio i finanziamenti concessi per le operazioni di capitale finanziato che avevano reso possibili i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, trattandosi di reati che erano stati commessi comunicando un patrimonio di vigilanza non veritiero, in quanto non corrispondentemente decurtato. Erano detti finanziamenti, quindi, che, nel caso in esame, costituivano "i beni utilizzati per commettere i reati". A legittimare, poi, la confisca per equivalente nei confronti degli imputati era il mancato rinvenimento della somma oggetto dì confisca diretta e, quindi, l'impossibilità (peraltro da ritenersi all'uopo rilevante anche ove soltanto transitoria) di tale ablazione diretta. Nel caso di specie la confisca diretta era impedita dall'assoggettamento dell'istituto di credito, al momento della pronuncia, a liquidazione coatta amministrativa, trattandosi di procedura per effetto della quale era venuta meno in capo all'ente la disponibilità del patrimonio societario, destinato esclusivamente ad essere gestito, evitandone il depauperamento, in vista delle finalità della procedura medesima. Di qui la confisca disposta, per il valore di euro 963.000.000, nei confronti degli imputati ZO., PI., GI. e MA., con la precisazione che il principio solidaristico posto a fondamento della disciplina del concorso di persone, da un lato, e la natura eminentemente sanzionatoria della confisca per equivalente, dall'altro, implicavano che il provvedimento ablatorio fosse pronunziato, a carico di ciascuno di costoro, con riferimento all'intero importo. 1.13 Le questioni civilistiche Quindi, con riferimento alla posizione della Banca (...), citata da numerose parti civili in qualità di responsabile civile e in questa veste costituitasi in udienza preliminare, il tribunale riteneva la validità delle argomentazioni poste dall'istituto di credito a fondamento della relativa richiesta di esclusione (originariamente respinta per tardività) ex art. 83 TUB. In effetti la circostanza che l'istituto di credito fosse stato sottoposto a procedura di liquidazione coatta amministrativa con decreto ministeriale nr. 185 del 25 giugno 2017, ove debitamente valutata alla luce delle disposizioni di legge in materia, rispettivamente, di estensione alla procedura in esame delle disposizioni in materia di fallimento (art. 201), di disciplina dell'opposizione allo stato passivo (art. 83 TUB) e di improseguibilità delle pretese creditorie avanzate innanzi al tribunale ordinario (52 TUB), comportava la improcedibilità delle domande avanzate nei confronti della banca. Tutte le ragioni di credito, infatti, avrebbero dovuto essere fatte valere in sede concorsuale e, segnatamente, nell'ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, nel solco, peraltro, di quanto affermato ripetutamente dal giudice di legittimità. Di qui la declaratoria di improcedibilità della domanda avanzata dalle parti civili nei confronti del responsabile civile. Evidenziava infine il tribunale come esulassero dai poteri di ius dicere del giudice penale le domande (in taluni casi affiancate alle richieste risarcitone) volte a ottenere pronunce di accertamento della nullità e/o inefficacia dei contratti di finanziamento sottoscritti per l'acquisto di azioni. Quanto, poi, alle domande risarcitone da talune parti riproposte, in sede di conclusioni, nei confronti dell'Istituto di credito in qualità di ente incolpato ex D.L.vo 231/01, il Tribunale, richiamando i provvedimenti che non avevano ammesso la relativa costituzione di parte civile (sul rilievo della non esperibilità dì azioni civili volte ad ottenere il risarcimento del danno nei confronti degli enti in qualità di responsabili degli illeciti amministrativi), in tal senso espressamente motivava le ragioni che avevano indotto il collegio a non esaminare le relative richieste. Infine, con riferimento alle domande risarcitorie avanzate nei confronti degli imputati, il primo giudice pronunziava sentenza di condanna generica di questi ultimi in favore delle parti civili istituzionali (Banca d'Italia e CONSOB) e di quelle private (azionisti e obbligazionisti di B., siccome indicati negli elenchi, allegati al dispositivo, depurati delle parti le cui costituzioni erano state espressamente revocate, ovvero dovevano intendersi revocate per mancata presentazione delle conclusioni). In ordine ai primi, precisato che il pregiudizio patrimoniale consisteva negli esborsi e nel complessivo dispendio di risorse che le autorità di vigilanza avevano dovuto sostenere per ottenere quelle informazioni che erano state loro occultate, mentre il pregiudizio non patrimoniale doveva identificarsi nella compromissione delle finalità istituzionali delle suddette autorità e nella lesione dell'immagine che ne era derivata, il tribunale evidenziava la necessità di rimessione, per la quantificazione di dette voci dì danno, innanzi al giudice civile, in difetto di concreti elementi probatori idonei ad orientare la relativa determinazione. Nondimeno riconosceva una provvisionale nella misura di euro 601.017,39 in favore di Banca d'Italia e di euro 186.570 in favore di CONSOB, in entrambi i casi parametrandone l'entità ai costi (siccome quantificati dagli uffici interni di detti enti) sostenuti per l'aggravio di attività strettamente conseguenti alle condotte delittuose. Con riferimento, poi, alle parti civili private, osservato come il D.L. 99/17 che aveva posto in liquidazione coatta amministrativa l'istituto di credito avesse conservato i diritti dei titolari di obbligazioni subordinate nella liquidazione, sicché i predetti avrebbero potuto trovare soddisfazione solo una volta soddisfatti gli altri creditori, il primo giudice sottolineava che tutti gli investitori avevano subito un danno dalle condotte manipolative, in quanto indotti all'investimento sul presupposto di una situazione patrimoniale dell'istituto artatamente presentata come positiva e, quindi, senza essere stati posti nelle condizioni dì valutare la rischiosità dell'investimento stesso e la solvibilità della banca nell'estinguere il credito e nell'effettuare il rimborso. Segnatamente, con riferimento al delitto di aggiotaggio, il pregiudizio andava individuato nell'avere acquistato o conservato gli strumenti finanziari a prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, ovvero nell'avere effettuato un investimento che, senza le condotte manipolative, non sarebbe stato posto in essere. Analogamente, con riferimento al reato di falso in prospetto, gli investitori erano stati pregiudicati da condotte delittuose che avevano avuto l'effetto di mantenere artificiosamente alto il valore delle azioni, al contempo rappresentando una solidità patrimoniale dell'istituto in realtà insussistente. Più nel dettaglio, ad essere stati danneggiati - precisava il tribunale - non erano solo coloro che, nel periodo di commissione delle condotte delittuose, avevano acquistato azioni ad un prezzo superiore al reale valore dei titoli, ma anche gli investitori che, già in possesso di detti strumenti finanziari, si erano astenuti dal disinvestimento per effetto delle richiamate condotte manipolative. Di maggiore complessità, poi, era la questione inerente a coloro (peraltro una minima parte degli investitori, prevalentemente acquirenti di obbligazioni subordinate) che avevano acquistato le azioni successivamente alle condotte delittuose, sebbene anche con riferimento a tale categoria di investitori fosse effettivamente prospettabile un pregiudizio derivante dai reati, tenuto conto del periodo apprezzabile intercorso tra la cessazione delle condotte delittuose ed il disvelamento di quanto avvenuto (trattandosi di circostanza che aveva determinato il protrarsi di effetti di errata rappresentazione al mercato della reale situazione dell'istituto di credito, con indubbio svantaggio informativo). Infine vi erano i clienti dell'istituto che avevano effettuato gli acquisti con il denaro erogato dalla banca. Costoro non avevano subito una lesione diretta, non avendo impiegato risorse proprie nell'investimento (se non nel caso di investimento solo parzialmente finanziato); nondimeno, al di là della sussistenza o meno dell'obbligazione restitutoria, l'esposizione debitoria segnalata alla centrale rischi che ne era seguita e l'addebito dei costi di finanziamento costituivano pur sempre un pregiudizio effettivo. Conclusivamente, con riferimento alle parti civili private, emergeva un quadro composito, caratterizzato da posizioni eterogenee. Ebbene - precisava il tribunale - dette parti avevano quantificato: - il pregiudizio patrimoniale nel controvalore del pacchetto azionario calcolato sul valore dell'azione pari a 62,50 euro, ovvero all'ammontare della somma investita nelle operazioni di investimento (e, quindi, sostanzialmente, nella perdita dell'investimento); - ed il danno non patrimoniale in una quota parte di quello patrimoniale. Nondimeno tali parametri non potevano ritenersi appaganti, posto, per un verso, che il danno non si poteva meccanicamente identificare nella perdita del valore dell'azione in quanto i reati di aggiotaggio e falso in prospetto presentavano profili peculiari che non consentivano di determinare il relativo pregiudizio facendo ricorso a siffatto automatismo; e, per altro verso, che le parti civili si erano limitate a documentare i titoli sottoscritti (ovvero acquistati) e il prezzo pagato, senza fornire ulteriori elementi utili per la esatta quantificazione del pregiudizio. Peraltro, nulla era dato conoscere in ordine all'indennizzo corrisposto agli investitori dal FIR (Fondo Indennizzo Risparmiatori). Di qui la condanna generica al risarcimento ed il riconoscimento di una provvisionale nella misura del 5% dell'importo nominale del valore delle azioni od obbligazioni acquistate risultante dagli atti di costituzione di parte civile e, in ogni caso, onde evitare sperequazioni (tenuto conto del fatto che le cifre più consistenti erano quelle inerenti alle operazioni di capitale finanziato), non superiore ad euro 20.000,00 per ciascuna parte (importo dal primo giudice ritenuto tale da coprire almeno il danno non patrimoniale). Infine il primo giudice respingeva la domanda risarcitoria avanzata dagli enti esponenziali (Confconsumatori, Federconsumatori Friuli Venezia Giulia, Federconsumatorì Veneto, Codacons, Cittadinanza Onlus) per difetto di prova alcuna in ordine al pregiudizio non patrimoniale asseritamente subito a seguito delle condotte delittuose. 2. GLI APPELLI DEGLI IMPUTATI 2.1. Appello proposto da Gi.Em. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello la difesa di Gi.Em.. 2.1.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al capitolo I della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari), l'appellante - anteponendogli una premessa nella quale ha censurato in via generale il metodo argomentativo assertivo seguito nella sentenza impugnata, carente nell'enunciazione degli specifici "motivi di fatto e di diritto" attributiva delia responsabilità all'imputato GI. e tendente all'esposizione solo di alcune risultanze processuali senza nel contempo citarne molte altre, pur decisive su aspetti imprescindibili - ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018 del 7.12.2017 dep. 6.4.2018, emessa in sede cautelare, che aveva risolto in favore del foro vicentino il conflitto di competenza; conflitto sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore rispetto all'attuale e oltretutto connotato da una formulazione del capo B1 frattanto considerevolmente modificatasi). Le argomentazioni esposte in questo primo motivo d'appello dalla difesa del GI. a fondamento della dedotta competenza territoriale del Tribunale di Roma sono di tenore sostanzialmente analogo a quelle dell'appello ZO. (v. infra), cui si rinvia per il resto, fermo restando che dalla difesa dell'appellante GI. vengono particolarmente sviluppati i seguenti due argomenti: - il capo B1 contempla in sé, in realtà, sia il delitto di false informazioni (art. 2638 comma 1 c.c.) che quello di ostacolo (art. 2638 comma 2 c.c.) e i suddetti due delitti non si sono realizzati nel medesimo contesto temporale in quanto l'ispezione maggio-ottobre 2012 è stata per l'appunto preceduta dall'invio, in data 26.4.2012, della comunicazione di vigilanza (a firma del d.g. Sa.So.) avente ad oggetto il rendimento ICAAP sulla determinazione del patrimonio di vigilanza della banca al 31.12.2011; - nel decidere la questione di competenza la verifica del giudice non può essere limitata - diversamente da quanto ritenuto dal tribunale vicentino - alla mera enunciazione così come testualmente prospettata nel capo di imputazione, dovendo invece estendersi alla perimetrazione del fatto così come risultante dall'insieme di tutti gli atti allegati dalle parti (la comunicazione ICAAP inviata a Banca d'Italia il 26.4,2012 rientrerebbe per l'appunto fra gli atti di indagine specificamente relativi all'imputazione contestata sub capo B1 trattandosi di atti depositati dal Pubblico Ministero - segnatamente nel faldone n. 7 - e messi a disposizione del giudice con la richiesta di rinvio a giudizio); al riguardo vengono citati arresti giurisprudenziali di legittimità. L'appellante ha ribadito altresì - dopo averla prospettata già in primo grado nelle note d'udienza 2.4.2019 alle quali ha rinviato per tutti gli approfondimenti del caso - la possibilità di individuare in alternativa come territorialmente competente il Tribunale di Milano in quanto sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (ciò solo qualora i sia ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge n. 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile, trattandosi di questione tuttora dibattuta). 2.1.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione al capitolo II della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari) l'appellante ha dedotto la violazione degli art. 185 c.p. e 74 c.p.p. ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p. pronunciata dal tribunale in data 21.3.2019 (parzialmente reiettiva della richiesta di esclusione delle parti civili) e di tutte le parti della sentenza che la richiamano. L'impugnazione dell'anzidetta ordinanza si riferisce, per la precisione, ai suoi paragrafi 1.5, 1-6 e 1.7: s quanto al paragrafo 1.5 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile in capo agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti di causa. Essendo costoro divenuti azionisti od obbligazionisti (puri, subordinati o convertibili) in epoca successiva ai fatti che qui occupano non possono - conseguentemente - lamentare di avere subito un danno immediato e diretto (alcuni di essi, anzi, appaiono piuttosto avere messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti); quanto al paragrafo 1.6 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle c.d. operazioni "baciate"; tali soggetti non possono infatti che definirsi carenti di legitimatio ad causam essendo consapevoli di partecipare a un'operazione asseritamente illecita nella prospettazione d'accusa, a differenza di quanto affermato dal tribunale; al riguardo l'appellante ha ricordato come nella stessa costruzione generale dell'impianto accusatorio si dia indicazione della sottoscrizione, da parte dei clienti/soci/finanziati, di lettere di impegno - dal tenore chiaro ed esplicito - contenenti, per l'appunto, l'impegno da parte della banca al riacquisto delle azioni B. e/o contenenti la garanzia di un determinato rendimento; s quanto al paragrafo 1.7 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno messo in vendita le loro azioni. Nei confronti di tali soggetti si è infatti verificata l'interruzione - a seguito delia vendita - del nesso causale, con il conseguente carattere solo indiretto del danno da reato (commisurato al deprezzamento fra il momento di acquisto dell'azione e la realizzazione effettiva). Ebbene, lo stesso tribunale vicentino più volte ha fatto riferimento, nel contesto dell'ordinanza impugnata, proprio alla consequenzialità immediata fra reato e danno (enunciata negli artt. 1223 e 1227 comma 2 c.c.) dalla quale far discendere la sussistenza della legittimazione. Consequenzialità immediata che, nel caso di danno indiretto, per l'appunto non ricorre. - conseguentemente si è richiesta l'esclusione di tutte le parti civili rientranti nell'una o nell'altra delle suindicate tre categorie. 2.1.3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al capitolo III della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erronea ricostruzione -all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - della posizione del GI. nell'organigramma di B., dovuta tanto a un'erronea valutazione degli elementi ritenuti a carico quanto alla mancata valutazione di molti altri elementi pur esistenti a discarico. Segnatamente: la sentenza impugnata, nel sostenere che il GI. avrebbe svolto un ruolo primario agendo congiuntamente al direttore generale Sa.So. (l'operatività era gestita dal direttore generale So. e dal suo vice Gi."), contrasterebbe con un dato conclamato alla luce dell'intera vasta istruttoria dibattimentale e in particolare testimoniale, ossia il fatto che Sa.So. fosse in realtà da lungo tempo portatore, nei confronti del GI., di un sentimento - da lui apertamente manifestato - di sfiducia, contrarietà e desiderio di causarne l'emarginazione, come riferito - fra gli altri - dai testi Di.Gr., Co.Tu., Cl.Gi., Da.Es., Pa.An. (quest'ultimo in particolare, nell'evidenziare come tale connotazione del rapporto fra i due fosse evidente anche per i componenti del CdA, aveva dichiarato: Sostenere che So. facesse tandem con Gi. anche se poi il fenomeno delle baciate potrebbe anche farlo pensare, è un qualcosa che era assolutamente irreale per chi un minimo respirava la banca, anche perché era notorio che So. non amasse la professionalità di Gi..."). Tutt'altre invero erano le persone che all'interno di B. frequentavano abitualmente l'ufficio del So., menzionate nominativamente - ad esempio - dal teste Esposito in sede dibattimentale; da tale "salotto buono" (cfr, pag. 31 atto di appello) ovvero "cerchio magico" (Ibidem) il GI., in altri termini, era rigorosamente escluso; - la stessa elencazione delle funzioni e competenze tanto della Divisione Mercati quanto del suo responsabile Em.Gi., così come sunteggiata alla pag. 639 della sentenza impugnata, non risponde al vero poiché ignora il fatto che gli organigrammi e i funzionigrammi di B. hanno subito nel tempo, proprio per volere del So., accentuati cambiamenti il cui scopo era esattamente quello di emarginare il GI. coinvolgendo, nel contempo, personale fedele al direttore generale; sono state citate al riguardo tanto l'analisi condotta dal consulente tecnico della difesa prof. Pe. quanto le deposizioni rese da vari testimoni (Al.Mo., Co.Tu., Ma.Ba., Gi.Am., Cl.Am., Cl.Gi., Fi.Ro.); - sempre l'istruttoria dibattimentale, in particolare testimoniale (cfr le deposizioni dei testi Al.Ba., Co.Tu., Cl.Gi., Ma.Ni., Se.Ro., Lu.Ve., En.Da., Di.Ip., Al.Cu.), ha consentito di appurare che le scelte riguardanti le operazioni qui in discussione e le loro modalità erano decise in piena autonomia dal solo So., il quale impartiva alle strutture della banca le conseguenti direttive o in prima persona oppure avvalendosi, a guisa però di mero tramite, del GI. e/o del direttore commerciale Gi.Am.; - sempre l'istruttoria dibattimentale (cfr. le deposizioni dei testi Cl.Gi., En.Da., Co.Tu.) ha evidenziato come anche lo stesso GI. - tratteggiato nella gravata sentenza come l'autore in prima persona di pressioni estreme sulla rete commerciale - fosse in realtà destinatario di minacce e pressioni provenienti direttamente dal So.. Quanto alle fonti di prova citate in sentenza con riguardo alle pretese pressioni esercitate dal GI. (cfr. in particolare le dichiarazioni dei testi Di.Ip. e Ma.Ni.) la difesa ha argomentato nel senso del loro fraintendimento e/o vaglio solo parziale e decontestualizzato da parte del tribunale; - la sentenza gravata ha completamente omesso di considerare i seguenti due episodi - definiti gravi e inquietanti dalla difesa - in danno del GI., i y quali ben evidenziano quanto egli fosse "estraneo al milieu compatto e ristretto di gestione reale della Banca" (cfr. pag. 34 atto di appello): a) riguardo alla questione degli storni è emerso che - in seno alla Divisione Mercati diretta dal GI. - era stato ordinato da Gi.Am. al suo subalterno Al.Fe. di correggere le lettere di storno sottoscritte dallo stesso Am. obliterando la firma di questi e lasciando inalterate solo le lettere firmate dal GI., quando per converso l'estraneità di questi alla procedura degli storni deve ritenersi dimostrata anche dal rigetto, nei suoi confronti, della domanda cautelare presentata in sede civile dalla banca (cfr. documento n. 668 prodotto dallo stesso Pubblico Ministero, corrispondente al provvedimento n. 4414/2015 del Giudice del lavoro presso il Tribunale di Vicenza); b) a detta del teste Co.Tu. il collega Ad.Ca. - uno dei componenti la ristretta cerchia di frequentatori abituali dell'ufficio del d.g. Sa.So. - all'inizio del mese di maggio 2015 aveva minacciato lo stesso Tu. di licenziamento perché si era rifiutato di scrivere una relazione nella quale si dicesse falsamente che il GI. era il responsabile di tutta l'operatività illecita; - l'ostilità nei confronti del GI. si era finanche acuita dopo l'inizio dell'attività ispettiva, essendo sorta - per effetto di quanto andava ivi emergendo - l'esigenza di catalizzare sul predetto ogni responsabilità. 2.1.4 Con il quarto, il quinto e il sesto motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IV, V e VI della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erroneità dell'attribuzione al GI. - all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - dell'ideazione e attuazione delle operazioni di finanziamento correlato, rivendicando altresì in capo al predetto la genuina convinzione che tali operazioni non solo fossero lecite ma altresì che venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. Si è evidenziato in particolare al riguardo quanto segue: - il GI. era entrato in B. nel novembre 2007 allorquando la prassi delle operazioni correlate già era in essere (circostanza riferita non solo dall'imputato nel suo esame dibattimentale ma altresì dai testi Di.Gr. e Alessandro Ba. fra gli altri); - il GI. inizialmente era perplesso, e del resto si trattava di perplessità diffusa all'interno di B., circa l'applicabilità dell'art. 2358 cc. alle banche popolari come società cooperative e ciò quantomeno fino all'anno 2012, anno in cui aveva avuto luogo l'ispezione della Banca d'Italia; in tal senso del resto si era espresso anche un parere legale esterno acquisito dalla stessa B.; - la sentenza impugnata ha comunque errato nel ritenere non credibile il teste Cl.Am. circa l'andamento del suo colloquio con l'ispettore Ge.Sa. (del quale va tenuta in considerazione, in particolare, una conversazione captata - la n. 281 progn del 19.3.2017 - con il consulente tecnico del Pubblico Ministero, Pa., ove il primo diceva al suo interlocutore: "Poi, vedendo le carte, effettivamente alcune operazioni baciate c'erano", il che dimostrerebbe l'effettività dei disvelamento affermato dal teste Am.); né il tribunale ha valutato con adeguato rigore i plurimi elementi istruttori che depongono nel senso di un rapporto istituzionale "non esemplare" intrattenuto dalla Banca d'Italia, nella specifica occasione, con il So.; - plurime sono le evidenze testimoniali - citate nominativamente nell'atto di appello - di una "piana e pacifica conoscenza dell'esistenza delle operazioni correlate in capo a tutti i settori di B., incluso il settore legale nella persona dell'avv. An.Pa. (diversamente da quanto costei ha sostenuto in sede dibattimentale) e incluso soprattutto il settore bilancio e pianificazione di cui era responsabile il coimputato Ma.Pe., che oltretutto faceva parte - circostanza ben nota al Gi. - del milieu ristretto di dirigenti che avevano un rapporto esclusivo con il So. (al riguardo l'appellante ha lamentato il fatto che il PE. sia stato mandato assolto dal tribunale sull'assunto che in capo allo stesso PE. fosse insufficiente la prova dell'elemento soggettivo del reato); - il GI., atteso tutto quanto sopra (in particolare quanto osservato in relazione alla posizione del PE. e al contegno da questi tenuto), non poteva che maturare la convinzione che le operazioni correlate - a tutti note in B. - venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza; - non può condividersi per converso l'argomento, svolto a pag. 216 dalla sentenza impugnata, secondo cui è evidente che le operazioni correlate in oggetto non venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza in quanto, in caso contrario, sarebbero state del tutto inutili; tale argomento prova troppo, giacché, se davvero così fosse stato, tutti coloro che si erano occupati di operazioni correlate in B. (inclusi tutti gli esponenti dell'alta e media dirigenza, ivi compresi quelli più vicini al So.) sarebbero stati raggiunti dalle medesime imputazioni; ciò non è invece avvenuto proprio perché la Procura della Repubblica vicentina ha ritenuto mancante in capo a costoro la consapevolezza dell'intero disegno strategico intessuto al riguardi dal So. (e, con ogni probabilità, da questi tenuto riservato entro la ristretta cerchia delle persone per lui fidate, la quale non comprendeva - come detto - l'imputato GI., tenuto lontano dalle "strategie decisionali" del direttore generale stante il rapporto di emarginazione, sfiducia e contrarietà del quale egli era reso oggetto); - esistono inoltre ragioni prettamente tecniche, illustrate anche dal c.t, della difesa prof, Pe. (e passate in rassegna alle pagg. 50-51 dell'atto di appello), che rafforzano ulteriormente la conclusione da trarsi circa la genuina convinzione, in capo al GI., che le note operazioni correlate venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. 2.1.5 Con il settimo e l'ottavo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli VII e VIII della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha passato dettagliatamente in rassegna le numerose emergenze processuali già evidenziate in prime cure dalla difesa - ma ignorate dalla sentenza impugnata - che a suo avviso depongono nel senso della non consapevolezza, in capo al GI., dell'entità del fenomeno, censurando simmetricamente l'erronea valutazione, da parte del primo giudice, di quegli ulteriori elementi probatori che lo stesso tribunale ha ritenuto pesare a carico dell'imputato. In particolare si è evidenziato che: quanto al contenuto del file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, le frasi ivi pronunciate dal GI. e da altri partecipanti non sono state adeguatamente contestualizzate (a quell'epoca era ormai diffusa in B. una sensazione di "quasi defaul" manifesta e recepita da tutti con ovvie preoccupazioni); in alcuni altri casi invece - come ad esempio è a dirsi per la quantificazione da parte del So. dei "finanziamenti" in oltre un miliardo di euro - sono state travisate nel significato (in realtà sarebbe chiaro, a detta dell'appellante, che il So. non si riferiva al capitale finanziato bensì alla campagna pre-affidamenti, il che emergerebbe da vari elementi della svolta istruttoria); - del tutto neutro è il fatto che il So. prima del 2013 avesse fatto fare un report a Co.Tu. (circostanza evidenziata a pag. 668 della sentenza gravata), dato che la stessa sentenza ha ricordato come tale report - al pari delle tabelle di monitoraggio mensili diffuse nel corso delle riunioni della Divisione Mercati - riguardasse tutti i soci, anche quelli non finanziati; - anche la deposizione del teste Ro.Pr., valorizzata in sentenza quale dato significativo a carico del GI., non sarebbe stata letta ed esaminata nella sua interezza dai giudici vicentini; - le prove a discarico in punto "consapevolezza" del GI. sono state completamente ignorate dal primo giudice, pur provenendo esse a volte finanche da testi altrimenti rivelatisi alquanto "ostili" nei suoi confronti come Lu.Ve., Gi.Ca., En.Da., Se.Ro., Pa.An. (dei quali l'appellante ha riportato gli stralci di deposizione favorevoli al GI.); - quanto agli elementi probatori indicati in sentenza come "a carico" dell'imputato, invece, ivi non si è specificato neppure a quali fra i plurimi distinti reati contestatigli essi si riferiscano; - attesa la sopra ben evidenziata conoscenza diffusa a tutti i livelli, in B., del ricorso a operazioni di capitale finanziato, si svuotano di valenza probatoria "a carico" elementi come gli appunti del teste Ma.So. circa i contenuti del Comitato di Direzione 8.11.2011 e come l'incontestato ruolo di coordinamento della rete che il GI. esercitava in quanto direttamente afferente alla sua qualifica di responsabile della Divisione Mercati; - vari testi, ancora una volta ignorati dalla sentenza gravata, hanno riferito circa il reiterato attivarsi del GI. per favorire l'informatizzazione della procedura (il che avrebbe reso impossibile la prassi contestata), incontrando però sempre la ferma resistenza della Divisione Risorse; - non sono minimamente risolutivi gli asseriti indici di consapevolezza evidenziati in sentenza (il divieto alla rete di comunicare informazioni per iscritto; il ricorso alla ed. "clausola sentinella" generica nelle P.E.F.; l'invito a rispettare un distanziamento temporale tra fido e acquisto delle azioni), posto che, a tacer d'altro, la formula generica - preesistente all'ingresso di GI. in B. - è risultata non essere stata utilizzata in una cospicua percentuale delle stesse operazioni correlate (circa il 35,50%) e che pure la prassi del distanziamento temporale non era stata certo introdotta, come dimostrato dalla svolta istruttoria, dal GI., in capo al quale - diversamente da quanto ritenuto in sentenza - non può affatto di dimostrata una "pervicace condotta tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delie autorità di vigilanza" (cfr. pag. 647 sentenza gravata); - la sentenza impugnata, nell'indicare come elementi a carico significativi la vicenda Vi. (e relativo report Bo.), la richiesta di chiarimenti da parte della società di revisione KP. e le schede consegnate all'ispettore Gi.Ma., ha riportato solo alcuni aspetti della relativa vicenda ignorando le risultanze processuali utili a contestualizzarli e a inquadrarli; aspetti che l'appellante ha illustrato e analizzato alle pagg. 62-66 dell'atto di impugnazione. 2.1.6. Con il nono, decimo, undicesimo e dodicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IX, X, XI e XII della parte III dell'impugnazione) l'appellante ha illustrato quelli che a suo avviso sono fondamentali errori metodologici commessi dal primo giudice nella ricostruzione probatoria dei fatti, con particolare riguardo: - a una visibile confusione fatta tra gli elementi costitutivi della fattispecie legale dell'operazione correlata e l'individuazione dei mezzi probatori atti a verificarne l'effettiva realizzazione in una determinata situazione; all'utilizzo di "criteri" (nomenclatura estranea al diritto delle prove penali) non identificabili con le circostanze indiziarie disciplinate quali mezzi di prova dall'art. 192 comma 2 c.p.p., di talché si sarebbe persa di vista, in sentenza, la necessità che il quadro indiziario risulti connotato dai necessari requisiti di gravità, precisione, concordanza e necessità di adeguati riscontri; in altri termini la sentenza gravata non ha rispettato il citato canone processual-penalistico (cui era tenuta ad attenersi) bensì ha, piuttosto, utilizzato il metodo amministrativistico di cui alla circolare n. 263 della Banca d'Italia, e ciò benché le finalità perseguite dai vari metodi e dai differenti criteri in gioco (BCE, consulenti tecnici del P.M., CONSOB) si differenzino considerevolmente fra loro; - all'utilizzo in particolare, da parte della sentenza gravata, dei criteri impiegati dapprima da BCE e indi dai consulenti tecnici del P.M., che tuttavia sono estranei alla metodologia del processo penale di cui al citato art. 192 comma 2 c.p.p. in tema di valutazione critica delle prove indiziarie; metodologia che, se utilizzata, avrebbe dato esiti finali ben diversi e favorevoli all'imputato. 2.1.7 Con il tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo e sedicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XIII, XIV, XV e XVI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha censurato la sentenza impugnata laddove ha ritenuto di ravvisare una responsabilità concorsuale del GI. ex art, 110 c.p.p., anzitutto, nei reati di aggiotaggio manipolativo-operativo (articolato in una prima condotta relativa alla concessione del capitale finanziato, in una seconda condotta relativa alla mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014 e in una terza condotta relativa alla mancata comunicazione all'esperto prof. Ma.Bi. della prassi aziendale in tema di operazioni correlate), non prima peraltro di avere stigmatizzato l'illegittima "moltiplicazione", operata in sentenza, dei reati di aggiotaggio di cui al capo Al, da ritenersi attuata in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale. Ha evidenziato come l'apoditticità dell'argomentare dei giudici vicentini circa il ravvisato apporto concorsuale del GI. emerga a più riprese dalla lettura della sentenza, fermo restando che, ad applicare uguale metodologia argomentativa a svariati fra i soggetti escussi come testi in dibattimento, gli stessi sarebbero a loro volta dovuti figurare quali coimputati in ragione della loro conoscenza diretta del "fenomeno" del capitale finanziato e della loro altrettanto diretta operatività all'interno del fenomeno medesimo. Ha indicato come profondamente errata, alla stregua di tali considerazioni e della necessità di rispettare i principi generali in tema di concorso nel reato, l'attribuzione generalizzata al GI. (del tutto disancorata dalle prove acquisite al processo, anche per quanto riguarda i dati numerici) della penale responsabilità con riguardo a tutte le 874 operazioni emerse, pur frammentate negli anni oggetto di contestazione. In realtà - ha proseguito l'appellante - sarebbe stato necessario dimostrare, per ciascuna singola operazione correlata, che il GI. ne aveva deliberato il finanziamento per essa specificamente utilizzato; che ne aveva seguito l'intera evoluzione; che infine aveva avuto consapevolezza della non deduzione di tale finanziamento dal patrimonio di vigilanza. L'appellante ha escluso che le generiche affermazioni contenute in sentenza riescano a evidenziare in capo al GI. la prova della sua ravvisata penale responsabilità anche per la condotta di mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014; per converso il primo giudice ha completamente ignorato, ad avviso dell'appellante, una serie di prove a discarico (documentali e testimoniali) che, conducono a non poter ascrivere al GI. tale condotta, per vero del tutto estranea alle competenze della Divisione Mercati. Né - ha proseguito l'appellante - può ritenersi soddisfacente il generico e indistinto ricorso, da parte del primo giudice in aderenza alla formulazione dell'imputazione, alla nozione di "agevolazione", essendo noto che, nella interpretazione giurisprudenziale dell'art. 110 c.p., la c.d. "agevolazione" o il "rafforzamento del convincimento" (dato dal concorrente nel reato a colui che materialmente pone in essere la condotta) deve comunque estrinsecarsi in una condotta individuata nei suoi tratti essenziali. Indi l'appellante ha censurato come ancora una volta apodittico, e anzi in aperto contrasto con le risultanze dell'istruttoria dibattimentale, l'argomentare della sentenza impugnata circa l'asserito apporto concorsuale del GI. al reato di aggiotaggio manipolativo quanto alla condotta di mancata comunicazione all'esperto stimatore esterno incaricato da B. nel 2010, prof. Ma.Bi., della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie. Ha comunque evidenziato che in base alla stessa relazione dei cc.tt del P.M. - pur ampiamente citata e utilizzata in sentenza sotto altri profili e viceversa pressoché ignorata su questo specifico punto - emerge come l'erronea stima del sovrapprezzo dell'azione B. da parte del prof. Bi., lungi dal dipendere esclusivamente dall'omessa comunicazione al predetto esperto circa l'esistenza del capitale finanziato così come adombrato in sentenza, fosse conseguita anche, e soprattutto, a una serie di errori metodologici commessi dallo stesso prof. Bi., il cui operato è in effetti ampiamente stato criticato anche dai cc.tt. del P.M. senza che il primo giudice si sia tuttavia soffermato adeguatamente su tale pur fondamentale parte della relazione di consulenza tecnica dell'accusa. Ad avviso dell'appellante la suddetta omissione del tribunale si è riverberata in maniera determinante sulla valutazione circa l'esistenza o meno di un nesso causale tra la contestata condotta di asserito nascondimento al prof. Bi. del fenomeno delle operazioni correlate e la sovrastima del valore dell'azione da parte dell'esperto, fermo restando che nessun elemento depone nel senso di un qualsivoglia apporto causale, da parte del GI., al suddetto nascondimento (lo stesso prof. Bi., nel suo esame dibattimentale, ha escluso di essersi interfacciato con il predetto). 2.1.8 Con il diciassettesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XVII della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'estraneità del GI. anche al reato di aggiotaggio informativo, posto che il primo giudice, ancora una volta mantenendosi su di un piano di assoluta indeterminata genericità, non ha dato alcuna indicazione (né tantomeno ha indicato elementi probatori a carico) su quale possa essere stato il "contributo" dell'imputato - non meglio specificato nel capo di imputazione - alla materiale diffusione di notizie false nei vari canali informativi. Né certo la prova e la determinazione del preteso "contributo" del GI. a tale specifica condotta possono trarsi, secondo l'appellante, dalla pur data per scontata - ma a sua volta contestata - "consapevolezza", in capo al predetto, delle modalità di occultamento delle operazioni correlate (consapevolezza che in ogni caso attiene al piano dell'elemento soggettivo e non già a quello - ben distinto - dell'individuazione dell'apporto causale), ferma restando l'esatta distinzione giurisprudenziale tra connivenza non punibile e concorso manifestabile nella sua forma minima, ossia appunto nella agevolazione. Ancora una volta difetta totalmente, in tesi difensiva, il rispetto dell'esigenza di individuare in termini ben delineati quale sia stata in concreto la condotta del GI. inteso quale asserito concorrente "agevolatore". 2.1.9 Con il diciottesimo e il diciannovesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XVIII e XIX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'insussistenza di una condotta concorsuale del GI. nei reati di ostacolo alle funzioni di vigilanza di Banca d'Italia e BCE (capi da B1 a MI), evidenziandone in particolare l'obiettiva estraneità alla produzione dei flussi di informazione decettivi destinati alla vigilanza e a nulla potendo valere la sistematica trasposizione reiterata - di stile - operata, in ciascun capo di imputazione, di quello che altro non è se non il criterio di imputazione soggettiva della distinta condotta di aggiotaggio manipolativo di cui al capo A1. Anche in questo caso difetta totalmente in sentenza, secondo l'appellante, l'individuazione per il GI. di una specifica condotta, dotata di tipicità, atta a individuare in capo al predetto la meramente dedotta condotta agevolativa, tanto più ponendo mente al fatto che in questo specifico caso il GI. si pone quale extraneus rispetto a un reato proprio e che pertanto andrebbero semmai applicate le stringenti regole in tema di responsabilità dell'estraneo nel reato proprio. In ogni caso - ha proseguito la difesa concludendo con una disamina analitica, capo per capo dal B1 fino al MI, del compendio istruttorio acquisito in sede dibattimentale - il tribunale ha fatto malgoverno delle prove ignorando, anche per i suddetti reati di ostacolo, i pur esistenti elementi a discarico. 2.1.10 Con il ventesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il tribunale condannato il GI., in relazione al capo N1, per un fatto totalmente nuovo, naturalisticamente autonomo e non enunciato in alcun modo nel decreto che dispone il giudizio: non gli è infatti più stata ascritta una intesa, al riguardo, con il d.g. Sa.So. ma un contegno attuativo di condotte decisionali esclusive e autonome del So. stesso. In altri termini - ha proseguito la difesa - la condotta per la quale il GI. ha riportato condanna non è sovrapponibile a quella originariamente descritta nel decreto che dispone il giudizio. Di qui l'eccepita nullità. 2.1.11 Con il ventunesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p. avendo il tribunale condannato il GI., in relazione ai capi I e L (reati di falso in prospetto), per un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio. In quest'ultimo infatti gli si contestava di avere preso parte alla materiale predisposizione dei testi dei due prospetti. La sentenza gravata, invece, pur dando atto (perché un tanto emerge dalla svolta istruttoria) che il contenuto dei prospetti è direttamente riconducibile alla condotta dolosa degli imputati ZO. e PI., e pur dando atto che il GI. - come pure l'altro imputato MA. - non era direttamente coinvolto nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, ancora una volta ne ha fondato erroneamente la penale responsabilità (come già aveva fatto in relazione ai reati di ostacolo) sulla mera asserita consapevolezza dell'occultamento delle operazioni finanziate. 2.1.12 Con il ventiduesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXII della parte V dell'impugnazione) l'appellante in subordine ha censurato il trattamento sanzionatorio sotto i seguenti profili: non corretta individuazione del reato più grave (ravvisato nel capo H1 quando viceversa, al momento di determinare la competenza territoriale dell'autorità giudiziaria vicentina, esso era stato identificato con il capo B1); mancata determinazione della pena base nei limiti di legge; mancata determinazione degli aumenti per la continuazione nel minimo di legge; mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. Illegittima deve ritenersi infine - e se ne è chiesta la revoca - la disposta confisca per equivalente non avendo il tribunale indicato le ragioni per le quali il GI. sia stato ritenuto responsabile dell'erogazione di tutti i finanziamenti strumentali alla formazione del capitale finanziato de quo. 2.1.13 Con il ventitreesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXIII della parte VI dell'impugnazione) l'appellante, in relazione alle statuizioni civili, ha chiesto la revoca delle stesse; in ogni caso, e in subordine, ha chiesto sospendersi - sussistendo gravi motivi ex art. 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le partì civili. Riassuntivamente l'appellante GI. ha rassegnato le seguenti conclusioni: 1) In via preliminare principale di rito, riconosciuta l'incompetenza per territorio del Tribunale di Vicenza, pronunciarsi sentenza di annullamento ex art. 24 comma 1 c.p.p., della sentenza impugnata ordinando la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ovvero, in subordine, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano. 2) In via preliminare subordinata di rito annullarsi la sentenza impugnata ex art. 603 comma 4 c.p.p. sia in relazione al capo N1 che in relazione ai capi I e L per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il Tribunale di Vicenza condannato per fatti nuovi non enunciati nel decreto che dispone il giudizio. 3) In via principale di merito assolvere l'imputato GI. da tutti i reati a lui ascritti per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato o con altra formula ritenuta di giustizia. 4) In via subordinata di merito quanto al trattamento sanzionatorio, previa individuazione del reato più grave fra quelli ascritti nel capo B1, riduzione ai minimi di legge della pena base nonché di tutti gli aumenti operati per la continuazione interna con riconoscimento del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle residue aggravanti contestate. 5) In via subordinata quanto alle statuizioni civili, escludere quelli - fra soggetti costituitisi parti civili - da valutarsi come carenti di legittimazione attiva nei termini illustrati nel relativo motivo di gravame. In ogni caso revocare tutte le statuizioni civili e sospendere - sussistendo gravi motivi ex art 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le parti civili. 2.2 Appello proposto da Ma.Pa. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Ma.Pa.. 2.2.1 In particolare con il primo motivo, assai articolato, l'appellante ha censurato l'affermazione di responsabilità del MA. in relazione a tutti i reati contestati nel capo di imputazione sotto più profili che vengono qui di seguito illustrati. 2.2.1.1 Preliminarmente l'appellante ha eccepito la nullità della richiesta di rinvio a giudizio reiterando la già sollevata eccezione, respinta dal tribunale vicentino, di nullità delle notifiche dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p. e dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare effettuate - nel domicilio da lui eletto in data 28.4.2017 nell'ambito del solo procedimento n. 5628/2015 RGNR, allora unico procedimento pendente a suo carico - con riguardo afte imputazioni relative alle condotte criminose che lo stesso MA., in tesi d'accusa, avrebbe posto in essere nell'anno 2015 (condotte che dapprima avevano costituito l'oggetto di un distinto procedimento recante il n. 5851/2017 RGNR, iscritto dalla Procura della Repubblica vicentina - a seguito del deposito dell'informativa finale 6.7,2017 della GdF di Vicenza estesa per la prima volta alle condotte commesse nell'anno 2015 - mediante stralcio dal già pendente procedimento n. 5628/2015 RGNR; indi riunito al suddetto procedimento n, 5628/2015 RGNR solo in occasione dell'udienza preliminare tenutasi nell'aprile 2018) per violazione dell'art. 157 c.p.p.. Ciò in applicazione del principio secondo cui l'elezione di domicilio effettuata dall'imputato ha validità unicamente nell'ambito del procedimento in relazione al quale essa viene effettuata, con divieto quindi di una sua ultrattività anche nei procedimenti connessi. 2.2.1.2 Indi l'appellante ha formulato richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, comprensiva in particolare del confronto tra il teste Cl.Am. (già responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B.) e il teste Ge.Sa. (componente del tea/77 ispettivo di Banca d'Italia che aveva operato nel 2012); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, sul file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (ciò solo per il caso di rigetto dell'eccezione di sua inutilizzabilità sulla quale v. infra); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, atta a valutare l'importo complessivo del capitale ritenuto finanziato, a individuare l'effettiva disciplina della sua deducibilità dal patrimonio di vigilanza e - prima ancora - a individuare i criteri che debbono essere utilizzati al fine di stabilire se un'operazione di finanziamento possa o meno dirsi correlata/finalizzata all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni. A tale ultimo proposito la difesa ha affermato di richiamarsi anzitutto alle articolate argomentazioni svolte dalla difesa ZO. (v. infra); ha evidenziato in ogni caso come emblematico, in ordine alla necessità di disporre perizia, il fatto che, mentre il tribunale ha avallato acriticamente il criterio temporale dei tre mesi (criterio basato su una indicazione del teste Ro. nonché adottato dall'ispettore Ma. e indi dai consulenti tecnici del P.M.), nondimeno l'espletata istruttoria dibattimentale ha in realtà consentito di appurare come il concretamente riscontrato intervallo temporale - a detta dello stesso teste Ma. - si fosse di fatto attestato attorno a un massimo di un mese circa. 2.2.1.3 L'appellante ha poi rinnovato la già svolta eccezione di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014; nel caso di specie, infatti, l'autore materiale della registrazione (uno o forse più tecnici all'uopo incaricati, a suo dire, dal segretario generale Ma.So.) era un soggetto - estraneo alla conversazione tra presenti in questione - che aveva operato da una consolle di registrazione sita all'esterno dell'aula consiliare e non vi era neppure stato ammesso ad assistere da alcuno se non eventualmente dal solo So. a insaputa di tutti gli altri partecipanti. 2.2.1.4 L'appellante ha lamentato un malgoverno delle prove in quanto la gravata sentenza, nonostante la mole ponderosa, si caratterizzerebbe: a) per una costante sottrazione di elementi, pur presenti all'interno dell'istruttoria dibattimentale ma nemmeno considerati nella motivazione; b) per una elusione delle questioni di fondo poste dalla difesa dell'imputato. In primo luogo, comunque, non è dato comprendere perché tutta una serie di soggetti (si sono indicati esemplificativamente i testi Cl.Gi., Co.Tu., Gi.Am. e altri), pacificamente resisi autori materiali delle medesime condotte contestate all'imputato, non siano mai stati nemmeno indagati in relazione a tali loro condotte. La suddetta considerazione è prodromica all'ulteriore doglianza difensiva concernente la totale assenza, nella gravata sentenza, di ogni e qualsiasi valutazione in ordine alla componente psicologica dei reati contestati. A tale ultimo proposito la difesa ha evidenziato in particolare come il MA. mai abbia sostenuto di ignorare l'esistenza in B. di operazioni di finanziamento correlato; egli in effetti ha costantemente dichiarato ben altro, ossia di essere sempre stato genuinamente convinto della piena liceità delle operazioni stesse: non solo tale tipologia di operazione veniva eseguito in B. già prima del 2009, anno di assunzione del MA., ma altresì egli, da neoarrivato, aveva ricevuto assicurazioni da vari colleghi, tra cui il GI., il Co. e il Se. (all'epoca responsabile della Divisione Crediti), sul fatto che - trattandosi di una banca cooperativa - non trovasse ad essa applicazione l'art. 2358 c.c.; in tale ultimo senso anzi la banca aveva a suo tempo richiesto e acquisito pure un parere legale formulato da uno studio incaricato ad hoc (trattavasi dello studio Erede-Bonelli; il parere, redatto da uno dei massimi esperti nella materia, era stato favorevole alla tesi della inapplicabilità dell'art. 2358 c.c. alle banche cooperative); in effetti la dottrina e la stessa giurisprudenza fino ad epoca assai recente si erano dimostrate tutt'altro che univoche sul punto. A ciò si aggiunge la circostanza che l'effettuazione di operazioni correlate fosse emersa, alla luce della svolta istruttoria dibattimentale, quale dato pienamente noto anche all'interna audit della banca (il che renderebbe assai precaria, sotto il profilo dell'attendibilità, la posizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'audit) nonché al suo ufficio legale (considerazioni analoghe a quelle relative al teste Bo. andrebbero dunque svolte anche con riguardo alla sua responsabile, l'altra teste avv. An.Pa.): né l'una né l'altra struttura avevano mar avvisato alcuno in B. circa il fatto che si stesse con ciò ponendo in essere un'attività illecita. Anzi la teste Pa. in sede dibattimentale si era trovata costretta ad ammettere che aveva effettivamente potuto visionare la pratica (pacificamente correlata) Ca.-Lu. ma che, essendosi essa positivamente conclusa, non aveva ritenuto di fare nulla. 2.2.1.5 L'appellante ha indi lamentato l'errata ricostruzione operata dal tribunale - alla pag. 678 della gravata sentenza - delle competenze della Divisione Crediti, affermando che i giudici vicentini si sono basati, al riguardo, essenzialmente su quanto affermato dal teste Gi.Sc. nella relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia (laddove lo stesso Sc. in sede dibattimentale ha ammesso di non conoscere le facoltà deliberative autonome riconosciute alla rete), mentre sarebbe stata obliterata la delibera del CdA 7.2.2012 (pur acquisita al fascicolo del dibattimento) la quale aveva ridisegnato le competenze e le funzioni della Divisione Crediti istituendo le Direzioni Regionali. In particolare non risponde affatto al vero - ha proseguito l'appellante - l'assunto del primo giudice secondo cui "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito (...) la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (affida menti) (e delle relative garanzie)". In rea Ita i I perfezionamento e l'erogazione degli affidamenti, come pure l'acquisizione delle eventuali garanzie ad essi relative, erano - nel periodo in esame - demandati a una società controllata da B. e denominata Servizi Bancari, come riferito concordemente in sede dibattimentale dai testi Cl.Am. e Sa.R. oltre che dallo stesso imputato MA.. La difesa del MA. ha affermato altresì che, sempre in tale passo dell'impugnata sentenza, i giudici vicentini hanno equivocato anche sul ruolo svolto dal teste Cl.Gi. indicandolo come "capo area di Vicenza" Al di là del refuso "13.6.2013" in luogo di "13.6.2019" riguardo alla data dell'esame testimoniale del Gi. (che pure - a detta dell'appellante - non depone a favore della precisione ricostruttiva complessivamente impiegata dal collegio giudicante), io stesso Gi. nel corso del suo esame testimoniale aveva chiaramente detto di avere assunto la carica di Direttore regionale Ve.Oc. all'indomani della modifica dell'organizzazione commerciale della banca, disposta nell'aprile - maggio 2012 con l'istituzione delle direzioni territoriali. Infine, e più gravemente, il passo in oggetto della gravata sentenza avrebbe totalmente travisato la stessa spiegazione, in sé completa ed esatta, fornita dal teste Gi.. Dalla parafrasi del tribunale pare che ad essere articolata su base territoriale decentrata fosse la Divisione Crediti ma ciò è difforme da quanto riferito dal teste Gi. (nonché da altri testi come ad esempio il teste Ma.Ba., il teste Lu.Ve. e il teste Gi.Am.): gli Uffici Crediti articolati su base territoriale erano infatti alle dipendenze delle Direzioni Regionali, le quali a loro volta erano gerarchicamente inquadrate all'interno della Divisione Mercati. In altri termini nel periodo 2012-2015 successivo all'ispezione della Banca d'Italia la situazione era la seguente: a) la Divisione Crediti non era coinvolta in alcun modo nell'erogazione e perfezionamento dei finanziamenti; b) ciò che al riguardo veniva deliberato -in piena autonomia - dalle Direzioni Regionali era completamente estraneo al perimetro conoscitivo della Divisione Crediti. Soltanto nel 2015, come riferito con chiarezza dal teste Cl.Am., l'assetto organizzativo di B. era variato nuovamente con il ritorno alla Divisione Crediti della competenza gerarchica sui crediti in rete. Nel periodo 2012-2015, viceversa, alla stregua delle suesposte considerazioni, essendo il processo del credito non accentrato, diversamente da quanto sostenuto nella gravata sentenza, la Divisione Crediti (il cui ruolo e la cui funzione erano circoscritti alla necessità di assicurare la qualità del credito e il recupero di esso) non aveva - né poteva avere - contezza della complessiva entità del capitale finanziato. 2.2.1.6 L'appellante ha poi evidenziato come nessun rilievo fosse stato sollevato dalla vigilanza nei confronti della Divisione Crediti, tanto all'esito dell'ispezione del 2012 quanto all'esito di quella del 2015, mentre per converso erano stati formulati i seguenti rilievi per omissioni e carenze a vario titolo: contro i consiglieri di amministrazione in carica all'epoca dei fatti; contro i sindaci in carica all'epoca dei fatti; contro il direttore generale (Sa.So.) in carica all'epoca dei fatti; contro i vice direttori generali in carica all'epoca dei fatti An.Pi. (Divisione Finanza) ed Em.Gi. (Divisione Mercati); contro le funzioni aziendali di controllo - ossia contro i responsabili della funzione Internai Audit (Ma.Bo.) e della funzione Compliance (Gi.Fe.) - in carica all'epoca dei fatti. 2.2.1.7 L'appellante, con riguardo alla questione della c.d. "causale sentinella" connotata da estrema genericità, ha sollevato forti dubbi sulla valenza sintomatica attribuita in tesi d'accusa - e fatta propria dal tribunale vicentino - alla causale stessa, posto che: s lo stesso teste Gi.Sc., capo team dell'ispezione 2012, aveva affermato che 'le carenze nella causale non erano un fatto sistematico, perché altrimenti lo avremmo registrato nel rapporto o, perlomeno, non mi è stato restituito come un fatto sistematico, poi non posso evidentemente immaginare che tutte le PEF siano state esaustive (...)"; - anche il teste Ge.Sa., altro membro del team dell'ispezione 2012, aveva manifestato, sotto altro profilo, considerevoli dubbi sulla natura effettiva di "sentinella" in capo alla suddetta causale generica; - l'assoluta mancanza di rilievi in merito alla presunta genericità di tale, proposta di fido contenuta nella P.E.F. era stata confermata anche dal teste Ma.D.Bo. (all'epoca direttore dei Crediti Anomali nonché uno dei diretti interlocutori con il team ispettivo); - nemmeno l'ispettore Em.Ga. nel 2015, benché le regole da seguire e applicare fossero frattanto divenute più stringenti (in quanto non più di, matrice nazionale bensì europea), aveva proposto sanzioni al riguardo nemmeno aveva invitato la banca a modificare modulistica, procedura e altro in tema di credito; - la formula generica "cogliere opportunità di investimenti mobiliari e immobiliari", lungi dall'essere stata introdotta dal MA. come poteva sembrare leggendo la sentenza impugnata, preesisteva al suo arrivo in B. e d'altra parte non era applicata unicamente ad operazioni c.d. "baciate" (lo stesso teste Fr.Io., ossia il nuovo direttore generale succeduto a Sa.So., lo aveva confermato in sede dibattimentale al pari del teste Co.Tu.); - in relazione a tutte le operazioni finanziate, così come individuate dalla consulenza tecnica Ta.-Pa.-Ca., l'esame delle P.E.F. faceva emergere il dato statistico secondo cui circa il 40% dell'importo finanziato (esattamente il 41,44%) portava causali diverse da quella sopra indicata. 2.2.1.8 L'appellante ha confutato come non rispondente al contenuto complessivo dell'espletata istruttoria dibattimentale anche l'ulteriore assunto - di cui alle pagg. 680 e ss. della sentenza impugnata - secondo il quale le pratiche riguardanti le operazioni correlate dovevano necessariamente essere predisposte su un format fornito dalla Divisione Crediti, e ciò a pena di essere rifiutate, su disposizione apparentemente impartita dal MA., in caso contrario. In realtà tutti i testi sentiti al riguardo si erano espressi de relato riportando asserite affermazioni rese loro in tal senso dall'uno o dall'altro esponente della Divisione Mercati; non a caso l'espressione utilizzata al riguardo in sentenza - "Inoltre, si disse che tale dicitura era condivisa con la Divisione Crediti e avrebbe consentito l'approvazione della pratica" (cfr. pag. 680 cit.) - era quanto mai generica e impersonale. Anche quanto all'altro preteso indicatore univoco della natura correlata dell'operazione, oltre alla c.d. "clausola sentinella", ossia la c.d. "sfasatura temporale" tra l'erogazione del fido e l'acquisto di azioni, la difesa ha osservato che la sentenza impugnata pare volutamente confondere i piani intersecando l'unica disposizione data dal MA. al riguardo (ossia che il denaro del finanziamento erogato dovesse risultare già accreditato nel c/c prima di poter procedere all'acquisto delle azioni) con il fenomeno - del quale il MA. non era in alcun modo partecipe - dell'occultamento di tale procedura agli occhi dell'eventuale controllore. In altri termini il monito in questione, rivolto dal MA. al personale a seguito della reiterata disinvoltura dimostrata in passato da B. sull'argomento (cfr. ad esempio l'operazione Lu.-Ca.), disinvoltura che come tale era stata censurata dal team ispettivo del 2012, aveva il solo fine di evitare eventuali sconfinamenti in c/c come aveva ad esempio ben spiegato fra gli altri il teste Co.Tu.. Le stesse deposizioni che sul punto vanno apparentemente in senso sfavorevole al MA., segnatamente quelle rese dai testi En.Da., Gi.Am. e Al.Cu., sarebbero state riportate in sentenza dal tribunale vicentino solo per brevi stralci completamente decontestualizzati, sì da stravolgerne il senso. 2.2.1.9 L'appellante indi ha affrontato un altro tema (svolto dalla sentenza impugnata alle pagg. 686-687), quello della "campagna riqualificazione impieghi" - intendendosi per impieghi i prestiti - anche detta "pre-deliberato", connotata semplicemente dallo stanziamento, ad opera di B., di una rilevante somma finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate (ossia più vantaggiose) in sede di rinnovo o revisione degli affidamenti di clienti meritevoli di un particolare rating creditizio. Il compito della Divisione Crediti, a detta dell'appellante, era esclusivamente tecnico e riguardava solo l'individuazione dei criteri di rating da utilizzare per selezionare i clienti ai quali riqualificare il prestito, formare apposite liste e inviarle alla rete per la definitiva verifica. Il tutto - ha proseguito la difesa del MA. - è stato esaustivamente spiegato in dibattimento dai testi Cl.Am. e Ma.Ba. mentre l'appellante, contrariamente a quanto parrebbe desumersi dalla sentenza gravata, non aveva nulla a che vedere con le modalità, più o meno corrette, attraverso cui tale iniziativa era poi stata presentata dalla rete commerciale ai propri clienti, non potendo ascriversi all'imputato le eventuali pressioni esercitate dalla rete medesima ° nei confronti della clientela per accompagnare l'iniziativa con inviti ad acquistare azioni B.. Al riguardo, ad esempio, la sentenza impugnata valorizzerebbe al massimo grado la deposizione del teste Um.Se. ma da un lato trattasi di soggetto che risulta avere deliberato, egli sì, numerosi finanziamenti destinati all'acquisto di azioni (sia come predecessore del MA. alla Divisione Crediti - anteriormente all'introduzione delle Direzioni Regionali - e sia in seguito come direttore generale della controllata Ba.Nu.) mentre dall'altro lato la reale natura dell'iniziativa (di per sé priva di qualsivoglia rilievo nell'alveo del problema del capitale finanziato) risulterebbe assai meglio illustrata nella relativa delibera acquisita al fascicolo del dibattimento. Anche in tal caso comunque - secondo quanto ha lamentato la difesa - il tribunale avrebbe selezionato gli elementi istruttori omettendo di menzionare quelli favorevoli all'imputato. 2.2.1.10 L'appellante ha censurato altresì il grande rilievo attribuito dalla sentenza impugnata a una serie di note e di approfondimenti provenienti dall'audit nella persona del suo responsabile Ma.Bo., posto che - come già sopra accennato - questi, al pari dell'ufficio legale della banca, era perfettamente al corrente dell'esistenza della prassi delle operazioni di finanziamento correlato e che mai tali strutture avevano segnalato alcunché, fermo restando quanto già detto in ordine al convincimento del MA. circa la liceità di tali operazioni ed esulando dall'ambito delle sue competenze quella di controllare se poi il capitale finanziato con tali operazioni venisse correttamente scomputato dal patrimonio di vigilanza. Analogamente - ha proseguito l'appellante - si sarebbe dovuto considerare l'atteggiamento di fuga dalla responsabilità tenuto dal CdA (composto non già da persone digiune della materia ma da docenti universitari, da imprenditori di primo piano e finanche da un ex Ragioniere Generale dello Stato), il quale, sottoscrivendo ogni delibera, aveva a sua volta scelto di abdicare al proprio compito di vigilare sul rispetto degli adempimenti e sulla corretta deduzione del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza. Oltretutto - ha notato la difesa - diversi altri componenti del CdA, e non solo l'imputato Gi.ZI., avevano sottoscritto essi stessi dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni B. 2.2.1.11 L'appellante si è diffuso a lungo sulle due ispezioni (Banca d'Italia 2012; BCE 2015) - in particolare sulla prima - evidenziando la necessità di un confronto tra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. che avevano reso deposizioni tra loro inconciliabili ed erano stati entrambi definiti "debolmente attendibili" dal tribunale (il primo aveva sostenuto che l'effettuazione delle operazioni correlate di finanziamento non fosse stata affatto taciuta al team ispettivo del 2012, con i quali egli aveva avuto una diretta interlocuzione; il secondo - incorso peraltro in pesantissime contraddizioni nelle diverse occasioni in cui era stato sentito durante le indagini preliminari e finanche sottoposto a intercettazione telefonica dagli inquirenti - era tornato, in sede dibattimentale, ad affermare il contrario, ritrattando quanto aveva detto da ultimo agli stessi inquirenti). Ad avviso dell'appellante, comunque, l'Am., responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B. nonché vice - assieme a Ma.D.Bo. - del MA., sarebbe assai più credibile del Sa. e più in generale dell'intero team ispettivo della stessa Banca d'Italia, la quale, dopo avere incentivato la crescita di B., non potrebbe, secondo la difesa, "permettere che qualcuno o qualcosa possa accusarla di essere stata omissiva of peggio, connivente" (cfr. pag. 103 atto di appello). Sul punto la difesa dell'appellante MA. ha menzionato l'esistenza nel web, quale fonte aperta, della registrazione di un colloquio intercorso nei primi mesi del 2014 fra il presidente di B. Zo.Gi., l'allora presidente di Ve.Ba. e l'allora capo della vigilanza della Banca d'Italia da cui si evinceva che quest'ultimo, nel ricordare ai suoi interlocutori che dal 4 novembre di quello stesso anno Banca d'Italia avrebbe dovuto passare ex lege la mano al SSM (Single Supervisory Mechanism) e che dunque i controlli sarebbero stati più severi, stava cercando di convincere Ve.Ba. ad unirsi con B.. 2.2.1.12 L'appellante ha evidenziato altresì come il tribunale non abbia riferito, nell'occuparsi della successiva ispezione del 2015, che in realtà il MA. non vi aveva nemmeno preso parte in quanto trasferito dal 18.12.2014 alla controllata siciliana Ba.Nu.. 2.2.1.13 L'appellante è poi passato a confutare con argomentazione particolarmente articolata (cfr. pagg. 126-149 atto di appello) l'assunto del collegio vicentino in ordine alla pretesa non credibilità e contraddittorietà del MA., sostenendo: a) che il contenuto dell'esame di questi sarebbe viceversa stato equivocato e travisato in più punti dal primo giudice; b) che tra i testi particolarmente valorizzati dal tribunale contro il MA. vi è ad esempio il teste Fu.Bo., non rientrante, così come vari altri, nel novero degli imputati solo a causa di una scelta operativa, definita "discutibile" degli inquirenti. Un soggetto, il Bo., che, in base al complesso dell'espletata istruttoria, emergerebbe viceversa come contraddittorio e poco credibile e del quale, in ogni caso, il tribunale (seguendo invero una tecnica redazionale spesso utilizzata nella gravata sentenza) avrebbe estrapolato solo alcuni frammenti di esame dibattimentale per lo più sfavorevoli al MA., senza porli a confronto con le rettifiche operate dallo stesso teste in sede di controesame. 2.2.1.14 L'appellante, con riguardo al capo MI relativo alle condotte di ostacolo contestate all'imputato MA. durante l'effettuazione del Comprehensive Assessment e dell'AQR (Asset Quality Review), ha escluso anzitutto che l'AQR possa paragonarsi in tutto e per tutto a una normale ispezione, indicandone le ragioni (fra l'altro nel corso di essa, in relazione alle posizioni esaminate, nemmeno era prevista l'interlocuzione tra ispettori e funzionari dell'istituto) ed evidenziando fra l'altro, in tale contesto, come finanche la Banca d'Italia, una volta diffusi i risultati dell'AQR e dello stress test, avesse affermato che il Comprehensive Assessment era stato un esercizio di natura prevalentemente prudenziale e non contabile, ove si era fatto ricorso a metodi di tipo statistico non contemplati dai criteri contabili. Indi la difesa ha ricordato come, per costante giurisprudenza, in tema di ostacolo alla vigilanza assumano rilevanza penale solo quelle false informazioni - ovvero l'omissione o il nascondimento di informazioni - capaci di entrare in conflitto con l'esercizio della funzione concretamente svolta, presupposto a suo avviso non ricorrente nel caso in esame (fermo restando che al MA. non potrebbe contestarsi di avere taciuto al team l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto e degli storni, dal momento che egli era venuto a sapere di tali procedure, come altri in banca, solo all'esito dell'ispezione BCE del 2015; né in atti vi sarebbero elementi idonei a dimostrare il contrario, anzi tutti i testi escussi hanno concordemente dichiarato che le lettere di impegno al riacquisto non erano inserite nelle P.E.F., bensì venivano conservate in cartaceo presso le filiali ove il cliente aveva il c/c di riferimento; in nessun modo era segnalata l'eventuale presenza di tale impegno, che restava una pattuizione riservata tra il responsabile della rete di riferimento e la controparte). 2.2.1.15 L'appellante è passato quindi a contestare (cfr. pagg. 154-172 atto di appello) la configurabilità in capo al MA. di un apporto concorsuale rilevante ai sensi dell'art. 110 c.p., censurando anzitutto la struttura del capo d'imputazione, configurato nel senso di una piena e totale condivisione di tutti gli imputati in relazione alle condotte contestate, a prescindere dal ruolo rivestito e dalle funzioni esercitate, sul presupposto che "tutti avessero fatto tutto" e dunque sulla base di una sorta di automatismo presuntivo, A sua volta la motivazione sui punto della sentenza impugnata - circoscritta alla sua pag. 216 - è stata censurata dall'appellante come sbrigativa e insoddisfacente in quanto basata su un'asserita "consequenzialità" ("In questo contesto operativo, è consequenziale concludere che gli imputati - che nei diversi ruoli hanno posto in essere le singole condotte di manipolazione del mercato - avessero piena ed assoluta consapevolezza dell'occultamento di questa operatività al mercato e alla vigilanza") che non avrebbe invece fondamento alcuno. A parere della difesa nel dibattimento di primo grado non è stata fornita la prova che tutti gli imputati indistintamente, e l'appellante MA. in particolare, sapessero che le c.d. operazioni "baciate" non venivano scomputate dal capitale di vigilanza e che inoltre esse erano finalizzate - oltre che all'esigenza, a tutti nota, di svuotamento del fondo acquisto azioni proprie (soprattutto in coincidenza con il fine anno) nonché a creare liquidità per il mercato secondario - anche a fornire "una distorta immagine di solidità del mercato azionario ferma restando la forte differenza tra il flusso informativo che giungeva alla Divisione Crediti e quello, ben più intenso, diretto e pregnante, che invece perveniva alla Divisione Mercati e ne animava le riunioni. Al riguardo desta forte perplessità nell'appellante il fatto che una similare differenza di flussi informativi tra diverse Divisioni fosse invece stata valorizzata dal tribunale per assolvere il coimputato Ma.PE.. 2.2.1.16 L'appellante ha lamentato altresì come al MA. sia contestato di avere "avallato una prassi" senza tuttavia che - sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato - risulti provato che egli, divenuto a un certo punto consapevole che la prassi da tempo seguita era in realtà illecita, l'avesse ciononostante pervicacemente reiterata. Ha censurato altresì l'operato dell'Accusa la quale, pur dopo l'emersione di un fenomeno - nell'ambito di B. - di autonome potestà deliberative diffuse e non già accentrate, e pur avendo conferito la stessa Accusa a seguito di ciò ai propri consulenti tecnici il compito di redigere una relazione integrativa (atta a identificare, sulla scorta delle delibere esaminate, quale fosse l'organo deliberativo di volta in volta interessato), non vi ha tuttavia dato realmente seguito, astenendosi dal ripartire fra gli autori in concreto delle varie delibere le somme contestate nel capo di imputazione quale importo complessivo del capitale finanziato. D'altra parte - ha proseguito l'appellante - qualora gli inquirenti avessero effettivamente seguito tale ultima via si sarebbero necessariamente dovuti iscrivere nel registro degli indagati alcuni fra i testimoni dell'Accusa quali concorrenti materiali nel reato. Nondimeno, difettando il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso imputabile del maggiore capitale finanziato complessivo, non sarebbe possibile nemmeno valutare la reale offensività di ciascuna condotta. Il tutto comunque - ha precisato la difesa - vale, in relazione alla posizione del MA., per le sole contestazioni di fatti commessi fino al 18 dicembre 2014 dal momento che in tale data egli veniva rimosso dalla Divisione Crediti di B. e trasferito alla controllata Ba.Nu., Viceversa in sentenza il MA. è stato condannato - senza alcuna giustificazione - finanche per i fatti occorsi nell'anno 2015 (l'appellante ha osservato al riguardo che il responsabile della Divisione Crediti in carica per quegli importi è perfettamente identificabile trattandosi del teste non assistito, in quanto mai iscritto nel registro degli indagati, Al.Ba.). In via di mero subordine la difesa ha chiesto quindi che, nel caso di ravvisata penale responsabilità del MA., la stessa sia comunque ritenuta sussistente solo fino al 18 dicembre 2014. 2.2.2 Con il secondo motivo l'appellante ha censurato in via subordinata l'eccessività della pena inflitta, e ciò sia con riferimento alla pena base sia con riguardo agli aumenti operati per la ritenuta continuazione. 2.2.3 Quindi, con il terzo motivo, l'appellante - in via di ulteriore subordine - ha chiesto valutarsi le già riconosciute attenuanti generiche come prevalenti sulle contestate aggravanti nell'ambito del giudizio di bilanciamento. Conclusivamente, l'appellante ha chiesto: 1) assoluzione dell'imputato Ma.Pa. per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato; 2) in subordine, riduzione della pena inflitta (sia attraverso una diminuzione della pena base, quantificata nei minimi edittali, sia attraverso una riduzione dell'aumento operato per la continuazione); 3) in ulteriore subordine, riduzione della pena inflitta per effetto del richiesto giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. 2.2.4 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa ha ulteriormente argomentato in ordine alla già chiesta riapertura dell'istruttoria dibattimentale, insistendo in maniera particolare nella richiesta di confronto fra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. e chiedendo altresì, trattandosi di sopravvenienze: a) l'acquisizione dei verbali relativi alle dichiarazioni testimoniali rese dai predetti (Am. all'udienza 8.3.2022; Sa. all'udienza 18.3.2022) nel distinto procedimento rubricato al n. 1031/2020 pendente dinanzi al Tribunale di Vicenza in composizione collegiale a carico di So.Sa.; b) disporsi, sotto forma di perizia, l'estrazione dei dati contenuti nel server di SEC Servizi corrente in Padova, e ciò al fine di accertare la concreta attività svolta dall'ispettore Ge.Sa. nel corso dell'ispezione 2012 della Banca d'Italia, con particolare riguardo a quanto da lui visionato nei giorni dall'1 al 7 luglio 2012. 2.3. Appello proposto da Pi.An. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Pi.An.. 2.3.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 1 dell'impugnazione), l'appellante ha dedotto, richiamando alcuni arresti della giurisprudenza di legittimità, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p. dovuta alla totalmente omessa considerazione non soltanto di tutti i cospicui contributi orali e documentali forniti dalla difesa nel corso dell'intero dibattimento (inclusi i controesami difensivi - talora viceversa rivelatisi decisivi - dei testi a carico) ma altresì delle argomentazioni difensive esposte in una specifica ampia e dettagliata memoria depositata, nelle forme delle note d'udienza, in data 19 gennaio 2021. 2.3.2 Quindi, con il secondo motivo, l'appellante ha eccepito la violazione dell'art. 210 c.p.p. e dell'art. 192 comma 3 c.p.p., nonché una carenza assoluta di motivazione, in ordine alla valutazione - operata dal tribunale - di coerenza intrinseca ed estrinseca delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri., sulle quali si fonda - a suo avviso in via esclusiva - la ricostruzione dei fatti operata nella sentenza impugnata, e ciò benché la difesa avesse evidenziato, tanto in sede di discussione quanto nelle anzidette note d'udienza depositate il 19.1.2021, evidenti profili di inattendibilità e inutilizzabilità delle rispettive deposizioni. L'appellante ha evidenziato al riguardo i seguenti elementi: - i testi in questione sono soggetti che avevano contribuito in prima persona -loro sì materialmente - a quelle stesse condotte formanti l'oggetto della "prassi" contestata agli imputati, e in particolare al PI., nei capi d'imputazione, il che avrebbe quanto meno imposto un vaglio particolarmente stringente in ordine alla loro credibilità soggettiva e all'attendibilità di quanto da loro dichiarato; - oltre a ciò la pendenza del procedimento penale n. 2147/2019 RGNR (relativo alle asserite condotte di bancarotta connesse alla messa in L.C.A. di B. ha posto i predetti testi nella condizione di dover salvaguardare se stessi dal concreto rischio di essere incriminati in quel procedimento (nel cui ambito il Pubblico Ministero non aveva ancora cristallizzato l'imputazione né aveva ancora definito tutti i coindagati); - gli stessi testi, benché fossero stati sentiti a s.i.t. nel procedimento penale n. 2147/2019 RGNR proprio a ridosso della data del loro esame dibattimentale nel presente procedimento, in quest'ultimo hanno manifestato incertezze e lacune tali da rendere necessarie continue contestazioni, quando non addirittura letture diffuse - "in aiuto alla memoria" - dei verbali delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari quanto ai fatti che qui occupano (ciò varrebbe in particolare per i testi Ma.So. e Fi.Ro.); - più d'uno fra i suddetti testi si ritiene versi, in realtà, addirittura (come già eccepito in primo grado) in una condizione che ne avrebbe reso necessario l'esame nelle forme di cui all'art. 210 c.p.p. dal momento che a loro carico ricorrono obiettivi indizi di reità, quanto meno secondo i canoni del concorso di persone del reato, e ciò in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, prescindendo da indici formali quali l'avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, con la conseguente necessaria escussione non già come testimone bensì quale imputato di reato connesso ai sensi dell'art. 210 c.p.p.. Viceversa sul punto la sentenza impugnata non contiene considerazioni di sorta; - a ciò conseguirebbe la vera e propria inutilizzabilità delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri.; - ancor più peculiare sarebbe in realtà la posizione del teste Al.Ma. (sentito in qualità di testimone ex art. 194 c.p.p. all'udienza del 26.11.2020) posto che, successivamente al deposito della sentenza impugnata, è entrato nella disponibilità della difesa dell'imputato PI. (che lo ha allegato all'atto di appello e che ne ha chiesto - formulando istanza di rinnovazione probatoria ex art. 603 c.p.p. - l'acquisizione) un atto di esecuzione di perquisizione e sequestro a carico del Ma., eseguito per rogatoria dall'A.G, lussemburghese e datato 9.10.2020 (antecedente quindi all'esame dibattimentale del teste nel presente procedimento), dal quale si evincerebbe che anche il predetto Ma. - così come il teste pacificamente ex art. 210 c.p.p. Gi.St., avvalsosi in dibattimento della facoltà di non rispondere - all'epoca della sua deposizione già era iscritto (addirittura a far tempo dal 29 luglio 2020, in tesi difensiva) nel registro degli indagati del procedimento connesso n. 2147/2019 RGNR; - la vicenda relativa al teste Ma. viene indicata come di evidente gravità (la Procura della Repubblica vicentina non aveva, all'evidenza, mai reso noto che il teste, ben prima della sua ammissione ex art. 507 c.p.p., si trovasse già indagato in un procedimento fortemente connesso) ma l'unica sanzione di tale grave violazione delle garanzie difensive risiederebbe - in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità - nell'inutilizzabilità della relativa deposizione. 2.3.3 Quindi, con il terzo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 3 dell'impugnazione, a sua volta articolato in più sotto-paragrafi che vanno dal 3.1 al 3.10), l'appellante ha eccepito il malgoverno delle prove da parte dell'impugnata sentenza, la quale a suo avviso ha ricostruito i fatti in modo incompleto e unilaterale, omettendo di considerare prove decisive in favore dell'imputato. E' stata altresì eccepita la violazione degli artt. 43 e 110 c.p. per essere del tutto carente la motivazione in merito alla prova del concorso del PI. ex art. 110 c.p. nelle condotte contestate, come pure in merito alla prova del dolo che tali condotte dovrebbe sorreggere. Più in particolare l'appellante ha osservato quanto segue; - il ragionamento probatorio del tribunale muove da un'adesione tanto incondizionata quanto infondata dello stesso alla tesi accusatoria circa la strumentali delle condotte di aggiotaggio rispetto a quelle di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza; strumentalità da cui deriverebbe quale consequenziale conclusione il concorso ex art. 110 c.p. di tutti gli imputati aventi posto in essere singole operazioni correlate (e dunque singole condotte di manipolazione del mercato) in tutte le ipotesi di reato contestate nei numerosi capi d'imputazione, e ciò indipendentemente dall'acquisizione di qualsivoglia prova in ordine alla conoscenza, rappresentazione e volontà del fenomeno e della vicenda intesi nella loro complessità; trattasi però di motivazione basata, come tale, su meri sillogismi e asserite prove logiche aventi invece dignità di mera congettura. A ciò si aggiungono, in più passi della gravata sentenza, il vero e proprio travisamento delle prove e/o l'attribuzione di rilevanza a elementi che ne sono del tutto privi (come ad esempio l'assunto - in realtà nemmeno dimostrato - che il PI. fosse uno dei più stretti collaboratori del direttore generale Sa.So.); s per il PI. era impossibile avere conoscenza della "prassi" della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. dal momento che la Divisione Finanza da lui guidata non era, né poteva essere, destinataria dei relativi flussi informativi e ferma restando l'assoluta segretezza con cui la Divisione Mercati, la Divisione Crediti e il Comitato Soci gestivano il fenomeno in oggetto (da soli sotto il controllo del direttore generale Sa.So.); oltretutto la presenza del PI. presso la sede di Vicenza di B. si limitava a una cadenza settimanale (ogni martedi, giorno in cui - pressoché settimanalmente - si teneva il CdA); - in prime cure è stata attribuita una grande rilevanza al fatto che il PI. avesse partecipato al comitato di direzione dell'8.11.2011 ma in realtà il teste Ma.So., assai valorizzato al riguardo, nel deporre non ha riferito un suo ricordo bensì una interpretazione di un suo appunto senza riuscire a ben rammentare cosa fosse effettivamente successo nell'occasione; in altri termini dal materiale probatorio in atti non riesce ad evincersi se davvero i presenti avessero ivi toccato il tema delle operazioni di finanziamento correlate all'acquisto di azioni B., considerando anche la ben scarsa attendibilità complessiva del teste assistito Fr.To., che aveva deposto nella veste di imputato di reato connesso ex art. 210 c.p.p. e che, anteriormente alla sua iscrizione nel registro degli indagati, aveva reso dinanzi agli inquirenti dichiarazioni di tenore tutt'affatto differente; v la motivazione della sentenza impugnata è in ogni caso illogica laddove ha mandato assolto, viceversa, l'imputato Ma.Pe. -responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione - che pure aveva partecipato anch'egli a quello stesso Comitato di Direzione dell'8.11.2011 (assurto invece a "pietra miliare delta responsabilità addebitata al Dott. i Pi.": cfr. pag. 42 atto di appello), ritenendolo attendibile allorquando egli aveva sostenuto di non aver dato peso adeguato, in quell'occasione, agli interventi di Fr.To. e Um.Se. (rispettivamente facenti capo alle controllate Ca. e Ba.Nu.), che si erano riferiti - peraltro in maniera molto superficiale - alla possibile adozione di operazioni "baciate", posto che all'epoca egli nemmeno conosceva la parola "baciata". Non si comprende - prosegue la difesa - perché le analoghe dichiarazioni rese, su tale specifico punto, dal PI. non siano invece state valutate in senso a lui favorevole; - considerazioni analoghe valgono circa l'asserita rilevanza della partecipazione del PI. a ulteriori comitati e/o riunioni successivi all'8.11.2011, fermo restando che né l'appellante né alcun suo sottoposto constano aver preso mai parte alle riunioni della Divisione Mercati diretta da Em.Gi.; - vengono evidenziate le deposizioni rese dal teste Gi.Am., il quale ha espressamente escluso (dopo aver riferito di avere partecipato a 3-4 riunioni del Comitato di Direzione nel 2014) che nel corso di quegli incontri si fosse fatto riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto o sottoscrizione delle azioni B., e dal teste Ad.Ca., espressosi in senso analogo; - il lamentato malgoverno delle prove (e in particolare la totale pretermissione di elementi di prova favorevoli all'imputato PI., inclusi gli esiti del controesame del teste Tagliabue) avrebbe indotto il tribunale vicentino a ritenere - a torto - che il PI. abbia avuto un ruolo nel rilascio di lettere di impegno; quanto poi alla vicenda del teste Fa. l'appellante ha evidenziato come quest'ultimo avesse investito nell'acquisto di azioni B. non già capitale finanziato dalla stessa banca bensì capitale proprio; in ogni caso la lettera di impegno rilasciata al Fa., e a questi esibita in primo grado, risulta sottoscritta - su richiesta dello stesso Fa. - dal direttore generale So. proprio in quanto il PI. aveva rifiutato - come confermato sempre dal teste Fa. - ogni diretto coinvolgimento in un ambito chiaramente esulante dalle competenze della Direzione Finanze di sua pertinenza; infine la lettera rilasciata al Fa. non potrebbe nemmeno definirsi d'impegno, da essa derivando al più una mera disponibilità non vincolante; - quanto all'episodio della società di revisione K. va escluso - secondo la difesa - che il PI. abbia apostrofato l'avv. An.Pa., dell'uffici" legale, con l'icastica e colorita espressione da costei attribuitagli, dato che il parimenti presente dott. Ma.Pe. ha affermato, nel corso del suo esame dibattimentale, di non serbarne ricordo; - quanto alla vicenda delle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" la difesa ha evidenziato come la svolta istruttoria abbia fatto emergere, quale unico autore delle relative operazioni di finanziamento correlato, proprio il dott. Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese B. Fi., la cui deposizione testimoniale - perno della tesi accusatoria sul punto - deve quindi ritenersi inattendibile (se non inutilizzabile per i motivi già visti supra), oltre che basata su mere congetture e ricca di inesattezze e lacune; per giunta la deposizione dell'altro teste Gi.Gi. (appartenente alla Divisione Mercati), ritenuta in sentenza un riscontro a quella del teste Ra., secondo l'appellante è stata travisata giacché in realtà sarebbe, nel suo complesso, di tenore esattamente opposto (anche se il primo giudice ha omesso di considerarne la parte contenente elementi di discolpa per il PI.); lo stesso è a dirsi per la deposizione del teste Gi.Fe. della Co. (che, secondo la difesa, lungi dal riscontrare la deposizione del RA., l'avrebbe confutata). In ultima analisi la deposizione del teste Ra. deve ritenersi priva di riscontri, s quanto alla partecipazione del PI. al Comitato di Direzione del 10.11.2014, il relativo file audio non sarebbe acquisibile ex art. 234 c.p.p., e comunque andrebbe dichiarato inutilizzabile; sul punto l'appellante si è associato, come già in prime cure, alla relativa eccezione svolta dalla difesa del coimputato MA., svolgendo argomentazioni analoghe. Ad ogni modo, anche a voler ritenere acquisibile e/o utilizzabile quel file audio (e la relativa trascrizione), la sentenza ugualmente risulterebbe viziata da un'erronea valutazione degli interventi del PI. in quella sede, il cui tenore testuale (a ben guardare finanche contrario alle proposte fatte dal direttore generale So.) sarebbe stato travisato. Inoltre si è sottolineato (cfr. pag. 93 atto di appello) come il lamentato mancato espletamento di una perizia al riguardo impedisca oltretutto l'individuazione dei partecipanti al comitato e la corretta attribuzione dei singoli passaggi ai rispettivi loro autori. 2.3.4 Quindi, con il quarto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 4 dell'impugnazione), l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. giacché il fatto ritenuto in sentenza - con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B. - non risulta indicato in alcuno dei capi d'imputazione così come formulati dall'Accusa nei confronti dell'imputato PI., In alcun modo tali condotte, ritenute in sentenza commesse dal PI. nonché penalmente rilevanti, potrebbero rientrare nella contestatagli "prassi aziendale" avente ad oggetto "finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario. E d'altra parte, con ogni evidenza, l'investimento in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) non ha alcuna attinenza con l'erogazione del credito né alcuna connessione con le prassi decettive in seno a tale erogazione effettuate da altri. 2.3.5 Quindi, con il quinto motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi 5, 6, 7 e 8 dell'impugnazione), l'appellante ha contestato anche nel merito la fondatezza dell'accusa con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B.. Trattasi a suo dire di contegno non addebitabile al PI., pur non avendo questi mai negato di avere avuto un ruolo nella sottoscrizione dei fondi in questione. L'appellante ha evidenziato al riguardo quanto segue: s la unknown exposure non è sinonimo di decettività (in base alla deposizione del teste Da.Es., del Risk Management, il Comitato Finanza, a differenza di quanto ritenuto in sentenza, era correttamente informato di tutti i dati trasmessi dai fondi senza che alcun suo componente avesse mai lamentato profili di irregolarità); - il ricorso a fondi dedicati (che la gravata sentenza impropriamente definisce "gestione patrimoniale") era prassi diffusa tra gli istituti di credito, non solo italiani, come riferito anche dallo stesso teste Al.Ma., che pure per altri versi - ma non per questa parte della sua deposizione - risulta essere stato assai valorizzato, benché in realtà già indagato in procedimento connesso, dal giudice di prime cure; - le finalità per le quali tale investimento era stato autorizzato (vale a dire il reperimento di liquidità) erano state correttamente perseguite dal PI.; - irrilevante deve ritenersi, a fronte di altre emergenze istruttorie purtuttavia pretermesse dal tribunale, il da esso valorizzato doc. n. 350 delle produzioni del Pubblico Ministero (invero mai pervenuto nella sfera di conoscenza del PI.; né il suo invio aveva avuto alcun seguito); - la sentenza gravata ha travisato il contenuto delle deposizioni rese dai testi Fi.Ro., An.Su. (quest'ultimo peraltro connotato da evidenti profili di inattendibilità), Pi.Ra. e Al.Ma.; s più in generale (come dimostrato anche dalla vicenda dell'acceso confronto tra il teste avv. An.Su. e il teste Pa.Al., quest'ultimo responsabile della direzione Gl.Ma. all'interno della Divisione Finanza di B.; vicenda riferita nel suo esame dibattimentale dallo stesso teste Al.) si è evidenziata l'inattendibilità della ricostruzione della situazione offerta dagli esponenti di "Op." (testi Ma. e Su.), in quanto connotata da un chiaro tentativo di addossare agli esponenti di B., e segnatamente della sua Divisione Finanza, responsabilità eventualmente proprie del suddetto fondo; - peraltro - ha osservato l'appellante - l'attività istruttoria dibattimentale risulta essersi concentrata tutta su "Op." rimanendo carente sul conto di "At."; - la detenzione indiretta di azioni B. mediante i fondi "Op." e "At." in ogni caso non conduce alla prova del concorso del PI. nelle contestate condotte di aggiotaggio manipolativo sicché la sentenza presenta un vizio di motivazione sul punto, ferma restando in proposito la totale inattendibilità del teste Fi.Ro. (reso destinatario di corpose e continue contestazioni operate in dibattimento dal P.M., il Ro. era stato, fra l'altro, platealmente smentito dal teste Ti.Ch. - esponente del broker Ma.Sp. - circa la da lui asserita conoscenza tra questi e il PI., negata dal Ch.); - la condotta ascritta al PI. in relazione ai fondi "Op." e "At." neppure potrebbe condurre alla prova di un concorso dell'appellante nelle contestate condotte di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza, sicché la sentenza risulta erroneamente motivata sul punto con violazione degli artt. 43 e 110 c.p., tanto più che, con il mutare della normativa di settore a seguito dell'introduzione del CRR (Capital Requirements Regulation), Regolamento UE n. 575/2013, le strutture incaricate della tenuta delle comunicazioni avevano tempestivamente adottato le richieste da indirizzare ai fondi, come chiaramente illustrato dal teste Lu.Tr.; - la motivazione della sentenza è illogica nella parte in cui, con riferimento alla posizione personale di altro imputato e segnatamente di Pe.Ma., ha ritenuto sufficiente ad escluderne la responsabilità -mandandolo così assolto - il fatto che avesse formulato una richiesta di informazioni circa i sottostanti ai fondi de quibus. Il PI. infatti, dal canto suo, non solo non aveva avuto conoscenza dell'investimento operato dai fondi stessi in azioni B. ma neppure aveva inteso in alcun modo ostacolare la conoscenza dei sottostanti dei fondi medesimi da parte delle altre funzioni dell'istituto di credito, in particolare da parte delle funzioni di controllo; di fatto, anzi, il PI. aveva delegato i rapporti con i fondi ad altre strutture di B. diverse dalla Divisione Finanza, senza mai avere anche solo azzardato la minima ingerenza nelle loro funzioni; - l'assunto del primo giudice secondo cui anche la fase di dismissione delle azioni B. da parte di "Op." sarebbe stata eterodiretta dal PI. in veste di "regista" non risponde al vero e risulta anzi smentito - sempre secondo l'appellante - dalla deposizione del teste Ti.Ch., esponente del broker Ma.Sp., che evidenzierebbe altresì l'assoluta inattendibilità sul punto del teste Ro.Ri. (appartenente alla rete commerciale e per parte sua artefice di numerosissime operazioni correlate); il Ri. era infatti giunto ad affermare che il PI. lo aveva messo in contatto con il Ch. il quale invece come già detto sopra, negava di conoscere l'imputato. 2.3.6 Quindi, con il sesto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 9 dell'impugnazione), l'appellante ha argomentato in ordine alla dedotta insussistenza di un concorso ex art. 110 c.p., del PI. nella asserita Op." posta alla base di tutti i capi di imputazione, della quale viceversa egli non era consapevole né tantomeno ad essa aveva aderito. Né certo un siffatto apporto concorsuale poteva desumersi dall'assunto che, in quanto vicedirettore generale in B., egli fosse necessariamente vincolato alle scelte del direttore generale Sa.So.. In realtà, essendo concepita l'imputazione come una contestazione complessiva di tutte le condotte in essa descritte nei confronti di tutti gli imputati, ipotizzandosi ivi un concorso di reati riuniti sotto la disciplina della continuazione, la gravata sentenza, ad avviso dell'appellante, non ha assolto al suo onere che era quello di dimostrare - sulla base però di elementi di prova certi e non di mere congetture - che l'imputato: a) fosse consapevole delle condotte poste in essere da tutti o parte degli altri pretesi concorrenti; b) avesse agito con la volontà di portare a compimento il reato. Non è in altri termini condivisibile, per la difesa, l'argomentare di una sentenza la quale, di fatto, finisce con il ricondurre vicende di enorme complessità, articolatesi nel corso di un non trascurabile lasso temporale -nonché coinvolgenti decisioni, valutazioni e specifiche azioni di controllo ascrivibili a una pluralità estremamente variegata di soggetti - a un unico semplicistico schema interpretativo che ripropone il parimenti semplicistico approccio dello spunto investigativo iniziale. Secondo l'appellante va poi considerato quanto segue: - con riguardo alla pretesa manipolazione informativa ogni concorso del PI. deve essere escluso, non avendo egli mai preso parte in alcuna misura alla definizione del contenuto dei comunicati stampa oggetto di contestazione; - con riguardo alla pretesa manipolazione operativa e al preteso ostacolo alla vigilanza la sentenza pretermette diversi fattori di elevata importanza: a) nessuna delle operazioni attribuite in ottica di accusa al PI. risultava essere stata ancora attuata all'epoca della conclusione dell'ispezione 2012 della Banca d'Italia (peraltro mirata unicamente alla verifica del rischio di credito di B.): al 12 ottobre 2012, infatti, Sa.So. e Pi.Ra. non avevano ancora sottoscritto la partecipazione ai fondi lussemburghesi "Op." e "At." né tantomeno la controllata irlandese B. Fi., della quale il Ra. era il direttore generale, aveva erogato i finanziamenti alle società lussemburghesi Br.; c) nel caso dell'ispezione BCE, iniziata il 26 febbraio 2015, B. aveva già comunicato al Regolatore le informazioni frattanto ricevute dai gestori dei suddetti fondi in ordine al preciso ammontare di azioni B. detenute dai comparti di "Op." e "At.", e ciò a far data dal luglio 2014, in perfetta ottemperanza agli obblighi informativi imposti dal CRR (Regolamento UE 575/2013); che la stessa BCE fosse stata portata a conoscenza di un tanto emergeva altresì dal suo stesso rapporto ispettivo del 2015; - manca, in ogni caso, totalmente la prova del dolo; anzi le conversazioni captate del PI. evidenzierebbero un tenore chiaramente incompatibile con la consapevolezza tipica del partecipe. 2.3.7 Quindi, con il settimo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 10 dell'impugnazione), l'appellante in subordine, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio ne ha lamentato il carattere sproporzionato. Ha chiesto altresì che le già riconosciute attenuanti generiche siano valutate prevalenti sulle contestate aggravanti in sede di giudizio di bilanciamento. Ha ribadito inoltre le argomentazioni - già svolte in sede di discussione dinanzi al tribunale - circa la necessità di ricondurre a un'unica fattispecie di ostacolo alla vigilanza le plurime condotte configurate, in tesi d'accusa e in sentenza, come altrettanti reati distinti, fra loro unificati nel vincolo della continuazione. Ha richiamato al riguardo la giurisprudenza di legittimità che costruisce il reato ex art. 2638 comma 2 c.c., come suscettibile di assumere carattere eventualmente permanente. In tal caso, indipendentemente dalla reiterazione dell'invio di comunicazioni mendaci, la prima condotta deve intendersi assorbire le successive. Ha aggiunto che la strumentalità della fattispecie di ostacolo rispetto a quella di aggiotaggio fa sì che il disvalore della condotta decettiva si esaurisca tutto nell'evento del delitto di aggiotaggio. Ritenere diversamente si tradurrebbe altresì in una violazione del principio nemo tenetur se detegere, recentemente meglio delineato da Corte Cost. n. 84 del 2021. 2.3.8 Quindi, con l'ottavo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 11 dell'impugnazione), l'appellante ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018, che aveva risolto in favore del foro vicentino un conflitto di competenza sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore), e ciò sulla base di argomentazioni analoghe a quelle dell'appello ZO. (v. infra) - al quale qui si rinvia per il resto - ovvero in favore del Tribunale di Milano, sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (se ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile). 2.3.9 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa dell'imputato PI. ha ulteriormente argomentato in ordine: a) all'incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza; b) alla violazione dell'art. 210 c.p.p. e dell'art. 192 comma 3 c.p.p. in relazione all'escussione di vari testi; c) alla violazione del principio nemo teneturse detegere. Conclusivamente, quindi, l'appellante ha chiesto l'annullamento o la riforma della sentenza e dell'ordinanza di rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale contestualmente impugnate, instando per l'assoluzione dell'imputato Pi.An. con la formula più ampia. 2.4 Appello proposto da Zo.Gi. Avverso detta sentenza (e con contestuale riferimento alle ordinanze del GUP e del tribunale emesse rispettivamente nelle date del 19.5.2018 e del 7.5.2019, entrambe di rigetto della già proposta eccezione di incompetenza territoriale) ha interposto appello il difensore di Zo.Gi. con impugnazione che ha devoluto alla cognizione della Corte i punti ed i capi della sentenza relativi, nell'ordine, alla competenza territoriale, alla affermazione di penale responsabilità, alla condanna risarcitoria ed alle spese processuali, al trattamento sanzionatorio, al mancato riconoscimento del concorso apparente tra le fattispecie contestate, alla confisca per equivalente e, infine, alla mancata assunzione di perizia. 2.4.1 In particolare, dopo una "introduzione" (oggetto di trattazione al paragrafo 1 dell'impugnazione) finalizzata ad evidenziare gli effetti, ritenuti pregiudizievoli per la serenità del giudizio, della "pressione" esercitata, nel contesto locale, dagli organi di informazione (argomenti già posti a fondamento della richiesta di remissione del giudizio ex art. 45 c.p.p., pure disattesa dalla Corte di Cassazione) il difensore, con il primo motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi da 2.1 a 2.8 dell'impugnazione), ha censurato il rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale. In effetti, premesso: - che la sentenza della Corte di Cassazione n. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018 era stata motivata sul rilievo della connessione per continuazione tra i reati, rispettivamente, di cui ai capi E1 e B1, con la precisazione che il più risalente reato di ostacolo alla vigilanza oggetto di tale ultimo capo di imputazione doveva intendersi verificato in Vicenza, in quanto luogo nel quale "vengono assunte le determinazioni degli organi sociali"; - che, in sede di udienza preliminare, era stata ribadita la competenza del Tribunale di Vicenza in ragione della ritenuta infondatezza della contraria tesi difensiva che sollecitava l'individuazione presso la sede, in Roma, della Banca d'Italia, destinataria della comunicazione ICAAP, del luogo di commissione di tale reato (infondatezza argomentata sul rilievo della necessità di valutare la competenza alla stregua del perimetro dell'imputazione, rispetto al quale dovevano ritenersi estranee le vicende relative all'invio della predetta comunicazione); - che il Tribunale, con ordinanza 7,5.2019, aveva nuovamente confermato tali conclusioni, dichiarando inammissibile l'eccezione difensiva (riproposta nei medesimi termini) in ragione della preclusione derivante dalla vincolatività della citata pronunzia della Corte di Cassazione e, in ogni caso, ne aveva sostenuto l'infondatezza in considerazione della necessità di ancorare il giudizio in materia di incompetenza alla prospettazione accusatoria che, nella specie, non contemplava la contestazione dell'invio della comunicazione ICAAP; - che, infine, nella sentenza impugnata, erano state ancora una volta ribadite le argomentazioni (vincolatività della sentenza della Corte di cassazione, non superata da fatti nuovi; estraneità al perimetro dell'imputazione di riferimento della condotta dell'invio alla Banca d'Italia della comunicazione ICAAP) esposte nella precedente ordinanza 7.5.2019, il difensore ha contestato le conclusioni cui era pervenuto, sul punto, il primo giudice. Quanto al primo profilo, era errato sostenere la vincolatività della decisione della Corte di Cassazione. Si era in presenza, infatti, di pronunzia attinente ad uno specifico thema decidendum (quello della necessità di dirimere il contrasto inerente all'attribuzione della competenza - rispetto a reati oggetto di provvedimento cautelare - all'autorità giudiziaria vicentina, ovvero milanese) in ordine al quale era rimasta del tutto estranea la questione della eventuale competenza del Tribunale di Roma, in quanto non ricompresa nel perimetro del devolutum (come desumibile dalla stessa lettura della citata sentenza n. 15537/2018, sentenza dalla quale emergeva chiaramente che la Corte di cassazione, ai fini della decisione del conflitto, non aveva preso in considerazione la circostanza, pure nota al giudice di legittimità, della sopravvenuta iscrizione per il reato di falso in prospetto e come, del resto, confermato dallo stesso tribunale di Vicenza, a pag. 240 della sentenza impugnata). In ogni caso la diversità delle parti dei procedimenti attinenti, rispettivamente, alla cautela ed al merito impediva che potesse legittimamente evocarsi, sul punto, qualsivoglia preclusione processuale. Quanto al secondo profilo, por, ha contestato l'estraneità dell'invio della comunicazione ICAAP alla Banca d'Italia rispetto al perimetro dell'imputazione di cui al predetto capo B1. A ben vedere, infatti, il riferimento alle comunicazioni ed alle segnalazioni all'autorità di vigilanza, siccome contenuto nel medesimo capo di incolpazione, avrebbe dovuto ritenersi, all'uopo, del tutto sufficiente, trattandosi di riferimento effettuato in modo generico (e, quindi, necessariamente tale da ricomprendere anche l'invio della citata comunicazione). Ciò posto, l'appellante: - evidenziato il difetto di vincolatività della decisione della Corte di Cassazione n. 15537/2018; - sottolineato che l'invio della comunicazione ICAAP (pacificamente costituente, per l'importanza di tale adempimento, il primo degli atti di sviamento della funzione di vigilanza) doveva ritenersi ricompreso nel perimetro dell'imputazione; - precisato, in ogni caso, che il tribunale ben avrebbe potuto attribuire a tale comunicazione il doveroso rilievo, senza affatto indebitamente anticipare un sindacato di merito sulla falsità della comunicazione medesima (donde, anche sotto tale profilo, l'infondatezza delle argomentazioni poste dal primo giudice a fondamento del rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale); - osservato, ancora, che l'indicazione del luogo di consumazione del reato siccome indicato in imputazione Vicenza") non poteva ritenersi vincolante, allorché, come nella specie, un diverso focus commissi delicti ("Roma", sede della Banca d'Italia) fosse ricavabile dagli atti posti a disposizione dei giudicante (il GUP, prima; il tribunale, poi); s e rimarcato, infine, che il primo giudice nell'esercizio del potere/dovere di correggere l'errore nel quale era incorso il P,M. nell'individuazione del luogo di consumazione del reato non avrebbe affatto incontrato i limiti costituiti, rispettivamente, dal carattere macroscopico dello sbaglio e dalle circostanze di fatto siccome descritte in imputazione, purché queste ultime fossero, come nella specie, risultanti ex actis (pena la violazione dei principi in materia di obbligatorietà dell'azione penale e di rispetto del giudice naturale precostituito per legge), ha ribadito l'incompetenza del tribunale di Vicenza per essere competente il tribunale di Roma e, pertanto, ha sollecitato la declaratoria di nullità delle impugnate ordinanze e, quindi, della sentenza che le aveva confermate. 2.4.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi da 3.1 a 3.6 dell'impugnazione), poi, ha contestato l'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, affermazione basata su una motivazione, al contempo, carente e contraddittoria rispetto a specifiche emergenze processuali. Per un verso, infatti, il tribunale aveva omesso di considerare molteplici elementi probatori, in primo luogo in relazione al tema, per vero decisivo, della mancata attivazione di "campanelli d'allarme", da parte degli organismi deputati alla vigilanza interna (e, segnatamente, dell'ufficio di In.) circa il fenomeno del capitale finanziato, ma anche ai profili della vicenda costituiti, nell'ordine, dalle caratteristiche del fenomeno in esame, dal ruolo svolto dall'imputato in relazione a tale fenomeno e, più in generale, dalla posizione rivestita dallo ZO. all'interno dell'istituto di credito. Per altro verso, poi, il percorso argomentativo della decisione appariva viziato, quanto alla posizione processuale del medesimo ZO., da marcati profili di contrasto cori le risultanze probatorie, oltre che di vera e propria illogicità con particolare riferimento alla presunta conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno delle "operazioni baciate". Sotto il primo profilo (quello della mancata valutazione di emergenze probatorie favorevoli) il difensore ha sostenuto che l'imputato non era stato affatto portato a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato da parte degli organismi di vigilanza interna e, in particolare, dai responsabili dell'In., i quali avevano dolosamente sottaciuto, sul punto, circostanze ed esiti ispettivi di assoluto rilievo. Deponevano in tal senso le dichiarazioni, in ordine all'assenza di flussi informativi interni relativi agli esiti delle verifiche compiute dall'Au. e dal Ri., dei testi Do. (membro del CdA dal 2009 e, successivamente, Presidente del Comitato Controlli, poi Comitato Rischi) e Za. (dal 2014 membro del Collegio Sindacale che, dallo stesso anno, aveva assunto la funzione di Organismo di Vigilanza). Peraltro, anche le deposizioni degli ispettori BCE Ga. e Ma. avevano evidenziato le carenze dell'In.. Inoltre, lo stesso teste Bo. aveva dichiarato di essere stato a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato perlomeno dal 2012 ma di averne parlato solo nel corso dell'ispezione, rivolgendosi all'ispettore Ga., ed aveva soggiunto di non averne mai riferito al Collegio Sindacale né all'Organismo di Vigilanza, in quanto rassicurato dal successo dell'operazione di aumento di capitale del 2014. Il teste Es. (responsabile della funzione di Ri.), dal canto suo, con riferimento alle operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi, aveva parimenti dichiarato di non avere effettuato segnalazioni di criticità, precedentemente a quella del 2014 inerente all'incremento degli storni. Infine, anche dalla deposizione del teste Ferrante (responsabile della Co.) era emerso che il Bo. aveva ignorato qualsivoglia segnale di allarme ed aveva omesso di portare a conoscenza di tali criticità il CdA, il Collegio Sindacale e l'Organismo di vigilanza. E, in effetti, la stessa intercettazione telefonica del colloquio intercorso il 28.8.2015 tra tale teste ed il predetto Bo. confermava che mai quest'ultimo aveva riferito alcunché allo ZO.. Così delineato il contesto di omissioni informative imputabili all'ufficio di In., il difensore ha richiamato una serie di episodi specifici ulteriormente dimostrativi delle gravi carenze ed omissioni in ordine al flusso interno di informazioni inerenti al fenomeno delle operazioni "baciate". Trattasi, segnatamente: dell'"insabbiamento" degli esiti delle verifiche di audit relative ad operazioni baciate poste in essere presso le filiali di Padova e di Manzano; - della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 2014, dal socio Da.Gr., "nemico storico" dello ZO., denunzia cui non erano poi seguite attività di controllo di sorta da parte del Collegio Sindacale, al quale, del resto, il responsabile dell'au. aveva negato l'esistenza di fenomeni di capitale finanziato; - delle dimissioni del private banker Vi., dimissioni delle quali l'imputato ZO. non aveva ricevuto informazioni esaurienti, come emerso dai testi escussi e, in particolare, come dichiarato dallo stesso Bo., per effetto di una determinazione ascrivibile al d.g. So.; - della vicenda delle tre lettere anonime inviate a B. negli anni 2013 e 2014, la prima (quella del 7.10.2013), priva di riferimenti al fenomeno del capitale finanziato, le altre non portate a conoscenza del presidente ZO. o, comunque, non seguite da precise informazioni indirizzate all'imputato inerenti al fenomeno del capitale finanziato; - dell'articolo del Sole 24 Ore a firma Cl.Ga. (articolo, peraltro, bensì contenente accuse in ordine alle pressioni rivolte alla struttura per l'acquisto delle azioni, ma non anche la descrizione del fenomeno del capitale finanziato), mai seguito da attività di riscontro da parte della Direzione Generale, ovvero della Funzione di Controllo, ed in relazione al quale, in ogni caso, non era stata predisposta e portata a conoscenza del Presidente una relazione ispettiva. In definitiva, nessun serio segnale d'allarme era stato mai rappresentato allo ZO., la posizione del quale, pertanto, sul punto, non poteva ritenersi differente da quella del coimputato ZI., pure dal tribunale assolto, ovvero da quella degli altri componenti del CdA e del Collegio Sindacale. Tutti costoro, infatti, erano stati tenuti all'oscuro, per volontà del d.g. So., di quanto emerso in relazione al fenomeno del capitale finanziato nel corso delle attività di audit. Di seguito, l'appello ha evidenziato convergenti elementi probatori che avevano delineato il profilo dello ZO. non già nei termini di uno scaltro "padre padrone" dell'istituto di credito, come pure ripetutamente affermato dal primo giudice, bensì come quello di un presidente, certamente energico ma niente affatto autoritario, il quale aveva investito ingenti risorse personali e familiari nella banca, confidando nella solidità dell'istituto (dal miliardo di lire nel 1995 ai 25 milioni di euro del 2015), a riprova della buona fede che ne aveva sempre ispirato la condotta. In particolare, il difensore ha richiamato plurime deposizioni testimoniali dalle quali era emerso che l'imputato: non era affatto aduso imporre le proprie decisioni; era presente raramente presso la sede dell'istituto; si occupava solo di questioni strategiche e non tecniche; non interveniva nelle pratiche di fido e non aveva avuto rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia; pur comprensibilmente aspirando all'incremento del valore delle azioni non aveva fatto pressioni in tal senso; non aveva un ruolo determinante nella gestione del personale; si limitava a firmare i comunicati B. che, quanto alla parte riferibile allo stesso presidente, erano predisposti dal dipendente Ca. Del resto - ha precisato l'appellante - le stesse deposizioni dei testi Se. e Ro., prima facie pregiudizievoli per la posizione dell'imputato, ad una più attenta lettura deponevano in senso contrario, posto che evidenziavano come lo ZO. non avesse mai avuto un ruolo tecnico all'interno dell'istituto e, comunque, non interferisse affatto nelle decisioni di tale natura. D'altronde, a smentire il ruolo di "monarca assoluto" dell'istituto di credito attribuito allo ZO. dal primo giudice concorreva anche la circostanza che mai l'imputato avesse presieduto alcun comitato esecutivo dal 2012 al 2015 (nonostante, secondo le previsioni statutarie, ne costituisse il vertice) e che, quanto ai Comitati di Direzione/Riunioni svoltisi dal 2011 al 2015, lo stesso ZO. (anche in tal caso diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale che, infatti, aveva escluso la presenza dell'imputato al solo incontro del 10 novembre del 2014, peraltro II più importante) si era limitato a presenziare, solo per un breve saluto, a quello dell'8 novembre 2011. In tal senso, infatti, deponeva l'accurata analisi dei dati documentali disponibili e delle deposizioni assunte in dibattimento. Inoltre, nessun ruolo l'imputato aveva mai svolto con riferimento all'erogazione del credito nella consapevolezza della destinazione dei finanziamenti all'effettuazione di operazioni "baciate". In effetti la posizione dello ZO., al riguardo, non differiva da quella degli altri componenti del CdA che lo stesso primo giudice aveva ritenuto fossero rimasti all'oscuro del fenomeno del capitale finanziato (ivi compreso il coimputato ZI., assolto nonostante avesse compiuto, con la propria finanziaria, un paio di operazioni "baciate"). Sul punto, l'appellante ha richiamato plurime deposizioni testimoniali dalle quali emergeva il difetto di tale consapevolezza da parte dei componenti del consiglio, oltre alla importante conversazione telefonica del 28.8.2015, intercorsa tra il coimputato MA. e il responsabile audit Bo., nel corso della quale, al tentativo di quest'ultimo di indurre l'interlocutore a formulare un "atto di accusa" a carico dello ZO., all'evidente scopo di farne una sorta di capro espiatorio di quanto, oramai, andava inequivocabilmente emergendo, il MA. aveva ribattuto sostenendo di non avere fatto il nome del presidente in quanto il direttore generale So. non glielo aveva indicato espressamente come soggetto a conoscenza del fenomeno (ma si era limitato, come suo solito, a sostenere che aveva informato "chi di dovere") e, inoltre, aveva ribadito più volte che mai si era parlato "di baciate", alla sua presenza, con il presidente. Quanto, poi, alla svalutazione del titolo B. nell'aprile del 2015 da 62,50 a 48 euro, si era trattato, come palesato dal tenore di specifiche deposizioni testimoniali, di una decisione in relazione alla quale l'imputato aveva operato nel rispetto delle indicazioni fornitegli dagli organi preposti alla valutazione del titolo e, segnatamente, dall'esperto indipendente prof. Bi. (e, questo, nonostante lo stesso imputato ed i membri della sua famiglia fossero tra i principali azionisti della banca), mentre era stato il So. ad esprimere contrarietà alla svalutazione. In ordine alla predisposizione della "task-force", istituita con delibera del CdA del 28.4.2015, destinata a fronteggiare i problemi sorti con gli azionisti per effetto della svalutazione del titolo e ad affrontare la questione dei finanziamenti correlati, l'imputato era rimasto del tutto estraneo alla relativa iniziativa, in quanto, a partire dal mese di aprile, era stato di fatto esautorato da ogni ruolo nella banca, mentre l'unico dominus delle scelte gestionali ed imprenditoriali era l'amministratore delegato So., tanto che l'incontro dello stesso ZO. con il professionista esterno, avv. Ge., era stato solo fugace e formale. La prima conversazione telefonica intercorsa tra i due, del resto, aveva avuto luogo solo il 7 maggio 2015, al momento della cessazione dell'incarico, quando oramai le risultanze BCE erano emerse. Inoltre, con specifico riferimento alla scoperta delle lettere di garanzia, alla criticità dei fondi lussemburghesi ed alle risposte alle richieste degli ispettori BCE, l'appellante ha evidenziato che ZO., appena venuto a conoscenza dei primi esiti dell'ispezione, non aveva frapposto alcun ostacolo, ma si era attivato affinché la dirigenza fornisse piena collaborazione agli ispettori medesimi, tanto che a costoro erano state consegnate le lettere di impegno solo a seguito dell'intervento dell'imputato. Illuminanti, sul punto, erano le deposizioni degli ispettori Ga. e Ma., là dove il primo aveva riferito che l'imputato aveva dichiarato che la reazione dello ZO. era stata quella di sorpresa per l'entità del fenomeno in esame ed il secondo aveva precisato che le lettere di impegno erano state consegnate solo dopo l'intervento dello ZO. (il quale, peraltro, ad avviso del teste, non aveva colto appieno l'importanza del fenomeno del capitale finanziato, avendo manifestato preoccupazione soprattutto con riferimento al tema dei fondi di investimento e delle lettere di garanzia). Anche le deposizioni dei testi An., So., Co. e Fa., del resto, andavano nella medesima direzione, ovverosia deponevano nel senso della mancata consapevolezza, da parte del presidente, dei fenomeni illeciti (capitale finanziato/lettere di garanzia/fondi lussemburghesi). In relazione alle dimissioni dell'amministratore delegato So. poi, non si era affatto trattato di decisione adottata dal presidente per assicurare un commodus discessus al predetto onde garantirsi un "salvacondotto" a fronte dell'attività di accertamento della squadra ispettiva BCE. In effetti, non solo il tribunale non aveva considerato che i soli soggetti che avevano ottenuto dalla BCE tale "salvacondotto", tanto da essere rimasti estranei al procedimento, erano stati i veri responsabili delle irregolarità emerse (e, segnatamente, da un lato, i preposti ai controlli interni, i quali avevano violato tutti i doveri loro imposti dal ruolo ricoperto, nonché, dall'altro lato, i dirigenti/funzionari che avevano compiuto le "operazioni baciate"), ma aveva anche di fatto ignorato che ZO. mai aveva fatto ricorso ad un finanziamento per l'acquisto di azioni dell'istituto. In ogni caso, la velocità della "sostituzione" del So. era stata imposta dalla BCE che aveva sollecitato una immediata discontinuità nella gestione dell'istituto di credito, come puntualmente dichiarato dallo stesso ZO. in sede di dichiarazioni spontanee (udienza 25.6.2020) e come confermato da specifiche deposizioni testimoniali, in primis quella dell'ispettore Ma., il quale aveva riferito che la scelta di allontanare l'amministratore delegato era ascrivibile proprio alla BCE. Quanto, poi, al compenso milionario riconosciuto al So., le condizioni economiche assicurate a quest'ultimo nell'accordo - condizioni delle quali, peraltro, si erano esclusivamente occupati i dirigenti Ca. e Va. - erano state regolarmente comunicate alla BCE senza che ne derivassero obiezioni di sorta (se non la precisazione che il compenso avrebbe dovuto essere pagato in parte in azioni e, comunque, differito nel tempo). Del resto, la riferibilità alla BCE dell'avvicendamento dei vertici operativi era stata confermata, nel corso del proprio esame, anche dal coimputato GI. (sia pure con riferimento alla posizione del medesimo dichiarante). Infine, il tribunale neppure aveva considerato adeguatamente, per un verso, che ZO., prima di definire l'accordo di risoluzione del rapporto con il So., aveva contattato tutti i membri del CdA, in taluni casi incontrandoli personalmente (tanto che proprio lo ZI. - unico tra i consiglieri - aveva potuto manifestare le proprie perplessità, orientandosi nel senso del licenziamento); e, per altro verso, che la velocità e la spontaneità dell'avvicendamento erano funzionali a limitare il danno reputazionale per la banca. Anzi, lo ZO. non si era successivamente opposto all'iniziativa adottata dall'amministratore Io. di presentare un'istanza di sequestro delle somme pagate al So. ed aveva finanche promosso una azione giudiziaria verso quest'ultimo, obiettivamente incompatibile con l'intenzione di "comprarne il silenzio". Quanto, infine, alla condotta tenuta, negli ultimi mesi di presidenza, dall'imputato, quest'ultimo - il quale, peraltro, unitamente al CdA, già nei primi giorni di agosto 2015 (e, quindi, un anno prima dell'analoga iniziativa di Banca d'Italia) aveva dato incarico di presentare una denunzia presso la Procura della Repubblica di Vicenza - non aveva minimamente ostacolato gli accertamenti interni, lasciando al nuovo amministratore Iorio ogni compito inerente alle verifiche ed alle segnalazioni all'autorità giudiziaria. In definitiva, il primo giudice aveva omesso di considerare numerosi elementi probatori che, in relazione a plurimi e certamente significativi profili della vicenda, deponevano per l'estraneità dell'imputato alla concreta operatività della banca e, in particolare, alle condotte delittuose oggetto di addebito. Ciò posto, l'appello ha censurato la sentenza impugnata anche in relazione alle conclusioni cui era pervenuta in ordine alle caratteristiche del capitale finanziato. In effetti, il primo giudice si era totalmente adagiato sulla ricostruzione del fenomeno in esame siccome effettuata dai consulenti del P.M., giungendo alla conseguente conclusione che un sistema tanto pervasivo non avrebbe potuto essere ignorato dallo ZO. (sebbene, sempre secondo il tribunale, tutti gli altri membri del CdA, ivi compresi quelli che avevano effettuato, attraverso le società di riferimento, operazioni "baciate", fossero rimasti all'oscuro del fenomeno in esame). In realtà, il quadro rivelato dall'istruttoria dibattimentale era ben diverso. Innanzitutto, dalla deposizione del teste Gr. (amministratore delegato dell'istituto tra il 2001 e il 2011) era emerso, da un lato, che, nel suddetto periodo, i fisiologici problemi di liquidità "stagionale" delle azioni erano usualmente risolti mediante la richiesta di acquisti da parte di altre banche popolari, sulla base di intese che non prevedevano obblighi di riacquisto, se non "morali"; dall'altro, che si trattava di questioni rispetto alle quali ZO. - limitatosi costantemente a svolgere un ruolo istituzionale o, tutt'al più, strategico - non aveva concretamente operato. Ulteriori deposizioni testimoniali, poi, avevano consentito di attribuire solo alla persona del d.g. So. la decisione, occasionalmente adottata a fronte di situazioni specifiche, di ricorrere al finanziamento per l'acquisto di azioni proprie. Si era trattato, segnatamente, delle operazioni "De.Ro." e "Lo.Tr.". In effetti, unicamente a partire dall'anno 2012, a causa del perdurare della crisi mondiale (e, quindi, in un contesto nel quale molti clienti e soci avevano problemi di liquidità, sicché avevano iniziato a vendere in modo consistente azioni della banca), il fenomeno del capitale finanziato, per effetto dell'esclusiva iniziativa di So., aveva subito un incremento, con l'avvio di una pressione sulla rete commerciale della banca per il collocamento delle azioni medesime. D'altronde, sul punto, lo stesso coimputato GI., al di là della generica chiamata in correità di tutti i componenti del CdA della B. e di tutti i dirigenti di vertice, non aveva fornito specifici elementi probatori a carico dello ZO.. In definitiva - ha sostenuto l'appellante - tanto la genesi del fenomeno, quanto la sua successiva gestione, erano imputabili a decisioni operative facenti capo al predetto Sa.So.. Inoltre, il tribunale, pur in presenza delle marcate divergenze ravvisabili tra gli esiti degli elaborati predisposti, rispettivamente, dai consulenti del P.M. e della difesa, in ordine all'entità ed alle caratteristiche del fenomeno del capitale finanziato, per un verso aveva respinto la richiesta di perizia sul punto (peraltro motivando il rigetto unicamente con riferimento al profilo dell'entità di detto fenomeno); e, per altro verso, si era supinamente allineato alle conclusioni dei cc.tt. del P.M. (sostenendo, al riguardo, che la relazione del consulente della difesa prof. Gualtieri non aveva proposto una quantificazione alternativa del fenomeno in esame, senza tenere conto del fatto che era stata proprio l'assenza di prove disponibili circa la natura correlata o meno di talune operazioni ad avere impedito tale quantificazione alternativa). A tale riguardo, innanzitutto, il difensore ha evidenziato l'errore nel quale era caduto il tribunale, alla luce della disciplina (circolare 263/2006 di Banca d'Italia) vigente all'epoca di gran parte delle operazioni "incriminate", nell'escludere che la sussistenza del nesso teleologico tra finanziamento ed acquisto delle azioni costituisse dato rilevante per l'individuazione delle operazioni di capitale finanziato. Trattavasi, al contrario, di elemento all'uopo essenziale, non potendosi a tal fine unicamente considerare il fattore rappresentato dalla coincidenza temporale tra i due negozi, pena un automatico obbligo di deduzione dal capitale di vigilanza privo di effettivo ancoraggio normativo. Parimenti errata, poi, era la conclusione secondo la quale l'obbligo di deduzione avrebbe operato tanto con riferimento alle operazioni di acquisto di azioni dell'istituto di credito in sede di aumento di capitale quanto all'atto di acquisto di dette azioni sul mercato secondario. In realtà, poiché solo gli acquisti del primo tipo generavano, a carico della banca, un rischio di impresi; era solo a detti acquisti che conseguiva l'obbligo di deduzione. Che, poi, la disciplina di riferimento nulla precisasse sul punto, come pure evidenziato dal tribunale, derivava dall'ovvietà della circostanza. Né potevano confondersi, in ragione della diversa ratio economica di riferimento, i finanziamenti erogati in vista dell'aumento di capitale con quelli erogati per l'acquisto di azioni già emesse, con l'effetto che, proprio in ragione di tale differenza, solo i primi facevano scattare l'obbligo di deduzione dal capitale di vigilanza. Del resto, un esplicito ancoraggio normativo a tale interpretazione poteva ravvisarsi nella disposizione di cui all'art. 28 CRR, dalla quale era possibile evincere che gli strumenti rilevanti ai fini del CET 1 erano quelli interamente liberati e non finanziati dall'ente che li aveva emessi. Nella prospettiva dell'appellante, infatti, gli unici casi nei quali gli acquisti di azioni sul secondario comportavano l'obbligo di deduzione erano - come, peraltro, ben spiegato dal consulente prof. Gu. - quelli rispetto ai quali la banca si era assunta un obbligo di acquisto ad un dato valore nominale, ovvero che erano stati effettuati, a seguito di finanziamento, da clienti privi di merito creditizio. Questo proprio perché, in entrambi i suddetti casi, la banca finiva per assumere in proprio il relativo rischio di impresa. Ulteriore seria imprecisione nella quale era incorso il primo giudice, poi, era ravvisabile nel passaggio della motivazione nel quale era stato escluso che il merito creditizio assumesse rilievo ai fini della computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza. In effetti, ciò era vero esclusivamente con riferimento alle azioni di nuova emissione. Infine, il giudizio del tribunale era stato ulteriormente viziato dalla confusione tra le pratiche di sviluppo commerciale tipico delle società cooperative ed il fenomeno del capitale finanziato. A ben vedere, infatti, la proposta ai clienti di diventare soci attraverso l'acquisto del pacchetto azionario minimo poteva essere legittima o meno a seconda della prospettazione di vantaggi ovvero dell'adozione di modalità ricattatorie incidenti sulla conclusione del negozio (quali, ad esempio, il subordinare la concessione del finanziamento alla previa acquisizione dei titoli). Tuttavia, le modalità eventualmente illegittime adottate nella vendita dei titoli non avrebbero per ciò solo reso "finanziata" una operazione che non aveva le caratteristiche per la deduzione. In definitiva il primo giudice aveva sbrigativamente liquidato le argomentate conclusioni del prof. Gu., giungendo ad esiti errati con specifico riferimento al grado di diffusione delle operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni. Ciò era dipeso dai vizi metodologici che avevano caratterizzato la consulenza disposta dal p.m., poi integralmente accolta dal tribunale. Quindi, l'atto di appello ha passato in rassegna le risultanze probatorie inerenti alle vicende, individuate secondo il "campione" (necessariamente parziale) selezionato dalla pubblica accusa e ritenute dal tribunale significative della conoscenza da parte dello ZO. del fenomeno del capitale finanziato e del ruolo concretamente rivestito, in proposito, dal predetto imputato. E, a tale disamina, il difensore ha premesso l'avvertenza che tutti i clienti coinvolti nelle operazioni "baciate", avendo subito perdite milionarie in ragione dell'azzeramento del valore del titolo, avevano reso deposizioni che ponevano non trascurabili problemi di piena attendibilità, sotto il profilo del disinteresse alla esatta ricostruzione dei fatti, e che, ciononostante, avevano fornito contributi testimoniali dai quali si ricavava l'estraneità dell'imputato ai fatti sub iudice. In particolare, il difensore ha rievocato la deposizione dell'industriale Al.Fe., il quale - nonostante avesse contratto operazioni "baciate" per circa 18 milioni e ad onta del suo incarico presso il CdA di Servizi Bancari - mai aveva riferito di avere parlato delle operazioni in questione con ZO. (e neppure con il presidente del Collegio Sindacale, Za.). Analoghe considerazioni, poi, valevano per le deposizioni rese da Ca. Em., Br.Ca., Bo.Lo., Ca.Pi. (nonostante questi avesse concluso operazioni "baciate" per venti milioni di euro), Fa.An. (il quale, sebbene non avesse concluso operazioni "baciate", aveva investito somme consistenti nelle azioni della banca), Fe.Lu., Bu.Sa., D.Fr.Ma., Da.Vi.Pi., Va.Lu., Ro.Gi. (il quale, pur avendo sostenuto che il presidente avrebbe dovuto necessariamente essere al corrente della questione, aveva tuttavia escluso di avere parlato di tale questione espressamente con il medesimo presidente o comunque, aveva precisato di non serbarne memoria), Br.Fa., Ta.Ed., Fa.Al., Ri.Fr., De.Ch.Re., Co.Il., Ti.Da., Ti.An., Ma.Si., Tr.Al., Se.Al., To.En., Ba.Al.Te., Se.Cl.. Altrettanto doveva dirsi, poi, con riferimento a quanto dichiarato da Ma.Va., amministratore del gruppo So., il quale aveva trattato una importante operazione esclusivamente con il d.g. So. (e con An.Pi. della Divisione Finanza), Infine, quanto alla deposizione di Ca.Si., il difensore ha evidenziato come costui, dopo avere sostenuto in sede di indagini che, allorquando aveva manifestato perplessità sull'operazione, il funzionario della banca che gli aveva proposto tale operazione aveva replicato che "Gi. e De.Fr." gli avrebbero potuto adeguatamente illustrare, in occasione di una cena, i dettagli dell'operazione, in sede dibattimentale aveva poi mutato versione individuando nello ZO. il soggetto che, secondo il medesimo funzionario, gli avrebbe potuto chiarire i termini della questione onde rassicurarlo. Si era in presenza, ad avviso del difensore, di una testimonianza davvero sintomatica dell'"inquinamento" della genuinità delle deposizioni conseguente ad anni di clamore mediatico in ordine alla posizione di "padre padrone" della banca che i media avevano attribuito allo ZO.. A ben vedere, dalle citate deposizioni testimoniali era emerso che mai l'imputato aveva intrattenuto rapporti con i clienti (tranne in qualche occasione di rappresentanza, ovvero istituzionale) e che, in ogni caso, mai con costoro aveva trattato (e ancora meno concluso) operazioni "baciate". Infatti, neppure nel corso delle occasioni di contatto conviviale (ivi comprese le cene organizzate da Lo.Tr.) ZO. aveva affrontato il tema delle operazioni "baciate". Ciò emergeva dalle deposizioni rese dai testi Mo., Lo.Tr., Ra.Gi.. Perfino un teste ostile come Lo.Da. era stato costretto a riconoscere che mai aveva avuto colloqui con l'imputato in merito alle "baciate", mentre il teste Ra. Silvano aveva unicamente riferito di rassicurazioni generiche fornitegli dallo ZO. a fronte di richieste formulate dallo stesso teste in termini altrettanto vaghi. Inoltre, anche le testimonianze degli "amici" dell'imputato deponevano tutt'altro che a sfavore di quest'ultimo, posto che: - Ca.Re. - cfr. anche deposizione Am. - aveva bensì goduto di tassi di favore, ma non aveva trattato la questione con l'imputato e, in ogni caso, non aveva concluso operazioni "baciate"; - Ri.Fe. aveva reso dichiarazioni assolutamente generiche; - Ir.Do. e, in particolare, il di lei figlio, Ha.Mi., non avevano trattato di operazioni "baciate" con ZO., bensì con altri interlocutori; - Ra.Fo.Fe., a sua volta, non aveva affrontato il tema delle "baciate" con l'imputato; - Be.de.Pa., il quale aveva parimenti affermato di non avere parlato delle "baciate" con ZO., non poteva ritenersi smentito dai testi Gi. e Ba., posto che l'affermazione in tal senso del primo giudice era sfornita di qualsivoglia apparato motivazionale di sostegno. Si aggiunga che, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, né ZO., né le società del gruppo e neppure i familiari del predetto avevano mai concluso operazioni "baciate", fatta eccezione per il cognato dell'imputato, Zu.Fr., il quale, tuttavia, nelle dichiarazioni rese ex art. 391 bis co.2 c.p.p., acquisite al fascicolo del dibattimento, aveva precisato che mai ne aveva parlato con il proprio affine. La stessa "vicenda Ma." (vicenda che, trascurata in sentenza, è stata invece dettagliatamente ripercorsa nell'atto di appello) avrebbe dovuto ritenersi sintomatica, nella sua assoluta inverosimiglianza, del vero e proprio accanimento della pubblica accusa nella ricerca di elementi di responsabilità a carico dell'imputato. Neppure dalle dichiarazioni rese dai funzionari e dirigenti B. - ha proseguito l'appellante - era possibile desumere che ZO. fosse consapevole dell'esistenza del capitale finanziato. Nessuno di costoro, infatti, aveva avuto con l'imputato colloqui inerenti al fenomeno in esame, né aveva appreso da altri colleghi di conversazioni aventi tale oggetto alle quali avesse preso parte il presidente dell'istituto. Così era con riferimento alla deposizione del private banker Ri., dalla quale era peraltro emerso il rapporto di assoluta sudditanza tra il responsabile dell'audit Bo. ed il d.g. So.; così con riferimento alle deposizioni di Gi., dapprima responsabile della più importante area di B. e poi direttore interregionale; così, ancora, in relazione ai contributi dichiarativi: di Tu., direttore regionale (il quale aveva escluso che il coimputato GI. avesse mai parlato del fenomeno in esame allo ZO.), di To., vicedirettore e, quindi, direttore generale area Toscana, di Pa. (responsabile ufficio legale B.), di Ro., responsabile della Direzione Sviluppo, di Cu., capo area Friuli, di Ba., capo area Vicenza sud-ovest, di Te., private area Bassano, di Veronese, capo area Castelfranco e direttore regionale, di Ca., capo, area Treviso, di Da., capo area Vicenza nord, di Pi., direttore area Prato e, successivamente, direttore Veneto occidentale, di Bo., capo area Vicenza, di Ip., responsabile area Brescia, di Gi., di Ma., responsabile corporate Vicenza sud ovest, di Si., responsabile zona Th. e Sc., di Ni., capo zona Bassano, di Pr., capo area province Padova e Rovigo, di Ro., responsabile Ufficio Soci, di Be., viceresponsabile di area, di St., gestore di patrimoni private, di Sa., responsabile divisione estero, di Me., direttore della filiale di Asti, di Ta., direttore private e affluent; così, infine, in relazione alle deposizioni: di Pa. (deposizione pure valorizzata dal tribunale per sostenere il pervasivo controllo del presidente anche sull'operatività spicciola" e, segnatamente, in tema di campagne pubblicitarie); di Gi., direttore regionale di Lombardia, Piemonte e Liguria (il quale, con specifico riferimento alle operazioni "baciate" effettuate da Be.de.Pa., aveva bensì sostenuto che quest'ultimo ne avesse parlato con lo ZO., ma aveva precisato che il medesimo teste, personalmente, non aveva affrontato la questione con l'imputato) e di Ba.. Neanche dalle dichiarazioni dei soggetti addetti agli organi di controllo interno, ovvero dai membri dell'alta direzione (segnatamente, i coimputati), erano emersi elementi ai quali ancorare fondatamente l'affermazione della conoscenza, da parte dello ZO., del capitale finanziato. Quanto ai primi, l'appello ha richiamato le deposizioni del membro del Collegio Sindacale Za., nonché dei consiglieri di amministrazione Do., Co., Ro.di.Sc. e Ti., del vicepresidente Mo. e di Mi.. Quanto ai secondi il riferimento è stato all'esame reso, sul punto, dal coimputato ZI., il quale, per un verso, aveva decisamente escluso che in CdA fosse mai stato affrontato il tema in esame e che ZO. fruisse di un flusso informativo differenziato rispetto a quello degli altri consiglieri; per altro verso, con riferimento all'"operazione Ze.", aveva specificamente riferito che non si era parlato con ZO. di finanziamento correlato; e, per altro verso ancora, aveva evidenziato come l'imputato, a decorrere dagli anni 2012-2013, non avesse più avuto un'idea precisa dei conti della banca ed avesse maturato l'intenzione di dimettersi dalla presidenza nel 2016, in occasione dei 150 anni di vita dell'istituto. Peraltro, anche l'intercettazione del colloquio ZI.-Bo. del 25.8.2015 (inerente all'azione di responsabilità avviata dall'istituto nei confronti del d.g, So.) confermava il tenore delle dichiarazioni rese, con riferimento allo ZO., dal coimputato ZI.. Inoltre, ad essere valorizzate dall'appellante erano anche le deposizioni dei coimputati PI. e PE., oltre al tenore dell'intercettazione dei colloqui intercorsi tra il coimputato MA. e, rispettivamente, i funzionari Bo. (intercettazione nr. 259 del 28.8.2015) e Cu. (intercettazione nr. 526 del 9.9.2015), trattandosi di conversazioni dalle quali era stato possibile apprendere che tanto MA. quanto il Cu. non avevano mai affrontato con il presidente il tema delle operazioni "baciate". Quindi, con specifico riferimento alle dichiarazioni del GI. -dall'appellante qualificato come il vero e proprio dominus" fin dalle origini, di tutte le operazioni "baciate" - il difensore ha evidenziato come la generalizzata chiamata in correità formulata dal predetto (peraltro non accreditata di attendibilità in sentenza, se non con riferimento alla posizione dello ZO.) fosse stata smentita dai dati processuali disponibili e, segnatamente: - dal documento nr. 857 del P.M., costituito da un appunto manoscritto proveniente dallo stesso ZO., intitolato "dichiarazioni Gi." e contenente il riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati, documento dal quale era possibile arguire, sul piano logico, che l'imputato aveva appreso dell'esistenza di tale fenomeno solo allorquando, in data 4.5.2015, aveva raccolto le dichiarazioni del predetto GI.; - dalla deposizione resa il 3.7.2019 dal teste Tu., vice di GI.; - dall'intercettazione del colloquio intercorso tra La.Pi., membro del collegio sindacale, ed il medesimo GI., il quale ultimo neppure in un contesto di espliciti riferimenti ed ammissioni in ordine alle irregolarità degli storni e delle lettere di garanzia aveva coinvolto il presidente in dette irregolarità. Di analogo tenore, poi, era anche la conversazione nr. 2261, relativa al colloquio GI.-ZI. del 24 settembre 2015, trattandosi di colloquio dal quale emergeva che nessuno era a conoscenza dell'entità del fenomeno." D'altronde, nessun esplicito/implicito riferimento al tema delle operazioni "baciate" era contenuto in oltre 2000 ore di registrazione delle riunioni del CdA. In definitiva, il tribunale aveva ritenuto ZO. consapevole dell'esistenza del fenomeno del capitale finanziato pur in presenza di una sequela di testimoni che avevano deposto in senso contrario. Infatti, oltre un centinaio di testi erano stati escussi e pressoché tutti avevano concordemente affermato l'estraneità dell'imputato rispetto a tale fenomeno. Né, del resto, il giudice di prime cure aveva speso considerazioni di sorta per dimostrare la conoscenza in capo all'imputato della criticità dei fondi lussemburghesi, ovvero della presenza delle lettere di garanzia e degli storni, ovvero ancora degli interessi riconosciuti ai clienti che concludevano operazioni "baciate". Ma anche l'argomento, sostanzialmente unico, speso dal primo giudice a sostegno dell'affermazione di responsabilità - ovverosia il ruolo di vertice ricoperto dall'imputato all'interno dell'istituto di credito, in modo "pervasivo", secondo un modello "autocratico" e con una "logica padronale" - appariva obiettivamente infondato. Innanzitutto, non era affatto vero che ZO. avesse pilotato le decisioni degli esponenti di vertice dell'istituto (a partire dal d.g. So., fino ai membri del Collegio Sindacale e dei CdA), essendosi in presenza di interlocutori (imprenditori e professionisti) con competenze tecniche non certo inferiori a quella del presidente. Peraltro, l'istituto operava affidandosi al lavoro di tecnici esperti (era il caso, ad esempio, del prof. Bi.). Né persuadeva la valorizzazione, in chiave accusatoria, del fatto che le decisioni del CdA fossero assunte all'unanimità. In ogni caso, occorreva tenere distinto il piano della scelta "dello staff" e delle opzioni strategiche, inerenti alla politica di espansione della banca, da quello delle modalità tecniche di attuazione di tale "indirizzo politico". In effetti, l'imputato trascorreva pochissimo tempo presso la sede dell'istituto di credito (cfr. deposizione della teste Ca.Li.) e non conosceva ('"operatività tecnica" della banca (cfr. deposizione del teste Um.Se.). Era bensì temuto - in quanto era colui che "comandava", come riferito dal teste Pa. -ma questo non significava affatto che conoscesse il fenomeno del capitale finanziato. Del resto, l'ingerenza del presidente nella vendita delle azioni non poteva essere desunta dalle dichiarazioni rese, sul punto, dal predetto Pa. (dichiarazioni, peraltro, smentite dal teste di riferimento Ro.), né dai documenti prodotti dal P.M. sub 31 e 321 (trattandosi di documenti sostanzialmente irrilevanti sul punto), ovvero dall'autorizzazione data, dall'imputato alla vendita delle azioni possedute dallo ZI. (trattandosi di un membro del consiglio di amministrazione) e neppure, infine, dall'appunto redatto da So. recante la dizione "Ro. fascicoli procedure" (nulla essendo emerso sull'esatto oggetto della conseguente discussione). In ordine alla gestione della "divisione estero", poi, la deposizione del teste Sa. - il quale aveva riferito che il presidente era solito informarsi sull'andamento economico del settore - non provava certo che ZO. si fosse ingerito nell'attività tecnica della banca. Così come le dichiarazioni rese dall'imputato nella riunione 11.11.2014 in ordine ad un articolo di stampa che aveva messo in dubbio il valore del titolo non assumevano reale rilevanza in chiave accusatoria, in quanto non univocamente sintomatiche della conoscenza del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre, quanto riferito dal teste Gi. - secondo il quale, a fronte delle difficoltà nella vendita delle azioni da parte dei soci che intendevano liberarsene, l'imputato aveva ipotizzato l'intervento della banca a mezzo finanziamenti - avrebbe dovuto essere interpretato non già come l'espressione di un parere favorevole al ricorso ad operazioni "baciate", bensì come una proposta di sostegno finanziario da erogarsi in favore degli stessi soci titolari dei titoli, in attesa della vendita degli stessi. Con riferimento, quindi, ai documenti valorizzati dal tribunale per affermare un ruolo operativo del presidente, l'appellante ha evidenziato; - quanto agli appunti di So. relativi alla riunione di budget 9.12.2011, che si trattava di documento che non dimostrava affatto un ruolo "operativo" del presidente; - quanto al documento 322 della produzione del P.M, che si era in presenza di una e-mail (nella quale il dipendente Ro. si lamentava di essere stato costretto, mentre era in ferie, a contattare il d.g. ed il presidente) parimenti priva di significativo rilievo sul punto; s quanto alla e-mail di cui al documento 320 della produzione del P.M., nella quale si riferiva che il presidente sosteneva "che occorre incrementare il possesso azionario delle Za.", che il reale significato di detta comunicazione era stato successivamente chiarito dal teste Ro. (il quale, sul punto, aveva precisato come Za. fosse un socio che stava a cuore allo ZO. in quanto "socio storico", sicché, in questa prospettiva, le istruzioni impartite dall'imputato perdevano di significato, non attestando affatto che il predetto avesse effettiva contezza dei portafogli delle singole posizioni); - quanto al documento 521 della produzione del P.M., che si trattava di una e-mail relativa ad un intervento di repricing dalla quale emergeva bensì l'esistenza di posizioni di "intoccabili" ma che, per un verso, non era diretta all'imputato e, per altro verso, neppure conteneva riferimenti a quest'ultimo. Allo stesso modo, privo di significativo rilievo in chiave accusatoria era il contenuto della trascrizione della seduta del Comitato di Direzione del 10.11-2014. In effetti i passaggi della suddetta trascrizione inerenti, da un lato, allo svuotamento del fondo azioni proprie attraverso il ricorso alla "Fondazione CR Lucca" e, dall'altro lato, alla circostanza che il presidente ed il d.g., avrebbero di lì a poco avuto un incontro con i rappresentanti di tale istituto, non significavano affatto, tenuto conto dell'esatto tenore delle espressioni nell'occasione proferite, che il suddetto incontro fosse stato fissato in vista dell'investimento, bensì l'esatto contrario. Inoltre, la frase "Il presidente vuole vedere i numeri", proferita da An.Fa. nel corso del medesimo comitato, attestava unicamente l'interesse dell'imputato ad approfondire, con il conforto dei dati, un non meglio precisato aspetto di quanto oggetto di discussione nel corso di tale seduta. Ad avviso dell'appellante anche i rapporti tra ZO. e So. - rapporti ai quali la sentenza aveva pure attribuito ampio risalto, interpretandoli nel senso di uno stretto rapporto di collaborazione tra i due - avrebbero dovuto essere diversamente spiegati. In particolare, nessuna "insana complicità", volta a coprire una operatività illecita, aveva spinto il primo a sostenere la nomina del secondo, nel febbraio del 2015 (ovverosia in un momento di palese criticità per l'istituto), a consigliere delegato, bensì il solo, comprensibile interesse a conferire maggiore autonomia gestionale ad un soggetto apicale nei confronti del quale l'imputato nutriva stima. Peraltro, anche i tre messaggi di cui ai documenti nn.ri 653, 654 e 655, espressamente richiamati m sentenza (e relativi a comunicazioni in cui MA. o GI. avevano sollecitato So. a parlare col presidente di alcune posizioni che sarebbero poi risultate "baciate") potevano essere ragionevolmente intesi come finalizzati a preparare il terreno affinché il presidente nulla avesse da eccepire sulla concessione dei finanziamenti, piuttosto che come espressione di un consapevole coinvolgimento dello ZO. in tali operazioni correlate. La stessa risoluzione del rapporto con il d.g., poi, era stata frutto di una decisione - assunta, peraltro, dopo che era oramai emersa la realtà dei fatti - condivisa dalla dirigenza. Inoltre, la repentinità di tale iniziativa, lungi dal dimostrare una complicità dell'imputato con il direttore generale, era espressione di virtuosa capacità di assicurare la necessaria soluzione di continuità nella gestione dell'istituto, coerentemente con le direttive della BCE. L'inserimento della clausola di riservatezza, infine, rientrava nella prassi ordinaria in situazioni consimili. Le conclusioni cui era pervenuto il tribunale - ha proseguito l'appellante - non trovavano sostegno neppure nelle intercettazioni telefoniche, posto che quella, già sopra citata, relativa al colloquio tra lo ZI. ed il Ba. (nel corso della quale il primo aveva sostenuto che ZO. e il direttore generale "viaggiavano a braccetto") non era altro che espressione della obiettiva sintonia tra i due (come spiegato, del resto, dallo stesso ZI.), ma non provava nulla di più. Quanto, poi, ai colloqui intrattenuti dal So. (nn.ri 459 del 31.8.2015, 300 del 7.9.2015, 610 del 2.9.2015, 845 del 6.9.2015), si trattava di conversazioni che non indicavano affatto che il presidente fosse a conoscenza delle operazioni di capitale finanziato (e, men che meno, della questione, connessa, inerente alla mancata decurtazione dal capitale di vigilanza), potendo, in effetti, prestarsi a differenti interpretazioni e, segnatamente, legittimando la conclusione di una ben più generica conoscenza dei fatti. Questo, a fortiori, ove si fosse debitamente considerato che il predetto So., nel periodo di riferimento (da collocarsi in una fase in cui gli accertamenti BCE avevano oramai portato alla luce le gravi irregolarità gestionali), aveva un evidente interesse a sminuire il proprio ruolo e a sovradimensionare quello dello ZO.. Inoltre, l'appellante ha preso in considerazione tutti i rapporti con la clientela considerati dal primo giudice espressione del coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni correlate. Ebbene, anche in questi casi (assai pochi, peraltro in rapporto a quelli, molto più numerosi, in cui i clienti avevano escluso qualsivoglia rapporto con il presidente), le deposizioni degli investitori non provavano in alcun modo la responsabilità dell'imputato: - così era per Ca., il quale, del resto, aveva impiegato fondi propri per l'acquisto delle azioni; - così per Pi., posto che costui, pur avendo riferito di avere parlato con ZO. dei finanziamenti ricevuti per l'acquisto delle azioni, aveva reso una deposizione contraddittoria (anche alla luce del "memorandum" prodotto in dibattimento e dei documenti dalle difese, che ne smentivano la presenza tra gli ospiti che avevano soggiornato nella residenza dell'imputato di Ca.d.), tenuto peraltro conto delle reali finalità all'origine delle operazioni di acquisto di azioni dell'istituto effettuate dal predetto Pi., finalità non già "di cortesia", bensì speculative; s così per Be.de.Pa., il quale aveva negato di aver parlato col presidente delle sue operazioni di capitale finanziato (mentre le contrarie dichiarazioni de relato rese dal Gi. - espresse, peraltro, in forma dubitativa - erano state smentite, per l'appunto, dal teste di riferimento), - così per le dichiarazioni della Ir., posto che costei aveva riferito che l'imputato l'aveva dirottata sul direttore generale (e che il teste Cu. aveva precisato, al riguardo, che a trattare l'operazione erano stati il GI. ovvero il So.); - così, inoltre, per i fratelli Ra., tenuto conto del tenore generico delle relative deposizioni in ordine alle rassicurazioni ricevute dall'imputato circa l'andamento dei loro investimenti; - così, ancora, per quanto riferito dallo Zu. e dal Ri., essendosi in presenza di dichiarazioni che, a ben vedere, deponevano in termini esattamente contrari alla consapevolezza dell'imputato in ordine al fenomeno del capitale finanziato, - così, infine, per la testimonianza di Ro., in quanto la convinzione da questi maturata in ordine alla conoscenza, in capo allo ZO., dei finanziamenti correlati era frutto di una mera deduzione personale ("io faccio riferimento alia mia azienda, Le responsabilità sono sempre del presidente", "per svolgere il compito di presidente sicuramente avrà dovuto sapere tutto"...) non già di dati concreti aventi reale efficacia probante. Quindi, l'appellante ha rievocato la registrazione del colloquio che aveva avuto luogo, tra GI. e ZO., poco prima dell'inizio del CdA del 18.6.2013, colloquio inerente ai finanziamenti chiesti dall'imprenditore catanese Ri.Co.. Ebbene, che si fosse trattato di una richiesta finalizzata a porre in essere una operazione "baciata" era una conclusione cui il tribunale era pervenuto in assenza di adeguato sostegno probatorio. Infatti, per un verso, le dichiarazioni rese sul punto dal coimputato GI. erano contraddette dalla versione dello ZO., secondo il quale l'invito che lui stesso, nell'occasione di tale colloquio, aveva rivolto al predetto GI. E meglio essere prudenti, poiché chiacchiera, chiacchiera...") non dipendeva affatto dalla natura illecita delle operazioni che interessavano il Co. (operazioni nelle quali, pertanto, non era prudente coinvolgere soggetti delle cui riservatezza non si avevano garanzie), bensì dalla scarsa solidità patrimoniale di tale imprenditore; e, per altro verso, quest'ultimo aveva negato di avere mai affrontato con ZO. il tema dei finanziamenti inerenti all'acquisto di azioni. Questo, senza che la circostanza che dall'agenda dell'imputato risultasse un incontro tra i due potesse provare il contrario, ben potendo le parti avere discusso, nell'occasione di tale contatto, di operazioni diverse da quelle "baciate". Né il tribunale aveva minimamente illustrato le ragioni che lo avevano indotto a privilegiare la lettura dell'evento fornita dal coimputato GI. rispetto a quella proposta dal teste Coffa. Infine, neppure i rapporti tra ZO. e il gestore private Ri. rivestivano un rilievo gravemente indiziente. In effetti, sebbene quest'ultimo fosse stato uno dei maggiori artefici delle "baciate", la circostanza che avesse al contempo gestito il portafogli dell'imputato non provava alcunché. Piuttosto, il fatto che ZO. mai avesse posto in essere operazioni di tale natura (avendo egli sempre acquistato azioni della banca con risorse proprie) deponeva, sul piano logico, in senso contrario. In definitiva, la sentenza era caratterizzata, per un verso, dalla sistematica pretermissione dei dati probatori che orientavano nel senso dell'estraneità dello ZO. ai reati contestati e, per altro verso, dalla eccessiva valorizzazione degli "scarni e vaghi" elementi di prova emersi a carico dell'imputato medesimo. 2.4-3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 4 dell'impugnazione), poi, l'appellante ha censurato l'affermazione di penale le responsabilità sul rilievo dell'assenza di riscontro in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico dei delitti oggetto di addebito. In effetti, la contestazione elevata a carico dello ZO. di avere avallato la prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto delle azioni dell'istituto - contestazione già assai problematica sotto il profilo della tipizzazione del contributo concorsuale asseritamente offerto dall'imputato, sul quale, in effetti, non incombeva alcuna posizione di garanzia attivabile in chiave di concorso omissivo nell'altrui reato - presupponeva la consapevolezza in capo allo stesso ZO. dell'esistenza del fenomeno in esame. Sul punto, il difensore, nel sottolineare, anzitutto, la problematicità della stessa definizione delle operazioni "baciate", a fortiori nel periodo in esame, allorché l'unico riferimento normativo era costituito dalla circolare 263/2006 della Banca d'Italia (circolare che parificava le operazioni di finanziamento effettuate dalla banca per finalità di acquisto di azioni proprie al riacquisto dei titoli), ha precisato che tale riacquisto, sotto il profilo contrattuale, era caratterizzato da un "atto coordinato" tra finanziamento ed acquisto delle azioni. Ebbene, ad avviso del primo giudice, perché scattasse l'obbligo di decurtazione dal patrimonio di garanzia dei finanziamenti concessi ai soci, era sufficiente che vi fosse, tra il credito concesso e l'acquisto dei titoli, una "relazione di tipo oggettivo". Tuttavia, tale conclusione contrastava con la natura propria delle Ba.Co., ovverosia di istituti di credito che frequentemente erogavano finanziamenti a soggetti che erano già soci, oppure lo divenivano contestualmente, con l'ulteriore complicazione conseguente alla stessa fungibilità del denaro (sicché era arduo stabilire, anche nel caso di contiguità cronologica tra finanziamento ed acquisto, se le risorse oggetto del credito erogato dalla banca fossero poi state utilizzate per l'acquisto delle azioni). Di qui - ad avviso dell'appellante - la necessità di ricorrere, per individuare le "operazioni baciate", proprio a quell'ulteriore criterio del "nesso teleologico" che era stato illustrato dal consulente della difesa, prof. Gu.. In effetti, i criteri adottati dagli ispettori BCE e, segnatamente, sia quello cronologico (con l'individuazione di un periodo di riferimento di "tre mesi"), sia quello quantitativo (secondo il quale l'ammontare finanziato avrebbe dovuto essere superiore al sottoscritto), non potevano ritenersi appaganti. In particolare il primo di tali criteri, privo di ancoraggio normativo, era stato stabilito unilateralmente ed in via convenzionale. In ogni caso l'insufficienza di tali parametri era emersa anche nel corso del dibattimento, là dove, per un verso, gli stessi cc.tt. del P.M. avevano evidenziato la necessità dell'esame delle singole posizioni riferibili alla clientela e, per altro verso, l'ispettore Ga. aveva segnalato l'esigenza di analisi dettagliata del conto corrente di ciascun cliente. Ebbene, era proprio la complessità delle operazioni necessarie per la comprensione del fenomeno a rendere inverosimile che il presidente avesse potuto apprendere delle operazioni "baciate" nel corso delle attività del CdA, ovvero dall'esame dei dati dei quali disponeva in virtù della carica ricoperta. Questo, a fortiori, ove si fosse prestata la debita attenzione al fatto che i finanziamenti correlati che avevano caratterizzato l'operatività di B. non erano stati "statici" ma erano spesso cambiati nel tempo in ragione di rimborsi ovvero per altre cause (come segnalato dal teste Tr. all'udienza 5.11.2019 e come evidenziato dallo stesso consulente del P.M. dott. Pa. all'udienza 12.11.2019, là dove questi aveva suggestivamente paragonato l'esito dell'attività di consulenza non già ad una fotografia del fenomeno in esame bensì ad un film che, di tale fenomeno, aveva seguito l'andamento a decorrere dal 30.6.2012 e fino al 31.3.2015). Fatta tale premessa e ulteriormente precisato come, con riferimento alla posizione dei coimputati ZI. e PE., il primo giudice avesse correttamente escluso il coinvolgimento di costoro proprio in considerazione della difficoltà di identificare una "operazione baciata", l'appello ha evidenziato, nell'ordine: - che lo ZO., per un verso, non era affatto dotato di una competenza maggiore di quella propria dello ZI. e, per altro verso, non aveva fruito di informazioni maggiori di quelle a disposizione di tale coimputato, come emerso nel corso dell'istruttoria e come già evidenziato nello stesso atto di impugnazione; - che la prova del dolo, tanto con riferimento alla componente rappresentativa quanto a quella volitiva, non tollerava il ricorso a schemi presuntivi (neppure se "agganciati" a ipotetiche ed indimostrate posizioni di "dominio informativo") e men che meno a "indici di sospetto", pena la trasformazione "della colpa in dolo" e la degradazione "del dolo ad eventualità di dolo", proprio per effetto di una inammissibile semplificazione probatoria; - che, con riferimento al tema della decurtazione dei finanziamenti dal patrimonio di vigilanza, lo scarto tra realtà effettiva e dati patrimoniali contabilizzati costituiva un elemento centrale nella ricostruzione dell'oggetto del dolo; - che era già l'impiego, per alludere alle operazioni "baciate", di una sequela di differenti espressioni ("operazioni baciate", "operazioni correlate", "operazioni K", "big ticket", "operazioni di portage", tanto che "ogni area aveva le sue definizioni come precisato dal teste Ba.) a rendere vago il concetto di riferimento; concetto, peraltro, parimenti indeterminato anche quanto alle modalità di ricostruzione (stante la evidenziata diversità di approcci "criteriologici"); - che, per la prova del dolo in ordine alle comunicazioni che avevano omesso di registrare, decurtandoli, i finanziamenti correlati, non poteva ritenersi sufficiente una generica consapevolezza (peraltro, nella specie, insussistente) del fenomeno in esame, ove non accompagnata anche dalla conoscenza della entità delle relative dimensioni in termini di significatività tali da alterare i valori patrimoniali di bilancio e, a cascata, quelli del titolo B.; - che la peculiare natura di banca popolare dell'istituto vicentino rendeva non agevole la distinzione tra la qualifica di socio e quella di "affidato", specie in assenza di censure da parte degli organi di controllo, tanto che, sotto il primo profilo, era generalmente ritenuto fisiologico che il socio avesse pacchetti azionari, depositasse le proprie liquidità in banca e si facesse anche finanziare dalla banca medesima, sicché disporre di informazioni al riguardo costituiva elemento probatoriamente "neutro" ai finì in esame (donde l'irrilevanza di quanto emerso in ordine alle comunicazioni intercorse tra alcuni soci ed il presidente ZO., anche in occasione delle cene periodiche); - che, tenuto conto della contestazione del reato in forma concorsuale, non erano emersi elementi di sorta per ipotizzare la tesi di un previo concerto tra i diversi coimputati ed ipotetici concorrenti; - che, in ogni caso, una eventuale "vaga conoscenza" della possibilità che fossero state realizzate alcune operazioni irregolari, la mancata decurtazione delle quali non avrebbe determinato significativi scostamenti del Tier 1, ovvero degli altri parametri di bilancio (plurime testimonianze, invero, avevano evidenziato come un minimo di operazioni irregolari sarebbero state tollerate o, comunque, considerate non materialmente rilevanti), non poteva certo equivalere alla rappresentazione (e successiva volizione) del fenomeno in concreto realizzatosi, la prova del dolo richiedendo la rappresentazione e volizione "del fatto storico nella sua globalità" (con 1 conseguente irrilevanza dell'eventuale conoscenza delle operazioni poste in essere dai soli clienti Pi., Da.Ro. o Ro.); - che, d'altra parte, neppure era consentito "compensare" un deficit del momento volitivo con un solido momento rappresentativo In definitiva, per non giungere ad una inaccettabile ed incostituzionale equiparazione tra conoscibilità e conoscenza dell'oggetto del dolo e per evitare, in sostanza, di travestire un rimprovero sostanzialmente colposo sotto le mentite spoglie di un rimprovero doloso, quei "segnali d'allarme" che la giurisprudenza aveva ripetutamente valorizzato quali indicatori tanto della componente rappresentativa quanto della "accettazione del rischio", non solo avrebbero dovuto essere "perspicui e peculiari", ma anche effettivamente percepiti come fattori annunciane un illecito in itinere. Ad essi, poi, si sarebbe dovuto necessariamente accompagnare il momento volitivo. Ebbene, nel caso di specie, i segnali d'allarme che l'imputato ZO. aveva ricevuto erano sostanzialmente gli stessi (difficoltà del mercato secondario; detenzione di azioni proprie da parte dei fondi; segnalazioni del socio Da.Gr. e dell'avv. Es.; articoli di stampa; riacquisti di azioni avvenuti nel 2014) che erano pervenuti agli altri componenti del CdA. Si era trattato, inoltre, di segnali vaghi e non precipui e, ad eccezione della vicenda del dipendente Vi., tutti già a conoscenza dell'autorità di vigilanza che, nondimeno, non aveva colto alcunché del fenomeno del capitale finanziato fino a quando, nel 2015, la BCE non aveva proceduto agli approfondimenti ispettivi. E, in ogni caso, i suddetti "segnali d'allarme" non erano stati percepiti dall'imputato (come, del resto, dagli ispettori di Banca d'Italia, dagli altri consiglieri di amministrazione e dai sindaci) in quanto tali, ovverosia come specifici e precipui. Comunque l'analisi di tutti gli "indicatori sintomatico-probatori" rivelatori del dolo eventuale (siccome indicati dalla giurisprudenza di legittimità nella nota Cass. Pen. Sez. (J., 18 settembre 2014, n. 38343, Thyssenkrupp) conduceva ad escludere che l'imputato fosse stato consapevole sia del fenomeno dei finanziamenti correlati, sia - ed in ogni caso - della sua reale entità. Nulla, comunque, avrebbe consentito di affermare che ZO., se avesse avuto certezza della irregolarità della situazione, avrebbe agito in un determinato modo (secondo la verifica controfattuale riconducibile alla c.d. "prima formula di Frank"), ovverosia avrebbe "avallato" la prassi in questione; prassi, del resto, che indeboliva il patrimonio della popolare e che, pertanto, andava in direzione esattamente opposta rispetto all'obiettivo di rafforzamento dell'istituto tenacemente perseguito dal presidente. E, sul punto, l'appellante ha richiamato la pronunzia delle SSUU 26.11.2009, Nocera, in ordine all'atteggiarsi del dolo eventuale nella fattispecie di ricettazione, per evidenziare la necessità, ai fini dell'affermazione della responsabilità penale dello ZO., della conoscenza, da parte del predetto, tanto della effettiva natura quanto della portata del fenomeno delle operazioni "baciate", non essendo all'uopo sufficiente un mero stato di dubbio ovvero di sospetto. Di qui la richiesta di assoluzione per assenza dell'elemento soggettivo dei reati, in difetto di adeguata prova sul punto. 2.4.4 Con il quarto motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi 5 e 6 dell'impugnazione), l'appellante, in via subordinata, ha censurato l'incongruità del trattamento sanzionatorio. Innanzitutto, la pena irrogata allo ZO. era stata determinata in misura superiore rispetto a quella inflitta ai coimputati sulla base di quella inesistente posizione di assoluta egemonia all'interno della struttura di vertice dell'istituto di credito che, fondata esclusivamente sulla vox populi, aveva invece costantemente scandito le argomentazioni del tribunale, pur in difetto di ogni reale riscontro alla stregua degli esiti dell'istruttoria dibattimentale. Peraltro, si trattava di una dosimetria sanzionatoria configgente con la semplice considerazione del ruolo dallo stesso primo giudice attribuito allo ZO. nella vicenda delittuosa in esame, essendosi egli, anche nella prospettiva del tribunale, limitato ad avallare una prassi da altri ideata ed attuata. Sul punto, l'appellante ha infatti ribadito come l'imputato si fosse limitato a svolgere funzioni strategiche e di rappresentanza, astenendosi dal partecipare ai comitati esecutivi e a quelli di direzione, non avesse rilasciato alcuna lettera di garanzia e fosse anche rimasto del tutto estraneo alla vicenda dei fondi lussemburghesi. Anche sotto il profilo dell'intensità del dolo, poi, fi trattamento sanzionatorio non trovava alcuna giustificazione, solo a considerare che l'imputato aveva investito, negli aumenti di capitale dell'istituto, un patrimonio personale di più di venti milioni di euro, peraltro senza mai ricorrere ai finanziamenti della banca. In ogni caso, l'incongruità della pena inflitta era palese ove confrontata con quelle irrogate ai coimputati e, in particolare, al GI., il cui ruolo centrale nell'operatività delittuosa era stato pure espressamente evidenziato dallo stesso tribunale. In definitiva, tutti i parametri ex art. 133 c.p. (e, segnatamente, quelli inerenti alle modalità dell'azione, alla capacità a delinquere, ai motivi a delinquere, alla assenza di precedenti penali, alla condotta di vita antecedente e successiva al reato, al comportamento processuale ed alle condizioni di vita individuale, familiare e sociale) avrebbero dovuto univocamente orientare per il contenimento della pena al minimo, anche con riferimento agli aumenti irrogati a titolo di continuazione per i reati considerati satelliti. Peraltro, a tale ultimo riguardo (ovverosia quello inerente alla pluralità degli addebiti), l'appellante ha lamentato la violazione del divieto di bis in idem sostanziale e del principio del nemo tenetur se detegere. Ciò in quanto, per un verso, le diverse contestazioni (tanto con riferimento alle condotte di ostacolo alla vigilanza quanto a quelle di aggiotaggio) apparivano in realtà riconducibili ad un unico reato; e, peraltro verso, la consumazione della prima condotta di ostacolo alla vigilanza contestata sub B1 avrebbe necessariamente implicato le successive condotte delittuose, pena l'autoincriminazione per tali ulteriori reati. Sotto il primo profilo, infatti, l'informazione taciuta, ovvero falsata, era stata sempre la medesima (ovverosia l'esistenza di finanziamenti correlati che avrebbero comportato lo scomputo del relativo controvalore dal patrimonio di vigilanza), donde la configurabilità, con riferimento all'ipotesi delittuosa ex art. 2638 c.c., pur a fronte di una pluralità di condotte, di un unico reato (analogamente, del resto, a quanto previsto dalle fattispecie di cui agli artt. 513 bis, 609 octies c.p., parimenti caratterizzate dalla considerazione di una pluralità di "atti", rispettivamente, di concorrenza illecita e di aggressione sessuale). Avrebbe dovuto orientare in tal senso una interpretazione conforme ai principi costituzionali di proporzionalità della pena, a fortiori considerato che, nel caso di specie, erano riscontrabili tanto l'identità dei titolari degli interessi lesi dalle condotte contestate quanto la "unicità della spinta motivazionale". Peraltro, nella peculiare vicenda sub iudice, si era in presenza di una triplicazione di fattispecie a fronte di un identico nucleo fattuale di riferimento, consistente nel supposto occultamento del fenomeno delle operazioni "baciate" e nella conseguente alterazione dei dati patrimoniali, nucleo dal quale erano in effetti scaturite tanto le condotte di alterazione del prezzo dell'azione, quanto quelle di falsità in prospetto, quanto, infine, quelle di ostacolo alla vigilanza. Ebbene, il divieto di bis in idem sostanziale, finalizzato ad evitare eccedenze sanzionatone irrispettose del principio di proporzionalità della pena (divieto la cui portata sostanziale era stata recepita, nel solco delle pronunzie della Corte Edu e delia Corte di Giustizia Ue, anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza 43/18), avrebbe imposto, in ragione della sovrapponibilità fattuale delle imputazioni, l'esclusione del concorso dei reati, segnatamente facendo applicazione del principio di consunzione, con conseguente "sopravvivenza" della sola fattispecie di ostacolo alla vigilanza, più grave in ragione della contestazione della relativa aggravante di cui al terzo comma della disposizione incriminatrice di riferimento. Tale soluzione, del resto, sarebbe stata anche coerente con la doverosa considerazione del richiamato principio del nemo tenetur se detegere, rispetto al quale non poteva condividersi quanto sostenuto dal tribunale in ordine alla sua portata sostanzialmente limitata all'ambito processuale. In particolare, sul punto, per contestare la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva affermato che il principio in esame non avrebbe potuto trovare applicazione al di fuori dei casi previsti ex art. 384 c.p., l'appellante ha richiamato la sentenza della Corte di giustizia UE 24.2.2021 (là dove era stato riconosciuto, in conformità con i principi di cui agli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, il diritto al silenzio di chi fosse stato richiesto dall'autorità amministrativa di fornire notizie che avrebbero potuto esporlo a sanzioni penali), nonché la sentenza della Corte Costituzionale n. 112/19. 2.4-5 Infine, con il quinto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 7 dell'impugnazione), l'appellante ha censurato la violazione della disciplina in materia di confisca. In primo luogo, premesso che il tribunale aveva disposto la confisca per equivalente per un ammontare pari all'entità dei finanziamenti erogati per le operazioni "baciate" (considerando tali finanziamenti come i "beni utilizzati per commettere il reato", alla stregua della lettera dell'art. 2641 c.c. e delle considerazioni svolte, sul punto, dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza 112/19), l'appellante ha anzitutto censurato la decisione impugnata per la mancata previa verifica della concreta praticabilità della confisca diretta. In effetti, le considerazioni svolte dal primo giudice - là dove il tribunale aveva argomentato detta impossibilità sul rilievo della sottoposizione dell'istituto di credito a liquidazione coatta amministrativa -non trovavano affatto il conforto della univoca giurisprudenza di legittimità, essendo riscontrabile, in proposito, un contrario, preferibile orientamento. Per vero, l'esistenza di una procedura concorsuale non avrebbe potuto essere considerata preclusiva della confisca diretta dei beni della società, come anche precisato da recenti arresti della giurisprudenza di legittimità non solo con riferimento alla ablazione del profitto dei reati ma anche dei beni utilizzati per commetterli (Cass. Sez. V, 21.1.2020, nr. 5400; Cass. Sez. nr. 6391 del 4-18.2.2021). Peraltro, anche con riferimento al "conflitto" ravvisabile tra il vincolo imposto dall'apertura della procedura e quello discendente dal sequestro, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato la prevalenza del vincolo del sequestro (Cass. Sez. III, 18.1.2020, nr. 15776). Infine, neppure sussisteva, nel caso di specie, l'unico ostacolo effettivamente in astratto ravvisabile rispetto alla confisca diretta - ovverosia quello della riferibilità dei beni da sottoporre a confisca a soggetto estraneo al reato - non potendosi l'istituto di credito ritenere tale, avendo pacificamente tratto profitto dalla commissione dei reati. In secondo luogo, l'appellante ha evidenziato come sottoporre a confisca i finanziamenti concessi dalla B. per l'acquisto delle azioni proprie in quanto "beni utilizzati" per commettere i reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c., avrebbe violato i prìncipi costituzionali. In proposito ha richiamato la già citata sentenza Corte Cost. 112/19 che, ravvisata la natura sostanzialmente punitiva della confisca ex art. 187 sexies TUF in relazione ai beni utilizzati per commettere l'illecito in questione, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione in esame nella parte in cui prevedeva la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo e non del solo profitto. Questo, sul rilievo dei principi della personalità della responsabilità penale, della proporzionalità ed individualizzazione della pena e del necessario orientamento rieducativo della stessa. Sicché, tenuto conto del contenuto - del tutto speculare - ravvisabile tra la disposizione oggetto della citata declaratoria di incostituzionalità e quella di cui all'art. 2641 cc., ha sollecitato la Corte territoriale a fornire una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione da ultimo citata, con conseguente revoca della confisca disposta nei confronti di Zo.Gi., ovvero, in alternativa, a promuovere il relativo incidente di costituzionalità. Conclusivamente, l'appellante ha chiesto: - in via preliminare, dichiararsi l'incompetenza territoriale con conseguente trasferimento del procedimento all'autorità giudiziaria di Roma; - ai sensi dell'art. 603 c.p.p., disporsi la rinnovazione del dibattimento con escussione dei testi specificamente indicati nell'impugnazione e con l'espletamento di perizia ai fini di accertare entità e caratteristiche del fenomeno del capitale finanziato; - in via principale, assolversi l'imputato per non avere egli commesso il fatto, ovvero perché il fatto non costituisce reato e, conseguentemente, revocarsi la condanna al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili; - revocarsi la confisca per equivalente per mancata previa verifica della praticabilità della confisca diretta nei confronti di B.; - in ogni caso, escludersi la possibilità di applicare la confisca per equivalente in relazione ai beni utilizzati per commettere il reato, ovvero, in via gradata, sollevarsi la questione di costituzionalità con riferimento alla disposizione di cui all'art. 2641, co.2, c.c. per contrasto con gli articoli 3, 27, 42 Cost; - in via subordinata, previo assorbimento delle fattispecie di aggiotaggio e falso in prospetto nel più grave delitto di ostacolo alle funzioni di vigilanza, applicarsi il solo trattamento sanzionatorio previsto per tale ultima fattispecie; - comunque, contenersi la pena nel minimo e, questo, tanto con riferimento alla pena base quanto agli eventuali aumenti a titolo di continuazione, previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. 2.4.6 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, i difensori dell'imputato hanno ulteriormente argomentato in ordine alla erroneità della sentenza impugnata con riferimento alla confisca. Inoltre, hanno sollecitato la rinnovazione dell'attività istruttoria nei termini più oltre precisati. Sotto il primo profilo, da un lato, hanno richiamato, oltre alla già citata sentenza della Corte Costituzionale 112/19, le precedenti pronunzie del Giudice delle leggi nn.ri 68/17, 223/18 e 63/19, onde evidenziare la natura di sanzione penale non solo della confisca per equivalente ma anche di quella diretta, stante la sua valenza punitiva là dove la stessa abbia un carattere peggiorativo rispetto alla situazione patrimoniale precedente all'illecito; e, dall'altro, hanno evocato la recente modifica legislativa dell'art. 187 TUF per effetto della Legge Europea 238/21 (che ha escluso che potesse disporsi la confisca del prodotto del reato di abuso finanziario nonché dei beni utilizzati per commetterlo), trattandosi di innovazione legislativa inequivocabilmente attestante come, anche in materia penale, la confisca non possa eccedere il profitto dell'illecito. Conseguentemente, hanno denunziato l'illegittimità costituzionale, non solo, come già sostenuto negli originari motivi, della disposizione di cui all'art. 2641, 2° co, c.c., ma anche di quella di cui al comma primo del medesimo articolo, là dove dette disposizioni prevedono la confisca dei beni utilizzati per commettere il reato, ovvero di beni dal valore equivalente. Si tratterebbe, infatti, delle uniche (residue) ipotesi di disposizioni dell'ordinamento che, nell'ambito dei delitti finanziari, continuerebbero a prevedere la confisca dei beni utilizzati per la commissione del reato, peraltro attraverso il ricorso ad un criterio di quantificazione "rigido", non commisurato alla condotta del reo e non proporzionato al profitto eventualmente da questi conseguito, con violazione, sul punto, dei parametri di cui agli artt. 3, 27 Cost.. Di qui la richiesta, in via prioritaria, di interpretazione di dette disposizioni in modo conforme alla Legge fondamentale, con conseguente limitazione della confisca disposta nei confronti dell'imputato al solo profitto del reato. In subordine, hanno sollecitato la Corte a sollevare incidente di costituzionalità. In via di estremo subordine, infine, hanno chiesto la revoca della confisca perché applicata in difetto del requisito della sussidiarietà, stante la mancata verifica della praticabilità della confisca diretta nei confronti della società, non costituendo, sul punto, la procedura concorsuale un ostacolo decisivo. Sotto il secondo profilo, poi, hanno sollecitato - evocando la giurisprudenza della Corte Edu formatasi in relazione all'art. 6 CEDU - la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e, segnatamente, hanno chiesto l'escussione dei membri del CdA e del collegio sindacale che, già citati nel giudizio di primo grado, si erano in quella sede avvalsi della facoltà di non rispondere in quanto indagati, trattandosi di soggetti la cui posizione era stata medio tempore definita con provvedimento di archiviazione, con conseguente mutamento del regime giuridico di escussione testimoniale. Il principio di effettiva oralità, infatti, avrebbe imposto l'audizione dei testimoni - a fortiori nel caso di fonti mai escusse - non solo nel caso di giudizio d'appello che faccia seguito a sentenza di assoluzione, ma ogniqualvolta si imponga il riesame di una causa, in fatto o in diritto. E, nel caso di specie, le testimonianze dei componenti del CdA e del collegio sindacale rivestirebbero il carattere della decisività ai fini della comprensione dell'effettivo ruolo svolto dallo ZO. nell'ambito di B., tenuto peraltro conto delle peculiari considerazioni svolte, sul punto, nella sentenza di primo grado. Di qui la richiesta di escussione dei testimoni Br., Mo., Do., Zu., Ti., Pa., Sb., Bi., Ma., Fa., Za., Ca. e Pi.. 2.5 Appello proposto da Zi.Gi. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche il difensore di Zi.Gi.. 2.5.1 In particolare, con il primo motivo, l'appellante ha lamentato la erronea formula assolutoria adottata dal tribunale ("perché il fatto non costituisce reato") a fronte di un compendio probatorio che avrebbe dovuto necessariamente orientare per un proscioglimento motivato dalla estraneità dell'imputato alle condotte oggetto di imputazione, ovvero dall'insussistenza dei fatti allo stesso ascritti. A ben vedere, del resto, lo stesso apparato argomentativo della decisione era caratterizzato da plurimi, significativi passaggi nei quali, da un lato, si era dato atto dell'assenza "di alcuna significativa prova del coinvolgimento dell'imputato nella programmazione e/o attuazione delie condotte di manipolazione dei mercato e di ostacolo alla vigilanza, siccome cristallizzate nelle imputazioni" (così era dato leggere alle pagg. 768 e ss. della sentenza); e, dall'altro, si era precisato che "le condotte 0 addebitate a ZI. attengono alla sua operatività in veste di cliente coinvolto in operazioni illegittime", sicché "desumere da ciò la prova di un concorso materiale di condivisione operativa delie condotte manipolatone e di falsa informazione al mercato ed alla vigilanza" avrebbe comportato " una inammissibile semplificazione probatoria..." (così alle pagg. 771 e ss.). 2.5.2 Quindi, con il secondo motivo, ha censurato la erroneità della individuazione e della valutazione delle operazioni di finanziamento correlate all'acquisto di azioni Banca (...) che avrebbero dovuto essere detratte dal capitale della banca con riferimento all'"operazione Ze." In effetti, era errato ritenere che la Ze. s.r.l. avesse acquistato azioni dell'istituto di credito in attuazione di una operazione correlata. Si trattava, in particolare, di una conclusione alla quale il primo giudice era pervenuto sulla scorta delle deposizioni dei testi Ba. e Criscuolo, della contabilizzazione dei relativi interessi e del contenuto del memorandum redatto dall'imputato. Sennonché: - incontestato il fatto che la Ze. s.r.l. avesse impiegato, per l'acquisto di azioni B., finanziamenti erogati dallo stesso istituto di credito; s e considerato che, per unanime riconoscimento, costituiva prassi comune quella dell'erogazione di credito da parte delle banche popolari in favore dei rispettivi soci (come precisato dal teste Barbagallo, le dichiarazioni del quale, del resto, erano state anche riportate nella relazione scritta fornita nel corso dell'audizione parlamentare), ha osservato l'appellante che quella compiuta da Ze. s.r.l. non poteva affatto definirsi una operazione correlata. Sul punto, infatti, il tribunale aveva acriticamente sposato la tesi dei cc.tt. del P.M. - i quali, per individuare quali fossero le cc.dd. operazioni "baciate", avevano all'uopo considerato ogni finanziamento che fosse stato utilizzato per l'acquisto di azioni dell'istituto (a prescindere, quindi, dal tempo intercorso tra finanziamento ed acquisto, nonché dalla stessa percentuale riscontrabile tra entità del capitale erogato ed importo impiegato per l'acquisto dei titoli) - e, così facendo, aveva del tutto trascurato le contrarie, argomentate considerazioni spese dal prof. Pe. e dal prof. Gu., consulenti, rispettivamente, delle parti GI. e ZI.-ZO., là dove costoro avevano dettagliatamente evidenziato come, al fine di individuare correttamente le "baciate", si sarebbero dovuti considerare gli ulteriori criteri del "nesso teleologico" e (nell'ipotesi di acquisto di titoli sul mercato secondario) del "merito creditizio" (come anche precisato, a tale ultimo riguardo, dal teste Pa. il quale, in effetti, aveva sottolineato l'importanza, quale canone interpretativo, proprio del concetto del rischio di impresa). In ogni caso, la varietà dei criteri utilizzabili sul punto - e, quindi, l'incertezza che regnava in materia - era palesemente emersa dalle variegate prassi operative adottate, in proposito, dagli organi di vigilanza (CONSOB/Banca d'Italia/società di revisione). Del resto, gli stessi PP.MM., nel corso delle rispettive requisitorie (così come nella richiesta di archiviazione nel procedimento RGNR 3862/16 iscritto a carico di tutti i membri del CdA), avevano dato mostra di essere ben consapevoli di ciò. Ebbene, nel caso della Ze. srl era decisivo considerare che tale società aveva rimborsato l'intero finanziamento di 14 milioni (versando 8,5 milioni attinti dalla liquidità propria e 5,5 milioni derivanti dalla vendita parziale degli 11 milioni in azioni B. detenuti da tale società), nonostante tale restituzione fosse poi stata del tutto obliterata nella sentenza impugnata. Più nel dettaglio, l'appellante ha precisato: - che Ze. s.r.l. era una holding finanziaria ed immobiliare, nell'ambito della quale l'imputato - il quale, peraltro, poiché quotidianamente impegnato presso l'Associazione Industriali, si recava di rado presso la sede della suddetta società - si occupava delle partecipazioni (all'epoca ammontanti, complessivamente a circa 15 milioni), mentre il fratello, Zi.Gi., curava gli investimenti immobiliari (all'epoca aventi un valore complessivo di circa 10 milioni); - che i fratelli ZI., nell'anno 2008, con i proventi della vendita delia partecipazione nella società Tr., avevano acquistato, per un controvalore di 1,2 milioni di euro, azioni B. ed avevano altresì sottoscritto, per un valore di 300.000 euro, un prestito obbligazionario convertibile, così portando la loro partecipazione nell'istituto di credito ad un valore di circa 1,5 milioni di euro (valore al quale si doveva poi aggiungere quello delle azioni detenute a titolo personale); - che, quindi, tra i titoli posseduti tramite Ze. s.r.l. e quelli posseduti dall'imputato a titolo personale, si era in presenza di strumenti finanziari aventi un valore complessivo di circa 8,5 milioni di euro, sicché lo stesso imputato, dopo il presidente ZO., era il maggior azionista della banca e, quindi, tra i soggetti che avevano subito il danno più consistente (al quale, peraltro, doveva aggiungersi il pregiudizio rappresentato dagli oltre 700,000 euro pagati a titolo di interessi passivi per i finanziamenti ottenuti dalla predetta Ze. s.r.l.); - che, nel 2012 - ovverosia nel periodo nel quale si collocavano le operazioni oggetto di contestazione - Ze. s.r.l. aveva in essere una pluralità di trattative commerciali (alcune poi concretizzatesi, altre no) per un importo complessivo di 14-15 milioni di euro (tra le operazioni in questione l'appellante ha dettagliatamente richiamato quelle relative ad "Ar", a "Do.", a Sa.Im." ed a "Ne.Co.") e, non avendo la liquidità necessaria per portarle a termine, aveva ricercato sul mercato un idoneo finanziamento, innanzitutto rivolgendosi ad U., con cui già intratteneva rapporti, e, successivamente, stanti le difficoltà operative che erano emerse (segnatamente, la necessità di disinvestimento di strumenti finanziari, come precisato dal teste Vi.), seguendo il suggerimento di Gi.Em., a B.; - che era stato intorno alla fine di settembre - inizi di ottobre 2012 che il GI. aveva iniziato ad istruire la pratica di finanziamento per un importo di 12,5 milioni di euro, importo dalla banca ritenuto coerente con il merito creditizio di Ze. s.r.l.; - che solo successivamente - in un "secondo momento" (rispetto all'avvio della pratica di finanziamento) seguendo la terminologia dell'appellante - era stato comunicato a B. che parte di questo importo, pari a circa 2,5 milioni di euro, sarebbe stato impiegato per l'acquisto della partecipazione in Ar., come precisato dai testi Ba. e Cr., il quale ultimo figurava come il proponente della P.E.F. (proposta di fido elettronica), peraltro significativamente caratterizzata da una motivazione sottostante tutt'altro che generica; - che solo a questo punto (e, quindi, in un "terzo momento") lo ZI. era stato richiesto di investire la rimanente somma di 10 milioni di euro (somma che non aveva ancora impiegato, né lo avrebbe fatto a breve) in azioni della banca, fermo restando che, non appena Ze. s.r.l. avesse venduto dette azioni, avrebbe investito il relativo importo nell'acquisto di partecipazioni in altre società, come desumibile, ancora, dalle deposizioni dei citati Ba. e Cr.- Ebbene, tale scansione degli eventi rendeva evidente come l'operazione conclusa da Ze. s.r.l. con B. non fosse affatto una operazione di "portage". Quindi, con riferimento all'Aucap 2013, il difensore ha evidenziato che si era trattato dell'adesione, da parte di Ze. s.r.l. all'operazione di aumento di capitale, adesione effettuata utilizzando, per l'importo complessivo di 1 milione di euro (500,000 euro investiti in azioni, altrettanti in obbligazioni), parte del fido di 1,5 milioni concesso dall'istituto, il tutto mentre la restante parte del finanziamento era stata destinata all'impiego in altre operazioni commerciali, come dettagliatamente riferito dall'imputato nel corso del proprio esame. Quanto, poi, alla vendita parziale delle azioni B. detenute da Ze. s.r.l. effettuata nel 2014, si era trattato della cessione di 88,000 azioni, per un controvalore di 5,5 milioni (ovverosia della vendita di circa la metà delle azioni dell'istituto detenute dalla società in questione), motivata esclusivamente da ragioni fiscali (segnatamente, dalla impossibilità di dedurre completamente gli interessi passivi del finanziamento, stante la natura di società mista immobiliare-finanziaria di Ze. s.r.l., come precisato dal consulente fiscale dott. Ba.). Peraltro, anche successivamente alla svalutazione dell'azione, gli interessi del finanziamento erano stati regolarmente corrisposti da Ze. s.r.l. con fondi propri e, già a maggio del 2014, la società aveva parzialmente restituito il finanziamento (poi rinegoziato ed estinto nel 2016) per l'importo di 1,2 milioni di euro, senza vendere alcuna azione; circostanza, questa, logicamente incompatibile con una operazione concordata ab origine. In definitiva, nessuna delle operazioni di acquisto di azioni B. poste in essere da Ze. s.r.l. aveva le caratteristiche proprie delle "baciate", se non quella della vicinanza temporale (caratteristica, quest'ultima, significativa secondo i parametri valorizzati dalla BCE ma, ad esempio, non per quelli adottati dalla CONSOB). Si era in presenza, infatti, di operazioni: - poste in essere a seguito di finanziamenti inizialmente destinati all'acquisto di partecipazioni in altre società; - caratterizzate da causali dettagliate; - realizzate da società il cui merito creditizio era ampiamente sussistente; s prive di scadenza, bensì connotate dal mantenimento, per un tempo significativo, dei titoli, poi venduti (peraltro solo in parte) unicamente per ragioni fiscali; - non connotate dallo storno di interessi, né dal rilascio di lettere di garanzia; - rispetto alle quali erano stati regolarmente pagati gli interessi (nella specie per l'importo, non certo irrilevante, di 700,000 euro); - alle quali, infine, aveva fatto seguito la restituzione del finanziamento (peraltro effettuata, in prevalenza, con fondi propri). Conseguentemente l'appellante ha escluso che si trattasse di operazioni che avrebbero dovuto comportare lo scomputo dell'importo finanziato dal patrimonio di vigilanza. Inoltre ha contestato che deponessero per la natura correlata delle operazioni effettuate da Ze. s.r.l. le circostanze pure all'uopo valorizzate dal primo giudice ai punti 2 e 2.1 della sentenza impugnata. Così era per il messaggio sms ("Faccio anche ZI.. Ma. d'accordo, Vedi problemi?") intercorso tra GI. e So. di cui al documento 661 del P.M., trattandosi di comunicazione che, al più, dimostrava che quello che era stato fatto era avvenuto all'insaputa dell'imputato; cosi per l'ulteriore messaggio sms ("Ti ricordo ZI. da parlarne con Presidente per fido da farsi sulla finanziaria") inviato da MA. a So. di cui al doc. 665 del P.M., in quanto privo di ogni valore probatorio (risultando evidente il riferimento alla disciplina ex art. 136 TUB e, dunque, alla necessità di avvertire il presidente affinché venisse adottata la relativa procedura di uscita dall'aula dell'interessato); così, inoltre, in relazione alla tabella - peraltro non redatta dall'imputato - contenente lo specchietto di riepilogo delle competenze di cui al documento nr. 737 del P.M., essendo inequivoco che quello del 4,75% ivi indicato era il tasso interno applicato ad Ar. per il favore fattole da Ze. (s.r.l. anticipandole la relativa somma, come precisato dal teste Fr. e come anche dimostrato dal documento nr. 16 prodotto dalla difesa all'udienza 30.6.2020; così, ancora, in ordine alla e-mail di cui al documento nr. 121 del P.M., trattandosi di comunicazione inerente ad una richiesta di rimborso da intendersi come avente ad oggetto la riduzione legittima dei tassi più volte sollecitata da Gi.ZI. e, per suo conto, dalla impiegata della Ze. s.r.l. Ca.Ro., come da quest'ultima precisato nel corso della propria escussione dibattimentale; così, infine, in relazione al rimborso di cui al documento nr, 121 del P.M., trattandosi di documento che andava interpretato come conseguente non già ad una richiesta di storno bensì di mitigazione dei tassi di interesse (peraltro mai andata a buon fine), come desumibile dalla congiunta valutazione delle deposizioni rese dai testi Cr., Ma. ed Am.- Quanto, poi, alle intercettazioni telefoniche valorizzate dal primo giudice al punto 2,2 della sentenza, trattavasi di conversazioni tutte successive ai fatti e che, ove debitamente contestualizzate, non avrebbero potuto affatto costituire elementi di prova a carico, attestando piuttosto - ed unicamente - il disperato tentativo dell'imputato di comprendere la ragione per la quale figurasse tra gli indagati. In tal senso, infatti, andava interpretata la telefonata nr. 135 del 25.8.2015, intercorsa con Bo.Lu. (conversazione nella quale l'imputato aveva affermato di essere uno dei consiglieri finanziati dall'istituto, al contempo negando di essere a conoscenza del fatto che tale pratica riguardasse altri soci), come, d'altronde, convincentemente spiegato dallo stesso ZI. nel corso del proprio esame dibattimentale. Infine, in relazione al memorandum di cui al documento del P.M. nr, 731, parimenti valorizzato al punto 2.2 della sentenza, il difensore ha rappresentato trattarsi di documento redatto "di getto" dal proprio assistito (il quale, peraltro, aveva fatto confusione in ordine alle date delle operazioni effettuate con Ze. S.r.l.); documento, tuttavia, che conteneva il riferimento alle sole operazioni effettuate dalla predetta Ze. s.r.l. per le quali la società aveva pagato interessi passivi ed il cui complessivo tenore, a ben vedere, deponeva per la più totale ed assoluta ignoranza di aver posto in essere operazioni anche solo irregolari. Infine, il difensore ha evidenziato come i punti 3, 4 e 5 della sentenza avessero fatto riferimento a temi (trattasi, segnatamente: dell'operazione effettuata da Gi.ZI.; dell'operazione U. inerente al finanziamento utilizzato dall'imputato per l'acquisto di derivati e non di azioni della banca; della e-mail inviata a GI. e Gi. nella quale l'imputato precisava "B. non opera con questa politica e che forse hanno capito male o il funzionario non si è espresso bene") estranei alla imputazione. Ha concluso, pertanto, chiedendo la modifica, in termini più favorevoli, della formula adottata dal primo giudice per mandare assolto Zi.Gi. e, segnatamente, insistendo per il proscioglimento del proprio assistito non già "perché il fatto non costituisce reato", bensì "per non avere commesso il fatto". 3. Appello proposto da Banca (...) in liquidazione coatta amministrativa. Avverso detta sentenza ha interposto appello Banca (...) in L.C.A. con impugnazione che ha devoluto alla cognizione della Corte i punti della sentenza inerenti alla affermazione di responsabilità dell'ente in relazione agli illeciti amministrativi ascritti ai capi di imputazione sub A2, B2, C2, D2, E2 F2, G2, H2, M2 ed N2, al mancato riconoscimento dell'attenuante ex art. 12, co.2 lett. b, D. L.vo 231/01, alla quantificazione del profitto del reato di ostacolo alla vigilanza di cui al capo N2, alla quantificazione della sanzione ed alle spese processuali. 3-1 Con il primo motivo ha censurato la sentenza impugnata sul rilievo della erroneità dell'affermazione della sussistenza dell'interesse ovvero del vantaggio per l'ente derivante dai reati presupposti. In particolare, il primo giudice aveva esplicitamente sostenuto che i reati in contestazione, sebbene parte integrante di una politica di impresa che, all'esito, si era addirittura rivelata dannosa per l'istituto di credito, fossero stati espressione di una attività posta in essere nell'interesse ed a vantaggio di tale ente, in quanto strumentali a non farne emergere l'operatività illecita e, così, per un verso, a consentire l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, ad assicurare il mantenimento di quello esistente. Questo, sul rilievo della doverosa distinzione tra le singole operazioni di capitale finanziato, da un lato, e le specifiche condotte delittuose, dall'altro; condotte, queste ultime, successive alle prime e funzionali a consentire di realizzare un vantaggio economico immediato nei termini anzidetti. In definitiva - ha precisato l'appellante - il tribunale aveva tarato la prospettiva di giudizio sulla valutazione dell'interesse dell'ente in un momento successivo rispetto alle condotte delittuose. Ebbene, tale interpretazione era errata. In effetti, il difensore, dopo avere premesso: - che la differenza tra l'ente attuale (B. in L.C.A.) e quello amministrato/diretto dagli imputati non aveva rilevanza alcuna in punto di responsabilità amministrativa, in ragione della "autonoma oggettività" che costituiva la "cifra interpretativa" della disciplina in materia; - che il criterio di ascrizione stabilito ex art. 5 D.L.vo 231/01 imponeva di avere riguardo all'interesse o al vantaggio in relazione al singolo e specifico fatto di reato presupposto volta a volta addebitato alla persona fisica; - che il fatto del quale l'ente era chiamato a rispondere, trattandosi di fatto proprio ed autonomo dell'ente medesimo, non poteva identificarsi con il reato commesso, sottolineava come l'elemento costitutivo delia responsabilità amministrativa rappresentato dall'interesse/vantaggio dovesse essere valutato con diretto riferimento alla persona giuridica e dovesse essere necessariamente tale, in un'ottica di valutazione ex ante, da prospettare il verificarsi di una situazione migliorativa per l'ente in questione; prospettiva, peraltro, da valutarsi in termini squisitamente oggettivi e non già sulla base della ricostruzione "dell'attitudine psicologica dell'autore del reato presupposto", nella sfera esclusiva del quale restavano, per contro, gli estremi costitutivi del reato perpetrato. Donde, sotto tale profilo, l'impossibilità di valutare l'interesse dell'ente sulla base del movente che aveva guidato gli autori del reato e che, ripetutamente, era stato da costoro identificato "nell'interesse della banca". In altri termini l'interesse rilevante era solo quello, per un verso, avente una dimensione oggettiva e, per altro verso, identificabile, ex ante, in un reale utile per l'ente; utile, peraltro, da valutarsi in una prospettiva funzionale e (strumentale rispetto alla persona giuridica. Quanto al vantaggio, poi, valevano le medesime considerazioni, con la precisazione, tuttavia, che la identificazione di tale elemento presupponeva una valutazione da effettuarsi ex post. Ebbene, già tali considerazioni consentivano - ad avviso dell'appellante - di apprezzare l'errore di valutazione nel quale era incorso il primo giudice, solo a considerare, da un lato, che non rientrava certamente nell'interesse della banca effettuare un aumento di capitale con mezzi della banca medesima (trattandosi di operazione che, sin dal momento genetico, si presentava come foriera di un impoverimento patrimoniale dell'istituto); e, dall'altro, che nessun vantaggio era derivato alla B. dai reati perpetrati dagli imputati, reati che, al contrario, avevano generato un pregiudizio di vaste dimensioni. Più nel dettaglio, con riferimento al fenomeno sottostante alle condotte contestate di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, il difensore ha sottolineato - alla stregua, segnatamente, di quanto riferito dai testi Ba. e Io. -come gli aumenti di capitale effettuati negli anni 2013 e 2014, lungi dal rafforzare la stabilità patrimoniale dell'istituto vicentino, avessero unicamente creato una parvenza di stabilità e solidità economico-finanziaria (posto che si erano tradotti in una costruzione fittizia di patrimonio). Per un verso, infatti, le risorse utilizzate per gli aucap erano state fornite dal medesimo istituto di credito, sicché non vi era stata alcuna reale immissione di nuove risorse finanziarie; e, per altro verso, la neutralizzazione degli interessi passivi attraverso il cosiddetto "storno" si era tradotta in un depauperamento per l'istituto di credito, per effetto di operazioni "in perdita" (come del resto emerso nel corso dell'esame dell'imputato MA. e comprovato da specifiche deposizioni testimoniali). In effetti, la deposizione del teste ispettore Ma. era stata illuminante in ordine all'antieconomicità di tali operazioni. Il contenuto delle lettere di impegno rinvenute nel corso dell'ispezione BCE, poi, aveva confermato il carattere pregiudizievole per il patrimonio societario delle operazioni suddette (in quanto sostanzialmente tali da trasformare le azioni in obbligazioni, senza alcun reale apporto di risorse nuove in cambio di una quota parte del capitale sociale, come precisato dalla teste Pa.). Donde l'impossibilità di ravvisare, ex ante, alcuna positiva ripercussione di tali operazioni, poste in essere dalle persone fisiche, sulla persona giuridica. Inoltre, altrettanto pregiudizievoli per l'istituto di credito erano state le operazioni legate all'investimento di circa 350 milioni di euro nei fondi lussemburghesi "At." ed "Op.", in considerazione della natura delle operazioni poste in essere, del tutto eccentriche (come emerso solo al momento della disclosure circa il sottostante dei fondi) rispetto all'interesse di B., peraltro unico sottoscrittore dei fondi medesimi, con conseguente aumento del rischio di danno in caso di scelta di disinvestimento (come precisato dal teste Li.), danno, poi, puntualmente verificatosi (come evidenziato dal teste Io.). D'altronde, le operazioni suddette - e, in particolare, le "operazioni baciate" - avevano costretto la govemance aziendale subentrata a seguito delle verifiche BCE a fronteggiare una situazione davvero critica, di assoluta debolezza rispetto al tentativo di recuperare le perdite della precedente amministrazione (amministrazione, la prima, che aveva concesso fidi a clienti dall'apparente merito creditizio, la capacità restitutoria dei quali, al contrario, nella maggior parte dei casi, era risultata inesistente, con l'ulteriore anomalia che le garanzie dei finanziamenti erano state costituite, sovente, dalle stesse azioni; circostanza, questa, che si era riverberata negativamente, ab origine, sulla possibilità di recupero del capitale erogato). Tanto precisato con riferimento all'operatività sottostante alle condotte delittuose ex artt. 2637 e 2638 c.c., il difensore ha ribadito come la sottoscrizione di azioni di nuova emissione attraverso finanziamenti erogati dallo stesso istituto emittente, al pari dell'acquisto delle azioni B. sul mercato secondario ugualmente effettuato attraverso l'erogazione di credito da parte della banca vicentina, fossero operazioni che, sin dall'origine, compromettevano la consistenza economico-patrimoniale dell'istituto. Ed analoghe conclusioni si imponevano per gli investimenti nei fondi lussemburghesi e per gli impegni di garanzia. Ciò posto, era su tali modalità operative sottostanti che si erano innestate le condotte di occultamento, con mezzi fraudolenti, dell'effettività della situazione. Nondimeno, si trattava di condotte (volte a far apparire come effettivo un aumento di capitale; ovvero a sostenere artificiosamente l'appetibilità del titolo; ed, in ogni caso, a nascondere la effettività della situazione sottostante) del tutto distoniche e configgenti, sul piano oggettivo, con l'interesse di B., istituto che, al pari di qualsiasi altra banca, non poteva certo ritenersi oggettivamente interessato ad un aumento di capitale fittizio, tale da risolversi in un depauperamento della consistenza economica della banca. In un siffatto contesto, la tesi espressa dal tribunale, secondo il quale i reati erano stati "strumentali proprio a non rivelare tale operatività lungi dal comprovare l'esistenza di un interesse della banca rispetto a ciascun singolo reato, deponeva in senso esattamente opposto, dato che l'istituto aveva il contrario interesse di concludere operazioni sostenibili, ovvero di interrompere una operatività pregiudizievole per i propri obiettivi istituzionali. L'esito drammatico per B. del disvelamento dell'occultamento di tali irregolari modalità operative, del resto, confermava come queste ultime fossero in radicale contrasto con gli obiettivi della banca. A ben vedere, infatti, il reato ex art. 2638 c.c., non poteva affatto sostenersi fosse stato perpetrato nell'interesse dell'ente, trattandosi di delitto sostanziatosi nell'occultamento alla autorità di vigilanza di informazioni che, se comunicate, avrebbero impedito il rilascio dei nulla osta necessari per gli aumenti di capitale, ovvero per il riacquisto delle azioni proprie e, cioè, per operazioni tutte certamente dannose, sin dall'origine, per l'ente medesimo (come concluso, in fattispecie analoga, dal P.M. presso il tribunale di Siena nel decreto di archiviazione prodotto in allegato all'atto di appello, sub 1), In buona sostanza, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, l'interesse della banca non avrebbe certo potuto essere individuato nell'occultamento della debolezza patrimoniale dell'istituto medesimo al fine di "conseguire afflussi di capitale e mantenere l'operatività" e, così, scongiurare interventi più incisivi dell'autorità di vigilanza, trattandosi di obiettivi contrari a quelli propri di un ente bancario e, anzi, forieri di rischi e pericoli. Diversamente opinando - ha osservato l'appellante - ogni condotta di aggiotaggio ed ostacolo alla vigilanza finirebbe per trarre seco la responsabilità amministrativa dell'ente, anche nelle ipotesi, quali quelle sub iudice, caratterizzate da condotte produttive, ab origine, di un depauperamento per l'ente medesimo, con conseguente surrettizia introduzione di una sorta di responsabilità oggettiva della persona giuridica. Peraltro, la circostanza che la disposizione di cui all'art. 5, co. 2 D. L.vo 231/01 non contenesse riferimento alcuno alla nozione di vantaggio, costituiva significativo indice del fatto, con riferimento alla ipotesi disciplinata dal precedente comma, che, in assenza del relativo interesse, non sarebbe ravvisabile la responsabilità dell'ente. In effetti - ha osservato, conclusivamente, il difensore - l'unico interesse ravvisabile nella specie era quello, esclusivamente proprio del gruppo dirigente, ad occultare la reale situazione dell'istituto di credito per mantenere, il più a lungo possibile, ruoli e posizioni professionali di prestigio ed al contempo scongiurare il discredito che sarebbe derivato da una emersione del fenomeno in esame, interesse che gli imputati avevano perseguito ad ogni costo, in radicale contrasto con quello dell'istituto di credito. 3.2 Con il secondo motivo, poi, il difensore ha contestato la sussistenza della responsabilità dell'ente sotto il diverso profilo della asserita inidoneità del modello di organizzazione e gestione predisposto per la prevenzione dei reati e, in ogni caso, in ragione dell'asserita elusione fraudolenta dello stesso da parte dei vertici aziendali. In particolare l'appellante ha censurato le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, sostenendo, per contro, che B., nel predisporre ed attuare il modello di organizzazione, non si sarebbe affatto discostata dal comportamento astrattamente doveroso, con la conseguenza che, in difetto di un effettivo "scarto" tra ente modello ed ente concreto, difetterebbe il requisito dell'illecito amministrativo costituito dalla "colpa di organizzazione", siccome delineata ex art. 6 D. Lvo 231/01; colpa in concreto insussistente ove, come nella specie, il modello avesse caratteristiche tali da poter essere eluso solo attraverso un comportamento fraudolento. Ciò posto, dopo avere premesso: - che il difetto di analiticità del modello, lungi dall'esprimerne l'inadeguatezza, risponderebbe piuttosto all'ineludibile esigenza di non comprimere la libertà di organizzazione dei fattori produttivi; v che il carattere "ideale" del modello non avrebbe potuto essere "ipostatizzato", dovendosi necessariamente avere attenzione ad un modello "relativamente ideale", tenuto conto dell'attività concretamente svolta dall'ente, delle dimensioni dello stesso e, più in generale, delle caratteristiche tutte della persona giuridica di riferimento; - che, inoltre, nella valutazione del giudizio sulla sussistenza della colpa, rettamente intesa come "rimproverabilità", si sarebbero dovuti adeguatamente considerare eventuali profili di inesigibilità; s che, Infine, non si sarebbe certo potuto far automaticamente discendere dalla commissione dei reati la conclusione circa l'inadeguatezza del modello, il difensore ha analizzato le caratteristiche del modello di organizzazione effettivamente adottato da B., specificando che si trattava di modello - progressivamente aggiornato, sino al 2014 - ispirato ai principi ed alle linee guida dell'ABI.. Più nel dettaglio, la Sezione 11° del modello, con specifico riferimento alla funzione di vigilanza, prevedeva l'esistenza di un organo di controllo che, introdotto nel 2003, a decorrere dal 2008 era stato trasformato in un Organismo di Vigilanza ad hoc, composto da tre membri (il responsabile dell'audit e due soggetti esterni), munito di numerosi poteri (necessari per attuare le procedure di controllo, svolgere verifiche periodiche, coordinarsi con il responsabile della formazione del personale, raccogliere ed elaborare dati rilevanti, verificare le esigenze di aggiornamento del modello) e che curava una funzione di reporting agli organi sociali. Tale Organismo, poi, era integrato da specifiche responsabilità facenti capo alle diverse funzioni aziendali. L'Organismo di Vigilanza, a sua volta, riceveva informazioni e garantiva che coloro che avessero effettuato una segnalazione non subissero conseguenze negative di sorta da tali comunicazioni/denunzie. Inoltre, il modello, da un lato, includeva anche un sistema disciplinare quale elemento costitutivo dell'attività di controllo (sistema che contemplava un apparato sanzionatorio applicabile non solo agli organi apicali, ma a tutti i dipendenti dell'istituto, oltre ai collaboratori esterni); e, dall'altro, prevedeva un continuo monitoraggio del funzionamento del modello stesso, promuovendo all'uopo gli aggiornamenti ritenuti necessari. Nella Sezione IIIA, poi, era delineato un sistema preventivo (suddiviso nelle sotto-sezioni "Rischio", "Processo", "Funzioni Coinvolte", "Protocolli di controllo", "Normativa interna vigente") rivolto alla prevenzione del pericolo di commissione di specifici reati (questi ultimi, peraltro, oggetto di puntuale "mappatura" in un apposito allegato). E, con particolare riferimento alle ipotesi delittuose contestate, l'appellante ha precisato che, contrariamente a quanto sostenuto a pag. 795 della sentenza impugnata, per un verso, la procedura di redazione dei bilanci e la tenuta della contabilità erano effettuate facendo applicazione di manuali appositamente concepiti (ai quali si aggiungevano i "funzionigrammi", gli organigrammi ed i regolamenti interni pubblicati sull'intranet aziendale); e, per altro verso, specifica attenzione era dedicata proprio alle operazioni potenzialmente incidenti sull'integrità del capitale e/o del patrimonio sociale. Anche con riferimento alla trasparenza, poi, il modello conteneva specifiche disposizioni e, così, svolgeva una funzione, sul punto, "integrativa": alle procedure vigenti, infatti, aggiungeva disposizioni ulteriori relative all'osservanza della normativa societaria. In definitiva, quello adottato dall'istituto di credito vicentino era un valido presidio rispetto al rischio di commissione delle fattispecie penali di riferimento. In ogni caso, dopo avere ripercorso struttura e contenuto del modello, l'appellante si è concentrato sulle censure specificamente contenute nella sentenza impugnata, secondo la quale le carenze del modello in questione sarebbero state riferibili: - in primo luogo, alla composizione dell'Organismo di Vigilanza; se, in secondo luogo, all'inefficacia del modello rispetto ai reati contestati agli imputati. Ebbene, sotto il primo profilo, era sufficiente evidenziare come le stesse linee guida predisposte dall'ABI nel 2004 lasciassero ampia discrezionalità con riferimento alla composizione dell'ODV (nel senso che era previsto che le banche potessero creare un organismo ad hoc, ovvero utilizzare un organismo o una funzione già esistenti). Inizialmente la scelta di B. si era indirizzata verso un organo composto dal responsabile dell'internal audit affiancato da due soggetti esterni; quindi, nel 2014, l'istituto vicentino aveva modificato la composizione dell'organo in questione, in linea, peraltro, con l'evoluzione normativa in materia. A seguito dell'inserimento del co, 4 dell'articolo 6 D.Lvo 231/01 per effetto della legge di stabilità del 2012, infatti, B. aveva attribuito al Collegio Sindacale le funzioni in questione. Sicché, sul punto, le scelte della banca non potevano essere censurate. Quanto al secondo profilo, poi, il tribunale era pervenuto ad una valutazione di responsabilità per effetto di una erronea valutazione di inidoneità, conseguente alla stessa commissione dei reati e, in sostanza, adottando un criterio di giudizio basato su un inammissibile automatismo, di fatto tale da rendere del tutto inutili le previsioni ex artt. 6 e 7 D.Lvo 231/01. Per contro, ogni valutazione sul punto avrebbe dovuto essere effettuata secondo i criteri della "prognosi postuma" (pena la inevitabile, costante conclusione, in caso di commissione dei reati, della inadeguatezza del modello adottato dall'ente). Peraltro - ha proseguito, sul punto, il difensore - l'erroneità delle conclusioni, cui era giunto il primo giudice sarebbe emersa in termini di maggiore evidenza ove si fosse debitamente considerata la natura fraudolenta ed elusiva delle modalità di commissione del reato da parte delle persone fisiche in posizione apicale. L'elusione del modello organizzativo da parte di tali soggetti, infatti, era stata tale da "segnare una evidente scissione tra l'ente medesimo e il soggetto apicale autore del reato", la condotta di quest'ultimo non potendosi ritenere espressione "della politica di impresa dell'ente stesso", ma costituendo "una scelta personale e propria dell'autore dei fatto di reato". In definitiva - ha precisato l'appellante - "quando l'autore dei reato è un soggetto apicale, l'ampiezza dei poteri a questi conferiti introduce la variabile umana dell'abuso; essa segna i confini sussistenti tra i comportamenti ex ante prevedibili certamente compresi tra i pericoli che un valido modello organizzativo deve saper inibire, da un lato; e, dall'altro, quelli dei quali è predicabile un'intrinseca valenza fraudolenta perpetrati mediante l'abuso dei supremi poteri sociali come tali necessariamente ribelli alla possibilità di un qualsiasi controllo, seppure ben concepito e calibrato". E, sul punto, erano evidenti tanto le modalità fraudolente adottate per porre in essere le operazioni di capitale finanziato (solo a pensare alle clausole generiche inserite nei contratti di finanziamento), quanto la strumentalità delle operazioni di investimento estero nei fondi lussemburghesi. Donde la conclusione circa l'adeguatezza del modello organizzativo adottato da B.. 3.3 Quindi, con il terzo motivo, articolato in via subordinata, il difensore ha censurato il mancato riconoscimento dell'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b, D. L.vo 231/01, nonché l'errata quantificazione della sanzione pecuniaria rispetto ai criteri di determinazione del valore e del numero delle quote, anche in relazione all'aumento delle quote medesime per effetto della disciplina della pluralità di illeciti. Innanzitutto, la circostanza che la Banca si fosse dotata di un modello organizzativo sin dal 2002 ed il fatto che l'istituto avesse ristorato, a titolo transattivo, ben 66.770 azionisti, avrebbero dovuto fondare il contenimento nei minimi sia del numero delle quote che dell'aumento derivante dalla pluralità degli illeciti. La concessione dell'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b, D.L.vo 231/01, poi, avrebbe dovuto indubbiamente trovare riconoscimento. Questo, solo a considerare debitamente la condotta adottata dall'istituto di credito che, successivamente all'ispezione BCE, aveva prontamente provveduto alla revisione del modello organizzativo, dimostrando l'incontrovertibile intenzione dell'ente di dotarsi di un valido presidio per la prevenzione della commissione di ulteriori illeciti a seguito del disvelamento della mala gestio della precedente amministrazione. Infine, l'importo della singola quota era stato fissato senza tenere adeguatamente conto, come invece prescritto dall'art. 11 D.Lvo cit., delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente, al fine di assicurare l'efficacia della sanzione. La liquidazione dell'istituto di credito, invero, rendeva evidente l'inconciliabilità del valore della singola quota rispetto alla condizione dell'ente medesimo, con un conseguente "peso" della sanzione irrogata in misura sproporzionata rispetto alla effettiva responsabilità. Di qui la richiesta di determinazione nel minimo edittale della sanzione amministrativa irrogata a B. in L.C.A. 3.4 Inoltre, con il quarto motivo, l'appellante ha censurato la quantificazione del profitto del reato di ostacolo alla vigilanza contestato al capo N2 e, conseguentemente, del valore della relativa confisca. Il primo giudice, infatti, aveva disposto, nei confronti dell'istituto di credito, la confisca per l'importo di euro 74,212.687,50, quale indebito profitto del reato di ostacolo alla CONSOB perpetrato in occasione dell'aumento di capitale del 2014. In particolare, in occasione di tale aucap, l'operazione straordinaria era stata effettuata omettendo, nei confronti dell'investitore-sottoscrittore, il test di adeguatezza. In effetti, all'esito della replica del test di adeguatezza effettuato in sede ispettiva, era emerso che, su circa 10.812 sottoscrizioni, una parte consistente di operazioni, segnatamente 7.795, era stata effettuata da soggetti (non finanziati) ritenuti "inadeguati"; soggetti, pertanto, che non avrebbero potuto procedere in tal senso ovvero che avrebbero dovuto disporre di un adeguato compendio informativo. Sennonché, l'appellante ha segnalato che il profitto derivato dalle irregolari modalità di esecuzione dell'aumento di capitale, più che dall'ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB posto in essere dal GI. (ovverosia dall'imputato del reato presupposto contestato sub NI), era ascrivibile al reato ex art, 173 bis D.Lvo 58/98, contestato al capo L), di falso in prospetto relativo al medesimo aumento di capitale dell'anno 2014; delitto, tuttavia, non ricompreso nel novero dei reati presupposto di cui al D.L.vo 231/01. Donde l'impossibilità di sanzionare l'ente per la corrispondente condotta e, conseguentemente, l'insussistenza dei presupposti per la confisca del profitto del reato nei confronti dell'ente medesimo. Di qui la richiesta di dissequestro e restituzione della somma di euro 74.212,687,50. 3.5 Infine, con il quinto motivo, ha sollecitato la revoca della condanna al pagamento delle spese processuali quale effetto della invocata assoluzione dell'ente. 4 Gli appelli del P.M. 4.1 Appello inerente alla posizione di Pe.Ma. Il P.M. presso il tribunale di Vicenza ha impugnato l'assoluzione di Pe.Ma., assoluzione che il primo giudice aveva motivato sul rilievo dell'assenza di prova circa il coinvolgimento dell'imputato nella strutturazione dell'operatività delle "operazioni baciate" (e, ancor prima, circa la stessa effettiva conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno in esame, con specifico riferimento alle caratteristiche della prassi delle operazioni correlate ed alla loro diffusività) ritenendo, per contro, ragionevolmente dimostrato che costui, al più, avesse nutrito sospetti in proposito e, tuttavia, ne avesse sottovalutato le portata e le implicazioni in punto di incidenza sul patrimonio di vigilanza e sui coefficienti prudenziali. Ad orientare in tal senso le conclusioni del tribunale - ha precisato l'appellante - erano state, essenzialmente, le deposizioni rese dai testi Fa., Tr., Mo. e Li., la vicenda della disclosure sui fondi "At." ed "Op." al giugno 2014, l'episodio degli accertamenti effettuati dalla società K. incaricata della revisione del bilancio al 31.12.2014 e, infine, l'intervento dell'imputato durante la seduta del CdA dell'1.4.2014. Per contro, le circostanze della partecipazione dell'imputato al Comitato di Direzione 8.11.2011 ed alla riunione del 7.1.2015, il contenuto della registrazione della seduta del Comitato di Direzione 10.11,2014 e le deposizioni dei testi Am., Ba., Tu. e So. in ordine alle riunioni dell'alta dirigenza dell'istituto, erano stati ritenuti dati probatori "insufficienti a dimostrare la consapevolezza in capo al predetto delle condotte manipolatone poste in essere dai vertici di B.". Ebbene, la sentenza impugnata, per un verso, aveva omesso di valutare (ovvero aveva erroneamente valutato) prove in realtà pienamente dimostrative della integrale conoscenza, da parte dell'imputato, tanto della esistenza quanto dell'entità significativa del fenomeno del capitale finanziato; per altro verso, aveva radicalmente trascurato talune circostanze che, accertate nel corso del dibattimento, confermavano siffatta consapevolezza; e, per altro verso ancora, aveva effettuato una valutazione frazionata ed atomistica del materiale probatorio, astenendosi da un doveroso raffronto dei singoli elementi con l'intero compendio disponibile, conseguentemente pervenendo a conclusioni scorrette. E, al riguardo, il P.M., dopo avere richiamato le responsabilità ed i compiti che incombevano sul PE. tanto secondo il "funzionigramma" dell'istituto vicentino quanto, in ragione dell'incarico di dirigente preposto, in base alla disciplina di legge (art. 154 bis D.L.vo 58/98) ed alla normativa secondaria emanata dalla Banca d'Italia, e dopo avere altresì rievocato, sulla base della deposizione resa dal teste Tr., il meccanismo di tenuta della contabilità adottato da B., ha evidenziato il significativo rilievo probatorio, ai fini dell'esatta comprensione della posizione del PE., sotto il profilo dell'elemento psicologico dei reati in esame, rivestito, nell'ordine: a} dagli appunti redatti da So.Ma. in ordine alla seduta del Comitato di Direzione del giorno 8.11.2011 e dalla e-mail del 10.6.2011 inviata da Ro.Fi. all'imputato (oltre che ad altri dirigenti e funzionari dell'istituto). In particolare, dal contenuto di tale e-mail si ricavava chiaramente che, al momento della partecipazione alla citata seduta del Comitato di Direzione, nel quale era poi stato espressamente trattato il tema delle operazioni "baciate" (come desumibile da alcuni passaggi degli appunti manoscritti di So.), il PE. era necessariamente a conoscenza della situazione di grave squilibrio del mercato secondario delle azioni dell'istituto (con il fondo acquisto azioni proprie impegnato per ben 112 milioni di euro). Donde la conclusione che l'intervento effettuato dal PE. durante la seduta - allorquando l'imputato, in un contesto di espliciti riferimenti da parte del To., del Se. e del So. alle "baciate", aveva sollecitato un decremento dell'ammontare delle azioni proprie detenute in portafoglio per raggiungere un Tier 1 ratio dell'8% ("per andare ad S", secondo l'espressione attribuita al medesimo PE. negli appunti) - era necessariamente espressione di una effettiva conoscenza di un fenomeno strutturato ed in corso da tempo, fenomeno del quale si segnalava, durante detto incontro, la necessità di monitoraggio giornaliero e di ulteriore pianificazione. Peraltro - ha precisato l'appellante - il contenuto dell'appunto era coerente con la ricostruzione di tale fenomeno siccome effettuata dai cc.tt. del P.M. (secondo i quali, al 31.12.2010, le operazioni di capitale finanziato ammontavano a 50 milioni, mentre, nel corso dell'anno successivo, erano cresciute notevolmente sino a raggiungere il valore di ben 243 milioni). Ebbene, nonostante il tribunale avesse opportunamente valorizzato il rilievo probatorio del documento rappresentato dagli appunti in questione onde desumere il coinvolgimento, nell'operatività illecita della banca, dei coimputati GI. e PI. (visto che, in quell'occasione, erano state delineate "le strategie operative per gli interventi sul capitale ... che prevedevano il ricorso alle operazioni baciate come strumento per svuotare il fondo acquisto.."), del tutto incomprensibilmente lo stesso primo giudice aveva poi omesso di trarne le dovute, necessarie conclusioni in relazione all'analoga posizione del PE. (pure intervenuto attivamente, nel corso della riunione in questione, fornendo indicazioni rilevanti ai fini del perseguimento degli obiettivi fissati dal d.g. So.). In effetti, la versione fornita dall'imputato - secondo il quale "non aveva dato il giusto peso agii interventi di Se. e To. perché, all'epoca, non conosceva la parola "baciata" - lungi dall'essere "non inverosimile", era scopertamente difensiva; b) dalle deposizioni di So.. Am., Ba. e Tu.. Alla stregua di tali deposizioni, tutt'altro che generiche ed imprecise, era stato possibile, nell'ordine: ricostruire le modalità di funzionamento degli organi collegiali manageriali dell'istituto; apprendere che il PE., nella sua qualità di responsabile della "Divisione Bilancio e Pianificazione", aveva sempre preso parte sia ai Comitati di Direzione svoltisi sino al 2011 (e, in seguito, nuovamente convocati a partire dalla seconda metà del 2014, per effetto di una espressa richiesta BCE), sia alle informali "riunioni di direzione" convocate nel periodo intermedio; conoscere che, in occasione di tali riunioni, erano stati trattati anche i temi dell'operatività dei finanziamenti correlati, nell'ambito dei più generali argomenti della gestione del capitale, del fondo acquisto azioni proprie e dello squilibrio del mercato secondario delie azioni B.. Che, poi, il PE. non avesse compreso portata e caratteristiche del fenomeno in questione, era conclusione che contrastava, sul piano logico, con la circostanza che detto fenomeno aveva finito per rappresentare - come peraltro puntualmente osservato dal tribunale - una sistematica modalità di gestione dell'attività di impresa, protrattasi per un lungo arco temporale (5/6 anni), fino a raggiungere una dimensione quantitativa notevole (sia per il numero delle operazioni concluse, sia per il controvalore delle stesse), tale da coinvolgere i soci più importanti, da interessare tutte le zone di insediamento della banca e da rivestire una incidenza notevole, sul funzionamento del mercato secondario dei titoli B. e sulla situazione patrimoniale dell'istituto. Né alcun teste aveva riferito che il tema in esame costituisse argomento segreto, del quale le strutture della Divisione Bilancio e Pianificazione fossero state tenute all'oscuro. Peraltro, rientrava nelle competenze di detta Divisione la funzione di capital management, alla quale non era certo estranea la questione dell'entità della quota indisponibile del fondo acquisto azioni proprie (per le conseguenze sui livelli di patrimonializzazione e sui ratios patrimoniali prudenziali); c) dai risultati delle intercettazioni telefoniche. In particolare, il tribunale aveva del tutto omesso di considerare il tenore di due colloqui telefonici dai quali era possibile desumere la conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno delle "operazioni baciate". Si trattava della conversazione nr, 359 dell'1.9.2015, intercorsa tra il coimputato GI. e il membro del collegio sindacale Pi.La. (nel corso della quale era stato effettuato l'esplicito riferimento al fatto che il PE., in relazione alle operazioni baciate, "dava ordini.."); nonché della conversazione nr. 259 del 28.8.2015, intercorsa tra il responsabile audit Bo. ed il coimputato MA. (in occasione della quale quest'ultimo aveva ribadito che del fenomeno in questione erano a conoscenza anche gli altri componenti della Direzione Generale in quanto il So. era solito parlarne nel corso delle riunioni dell'alta dirigenza); d) dagli sms intercorsi tra i coimputati PI. e GI. in data 3.5.2015 (ovverosia in un momento nel quale i primi esiti dell'ispezione BCE stavano conducendo al disvelamento dell'operatività illecita della banca), là dove tali SMS contenevano l'esplicita affermazione del coinvolgimento collettivo dell'alta direzione dell'istituto ("deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori"); e) dalle dichiarazioni del teste Bo. in merito alla riunione del febbraio 2015 in previsione dell'avvio dell'ispezione BCE, riunione alla quale aveva preso parte anche il PE. e nella quale lo stesso teste aveva illustrato la criticità rappresentata dalla questione del capitale finanziato, senza che alcuno dei partecipanti avesse manifestato il benché minimo stupore; f) dalla registrazione della seduta del Comitato di Direzione del 10.11.2014, ovverosia da un elemento di eccezionale valore probatorio, in quanto, in un contesto di espliciti riferimenti a tutti gli aspetti problematici del fenomeno del capitale finanziato (natura di portage delle operazioni; obbligo di riacquisto; interessi riconosciuti alle controparti; rilascio delle lettere di garanzia del rendimento e dell'impegno al riacquisto; necessità di occultamento alla vigilanza; dimensioni del fenomeno), documentava che nessuno degli intervenuti all'incontro aveva richiesto delucidazioni sul punto, ovvero aveva manifestato dissensi, ovvero ancora stupore. Ebbene, nonostante il PE. fosse assente a quella riunione, emergeva chiaramente come le analisi che, nell'occasione, erano state discusse, fossero frutto anche del lavoro delle strutture della "Pianificazione", come, peraltro, desumibile dal riferimento, effettuato dal coimputato GI. nel corso dell'incontro, a tale "Ma." ("...allora, noi, comunque, le posizioni baciate, grosse, dobbiamo eliminarle....però bisogna confrontarsi con Ma..,.."), evidentemente da individuarsi nell'imputato, quale soggetto da interpellare per verificare le ipotesi di soluzione che andavano emergendo. Né tale riferimento poteva ritenersi - come, invece, sostenuto dal tribunale - di equivoca lettura, essendo chiaro che l'operazione di cui si era dibattuto nella riunione (ed in relazione alla quale, pertanto, occorreva confrontarsi con il PE.) non riguardava semplicemente l'eliminazione "di pezzi di attivo", bensì l'eliminazione delle operazioni "baciate" accompagnata dalla necessità di rimanere con i ratios stabili nonostante il decremento di capitale. Peraltro, tanto le e-mail intercorse tra il 14.8.2014 ed il 12.11.2014, quanto la deposizione resa dal teste Fa. confermavano il coinvolgimento dell'imputato nelle analisi inerenti all'impatto negativo delle operazioni "baciate" in ordine al margine di interesse della banca, analisi che aveva costituito il presupposto per le proposte operative formulate dal d.g. So., nel corso della predetta seduta del Comitato di Direzione, per superare le difficoltà inerenti proprio al meccanismo delle operazioni correlate. Peraltro, a fronte della mancata corretta valutazione di tali emergenze probatorie, la sentenza aveva sopravvalutato, ovvero equivocato, valorizzandoli come prove a discarico, gli elementi rappresentati, nell'ordine: a) dalla verifica compiuta dalla società di revisione K posto che, a ben vedere, una attenta analisi di quanto emerso al riguardo deponeva in senso diametralmente opposto, essendo la condotta tenuta, nell'occasione, dal PE. volta non certo ad agevolare, bensì a vanificare gli esiti di detta verifica, in adesione agli intendimenti del direttore generale; b) dalle deposizioni dei testi Fa., Tr., Mo. e Li., trattandosi di testimonianze sostanzialmente irrilevanti (così nel caso della deposizione del Tr., non avendo egli riferito di avere parlato con l'imputato delle operazioni "baciate"), ovvero di scarsa affidabilità (così con riferimento a quanto riferito dal Mo., dal Fa. e dal Li. - i quali avevano dichiarato di essersi convinti che il PE., prima del 2015, non avesse maturato una precisa conoscenza del fenomeno del capitale finanziato - posto che era ragionevole ritenere che l'imputato non avesse fatto automaticamente partecipi i terzi di quanto a lui effettivamente noto); c) dall'episodio della disdosure sui fondi "At." ed "Op.", con conseguente comunicazione all'autorità di vigilanza, essendosi in presenza ai attività esecutiva di uno specifico obbligo normativo e che, comunque, ove non compiuta, avrebbe comportato effetti maggiormente penalizzanti per l'istituto; d) dalle critiche espresse dal PE., in occasione del CdA 1.4.2014, in merito all'operato dell'esperto indipendente prof. Bi., in ragione della natura implicita - se non addirittura criptica - delle critiche formulate dall'imputato (il quale, peraltro: secondo la teste Pa., aveva manifestato contrarietà alla ostensione, in favore del socio Da.Gr., successivamente all'assemblea dei soci 26.4.2014. della relazione di stima del valore delle azioni; e, secondo il teste Ca., nel corso degli anni, aveva più volte ammesso come l'elaborazione dei piani industriali fosse il modo a sua disposizione per sostenere il prezzo dell'azione e in tal guisa influire sulla relativa stima da parte dell'esperto all'uopo incaricato). Conclusivamente, il P.M. appellante ha sostenuto che le prove disponibili erano certamente tali da attestare la piena conoscenza, in capo all'imputato, a far data dalla fine del 2011, dell'esistenza e della consistenza del fenomeno delle operazioni "baciate", fenomeno che, negli anni 2013 e 2014, era stato esteso anche alle operazioni inerenti agli aumenti di capitale. Tale conoscenza non era frutto del flusso delle informazioni ufficiali che gli pervenivano in ragione del suo ruolo istituzionale, bensì effetto della partecipazione "ai momenti di confronto della Direzione Generale e, quindi, per essere stato destinatario di quanto in quei contesti veniva riferito e, più in generale, per avere preso parte al gruppo dei dirigenti B. "allineati" ....ai presidente ZO., al Direttore Generale So.Sa. alla concertazione del quale, come indicato in sentenza, devono ricondursi le decisioni e l'attuazione della prassi delle operazioni baciate". Era stato nella piena consapevolezza del fenomeno delittuoso in esame, quindi, che il PE. aveva fornito il proprio decisivo contributo all'occultamento di detto fenomeno, predisponendo ripetutamente documenti (dal bilancio ai comunicati stampa, dalle segnalazioni prudenziali alle comunicazioni di interlocuzione con le autorità di vigilanza) aventi contenuto mendace e decettivo. Di qui la richiesta di affermazione della penale responsabilità dell'imputato con conseguente condanna alla pena di anni otto e mesi due di reclusione, come già richiesto all'atto delle conclusioni rassegnate nel giudizio di primo grado. 4.2 Appello inerente alla posizione di Zi.Gi. Il P.M. ha proposto appello anche avverso l'assoluzione di Zi.Gi., sul rilievo della errata individuazione del criterio di imputazione della responsabilità penale del predetto nonché della mancata valutazione di specifici elementi probatori. Al riguardo, dopo avere sinteticamente ripercorso ì passaggi contenuti nei sette paragrafi della sentenza che il tribunale aveva dedicato all'analisi della posizione di tale imputato, il P.M. ha evidenziato, innanzitutto, che il primo giudice aveva equivocato nel l'interpretare quale fosse, secondo l'impostazione d'accusa, il profilo di responsabilità che fondava l'imputazione elevata a carico del predetto ZI.. A costui, infatti, era stato contestato di avere avallato ripetutamente la prassi illecita delle operazioni correlate, così fornendo un concreto ausilio alle attività delittuose realizzate dalla dirigenza dell'istituto, posto che tale avallo non solo aveva agevolato la conclusione di siffatte operazioni, ma, per un verso, aveva contribuito a rassicurare i dipendenti sulla "esistenza di una copertura da parte dell'organo amministrativo" e, per altro verso, essendo l'imputato membro del CdA, aveva integrato anche i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza. Era stato il consiglio, infatti, a deliberare la concessione dei fidi relativi agli acquisti di azioni nell'ambito delle "baciate", nonché ad approvare i documenti contabili e le comunicazioni dirette agli organi di vigilanza. In presenza di tali contestazioni, quindi, le affermazioni del primo giudice, secondo il quale, da un lato, l'imputato non era stato parte attiva di "una condivisione operativa delle condotte manipolatone e di falsa informazione ai mercato ed alla vigilanza" e, dall'altro, non risultava provato il suo coinvolgimento nelle scelte gestionali relative alla liquidità dell'azione e alla crisi del mercato secondario", apparivano espressione di una inesatta comprensione dell'effettivo tenore della contestazione elevata a carico dello ZI.. Inoltre, la trama argomentativa della sentenza rivelava la radicai 5 J pretermissione, ovvero la inadeguata valutazione, di significativi elementi ai prova a carico. Al riguardo, sotto il primo profilo, il P.M. ha richiamato l'omessa considerazione dell'intercettazione nr. 543 del 31.8.2015, inerente ad una conversazione intercorsa tra l'imputato e To.Ni., conversazione dalla quale era possibile evincere la piena consapevolezza, in capo allo ZI., della prassi di sollecitare la clientela, in occasione della concessione o del rinnovo del credito, all'acquisto delle azioni tramite finanziamento. Sotto il secondo profilo, poi, ha evocato, segnatamente: a) la e-mail del 2.7.2014 inviata da Mi.Ga.; b) la partecipazione da parte del medesimo imputato ad importanti operazioni di svuotamento del fondo acquisto azioni ed alla sottoscrizione di azioni in occasione degli aumenti di capitale; c) la piena consapevolezza, in capo allo stesso giudicabile, dell'impiego surrettizio dello strumento del finanziamento; d) la significativa capacità professionale dell'imputato (presidente di Confindustria Vicenza nel periodo di interesse e titolare di una holding di partecipazioni), tale da assicuragli la piena comprensione della natura illecita e decettiva delle condotte poste in essere, anche suo tramite, dalle strutture dell'istituto di credito. Tanto premesso, l'appellante ha passato in rassegna le evidenze probatorie che avrebbero dovuto, ove correttamente inquadrate e valutate, condurre ad un giudizio di penale responsabilità. Trattasi, nell'ordine: a) dell'operazione effettuata, nell'anno 2011, da Zi.Gi.. fratello dell'imputato, il quale aveva ricevuto un finanziamento di 5 milioni di euro il 27.12.2011, finanziamento al quale aveva fatto seguito, in data 29.12.2011, l'acquisto di azioni B. per un pari importo. Quindi, in occasione dell'aumento di capitale 2013, lo stesso Gi.ZI. vi aveva partecipato, come persona fisica, fruendo di un finanziamento di 500.000 euro. Ebbene, con riferimento alla prima operazione - poi chiusa da Zi.Gi. con un "annullamento" e, questo, pur in assenza di inadempimenti di sorta da parte del predetto socio che, soli, alla stregua delle regole dell'istituto, avrebbero potuto giustificare un siffatto "annullamento" - l'imputato aveva sostenuto di essere rimasto all'oscuro dell'operazione in questione, essendo stata la pratica deliberata in sua assenza, stante l'applicabilità dell'art, 136 TUB. Sennonché, l'istruttoria dibattimentale (e, segnatamente, le dichiarazioni del teste Ba.) aveva provato l'esatto contrario. Peraltro il memorandum (costituente il documento nr, 731) rinvenuto nei supporti informatici dell'imputato conteneva, con riferimento alla data dell'8 maggio, annotazioni relative a dichiarazioni rese dallo stesso ZI. in ordine al fatto che il medesimo, in due occasioni (segnatamente, nel 2011 e nel 2012), era stato richiesto di effettuare operazioni di acquisto, tramite finanziamenti, di azioni della banca, operazioni la prima delle quali era stata chiusa nel 2014 e che, con ogni evidenza, doveva identificarsi proprio nell'operazione formalmente conclusa dal fratello Gi.. Peraltro, lo stesso documento nr. 730 - predisposto da Zi.Gi. e contenente una sorta di riepilogo delle operazioni "con finanziamento" - convergeva nel dimostrare come l'operazione effettuata nel 2011, da un lato, fosse sostanzialmente riconducibile a Zi.Gi. e, dall'altro, rientrasse nell'ambito della "campagna svuota fondo" relativa al medesimo anno; b) dell'operazione compiuta tramite Ze. S.r.l. nel novembre 2012, consistita nel finanziamento di 12,5 milioni in data 13.11.2012 e nell'acquisto, il successivo 20.11.2012, di azioni per il valore di 10 milioni di euro. Sebbene l'imputato avesse sostenuto (dapprima, nella memoria 14.4.2017; quindi, nell'interrogatorio 26.9.2017) che l'acquisto delle azioni era stato frutto di una decisione estemporanea, assunta allorché l'originario obiettivo di acquisire alcune partecipazioni si era rivelato non perseguibile, in sede di esame dibattimentale costui si era visto costretto, dalle inequivoche emergenze istruttorie sul punto (costituite, segnatamente: dal contenuto delle deposizioni di Ba., Gi. e Io.; dal contenuto del messaggio sms, inviato dal coimputato MA. al d.g. So. e relativo proprio all'operazione conclusa dallo ZI.; dall'analogo messaggio inviato da GI. al medesimo So.; dallo stesso tenore del documento relativo all'operazione in questione, in quanto caratterizzato dalla causale, assolutamente generica, "ulteriori significativi investimenti che al momento non sono ancora definiti"; dal fondamentale documento64 rinvenuto presso la sede della ditta Ze. S.r.l. - documento del quale, peraltro, nessuno dei potenziali redattori aveva riconosciuto la paternità - contenente elementi univocamente sintomatici della natura "baciata" delle operazioni effettuate dalla Ze. s.r.l.; dall'ulteriore documento inerente all'accordo per non pagare neppure le imposte sugli strumenti finanziari) a mutare versione, ammettendo che il finanziamento in questione era stato strutturato, ab origine, per l'acquisto di azioni dell'istituto. Del resto, il memorandum relativo alla data dell'8 maggio confermava chiaramente la partecipazione dell'imputato ad operazioni di finanziamenti correlati; partecipazione, peraltro, ulteriormente corroborata anche dalla deposizione, de relato dall'imputato, resa, sul punto, dal teste Ba., oltre che dalle dichiarazioni del teste Cr.. In definitiva - ha osservato il P.M. - se ZI. aveva concluso, anche per conto di Ze. s.r.l., operazioni correlate per importi considerevoli, significava che lo stesso, allorquando aveva trattato in CdA le pratiche inerenti alle analoghe operazioni poste in essere dai maggiori azionisti della banca, era perfettamente in grado di comprenderne natura, entità ed implicazioni, sicché a tale imputato non potevano affatto attagliarsi le considerazioni che il tribunale aveva riservato agli altri consiglieri in ordine al difetto, sul punto, di effettiva consapevolezza; c) della partecipazione tramite Ze. s.r.l. all'aumento di capitale 2013 (siccome ricostruita nella relativa scheda redatta dai cc.tt. del p.m. a pag. 367 dell'elaborato di consulenza), caratterizzata, a fronte di una linea di credito concessa dall'istituto per 1,5 milioni di euro, dall'acquisto di azioni della banca per 565.000 euro e dall'impiego di analogo importo per la partecipazione al prestito obbligazionario previsto dall'offerta. Ebbene, la sottoscrizione di azioni di nuova emissione con provvista della banca in occasione di un aumento di capitale - ovverosia in occasione di una iniziativa finalizzata ad aumentare il patrimonio netto dell'emittente - non poteva non costituire per un componente del CdA dell'istituto (peraltro titolare di una holding di partecipazioni, quale lo ZI.) un evidente campanello di allarme in ordine alla operatività delle strutture della banca, trattandosi di una operazione che contraddiceva la finalità dell'aumento di capitale, rendendolo, di fatto, solo apparente. L'imputato, infatti, dopo essere stato richiesto di / effettuare operazioni correlate per 5 milioni a fine 2011 (con operazione conclusa a nome del fratello) e per 10 milioni a fine 2012, effettuava una nuova operazione per circa un milione in sede di aumento di capitale. Di qui l'inverosimiglianza di quanto sostenuto dal giudicabile allorché, nel commentare con i consiglieri To. e Fa. il buon esito della chiusura dell'aumento di capitale 2013, aveva espresso la propria soddisfazione per il successo dell'operazione, essendosi per contro in presenza - come non poteva sfuggirgli - di una situazione tutt'altro che favorevole; d) delle intercettazioni telefoniche e, segnatamente: della conversazione nr. 153 del 25.8.2015, nel corso della quale l'imputato aveva riferito a Lu.Bo. di essere stato finanziato, al pari di altri consiglieri, soggiungendo di non essere a conoscenza dei finanziamenti concessi ad altri "soci" anche se avrebbe potuto "immaginarlo"); della conversazione nr, 235 del 26.8.2015, intercorsa tra ZI. e Pa.Ba. di Confindustria, nella quale si riferiva che GI. aveva fatto, su indicazione del So., cose non corrette "in difesa della banca") nonché della conversazione nr. 543 del 31.8.2015 - di cui l'imputato, peraltro, in sede di esame, non aveva saputo fornire spiegazioni -in occasione della quale lo stesso ZI., parlando con il consigliere To., aveva affermato che era prassi che la banca sollecitasse i clienti ai quali concedeva credito ad impiegare parte del denaro per l'acquisto di azioni dell'istituto, secondo un modus operandi che, per quanto irregolare, era diffuso tra tutti gli istituti di credito; e) dell'affermato difetto di conoscenza, da parte del medesimo imputato, del trattamento contabile degli acquisti di azioni finanziate. Se, infatti, lo ZI. aveva sostenuto di ignorare che gli acquisti finanziati non potessero essere computati nel patrimonio di vigilanza - affermazione della quale il tribunale aveva preso atto senza effettuare, al riguardo, alcuna valutazione specifica - a deporre, sul piano logico, in senso contrario erano le qualità personali dell'appellato, gestore di una società immobiliare e di partecipazioni, attività necessariamente implicante la capacità di valutazione dei bilanci, tanto che era stato lo stesso ZI., nel corso del proprio esame, a definirsi un esperto in materia. Peraltro, costui era stato presidente di Confindustria di Vicenza ad aveva anche aspirato, per sua stessa ammissione, alla presidenza di B., ovverosia di un istituto che, al tempo, era tra le prime dieci banche italiane, con oltre 3 miliardi di patrimonio netto. In ogni caso, nel corso dell'interrogatorio 26.9.2017, acquisito a seguito delle contestazioni formulate in dibattimento ai sensi dell'art. 503 c.p.p., era stato il medesimo imputato a confermare di conoscere il divieto di computo, pur soggiungendo di non avere mai nutrito sospetti sulla regolarità della gestione in materia. Era bensì vero che, in sede di esame dibattimentale, lo ZI. aveva spiegato tali dichiarazioni sostenendo che intendeva riferirsi, quando aveva affermato di essere al corrente di tale divieto, all'epoca in cui le aveva rese e non già al momento dei fatti, allorquando, al contrario, era all'oscuro del divieto medesimo. Nondimeno, al di là delle considerazioni già spese in ordine al profilo, proprio dell'imputato, di soggetto altamente qualificato, era lo stesso tenore complessivo delle risposte fornite in occasione del citato interrogatorio a rendere evidente che il momento cui il dichiarante aveva inteso alludere era quello nel quale lo stesso era consigliere di amministrazione della banca; f) dell'episodio di Mi.Ga.. Trattasi della e-mail con la quale quest'ultimo, rappresentante della società Ar., titolare di ben due fidi, entrambi in scadenza, da circa 500.000 euro l'uno, aveva segnalato la pretesa dell'istituto di credito che detta società, onde ottenerne il rinnovo, acquistasse azioni per almeno 50.000 euro in relazione a ciascuna linea di credito; pretesa che lo stesso ZI., nell'inoltrare al coimputato GI. ed al Gi. tale missiva, aveva poi significativamente definito "un ricatto". Ebbene, l'imputato, non solo non si era confrontato con gli altri consiglieri in relazione a tale vicenda; non solo non l'aveva segnalata ai responsabili della funzione di controllo; ma, nell'interloquire con i predetti GI. e Gi., si era sostanzialmente limitato a chiedere che vi fosse un "occhio di riguardo" per l'amico Ga.; g) dell'operazione con U., ovverosia del finanziamento che lo ZI. (interessato ad effettuare una operazione di acquisto di strumenti finanziari per compensare minusvalenze per circa 200.000 euro) aveva richiesto ed ottenuto da B. a titolo di favore in quanto, come rammentato dal teste Vi., "aveva fatto molti favorì alla banca". Detto finanziamento, peraltro, era stato concesso con la "solita" causale generica e sulla base della sola "capacità patrimoniale" e, poiché in data 28.3.2014 era stata avanzata dagli ZI. una richiesta di storno in relazione all'operazione Ze., poi non processata, era concreto il sospetto che il finanziamento in esame, mai restituito a seguito del contenzioso intentato dalla banca nei confronti dell'imputato, fosse stato espressione di una remunerazione alternativa proprio allo storno delle competenze. Pertanto, non solo l'imputato aveva preso parte attiva ad alcune operazioni correlate ma il quadro probatorio deponeva nel senso della piena consapevolezza, in capo a costui, tanto dell'esistenza di una prassi diffusa in tal senso, quanto delle relative "implicazioni tecniche" per l'operatività dell'istituto. E, a tale ultimo riguardo, non erano affatto irrilevanti sia le dichiarazioni del teste Bo. (là dove costui aveva sostenuto di non avere riferito al CdA in ordine agli accertamenti effettuati sul caso Vi. proprio perché il CdA, ad avviso di detto teste, "era il principale indiziato", immaginando che alcuni componenti dell'organo in questione fossero non solo a conoscenza ma anche direttamente coinvolti nel fenomeno del finanziamento), sia il contenuto della conversazione telefonica nr. 528 del 9.9.2015, intercorsa tra il coimputato MA. ed il collega Cu. nel corso della quale il primo, a riprova della consapevolezza da parte del CdA in ordine alle correlate, aveva affermato;" ma come si fa a dire che il Consiglio non sapeva, capito Al.?", ricevendo dall'interlocutore la significativa risposta; "..dai su, l'ha fatta anche ZI. una mi hanno detto, dai su..."). Peraltro, l'imputato era ben a conoscenza delle condizioni di difficoltà incontrate dalla banca sia sul mercato secondario, sia su quello primario e comprendeva esattamente il significato e le finalità delle operazioni di finanziamento all'acquisto delle azioni e dei "portage" (come dimostrato dalla citata conversazione nr. 299, intercorsa con To., allorché aveva ammesso la "leggerezza" usata dal CdA nel finanziare i soci per l'acquisto di azioni). Il fatto poi, che costui, allorquando era stato a sua volta richiesto di effettuare operazioni correlate, avesse dichiarato che non intendeva "guadagnare nulla" (come risultante dal documento nr. 731), lungi dal poter essere interpretato quale intendimento riferibile ad un eventuale incremento del valore delle azioni (come pure sostenuto dall'imputato nel corso del suo esame) appariva, piuttosto, espressione del fatto che lo stesso ZI. non intendeva, diversamente da altri soggetti finanziati, trarre vantaggi dalla conclusione di operazioni correlate e, quindi, deponeva per la piena conoscenza, da parte del predetto, delle caratteristiche usualmente proprie di tali operazioni. In conclusione, l'imputato aveva avallato, anche tramite la realizzazione in prima persona di operazioni di tale natura, tanto sul mercato primario quanto su quello secondario, le prassi illecite di finanziamento, finendo per "rassicurare" i dipendenti della banca sulla esistenza di una "copertura" da parte dell'organo amministrativo; e, al contempo, aveva posto in essere le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza in quanto era stato tramite il CdA, del quale l'imputato medesimo era parte, che erano "passate" non solo le delibere di fido e di acquisto relative alle operazioni "baciate", ma anche l'approvazione dei documenti contabili e le segnalazioni effettuate nei confronti degli organi di vigilanza. Di qui la richiesta di riforma della sentenza impugnata con condanna dell'imputato alla pena di anni otto e mesi due di reclusione come da richieste rassegnate all'esito del giudizio di primo grado. 5 Gli appelli delle parti civili. Avverso la suddetta sentenza hanno interposto appello le parti civili Va.Gi., RO.El. e Va.De., Pa.La. e Pa.Gi., Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li., Ca.Mi., Bi.Ce., Cr.La. e Co.An." 5.1 Appello delle parti civili Va.Gi., RO.El. e Va.De. Va.Gi., RO.El. e Va.De., costituiti parti civili limitatamente all'imputazione rubricata sub Al), hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Nel merito, l'impugnazione riproduce, per incorporazione, l'appello della pubblica accusa nei confronti del predetto imputato (sicché, sul punto, non può che richiamarsi quanto esposto sub 4.1) e conclude chiedendo l'affermazione di penale responsabilità del PE. e la condanna dello stesso, in solido con ì coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni cagionati alle predette partici civili, nella misura: - di euro 124.000,00 per Va.Gi. An. (euro 37.200 a titolo di danno morale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1984 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale); - di euro 124.000,00 per RO.El. (euro 37.200 a titolo di danno morale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1984 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale); - e di euro 46.962,50 per Va.De. (euro 10.838,50 per danno non patrimoniale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 578 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale), ovvero nell'importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine, dette parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel provvedimento di sequestro conservativo GUP Vicenza 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (nella misura di euro 62.000 ciascuno per Va.Gi. An. e RO.El. e ad euro 18.062,50 per Va.De.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.2 Appello delle parti civili Pa.La. e Pa.Gi. Pa.La. e Pa.Gi. (entrambi costituti parti civili in relazione all'imputazione rubricata sub Al e Pa.Gi. anche in ordine all'imputazione di cui al capo I, in quanto sottoscrittore dell'aumento di capitale 2014) hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Anche in tal caso, nel merito, l'appello riproduce, per incorporazione, l'impugnazione proposta dalla pubblica accusa nei confronti del predetto imputato. Ciò posto, gli appellanti hanno concluso chiedendo l'affermazione di penale responsabilità del PE. e la condanna dello stesso, in solido con i coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni patrimoniali cagionati alle predette parti civili, nella misura: - di euro 106.250,00 per Pa.La. (euro 62,50 moltiplicato per 1700 azioni possedute dalla parte); - e di euro 56.250,00 per Pa.Gi. (euro 62,50 moltiplicato per 900 azioni possedute dalla parte), ovvero nell'importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine, tali parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel provvedimento di sequestro conservativo del GUP Vicenza in data 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (euro 53,125 per Pa.La. e 28.125,00 per Pa.Gi.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del citato sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, nonché la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.3 Appello delle parti civili Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li. e Ca.Mi. Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li. e Ca.Mi., costituti parti civili limitatamente all'imputazione rubricata sub Al), hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Come nel caso degli appelli delle parti civili già esaminati, l'impugnazione riproduce, per incorporazione, quella proposta dalla pubblica accusa nei confronti del predetto imputato e conclude chiedendo l'affermazione di penale responsabilità dello stesso e la sua condanna, in solido con i coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni cagionati alle predette parti civili, nella misura: - quanto a Ad.Lu., di euro 67,843, 75 (euro 52,187,50 - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15,656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Ad.An., di euro 67,843,75 (euro 52.187,50-corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15.656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Ad.Ma., di euro 67,843,75 (euro 52.187,50 -corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15.656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Zo.Li., di euro 101.887,50 (euro 78.375,00 -corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1254 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 23.512,00 a titolo di danno morale); - quanto a Ca.Mi. di euro 58.825,00 (euro 45.250,00 - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 724 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 13.575,00 a titolo di danno morale), ovvero nell'Importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine dette parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale, da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel citato provvedimento di sequestro conservativo GUP Vicenza 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (pari ad euro 26.093,00 per Ad.Lu., ad euro 26,093,00 per Ad.An., ad euro 26.093,75 per Ad.Ma., ad euro 39.1987,00 per Zo.Li. e ad euro 21.125,00 per Ca.Mi.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del già menzionato sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.4 Appello delle parti civili Cr.La. e Co.An. Cr.La. e Co.An. hanno a loro volta impugnato la sentenza evidenziando come, nonostante si fossero costituiti parte civile in relazione non solo al reato di cui al capo Al), ma anche in ordine alle condotte delittuose stigmatizzate sub I) ed L), avendo sottoscritto gli aumenti di capitale 2013 e 2014 (la Cr. avendo acquistato nr. 103 azioni il 9.7.2013 ed il 25.6.2014, nonché, il 9.7.2013, obbligazioni a cinque anni successivamente convertite unilateralmente in azioni dall'istituto di credito; il Corrà avendo a sua volta acquistato nr, 74 azioni il 27.8,2013 ed il 29.8.2014, nonché, in data 24.7.2013, obbligazioni a cinque anni successivamente convertite unilateralmente in azioni dall'istituto di credito), il tribunale avesse accolto la domanda risarcitoria unicamente con riferimento al delitto di cui al citato capo Al). Di qui la richiesta di riconoscere valida e pienamente efficace la costituzione di parte civile con riferimento a tutti i reati di cui ai richiamati capi di imputazione e, conseguentemente, di condanna degli imputati al relativo risarcimento dei danni. 5.5 Appello della parte civile Bi.Ce. Il difensore delia parte civile Bi.Ce. ha proposto appello avverso la sentenza, nonché avverso l'ordinanza 28.11.2020 di rigetto della richiesta di assunzione della deposizione delta medesima parte offesa. Al riguardo, la difesa ha preliminarmente ricostruito la peculiare posizione del BI. evidenziando come il predetto, in data 14.6.2013, aderendo alla sollecitazione rivoltagli da funzionari apicali dell'istituto di credito, avesse ottenuto l'erogazione del finanziamento della somma di euro 500.000, importo interamente destinato all'acquisto di nr. 8000 azioni di B.. Quindi, in data 29.7.2014, al medesimo azionista era stata corrisposta la somma di euro 11.304,68 a titolo di rimborso degli interessi relativi all'anno precedente. Sopravvenuta la liquidazione coatta amministrativa della banca, poi, il BI., rappresentando che il finanziamento non era stato da lui richiesto, bensì era stato sollecitato dall'istituto, e precisando che detta erogazione era stata corredata dalla pattuizione circa la possibilità di restituzione, in qualsiasi momento, delle azioni sottoscritte, con conseguente annullamento de) finanziamento medesimo, aveva affermato di non essere tenuto alla restituzione dell'importo erogatogli, restituzione che, tuttavia, gli era stata intimata. Di qui l'esercizio dell'azione, nell'ambito del giudizio civile 13518/16 RG, radicato innanzi al Tribunale di Venezia - Sezione specializzata delle imprese, finalizzata alla declaratoria di nullità del negozio, ex art. 2358 c.c., azione che, successivamente, il BI. aveva trasferito, ai sensi dell'art. 75 co. 1 c.p.p., nel presente processo penale. Nondimeno, il tribunale di Vicenza aveva dichiarato l'improcedibilità dell'azione ex art. 83 T.U.B. senza affatto considerare la peculiare posizione del BI. medesimo, bensì parificandola a quella degli altri azionisti che rivendicavano il danno loro derivato dal deprezzamento delle azioni. In tal senso ricostruiti i fatti, l'appellante ha censurato la decisione impugnata, sul rilievo della perseguibilità dell'azione di nullità, in quanto azione non esperibile nell'ambito della procedura finalizzata all'accertamento del passivo (come peraltro ripetutamente precisato, proprio con riferimento alle "operazioni baciate", dalla giurisprudenza della sezione specializzata del Tribunale lagunare). Nel caso di specie, infatti, il BI., all'atto del trasferimento dell'azione nel processo penale, aveva espressamente domandato che venisse dichiarato nulla essere dovuto in adempimento del contratto di affidamento di euro 500.000,00 intervenuto con B. e relativo alia sottoscrizione di 8000,00 azioni della Banca stessa". Inoltre, una ulteriore ragione di nullità del negozio derivava, ex art. 1418 c.c., dalla illiceità della relativa causa. Per contro, il tribunale, ritenendo che l'azione fosse di tipo risarcitorio e non già demolitorio, aveva concluso nel senso della sua improcedibilità. Né poteva risultare di ostacolo all'accoglimento di detta domanda l'intervenuta procedura di liquidazione coatta amministrativa dell'istituto di credito, non essendosi per ciò solo in presenza di una soluzione di continuità incidente sul piano della soggettività della parte che aveva erogato il finanziamento. In ogni caso, la nullità del negozio e, quindi, della pretesa creditoria in capo a B., rendeva conseguentemente non riconoscibile il medesimo credito in capo a B. in liquidazione. Pertanto, la difesa ha chiesto, in via istruttoria, l'escussione del BI., ove ritenuta necessaria ai fini della prova della esclusiva provenienza da B. dell'invito ad accettare l'erogazione dell'affidamento; nel merito, ha concluso sollecitando la declaratoria di nullità del finanziamento di euro 500.000 e della coeva sottoscrizione di nr. 8000 azioni con conseguente dichiarazione che nulla era dovuto dal BI. in adempimento del suddetto contratto. Ha chiesto, infine, la liquidazione delle spese del giudizio civile trasferito nel processo penale e la condanna di B. al pagamento delle spese sostenute dalla medesima parte civile. 6 Il processo d'appello All'udienza 22.4.2022, ha avuto luogo la costituzione delle parti e la Corte, pronunziando su istanze del difensore del responsabile civile B. in liquidazione, ha pronunziato ordinanza di estromissione di detta parte. Le parti, poi, hanno depositato memorie come da verbale. Quindi, la Corte ha dato atto della predisposizione di relazione scritta, segnalando che il relativo deposito (tramite inserimento, a mezzo di apposito link, sul sito internet dell'ufficio) avrebbe potuto surrogare l'illustrazione orale e, acquisito l'accordo delle parti, è stato disposto in tal senso. Inoltre, in considerazione dell'elevatissimo numero delle parti civili e delle conseguenti implicazioni logistiche (anche in considerazione delle problematiche connesse alla pandemia da Covid 19) è stata prevista la possibilità che dette parti ed i rispettivi difensori, ovviamente senza alcuna deroga alle disposizioni di legge in materia di partecipazione alle udienze, potessero assistere (senza possibilità di interlocuzione diretta, quindi) alle udienze alle quali non avessero inteso presenziare direttamente fruendo del collegamento streaming, appositamente approntato dall'ufficio. Alla successiva udienza 16.5.2022, la Corte ha dato atto dell'avvenuto deposito della relazione scritta nei termini concordati. Quindi, le parti hanno illustrato le rispettive eccezioni (di inammissibilità delle impugnazioni; di nullità; ovvero di inutilizzabilità di singole prove) ed istanze di rinnovazione istruttoria" Tale attività è proseguita all'udienza 18.5.2022 e, all'esito, la Corte ha pronunziato ordinanza, cui si rinvia. La rinnovazione istruttoria, che si è tradotta nell'acquisizione di prove documentali ed orali, ha impegnato le udienze 30.5.2022, 1.6.2022, 8.6.2022, 13.6.2022, 15.6.2022, 17.6.2022, 20.6.2022, 24.6.2022, 5.7.2022, 8.7.2022 e 15.7.2022. La discussione, poi, ha avuto luogo alle udienze 19.9.2022, 20.9.2022, 22.9.2022, 23.9.2022, 28.9.2022, 30.9.2022 e 5.10.2022. Infine, all'udienza 10,10,2022, si sono svolte le repliche ed è stata pronunziata sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE Premessa metodologica La vicenda processuale, come s'è visto, si caratterizza per l'inusitata complessità dei fatti sub iudice, tanto per la natura estremamente specialistica delle tematiche economico-finanziarie di riferimento, quanto per le conseguenti implicazioni giuridiche, quanto, ancora, per la vastità del panorama probatorio raccolto all'esito di una lunga e laboriosa istruttoria dibattimentale. Ebbene, a tutte le tematiche rilevanti ai fini del decidere, il primo giudice ha offerto una risposta analitica, argomentata e, ad avviso di questa Corte, persuasiva, fatta eccezione, per quanto si dirà più oltre, con riferimento a talune specifiche questioni (segnatamente, in ordine alla affermazione circa la reiterazione delle contestazioni di aggiotaggio e, in parte, anche di ostacolo alla vigilanza, nonché in relazione alla confisca). Tenuto conto di ciò e considerata la diversa natura del giudizio di appello, chiamato a dare riposte alle questioni devolute con i motivi di gravame, è inevitabile il richiamo, per quegli aspetti della vicenda non oggetto di specifica censura, al provvedimento impugnato. Del resto, là dove ci si trovi in presenza di una sentenza di conferma del primo giudizio - ovverosia della c.d. "doppia conforme" - la struttura argomentativa dei provvedimenti di merito è destinata a saldarsi, in base alla omogeneità dei criteri di valutazione delle prove concretamente utilizzati (cfr. sul punto, Cass. Sez., V, n. 7437 del 15.10.2021, Ci. e altri, pag. 47; nonché Sez. II, n. 37295 del 19.6.2019, Sez. III, n. 44418 del 16.7.2013, Ar., Sez. III n. 13926 del 1.12.2011, Va.). Di qui la legittimità del rinvio alla trama argomentativa della decisione di primo grado, trama che, a ben vedere, costituisce la "cornice" all'interno della quale debbono collocarsi tutte le considerazioni svolte, nel solco delle specifiche doglianze argomentate negli atti di appello, nella presente sentenza. Tanto premesso, una ulteriore precisazione è d'obbligo. I motivi di impugnazione proposti dagli imputati affrontano, ripetutamente, questioni comuni (la competenza territoriale; i criteri di individuazione delle "operazioni baciate" e la "portata applicativa" dell'obbligo di deduzione delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito; la natura e la struttura dei reati oggetto di addebito; le sollevate eccezioni di violazione dei principi del ne bis in idem sostanziale e del nemo tenetur se detegere) e la soluzione di tali questioni - unitamente alla verifica dell'attendibilità e consistenza della chiamata di correo sopravvenuta in grado di appello - costituisce presupposto ineludibile anche con riferimento alla trattazione degli appelli proposti dal P.M.. Donde la decisione di far precedere alla trattazione dei singoli motivi di impugnazione l'analisi di questioni che, proprio in quanto di "interesse generale", ragioni di ordine espositivo e di semplificazione della struttura motivazionale rendono opportuno affrontare in un unico contesto, anche al fine di evitare superflue ripetizioni nel corso della presente trattazione. 7 La competenza Le difese degli imputati ZO., GI. e PI., nei termini di cui ai rispettivi atti di appello e motivi nuovi, hanno eccepito l'incompetenza del tribunale di Vicenza (quanto all'imputato GI., trattasi, peraltro, del cap. I dell'atto di appello, ossia di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione). L'eccezione è infondata. Al riguardo, va anzitutto evidenziato come la (parziale) diversità delle parti dei procedimenti attinenti, rispettivamente, alla cautela ed al merito (taluni degli odierni imputati non risultando indagati al momento della risoluzione del conflitto di competenza ad opera della Corte di Cassazione con sentenza Sez. I, n. 15537 del 7.12.2017, dep. il 6.4.2018) e la estraneità della prospettata competenza del tribunale di Roma rispetto alla cognizione devoluta alla Suprema Corte adita dal GIP del tribunale di Milano in occasione di tale conflitto impediscano di ravvisare nella decisione di cui alla citata sentenza della Suprema Corte la preclusione processuale prevista ex art. 25 c.p.p.. Ciò posto, sussisteva la competenza dell'autorità giudiziaria di Vicenza. Al riguardo, va in primo luogo ribadito come il reato più grave, ai fini della competenza, sia stato correttamente individuato dal primo giudice nella fattispecie di ostacolo di cui al capo B1), in considerazione della contestata aggravante ex art. 2638, co. 3, c.c.. Le articolate argomentazioni svolte nella sentenza gravata in ordine alla inapplicabilità alle fattispecie di falso in prospetto, contestate sub I) ed L), dell'aumento di pena previsto ex art. 39, c. 1, L. 262/05 sono, invero, del tutto convincenti e, in questa sede, non possono che essere integralmente richiamate, deponendo in tal senso tanto il tenore della disposizione ex art. 39, co. 3 L. cit. quanto l'intentio legis siccome ricavabile dai lavori preparatori. Né possono condividersi le considerazioni difensive in ordine alla avvenuta consumazione del suddetto reato di ostacolo in Roma, presso la sede della Banca d'Italia, al momento della ricezione della comunicazione ICAAP da parte della predetta autorità di vigilanza. Per vero, in disparte ogni considerazione di merito in ordine alla attitudine decettiva di tale comunicazione, è decisivo osservare: - per un verso, in diritto, che la valutazione che il giudice di primo grado è chiamato a svolgere in ordine alla propria competenza deve esplicarsi nell'alveo della contestazione siccome formulata dal pubblico ministero, effettivo dominus dell'azione penale (cfr. Cass. Sez. I, n. 36336 del 23.7.2015, dep. 8.9.2015, confl. comp. in proc. Novarese), al di là dell'ipotesi della presenza, nel corpo dell'imputazione medesima, di errori macroscopici, ictu oculi percepibili come tali (Cass. Sez. I, n. 31335 del 23.3,2018, dep. 10.7.2018, confl. comp, in proc. Gi., Cass. Sez. I, n. 11047 del 24.2.2010, confl. comp. in proc, Gu.). Il sistema processuale, infatti, non può tollerare indebite incursioni del giudicante in uno spazio costituzionalmente riservato alla pubblica accusa ex art. 112 Cost., beninteso fatta eccezione per l'ipotesi - che, d'altronde, non viene in rilievo nel caso di specie - di addebito tanto impreciso da pregiudicarne la esatta comprensione (in quanto, in tal caso, sussiste il potere/dovere del giudice, in sede di udienza preliminare, di sollecitare la puntualizzazione dell'imputazione prima di disporre, in caso di mancata adesione del P.M. a tale sollecitazione, la restituzione degli atti allo stesso P.M.); - e, per altro verso, in fatto, che il predetto capo di imputazione sub B1) non contemplava, neppure indirettamente, la contestazione della condotta di invio della comunicazione ICAAP alla Banca d'Italia. Ed invero, non solo non v'è riferimento alcuno, in tale capo di imputazione, alla citata comunicazione ICAAP, ma l'articolata descrizione dei fatti ivi contestati è interamente relativa a condotte poste in essere in sede di vigilanza ispettiva, presso la sede dell'istituto vigilato. Del resto, l'indicazione del focus e del tempus commissi delicti di riferimento ("In Vicenza, dal 28 maggio ai 12 ottobre 2012"), ancorché non decisiva, costituisce chiaro riscontro dell'intenzione della pubblica accusa di escludere l'invio della comunicazione citata dal perimetro della imputazione. In buona sostanza, quello che i difensori vorrebbero ricompreso nel perimetro del capo B1), facendone discendere il radicamento della competenza in capo all'autorità giudiziaria romana, è un fatto storico distinto da quelli oggetto di addebito in tale imputazione, fatto che ben avrebbe potuto integrare una autonoma ipotesi delittuosa connessa ex art. 12 co. 1, lett. b, seconda ipotesi, c.p.p. e, pertanto, giustificare una integrazione dell'imputazione in sede di udienza preliminare ex art. 423, co. 1, c.p.p. (senza, peraltro, che possa configurarsi, in capo al giudicante, la facoltà di invitare la parte pubblica ad operare in tal senso - cfr. Cass. Sez. II, n. 44952 del 9.10.2014), ma la contestazione del quale, in ogni caso, potrebbe pur sempre essere oggetto di separato addebito. Di qui il rigetto della eccezione di incompetenza territoriale. E' solo per mera completezza, quindi, che si precisa come a non diverse conclusioni dovrebbe comunque giungersi anche ove si volesse considerare la citata comunicazione ICAAP - diversamente da quanto, lo si ripete, ritiene questa Corte - indirettamente "ricompresa" nel perimetro dell'imputazione. E, questo, sia qualora si qualificasse l'invio di tale comunicazione come modalità esecutiva dell'ipotesi di reato dì "mera condotta" e di "pericolo concreto", caratterizzato dal "dolo specifico" di ostacolo, di cui alla fattispecie ex art. 2638, co. 1, c.c.; sia nell'ipotesi in cui il medesimo invio fosse invece considerato alla stregua di una condotta integrante la diversa fattispecie, ex art. 2638, co. 2 c.c., di "delitto di evento" (evento costituito dall'intralcio al potere di vigilanza). A ben vedere, infatti, il luogo di consumazione del reato andrebbe individuato: - nel primo caso, in quello di invio della comunicazione medesima e, quindi, nella vicenda per cui è processo, sempre in Vicenza. Questo, in quanto sarebbe di certo errato confondere il momento di esecuzione della attività decettiva con quello della sua successiva efficacia, essendosi in presenza di un reato istantaneo che, conseguentemente, si consuma nel momento in cui è posta in essere la relativa condotta (ed inerendo l'accertamento del pericolo unicamente al profilo della necessaria offensività dì tale condotta e non già a quello della consumazione del reato, pena un indebito "avanzamento" della relativa soglia, senza che possa a tal fine valorizzarsi l'eventuale natura recettizia della comunicazione in questione, incidente unicamente in punto di efficacia dell'azione tipica); - e, nel secondo caso, in quello nel quale l'attività di controllo, pregiudicata dalla comunicazione ingannevole, avrebbe dovuto svolgersi (e dove, di lì a poco, ha effettivamente avuto luogo), ovverosia, nella concretezza del caso sub iudice, presso la sede dell'istituto di credito vigilato (e, pertanto, ancora una volta, nel capoluogo berico). 8 Il reato di aggiotaggio Il tribunale di Vicenza, nel capitolo VI della sentenza impugnata, ha dettagliatamente illustrato i criteri ermeneutici seguiti nella ricostruzione dell'istituto in questione, dando compiutamente conto degli approdi cui è pervenuto sul punto, anche attraverso pertinenti richiami alla giurisprudenza di legittimità di riferimento. In estrema sintesi, il primo giudice, dopo avere individuato, alla stregua della disposizione normativa in materia, le condotte integranti gli estremi del reato di aggiotaggio finanziario (finalizzato "a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati, ovvero per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato") e bancario (finalizzato "ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o gruppi bancari"), rispettivamente, nella diffusione di "notizie false" (aggiotaggio informativo) ovvero nel compimento di "operazioni simulate", ovvero ancora nell'utilizzo di altri artifici" (aggiotaggio manipolativo o operativo), ha precisato come, nella vicenda in esame, le "operazioni simulate" e gli "altri artifici" in altro non consistessero che nel sistematico ricorso al capitale finanziato, nella conseguente omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. e, infine, nella mancata comunicazione dell'esistenza di detta prassi all'esperto incaricato della stima del valore del titolo. Sulle ragioni tanto della natura simulata o, comunque, artificiosa, del ricorso al capitale finanziato, quanto della conseguente omessa iscrizione a bilancio della relativa riserva, quanto, ancora, della mancata comunicazione di detta prassi in sede di stima del valore dell'azione, non resta che richiamare, in assenza dì specifiche doglianze difensive, le puntuali considerazioni svolte, in prime cure, alle pagine 397 - 406 della sentenza impugnata. Analogamente, con riferimento alla diffusione delle notizie false in sede di pubblicazione dei bilanci d'esercizio (segnatamente, al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014), di comunicati stampa (in data 8.2.2012, 19.3.2013, 27.4.2013, 9-8.2013, 27.8.2013, 18.3.2014, 8.7.2014, 29.8.2014, 26-10.2014, 10.2.2015, 3.3.2015), di comunicazioni ai soci (lettere del 30.3.2012, del 3,9.2012, del 19.3.2013, del 10.9.2013, del 2.4.2014, del 9.9.2014, del 4.12.2014, del 19.3.2015) e, infine, delle comunicazioni al pubblico ex art. 114 TUF, il tribunale ha evidenziato in modo rigoroso i profili di falsità e l'attitudine decettiva dei dati e delle informazioni ivi riportate. Sicché, anche al riguardo, è d'uopo il rinvio alla sentenza impugnata. Così come meritevole di richiamo, infine, è il percorso argomentativo (cfr. sentenza impugnata, pagg. 419-423) seguito dal tribunale nella dimostrazione dell'idoneità delle predette condotte operative ed informative ad incidere, per un verso, sul prezzo delle azioni B. e, per altro verso, sull'affidamento riposto nella stabilità patrimoniale di B. e dell'omonimo gruppo bancario. Diversamente, più articolate considerazioni si impongono in relazione alle conclusioni cui il primo giudice è giunto in ordine al concorso di reati, trattandosi di profilo sul quale si sono appuntate specifiche ed argomentate doglianze difensive (cfr. appello Gi., pagg. 80 e ss.; appello Pi., pagg. 145-146 nonché pagg. 12-18 dei motivi nuovi d'appello; appello Zo., pagg. 347 e ss, là dove, peraltro, il tema è stato valutato sotto lo specifico angolo visuale del divieto di "bis in idem sostanziale", come meglio precisato più oltre). Ebbene, il tribunale ha ricostruito la disposizione ex art. 2637 c.c., come una "norma penale mista cumulativa", ovverosia come una norma che contempla diverse condotte non già equipollenti ed alternative, bensì espressione di modalità esecutive di altrettanti reati, ciascuno dotato di autonomia e, pertanto, tutti sottoposti, guanto al reciproco rapporto, alla disciplina in materia di concorso di reati. Questo, con l'ulteriore precisazione che, se il rapporto tra aggiotaggio manipolativo ed informativo è tale da rendere unicamente ravvisabile il concorso materiale, ne deriva che, in caso di pluralità di operazioni omogenee (tanto nell'ipotesi di più condotte di aggiotaggio operativo, quanto in quella di aggiotaggio informativo), per comprendere se si sia in presenza o meno di una pluralità di reati si impone una analisi più approfondita. Inoltre, il giudice di prime cure ha qualificato il reato di aggiotaggio come un reato istantaneo, che si consuma al momento della diffusione delle notizie false, ovvero della realizzazione delle operazioni simulate, ovvero ancora delle altre condotte artificiose (e, al riguardo, il richiamo operato dal Tribunale è a Cass. Sez. V n. 40393 del 20.6.2012; si vedano, inoltre: Cass. Sez. V, n. 49362 del 7.12.2012, Consorte, Cass. Sez. V, n. 28932 del 4.5.2011, Ta., Cass. Sez. 5, n. 4324, 8.11,2012, dep. 29.1.2013, dall'Aglio e altro), con conseguente pericolo di destabilizzazione del sistema bancario/sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario, tenuto conto del fatto che, trattandosi di reato di pericolo concreto, a venire in rilievo è il momento nel quale la "condotta acquisisce connotati di concreta lesività" (e, sul punto, la sentenza impugnata ha richiamato Cass. Sez. V, n. 4324 dell'8.11.2012). Peraltro, è appena il caso di precisare che la natura di reato di mera condotta e di pericolo concreto della fattispecie in esame - ovverosia di reato per l'integrazione del quale è sufficiente che siano posti in essere comportamenti diretti a cagionare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale di una banca - è stata anche ribadita dalla successiva giurisprudenza di legittimità, sicché, in ordine a tali specifici lineamenti dell'istituto, si è in presenza di approdi oramai consolidati (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. V, n. 4619 del 27.9,2013, P.M. e P.O. in proc. Compton e altri, Sez., V, n. 54300 del 14,9,2017, Ba.). In definitiva, il tribunale di Vicenza ha risolto il problema della unità/pluralità di reati ravvisando un unico reato là dove, anche in presenza di una sequela di atti omogenei, sussista una manovra caratterizzata, per utilizzare le parole del primo giudice, "dall'unitarietà dell'attitudine manipolativa". Diversamente, secondo la medesima prospettiva esegetica, la ripetizione di condotte omogenee, poste in essere in tempi diversi, avrebbe imposto di ritenere sussistenti una pluralità di operazioni manipolative. Trattasi di una interpretazione della fattispecie di riferimento, nel complesso, rispettosa dei lineamenti di tale ipotesi delittuosa e, pertanto, in larga parte meritevole di condivisione, sebbene si impongano, come si dirà di seguito, talune, significative precisazioni. Al riguardo, va anzitutto osservato che la definizione del reato di aggiotaggio come di un reato istantaneo non riscuote, nella giurisprudenza di legittimità, consensi unanimi, essendosi sostenuta, per contro, in talune pronunzie, la natura "eventualmente permanente" della fattispecie in esame (trattasi di Cassazione Sez. II, n. 12989 del 28.11.2012, dep. 21.3.2012 Consorte ed altri; si veda, inoltre, la precedente Cass. Sez. 15.4.2011, dep. 8.7.2011, n. 26829, confl. comp. in proc. Consorte). Conseguentemente, secondo tale approccio ermeneutico, pur nell'ipotesi di una pluralità di condotte tenute in tempi (e luoghi) differenti, si sarebbe in ogni caso in presenza di un unico reato. Sennonché, in disparte ogni considerazione in ordine al fatto che, nelle vicende processuali cui ineriscono le citate pronunzie, la tematica era stata analizzata sotto lo specifico angolo visuale della competenza territoriale, va precisato come il reato di aggiotaggio ben difficilmente possa essere ricompreso nel novero tanto dei reati permanenti (ovverosia di quei reati caratterizzati dal divieto della creazione di una situazione antigiuridica la cessazione della quale rientra nel dominio del soggetto agente), quanto di quelli eventualmente permanenti (qualora - come pare corretto ritenere - tra tali delitti dovessero ricomprendersi reati caratterizzati dalla possibilità di realizzazione attraverso plurime modalità di condotta, parte a carattere istantaneo, parte a carattere permanente, nell'accezione dianzi precisata). E' bensì vero che all'origine di tale impostazione v'è anche una insopprimibile esigenza di razionalità (alla quale, peraltro, non sono estranee palpabili ragioni di equità) e, segnatamente, quella di scongiurare la incontrollata proliferazione di contestazioni là dove - come, peraltro, normalmente accade nella prassi - il reato di aggiotaggio si presenti caratterizzato da una ripetizione di condotte analoghe, generalmente poste in essere in contesti temporali limitati. Tuttavia, è agevole osservare come, per scongiurare i paventati esiti, obiettivamente irrazionali, non siano affatto indispensabili particolari sforzi di ortopedia interpretativa e, in particolare, non occorra necessariamente ricondurre il reato in questione nell'alveo dei reati permanenti o eventualmente permanenti (come, peraltro, sostenuto anche da un risalente orientamento dottrinale, consolidatosi nella vigenza della pregressa formulazione della fattispecie) e neppure in quello dei reati eventualmente abituali. A ben vedere, infatti, al di là delle differenti opzioni teoriche, occorre considerare che, nel caso di specie, il Tribunale di Vicenza, ben lungi dall'avallare un'impostazione incline ad individuare una distinta fattispecie delittuosa in ciascuna delle condotte oggetto di contestazione, con conseguente aggravamento del rischio di indebita proliferazione dei reati, ha individuato correttivi destinati ad operare in concreto, avuto riguardo alla peculiarità della vicenda sottoposta al suo vaglio; correttivi che consentono di ricondurre ad unità condotte omogenee in quanto ricollegate al medesimo "evento" di pericolo determinato dalle condotte oggetto di contestazione. In particolare, è stato sufficiente valorizzare le concrete, marcate peculiarità dei fatti di riferimento, in quanto palesemente caratterizzati dall'unitarietà dell'attitudine manipolativa" delle relative condotte, del tutto analoghe e poste in essere in uno specifico arco temporale (annuale) dotato, come si dirà di seguito, di univoca significazione. Più nel dettaglio, il giudice di prime cure, adeguatamente valorizzando specifici e decisivi connotati concreti, ha considerato manifestazioni di un unico reato di aggiotaggio le condotte manipolative poste in essere all'interno Ih dell'arco temporale annuale. Questo, proprio in considerazione, per un verso del fatto che il prezzo dell'azione B. (essendosi in presenza di strumento finanziario non quotato) era determinato annualmente dall'assemblea dell'istituto, sulla base dei parametri patrimoniali ed economici evidenziati nel corso dell'anno, "in base ad una valutazione di un esperto che operava proprio sulla base delle informazioni fornite dall'istituto medesimo"; e, per altro verso, della circostanza che le condotte manipolative operative erano "pianificate sulla base dell'andamento del mercato stesso e della situazione patrimoniale della banca, in ragione delle cadenze prestabilite per le valutazioni - patrimoniali e di stima - in tal senso determinanti, che avevano periodicità annuale" (cfr. sentenza impugnata, pag, 425), Di qui la conclusione - che va condivisa - circa la ravvisabilità di tanti reati di aggiotaggio quanti sono gli anni di riferimento (dal 2012 al 2015). Più articolate considerazioni, per contro, si impongono con riferimento al profilo dei rapporti tra i reati di aggiotaggio "finanziario" e "bancario", tanto in ordine alle ipotesi di "manipolazione operativa", quanto a quelle di "manipolazione informativa". Ad orientare il tribunale nel senso della ravvisabilità del concorso di reati sono state: - sotto il primo profilo (quello inerente alla coesistenza delle ipotesi delittuose di aggiotaggio finanziario e bancario), la diversa, astratta natura degli "eventi di pericolo" considerati dalla disposizione di riferimento (costituiti, segnatamente, dalla sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari e dalla significativa incidenza sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità di una banca); - e, sotto il secondo profilo (quello del concorso tra "manipolazione operativa" e "manipolazione informativa"), la strutturale distinzione delle modalità esecutive di riferimento. E' stato per tali ragioni, quindi, che il giudice di prime cure, nell'ambito della tradizionale distinzione tra "norme miste cumulative" (o "disposizioni a più norme") e "norme miste alternative" (o "norme a più fattispecie"), è pervenuto a collocare l'ipotesi ex art. 2637 c.c. nell'alveo della prima categoria, traendone le conseguenti conclusioni richiamate in premessa. Trattasi, peraltro, di impostazione che, sebbene avallata dalla pronunzia di legittimità evocata dallo stesso tribunale (Cass. 28932/11, imp. Ta.), non è affatto condivisa dalla prevalente dottrina, incline, al contrario, ad escludere il concorso formale eterogeneo tra diverse modalità di realizzazione della medesima fattispecie ed a ravvisare, in siffatta evenienza, un unico reato caratterizzato da alternative modalità di esecuzione. Questo, in ragione della struttura unitaria della fattispecie di riferimento (un argomento in tal senso è stato tratto, in dottrina, anche dai contenuti della Relazione Ministeriale al D.Lgs. 61/2002, con particolare riguardo ai suoi par. 1. e 17.) e, in ogni caso, facendo concreta applicazione di una pluralità di parametri usualmente impiegati per risolvere i problemi posti dalla presenza di "leggi penali miste". Ebbene, la soluzione della questione sub iudice, ad avviso di questa Corte, non implica affatto, necessariamente, l'astratta adesione all'una ovvero all'altra delle opzioni teoriche di riferimento: piuttosto, passa attraverso l'adeguato apprezzamento critico della peculiare concretezza di tale vicenda. A ben vedere, ove si considerino debitamente le specificità del caso, in effetti caratterizzato: - per un verso, dalla particolare natura (un istituto di credito, per l'appunto) dell'ente di riferimento; - per altro verso, dall'inestricabile combinazione di condotte di "manipolazione operativa" ed "informativa" poste in essere dagli imputati; - e, per altro verso ancora, dalla circostanza che tali condotte manipolative hanno avuto, quale riferimento, il titolo dell'istituto di credito, non pare affatto possibile ravvisare tanti reati di aggiotaggio bancario e finanziario, operativo ed informativo, quanti sono gli anni di riferimento. In effetti, ponendosi - come doveroso - sul piano della concretezza degli accadimenti, è giocoforza concludere, anzitutto, che "l'evento di pericolo" dell'aggiotaggio bancario non risulta, di fatto, separabile dall'"evento di pericolo" costituito dall'alterazione del prezzo delle azioni B., trattandosi, in buona sostanza, di null'altro che della medesima ricaduta perniciosa dell'articolato complesso delle attività delittuose osservata da due distinte prospettive. Ravvisare, nel caso di specie, una pluralità di reati costituirebbe, quindi, l'esito di una interpretazione formalistica, contraria alla concreta realtà degli accadimenti ed in stridente contrasto con le esigenze sottese al divieto di bis in idem sostanziale. A ben diversi approdi, infatti, potrebbe giungersi - ad ulteriore riprova della decisività di un approccio incline a valorizzare le specificità del caso - solo qualora le condotte di aggiotaggio informativo avessero inciso sull'affidabilità riposta dal pubblico nell'istituto bancario senza necessariamente presupporre la manipolazione operativa del prezzo del titolo (come, invece, pacificamente avvenuto nel caso in esame). Peraltro (e, sul punto, l'obiezione articolata dalla difesa GI. al paragrafo XIII-4 coglie nel segno), opinando nel solco delle considerazioni svolte dal tribunale si finirebbe per ravvisare, sempre e comunque, in ogni caso di aggiotaggio societario incidente su uno strumento finanziario non quotato, sia il reato di aggiotaggio bancario sia il reato di aggiotaggio finanziario. In definitiva, quella che è stata in dottrina qualificata come "irriducibilità degli eventi pericolosi" (sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, da un lato; affidamento riposto nella stabilità patrimoniale della banca, dall'altro) - pure, sul piano astratto, evidentemente indiscutibile - costituisce elemento destinato a perdere ogni rilievo nell'ambito di una valutazione necessariamente calata dal piano della astratta speculazione a quello della reale dinamica degli eventi sottoposti al giudizio. Ne deriva che, nella peculiare vicenda al vaglio di questa Corte, possono essere fondatamente individuati, per ciascun anno di riferimento, gli estremi di un solo delitto di aggiotaggio e, segnatamente, di aggiotaggio bancario, ove si considerino: - da un lato, la circostanza che le modalità con le quali è possibile incidere sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della banca sono certamente molteplici e, quindi, non sono certo necessariamente limitate alla alterazione del prezzo dell'azione (come del resto riscontrato anche nel caso di specie, alla stregua dalla variegata natura delle condotte oggetto di contestazione, inerenti, segnatamente, anche alla diffusione di notizie false relative "alla reale entità del patrimonio", alla "solidità patrimoniale della banca", alla "crescita della compagine sociale" e, infine, al "buon esito delle operazioni di aumento di capitale"); - e, dall'altro lato, evidenti ragioni di "specialità" (essendosi in presenza, nel caso in esame, di un ente societario avente la peculiare natura di istituto di credito). Del resto, pare obiettivamente arduo obliterare una circostanza tutt'altro che trascurabile ai fini di una ricostruzione del fenomeno delittuoso che sia, al contempo, coerente con la effettiva dinamica dei fatti ed immune da estrema astrattezza e da conseguenti eccessi rigoristici. Trattasi del fatto che, nell'ambito dell'arco temporale (annuale) di riferimento, il pericolo tanto di alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, quanto del condizionamento dell'affidamento del pubblico nella stabilità patrimoniale della banca, costituivano, con ogni evidenza, un unitario "fattore di coagulazione" delle condotte antigiuridiche, comune sia alle manipolazioni operative che a quelle informative, queste ultime viste come coessenziali momenti dell'azione manipolativa, in quanto necessariamente determinate dalle prime e ineluttabilmente volte ad occultarle (onde non vanificarle). Aggiungasi che, com'è stato acutamente osservato, sovente, nella prassi - e la vicenda sub iudice, sul punto, né è la plastica conferma - le "tecniche manipolatone" non si presentano in forma esclusivamente informativa o manipolativa, bensì necessariamente assumono connotati ibridi, espressione di una combinazione, difficilmente scindibile, di condotte riconducibili alle due diverse categorie, dando così luogo ad un unico, ancorché complesso, effetto manipolativo. In ogni caso, ciò che rileva è il comune denominatore (costituito dalla oggettiva idoneità decettiva della condotta, tale cioè da influenzare il processo decisionale dell'investitore/risparmiatore) che induce ad assimilare le modalità informative a quelle operative. In definitiva, il carattere che unifica le due condotte è quello della medesima struttura fraudolenta. In altri e decisivi termini, nella peculiare fisionomia del caso in esame, caratterizzata tanto dalla riferibilità al medesimo nucleo di soggetti apicali sia delle condotte di aggiotaggio manipolativo che informativo, quanto dalla idoneità delle relative condotte a realizzare (od occultare) la medesima situazione di pericolo, una lettura dei fatti più aderente al loro concreto verificarsi induce a ricondurre le condotte di manipolazione operativa nell'orbita di quelle di manipolazione informativa, essendo dette forme eterogenee di manipolazione parti integranti di un'unica operatività delittuosa. Che, poi, nel contesto di tale, unitaria operatività abbia in concreto assunto più spiccato rilievo la "dimensione informativa" del reato in esame discende - sempre coerentemente ponendosi nell'ottica della effettiva materialità degli accadimenti - dalla semplice considerazione che, nell'ambito della inestricabile connessione tra condotte informative e condotte di manipolazione operativa di cui s'è detto, queste ultime costituivano "l'antefatto" delle prime, le quali, a loro volta, erano funzionali a rendere "proficue" le seconde, il tutto, come s'è detto, in attuazione di una inscindibile unitarietà del complessivo contegno manipolativo (si vedano, sul punto, le acute osservazioni contenute nella citata sentenza Cassazione Sez. II, n. 12989 del 28.11.2012, dep. 21.3.2012 Consorte ed altri). Ebbene, in un siffatto, peculiare contesto, il punto "di caduta" delle complessive azioni delittuose è stata la determinazione del prezzo dello strumento finanziario da parte dell'esperto, indotto in errore sulla base degli esiti dell'attività manipolativa (illeciti finanziamenti; operazioni correlate) e del conseguente flusso di informazioni false indirizzategli dalla "Divisione Bilancio". Inoltre, le informazioni decettive sono poi necessariamente confluite in quel "documento di sintesi" costituito dal bilancio, elemento essenziale per la comprensione dello "stato di salute" dell'istituto. E' solo in questi termini, quindi, che ha senso riconoscere effettivo rilievo, nella concretezza del caso di specie, alla "prevalenza" della condotta informativa su quella manipolativa. Donde la conclusione che, difformemente da quanto sostenuto dal primo giudice, non possono ravvisarsi, nel periodo di riferimento (2012-2015), 16 reati (4 reati di aggiotaggio finanziario operativo; 4 reati di aggiotaggio finanziario informativo; 4 reati di aggiotaggio bancario operativo; 4 reati di aggiotaggio bancario informativo), bensì soltanto 4 reati di aggiotaggio (bancario) singolarmente individuabili secondo una cadenza annuale, tale essendo la periodicità riferibile tanto alla determinazione del prezzo dell'azione quanto alla rappresentazione all'esterno dei "fondamentali" della banca che confluivano nel bilancio oggetto dì pubblicazione. Ovviamente, la scelta operata da questa Corte nel senso della riduzione ad unità di alcune delle fattispecie delittuose contestate (individuazione di sole quattro fattispecie di reato) implica immediate ricadute sul trattamento sanzionatorio, nel senso che ne determina necessariamente un ridimensionamento (astratta punibilità di sole quattro fattispecie in luogo delle sedici fattispecie individuate dal giudice di primo grado). Resta, in ogni caso, evidente che già in base all'impostazione adottata dal tribunale (che, come s'è detto, ha considerato manifestazioni di un unico reato le condotte di aggiotaggio di carattere omogeneo poste in essere all'interno dell'arco temporale annuale) è inevitabile calcolare in maniera diversificata la prescrizione delle diverse ipotesi di aggiotaggio, individuando un autonomo termine della relativa decorrenza con riferimento a ciascuno degli anni presi in considerazione. A tale impostazione consegue, in ogni caso, la dichiarazione di estinzione per prescrizione dei reati di aggiotaggio perfezionati negli anni fino al 2014, con conseguente eliminazione delle pene previste per le corrispondenti ipotesi di reato. 9 Il reato di ostacolo alla vigilanza In ordine alle imputazioni di ostacolo alla vigilanza in danno di Banca d'Italia, va ricordato come il tribunale, con riferimento agli addebiti, relativi ad ipotesi di vigilanza informativa, di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1, a fronte della contestazione tanto della fattispecie di cui all'art - 2638, co. 1 c.c., quanto dì quella di cui al secondo comma della disposizione in esame (e, questo, ad onta del richiamo, in rubrica, unicamente alla disposizione di cui all'art. 2638 co. 2, c.p.), abbia ritenuto sussistente, in presenza di condotte di omessa comunicazione con mezzi fraudolenti tali da creare ostacoli rilevanti alla autorità di vigilanza, unicamente il reato di cui all'art. 2638, co. 2, c.c.. Questo, in applicazione dei principi di sussidiarietà e consunzione, posto che, secondo l'opinamento del primo giudice, l'evento di ostacolo previsto ex art. 2638 co,2, c.c. avrebbe dovuto ritenersi tale da esaurire l'intero disvalore delle condotte. Diversamente, in relazione al reato di cui al capo B1, inerente alle condotte di ostacolo alla vigilanza ispettiva poste in essere in occasione dell'ispezione del 2012, a fronte della realizzazione di due condotte distinte (segnatamente: occultamento del capitale finanziato e delle lettere di impegno realizzato con mezzi fraudolenti; omessa comunicazione agir ispettori dell'anomala operatività collegata alle operazioni di capitale finanziato) il tribunale di Vicenza ha concluso nel senso della sussistenza di entrambi i reati previsti, rispettivamente, dal primo e dal secondo comma dell'art. 2638 c.c.. Infine, anche in ordine alla contestazione di cui al capo M1, il giudice di prime cure ha ravvisato una duplicità di reati, in ragione della diversità delle condotte di sviamento delle attività di controllo riferibili, rispettivamente, alla Banca d'Italia (in sede di attività ispettiva posta in essere nel corso del c.d. "Asset Quality Rewiev") ed alla Bc. (nell'ambito del c.d. "Comprehensive Assessment") Ebbene, l'esito cui il tribunale è pervenuto, con riferimento ai reati di cui ai predetti capi C1, D1, E1, F1, G1 ed H1, nell'escludere il concorso tra le due fattispecie, facendo applicazione del criterio dì consunzione, è certamente persuasivo. Al medesimo esito e per le stesse ragioni deve, tuttavia, pervenirsi anche in relazione all'imputazione stigmatizzata sub B1, essendosi parimenti in presenza, nella concretezza del caso di specie, di un solo reato. Il tribunale, in senso contrario, ha valorizzato la congiunta contestazione di condotte tanto di "occultamento con mezzi fraudolenti" delle circostanze, univocamente riferibili al fenomeno del capitale finanziato, richiamate in detta imputazione, quanto di "omessa comunicazione" di siffatte circostanze. Nondimeno, deve osservarsi, sul punto, come: - da un lato, entrambe le condotte debbano ritenersi caratterizzate dalla medesima finalità fraudolenta (essendo state poste in essere dagli stessi soggetti e nel medesimo contesto - ispezione della Banca d'Italia - con occultamento agli ispettori dell'indebito massiccio ricorso ad operazioni correlate), con la conseguenza che la stessa condotta di "omessa comunicazione" deve ritenersi solo un segmento omissivo di una più articolata condotta attiva; - dall'altro lato che, pure in relazione a tale ipotesi di reato, l'effettiva concretizzazione dell'ostacolo alla vigilanza realizzava, contestualmente alla condotta, anche l'intento perseguito, e, di conseguenza, in presenza di una fattispecie descritta e sanzionata secondo un duplice schema in termini di equivalenza (è infatti previsto lo stesso trattamento sanzionatorio per le due ipotesi), il disvalore della condotta risulta esaurito dal conseguimento dell'evento avuto di mira. Le condotte contestate al predetto capo B1, pertanto, devono ritenersi espressione di un unico reato ex art. 2638, co, 2 c.c., proprio in attuazione dei principi di assorbimento già valorizzati dal primo giudice in relazione alle ulteriori contestazioni di ostacolo alla vigilanza. E' solo per completezza, quindi, che va precisato come, anche a volere diversamente opinare sul punto - e, quindi, a voler ravvisare, con riferimento alle contestazioni elevate al predetto capo B1, nel solco della decisione del primo giudice, la coesistenza di entrambe le ipotesi di reato (2638 co. 1 e 2 c.c.) - la circostanza che le condotte di occultamento siano evidentemente collocabili, sotto il profilo temporale, all'inizio dell'attività ispettiva (ovverosia nel momento nel quale l'obbligo di cooperazione con la vigilanza avrebbe imposto l'ostensione di tutti i dati rilevanti ai fini della regolarità del controllo e, quindi, alla data del 28.5.2012, coincidente con l'inizio dell'ispezione di Banca d'Italia presso la sede dell'istituto vigilato) comporterebbe la presa d'atto dell'intervenuta prescrizione di tali condotte, con l'effetto che residuerebbe unicamente il reato di cui all'art. 2638, co.2 c.c.. Analoghe considerazioni, infine, si impongono con riferimento al reato di cui al capo M1, tenuto conto della medesimezza del percorso ispettivo/valutativo (ad onta del coinvolgimento di due autorità di vigilanza distinte ma "cooperanti", ovverosia Banca d'Italia e Bc.) nel cui ambito sono state poste in essere le condotte decettive stigmatizzate in imputazione. Si è evidentemente, in presenza, anche in tal caso, di un medesimo accadimento materiale costituito, nello specifico, da una unitaria operazione di sviamento delle attività di controllo integrata tanto dall'occultamento di dati rilevanti (quelli complessivamente inerenti al capitale finanziato), quanto dalla comunicazione di notizie non corrispondenti a verità (quelle contenute, rispettivamente, nella comunicazione 20.6.2014, inerente al "Preliminary Capital Plan", nelle informazioni relative agli "stress test" e, infine, nel "Capital Plan"), operazione che ha avuto l'effetto, per un verso, di scongiurare approfondimenti conoscitivi e, per altro verso, di indurre le autorità di vigilanza a concludere per l'idoneità delle misure di rafforzamento patrimoniale adottate dall'istituto di credito per superare le carenze emerse all'esito del c.d. Comprehensive Assessment. Pertanto - e concludendo sul punto - ritiene questa Corte che siano ravvisabili, con riferimento ai reati contestati ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1 ed M1, in danno di Banca d'Italia (e, quanto al reato di cui al capo M1, di Bc.), unicamente le ipotesi di reato di cui all'art. 2638, co. 2, c.c., e così pure per il capo N1, avente ad oggetto condotte di ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB. Ciò posto, va ulteriormente precisato che il tribunale di Vicenza, dopo avere richiamato l'orientamento giurisprudenziale incline ad individuare, nelle condotte in esame, un reato eventualmente permanente, ha escluso la ravvisabilità di una unitaria attività di ostacolo alla vigilanza protrattasi per un triennio "e, quindi, di un unico reato), ritenendo integrate, piuttosto, reiterate condotte delittuose poste in essere nel corso di distinte attività di vigilanza, ciascuna compiutamente esauritasi e, quindi, concludendo nel senso di una pluralità di reati. In effetti, ad avviso del giudice di prime cure, in presenza, come nella specie, di condotte di ostacolo protrattesi a lungo, sarebbe l'effettivo esaurimento o meno dell'attività di vigilanza pregiudicata dalle suddette condotte a costituire, al riguardo, l'elemento di discrimine. Trattasi di impostazione che va condivisa. A ben vedere, infatti, qualora siano ravvisabili ostacoli frapposti ad attività di vigilanza distinte (in quanto finalizzate ad eludere specifici interventi di controllo ovvero a conseguire obiettivi mirati, ad esempio il rilascio di autorizzazioni aventi un determinato contenuto) e tutte esauritesi, non pare revocabile in dubbio l'avvenuta consumazione di una pluralità di reati (il momento di consumazione di ciascuno dei quali dovendosi conseguentemente individuare proprio all'atto dell'esaurimento delle singole attività dì vigilanza oggetto di sviamento). Guardando al fenomeno in esame da tale prospettiva, quindi, il richiamo all'opinamento giurisprudenziale in ordine alla natura "eventualmente permanente" della fattispecie di ostacolo delineata dall'art. 2638, co. 2 c.c. assume, ad avviso di questa Corte, pertinente e persuasivo rilievo, in quanto, lungi dall'apparire l'esito di un mero esercizio accademico, se non addirittura di una sterile disputa classificatoria, fornisce le coordinate per scongiurare irrazionali approdi rigoristici, al contempo senza sconfinare in inammissibili "semplificazioni sostanzialistiche". Ebbene, nel caso di specie si è in presenza proprio di una situazione siffatta, ove si consideri che, nel solco degli addebiti di riferimento, le condotte delittuose: - nel caso dell'attività ispettiva del 2012 di cui al capo B1, hanno condizionato tale ispezione, falsandone l'esito; - nel caso di cui al capo C1, hanno consentito l'adozione di una "decisione SREP" più favorevole; - nel caso di cui al capo D1, hanno avuto incidenza sulla lettera di intervento del 24.6.2013 ed hanno impedito la contestuale adozione, da parte della Banca d'Italia, di ulteriori misure ed interventi di vigilanza; - nel caso di cui ai capi E1, G1, H1, hanno impedito l'adozione, da parte della medesima autorità di vigilanza, di "contromisure" coerenti con gli effettivi requisiti patrimoniali annuali; - nel caso di cui al capo F1, hanno consentito di ottenere il provvedimento autorizzativo necessario per l'aumento di capitale 2014; - nel caso di cui al capo M1, infine, hanno falsato l'esito del Comprehensive Assessment. Al riguardo si osserva che proprio la stessa giurisprudenza di legittimità espressasi per la natura di reato eventualmente permanente del delitto di ostacolo alla vigilanza (cfr., oltre alla già nota Cass. Pen. Sez. 5, n. 6884 del 12/11/2015 dep. 22/02/2016, Gi. e altri, anche la più recente Cass. Pen. Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019, P.G. c. Mu.) nel contempo ha opportunamente precisato come la fattispecie di cui al comma 2 dell'art. 2638 c.c., diversamente da quella di cui al comma 1, non sia un reato di condotta bensì di evento e, più in particolare, sia "una fattispecie causalmente orientata al risultato lesivo rappresentato dall'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza", essendo peraltro sufficiente, per la configurabilità del reato in esame, ""la verificazione di un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza, quale conseguenza di una condotta che può assumere qualsiasi forma, tra cui anche la mera omessa comunicazione di informazioni dovute". Ebbene, l'evidente e ben marcata differenza di fisionomia (poco sopra illustrata) che intercorre tra gli eventi di ciascuna delle singole fattispecie di ostacolo alla vigilanza oggetto dei vari capi di imputazione fa sì che non possa in alcun modo accedersi alla tesi difensiva della reductio ad unitatem. Né può opinarsi in senso contrario sul rilievo delle circostanze (pure espressamente valorizzate dal difensore di ZO. nell'atto di appello, sub 6, alle pagg. 346 e ss., 350-351) costituite, segnatamente: - dall'unicità del fenomeno taciuto (ovverosia l'esistenza dell'acquisto di azioni della banca finanziato dallo stesso istituto di credito); elemento, questo, valorizzato anche dalla difesa dell'imputato PI., cfr. pag, 145 del suo atto di appello; - ovvero dalla titolarità degli interessi tesi in capo al medesimo soggetto; - ovvero ancora dall'identità della "spinta motivazionale" ravvisabile all'origine di tali condotte. Sotto il primo profilo, infatti, non può non rilevarsi che trattasi di elemento di ben scarso rilievo ai fini della valutazione in ordine al tema della unicità/pluralità di reato. Sotto il secondo profilo, poi, è decisivo osservare che le informazioni ed i dati occultati, nonostante fossero tutti attinenti al medesimo fenomeno del 1 capitale finanziato, oltre ad incidere, per quanto detto, su attività di vigilanza connotate da finalità autonome (si pensi a quanto appena precisato in relazione alla ispezione del 2012, di cui al capo B1; alla decisione SREP di cui al capo C1; all'aumento di capitale 2014 di cui al capo F1, ovvero al Comprehensive Assessment di cui al capo M1), sono stati anche obiettivamente (e necessariamente) differenti, essendo riferibili - e trattasi di considerazione, sul punto, dirimente - ad una situazione finanziaria e patrimoniale dell'istituto di credito in costante evoluzione. Sotto il terzo profilo, infine, si è evidentemente in presenza di circostanza al più valorizzatale ai fini dell'unificazione (peraltro già operata nella sentenza impugnata) delle condotte contestate sotto il vincolo della continuazione ma "ontologicamente" inidonea a consentire di concludere per la sussistenza dì un unico reato. Di qui la conclusione circa la sussistenza della pluralità dei fatti-reato di ostacolo alla vigilanza già ravvisati dal tribunale (ferme restando le precisazioni già svolte in ordine ai capi B1 ed M1, riferibili, entrambi, a condotte integranti gli estremi di un unico episodio delittuoso). Da ultimo, quanto all'ostacolo alla vigilanza contestato al solo GI. al capo N1 e perpetrato in danno di CONSOB non può che farsi rinvio a quanto precisato, sul punto, dal Tribunale, non ponendosi problemi in ordine alla unicità/pluralità di reati. 10. Il reato di falso in prospetto Con riferimento alle due ipotesi di reato di falso in prospetto oggetto di addebito, rispettivamente, ai capi I) ed L) della rubrica, la sentenza gravata, nel capitolo XI, ha operato una puntuale e convincente ricostruzione al riguardo e gli atti di impugnazione non ne sollecitano specificamente il riesame. Dì qui il richiamo a quanto evidenziato nel discorso giustificativo del primo giudice, con l'ulteriore precisazione che trattasi di reati ambedue medio tempore estinti per prescrizione. 11. I reati contestati: considerazioni generali conclusive. Alla luce delle considerazioni svolte, quindi, ricorrono tutte le fattispecie di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto oggetto di addebito, nei termini in precedenza evidenziati. Sul punto, infatti, non persuadono le censure alla affermata coesistenza di detti reati motivate facendo leva sui principi, rispettivamente, del "ne bis in idem" sostanziale (se non nei limiti indirettamente valorizzati nella unificazione delle condotte di aggiotaggio poste in essere nel medesimo arco temporale annuale, secondo quanto in precedenza evidenziato) e del "nemo tenetur se detegere" (è il caso, segnatamente, delle argomentazioni critiche esposte dalla difesa Zo., rispettivamente, ai paragrafi da 6,5.1 a 6,5.1.5 e 6.5.2. dell'atto di appello, pagg.352-363; dalla difesa PI., sotto il secondo profilo, al paragrafo 10 detratto di appello, pag, 146, e, sotto entrambi i profili, alle pagg. 12-18 dei motivi nuovi d'appello; dalla difesa PE. alle pagg. 159-179 della memoria prodotta nel corso del giudizio di primo grado e, quindi, nuovamente depositata in sede di appello, nonché, sotto il solo primo profilo e unicamente con riferimento al reato di aggiotaggio, dalla difesa GI. al cap. XIII dell'atto di appello, pagg. 80-83). Quanto al primo tra i principi evocati (ossia quello del divieto di "bis in idem" sostanziale, che, lo si ricorda, concerne le ipotesi di qualificazione normativa multipla di un medesimo fatto, e, mediante il criterio regolativo della specialità di cui agli artt. 15 e 84 c.p., fonda la disciplina del concorso apparente di norme, vietando che uno stesso fatto sia accollato giuridicamente due volte alla stessa persona), deve anzitutto osservarsi che i reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto presentano una strutturale differenza sia delle condotte, sia dei beni giuridici tutelati, sia dei soggetti passivi di riferimento. Ad accomunare tali reati, nella concretezza della presente vicenda processuale, invero, v'è solo una medesima, originaria situazione di fatto (ovverosia il dissennato ricorso al capitale finanziato e la conseguente necessità, per un verso, di amplificarne progressivamente la portata, al fine di fronteggiare una situazione sempre più incontrollabile e, per altro verso, di impedirne l'emersione), nulla di più. Ebbene, l'equivoco di fondo consiste, da parte delle difese che invocano in ispecie il "ne bis in idem" sostanziale, proprio nella nozione di "condotta" storico-naturalistica da esse adottata, fatta coincidere tout court con l'occultamento del capitale finanziato. A tal proposito non vi è ragione alcuna di discostarsi dal granitico, a dir poco, insegnamento giurisprudenziale di legittimità (costante a far tempo dalla capostipite Cass. Pen. Sez. U., n. 34655 del 28/06/2005, P.G. in proc. Do. e altro, e ulteriormente consolidatosi all'indomani dell'autorevolissimo avallo offerto da Corte Cost. n. 200/2016) secondo cui, ai fini della preclusione connessa al principio del "ne bis in idem", l'individuazione dell"'idem factum", se da un lato richiede (in conformità anche alla giurisprudenza sovranazionale della Corte EDU: cfr. per tutte la nota sentenza della Grande Camera del 10 febbraio 2009, Zo. c. Russia, chiamata ad interpretare l'art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione) che si abbia riguardo non già alla fattispecie normativa astratta bensì al fatto storico-naturalistico, dall'altro lato esige però che quest'ultimo sia inteso in senso complessivo, ossia in tutti i suoi elementi essenziali riconducibli alla triade costituita dalla condotta dell'imputato, dall'evento naturalistico e dal relativo nesso causale, e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona. In tal senso cfr., fra le moltissime, Cass. Pen. Sez. 5, n. 1363 del 25/10/2021 dep. 14/01/2022, Ab.; Cass. Pen. Sez. 6, n. 42933 del 21/10/2021, Ma.; Cass. Pen. Sez. 3, n. 30034 del 16/03/2021, Ca.; Cass. Pen. Sez. 4, n. 10152 del 02/03/2021, D'A.; Cass. Pen., Sez. 2, n. 52606 dei 31/10/2018, Bi.; Cass. Pen. Sez. 5, n. 50496 del 19/06/2018, Bo.; Cass. Pen. Sez. 3, n. 21994 del 01/02/2018, Pi.. Nell'occuparsi del bis in idem processuale, con la sopra citata sentenza n. 200 del 21 luglio 2016, la Corte costituzionale (che ha dichiarato illegittimo l'art. 649 c.p.p. nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussista un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale) ha ridefinito il principio del suddetto ne bis in idem processuale recependo, sul piano ermeneutico, l'opzione della Corte EDU, in ciò affermando il criterio dell'idem factum, e non dell'idem legale, ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio. Un decisivo contributo alla rimodulazione del principio del divieto del bis in idem proviene ovviamente dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che pure, nel corso degli ultimi anni, ha fornito diverse precisazioni di principio. Con riferimento alla nozione rilevante di idem factum va evidenziato che la Corte EDU, dopo avere adottato nel tempo varie differenti interpretazioni, è infine giunta (con la citata sentenza della Grande Camera, 10 febbraio 2009, caso Se. contro Russia) a un approdo definitivo e organico. Nell'esaminare i trattati e gli strumenti internazionali che sanciscono il divieto del "bis in idem" la Corte EDU ha constatato (paragrafo 79) che non tutti usano gli stessi termini, e ha così affermato che la distinzione tra r termini "stessi atti" o "stessi fatti", da un lato, e "stesso reato", dall'altro, è stata ritenuta sia dalla CGUE che dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani un elemento importante a favore dell'adozione di un approccio basato strettamente sull'identità degli atti materiali (idem factum) e sul rifiuto della mera qualificazione giuridica (idem legale) di tali atti quale criterio di verifica della violazione, giudicata come irrilevante. La Corte EDU prende spunto da questa constatazione e, ribadendo che la Convenzione EDU deve essere interpretata ed applicata in modo da rendere pratici ed effettivi, e non teorici o illusori, i diritti in essa riconosciuti, afferma (paragrafo 80) che l'uso del termine "offence/infraction" nell'art. 4 del Protocollo n. 7 non giustifica un approccio interpretativo di tipo restrittivo; il ricorso alla mera qualificazione giuridica del medesimo fatto (idem legale) rischia di indebolire il divieto di bis in idem, piuttosto che renderlo pratico ed effettivo, perché non impedisce che per la medesima condotta una persona possa essere processata e/o condannata due volte. Di conseguenza - secondo la Corte EDU - l'art. 4 del Protocollo n. 7 deve essere interpretato nel senso che il reato è il medesimo se i fatti che lo integrano sono identici oppure sono sostanzialmente gli stessi (paragrafo 82), dovendosi intendere per fatto "l'insieme di circostanze di fatto concrete che coinvolgono io stesso imputato e che sono inestricabilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio, la cui esistenza deve essere dimostrata al fine di ottenere una condanna o avviare un procedimento penale" (paragrafo 84), Così consolidatasi l'interpretazione circa la necessità di verificare la violazione dell'art. 4 Prot. 7 Convenzione EDU sull'idem factum (e non già sull'idem legale), nonostante la formulazione linguistica della norma convenzionale sembrasse attribuire rilevanza alla sola qualificazione giuridica, la giurisprudenza successiva della Corte di Strasburgo si è articolata in una serie di pronunce (fra cui, ad esempio, Ma. contro Croazia, Sez. I, 25/6/2009) che, partendo dalla nozione di idem factum, hanno verificato volta per volt sulla base di un approccio casistico (connaturato alla stessa struttura della giurisdizione europea convenzionale), l'identità formale o sostanziale dei fatti posti alla base degli addebiti mossi, assumendo quali parametri l'insieme delle circostanze fattuali concrete relative allo stesso autore e indissolubilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio, incluso l'evento. Tale approccio casistico (il quale, pur partendo dalla nozione di idem factum, non ha fondato un orientamento della Corte di Strasburgo che restringesse l'identità alla sola condotta) è stato ribadito anche recentemente, come ad esempio nel caso Ga. c. Croazia (Corte EDU, Sezione 1 del 31 agosto 2021). Ciò posto quanto agli approdi della giurisprudenza della Corte di Strasburgo sulla nozione rilevante di idem factum, va evidenziato che a sua volta la Corte Costituzionale, nella citata sentenza n. 200 del 2016, affermando il criterio dell'idem factum ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto dì nuovo giudizio, ha chiarito che l'affrancamento dall'inquadramento giuridico del fatto (ossia dall'idem legale) non implica l'affrancamento dai criteri normativi di individuazione del fatto. Il criterio dell'idem factum - afferma la Consulta - non può essere inteso nell'accezione ristretta alla sola condotta (azione od omissione), in quanto la stessa giurisprudenza della Corte EDU non è consolidata in tal senso, anche in virtù dell'approccio casistico (appena visto) che la connota, e in quanto la scelta sul perimetro dell'idem factum "è di carattere normativo", perché "ognuna di esse è compatibile con la concezione dell'idem factum" (Corte Cost. n. 200 del 2016, cit., paragrafo 4). In particolare Corte Cost. n. 200/2016 ha così argomentato l'erroneità della tesi secondo cui l'idem factum dovrebbe essere individuato in ragione soltanto dell'azione o dell'omissione, trascurando evento e nesso di causalità: "Il fatto storico - naturalistico rileva, ai fini del divieto di bis in idem, secondo l'accezione che gii conferisce l'ordinamento, perché l'approccio epistemologico fallisce nel descriverne un contorno identitario dal contenuto necessario. Fatto, in questa prospettiva, è accadi mento materiale, certamente affrancato dal giogo dell'inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un'addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi. Non vi è, in altri termini, alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all'azione o all'omissione e non comprenda, invece, anche l'oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione. l'evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell'agente. E' chiaro che la scelta tra le possibili soluzioni qui riassunte è di carattere normativo, perché ognuna di esse è compatibile con la concezione dell'idem factum. Questo non significa che le implicazioni giuridiche delle fattispecie poste a raffronto comportino il riemergere dell'idem legale. Esse, infatti non possono avere alcun rilievo ai fini della decisione sulla medesimezza del fatto storico. Ad avere carattere giuridico è la sola indicazione dei segmenti dell'accadimento naturalistico che l'interprete è tenuto a prendere in considerazione per valutare fa medesimezza del fatto. Nell'ambito della CEDU, una volta chiarita la rilevanza dell'idem factum, è perciò essenziale rivolgersi alla giurisprudenza consolidata della Corte EDU, per comprendere se esso si restringa alla condotta dell'agente, ovvero abbracci l'oggetto fisico, o anche l'evento naturalistico" (Corte Cost., n. 200 del 2016, cit., paragrafo 4). Proprio confrontandosi con la giurisprudenza della Corte EDU la Corte Costituzionale ha escluso che l'idem factum sia stato delimitato, dai giudici di Strasburgo, con riferimento esclusivo alla condotta: "Né la sentenza della Grande Camera, 10 febbraio 2009, Zo. contro Russia, né le successive pronunce della Corte EDU recano l'affermazione che il fatto va assunto, ai fini del divieto di bis in idem, con esclusivo riferimento all'azione o all'omissione dell'imputato. A tal fine, infatti, non possono venire in conto le decisioni vertenti sulla comparazione di reati di sola condotta, ove è ovvio che l'indagine giudiziale ha avuto per oggetto quest'ultima soltanto (ad esempio,, sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens contro Italia)". In particolare, prosegue la Consulta, "non solo non vi è modo di ritenere che il fatto, quanto all'art. 4 del Protocollo n. 7 sia da circoscrivere alla sola condotta dell'agente, ma vi sono indizi per includere nel giudizio l'oggetto fisico di quest'ultima, mentre non si può escludere che vi rientri anche l'evento, purché recepito con rigore nella sola dimensione materiale" (Corte Cost., n. 200 del 2016, cit. paragrafo 5). Il concetto viene più volte ribadito da tale pronuncia della Corte Costituzionale, ove in un altro passo si precisa, con ancor maggiore chiarezza, che "allo stato la Convenzione impone agli Stati membri di applicare il divieto di bis in idem in base ad una concezione naturalistica del fatto, ma non di restringere quest'ultimo nella sfera della sola azione od omissione dell'agente" (Corte Cost., n. 200 del 2016, cit., paragrafo 6). Sulla nozione di idem factum, a sua volta, la giurisprudenza della Corte di Cassazione si è, come detto, ormai da tempo consolidata - a fortiori dopo l'avallo offerto da Corte Cost. n. 200/2016 - nell'affermare che, ai fini della preclusione connessa al principio del "ne bis in idem", l'identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, da considerare in tutti i suoi elementi costitutivi sulla base della triade condotta nesso causale-evento, non essendo sufficiente la generica identità della sola condotta. Dunque, non potendo restringere la nozione di idem factum alla sola condotta, e dovendo considerare il fatto concreto nella sua integrità, comprensivo anche dell'evento e del nesso causale, è evidente che l'identità non sussiste quando, ad esempio, vi sia una marcata differenza dell'evento nell'uno e nell'altro reato di evento oppure quando si sia in presenza, contemporaneamente, di reati di evento e di reati di condotta. Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte in tema dì ne bis in idem, insomma, nessuna "indebita triplicazione di fattispecie" a fronte di un"'unica condotta fattuale" contestata (così si legge nell'appello ZO., sub paragrafo 6.5, pag. 351; di "indebita triplicazione di fattispecie" in presenza di un "unico nucleo fattuale", poi, si parla anche nella memoria PE.; pag. 164) è dato, nella specie, ravvisare tra i reati di aggiotaggio - come sopra ridotti peraltro di numero, da sedici a quattro, uno per ogni singola annualità - sub capo A1 (l'aggiotaggio è reato non già di evento bensì di pericolo concreto), quelli di ostacolo alla vigilanza (l'ostacolo ex art. 2638 comma 2 c.c., è invece reato di evento; in ispecie, peraltro, gli eventi di ciascuno dei reati sub capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1 si differenziano radicalmente - come già detto supra - gli uni dagli altri) e quelli di falso in prospetto sub capi I e L (ciascuno dei quali, necessariamente, ha in concreto implicato la redazione e diffusione all'esterno di un ben distinto e specifico documento - per l'appunto il prospetto - destinato agli aspiranti partecipanti a due ben distinte e specifiche offerte al pubblico di prodotti finanziari, rispettivamente riguardanti i due distinti aumenti di capitale 2013 e 2014) contestati agli imputati. Da ultimo, con riferimento al principio del "nemo teneturse detegere", il tribunale ha escluso che potesse essere ravvisata l'esimente in esame, invocata dalle difese sul rilievo della necessità di non autoincriminazione in relazione alle pregresse condotte di aggiotaggio manipolativo ed informativo. E, al riguardo, il primo giudice ha argomentato le proprie conclusioni in ragione, rispettivamente: - della natura eccezionale della deroga alla regola generale di cui all'art. 61 n. 2 c.p.; - dell'inammissibile "effetto paradossale" che deriverebbe dall'adesione alla prospettazione difensiva (in quanto, opinando in tal guisa, si finirebbe per assicurare un trattamento di maggior favore a colui che avesse già commesso un reato rispetto a quello riservato all'autore solo dell'ultimo reato); - e, infine, delle conseguenze pregiudizievoli che ne deriverebbero sotto il profilo della pratica impossibilità di emersione di notitiae criminis per i reati cc.dd. "senza vittima". Ebbene, le conclusioni cui è pervenuto il giudice di prime cure nell'escludere che possa trovare spazio, nella vicenda sub iudice, l'esimente in questione, meritano adesione. Orientano in tal senso le seguenti ragioni. In primo luogo, nel solco della consolidata, persuasiva giurisprudenza dì legittimità formatasi al riguardo, deve osservarsi - e trattasi, per vero, di considerazione di per sé decisiva -, come l'operatività del "diritto al silenzio" (da ricondursi nell'alveo delineato dall'art. 51 c.p., in quanto espressione del diritto a non autoincriminarsi), proprio in ragione della finalità assegnata all'istituto in esame di costituire adeguato presidio di un "equo processo", presupponga, necessariamente, un processo già in itinere e non possa, pertanto, trovare spazio in fasi ad esso antecedenti, stante la ratio dell'istituto in esame, consistente nella necessità di "protezione dell'imputato da coercizioni da parte dell'autorità". D'altro canto, neppure può fondatamente pervenirsi a differenti esiti interpretativi facendo leva - come, pure, espressamente sostenuto dalla difesa ZO. (paragrafo 6.5.2 dell'atto di appello, pagg. 360-363) - sulla recente evoluzione dei lineamenti dell'istituto in esame per effetto dell'elaborazione della giurisprudenza sovranazionale e costituzionale in materia. Il riferimento d'obbligo è alla sentenza della Corte GUE - Grande Sezione 2.2.2021 (peraltro originata dal rinvio pregiudiziale operato dalla Corte Costituzionale con l'ordinanza 117/19). A ben vedere, infatti, anche in detta prospettiva il "diritto al silenzio" (inteso come diritto a non rendere dichiarazioni di natura confessoria) implica pur sempre che la condotta che si vorrebbe scriminata sia stata posta in essere nel corso di un procedimento dal quale possano scaturire sanzioni, sebbene non necessariamente di natura penale (nel caso che ha originato la suddetta pronunzia, si trattava, com'è noto, di un procedimento CONSOB per insider trading). In altri termini, anche a seguito dell'ampliamento degli spazi di operatività riconosciuti all'istituto in esame dalla giurisprudenza sovranazionale, i confini del "right to remain silent" (rettamente da intendersi non soltanto, stricto sensu, come protezione dell'accusato rispetto all'impiego di strumenti coercitivi da parte dell'autorità finalizzati ad ottenere mezzi di prova, ma anche, più in generale, come facoltà dì astenersi dal deporre), costituisce pur sempre espressione dell'"equo processo" e, quindi, necessariamente, non può che assumere rilievo solo in ottica processuale/procedimentale. Del resto, anche la conseguente sentenza della Corte Costituzionale 84/21 (ampi stralci della quale sono, ad esempio, riportati dalla difesa PI. alle pagg. 17-18 dei suoi motivi nuovi d'appello), nel dichiarare la illegittimità costituzionale dell'art. 187 quinquiesdecies TUF "nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla Banca d'Italia o alla CONSOB risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato", là dove presuppone la previa formulazione di domande e richieste specifiche da parte delle predette autorità di vigilanza, ha conseguentemente circoscritto proprio ad un ambito procedimentale, sia pure lato sensu inteso, finalizzato all'accertamento di specifiche violazioni ed alla conseguente irrogazione di sanzioni, l'operatività del principio in esame. Ebbene, in nessun caso gli episodi di ostacolo oggetto dì addebito nel presente giudizio si collocano nel contesto di un procedimento amministrativo finalizzato alla eventuale irrogazione di sanzioni nei confronti di soggetto determinato. Questo è certamente vero "e, in effetti, è anche di immediata percezione - per i fatti di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1 (in quanto riferibili ad interlocuzioni periodiche con Banca d'Italia e, segnatamente, alle segnalazioni periodiche poste in essere negli anni 2012, 2013, 2014, 2015 ovvero alle informazioni inerenti agli aumenti di capitale) ed N1 (inerenti all'interlocuzione con CONSOB relativa all'aumento di capitale 2014). Ma ciò è altrettanto vero anche in relazione ai fatti stigmatizzati ai capi B1 ed M1, posto che, in tali casi, l'attività di vigilanza oggetto di sviamento, nel cui ambito le condotte delittuose di riferimento sono state perpetrate, era costituita da ispezioni finalizzate a verificare la regolarità della gestione aziendale, non già da procedimenti destinati all'accertamento di violazioni amministrative ed alla irrogazione di eventuali sanzioni nei confronti di specifici soggetti. In secondo luogo, va richiamato il principio - ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità e recentemente confermato proprio dalla Corte GUE e dalla Corte costituzionale nelle sentenze testé citate - secondo il quale il "diritto al silenzio" non può, in ogni caso, pregiudicare prevalenti interessi pubblici. In particolare, nella sentenza 2.2.2021, la Corte GUE ha escluso che tale diritto possa spingersi al punto di compromettere del tutto le funzioni dell'autorità di controllo. La Corte Costituzionale, dal canto suo, nella pronunzia 84/21, ha conseguentemente precisato come il diritto al silenzio non possa certo giustificare comportamenti ostruzionistici rispetto all'attività di vigilanza, ovvero manovre dilatorie, ovvero ancora l'omessa consegna di dati, documenti e registrazioni preesistenti alla richiesta dell'autorità. Infine - e con specifico riferimento proprio alla fattispecie di ostacolo alla vigilanza che viene in rilievo nel presente giudizio - il giudice della nomofilachia, in una recentissima sentenza (trattasi di Cass. Sez. V, n. 3555 del 7.9.2021, dep. 1.2.2022, Co.), consapevolmente ponendosi nel solco di precedenti pronunzie in materia e dopo avere espressamente ripercorso gli approdi delle citate sentenze della CGUE e della Corte Costituzionale, ha sottolineato come il profilo di falsità che connota la figura delittuosa ex art. 2638, co. 2, c.c. costituisca un "quid pluris" rispetto al dovere di collaborazione con l'autorità cui è conformato l'illecito amministrativo in relazione al quale era intervenuta la citata declaratoria di incostituzionalità; pertanto, all'esito di una valutazione comparativa che ha evidenziato la prevalenza dell'interesse alla tutela del bene giuridico di riferimento rispetto a quello dell'imputato all'impunità, ne ha tratto l'inequivoca conclusione che tale conclusione comparativa non è contraddetta dalla richiamata pronuncia di incostituzionalità, proprio in ragione della "pregante connotazione lesiva che caratterizza i fatti penalmente rilevanti in forza dei secondo comma dell'art. 2638 c.c.". Alla stregua delle complessive argomentazioni sin qui svolte, le censure mosse, sul punto, alla sentenza impugnata risultano destituite di fondamento. 12. I criteri di individuazione delle operazioni di capitale finanziato e la portata applicativa dell'obbligo di deduzione dal patrimonio di vigilanza dei relativi valori. S'è già detto che il tribunale è pervenuto alla quantificazione del fenomeno del capitale finanziato all'esito della congiunta valutazione di una pluralità di evidenze probatorie di varia natura (esiti di consulenza tecnica; deposizioni testimoniali; prove documentali, ecc.) e che, nel tracciare detto perimetro, ha assunto rilievo centrale la consulenza tecnica svolta dai consulenti della procura di Vicenza, dott.ssa Ca. e prof. Ta., trattandosi di consulenza che: - da un lato, ha analizzato scrupolosamente l'intera documentazione disponibile (segnatamente: sono state esaminate tutte le delibere di affidamento al fine di rilevare l'importo finanziato, la dichiarata estinzione delle somme, la durata del prestito e la distanza temporale tra finanziamento ed acquisto; inoltre, sono state oggetto di vaglio le complessive movimentazioni sia del portafoglio titoli del cliente, sia dei conti correnti interessati - talvolta risultati accesi proprio all'atto del primo finanziamento - al fine di valutare se all'acquisto dei titoli avessero concorso in tutto o in parte fondi del cliente; la verifica, infine, ha riguardato anche l'estratto conto dei titoli per riscontrare la permanenza/delle azioni/obbligazioni convertibili B. nel dossier titoli del cliente, l'esistenza di lettere di impegno e di storni/verifiche, nonché lo stato dell'indebitamento segnalato in Centrale Rischi per acclarare l'andamento della situazione debitoria; complessivamente, sono state esaminate tutte le posizioni dei 965 clienti oggetto di segnalazione, con conseguente analisi dei circa 53.500 file di riferimento); - e, dall'altro, si è ispirata ad un approccio prudenziale (in particolare, onde scongiurare il rischio di duplicazioni nel caso di finanziamenti indiretti). Inoltre, come precisato dal primo giudice, i molteplici criteri sintomatici di "correlazione" utilizzati dai predetti consulenti per individuare le operazioni "baciate" sono strati tutti basati su evidenze oggettive e sono stati posti a fondamento, nel solco tracciato dar puntuali quesiti formulati dall'inquirente, di una ricostruzione "dinamica" (di trimestre in trimestre) del fenomeno analizzato. Infine, sulla scorta dell'esito della quantificazione del fenomeno in esame, calcolato nella misura di "complessivi Euro 1,031,6 mln (per un numero totale di azioni acquistate tramite finanziamenti B. di 15.426.391), di cui Euro 963 mln riferiti ad acquisti di azioni B. ed Euro 68 mln riferiti a sottoscrizione di prestito obbligazionario convertibile" (cfr. pagg. 354-355 sentenza gravata), la medesima consulenza è giunta a determinare tanto la consistenza del patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito, quanto il livello dei coefficienti patrimoniali prudenziali alla data del 30.6.2012 e, successivamente, con cadenza trimestrale, sino al 31,3.2015, pervenendo a conclusioni che, anche in tal caso, sono state condivise dal primo giudice. Pertanto, non può che richiamarsi quanto già dal tribunale esposto al riguardo (segnatamente, nel capitolo V della sentenza impugnata, alle pagg. 347-386). Nondimeno, come parimenti evidenziato in precedenza, in sede di esposizione dei singoli motivi di impugnazione, le difese di taluni imputati (segnatamente ZO. ed anche GI.; per quest'ultimo imputato trattasi peraltro di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione) hanno contestato sotto plurimi profili la predetta consulenza, in particolare con riferimento ai criteri impiegati per l'individuazione delle "operazioni baciate", sostenendo, conseguentemente, l'inattendibilità della determinazione dell'importo complessivo del capitale finanziato nella misura sopraindicata e, al contempo, sollecitando l'espletamento di perizia sul punto. In primo luogo, le obiezioni mosse alla consulenza Ca.-Ta. ineriscono alla mancata adozione, tra gli indici sintomatici di correlazione, di quello consistente nel nesso teleologico tra concessione del finanziamento da parte dell'istituto di credito e destinazione delle relative risorse all'acquisto delle azioni emesse dal medesimo ente (cfr. appello Zo., paragrafo 3-4 b, pagg. 156 e ss.). La difesa del solo imputato GI. (cfr, appello Gi., parte terza, cap, IX, pag. 67; trattasi peraltro - come detto - di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, giusta nota difensiva depositata in tale occasione), poi, ha lamentato l'errore metodologico nel quale sarebbe incorso il primo giudice, là dove avrebbe sostanzialmente basato la ricostruzione del fatto in punto di "capitale finanziato" sull'esito dell'applicazione di criteri di tipo "amministrativistico", sostanzialmente desunti dalla circolare n. 263 del 27.12.2006 di Banca d'Italia, non già sull'adozione del procedimento euristico avente diritto di cittadinanza nel giudizio penale e fondato sulla valutazione di prove, anche indiziarie. In questa prospettiva, pertanto, la circostanza che, rispettivamente, la Bc., la Consob e i consulenti dell'inquirente avessero fondato i rispettivi giudizi su criteri parzialmente distinti (in ragione della differente finalità delle rispettive analisi), non dimostrerebbe, ad avviso dell'appellante, la mera opinabilità di detti criteri, bensì il vizio di metodo in cui sarebbe incorso il primo giudice nell'ancorare il proprio convincimento agli esiti di una siffatta analisi. Più nel dettaglio, solo Consob, mirando alla ricerca di fatti specifici, avrebbe adottato criteri analoghi a quelli legittimamente spendibili nel processo penale. Diversamente, la Bc. e, di conserva, i consulenti del P.M., avrebbero adottato criteri utili a ricostruire "fenomeni", non già fatti specifici (cfr. atto di appello, pag. 73), donde l'inidoneità delle relative valutazioni a fondare il giudizio del tribunale. Né la erroneità, sotto tale profilo, dell'analisi dei predetti consulenti sarebbe "sanabile" ex post sul rilievo della convergenza dei relativi esiti con risultanze aliunde acquisite (dichiarazioni testimoniali; rinvenimento delle lettere di impegno; corrispondenza tra importi finanziati ed investimento in titoli, ecc.). Questo, per la semplice ragione che un mezzo di prova potrebbe "costituire riscontro ai risultato di altro mezzo di prova" solo "in quanto il tema di prova sia comune ad entrambi" (cfr. atto di appello, pag. 73), situazione nella specie non ravvisabile. Peraltro, nel peculiare caso in esame - caratterizzato dall'escussione di soli trenta testimoni in relazione a 133 operazioni, a fronte di ben 965 clienti asseritamele finanziati ed impegnati in 1274 operazioni per un ammontare complessivo di 963 milioni di euro - il presunto riscontro sarebbe addirittura costituito da una inammissibile "prova per campione". Infine, sul versante della determinazione del patrimonio di vigilanza, le censure difensive (trattasi, segnatamente, dell'obiezione avanzata dalla difesa Zo. - cfr. atto di appello, paragrafo 3.4 b), pagg. 161 e ss.) si sono specificamente appuntate sull'errata detrazione dal patrimonio di vigilanza dell'intero ammontare del capitale finanziato, sostenendosi, in senso contrario, che tale decurtazione avrebbe dovuto avere luogo, oltre che nell'ipotesi di sottoscrizione di azioni emesse, nel "mercato primario", all'atto dell'aumento di capitale, anche qualora si fosse trattato dì acquisti effettuati, sul "mercato secondario", da parte di investitori (finanziati dal medesimo istituto di credito) privi di adeguato merito creditizio. Trattasi, peraltro, di obiezioni già sollevate nel corso dell'istruttoria di primo grado ed oggetto di specifica confutazione da parte del primo giudice. Ebbene, questa Corte ha già affrontato tali temi, là dove, con ordinanza 18.5.2022, provvedendo sulle richieste di rinnovazione istruttoria, ha disatteso le relative istanze, segnatamente respingendo la sollecitazione a disporre perizia sul capitale finanziato. Tuttavia, l'analisi necessariamente sommaria allora effettuata rende indispensabili le precisazioni che seguono. Innanzitutto, quanto alla determinazione del "perimetro" del fenomeno del capitale finanziato siccome indicata in sentenza sulla scorta della consulenza Ca.-Ta., deve osservarsi che si è in presenza di stima pienamente affidabile e, al più, come si dirà, determinata per difetto. Sul punto, va anzitutto precisato che il primo giudice ha compiutamente delineato, anche in termini diacronici, la disciplina di riferimento alla stregua della quale individuare gli acquisiti di azioni finanziati dallo stesso ente (art. 2358 c.c.; Circolari Banca d'Italia n. 155 del 18.12.1991 e n. 263 del 27.12.2006; Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 c.d. CRR - "Capital Requirements Regulation"; Regolamento Delegato UE n. 241/2014 della Commissione del 7 gennaio 2014) ed ha correttamente ravvisato il fenomeno del "capitale finanziato" nell'ipotesi dì impiego per l'acquisto di azioni B. di risorse erogate all'investitore dallo stesso istituto emittente nel caso in cui la concessione del finanziamento e l'acquisto del titolo fossero oggettiva espressione di un "atto coordinato". La finalità della disciplina in materia, invero, è quella di offrire adeguata garanzia, attraverso la tutela della effettiva integrità del patrimonio di vigilanza, agli investitori ed ai terzi, sicché quel che rileva, in definitiva, è il dato obiettivo dell'impiego delle somme erogate dall'emittente per l'acquisto dei titoli dello stesso ente. E la normativa di riferimento, ove rettamente intesa, depone inequivocabilmente in tal senso. Se ciò, infatti, è di immediata percezione in relazione alla disciplina ricavabile dai Regolamenti UE 575/13 e 241/14 (là dove, il primo, all'art. 28, precisa che gli strumenti dì capitale primario non possono essere finanziati dall'ente, né direttamente né indirettamente ed il secondo individua il "finanziamento diretto" in tutti i casi in cui un ente ha concesso ad un investitore, "in qualsiasi forma, un prestito o altri finanziamenti che sono utilizzati per l'acquisto dei suoi strumenti di capitale"), potendosi univocamente ricavare, da tali disposizioni, una nozione, per l'appunto, "oggettiva" di finanziamento diretto (nel senso che è tale una operazione caratterizzata dal mero impiego delle somme erogate per l'acquisto degli strumenti di capitale), a non diversi approdi ermeneutici deve pervenirsi alla stregua delle disposizioni in vigore precedentemente all'adozione della citata disciplina sovranazionale e, segnatamente, sulla base delle prescrizioni contenute nelle citate circolari di Banca d'Italia n. 155 del 18.12.1991 e n. 263 del 27.12.2006. La prima, infatti, già identificava il finanziamento correlato come caratterizzato da "operazioni di finanziamento destinate all'acquisto di azioni" della banca emittente (cfr. circolare 155/91, sezione 1, sottosezione 3, sua p. 1.3.8 dedicata agli "Elementi negativi del patrimonio di base"; detta circolare - in atti quale documento n. 2 deposito Banca d'Italia dell'udienza 13.9.2019 - è stata più volte aggiornata nel corso del tempo; la versione prodotta da Banca d'Italia nel presente giudizio è aggiornata al 3.4.2006), guardando al fenomeno in esame secondo una prospettiva in cui rivestiva rilievo centrale il dato concreto dell'impiego delle risorse erogate per l'acquisto dei titoli e, conseguentemente, stabilendo il relativo obbligo di deduzione dal patrimonio di vigilanza, fatta salva l'ipotesi che detto acquisto non fosse stato l'effetto di una autonoma ed indipendente iniziativa dell'investitore. La seconda (in atti quale documento n. 1 deposito Banca d'Italia dell'udienza 13.9,2019, a sua volta aggiornata a più riprese nel corso del tempo; la versione prodotta da Banca d'Italia nel presente giudizio è aggiornata al dicembre 2010), poi, introducendo la nozione di "atto coordinato" (trattasi - come detto - di locuzione esplicitamente adottata dalla suddetta circolare 263/06, titolo I, cap. 2, sez, II, p. 7), precisava come il capitale finanziato, in quanto tale non computabile nel patrimonio di vigilanza, non fosse solo quello espressamente destinato (secondo la esplicita regolamentazione pattizia) all'acquisto di azioni proprie, bensì, proprio al fine di scongiurare, sul punto, manovre elusive, anche quello effettivamente risultante come tale. L'individuazione delle operazioni di finanziamento implicanti l'applicazione del regime prudenziale, quindi, veniva bensì ancorata al ricorrere di un "atto coordinato", ovverosia ad una sorta di "collegamento negoziale" tra erogazione del prestito ed acquisto del titolo; nondimeno, l'esplicito richiamo, in tale atto normativo, oltre che al profilo contrattuale, alle "caratteristiche effettive dell'operazione", indicava chiaramente l'intenzione dell'ente regolatore di attribuire rilevanza non solo ai profili formali/documentali dell'operazione medesima, bensì al concreto atteggiarsi della stessa. In definitiva, tutta la disciplina in materia si è sviluppata secondo una direttrice coerente: originariamente finalizzata ad escludere dall'alveo delle operazioni correlate unicamente gli acquisti effettuati con finanziamenti solo occasionalmente e per autonoma ed indipendente scelta dell'investitore impiegati per l'acquisto dei titoli dell'emittente, si è successivamente evoluta giungendo ad attribuire rilevanza esclusiva all'aspetto "oggettivo" dell'acquisto del titolo effettuato con risorse erogate dallo stesso istituto emittente. Trattasi, peraltro, di interpretazione che ha trovato il significativo avallo, nel corso del giudizio di primo grado, da parte del consulente Parisi84, il quale ha sostanzialmente ripercorso nei medesimi termini l'evoluzione della suddetta disciplina, a partire da quanto previsto dalle circolari della Banca d'Italia, fino alle modifiche successive agli "accordi di Basilea", come ben si ricava dal passaggio della relativa deposizione siccome opportunamente riportato a pag. 350 della sentenza impugnata. Ebbene, ponendosi in tale prospettiva, se non v'è dubbio che la sussistenza del "nesso teleologico" evocato da talune difese (sulla scorta, in particolare, della consulenza Gu.) rappresenti la più marcata manifestazione di una operazione "coordinata", è parimenti evidente che limitare il fenomeno in esame alle operazioni connotate dalla presenza di un siffatto legame di tipo "psicologico", eh e fosse esplicitamente manifestato in sede di redazione/compilazione della documentazione contrattuale, finirebbe per restringere eccessivamente e del tutto arbitrariamente l'ampiezza di detto fenomeno, in radicale contrasto con la disciplina in materia, siccome testé ricostruita. Va necessariamente ricusata, quindi, una interpretazione della normativa di riferimento che attribuisse, sul punto, rilievo decisivo alla volontà dei contraenti siccome desumibile dalla modulistica contrattuale: il legame di tipo psicologico preteso dalle difese, infatti, deve essere necessariamente indagato non solo alla stregua della documentazione pattizia ma di tutte le caratteristiche dell'operazione che possono illuminare e dimostrare il fine effettivamente perseguito dalle parti. E' solo per completezza, pertanto, che deve osservarsi come, ancorando rigorosamente (com'è d'obbligo, per quanto detto) la individuazione della "correlazione" a dati concreti, effettivamente rivelatori dì un "collegamento negoziale" (e, quindi, non solo a quanto, sul punto, espressamente consacrato in un documento contrattuale), dovrebbe, in ogni caso, necessariamente convenirsi che i criteri adottati dai consulenti del p.m. (trattasi, segnatamente: dell'indicazione generica delle finalità dell'affidamento riportate nella delibera; della durata delle linee di credito; del ridotto lasso temporale tra concessione del finanziamento ed acquisto dei titoli; dell'importo dell'affidamento in raffronto al controvalore delle azioni/obbligazioni convertibili acquistate; del riferimento alla vendita degli asset acquistati con il finanziamento quale fonte prioritaria di rimborso; della presenza delle lettere dì impegno/disponibilità al riacquisto; dell'effettuazione degli storni degli interessi applicati e/o di accrediti generici) non sarebbero affatto incompatibili, in concreto, con quello (rettamente inteso) del "nesso teleologico" evocato dai difensori, trattandosi degli unici parametri - ragionevolmente individuabili - alla stregua dei quali necessariamente indagare l'effettiva intenzione delle parti, così da ancorarla ad evidenze obiettive (e non già a dati meramente formali), onde scongiurare comportamenti opportunistici, se non anche fraudolenti. Senza trascurare il fatto che è la stessa circolare che individua criteri, in via esemplificativa, di cui è necessario tener conto, con riferimento espresso ai dati temporali e ai dati quantitativi delle somme in gioco, ovvero proprio ad alcuni dei parametri presi in esame e adottati anche dai cc.tt. (cfr. circolare 263/06, cit., titolo 1, cap. 2, sez. II, p. 7: "..si ritiene che sussista un riacquisto qualora, sotto i profili contrattuale e delle caratteristiche effettive dell'operazione (e la congiunzione sottolinea fa necessità di una valutazione unitaria), momenti dell'emissione dello strumento della banca con conseguente raccolta di fondi patrimoniali e dell'erogazione di finanziamenti a beneficio del sottoscrittore rappresentino, per ammontare e scadenze (trattasi, a ben vedere, di parametri esemplificativi che trovano specificazione in quelli concretamente adottati dai cc.tt.), un atto coordinato"). In quest'ottica, quindi, il contrasto tra il criterio teleologico indicato dal consulente prof Gu. e quelli, "sostanzialistici", che hanno orientato il vaglio dei consulenti dott.ssa Ca. e prof Ta., finirebbe decisamente per scolorire sino a divenire, in concreto, pressoché evanescente. Quanto, poi, alla contestazione del parametro di riferimento temporale (trimestrale) adottato (tra i vari criteri) dai predetti consulenti, parametro/, censurato in quanto eccessivamente ampio, deve osservarsi: - per un verso, che il riferimento al trimestre è stato conseguenza non già dì una scelta arbitraria effettuata dai suddetti professionisti, bensì, da un lato, della natura dinamica della rilevazione da costoro compiuta in adempimento dell'incarico loro conferito dall'inquirente85 (il quale, in effetti, ha richiesto una valutazione parametrata proprio a tale arco temporale, nel solco della prassi bancaria della rendicontazione trimestrale - sulla base, com'è noto, di "trimestri fissi" - e dei conseguenti obblighi di comunicazione alla vigilanza); e, dall'altro, della constatazione che, presso B., intercorreva un siffatto lasso temporale tra la data di formalizzazione (in modalità solitamente cartacea) dell'ordine di acquisto dei titoli sul mercato secondario e quella di definitivo perfezionamento dell'acquisto (all'esito dì una complessa procedura che prevedeva, tra l'altro, un accurata verifica della pratica presso l'Ufficio Soci, come precisato dal teste Ro. in sede di deposizione dibattimentale); - per altro verso, che lo stesso consulente della difesa Pe., dott. Pa., ha condiviso tale riferimento temporale; - e, per altro verso ancora - e trattasi, in ogni caso, di considerazione dirimente - che il tribunale ha precisato come, in concreto, la gran parte (l'86%) delle operazioni correlate individuate sia consistita in operazioni poste in essere entro novanta giorni (con l'ulteriore peculiarità che tanto il finanziamento quanto il successivo acquisto dei titoli è avvenuto nell'ambito del medesimo trimestre di riferimento "cfr. sentenza impugnata, pag. 385) e che l'ispettore Ma. ha avuto modo di precisare come, in realtà, grandissima parte dei finanziamenti fossero stati poi impiegati per l'acquisto delle azioni nell'arco di pochi giorni. Venendo, quindi, alle censure metodologiche articolate dalla difesa GI. (trattasi peraltro - va ribadito - di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione), deve osservarsi che nessuna automatica trasposizione di valutazioni rilevanti unicamente in sede amministrativa ha avuto luogo nel caso di specie. I consulenti del P.M., infatti, hanno scandagliato l'intera documentazione disponibile e, come detto, hanno adottato tutti i criteri, basati su elementi oggettivi, razionalmente utilizzabili per individuare la correlazione tra i finanziamenti e l'acquisto di azioni emesse da B.. Che, poi, detti criteri possano fungere da parametri anche per finalità di tipo ulteriore (e, segnatamente, di natura amministrativa) è circostanza che, ad onta delle contrarie argomentazioni difensive, non inficia minimamente gli esiti di indagine, né tantomeno li espone all'obiezione di inutilizzabilità in sede penale. Tanto precisato in ordine ai criteri di riferimento e, passando, quindi, alla valutazione degli esiti della applicazione di siffatti criteri al caso in esame, osserva questa Corte che la quantificazione dell'ammontare complessivo delle operazioni correlate cui sono pervenuti i cc.tt. dell'ufficio di Procura è obiettivamente persuasiva. Non solo, infatti, come già detto, si è trattato di un risultato scaturito da una dettagliata valutazione della documentazione tutta disponibile, ma - e trattasi di circostanza di assoluto rilievo - si è in presenza di un esito sostanzialmente coincidente con quello cui sono pervenuti sia la Bc. che lo stesso istituto dì credito (peraltro a conclusione di una verifica effettuata anche avvalendosi dell'ausilio dì società di consulenza esterna specializzata), beninteso ove si considerino debitamente i parametri di riferimento adottati, rispettivamente, da tali soggetti89. Inoltre, si è in presenza di un ordine dì grandezza sostanzialmente (e significativamente) coincidente anche con le ulteriori risultanze d'indagine, ove si consideri debitamente: - non solo che il teste Am. ha riferito che, nei primi mesi del 2015, all'esito di alcuni colloqui con i direttori di area, aveva "mappato" il fenomeno in questione, pervenendo alla quantificazione approssimativa di 800 milioni di euro; - non solo che il teste Li. ha confermato di avere appreso proprio dal teste Am. l'eclatante dimensione del capitale finanziato, riferendo di una quantificazione che si aggirava intorno al miliardo di euro; - ma che lo stesso D.G. So. - ovverosia il soggetto apicale che aveva la più completa conoscenza del tema in questione - in occasione della seduta del comitato di direzione 10,11.2014, icasticamente affermando: abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare...", ha quantificato il capitale finanziato a quella data esistente proprio nella misura - sostanzialmente corrispondente a quella individuata dai consulenti - di 1,2 miliardi di Euro. Quanto, poi, all'icastica affermazione resa dal D.G. So. in occasione della seduta del comitato di direzione 10.11.2014 (v. pag. 34 della relativa trascrizione sub doc. 110 del P.M.) va detto che taluni fra gli appellanti (in particolare GI. a pag. 54 del suo atto di appello, cap. VII, e PI. nelle spontanee dichiarazioni rese a verbale all'udienza del 15 luglio 2022 nel presente grado di giudizio, altresì prodotte nella stessa udienza dalla sua difesa in formato cartaceo) sostengono che l'espressione "....abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare - particolarmente valorizzata alla pag. 666 della sentenza di prime cure - non si riferirebbe in realtà all'entità del capitale finanziato ma "alla campagna pre-affidamenti" (cfr, pag. 54 appello GI., cap. VII; trattasi peraltro di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione; nello stesso senso si era espresso, nel corso del suo esame dibattimentale in primo grado, anche l'imputato MA.: cfr. pagg. 100-102 verbale stenotipico 11.6.2020) oppure (cfr. in particolare la pag. 17 della versione cartacea delle spontanee dichiarazioni dell'imputato PI.), si riferirebbe - arguendosi ciò da quanto il D.G. So. afferma alle pagg. 65-66 della trascrizione del file audio del suddetto Comitato di Direzione 10.11.2014 - a una mera proposta del So. stesso "di sostituire dei finanziamenti in essere con dei time deposit. Il time deposit presuppone che il cliente depositi dei soldi alla Banca mentre il finanziamento è evidentemente un impiego della Banca verso il cliente". Può osservarsi peraltro: - che, nel corso del presente grado di giudizio, l'imputato GI., mutando avviso e linea difensiva nell'indursi a rendere dichiarazioni auto-ed etero-accusatorie (dapprima prospettate nel memoriale scritto depositato all'udienza del 30.5,2022, indi articolate e sviluppate in sede dì rinnovo dell'esame dibattimentale - e relativo controesame - tenutosi alle udienze del 15, 17 e 20 giugno 2022), ha riconosciuto (cfr. al riguardo, la pag. 21 del memoriale depositato il 30,5.2022, cit.; cfr altresì la pag. 17 del verbale stenotipico dell'esame GI. in grado di appello di data 15.6,2022) che così dicendo il So. si riferiva, nel corso di quel Comitato di Direzione del 10.11.2014, realmente a un folto gruppo di impieghi - poco redditizi - correlati all'acquisto di azioni della Banca; - che l'imputato MA. ha inteso motivare la propria interpretazione della frase del So. "...abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fere..." limitandosi a evidenziare che il GI. nell'occasione ebbe a replicare prontamente al D.G. (con un chiaro quanto esclusivo, per il MA., riferimento alla campagna "pre-affidamenti", anche detta "pre-deliberato", che sempre secondo il MA. non era riuscita a decollare) pronunciando l'espressione "Ma non li ... Ma non li prendono, Sa."; a ciò si aggiunge quanto affermato dal teste Ci.Am., appartenente alla Divisione Crediti diretta dal MA. (cfr, pag. 112 verbale stenotipia) 11.2.2020: "su tutta quanta la clientela della banca applicai i filtri per scremare i nominativi che potevano avere queste caratteristiche. E vennero fuori 6-7 mila posizioni su B. e 600 circa su Ba.Nu. di potenziale pre-deliberato. Mi sembra che il potenziale fosse 1 miliardo e 2 sulla B., e il potenziale 70 milioni su Ba.Nu.. Vado a memoria perché andiamo indietro di otto anni"). Nondimeno, se sì valuta nella sua interezza - debitamente contestualizzandolo - il relativo passo dell'intervento del So. in seno al Comitato di Direzione 10.11,2014 (cfr. pag, 34 della trascrizione di cui al doc. 110 del P.M.) emerge come il D.G. stia invece con ogni evidenza parlando di finanziamenti non già potenziali o "papabili" bensì accordati in passato, nonostante i quali - con suo preoccupato disappunto, ivi espresso - rimanevano urgentemente da collocare, quando ormai si era giunti quasi a fine anno, come per l'appunto aveva poco prima annunciato GI. al consesso, gli "85, no, adesso vedremo anche gli altri 40 che fine ... che fine fanno, perché anche quelli li devono ... devono ..." (v. pag, 30 ibidem: So. qui si riferisce - da un lato-lato - all'eccessiva entità del fondo acquisto azioni proprie, ammontante in quel momento a 85 milioni di Euro quando il limite da non superare, come illustrato al Comitato poco prima dal GI., era di appena 25 milioni, sicché andavano ricollocate azioni per un ammontare di 60 milioni già solo su quel primo fronte; e - dall'altro lato - alla presenza di azioni B. per complessivi 42 milioni di Euro nei fondi esteri; presenza che andava eliminata a sua volta trovando, del pari, una nuova collocazione a tali azioni: v. chiaramente sul punto, in seno allo stesso Comitato di Direzione, l'intervento di Pi.An., pag. 36 Ibidem). D'altra parte lo stesso GI., poco oltre (v. pagg. 36-37 ibidem), precisava - nell'ambito del medesimo Comitato di Direzione - come l'importo delle operazioni deliberate in sede di "campagna pre-affidamenti", condotta in maniera diffusa dalla rete facente capo alla Divisione Mercati da lui diretta, fosse, in realtà, al 10.11.2014, pari a "20 milioni, che sono ordini che devono arrivar su" (alla fine, secondo il teste Ci.Am., la "campagna pre-deliberato" fu chiusa con finanziamenti accordati per 169 milioni di euro: cfr. deposizione Am., pag. 112 verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020). Insomma il miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare" menzionato dal DG So. non poteva riferirsi alla campagna pre-affidamenti allora in corso (fra l'altro iniziata da pochissimo tempo, appena nel mese precedente ossia nell'ottobre 2014: cfr. pagg. 111-112 deposizione Am. cit.) bensì corrisponde con ogni evidenza - se si contestualizza in maniera corretta l'affermazione del So. - all'entità dei finanziamenti correlati già erogati in passato, tanto più che lo stesso So., nel proseguire la discussione su tale specifico tema (v. pagg. 35-36 ibidem), lamentava come fino ad allora ci si fosse rivolti più o meno sempre allo stesso bacino locale, con il rischio quindi - si badi - dì attirare un eccesso di attenzione su siffatto tipo di operazioni; ciò proprio in quanto esse venivano condotte, per lo più, sempre con i medesimi soggetti veneti laddove sarebbe stato, a suo avviso, opportuno diversificare radicalmente la platea di coloro con i quali stipulare t finanziamenti correlati, spostandola ad esempio più sull'asse Milano-Roma (v. pag. 36 ibidem: "E dopo dobbiamo sempre ricorrere al solito Ja., sempre ricorrere alla solita Vicenza, no? E, invece, bisogna che sta roba qui venga fatta Milano Roma, noi dobbiamo trovare Milano Roma, perché poi se ne parla meno. Se qui facciamo sempre e solo in ultima, facciamo intervenire i soliti, figurati se questi non parlano! Cioè, non ... non ... bisogna pianificarla meglio questa attività qua, dobbiamo ..."; concetto ribadito dal So. più avanti, cfr. pagg. 39-40 ibidem: "Sa. Ecco, però io ... Sì, se fosse possibile, io andrei fuori dal ... dal territorio, io farei più su Roma, su Milano, su ... anche se sono finanziati, ma almeno usciamo usciamo da qua"); - che l'imputato PI. ha a sua volta inteso motivare la propria personale - e diversa, si noti, da quella degli altri imputati poco sopra menzionati - interpretazione della frase del So. "....abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare ..." utilizzando argomentazioni che in realtà, anche nel suo caso, contrastano con il testo complessivo della registrazione audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, del quale il PI. stesso, nell'occasione, ha estrapolato brevi frammenti decontestualizzandoli. In particolare il PI. (cfr. pagg. 15-21 della versione cartacea delle sue dichiarazioni spontanee prodotta dalla difesa e, in particolare, pag. 18), a riprova del suo assunto, ha sostenuto che "a fronte di questo passaggio del Dott. So. (...) nessuno dei partecipanti alla riunione si è stupito da quanto affermato dal DG. Se fosse vera la tesi che si parlava di finanziamenti erogati per acquistare azioni allora almeno uno dei presenti avrebbe dovuto riprendere il DG e dire "cosa stai dicendo, non è possibile fare quello che proponi". Ebbene, in primo luogo è viceversa dimostrato in base a plurimi elementi come ì presenti a quel selezionato consesso di alti dirigenti sapessero in realtà da lungo tempo che in B. venivano effettuate operazioni correlate (cfr., esemplificativamente, oltre alle propalazioni rese dall'imputato GI., sullo specifico punto, già in primo grado, i contenuti del Comitato di Direzione 8.11.2011 siccome emergenti dagli appunti presi nell'occasione dal teste Ma.So. - pagg. 47 e ss. del verbale stenotipia) 29.10.2019 - nonché, più in generale, la stessa deposizione del teste So. considerata nella sua interezza, che ampiamente si diffonde sullo specifico tema della piena contezza dell'esistenza ed entità del fenomeno dei finanziamenti correlati in capo ai vertici di B.: cfr, pagg. 56 e ss. del verbale stenotipico 29.10.2019 - ed ancora l'esame dibattimentale dell'imputato MA., che in tale sede ha a sua volta riconosciuto a più riprese - cfr. in particolare le pagg. 15-22 del verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020 - il notorio largo utilizzo pluriennale, fatto in B., dei finanziamenti correlati, pur, contestando egli recisamente ogni penale responsabilità sul presupposto del suo pieno convincimento circa la loro liceità e circa il loro avvenuto scomputo dal patrimonio di vigilanza). Non vi era dunque ragione alcuna, per i partecipanti al Comitato di Direzione del 10.11.2014, di stupirsi nel sentir nominare una prassi ormai consolidata da anni di massiccio utilizzo, della quale tutti i presenti erano a conoscenza. Inoltre - alle pagg. 66 e 67 della relativa trascrizione - rispettivamente "VM10" (pacificamente lo stesso PI., come questa Corte già ha acclarato nell'ordinanza istruttoria del 18 maggio 2022, pag. 37) e "VM8" (il GI.) così replicano al So. (che insisteva sulla necessità di "smontare" gli impieghi anzidetti, già stipulati per l'ammontare sopra indicato, recanti - per usare il lessico dello stesso So. - azioni ad essi "appiccicate", in modo tale da poter riuscire "a toglierci e a ridurre questi finanziamenti importanti con azioni sottostanti andiamo a liberare il cet one": VM10 (PI.): "Ci sono una serie di problemi che impediscono sta cosa qua", e prosegue elencando al So. tutte le questioni tecniche che escludono di poter ritenere fattibili le vie dì uscita ipotizzate dal So. stesso per ovviare all'indicata ingente entità di impieghi, poco redditizi, recanti "azioni appiccicate" ovvero "azioni sottostanti"; VM8 (GI.): "Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore dell'azione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque noi dobbiamo fare in modo che "sti impieghi vadano scaricati". Ma davvero decisivo, in ordine alla entità complessiva del capitale finanziato nei termini anzidetti è uno specifico passaggio della conversazione intercettata n. 459 del 31.8.2015, nella quale è lo stesso So. a fare espresso riferimento a tale eclatante ammontare (cfr. pagg. 25-26 della perizia di trascrizione: "Cioè, lei ha capito, il miliardo ... miliardo rito deliberato io!...Io non ho deliberato una pratica di fido in vita mia, no?, se non le pratiche dei dipendenti, perché io non ho mai deliberato fidi in mia autonomia, tutto quello che era in mia autonomia andava sempre agli organi... agli organi... agli organi superiori..". Infine, relativamente alle conseguenze di detta quantificazione sul patrimonio di vigilanza, va parimenti condivisa l'integrale decurtazione operata dai medesimi consulenti. Sul punto, infatti, deve anzitutto precisarsi che nessuna fonte normativa legittima differenziazioni di sorta con riferimento al finanziamento degli acquisti di titoli effettuati in sede di aumento di capitale ovvero di negoziazione delle medesime azioni sul mercato secondario. Trattasi, peraltro, di una mancata distinzione che è assolutamente ovvia e discende, ancora una volta, dalla finalità di garanzia assegnata al patrimonio di vigilanza. A ben vedere, infatti, se ciò è di immediata percezione in relazione all'emissione di nuovi titoli, non è francamente dato comprendere per quale ragione si dovrebbe pervenire a differenti conclusioni nell'ipotesi dì successivo trasferimento delle azioni: anche in tal caso, infatti, il mancato scomputo dell'importo finanziato comporterebbe il sostanziale azzeramento dell'effetto di accrescimento del patrimonio dell'emittente conseguente al versamento del corrispettivo del titolo avvenuto all'atto di originaria collocazione dell'azione. Sul punto, pertanto, ogni ulteriore digressione sarebbe davvero ultronea. Altrettanto infondata, poi, è l'opinione - sostenuta dal consulente Gu. e fatta propria dalla difesa di ZO. (cfr. atto di appello, paragrafo 3.4 b), pagg. 161 e ss.) - secondo la quale detta decurtazione dovrebbe bensì avere luogo, oltre che nel caso di collocamento di azioni di nuovo conio, anche in quello di negoziazione del titolo (parimenti finanziata dall'emittente), ma, in tale ipotesi, limitatamente all'eventualità di acquisto dì titoli effettuato da parte di investitore privo di merito creditizio, poiché solo in siffatta evenienza il rischio dell'operazione verrebbe a gravare sull'ente, conseguentemente imponendo l'adozione dei citati presidi di garanzia. Ebbene, premesso che trattasi di argomentazione che ha originato anch'essa una ampia discussione nel corso del giudizio di primo grado91 e che è stata motivatamente disattesa dal tribunale (sicché non ci si può esimere dal rilevare, sul punto, come si sia in presenza della sostanziale mera riproposizione delle censure già mosse alla impostazione d'accusa), va in ogni caso ribadito che detta osservazione critica risulta destituita di fondamento. Innanzitutto, infatti, tale opinamento è privo di qualsivoglia aggancio normativo e, anzi, è palesemente contraddetto: - dal fatto che nessuna eccezione rispetto alla equiparazione tra l'acquisto di azioni proprie ed il finanziamento concesso per l'acquisto di azioni proprie ed al conseguente obbligo di decurtazione da patrimonio di vigilanza è stata mai prevista nell'ipotesi di concessione di finanziamenti correlati, men che meno sul rilievo del merito creditizio del soggetto finanziato (anzi, le circolari Banca d'Italia - coerentemente, del resto, con le linee guida emanate dal CEBS - Committee of European Banking Supervisors -; nel prevedere l'obbligo di decurtazione, operavano un espresso riferimento anche all'ipotesi di "riacquisto" del titolo, così evidentemente alludendo a titoli precedentemente emessi); - dalla successiva evoluzione normativa che, in coerenza con quanto stabilito dalle citate circolari, ha univocamente previsto la computabilità nel CETI solo di strumenti i cui corrispettivi fossero stati versati e l'acquisto dei quali non fosse stato finanziato, direttamente o indirettamente, dall'emittente; - dal principio del "fully paid in" che informa la normativa prudenziale, principio secondo il quale le azioni devono essere interamente liberate, sicché il capitale azionario deve essere "risk free", ovverosia non gravato da rischi di controparte. Inoltre - e trattasi di osservazione dirimente - è decisivo osservare che è proprio la già ripetutamente evocata finalità di garanzia (finalità "prudenziale" e da assicurarsi attraverso il rispetto di parametri oggettivi in ordine al rapporto tra patrimonio ed attività di rischio, secondo la disciplina introdotta, dall'anno 2007, a partire dagli accordi di "Basilea 2") sottesa all'istituto della decurtazione dei finanziamenti destinati all'acquisto dei titoli ad ostare a siffatte distinzioni, trattandosi di differenziazioni che finirebbero pericolosamente per rimettere all'emittente una valutazione (quella, per l'appunto, inerente al merito creditizio del cliente finanziato) determinante per la effettività dì tale garanzia, il tutto, peraltro, in stridente contrasto - come pertinentemente osservato dal P.G. (cfr. verbale udienza 18.5.2022, pag. 62 del verbale stenotipico) - con quanto già stabilito dalla circolare 263/06 di Banca d'Italia in ordine al fatto che l"'ammontare degli strumenti computabili nel patrimonio di vigilanza detenuti" deve essere di "pronta e univoca identificazione" e con la conseguente necessità - peraltro di immediata percezione - che, in caso di difficoltà, l'istituto dì credito si troverebbe nella condizione, tutt'altro che tranquillante, di fronteggiare eventuali perdite facendo ricorso a risorse non già immediatamente disponibili, bensì da recuperare attraverso ad un complesso procedimento di rimborso dei finanziamenti concessi (ovvero di escussione delle relative, eventuali garanzie). Conclusivamente, il merito creditizio del soggetto finanziato (ovvero l'esistenza di beni a garanzia del finanziamento) non assume rilievo di sorta ai fini della determinazione del trattamento prudenziale, sicché le censure variamente articolate, al riguardo, negli atti di impugnazione, sono destituite di fondamento. 13 La chiamata in correità di Gi.Em.. Nel corso del giudizio di appello l'imputato GI., come s'è detto, ha depositato una memoria contenente dichiarazioni confessorie ed anche esplicitamente eteroaccusatorie; quindi, sì è sottoposto nuovamente all'esame, rendendo una ampia e completa confessione e chiamando i coimputati alle rispettive responsabilità. Ebbene, la circostanza che tali dichiarazioni abbiano avuto ad oggetto non solo la materialità dei fatti ed il ruolo svolto, con riferimento a detti accadimenti, dal propalante, ma anche il coinvolgimento dei correi nell'intera vicenda delittuosa consiglia di affrontare in questa sede (e, quindi, prima della trattazione dei singoli appelli), sia pure nelle sue linee generali, per evidenti ragioni di economia espositiva, i temi inerenti, per un verso, alla credibilità soggettiva del dichiarante e, per altro verso, all'attendibilità del relativo contributo dichiarativo, trattandosi, per l'appunto, di questioni che si riverberano direttamente sulle posizioni di tutti gli altri imputati. Sarà poi all'atto della trattazione delle singole impugnazioni che si darà conto della specifica incidenza di tali propalazioni su dette, singole posizioni processuali. Ebbene, va in primo luogo evidenziato che il GI. - il quale, come s'è visto, già nel corso del giudizio di primo grado aveva reso dichiarazioni parzialmente ammissive, segnatamente là dove aveva sostenuto la diffusa consapevolezza, all'interno non solo della cerchia ristretta del management ma pressoché dell'intera struttura aziendale, del sistematico ricorso alle operazioni di finanziamento correlato al fine del reperimento del capitale necessario, da un lato, per assicurare la liquidità del titolo B. e, dall'altro, per continuare a perseguire l'ambiziosa politica di rafforzamento ed "espansione" dell'istituto tenacemente propugnata dal presidente ZO. - nell'ambito del citato memoriale e, quindi, nella successiva escussione nel dibattimento d'appello, ha fornito un contributo certamente significativo per la analitica comprensione degli accadimenti. A tale riguardo, infatti, deve premettersi che le dichiarazioni dell'imputato non hanno rivestito, in concreto, carattere dirimente nella decisione di questa Corte con riferimento alla comprensione del fenomeno delittuoso nelle sue linee generali: sul punto, in effetti, il compendio probatorio era già di tali vastità e concludenza da rendere sostanzialmente superflui ulteriori elementi, se non ai fini di una più puntuale intelligenza (non decisiva, peraltro) dei meccanismi operativi concretamente attuati dai vertici dell'istituto per fronteggiare la situazione di illiquidità dei titoli azionari e per occultarne gli esiti alle autorità di vigilanza. A ben vedere, l'esistenza di una attività tanto di marcata manipolazione relativa al prezzo delle azioni B. (con conseguenti ricadute sull'affidamento riposto sulla stabilità patrimoniale dì detto istituto di credito), quanto di occultamento di tale operatività delittuosa nei confronti di Banca d'Italia/Bc. e Consob risultava evidente alla stregua degli elementi documentali e testimoniali, nonché degli esiti di consulenza, già disponibili. Così come, tanto sotto il profilo logico, quanto alla stregua delle dichiarazioni rese da taluni testimoni, emergeva in termini di immediatezza la riconducibilità di dette scelte operative alla cerchia di amministratori apicali dell'istituto di credito, non essendo, del resto, razionalmente sostenibile, alla stregua della logica più elementare (secondo quanto, più oltre, meglio precisato), che un disegno criminoso così pervasivo, sistematico e risalente potesse essere stato realizzato solo dal massimo responsabile dell'amministrazione dalla banca - ovverosia dal d.g. So. - all'insaputa tanto del presidente ZO. quanto della cerchia dei suoi più stretti collaboratori, come se si fosse trattato di un autonomo "colpo di mano" da parte di un direttore generale infedele. Piuttosto, le propalazioni del GI. sono state tutt'altro che prive di utilità nel fornire delucidazioni circa il ruolo rivestito nei fatti da taluni imputati (con riferimento alla posizione del PE. e dello ZO. si vedrà che hanno finanche assunto notevole rilievo), segnatamente concorrendo a delineare l'indispensabile regolamento dei confini, nell'ambito dell'organigramma della banca, tra i soggetti che rivestivano posizioni apicali e che avevano la piena consapevolezza di tutte le implicazioni del ricorso al fenomeno del capitale finanziato ed erano anche direttamente impegnati nelle conseguenti attività di manipolazione e di occultamento, da un lato; e, dall'altro, le strutture incaricate di mansioni più marcatamente esecutive, ai componenti delle quali sfuggiva quella visione d'insieme del fenomeno in esame che avrebbe loro consentito di apprezzarne la natura delittuosa. Ciò posto, osserva questa Corte come, nella valutazione di una chiamata di correo, la giurisprudenza di legittimità consolidatasi da anni (a partire dalla fondamentale Cass. Sez. Un, 1653 del 21.10.1992, Ma.o e altri, passando, tra le varie, per Cass. Sez. V, n. 31442 del 28.6.2006, Sa. e altro, Cass. Sez. VI, n. 16939 del 20.12.2011, De. e altro, Cass. Sez. II, n. 21171 del 7.5.2013, Lo. e fino, ex multis, a Cass. Sez. IV, n. 34413 del 18.6.2019, Kh.) fornisca sicure coordinate di riferimento, insegnando come alla valutazione della credibilità soggettiva del dichiarante (da verificarsi alla stregua della personalità del predetto, delle sue condizioni socio-economiche e familiari e, più in generale, del profilo soggettivo di costui, dei rapporti intercorsi tra lo stesso propalante ed i chiamati in correità, nonché delle ragioni all'origine della determinazione alla confessione)/ debbano accompagnarsi il vaglio della consistenza intrinseca delle dichiarazioni d'accusa (da apprezzarsi alla luce, tra l'altro, della precisioni della costanza e della spontaneità del narrato) e la verifica della sussistenza di elementi di riscontro estrinseci ed "individualizzanti" - consistenti anche in valutazioni di carattere logico (cfr. al riguardo, Cass. Sez. II, n. 29648 del 17.6.2019, P.G. in proc. Pota) - rispetto a dette propalazioni, tali da consentire di corroborare la effettiva materialità dei fatti oggetto di dichiarazione e da collegarli univocamente alla posizione dei soggetti compromessi da dette accuse. E, come pure è stato autorevolmente precisato, la valutazione dei passaggi attinenti alla credibilità soggettiva ed alla attendibilità oggettiva della chiamata di correo non deve necessariamente transitare attraverso passaggi rigidamente separati, posto "che l'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non indica alcuna specifica e tassativa sequenza logico-temporale": in definitiva, "Il percorso critico che il giudice deve seguire non si correla (...) ... ad un modulo processuale predefinito, giacché il metodo di ricerca e di scansione dei singoli elementi fattuali su cui si radica un apprezzamento che non può che essere omnicomprensivo "la valutazione della prova deve essere strutturalmente unitaria/ anche se i relativi elementi dimostrativi possono essere frazionati quanto a risultati probatori "passa necessariamente attraverso un "sindacato" tanto dei dichiarante che del dichiarato: un singolo "frammento" di inattendibilità soggettiva non necessariamente incrina l'intera affidabilità oggettiva del narrato, così come, all'inverso, la riscontrata attendibilità soggettiva non esime dalla verifica globale del contenuto dichiarativo (così, Cass. Sez. II; n. 41500 del 24.9.2013, Ad. e altro; cfr., più di recente, la già citata Cass. Sez. IVB, n. 34413 del 18.6.2019, Kh.). Tanto premesso, va anzitutto precisato, con riferimento al profilo della credibilità del dichiarante, che sì è in presenza di fonte la cui attendibilità non può essere seriamente contestata. Non solo tutti ì criteri di carattere "soggettivo" ragionevolmente spendibili ai fini della relativa verifica (ed in precedenza solo esemplificativamente richiamati) depongono in tal senso (essendosi in presenza di imputato - ovviamente incensurato - che, all'interno dell'istituto di credito vicentino, rivestiva il ruolo, di assoluto rilievo, di vicedirettore generale, sicché definire il predetto come "socialmente inserito" sarebbe oltremodo riduttivo), ma anche la scelta collaborativa maturata da tale imputato è esente da profili di opacità. Se, infatti, in ordine al primo profilo, non sono davvero necessarie ulteriori considerazioni, quanto alla genesi della determinazione alla confessione osserva questa Corte come la circostanza (palesemente evincitele dal complessivo tenore delle relative dichiarazioni) che il GI. si sia determinato a dare piena consistenza alle iniziali dichiarazioni solo parzialmente ammissive (evidentemente conseguenti alla presa d'atto di una situazione probatoria a dir poco compromessa), assumendosi la piena, consapevole paternità delle condotte delittuose addebitategli, anche perché insofferente rispetto alla ritenuta "fuga" dei correi dalle rispettive responsabilità, non infici certo la credibilità del predetto. A ben vedere, infatti, quella di evitare di rimanere l'unico dirigente dell'istituto "con il cerino in mano" - per ricorrere all'efficace espressione adottata dal medesimo GI. nel corso dell'esame - è una motivazione umanamente comprensibile e, di per sé, non certo sintomatica di inattendibilità, specie ove palesata dallo stesso dichiarante, come, in effetti, avvenuto nella specie. Che, poi, detta "scelta collaborativa" possa essere stata dettata (e, anzi, sia stata ragionevolmente ispirata), oltre che da un sussulto di sensibilità e di maturità morale (secondo quanto il medesimo GI. ha pure inteso specificamente rappresentare in apertura dell'esame), anche dall'intenzione di fruire di un vantaggio personale, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, è circostanza che, pur imponendo un'estrema cautela nel vaglio delle dichiarazioni di accusa - a fortiori essendosi in presenza di chiamata di correo intervenuta dopo la sentenza di primo grado, ovverosia in un contesto nel quale il propalante ha potuto fruire della piena conoscenza degli esiti della istruttoria dibattimentale (cfr, sul punto, Cass. Sez. I, n. 43856, 1.10.2013, Mezzero) - non vale certo, nella concretezza della presente vicenda processuale, a pregiudicare la affidabilità della fonte, la quale, peraltro, va ribadito, con le propalazioni da ultimo rese ha unicamente dato coerente seguito a quel comportamento parzialmente ammissivo già adottato nel precedente grado di giudizio. Nulla, infatti, induce a ritenere, in termini di minimo fondamento, che il GI. - le dichiarazioni del quale, peraltro, sono state costantemente accompagnate da un contegno processuale e da modalità espressive connotati da pacatezza, continenza ed assenza di qualsivoglia ostilità nei confronti dei coimputati o di terzi rimasti immuni dal processo, elementi, questi, essi stessi sintomatici di genuina rivisitazione critica del precedente operato - sia stato mosso dall'intenzione di "barattare" un eventuale, ipotetico vantaggio con l'offerta di un contributo alla comprensione dei fatti implicante anche la formulazione di accuse a carico di persone estranee agli accadimenti riferiti, sconsideratamente "trascinando" soggetti ritenuti innocenti nel gorgo delle responsabilità. E, a tale riguardo, va in questa sede anticipato, con riferimento alla posizione del coimputato ZI., quanto più oltre meglio si preciserà nel trattare la relativa posizione processuale: in relazione a costui, infatti, il GI. ha bensì reso dichiarazioni accusatorie che non si sono poi tradotte nella riforma della sentenza di assoluzione. Nondimeno, ciò è avvenuto non perché quest'ultimo non sia stato ritenuto attendibile dalla Corte; piuttosto, perché lo stesso tenore delle dichiarazioni accusatorie non ha consentito, alla stregua delle complessive evidenze disponibili, di ritenere che il predetto imputato, pur consapevole - come riferito dal chiamante in correità - dello stato di crisi del mercato secondario del titolo B. e di una certa diffusione del ricorso alle operazioni "baciate", avesse piena coscienza della natura sistemica e della conseguente entità di tale fenomeno e, soprattutto, dell'illecito "trattamento" contabile riservato a tale prassi, anche con riferimento alle comunicazioni alla vigilanza, profili, questi, sui quali il predetto GI., in effetti, non ha affatto speso considerazioni concrete. In definitiva, quindi, non vi sono ragioni di dubitare della attendibilità soggettiva del medesimo GI., attendibilità che, al contrario, è apparsa a questa Corte piena e tangibile. Quanto, poi, al profilo della intrinseca consistenza della narrazione auto ed etero accusatoria, si è in presenza di una ricostruzione puntuale dei fatti sub iudice, tanto con riferimento alle vicende delle quali l'imputato è stato diretto protagonista, quanto a quelle, di contorno, dal medesimo apprese in ragione della posizione apicale rivestita all'interno dell'istituto di credito. Il propalante, infatti, ha reso una puntuale descrizione della genesi e dello sviluppo dell'attività manipolativa invalsa presso B. e della conseguente determinazione al relativo occultamento nelle interlocuzioni con le autorità di vigilanza, non solo spiegandone puntualmente le ragioni (peraltro già evidenti) e precisando contorni ed entità del proprio ed altrui coinvolgimento in tali operatività delittuose, ma anche offrendo adeguate delucidazioni in ordine alla diffusa conoscenza, all'interno dell'istituto di credito, del tema del capitale finanziato e, presso le strutture apicali, delle condizioni di grave difficoltà in cui versava il mercato secondario. Inoltre - e proprio in questo consiste il significativo rilievo del contributo conoscitivo offerto da detta fonte - il GI., da un lato, ha chiarito la natura dei rapporti effettivi che intercorrevano, con riferimento al fenomeno in esame, tra i vertici delle articolazioni operative di B., con particolare riguardo al coinvolgimento, rimasto effettivamente in ombra all'esito dell'istruttoria svoltasi in primo grado, della struttura chiamata a curare la predisposizione dei bilanci, degli adempimenti contabili e delle segnalazioni J alle autorità di vigilanza e, quindi, del suo vertice operativo (PE.); e, dall'altro, non solo ha contribuito a delineare quali fossero le concrete modalità di esercizio della presidenza da parte dello ZO., evidenziandone il costante sconfinamento nell'attività di concreta gestione dell'istituto, ma ha specificamente fornito ulteriori elementi di prova, tali da saldarsi coerentemente con le pregresse acquisizioni dibattimentali, in ordine alla effettiva conoscenza, da parte di tale imputato, del fenomeno del capitale finanziato. Peraltro, la narrazione dei fatti offerta dal medesimo GI. è stata sistematicamente accompagnata dall'illustrazione di coerenti elementi documentali, talvolta di più limitata significazione, talaltra di ben più consistente portata probatoria, elementi l'importanza di taluni dei quali, in effetti, era "sfuggita" nel corso della precedente istruttoria (trattandosi, il più delle volte, di documenti di ostica lettura ove non interpretati da soggetto intraneo alla struttura di vertice della banca e, quindi, in grado di trarne tutte le informazioni "implicite"), sicché, anche sotto tale profilo, deve concludersi nel senso della piena intrinseca persuasività delle relative dichiarazioni. Infine - e fermo il rinvio, sul punto, ancora una volta, a quanto sarà evidenziato più oltre con riferimento a ciascuna posizione processuale - le dichiarazioni d'accusa risultano corroborate, ab extrinseco, da una sequela di convergenti elementi di prova, relativi ad ogni fatto-reato oggetto d'addebito e tali da collegare specificamente gli eventi delittuosi narrati a ciascun imputato. Trattasi - va sottolineato - non di semplici "riscontri" ad una chiamata in correità, bensì di quella congerie di seri e concludenti elementi che, secondo la persuasiva lettura offertane dal primo giudice, già erano stati ritenuti idonei a fondare autonomamente le affermazioni di responsabilità (ovvero, con riferimento all'imputato PE., ad integrare un compendio probatorio di non trascurabile rilievo, ancorché dal tribunale ritenuto insufficiente), sicché, con riferimento a tale indispensabile requisito della chiamata in correità, ogni ulteriore digressione sarebbe davvero superflua. 14 Gli atti di appello. Premessa sui criteri di valutazione della prova. Premessa indispensabile alla analisi degli atti di appello è una valutazione generale dei criteri che hanno orientato questa Corte nella valutazione della prova. Sul punto, va precisato che la vicenda sub iudice si è caratterizzata non solo - come s'è già detto - per la vastità delle evidenze disponibili, ma anche per la laboriosità connaturata allo scrutinio necessario per la esatta comprensione delle dinamiche inerenti al fenomeno del "capitale finanziato" e, ancor più, per la individuazione delle singole responsabilità. In effetti, fin dall'avvio delle investigazioni gli inquirenti si sono mossi in un contesto assai ostico in ragione, per un verso, della complessità del fenomeno che andavano analizzando e, per altro verso, della struttura articolata della banca vicentina e della costante interdipendenza delle principali articolazioni operative di tale istituto (segnatamente: i "mercati", i "crediti"; la "finanza"; il "bilancio"; ma anche la "segreteria generale"; e, infine, i servizi ai quali era demandato il "controllo interno", in primis, l'"audit"). A complicare le indagini, poi, si sono aggiunte, da un lato, le difficoltà di reperimento di prove documentali conseguenti alle disposizioni tassative, progressivamente svelate dagli investigatori, che erano state impartite dai vertici aziendali al personale della banca, al quale era stato perentoriamente ordinato di non lasciare traccia scritta dei finanziamenti correlati; e, dall'altro lato, le condotte, se non sempre ostruzionistiche, generalmente tutt'altro che collaborative adottate da molti potenziali testimoni intranei all'istituto i quali, implicati, di fatto, in ragione degli incarichi ricoperti nell'organigramma della banca, nel fenomeno del capitale finanziato, nutrivano il palpabile timore di essere in qualche misura coinvolti - quantomeno sotto il profilo di eventuali responsabilità amministrative (come, peraltro, puntualmente accaduto per i membri del CdA e del Collegio Sindacale) - nelle indagini ed avevano, pertanto, tutto l'interesse a stornare dalle loro persone (e, nel caso dei consiglieri e dei sindaci, dall'intero organismo del quale erano membri) ogni sospetto. Peraltro, tale interesse, in taluni casi, si è spinto fino al plateale tentativo di inquinare il quadro delle evidenze che avrebbero più celermente potuto° orientare le indagini (il più immediato riferimento è alla soppressione/alterazione, operata su disposizione di Am., di taluni documenti compromettenti; ma, nel prosieguo degli accertamenti, come meglio si dirà più oltre, si è avuta contezza, attraverso le attività di intercettazione telefonica, dei tentativi posti in essere da non meglio individuati appartenenti al CdA, a tutto beneficio del presidente ZO., di ottenere da Ma.Pa. la modifica di quanto riferito al collega Bo., in sede di "intervista audit", circa il fatto che So. aveva sempre affermato la conoscenza, da parte del Presidente - pudicamente definito "chi di dovere" - del capitale finanziato; infine, le dichiarazioni dal Gi. rese in sede di appello, peraltro confortate dalle comunicazioni SMS/WhatsApp intercorse con Ba.St., hanno fatto luce anche sul tentativo, parimenti rimasto inattuato, di "bonifica" delle mail del medesimo ZO.). Tutto ciò ha avuto luogo in un contesto-contesto - giova ripeterlo - non solo caratterizzato da controlli volutamente strutturati in modo inefficiente, ma nel quale si era già avvezzi alla dissimulazione ed all'occultamento di evidenze documentali che avrebbero potuto rendere percepibile all'esterno (segnatamente, agli enti di vigilanza), il sistematico ricorso alle "operazioni baciate". Emblematico di tale contesto, invero, è il comportamento assunto dal già citato Bo. allorché costui, su ordine del d,g. So., non aveva esitato a omettere di dare seguito alla relazione - peraltro materialmente "occultata" dallo stesso So. - nella quale, pure, aveva evidenziato la "scoperta" di capitale finanziato per circa 200 milioni di Euro. Fin dall'avvio delle indagini, quindi, è stato determinante il rilievo delle prove documentali non sfuggite agli investigatori (in particolare: appunti sequestrati; talune comunicazioni via mail; le "lettere di impegno" recuperate nelle varie filiali territoriali; le registrazioni audio dì alcune sedute di organismi collettivi). E, questo, non solo per quanto in esse direttamente attestato (ovvero da esse indirettamente ricavabile), ma anche per la loro intrinseca attitudine a scongiurare, da parte dei potenziali testimoni assunti a s.i.t., dichiarazioni marcatamente in contrasto con evidenze, per l'appunto, documentalmente provate. Ebbene, le difficoltà insite in tale "contesto di ricerca" si sono poi inevitabilmente tradotte, in sede dibattimentale, in un altrettanto faticoso' percorso di ricostruzione dei fatti, percorso reso particolarmente arduo, come si diceva, dall'atteggiamento di numerosi testimoni, le dichiarazioni dei quali sono spesso risultate generiche, scandite da ricordi approssimativi, se non anche palpabilmente orientate a fare emergere una generica inefficienza delle strutture a scapito della esatta ricostruzione del fenomeno e, soprattutto, delle singole responsabilità. In particolare, non ci si può esimere dal sottolineare come i membri del CdA e del Collegio Sindacale siano risultati pressoché tutti davvero scarsamente attendibili nell'escludere che a tali consessi (o, quantomeno, ai componenti più tecnicamente attrezzati dei predetti organi collegiali, finanche nel caso avessero loro stessi beneficiato di finanziamenti correlati) fossero giunte anche solo indirette notizie del fenomeno in esame e persino "indici di allarme" che avrebbero consigliato, se non imposto, l'espletamento di approfondimenti. Assolutamente emblematica, sul punto, è stata la deposizione del teste Za., esperto dottore commercialista già presidente del Collegio Sindacale e, in questa, veste, anche a capo dell'OdV, il quale, escusso nuovamente nel corso del giudizio di appello, non è stato neppure in grado di ricordare in cosa consistesse tale organismo di vigilanza. Ma altrettanto imbarazzante è stata la deposizione resa, sempre nel dibattimento di appello, dal teste prof. Br.: costui, per lunghissimi anni vicepresidente della banca, ha negato finanche di avere percepito "sintomo" alcuno di quanto, da tempo, andava accadendo nella gestione dell'istituto e, a fronte delle dichiarazioni dell'imputato GI. - il quale lo aveva indicato come presente al colloquio tra il medesimo propalante e lo ZO., colloquio nel corso del quale quest'ultimo aveva ammesso di essere a conoscenza delle "baciate parziali" - nel confermare la propria presenza in occasione di tale incontro ha nondimeno affermato di non serbare memoria di quanto specificamente riferito, sul punto, dal chiamante in correità e, questo, del tutto incredibilmente, solo a considerare, per un verso, la assoluta centralità dì tale "passaggio" e, per altro verso, la funzione di testimone che allo stesso Br., nello specifico, era stata evidentemente assegnata nell'interesse del presidente. Parimenti inaffidabili, poi, sono risultati, come meglio si dirà nell'analizzare la posizione dell'imputato PE., plurimi passaggi delle deposizioni reset dai più stretti collaboratori di tale imputato (trattasi dei testimoni Fa., Tr., Mo.). In linea di massima (e fatte salve le specificazioni che saranno più oltre effettuate) può in questa sede anticiparsi che le deposizioni più attendibili tra i contributi forniti dai soggetti, a diverso titolo, facenti capo a B., sono risultate quelle dei funzionari dell'istituto più "distanti" dai vertici aziendali, in quanto estranei alle dinamiche decisionali del fenomeno del capitale finanziato. Per il resto, il vaglio del materiale testimoniale proveniente "dall'interno" dell'istituto bancario ha imposto un approccio assai prudente, rendendo necessaria una analisi particolarmente accorta dei singoli contributi testimoniali. E, sul punto, va ribadito che la corretta chiave di lettura di tale compendio dichiarativo è stata quella già indicata (sia pure con specifico riferimento alle dichiarazioni dei principali soci finanziati) dal primo giudice (cfr, sentenza impugnata, pag. 634): nell'ambito delle rispettive deposizioni, i più o meno scarni passaggi in ordine all'esistenza del fenomeno del capitale finanziato ed alla attribuzione delle singole responsabilità sono risultati assai più persuasivi di quelli (sovente assai più consistenti dal punto di vista quantitativo) caratterizzati da generici ed autoassolutori richiami alle inadeguatezze strutturali del sistema dei controlli, ovvero da definizioni volutamente vaghe (è il caso dei riferimenti al capitale finanziato che taluni testi, non potendoli negare, hanno qualificato come "allusivi", "indiretti", "obliqui", quasi che il ricorso a simili espressioni edulcorate potesse realmente valere a rendere il significato e le implicazioni di detti riferimenti davvero inafferrabili per soggetti professionalmente assai attrezzati come erano i componenti del management di B. ed i loro più stretti collaboratori). Nondimeno, ad onta della descritta complessità del "contesto di ricerca", è stato possibile, all'esito di una assai laboriosa attività istruttoria, peraltro parzialmente rinnovata in appello, non solo ricostruire in modo appagante il fenomeno del capitale finanziato che ha finito per travolgere l'istituto di credito vicentino, ma anche delineare compiutamente le rispettive responsabilità con riferimento a tali accadimenti, come di seguito precisato in sede di valutazione dei singoli atti di impugnazione. Da ultimo, una precisazione si impone con riferimento al rilievo che, come si vedrà, hanno necessariamente assunto, nel vaglio dei compendio probatorio disponibile, le considerazioni di natura logica. Ebbene, trattasi di strumenti concettuali che non solo rivestono rilievo centrale nella spiegazione delle condotte umane e che, pertanto, non possono certo essere abbandonati se - come si è efficacemente osservato - non si voglia condannare il giudice (cui è imposta l'indicazione dei criteri adottati nella valutazione della prova, ex art, 192 c.p.p.), sul punto, all'afasia"; ma che, nella vicenda sub iudice, inerente alla modalità adottate dall'alta direzione di una impresa bancaria per fronteggiare una problematica di vitale importanza, assumono un rilievo particolarmente significativo. In altre parole, se è vero che in ogni valutazione logica del comportamento umano è ontologicamente intrinseco un margine di incertezza (non potendosi ovviamente confondere - come pure è stato precisato "l'id quod plerumque accidit" con "l'id quod semper necesse") è altrettanto vero che, in casi quali quello in esame - aventi ad oggetto l'operato di un ente "razionale" per definizione (nell'ambito del quale, quindi, tutte le decisioni erano necessariamente precedute da accurata analisi e costituivano l'esito di procedure predeterminate o, comunque, dell'agire coordinato di una pluralità di soggetti professionalmente assai attrezzati), tale margine è destinato ad assottigliarsi fin quasi a divenire davvero evanescente. 14.1 Gli appelli degli imputati 14.1.1 L'appello nell'interesse di Gi.Em. Con riguardo alla posizione dell'imputato Gi.Em. (resosi autore, nel presente grado di giudizio, di propalazioni auto ed etero accusatorie che già sono state oggetto - v. supra, par. 13 della presente sentenza - di accurato vaglio sotto il duplice profilo della credibilità soggettiva del dichiarante nonché dell'attendibilità e coerenza intrinseche del suo contributo dichiarativo) va innanzitutto dato atto della intervenuta rinuncia, da parte della difesa, a un rilevante numero di motivi di gravame. All'udienza del 23 settembre 2022 la difesa del GI. ha infatti depositato una nota avente il seguente tenore: "I sottoscritti avvocati, difensori di fiducia di Em.Gi., unitamente a quest'ultimo (...), dichiarano, a norma dell'art. 589 c.p.p., di rinunciare ai seguenti motivi così numerati nell'atto di appello: I, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XII, XIV, XV, XVI, XVII, XVIII, XIX". Quanto poi all'ulteriore capitolo XX dell'atto di appello - non ricompreso, nella citata nota scritta d'udienza, fra quelli oggetto di espressa rinuncia - la difesa, in sede di discussione, ha comunque manifestato, nei seguenti termini, l'intenzione di renderlo oggetto di quella che ha definito "rinuncia implicita", di fatto non coltivando più, cioè, la relativa eccezione di nullità dell'impugnata sentenza (a suo tempo sollevata ex art. 604 comma 3 c.p.p, per ritenuta violazione dell'art. 522 c.p.p.) e limitandosi, in ultima analisi, a chiedere che le considerazioni ivi svolte vengano prese in esame unicamente, ex art. 133 c.p., al fine della determinazione del trattamento sanzionatorio. Conseguentemente l'appello risulta essere stato effettivamente coltivato dalla difesa del GI. nei seguenti, ormai circoscritti, termini: - capitolo II (pagg. 24-27 atto di appello): "Violazione degli arti. 185 c.p. e 74 c.p.p. da parte della ordinanza ex art. 491 c.p.p. del 21.3.2019 e di tutte le parti della sentenza che la richiamano"; - capitolo III (pagg. 28-36 atto di appello): "L'erronea ricostruzione della posizione di Gi. in banca"; trattasi peraltro di censure che, al pari di quanto or ora visto per il capitolo XX, attengono in via esclusiva al vaglio della personalità, del grado di protagonismo e dell'intensità dell'elemento soggettivo in capo al reo confesso GI., come tali rientranti nell'ambito di applicazione dell'art. 133 c.p. e dunque confluenti nell'oggetto del capitolo XXII, interamente dedicato al trattamento sanzionatorio; - capitolo XIII (pagg. 80-83 atto di appello): "L'illegittima "moltiplicazione operata in sentenza, dei reati di aggiotaggio di cui al capo A.l. La violazione del divieto di ne bis in idem sostanziale"; trattasi peraltro dì temi già ampiamente ed esaustiva mente trattati nella parte generale della presente sentenza e precisamente nei suoi paragrafi 8 e 11, ai quali senz'altro si rinvia. - capitolo XXI (pagg. 134-137 atto di appello); "Nullità della sentenza impugnata ex art. 604 c. 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 c. 2 c.p.p. avendo il tribunale condannato Gi., in relazione ai capi I) e L), per un fatto "nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio""; - capitolo XXII (pagg. 137-144 atto di appello): "In via subordinata sul trattamento sanzionatorio: corretta individuazione del reato più grave; rideterminazione ai minimi di legge della pena base; rideterminazione ai minimi di legge degli applicati aumenti per continuazione interna; concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle residue contestate aggravanti"; - capitolo XXIII (pagg. 144-148 atto di appello): "Quanto agli aspetti civili: richiesta di revoca di tutte le statuizioni civili. In ogni caso e in subordine: sospensione della condanna al pagamento della provvisionale per "gravi motivi" ex art. 600 comma 3 c.p.p.". Ciò premesso, quanto ancora residua dell'appello proposto dalla difesa di Gi.Em. è parzialmente fondato, e ciò con riguardo: - alle considerazioni già svolte nella soprastante parte generale - par. 8 - quanto al numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa; - al trattamento sanzionatorio, risultando condivisibili - in applicazione di tutti i canoni di cui all'art. 133 c.p., nessuno escluso - le istanze difensive con le quali sì chiede: a) che il giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p. sia condotto nel senso della prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche sulle ritenute aggravanti; b) che venga adeguatamente ridotta l'entità degli aumenti di pena praticati ex art. 81 cpv. c.p. a titolo di continuazione. Inoltre va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato Em.Gi. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra sì è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo A1, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Analogamente va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato Em.Gi. per i reati di falso in prospetto cui ai capi I e L, sempre per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Infine, come pure già si è precisato supra (v. parte generale della presente sentenza, par. 9), va ritenuta, anche quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1 e M1, la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Di seguito si procederà alla trattazione dei motivi di gravame ancora coltivati dalla difesa. 14.1.1.1. L'eccepita violazione degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p. ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p. del 21 marzo 2019 e ad opera di tutte le parti della sentenza che la richiamano (capitolo II dell'atto di appello, pagg. 24-27). L'appellante ha dedotto la violazione degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p., ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p., pronunciata dal tribunale vicentino in data 21.3.2019 (parzialmente reiettiva della richiesta di esclusione delle parti civili) e ad opera di tutte le parti della sentenza che la richiamano. L'impugnazione dell'anzidetta ordinanza si riferisce, per la precisione, ai suoi paragrafi 1.5, 1.6 e 1.7; se ne riepilogano qui brevemente i termini: - quanto al paragrafo 1.5 dell'ordinanza si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile in capo agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti di causa. Essendo costoro divenuti azionisti od obbligazionisti (puri, subordinati o convertibili) in epoca successiva ai fatti che qui occupano non possono - conseguentemente - lamentare, secondo la difesa, di avere subito un danno immediato e diretto (alcuni di essi, anzi, sempre a detta della difesa, appaiono piuttosto avere messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti); - quanto al paragrafo 1.6 dell'ordinanza si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle operazioni di finanziamento correlato: tali soggetti debbono infatti definirsi, secondo la difesa, carenti di legitimatio ad causam essendo consapevoli - a differenza di quanto affermato dal tribunale - di partecipare a un'operazione che viene indicata come illecita nella stessa prospettazione d'accusa: al riguardo l'appellante ricorda come proprio nella costruzione generale dell'impianto accusatorio venga data l'indicazione della sottoscrizione, da parte dei clienti/soci/finanziati, di lettere di impegno - dal tenore chiaro ed esplicito - contenenti, per l'appunto, l'impegno da parte della banca al riacquisto delle azioni B. e/o contenenti la garanzia di un determinato rendimento; - quanto al paragrafo 1.7 dell'ordinanza si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno messo in vendita le loro azioni. Nei confronti di tali soggetti si è infatti verificata, secondo la difesa, l'interruzione - a seguito della vendita - del nesso causale, con il conseguente carattere solo indiretto del danno da reato (commisurato al deprezzamento fra il momento di acquisto dell'azione e la realizzazione effettiva). Osserva l'appellante come lo stesso tribunale vicentino faccia riferimento, nell'incipit dell'ordinanza impugnata, proprio alla consequenzialità immediata fra reato e danno (enunciata negli artt. 1223 e 1227 comma 2 c.c.) dalla quale far discendere la sussistenza della legittimazione; consequenzialità immediata che, nel caso di danno indiretto, per l'appunto non ricorrerebbe. Conseguentemente la difesa del GI. nuovamente richiede, nella presente sede, l'esclusione di tutte le parti civili rientranti nell'una o nell'altra delle suindicate tre categorie. Ritiene questa Corte che tali censure difensive non meritino accoglimento. Quanto agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti oggetto del presente procedimento (paragrafo 1.5. dell'impugnata ordinanza 21.3.2019), si ravvisano anzitutto profili di inammissibilità del motivo di gravame stante la sua assoluta genericità: da un lato non vengono in alcun modo individuate, ivi, le parti civili delle quali si chiede l'esclusione per tale ragione; dall'altro lato è parimenti del tutto generica l'affermazione secondo j cui "alcuni" - anch'essi non meglio identificati - fra costoro avrebbero' "piuttosto messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti" (cfr. pag. 25 atto di appello). Nel merito basti osservare, in ogni caso, che è del tutto indimostrata in fatto la conoscenza in capo a ciascuna delle predette non meglio identificate parti civili, al momento di acquistare i titoli, tanto dell'esistenza stessa quanto, a fortiori, dell'entità e portata complessive del fenomeno del finanziamento correlato, come pure la conoscenza di quali potessero essere le sue conseguenze sulla sorte dei titoli B. e più in generale sulla solidità dell'istituto di credito emittente. Al riguardo coglie nel segno il primo giudice allorquando evidenzia (cfr. pagg. 826-827 sentenza gravata) che "resta uno scollamento tra la cessazione delle condotte delittuose e il disvelamento, il che ha determinato il protrarsi degli effetti di una errata rappresentazione al mercato della reale situazione dell'istituto con indubbio svantaggio informativo (indotto dalle condotte delittuose) per l'investitore". Quanto poi a coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle operazioni di finanziamento correlato (paragrafo 1.6. dell'impugnata ordinanza 21.3.2019), non è fondato l'assunto difensivo di partenza, secondo cui almeno costoro, fra gli acquirenti dei titoli, sarebbero stati pienamente consapevoli di partecipare a un'operazione illecita. Ciò che ha reso penalmente rilevanti le operazioni in oggetto è stato il mancato scomputo dal patrimonio di vigilanza dei titoli che grazie ad esse venivano acquistati dai soggetti finanziati; questi ultimi, al momento dell'acquisto, non potevano sapere che la banca avrebbe tenuto tale contegno omissivo né potevano sapere che essa non avrebbe rispettato le procedure autorizzative di legge concernenti l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie. In ogni caso non è stata fornita la dimostrazione di una siffatta conoscenza in capo a costoro. Si osserva anzi (e il tema verrà più ampiamente trattato infra con riguardo, in particolare, alla posizione dell'imputato MA.) che all'epoca era finanche assai controverso - in dottrina e finanche nella giurisprudenza di legittimità - lo stesso assoggettamento, o meno, delle banche cooperative e popolari al disposto dell'art. 2358 c.c., il quale detta per l'appunto le condizioni affinché una società possa, direttamente o indirettamente, accordare prestiti o fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni. La difesa del GI. obietta che quantomeno gli azionisti destinatari di lettere d'impegno non potevano non essere consapevoli dell'illiceità delle operazioni in questione. In contrario può osservarsi, in aggiunta a quanto fin qui detto: a) che le lettere di impegno emerse nel corso dell'attività ispettiva sono in numero appena superiore alla sessantina; b) che semmai i loro destinatari erano stati ulteriormente indotti - per tale via - al convincimento, dimostratosi in ultima analisi fallace, di detenere titoli non solo liquidi ma anche e soprattutto immediatamente liquidabili in ogni tempo senza assunzione di rischi di sorta. Un'efficace confutazione della suddetta tesi difensiva si rinviene d'altronde - esemplificativamente e in aggiunta alle altre deposizioni, dì tenore analogo sul punto, già citate nella nota 733 di pag. 827 della sentenza gravata - pure nella deposizione del teste Va.Ma., vertice del gruppo "So." (pag. 9 verbale stenotipia" 12.12.2019). A tale ultimo proposito, pertanto, può dirsi che colga senz'altro nel segno l'argomentazione del primo giudice - cfr. pag. 827 sentenza gravata - secondo cui "conseguenze dannose restano comunque certamente configuratoli a fronte della esposizione debitoria segnalata alla centrale rischi e all'addebito dei costi del finanziamento". Quanto infine a coloro che hanno messo in vendita le loro azioni (paragrafo 1.7. dell'impugnata ordinanza 21-3,2019), si ravvisano anzitutto profili di inammissibilità del motivo dì gravame stante la sua assoluta genericità, non venendo in alcun modo individuate, ivi, le parti civili delle quali si chiede l'esclusione per tale ragione. Nel merito basti osservare, in ogni caso, che per costoro il danno aveva già iniziato a prodursi anteriormente alla successiva messa in vendita dei titoli. Non è fondato l'assunto difensivo di partenza secondo cui, con la vendita dei titoli stessi, si sarebbe interrotto ex se il nesso causale, con l'inevitabile venir meno di quella consequenzialità immediata tra reato e danno che è richiesta dagli artt. 1223 e 1227 c.c.. A tal proposito non vi è, qui, ragione di discostarsi dal costante e consolidato insegnamento giurisprudenziale di legittimità secondo il quale, con riguardo all'illecito civile, si ha interruzione del nesso di causalità soltanto nell'ipotesi - con ogni evidenza non ricorrente nella presente fattispecie - in cui la causa sopravvenuta (che può identificarsi anche con la condotta dello stesso danneggiato) sia da sola sufficiente a provocare l'evento, in quanto autonoma, eccezionale ed atipica rispetto alla serie causale già in atto, sì da assorbire sul piano giuridico ogni diverso antecedente causale e ridurlo al ruolo di semplice occasione. In tal senso cfr., da ultimo, Cass. Civ. Sez. 3, ordinanza n. 21563 del 07/07/2022 resa su ricorso proposto da Du.Em. e Mi.Ol. c. Ente Parco Regionale del fiume Si. In senso del tutto analogo cfr., ex multis, Cass. Civ. Sez. 3, sentenza n. 19180 del 19/07/2018 resa su ricorso proposto da Ga.En. c. No. S.a.s. e altri, secondo cui si ha interruzione del rapporto di causalità tra fatto del danneggiante ed evento dannoso per effetto del comportamento sopravvenuto dì altro soggetto (che può identificarsi anche con lo stesso danneggiato), quando il fatto di costui si ponga, ai sensi dell'art. 41, comma 2, c.p., come unica ed esclusiva causa dell'evento di danno, sì da privare dell'efficienza causale e rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell'autore dell'illecito, ma non quando, essendo ancora in atto ed in fase dì sviluppo il processo produttivo del danno avviato dal fatto illecito dell'agente, nella situazione di potenzialità dannosa da questi determinata si inserisca una condotta di altro soggetto ed eventualmente dello stesso danneggiato) che sia preordinata proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, di neutralizzare le conseguenze di quell'illecito. In tal caso - si badi - lo stesso illecito resta unico fatto generatore sia della situazione di pericolo sia del danno derivante dall'adozione di misure difensive o reattive a quella situazione, sempre che rispetto ad essa siano coerenti ed adeguate. 14.1.1.2. L'eccezione di nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 c. 2 c.p.p. in relazione ai capi I e L (capitolo XXI dell'atto di appello, pagg. 134-137). Secondo la difesa il tribunale vicentino avrebbe condannato il GI., in relazione ai capi I e L (reati di falso in prospetto, dei quali va qui dichiarata in ogni caso l'estinzione per intervenuta prescrizione), per un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio, con conseguente eccepita violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p.. Nel decreto che dispone il giudizio, infatti, si contesta al GI. di avere preso direttamente parte alla materiale predisposizione dei testi dei due prospetti, laddove viceversa la sentenza gravata100, pur dando atto del mancato diretto coinvolgimento materiale del GI. (a differenza, secondo lo stesso primo giudice, di quanto poteva dirsi per gli imputati ZO. e PI.) nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, ne avrebbe fondato - del tutto erroneamente - la penale responsabilità sulla mera asserita sua consapevolezza dell'occultamento delle operazioni finanziate. Ritiene questa Corte che l'eccezione di nullità ex art, 522 c.p.p. sia infondata e che l'affermazione di penale responsabilità nei confronti del GI., correttamente fatta dal primo giudice in epoca anteriore alla frattanto intervenuta estinzione per prescrizione dei due reati, andasse, semplicemente, da esso argomentata nel merito con diversa motivazione, non riscontrandosi per converso alcuna difformità tra il tenore di ambedue i rubricati capi d'imputazione I e L Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture ...") e il fatto concretamente da ascriversi all'imputato GI. sulla base della svolta istruttoria. Basti al riguardo citare - ponendo mente all'inciso, sopra evidenziato, "anche per il tramite delle proprie strutture" - il contenuto, in parte qua, della deposizione resa il 17.1.2020 dal teste Ma.Ca., dipendente di B. dal 2007 al 2018 con mansioni di responsabile dell'unità in staff al responsabile della Divisione Finanza. Il teste Ca. (cfr. in particolare le pagg. 76, 78 e 91-92 del relativo verbale stenotipico) ha infatti individuato quali, in concreto, tra le strutture facenti capo alla Divisione Mercati capeggiata dal GI., ebbero a prendere parte diretta, per quanto di loro competenza, al gruppo di lavoro che curò la predisposizione dei prospetti in questione. 14.1.1.3. Il trattamento sanzionatone (capitoli III, XX - in parte qua - e XXII dell'atto di appello). Sulla scorta delle considerazioni sin qui esposte va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato Em.Gi. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra si è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo A1, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Analogamente va dichiarato non doversi procedere per i reati di falso in prospetto di cui ai capi 1 e L, sempre per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Infine, come pure già si è precisato supra (v. parte generale della presente sentenza, par. 9), va ritenuta, anche quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1 e M1, la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Ciò posto, risultano, come sopra accennato, condivisibili - in applicazione di tutti i canoni dì cui all'art. 133 c.p., nessuno escluso - le istanze difensive con le quali si chiede: a) che il giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p, sia condotto nel senso della prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche sulle ritenute aggravanti nonostante l'entità eclatante dei fatti e dei danni cagionati; b) che venga adeguatamente ridotta l'entità degli aumenti dì pena praticati ex art. 81 cpv. c.p. a titolo di continuazione. Non può, infatti, non differenziarsi, in relazione ad ambedue tali profili, la posizione del GI. rispetto a quella degli altri imputati (viceversa ritenendosi adeguato all'oggettiva gravità dei fatti e delle loro conseguenze, in sé considerata, il mantenimento della pena base per il più grave reato sub capo H1 nella stessa misura - tre anni - già individuata in prime cure), e ciò sotto plurimi aspetti: - anzitutto si richiamano tutte le articolate considerazioni già svolte supra (nella parte generale della presente sentenza, par. 13) in relazione alle propalazioni auto ed etero accusatorie del GI., con riguardo tanto alla credibilità soggettiva del dichiarante quanto all'attendibilità e intrinseca consistenza del relativo contributo dichiarativo, quanto all'incidenza e pregnanza di tali propalazioni grazie alle quali il già solido quadro probatorio è andato ulteriormente rafforzandosi (con particolare - ma non esclusivo - riferimento alle posizioni dei due coimputati ZO. e PE.); - secondariamente si evidenzia come colga nel segno l'osservazione difensiva (svolta in relazione al capitolo XX dell'atto di appello, il quale è stato reso oggetto di rinuncia implicita tranne che per tale specifico e circoscritto aspetto) secondo cui può senz'altro valorizzarsi in senso favorevole al reo, ex art. 133 c.p., il fatto che lo stesso primo giudice, in relazione al capo N1, abbia riconosciuto - cfr. pag. 546 della gravata sentenza - che "le missive indicate in imputazione sono firmate da Sa.So., direttore generale di B., dall'istruttoria dibattimentale è emersa la prova che l'iniziativa commerciale tesa a garantire il buon esito dell'aumento di capitale è stata ideata ed organizzata dal direttore generale" (ossia, in altri termini, l'apporto concorsuale del GI. nella commissione del reato sub capo N1, ostacolo alla vigilanza Consob, vi è stato, sì, ma in veste di collaboratore ed esecutore materiale di direttive concepite e impartite dal d.g. Sa.So., non ponendosi quindi il GI. su un piano paritario con quest'ultimo (cfr. altresì pag. 547 della gravata sentenza: "Un fondamentale ruolo di supporto e collaborazione al direttore generale è stato svolto da Em.Gi., vicedirettore generale e responsabile della divisione mercati; le univoche risultanze probatorie sopra esposte dimostrano che egli ha puntualmente curato l'esecuzione e l'attuazione delle linee guida dettate dal suo diretto superiore Sa.So., nell'ambito della pianificazione commerciale dell'aumento di capitale"); - nella stessa ottica coglie nel segno anche l'ulteriore osservazione difensiva (svolta in relazione al capitolo III dell'atto di appello) secondo cui non risponde esattamente al vero l'assunto dell'Accusa - fatto proprio dal primo giudice - in base al quale il GI. avrebbe sempre operato, fino alla fine, in perfetta e paritaria sinergia con il direttore generale So. godendone la piena stima e condividendone integralmente ogni determinazione; in realtà emerge dalla svolta istruttoria come, da un lato, il GI. non godesse in effetti di una tale spiccata considerazione in seno a B. (viepiù vedendo egli progressivamente scemare col tempo la stima e la fiducia del d.g. So. nei suoi confronti, già mai state particolarmente elevate: cfr. in tal senso, puntualmente, le deposizioni dei testi Tu., Gi., Fa., Es., An., tutte debitamente citate alle pagg. 29-30 dell'atto di appello) mentre, dall'altro lato, il GI. - quanto meno a far tempo dal qui ripetutamente menzionato Comitato di Direzione 10,11.2014: cfr, tutti i passaggi già più volte citati sopra del relativo doc. 110 del P.M., in particolare le sue pagg. 40, 67-68, 76-77 e 78 - effettivamente si distingueva, all'interno di quel ristretto consesso di massimi dirigenti della banca, non solo per il fatto che mostrasse di avere piena e assoluta contezza delle dimensioni - ormai abnormi e ingestibili - assunte dal fenomeno dei finanziamenti correlati, in uno con l'ingravescente illiquidità dell'azione B., ma altresì per essersi già allora arrischiato ad esternare con grande chiarezza, sempre in quel ristretto consesso, le sue motivate e accorate preoccupazioni circa il modestissimo valore effettivo del titolo (oltretutto ormai "rivelato" - a una platea potenzialmente quanto mai vasta - dalle acute elucubrazioni di un articolo di stampa nazionale generalista, dal GI. ivi commentato: v. pag. 78 doc. 110 cit.) e circa le probabili rovinose conseguenze future del meccanismo perverso ormai avviato dalla banca, anche se poi, di fatto, egli non portò fino alle massime conseguenze tale suo sentire e continuò - nonostante tutto - a dare il suo apporto causale al perpetuarsi della scellerata quanto consolidata prassi ormai da anni intrapresa dalla banca. Davvero emblematiche, consapevoli e drammaticamente premonitrici, sul punto, sono le parole pronunciate dal GI. il 10 novembre 2014 in corrispondenza delle pagg. 67-68 del citato doc. 110 del P.M.; "VM 8 (GI.3 (...) Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo nei senso che, se a uno che tu gli hai dato 100; il valore ...eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque noi dobbiamo fare in modo che "sti impieghi vadano scaricati"; concetto, questo, di lì a poco ripreso e ribadito dal GI. nel medesimo ristretto consesso di vertice con parole di pari pregnanza e puntualità, a fronte delle quali può notarsi il ben diverso atteggiamento tenuto da altri fra gli astanti (cfr. pagg. 76-77 ibidem: "VM 8 (GI.): Faccio ... Per esempio, facciamo che siano 500 milioni, a titolo esemplificativo, no, e il valore dell'azione perde il 30%, sono 150 milioni che noi dovremmo ridare a questi qua in dieci anni, metti, no? Quindi, son 30 milioni... son 15 milioni l'anno. (...). - VM 10 (PI.): Sì, tocchiamoci i coglioni, comunque! (ride)"). Tenuto conto di tutti gli elementi sopra indicati, dunque, stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni due mesi sette giorni quindici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, che anche in questa sede si ritiene essere il più grave (la pur sopra illustrata "presa di coscienza" del GI. datata novembre 2014 - definita "ribellione interiore" dalla sua difesa in sede di discussione, cfr, pag. 39 verbale stenotipico 23.9.2022 - e l'altrettanto sopra illustrato scadente rapporto con il d.g. So., come detto, non si tradussero, in ogni caso, in un'astensione dal continuare a concorrere nei contegni penalmente rilevanti; tantomeno si tradussero nelle dimissioni e/o in una denuncia all'A.G.), anni tre di reclusione; ridotta ad anni due di reclusione per le concesse attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. in regime di prevalenza; aumentata di complessivi mesi sette e giorni quindici per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, dì giorni ventisette per ciascuno degli ulteriori otto reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, M1, N1 e di giorni nove per il residuo reato di aggiotaggio sub capo A1). Ciò con la precisazione che l'aumento per la continuazione, in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue (in misura inferiore rispetto agli altri imputati per tutto quanto fin qui detto; lo stesso è a dirsi per l'aumento ex art. 81 cpv. c.p. relativo al residuo reato satellite di aggiotaggio) alla ritenuta individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento. Deve, infatti, evidenziarsi che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati di ostacolo alla vigilanza, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato, provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale, è stata applicata alternativamente, in prime cure, una pena diversa per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. La pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici va, infine, conseguentemente revocata. Per quanto poi attiene alla disposta confisca ex art. 2641 comma 2 c.c. "per il valore equivalente alla somma di Euro 963.000,000", va dato atto che l'imputato GI. è stato il solo, assieme all'imputato ZO., a formulare una doglianza al riguardo nel suo atto di gravame. Nondimeno si osserva che tale doglianza (succintamente espressa nel par. 6 del cap. XXII in tema di trattamento sanzionatorio: cfr. gli ultimi cinque righi di pag. 143 e i primi cinque righi di pag. 144 dell'atto di appello GI.), a differenza di quella - assai articolata - proveniente dalla difesa ZO., che investe anche l'an della confisca suddetta, è circoscritta al quantum della relativa statuizione e, precisamente, alla dedotta assente indicazione delle "ragioni per le quali Gi. è stato ritenuto responsabile della erogazione di tutti i finanziamenti strumentali alla formazione di quel capitale finanziato" (cfr. pag. 144 atto di appello). Si rinvia pertanto alla sottostante trattazione della posizione dell'imputato ZO. e più precisamente al par. 14.1.4,6 della presente sentenza, laddove si darà conto delle articolate argomentazioni - in fatto e in diritto - che inducono questa Corte, in accoglimento del relativo motivo di gravame prospettato dalla difesa ZO., a revocare tout court, per difetto del requisito della proporzionalità, la confisca disposta, per l'ammontare di 963 milioni Euro, nei confronti dì tutti gli imputati condannati in primo grado. 14.1.1.4. Le statuizioni civili (capitolo XXIII dell'atto di appello, pagg. 144-148). Le doglianze prospettate dalla difesa dell'imputato GI. nel suo ultimo motivo di gravame, avente ad oggetto il complesso delle statuizioni civili, possono riassumersi come segue: a) annunciata riserva di verificare, per la celebrazione del giudizio di appello, l'individuazione di eventuali revoche di costituzione di parte civile nei confronti del GI. non tenute in considerazione dal primo giudice; b) illegittimità - nell'an - della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore di Banca d'Italia e Consob; insussistenza, in ogni caso, dei presupposti richiesti dall'art. 539 comma 2 c.p.p. per la condanna al pagamento di una provvisionale in favore delle stesse parti civili; c) illegittimità - nell'an - della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore delle parti civili private; insussistenza, in ogni caso, dei presupposti richiesti dall'art. 539 comma 2 c.p.p. per la condanna al pagamento di una provvisionale in favore delle stesse; d) sussistenza, in subordine, dei presupposti ex art. 600 comma 3 c.p.p., per disporre la sospensione del pagamento delle disposte provvisionali; e) necessità di revocare le statuizioni inerenti alla condanna al pagamento delle spese processuali in favore delle parti civili private o comunque, in subordine, eccessività della relativa liquidazione operata dal primo giudice. Quanto al punto b), concernente la condanna al risarcimento dei danni - patrimoniali e non - in favore di Banca d'Italia e Consob da liquidarsi dinanzi al giudice civile, con condanna a una provvisionale (concernente il solo danno patrimoniale) in favore di ognuna delle due suddette parti civili, ritiene questa Corte che vada disattesa l'eccezione difensiva di insussistenza nell'an di danni risarcibili mentre, per converso, merita accoglimento la doglianza relativa all'insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di una provvisionale ai sensi dell'art. 539 comma 2 c.p.p.., dovendosi viceversa fare luogo, nei confronti dei due organismi di vigilanza, a una sentenza di condanna generica con rimessione in toto delle partì dinanzi al giudice civile senza previsione di alcuna provvisionale. Per ciò che concerne il pregiudizio non patrimoniale, ad avviso di questa Corte, l'an di un danno risarcibile a tale titolo può ravvisarsi quanto meno con riguardo al danno arrecato all'immagine dì ognuno dei due organismi di vigilanza. A tal proposito sì ritiene esente da censure la motivazione della gravata sentenza laddove (cfr. in particolare pag. 824) si sofferma sulla "compromissione della credibilità dell'attività svolta dalle autorità di vigilanza (...). Indice ne è il fatto che molte parti civili private hanno chiesto la citazione delle autorità di vigilanza come responsabili civili adducendone la responsabilità per non aver svolto la loro funzione con la necessaria diligenza, consentendo agli imputati di eludere i controlli e impedendo ai risparmiatori di conoscere il reale dissesto dell'istituto bancario, a riprova della percezione che le condotte delittuose hanno indotto di autorità di vigilanza inefficienti nel disimpegno delle proprie funzioni di vigilanza e, quindi, sostanzialmente inutili". Quanto poi al danno patrimoniale va debitamente evidenziato come sia la Banca d'Italia sia la Consob lo abbiano, esse stesse, esclusivamente "parametrato al costo sostenuto dall'Istituto per l'attività di vigilanza svolta dai propri funzionari e dirigenti nell'ambito dell'attività istruttoria espletata in relazione alle vicende in cui si sono contestualizzate le condotte di ostacolo e con riferimento alla collaborazione con l'autorità giudiziaria e altre autorità" (cfr. pag. 824 sentenza gravata, cit.). In altri termini, dunque, la sola posta di danno patrimoniale risarcibile ad essere stata effettivamente pretesa dai due istituti di vigilanza, e comunque la sola ad essere stata loro riconosciuta in prime cure (con l'esclusione, per ciò che concerne Banca d'Italia, dell'attività da essa svolta in relazione all'avvio della procedura di l. c.a., attività non ritenuta dal tribunale berico - cfr. pag. 825 sentenza appellata - causalmente connessa con le condotte di ostacolo e comunque qualificata, nella gravata sentenza, come attività interamente istituzionale avente carattere ordinario), è quella corrispondente al c.d. "danno da sviamento" (cfr. pag. 824 sentenza gravata, cit.: "Il danno in termini di dispersione di risorse, svolgimento di attività straordinaria, sviamento da altre attività ha trovato riscontro, sotto il profilo dell'An, nell'istruttoria dibattimentale: sono stati sentiti gli ispettori che hanno condotto le verifiche per conto delle rispettive autorità di vigilanza; sono state prodotte le relazioni ispettive che danno conto dell'attività svolta; l'istruttoria ha evidenziato la complessità degli accertamenti che hanno portato all'emersione delle condotte di ostacolo e le attività conseguenti che si sono rese necessarie"). Su tale presupposto il tribunale berico ha appuntato la propria statuizione di condanna degli imputati (con l'ovvia eccezione dei due assolti in prime cure, ossia Zi. e Pe.) al pagamento di altrettante provvisionali immediatamente esecutive in favore di Banca d'Italia e di Consob, così motivando (cfr. pagg. 824-825 sentenza gravata): "Le parti vanno, dunque, rimesse avanti al giudice civile per l'esatta quantificazione del danno. In questa sede può essere liquidata una provvisionale che si ritiene di commisurare al costo sostenuto dall'autorità di vigilanza per il dispendio di risorse in attività inutile e per l'attività straordinaria svolta a seguito delle condotte di ostacolo. I conteggi fatti dagli uffici interni sui costi complessivi sostenuti per l'attività svolta sono puntuali e costituiscono adeguato parametro di riferimento. A Banca d'Italia va dunque liquidata una provvisionale pari ad Euro 601.017,39: si è tenuto conto dei costi sostenuti per l'attività strettamente conseguente alle condotte di ostacolo e riconducibili all'aggravio dell'attività derivante dalla commissione dei reati (...). A CONSOB va liquidata una provvisionale pari ad Euro 186.570,00 (...)". Rileva tuttavia questa Corte come non si possa pronunciare, in favore di un organismo di vigilanza costituito parte civile nel processo penale, una condanna al risarcimento del cosiddetto "danno funzionale", rappresentato dallo sviamento e turbamento dell'attività di accertamento ispettivo, se non nel caso in cui dall'attività illecita derivi un pregiudizio patrimoniale, per il soggetto in questione, che sia ulteriore e dimostrato nel suo preciso ammontare rispetto a quello costituito dal costo della normale attività istituzionale, Cfr. al riguardo Cass. Pen., Sez. 3, n. 52752 del 20/05/2014, Vi. e altro. In senso identico cfr. altresì, più recentemente, Cass. Pen. Sez. 5, n. 3555 del 07/09/2021 dep. 01/02/2022, Co., secondo cui, in tema di abusi di mercato, ove avvenga la costituzione di parte civile ad opera della Consob, il giudice non può pronunciare condanna al risarcimento del cosiddetto "danno funzionale", costituito dal costo dell'attività di vigilanza correlato all'istruttoria espletata per l'accertamento delle violazioni e l'irrogazione delle sanzioni, in quanto tale costo è posto, in via generale, a carico del bilancio statale per l'espletamento di attività che rientrano nelle funzioni istituzionali della Commissione, dovendosi fare salvi solamente i casi, nella motivazione del citato arresto definiti "eccezionali" o comunque "residuali", in cui dall'attività illecita dell'agente derivi un pregiudizio patrimoniale diretto, ulteriore e dimostrato nel suo preciso ammontare rispetto a quello costituito dal costo della normale attività istituzionale. Resta inteso (cfr. sempre, in motivazione, la da ultimo citata Cass. Pen. 3555/2022, Co.) che è specifico onere dell'istituto di vigilanza costituitosi parte civile dimostrare quale effettivo pregiudizio, diverso e ulteriore rispetto all'esercizio della funzione istruttoria propria dell'ente, la condotta dell'imputato abbia in concreto cagionato; ciò in quanto (cfr., in motivazione, Cass. 52752/2014, Vi. e altro, cit.), se da un lato non si può in astratto escludere che una particolare attività illecita determini, in casi eccezionali, un danno patrimoniale concreto e specifico - ulteriore rispetto a quello costituito dal costo della normale attività istituzionale -, nondimeno il riconoscimento di tale danno richiederà che l'ente "fornisca rigorosamente puntuali elementi di prova sulla sua concreta esistenza ed entità nel particolare caso in esame". Ebbene, la documentazione prodotta al riguardo dai due istituti di vigilanza (avente ad oggetto "i conteggi fatti dagli uffici interni sui costi complessivi sostenuti per l'attività svolta": cfr. pag. 824 sentenza gravata; il riferimento è, per Banca d'Italia, ai suoi docc. 72 e 73 prodotti all'udienza del 6.10.2020 e, per Consob, alla nota Prot. 0093005 19 del 20 02 2019 prodotta all'udienza del 6.6.2019) non può dirsi in grado di soddisfare i requisiti posti dall'art. 539 comma 2 c.p.p. per il riconoscimento di una provvisionale immediatamente esecutiva, ponendosi come non idonea - in sé - a consentire di discernere con sicurezza, neppure in parte qua, quale ulteriore diverso e concreto pregiudizio i predetti enti abbiano potuto subire rispetto all'esercizio dell'istituzionale funzione istruttoria/ispettiva che è propria degli enti medesimi. La doglianza di cui al suesteso punto b) è stata proposta dalla sola difesa di Gi.Em. ma gli effetti del suo accoglimento (con la conseguente revoca delle provvisionali disposte in favore di Banca d'Italia e Consob) non possono che ritenersi estesi a tutti gli imputati. Quanto al suesteso punto c) delle censure espresse nel capitolo XXIII dell'appello dell'imputato GI. (vertente sull'asserita illegittimità nell'an - della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non, patrimoniali in favore delle parti civili private, azionisti e obbligazionisti/ ovvero, in subordine, sull'insussistenza dei presupposti ex art. 539 comma 2 c.p.p. per la condanna al pagamento di una provvisionale in loro favore), le considerazioni difensive vanno viceversa disattese. Lo stesso appellante dà atto, in realtà, dell'esistenza di "elementi documentali specificamente allegati ai singoli atti di costituzione di parte civile" (cfr. pagg. 146-147 atto di appello), ed è proprio in base a tali elementi documentali che il primo giudice ha, questa volta correttamente, ritenuto integrato il requisito posto dall'art. 539 comma 2 c.p.p. ai fini del riconoscimento di una provvisionale, adottando un criterio-criterio - condivisibilmente da esso indicato come congruo - che quantifica, per ognuna delle parti civili richiedenti, l'entità di detta provvisionale "nella misura del 5% dell'importo nominale del valore delle obbligazioni od azioni acquistate, quale risultante dagli atti di costituzione di parte civile e relativi allegati e in ogni caso non super/ore ad Euro 20.000,00 per ciascuna parte, tenuto conto che gli importi che vengono in rilievo vanno da alcune migliaia di Euro sino a svariati milioni" (cfr. pag. 829 sentenza gravata). Né tale oggettivo dato documentale potrebbe mai essere posto nel nulla dall'obiezione difensiva - cfr. pagg. 146-147 atto di appello - secondo la quale il tribunale vicentino non ha provveduto a illustrare e valutare compiutamente ed espressamente in sentenza, per ciascuna singola parte civile privata, i contenuti dei suddetti allegati ai rispettivi atti di costituzione. Al riguardo va evidenziata, a fronte delle conseguenze - altrimenti esiziali in ispecie - del fenomeno del c.d. gigantismo processuale, la piena ostensibilità dei suddetti allegati documentali, ostensibilità che dunque consente di procedere, del tutto legittimamente, a una motivazione, sostanzialmente per relationem, del genere di quella adottata dal primo giudice, di cui questa Corte non può, sul punto, che condividere l'argomentare (cfr. pagg. 828-829 sentenza gravata: un dato di fatto che il rilevante numero di parti civili costituite nel presente procedimento non consente un esame specifico di ogni singola posizione. Non si può non evidenziare come l'accertamento del danno specifico concernente ogni singola posizione, a fronte di oltre 7000 parti civili costituite, avrebbe imposto una istruttoria specifica (peraltro non attivabile d'ufficio a fronte dell'onere sopra delineato a carico della parte) e comunque determinato una dilatazione dei tempi processuali incompatibile con le priorità assegnate nel processo penale e contraria agli interessi delle stesse parti civili, tenuto conto che il decorso del tempo costituisce specifica causa di estinzione del reato"). Quanto ai suestesi punti a), d) ed e) basti qui osservare, rispettivamente, che: - sub a) la riserva pur annunciata dalla difesa GI. non è poi stata sciolta; - sub d) le considerazioni svolte dalla difesa GI. ai sensi dell'art. 600 comma 3 c.p.p. sono oramai superate, nella presente sede, dalla necessità dì applicare il disposto dell'art. 605 comma 2 c.p.p.; - sub e) le valutazioni della difesa GI. (cfr. pag. 148 atto di appello), originate esclusivamente dalla considerazione secondo cui "pressoché tutti i patroni di parte civile sono stati assenti dal processo (al di fuori delle udienze relative alla costituzione di parte civile e alle udienze dedicate alle conclusioni)", collidono con il disposto dell'art. 12 del D.M. 55/2014 e successive modifiche, il quale, da un lato, necessariamente contempla una liquidazione per fasi e, dall'altro lato, attribuisce rilievo alla partecipazione in sé a ogni singola fase, inclusa quella decisionale, senza distinguere tra difese orali e scritte. Il tutto fermo restando che la sentenza di prime cure, alla sua pag. 830, ha in realtà dato espressamente atto che le difese delle parti civili private "non hanno svolto attività istruttoria e l'apporto nel corso delle udienze, salvo qualche eccezione, è stato limitato. La discussione, nella quasi totalità dei casi, si è limitata alla precisazione delle conclusioni", di ciò tenendo, quindi, già adeguatamente conto nella determinazione dei relativi importi. 14.1.2 L'appello nell'interesse di Ma.Pa. Il gravame proposto dalla difesa di Ma.Pa., ferme restando le considerazioni svolte nella soprastante parte generale (in particolare con riguardo al numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa), è parzialmente fondato nei termini di seguito indicati. In particolare l'appello MA. è fondato laddove - cfr. pag. 121 nonché, più diffusamente, pagg. 179-180 atto di appello - ci si duole della declaratoria di penale responsabilità dell'imputato anche per i fatti contestati dall'Accusa come commessi nell'anno 2015 (essendo pacifico, in base agli atti, che il predetto MA. usci da B., passando a rivestire la carica dì direttore generale della siciliana Ba.Nu., in data 18.12.2014). In aggiunta a ciò Ma.Pa. va altresì assolto dai capi I e L di rubrica, corrispondenti ad altrettante fattispecie di falso in prospetto. Per tali reati contestati come commessi nelle date del 10 giugno 2013 e del 9 maggio 2014 - risulta invero maturato il termine di prescrizione; tuttavia con riguardo alla specifica posizione del MA., direttore della Divisione Crediti di B., va rilevato come la suddetta Divisione Crediti non risulti essere stata coinvolta nel gruppo di lavoro - che pure era trasversale a varie Divisioni della banca - in concreto deputato al compito di predisporre i prospetti informativi. A tale ultimo proposito cfr. la già citata deposizione specificamente resa sul punto all'udienza del 17.1.2020 dal teste Ma.Ca., dipendente di B. dal 2007 al 2018 con mansioni di responsabile dell'unità in staff al responsabile della Divisione Finanza (deposizione in cui la Divisione Crediti non viene menzionata fra le pur numerose specificamente indicate dal teste come direttamente coinvolte nella predisposizione dei prospetti). Nelle restanti sue parti il gravame del MA. è infondato. Preliminarmente va dato atto che tutte le questioni dalla difesa trattate da pag. 1 a pag. 21 dell'atto di appello (eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio quanto a una parte delle imputazioni; eccezione di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10,11,2014; richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale), nonché tutte le questioni da essa trattate nella memoria di motivi aggiunti depositata in data 5.4.2022 (quest'ultima avente in verità ad oggetto unicamente richieste di rinnovazione istruttoria), sono già state approfonditamente vagliate e decise da questa Corte con l'ordinanza emessa in data 18.5.2022, alla quale senz'altro si rinvia. Al netto di tali questioni la rimanente parte del primo e assai articolato motivo di gravame (pagg. 21-181 atto di appello) consta di una serie di censure che contestano la sentenza impugnata sotto una pluralità di profili, ma che sono tutte accomunate dalla finalità di evidenziare le mancanze motivazionali asseritamente riscontrabili, nella trama argomentativa della decisione appellata, con specifico riferimento alla posizione dell'imputato MA.. Ad avviso dell'appellante, infatti, il primo giudice avrebbe erroneamente affermato il ruolo di concorrente del MA. in tutti i contestati reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto sulla base di elementi probatori inadeguati, carenti, ovvero smentiti da specifiche evidenze di segno contrario che, diversamente, deporrebbero per l'estraneità di costui rispetto ai fatti addebitatigli. Più specificamente ci si duole del fatto che la sentenza di prime cure, in relazione alla posizione dell'imputato MA., abbia: a) operato una costante sottrazione di elementi, pur presenti all'interno dell'istruttoria dibattimentale ma nemmeno considerati nella motivazione; b) attuato un'elusione delle questioni di fondo poste dalla difesa dell'imputato. Le suddette censure difensive possono riassumersi - in estrema sintesi - nei termini seguenti: - il tribunale si sarebbe ampiamente diffuso su aspetti concernenti la consapevolezza, in capo al MA., dell'esistenza in B. di operazioni correlate, e ciò ancorché l'imputato mai abbia sostenuto di esserne stato all'oscuro bensì abbia affermato di essere sempre stato genuinamente convinto della loro liceità per il fatto che fossero poste in essere nell'ambito di una banca cooperativa, il cui assoggettamento all'art. 2358 c.c. era del resto, all'epoca, ancora dibattuto in dottrina e in giurisprudenza (un parere legale richiesto dalla banca a un prestigioso studio, d'altra parte, aveva - a detta del MA. - escluso tale assoggettamento); inoltre non sarebbe dato comprendere come numerosi soggetti, buona parte dei quali sentiti come testimoni in dibattimento, benché pacificamente resisi autori materiali - in seno a B. - di operazioni di finanziamento correlato, non siano mai stati nemmeno indagati; del tutto inattendibili dovrebbero infine ritenersi i testi Ma.Bo. e An.Pa. - ai vertici rispettivamente l'uno della struttura dell'interna/audit e l'altra dell'ufficio legale della banca - essendo emerso dalla svolta istruttoria che gli stessi rimasero inerti ancorché ben edotti circa l'effettuazione in concreto delle operazioni correlate (cfr. pagg. 21-44 atto di appello); - la sentenza di primo grado avrebbe ricostruito in modo del tutto errato - alle sue pagg. 678-679 - le competenze e le funzioni della Divisione Crediti nel periodo 2012-2015, obliterando la delibera del CdA 7.2.2012 che le aveva ridisegnate ponendo gli Uffici Crediti, articolati su base territoriale, alle dipendenze delle Direzioni Regionali, a loro volta gerarchicamente inquadrate nella Divisione Mercati diretta dal coimputato Em.Gi.; in altri termini la Divisione Crediti diretta dal MA. non aveva ricoperto, in quell'arco temporale, alcun ruolo nell'erogazione e nel perfezionamento dei finanziamenti, attività demandata alle strutture della rete coordinate dalla Divisione Mercati, e ciò anche con riguardo alla c.d. "campagna pre-deliberato"; d'altro canto nessuno specifico rilievo era stato sollevato dalla vigilanza nei confronti della Divisione Crediti all'esito delle ispezioni del 2012 e del 2015 (cfr., pagg. 44-61 nonché 78-84 dell'atto di appello); - il primo giudice avrebbe attribuito un ingiustificato rilievo ai pretesi elementi sintomatici del carattere correlato dell'operazione di finanziamento, rappresentati in particolare: a) dalla c.d. "causale generica sentinella"; b) dalla c.d. "sfasatura temporale": la prima risultava essere stata applicata in B. da ben prima dell'assunzione del Ma. e comunque riguardava meno del 60% del complesso delle operazioni finanziate aventi carattere correlato, così come individuate dagli stessi consulenti del P.M.; la seconda, a detta di numerosi fra i testi escussi e non soltanto del MA., veniva sì regolarmente sollecitata da quest'ultimo, ma a nessun altro fine se non quello di evitare sconfinamenti di c/c (cfr. pagg. 61-78 atto di appello); - il convincimento del MA. circa la piena liceità delle operazioni di finanziamento correlato poste in essere sarebbe stato ulteriormente rafforzato - oltre che dalla consapevolezza dell'essere stato richiesto dalla banca, come detto, un parere legale a un prestigioso studio professionale - dall'assenza di comunicazioni di segno diverso da parte dell'internal audit e dell'ufficio legale, rispettivamente diretti dai già citati Ma.Bo. e An.Pa., oltre che dal contegno tenuto dal CdA - a sua volta composto non già da persone digiune della materia bensì da imprenditori di primo piano, da docenti universitari e finanche da un ex Ragioniere Generale dello Stato - che, sottoscrivendo ogni delibera, mai aveva espresso rilievi di sorta (cfr. pagg. 84-98 atto di appello). - il primo giudice, nell'occuparsi dell'ispezione condotta da Banca d'Italia nel 2012, avrebbe fatto malgoverno delle prove preferendo alla versione dei fatti resa - in senso congruente con la tesi difensiva del MA. - dal teste Ci.Am., dipendente B. direttamente subordinato allo stesso MA. nell'ambito della Divisione Crediti, secondo cui il MA. e i suoi diretti subordinati avrebbero messo a disposizione degli ispettori tutti gli incartamenti (in formato tanto cartaceo quanto digitale) relativi a una complessiva quindicina circa di posizioni di soci che avevano fruito di finanziamenti correlati, l'opposta ricostruzione sostenuta in maniera compatta da tutti i testi appartenenti al team ispettivo della Banca d'Italia, evidentemente interessati - sostiene l'appellante - a fugare dalle loro persone ogni pur giustificato sospetto di negligenza e/o lassismo nella conduzione dell'ispezione stessa. In particolare, prosegue l'appellante, non vi sarebbe ragione alcuna di prediligere - tra le deposizioni, radicalmente divergenti fra loro, rispettivamente rese dal teste Ci.Am. e dal teste ispettore Ge.Sa. (testi entrambi valutati come "debolmente attendibili" dal tribunale, che ha però ritenuto il Sa. ampiamente riscontrato tanto dalle deposizioni dei suoi colleghi quanto da elementi documentali acquisiti agli atti) - proprio quella dell'ispettore Sa. (cfr. pagg. 98-126 atto di appello); - il tribunale, nel valutare erroneamente come non credibile e contraddittorio l'esame dibattimentale del MA., ne avrebbe equivocato e travisato in più punti il contenuto, valorizzando per converso in maniera particolare le deposizioni sfavorevoli rese da testi, come ad esempio ii teste Bosso, essi sì di assai dubbia credibilità in quanto autori di condotte che - secondo l'appellante - ne avrebbero semmai legittimato l'iscrizione nel registro degli indagati (cfr. pagg. 126-149 atto di appello); - quanto alle fattispecie di ostacolo alla vigilanza contestate al MA., quelle sub capo M1, concernenti l'effettuazione del Comprehensive Assessment e dell'AQR (4sset Quality Review), non terrebbero in adeguata considerazione il fatto che non si fosse trattato di una verifica ispettiva bensì di un esercizio di natura prudenziale basato sull'utilizzo di metodi di tipo statistico non contemplati dai criteri contabili; né, per altro verso, al MA. poteva contestarsi di aver taciuto l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto e degli storni, avendone egli appreso l'esistenza solo all'esito dell'ispezione condotta da Bc. nel 2015 (cfr. pagg. 149-154 atto dì appello); - alla stregua di tutte le considerazioni che precedono, insomma, la motivazione della gravata sentenza sarebbe viziata, circa il ravvisato apporto concorsuale dei MA. ex art. 110 c.p. alle condotte di cui ai capi d'imputazione, dal ricorso a una sorta di indebito automatismo presuntivo in base al quale dovrebbe ritenersi che tutti gli imputati indistintamente e quindi anche il MA. - a prescindere dal ruolo rivestito e dalle funzioni esercitate da ciascuno in concreto - fossero consapevoli del fatto che le c.d. operazioni "baciate" non venivano in concreto scomputate dal patrimonio di vigilanza nonché del loro carattere finalizzato, oltre che a svuotare ciclicamente il fondo acquisto azioni proprie, anche a fornire una distorta immagine di solidità del mercato azionario; viene ribadita al riguardo la differenza, rivendicata dall'appellante, tra il flusso informativo a disposizione della Divisione Crediti, diretta dal MA., e quello ben più intenso a disposizione della Divisione Mercati (cfr. pagg. 154-172 atto di appello); - in ogni caso difetterebbe il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso specificamente ascrivibile del maggiore capitale finanziato complessivo, sicché risulterebbe impossibile valutare la reale offensività di ciascuna condotta e, segnatamente, della condotta del MA., ferma restando la non ascrivibilità al predetto di qualsivoglia condotta contestata come posta in essere nell'anno 2015 (cfr. pagg. 173-181 atto di appello). Il sopra illustrato complesso di argomentazioni difensive non ha pregio (tranne quanto già detto supra circa la non ascrivibilità al MA. delle condotte contestategli come poste in essere nell'anno 2015 nonché delle condotte oggetto dei capi I e L). Vero è che - come chiarito in prime cure, e ulteriormente nel presente grado di giudizio, dalla svolta istruttoria orale dibattimentale (già in primo grado vi aveva comunque provveduto analiticamente il teste Ci.Gi., il quale, titolare della carica di capo area Vicenza Città fino alla primavera 2012, successivamente e fino al 31 dicembre 2014 ricoprì la carica di Direttore regionale del Veneto Occidentale, che raggruppava "le tre aree di Vicenza, quindi tutta la città di Vicenza e la provincia, e l'area di Padova, che comprendeva le filiali nella città e nella provincia di Padova": cfr. pagg. 33 e ss. verbale stenotipico udienza 13.6.2019) - nel triennio 2012-2015 l'attività di erogazione dei finanziamenti si articolava su base territoriale per singole aree (coordinate, per gruppi formati ciascuno da più aree, dai direttori regionali, figure istituite nel 2012) le quali andavano a formare una rete che in tale periodo faceva capo non già alla Divisione Crediti, il cui responsabile era il MA., bensì alla Divisione Mercati, il cui responsabile era il coimputato Em.Gi.. E' pertanto corretto affermare su tali basi, così come fa il difensore appellante, che la Divisione Crediti diretta dal MA. non ebbe a ricoprire in quell'arco temporale (primavera 2012 - dicembre 2014) alcun ruolo nell'erogazione dei finanziamenti, attività demandate invece alle strutture della rete coordinate dalla Divisione Mercati. Nondimeno il MA., come da lui stesso riconosciuto in sede di esame dibattimentale, pur non concorrendo a nessun titolo nella materiale attività di erogazione di tali finanziamenti correlati (a parte l'impulso determinante da lui impresso nell'isolato caso Ci.-(...), v. subito infra), giungeva comunque regolarmente a conoscenza diretta della loro esistenza in quanto le pratiche di finanziamento venivano sottoposte alla sua Divisione Crediti per la verifica - di competenza di tale Divisione - circa l'adeguatezza delle relative proposte. Il MA. aveva indi l'incarico di presentare personalmente, relazionando al riguardo, le pratiche di finanziamento di maggiore ammontare (ripartite, a seconda del loro valore, tra il Comitato Centrale Fidi, il Comitato Esecutivo e il CdA) agli organi collegiali. Atteso quanto sopra, dunque, coerentemente il MA. nel corso del suo esame dibattimentale, benché non fosse all'epoca dei fatti (né sia mai stato) a capo della Divisione Mercati bensì della Divisione Crediti, ha chiaramente affermato di essere stato pienamente a conoscenza dell'esistenza del vasto fenomeno delle c.d. operazioni "baciate" stipulate nell'ambito di B., a una delle quali egli invero ebbe finanche - eccezionalmente - a prendere parte diretta in prima persona, proponendo insistentemente all'interlocutore Ci.Ez. di sottoscrivere azioni per 5 milioni di Euro in quanto buon conoscente del predetto imprenditore, vertice del gruppo (...) (si rinvia per i dettagli di tale specifica operazione di finanziamento correlato alle pagg. 687-688 della sentenza appellata, ove è altresì ampiamente riportato il contenuto delle s.i.t., rese al riguardo dal Ci. nel relativo verbale dd. 24.10.2016, acquisito al fascicolo del dibattimento ai sensi dell'art. 493 comma 3 c.p.p.). Sulla piena e diretta conoscenza in capo a sé, riconosciuta dal MA., del fenomeno - divenuto a suo stesso dire sempre più massiccio col passare degli anni - del ricorso in B. a operazioni correlate cfr. le pagg. 15-22 della prima parte del suo esame dibattimentale contenuta nel verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020.. Si noti, per inciso, la corrispondenza tra quanto illustrato dall'imputato MA. in sede di esame dibattimentale circa la tipologia e collocazione geografica dei soggetti finanziati (e, negli anni a venire, rifinanziati) nell'ambito delle operazioni correlate ("I primi impianti vengono fatti a agosto, fine agosto, settembre, ottobre 2011. Le successive pratiche, tutte in aumento su questi nominativi vengono fatte negli anni 2012 e poi principalmente a fine 2013-2014. Stiamo parlando sempre degli stessi nominativi, perché quello che girava nei Consiglio di Amministrazione di nuovi..., adesso dico magari una..., impianto, impianto creditizio, cioè voglio dire nuovo impianto creditizio, nuovo affidamento, sono stati fatti tutti all'inizio, nel 2011. Successivamente erano tutti aumenti rispetto a quanto era già in essere. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - O rinnovi, anche? IMPUTATO MA. - Come? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - O anche rinnovi e basta? IMPUTATO MA. - Aumenti, rinnovi o revisioni, perché ogni anno c'erano le revisioni") e quanto lamentato al riguardo, nel corso del Comitato di Direzione del 10.11.2014, dal D.G. di B., Sa.So. (proprio perché tale staticità, basata sui rinnovi e sulle revisioni di vecchi finanziamenti correlati già erogati anni prima sempre agli stessi soggetti, per lo più radicati sul territorio veneto, rendeva sempre più rischioso mantenerli in essere; ed invero appena un paio di settimane prima rispetto a quel Comitato di Direzione, precisamente in data 27 ottobre 2014, era stato pubblicato l'articolo de "Il." a firma Cl.Ga., in atti sub doc, 207 del P.M., basato in parte non minimale sulle rivelazioni dell'imprenditore scledense Pa.Tr.). Nell'occasione del Comitato di Direzione 10.11.2014 il So. aveva infatti caldeggiato, di fronte al ristretto consesso dì vertici dirigenziali della B. formato per la quasi totalità dai suoi vice direttori generali, incluso il MA., un rinnovo del "parco" dei soggetti da rendere destinatari di operazioni di finanziamento correlato, possibilmente uscendo dalla regione Veneto per meglio assicurare la discrezione assoluta sulle anzidette operazioni (cfr. pagg. 35-36 della relativa trascrizione in atti sub doc. 110 del P.M.): "Sa. - E dopo dobbiamo sempre ricorrere al solito Ja. (trattasi del già citato teste Ci.Gi., all'epoca Direttore regionale del Veneto Occidentale che - come spiegato in udienza dal teste stesso - raggruppava "le tre aree ai Vicenza, quindi tutta la città di Vicenza e la provincia, e l'area di Padova, che comprendeva fe filiali nella città e nella provincia di Padova"), sempre ricorrere alla solita Vicenza, no? E, invece, bisogna che 1sta roba qui venga fatta Milano-Roma, noi dobbiamo trovare Milano-Roma, perché poi se ne parla meno, Se qui facciamo sempre e solo in ultima, facciamo intervenire i soliti, figurati se questi non parlano! Cioè, non ... non ... bisogna pianificarla meglio questa attività qua, dobbiamo ... uhm ... dobbiamo essere più confidenti e avere addirittura ... Avevamo anche detto che riuscivamo a a ... a recuperare qualcosa in più per smaltire le le ... le richieste pendenti. Fino ... Quindi, fino ad oggi, quanto abbiamo?". Ciò posto, osserva questa Corte come non sia in realtà di per sé radicalmente implausibile l'assunto del MA. secondo cui egli si sarebbe convinto - sul ritenuto presupposto della non applicabilità dell'art. 2358 c.c. alle banche cooperative - della liceità delle anzidette operazioni di finanziamento correlato, e ciò anche grazie alle rassicurazioni ricevute in tal senso tanto dai suoi colleghi con maggiore anzianità di servizio, come Se. e GI., quanto da un autorevole parere legale richiesto e ottenuto, a suo dire, dalla banca (parere legale al quale il suo difensore ha fatto ripetutamente riferimento, tanto nell'atto di appello - cfr, sua pag. 38 - quanto - cfr, pagg. 65-66 verbale stenotipico 30.9.2022 - in sede di discussione finale). Quanto meno non è sicuramente implausibile ritenere che, nel dubbio pur persistente al riguardo, in B. si fosse scelto, per evidente convenienza, di abbracciare la tesi dell'inapplicabilità della citata norma alle società cooperative. Effettivamente a quell'epoca si trattava di questione dibattuta in dottrina e in giurisprudenza, ed anzi va detto che ancora nel 2015 la stessa Corte di cassazione ebbe ad esprimersi - richiamando suoi precedenti arresti - proprio nel senso della non applicabilità dell'art. 2358 ex. alle banche cooperative: cfr. Cass. Civ. Sez. 1, n. 9404 del 09/04/2015, Curatela Fallimento La. Sas contro Cr.Si. SpA (società, quest'ultima, che aveva incorporato la Banca (...)), non massimata, la quale - in motivazione - così argomenta: "L'art. 2358 c.c. che nel testo invocato dalla ricorrente vietava alle società per azioni di accettare in garanzia azioni proprie, non era in realtà applicabile atte società cooperative, per le quali già all'epoca l'art. 2522 c.c. (poi riprodotto nell'attuale art, 2529 c.c.) prevedeva che l'atto costitutivo potesse autorizzare gli amministratori ad acquistare o a rimborsare quote o azioni della società, Né alle banche popolari era applicabile l'art. 34 dei D.Lgs. n. 385 del 1993, che analogo divieto prevedeva (prima della sua abrogazione a opera dell'art. 5 D.Lgs. n. 542 del 1999), per le banche di credito cooperativo, perché il divieto non era invece imposto dall'art. 30 dello stesso D.Lgs. n. 385 del 1993, specificamente destinato alla disciplina appunto delle banche popolari. Nella giurisprudenza di questa corte, dei resto, si è già riconosciuto che fa natura cooperativa delle banche popolari ne giustificava una disciplina peculiare, diversificata rispetto a quella delle società per azioni; e in particolare che "è valida la clausola dello statuto di una banca popolare, con cui si prevede che le azioni della società sono vincolate a garanzia di qualsiasi obbligazione contratta dal socio con la società stessa, con conseguente facoltà, per gli amministratori della banca, in ipotesi di inadempimento del debitore, di procedere al rimborso ed all'annullamento di dette azioni, secondo le modalità previste in caso di recesso del socio, utilizzandone l'importo per estinguere il debito" (Cass. sez. I, 29 ottobre 1996, n. 9445, in Giust. Civ. 1997, p. 681)". Nondimeno, al di là del fatto che lo stesso istituto di credito, in occasione dei miniaucap 2013 e 2014, ebbe a ritenere applicabile tale norma, in ogni caso le operazioni di finanziamento correlato in oggetto, quand'anche si fossero potute considerare effettivamente lecite (stante la conformazione societaria di B.) in ossequio all'orientamento poco sopra illustrato, non per questo si sarebbero potute ritenere esenti dall'obbligo di scomputo dal patrimonio di vigilanza, trattandosi di due piani totalmente distinti fra loro e non sovrapponibili. Di ciò in verità il MA. ha riconosciuto di essere sempre stato pienamente consapevole allorquando ha dichiarato quanto segue: - interrogatorio reso dinanzi ai Pubblici Ministeri il 28.4.2017 alla presenza del suo difensore fiduciario (il cui verbale, al pari di quello del successivo interrogatorio svoltosi il 2.5.2017 con le medesime modalità, è stato acquisito al fascicolo del dibattimento in quanto prodotto dall'Accusa all'udienza del 18.6.2020 ai sensi dell'art. 503 c.p.p. giacché utilizzato per le contestazioni all'imputato in sede di esame nelle due udienze precedenti): "Confermo che ero consapevole che anche i finanziamenti correlati all'acquisto/sottoscrizione di azioni B. impattavano sul TIER 1 e che, pertanto, la loro esistenza doveva essere oggetto di segnalazione alla Banca d'Italia" (cfr. pag. 5 verbale di interrogatorio cit.); - esame dibattimentale (cfr. pag. 30 del verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020): "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Lei conosceva quello che era l'impatto, invece, di questo tipo di operazioni sul Tier 1? IMPUTATO MA. - No. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - No. Al tempo disse: "Confermo che ero consapevole che anche i finanziamenti correlati all'acquisto o sottoscrizione di azioni impattavano sul Tier 1" IMPUTATO MA. - Sì, dell'impatto sì. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Questo le ho chiesto, "e che pertanto la loro esistenza doveva essere oggetto di segnalazione alla Banca d'Italia IMPUTATO MA. - No, lei mi ha chiesto se sapevo il peso sul Tier 1. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Forse mi sono spiegato male io. IMPUTATO MA. - Lei mi ha chiesto se sapevo il peso... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Cioè l'impatto. IMPUTATO MA. - Cioè l'impatto, pensavo... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ho usato il termine dell'interrogatorio. PRESIDENTE - L'impatto nel senso di deducibilità del capitale finanziato dal Tier 1, non la quantificazione. IMPUTATO MA. - Sì, no, no, avevo capito l'impatto in percentuale. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - No, ma anche adesso, con riferimento allo svuotamento del fondo, lei ha utilizzato il termine, mi pare, "impattare", quindi pensavo che quello fosse... E lei disse al tempo: "All'epoca ero convinto che questo avvenisse effettivamente nelle segnalazioni periodiche", per correttezza le leggo anche questa cosa. IMPUTATO MA. - Sì."; - controesame dibattimentale condotto dal difensore di Banca d'Italia, avv. Ce. (cfr, pag. 67 verbale stenotipia) d'udienza 16 giugno 2020): "PARTE civile, AVV. Ce. - Va bene, chiudiamo qui, Lei dice, e devo dire, insomma, onore al merito, perché dice che conosceva l'obbligo di dedurre, la necessità di dedurre dal patrimonio le azioni finanziate. IMPUTATO MA. - Sì, io confermo. PARTE CIVILE, Avv. Ce. - Che sembra che non lo sapesse nessuno in questa banca". Il punto nodale da affrontare, pertanto, rimane unicamente quello della consapevolezza o meno, in capo al MA., del fatto che in realtà lo scomputo di tale capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza di B. non aveva luogo. Egli in sede di esame dibattimentale ha recisamente negato tale consapevolezza, affermando di essere sempre stato convinto che lo scomputo venisse regolarmente posto in essere e di non avere peraltro mai affrontato l'argomento con i colleghi della Divisione Bilancio: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi conferma questo? IMPUTATO MA. - Sì, io confermo, ero convinto che venisse scomputato, l'ho detto allora e lo dico adesso. Io però di questo non ne ho mai parlato con il Bilancio, eh, a chiedere se lo facevano. In quanto c'era una riserva indisponibile, da mie letture sull'argomento, voglio dire, del 2358 e quant'altro, c'era una riserva indisponibile statutaria di bilancio di 3,7 miliardi di Euro, ampiamente disponibile per te operazioni che vedevamo noi in sede centrale. Io ho visto girare, mi son fatto i miei calcoli ultimamente, un circa 400 milioni di operazioni, media, non superavano mai questo importo di delibere negli Organi collegiali (cfr, pag. 30 verbale stenotipico d'udienza 11 giugno 2020); "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - e l'evidenza nell'ambito dei dati di bilancio di queste operazioni lei ha avuto modo di apprenderla quale era? IMPUTATO MA. - No, guardi, io col bilancio non... PRESIDENTE - Chiedo scusa, dottor Ripeschi, quando dice "queste operazioni" fa riferimento agli storni o alle operazioni di capitale... pubblico MINISTERO, DOTT. Pi. - Scusi, alle operazioni di finanziamento correlato. PRESIDENTE - Non avevo capito io la domanda. IMPUTATO MA. - Sì, ma non ho capito la domanda io, Presidente. PRESIDENTE - Presumo, interpreto il Pubblico Ministero: la evidenza dai dati di bilancio nel senso della deducibilità, deduzione dal patrimonio di vigilanza, è quello che intende dire? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Certo, sì, si PRESIDENTE - Questo. IMPUTATO MA. - No, ho detto anche prima, io non avevo evidenze. L'unica cosa che vedevo nel bilancio, nelle tabelle integrative, le riserve statutarie e le riserve straordin... sovrapprezzo che coprivano quei finanziamenti, secondo me; e poi c'era (a tabella degli annullamenti delle compensazioni delle azioni. PRESIDENTE - Ex articolo 20? Operazioni ex articolo 20? IMPUTATO MA. - Ex articolo 16 e 20, che corrispondevano esattamente a quelle che portavamo in Consiglio di Amministrazione per annullare azioni e utilizzi, o per posizioni NPL oppure anche per operazioni ordinarie, perché ne sono state annullate anche di operazioni ordinarie. Quella tabella c'era, faceva un riassunto degli annullamenti (cfr. pagg. 46-47 verbale stenotipia) d'udienza 11 giugno 2020); la recisa negazione della circostanza è stata poi ribadita dal MA. durante il controesame condotto sempre in primo grado dal difensore di Banca d'Italia, avv. Ce. (cfr. pagg. 67-69 verbale stenotipico d'udienza 16 giugno 2020); detta negazione è infine stata ancora reiterata, nel presente grado di giudizio, in sede di spontanee dichiarazioni rese all'udienza del 24.6.2022 (le quali, articolate dal MA. in pochi brevi punti, non hanno aggiunto alcuna novità sostanziale - neppure sugli altri aspetti del thema decidendum - rispetto al contenuto dell'esame reso dall'imputato in primo grado). Viceversa - come contestatogli dal P.M. in udienza (cfr, pag. 47 verbale stenotipico 11.6.2020 nonché, più diffusamente, pag. 77 verbale stenotipico 16.6.2020) - il MA. aveva reso, al riguardo, dichiarazioni di ben altro tenore nell'interrogatorio del 2.5.2017 dinanzi ai Pubblici Ministeri, effettuato alla presenza del proprio difensore fiduciario (cfr. pag. 2 del relativo verbale): "Confermo che nei bilanci di competenza non vi era evidenza alcuna relativa alle operazioni baciate. Di questo non ho parlato con altri colleghi, nonostante che per i Mini Aucap 2013 e 2014 nei relativi bilanci d'esercizio emergessero i finanziamenti concessi ai clienti per la sottoscrizione di azioni B.. Preciso che non rientrava nelle mie competenze di responsabile della Divisione Crediti la redazione del bilancio d'esercizio, alla cui predisposizione non contribuivo in alcun modo. Avevo modo di prendere cognizione dei bilanci durante le annuali assemblee dei soci B., cui partecipavo in qualità di socio, Inoltre, sempre in tale veste, prendevo visione della Relazione finanziaria semestrale pubblicata dalla Banca stessa". In sede di esame dibattimentale il MA., a fronte della puntuale contestazione dell'Accusa, ha sostenuto, in evidente e totale contrasto con quanto dichiarato tre anni prima nell'interrogatorio 2.5.2017, di avere sì esaminato i bilanci, rendendosi in tale occasione conto del mancato i scomputo, ma di averlo fatto soltanto ex post, dopo la sua uscita da B.. Si veda al riguardo il seguente passo dell'esame dibattimentale (pag, 77 verbale stenotipico 16.6.2020): "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - In ordine al confronto con, diciamo così, il Bilancio, quindi la Divisione Bilancio, io non ho capito, lei aveva al tempo verificato se queste operazioni che lei riteneva caratterizzate da questa correlazione erano evidenziate, nel senso se se ne era tenuto conto in bilancio, sì o no? Al tempo, non dopo. IMPUTATO MA. - No, no, non ho verificato. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Ma allora quando nel verbale del 2 maggio 17 dice; "Confermo che nei bilanci di competenza non vi era evidenza alcuna relativa alle operazioni baciate. Di questo non ho parlato con altri colleghi, nonostante che per i mini aucap 13 e 14 nei relativi bilanci di esercizio emergessero i finanziamenti concessi ai clienti per la sottoscrizione di azioni Bp.". Cioè, pare di capire che è una cosa che fece già al tempo questa di dare un'occhiata ai fatto che nel bilancio... Questo è il suo verbale. IMPUTATO MA. " Sì, sì, ma io lì parlo dei bilanci, che me li sono guardati tutti dopo. Durante il periodo runica cosa che io ho colto era quella famosa delibera dei 100 milioni che hanno spostato come riserva indisponibile. Sul resto, per me erano all'interno della riserva sovrapprezzo azioni, Poi ho verificato dopo, quando sono uscito dalla banca. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Guardi, vado avanti perché io complessivamente da quello che era scritto avevo capito un'altra cosa: "Preciso che non rientrava nelle mie competenze di responsabile della Divisione Crediti la redazione del bilancio di esercizio, alla cui predisposizione non contribuivo in alcun modo. Avevo modo di prendere cognizione dei bilanci durante le annuali Assemblee dei soci B., cui partecipavo in qualità di socio. Inoltre, sempre in tale veste prendevo visione della relazione finanziaria semestrale pubblicata dalla banca stessa" Cioè quello che le ho letto adesso, con quello che le ho letto prima, mi avevano fatto capire invece che questa cosa l'avesse verificata. Lei dice che non è così? IMPUTATO MA. - No, io non l'ho verificata. Ero convintissimo che in quella riserva ci fosse lo spazio, come le ho detto e dico da due giorni. Mi ha colpito il mini aucap, PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Avevo capito bene che c'era una differenza tra quello che ha detto e quello che io avevo inteso di qua e le ho letto, com'è mio diritto, la parte. Tutto qua. Ho finito, grazie". Ebbene, ritiene questa Corte che le dichiarazioni contra se - che a questo punto assumono rilievo dirimente in ordine all'elemento soggettivo del reato - contenute al riguardo nell'interrogatorio reso dal MA. ai Pubblici Ministeri il 2.5.2017 (alla presenza altresì del suo difensore fiduciario) abbiano valore di vera e propria prova nei suoi confronti, non limitandosi esse a incidere sulla mera valutazione di credibilità del suo esame dibattimentale, poiché trattasi di dichiarazioni rese dal MA. nell'immediatezza dell'inizio delle indagini preliminari avviate nei suoi confronti (e dunque decisamente più attendibili stante la stretta contingenza temporale: l'avviso di garanzia per i fatti da lui commessi in tesi accusatoria fino all'anno 2014 era stato notificato al MA. in data 24.4.2017) nonché in presenza di tutti i presupposti di cui ai commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p.. Non vi è infatti ragione di discostarsi dal costante e consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui le precedenti dichiarazioni difformi rese dall'imputato nella fase predibattimentale, lette per le contestazioni nel corso del suo esame e conseguentemente acquisite al fascicolo per il dibattimento, possono essere utilizzate come prova contro lo stesso se sono state assunte con le modalità indicate all'art. 503, commi quinto e sesto, c.p.p.; se rivolte invece contro i coimputati possono essere utilizzate solo per stabilire la credibilità del dichiarante medesimo. In questo senso, fra le altre, vanno richiamate Cass. Pen. Sez. 3, n. 50435 del 12/05/2015, imp. S., nonché Cass. Pen. Sez. 2, n. 19618 del 12/02/2014, imp. D.G.. Tale ultimo arresto - nel ritenere utilizzabili come prova le dichiarazioni confessorie rese dall'imputato in sede di interrogatorio innanzi al G.I.P. e impiegate per contestare la ritrattazione dello stesso compiuta nel corso dell'esame dibattimentale - ha precisato in motivazione, con convincente e condivisibile ragionamento richiamante anche vari precedenti conformi, che i primi tre commi dell'art. 503 c.p.p., dettano regole di carattere generale e disciplinano, soprattutto, l'esame delle parti private diverse dall'imputato, come è confermato dalla specifica regolamentazione - per l'imputato - contenuta nel predetto art. 503 c.p.p., commi 5 e 6; ed è proprio per questo motivo che il comma 4 richiama la regola contenuta nell'art. 500 c.p.p., comma 2, secondo la quale le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste (e quindi non si parla di imputato). Viceversa i commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p. dettano una regola completamente diversa per le dichiarazioni rese dall'imputato: "le dichiarazioni alle quali il difensore aveva diritto di assistere assunte dar Pubblico Ministero o dalla Polizia Giudiziaria su delega del Pubblico Ministero sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal comma 3. La disposizione prevista dal comma 5 si applica anche per le dichiarazioni rese a norma dell'art. 294, art. 299, comma 3 ter; artt. 391 e 422". E' chiaro, quindi, che il legislatore "ha trattato in modo diverso le dichiarazioni delle parti private (simili ai testi, come, ad esempio, la P.C) regolamentate nell'art. 503 c.p.p. da quelle rese dall'imputato regolamentate sempre nello stesso art. 503. Per le prime si applicano tutte le regole del precedente art. 500 c.p.p. così come confermato anche dal richiamo del predetto articolo effettuato nell'art. 503, comma 4, per le seconde una regola del tutto diversa che si ricava chiaramente dall'art. 503 c.p.p., commi 5 e 6. In proposito è costante l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo il quale le dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento ai sensi dell'art. 503, commi 5 e 6, assumono piena efficacia probatoria e sono perciò utilizzabili ai fini della decisione ai sensi dell'art. 526 c.p.p. (si vedano Sez. 6, Sentenza n. 1167 dei 21/10/1998 Ud. - dep. 28/01/1999 - Rv. 213329; Sez. 1, Sentenza n. 42449 del 21/10/2009 Ud. - dep. 05/11/2009 - Rv. 245520), Conferma quanto sopra anche il fatto che la L. 1 marzo 2001, attua ti va dei principi del "giusto processo", mentre ha radicalmente mutato il regime di utilizzabilità delle dichiarazioni lette per le contestazioni al testimone, ripristinando l'originale regola di esclusione probatoria (salvo per i casi di cui al comma 4, eccezione, d'altronde, prevista nello stesso art. III Cost.), ha lasciato inalterata la disciplina prevista dall'art. 503 c.p.p. commi 5 e 6" (così, in motivazione, Cass. Pen. Sez. 2, n. 19618 del 12/02/2014, imp. D.G., cit.). Ovviamente una lettura di detta disciplina compatibile con il principio del contraddittorio e ragioni di coerenza sistematica inducono a ritenere che gli effetti della contestazione siano distinti a seconda che essa riguardi il dichiarante (come in ispecie) ovvero altri coimputati: il "precedente difforme", nel primo caso, può essere utilizzato contro il dichiarante se le dichiarazioni contestate sono state assunte - come in ispecie sono state assunte - con le modalità indicate nei commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p.; è solo nel secondo caso/ che, in applicazione dell'art. 500 c.p.p., comma 2 (richiamato dall'art. 503 c.p.p., comma 4), la dichiarazione dell'imputato esaminato può essere valutata unicamente per stabilire la credibilità dello stesso, salvo che ricorrano i presupposti dell'art. 500 c.p.p., comma 4. Ed invero, nel primo caso - precedente difforme utilizzato contro il dichiarante dopo le contestazioni di cui sopra -, che ricorre appunto in ispecie, siamo in presenza di dichiarazioni rese dall'indagato contra se, con l'assistenza del difensore e nel contraddittorio con il P.M.; dichiarazioni, poi, ritrattate in dibattimento e, quindi, sottoposte alle contestazioni del P.M. in base al precedente difforme. E' chiaro, dunque, che, in tal caso, non si viola alcuno dei principi di cui all'art. III Cost., Sul punto - come ricordato sempre dalla citata Cass. Pen. Sez. 2, n. 19618 del 12/02/2014, imp. D.G. - si è in tal senso pronunciata anche la Corte Costituzionale (C. Cost. 1 luglio 2009, n. 197). D'altra parte - fermo restando il carattere probatorio già di per sé dirimente circa l'elemento soggettivo, in ordine alla specifica posizione dell'imputato MA., delle dichiarazioni da questi rese il 2.5.2017 nel corso dell'interrogatorio reso dinanzi ai Pubblici Ministeri alla presenza del suo difensore fiduciario - questa Corte osserva che, più in generale, nessun senso avrebbero logicamente avuto, nel caso di effettivo convincimento dei vertici di B. (incluso il MA.) circa l'effettuato scomputo delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza, tanto la "consegna del silenzio" vigente all'interno della banca (un esempio fra i molti è lo scambio di battute -"neanche il tuo cane io deve sapere" - tra Sa.So. e Um.Se. nel corso del comitato di direzione 10.11,2014: cfr. pagg. 30-31 del doc, 110 del P.M.), quanto la costante preoccupazione dello stesso imputato MA. di evitare di correre il benché minimo rischio di allertare gli organismi di vigilanza in ordine all'effettuazione di siffatte operazioni. A titolo esemplificativo, sotto l'ultimo dei due profili ora menzionati, si possono citare le seguenti emergenze processuali a carico del MA.: - deposizione del teste Co.Tu. (subalterno di Em.Gi. alla Divisione Mercati), pag. 70 del verbale stenotipico d'udienza 3.7.2019: "PUBBLICO MINISTERO DOTT. Sa. - Si ricorda, a dire di Mario, il perché di questi consigli? TESTIMONE TU. - Sempre, appunto, perché essendo un po' operazioni cosiddette, chiamiamole, "borderline", non ci fosse proprio la coincidenza dei tre eventi, cioè delibera, sottoscrizione e addebito, nella stessa data, Quindi che Consob e Banca d'Italia potevano in qualche modo dire qualcosa"; - intervento del MA. (corrispondente a "VM9", come egli stesso in sede di esame ha riconosciuto, cfr. pag. 58 verbale stenotipico 11 giugno 2020: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Pagina 42, invece, dice, 42 e a seguire, voce maschile 9, si, sa chi è? - IMPUTATO MA. - Sono io") nel f Comitato di Direzione del 10.11.2014, pagg. 42-44 della relativa trascrizione in atti sub doc. 110 del P.M., ove il MA. disserta con Pi.An. (VM10) in ordine a un'operazione correlata (cfr. sul punto anche pagg. 7-8 del verbale di interrogatorio MA. del 28.2.2017), prospettata dal PI. come possibile, da condursi con un soggetto avente sede in Roma (trattasi, come si vedrà infrat di quella che poi fu l'operazione "So.") e finalizzata a cercare di consentire l'uscita dai fondi esteri di 27 sui 42 milioni di Euro in azioni B. in essi ancora giacenti; ivi il MA. insiste in maniera particolare sulla necessità di non far coincidere l'entità del finanziamento con il valore delle azioni acquistate e di destinare una parte di esso all'acquisto di altri prodotti diversi dalle azioni in modo da non suscitare l'attenzione degli organismi di vigilanza: "VM 9 (Voce lontana) Bon bon non ... più che altro poi... No, cioè, nel senso che ... cioè, che non ci sia il collegamento tra 27 e 15, cioè V M 10 No, no, no, V M 9 (voce lontana) (inc.) piuttosto facciamo 3 milioni in più di finanziamento. V M 10 Ah, sì, sì, sì, V M 9 Capito? Ecco, e, quindi, gli facciamo comprare qualcos'altro E' questo un po'... V M 10 Sì, sì, sì, V M 9 Di non fare importi baciati, questo volevo dire, ecco, tutto qua. Sa. Va bene V M 10 Si può fare una roba ... V M 9 (voce lontana) Cioè, voglio dire, ne fai 25, dopo gli do un fido di 29, con gli altri 4 compra qualcos'altro (voci sovrapposte) (inc.) Sa. Oppure anche se lo portiamo ... V M 9 (voce lontana) E, dopo, gli altri 2, gliene piazziamo un altro, con un finanziamento di 4 (inc.) azioni, ma ... hai capito? Cioè, riesci a fare un misto (voci sovrapposte) (inc.)" - esame dibattimentale dello stesso MA. (cfr. pagg. 60-61 del verbale stenotipico d'udienza 11,6.2020), ove l'imputato, nel commentare proprio quello specifico passo della trascrizione del Comitato di Direzione del 10.11.2014, non si fa remore (come, del resto, già in precedenza nel corso del suo interrogatorio del 2.5.2017, ancor più esplicito sul punto: cfr. pag. 4 del relativo verbale) nel dichiarare che era per lui un'esigenza imprescindibile quella di evitare l'uso di ogni formula atta ad allertare, potenzialmente, gli organismi di vigilanza circa il carattere correlato della ivi ventilata operazione. Considerate, inoltre, le ulteriori discrasie - illustrate nelle pagg. 693 e ss. della gravata sentenza - tra i due interrogatori resi dal MA. il 28.4.2017 e il 2.5.2017 da un lato e il suo esame dibattimentale dall'altro lato, possono ritenersi provate a carico del MA., alla stregua delle considerazioni sopra svolte, quanto meno le seguenti altre rilevanti circostanze, dapprima ammesse nell'immediatezza dell'avvio delle indagini e indi ritrattate - o comunque significativamente ridimensionate - in dibattimento dall'imputato: - rilevanza dell'utilizzo della c,d. "causale generica sentinella": "In questa fase, ulteriore elemento che mi ha permesso di capire la natura correlata (all'acquisto di azioni B.) delle operazioni di finanziamento, è stata la formula che per prassi veniva inserita nella P.E.F., vale a dire espressioni del tipo "acquisto valori mobiliari o immobiliare" oppure "cogliere opportunità nel mercato mobiliare o immobiliare" (cfr. pag. 3 verbale di interrogatorio 28.4.2017), fermo restando che comunque una percentuale tutt'altro che irrilevante dei finanziamenti correlati (pari a poco meno del 40%), in base alla stessa relazione depositata dai consulenti del P.M., non era invece connotata dall'utilizzo di tale causale; - consapevolezza "in tempo reale" dell'esistenza del fenomeno degli storni (fenomeno che, viceversa, in sede di esame dibattimentale - cfr. pagg. 45-46 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020 - il MA. ha sostenuto essergli divenuto noto solo nel 2015 quando ormai era divenuto direttore generale della siciliana Ba.Nu.): "Comunque, per i finanziamenti baciati, le condizioni economiche erano di mercato; in genere, lo spread era previsto nella misura del 1-1,5%, da aggiungersi al tasso EURIBOR trimestrale o semestrale del periodo (si trattava sempre di finanziamenti a tasso variabile). Ciò nonostante, la redditività di alcuni di questi rapporti era negativa in conseguenza degli "storni" di competenza e/o di valuta riconosciuti Nel corso delle sedute del CdA è capitato più volte che, in sede di esame della proposta di rinnovo di un finanziamento baciato, all'esito della mia esposizione della relativa proposta, qualche consigliere abbia chiesto spiegazione delle motivazioni di tale redditività negativa. A queste domande, rispondeva sempre il D.G. So. giustificando la redditività negativa con motivi tecnici e, comunque, rassicurava il Consiglio dicendo che avrebbe dato indicazione alla Divisione Mercati di rivedere le condizioni del finanziamento in esame" (cfr. pag. 2 verbale di interrogatorio 2.5.2017); - carattere effettivamente correlato - peraltro agevolmente evincibile già dalle pagg. 41-44 della trascrizione del file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, doc 110 del P.M. nonché, più ancora, dalla deposizione del teste Va.Ma. e dall'intercettazione n. progr. 478 dell'8.9.2015, sulla quale v. subito infra - della c,d. operazione "So." (cfr. pagg. 7-8 verbale di interrogatorio 28.4.2017), viceversa negato dal MA. in sede di esame dibattimentale (cfr. pagg. 54 e ss. del verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020). In relazione all'operazione "So." la difesa, alle pagg. 25-26 della memoria depositata all'udienza del 30.9.2022 a conclusione della propria arringa (nonché nel corso di quest'ultima: cfr. pagg. 71-72 verbale stenotipico 30.9.2022), ha inteso sostenere, allegando a tale atto una P.E.F. redatta in tal senso il 27.11.2014 con delibera favorevole del CdA datata 2.12.2014, che si trattò non già di una operazione di finanziamento correlato (c.d. "baciata") bensì di un'operazione di tutt'altra natura, immobiliare, citando peraltro all'uopo solo un breve stralcio iniziale dell'esame del teste Va.Ma. (A.D. del Gruppo So.) estrapolato dal contesto ben più ampio della sua complessiva deposizione resa all'udienza del 12.12,2019. Dal prosieguo della deposizione Ma., viceversa, emerge chiaramente: - che lo stesso Ma. aveva effettivamente intavolato, con B., iniziali trattative unicamente finalizzate a che detto istituto di credito entrasse, con una trentina di milioni di Euro, a far parte di un sindacato di banche chiamato ad erogare a So. un normale e regolare mutuo immobiliare destinato a finanziare l'acquisto di "un immobile in America, in Throne Building, che è un immobile fatto proprio a trono, dove c'è il Civic Opera House di Chicago, ed era un immobile che costava sui 120 milioni di dollari, e stavamo cercando delle banche per un mutuo" (cfr, pag. 10 esame testimoniale cit., prima parte; le modalità di quello che sarebbe dovuto essere il mutuo immobiliare erogato da B., in realtà mai perfezionatosi a livello di stipula contrattuale fra le due parti, sono poi spiegate dal teste Ma. alle pagg, 11-12 ibidem); - che tuttavia, mentre la prospettata operazione di mutuo immobiliare non venne alla fine mai perfezionata inter partes, accadde che Pi.An. (Direttore della Divisione Finanze di B.) chiese al Ma., verso la metà del mese di dicembre 2014, di comprare a sconto 25 milioni di azioni B. per aiutare la banca a collocarle (cfr, seconda parte pag. 10 esame testimoniale Cit.: "TESTIMONE Ma. - E poi avvenne che, poco prima di Natale, mi pare il 14, guardi, adesso non ricordo, o del 15, il dottor Pi. mi disse: siccome dobbiamo collocare un po' delle nostre azioni, se vi diamo un finanziamento di 25 milioni, comprereste delle nostre azioni? E io dissi: vabbè, tanto era un'operazione... Veramente prima sembrava dovesse essere un'operazione pronti contro termine, cioè 25 milioni di affidamento che dovevano servire per comprare l'immobile ci venivano dati, però, intanto, dovevamo fare un'operazione pronti contro termine acquistando titoli di Stato come sottostanti; in realtà, poi mi disse: invece di titoli di Stato, perché non prendete le nostre azioni? Rimasi un po'devo dire, perplesso, però poi lo abbiamo fatto (...). Ci tengo a dire, però, che questo finanziamento non ci fu dato, e noi lo abbiamo gestito, cioè non è che ci hanno dato 25 milioni e noi abbiamo visto un dollaro, un euro o una sterlina: entrarono e uscirono per comprare le azioni"); - che, come detto, nessuna operazione di mutuo immobiliare fu alla fine stipulata in concreto tra B. e il Gruppo So. benché le iniziali trattative avessero avuto quell'oggetto (cfr. pag. 12 esame testimoniale cit.: "TESTIMONE Ma. - Con il dottor Pi. si era avviato un rapporto, cercando di aumentare le operazioni da fare. E c'era questa operazione immobiliare che io ho evidenziato, e la Banca (...) mi chiese, dice: vorremmo entrare anche noi a far parte di questo pool di banche per finanziare l'operazione di Chicago, e io dissi va bene nell'ambito di questo... PRESIDENTE - Ma poi sono entrati in questo sindacato di banche? TESTIMONE Ma. - Beh, no, è successo che ci hanno chiesto questa operazione con le azioni, si è ritardato l'acquisto dell'immobile, e poi siamo rimasti con le azioni della banca che si sono deprezzate. PRESIDENTE "Cioè, quindi, questa operazione di finanziamento finalizzata all'a