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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GORIZIA Il Tribunale di Gorizia, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Coppari Marcello, alla pubblica udienza del 06.12.2023 ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: Pa.Dr., nato a M. (G. il (...), con domicilio dichiarato a M. C. O. (V.), Via A. M., 25/a; libero, presente; imputato del reato di cui al foglio allegato. P.C.: Fa.De., nata a G. (G.) il (...). per il delitto di cui all'art. 612 bis c. 1 e 2 c.p. perché, con condotte reiterate, molestava Fa.De., persona con la quale aveva intrattenuto una relazione sentimentale, cagionandole un perdurante e grave stato di ansia e di paura ed ingenerandole il fondato timore per la propria incolumità personale. In particolare, allo scopo di riallacciare la relazione sentimentale interrottasi: - contattava Fa.De. con n. (...) chiamate e tentativi di chiamata dall'utenza (...) a lui intestata tra il giorno 19.9.2020 ed il giorno 12.10.2020 e con n. (...) chiamate e tentativi di chiamata dall'utenza (...) a lui intestata tra il giorno 15.9.2020 ed il giorno 21.10.2020 (data dell'arresto); - inviava a Fa.De. molteplici messaggi sms, con frequenza pressoché giornaliera e sebbene la Fa. non vi rispondesse, proferendole ingiurie quali "testa di cazzo, stronza, bambina di merda, matta"; - in data 21.10.2020 si appostava nei pressi dell'abitazione di Fa.De., attendendo il suo rientro e poi seguendola lungo la pubblica via per chiederle insistentemente di parlarle, così costringendola a cercare rifugio presso la Stazione dei Carabinieri di Grado (GO) e continuando ad inviarle messaggi telematici anche mentre la donna si trovava all'interno della caserma. Con l'aggravante dell'avere commesso il fatto nei confronti di persona che è stata legata all'autore da una relazione affettiva ed attraverso strumenti telematici. Grado (GO), dal 15.9.2020 al 21.10.2020 (data dell'arresto) Con l'intervento del P.M. GU.Ma., V.P.O. del., dell'Avv. TO.Ro. del Foro di Udine, difensore della parte civile, e dell'Avv. MI.Gi. del Foro di Gorizia, difensore d'ufficio dell'imputato. MOTIVI DELLA DECISIONE Pa.Dr., nato a M. (G. il (...), è stato rinviato nel presente giudizio, per rispondere del reato di cui all'art. 612 bis cod. pen., come contestato in rubrica, nei confronti di Fa.De., nata a G. (G.) il (...), la quale si è costituita parte civile ed è comparsa in giudizio. L'imputato - già presente in sede di udienza preliminare, ma non comparso all'udienza del 13.12.2021 -è stato dichiarato assente, non avendo addotto legittimo impedimento, né risultando, nel frattempo, detenuto, salvo poi comparire all'udienza del 27.9.2023 All'udienza del: I) 07.3.2022: 1 ) è stata esaminata la P.C., la quale, premesso di aver conosciuto l'odierno imputato e di aver avuto con lui una relazione sentimentale di circa un anno ed otto mesi, conclusa per via dell'aggressività verbale dell'imputato che la prima non riusciva più a sopportare, ha, fra l'altro, riferito che: a) in particolare, capitò che Pa.Dr. ebbe a tirare degli oggetti nella sua direzione, senza colpirla, ovvero lanciasse degli urli e proferisse minacce nei confronti della stessa (verb. fonoregistraz., pag. 4); b) il 15.9.2020, la P.C. decise di chiudere il rapporto, ma l'imputato le rispose che avrebbe distrutto la casa in cui convivevano, in locazione, a nome della prima, se non gli avesse dato Euro.100,00 (verb. fonoregistraz., pagg. 5 e 6); c) allora la P.O. gli diede quel denaro e, dopo essersi fatta restituire le chiavi della casa dall'imputato, disse a quest'ultimo di prendere le sue cose e di andarsene (verb. fonoregistraz., pag. 5); d) tuttavia, l'imputato, non accettando quella situazione, continuò a scriverle e telefonarle, per circa un mese e mezzo, con una media di 5 contatti al giorno, in cui cominciava, dicendole: "Dobbiamo parlare..", per, poi, concludersi con: "stronza, puttana, matta, testa di cazzo, bambina di merda!": a queste telefonate, la P.C. non ha mai risposto, limitandosi a scrivere un sms, a distanza di tre giorni dalla cessazione della relazione, in cui gli ribadiva che il rapporto era terminato e che lui non avrebbe dovuto più telefonarle, scriverle o presentarsi davanti casa sua (verb. fonoregistraz., pagg. 5 - 7, e 9); e) la P.C. aveva paura e cominciò a non dormire più di notte, perché la predetta casa era posta in una via senza uscita, dove sarebbe stato facile per l'imputato farle degli appostamenti, così, quando tornava a casa era terrorizzata, per paura di trovarlo all'improvviso di fronte a sé e che le potesse fare del male, anche perché, pur non avendole messo le mani addosso, Pa.Dr. le aveva detto che le avrebbe tagliato una mano con il coltello; poi, la prima mutò le proprie abitudini di vita, rincasando più presto la sera, rispetto a quanto faceva prima, per paura del buio, guardandosi sempre alle spalle, finendo, comunque, nel "panico totale", nel momento in cui riceveva un messaggio o una chiamata da parte dell'imputato (verb. fonoregistraz., pagg. 5 - 7, 9); f) vista l'insistenza delle chiamate, provenienti anche dall'Albania, paese natale dell'imputato, l'ansia era tale e continua che la P.O. si chiudeva in bagno per ore, in preda ad attacchi d'ansia e di diarrea, tenuto conto che l'aggressività di Pa.Dr. si era sempre manifestata anche in base a delle semplici "sciocchezze" e che la prima temeva anche che il secondo potesse mandare qualcuno a farle del male, inducendola tale situazione a fare incubi anche a distanza di anni dal periodo in considerazione (verb. fonoregistraz., pagg. 7, 8, 11 e 12); g) dapprima, la P.C. si rivolse al centro anti-violenza con sede a R. dei L. (G.) già nel gennaio del 2020: poi il 21.10.2020 l'imputato si presentò effettivamente, avanti a lei e, nonostante lei gli disse di andarsene, quello andò verso di lei, così che quest'ultima si rifugiò presso la Stazione dei Carabinieri, la quale si trovava a poca distanza dalla sua abitazione; poi, rimanendo ancora molto scossa, si recò al P.S., dove le diedero delle gocce calmanti, di cui proseguì l'assunzione anche dopo la predetta data, avendone ancora necessità (verb. fonoregistraz., pagg. 7, 8, 11 e 14); h) nel periodo dal 15.9.2020 all'ottobre del 2020, la chiamò, una o due volte, anche la sorella dell'imputato, ma la P.C. non rispose mai; la P.C. diede tutti i messaggi ed i numeri chiamanti alla FF.OO., facendo anche un indice cronologico (verb. fonoregistraz., pagg. 13 e 14); i) l'imputato lavorò durante la stagione estiva a Lignano (UD), nei mesi da giugno ad agosto 2020, poi rientrò G. (G.), dove i due convivevano in un appartamento; Pa.Dr. non lavorò per tutto il periodo della loro convivenza (verb. fonoregistraz., pagg. 14 - 16); 1) l'aggressività si manifestò già per tutto il corso del 2019 e nel 2020; l'ultimo episodio di violenza si verificò, quando i due erano in un centro commerciale e l'imputato la lasciò da sola, senza biglietti dell'autobus: al ché la P.C. si chiuse mezz'ora in bagno, in preda ad un attacco di panico, ma al termine, decise che non era più disposta a continuare con quella relazione (verb. fonoregistraz., pag. 17); m) era la P.O. che pagava la maggior parte delle spese sopportate dalla coppia durante la loro convivenza (verb. fonoregistraz., pag. 18); n) quando esplodeva, l'imputato le rivolgeva, inoltre, queste frasi: "Per tutta Grado ti sputtanerò.." (verb. fonoregistraz., pag. 18); o) prima delle aggressioni verbali dell'imputato, la P.C. non soffriva di attacchi d'ansia (verb. fonoregistraz., pag. 21); 2) sentite le parti, è stata acquisita la ricostruzione cronologica esibita alla P.C. e che questa ha riconosciuto come dalla medesima manoscritta in relazione alle date ed alle pagine dei messaggi a cui la predetta ha fatto riferimento; II) 11.7.2022, fissata a seguito del rinvio determinato dalla giustificata mancata assenza dei testimoni: 1) è stato esaminato M.F., in servizio, all'epoca del fatto per cui è processo, presso la Stazione di Grado (GO), in qualità di Maresciallo, il quale, premesso che l'odierna P.C. avevo sporto denuncia-querela, ha, fra l'altro, riferito che: a) Fa.De. si rivolse nuovamente ai CC, perché l'imputato le si era presentato, inaspettatamente, davanti e ciò l'aveva resa assai preoccupata ed in quella sede formalizzò l'integrazione della denuncia- querela di cui sopra (verb. fonoregistraz., pagg. 6 e 7); b) nella stessa occasione, poiché fu accertato che detta donna continuava a ricevere messaggi, l'operante in esame, insieme ad un collega, fece un giro di ricognizione fuori della caserma, per verificare se vi fosse l'imputato, il quale venne subito individuato dai suddetti a circa 30 m dalla Stazione, su Viale del Sole, allorché Pa.Dr. era ancora intento a digitare delle frasi sul proprio cellulare (verb. fonoregistraz., pag. 5); c) la P.C. ricevette ben 138 chiamate provenienti dall'utenza (...), intestata all'imputato e (...) provenienti dall'utenza (...), intestata anch'essa all'imputato; 2) sentite le parti, è stata acquisita la documentazione relativa ai messaggi ed alle telefonate ricevuti dalla P.C. nel periodo 15.9.2020-21.10.2020 esibita all'operante di cui sopra e che questi ha riconosciuto come dal medesimo verificato in base all'analisi dei tabulati telefonici acquisiti e a cui il predetto ha fatto riferimento; III) 06.9.2023: 1) è stata esaminata B.A., nata a T. il (...), la quale, premesso di essere un'operatrice del centro anti-violenza e di aver conosciuto in quella sede Fa.De., tra la fine del 2019 ed il 2020, confermato quanto dalla medesima dichiarato a S.I.T. il 05.02.2021, ha, fra l'altro, riferito che: a) la P.C. le riferì della relazione turbolenta con l'imputato, conosciuto, avendo lavorato insieme per una stagione, in montagna, rapporto caratterizzato da violenza in senso psicologico ed economico, e rispetto al quale chiedeva come fare per restituire gli effetti personali, senza dover avere contatti con il secondo (verb. fonoregistraz., pag. 6); b) quando si recò da lei la P.C., quest'ultima le riferì di essere abbastanza tranquilla, perché l'imputato si trovava in quel momento in Albania, ma era preoccupata di quando sarebbe tornato, tanto che, in un'occasione di un colloquio, la prima fu colta da un attacco di ansia, tanto da dover uscire dal centro, senza più farsi vedere (verb. fonoregistraz., pag. 6); c) in particolare, la P.C. temeva che l'imputato avrebbe ripreso a minacciarla, in quanto la violenza psicologica era "costante" (verb. fonoregistraz., pagg. 6 e 7); d) inoltre, non avendo un lavoro continuativo, poiché terminava le stagioni prima del previsto, in quanto veniva mandato via per proprie mancanze, l'imputato chiedeva continuamente alla P.C. che gli desse del denaro (verb. fonoregistraz., pagg. 7 e 10); e) Fa.De. aveva talmente paura dell'imputato che, all'inizio, non volle recarsi presso il Centro anti - violenza "Da donna a donna" di R. dei L. (G.) e fece, dapprima, solo dei colloqui telefonici con la teste, per il timore di venire localizzata; proprio per questo, quando andò finalmente per il colloquio in presenza con la teste, non volle neppure dare le proprie effettive generalità, dicendo di chiamarsi "Susanna" per rimanere anonima, non volendo riportare conseguenze, per essere ivi andata a tutelarsi; la predetta circostanza - non molto frequente presso il suddetto centro anti-violenza e che durò per circa un anno - creò problemi con le FF.OO., a cui il personale del Centro non era, invero, in grado di fornire le indicazioni, su chi fosse veramente la P.O., la cui vera identità venne alla luce, proprio grazie all'intervento dei Carabinieri (verb. fonoregistraz., pagg. 7 - 9 e 12); f) nel colloquio del 19.6.2020, tenutosi con la collega della teste, G.M.L., dopo che Fa.De. aveva chiesto di anticiparlo, quest'ultima riferì che l'imputato l'aveva minacciata che le avrebbe tagliato le mani oppure la gola con un coltello, se lo avesse denunciato, poiché, a causa di ciò, aveva paura di perdere il permesso di soggiorno in Italia e in quella circostanza, poi si allontanò, in preda ad un attacco di ansia (verb. fonoregistraz., pag. 8); g) l'imputato derideva la P.C., in continuazione, ingiuriandola con espressioni come "puttana" e "troia", dicendole che lei non valeva niente, mente lui era il padrone della situazione, rimarcando, in particolare, il fatto che, se l'ho avesse lasciato, non sarebbe andata da nessuna parte: nessuno si sarebbe messo con lei, perché era brutta, grassa e vecchia, così esercitando sulla stessa una forma di dominio psicologico (verb. fonoregistraz., pagg. 10 - 13); h) a causa dell'imputato, il quale perdeva costantemente le occasioni di lavoro, per via del proprio carattere ed il comportamento che teneva, anche la P.C. ebbe delle conseguenze negative in ordine a ciò, venendo licenziato unitamente al primo, accompagnandosi allo stesso (verb. fonoregistraz., pag. 11); i) consigliata, allora, di denunciare, Fa.De. rispose che non aveva "ancora preso questa decisione, perché non so, se viene fuori, come la può prendere" (verb. fonoregistraz., pag. 12); 2) sentite le parti, sono stati acquisiti: a) verbale di arresto in flagranza dell'imputato dd. 21.10.2020; b) verbale di P.S. dd. 21.10.2020; c) denuncia- querela dd. 11.10.2020 e relativa integrazione del 21.10.2020; IV) 27.9.2023: 1) previamente ammonita in quanto sorella dell'imputato, e non avendo inteso avvalersi della facoltà di non rispondere, è stata esaminata P.E., nata M. (G. il (...), la quale, premesso di aver conosciuto la P.C. durante la stagione invernale del 2018, lavorando entrambe nello stesso albergo, in Alto Adige, e di avere a disposizione solo la versione del fratello, non sapendo altro, ha riferito, fra l'altro, che: a) suo fratello venne licenziato il 25.02.2019, per un litigio avuto sul luogo del lavoro e pure Fa.De., avendola questa seguito (verb. fonoregistraz., pag. 5); b) l'imputato andò a stare un periodo da lei nell'autunno del 2020, senza le sue valigie, dopo la rottura definitiva della coppia, avendo il primo deciso d'interrompere la relazione, perché era stanco di non poter ritornare dai propri due figli in A., a causa della P.C., che non glielo consentiva (verb. fonoregistraz., pagg. 5 - 9); 2) previamente ammonito e non avendo inteso avvalersi della facoltà di non rispondere, è stato esaminato l'imputato, il quale ha confermato di avere ricevuto sostegno economico da Fa.De., durante la loro convivenza, dopo che era stato licenziato, spiegando le numerose chiamate da lui fatte alla P.C. col fatto di volersi riprendere i propri effetti personali e di essersi recato a casa della stessa in data 21.10.2020, non avendo ricevuto risposta alle precedenti chiamate; 3) sentite le parti, sono stati acquisiti gli estratti conto della carta Postepay intestata all'imputato, a cui quest'ultimo ha fatto riferimento, relativa agli anni 2019 e 2020 ed i pagamenti dal medesimo eseguiti a favore della P.C.; V) 06.12.2023: 1) sentite le parti è stata acquisita la documentazione contabile; 2) dichiarata chiusa la fase istruttoria, in quanto sufficientemente svolta ai fini del decidere, all'esito della discussione, le parti hanno concluso come sopra riportato in epigrafe; 3) è stata emessa sentenza, con lettura del dispositivo e riserva di deposito della motivazione nel termine di gg. 90, stante la sussistenza dei presupposti di cui all'art.544, co. III, cod. proc. pen., in ragione della gravosità del ruolo della predetta udienza, tenuto conto, da un lato, della natura e del numero degli incombenti processuali da svolgersi e, dall'altro, del grado d'impegno e di articolazione delle questioni giuridiche da decidersi. Orbene, Pa.Dr. va dichiarato responsabile del reato qui allo stesso ascritto, dovendo, dunque, essere condannato, nei termini e per i motivi di seguito esposti. Va, invero, osservato che è stata fornita la dimostrazione, oltre ogni ragionevole dubbio, della colpevolezza dell'imputato, sotto il profilo dell'elemento, sia oggettivo che soggettivo, del reato di atti persecutori, in base all'esame delle sopra riportate risultanze istruttorie degli atti del presente processo, utilizzabili per la decisione, in quanto legittimamente assunti in sede di escussione testimoniale ed acquisiti sul piano documentale. In particolare, non vi è motivo di dubitare dell'attendibilità delle dichiarazioni rese dalla P.C., risultando quanto dalla stessa riferito chiaro, puntuale, privo di astio e pienamente congruente, non solo in sé, ma anche con la versione fornita dagli altri testimoni a conoscenza dei fatti rilevanti ai fini del decidere, quali l'operatrice del centro anti violenza e l'operante che ha svolto indagini sui tabulati ed ha assistito alla fuga della prima, oltre che con la documentazione acquisita, costituita dai files audio consegnati alle FF.OO. dalla P.C., dal report dello storico del traffico telefonico fornito dai gestori di telefonia delle due utenze dell'imputato, come pure dal certificato del P.S., attestatene lo stato d'ansia in cui si trovava Fa.De. in data 21.10.2020. Orbene, dalle predette fonti: I) da un lato, sono risultati integralmente confermati i fatti descritti nell'imputazione; II) dall'altro, non sono, al contempo, emerse cause di giustificazione e/o di non punibilità, da valutarsi a favore dell'imputato. In effetti, con riguardo al profilo sub (...)), come sopra riportato, è emerso che nel periodo tra il 15.9.2020 ed il 21.10.2020, data in cui è avvenuto il suo arresto in flagranza per il fatto per cui è qui processo, l'odierno imputato: 1) ha effettuato centinaia di chiamate telefoniche, pari a 138 dall'utenza (...), intestata all'imputato e (...) dall'utenza (...), intestata anch'essa all'imputato, come pure l'invio di centinaia di messaggi, al fine di indurre la P.O. a riallacciare la relazione sentimentale col primo; 2) nel tenere le predette condotte, ha insultato la P.C. con i termini: "testa di cazzo, stronza, bambina di merda, matta"; 3) in data 21.10.2020, appostatosi presso l'abitazione di Fa.De. e dopo aver atteso il rientro a casa della stessa, la seguì per la via pubblica, chiedendole di parlarle, mentre la P.C., accortasi di lui, si rifugiò all'interno della Stazione dei CC di Grado (GO), per sottrarsi al contatto che l'imputato voleva avere con lei, inviandole Pa.Dr. dei messaggi, anche dopo averla vista entrare all'interno della suddetta caserma. Orbene, non vi è dubbio che con le predette condotte l'imputato ha voluto arrecare alla P.C. molestie idonee e tali da ingenerare nella stessa un grave timore per la propria libertà ed incolumità personale, determinando, invero, l'insorgere nella stessa di una situazione di profonda e perdurante ansia e paura per la propria libertà di circolazione e sicurezza personale, al punto da indurre la seconda, dapprima, a mutare le proprie abitudini di vita e, poi, a cercare di trovare protezione sia presso il centro anti-violenza "Da donna a donna" di Ronchi dei Legionari (GO), sia presso la Stazione dei CC di Grado (GO). Da quest'ultimo punto di vista, deve richiamarsi la giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto in circostanze analoghe alla presente fattispecie, secondo cui "ai fini dell'integrazione del reato di atti persecutori non si richiede l'accertamento di uno stato patologico, ma è sufficiente che gli atti persecutori (...) abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima" (Cass. 16864/2011 e 8832/2010). D'altra parte, con riguardo al profilo sopra evidenziato sub (...)), deve rilevarsi che, a fronte dell'univocità e chiarezza del quadro probatorio sopra illustrato - da cui si ricava in modo plastico ed evidente il fine persecutorio e destabilizzante posto in essere dall'imputato, il quale, con le centinaia di chiamate e di messaggi riscontrate dagli operanti, non ha consentito alla P.C. di sottrarsi al proprio controllo prevaricante e soffocante, per conseguire il risultato di farle fare ciò che voleva, cioè ritornare insieme a lui -, non sono emerse circostanze, a cui poter attribuire valore di giustificazione delle condotte sopra descritte, obiettivamente attribuibili all'odierno imputato, il quale non si rassegnava alla fine del rapporto e ha voluto in tal modo solo infliggere sofferenza alla P.C., ben a conoscenza della fragilità di quest'ultima, per averla frequentata per parecchi mesi prima dei fatti di cui qui si discute, e di cui, ha, invero, approfittato, per esercitare più efficacemente le proprie illegittime pretese, mediante minacce ed ingiurie, basate solo sul movente criminale di dominio psicologico della P.C. Infatti, non assume rilievo la tesi difensiva, per cui Pa.Dr. avrebbe solo voluto riprendere i propri effetti personali, posto che: 1) gli era già stato modo dalla P.C. di riprendersi dette cose, quando gli aveva comunicato che non intendeva proseguire il rapporto, come sopra riportato; 2) non risulta da alcuna parte che l'imputato chiedesse alla P.C. di potersi riprendere le proprie cose, ma anzi, è emerso il contrario, cioè che lo stesso, volendo riprendere il rapporto con la seconda, non aveva alcuna intenzione di riprendersi i propri beni; 3) in ogni caso, a quest'ultimo fine, l'imputato non aveva bisogno di effettuare centinaia di chiamate e messaggi, avendo a disposizione mezzi alternativi previsti dall'ordinamento giuridico per la regolamentazione di questo tipo di vicende soggettive, quali l'invio di una missiva con diffida, ovvero rivolgendosi egli stesso alle FF.OO., non valendo, a tal fine, la lamentata difficoltà linguistica, che non gli aveva, peraltro, impedito di farsi autore del traffico telefonico in questione in direzione della P.C.. Peraltro il quadro sopra ricostruito, sotto il profilo della condotta e del dolo alla base della stessa, in capo all'imputato, non è stato, in alcun modo, posto in crisi dalle dichiarazioni rese sia dalla testimone citata dalla difesa, sia dall'imputato stesso. Infatti, occorre, in proposito, osservarsi che 1) la teste P.E.: a) ha riferito che nell'autunno del 2020, il proprio fratello si era recato a stare presso la di lei abitazione privo di effetti personali, circostanza che conferma, da un lato, quanto riferito dalla P.C., in ordine al fatto che fosse stata quest'ultima ad aver deciso di cessare la relazione fra i due, stanca proprio dell'aggressività dell'imputato e, dall'altro, smentisce, invece, la tesi che fosse stato l'odierno imputato a voler cessare il rapporto, perché pressato dalla P.C., affinché si recasse si meno in Albania a trovare i propri due figli; tanto più che era sicuramente l'imputato ad avere molto più da perdere dalla cessazione del rapporto sentimentale fra i due, anche perché temeva che, oltre al venir meno del supporto economico, di cui aveva fino ad allora goduto, stando insieme alla P.C., se denunciato da quest'ultima, avrebbe potuto vedere revocato il proprio permesso di soggiorno in Italia; b) d'altro canto, la teste ha precisato di conoscere solo la versione dei fatti che le è stata riportata dal fratello. 2) le dichiarazioni dell'imputato non hanno offerto una credibile ricostruzione dei fatti alternativa a quella sopra emersa in base al raffronto coordinato di tutti gli elementi probatori fin qui individuati, anche sotto il profilo logico. Né, infine, vale in senso contrastante a quanto qui affermato la produzione documentale della difesa, relativa ai due bonifici di poche centinaia di euro nonché all'invio di alcuni beni materiali a favore della P.C., avvenuti nei mese di aprile 2020, non essendovi dubbio per quanto accertato che in tale momento i due soggetti stavano ancora insieme e vi era fra loro fattiva collaborazione per sostenere le comuni spese domestiche, in proporzione alle risorse di ciascuno dei due. Ne deriva che. accertati e valutati gli atti criminosi sopra riportati, risulta corretta la qualificazione giuridica degli stessi operata nell'imputazione ai sensi dell'art. 612 bis c.p., avendo l'imputato, con condotte reiterate, molestato - in modo persecutorio e volto a comprimere la libertà della sfera morale - l'odierna P.C., cioè una persona con cui Pa.Dr. era stato legato da una precedente relazione affettiva, di cui, invero, il predetto non voleva, dapprima, accettare la fine e, poi, che fosse denunciata la propria violenza, per il concreto timore di perdere, rispettivamente, il sostegno economico che gli era stato offerto fino a quel momento da Fa.De. e, a seguito della denuncia-querela sporta da quest'ultima, il proprio permesso di soggiorno. Tali finalità hanno, dunque, portato, in poche settimane, l'imputato a tempestare la P.C. con centinaia di chiamate e messaggi, facendosi, infine, trovare sotto la casa della seconda in data 21.10.2020 - quando fu arrestato -, avendone seguito i movimenti, determinando, in tal modo, in capo alla medesima il crearsi di un tale stato di ansietà, da indurla a mutare la propria vita, in senso del tutto peggiorativo, fino a recarsi in caserma, per sfuggire al possibile contatto con l'imputato. In effetti, quanto finora affermato, in ordine alla sussunzione delle molestie provocate con l'uso del telefono cellulare in uso a Pa.Dr. nell'ambito della portata di cui alla predetta disposizione, trova conferma anche nel seguente principio ermeneutico elaborato dalla giurisprudenza di legittimità in fattispecie analoga alla presente: "Il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all'art. 660 cod. pen. consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie, sicché si configura il delitto di cui all'art. 612-bis cod. pen. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all'art. 660 cod. pen. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva ritenuto integrato il reato di atti persecutori in un caso di condotta di reiterata ed ossessiva molestia della persona offesa, mediante appostamenti sul luogo di lavoro e nei pressi dell'abitazione, urla ed aggressioni verbali seguite all'insistente suonare al citofono ed al campanello, telefonate invadenti, minacce e tentativi di contatti fisici, tali da cagionare un grave stato d'ansia e paura nella vittima e costringerla a limitare le uscite e a farsi costantemente accompagnare da qualcuno)" (Cass. pen. n. 15625/2021). In ordine, dunque, alla determinazione della pena da irrogarsi, va evidenziato che: 1) sussistono i presupposti per il riconoscimento delle circostanze di cui all'art. 62 bis c.p., posto che: a) la condotta per cui è processo è stata posta in essere per un concentrato lasso temporale, cioè un mese e mezzo, e le modalità della persecuzione posta in essere non hanno trasmodato la soglia della violenza verbale; b) dall'esame del certificato del casellario giudiziale in atti, l'imputato risulta incensurato; 2) sono state dimostrate come in concreto esistenti le aggravanti contestate, avendo Pa.Dr. compiuto gli atti persecutori di cui è processo nei confronti di Fa.De., persona a cui era stato legato da relazione affettiva e mediante l'uso di strumenti informatici, quale il cellulare a lui in uso; orbene, per le ragioni sopra evidenziate, dette circostanze vanno ritenute equivalenti rispetto alle suddette attenuanti, nel giudizio di bilanciamento di cui all'art. 69 c.p.p.; 3) in ragione dei rilievi fattuali e delle considerazioni in diritto sopra richiamate, oltre che tenuto conto dei criteri di cui agli artt. 27 Cost. e 133 cod. pen., valutati alla stregua delle modalità e delle conseguenze delle condotte per cui è processo, nonché dell'intensità del dolo - la cui sussistenza si desume dall'insistenza usata dall'imputato nell'effettuare le chiamate e l'invio dei messaggi, di cui all'imputazione, nonostante avesse ben capito che la P.C. non ne volesse più sapere di lui e ben memore delle aggressioni verbali e delle minacce dal medesimo precedentemente formulate -, va ritenuta congrua quale pena finale quella di anni uno e mesi uno di reclusione. A ciò va aggiunta la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali dell'odierno processo. Quanto, inoltre, alle statuizioni civili, va osservato che, alla stregua di quanto sopra evidenziato in ordine ai riscontri emersi dall'istruttoria dibattimentale, è stata dimostrata la causazione di lesioni alla sfera giuridica di Fa.De., quali conseguenze derivanti, in via immediata e diretta, dalle condotte persecutorie poste in essere da parte dell'imputato ed oggetto del presente processo. In particolare, i suddetti pregiudizi sono stati arrecati sotto il profilo sia morale, per la sofferenza interiore dovuta al ripetersi degli atti di stalking -, che biologico, tenuto conto del progressivo accrescersi dello stato di ansia indotta dall'imputato, già in costanza di rapporto sentimentale e causa della definitiva rottura, da parte dell'odierna P.C.. Orbene, in ordine alla concreta determinazione dei pregiudizi in questione, deve tenersi conto, da un lato, dell'effettiva entità e della concreta natura degli atti persecutori, cioè della loro seriale esecuzione e della loro efficacia pervasiva, in un arco temporale concentrato. Pertanto, in applicazione dei predetti criteri ed in mancanza di più puntuali parametri di riferimento, i predetti danni sono determinati in misura equitativa in complessivi Euro.15.000,00. Pa.Dr. va, poi, condannato al pagamento delle spese processuali di costituzione e rappresentanza sostenute dalla P.C. in questo processo - unitamente al rimborso dei costi delle trasferte, come documentate in atti -, le quali, tenuto conto dell'articolazione e del livello di difficoltà delle questioni affrontate, sono da liquidarsi come disposto in dispositivo, a favore dello Stato, essendo stata la P.C. ammessa al patrocinio di cui al D.P.R. n. 115 del 2002. Sussistono, infine, i presupposti per la sospensione condizionale della predetta pena, ma in ragione di quanto previsto a norma dell'art. 165 c.p., vale a dire che la concessione del predetto beneficio di legge è subordinata all'avvenuto predetto risarcimento, da effettuarsi ad opera dell'imputato entro 90 gg. dal passaggio in giudicato della presente sentenza, considerata l'entità dell'importo sopra indicato e tenuto conto, per un verso, del tempo decorso senza alcuna forma di compensazione delle conseguenze lesive delle azioni illecite in questione, e, per altro verso, dell'idoneità di tale misura a contrastare la reiterazione criminosa da parte di Pa.Dr., valendo anche tale condanna da monito per il futuro. P.Q.M. visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.; DICHIARA Pa.Dr., in atti generalizzato, responsabile del reato a lui ascritto e concesse le circostanze di cui all'art. 62 bis c.p. lo condanna alla pena di anni 1 e mesi 1 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; visto l'art. 538 e ss. c.p.p.; CONDANNA il predetto al risarcimento del danno morale e biologico subito dalla P.C. a causa della condotta del primo, che si liquidano, in via equitativa e complessiva, in Euro 15.000,00, oltre alla rifusione delle spese legali sostenute dalle seconda nel presente processo, che si liquidano in complessivi Euro 2.394,67, per onorario già ridotto ex art. 106 bis D.P.R. n. 115 del 2002, oltre ad Euro 342,08, per spese non imponibili, nonché I.V.A. e C.P.A., come per legge, da versarsi a favore dell'Erario, essendo la P.C. ammessa al patrocinio a spese dello Stato; visto l'art. 165 c.p.; SOSPENDE l'esecuzione della predetta pena a condizione del pagamento del risarcimento sopra determinato entro 90 gg. dal passaggio in giudicato della presente sentenza. Motivi in gg. 90. Così deciso in Gorizia il 6 dicembre 2023. Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TORINO SEZIONE DEI GIUDICI PER LE INDAGINI PRELIMINARI Il Giudice per le Indagini Preliminari, Lucia Minutella, all'esito dell'udienza in camera di consiglio del 12.2.2024, ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA ai sensi degli artt. 442 e ss. c.p.p. nei confronti di: Co.St., nato ad Is. il (...), ivi residente in via Ma. n. 13, attualmente sottoposto p.q.c. alla misura della custodia cautelare in carcere presso la casa circondariale Lo. e Cu. di Torino DETENUTO PRESENTE difeso di fiducia dall'Avv. Le.Da. del Foro di Ivrea IMPUTATO A) in ordine al reato p. e p. dagli artt. 81 cpv., 609 bis, 609 ter c. c. 1 n. 5 quater e c. 2, 61 n. 11) c.p. perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica di Is.Fe. - minore d'età al momento del fatto (nato il (...)), persona a lui di fatto affidata, nella sua qualità di convivente della madre - lo induceva: - a compiere ed a subire atti sessuali, segnatamente a praticargli sesso orale ed a subire atti di masturbazione da parte del Co.; - a compiere sulla propria persona atti sessuali; segnatamente, tra gli altri atti, a masturbarsi, a scattarsi foto del proprio pene e del proprio ano, ad introdurre le proprie dita, ovvero alcuni oggetti, tra cui un vibratore, all'interno dell'ano, nel contempo filmando gli atti compiuti. Con l'aggravante di aver commesso il fatto nei confronti di persona alla quale l'indagato era legato da relazione affettiva e di persona che non ha compiuto gli anni 14 e con abuso di co-abitazione. Fatto accertato in Ivrea il 24.3.2023. B) in ordine al reato p. e p. dagli artt. 81 cpv., 600 ter c.p., 61 n. 11), perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, utilizzando Is.Fe., minore degli anni 18 (nato il (...)) produceva materiale pedo-pornografico. Segnatamente induceva il minore a scattarsi ed inviargli fotografie ritraenti il proprio pene o il proprio ano; a realizzare video in cui lo stesso minore si masturbava, introduceva le proprie dita, ovvero alcuni oggetti, tra cui un vibratore, all'interno dell'ano; realizzava inoltre un video in cui lo stesso Co. praticava un atto di masturbazione al minore. Fatto accertato in Ivrea il 24.3.2023. Con l'aggravante di aver commesso il fatto nei confronti di persona alla quale l'indagato era legato da relazione affettiva e di persona che non ha compiuto gli anni 14 e con abuso di co-abitazione. C) In ordine al reato p. e p. dagli artt. 572 c. 1 e 2, perché maltrattava Is.Fe., con lui convivente. Segnatamente, tra le altre condotte: - lo induceva, in diverse occasioni, a compiere con lui ed a subire da lui atti sessuali, condotta meglio descritta al capo A); - lo induceva a realizzare ed inviargli il materiale meglio descritto al capo B); - ne monitorava le azioni, chiedendogli attraverso il mezzo del telefono di riferirgli con chi si sentisse, dove si trovasse e cosa facesse; - utilizzava sistematicamente il turpiloquio, rivolgendosi a lui con espressioni offensive quali: "E te coglione non ti chiedi il perche", "Non mi interessa un cazzo fanculo addio F.", "Perché non capisci un cazzo", "Come un handicapato non leggi i messaggi e non rispondi come si deve"; - gli rivolgeva frasi minacciose, con cui gli prospettava la fine della loro relazione, quali: "Bene allora sistemo le cosa", "poi sistemo le cose anche con te", "una cosa certa non ti scrivo piu", "Se fai come ti dicono a me mi perdi", "Ok ti blocco ciao F.", "Passatela bene senza me", "Va bene così ti blocco fa nulla", "Ti mollo". Con l'aggravante di aver commesso il fatto in danno di persona minore. Fatto accertato in Ivrea il 24.3.2023 ed ancora in corso. Recidiva reiterata infraquinquennale. Nei cui confronti si sono costituite parti civili: Ge.El., nata a T. il (...), in proprio, assistita dall'avv. Ro.Fr. del foro di Torino Is.Fe., nato ad Is. il (...), a mezzo del genitore e legale rappresentante Ge.El., assistita dall'avv. Ro.Fr. del foro di Torino MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO Nel corso dell'udienza preliminare, respinta la richiesta di giudizio abbreviato condizionato a perizia psichiatrica, l'imputato ha chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato secco. 1.I fatti risultanti dagli atti processuali e le prove poste a base della decisione 1.1 L'acquisizione della notitia criminis: le dichiarazioni di Ge.El. Il 24.3.2023 Ge.El. si reca al Commissariato PS di Ivrea, accompagnata da un educatore dei servizi sociali che segue il suo nucleo familiare. La donna, poche ore prima, controllando il telefono cellulare del figlio Fe., ha appreso che il suo ex compagno Co.St., con il quale ella tuttora convive, scambia messaggi a contenuto erotico con Fe.. Spaventata, sceglie di andare dalla polizia, per presentare denuncia-querela. Sulla base delle dichiarazioni di Ge., i fatti possono essere riassunti nei termini che seguono. G. ha due figli, nati da una precedente relazione sentimentale con I.L.. Il più grande è Is.Ma. (nato il (...)); il più piccolo si chiama Fe.Co. (nato il (...)). G. si separa dal padre dei bambini nel 2013, e si trasferisce a vivere a Borgofranco d'Ivrea. Qui conosce il suo proprietario della casa, Co.St., con il quale inizia una relazione sentimentale nel 2015. Dal 2016, i due iniziano di fatto a convivere, nel senso che la donna con i due bambini si trasferisce nell'abitazione dell'uomo, sita al piano sovrastante. Ge. e Co., ad un certo punto, non vanno più d'accordo e si lasciano. Nonostante ciò, decidono di continuare a vivere insieme e di prendere una nuova casa in affitto ad Is., in Via Ma. 13. La ragione è legata essenzialmente a motivi economici, poiché in questo modo Ge. e Co. possono dividere le spese. D'altronde la donna non lavora mentre l'uomo ha uno stipendio da magazziniere. E così, nel luglio del 2018, Co., Ge. ed i due bambini si trasferiscono ad abitare nella nuova casa. L'appartamento si compone di un salotto, di una cucina e di un bagno comune. Vi sono poi tre camere da letto: una per Fe., una per Ma. e una per Co.. Ge., invece, dorme sul divano in cucina. Fe. e Ma. hanno reagito in modo molto diverso alla presenza in famiglia di Co.. Con Ma. "c'è sempre stato distacco", perché il bambino non ha mai realmente accettato l'uomo. Con Fe., invece, "è nato subito un rapporto molto simile a quello di un figlio-genitore, Fe. lo ha sempre visto un pò come il suo papà". Dall'inizio dell'ultimo anno scolastico, tuttavia, Ge. avverte che il rapporto tra Fe. e Co. assume "forme distorte": Fe. è "sempre al telefono con St., o in chiamata o in chat"; trascorre molto tempo con l'imputato e spesso i due si chiudono nella stanza da soli; "F. non poteva fare nulla da solo, nemmeno la doccia, nemmeno parlare con me". Da novembre 2022, poi, Fe. inizia ad andare a dormire nella stanza di Co.. In quel periodo - ricorda Ge. - "Ma. era in ospedale e io la notte ero in ospedale con lui. La mattina alle 5 e mezzo rientravo a casa e vedevo che il letto di Fe. era fatto e quello di St. era disfatto da entrambe le parti". Ge. chiede spiegazioni ad entrambi: Fe. dice che si trova bene a dormire con St.; St. dice che Fe. si sente più protetto a dormire con lui. Ma Ge. si impunta, ed esige che Fe. riacquisti la sua autonomia. Cerca anche di prestare più attenzione ai movimenti del ragazzo. Ad esempio, quando nota che Fe. è chiuso in camera con Co., entra senza bussare. Ma in realtà non vede mai nulla di allarmante: "magari St. era al pc e mio figlio sul letto o entrambi sul letto". Nel mese di febbraio 2023, entrando nella camera di Co. verso le 17:30-18, Ge. nota che Fe. si trova nel letto completamente nudo. Fe. probabilmente sta aspettando Co., che di regola arriva da lavoro alle 1818:30. La madre chiede spiegazioni, e Fe. racconta di essere nudo "perché a St. non piaceva che stesse sotto le coperte coi vestiti che magati trattenevano il pelo del cane ". Sempre nel mese di febbraio 2023, Ge. viene convocata a scuola dagli insegnanti di Fe.. Il vicepreside (che è anche l'insegnante di sostegno del minore) le racconta di comportamenti irruenti ed inadeguati da parte di Fe., che sono comparsi a partire dall'ultimo scolastico. Si giunge così al giorno 21.3.2023. Alle 7:30 Ge. va nella stanza di Fe. per rifare il letto, mentre lui sta facendo colazione in cucina. Sotto al suo letto, trova un vibratore e del gel lubrificante dentro ad un astuccio in stoffa nero. La madre chiede spiegazioni. Fe. racconta che è stato St. a consegnargli quegli oggetti, chiedendo di conservarli. Pochi minuti dopo - probabilmente avvisato da Fe. - Co. scrive un messaggio a Ge. chiedendole cosa fosse successo. Quando Ge. gli invia una foto degli oggetti rinvenuti, l'uomo spiega che "quella roba non era né sua né di Fe., ma che aveva chiesto a Fe. di custodirgli quell'astuccio in attesa che lo utilizzasse per uno scherzo ad un amico". G. si insospettisce sempre più. Parla delle proprie perplessità con gli educatori e con le assistenti sociali. Il mattino del 24.3.2023, prima di andare ad un appuntamento con la psicologa, Ge. decide di prendere il telefono di Fe.. Controlla la galleria foto e le chat. Trova una chat tra Fe. e Co., scoprendo che il contatto dell'imputato è stato memorizzato come "Il mio Papi, amore unico al mondo". La chat contiene frasi erotiche, nonché foto di genitali di Fe., inviate a Co. a seguito di sue precise richieste. G. è sconvolta. Va all'appuntamento dalla psicologa, e poi decide di andare subito dalla polizia, portando con sé il telefono di Fe.. Durante la stesura della denuncia, il dispositivo viene posto in modalità aereo e viene acquisita la chat whatsapp ora citata. G. non tornerà più a casa in Via Ma.. Con l'aiuto dei servizi, individuerà immediatamente una diversa soluzione abitativa, senza rivelare nulla all'imputato. 1.2 La perquisizione presso l'abitazione dell'imputato Il 28.3.2023 viene eseguito il decreto di perquisizione emesso dal pubblico ministero. Viene sequestrato il telefono cellulare dell'imputato, oltre ad un No. e tre hard disks rinvenuti sulla scrivania della sua stanza da letto. All'interno di un cassetto, viene trovato un vibratore con lubrificante custodito in un astuccio nero; infine vengono trovate tre pagine manoscritte con riferimenti ad account e password. La polizia giudiziaria procede ad acquisire altresì due telefoni cellulari utilizzati da Is.Fe.: lo smartphone (...) è quello utilizzato dalla persona offesa sino al giorno della denuncia; l'Apple iPhone 6 è il dispositivo utilizzato dal minore nelle ore di permanenza a casa della nonna nell'ultimo finesettimana. Viene altresì acquisito un notebook del ragazzo. Il materiale così acquisito verrà poi sequestrato con decreto del pubblico ministero. 1.3 La reazione di Co. alla perquisizione Come già ricordato, il 24.3.2023, dopo aver sporto denuncia, Ge. non toma a casa, ma, insieme ai due figli, si reca in luogo protetto, noto solo alle forze dell'ordine. Per giustificare la sua assenza, racconta a Co. di essersi dovuta allontanare improvvisamente con i bambini per recarsi a Salerno, perché era morto un suo cugino. Dal giorno della perquisizione, Ge. smette di contattare l'imputato. Il 31,3.2023 la dorma riceve alcuni messaggi dall'imputato, il quale la contatta attraverso una nuova utenza. Co. le chiede di salvare il numero. Il 2.4.2023 Co. invia altri messaggi di testo e vocali, con cui comunica alla donna di sapere dove lei sì trovi ("comunque non siete a Salerno voi siete da tua madre '). La donna non risponde. Il silenzio della sua interlocutrice lo infastidisce e così inizia ad insultarla ( "pagliaccio ", "mi fai vomitare", "testa di minchia", "mi fai schifo ", "bella merda", etc.), e a minacciarla ("ti auguro di stare malissimo e morire", "andrò in galera ma però qualcuno verrà a mancare, capito?", "Il karma è quello, segnatevelo bene, arriverà il peggio per voi", "prima di andare in galera ti rovino poi vado in galera per un motivo valido, e porco dio vedi che ti porto via tutto", "io ci rimetto ma a te non ti faccio andare libera, tranquilla", etc.). C. parla anche dei fatti di causa, facendo riferimento al procedimento in corso ed alla perquisizione. Chiede ripetutamente a Ge. di rispondere al telefono. Sostiene di essere innocente, di non aver mai fatto del male al figlio, e la accusa di averlo falsamente denunciato di una cosa gravissima. Si tratta di decine e decine di messaggi, inviati ininterrottamente dal mattino sino alle 18 di sera del 2.4.2023. Il 3.4.2023 Co. prosegue con i tentativi di contatto. Invita Ge. a rispondere al telefono ed ai suoi messaggi, dicendo che non c'è alcun divieto di comunicare con loro. 1.4 Le dichiarazioni di Is.Fe. Il 5.4.2023 Fe. viene escusso a sommarie informazioni, con l'ausilio di un esperto (nello specifico, psichiatra e psicoterapeuta), incaricato altresì di effettuare una più ampia valutazione sulla capacità a testimoniare del minore. a) Il racconto di F. F. racconta della sua famiglia, dei suoi interessi e delle sue abitudini. Rispetto all'imputato, il minore spiega che era il fidanzato della madre e viveva insieme a loro. St. "mi chiedeva cose strane, mi chiedeva foto in intimo, senza vestiti", "S. mi scriveva e mi chiedeva di chiamarlo papà o amore. Queste condotte potrebbero essere iniziate nel 2021-2022. All'inizio non ho accettato di mandargli foto perché non mi sembrava giusto. Lui mi faceva anche dei complimenti. Non ricordo la prima richiesta ". F. conferma di aver memorizzato sul suo telefono il numero dell'imputato come "S.P.", perché lui aveva provato ad essere come un padre. Dopo ha aggiunto anche il nome di "amore ", perché lui glielo aveva chiesto. Davanti agli amici, Fe. lo chiama "papà" ma quando è a casa "S.". In totale, racconta il minore, Co. gli ha chiesto circa cinquanta foto. "All'inizio ho detto di no, ma poi ho iniziato ad accontentarlo. In particolare, ricordo che mi chiedeva foto del 'di dietro ', 'del lato b '. Mi chiedeva di mettere il timer nella fotocamera per scattarmi la foto. Tenevo le mani sulle gambe mentre scattavo la foto e non facevo nulla. Utilizzavo oggetti per fare le foto ". Richiesto di spiegare cosa fossero quegli oggetti, il ragazzo dice di non conoscere il nome esatto. Riuscendo a vincere l'imbarazzo, scrive su un foglio che "questo oggetto andava usato nel modo anale". Il vibratore glielo aveva consegnato St., all'interno di un astuccio nero. Gli aveva detto di conservarlo sotto il letto, per non farlo vedere a nessuno. "Mi chiedeva di fare video erotici. Mi chiedeva di usare questo oggetto in modo corretto filmando. Ho fatto i video nella mia stanza, dove c 'ero solo io. St. era nell'altra stanza o a lavoro. Facevo video che gli mandavo usando questo oggetto Quanto ad eventuali contatti fisici di tipo sessuale tra i due, Fe. spiega che quando nelle chat parla di "fare l'amore", intende dire "stare abbracciati". Su di un foglio scrive: "eravamo abbracciati e mi riempiva di baci e di coccole ". Le coccole erano "abbracci, carezze; le carezze erano sul corpo, sulla schiena, la pancia, mi faceva il solletico". Le parti accarezzate erano, in particolare, su "schiena-pancia-braccia ". Si sono scambiati baci, sul viso, sul naso o sulla fronte, ma mai sulla bocca. Non gli è mai capitato di eiaculare in presenza di St., né a St. in sua presenza. Quando nella chat ha usato il termine "spruzzare ", egli non sapeva bene quale fosse il significato di quel verbo: "andavo dietro a St. su questa parola, ma non ho mai capito bene cosa significasse ". F., infine, non ha dato baci sulle parti intime di Co.. Rispetto ai "baci sul pisellino " di cui si parla nelle chat, Fe. risponde: "era una cosa che non è mai successa; era solo scritta; lui me la chiedeva; non è mai successo perché io mi rifiutavo. Ho sempre detto di no, né sul mio né sul suo pisellino ". b) La consulenza tecnica a firma della dott. D.R. Il consulente del pubblico ministero valuta F.I. capace di testimoniare: "egli è in grado di testimoniare in modo sufficientemente competente su fatti generici, ma anche su fatti specifici in quanto non vi sono disturbi psichiatrici che limitino la sua capacità di ricordare". Nel corso della sua audizione, si è dimostrato adeguato nel rappresentare le esperienze quotidiane in modo chiaro, "ma si coglie uno stato emotivo di allerta, e di sofferenza, che si esprime con i c.d sintomi grilletto (allerta notturna prima dell'addormentamento, apatia ed abulia possono essere un esempio) ". F., in particolare, ha una sofferenza significativa sul piano emotivo-affettivo, per cui vi sono sentimenti ed affetti che lo spingono a ridurre la narrazione di eventi di vita di tipo invasivo e intrusivo. Dalla valutazione psicologica, inoltre, emerge "un vissuto, che potremmo definire secondario ad evento traumatico grave di tipo destruente, in quanto la risonanza è maggiore non solo per la possibile grave violazione del Sé corporeo, ma anche per la fragilità della costruzione della identità, che vi era in quel momento (preadolescenza)". Il consulente, quindi, coglie un funzionamento depressivo post traumatico, gravemente pregiudizievole per la salute psicofisica del minore, soprattutto perché il percorso psicologico con la dott. L. in quel momento si era interrotto a causa di problemi burocratici. Contestualmente al deposito della consulenza, la dott. D.R. trasmette una richiesta urgente di attivazione di un progetto di cure adeguate sia sul piano pedagogico che su quello psicologico. c) L'incidente probatorio Per concludere sull'argomento, va ricordato che nel corso del successivo incidente probatorio, celebrato innanzi al Tribunale di Torino (ove nel frattempo gli atti erano stati trasmessi per competenza), le parti hanno concordato di acquisire al fascicolo del dibattimento le dichiarazioni precedentemente rese dal minore. 1.5 Le dichiarazioni di altre persone informate sui fatti Nel corso delle indagini preliminari, vengono escussi a sommarie informazioni M.I. (il fratello maggiore di F.), e due insegnanti di Fe. (C.P. e D.M.) I.M. spiega che Co. era il fidanzato della mamma, "sembrava una brava persona, ci ha sempre trattato bene". Fe. era legato a St., gli voleva bene, trascorreva del tempo con lui nella sua stanza. "Non ho mai percepito nulla di strano nel rapporto fra Fe. e St., ho sempre pensato che Fe. gli volesse bene come ad un padre ". In merito al suo rapporto con Co., Ma. spiega che non gli è simpatico, anche se non ci ha avuto tanto a che fare. Quanto ai fatti oggetto del processo, ne è venuto a conoscenza dalle dichiarazioni della madre, che gli ha detto che St. aveva fatto delle cose sessuali con Fe.. Lui ha trovato dei fogli della Questura in casa, dove c'erano delle foto del fratello, ma ha letto solo la prima parte del foglio; poi ha chiuso. "Mi sento male e non riesco a ridirlo". C.P. è l'insegnante di sostegno di Fe., nonché vicepreside dell'istituto. Egli spiega che il minore ha una disabilità cognitiva di grado lieve, ed è per questo che è stato attivato un percorso di sostegno. Sino a novembre 2023, Fe. è stato sereno nella frequentazione della scuola e nelle attività proposte. Dal mese di dicembre vi è stato un primo calo del suo livello comportamentale. Dopo il rientro dalle vacanze di Natale, la situazione è ulteriormente peggiorata. F. ha iniziato ad essere molto più insofferente, rispondendo in malo modo ai compagni e tenendo condotte non consone. Ad esempio, ha portato una sigaretta elettronica in classe e l'ha accesa durante le lezioni; ha sputato per terra in segno di disprezzo nei confronti di un compagno; ha portato in classe uno spray urticante, diffondendolo nell'ambiente. Co., pertanto, ha convocato la madre per spiegare la situazione. D.V.M. è la docente di matematica e scienze, nonché coordinatrice della classe. Nota un significativo cambio di umore in Fe. dal mese di gennaio 2024: Fe. diventa irascibile, ed è sempre molto nervoso. Molto spesso bestemmia, porta a scuola una sigaretta elettronica o dello spray urticante. Anche il suo rendimento scolastico è calato, tanto da divenire insufficiente. L'insegnante riporta la situazione alla madre, in occasione della consegna delle pagelle. Prova a parlare anche con Fe., che spiega che il fratello Ma. aveva avuto problemi di salute, ed era stato ricoverato. 1.6 L'analisi sui supporti in sequestro Viene effettuata copia forense di tutto il materiale informatico in sequestro. Esso viene poi analizzato dal Commissariato PS di Ivrea e, in un secondo momento, da un consulente tecnico nominato dal pubblico ministero. 1.6.1 L'analisi effettuata dalla polizia giudiziaria Il Commissariato PS Ivrea redige una annotazione datata 15.6.2023 con la quale sintetizza il contenuto dei dispositivi informatici in sequestro: "Reperto (...) smartphone "(...) A54S" di colore blu modello CPH2273 con all'interno scheda sim del gestore "ho" utenza (...) in uso all'Is.Fe.: Si appurava mediante programma Cellebrite Reader l'esistenza di chat (iniziata in data 30.01.2023 e terminata il 24.03.2023), scambiate tra l'utenza telefonica (...) in uso a Fe.Co. ed il numero (...) del Co., nelle quali si constatava la relazione amorosa e morbosa tra il minore (vittima nel P.P. in oggetto indicato) e la P.S.I., inoltre si trova effettivamente riscontro di quanto riferito in denuncia dalla madre dell' Is. (Ge.El.) rappresentando che le fotografie pedopornografiche (i genitali del minore), allegate in sede di denuncia sono altresì presenti nella cartella immagini presente nel dispositivo (...) su indicato (1).(...), IMG-(...), IIVIG-(...), IMG-(...), IMG-(...) 1). In data 22.03.2023 alle ore 20:36, due giorni prima della redazione della denuncia della Ge. avvenuta in data 24,03 c.a., si rilevava all'interno della cartella "Video" la presenza di un'auto-riproduzione di Fe. che lo ritraeva masturbarsi sdraiato sopra il letto (non si è in grado di stabilire se si trovi all'interno della propria cameretta o nella stanza del Co.); al termine del filmato VID-(...) la Ge. entra nella camera aprendo la porta e trovando Il figlio minore svestito, proferendo la frase "cosa fai nudo?" (...) Reperto 432ID smartphone (...) CPH2273 di colore nero abbinato all'utenza (...) in uso al Co.: (...) Nella sezione "Foto" compaiono centinaia di fotogrammi pornografici generici riguardanti terzi sconosciuti e molte immagini pedopornografiche del minore Fe.Co., che lo ritraggono completamente svestito mentre mostra le proprie parti intime (genitali e fondoschiena) in varie pose; mentre nella cartella "Video" appaiono due riprese del 20.03.2023 nelle quali Fe. si masturba, auto-riprendendosi sul letto della propria cameretta (trashed-(...). mp4 e trashed-1 (...) mp4) (...) Reperto 432IH hard-disk Co.: Si dà atto che durante l'analisi dell'hard-disk indicato si riscontrava la presenza di cospicue fotografie (1715 elementi) ed innumerevoli video (147 elementi per un totale di 18,3 GB) a sfondo sessuale (specificatamente pedopornografico) ritraenti il minore sopraindicato, in alcune circostanze completamente svestito, in altre parzialmente (con in evidenza l'organo genitale e la parte del fondoschiena includente l'orifizio anale) ed in atteggiamenti intimi/sessuali con la P.S.I., tra l'anno 2020 e l'anno 2023. percorso file F:/FOTO EXSTRA/F.I.C.foto sex F. Osservando attentamente i vari file presenti all'interno delle cartelle si poteva notare la presenza di materiale risalente all'anno 2020, epoca in cui il minore aveva 9 anni compiuti, ove veniva ripreso completamente svestito dal Co.. elementi già eloquenti della personalità del reo (video nominati "corona", "F. sedere ", "il ballo di F.", "il ballo di Fe. sex"). In alcuni filmati esaminati il minorenne si auto riprendeva con un dispositivo cellulare mentre era sdraiato sul letto, subendo atti di erotismo da parte del Co., gesti espletati per provocare nell'Is. un orgasmo sessuale mediante masturbazione manuale (video nominati "trashed(...)" del 21.02.2023 ore 09:11 e video "Ha voglia sempre di me mi ama troppo"). Visionando altre riprese si poteva evincere la presenza del dildo-vibratore di colore viola, debitamente sequestrato durante la perquisizione domiciliare e rinvenuto all'interno di un astuccio di colore nero in tessuto, occultato all'interno di un cassetto nella camera da letto dei Co., il quale veniva utilizzato in svariate circostanze dalla P.O. per la propria masturbazione (video nominati "2023-02-2617:51", "2023-03-04 19:04- e -2023-03-05 15:00"). percorso file F:/FOTOEXSTRA/F.I.C./video Fe. whatsapp In particolare, nel secondo video indicato (2023-03-04 19:04) Fe. pronunciava le frasi "Era meglio se lo facevi tu" (rif. 08:33. riferita al raggiungimento dell'orgasmo non perpetrato ad opera del Co.) e "Arrivederci al prossimo video:" (rif. 09:40), facendo appunto desumere di aver registrato e di dover catalogare più riprese ". 1.6.2 L'analisi del consulente tecnico del pubblico ministero Il pubblico ministero conferisce incarico all'ing. Co. al fine di evidenziare la presenza, all'interno dei dispositivi in sequestro, di materiale pedopornografico o comunque di elementi di rilievo rispetto ai fatti oggetto di imputazione. Il consulente del pubblico ministero evidenzia diverse chat a contenuto erotico tra l'imputato e la persona offesa: - una chat Instagram tra gli utenti softairitalia e the isna (rispettivamente Co. e I.F.), dal 3.3.2023 al 24.3.2023; - una chat Tik Tok tra "stefanodirectorof' e "the isna010", dal 3.3.2023 al 26.3.2023; - una chat whatsapp tra le utenze in uso a imputato e parte lesa, dal 18.3.2023 al 23.3.2023 (si tratta della stessa chat già acquisita dalla polizia giudiziaria in sede di stesura della denuncia-querela). Il contenuto dei dialoghi è sempre il medesimo: Co. chiede al minore di inviare video e foto; Fe. di regola invia quanto richiesto; se Fe. tergiversa, l'imputato inizia a colpevolizzarlo, dicendo di essere triste e stufo, e minacciando di andare via per sempre. Oltre alle conversazioni, il consulente individua numerose foto e numerosi video di carattere pedopornografico. Le immagini sono stampate per estratto nell'elaborato del perito, ed in talune di esse è visibile chiaramente il volto di Fe.. Il consulente, infine, non rileva tracce di diffusione del materiale pedopornografico. 1.7 Le relazioni dei servizi sociali Il nucleo familiare composto da Ge.El. e dai suoi due figli è conosciuto dai servizi sociali dal febbraio 2015, a seguito di una segnalazione anonima su una possibile situazione di pregiudizio del figlio Ma., rispetto a frequentazioni pericolose e comportamenti aggressivi. La presa in carico effettiva risale alla fine dell'anno 2018, Nel corso del 2019, si opta per un intervento educativo ad alta intensità sui minori, nonché per un percorso di sostegno alla genitorialità nei confronti della madre. G. viene descritta come collaborante, ed in grado di garantire una presenza continua ed una stabilità affettiva nei confronti dei figli. Rispetto ai fatti del 22 e 23 marzo 2023, gli assistenti sociali e gli educatori ricordano di essere stati contattati da Ge., la quale aveva rinvenuto sotto il letto di Fe. un astuccio contenente un vibratore ed aveva poi scoperto le conversazioni erotiche e le foto pedopornografiche scattate da Fe. sul suo cellulare. G. è apparsa "visibilmente scossa e sofferente", ed ha deciso immediatamente di recarsi presso gli uffici di polizia per fare denuncia, accompagnata dall'educatore di riferimento. Il 24.3.2023 la dott. L. effettua un colloquio con Fe., in presenza dell'educatore Co.. L'educatore, poco prima, le comunica alla presenza di Fe. e della sua mamma, di avere appreso da Ge. che all'interno del cellulare di Fe. vi erano scambi di messaggi dal contenuto sessuale tra il minore e Co.. Durante il colloquio, Fe. ha riferito "di sentirsi in colpa, di provare vergogna, tristezza e rabbia per la situazione in essere". Ha accettato di effettuare un percorso psicologico. 1.8 L'ordinanza di applicazione di misura cautelare Il 7.4.2023 viene data esecuzione alla ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere emessa dal GIP presso il Tribunale di Ivrea in pari data. La misura cautelare viene applicata in relazione al capo a), unico reato per il quale vi è richiesta del pubblico ministero. Nel corso dell'interrogatorio di garanzia, Co. si avvale della facoltà di non rispondere. Da ultimo, dopo la pronuncia del dispositivo della presente sentenza, questo giudice ha accolto la richiesta di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere formulata dal pubblico ministero al termine della propria requisitoria anche in relazione al capo b) di imputazione. L'ordinanza è stata depositata il 12.2.2024 ed eseguita in pari data. 1.9 Altri accertamenti Vengono disposti accertamenti tecnici irripetibili, volti alla ricerca di materiale biologico utile ai fini dell'estrazione di profili di DNA sul vibratore e sul gel lubrificante, sequestrati all'esito della perquisizione del 27.3.2023. Gli accertamenti hanno avuto esito positivo, poiché sugli oggetti sono sati rinvenuti campioni biologici significativi, dai quali è stato possibile estrapolare due profili genetici, indicati come "ignoto1" e "ignoto2". Tuttavia, non sono state effettuate successive analisi di comparazione dei profili genetici individuati con quelli dell'imputato o della persona offesa. 2. Valutazioni complessive sul compendio probatorio Va affermata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità dell'imputato in ordine ai reati di cui ai capi 1 e 2. Non si ravvisano, invece, elementi sufficienti per ritenere integrato l'elemento oggettivo del delitto di cui al capo 3. 2.1 Sul delitto di violenza sessuale (capo a) 2.1.1 Gli elementi di prova, in sintesi La prova del reato è di tipo documentale. I messaggi che Co. e Fe. si scambiano nelle chat Whatsapp nel mese di marzo 2023 dimostrano plurimi ed abituali contatti sessuali tra i due, nei termini descritti nel capo di imputazione. Inoltre, all'interno dei dispositivi in sequestro, sono stati rinvenuti molti video che ritraggono Co. ed il minore in atteggiamenti intimi (e ciò già a partire dall'anno 2020, quando Fe. aveva solo nove anni), e video in cui Co. masturba il minore. In un simile contesto, le dichiarazioni del minore - che ha negato ogni tipo di contatto sessuale con l'imputato - non sono in grado di scalfire il quadro probatorio acquisito, a) I rapporti sessuali che emergono dalla lettura delle chat Occorre fare riferimento ai messaggi che Co. e Fe. si scambiano dal 19.3.2023 e 24.3.2023. Il 19.3.2023 alle ore 20:22 Co. chiede a Fe. come sta. Fe. risponde che stava meglio prima, "perché stavo insieme a te Co. chiede se il ragazzo senta già la sua mancanza, e Fe. risponde "si troppo ". Co. commenta: "il pisellino ora sarà triste ", "soffri vero amore mio di là a dormire ", "amore hai una voglia di fare l'amore". Fe. conferma. Co. incalza: "ma sei eccitatissimo ora amore mio, non vedi l'ora di succhiare il pisellino di papi". Fe. risponde: "si troppo". Co. aggiunge: "e il ditino nel sederino ". Fe. ancora una volta conferma. Poi Co. chiede al ragazzo se abbia "il pisellino duro"; quando Fe. risponde "più o meno", Co. lo invita ad andare nella sua stanza nudo "già pronto per fare l'amore". Poi l'imputato aggiunge: "troppa voglia da non resistere, semi duro ma voglioso del tuo amore ", "vedo da stamattina che era duro ", "ora ho visto che farlo in un altro modo di eccita tantissimo da spruzzare di più", "non ti eccita ancora tantissimo di più fare l'amore in quella posizione? ". Fe., a queste esternazioni, risponde a monosillabi ("si", "si troppo"), tanto che Co. lo rimprovera per la mancanza di entusiasmo ( "solo si dici "). Riassumendo. I due sono a casa, dopo cena, nelle rispettive stanze. Poco prima, però, sono stati insieme nella stanza di Co. dove hanno consumato rapporti sessuali. La dimostrazione dell'avvenuta consumazione di atti sessuali emerge dai commenti di Co.; "il pisellino ora sarà triste", "hai una voglia di fare l'amore da impazzire ", "sei eccitatissimo ", "non vedi l'ora di succhiare il pisellino di papi" e "il ditino nel sederino ". Il minore conferma "si, si troppo ". Dal tenore dei messaggi, inoltre, emerge che i contatti sessuali tra i due siano usuali e ripetuti: si fa riferimento a plurimi rapporti di diverso tipo, non solo orali, tanto che Co. commenta: "ora ho visto che farlo in un altro modo ti eccita tantissimo da spruzzare di più". È evidente, quindi, che i due abbiano rapporti sessuali abituali, e che abbiano da poco consumato un rapporto sessuale di tipologia diversa dal consueto. Il giorno 22.3.23 alle 21:30, Co. chiede a Fe. di mandare un video; il minore tergiversa ("sto mandando, li faccio ma più tardi o più presto "), ma l'uomo lo incalza ( " fa nulla mi dispiace che non mandi o che non fai nemmeno più i video, cosa facciamo allora, che brutta notizia amore mio"). Fe., a quel punto, cambia idea e gli promette di mandare i video. L'uomo reagisce con entusiasmo: "mi fai impazzire sei bellissimo amore mio, ti amo troppo, mi fai impazzire non vedo l'ora che facciamo di nuovo l'amore". L'utilizzo della locuzione avverbiale "di nuovo" dimostra che i due hanno già consumato in passato rapporti sessuali. La frase, inoltre, per i suoi toni e per il suo contenuto, dimostra altresì che i contatti sessuali tra i due sono una pratica ormai abituale, quasi quotidiana. Il giorno 23.3.23 ore 21:15, Co. e Fe. iniziano a scambiarsi diversi messaggi su Whatsapp. Dal tenore dei messaggi, si comprende che la madre di Fe. ha chiesto al minore di tenere le porte delle camere aperte, che sospetta qualcosa e sta controllando. Per questo motivo, prima di andare a dormire, Co. è passato dal ragazzo, gli ha dato un bacio della buona notte "normale", e poi è tornato nella sua camera. Fe. si giustifica con Co. dicendogli che vorrebbe fare un video, ma ha la porta aperta per via della regola imposta dalla madre. Co. lo esorta ("e falla la foto"). Fe. chiede come può farla, dato che ha la porta aperta. Co. gli consiglia di farla "da sotto le coperte". Il ragazzo invia le foto richieste, tanto che l'uomo commenta: "hai il pisellino su, amore hai voglia di me". Subito dopo, Co. inizia a pensare a come i due possano nuovamente incontrarsi, eludendo i controlli della mamma: "se ti lascia stare con me in camera mia forse possiamo fare l'amore ". A quel punto Co. comunica al minore che deve andare a fare la doccia. Seguono i seguenti messaggi: 23/03/23, 21:35 - Co.: Hai il pisellino su amore hai voglia di me 23/03/23, 21:35 - Is.: Mentre tu entri per farti la doccia prima di entrare ti succhio il pisellino 23/03/23, 21:36 - Is.: Poi dopo mentre ti lavi passo e ti do altri bacini al pisellino 23/03/23, 21:36 - Co.: Hai voglia di me 23/03/23, 21:36 - Co.: Amore 23/03/23, 21:36 - Is.: Si troppa 23/03/23, 21:37 - Is.: Se riesco ti faccio sprizzare 23/03/23, 21:37 - Co.: E dove come amore 23/03/23, 21:37- Is.: In banio 23/03/23, 21:37 - Co.: Hai voglia di spruzzare 23/03/23, 21:38 - Is.: Io ci metto troppo quindi non cela facciamo ma io riesco a farti spruzzare veloce 23/03/23, 21:39 - Co.: Si chi a me ma se non spruzzi anche te non va bene 23/03/23, 21:39 - Is.: Lo so 23/03/23, 21:39 - Co.: Poi non e vero se hai tantissima voglia spruzzi e come 23/03/23, 21:39 - Is.: Lo zo 23/03/23, 21:40 - Co.: Pure te 23/03/23, 21:40 - Is.: Si 23/03/23, 21:41 - Co.: Per venire in bagnio rischi molto di più che se vieni da me in camera amore 23/03/23, 21:41 - Is.: Dici 23/03/23, 21:41 - Is.: Tra quanto vai in banio?? 23/03/23, 21:42 - Co.: Tra poco ma non so se ne vale la pena amore così ci becca più facile 23/03/23, 21:42 - Is.: No 23/03/23, 21:42 - Is.: Dico sono andato a fare pipi 23/03/23, 21:42 - Co.: Se invece vieni in camera mia no La conversazione prosegue. Co. chiede (ed ottiene) dal minore altre foto del suo pene in erezione, e lo invita ripetutamente ad andare nella sua stanza per consumare un rapporto sessuale. Fe. è titubante perché teme che la mamma lo possa scoprire: dovendo lasciare la porta aperta della sua stanza aperta, la mamma si sarebbe accorta della sua assenza. Alla fine, i due optano per incontrarsi in bagno. Co. alle 21:52 comunica "vado ora". E Fe. risponde: "Aspetto due minuti e poi vado ", L'incontro, evidentemente, non va esattamente come Co. si aspettava. Tanto che egli continua ad incalzare il minore, invitandolo ad andare nella sua camera. Il minore non vuole, perché "ha già rischiato troppo Co. è perentorio: "va bene allora non facciamo più nulla assieme rischiato cosa? allora per non rischiare non si fa più nulla ok". Fe. commenta: "che non ho fatto lo spruzzo, No Ed a quel punto, Co. insiste: "lo so ma se hai paura non funziona lo sai, prova a venire da me ". Lo scambio di messaggi non deve essere commentato ulteriormente. Il suo contenuto è oltremodo chiaro. I due fanno riferimento a pratiche sessuali abituali, in particolare orali. Co. ed il minore si incontrano abitualmente la sera nella stanza dell'uomo per consumare rapporti sessuali. Quella sera, a causa dei sospetti della madre (che aveva imposto a Fe. di stare nella sua stanza e di tenere la porta aperta), i due non possono incontrarsi. Ma Co. non si rassegna: cerca di convincere Fe. ad andare lo stesso in camera sua; il minore ha paura di essere "beccato" e si mostra ancora titubante. Da qui, l'idea di consumare un rapporto orale in bagno. Il giorno dopo, 24.3.23, alle 6:45 del mattino Co. inizia con i messaggi del buongiorno, chiedendo al minore di fare l'amore quella sera ( "a stasera amore mio bellissimo unico vieni in camera mia ok"). Si tratta di una ulteriore riprova dell'avvenuta consumazione di rapporti sessuali pregressi, e della quotidianità di simili pratiche. b) L'analisi del materiale in sequestro All'interno di uno degli hard disks sequestrati, sono stati rinvenuti diversi video che ritraggono imputato e persona offesa in atteggiamenti intimi. Si riporta quanto evidenziato dalla polizia giudiziaria nella annotazione del 15.6.2023, rispetto all'analisi del reperto denominato "(...) hard-disk C.": - "durante l'analisi dell'hard-disk indicato si riscontrava la presenza di cospicue fotografie (1715 elementi) ed innumerevoli video (147 elementi per un totale di 18,3 GB) a sfondo sessuale (specificatamente pedopornografico) ritraenti il minore sopraindicato, in alcune circostanze completamente svestito, in altre parzialmente (con in evidenza l'organo genitale e la parte del fondoschiena includente l'orifizio anale) ed in atteggiamenti intimi/sessuali con la P.S.I., tra l'anno 2020 e l'anno 2023 "; - in uno dei filmati, si vede Co. che con la sua mano masturba il minore, il quale riprende la scena con un dispositivo cellulare mentre è sdraiato sul letto (video nominati "trashed(...)" del 21.02.2023 ore 09:11 e video "Ha voglia sempre di me mi ama troppo"). - in molti video inviati all'imputato il minore si filma mentre si masturba, utilizzando il vibratore a lui consegnato da Co. (video nominati "2023 - 02-26 17:51", "2023-03-04 19:04- e -2023-03-05 15:00"); "in particolare, nel secondo video indicato (2023-03-04 19:04) Fe. pronunciava le frasi "Era meglio se lo facevi tu" (rif. 08:33. riferita al raggiungimento dell'orgasmo non perpetrato ad opera del Co.) e "Arrivederci al prossimo video" (rif. 09:40), facendo appunto desumere di aver registrato e di dover catalogare più riprese". c) La valutazione delle dichiarazioni di I.F. Come già ricordato, F.I. nel corso della sua deposizione conferma unicamente l'invio a Co. di video e fotografie delle sue parti intime. Egli cerca di minimizzare la gravità dei fatti, parlando di circa cinquanta foto (mentre il materiale in sequestro evidenzia migliaia di file pedopornografici che lo ritraggono). F., invece, nega di avere mai avuto qualsiasi tipo di contatto sessuale con l'imputato, parlando unicamente di "coccole" consistite in baci e toccamenti in zone del corpo non erogene (guance, braccia, naso, etc.). Messo di fronte al contenuto della chat acquisita, il minore sostiene di aver detto quelle frasi per compiacere il suo interlocutore, senza peraltro comprenderne a pieno il significato. La spiegazione offerta dal minore non è chiaramente verosimile. Tuttavia, è facile comprendere il motivo per cui Fe., anche se messo di fronte alle contraddizioni del suo racconto, continui a negare l'evidenza. In primo luogo, Co. per lui è come un padre, ed è così che egli si presenta volutamente agli occhi del minore. In secondo luogo, Fe. è vittima di un atteggiamento seduttivo e gravemente manipolatorio dell'imputato, il quale sfrutta l'ambiguità del suo ruolo di padre/amante, e pone in essere un sottile gioco di ricatto psicologico, ogni qual volta il minore si mostri restio ad aderire alle richieste sessuali dell'uomo. In terzo luogo, la condotta delittuosa ha inizio quando Fe. è solo un bambino; egli ha appena nove anni, quando l'imputato inizia a scattargli fotografie pedopornografiche, così inducendo in lui l'idea della "normalità" delle sue morbose attenzioni. Le immagini dell'audizione consentono di evidenziare importanti elementi relativi al linguaggio para-verbale del minore. L'esame è faticoso e, quando entra negli aspetti specifici dei fatti oggetti di contestazione, deve essere sospeso a causa della tensione creatasi, per consentire al minore di prendere una pausa. Il racconto di Fe., sui temi specifici, non è mai spontaneo, ma evidenzia imbarazzo e una grave sofferenza intima. In altri termini, il dato dichiarativo va letto in maniera più approfondita e contestualizzata. Esso, lungi dal rappresentare un elemento di prova distonico, è l'espressione del vissuto tipico dei minori abusati, caratterizzato da senso di imbarazzo e autocolpevolizzazione. L'apparente contrasto tra prova dichiarativa e documentale progressivamente si stempera. E le parole di Fe., inizialmente incongruenti, diventano la miglior conferma di un quadro probatorio ormai granitico. 2.1.2 Sulla qualificazione giuridica a) La nozione di atti sessuali È corretta la scelta del pubblico ministero di includere nel novero delle condotte delittuose anche agli atti di autoerotismo della vittima, filmati ed inviati all'imputato. Com'è noto la nozione di atto sessuale non richiede necessariamente un contatto fisico tra vittima e agente. L'atto sessuale rappresenta un concetto ampio, che ricomprende ogni condotta che, più in generale, coinvolga la corporeità sessuale della vittima. Si pensi agli atti sessuali che si perfezionano mediante comunicazioni telematiche: in questo caso, manca per definizione un contatto fisico, ma è parimenti indubbio che possano consumarsi atti sessuali penalmente rilevanti. L'ipotesi più frequente nella casistica giurisprudenziale è proprio quella che si è verificata nella fattispecie sub indice: l'autore del delitto trova soddisfacimento sessuale dal fatto di assistere, per via telematica, all'esecuzione di atti sessuali di autoerotismo da parte della vittima. E poiché la vittima è stata indotta a compiere l'atto sessuale sfruttando la sua condizione di inferiorità, sarà configurabile, anche rispetto a tali condotte, il delitto di cui all'art. 609 bis c.p. b) L'abuso di condizioni di inferiorità psichica I fatti come sopra ricostruiti integrano il delitto di cui all'art. 609 bis c.p., sub specie violenza sessuale "per induzione" (ossia, mediante abuso della condizione di inferiorità psichica). La fattispecie di cui all'art. 609 bis comma 2 n. 1 c.p., com'è noto, richiede un'opera di persuasione sottile e subdola, con cui l'agente spinge o istiga il soggetto, che versi nella ricordata situazione di inferiorità fisica o psichica, ad aderire ad atti sessuali che, altrimenti, non avrebbe compiuto. La nozione di inferiorità psichica può anche prescindere da fenomeni di patologia mentale, ed essere connessa ad un limitato processo evolutivo mentale e culturale. Tipico è il caso dell'abuso commesso su vittime infraquattordicenni: la vittima, in ragione della sua età minore e delle sue condizioni familiari (ad esempio perché priva di figure genitoriali di riferimento) diventa un vero e proprio strumento di piacere nelle mani dell'agente, che può piegarla alle proprie voglie sessuali attraverso una condotta subdola e persuasiva esplicabile anche mediante forme di sopraffazione approfittatrici della fragile personalità della vittima, senza la necessità di porre in essere condotte di tipo intimidatorio e/o costrittivo. Tuttavia, la condizione di inferiorità richiesta dall'articolo 609-bis cod.pen. non può essere dedotta semplicemente dalla condizione di minore infraquattordicenne della parte offesa, dovendo, al contrario, sussistere il quid pluris richiesto dalla norma incriminatrice, ovvero l'induzione mediante abuso dell'inferiorità fisica o psichica, essendo punibili soltanto le condotte consistenti nell'induzione all'atto sessuale mediante abuso del suddetto stato di inferiorità, sì che, pur sussistendo un consenso della vittima a detto atto, esso è tuttavia viziato dalla condizione di inferiorità e dalla strumentalizzazione di detta condizione. Venendo al caso di specie, sussiste una situazione di sfruttamento delle condizioni di inferiorità fisica e psichica del minore, legata non solo alla minore età della vittima ma anche a plurimi e svariati indici, noti all'imputato e da lui sfruttati al fine di soddisfare i propri istinti sessuali. In primo luogo, Co. sfrutta il divario di età ed il suo ruolo genitoriale. Fe., nel periodo oggetto di contestazione, ha un'età compresa tra i nove e i dodici anni. Co. è un adulto, che entra nella famiglia della vittima come compagno della mamma, con ciò acquisendo e mantenendo (anche dopo la fine della relazione sentimentale con G.) un ruolo genitoriale, tale da ingenerare un totale senso di affidamento nel minore. Va ricordato, che il padre biologico di Fe. ha abbandonato la famiglia quando la persona offesa aveva tre anni, per trasferirsi in Svizzera, dove si è risposato ed ha avuto altri quattro figli; egli non ha mantenuto rapporti, neppure telefonici, con Fe. e Ma., scomparendo del tutto dalla loro vita. È proprio in questo contesto che si inserisce Co., il quale viene ad occupare stabilmente (e con grande facilità) il ruolo di "padre vicario" della famiglia. In secondo luogo, Co. sfrutta una situazione di ambiguità, volutamente creata a suo vantaggio, legata al suo ruolo di genitore/amante. È lo stesso Fe. che ricorda che Co. gli chiedeva di chiamarlo "papà" davanti agli estranei, ma "amore" nella intimità. L'esempio plastico di tale commistione è il nome con cui Fe. memorizza l'utenza di Co. sul proprio cellulare: "il mio papi amore unico al mondo". Per utilizzare le parole della dott. D.R., Co. "ha sovrapposto il suo ruolo di figura genitoriale vicaria, di cui aveva bisogno il minore, al ruolo di seduttore sessuale, comportando una iniziazione omosessuale, senza che Fe. avesse chiarezza sulla sua identità di genere ". In terzo luogo, Co. isola il minore: fa sì che Fe. abbia un rapporto esclusivo con lui, ed il fatto di non poter rivelare l'esistenza della relazione a nessuno, genera una situazione di isolamento psicologico. Le sue attenzioni sono totalizzanti e morbose: come ricorda Ge., "F. non poteva fare nulla da solo, nemmeno la doccia, nemmeno parlare con me ". In quarto luogo, Co. pone in essere veri e propri ricatti psicologici: egli alterna gratificazioni (frasi di amore, complimenti e lusinghe) ad attacchi verbali ("coglione", "non capisci un cazzo", "handicappato", etc.), così destabilizzando in maniera totale la psiche della vittima. È il meccanismo, tipico del ciclo della violenza, del brainwashing, ossia "la paura, in questo caso originata dalla prospettiva della vittima di assumersi completamente la responsabilità della rottura del legame, senza che le vengano illustrate le possibili conseguenze e anzi riportando a galla in maniera subdola la disparita di ruoli nella vita quotidiana "27. In difetto di tali condizioni, il minore non avrebbe mai prestato alcun consenso al compimento di atti sessuali, da lui non richiesti ed imposti in modo precoce quando Fe. non ha neppure raggiunto l'età della adolescenza. F. asseconda i desideri di Co., perché egli è l'uomo scelto dalla madre, l'adulto di fiducia, ed il padre che non ha mai avuto. L'imputato, dal canto suo, lo blandisce, lo manipola creando artatamente una confusione di ruoli nella mente del ragazzo. Ma in assenza di tale opera di strumentalizzazione e abuso, Fe. non si sarebbe mai determinato a compiere gli atti sessuali indicati nel capo di imputazione. Le argomentazioni sopra esposte portano, quindi, a respingere la richiesta della difesa di riqualificazione dei fatti ai sensi dell'art. 609 quater c.p. Sussistono, infine, le circostanze aggravanti contestate. Il reato è commesso nei confronti di vittima infraquattordicenne, alla quale l'imputato era legato da relazione affettiva, sfruttando la relazione di coabitazione. Ed infatti, la nozione di "relazione affettiva" di cui all'art. 609 ter n.5 quater c.p., fa riferimento ad un rapporto sentimentale - non necessariamente caratterizzato da convivenza - che di fatto facilita il delitto, consentendo all'agente lo sfruttamento del rapporto di fiducia della vittima nei suoi confronti. Quanto alla circostanza aggravante di cui all'art. 61 n.11 c.p. - che pacificamente ricorre nel caso di specie, giacché la coabitazione ha certamente favorito la commissione delle violenze - essa può concorrere con la circostanza aggravante speciale prevista dall'art. 609 ter co.2 c.p.: quest'ultima è relativa all'età della persona offesa, l'altra invece afferisce al fatto oggettivo dell'abuso delle relazioni derivante dalla coabitazione. 2.2 Sul delitto di produzione di materiale pedopornografico (capo b) 2.2.1 Gli elementi di prova, in sintesi Anche in questo caso, la prova è di tipo documentale. La piattaforma probatoria è già stata analizzata descrivendo la condotta del delitto di violenza sessuale c.d. virtuale (ossia mediante induzione ad atti di autoerotismo, da filmare ed inviare all'imputato). Riassumendo, Co. richiede insistentemente al minore l'invio di fotografie delle sue parti intime: egli spiega a Fe. come scattare la foto, in che posizione mettersi, invitandolo anche ad utilizzare il vibratore che gli ha consegnato a tale specifico scopo. Le sue richieste iniziano il mattino alle 6, quando l'imputato si sveglia; riprendono la sera prima di addormentarsi, sono frequenti ed ossessive. Se Fe. tergiversa, Co. mette in atto quel sottile gioco psicologico già emerso: lo accusa di non volergli bene, e minaccia di rompere definitivamente il loro rapporto. Ed allora Fe., scusandosi, invia immediatamente il materiale richiesto, ottenendo le lusinghe e l'approvazione del "suo papi". L'analisi del materiale sequestrato consente di evidenziare la quantità del materiale pedopornografico prodotto: solo all'interno di un hard disk, sono state rinvenute 1.715 fotografie e 147 video di natura pedopornografica che ritraggono Fe.. Esse risalgono ad un periodo compreso tra il 2020 ed il 2023. Ciò significa che Co. ha iniziato ad utilizzare Fe. per produrre materiale pedopornografico quando la vittima era ancora un bambino dell'età di nove anni. Risalgono a questo periodo, taluni video in cui Co. riprende Fe. completamente svestito, e che l'imputato deciderà di memorizzare ed archiviare con questi titoli: "corona", "F. sedere", "il ballo di F.", "il ballo di Fe. sex". A fronte di simili prove documentali, le dichiarazioni del minore sul punto (il quale conferma ma quantifica diversamente il numero di foto e video pedopornografici) non sono in grado di scalfire la solidità del quadro probatorio. I motivi della parziale divergenza tra prova dichiarativa e documentale sono già stati esaminati, e ad essi ci si richiama. 2.2.2 Sulla qualificazione giuridica Nulla quaestio in merito alla natura pedopornografica delle immagini. Le foto ed i video in sequestro integrano perfettamente la definizione di cui all'art. 600 ter co. 7 c.p.p.: si tratta, infatti, di immagini che ritraggono la persona offesa coinvolta in attività sessuali esplicite. Sussiste altresì il requisito della "utilizzazione" del minore. Come chiarito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte del 2018, non è più necessario dimostrare il concreto pericolo di diffusione del materiale pedopornografico, tenuto conto della nuova formulazione della disposizione (da "sfruttamento" a "utilizzo") e del mutato contesto sociale (con particolare riferimento alla potenzialità diffusiva dei nuovi dispositivi tecnologici - si pensi a smartphone o device comunque collegati alla rete internet - che rende anacronistico il riferimento al pericolo concreto di diffusione). Il focus si sposta sulla nozione di utilizzo del minore, nozione che prescinde dal consenso del minore in quanto tale. L'utilizzo del minore può ricorrere non solo quando l'agente produca da sé il materiale pedopornografico, ma anche quando egli induca o istighi a tali azioni il minore: è del tutto irrilevante, infatti, che il minore realizzi il materiale di propria iniziativa, quando emerge la prova della degradazione dello stesso a oggetto di manipolazioni. In tali ipotesi il minore diventa una sorta di autore mediato, che attua la condotta oggetto di incriminazione non per sua libera scelta, ma perché in balia della volontà dell'agente. È quanto avvenuto nel caso di specie. Una parte delle fotografie e dei video è stata realizzata direttamente dall'imputato; altre immagini sono state registrate dal minore e poi inviate a Co.. Le immagini realizzate dal minore non possono essere considerate il frutto di una libera scelta. Si tratta, infatti, di un ragazzo di dodici anni, che quindi non ha l'età per esprimere un valido consenso agli atti sessuali con persona minorenne o maggiorenne. In più nel caso di specie, Fe. è stato indotto a realizzare le fotografie dall'imputato, che ha sfruttato le condizioni di inferiorità psichica. Pertanto, la circostanza che il minore abbia realizzato il video da sé non esclude la rilevanza penale del fatto: in questo caso, il consenso del minore deve ritenersi del tutto ininfluente, poiché proviene da un soggetto infraquattordicenne, che non ha ancora raggiunto l'età normativamente prevista per esprimere un valido consenso agli atti sessuali, e che è stato comunque indotto con abuso di inferiorità a realizzare tale materiale. In altri termini, siamo sicuramente fuori dal perimetro di applicazione dell'istituto di elaborazione giurisprudenziale della c.d. pornografia domestica. Infine, le due ipotesi di reato (art. 609 bis c.p. e 600 ter c.p.) possono concorrere, "trattandosi di condotte fattualmente e cronologicamente distinte, laddove l'agente induca la persona offesa minorenne dapprima a compiere su di se atti sessuali (ciò che integra il delitto di atti sessuali con minorenne), e poi a registrare e a inviargli filmati di contenuto pedopornografico, anche se per suo uso privato (il che realizza il delitto di pornografia minorile) ". Per chiudere rispetto alle questioni in diritto, occorre analizzare il tema delle circostanze aggravanti. Il pubblico ministero, pur non facendo espresso riferimento all'art. 602 ter co. 5 c.p., ha ritenuto che il delitto di produzione di materiale pedopornografica sia aggravato "dall'aver commesso il fatto nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni 14 Inoltre, ha inserito nel testo del capo di imputazione la data di nascita della persona offesa ("nato il 31.10.2010"). Tali elementi inducono a ritenere, inequivocabilmente, che il pubblico ministero abbia inteso contestare anche l'aggravante speciale prevista espressamente dall'art. 602 ter co. 5 c.p.: sebbene quest'ultimo comma colleghi l'aggravamento di pena al fatto dell'essere il delitto commesso nei confronti di soggetto infrasedicenne (e non infraquattordicenne), è chiaro che si tratti di un semplice refuso, Sussistono, quindi, i presupposti per ritenere contestata "in fatto" l'aggravante già citata. Come ribadito dalla Suprema Corte - peraltro proprio con riferimento ad un caso del tutto analogo a quello sub iudice - tale operazione è consentita qualora ricorrano due requisiti: in primo luogo, non si deve trattare di aggravante a contenuto valutativo; in secondo luogo, nell'imputazione deve essere chiaramente evidenziata tale finalità. Nel caso di specie, sussistono entrambi i requisiti. L'età della persona offesa al momento dei fatti non è un dato opinabile: si tratta di un dato matematico ed oggettivo, che emerge dal semplice confronto tra la data di nascita (riportata nel capo di imputazione) e la data del commesso reato. Inoltre, emerge in modo chiaro la volontà del pubblico ministero di contestare la citata aggravante: non può essere altrimenti interpretato il riferimento conclusivo contenuto nel capo b) alla "aggravante di avere commesso il fatto nei confronti di persona (...) che non ha compiuto gli anni 14". Allo stesso modo, l'indicazione della data di nascita della persona offesa non può avere altre finalità se non quella di indicare l'aggravante in parola: la minore età della persona offesa è già essa stessa elemento costitutivo del delitto di produzione di materiale pedopornografico; se la data di nascita viene inserita è perché si vuole valorizzare un ulteriore elemento, questa volta solo eventuale ed accidentale, al quale la legge ricollega un aggravamento di pena. Per la configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 61 n.11 c.p., si richiamano le considerazioni già svolte con riferimento al delitto di cui al capo a). 2.3 Sul delitto di maltrattamenti in famiglia (capo c) La condotta contestata sub c) è composta di due segmenti: da un lato, vi è il riferimento alle condotte di cui ai capi a) e b); dall'altro lato vi è il riferimento all'attività di costante controllo dell'imputato nei confronti del minore, nonché a minacce e insulti proferiti all'indirizzo della persona offesa. Soffermando l'attenzione sul secondo segmento della condotta, occorre evidenziare che si tratta di azioni desunte sulla base della lettura della chat whatsapp più volte citata del mese di marzo 2023. È proprio in questi messaggi che Co. si spazientisce se non riceve subito la risposta del minore, accusandolo di essere al telefono con altri; ed è sempre in questi messaggi che l'imputato, quando il minore si mostra dubbioso rispetto alle sue avances o alle richieste di foto, inizia ad insultarlo dicendogli che è "un handicappato " o lo minaccia di rompere la relazione con lui. Da qui due considerazioni. In primo luogo, gli insulti e le minacce sono sempre strumentali alla realizzazione dei delitti di violenza sessuale e di produzione di materiale pedopornografico. Non si assiste mai ad insulti o minacce "gratuiti". Il contesto in cui si inseriscono è sempre quello delle richieste ossessive ed insistenti di Co. nei confronti del minore. In secondo luogo, le frasi riportate nel capo di imputazione sono quelle registrate nelle conversazioni avvenute nell'arco temporale di due giorni (22 e 23 marzo 2023). Si tratta, quindi, di un campione scarsamente significativo, soprattutto se confrontato con il più ampio ed esteso rapporto personale tra imputato e persona offesa, nella prospettiva di un reato - come quello di maltrattamenti in famiglia - di natura abituale. In diritto, il rapporto tra i delitti di cui agli artt. 609 bis e 572 c.p. è chiaro: vi è assorbimento nel più grave delitto di violenza sessuale, quando vi è piena coincidenza tra le condotte, nel senso che gli atti lesivi sono finalizzati esclusivamente alla realizzazione della violenza sessuale e sono strumentali alla stessa; vi è concorso in caso di autonomia parziale delle condotte, le quali ricomprendono anche atti ripetuti di percosse gratuite e ingiurie non circoscritte alla violenza o alla minaccia strumentale alla realizzazione della violenza sessuale. Nel caso di specie, gli insulti e le minacce sono finalizzati alla realizzazione dei delitti di cui ai capi a) e b), ed in essi si esauriscono, non essendovi ulteriori ed autonomi segmenti di condotta. Da ciò consegue l'assoluzione per il reato di cui al capo c) con la formula "perché il fatto non sussiste". 3. Trattamento sanzionatorio Riassumendo, si è giunti a condanna per i delitti di cui ai capi a) e b). Quest'ultimo è stato considerato altresì aggravato ai sensi dell'art. 602 ter co. 5 c.p., circostanza contestata in fatto. I due reati sono unificati da un medesimo disegno criminoso, costituendo il frutto dell'ideazione e della volizione di uno scopo unitario, di un programma complessivo in cui si collocano le singole azioni. Lo si desume dalla contiguità spazio-temporale tra i fatti, dalle modalità della condotta e dalla omogeneità delle violazioni. Il reato più grave, in quanto punito con la pena edittale più elevata nel massimo, è quello contestato al capo b): la sua cornice edittale contempla, rispetto al reato di cui al capo a), anche la pena della multa, ed occorre tenere conto della circostanza ad effetto speciale di cui all'art. 602 ter comma 5 c.p., sottratta ex lege al giudizio di bilanciamento. La pena-base può essere fissata nei minimi edittali, ossia anni 6 di reclusione ed Euro 24.000 di multa. Deve essere esclusa la recidiva contestata. L'imputato ha riportato una prima condanna a pena pecuniaria (punto n.1 del casellario), non valutabile ai fini della recidiva. La seconda condanna attiene ad un furto commesso nel 2019 (la sentenza è divenuta definitiva il 4.12.2021, cfr. punto 2 del casellario), mentre l'ultima condanna a divenire definitiva riguarda un episodio di lesioni personali commesso nel 2016 (cfr. punto 3 del casellario). Si tratta di fatti assai risalenti, e di reati del tutto eterogenei rispetto a quelli per cui si procede. Essi non paiono espressivi di una maggiore colpevolezza o pericolosità dell'agente. Possono essere concesse le circostanze attenuanti generiche, in considerazione del corretto comportamento processuale dell'imputato, il quale ha tenuto una condotta collaborativa nelle fasi della perquisizione. Come già ricordato, il reato di cui al capo b) è da considerarsi aggravato ai sensi degli artt. 61 n.11 e 602 ter co. 5 c.p. La prima aggravante è una circostanza ad effetto comune bilanciabile. La seconda aggravante, invece, è una aggravante ad effetto speciale, non bilanciabile con le circostanze attenuanti diverse da quelle di cui all'art. 89 e 114 c.p. (art. 602 ter ultimo comma c.p.). Le circostanze attenuanti di cui all'art. 62 bis c.p. possono essere considerate equivalenti rispetto all'aggravante di cui all'art. 61 n.11 c.p. (l'unica circostanza bilanciabile). Un più favorevole giudizio di bilanciamento è precluso dal confronto tra i plurimi indici di gravità che fondano le aggravanti contestate rispetto ai pochi elementi positivamente valutabili ai sensi dell'art. 62 bis c.p. Ai sensi dell'art. 602 ter ultimo comma c.p., la diminuzione di pena ex art. 62 bis c.p, opera sulla quantità risultante dall'aumento conseguente alle aggravanti non bilanciabili. Quindi, la pena-base di anni 6 di reclusione ed Euro 24.000 di multa, va aumentata della metà (così applicando l'aumento minimo consentito dalla legge), in modo da giungere ad anni 9 di reclusione ed Euro 36.000 di multa. A questo punto, va applicata la diminuzione, per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ad anni 8 di reclusione ed Euro 30.000 di multa. La diminuzione che si ritiene di operare è inferiore a quella massima consentita dalla legge. La ragione risiede nel fatto che, pure a fronte di singoli comportamenti processuali positivamente valorizzabili, manca del tutto una rivisitazione critica da parte dell'imputato della propria condotta. Co., infatti, non ha mai reso dichiarazioni nel corso del processo, non ha risarcito la persona offesa, non ha inviato lettere di scuse: per quanto si tratti dell'esercizio di una legittima facoltà processuale, non è possibile acquisire aliunde la prova di una presa di coscienza da parte dell'imputato della sofferenza inflitta al minore e della gravità delle ripercussioni che la sua condotta ha avuto sulla psiche e sullo sviluppo del minore. A questo punto, deve essere applicato un aumento per la continuazione interna al capo b) che si reputa congruo individuare nella misura di anni 1 di reclusione ed Euro 7.000 di multa. La misura dell'aumento - significativa ma non elevata - è giustificata: - dalla durata della condotta, che si snoda senza interruzioni significative per oltre tre anni, dal 2020 al 2023; - dal fatto che Co. ha iniziato a fotografare e filmare Fe. quanto costui aveva soli 9 anni; la condotta si è protratta senza soluzione di continuità per anni e, in assenza dell'intervento dell'autorità giudiziaria, non si sarebbe autonomamente arrestata; - dalla quantità impressionante di materiale pedopornografico rinvenuto nel corso della perquisizione (nel solo hard disk, sono stati trovati 1.715 fotografie e 147 video, per un totale di 18,3 GB); - dal grado di coercizione della volontà della vittima (massimo); - dall'intensità del dolo, testimoniata dal fatto che l'imputato ha archiviato minuziosamente tutte le fotografie ed i video pedopornografici all'interno di un hard disk, provvedendo anche a rinominare i file. Si giunge così alla pena di anni 9 di reclusione ed Euro 37.000 di multa. Va, poi, applicato l'aumento per la continuazione esterna con il capo a). L'aumento va effettuato su entrambe le pene congiuntamente previste ed inflitte per il reato più grave (reclusione e multa), anche se taluno dei reati satellite è punito con la sola pena della reclusione. Quanto alla misura dell'aumento, si ritiene congruo applicare un aumento di anni 1 mesi 6 di reclusione ed Euro 8.000 di multa (già tenuto conto della continuazione interna). La misura dell'aumento riflette: - la gravità in astratto del reato (le cui pene edittali sono assai severe); - la gravità in concreto degli episodi di violenza (tenuto conto del grado di invasività della condotta e degli incalcolabili danni provocati sulla psiche del minore); - la durata di tali condotte (che si protraggono per anni, come dimostrato dal rinvenimento di video risalenti al 2020, quando Fe. aveva appena 9 anni) e dalla loro frequenza (quantomeno nell'ultimo mese, quotidiana). Si giunge così alla pena di anni 10 mesi 6 di reclusione ed Euro 45.000 di multa, diminuita per il rito ad anni 7 di reclusione ed Euro 30.000 di multa. Alla condanna dell'imputato consegue per legge quella al pagamento delle spese processuali nonché di quelle di mantenimento durante la custodia cautelare patita. Alla condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni (da calcolare sulla base della pena irrogata per il reato più grave, al netto dell'aumento per la continuazione e della riduzione per il rito) consegue, ai sensi dell'art. 29 c.p., l'interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici. L'imputato, ai sensi dell'art. 32, comma 3, c.p., deve essere considerato in stato di interdizione legale durante il tempo dell'esecuzione della pena. Alla condanna per i delitti di cui ai capi a) e b) consegue obbligatoriamente, ai sensi dell'art. 609-nonies c.p. e 600 septies 2 c.p., l'applicazione delle pene accessorie indicate in dispositivo. La condanna per il delitto previsto dall'art. 609 bis aggravato ai sensi dell'art. 609 ter c.p.c.omporta, dopo l'esecuzione della pena, l'applicazione delle misure di sicurezza previste dall'art. 609 nonies co. 3 c.p. L'applicazione della misura di sicurezza è conseguenza automatica della condanna, e non è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice. Quanto alla durata, si reputa congruo applicare la misura di sicurezza per la durata di sette anni. Tale durata, superiore al minimo di legge, è giustificata dalla elevata pericolosità sociale dell'imputato. Co., secondo quanto ricordato da Ge., è già stato segnalato dalla polizia in quanto sorpreso mentre sostava fuori da una scuola di Co. e consegnava sigarette ai ragazzini. Inoltre, il prof. Co. ha riferito ai servizi sociali che un compagno di classe di Fe., che aveva evidentemente conosciuto Co., ne parlava in termini affascinati, raccontando che l'imputato "avrebbe insegnato ad alcuni di loro a tirare cazzotti agli altri". È chiaro, quindi, che la sua pericolosità sociale è massima. Infine, si procede a revocare la sospensione condizionale concessa con le sentenze del Tribunale di Ivrea del 19.10.2021 (irrevocabile il 4.12.2021) e del GUP presso il Tribunale di Ivrea del 12.10.2022 (irrevocabile il 25.2.2023). I reati oggetto del presente processo, infatti, risultano commessi nei cinque anni successivi alla data di irrevocabilità delle citate sentenze. 4. Disposizioni sui beni in sequestro Rispetto al materiale informatico in sequestro (cellulari, computer e devices dei quali è stata effettuata copia forense), può esserne disposta la restituzione ai rispettivi aventi diritto, previa eliminazione dei contenuti di natura pedopornografica, a cura della polizia giudiziaria che ha proceduto (Commissariato PS Ivrea). Quanto all'astuccio contenente vibratore e gel lubrificante, nonché ai biglietti sequestrati in occasione della perquisizione presso l'abitazione dell'imputato, deve esserne disposta la confisca e distruzione. 5. Disposizioni relative alla parte civile costituita. L'affermazione della penale responsabilità dell'imputato per i reati di cui ai capi a) e b) comporta altresì la sua condanna al risarcimento del danno subito dalle parti civili costituite. La condotta dell'imputato, infatti, ha cagionato un evidente danno sia al minore, sia indirettamente alla madre Ge.El.. Partiamo dalla posizione di F.I.. La richiesta di risarcimento riguarda sia i danni patrimoniali che quelli non patrimoniali, conseguenza immediata e diretta della condotta dell'imputato. I danni patrimoniali - rappresentati dai costi delle sedute di psicoterapia e dalle spese sanitarie sostenute per le cure avviate - non sono ad oggi quantificabili. Si rende pertanto necessaria la rimessione avanti al giudice civile per una puntuale quantificazione. Rispetto al danno non patrimoniale, esso avrà sicuramente una componente legata al danno biologico patito dal minore, temporaneo e permanente. Si tratta di liquidare le conseguenze della lesione del diritto alla salute di Fe., in considerazione dei danni fisici e soprattutto psichici da lui riportati per effetto delle condotte delittuose contestate. Al riguardo, è opportuno ricordare che la perizia psicodiagnostica in atti ha già evidenziato nel minore un funzionamento depressivo post-traumatico particolarmente grave, tale da rendere necessaria una urgente segnalazione di possibile pregiudizio per il minore da parte del consulente del pubblico ministero. La dott. D.R. ha rilevato una profonda e grave sofferenza psichica, un diffuso malessere, condotte e pensieri di autosvalutazione, senso di danneggiamento, massiccia repressione di vissuti negativi. Tali condizioni sono ricollegabili ai gravi abusi subiti da Co., non emergendo una situazione preesistente che possa autonomamente giustificare il quadro sintomatico rilevato, e trattandosi di sintomi perfettamente collimanti con la diagnosi del disturbo post traumatico. II minore è stato esposto ad una violenza cronica e costante, mascherata dalla confusione dei linguaggi proposta da Co., il quale "ha utilizzato il suo ruolo di genitore fiduciario a confronto con un genitore biologico che è abbandonico e trascurante, quindi delusivo per Fe., che ha scelto la strada della depressione per rendere sintomatica l'esperienza deostruente ". Sempre rispetto al danno biologico, nella prospettiva di una sua possibile quantificazione, va osservato che la giurisprudenza civile, in presenza di plurimi reati dolosi, tiene conto della maggiore intensità delle sofferenze psicofisiche subite dal danneggiato, rispetto a quelle delle fattispecie normalmente prese in considerazione (sinistri stradali o al più reati colposi). Pertanto, il valore del danno biologico viene calcolato applicando in termini doppi la personalizzazione massima prevista dalla Tabella Milanese. Oltre al danno biologico, vi è sicuramente una ulteriore voce di danno legata alla lesione del diritto all'autodeterminazione sessuale del minore. Al riguardo, occorre sottolineare che la violenza sessuale per induzione non è un quid minus rispetto alla corrispondente fattispecie commessa con violenza e minaccia: sia perché il legislatore ha voluto parificare agli effetti sanzionatori le due ipotesi, sia perché una condotta induttiva può essere assai più insidiosa e grave rispetto a quella violenta, soprattutto in ambito familiare. Il caso in esame ne è un esempio: il grado di violenza utilizzato (intesa come violenza fisica) è inversamente proporzionale alla gravità del fatto. Le condotte non sono mai violente o minacciose, ma si traducono in attività graduali ed induttive. Ma proprio per il loro carattere subdolo (l'imputato si presenta come padre vicario, si fa chiamare papà), tali condotte hanno un grado di invasività ancora maggiore: penetrano nella psiche del minore, e lo inducono a ritenere "normale" che il compagno della madre abusi di lui. La volontà del minore, in questo modo, è annullata. Il grado di coartazione della sua libertà sessuale (soprattutto perché la vittima ha nove anni quando iniziano gli abusi) è pressochè totale. Nella quantificazione del danno non patrimoniale è possibile tenere conto dei seguenti parametri: - età della vittima: al momento dell'inizio degli abusi Fe. aveva 9 anni; quindi una età assai lontana da quella prevista dalla legge per potere esprimere in modo valido e libero il proprio diritto alla sessualità; - rapporto tra vittima e imputato: Co. è l'ex compagno della madre, si presenta a Fe. come un padre, tanto che si fa chiamare così dal ragazzo; i fatti sono particolarmente gravi perché avvengono ad opera di un soggetto che ha un ruolo genitoriale; - contesto in cui si sono verificati i fatti: all'interno dell'abitazione del minore, ove egli vive anche con la madre ed il fratello maggiore, quindi in un contesto che il minore considera protetto; - durata della condotta e numero degli episodi: i fatti si protraggono per tre anni; nell'ultimo periodo le richieste di fotografie, video e gli atti sessuali hanno frequenza quotidiana. Tenuto conto degli indici sopra ricordati, si deve ritenere che, benché le prove acquisite non consentano la liquidazione immediata del danno, sia stata raggiunta la prova quantomeno di un danno pari ad Euro 80.000. L'imputato, pertanto, deve essere condannato a versare a I.F. la somma di denaro sopra indicata, a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva. È possibile passare alla parte civile Ge.El.. È pacifico che i genitori di un minore, persona offesa dal reato di violenza sessuale, pur non essendo vittime primarie dell'illecito penale, hanno diritto iure proprio al risarcimento dei danni da loro subiti. Nel caso in esame, Ge. ha sicuramente subito un danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale da lei patita in relazione ai fatti oggetto di imputazione: i servizi sociali la descrivono come persona sconvolta ed affranta, soprattutto perché si tratta di abusi commessi dal proprio ex compagno, con il quale ella aveva deciso di continuare a convivere nonostante la cessazione del loro rapporto sentimentale. Il danno morale patito da Ge. è provato anche in via presuntiva, tenendo conto del suo ruolo di genitore solo (il padre biologico dei bambini non aveva più alcun contatto con loro ormai da anni) e del fatto che gli abusi sono maturati quasi "sotto i suoi occhi", fra le mura domestiche. Pur non essendo possibile addivenire ad una liquidazione in via definitiva del danno (e dovendo pertanto rimettere le parti, anche per la posizione di Ge., davanti al giudice civile), è possibile ritenere che si sia raggiunta la prova di un danno pari quantomeno ad Euro 20.000. La parte civile costituita ha presentato la nota spese che, tenuto conto dell'attività in concreto prestata, del livello di difficoltà del processo e delle tariffe previste dalle tabelle forensi, deve essere liquidata secondo i criteri che seguono (gli importi tengono già conto della riduzione di un terzo di cui all'art. 106 bis D.P.R. n. 115 del 2002, e la fase GIP-GUP rappresenta una fase unica, con conseguente impossibilità di duplicare gli importi richiesti per ciascuna fase): fase studio (Euro 500), fase introduttiva (rappresentata da atto di costituzione di parte civile e memoria in fase di indagini, Euro 400), istruttoria (rappresentata da incidente probatorio e accertamento ex art. 360 c.p.p,, Euro 600), decisoria (Euro 700), per un totale di Euro 2.200, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge. Non si applica l'aumento previsto dall'art. 12 co. 2 D.M. n. 55 del 2014, per ogni assistito oltre il primo, trattandosi di una mera facoltà e non obbligo di legge, non ravvisandosi una autonomia di posizione e di conseguenti attività difensive tale da giustificare l'aumento richiesto. Essendo la parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell'art. 110 comma III, D.P.R. 30 maggio 2002, nr. 115, si dispone il pagamento delle spese liquidate a favore dello Stato. P.Q.M. Visti gli artt. 442, 533, 535 c.p.p. dichiara Co.St. responsabile dei reati a lui ascritti ai capi A) e B), quest'ultimo da ritenersi aggravato anche ai sensi dell'art. 602 ter co. 5 c.p. (circostanza contestata in fatto), e riconosciuto il vincolo della continuazione, esclusa la recidiva, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti bilanciabili, operata la riduzione per il rito, lo condanna alla pena di anni 7 di reclusione ed Euro 30.000 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di mantenimento durante la custodia in carcere; Visti gli artt. 442 e 530 c.p.p., assolve Co.St. dal reato di cui al capo C), perché il fatto non sussiste; Visti gli articoli 240 c.p. e 262 e seguenti c.p.p. ordina il dissequestro e dispone la restituzione a Co.St. dello smartphone (...), del No. e dei tre hard disks esterni, previa eliminazione di tutti i contenuti di natura pedopornografica (cfr. verbale di perquisizione e sequestro del 28.3.2023); ordina il dissequestro e dispone la restituzione ad Is.Fe. dello smartphone (...), dell'Apple Iphone6 e del Notebook Hp, previa eliminazione di tutti i contenuti di natura pedopornografica (cfr. decreto di sequestro a firma del PM di Ivrea del 29.3.2023); dispone la confisca e distruzione del vibratore e del block notes in sequestro. Visti gli artt. 538 e segg. c.p.p., condanna Co.St. al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili Is.Fe. e Ge.El., da liquidarsi in separato giudizio da parte del giudice civile avanti al quale si rimettono le parti; condanna Co.St. al pagamento in favore di Is.Fe. di una provvisionale immediatamente esecutiva pari a 80.000 Euro, ed in favore di Ge.El. di una provvisionale immediatamente esecutiva pari a 20.000 Euro; condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali sostenute dalle parti civili, che liquida in complessivi 2.200 Euro, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge, disponendo che la somma sia versata dall'imputato in favore dell'Erario ai sensi dell'art. 110 D.P.R. n. 115 del 2002. Visti gli artt. 600 septies2 e 609 nonies co. 1 e 2 c.p., applica a C.F.S. le seguenti pene accessorie: 1) l'interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all'amministrazione di sostegno; 2) l'interdizione perpetua dai pubblici uffici; 3) l'interdizione perpetua da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o in altre strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori. Visto l'art. 609 nonies co. 3 c.p., applica a Co.St., dopo l'esecuzione della pena e per la durata di anni 7, le seguenti misure di sicurezza: 1) divieto di avvicinarsi a luoghi frequentati abitualmente da minori; 2) divieto di svolgere lavori che prevedano un contatto abituale con minori; 3) l'obbligo di tenere informati gli organi di polizia sulla propria residenza e sugli eventuali spostamenti. Visti gli artt. 29 e 32 c.p., dichiara Co.St. in stato di interdizione legale durante la pena. Visto l'art. 168 c.p., revoca il beneficio della sospensione condizionale della pena, concesso con le sentenze del Tribunale di Ivrea del 19.10.2021 (irrevocabile il 4.12.2021) e del GUP presso il Tribunale di Ivrea del 12.10.2022 (irrevocabile il 25.2.2023). Così deciso in Torino il 12 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 19 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOLA SEZIONE PENALE Il Giudice, dott. Arnaldo Merola, alla pubblica udienza del 24 novembre 2023 ha pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: Pe.Ed., nato a Ne. il (...), residente in C. di C. alla via Pe., trav. A. R. N., n. 16 libero - assente difeso di fiducia dall'avv. Mi.SA. del foro di Napoli Nord IMPUTATO A) Delitto p. e p. dagli artt. 110 c.p. 615ter, 615quater poiché, in concorso con altre persone allo stato non identificate e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in tempi diversi mediante artifici di seguito indicati: - inviando un "sms-trappola" all'utenza telefonica della p.o. Pe.Gi., contenente un messaggio di aggiornamento del conto home banking Po. ed un link al quale la vittima veniva inviata a connettersi (https://SBLOCCO - ACCOUNT.COM); - successivamente alla connessione, contattando telefonicamente la vittima; inducendo in errore la predetta correntista sulla provenienza della telefonata delle Po., e sulla necessità di accedere al sito inserendo le proprie credenziali bancarie riservate (userid e password), si procuravano abusivamente i codici dispositivi del conto le parole chiave e gli altri dati idonei all'accesso del sistema informatico "home banking" delle Po., protetto da misure di sicurezza. B) Delitto p.p. 81 cpv. 110 e 640ter comma 1 c.p. poiché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in diversi tempi, in concorso con persone non identificate, dopo aver commesso il reato indicato al capo precedente, intervenendo senza diritto - attraverso la rete internet - sui dati, informazioni o programmi contenuti nei sistemi informatici o telematici del conto delle Po., quindi in data 23.11.2019 sottraevano dalla carta (...) n. (...) intestata alla P.G. L., la somma complessiva di Euro 680,00 mediante ricariche on-line, e segnatamente: - con n. 4 ricariche, trasferivano la somma di Euro 680,00 sulla carta prepagata (...) n. (...) fittiziamente intestata a De.An. ma in uso a Pe.Ed.; Commesso in Castello di Cisterna il 23.11.2019 C) Delitto p. p. dagli artt. 81 cpv. 497bis co. 1 c.p. e 477-482, 61 n. 2 c.p. poiché al fine di commettere i capi indicati ai capi precedenti formava e deteneva; - una falsa carta d'identità n. (...) apparentemente emessa dal Comune di Marigliano il 1.9.2011, a nome di De.An. nato a Ne. il (...), valida per l'espatrio sino al 31.8.2021, recante i dati genuini del De.An. e la fotografia di Pe.Ed.; documento contraffatto di cui il Pe. faceva uso per attivare la carta prepagata (...) n. (...), presso la soc. Ne. S.p.a. in data 19.11.2019. Commesso in Castello di Cisterna e accertato sino al 23.11.2019 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto che dispone il giudizio emesso dal GUP presso il Tribunale di Napoli in data 16 marzo 2022, Pe.Ed. veniva tratto a giudizio per rispondere dei reati in epigrafe indicati. All'udienza del 23 settembre 2022, ii giudice, rilevata l'assenza di un regolare notifica del decreto di citazione nei confronti dell'imputato e della persona offesa, Pe.Gi., ne disponeva la rinnovazione, rinviando il processo. All'udienza del 20 gennaio 2023, il giudice, accertata la regolare costituzione delle parti e disposto procedersi in assenza dell'imputato, ritualmente citato e non comparso, rinviava il processo, stante l'assenza dei testi. All'udienza del 24 maggio 2023, il giudice dichiarava aperto il dibattimento e ammetteva i mezzi di prova orali e documentali richiesti dalle parti. Si procedeva, poi, all'escussione della teste, Pe.Gi.. All'esito, il processo veniva rinviato in prosieguo. All'udienza del 27 ottobre 2023, si procedeva all'escussione della teste, Vice Isp. An.Zi.. All'esito, il processo veniva rinviato in prosieguo. All'odierna udienza, il giudice dichiarava chiusa l'istruttoria e utilizzabili tutti gli atti processuali contenuti nel fascicolo dibattimentale e dava la parola alle parti, che rassegnavano le conclusioni in epigrafe riportate, sulla base delle quali pronunciava la presente sentenza, dando lettura del dispositivo in udienza. In quel frangente il giudice non dava gli avvisi di cui all'art. 545-bis c.p.p., non ritenendo sussistenti, per le ragioni di cui si dirà in motivazione, le condizioni per sostituire la pena detentiva inflitta con una delle pene sostitutive di cui all'art. 53 L. n. 689 del 1981. MOTIVI DELLA DECISIONE All'esito dell'istruttoria dibattimentale svolta, appare pienamente provata la responsabilità di Pe.Ed. in ordine ai reati di cui agli artt. 615-ter c.p., in esso assorbito quello di cui all'art. 615-quater c.p., 640-ter c.p. e 497-bis, co. 2, c.p., così correttamente qualificati i fatti a lui ascritti al capo C) della rubrica. Sulla base della testimonianza raccolta e della documentazione acquisita i fatti oggetto del presente procedimento possono essere cosi ricostruiti. In data 25 novembre 2019, Pe.Gi., intestataria della carta prepagata "(...)" n. (...), sporgeva formale denuncia/querela presso la Questura di lecce, lamentando di aver subito una frode informatica. Sentita in dibattimento, la Pe. ha chiarito di aver utilizzato la propria carta prepagata in data 18 novembre 2020 per effettuare un acquisto online dell'importo di Euro 12,42. Nel corso della giornata successiva, riceveva sulla propria utenza telefonica un sms proveniente da un recapito indicato come "Po." con il quale la stessa veniva sollecitata ad aggiornare i propri dati tramite il link contenuto nel messaggio, pena il blocco immediato del proprio account personale. In data 20 novembre 2020, la Pe. provvedeva a seguire la procedura indicata e subito dopo riceveva una chiamata dall'utenza telefonica n. (...), nel corso della quale il proprio interlocutore, presentatosi come operatore di "Po. S.p.a.", si offriva di coadiuvarla nella procedura di aggiornamento. Dopo alcune domande sospette, la persona offesa, intuendo che potesse trattarsi di un tentativo di truffa, interrompeva bruscamente la conversazione e procedeva a richiedere il blocco della propria carta prepagata. In data 23 novembre 2023, la Pe. si portava presso il locale Ufficio postale e, esaminato l'estratto conto, aveva modo di constatare che fossero state eseguite delle operazioni da lei non autorizzate. In particolare, erano state effettuate quattro operazioni di prelievo dell'importo complessivo di 680,00 Euro. Gli accertamenti successivamente svolti dalla p.g. operante consentivano di riscontrare che la denunciante fosse stata vittima di una particolare tecnica di frode informatica, cd. "phishing", che consiste nel carpire dati riservati o sensibili, quali, ad esempio, username, password, codici di accesso, numeri del conto corrente o dati della carta di credito, attraverso un inganno, che, pur nella molteplicità delle varianti esistenti, presenta un elemento ricorrente ovvero l'invio di una e-mail o di un messaggio, apparentemente di sicura provenienza, con i quali, simulando problemi di accesso all'account o altro analogo inconveniente, la vittima del raggiro è invitata a comunicare i dati di accesso o altra informazione riservata: si sta, quindi, parlando di condotte illecite rientranti nella categoria del "furto di identità digitale", attuata in modo fraudolento. Una delle finalità perseguite dai "phisher" è quella di introdursi abusivamente nei sistemi di home banking, al fine di effettuare prelievi delle somme depositate sul conto della vittima. A fronte dell'esponenziale diffusione di tali attacchi e dell'orientamento incline ad affermare la responsabilità contrattuale degli istituti di credito, che, con specifico riferimento ai servizi offerti via internet, non avevano approntato le cautele idonee, in base al criterio della diligenza professionale, a prevenire i descritti comportamenti, sono state introdotte misure di sicurezza sempre più avanzate, le quali, pur nella molteplicità delle varianti in concreto applicate, partono dalla riconosciuta necessità secondo cui l'autenticazione del cliente è sicura ove si fondi almeno su almeno due fattori (si parla infatti di "sistema a due fattori"), sicché, ad esempio, considerando l'ipotesi più semplice, per accedere al conto corrente on line non è sufficiente inserire la password o il pin, ma è altresì necessario digitare una seconda password ("one time password": password valida una sola volta), generata da un dispositivo fisico in possesso dell'utente (token) ovvero un secondo PIN inviato all'utente attraverso un SMS. La progressiva introduzione di più efficaci misure protettive ha comportato inevitabilmente il correlativo affinamento delle tecniche di intrusione: si parla comunemente di "phishing evoluto" per designare le nuove frodi in grado di eludere le più avanzate misure protettive adottate dagli intermediari. Ebbene, nel caso di specie, il meccanismo fraudolento posto in essere consentiva di carpire dalla Pe. le credenziali di accesso al proprio sistema di "home banking" e di effettuare, così, senza il suo consenso, quattro prelievi dell'importo complessivo di 680,00 Euro. Al riguardo, le attività di indagine svolte dalla p.g. operante consentivano di accertare che la somma in questione era transitata sotto forma di quattro differenti ricariche su una carta prepagata digitale "(...)" (n. (...)), intestata a tale De.An., nato a Ne. il (...), e attivata in data 19 novembre 2019 attraverso una procedura online, nel corso della quale veniva esibita la carta di identità n. (...) apparentemente rilasciata in favore del D.F. dal Comune di Marigliano in data 1 settembre 2011 e valida per l'espatrio sino al 31 agosto 2021. Tuttavia, dagli accertamenti eseguiti, e in particolare dalla comparazione con il cartellino anagrafico prodotto dal Comune di Marigliano, emergeva che tale documento di riconoscimento era contraffatto in quanto recava sì i dati genuini del D.F., ma riportava un diverso numero di atto di nascita e una differente effige fotografica. Dal momento che per l'attivazione online della carta prepagata in questione era stata eseguita una procedura di riconoscimento virtuale, nel corso della quale il soggetto interessato aveva effettuato un video di sé stesso mentre declinava le proprie generalità e teneva in mano il documento di identità, la p.g. operante provvedeva a visionare le immagini inviate dalla società "Ne. S.p.a.". Ciò consentiva di appurare che il soggetto che aveva attivato la carta prepagata "(...)" su cui transitava la somma in contestazione era in realtà Pe.Ed.. Ed invero, inserendo il fotogramma estrapolato dal video nel sistema di riconoscimento facciale "SARI" in uso alla Polizia scientifica, quest'ultimo individuava delle somiglianze proprio con l'odierno imputato, fotosegnalato all'incirca sei anni prima da personale in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di Castello di Cisterna. Al fine di fugare qualsiasi dubbio, venivano acquisiti il cartellino anagrafico del Pe. e la copia della patente di guida rilasciata in suo favore in data 29 giugno 2020 e ciò consentiva di verificare la perfetta corrispondenza dell'effige fotografica dell'odierno imputato con il soggetto ripreso dalla procedura di riconoscimento virtuale effettuata in sede di attivazione della carta prepagata "(...)" e contestualmente ritratto nella carta di identità utilizzata nell'ambito della stessa. Peraltro, l'utenza telefonica indicata nel contratto di attivazione risultava attivata in data 18 novembre 2019 da tale Ma.Me., soggetto avente passaporto bangladese, mai censito sul territorio italiano. Allo stesso modo, anche gli accertamenti svolti sull'utenza telefonica utilizzata per raggirare la vittima (n, (...)) non consentivo di risalire al reale intestatario, atteso che la stessa risultava attivata in data 31 ottobre 2019 da tale Os.An., soggetto avente passaporto brasiliano, mai censito sul territorio italiano. Orbene, i citati elementi probatori provano con certezza la penale responsabilità del Pe. per il reato a lui ascritto al capo B) della rubrica. Il predetto, difatti, intervenendo senza diritto sul sistema di "home banking" relativo alla gestione della carta "(...)" della persona offesa ed effettuando dalla stessa quattro trasferimenti di denaro in favore della carta prepagata a lui in uso ha commesso il contestato reato di frode informatica. Sul punto, osserva la giurisprudenza di legittimità che "integra il reato di frode informatica, e non già soltanto quello di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, la condotta di introduzione nel sistema informatico delle Po. S.p.A. mediante l'abusiva utilizzazione dei codici di accesso personale di un correntista e di trasferimento fraudolento, in proprio favore, di somme di denaro depositate sul conto corrente del predetto" (cfr. Cass., Sez. II, n. 9891/2011). Infatti, il reato di frode informatica si differenzia dal reato di truffa perché l'attività fraudolenta dell'agente investe non la persona (soggetto passivo), di cui difetta l'induzione in errore, bensì il sistema informatico di pertinenza della medesima, attraverso la manipolazione di detto sistema (cfr. Cass., Sez. II, 11 novembre 2009, n. 44720). La condotta truffaldina è, poi, certamente riconducibile all'odierno imputato. Ed infatti, il Pe. è risultato essere l'utilizzatore effettivo della carta prepagata su cui è transitata la somma sottratta alla Pe. ed è, dunque, colui a cui vantaggio si è rivolto l'accreditamento. Del resto, alla luce delle emergenze processuali, non residuano dubbi sul fatto che sia stato l'odierno imputato ad attivare la predetta carta. Inoltre, lo stesso, nel corso del procedimento non ha fornito una diversa ricostruzione dei fatti e un'alternativa chiave di lettura al materiale probatorio raccolto, rispetto a quella fornita dalla prospettazione accusatoria, allo stato l'unica ipotizzabile. Il diritto dell'imputato di difendersi tacendo, in altri termini, non può tradursi in una limitazione legale della sfera del libero convincimento del giudice, che può legittimamente esercitarsi, com'è stato autorevolmente sostenuto, anche in merito al significato attribuibile al silenzio serbato dall'imputato "... su circostanze su cui questi, potendo fornire indicazioni di dati che potrebbero scagionarlo e contribuire all'accertamento della verità, si rifiuti di farlo. In tal caso non può dirsi che il silenzio - garantito all'imputato come oggetto di un suo diritto processuale - venga utilizzato, in contrasto con tale garanzia, coma tacita confessione di colpevolezza, giacché il convincimento di reità del giudice viene a formarsi non sulla valorizzazione confessoria del silenzio, bensì sulla valorizzazione in senso probatorio di elementi già idonei a suffragare un giudizio di colpevolezza, in ordine ai quali il silenzio del soggetto viene ad assumere valore di mero riscontro obiettivo" (cfr. Cass., Sez. V, 21 dicembre 1988, n. 2335). Queste le risultanze processuali sinteticamente descritte, è pacificamente provata la responsabilità penale dell'imputato anche per il delitto di cui all'art. 615-ter c.p. In punto di diritto, si osserva che tale delitto sanziona la condotta di chi abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo. Nella specie, le emergenze investigative, non smentite da elementi di prova di opposto tenore, hanno dato pieno riscontro dell'accesso non autorizzato al sistema di "home banking" relativo alla gestione della carta "(...)" intestata alla Pe., grazie alla sottrazione delle credenziali di accesso, al fine di effettuare operazioni di ricarica di altra carta prepagata. Nel caso in esame, le risultanze probatorie convergono univocamente a carico dell'odierno imputato il quale ha quantomeno concorso nella condotta di indebita introduzione, senza cioè alcuna autorizzazione, nel sistema di "home banking" della persona offesa. Peraltro, anche quanto al profilo del dolo del reato, la condotta del Pe. dimostra senza dubbio la consapevolezza e l'intenzionalità dell'azione illecita, essendo la stessa esclusivamente finalizzata alla realizzazione delle operazioni di ricarica, con conseguente sottrazione della somma complessiva di Euro 680,00 a danno della P.. Quanto alla qualificazione giuridica dei fatti accertati, a parere di questo giudice, i reati di cui agli artt. 640-ter e 615-ter c.p. possono concorrere. Ed invero, come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, l'art. 640-ter c.p. incrimina due condotte. La prima consiste nell'alterazione, in qualsiasi modo, del funzionamento di un sistema informatico o telematico. Per alterazione deve intendersi ogni attività o omissione che, attraverso la manipolazione dei dati informatici, incida sul regolare svolgimento del processo di elaborazione e/o trasmissione dei suddetti dati e, quindi, sia sull'hardware che sul software. In altri termini, il sistema continua a funzionare, ma, appunto, in modo alterato rispetto a quello originariamente programmato. Per sistema informatico o telematico deve intendersi un complesso di apparecchiature destinate a compiere una qualsiasi funzione utile all'uomo, attraverso l'utilizzazione (anche parziale) di tecnologie informatiche, che sono caratterizzate - per mezzo di un'attività di codificazione e decodificazione - dalla registrazione o memorizzazione, per mezzo di impulsi elettronici, su supporti adeguati, di dati, ossia di rappresentazioni elementari di un fatto, effettuata attraverso simboli (bit), in combinazione diverse, e dall'elaborazione automatica di tali dati, in modo da generare informazioni, costituite da un insieme più o meno vasto di dati organizzati secondo una logica che consenta loro di esprimere un particolare significato per l'utente. La seconda condotta prevista dall'art. 640-ter c.p. è costituita dall'intervento senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico ad esso pertinenti. È questo un reato a forma libera che, finalizzato pur sempre all'ottenimento di un ingiusto profitto con altrui danno, si concretizza in un'illecita condotta intensiva, ma non alterativa del sistema informatico o telematico (Cass., Sez. II, 6 marzo 2013, n. 13475). Il reato di cui all'art. 615-ter c.p., invece, risulta integrato dalia condotta di colui che - pur essendo abilitato - acceda si mantenga in un sistema informatico o telematico protetto, violando le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l'accesso, rimanendo invece irrilevanti, ai fini della sussistenza del reato, gli scopi e le finalità che abbiano soggettivamente motivato l'ingresso nel sistema (cfr. Cass., Sez. Un., 27 ottobre 2014, n. 4694). Sulla base di queste premesse, si deve escludere nel caso di specie, in relazione al quale la condotta materiale del reato di frode informatica si è sostanziata nell'intervento invito domino su dati, informazioni e/o programmi contenuti nel sistema di "home banking" in uso alla persona offesa e nel conseguimento di un ingiusto profitto, una sovrapposizione del reato di cui all'art. 640 c.p. rispetto a quello previsto dall'art. 615-ter c.p., trattandosi difatti di fattispecie incriminatrici diverse, suscettibili di concorso formale. Sul punto, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico può concorrere con quello di frode informatica, diversi essendo i beni giuridici tutelati e le condotte sanzionate, in quanto il primo tutela il domicilio informatico sotto il profilo dello "ius excludendi alios", anche in relazione alle modalità che regolano l'accesso dei soggetti eventualmente abilitati, mentre il secondo contempla l'alterazione dei dati immagazzinati nel sistema al fine della percezione di ingiusto profitto (cfr. Cass., Sez. V, 30 settembre 2008, n. 1727; Cass., Sez. II, 29 maggio 2019, n. 26604). A conclusioni diverse deve, al contrario, pervenirsi in ordine ai rapporti tra i reati di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico (art. 615-ter c.p.) e detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici (615-quater c.p.), entrambi contestati al Pe. al capo A) della rubrica. Ed invero, l'art. 615-quater c.p. incrimina con identica sanzione un ampio novero di condotte ("procurarsi", "riprodurre", "diffondere", "comunicare" o "consegnare" a terzi), tutte singolarmente integranti il reato di detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici, e tutte aventi natura giuridica di reato di pericolo (poiché il relativo disvalore è incentrato su condotte prodromiche rispetto a un eventualmente successivo accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico), di mera condotta, per la cui integrazione non assume rilievo l'effettivo utilizzo del mezzo d'accesso a un sistema informatico o telematico protetto, essendo sufficiente la mera idoneità dei dati carpiti a consentire detto accesso. La disposizione ha, quindi, struttura di c.d. norma a più fattispecie, chiara apparendo l'intenzione del Legislatore di prevedere distinte fattispecie alternative di reato, integrate da elementi materiali differenti quanto alla condotta tra loro distinte, che possono concorrere. Ciò premesso, non sfugge al giudicante che un orientamento abbastanza risalente e rimasto isolato ha ritenuto che i reati di cui agli artt. 615-ter e 615-quater c.p. potrebbero concorrere. In proposito, si è osservato che "dal momento che il delitto di accesso abusivo è strutturato come reato di pericolo, la norma di cui all'art. 615-quater delinea una fattispecie di pericolo necessariamente indiretto: dalla condotta diretta a procurare a sé o ad altri il codice di accesso al sistema informatico altrui deriva, infatti, il pericolo sia di una successiva, immediata introduzione abusiva nel sistema stesso (che è situazione di per sé pericolosa per la riservatezza dei dati e/o dei programmi che vi sono contenuti), sia di una ulteriore condotta di diffusione del codice in favore di soggetti che potranno, a loro volta, servirsene per realizzare un accesso abusivo oppure cederlo a terzi" (Cass., Sez. II, 21 febbraio 2008, n. 36721). Tuttavia, a parere di questo giudice, i due reati non possono concorrere. I delitti di cui agli artt. 615-ter e 615-quater c.p. sono collocati entrambi tra quelli contro l'inviolabilità del privato domicilio, avendo il Legislatore ritenuto che i sistemi informatici costituiscano "un'espansione ideale dell'area di rispetto pertinente al soggetto interessato, garantito dallo articolo 14 della Costituzione e penalmente tutelata nei suoi aspetti più essenziali e tradizionali agli articoli 614 e 615 del codice penale" (cfr. Relazione sul disegno di legge che ha introdotto i predetti reati). In particolare, l'incriminazione dell'accesso abusivo al sistema informatico altrui (art. 615-ter c.p.) è sostanzialmente finalizzata a contrastare il rilevante fenomeno degli "hackers", e cioè di quei soggetti che, servendosi del proprio elaboratore, collegato con la rete telefonica, riescono a entrare in comunicazione con i diversi sistemi informatici che a quella stessa rete sono collegati, aggirando le misure di protezione predisposte dai titolare del sistema. Con l'art. 615-quater c.p., il Legislatore ha inteso, inoltre, rafforzare la tutela e la segretezza dei dati e dei programmi contenuti in un elaboratore, già assicurata dall'incriminazione dell'accesso e della permanenza in un sistema informatico o telematico prevista dal citato art. 615-ter c.p. I predetti reati sono, quindi, posti a tutela del medesimo bene giuridico, ovvero il c.d. "domicilio informatico", che l'art. 615-quater c.p. protegge in misura meno ampia (ovvero limitatamente alla riservatezza informatica del soggetto) e l'art. 615-ter c.p. più incisivamente, operando un più ampio riferimento al domicilio informatico tout court, da intendere, in linea con quanto emergente dalla Raccomandazione del Consiglio d'Europa n. 9 del 1989, quale "spazio ideale di esclusiva pertinenza di una persona fisica o giuridica", delimitabile prendendo come parametro il domicilio delle persone fisiche, e al quale risulta estensibile la tutela della riservatezza della sfera individuale, che costituisce bene costituzionalmente protetto. Lo stesso orientamento innanzi menzionato riconosce che l'art. 615-quater c.p. "reprime una serie di condotte prodromiche alla (possibile) realizzazione del delitto di accesso abusivo in un sistema informatico o telematico, protetto da misure di sicurezza, e, quindi, pericolose per il bene giuridico tutelato attraverso l'art. 615-ter c.p." (Cass., Sez. II, 21 febbraio 2008, n. 36721). Proprio da tali (pacificamente condivise) connotazioni emerge con evidenza che il reato di cui all'art. 615-quater c.p.c.ostituisce necessario antefatto del reato di cui all'art. 615-ter c.p., poiché le due fattispecie criminose si pongono in stretta connessione, tutelando entrambe il medesimo bene giuridico, ovvero il domicilio informatico, passando da condotte meno invasive a condotte più invasive, poiché indiscriminate, che, sotto un profilo naturalistico, necessariamente presuppongono le prime (cfr. Cass., Sez. II, 14 gennaio 2019, n. 21987). In generale, l'antefatto non punibile ricorre nei casi in cui la commissione di un reato meno grave costituisce ordinariamente strumento per la commissione di un reato più grave. Esso (come la progressione criminosa e il postfatto non punibile) non costituisce fattispecie autonomamente disciplinata, poiché rientra tra i casi di concorso apparente di norme da risolvere ai sensi dell'art. 15 c.p., attraverso una operazione interpretativa che impone la considerazione "congiunta" di due fattispecie tipiche, resa oggettivamente evidente dal fatto che per una di esse, destinata ad essere assorbita nell'altra, sia prevista una sanzione più lieve. La giurisprudenza di legittimità ha, in proposito, già chiarito che, nei casi in cui, al contrario, detta operazione interpretativa sembrerebbe sortire esito inverso, ovvero comportare l'assorbimento della fattispecie più grave in quella meno grave, l'assorbimento andrebbe negato, "dovendosi ravvisare un intento di consentire, attraverso un effettivo autonomo apprezzamento del disvalore delle ipotesi criminose, il regime del concorso dei reati. Invero, l'avere sottoposto a più benevolo trattamento il fatto/reato che potrebbe per la sua struttura essere assorbente, sta a dimostrare che della fattispecie eventualmente assorbibile non si è tenuto conto: pertanto la norma che la punisce è applicabile in concorso con l'altra, senza incorrere in duplicità di addebito" (Cass., Sez. Un., 9 maggio 2001, n. 23427, che ha, per tali ragioni, negato la possibilità di assorbire, quale antefatto non punibile, il delitto di ricettazione - punito più gravemente - in quello di commercio di prodotti con segni contraffatti). Ad esempio, la Suprema Corte è ferma nel ritenere che possa verificarsi l'assorbimento della contravvenzione del possesso ingiustificato di arnesi atti allo scasso (art. 707 c.p.) nel delitto di furto aggravato dalla violenza sulle cose (art. 625, co. 1, n. 2, c.p.) quando ricorra un nesso di immediatezza e strumentalità tra il possesso degli arnesi atto allo scasso e il loro uso; perché si verifichi questa situazione, occorre che: 1) gli strumenti siano stati effettivamente usati per la commissione del furto; 2) il loro possesso sia stato limitato all'uso momentaneo necessario per l'effrazione; 3) non vi sia stato distacco temporale e spaziale tra la commissione del furto e l'accertamento del possesso degli arnesi; 4) tali arnesi non siano di natura e quantità tali da assumere una rilevanza giuridica autonoma rispetto all'ambito di consumazione del delitto circostanziato (cfr. Cass., Sez. II, 15 aprile 1998, n. 6955; Cass., Sez. V, 19 febbraio 2010, n. 19047; Cass., Sez. V, 30 giugno 2015, n. 431). Analogamente, in tema di furto di documenti, è stato escluso il concorso tra il reato di furto (art. 624 c.p.) e quello di falso per soppressione (art. 490 c.p.) nei casi in cui vi sia contestualità cronologica tra sottrazione e distruzione, e l'azione sia stata compiuta all'unico scopo di eliminare la prova di un diritto, in quanto, in tal caso, la sottrazione deve essere considerata come un antefatto non punibile, destinato a essere assorbito nella condotta unitaria finalisticamente individuata dallo scopo unico che anima ab initio la coscienza e volontà dell'agente e che caratterizza la fattispecie di cui all'art. 490 c.p. (cfr. Cass., Sez. V, 11 dicembre 2013, n. 13836). In virtù di tali considerazioni, deve concludersi che il meno grave - quoad poenam - delitto di cui all'art. 615-quater c.p. non possa concorrere con quello, più grave, di cui all'art. 615-ter c.p., del quale costituisce naturalisticamente un antecedente necessario, sempre che quest'ultimo - come nel caso di specie - sia contestato, procedibile e integrato nel medesimo contesto spazio-temporale in cui fu perpetrato l'antefatto, ed in danno della medesima persona fisica - titolare del bene protetto (cfr. Cass., Sez. II, 14 gennaio 2019, n. 21987). Ne consegue che nei confronti del Pe. va dichiarato l'assorbimento del reato di cui all'art. 615-quater c.p. in quello di cui all'art. 615-ter c.p. L'odierno imputato va, inoltre, ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 497-bis, co. 2, c.p., così correttamente qualificato il fatto a lui ascritto al capo C) della rubrica. Sul punto va evidenziato che la norma in questione, in tema, in tema di "Possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi" (inserito dall'art. 10 del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, in L. 31 luglio 2005, n. 155, e poi modificato dall'art. 2 D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni in L. 17 aprile 2015, n. 43), nel primo comma punisce con la reclusione da due a cinque anni chiunque è trovato in possesso di, un documento falso valido per l'espatrio, mentre nel secondo comma sanziona più gravemente con pena aumentata da un terzo alla metà chi fabbrica o comunque forma il documento falso, ovvero lo detiene fuori dei casi di uso personale. Il secondo comma citato, che punisce la previa contraffazione del documento a opera dello stesso detentore, costituisce ipotesi di reato autonoma rispetto a quella del mero possesso prevista dal primo comma essendo la descrizione della condotta, che differenzia le due fattispecie, essa stessa elemento costitutivo del reato, non relegabile al ruolo di elemento ci reo stanzia le (cf. Cass., Sez. V, 15 febbraio 2013, n. 18535; Cass., Sez. V, 28 giugno 2017, n. 54297). La natura autonoma del reato di cui all'art. 497-bis, co. 2, c.p., sebbene la pena sia indicata con un sistema di computo collegato a quella del primo comma (elemento in genere ritenuto indicativo del rapporto circostanziale dell'una fattispecie rispetto all'altra), va ravvisata perché la struttura delle due fattispecie appare ontologicamente distinta con specifico riferimento alla condotta contestata, alla luce dei principi espressi dalle Sezioni Unite, nelle sentenze n. 4694 del 2011 n. 26351 del 2002, e quindi del criterio strutturale della descrizione del precetto penale. Tra la fattispecie di cui al primo comma e le altre sussiste immutazione degli elementi essenziali delle condotte illecite descritte, in quanto riferite ad eventi che esprimono, ciascuno, una realtà fenomenica distinta e indipendente. In altri termini, può affermarsi che la descrizione delle condotte che differenziano le varie fattispecie attiene ed è essa stessa elemento costitutivo dei reati e non può dirsi relegata al ruolo di elemento circostanziale. L'ipotesi del secondo comma punisce, infatti, la condotta della fabbricazione di documento falso, in sé del tutto distinta da quella del possesso di cui al primo comma, e non si colloca in rapporto di progressione criminosa per aggiunta, costituendone semmai il presupposto e l'antefatto naturale. Il fatto poi che nel secondo comma sia indicata e punita anche la condotta della detenzione del documento falso per uso non personale (fuori dal caso di contraffazione) non muta la sostanza della conclusione raggiunta, perché anche per tale fattispecie vale il rilievo che la detenzione di un documento per conto di terzi (cioè per uso non personale) è concetto autonomo e distinto da quello del possesso per uso personale. È bene ricordare che integra il delitto di cui all'art. 497-bis c.p. il mero possesso di un documento falso valido per l'espatrio o la materiale falsificazione dello stesso, indipendentemente dall'uso che il soggetto agente intenda farne, in quanto la delimitazione dell'oggetto materiale del reato ai suddetti documenti trova la sua giustificazione nella ritenuta maggiore pericolosità delle condotte che li riguardano e non nella intenzione di punire soltanto le condotte di effettiva agevolazione all'espatrio o all'ingresso (cfr. Cass., Sez. V, 11 luglio 2016, n. 40272). In ripetuti arresti la giurisprudenza di legittimità ha affermato che configura il reato (alternativo) di cui all'art. 497-bis, co. 2, c.p. e non quello, meno grave, di cui al comma primo della stessa norma, il possesso di una carta d'identità recante la foto del possessore con false generalità, essendo evidente, in tal caso, la partecipazione di quest'ultimo alla contraffazione del documento (cfr. Cass., Sez. II, 22 marzo 2016, n. 15681); integra, infatti, il reato di cui all'art. 497-bis, co. 2, c.p. (possesso e fabbricazione di documenti falsi) concorrere nella contraffazione del documento di riconoscimento posseduto, considerato che la ratio della previsione incriminatrice - che costituisce ipotesi autonoma di reato rispetto a quella del mero possesso prevista dall'art. 497-bis, co. 1, c.p. - è quella di punire in modo più significativo chi fabbrica o, comunque, forma il documento, con la conseguenza che il possesso per uso personale rientra nella previsione di cui all'art. 497-bis, co. 1, c.p., solo se il possessore non ha concorso nella contraffazione (cfr. Cass., Sez. V, 10 dicembre 2014, n. 5355, resa in fattispecie in cui il passaporto recava la foto del possessore ma con generalità diverse; Cass., Sez. V, 28 giugno 2017, n. 54297). In altri termini, la giurisprudenza di legittimità ha osservato, del tutto condivisibilmente, che i due commi di cui all'art. 497-bis c.p. puniscono diversamente, in ragione del diverso grado di gravità, la condotta del mero possesso di un documento valido per l'espatrio, da un lato, e la condotta, ben più allarmante sul piano delle falsità personali per la connotazione organizzativa che la caratterizza, costituita dalla previa contraffazione del documento stesso a opera dello stesso detentore, o del concorso da parte di costui alla falsa formazione del documento o, infine, dalla detenzione fuori dai casi di uso personale. Il possesso di cui al comma primo riguarda il caso, di minore allarme sociale, del possesso di documento/i per uso personale in assenza di concorso nella fabbricazione. Non sussiste la necessità di una interpretazione estensiva del primo comma in ragione della pratica impossibilità, in caso contrario, di vedere riconosciuta la meno grave fattispecie all'agente che pure sia trovato in possesso di un documento per uso evidentemente personale, contraffatto con apposizione della foto dell'indagato stesso e iscrizione delle sue generalità. L'applicazione, in tale ipotesi, del secondo comma in luogo del primo comma costituisce, infatti, il frutto di una valutazione del fatto da parte del giudice del merito sulla base delle prove raccolte a proposito dell'eventuale concorso dell'agente anche nella condotta di falsificazione, non potendosi escludere, per converso, in linea di principio, che anche nella situazione descritta (possesso di documento falso, recante la propria fotografia) possa operare il primo comma della norma. Ciò si verifica quando possa sostenersi, ad esempio, che una organizzazione criminale di un certo spessore o altra analoga realtà criminale o un terzo abbiano deciso autonomamente la formazione di falsi documenti concernenti il soggetto di interesse, di cui si conoscano generalità e si posseggano, a vario titolo, documenti di diverso tipo o foto, magari forniti in buona fede dallo stesso interessato: documenti, quindi, così falsificati dal terzo al di fuori del concorso, dei quali poi il soggetto interessato viene dotato per scopi che trascendono quelli personali e immediati (cfr. Cass., Sez. V, 15 febbraio 2013, n. 18535). Tanto premesso, nel caso concreto non sono emersi elementi da cui poter inferire che il Pe. avesse fornito ai falsificatori la propria fotografia o lo avesse fatto in buona fede. Ne consegue che la presenza dell'effige fotografica dell'odierno imputato all'interno della carta di identità valida per l'espatrio, dallo stesso utilizzata per l'attivazione della carta prepagata "(...)", in assenza di elementi contrari, configura argomento sufficiente per sostenere ogni oltre ragionevole dubbio quantomeno il concorso del Pe. nel processo di predisposizione del falso e la sua responsabilità per il reato di cui all'art. 497-bis, co. 2, c.p. Una simile conclusione non determina, a parere di questo giudice, una insanabile violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, dal momento che il nucleo essenziale del fatto storico relativo al falso e cristallizzato nel capo C) della rubrica è rimasto immutato. Si verte, quindi, in un caso di mera riqualificazione giuridica della fattispecie, nell'esercizio del potere del giudice di applicare la norma di diritto al fatto sottopostogli (narra mihi factum, dabo tibi ius), senza che possa essere ravvisata alcuna compromissione del diritto di difesa. Sul punto, l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità è costante nell'affermare che sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza solo se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali, così da provocare una situazione di incertezza e di cambiamento sostanziale della fisionomia dell'ipotesi accusatoria capace di impedire o menomare il diritto di difesa dell'imputato (cfr. Cass., Sez. Un., 15 luglio 2010, n. 36551; Cass., Sez. VI, 9 novembre 2013, n. 6346; Cass., Sez. II, 15 marzo 2017, n. 17565); l'indagine volta ad accertare la violazione del principio non si esaurisce nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19 giugno 1996, n. 16; Cass., Sez. Un., 15 luglio 2010, n. 36551). Nel caso di specie, dal momento che in fatto è contestata la condotta di falsificazione e che, come detto, la conformazione strutturale delle previsioni contenute nell'art. 497-bis c.p.c.onsente di affermare che la condotta del possesso del documento falso di cui al primo comma costituisce il presupposto e l'antefatto naturale della condotta di falsificazione o concorso nella stessa di cui al secondo comma, l'imputato è stato messo nelle condizioni di articolare agevolmente la propria difesa. Alcuna lesione del diritto di difesa dell'imputato è, dunque, ravvisabile, dovendosi considerare la riqualificazione del fatto contestato a tutti gli effetti sviluppo processuale ampiamente prevedibile. Né il reato in questione può ritenersi assorbito in quello di cui all'art. 640-ter c.p., atteso che sul punto la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di evidenziare che "il reato di possesso di documenti di identificazione falsi concorre con quello di truffa ancorché la presentazione del documento falso abbia costituito una delle modalità esecutive della truffa, trattandosi di fattispecie distinte sul piano strutturale, atteso che la presentazione del documento falso costituisce attività ulteriore e non necessaria per il perfezionamento del reato di cui all'art. 497-bis cod. pen., ed essendo diversi i beni giuridici tutelati dalle due norme" (Cass., Sez. V, 6 dicembre 2018, n. 2464). A parere di questo giudice, infine, non può applicarsi nel caso di specie l'invocata causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., atteso che in considerazione delle modalità della complessiva condotta, così come descritte, e della non esiguità del danno economico arrecato, non appare possibile considerare di particolare tenuità l'offesa arrecata ai beni interessi tutelati dalle rispettive norme incriminatrici. Tanto premesso in ordine alla responsabilità del Pe., occorre determinare il trattamento sanzionatorio da irrogare nei suoi confronti. Al riguardo deve osservarsi che appaiono sussistere nei caso di specie ragioni di meritevolezza tali da consentire il riconoscimento all'imputato delle circostanze attenuanti generiche, dovendosi all'uopo valutare il corretto comportamento processuale dello stesso, con conseguente evidente vantaggio in termini di economia processuale, e la concreta gravità del fatto. Inoltre, i più reati in contestazione vanno riunificati sotto il vincolo della continuazione, essendo riconducibili con evidenza a un unico disegno criminoso a sfondo patrimoniale. Pertanto, valutati tutti i criteri cui agli artt. 133 e 133 bis c.p., pare congruo condannare Pe.Ed. alla pena di anni due di reclusione, così determinata: pena base anni per il più grave reato di cui all'art. 497-bis, co. 2, c.p. anni due e mesi otto di reclusione, ridotta per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche alla pena di anni uno, mesi nove e giorni dieci di reclusione, aumentata per la continuazione con il reato di cui all'art. 615-ter c.p. alla pena di anni uno e mesi undici di reclusione, aumentata per la continuazione con il reato di cui all'art. 640-ter c.p. alla pena indicata. Alla condanna nel merito segue, per legge, quella al pagamento delle spese processuali. Non sussistono motivi ostativi al riconoscimento in favore dell'imputato dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna, permettendolo l'entità della sanzione irrogata e lo stato di incensuratezza del Pe., che consente la formulazione di un positivo giudizio prognostico in ordine alla futura astensione alla commissione dei reati (cfr. certificato del casellario giudiziale, in atti). Ne consegue che non sussistono nel caso di specie le condizioni per la sostituzione della pena detentiva applicata agli odierni imputati con una delle pene sostitutive di cui all'art. 53 L. n. 689 del 1981. Alla luce dei carichi di lavoro, si fissa in giorni sessanta il termine per il deposito della motivazione. P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Pe.Ed. colpevole dei reati di cui agli artt. 615-ter c.p. (in esso assorbito quello di cui all'art. 615-quater c.p.), 640-ter c.p. e 497-bis, co. 2, c.p. (così correttamente qualificati i fatti a lui ascritti al capo c) della rubrica) e, ritenuti gli stessi avvinti dal vincolo della continuazione e concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di anni due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Concede all'imputato i benefici della sospensione condizionale della pena e delle non menzione della condanna. Fissa in giorni sessanta il termine per il deposito della motivazione. Così deciso in Nola il 24 novembre 2023. Depositata in Cancelleria l'11 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2456 del 2021, proposto dal signor -OMISSIS- rappresentato e difeso dall’avvocato Gi.Mi., con domicilio fisico eletto presso lo studio di questi in Roma, via (...) e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ope legis in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Friuli - Venezia Giulia n. -OMISSIS-resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno; visti tutti gli atti della causa; relatore, nell’udienza pubblica del giorno 23 maggio 2023, il consigliere Francesco Frigida e viste le conclusioni scritte dell’avvocato Gi.Mi. per il ricorrente e dell’avvocato dello Stato Da.Ca. per il Ministero dell’interno; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO E DIRITTO Il signor -OMISSIS-assistente capo coordinatore della Polizia di Stato, ha proposto il ricorso n. -OMISSIS- dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Friuli - Venezia Giulia per l’annullamento del decreto del Capo della Polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza n. 333-D/65426 (prot. n. -OMISSIS-) del 9 ottobre 2018, notificatogli il 22 ottobre 2018, con cui gli è stata applicata la deplorazione, nonché per l’accertamento dell’illegittimità dell’imputazione a “congedo straordinario”, “congedo ordinario”, “aspettativa per malattia” e “legge 104” del periodo di estromissione dal posto di lavoro dal 26 marzo 2018 al 12 maggio 2018. In particolare l’interessato ha contestato la sanzione disciplinare della deplorazione, emessa nei suoi confronti ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. 737/1981 in conseguenza di un video diffuso sull’applicazione di comunicazione telematica “Whatsapp”, in cui egli era visibile mentre correva nudo di sera tra la neve in un bosco. Il procedimento disciplinare prodromico alla predetta sanzione era stato avviato dopo aver accertato l’assenza in capo all’assistente capo di patologie neuropsichiatriche e previa sua sospensione cautelare dal servizio dal 26 marzo 2018 al 12 maggio 2018. 1.1. Il Ministero dell’interno si è costituito nel giudizio di primo grado, resistendo al ricorso. Con l’impugnata sentenza n. -OMISSIS- 2010, il T.a.r. per il Friuli - Venezia Giulia ha respinto il ricorso e ha compensato tra le parti le spese di lite. Con ricorso ritualmente notificato e depositato - rispettivamente in data 22 febbraio 2021 e in data 17 marzo 2021 - il signor -OMISSIS- ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza, riproponendo i motivi svolti in primo grado e articolando poi specifiche sette censure, sostanzialmente inglobanti anche quelle di primo grado. Il Ministero dell’interno si è costituito in giudizio, depositando una memoria di costituzione e chiedendo il rigetto del gravame. In vista dell’udienza di discussione il Ministero ha depositato memoria e il ricorrente ha depositato memoria di replica, con cui le parti hanno ulteriormente illustrato le proprie posizioni e insistito sulle proprie tesi. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 23 maggio 2023. L’appello è infondato e deve essere respinto alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e in diritto. Tramite il primo motivo d’impugnazione, l’appellante ha lamentato, richiamando il terzo e quarto motivo sollevato in primo grado, «eccesso di potere per travisamento dei fatti, errata e carente valutazione dei fatti. Contraddittorietà, carenza di motivazione, erronea valutazione dell’elemento soggettivo, erronea definizione ed applicazione del comune senso del pudore e del decoro, erronea definizione ed applicazione del senso del decoro e del prestigio dell’Istituzione e sulla violazione del principio di proporzionalità e dei casi in cui può essere inflitta la deplorazione. Assoluta erroneità della sentenza per contraddittorietà della motivazione. Violazione dell’art. 2 della Costituzione, violazione dei diritti della personalità dell’appellante. Violazione dell’art. 97 della Costituzione. Assenza di qualsiasi disvalore sia nella partecipazione all’attività sportiva sia nell’averla parzialmente ripresa in un video inviato riservatamente a quattro amici». In particolare l’interessato ha sostenuto che: non avrebbe «fatto nulla di male», essendosi limitato a partecipare, all’estero, ad una competizione sportiva “estrema” che prevede la corsa dei partecipanti di notte nella neve completamente nudi; l’attività è stata svolta «nell’ambito della propria vita privata, al di fuori dell’orario di servizio e senza in alcun modo palesare né la propria identità né la propria appartenenza alla Polizia»; si è trattato solamente di una ripresa con il cellulare effettuata da sé, a cui è seguito l’invio del filmato a pochi amici; il video non sarebbe indecoroso o lesivo del pudore siccome le parti intime non sono visibili e le riprese sono state fatte da lontano; la «completa nudità non deve essere fraintesa (come violazione del pudore o esibizionismo) ma deve essere valutata alla luce del contesto»; la circostanza che gli amici, improvvidamente e senza il suo consenso, abbiano diffuso il video, che poi è giunto a conoscenza dei superiori, non era prevedibile e comunque esso appellante «non può essere chiamato a rispondere di iniziative di terzi»; i superiori abbiano erroneamente ipotizzato «un disturbo psicofisico» e che lo abbiano sospeso dal servizio e sottoposto a una valutazione psicofisica, ipotizzando «del tutto erroneamente, disturbi mentali o l’abuso di sostanze stupefacenti»; la sanzione della deplorazione sarebbe stata adottata sull’errato presupposto di un «grave mancanza attinente alla disciplina o alle norme di contegno», condiviso erroneamente dal T.a.r., in quanto entrambi avrebbero «esaminato e valutato gli eventi in modo del tutto errato e di parte, valorizzando alcuni elementi e trascurando completamente tutte le argomentazioni difensive dell’interessato, con ciò violando chiaramente il principio di imparzialità» e non avrebbero tenuto conto che si trattava di un’attività sportiva e che il video non era stato postato su una piattaforma pubblica, bensì soltanto inviato ad alcuni individuati soggetti mediante l’applicazione “Whatsapp”; la ripresa non sarebbe stata effettuata con «finalità goliardica ed esibizionistica», essendo egli stato “Forse (...) un pò orgoglioso della propria prestazione sportiva ma non l’ha resa pubblica, l’ha condivisa solo con alcuni selezionati destinatari»; che tale condotta non potrebbe integrare gli estremi di una «grave mancanza attinente alla disciplina o alle norme di contegno»; in forza dell’art. 2 della Costituzione, sebbene che gli appartenenti alle forze di polizia subiscono dei limiti all’esercizio dei diritti della personalità, essi devono essere proporzionati e motivati da reali esigenze di interesse pubblico; non vi sarebbe stata alcuna volontà esibizionistica né l’intento di urtare riservatezza e pudore, richiamando sul punto un precedente di questo Consiglio (sezione III, sentenza 21 febbraio 2014, n. 848), con cui è stata dichiarata illegittima una sanzione disciplinare per l’ipotesi di pubblicazione da parte di un poliziotto di immagini afferenti alla propria identità sessuale collocate in una sezione della pagina della piattaforma “Facebook” accessibile solo previo accreditamento dell’utente; sarebbe incomprensibile la ragione per la quale «la visione del video dovrebbe oggettivamente gettare discredito sull’Istituzione, tenuto anche conto del fatto che non vi è alcun riferimento nel video all’attività professionale svolta e quindi all’istituzione medesima». Nella memoria di replica l’appellante ha altresì specificato che «La Polizia di Stato deve tutelare la possibilità di esercitare i propri diritti e non sanzionarne l’esercizio. I diritti della personalità dei pubblici funzionari possono essere limitati solo nella misura in cui un tanto sia indispensabile allo svolgimento del servizio. Sul punto non vi è stata né ponderazione di interessi né motivazione», richiamando sul punto anche la sentenza del T.a.r. per la Liguria n. 27 luglio 2022, n. 268, e che «Si è trattato di un comportamento, quello posto in essere dal sig. -OMISSIS-confinato nella vita privata e né illecito né disdicevole. La sanzione inflitta è pertanto ingiustificata e sproporzionata perché si tratta di una sanzione molto afflittiva. Non si comprende perché trattandosi di attività lecita diffusa da terzi si è ritenuto di non emettere la sanzione più lieve inerente un richiamo orale o scritto o, al massimo, una pena pecuniaria». Tali censure sono infondate. In proposito va premesso che in materia disciplinare l’amministrazione esercita un’amplissima discrezionalità tecnica, sicché il giudice amministrativo non può sindacare le valutazioni discrezionali compiute dall’organo disciplinare in ordine al convincimento sulla gravità delle infrazioni e alla conseguente sanzione da infliggere, nemmeno sotto il profilo del rispetto del principio di proporzionalità, salvo che non siano affette da palese travisamento dei fatti, manifesta illogicità, notevole e evidente sproporzione e abnormità. Le norme relative al procedimento disciplinare, infatti, sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all’amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l’infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, sezione II, sentenze 31 marzo 2023, n. 3325, 20 febbraio 2023, n. 1724, 7 novembre 2022, n. 9756, 14 giugno 2022, n. 4858, 20 maggio 2022, n. 4012 e 21 marzo 2022, n. 2004; Consiglio di Stato, sezione IV, sentenze 29 marzo 2021, n. 2629 e 22 marzo 2021, n. 2428). Ciò posto, si osserva che l’amministrazione, come puntualmente evidenziato dal T.a.r. con motivazione congrua e aderente ai fatti di causa e che il Collegio condivide, ha valorizzato elementi che «effettivamente militano a favore di una predestinazione del video alla visione di soggetti terzi, fin dal momento della sua ripresa, come l’essersi il ricorrente volontariamente auto-filmato e il suo rivolgersi ad un ipotetico pubblico di spettatori», cosicché la condotta dell’interessato è stata reputata in modo non illogico né abnorme, riconducibile all’elenco di fattispecie punibili con la deplorazione recata dall’art. 5, comma 1, del d.P.R. n. 737/1981 e in particolare all’ipotesi di cui al numero 3) della predetta disposizione («le gravi mancanze attinenti alla disciplina o alle norme di contegno»). Del tutto irrilevanti ai fini della valutazione del comportamento sono le deduzioni sulle ragioni (competizione in uno sport “estremo”) e sulla percezione della nudità in alcuni contesti culturali. L’unico ed esclusivo elemento preso in considerazione è stato la predestinazione del video a soggetti terzi, che non può che non deporre per un intento goliardico ed esibizionistica, incompatibile, come rappresentato dal Consiglio di disciplina, con «il riserbo e la compostezza che ogni appartenente alla Polizia di Stato dovrebbe avere» e rivelante «un atteggiamento in grado di urtare la riservatezza ed il pudore». Parimenti non ha rilievo il fatto che l’attività sportiva attiene alla sfera privata e che la condotta non si sia svolto in servizio, giacché, qualora un’attività ovvero un comportamento o un atteggiamento vengano divulgate, esse non appartengono più alla sfera privata. Ad ogni modo, i contegni assunti nella sfera privata dagli appartenenti alle forze dell’ordine ben posso assumere rilevanza disciplinare, in quanto, ai sensi dell’art. 13, comma 2, del d.P.R. n. 782/1985 (recante il regolamento di servizio dell'Amministrazione della pubblica sicurezza), «Il personale anche fuori servizio deve mantenere condotta conforme alla dignità delle proprie funzioni», cosicché «L’appartenenza al Corpo di Polizia impone di uniformare la propria condotta, anche al di fuori servizio, ad uno stile di vita che sia irreprensibile quanto al decoro, all’immagine offerta ai consociati, all'osservanza dei valori ordinariamente percepiti dalla comunità sociale» (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 4 luglio 2011, n. 3963). La condotta sanzionata ha inoltre certamente cagionato un discredito per l’amministrazione, considerato che il fatto che il dipendente non fosse riconoscibile nel video quale appartenente alla Polizia di Stato, atteso che il discredito alla Polizia di Stato può determinarsi anche tramite la visione del filmato da parte di chi conosca personalmente il protagonista e in particolar modo i suoi colleghi o gli abitanti di -OMISSIS-, evidenziato peraltro che, come correttamente puntualizzato dal T.a.r., «sotto questo profilo non giova la valorizzata “notorietà” locale dello stesso ricorrente, più volte distintosi con azioni meritevoli di menzione sulla stampa locale». Il riferimento alla sentenza di questo Consiglio n. 848/2014, oltre a non essere chiaramente vincolante per il Collegio, non è collimante con il caso di specie, in quanto nel precedente richiamato è stato precisato «l’accesso al profilo personale è possibile solo a chi conosca lo username dell’interessato, il quale funziona da filtro per l’accesso, e che non può ritenersi, pertanto, indiscriminatamente visitabile da chiunque, ma rivolto essenzialmente a “conoscenti”, che abbiano appunto la “chiave” di accesso (lo username). All’apertura del profilo compariva, come già ricordato, una foto di donna non riferibile al Sig (...), nonché alcune delle altre foto, raffiguranti il mezzobusto del ricorrente (...) erano visionabili solo dopo l’accesso; a ciò va aggiunta l’altra modalità, ossia che altre foto, che presentano “parti di corpo in abiti succinti”, queste senza dubbio più suscettibili di urtare la riservatezza ed il pudore, erano visionabili solo su specifica autorizzazione dell’interessato», mentre nella fattispecie in esame l’interessato ha perso il controllo del filmato che tramite la piattaforma “Whatsapp” può essere fisiologicamente e strutturalmente inviato ad altri soggetti, che a loro volta posso ulteriormente inviarlo, così come i successivi destinatari, secondo uno schema di propagazione esponenziale tendenzialmente illimitato. Anche il su citato richiamo al precedente del T.a.r. per la Liguria non è pertinente, trattandosi di un caso inerente al clamore mediatico di una relazione sentimentale tra un poliziotto e una minorenne, da cui era scaturito un procedimento penale (poi archiviato), mentre nella fattispecie oggetto del presente giudizio l’amministrazione non ha stigmatizzato una scelta di vita relativa alla sfera intima e personale del dipendente, bensì un suo atteggiamento esibizionistico, contrario ai doveri di riserbo e compostezza, propagato all’esterno e fuori dal suo controllo. Tanto delineato, nel caso di specie non si riscontra alcuna abnormità della valutazione, perfettamente aderenti ai fatti e congruente (e comunque non palesemente sproporzionata) rispetto alla gravità della condotta, sensatamente non mitigabile con i precedenti di servizio dell’interessato e altre circostanze soggettive. La sanzione della deplorazione - connotata da un’afflittività nettamente inferiore rispetto alla sospensione dal servizio o addirittura con la destituzione - è stata dunque coerentemente motivata e, in ogni caso, essa non è irragionevole. Mediante la seconda doglianza, la parte privata ha dedotto che «Sulla carenza e contraddittorietà della valutazione dei fatti si veda anche la circolare n. 555 del Ministero dell’Interno del 25.10.2019 sull’utilizzo di social network e di applicazioni di messaggistica da parte degli operatori della Polizia di Stato», precisando che «Il Ministero dell’Interno ha emesso la circolare richiamata in epigrafe dopo l’adozione dei provvedimenti impugnati. Essa è tuttavia interessante perché indica in via astratta una serie di comportamenti che gli appartenenti alle forze di pubblica Sicurezza devono evitare quando utilizzano i “social”, vi è quindi una sorta di elenco astratto di condotte riprovevoli». Detta censura è infondato, in quanto, da un lato, in via pregiudiziale e in via assorbente ogni ulteriore considerazioni sul punto, la circolare è successiva ai fatti di causa e soprattutto all’adozione della sanzione e, dall’altro, comunque e per completezza, essa non è fonte del diritto, potendo venire in rilievo soltanto come elemento di un eventuale indice sintomatico di eccesso di potere, che, comunque, va in concreto escluso siccome detta circolare prevede un elenco, per sua intrinseca natura non tassativo, di comportamenti che gli appartenenti alle forze di pubblica sicurezza devono evitare nella utilizzazione dei cosiddetti “social network”, tra cui non compare il comportamento tenuto dall’appellante soltanto perché strutturalmente diverso - e più grave - di quelli elencati. Attraverso il terzo motivo di gravame l’appellante ha argomentato «Sulla diffusione del video ad opera dei colleghi contro la volontà dell’odierno appellante», deducendo che il T.a.r. avrebbe errato nel reputare che «il ricorrente doveva prefigurarsi anche i possibili rischi derivanti dal “fattore umano” (notoriamente l’anello debole della sicurezza informatica), cioè dal comportamento dei destinatari» e asserendo che erroneamente egli è stato sanzionato per non ha previsto tale eventualità e in forza di un comportamento altrui. Tale doglianza è infondata, poiché, come correttamente evidenziato dal T.a.r., la condotta dell’interessato è una stata certamente imprudente e, dunque, di connotazione colposa, avendo, infatti, egli trasmesso, senza precauzioni e senza alcuna effettiva necessità, il filmato a più soggetti, sebbene di sua fiducia, a mezzo della piattaforma “Whatsapp”, il cui utilizzo espone a un fisiologico rischio di diffusione incontrollabile dei contenuti, a nulla rilevando che detta piattaforma sia abbastanza impermeabile ad attacchi informatici esterni, essendo comunque prefigurabile, alla stregua di un canone di ragionevole precauzione, colposamente non rispettato dall’assistente capo, un comportamento di successiva propagazione a terzi del filmato da parte dei destinatari. Con la quarta censura l’interessato ha insistito «Sulla violazione del principio di proporzionalità», lamentando che l’amministrazione non avrebbe valutato la sua lunga carriera del ricorrente, la liceità della condotta, l’assenza di responsabilità nella diffusione, l’attinenza alla vita privata dei fatti contestati, né avrebbero precisato, come anche il T.a.r., le motivazioni per cui vi sarebbe stata una grave mancanza alle norme di contegno. Siffatto motivo è infondato, giacché l’aver trasmesso il video a dei colleghi non poteva non essere considerato comportamento irrispettoso di quella compostezza e sobrietà cui l’appartenente alle forze dell’ordine deve improntare la propria condotta, a prescindere dalla sua liceità. D’altra parte, la lunga e meritoria carriera è stata tenuta in considerazione dell’amministrazione, la quale, invero, per tale ragione ha applicato una sanzione maggiormente mite (la deplorazione) rispetto a quella inizialmente prospettata (destituzione). Tramite il quinto motivo l’appellante ha sostenuto la «tardività dell’avvio del procedimento disciplinare», specificando che erroneamente il T.a.r. ha affermato che il ritardo sia ragionevolmente giustificazione dalla necessità di accertare previamente l’idoneità psicofisica dell’interessato, da cui potevano derivare conseguenze sulla validità del procedimento disciplinare (che postula una piena capacità di autodeterminazione dell’incolpato) e sulla possibilità di permanere in servizio. Al riguardo il dipendente ha asserito che il dubbio sul proprio equilibrio psicofisico si è rivelato del tutto infondato, con la conseguenza che il procedimento sarebbe tardivo, non potendosi considerare giustificabile il ritardo nell’avvio per la necessità di previamente verificare la lucidità dell’incolpato, trattandosi di un’ipotesi non prevista dalle norme che regolamentano il procedimento disciplinare. Detta contestazione è infondata, poiché la legittimità della scelta di effettuare accertamenti psicofisici non può essere vagliata a posteriori e in base all’esito negativo degli stessi accertamenti (che hanno escluso disturbi di natura psichiatrica e la dedizione all’assunzione di sostanze stupefacenti); tale esito, invero, non implica che non vi fosse un ragionevole dubbio iniziale, giustificato dal principio di precauzione, considerato che l’eccentricità dell’accaduto ha fatto sorgere congruamente nell’amministrazione l’esigenza di verificare le condizioni di salute mentale del dipendente e che i relativi approfondimenti sono stati nell’esclusivo interesse di questi. Con la sesta doglianza l’interessato ha dedotto la «violazione dell’art. 13 comma 4 D.P.R. 737/1981», sostenendo l’erroneità di quanto affermato dal T.a.r. circa la maggiore garanzie offerte dalla procedura adottata dall’amministrazione (e inerente alle sanzioni della sospensione del servizio e della destituzione) rispetto a quella che sarebbe stata sufficiente per la più lieve sanzione in concreto comminata (deplorazione), in quanto «per infliggere la deplorazione debba essere sentita anche la commissione consultiva di cui all’art. 15 e un tanto non è avvenuto». Tale motivo è infondato, poiché, essendo il meno ricompreso nel più, la regolarità formale di un procedimento non può a posteriori essere inficiata dal suo esito qualora, come nel caso di pecie, il procedimento adottato sia più gravoso per l’amministrazione e soprattutto più garantista per l’incolpato, oltre che inizialmente obbligato alla luce delle contestazioni formulate che avrebbero potuto condurre alla irrogazione di una sanzione molto più severa. Mediante la settima censura l’appellante ha argomentato «Sulla natura della disposta sospensione dal servizio», sostenendo, in sintesi, che «Contrariamente a quanto affermato dal TAR vi è tutto l’interesse del sig. -OMISSIS- ad un riconoscimento dell’inesistenza dei presupposti (una patologia della sfera neuropsichiatrica) sulla base dei quali è stato sospeso. Vi è un interesse, quanto meno morale, al riconoscimento che non ha mai sofferto di patologie della sfera psichiatrica che lo rendevano inidoneo al servizio. E’ stato esautorato dal servizio per un dubbio relativo all’esistenza di una patologia che è stata assolutamente esclusa dal Centro di Neurologia e Psicologia Medica -OMISSIS- (...) Vi è quindi l’interesse a che il periodo in cui è stato sospeso non sia riconducibile ad una patologia in effetti non sussistente (...) Nella sentenza appellata si afferma che vi sarebbe doverosità della sospensione dal servizio in presenza di dubbi sulla salute mentale del personale di polizia. In effetti però il medico della Polizia non ha accertato alcun sintomo né effettuato alcuna diagnosi e inoltre non si è limitato a prevedere un’inidoneità parziale a determinate funzioni (che magari avessero previsto l’uso di armi) ma ha stabilito una radicale sospensione dal servizio di circa 45 giorni». Il suddetto motivo è infondato, in quanto, da un lato, la qualificazione dei periodi di sospensione dal servizio come «congedo straordinario per malattia» (dal 26 marzo 2018 al 1° maggio 2018) e «aspettativa per malattia» (dal 2 maggio 2018 all’11 maggio 2018) non hanno provocato alcun danno all’interessato, stante l’integrale percezione della retribuzione e la computabilità ad ogni effetto (tra cui progressione di carriera e aumenti stipendiali ecc.) dei relativi intervalli temporali ai sensi degli articoli 40 e 68 del d.P.R. 3/1957 e, d’altro lato, comunque la sospensione dal servizio è stata sostanzialmente doverosa in presenza di ragionevoli dubbi sulla salute mentale del dipendente, con conseguente necessità di attribuire un regime giuridico a tale periodo, indipendentemente dal concorso della volontà dell’interessato. In conclusione l’appello va respinto. La peculiarità della vicenda giustifica tra le parti le spese processuali del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 2456 del 2021, come in epigrafe proposto, lo respinge; compensa tra le parti le spese di lite del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all’articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento U.E. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità del ricorrente, nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelarne lo stato di. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2023, con l’intervento dei magistrati: Giulio Castriota Scanderbeg - Presidente Giovanni Sabbato - Consigliere Francesco Frigida - Consigliere, Estensore Antonella Manzione - Consigliere Alessandro Enrico Basilico - Consigliere L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Francesco Frigida Giulio Castriota Scanderbeg IL SEGRETARIO In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CALVANESE Ersilia - Presidente Dott. PACILLI G.A.R. - Consigliere Dott. ROSATI Martin - rel. Consigliere Dott. VIGNA M.S. - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata in (OMISSIS); avverso la sentenza del 19/09/2023 della Corte di appello di Milano; letti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Martino Rosati; udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Odello Lucia, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; udito il difensore della ricorrente, avv. (OMISSIS), in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con atto del suo difensore, la cittadina russa (OMISSIS) impugna la sentenza della Corte di appello di Milano del 19 settembre scorso, che ha ritenuto l'esistenza delle condizioni per la sua consegna all'autorita' giudiziaria della Repubblica francese, in esecuzione del mandato di arresto Europeo emesso a suo carico dalla Procura della Repubblica del Tribunale giudiziario di Parigi il 22 agosto precedente, per l'esecuzione del provvedimento restrittivo cautelare emesso nei suoi confronti dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale il 1 agosto. Ella e' indagata da quell'autorita' per i reati di partecipazione ad un'associazione criminale, riciclaggio, estorsione nonche' per vari reati informatici. Le si addebita di aver compiuto, in concorso con il proprio marito (OMISSIS), tra febbraio 2020 e luglio 2022, otto attacchi informatici verso enti pubblici ed aziende francesi, introducendosi nelle relative reti informatiche attraverso un servizio anonimo (vpn), inserendovi un virus e, in. tal modo, provocando la criptazione dei dati di tali enti, con la conseguente richiesta di un riscatto in criptovalute per consentirne lo sblocco e con il successivo riversamento di queste somme su piattaforme di scambio di tali valute virtuali. 2. Tre sono i motivi di ricorso. 2.1. I primi due possono essere trattati congiuntamente, denunciando entrambi le lacune del mandato e la conseguente violazione della L. n. 69 del 2005, articolo 6, comma 1, lettera e), in quanto tale atto non conterrebbe l'indicazione delle circostanze della commissione del reato ne' del grado di partecipazione della persona ricercata. Tali informazioni non sarebbero state fornite dalle autorita' francesi neppure con relazione integrativa richiesta loro dalla Corte d'appello a norma della L. n. 69, cit., articolo 16, la quale si sarebbe limitata alla descrizione della tipologia dei reati ipotizzati, senza invece illustrare i fatti che, in concreto, varrebbero ad integrali. Ragione per cui la sentenza impugnata si fonderebbe su un mandato d'arresto gia' reputato incompleto dalla stessa Corte. Anzi, lo stesso mandato addirittura escluderebbe il coinvolgimento della ricorrente, la' dove rappresenta che l'utente vpn ritenuto autore delle connessioni, contraddistinto dall'account "taxaccaount", e' stato identificato per il marito di costei e che "al momento non (e') accertata Va ripartizione dei ruoli tra loro". Inoltre, ne' il m.a.e. ne' la nota integrativa chiariscono le modalita' attraverso le quali si e' pervenuto all'identificazione della (OMISSIS), percio' omettendo un'informazione essenziale, tanto piu' perche' - come le stesse autorita' francesi rappresentano - gli autori dei reati si sono avvalsi di sofisticati sistemi di mascheramento dei propri indirizzi informatici. Ed ancora: il mandato da' rilievo al fatto che le connessioni siano avvenute, oltre che dalla Russia, anche dalla Turchia, dall'Italia e dalla Germania, ma, se si eccettuano le prime, le altre sarebbero inconferenti, poiche' verificatesi quasi tutte tra settembre del 2022 e marzo del 2023, mentre l'addebito riguarda fatti avvenuti fino a luglio 2022. Quanto, infine, alle circostanze della commissione del reato, sostiene il ricorso che esse debbano identificarsi con quelle cosi' espressamente definite dall'articolo 70 c.p., sulle quali sia il mandato che la relazione integrativa hanno taciuto del tutto. Il risultato e' che la richiesta francese, in quanto priva degli elementi minimi ed essenziali imposti dalla normativa interna e da quella sovranazionale di riferimento, viola i diritti fondamentali della persona garantiti dagli articoli 5 e 6, CEDU, e 47, CDFUE. 2.2. Il terzo motivo denuncia la violazione della L. n. 69, cit., articolo 17, poiche' la decisione della Corte d'appello e' intervenuta oltre il termine previsto da tale disposizione, peraltro neppure prorogato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Nessuno dei motivi di ricorso ha fondamento giuridico e l'impugnazione, percio', dev'essere respinta. 2. Le indicazioni che il mandato d'arresto deve contenere (secondo la previsione dell'articolo 8 della decisione quadro del Consiglio U.E. 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, ripresa pressoche' tal quale nel diritto interno dalla L. n. 69 del 2005, articolo 6), tra le quali - per quanto d'interesse nello specifico - vi sono le "circostanze della commissione del reato" ed il "grado di partecipazione del ricercato", sono volte a fornire le informazioni formali minime, necessarie per consentire alle autorita' giudiziarie dell'esecuzione di dar seguito in tempi brevi al mandato d'arresto Europeo, adottando con urgenza la loro decisione sulla consegna (in questi esatti termini, CGUE, sentenza del 23 gennaio 2018, C 367/16, Piotrowski, 59). Ne deriva che la descrizione delle circostanze della commissione del reato, compreso il grado di partecipazione del ricercato, dev'essere soltanto tale da permettere, allo Stato richiesto della consegna, di eseguire i controlli demandatigli dalla legge (vds. L. n. 69 del 2005, articolo 1, comma 3 e articoli 2, 7, 18 e 18-bis). Tra questi, pero', a seguito del Decreto Legislativo 2 febbraio 2021, n. 10, e' venuto meno quello sulla sussistenza di un compendio indiziario ritenuto dall'autorita' giudiziaria emittente seriamente evocativo di un fatto-reato commesso calla persona di cui si chiede la consegna (secondo il noto principio elaborato nella vigenza della precedente disciplina da Sez. U, n. 4614 del 30/01/2007, Ramoci, Rv. 235348): tanto si rileva senza incertezze dall'abrogazione della stessa L. n. 69, articolo 6, comma 4, che imponeva all'autorita' emittente il mandato di allegare una relazione sui fatti con l'indicazione delle fonti di prova; ma, ancor piu', dall'eliminazione dal testo del successivo articolo 17, sempre per mano della novella del 2021, del riferimento ai "gravi indizi di colpevolezza" quale presupposto per l'esecuzione di un mandato d'arresto processuale, con la conseguenza che, secondo le legge oggi in vigore, la mancata indicazione di essi nel mandato non costituisce legittimo motivo di rifiuto alla consegna (cosi', tra altre, Sez. 6, n. 39196 del 28/10/2021, Ferrari, Rv. 282118). 3. Nel caso in rassegna, dunque, l'assenza di piu' precise indicazioni sulle modalita' di coinvolgimento della ricorrente nei fatti di reato oggetto del mandato non incide sulla completezza dello stesso e sulla possibilita', per l'autorita' giudiziaria italiana, di verificare l'esistenza dei presupposti per la consegna (provenienza dell'atto da un'autorita' giudiziaria, doppia punibilita' dei fatti, ne bis in idem, extraterritorialita' e cosi' via). 3.1. In particolare, non deve trarre in inganno il riferimento normativo al "grado di partecipazione del ricercato". Tale locuzione, infatti, non si riferisce alla maggiore o minore intensita' del coinvolgimento del soggetto nella vicenda delittuosa, ma si giustifica per il fatto che, in diversi sistemi penali Europei, il reato associativo ed il concorso di persone nel reato presentano una disciplina diversa da quella italiana: ovvero, in alcuni casi, fondata sulla differenza qualitativa delle varie figure di correi, percio' considerando l'autore del reato ed i partecipanti come due diverse categorie; in altri, come nei paesi di common law, calibrata sulla diversa tipologia di condotta: reati preparatori (preliminary or inchoate offences), istigazione (incitement), tentativo (attempt), accordo (conspiracy). Aspetti, questi, che invece non rilevano nel sistema italiano, fondato sul principio della pari responsabilita' dei concorrenti nel reato. 3.2. Da ultimo, con riferimento alle "circostanze della commissione del reato", del tutto eccentrica e' la tesi difensiva, che le confonde con le "circostanze del reato" di cui all'articolo 70 c.p., il quale, pero', si riferisce evidentemente al diverso istituto di cui al libro I, titolo III, capo II dello stesso codice. Del resto, oltre che dalla logica (non si spiegherebbe razionalmente, infatti, una cosi' particolare attenzione per le circostanze del reato, aggravanti od attenuanti che siano, tale da pretenderne la specifica indicazione nel m.a.e.), cio' e' confermato, da un lato, dalla collocazione topografica di tale disposizione all'interno del predetto capo del codice e, dall'altro, dal testo della L. n. 69, cit., articolo 6, che parla di "circostanze della commissione del reato, compresi il rnomento, il luogo e il grado di partecipazione del ricercato", tutti profili, cioe', che con aggravanti ed attenuanti non hanno nulla a che fare. 4. Altresi' infondato, in questo caso manifestamente, e' il motivo riguardante il mancato rispetto dei termini per la consegna. I termini previsti dalla L. n. 69 del 2005 sono esclusivamente acceleratori, in funzione di una piu' tempestiva ed efficace collaborazione fra gli Stati, ma non sono assistiti da sanzioni processuali in termini di decadenze o - per quanto qui interessa - di invalidita' di atti del procedimento, non condizionando percio' la validita' della decisione sulla consegna. Per l'ipotesi in cui le ordinarie scansioni temporali del procedimento non vengano rispettate, infatti, l'articolo 22-bis di tale legge - inserito dalla stessa novella del 2021 che ha ridisegnato i tempi dei procedimento - pone a carico dell'autorita' giudiziaria esclusivamente una serie di obblighi informativi verso il Ministro della giustizia (nonche' da parte di quest'ultimo nei confronti dello "Stato richiedente e, in alcuni casi, verso Eurojust), altresi' prevedendo, nel caso della protrazione dei ritardi oltre gli ulteriori termini ivi fissati, la possibilita' o l'obbligo di intervenire sull'eventuale custodia cautelare del consegnando, revocandola o sostituendola con misure meno afflittive (Sez. 6, n. 3282 del 26/01/2022, Missaoui Thamer, Rv. 282749; Sez. 6, n. 14938 del 14/04/2022, Siedlecki, non mass.). 5. Al rigetto del ricorso segue obbligatoriamente la condanna della proponente al pagamento delle spese del procedimento (articolo 616 c.p.p.). P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, articolo 22, comma 5.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE AMICIS Gaetano - Presidente Dott. GIORGI Maria - rel. Consigliere Dott. AMOROSO Riccardo - Consigliere Dott. COSTANTINI Antonio - Consigliere Dott. SILVESTRO Pietro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS) nella (OMISSIS); avverso la sentenza del 19/09/2023 della Corte di appello di Milano; Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Maria Silvia Giorgi; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Antonio Balsamo, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso; udito il difensore dell'imputato, Avv. (OMISSIS) in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), il quale ha insistito per l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha dichiarato sussistenti le condizioni per l'accoglimento della richiesta di consegna di (OMISSIS) alla Autorita' Giudiziaria francese, in relazione ai reati di "partecipazione ad una associazione criminale in vista della preparazione di un delitto", "riciclaggio dei proventi di un'estorsione in banda organizzata", "estorsione in banda organizzata", "intralcio al funzionamento di un sistema di trattamento automatizzato di dati", "modifica fraudolenta di dati contenuti in un sistema di trattamento automatizzato", "inserimento fraudolento di dati in un sistema di trattamento automatizzato", "alterazione del funzionamento di un sistema di trattamento automatizzato dei dati a seguito di permanenza fraudolenta", "alterazione del funzionamento di un sistema di trattamento automatizzato dei dati in seguito ad un accesso fraudolento". La Corte territoriale ha dato atto che la consegna e' stata richiesta al fine di assicurare la presenza in giudizio dell'imputato e che i fatti addebitati costituiscono reato anche nell'ordinamento italiano (articoli 416, 629, 640-ter, 648-bis/648-ter, 615-ter, 615-quinquies c.p.). Rifiutava la consegna in relazione al reato di "ricettazione di beni provento di estorsione in banda armata organizzata" per difetto di descrizione del fatto. Rilevava, altresi', che il mandato di arresto emesso il (OMISSIS) dal Procuratore della Repubblica del Tribunale giudiziario di (OMISSIS), integrato dalle informazioni aggiuntive richieste ex L. 22 aprile 2005, n. 69, articolo 16 e pervenute in data 14 settembre 2023, contiene le informazioni prescritte dalla L. 69 del 2005, articolo 6, comma 1, nella nuova formulazione derivante dalle modifiche apportate dal Decreto Legislativo n. 2 febbraio 2021, n. 10 e che i reati per i quali e' stato emesso il provvedimento sono previsti come tali anche nell'ordinamento italiano e sono puniti con pena detentiva non inferiore a dodici mesi. Infine, la Corte rilevava che la tardiva trasmissione delle informazioni di cui alla L. 69 del 2005, articolo 6, comma 1, non costituisce causa ostativa alla loro valutazione e non impedisce di disporre la successiva consegna, la quale resta preclusa nel solo caso in cui lo Stato di emissione, richiestone, non dia corso alla loro trasmissione, cosi' disattendendo la relativa eccezione difensiva. 2. Hanno proposto ricorso i difensori del richiesto, lamentando: 2.1. la violazione di legge riferita alla L. n. 69 del 2005, articolo 6, atteso che la Corte ha disposto la consegna, malgrado le diverse incertezze emergenti dal mandato di arresto, che la Corte territoriale ha confuso con le informazioni aggiuntive richieste, le quali peraltro non chiariscono adeguatamente le circostanze dei reati ne' il ruolo e il grado di partecipazione del richiesto in merito ai fatti contestati; 2.2. la violazione di legge con riferimento alle circostanze di commissione dei delitti, la cui descrizione e' prevista dal medesimo articolo 6, L. n. 69 del 2005, necessariamente riferibili a quanto disposto dall'articolo 70 c.p. (circostanze oggettive e soggettive), sulle quali la nota pervenuta a seguito della richiesta integrazione nulla chiarisce; del resto neppure e' chiarito come sia stato possibile risalire al richiesto e alla di lui consorte, dal momento che non e' stato indicato il provvedimento cautelare su cui il mandato di arresto Europeo e' fondato; 2.3. la violazione di legge con riguardo alla L. 69 del 2005, articolo 17, commi 1, 2 e 2-bis; non sono stati rispettati i termini di conclusione della procedura, dovendo essere la decisione assunta entro 15 giorni dall'esecuzione della misura, con possibilita' di prorogare i termini di ulteriori 10 giorni. Il richiesto e' stato arrestato il (OMISSIS) e la decisione e' intervenuta il 19 settembre 2023, senza che fosse stata disposta la proroga. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. I primi due motivi di ricorso, strettamente connessi, sono manifestamente infondati. Il Decreto Legislativo n. 10 del 2021, articolo 6, comma 1, lettera e), nella formulazione vigente, prevede che il mandato contenga una descrizione delle circostanze della commissione del reato, compresi il momento, il luogo e il grado di partecipazione del ricercato, mentre e' stato eliminato il riferimento alla relazione illustrativa delle fonti di prova e degli indizi di colpevolezza (di cui al previgente comma 4, lettera a, dello stesso articolo 6). Ne consegue che, eliminato il riferimento alla documentazione che in precedenza si prevedeva dovesse essere allegata al mandato di arresto, sono venute meno anche le correlate cause di rifiuto, essendo richiesto che il mandato contenga da solo tutti gli elementi necessari per consentire il controllo che e' tenuta ad effettuare l'autorita' giudiziaria dello Stato di esecuzione (Sez. 6, n. 35462 del 23/09/2021, M., Rv. 282253; Sez. 6, n. 39196 del 28/10/2021, Ferrari, Rv. 282118). Nel caso di specie la Corte del merito, avendo ritenuto che il mandato contenesse una esposizione parziale dei fatti, ha richiesto ed acquisito informazioni aggiuntive ex L. 69 del 2005, articolo 16. Dalla lettura congiunta dei due provvedimenti (che non si "confondono" come sostiene la Difesa, bensi' si integrano) emergono i requisiti richiesti dalla L. n. 69 del 2005, comma 1, lettera e), dell'articolo 6, cosi' come sottolineato nel provvedimento impugnato. Le indicazioni contenute nel mandato d'arresto e adeguatamente ampliate nelle informazioni aggiuntive si presentano sufficientemente dettagliate e significativamente evocative del coinvolgimento di (OMISSIS) nella diffusione, insieme alla coniuge, con otto attacchi informatici in varie localita' della Francia tra il (OMISSIS), di un malevolo programma informatico, collegandosi attraverso reti informatiche anonime da localita' internazionali, cosi' danneggiando diverse societa' e amministrazioni pubbliche francesi. Dalle informazioni pervenute il (OMISSIS) si evince altresi' la commissione dei reati di "estorsione in banda organizzata", "riciclaggio dei proventi di un'estorsione in banda organizzata", "partecipazione ad una associazione criminale in vista della preparazione di un delitto" (pagg. 3 e 4 del provvedimento impugnato). Destituita di fondamento e' pertanto la tesi dell'incertezza fattuale e circostanziale degli addebiti, anche per il profilo genericamente prospettato dalla difesa con riferimento all'elencazione delle circostanze di cui all'articolo 70 c.p., dal momento che il richiamo della L. 69 del 2022, articolo 6 deve evidentemente intendersi riferito alle modalita' spazio-temporali di commissione del fatto delittuoso. 3. Sotto diverso profilo, e' manifestamente infondato, oltre che generico, anche il profilo di doglianza relativo alla omessa indicazione del provvedimento cautelare su cui il mandato di arresto Europeo e' fondato. Lo scopo della disposizione richiamata, che richiede l'indicazione dell'esistenza di una sentenza esecutiva o di un provvedimento cautelare o di qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva, infatti, e' quello di verificare che, a fronte delle piu' svariate autorita' giudiziarie che hanno la possibilita' di emettere il mandato di arresto Europeo (che negli ordinamenti stranieri ben puo' essere il pubblico ministero, dato che l'articolo 6 della decisione quadro 2002/584/GAI rimette al singolo Stato membro la individuazione di tale autorita') sia certo che il provvedimento cautelare sottostante, cui si intende dare esecuzione, sia stato emesso da un giudice. Nel caso si specie poiche' il mandato di arresto Europeo e' stato emesso dalla Procura della Repubblica del Tribunale giudiziario di (OMISSIS) sulla base del provvedimento cautelare emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale giudiziario di (OMISSIS) il 1 agosto 2023, la circostanza che non risulti specificata la natura del provvedimento giudiziario posto a fondamento della misura cautelare non assume alcuna rilevanza. 4. Non si sottrae alla valutazione di manifesta infondatezza anche la censura relativa al mancato rispetto dei termini, dal momento che in tema di mandato di arresto Europeo, la decisione sulla consegna adottata oltre i termini previsti dalla L. n. 69 del 2005, articolo 17, comma 2-bis, decorrenti dall'esecuzione della misura cautelare, non condiziona la validita' della decisione sulla consegna ne' comporta l'automatica caducazione della misura (Sez. 6, n. 3282 del 26/01/2022, Missaoui, Rv. 282749). Con le nuove disposizioni normative di cui all'articolo 22-bis, introdotto dal citato Decreto Legislativo n. 10 del 2021 e con l'abrogazione della citata L. n. 69 del 2005, articolo 21 che prevedeva la perdita di efficacia della misura cautelare nel caso di inosservanza del termine previsto dall'articolo 17 per la decisione sulla consegna da parte della corte di appello, sono state diversamente disciplinate le conseguenze del ritardo nell'adozione della decisione definitiva sulla richiesta di consegna, non essendo piu' prevista la caducazione automatica della misura cautelare, ma essendo stata rimessa alla Corte di appello la valutazione in materia di revoca della custodia cautelare, secondo cadenze temporali diverse dalla scadenza dei piu' brevi termini ora previsti dall'articolo 17, commi 2 e 2-bis, riferiti sempre unicamente ai tempi di decisione della Corte di appello. I nuovi termini disciplinati dai commi 1, 2 e 4 dell'articolo 22-bis cit. riguardano ora anche la fase davanti alla Corte di cassazione, essendo le relative scadenze riferite alla decisione "definitiva" sulla richiesta di consegna. Con le nuove disposizioni, la scadenza di sessanta giorni decorrente dall'esecuzione della misura cautelare o dall'arresto della persona ricercata, prevista dal comma 1, e quella prolungata di altri trenta giorni, prevista dal comma 2, comportano, la prima, solo obblighi di comunicazione del ritardo e delle relative ragioni al Ministro della giustizia (che poi deve a sua volta darne comunicazione all'autorita' giudiziaria richiedente), la seconda, relativa al superamento dell'ulteriore termine di giorni trenta, oltre alla comunicazione al Ministro della giustizia anche la valutazione della necessita' del mantenimento della custodia in carcere o la sua sostituzione con altre misure non detentive da parte della Corte di appello. 5. Alla declaratoria d'inammissibilita' dell'impugnazione segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma ritenuta equa di tremila Euro alla Cassa delle ammende. La Cancelleria provvedera' agli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, articolo 22, comma 5. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda la Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, articolo 22, comma 5.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 7686 del 2022, proposto da Te. It. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 81283942ED, rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Ra. Pe., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; contro Consip s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Al. - Th. It. In. Co. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Cl., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (...); Co. S.p.A., So. S.p.A., Bt It. S.p.A. in proprio e quale mandataria RTI con En. Se. It. S.r.l. e Fa. S.p.A., It. S.r.l. in proprio e quale mandataria RTI con In. S.p.A., En. D. Hu. S.p.A. in proprio e quale mandante RTI, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - AGCM, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda, 24 maggio 2022, n. 6693, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Consip s.p.a. e di Al. - Th. It. In. Co. S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 marzo 2023 il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti gli avvocati Pe., dello Stato Pi., Cl.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Nell'ambito della più ampia strategia di trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione contenuta nel Piano Triennale per l'Informatica 2017 - 2019, Consip S.p.A. bandiva, in data 20 dicembre 2019, una gara per la conclusione di un "Accordo Quadro per la fornitura di servizi cloud IaaS e PaaS in un modello di erogazione pubblico nonché per la prestazione di servizi connessi, servizi professionali di supporto all'adozione del cloud, servizi professionali tecnici per le pubbliche amministrazioni", suddivisa in 11 lotti. 1.1. In particolare, il lotto 1, di interesse del presente giudizio, aveva ad oggetto la fornitura di servizi "Public Cloud IaaS e PaaS", del valore complessivo di Euro 390.000.000,00, da aggiudicare col criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa e secondo la modalità di affidamento dell'Accordo Quadro c.d. multifornitore ex art. 54, quarto comma, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016. 2. Nel dettaglio, giova sin d'ora evidenziare che: a) il servizio cloud IaaS (infrastructure as a service) è un modello di servizio cloud in cui la facoltà fornita all'utilizzatore è quella di acquisire elaborazione, memoria, rete e altre risorse fondamentali di calcolo (ivi inclusi sistemi operativi e applicazioni), mentre il servizio PaaS (platform as a service) è un modello di servizio cloud in cui la facoltà fornita all'utilizzatore è quella di distribuire sull'infrastruttura cloud applicazioni create in proprio (oppure acquisite da terzi) utilizzando linguaggi di programmazione supportati dallo stesso fornitore; b) ogni concorrente doveva offrire servizi cloud messi a disposizione da un unico Cloud Service Provider (ad esempio Am. o Go. o Mi.); c) la disciplina di gara prevedeva: i) una prima fase competitiva per la individuazione del miglior concorrente tra le offerte che avevano indicato il medesimo Cloud Service Provider (CSP), salvo il caso in cui per un determinato Cloud Service Provider avesse presentato offerta un solo concorrente (che sarebbe quindi passato, direttamente, alla fase successiva); ii) una seconda fase in cui i migliori selezionati sulla base dei punteggi totali ottenuti (uno per ogni Cloud Service Provider) erano messi in "competizione" tra loro (in base ai criteri di valutazione tecnici ed economici previsti dalla lex specialis di gara) per individuare gli aggiudicatari con i quali stipulare l'Accordo quadro; d) la migliore offerta era individuata sulla base del punteggio complessivo più alto, sommando il "Punteggio Tecnico" (PT) e il "Punteggio Economico" (PE), con un punteggio massimo attribuibile di ottanta punti per l'offerta tecnica e di venti punti per l'offerta economica; e) il capitolato d'oneri prevedeva trenta criteri di valutazione dell'offerta tecnica, alcuni dei quali attributivi di un punteggio discrezionale (il massimo ottenibile da ciascuna concorrente ammontava a 35 punti) ed altri attributivi di un punteggio tabellare (massimo 45 punti); f) ciascun criterio di valutazione rientrava nel "perimetro" di competenza di una determinata macro-area tematica, che erano in tutto 10: Provider - Compute - Kubernetes - Storage - Network - Application Platform - Database relazionale - DB non relazionale- Application Platform, Database Relazionale, Database non Relazionale - Developer tools; nella macro-area tematica "Provider" rientravano 11 diversi criteri di valutazione, per un totale nel complesso di 32 punti assegnabili; g) all'elemento economico era attribuito un coefficiente, variabile da zero ad uno, calcolato secondo la seguente formula "concava a punteggio assoluto": Ci=1-(1-Ri) k. (dove: - la voce "Ci" è il coefficiente attribuito al concorrente i-esimo; - la voce "Ri" è il ribasso percentuale dell'offerta del concorrente i-esimo; la voce "k" (pari a 2) è il parametro che determina la concavità della curva di punteggio); il ribasso percentuale offerto era calcolato mediante la formula R = 1 - P/BA, dove P è il prezzo complessivo offerto, da intendersi come somma dei prodotti dei prezzi unitari offerti per le relative quantità richieste/stimate, e BA è l'importo totale a base di gara; h) l'affidamento degli incarichi (contratti esecutivi) a una delle imprese aggiudicatarie, a valle dell'accordo quadro e durante il suo periodo di vigenza (pari a ventiquattro mesi), era regolato secondo le modalità di cui all'art. 54, quarto comma, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016, e cioè (cfr. pag. 123 Capitolato d'oneri): - quanto ai servizi di base di volta in volta richiesti dalle Amministrazioni, alle medesime condizioni (economiche e tecnico prestazionali) stabilite nell'accordo quadro, senza nuovo confronto competitivo, tramite il c.d. "configuratore" che, a seguito dell'inserimento delle specifiche del proprio fabbisogno (id est quantità e qualità dei singoli servizi/prodotti tra quelli oggetto dell'Accordo Quadro) da parte della singola amministrazione, avrebbe calcolato il punteggio tecnico ed economico ottenuto in gara da ciascuna impresa aggiudicataria per lo specifico fabbisogno espresso, secondo le rispettive modalità di calcolo indicate dalla lex specialis, individuando così l'impresa esecutrice del singolo incarico; - con riapertura del confronto competitivo (indi all'esito di un'ulteriore selezione tra le sole imprese aggiudicatarie), quanto ad appalti specifici di volta in volta conferiti dalle singole Amministrazioni; - il configuratore, organizzato secondo le categorie sopra riportate (descritte ai paragrafi 2.3 -2.11 del Capitolato tecnico parte speciale del Lotto 1) e mediante il quale le amministrazioni ponderano il proprio fabbisogno rispetto ai servizi di base offerti in gara, è alimentato sia dai punteggi tecnici complessivi assegnati ad ogni aggiudicatario per tutte le categorie, sia dai prezzi delle singole voci di costo dei servizi, così come offerti in gara per ciascun aggiudicatario; in particolare, inserite le specifiche relative alle esigenze dell'amministrazione, il configuratore sommerà il punteggio tecnico ottenuto per il singolo criterio di cui è espressione il fabbisogno dell'Amministrazione al punteggio tecnico conseguito in gara per tutti i criteri di valutazione ricompresi nell'ambito "provider", mentre per quanto concerne il punteggio economico il configuratore, in relazione allo specifico fabbisogno dell'Amministrazione, valuterà lo sconto che si ottiene applicando i prezzi offerti in gara a partire dai prezzi a base d'asta, assegnando il punteggio economico secondo la sopra indicata formula concava. 3. All'esito della gara (cui partecipavano sette operatori economici), con provvedimento del 22 novembre 2021, Consip comunicava l'aggiudicazione dell'accordo quadro per il lotto 1 in favore dei seguenti quattro operatori (ciascuno dei quali risultato miglior concorrente per ogni tecnologia CSP, come previsto dalla lex specialis), secondo l'ordine di graduatoria basato sul punteggio ottenuto in sede di gara: I) RTI Al.- Th. It. In. Co. S.p.A. - En. D. Hu. S.p.A. (di seguito "Al." o "RTI Al."), con il punteggio totale di 89,938782351; II) Bt It. S.p.A. (punteggio totale 87,258353376); III) Te. It. S.p.A. (punteggio totale 85,999234436); IV) RTI It. S.r.l. - In. S.p.A. (punteggio totale 79,84). 4. Di tale aggiudicazione e di tutti gli atti presupposti, connessi e comunque consequenziali, Te. It. S.p.A. (di seguito "Te.") domandava l'annullamento al T.a.r. del Lazio, con ricorso articolato in tre motivi di impugnazione e poi integrato da motivi aggiunti, dolendosi in particolare che le regole di gara, per come congegnate, avrebbero determinato l'aggiudicazione degli appalti specifici soltanto in favore del RTI Al., primo classificato nella procedura, con quanto ne sarebbe derivato in termini di accresciuto rischio di lock-in tecnologico (cioè di dipendenza delle amministrazioni da un singolo operatore economico), amplificato anche dall'esiguo punteggio attribuito al criterio dell'interoperabilità . 4.1. La ricorrente formulava, quindi, plurime censure di violazione di legge (segnatamente, degli artt. 30 e 83 del d.lgs. n. 50 del 2016), di violazione della lex specialis, di violazione del principio di tutela della concorrenza e dei principi generali dell'azione amministrativa (imparzialità, non discriminazione, parità di trattamento e massima partecipazione), lamentando altresì difetto di istruttoria, eccesso di potere per sviamento, perplessità e contraddittorietà, nullità per indeterminatezza dell'oggetto dell'appalto, censurando anche il contrasto con la delibera ANAC n. 950 del 13 settembre 2017, n. 8 nonché con la Comunicazione della Commissione contro il lock in n. 455 del 25 giugno 2013. 4.2. La ricorrente lamentava, altresì, una scarsa chiarezza degli atti di gara che ne avrebbe a suo avviso imposto la ripubblicazione da parte di Consip. 4.3. Con i successivi motivi aggiunti Te. arricchiva le censure formulate, lamentando inoltre, in relazione alla valutazione dei requisiti migliorativi, la violazione della normativa speciale di gara, la violazione dell'art. 95 del decreto legislativo 50/2016 e dei principi in materia di valutazione delle offerte, nonché eccesso di potere per "travisamento dei fatti, contraddittorietà, carenza di motivazione, contrasto con l'interesse pubblico e carenza dell'istruttoria, sotto vari profili". 4.4. Su queste basi, la ricorrente domandava, pertanto, la declaratoria di inefficacia del contratto eventualmente stipulato nelle more e altresì la condanna delle Amministrazioni resistenti al risarcimento del danno per equivalente, da quantificare in corso di causa. 5. Con la sentenza in epigrafe, nella resistenza di Consip e della controinteressata Al., il Tribunale amministrativo, disattese in limine le eccezioni preliminari di tardività e inammissibilità del gravame, ha respinto il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti, ritenendoli infondati nel merito e condannando la ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore delle parti resistenti. 5.1. In particolare, il Tribunale ha fondato la decisione di rigetto sui seguenti essenziali passaggi argomentativi: - ha ritenuto non illogico né irragionevole il criterio tecnico adottato da Consip, perché volto a privilegiare, nella gara da svolgere con il criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa e afferente a servizi di sicurezza informatica destinati a proteggere tutte le pubbliche amministrazioni, il profilo tecnico qualitativo e altresì immune dai vizi denunciati la formula matematica concava adottata per l'assegnazione del punteggio economico, evidenziando poi come non potesse ritenersi frustrata in radice la natura "multi-fornitore" (prescritta dall'art. 54, comma 4, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016) dell'Accordo quadro, in quanto i contratti esecutivi potranno essere assegnati anche ad imprese diverse da Al., anche se, come è fisiologico nel modello dell'accordo quadro senza la riapertura del confronto competitivo, la prima aggiudicataria avrà verosimilmente maggiori chances di affidamento dei predetti contratti rispetto alle altre imprese che seguono in graduatoria; - ha ritenuto parimenti infondato il secondo motivo del ricorso introduttivo relativo al peso assegnato nel capitolato d'oneri al criterio tecnico dell'interoperabilità, essendo la valutazione dell'Amministrazione sul punto espressione di discrezionalità non illegittimamente esercitata, siccome non manifestamente illogica né irragionevole; - ha considerato infondate anche le censure relative alla scarsa chiarezza della legge di gara, sia perché Consip ha puntualmente reso accessibili online tutti i chiarimenti periodicamente resi, sia perché la ricorrente non ha indicato né gli elementi oscuri di cui si duole né in che modo tali "oscurità " abbiano riverberato effetti negativi sulla propria offerta, mancando sul punto una specifica allegazione; - ha ritenuto non suscettibili di positivo apprezzamento anche i motivi aggiunti afferenti alla valutazione delle offerte della controinteressata perché, contrariamente a quanto sostenuto da Te.: a) l'offerta del RTI Al. "include un sistema di protezione dagli attacchi informatici DDoS, sicché non appare vero che tale sistema venga somministrato soltanto se pagato a parte"; b) le censure mosse dalla ricorrente opinano in merito all'attribuzione dei singoli punteggi denunciati senza travalicare la soglia di ammissibilità del sindacato giurisdizionale; c) il RTI Al. ha offerto il servizio EKS idoneo a soddisfare quanto richiesto dagli atti di gara. 6. Contro la sentenza Te. ha proposto appello, affidandolo a sei motivi di impugnazione con cui ha sostanzialmente reiterato le corrispondenti doglianze formulate in primo grado col ricorso introduttivo e con i tre motivi aggiunti, a suo avviso erroneamente apprezzate e ingiustamente respinte dal Tribunale. Ha quindi riproposto le domande demolitorie e risarcitorie formulate in primo grado, oltre a formulare, in subordine, specifiche istanze istruttorie. 6.1. Anche nel giudizio di appello promosso da Te. si sono costituite Consip e Al., insistendo per il rigetto del gravame, eccependone l'inammissibilità e l'infondatezza. 6.2. All'udienza pubblica del 9 marzo 2023, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Con l'appello proposto Te. torna a contestare le regole di gara stabilite da Consip per l'affidamento di servizi di informatizzazione volti a supportare le Pubbliche Amministrazioni nel processo di trasformazione digitale e migrazione al cloud, secondo la formula dell'accordo quadro multi aggiudicatario c.d. misto (con l'alternativa tra la riapertura del confronto competitivo in fase di appalto specifico e l'uso del c.d. "configuratore" per gli ordinativi), lamentando che essa appellante, benché formalmente tra le aggiudicatarie dell'Accordo quadro, non potrebbe di fatto risultare affidataria dei contratti applicativi, in quanto il sistema di gara predisposto dalla stazione appaltante li attribuirebbe nella quasi totalità dei casi al primo graduato RTI Al., pur avendo quest'ultimo offerto servizi sostanzialmente equivalenti a quelli di Te. sul piano tecnico-prestazionale, ma di gran lunga più costosi e meno competitivi sotto il profilo economico. 1.1. In tal modo, il sistema di gara congegnato da Consip finirebbe con l'attribuire al RTI Al., primo degli aggiudicatari dell'accordo quadro, un indebito vantaggio competitivo, producendo un effetto distorsivo della concorrenza in forza del meccanismo sottostante al configuratore e della formula concava di attribuzione del punteggio economico prevista dalla lex specialis, che, in uno ai criteri di valutazione dell'offerta tecnica (calibrati assegnando un eccessivo peso all'ambito provider), avrebbe sterilizzato la componente economica (già compressa nel limite del solo 20% del punteggio complessivo), privandola di qualsiasi rilevanza (posto che all'aumentare del ribasso offerto tenderebbe a diminuire l'incremento del punteggio economico associato), precludendo così alle imprese concorrenti di "competere sul prezzo", compensando un'offerta tecnica di poco inferiore rispetto a quella prima classificata con una ben più conveniente offerta economica. 1.2. Al contempo, sarebbe così vanificato lo stesso intento perseguito con l'indizione della gara in questione, ossia quello di prevenire il rischio del c.d. lock-in mediante la differenziazione dei servizi e dei sistemi operativi offerti dagli aggiudicatari, e frustrata in radice la natura "multi fornitore" (prescritta dall'art. 54, comma 4, lettera b) del d.lgs. n. 50 del 2016) dell'accordo quadro. 1.3. Te. contesta poi la sentenza per non aver accertato che i criteri adottati da Consip sarebbero inidonei a prevenire il rischio del c.d. lock-in anche sotto altro profilo (secondo motivo), oltre che per non aver stigmatizzato la poca chiarezza degli atti di gara (terzo motivo). 1.3. Infine, con ulteriori tre ordini di doglianze, l'appellante critica le statuizioni della sentenza che hanno respinto le censure formulate coi motivi aggiunti concernenti i punteggi assegnati all'offerta del RTI Al. in merito ad alcuni criteri di valutazione della componente tecnica. 2. Per converso, le appellate evidenziano che le regole di gara, garantendo la presenza di una pluralità di cloud service provider nel novero degli aggiudicatari, mirano ad evitare il lock in tecnologico paventato dall'appellante, sebbene la presenza di tante imprese aggiudicatarie per quanti sono i cluster offerti non possa di per sé implicare per le medesime la certezza di affidamento di una quota di contratti esecutivi, ciò dipendendo- come è naturale che sia- dalle specifiche dei fabbisogni espressi dalle amministrazioni aderenti all'accordo quadro nonché dal posizionamento del concorrente nella graduatoria di merito, sulla base del punteggio ottenuto in sede di gara e della qualità dell'offerta presentata. 2.1. Nel caso di specie Te. non potrebbe quindi dolersi del più esiguo numero di contratti specifici che le saranno affidati in quanto ciò dipenderebbe- come correttamente riconosciuto dalla sentenza appellata- non dall'asserito effetto distorsivo delle regole di gara (i.e. dall'irragionevolezza delle formule utilizzate e dal funzionamento del configuratore), ma in tesi solo dal fatto che il punteggio attribuitole, all'esito della prima fase selettiva per l'aggiudicazione dell'accordo quadro, è risultato inferiore per entrambi i profili- tecnico ed economico- a quello conseguito dal RTI Al., in relazione a componenti essenziali dei servizi cloud. 2.2. Anche la formula matematica di determinazione del punteggio economico non meriterebbe le critiche rivolte dall'appellante, tanto più che l'utilizzo di una formula c.d. lineare avrebbe finanche aumentato il divario tra le due offerte, a vantaggio del RTI Al.. 2.4. Consip ribadisce poi di aver efficacemente perseguito gli obiettivi cui è preordinato l'intero impianto di gara, ovvero quello di mettere a disposizione delle Pubbliche Amministrazioni il maggior numero di tecnologie cloud distinte (rappresentate dai vari CSP), al fine di individuare, attraverso una comparazione basata su criteri oggettivi, la migliore tecnologia in relazione alle proprie specifiche esigenze e di selezionare la migliore offerta in termini tecnico-economici, così da garantire l'effettiva concorrenza, sulla base di un meccanismo di valutazione che, pur privilegiando la qualità delle offerte, non ha tuttavia affatto trascurato la componente economica, evitando soltanto che la procedura di gara potesse tradursi nella mera spartizione di quote di mercato tra i cloud service provider (ovvero tra i loro rivenditori), in modo slegato dalle effettive risultanze del confronto competitivo. 2.5. In questa ottica si collocherebbe la scelta della stazione appaltante di selezionare in una prima fase più operatori economici aggiudicatari secondo il paradigma normativo di cui all'art. 54, comma 4, del codice dei contratti pubblici, rimettendo poi alla singola Amministrazione la facoltà di affidare il contratto esecutivo, al verificarsi delle relative condizioni oggettive, senza la riapertura del confronto competitivo, mediante ordinativi (all'aggiudicatario individuato come migliore offerente sulla base della combinazione imputata nel configuratore, a seguito di una richiesta di una pubblica amministrazione espressa in termini di servizi, sottoservizi e quantità relative), o con riapertura del confronto competitivo, tramite appalto specifico. 2.6. Sempre in questa prospettiva non sarebbe neppure illegittimo riconoscere astrattamente maggiori chances di aggiudicazione dei contratti esecutivi agli operatori che sono risultati migliori offerenti nella prima fase della selezione, ciò non escludendo che nel corso della esecuzione contrattuale le Amministrazioni si rivolgeranno alternativamente a tutti gli aggiudicatari, come dimostra l'esistenza di plausibili combinazioni di elementi di servizio (effettivamente corrispondenti a potenziali fabbisogni di Amministrazioni aderenti all'accordo quadro) per le quali l'offerta specificamente migliore risulta quella della seconda o della terza classificata, quantunque non sia allo stato possibile stabilire - ex ante e con assoluta certezza- quale operatore riceverà il maggior numero di ordinativi, ciò dipendendo in concreto dai fabbisogni che verranno, di volta in volta, inseriti nel configuratore dall'Amministrazione che emetterà l'ordine. 2.7. Il complesso delle esposte argomentazioni confermerebbe la ragionevolezza dell'impianto di gara, positivamente apprezzato anche dall'Autorità Garante per la concorrenza e il mercato- AGCM, nel parere reso a seguito del procedimento avviato in data 15 luglio 2020, su segnalazione di altro operatore economico (il CS. Or. s.r.l., posizionatosi poi tra gli aggiudicatari mediante il proprio rivenditore RTI It. - In.). 2.7. Le appellate hanno poi eccepito l'inammissibilità delle censure formulate con tutti e tre i motivi aggiunti formulati in primo grado, che si risolverebbe in una sostanziale rilettura delle offerte tecniche considerate, pretendendo di sostituire il proprio personale giudizio a quello formulato dalla commissione, senza che vengano in rilievo macroscopici profili di illogicità o irragionevolezza della valutazione effettuata. 3. Così sintetizzate le opposte tesi, ritiene il Collegio che la causa si presenti matura per la decisione, sicché vanno anzitutto disattese le istanze istruttorie formulate in subordine dall'appellante di disporre verificazione o consulenza tecnica d'ufficio "sul funzionamento del configuratore e sull'applicazione della formula alle classi più frequenti di fabbisogno delle amministrazioni utenti" e di ordinare a Consip "l'esibizione e la produzione in giudizio degli ordinativi relativi ai contratti esecutivi in attuazione dell'Accordo Quadro". 3.1. Entrambe le richieste non sono, infatti, utili ai fini della decisione in quanto, per il giudizio di legittimità delle regole di gara predisposte dalla stazione appaltante, ciò che rileva, per quanto più diffusamente si esporrà in prosieguo, è la comprovata esistenza di ipotesi (non contestate) in cui anche aggiudicatari diversi dal RTI Al., primo classificato, possono risultare affidatari dei contratti applicativi, secondo le modalità e la ratio dell'accordo quadro c.d. multifornitore. 3.2. Anche il documento da ultimo prodotto dall'appellante (il verbale del Comitato tecnico dell'Accordo quadro) non conduce a diverse conclusioni, in quanto, come bene evidenziato dal RTI Al. nella memoria di replica per l'udienza pubblica, tale documento, da un lato, conferma che anche altri aggiudicatari possono stipulare contratti esecutivi ed essere contattati dalle amministrazioni che manifestino interesse per i servizi dell'Accordo quadro, dall'altro evidenzia che lo scarso utilizzo dell'Accordo quadro da parte delle amministrazioni dipende da circostanze, in larga parte sopravvenute, che non hanno attinenza con il sistema di gara e non riguardano, pertanto, le questioni poste dai motivi di appello. 4. Tanto premesso, l'appello è infondato, non meritando la sentenza di prime cure le critiche che le sono rivolte. 5. Nel procedere all'esame delle singole doglianze, in primo luogo si osserva che non può essere condiviso il primo motivo di gravame che sostiene l'erroneità della sentenza (per "difetto, contraddittorietà e illogicità della motivazione; difetto di istruttoria e travisamento di fatti; violazione e falsa applicazione dell'art. 95 del D.Lgs. n. 50/2016") nella parte in cui ha respinto il primo motivo di ricorso, volto a censurare sia i criteri di attribuzione dei punteggi tecnici sia la formula "concava" di determinazione dei punteggi economici. 5.1. Secondo l'appellante la sentenza di prime cure avrebbe errato nel ritenere, con motivazione apparente e contraddittoria, oltre che sfornita del supporto di qualsivoglia approfondimento istruttorio in relazione agli esiti derivanti dall'applicazione del configuratore: a) legittimo, in quanto non illogico né irragionevole, il peso attribuito all'ambito "Provider" laddove influenza il punteggio tecnico di ogni affidamento, in modo da assegnare gli ordinativi di seconda fase prevalentemente al R.T.I. Al.; b) non manifestamente irragionevole la formula concava di attribuzione del punteggio economico, che attribuisce minore rilevanza all'aumento della differenza del ribasso del prezzo; c) non irragionevole il fatto che in taluni scenari di fabbisogno il contratto sarà ineluttabilmente affidato alla prima aggiudicataria, essendovi anche "scenari di fabbisogno a fronte dei quali il contratto sarà affidato alla stessa ricorrente (oppure alla seconda classificata)". 5.2. In particolare, ad avviso dell'appellante il primo giudice avrebbe: - omesso di considerare le puntuali analisi e simulazioni tecnico-matematiche fornite da Te. nel giudizio di primo grado, volte a dimostrare, sulla base di diversi fabbisogni "rappresentativi" di servizi informatici comunemente espressi dalle pubbliche amministrazioni, l'irragionevole "effetto di normalizzazione" dei punteggi tecnici nonché le connesse distorsioni competitive e anticoncorrenziali (derivanti dal fatto che all'operatore col maggior punteggio nell'ambito provider si attribuiscano sempre punteggi aggiuntivi, riconoscendogli così una sorta di "rendita di posizione", a prescindere da qualsivoglia miglioramento qualitativo o economico dei servizi offerti); - trascurato la sostanziale elisione della componente economica, resa del tutto irrilevante dalla formula eccessivamente concava di attribuzione dei punteggi economici; - travisato gli obiettivi sottesi alla gara (tra cui quello di non trascurare la componente economica dell'offerta), la disciplina posta dal decreto legislativo n. 50/2016 in materia di offerta economicamente più vantaggiosa (che consente alle stazioni appaltanti anche di far competere i concorrenti sui soli criteri qualitativi, purché ad un prezzo fisso) e la logica multi-fornitore sottesa all'accordo quadro per cui è causa; - ritenuto erroneamente che la complessiva irragionevolezza del sistema di gara possa esser "bilanciata" da isolati affidamenti di contratti applicativi a favore della ricorrente. 5.3. Ritiene, invece, il Collegio che le statuizioni della sentenza di prime cure sono corrette e meritevoli di conferma. 5.4. La sentenza appellata ha anzitutto puntualmente ricostruito il quadro normativo di riferimento, a partire da quanto dispone il 61° considerando della direttiva 2014/24/UE a mente del quale: "le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero beneficiare di una maggiore flessibilità quando aggiudicano appalti nell'ambito di accordi quadro conclusi con più di un operatore economico e in cui sono riportati tutti i termini. In questi casi, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero avere la facoltà di ottenere lavori, servizi o forniture specifici contemplati dall'accordo quadro, o richiedendoli da uno degli operatori economici determinato in base a criteri oggettivi e secondo i termini già stabiliti, o aggiudicando un appalto specifico per i lavori, i servizi e le forniture in questione in base a una mini-gara tra gli operatori economici parti dell'accordo quadro". 5.5. La sentenza ha quindi esattamente constatato che a valle di un accordo quadro multi-fornitore l'Amministrazione può affidare lavori, servizi e forniture con due modalità tra loro alternative, e cioè o effettuando una mini-gara tra le imprese che hanno ottenuto l'aggiudicazione dell'accordo quadro (c.d. affidamento con confronto competitivo) oppure procedendo ad affidamenti diretti e senza gara alle imprese aggiudicatarie "in base a criteri oggettivi e secondo i termini già stabiliti" (c.d. affidamento senza confronto competitivo). Ha poi rilevato che questo assetto regolatorio è stato integralmente recepito dalla norma dell'art. 54, quarto comma, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016, nella quale è ulteriormente precisato che "la scelta se alcuni specifici lavori, forniture o servizi debbano essere acquisiti a seguito della riapertura del confronto competitivo o direttamente alle condizioni di cui all'accordo quadro avviene in base a criteri oggettivi, che sono indicati nei documenti di gara per l'accordo quadro". 5.6. In secondo luogo, la sentenza appellata, acclarato che l'Amministrazione può dunque ricorrere ad affidamenti senza gara alle imprese aggiudicatarie dell'Accordo Quadro purché tali affidamenti avvengano "in base a criteri oggettivi" predefiniti ex ante dagli atti di gara, ha correttamente ritenuto che nel caso di specie queste regole certe (che di volta in volta consentano di individuare ex ante l'impresa, tra quelle aggiudicatarie dell'accordo quadro, legittimata a stipulare il singolo contratto) sono chiaramente declinate nell'art. 24 del Capitolato d'Oneri (paragrafo "affidamento senza la riapertura del confronto competitivo (ordini mediante configuratore") e attribuiscono a ciascun aggiudicatario (in corrispondenza di ciascuna richiesta di contratto avente ad oggetto uno o più prodotti inclusi nell'accordo quadro): a) lo specifico punteggio tecnico che l'aggiudicatario in questione aveva conseguito in gara per il criterio di valutazione (o categoria) in cui ricade il fabbisogno espresso dall'Amministrazione; b) il punteggio tecnico che detto aggiudicatario aveva complessivamente conseguito in gara per tutti i criteri di valutazione ricompresi nell'ambito "provider"; c) lo specifico punteggio economico che l'aggiudicatario aveva conseguito in gara per il prodotto oggetto di fabbisogno. 5.6.1. Su queste condivisibili premesse e considerato inoltre che il punteggio tecnico assegnato nel caso di specie dal "configuratore" risulta influenzato da due distinte componenti, ossia la qualità dello specifico servizio oggetto del singolo contratto esecutivo e la variabile "trasversale" della capacità organizzativa e gestionale del concorrente, il Tribunale, dopo aver richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale sulla piena discrezionalità di cui gode la stazione appaltante nell'individuazione dei criteri di gara, ha altrettanto condisivibilmente ritenuto che il fatto che questa seconda variabile- la generale capacità organizzativa e gestionale di ciascun concorrente che è premiata dall'ambito provider- influenzi il punteggio tecnico di ogni affidamento è logico e ragionevole, ove si ponga mente, per un verso, alla sua sostanziale "trasversalità ", e cioè "alla sua indubitabile essenzialità per ogni servizio offerto (indipendentemente dal suo contenuto)", per altro verso al fatto che nella gara da svolgere con il criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa la stazione appaltante ha certamente il potere di ponderare il profilo tecnico qualitativo e di non attribuire il punteggio maggiore all'offerta che presenti il minor prezzo. 5.6.2. Quel che conta è, infatti, che i criteri prescelti per la valutazione dell'offerta siano pertinenti alla natura, all'oggetto e alle caratteristiche dell'appalto messo a gara, oltre che trasparenti e intelligibili, consentendo ai concorrenti di calibrare la propria offerta, con la conseguenza che in tale contesto può assumere senz'altro importanza preminente il criterio qualitativo rispetto a quello economico o viceversa per l'aggiudicazione del servizio, con il solo limite dell'irragionevolezza o illogicità dei criteri prescelti in relazione alla specifica gara. 5.6.3. Orbene, nel caso di specie, come bene ritenuto dal primo giudice, la scelta di Consip di attribuire al singolo aggiudicatario in sede di configuratore - in aggiunta al punteggio tecnico per la specifica categoria oggetto di affidamento - anche il punteggio tecnico ottenuto in gara per tutti i numerosi criteri di valutazione dell'area "provider", non esorbita dalla sfera della ragionevolezza ed opinabilità . 5.6.4. Infatti, l'ambito "provider" - che assorbe il 40% del complessivo punteggio tecnico - si compone di sotto-voci concernenti: (i) l'organizzazione delle infrastrutture da cui vengono erogati i servizi (criteri R1 ed R2); (ii) gli strumenti messi a disposizione delle amministrazioni pubbliche per la gestione e monitoraggio dei servizi (criteri R3, R4 ed R7); (iii) le certificazioni di sicurezza possedute dal CSP (criterio R5); (iv) il livello percentuale di disponibilità dei servizi erogati (criterio R13); (v) la capacità di banda, le caratteristiche di affidabilità e sicurezza e la numerosità delle interconnessioni del CSP con i principali nodi della rete Internet (criteri R21 ed R22). 5.6.5. Mentre, dunque, i punteggi assegnati negli altri nove ambiti "premiano" la qualità e le caratteristiche tecniche dei singoli servizi offerti, l'ambito "provider" valuta e premia la generale capacità organizzativa e gestionale di ciascun concorrente, oltre alla qualità delle infrastrutture e delle soluzioni messe in campo dai CSP per l'erogazione dei servizi. 5.6.6. Ad avviso della Sezione, tale trasversalità giustifica, dunque, il maggior peso riconosciuto a tale categoria nella valutazione dell'offerta tecnica. 5.7. In terzo luogo, la sentenza di prime cure, accertato che Consip ha prestabilito le regole per l'affidamento dei contratti esecutivi e che ha quindi selezionato dei fornitori in virtù delle caratteristiche tecniche ed economiche espresse da ciascuno in sede di gara, ha di conseguenza correttamente escluso che ciò possa comportare assoluta garanzia di affidamento di un determinato numero di contratti nella fase esecutiva per gli aggiudicatari dell'Accordo quadro, a prescindere dal posizionamento ottenuto nella graduatoria di merito sulla base dei rispettivi punteggi tecnici ed economici, attribuiti secondo i criteri individuati dalla lex specialis. 5.7.1. Se infatti, come evidenziato, le regole a monte non impediscono agli aggiudicatari dell'Accordo quadro di essere potenzialmente affidatari dei contratti applicativi, è legittimo che tale astratta possibilità venga condizionata alla qualità dell'offerta presentata da ciascun concorrente. 5.7.2. Pertanto, dimostrata la possibilità di qualsiasi aggiudicatario di conseguire una quota di contratti esecutivi in seconda fase secondo la natura "multi-fornitore" (prescritta dall'art. 54, comma 4, lettera b) del d.lgs. n. 50 del 2016) dell'accordo quadro de quo, il primo giudice ha correttamente ritenuto che l'impianto di gara è esente dalle censure dedotte. Infatti, il modello dell'accordo quadro senza la riapertura del confronto competitivo è basato "su una dinamica di affidamento dei contratti esecutivi inevitabilmente "agganciata" ai risultati della selezione che ha preceduto l'aggiudicazione dell'accordo quadro", sì da risultare fisiologico in re ipsa che la prima aggiudicataria abbia maggiori chances di affidamento rispetto alle imprese che seguono in graduatoria. 5.7.3. Analoghe considerazioni valgono in ordine al configuratore, che è lo strumento utilizzato per regolamentare l'affidamento dei contratti esecutivi e tramite il quale le pubbliche amministrazioni ponderano il proprio fabbisogno, il cui obiettivo perciò non è quello di garantire una distribuzione degli appalti specifici più o meno omogenea tra gli aggiudicatari dell'accordo quadro, ma di assicurare, nell'ambito della dinamica competitiva, che ciascuna amministrazione appaltante, in funzione del proprio specifico fabbisogno, aggiudichi il contratto all'operatore economico la cui offerta meglio è in grado, sotto il profilo tecnico ed economico, di soddisfare le proprie esigenze. Pertanto, sono corrette le statuizioni della sentenza che hanno evidenziato come il meccanismo apprestato da Consip risulti coerente con lo scopo tipico del configuratore, "che non è quello "perequativo" di distribuire i contratti esecutivi in egual misura tra i più aggiudicatari dell'accordo quadro, bensì quello di traslare su detti contratti i risultati della competizione svoltasi prima dell'accordo quadro". 5.7.4. Le simulazioni prodotte da Te. non sovvertono le corrette conclusioni cui è pervenuto il primo giudice. 5.7.5. Infatti, la sentenza appellata, richiamati i margini di discrezionalità di cui le stazioni appaltanti godono quando definiscono il quadro di regole per l'assegnazione dei contratti scaturenti dall'aggiudicazione di un accordo quadro, ha correttamente escluso che il meccanismo di aggiudicazione degli appalti specifici favorisca soltanto il primo aggiudicatario, essendo invece probabile- anche se allo stato non predeterminabile con certezza in quanto ciò sarà in concreto determinato dalle specifiche esigenze delle singole amministrazioni, ovvero dai fabbisogni di volta in volta inseriti nel configuratore- che una quota non trascurabile di ordinativi risulti appannaggio della seconda classificata e anche della stessa appellante (terza classificata), naturalmente per quelle determinate categorie di prodotti e servizi per i quali tali concorrenti hanno presentato la migliore offerta. 5.7.6. Se poi dovessero effettivamente risultare limitati gli ambiti di servizio su cui l'appellante è in posizione utile ad aggiudicarsi ordinativi, ciò non dipende da distorsioni del meccanismo di attribuzione del punteggio, bensì - come comprovato dalle appellate - dal fatto che l'offerta presentata da Te. è stata valutata dalla stazione appaltante, con giudizio discrezionale immune da profili di erroneità, inferiore rispetto a quella delle offerte concorrenti, sotto profili tecnici ed economici di preminente rilevanza in appalti di servizi cloud, ovvero in relazione a specifici ambiti di valutazione tecnica che rivestono un ruolo centrale rispetto all'oggetto dell'accordo quadro e dei contratti da esso derivati, quali sono le categorie provider e compute, in un contesto di gara in cui la stazione appaltante ha chiaramente scelto di attribuire un peso preponderante alla qualità dell'offerta. 5.7.7. Si è detto, infatti, che la categoria provider valuta, tra l'altro, la qualità delle infrastrutture messe a disposizione dai CSP per l'erogazione dei servizi cloud alle Amministrazioni, il che giustifica il peso (relativamente) maggioritario che ad essa è attribuito nella valutazione tecnica di prima fase e il fatto che nel configuratore essa si comporti da punteggio "trasversale", utilizzato cioè nell'assegnazione di tutti gli ordinativi, indipendentemente dai servizi specificamente richiesti da ciascuna Amministrazione. Parimenti legittimo, per le spiegate ragioni, è che il punteggio relativo a questa trasversale categoria di valutazione sia poi debitamente "riproporzionato" all'interno del configuratore, nell'ambito del meccanismo di "normalizzazione" dei punteggi tecnici, che rappresenta un passaggio matematico essenziale affinché sia costantemente rispettata, nell'aggiudicazione dei singoli contratti esecutivi, la proporzione di punteggi tecnici ed economici stabilita dalla legge di gara quale criterio di aggiudicazione dell'Accordo quadro. 5.7.8. Analogamente, un ruolo centrale riveste la categoria compute, in quanto essa caratterizza i servizi computazionali che, come chiaramente specificato dal Capitolato tecnico speciale lotto 1, sono necessari all'implementazione di tutti i principali servizi cloud; dal che la rilevanza attribuita anche a tale punteggio tra quelli utilizzati all'interno del configuratore. Le appellate hanno poi comprovato come l'offerta di Te. presenti sempre il prezzo più alto per la componente CPU (c.d. core) che costituisce l'elemento di base per qualsiasi servizio computazionale previsto in gara. 5.7.9. Anche il riferimento al rischio di lock in tecnologico non conduce ad opposte conclusioni. Infatti, quand'anche il meccanismo su cui si basa il configuratore finisse per attribuire una quota maggioritaria di appalti specifici a due piuttosto che a tre operatori economici in ragione dei fabbisogni espressi dalle Amministrazioni e della convenienza tecnico-economica delle offerte, non è provato che ciò comporti in alcun modo un fenomeno configurabile quale lock in, implicante la difficoltà di un'Amministrazione che abbia adottato una determinata tecnologia di optare successivamente per una tecnologia differente. 5.8. La sentenza è immune da censure anche nella parte in cui ha ritenuto non manifestamente irragionevole la formula concava di assegnazione del punteggio economico, stante la "conclamata volontà di Consip di attribuire rilievo essenziale alle componenti qualitative dell'offerta", nonché per il fatto che l'appalto in questione "è indubitabilmente contrassegnato da un elevato tasso tecnico". 5.8.1. Infatti, la sentenza, richiamato anche qui il consolidato insegnamento giurisprudenziale secondo cui le stazioni appaltanti godono di ampia discrezionalità nel determinare le formule in base alle quali attribuire il punteggio per la valutazione dell'offerta economica e i relativi limiti- nella specie in concreto non travalicati- del sindacato del giudice su tali scelte, tipica espressione di discrezionalità tecnica (Cons. Stato, sez. V, 22 ottobre 2018 n. 6026), anche con specifico riferimento alle formule matematiche non lineari (o quadratiche) come quella di cui si controverte (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 28 ottobre 2019, n. 7389; Cons. Stato, V, 2 settembre 2019, n. 6065; V, 10 aprile 2018, n. 2185; così Cons. Stato, V, 23 novembre 2018, n. 6639), ha correttamente evidenziato come il criterio in questa sede contestato è finalizzato a rendere marginale il peso degli elementi economici, o, meglio, il valore ponderale della progressione del ribasso ai fini dell'aggiudicazione (nell'ambito di un criterio di aggiudicazione che riserva, comunque, il venti per cento del punteggio all'offerta economica), allo scopo, evidente, di attribuire importanza centrale alle componenti qualitative dell'offerta nell'ambito di un appalto ad elevato tasso tecnico. 5.8.2. Come bene esposto dalle appellate, l'adozione di una formula concava risponde, dunque, a un ragionevole criterio di progressività in base al quale il distacco tra i punteggi economici attribuiti a due concorrenti tende a ridursi (a parità di differenza di prezzi offerti) quanto più i ribassi rispetto alla base d'asta risultino elevati. 5.8.3. Infatti, l'adozione di una formula concava fa sì che laddove i ribassi offerti dai concorrenti risultino particolarmente elevati rispetto ai prezzi posti a base d'asta (e dunque siano tali da garantire pienamente la convenienza economica per la stazione appaltante), rilievo relativamente maggiore assuma per contro la componente tecnica, in modo da riconoscer preminenza alle differenze qualitative su componenti essenziali della fornitura. Per converso, ove i ribassi confrontati siano inferiori, relativamente maggiore è il rilievo che la componente economica della valutazione assume rispetto a quella tecnica. 5.8.4. In altri termini, il significato sostanziale del criterio di "progressività " insito nella scelta di una formula concava di attribuzione del punteggio risiede nel fatto che il rilievo della componente economica della valutazione diminuisce progressivamente quanto più, all'aumentare dei ribassi offerti, gli obiettivi di convenienza economica della stazione appaltante vengono raggiunti, per cui risulta più conveniente far pesare relativamente di più le differenze di valutazione tecnica. 5.8.5. I rilievi di Te. secondo cui la formula concava svilirebbe le differenze di prezzo risultano poi confutati dalle appellate per gran parte dei prezzi offerti in gara, mentre negli esempi riportati dall'appellante gli effetti contestati sono giustificati, secondo l'illustrato criterio di progressività, dal fatto che entrambi i prezzi confrontati corrispondono, comunque, a ribassi particolarmente elevati, non impedendo dunque l'obiettivo della gara di conseguire risultati economici convenienti. 5.8.6. Il complesso di tali considerazioni induce, dunque, a ritenere che la sentenza di primo grado ha correttamente riconosciuto come nel caso di specie "l'esigua differenza di punti percentuali tra il minimo ribasso e il massimo ribasso risulta giustificata...dalla conclamata volontà di Consip di attribuire rilievo essenziale alle componenti qualitative dell'offerta, nonché dal fatto che l'appalto è indubitabilmente contrassegnato da un elevato tasso tecnico". 5.8.7. Anche l'ulteriore considerazione di Te. circa la possibilità, per le stazioni appaltanti, di applicare il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, eventualmente attribuendo "all'elemento economico la forma di un costo fisso, facendo di conseguenza competere i concorrenti su soli criteri qualitativi", non indebolisce- ma conferma- gli argomenti della sentenza di prime cure. 5.8.8. Infatti, se la norma consente alle stazioni appaltanti, ricorrendone i presupposti di legge, finanche di non rendere l'elemento economico oggetto di competizione, non può che considerarsi legittima la scelta di Consip di limitare progressivamente l'impatto della competizione sul prezzo al crescere dei ribassi offerti in gara, tanto più in una gara come quella di specie, in cui è evidente, a partire dal bilanciamento tra il peso di punteggio tecnico ed economico, il prevalente obiettivo di massimizzare la qualità . La sentenza si è così conformata a quell'orientamento giurisprudenziale che ritiene "non contrarie a legge o irragionevoli formule matematiche volte a rendere marginale il peso degli elementi economici attraverso vari elementi correttivi" (da ultimo, Cons. St., Sez. III, 14 dicembre 2021, n. 8353 e giurisprudenza ivi richiamata) e, applicando correttamente tali coordinate al caso di specie, ha quindi ritenuto che la formula matematica concava di cui si controverte non sia manifestamente irragionevole, in quanto funzionale alla esigenza di attribuire preminente rilievo alle componenti qualitative dell'offerta, tenuto conto dell'oggetto dell'appalto, relativo a servizi di sicurezza informatica destinati a proteggere tutte le pubbliche amministrazioni. Per le ragioni indicate, come ritenuto dalla sentenza, l'esigua differenza di punti percentuali tra il minimo ribasso e il massimo ribasso risulta pienamente giustificata come opzione logica e ragionevole, "soprattutto nell'attuale contingenza temporale". 5.8.9. Vanno altresì confermate le statuizioni di prime cure che hanno acclarato come la funzione di calcolo del punteggio economico utilizzata da Consip (il cui coefficiente K è stato ridotto da 5 a 2 allo specifico scopo di ridurre la concavità della formula) è stata positivamente apprezzata dalla stessa Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, come risulta dal parere reso e versato in atti da Consip (in quanto "Riducendo la concavità della funzione, infatti, è possibile ottenere maggiore variabilità dei punteggi economici, favorendo un processo di concorrenza basato su prezzi e qualità e permettendo a diversi soggetti di essere selezionati mediante il meccanismo del c.d. configuratore"). 5.9. Meritano infine condivisione anche le argomentazioni della sentenza che hanno rimarcato come, sebbene in base ad alcune simulazioni prodotte dalla originaria ricorrente possono configurarsi scenari di fabbisogno a fronte dei quali il contratto sarà ineluttabilmente affidato alla prima aggiudicataria (id est Al.) pur avendo quest'ultima offerto un prezzo superiore rispetto a quello della ricorrente, è tuttavia anche vero, però, che le parti resistenti hanno allegato ulteriori simulazioni- i cui risultati non sono smentiti dai rilievi di Te.- attestanti scenari di fabbisogno a fronte dei quali il contratto sarà affidato alla stessa ricorrente (oppure alla seconda classificata Bt It. S.p.A., la quale "grazie alla combinazione del maggior sconto offerto e del lievissimo divario di punteggio tecnico per la categoria Provider" rispetto all'offerta di Al. avrà maggiori probabilità di vedersi assegnato il singolo contratto): scenari parimenti verosimili e comunque mai specificamente contestati da Te., da ritenersi conseguentemente pacifici ai sensi e per gli effetti dell'art. 64, comma 2, cod. proc. amm. come ritenuto dall'appellata sentenza. 5.9.1. Sotto altro profilo va altresì osservato che, attraverso la riapertura del confronto competitivo (descritto a pag. 124 e seg. del Capitolato d'Oneri), la stessa appellante ben potrà ricalibrare la propria offerta al fine di ottenere l'affidamento degli appalti specifici. 5.9.2. In conclusione, la disciplina di gara non ha previsto un sistema irragionevole o limitativo della concorrenza, bensì volto, da un lato, a dare rilevanza alle specifiche esigenze dell'amministrazione richiedente e, dall'altro, a non porre nel nulla i risultati del confronto competitivo che ha portato alla conclusione dell'accordo quadro con gli aggiudicatari; il che rispecchia l'obiettivo generale della gara in questione, più volte richiamato, di premiare la qualità dell'offerta. 5.9.3. In considerazione di quanto precede, il primo motivo di appello deve, pertanto, essere respinto. 6. Col secondo motivo l'appellante contesta le statuizioni di rigetto del secondo motivo del ricorso introduttivo (per "violazione degli artt. 30 e 83 del d. 20 lgs. n. 50 del 2016, violazione del capitolato tecnico (parte generale e speciale) e del capitolato d'oneri, difetto di istruttoria, contrasto con i principi di cui alla delibera Anac n. 950 del 13 settembre 2017 n. 8 e Comunicazione della Commissione contro il lock-in n. 455 del 25 giugno 2013"). 6.1. Con tali doglianze Te. ha lamentato l'insufficienza dei meccanismi apprestati da Consip per prevenire il rischio di lock-in tecnologico (i.e.: la dipendenza da un unico operatore a causa dell'indisponibilità delle informazioni essenziali sul sistema che consentirebbero a un nuovo fornitore, alla scadenza del periodo contrattuale, di subentrare in modo efficiente), dovuto, da un lato, al sistema del configuratore e al meccanismo di attribuzione dei punteggi che avrebbe reso il confronto competitivo soltanto "formale" (in quanto, come già dedotto col primo motivo, i contratti applicativi verrebbero sostanzialmente sempre assegnati al primo classificato), e, dall'altro, al fatto che la stazione appaltante ha assegnato al criterio dell'interoperabilità una componente molto contenuta (fino a 2 punti) di punteggio tecnico. 6.2. Pertanto, le regole di gara non garantirebbero l'eliminazione dell'effetto di lock-in, contravvenendo anche alle raccomandazioni dell'AGCM "di valorizzare, nella valutazione dell'offerta tecnica, l'interoperabilità e la capacità di migrazione dei servizi tra fornitori, così da scongiurare possibili effetti di lock-in tecnologico" (segnalazione del 3 settembre 2020). 6.3. Anche tali doglianze non possono essere accolte. 6.4. Come ritenuto dal primo giudice, le regole di gara non comportano alcuna lesione del principio di interoperabilità né accrescono il rischio di lock-in tecnologico. 6.5. Innanzitutto, la sentenza ha correttamente evidenziato che la valutazione dell'Amministrazione sul punteggio assegnabile agli strumenti di interoperabilità è espressione paradigmatica di discrezionalità, nella specie non sindacabile perché non illogicamente o irragionevolmente esercitata. 6.6. In secondo luogo, se il funzionamento del configuratore non esclude in radice la possibilità di affidamenti senza confronto competitivo ad imprese diverse dalla prima classificata (per quanto già detto esaminando il primo motivo di appello), giova evidenziare che, come rammentato dal primo giudice, l'accordo quadro in discorso prevede - in aggiunta agli affidamenti senza confronto competitivo - anche affidamenti con confronto competitivo, che sicuramente consente di salvaguardare la possibilità di un coinvolgimento di più operatori in ossequio al principio di interoperabilità, nell'ambito di una gara già impostata a monte in modo da assicurare alle amministrazioni la possibilità di ottenere i servizi cloud da più sistemi (evitando così un effetto di lock in tecnologico); tant'è vero che è stato previsto che ogni cluster avesse un proprio aggiudicatario. 6.7. Inoltre, le scelte di Consip non si pongono in contrasto con le indicazioni dell'AGCM né con la comunicazione della Commissione europea. 6.8. Al contrario la legge di gara, conformandosi a tali indicazioni, ha conferito maggior risalto ai criteri specifici in termini di interoperabilità e di capacità di migrazione, prevedendo l'apposito criterio R30, concernente l'interoperabilità dei servizi offerti, mediante il quale valutare, nell'ambito delle categorie Application Platform, Database Relazionale, Database non Relazionale (cioè quelle effettivamente più esposte a tale rischio)"le caratteristiche di portabilità verso ambienti di altri CSP con particolare riferimento ai formati dei dati": criterio che si affianca, come fonte di punteggio premiante, ai già previsti requisiti minimi di standardizzazione dei dati e durata del grace period, nonché alle condizioni stabilite per la qualificazione dei servizi stessi nel cata tenuto dall'AgID (e integralmente già previsti nella documentazione di gara) vincolati dalla circolare AgID n. 2 del 2018, richiamata più volte dalla lex specialis (cfr. capitolato d'oneri, § 22, lett. h) e j), pag. 117; capitolato tecnico generale, § 1; capitolato tecnico speciale lotto 1, § 2.1 ove si legge che "Tutti i servizi Public cloud offerti (sia secondo i requisiti minimi che migliorativi) dovranno essere qualificati secondo quanto stabilito nella Circolare n. 2 del 9 aprile 2018 "Criteri per la qualificazione dei Cloud Service Provider per la PA" e sue eventuali modifiche e integrazioni..."). 6.9. Pertanto, oltre quanto già richiesto da A.G.C.M. (ossia l'assegnazione di punteggi premianti), la gara già prevedeva un quadro chiaro e preciso delle misure atte ad evitare il lock-in, richiedendo il rispetto dei requisiti di interoperabilità e migrazione come requisito minimo. 7. È altresì infondato il terzo motivo di appello che critica le statuizioni di rigetto del terzo motivo del ricorso di primo grado volto a censurare la scarsa chiarezza, la contraddittorietà, ambiguità ed erroneità degli atti di gara, lamentando "Violazione dell'art. 30 del d.lgs. n. 50 del 2016. Violazione dei principi di imparzialità, non discriminazione, parità di trattamento e massima partecipazione. nullità per indeterminatezza dell'oggetto dell'appalto. Eccesso di potere per perplessità e contraddittorietà . Difetto di istruttoria". 7.1. In particolare, secondo l'appellante, la mancata ripubblicazione di una versione aggiornata del capitolato tecnico, a valle della pubblicazione di più di 400 pagine di chiarimenti a oltre 1100 quesiti presentati dai concorrenti alla stazione appaltante, avrebbe in concreto impedito a Te. di formulare "la migliore offerta", stante le numerose incertezze su vari profili rilevanti, la contraddittorietà e talvolta la mancanza di risposte nei chiarimenti pubblicati (quale ad esempio il chiarimento n. 369) e l'elevato numero di refusi, che avrebbero reso oscura e incomprensibile la già complessa disciplina di gara. 7.2. Per converso, il Collegio rileva che la sentenza appellata ha correttamente respinto le doglianze ravvisandone in via assorbente l'infondatezza, perché, se da un lato Consip ha puntualmente reso accessibili on line (accanto agli atti di gara) tutti i chiarimenti periodicamente resi, sicché essi sono risultati sempre prontamente disponibili, ciò rendendo quindi non strettamente indispensabile la ripubblicazione del capitolato consolidato, dall'altro lato la ricorrente "non ha specificamente indicato non soltanto gli elementi oscuri di cui si duole, ma anche come tali oscurita` abbiano riverberato effetti negativi sulla propria offerta", risultando così violato il canone di specificità delle doglianze ex art. 40, comma 1, lettera d), cod. proc. amm. 7.3. Le motivazioni della sentenza meritano conferma. 7.4. In primo luogo, si osserva che, contrariamente a quanto asserisce l'appellante, era necessario indicare le regole di gara in tesi oscure, gli effetti negativi che tali regole avrebbero prodotto sulla propria offerta, il nesso di causalità tra le prime ed i secondi: poiché ciò non è avvenuto (non potendosi ritenere sufficiente il riferimento al deposito dei chiarimenti in assenza di una specifica censura nel ricorso), le doglianze formulate sono anzitutto inammissibili per difetto di specificità in mancanza di una puntuale allegazione, come rilevato dal Tribunale. 7.5. Infatti, l'appellante si limita anche in questa sede a lamentare genericamente che il contegno di Consip avrebbe reso oscura e, di fatto, incomprensibile la disciplina di gara e che la mancata ripubblicazione del capitolato tecnico (con le relative difficoltà di ricostruire l'esatta disciplina di gara che ne sono conseguite) le avrebbero impedito di formulare la migliore offerta, senza però dimostrare di essersi venuta a trovare, per effetto di incertezze e ambiguità presenti nella disciplina di gara, in una situazione deteriore rispetto alle altre concorrenti. 7.6. L'appellante non ha dunque provato che la condotta della stazione appaltante abbia leso il principio di par condicio competitorum, penalizzandola in corso di gara per la concreta impossibilità di presentare un'offerta poco competitiva. 7.6.1. Al contrario, come puntualmente dimostrato dall'Avvocatura (cfr. memoria di Consip pagg. 35-36), risulta evidente, analizzando lo stralcio della tabella prezzi, come l'offerta di Te. sia sempre la seconda migliore per le voci VPN e object storage, portate dall'appellante ad esempio della disciplina tecnica asseritamente poco chiara; analoghe considerazioni si traggono analizzando il punteggio tecnico ottenuto da Te.. 7.7. In secondo luogo, tali difficoltà, quand'anche effettivamente sussistenti, non avrebbero pregiudicato la sola Te., ma tutti gli operatori economici partecipanti alla procedura che però, al pari dell'odierna appellante, non hanno impugnato e contestato la disciplina di gara in ragione di clausole in tesi ostative alla formulazione della migliore offerta, salvo richiedere i necessari chiarimenti alla stazione appaltante. 7.7.1. In effetti, solo con il presente appello Te. si duole che il contegno poco trasparente e chiaro di Consip avrebbe "reso estremamente difficoltosa l'elaborazione dell'offerta tecnica", condizionandone negativamente la relativa formulazione. 7.7.2. Tuttavia, Te. risulta aggiudicataria dell'Accordo quadro, il che di suo smentisce che la stessa abbia subito concreto pregiudizio dalle lamentate difficoltà interpretative degli atti di gara. 7.8. In terzo luogo, le integrazioni documentali, le varie rettifiche effettuate, la mole di chiarimenti pubblicati dalla stazione appaltante (non riguardanti, peraltro, il solo Lotto 1 e, in molti casi, per così dire "duplicati" dagli operatori di mercato, come dimostra la tabella di rappresentazione dei chiarimenti omogenei - c.d. doppioni -suddivisi per lotto, di cui alle memoria dell'Avvocatura pag. 34, la quale ha evidenziato che "eliminando i chiarimenti fotocopia essi si riducono a 647") appaiono evenienze del tutto fisiologiche nell'ambito di una procedura di oggettiva complessità, quale è quella in esame. 7.8.1. Semmai i numerosi quesiti rivolti alla stazione appaltante testimoniano l'interesse del mercato per la gara in esame, per la quale ampia è stata la partecipazione degli operatori economici - sono state presentate entro il termine fissato otto offerte, rappresentative dei principali cloud service provider-, nessuno dei quali, come evidenziato, ha messo in discussione l'impianto di gara né ha mai contestato le rettifiche apportate e i chiarimenti forniti. 7.8.2. Tali circostanze, in uno all'aggiudicazione del lotto 1 a favore quattro concorrenti (tra cui la stessa Te.), sono di per sé sintomatiche della infondatezza della censura. 7.8.3. Infine, Consip ha dimostrato di aver pubblicato sul proprio sito istituzionale tutte le versioni della documentazione di gara con i relativi chiarimenti, non essendo perciò indispensabile, come correttamente ritenuto dal primo giudice, la ripubblicazione di una versione consolidata (comprensiva cioè di tutti i chiarimenti forniti dalla stazione appaltante). 7.9. In ragione di quanto precede, pertanto, anche il terzo motivo di gravame deve essere respinto. 8. Sono parimenti infondate le doglianze con cui si critica la sentenza di primo grado per aver respinto i motivi aggiunti, lamentando sotto vari profili difetto di motivazione e travisamento di fatti. 9. Non possono, infatti, essere condivise le censure articolate col quarto motivo di appello che contesta la sentenza nella parte in cui ha respinto il primo motivo aggiunto in merito all'errata valutazione dell'offerta del RTI Al. con riferimento al criterio R21. 9.1. In particolare, secondo la prospettazione di parte appellante, Consip avrebbe dovuto escludere il RTI Al. o, a tutto voler concedere, riconoscergli (per il criterio in esame) un punteggio pari a zero, poiché la tabella che indica i prodotti e i servizi offerti (come quella di altre controinteressate), in corrispondenza del servizio DDoS, prevede che il servizio AWS Shield Advanced abbia un prezzo autonomo, il che implicherebbe che "se il servizio DDoS non sia acquistato nella sua completezza (i.e. anche con protezione richiesta AWS Shield Advanced o equivalente) nel pacchetto dei servizi che l'amministrazione cliente finale acquista, il sistema messo a disposizione sarà privo della protezione AWS Shield Advanced o equivalente". 9.2. Pertanto, secondo l'appellante l'offerta della controinteressata non includerebbe il servizio di protezione da attacchi informatici c.d. DDoS (consistenti nell'inviare intenzionalmente grandi quantità di dati a un obiettivo da diverse fonti per impedire di accedere a una risorsa di rete) richiesto dalla lex specialis, se non attraverso il pagamento di un prezzo aggiuntivo, non meritando quindi l'attribuzione di 4,664 punti (sui 5 massimi previsti per il criterio in esame): ciò perché per poter usufruire di tale funzionalità proposta, a titolo gratuito, come elemento migliorativo nell'ambito del criterio di valutazione R21 relativo alle caratteristiche provider del CSP offerto, è necessario che la singola Amministrazione contraente ordini il servizio a cata DDoS, pagando quindi il corrispondente prezzo a listino. In altri termini, la soluzione offerta dal RTI Al., includendo nel suo pacchetto base il solo servizio standard, offrirebbe sì un servizio DDoS, ma insufficiente ad assicurare un sistema di protezione completa da tale tipologia di attacchi informatici alle applicazioni in uso all'utente. Verrebbe così meno, secondo Te., "la caratteristica di elemento migliorativo e intrinseco valutato dalla commissione giudicatrice nell'ambito del criterio R21 in relazione alle offerte presentate dalle controinteressate". 9.3. I rilievi dell'appellante non possono essere condivisi, mentre, ad avviso del Collegio, sono corrette le statuizioni della sentenza alla stregua delle seguenti osservazioni. 9.4. In primo luogo, occorre richiamare la disciplina di gara che con riguardo al criterio in questione (R21) ha previsto che: "Accesso pubblico al cloud: Il fornitore dovrà garantire la possibilità di erogare dalla piattaforma cloud bande internet elevate, descrivendo in offerta tecnica la capacità di interconnessione e di banda verso Internet eXchange (IX) e peering diretti al fine di offrire migliori prestazioni di rete end-to-end (velocità, affidabilità, ecc) e capacità di mitigare attacchi DDoS" (cfr. pag. 44 del Capitolato d'oneri). Il criterio in esame richiedeva, pertanto, che il servizio offerto avesse la "capacità di mitigare attacchi DDoS", senza contenere alcun riferimento al servizio di "protezione AWS Shield Advanced o equivalente". 9.5. Chiarito ciò, deve poi evidenziarsi come, contrariamente a quanto sostiene parte appellante, l'offerta del RTI Al. ha incluso servizi per mitigare attacchi DDoS (gli unici richiesti dalla legge di gara), poiché, come correttamente rilevato dal primo giudice "la relazione tecnica presentata dalla prima classificata Al. (cfr. pag. 28 di tale relazione) dimostra chiaramente che la versione base dei suoi servizi include un sistema di protezione dagli attacchi informatici DDoS, sicché non appare vero che tale sistema venga somministrato soltanto se pagato a parte". 9.5.1. Il sistema di protezione da tale tipologia di attacchi informatici è, dunque, già incluso nella versione base dell'offerta del RTI Al., ovvero AWS Shield Standard. 9.5.2. Come accertato dal Tribunale, ciò emerge con adeguato grado di chiarezza: - dall'offerta tecnica della controinteressata in cui si chiarisce che l'infrastruttura Cloud di AWS, oltre a supportare certificati di sicurezza e programmi di conformità di terze parti, è dotata di strumenti di monitoraggio che sono ottimizzati per rilevare attività insolite e problemi di sicurezza quali attacchi DDoS (Distributed Denial of Service), MITM (Man in the Middle), spoofing IP o attività di scansione delle porte (pag. 28 della relazione tecnica del RTI Al.); - dal sito internet del cluster offerto dal RTI Al. (AWS Am.) nel quale, sotto la voce AWS Shield Standard (offerto dalla controinteressata), si chiarisce che "Tutti i clienti AWS beneficiano delle funzionalità di protezione automatica di AWS Shield Standard, senza costi aggiuntivi. AWS Shield Standard protegge dagli attacchi DDoS di rete e di livello trasporto più comuni e frequenti a siti web o applicazioni". 9.6. La protezione AWS Shield Advanced rappresenta, invece, un prodotto ulteriore che è possibile aggiungere, eventualmente, a quello base, implementandone le prestazioni. 9.6.1. A tal riguardo, l'offerta del RTI Al., dopo aver descritto il sistema AWS Shield Standard (pag. 28 della relazione tecnica), afferma, infatti, che "Il RTI a ulteriore protezione per gli attacchi DDOS fornisce come elemento migliorativo il servizio gestito AWS Shield Advanced che garantisce livelli di sicurezza elevati e meccanismi di protezione evoluti. (...) Il servizio AWS Shield, di cui l'Advanced è un'estensione, utilizza tecniche di mitigazione automatiche agli attacchi" (pag. 29 della relazione tecnica del RTI Al.). 9.6.2. Pertanto, il punteggio ottenuto dal RTI Al. nel suddetto criterio deriva dalla positiva valutazione sia degli elementi base offerti sia di quelli ulteriori e migliorativi che la concorrente ha incluso nel pacchetto offerto. 9.7. Invero, come correttamente riconosciuto dal primo giudice, nulla osta a che l'erogazione di un servizio aggiuntivo a pagamento possa essere qualificato dalla stazione appaltante - soprattutto in un appalto teso a valorizzare la componente qualitativa - alla stregua di elemento migliorativo attributivo di un punteggio ulteriore, anche perché nella specie la documentazione di gara non ha previsto che gli elementi migliorativi offerti in risposta al criterio R21 (così come per tutti i criteri della categoria Provider) debbano essere sempre messi a disposizione delle Amministrazioni contraenti a titolo gratuito. 9.7.1. I criteri della categoria provider premiano, infatti, le potenzialità e capacità delle infrastrutture del Cloud Service Provider e non la presenza di specifici elementi di servizio a titolo gratuito per le Amministrazioni. 9.7.2. In definitiva, i servizi cloud offerti dal RTI Al. possiedono meccanismi di protezione dell'infrastruttura da attacchi DDoS, suscettibili di essere rafforzati e migliorati attraverso sistemi aggiuntivi di mitigazione da attacchi informatici (AWS Shield Advanced). 9.8. In terzo luogo, vanno confermate le statuizioni della sentenza che hanno accertato come la capacità di "mitigare attacchi DDoS" era solo uno degli aspetti che la commissione era chiamata a giudicare nell'ambito del più ampio criterio di valutazione in discorso, sicché il punteggio assegnato per tale criterio esprime un apprezzamento globale di molteplici elementi. 9.8.1. Infatti, con riferimento al criterio in questione, la Commissione, senza incorrere in macroscopiche illogicità, ha valutato "ottima" nel suo complesso la proposta del RTI Al., non solo per il sistema di protezione dagli attacchi informatici DDoS, ma soprattutto relativamente alle caratteristiche per l'accesso pubblico al sistema cloud. In dettaglio, la motivazione del giudizio sull'offerta del RTI Al. riporta testualmente che "Particolarmente apprezzata la proposta in termini di caratteristiche offerte per l'accesso pubblico al cloud", mentre "la proposta per mitigare gli attacchi DDoS (AWS Shield Advanced e AWS WAF)" è stata ritenuta "efficace". 9.8.2. Del resto, che il servizio DDoS rappresenti solo una parte del criterio censurato (valutato nella sua complessità dalla Commissione di gara) si desume anche dalla relazione tecnica della controinteressata nella quale, la parte relativa al criterio R21 (2.8. R21 Accesso pubblico al Cloud) è suddivisa in tre punti, dei quali uno soltanto (e segnatamente l paragrafo "2.8.4. Sicurezza") tratta il servizio DDoS. In modo non dissimile, la stessa relazione tecnica dell'appellante affronta la problematica degli attacchi DDoS solo al punto "2.8.5 Sicurezza Accesso Go. Cloud Platform" dei cinque paragrafi in cui era articolata la relativa proposta tecnica (v. pag. 31 della relazione tecnica di Te.). 9.8.3. Le contestazioni dell'appellante non smentiscono le corrette statuizioni della sentenza impugnata neanche laddove hanno ritenuto non manifestamente illogica o irragionevole la scelta di Consip di attribuire un punteggio aggiuntivo all'offerta della controinteressata nella parte in cui essa prevede che il servizio AWS WAF venga erogato soltanto se l'Amministrazione ordina (e paga) anche il servizio di Virtual Load Balancing. Infatti, come evidenziato, la legge di gara non prevede necessariamente che gli elementi migliorativi offerti in risposta al criterio R21, così come per tutti i criteri della categoria provider, debbano essere inclusi e sempre messi a disposizione delle Amministrazioni contraenti in modo gratuito e indipendentemente dai servizi contrattualizzati. 9.8.4. Come poi evidenziato da Consip, il servizio DDoS (Distributed Denial of Service) è un prodotto definito all'interno del capitolato tecnico al paragrafo 2.6 "Categoria Security", acquistabile dall'Amministrazione, e ha una propria voce di offerta economica dedicata (nel caso di specie al prezzo indicato l'amministrazione comprerebbe sia il servizio DDoS che il servizio AWS shield advanced), mentre la tabella A rappresenta esclusivamente l'elenco dei servizi offerti dal concorrente per soddisfare i requisiti minimi e migliorativi. 9.8.5. In gara è dunque prevista un'unica voce di offerta economica associata al "servizio DDoS", (denominata "servizio DDoS"), senza possibilità di personalizzazione da parte del concorrente, per cui il servizio AWS Shield Advanced è incluso nel servizio DDoS offerto dal RTI Al. per il prezzo unitario (pari ad Euro 2,3), relativo all'intero "servizio DDoS" e non ad un singolo prodotto di cui esso è composto. 9.8.6. Pertanto, essendo il servizio AWS shield advanced incluso nel "servizio DDoS", l'Amministrazione, acquistando quest'ultimo, acquisterà al prezzo offerto anche il servizio migliorativo AWS shield advanced. 9.9. In conclusione, nel quadro complessivo delle regole di gara le doglianze di Te. sono infondate: il giudizio della Commissione è immune da censure poiché l'offerta del RTI Al. rispetta le specifiche tecniche quanto alla capacità di mitigazione dagli attacchi informatici, includendo nella propria offerta anche servizi aggiuntivi e migliorativi del sistema di protezione proposto. 10. Deve essere respinto anche il quinto motivo con cui l'appellante impugna le statuizioni di rigetto del secondo motivo aggiunto. 10.1. In particolare, l'appellante contesta la sentenza per non aver ritenuto erronea la valutazione della commissione in ordine al requisito R21, nella parte in cui all'odierna appellante (oltre che a Bt It.) sono stati attribuiti punteggi inferiori a quelli assegnati alle altre controinteressate, nonostante l'offerta di Te. avesse esplicitato che, per una migliore protezione delle applicazioni delle amministrazione beneficiarie, le best practice suggeriscono di attivare nell'ambito del servizio DDoS anche il servizio a pagamento "Cloud Armor", mentre il RTI Al. "non ha in alcun modo specificato che i servizi AWS Shield Advanced e AWS WAF fossero a pagamento, lasciando intendere che fossero sempre compresi nell'offerta base, falsando così la valutazione della commissione giudicatrice". 10.2. Pertanto, la commissione o non avrebbe inteso che "nell'offerta di Al. i servizi AWS Shield Advanced e AWS WAF sono a pagamento", oppure "senza alcuna razionale giustificazione ha ritenuto di premiare la controinteressata per un miglioramento solo potenziale". 10.3. L'appellante sostiene poi che vi sarebbe stata anche una duplicazione della valutazione dello stesso criterio con alterazione della parità tra i concorrenti, non giustificata neanche- come invece ritenuto dal Tribunale- dalla natura trasversale dei servizi Provider. 10.4. Anche tali doglianze non possono condividersi, mentre sono corrette le statuizioni della sentenza. 10.5. Innanzitutto, correttamente il Tribunale ha dichiarato la censura inammissibile nella misura in cui opina in merito all'attribuzione dei singoli punteggi denunciati, ma senza travalicare la soglia di ammissibilità del sindacato giurisdizionale. L'appellante non ha infatti dimostrato la palese erroneità e irrazionalità del giudizio tecnico espresso dalla commissione giudicatrice. La censura è poi inammissibile anche sotto altro profilo per mancato superamento della prova di resistenza, giacché non dimostra come Te. possa ottenere, in modo oggettivo, un punteggio maggiore, superando il RTI Al.. 10.6. Inoltre, come bene evidenziato dalle appellate il fatto che il RTI Al. abbia indicato nel file prodotto nel sub procedimento di verifica della congruità dell'offerta il costo del servizio AWS Shield Advanced (nel foglio dedicato all'ambito Security) presuppone che la Commissione abbia inteso che il servizio sia acquistabile a pagamento e che abbia, quindi, correttamente valutato tale aspetto sulla base degli elementi complessivi forniti in sede di gara dalla concorrente (la quale aveva peraltro già indicato nella propria offerta tecnica che il RTI Al. "a ulteriore protezione per gli attacchi DDOS, fornisce come elemento migliorativo il servizio gestito AWS Shield Advanced che garantisce livelli di sicurezza elevati e meccanismi di protezione evoluti"). Corretto è, dunque, il convincimento del primo giudice circa il fatto che la documentazione di gara non faccia trapelare il benché minimo fraintendimento sul punto da parte della Commissione. 10.7. In secondo luogo, come già rilevato, nulla ostava a che le concorrenti offrissero ulteriori elementi opzionali per i servizi di protezione dagli attacchi di DDoS, in aggiunta alla propria offerta base, ovvero servizi migliorativi che, come tali, sarebbero stati valutati dalla Commissione di gara. Tanto hanno fatto sia il RTI Al. che la stessa Te., prevedendo entrambi, in relazione agli specifici servizi di protezione dagli attacchi di DDoS e in aggiunta al servizio di protezione base, anche elementi ulteriori a pagamento: ovviamente, di diversa provenienza e fornitore. Pertanto, acclarato che Te. e il RTI Al. hanno presentato gli stessi servizi, devono ritenersi corrette le statuizioni della sentenza secondo cui "a fronte di due prodotti omologhi (ma di diversa provenienza) di due diversi concorrenti, la scelta della stazione appaltante di preferire l'uno rispetto all'altro rientra in quell'area di discrezionalità di per sé insuscettibile di sindacato". Non si ravvisano, infatti, al riguardo nella valutazione delle offerte tecniche e nell'attribuzione dei punteggi da parte della commissione giudicatrice profili di manifesta irragionevolezza, arbitrarietà, illogicità, irrazionalità o travisamento dei fatti. 10.8. Il motivo di appello è altresì infondato laddove critica la sentenza per non aver accolto la doglianza con cui Te. "ha lamentato che nella Tabella A di prospetto dei servizi/prodotti offerti sia dell'offerta del RTI Al. sia di quella di So., il servizio AWS Shield Advanced viene indicato sia nella categoria Network come requisito migliorativo, sia nella categoria Security come requisito minimo". Infatti, come riconosciuto dal Tribunale, con statuizioni rimaste prive di sostanziale confutazione, l'inserimento del servizio in due categorie non comporta alcuna duplicazione nella valutazione del requisito migliorativo, trattandosi "di un servizio trasversale che interessa più categorie, sicché appare normale che esso venga indicato in tutte le categorie che lo riguardano". Invero, considerato che detto servizio garantisce soluzioni sia per la categoria "Security", sia per quella "Network" (per la quale esso rappresenta un requisito migliorativo rispetto alle prescrizioni minime della lex specialis), deve rilevarsi che il RTI Al. si è limitato a descrivere le caratteristiche tecniche del servizio offerto, riguardante in questo caso più categorie. 10.9. A tal proposito la sentenza ha poi anche correttamente riconosciuto che la legge di gara non esclude la possibilità che lo stesso servizio (in questo caso, AWS Shield Advanced) sia presente su più voci della tabella A, come specificato anche in sede di chiarimenti con la risposta al quesito n. 492 (che ha confermato "che un servizio IaaS o PaaS pubblicato nel cata AgID possa essere offerto su una o più categorie esposte nel capitolato tecnico, fatta salva la possibilità di essere acquisiti in modo indipendente secondo le regole del capitolato"), precisando che parte ricorrente non ha comunque allegato né provato come la censurata duplicazione abbia favorito la controinteressata. 11. Con il sesto motivo di appello, Te. censura la sentenza impugnata perché, respingendo il terzo motivo aggiunto, ha omesso di rilevare il rischio di lock-in tecnologico conseguente alla mancata offerta da parte delle controinteressate del servizio Kubernetes e quindi alla censurata assenza di una soluzione open-source, vale a dire "gratuita e trasportabile verso altri sistemi", con riflessi sulla valutazione del criterio R12. 11.1. Ad avviso dell'appellante, la censura sarebbe stata respinta apoditticamente dalla sentenza, sulla base di un'interpretazione meramente letterale del citato par. 2.8 del Capitolato tecnico speciale (e cioè sul rilievo secondo cui la lex specialis non richiederebbe, per la categoria Containers, soluzioni open-source), in quanto sebbene il capitolato di gara non richieda espressamente soluzioni open-source, al contempo esso precisa che "tramite la categoria le PPAA potranno inoltre acquisire servizi gestiti Kubernetes", lasciando in questo modo limpidamente trasparire il favore di Consip rispetto a tale tipologia di presidio tecnologico e il ruolo chiave riconosciutogli per la migrazione al cloud, anche avuto riguardo alla disciplina prevista per gli altri lotti. Invece, il R.T.I. Al. ha offerto un servizio (di container in tecnologia Docker) che, a differenza di quanto richiesto dagli atti di gara, non sarebbe "portabile" sugli altri cloud service provider, con conseguente rischio di lock-in tecnologico: pertanto, quanto al criterio R12 la sua offerta non avrebbe dovuto ricevere alcun punteggio o al più essere valutata con sfavore, non garantendo il rispetto del principio fondamentale sui cui si basa la gara bandita da Consip, ovvero la trasparenza e la portabilità delle soluzioni di public cloud offerte. 11.2. Ritiene il Collegio che anche tali argomentate censure non possono essere condivise. 11.3. La sentenza ha, infatti, correttamente respinto il terzo motivo aggiunto sulla base del duplice motivato assunto per cui, da un lato, "la documentazione di gara non richiede, per l'elemento di servizio in questione (id est il criterio Containers), soltanto servizi open-source (cfr. par. 2.8 del capitolato tecnico speciale - lotto 1)", dall'altro la proposta del servizio AWS EKS consente comunque alle controinteressate di ottenere validamente il punteggio ricevuto sul criterio migliorativo R12. 11.4. Le riportate statuizioni sono corrette. 11.5. Infatti, se per un verso è chiaro, sotto il profilo letterale, qual è la volontà espressa dalla stazione appaltante nella lex specialis (non richiedere per l'elemento in questione soltanto servizi open source, non essendovi alcuna esplicita indicazione in tal senso), per altro verso è stato dimostrato che il servizio offerto dal RTI Al. (AWS ECS) offre e garantisce tale requisito, escludendo così in radice il rischio di un lock-in tecnologico. 11.6. Infatti la controinteressata offre un servizio di "container in tecnologia Docker", grazie al quale è sempre possibile "migrare" verso una differente piattaforma di orchestrazione, assicurando adeguatamente il requisito della portabilità, di modo che un servizio offerto da uno specifico sistema possa essere accessibile anche con altri sistemi diversi. In particolare, le procedure pubblicate sul sito del Cloud Provider offerto dal RTI Al. (AWS-Am.) chiariscono come tale portabilità avvenga in maniera semplice e automatica tramite progetti open-source: ancora più in dettaglio, la configurazione Docker Compose, supportata da AWS ECS (offerto dalla controinteressata), può essere convertita nell'equivalente Kubernetes (richiesto dagli atti di gara), tramite software disponibili per tutti i sistemi. 11.7. Per converso, l'appellante non ha dimostrato perché i servizi offerti dal RTI Al. non sarebbero "migrabili" da un cloud all'altro, limitandosi a sostenere in modo apodittico e contraddittorio che, sebbene sia possibile utilizzare strumenti di traduzione come il "container in tecnologia Docker" offerto da Al., tuttavia "un'amministrazione che fruisse del servizio Container non potrebbe giovarsi della caratteristica migliorativa costituita dalle tre modalita` di autoscaling previste da Kubernetes". Come invece accertato dal primo giudice sulla base delle risultanze di causa, il RTI Al. ha offerto la soluzione EKS, di cui ha descritto dettagliatamente, nella relazione tecnica, le funzionalità di scalabilità automatica in ambito kubernetes (cfr. punto 3.8. R12 "Supporto modalità autoscaling Kubernetes" della relazione tecnica del RTI Al., ove si afferma espressamente che il "RTI conferma la funzionalità di supporto all'autoscaling per Kubernetes", con l'ulteriore precisazione per cui "il servizio gestito per Kubernetes (Am. EKS) supporta i seguenti tre modelli di autoscaling: • Cluster Autoscaler (...)• Horizontal Pod Autoscaler • Vertical Pod Autoscaler (...)", al fine di "utilizzare meglio le risorse del cluster e liberare CPU e memoria per altri pod"). Inoltre, il RTI Al. ha offerto in aggiunta il servizio AWS ECS, anch'esso con funzionalità di scalabilità automatica, come emerge anche dal relativo sito internet nel quale si chiarisce che "La scalabilità automatica è la capacità di aumentare o diminuire automaticamente il numero di processi nel servizio Am. ECS. Am. ECS utilizza il servizio di Application Auto Scaling per fornire questa funzionalità ". A ciò si aggiunga che Consip ha comunque adottato specifici criteri volti a contenere il rischio di "lock - in", in particolare prevedendo il criterio premiale R30 del capitolato d'oneri, che si applica a determinate categorie (Application Platform, DB relazionale e DB non relazionale), rispetto alle quali tale rischio è più elevato (come confermato dal chiarimento reso in risposta al quesito n. 1146). 11.8. Inoltre, quanto alla censura secondo cui l'offerta delle controinteressate non avrebbe dovuto ricevere alcun punteggio per il requisito migliorativo R12 Supporto autoscaling Kubernetes che sarebbe propriamente assente per il servizio AWS ECS (pur essendo presenti i requisiti minimi richiesti), correttamente la sentenza ha riconosciuto, con statuizioni non specificamente contestate, che con riferimento all'offerta del RTI Al. il punteggio relativo al criterio R12, sia in offerta tecnica che in sede di comprova tecnica (busta D), è stato acquisito e verificato mediante la proposta del servizio AWS EKS (e non del servizio AWS ECS), precisando ulteriormente che la stessa ricorrente ha, d'altro canto, ammesso che le controinteressate hanno offerto il servizio EKS per soddisfare i requisiti della categoria. 11.9. Alla luce delle considerazioni sopra esposte la valutazione del criterio R12 (ambito kubernetes) per l'offerta del RTI Al. è complessivamente scevra da profili di manifesta erroneità, illogicità e irragionevolezza, che ne consentano il sindacato in questa sede. 12. In conclusione, l'appello va, pertanto, respinto. 13. Il Collegio, nel rispetto delle disposizioni sulla sinteticità degli atti processuali (artt. 3, comma 2 e 120, comma 10, c.p.a.) e dei principi della domanda (art. 39 e art. 99 c.p.c.) e della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 34, comma 1, c.p.a. e art. 112 c.p.c.), ha esaminato tutte le questioni e le censure proposte nell'appello, ritenendo che eventuali profili non scrutinati in modo espresso siano comunque da respingere alla luce della motivazione complessivamente resa oppure che non siano rilevanti per la soluzione della causa. 14. Sussistono giusti motivi, data la complessità e la novità delle questioni trattate, per compensare integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa integralmente tra le parti le spese del grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Angela Rotondano - Consigliere, Estensore Anna Bottiglieri - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere Massimo Santini - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ROMA SEZIONE XVI CIVILE Il Tribunale, in persona del Giudice Unico, dott. Giuseppe Di Salvo, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. 72141 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2019, trattenuta in decisione all'udienza del 14-03-2023 e vertente TRA (...), (...), elettivamente domiciliata in Roma, via (...), presso lo studio dell'avv. Al.Fa. che la rappresenta e difende, giusta delega depositata in via telematica unitamente alla comparsa di costituzione di nuovo difensore ATTRICE E (...) S.P.A., C.F. (...), con sede legale in T., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale (...), presso lo studio degli avv.ti Va.Ta., Ro.Fo. e Be.Ga. che la rappresentano e difendono, giusta procura depositata in via telematica unitamente alla comparsa di costituzione e risposta CONVENUTA NONCHE' NEI CONFRONTI DI (...) S.P.A., C.F. (...), con sede legale in I., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via (...), presso lo studio dell'avv. Al.Li., che la rappresenta e difende, giusta procura depositata in via telematica unitamente alla comparsa di costituzione e risposta CHIAMATA IN CAUSA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio (...) S.p.A., chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "Voglia l'On.le Tribunale adito, rigettata ogni contraria istanza, eccezione e deduzione: (i) accertare e dichiarare la responsabilità della (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, per la sottrazione dell'importo di Euro 181.119,20 dal conto corrente intestato alla Sig.ra (...) mediante le operazioni di pagamento non autorizzate e disconosciute dalla correntista, per tutte le ragioni indicate in narrativa; (ii) per l'effetto, condannare (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, a rimborsare alla Sig.ra (...) l'importo illegittimamente sottratto dal conto corrente alla medesima intestato, pari a Euro 181.119,20, detratta la franchigia di Euro 150,00 prevista dall'art. 5 (a) del Contratto Servizi Via Internet, Cellulare e Telefono, per un totale di Euro 180.969,20, ovvero la diversa somma, maggiore o minore, che risulterà in corso di causa, oltre interessi ex art. 1284 cod. civ. e rivalutazione monetaria dalla domanda giudiziale al soddisfo; (iii) in caso di accoglimento della domanda formulata da (...) S.p.A. volta ad accertare la responsabilità solidale di (...) S.p.A. nella vicenda per cui è causa, condannare la predetta terza chiamata (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore della sig.ra (...) delle somme che saranno accertate e liquidate in favore della predetta attrice, oltre interessi ex art. 1284 cod. civ. e rivalutazione monetaria dalla domanda giudiziale al soddisfo; (iv) con vittoria di spese e onorari, oltre rimborso forfetario, i.v.a. e c.p.a. come per legge." A sostegno delle proprie ragioni l'attrice esponeva di essere titolare del conto corrente n. (...) aperto presso (...) S.p.A. e di aver sottoscritto, in data 8 - 10 - 2014, il contratto "Servizi Via Internet, Cellulare e Telefono" n. (...), che disciplinava l'utilizzo tramite strumenti a distanza dei servizi offerti dall'istituto di credito, tra cui l'accesso al conto corrente mediante l'home banking. L'attrice riferiva che, in data 1-03-2019, aveva riscontrato l'impossibilità di usare il proprio cellulare per effettuare chiamate in entrata e in uscita, per cui il 2-03-2019, recatasi presso il centro Dealers (...) sito in R., via F. n. 2, aveva ottenuto la sostituzione della vecchia SIM card n. (...) con la nuova SIM card n.(...) lasciando inalterata la vecchia utenza telefonica. L'attrice esponeva poi che, in data 5-03-2019, aveva effettuato l'accesso al conto corrente mediante home banking e si era accorta dell'avvenuta sottrazione di Euro 178.100,00 tramite la disposizione di 12 bonifici non autorizzati, eseguiti tra il 2802-2019 e il 2-03-2019 a favore della società (...) LTD con sede in E., a lei sconosciuta; nonché, della sottrazione di ulteriori Euro 3.000,00 tramite due prelievi cardless eseguiti in data 2-03-2019 presso l'ATM n. (...) gestito dalla Banca (ABI 03069), da lei non effettuati. Pertanto, considerati altresì gli addebiti commissionali per Euro 19,20 legati alle suddette operazioni, l'attrice affermava di aver subito una perdita complessiva di Euro 181.119,20. La (...) da un lato, evidenziava che le operazioni in contestazione erano state ordinate da terzi nonostante non avesse mai smarrito, lasciato incustodite o comunicato ad alcuno le proprie credenziali di accesso ai servizi di home banking, dall'altro, riferiva di non aver ricevuto dall'istituto di credito alcuna comunicazione a fronte delle operazioni di pagamento non autorizzate, nonostante avesse attivato sulla propria utenza telefonica il servizio di ricezione di un codice di sicurezza via SMS in caso di operazioni sensibili, sospette o in caso di pagamenti veloci effettuati senza il dispositivo O-Key. L'attrice, quindi, esponeva di aver contattato, in data 5-03 - 2019, il numero verde di (...) per comunicare l'avvenuta frode e conoscere i dettagli delle operazioni illegittimamente disposte sul c/c; di aver sporto, poi, in data 603-2019, formale denuncia contro ignoti presso il Dipartimento di Polizia Postale e delle Comunicazioni sito in R., viale T. n. 191, in base alle informazioni ricevute dall'istituto di credito. Inoltre, l'attrice riferiva che, in data 11-03-2019, aveva formalmente disconosciuto le suddette operazioni presso la filiale di (...) di R., sita in via (...) Di F.; che, in data 2-08-2019, aveva trasmesso alla banca formale diffida, al fine di ottenere il rimborso delle somme illegittimamente sottratte dal c/c; che, non avendo ottenuto alcun riscontro, in data 6-11-2019, aveva avviato il procedimento di mediazione presso l'(...), il quale si era concluso con esito negativo. La (...) specificava che la truffa era stata eseguita mediante l'introduzione illecita di terzi nel sistema telematico della banca per la captazione dei propri codici d'accesso, oltre che per mezzo della clonazione della SIM card associata alla propria utenza telefonica. Per cui, ribadendo che non era configurabile a suo carico alcuna condotta negligente, l'attrice imputava alla banca la responsabilità dell'illegittima sottrazione di denaro dal c/c, contestandole l'omessa custodia dei propri dati personali e delle credenziali, l'omessa predisposizione di adeguati sistemi di sicurezza, nonché, una condotta gravemente colposa consistente nel mancato intervento dinanzi ad operazioni di pagamento obiettivamente anomale, al fine di predisporne il blocco, almeno temporaneo. Per le suddette ragioni, l'attrice riteneva che (...) avesse violato gli oneri posti a suo carico dal Regolamento UE n. 2016/679 (GDPR) in materia di protezione dei dati personali, dal D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, attuativo della direttiva 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, nonché dall'art. 5 del contratto "Servizi via Internet, Cellulare e Telefono"; che, pertanto, la banca fosse obbligata a risarcirle la somma illegittimamente addebitata sul conto, detratta la franchigia di Euro 150,00 prevista dall' art. 5 del contratto, per una somma pari a Euro 180.969,20. Da ultimo, l'attrice contestava alla banca di aver consentito operazioni di pagamento tramite bonifico eccedenti i limiti contrattualmente previsti (giornaliero di Euro 25.000,00 e mensile di Euro 50.000,00), chiedendo, in relazione a tale specifico inadempimento, di essere risarcita almeno della somma di Euro 166.600,00. Si costituiva in giudizio (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, contestando quanto ex adverso dedotto poiché infondato in fatto ed in diritto e chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "Piaccia al Tribunale Ill.mo, respinta ogni contraria domanda, istanza, deduzione ed eccezione: 1) respingere ogni avversa domanda in quanto inammissibile o comunque infondata per tutti i motivi ed eccezioni indicate in atti, anche in ragione della esclusiva responsabilità di (...) S.p.A., che si chiede di accertare; 2) in via subordinata, in caso di accoglimento (totale o parziale) della domanda avversaria, accertare la responsabilità solidale di (...) S.p.A. e, in quest'ultimo caso, determinare la sua quota di responsabilità in misura non inferiore all'80% o nella diversa misura che sarà ritenuta di giustizia, con conseguente condannare di quest'ultima a corrispondere a (...) un importo pari alla percentuale della condanna ; 3) condannare l'attrice e la terza chiamata a corrispondere alla banca le spese, ai diritti ed agli onorari di causa". A sostegno delle proprie ragioni, la convenuta esponeva di aver stipulato con (...) in data 8-10-2014, il contratto "Servizi Via Internet, Cellulare e Telefono" che consentiva alla cliente di accedere al proprio conto corrente e di operare sullo stesso tramite home banking; nonché, di aver aggiornato il suddetto contratto, in data 04-05-2017, attraverso la stipula del contratto "My Key" n. (...), per adeguare il servizio all'evoluzione tecnologica e alle nuove regole previste dalla normativa di settore interna e comunitaria. In particolare, il contratto "My Key" sottoscritto dall'attrice prevedeva l'autenticazione a distanza della cliente tramite il sistema di autenticazione forte "a due fattori", basato cioè su elementi interdipendenti, ovvero sull'inserimento di credenziali statiche (Userid e Pin) consegnate alla cliente al momento dell'apertura del rapporto e di credenziali dinamiche aventi efficacia temporanea (codice OTP o OTS) generate dal sistema a completamento di ciascuna operazione da remoto ed inviate alla correntista tramite SMS sul cellulare certificato, nonché tramite notifica push sull'APP di (...) precedentemente scaricata. La convenuta specificava che il sistema di sicurezza adottato per il servizio di home banking era conforme allo stato dell'arte, tanto da essere certificato ISO/IEC 27001, cioè era tale da soddisfare lo standard internazionale per la sicurezza delle informazioni. Ciò, nel pieno rispetto delle indicazioni introdotte dalla c.d. PSD 2 (Dir. UE 2015/2366 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25-11-2015), nonché dell'art. 10 bis D.Lgs. n. 11 del 2010 attuativo delle norme comunitarie (nonostante all'epoca dei fatti lo stesso non fosse ancora entrato in vigore). (...), dunque, sosteneva che la conclusione delle operazioni fraudolente non era imputabile a difetti strutturali o al malfunzionamento contingente del sistema di internet banking utilizzato (come dimostrava il fatto che le operazioni contestate erano state tutte regolarmente autenticate tramite l'inserimento delle credenziali statiche e dinamiche, nonché correttamente registrate e contabilizzate), ma alla negligenza e mancanza di cautela dell'attrice, che non aveva conservato adeguatamente le credenziali statiche per accedere al servizio (Userid e PIN) , consentendo a terzi di venirne a conoscenza e che non aveva adottato tempestive iniziative per bloccare l'operatività fraudolenta; nonché, all'illegittima duplicazione della scheda SIM della (...) di cui era responsabile (...) S.p.A., che aveva permesso agli autori della truffa di ottenere le credenziali dinamiche (OTP e OTS), indispensabili per completare l'esecuzione dei pagamenti a distanza. Pertanto, la convenuta da un lato riteneva che la condotta gravemente colposa della (...) violativa degli obblighi di custodia e di comunicazione sulla stessa gravanti in base all'art. 7 D.Lgs. n. 11 del 2010 e alle norme contrattuali, integrasse un inadempimento tale da comportare l'addebitabilità alla cliente della perdita subita ex art. 12 c. 4 D.Lgs. n. 11 del 2010, o almeno, il riconoscimento del concorso dell'attrice alla causazione dell'evento lesivo ex art. 1227 c.c. Dall'altro, procedeva alla chiamata in causa, a norma dell'art. 106 c.p.c., di (...) S.p.A., per formulare nei confronti della stessa domanda di manleva, contestando al gestore telefonico una responsabilità esclusiva o almeno solidale (da inadempimento contrattuale o, comunque, ex artt. 1228 e 2049 c.c. per fatto illecito dei propri dipendenti) per l'esecuzione delle operazioni truffaldino ad opera di terzi, giacché (...) aveva illegittimamente rilasciato un duplicato della carta SIM dell'attrice senza eseguire le necessarie verifiche sull'identità del richiedente. In seguito alla chiamata in causa ricevuta, si costituiva tempestivamente in giudizio (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, reiectis contrariis, così provvedere : In via preliminare: Accertare e dichiarare l'inammissibilità dell'azione di inadempimento contrattuale così come esercitata da (...) nei confronti di (...) spa. In via principale: Rigettare tutte le domande proposte nei confronti di (...) spa, perché infondate in fatto ed in diritto ed in ogni caso non provate. In via subordinata: per i motivi esposti in narrativa, nella denegata e non creduta ipotesi in cui dovesse essere ritenuta una gualche responsabilità da parte di (...) in relazione agli asseriti danni lamentati da parte attrice : a) accertare e dichiarare ai sensi dell'art. 1227 c.c. la partecipazione colposa totale, ovvero parziale, di (...) Spa e dell'attrice Sig.ra (...) nella causazione dei pretesi danni dalla stessa asseritamente patiti, e/o evitabili usando l'orinaria diligenza, e, per l'effetto, anche per quanto detto in narrativa, rigettare le domande di parte attrice; b) nella non creduta ipotesi in cui (...) fosse, eventualmente, chiamata a corrispondere all'attrice e/o ad altra parte processuale, qualsivoglia somma a titolo di indennizzo e/o risarcimento danni ovvero nella denegata ipotesi di accoglimento totale e/o parziale delle domande attoree e/o altra parte processuale, accertare e dichiarare l'esclusiva responsabilità di (...) Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, in ordine ai fatti per cui è causa, tenendo assolta/indenne (...) da qualsivoglia pronuncia pregiudizievole ovvero, a titolo di garanzia e/o manleva, tenuta (...) Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare e/o restituire a (...) quanto eventualmente quest'ultima fosse condannata a corrispondere all'attrice e/o ad altra parte processuale ovvero, a titolo di ripetizione e/o rivalsa e/o regresso, tenuta (...) Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare e/o restituire a (...) quanto eventualmente quest'ultima fosse condannata a corrispondere all'attrice e/o ad altra parte processuale, il tutto oltre interessi. Il tutto con vittoria di spese e competenze di lite da attribuirsi all'Avv. Alessandro Limatola per fattane anticipazione." (...) S.p.A. eccepiva, innanzitutto, l'inammissibilità dell'azione per inadempimento contrattuale promossa da (...) nei propri confronti, rilevando la carenza di legittimazione attiva della banca a fronte dell'insussistenza di obblighi contrattuali verso la stessa. L'operatore telefonico, nel contestare ogni responsabilità in merito all'accaduto, riferiva poi di essersi limitato a sostituire la scheda SIM dietro richiesta di chi appariva il legittimo titolare dell'utenza telefonica e, pertanto, specificava di avere adempiuto ai propri oneri, non avendo il potere/dovere di accertare l'autenticità dei documenti mostrati al momento della richiesta sostitutiva. V., inoltre, specificava che il furto dell'identità digitale della (...) era stato precedente al furto dell'identità telefonica della stessa mediante la sostituzione della SIM, costituendone l'antecedente logico. L'autore della truffa al momento della sostituzione della SIM era necessariamente già in possesso delle credenziali statiche (Userid e Codice PIN) indispensabili per accedere al servizio di home banking. Solo inserendo le suddette credenziali statiche, infatti, il truffatore aveva potuto ricevere tramite SMS o sull'APP scaricata sul dispositivo mobile in uso (in cui aveva inserito la nuova SIM), i codici dinamici "OTP" e "OTS" generati dal sistema di home banking, necessari al completamento delle operazioni contestate. Dunque, (...) riteneva che la frode fosse fondata principalmente sull'utilizzo improprio dei dati personali dell'attrice (Userid e Codice PIN), di cui solo la correntista e la banca potevano essere a conoscenza. Pertanto, l'operatore telefonico contestava all'istituto di credito di non aver tutelato adeguatamente i dati personali della (...) adottando le contromisure tecnologiche necessarie a prevenire e/o bloccare tempestivamente attacchi e/o incidenti informatici; nonché, sotto altro aspetto, riteneva la banca responsabile di non aver segnalato alla correntista le operazioni sospette e/o di non averle tempestivamente bloccate, nonostante le disposizioni di pagamento fossero palesemente anomale. In conseguenza, la società chiedeva che la condotta negligente di (...) fosse valutata ex art. 1227 c.c. D'altra parte, (...) riteneva che l'illecito accesso al conto online dell'attrice fosse avvenuto anche tramite la collaborazione della stessa che, non adottando la dovuta diligenza nella custodia delle proprie credenziali bancarie, aveva agevolato il compimento delle operazioni fraudolente. La società contestava altresì alla (...) di non aver informato la banca del malfunzionamento del telefono cellulare al fine di bloccare tempestivamente il proprio conto online, posto che le operazioni bancarie in contestazione erano collegate anche all'utilizzo della SIM; nonché, di aver atteso due giorni dalla perdita della possibilità di effettuare chiamate prima di recarsi presso lo store (...) per ricevere chiarimenti, e, quattro giorni prima di controllare il saldo del conto corrente e avere contezza delle operazioni illecite. Pertanto, (...) riteneva che anche la condotta di (...) gravemente colposa, dovesse essere valutata ex art. 1227 c.c. All'udienza del 15-9-2020 parte attrice chiedeva di estendere la domanda nei confronti della chiamata in causa (...) S.p.A. e, su istanza delle parti, il Giudice concedeva i termini ex art. 183 c. 6 c.p.c. La causa veniva istruita sulla base della documentazione versata in atti dalle parti e tramite l'espletamento di CTU; all'udienza del 14-03-2023 queste precisavano le conclusioni come da relativo verbale e la causa veniva trattenuta in decisione con i termini per il deposito delle conclusionali e delle repliche. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda formulata da (...) è solo in parte fondata, pertanto deve essere accolta, ma nei limiti di cui infra. Giova evidenziare, ai fini della delimitazione del thema decidendum, che l'attrice nel presente giudizio ha chiesto accertarsi la responsabilità di (...) S.p.A. e di (...) S.p.A. per l'effettuazione, ad opera di soggetti ignoti, di n. 12 bonifici per la somma complessiva di Euro 178.100,00, emessi, tra il 28-02-2019 e il 2-03-2019, dal c.c. n. (...) alla medesima intestato; nonché, per l'illegittima sottrazione di ulteriori Euro 3.000,00 dallo stesso conto corrente, tramite due prelievi cardless eseguiti in data 2 -03-2019 presso l'ATM n. (...) gestito da (...) (ABI 03069). In conseguenza, l'attrice ha domandato alle parti convenute il rimborso (anche in solido tra loro) della somma corrispondente alla perdita complessivamente subita (detratta la franchigia di Euro 150,00, come da contratto), nonché il versamento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, dichiarando il proprio incolpevole coinvolgimento nella frode bancaria informatica denominata "Sim Swap Fraud", consistente nella sottrazione di denaro da un c/c ad opera di terzi tramite l'ottenimento fraudolento del duplicato della SIM del correntista, che consente, previo accesso all'home banking (utilizzando nome utente e password del cliente, precedentemente al medesimo carpiti), di ottenere i codici dinamici temporanei indispensabili al perfezionamento delle operazioni di gestione del conto e di pagamento a distanza. Per parte propria, (...) S.p.A. ha contestato le domande attoree ed ha domandato il loro integrale rigetto, sostenendo il concorso colposo di (...) nella causazione dell'evento lesivo; in via subordinata, ovvero in caso di accoglimento delle avverse domande, la banca ha chiesto accertarsi la responsabilità esclusiva o solidale di (...) S.p.A., con conseguente condanna della stessa a rifonderle quanto, eventualmente, da corrispondere agli attori. Di contro, (...) S.p.A. ha domandato la reiezione delle domande contra se proposte contestando il concorso colposo della banca e della (...) nella verificazione delle operazioni fraudolente, nonché, in via gradata, l'accertamento dell'esclusiva responsabilità di (...) S.p.A. per le perdite subite dall'attrice e, conseguentemente, ha chiesto la condanna del solo istituto di credito a soddisfare la richiesta restitutoria della stessa. Orbene, l'analisi della fattispecie concreta, effettuata considerando le peculiari dinamiche della Sim Swap Fraud alla luce delle difese proposte dalle parti, del quadro istruttorio di cui si dispone e della normativa applicabile, ha rilevato profili di responsabilità a carico sia dell'attrice che di (...) S.p.A., come di seguito illustrato. Innanzitutto, deve darsi atto che in data 8-10-2014, (...) ha stipulato con (...) S.p.A. il contratto "Servizi Via Internet, Cellulare e Telefono" n. (...) (cfr. doc. 1 allegato all'atto di citazione) per accedere al proprio conto corrente (c/c n. (...) ed operare sullo stesso tramite home banking; che, in data 04-05-2017, il suddetto contratto è stato aggiornato tramite la stipula del contratto "My Key" n. (...) (cfr. doc. 1 allegato alla comparsa di costituzione e risposta di I.). In base alla suddetta normativa contrattuale, le parti hanno pattuito che l'esercizio dei servizi bancari a distanza sarebbe avvenuto tramite il sistema di autenticazione forte della cliente denominato "a due fattori", che prevede l'utilizzo congiunto di credenziali statiche (delle quali fa parte. per espressa previsione dell'art. 1 del contratto MY Key, anche il cellulare certificato nel caso di specie abbinato al numero (...) n.(...) e di credenziali dinamiche inviate tramite SMS o notifica push nell'App scaricata sul cellulare certificato. consistenti in codici temporanei. generati sia per completare l'accesso al servizio che per autorizzare le disposizioni di pagamento. Ciò, conformemente all'art. 10 bis del D.Lgs. n. 11 del 2010, introdotto con il D.Lgs. n. 218 del 2017, nonostante all'epoca dei fatti di causa la norma non fosse ancora in vigore. Il D.Lgs. n. 11 del 2010, attuativo della direttiva 2007/64/CE (c.d. PSD1), da ultimo novellato con il D.Lgs. n. 218 del 2017, emanato per recepire la nuova direttiva relativa ai servizi di pagamento 2015/2366/UE in vigore dal 13 gennaio 2018 (c.d. PSD2), individua in relazione all'utilizzo degli strumenti di pagamento elettronici e/o tramite canali a distanza che possano comportare un rischio di frode o di altri abusi, gli obblighi posti a carico del prestatore dei servizi e quelli gravanti sull'utente. Quest'ultimo, ai sensi dell'art. 7, è tenuto: ad utilizzare gli strumenti di pagamento secondo i termini d'uso pattuiti con il prestatore dei servizi ed esplicitati nel contratto quadro; a comunicare allo stesso, non appena ne venga a conoscenza, lo smarrimento, il furto, l'appropriazione indebita o l'uso non autorizzato dello strumento di pagamento, al fine di consentirne il blocco; ad adottare tutte le misure idonee a proteggere dall'altrui ingerenza i dispositivi di accesso personalizzati, tra cui le credenziali di sicurezza personalizzate. In base al successivo art. 12 c. 3, qualora l'utente dei servizi di pagamento violi uno dei suddetti obblighi con dolo o colpa grave o agisca in modo fraudolento, assume la responsabilità delle perdite relative all'utilizzo abusivo dello strumento di pagamento, per intero; diversamente, ha diritto di ottenere dal prestatore dei servizi il rimborso della somma illecitamente sottrattagli, al netto di una franchigia di 50 euro, da applicarsi in caso "di operazioni di pagamento non autorizzate derivanti dall'utilizzo indebito dello strumento di pagamento conseguente al suo furto, smarrimento o appropriazione indebita". Quindi, come espressamente previsto dall'art. 10 c. 2 D.Lgs. n. 11 del 2010, il prestatore di servizi di pagamento può escludere la propria responsabilità per l'utilizzo non autorizzato dello strumento di pagamento ad opera di terzi, provando la frode dell'utilizzatore o il suo inadempimento per dolo o colpa grave, che costituiscono fatti impeditivi del risarcimento del danno ex art. 2697 c. 2 c.c.. Del resto, anche la giurisprudenza di legittimità ha affermato che "la responsabilità della banca per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, con particolare riguardo alla verifica della loro riconducibilità alla volontà del cliente mediante il controllo dell'utilizzazione illecita dei relativi codici da parte di terzi, ha natura contrattuale e, quindi, va esclusa se ricorre una situazione di colpa grave dell'utente" (cfr. Cass. 05/07/2019, n. 18045). Specularmente, il D.Lgs. n. 11 del 2010 pone anche a carico del gestore dei servizi di pagamento il rispetto di obblighi determinati, tra i quali rientrano: l'obbligo di assicurare, tramite l'adozione delle misure più idonee alla luce dello sviluppo tecnologico, che i dispositivi personalizzati per l'utilizzo dello strumento di pagamento non siano accessibili a soggetti diversi dall'utilizzatore legittimato (art. 8 c. 1 lett. a); l'obbligo di assicurare che siano sempre disponibili gratuitamente strumenti adeguati affinché l'utilizzatore possa effettuare la comunicazione di cui all'art. 7 c. 1 lett. b (art. 8 c. 1 lett. c); l'obbligo di impedire l'utilizzo dello strumento di pagamento in seguito al blocco (art. 8 c. 1 lett. d); l'obbligo di attuare l'autenticazione forte del cliente, quando l'utente accede al suo conto di pagamento online, dispone un'operazione di pagamento elettronico o effettua qualsiasi azione tramite un canale di pagamento a distanza, che può comportare un rischio di frode nei pagamenti o altri abusi (art. 10 bis c. 1). Di talché, per far sì che l'utilizzatore sopporti le perdite derivate da un uso illegittimo dello strumento di pagamento ad opera di terzi, non è sufficiente che il prestatore del servizio dia prova di una condotta fraudolenta o dell'inadempimento degli obblighi ex art. 7 D.Lgs. n. 11 del 2010 sorretto da dolo o colpa grave del cliente, dovendo altresì dimostrare, preventivamente, di aver adempiuto i doveri di tutela del consumatore prescritti a suo carico dal decreto (cfr. Cass. 26/11/2020, n. 26916). L'art. 10 c. 1 D.Lgs. n. 11 del 2010 afferma infatti che, qualora l'utente di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un'operazione già eseguita "è onere del prestatore di servizi di pagamento provare che l'operazione di pagamento è stata autenticata, correttamente registrata e contabilizzata e che non ha subito le conseguenze del malfunzionamento delle procedure necessarie per la sua esecuzione o altri inconvenienti". In conclusione, è possibile affermare che l'imputazione di responsabilità all'utilizzatore dello strumento di pagamento, ex art. 12 c. 3 D.Lgs. n. 11 del 2010, presuppone che l'istituto di credito raggiunga una duplice prova, ossia: quella di aver usato un elevato grado di diligenza nell'adempimento dei propri oneri e quella che dimostri, con sufficiente grado di attendibilità giuridica, l'inadempimento degli obblighi del cliente dovuto a frode, dolo o colpa grave. Nel caso di specie, (...), a riprova della condotta negligente contestata alla (...) nonché, a sostegno della regolarità formale delle operazioni fraudolente, ritenute correttamente autenticate, registrate e contabilizzate, oltreché eseguite secondo un sistema di autenticazione a due fattori supportato dalla certificazione UNI GEI ISO IEC 27001:2017 (cfr. docc. 5 e 6 all. a comparsa di costituzione e risposta della banca) da cui si evince l'elevato livello di sicurezza dello strumento di pagamento, confermato anche dalla CTU disposta nel corso dell'istruttoria (cfr. CTU pag. 14), ha prodotto in atti i file log contenenti la tracciatura delle operazioni bancarie eseguite sul portale home banking dell'istituto di credito, nonché i file log da cui evincere specificamente gli accessi, gli SMS, le notifiche push, le caratteristiche degli IP unici relativi agli accessi, concernenti le operazioni in oggetto (cfr. docc. da 15 a 18 all. alla memoria 183 c. 6 n. 2 di (...)). Esaminata, anche tramite il supporto tecnico-scientifico del CTU, le cui conclusioni essendo immuni da vizi tecnico-argomentativi devono essere nella loro complessità condivise, la documentazione informatica, da ritenersi valida ed efficace nonostante le contestazioni delle parti avversarie, del tutto generiche e non esplicative dei motivi della pretesa inattendibilità della stessa, è stato possibile individuare la sequenza temporale delle operazioni effettuate sull'utenza (...) n.(...) intestata alla (...) Pertanto, è stato accertato che, in data 25-2-2019,(...) ha correttamente effettuato l'enrollment dell'App di (...) sull'utenza (...) in uso su dispositivo iPhone XR, attivando il sistema O-Key Smart necessario per la generazione/ricezione di codici OTP e, dunque, per operare sull'online banking associato alla sua utenza telefonica, tramite il corretto inserimento delle credenziali statiche e di quelle dinamiche inviate dal sistema. Ciò, del resto, risulta comprovato anche dalla ricezione, alle h 20:34, della seguente notifica push: "Attenzione. Stai attivando l'app (...) sul dispositivo iPhone XR. Non hai richiesto tu l'attivazione? Contatta la Filiale online al numero 800.303.303. Sei all'estero? Chiama il +39 011 8019.200"; nonché dalla ricezione, alle 20:37, dell'SMS: "ATTENZIONE O-Key Smart è attiva su iPhone XR. Opera da questo dispositivo!". È stato altresì accertato che il 26-02-2019 alle h 16:32:24, dall'indirizzo (...) localizzato in zona Torre del Greco, ovvero da un indirizzo IP diverso da quello normalmente riconducibile alla (...) è stata correttamente eseguita un'operazione di login sul conto online dell'attrice e, quindi, è stata avviata un'operazione di enrollment dell'App della banca analoga a quella eseguita il giorno precedente, ma su un diverso dispositivo mobile (iPhone 6) . Risulta poi dai file log che, alle h 16:32:27, sull'utenza telefonica (...) è stato ricevuto l'SMS: "Usa il codice 237412 per attivare O-key Smart. ATTENZIONE NON FORNIRE A NESSUNO QUESTO CODICE! Usalo solo all'interno dell'APP Mobile sul tuo telefono"; che, il suddetto codice OTP è stato correttamente inserito alle 16:32:55; che, alle 16:33 sull'utenza telefonica (...) è stato inviato un SMS con l'indicazione di attivazione del sistema O-Key Smart su iPhone 6, del tutto simile a quello inviato il giorno precedente. Confermando l'allegazione di (...) S.p.A., la CTU espletata nel corso dell'istruttoria ha poi verificato che, nel pomeriggio del 28-2-2019, presso il punto vendita (...) cod. (...) point 15013 sito nel comune di Napoli, la SIM n. (...) relativa all'utenza (...) di cui era titolare la (...) è stata disattivata e sostituita dalla SIM n.(...) (sulla quale è rimasto operativo il numero telefonico (...) con causale "furto/smarrimento" secondo le dichiarazioni del richiedente la sostituzione. L'espletata CTU ha poi accertato che alle h 19:03 e 19:06 del 28-2-2019 sono stati inviati sull'utenza (...) e ricevuti sul telefono iPhone 6 localizzato in zona Torre del Greco, dotato della SIM duplicata, i codici di sicurezza necessari per completare 2 bonifici europei di tipo istantaneo a favore della società (...) LTD; che, alle 19:09, è stato inviato e ricevuto il codice di sicurezza necessario per completare l'operazione di aumento dei limiti operativi, che ha consentito di innalzare il limite dispositivo giornaliero da Euro 15.000,00 ad Euro 30.000,00 ed il limite mensile da Euro 60.000,00 ad Euro 120.000,00; che successivamente, alle h 19:10 e 19:13 sono stati inviati e ricevuti i codici di sicurezza necessari per completare altri 2 bonifici europei istantanei in favore della predetta società. Allo stesso modo, il 1-3-2019 dalle h 00:04 alle 00:16 ed il 2-3-2019 dalle h 00:15 alle 00:35, sono stati inviati sull'utenza (...) e ricevuti sul telefono iPhone 6 localizzato in zona Torre del Greco, dotato della SIM duplicata, i codici di sicurezza necessari per completare ulteriori 8 bonifici europei di tipo istantaneo in favore del medesimo destinatario; mentre, alle h 00:59 e 1:03 del 2-3-2019, l'utenza (...) ha ricevuto i codici di sicurezza necessari per completare 2 operazioni cardless presso la cassa automatica della filiale del Gruppo (...) di N., Via C. 191, anch'esse andate a buon fine. Orbene, alla luce delle superiori risultanze istruttorie, ritenendo le argomentazioni logico-inferenziali di (...) attendibili ed adeguatamente circostanziate, si deve ragionevolmente presumere che (...) in data 26-02 - 2019, contattata dall'autore della truffa, abbia incautamente comunicato i dati indispensabili per accedere all'home banking e rendere operativa l'APP di (...) sull'iPhone 6, da cui sono stati disposti gli ordini di bonifico. Tale deduzione discende dalle seguenti circostanze di fatto comprovate in corso di causa: la sostituzione della SIM n. (...) in possesso dell'attrice con la SIM n. (...) utilizzata dal truffatore, è avvenuta il 28 -02-2019, per cui il 26-02-2019 è stata la (...) a ricevere sull'utenza (...) l'SMS contenente il codice di attivazione della nuova APP ((...)), che, 28 secondi dopo la ricezione dell'SMS sul cellulare della (...) è stato correttamente utilizzato da un soggetto operante da un indirizzo IP localizzato in zona Torre del Greco, per completare il download del servizio O-key Smart sull'iPhone 6 da cui sono stati disposti i bonifici fraudolenti. Pertanto, avuto riguardo alla dinamica e alle tempistiche dell'operazione di enrollment eseguita il 26-2-2019, appare del tutto logico desumere che sia stata l'attrice a comunicare in tempo reale al phisher il codice (...), nonché le credenziali statiche (Userid e Pin), inserite correttamente dal truffatore al primo tentativo pochi secondi prima dell'inserimento del codice dinamico (...), in quanto anch'esse necessarie per scaricare l'APP di (...) sullo smartphone iPhone 6. Ciò, considerando altresì che la suddetta ricostruzione dei fatti non risulta contraddetta da evidenze istruttorie di segno opposto, in quanto l'attrice, che ha attribuito la conoscenza dei codici da parte del frodatore ad un possibile malware sui propri dispositivi, non ha depositato in atti lo smartphone iPhone XR né il PC di sua proprietà, perché fosse esaminato l'hard disk interno degli stessi a dimostrazione dell'erroneità del ragionamento presuntivo dell'istituto di credito. Né le deduzioni di (...) possono essere contraddette dall'affermazione del CTU secondo cui il messaggio "Recupero delle transazioni in attesa di validazione OTP" (che appare nel file log "tracciatura" 21 volte tra le 16:37:22 e le 17:37:06 del giorno 26-2-2019) sia univocamente indice della indisponibilità del codice OTP necessario ad operare da parte del truffatore. Tale affermazione, infatti, non può riguardare l'operazione di enrollment dell'APP sull'iPhone 6, che si è correttamente conclusa alle 16:33, dopo l'inserimento al primo tentativo dei codici statici (Userid e Pin) e del codice dinamico 237412, come risulta dai file log e come è stato altresì riscontrato dallo stesso CTU. Sulla base delle risultanze istruttorie, dunque, deve concludersi che l'indisponibilità da parte del phisher dei codici OTP necessari ad operare risultante dalla dicitura "Recupero delle transazioni in attesa di validazione OTP" si riferisca a dei tentativi di movimentazione del conto corrente successivi all'enrollment dell'APP sul cellulare del truffatore, avvenuta con il corretto e tempestivo inserimento (al primo tentativo) sia delle credenziali statiche che dell'(...), i quali evidentemente sono stati forniti dalla (...) in tempo reale. Il che spiegherebbe anche la necessità del phisher di procedere, in data 28-2-2019, alla sostituzione della SIM per ricevere le ulteriori credenziali dinamiche indispensabili all'esecuzione dei bonifici, una volta scaricata l'applicazione ed accertata l'impossibilità di disporre operazioni di pagamento con le sole credenziali statiche : passaggio del tutto superfluo qualora il frodatore avesse potuto captare i codici OTP senza la collaborazione della correntista, quindi tramite un malware, come parte attrice asserisce sia successo nel caso dell' enrollment dell'APP. Del resto, la condotta gravemente colposa della (...) non consiste solo nell'aver incautamente fornito le proprie credenziali di accesso all'home banking al phisher, nonostante la massiccia campagna antifrode realizzata da (...) a tutela dei propri clienti (cfr. docc. da 9 a 13 all. a comparsa di costituzione e risposta e doc. n. 20 all. alla memoria n. 2 della banca), risultando altresì dal fatto che la stessa ha imprudentemente ignorato: l'avvertimento della banca contenuto nell'SMS ricevuto alle h 16:32:27 del 26-2-2019, di non fornire a terzi il codice dinamico 237412 e di usarlo solo all'interno dell'App Mobile installata sul proprio cellulare; la comunicazione ricevuta con l'SMS delle 16:33 circa l'avvenuta installazione dell'APP O-Key Smart su un i-phone diverso da quello da lei in uso, posto che l'attrice, ricevuto il suddetto avviso, avrebbe dovuto immediatamente rendere nota alla banca l'anomalia, consentendo all'istituto di credito di intervenire tempestivamente e di sventare il perfezionamento della frode con l'adozione delle opportune misure di sicurezza a tutela del conto corrente (tra cui il blocco cautelativo dello stesso) prima della sostituzione della SIM, avvenuta il 28-2-2019, ossia ben due giorni dopo l'enrollment dell'APP sullo smartphone del truffatore. Per le ragioni di cui sopra, deve ritenersi che (...) abbia dato prova, ex art. 2727 c.c., dell'inadempimento sorretto da colpa grave, da parte della (...) dell'onere di custodia delle credenziali di sicurezza personalizzate, nonché dell'obbligo di comunicazione alla banca dell'uso non autorizzato dello strumento di pagamento, posti a carico della stessa dall'art. 7 del D.Lgs. n. 11 del 2010. Deve inoltre ritenersi che la banca abbia provato, altresì, di aver predisposto le misure più idonee a garantire la tutela della cliente e ad evitare l'utilizzo abusivo dello strumento di pagamento da parte di terzi non autorizzati, dapprima tramite una rilevante campagna informativa antifrode; poi, tramite l'adozione di un sistema di autenticazione a due fattori delle operazioni del tutto adeguato allo stato dell'arte (come attestato dalla certificazione UNI CEI ISO IEC 27001:2017 e confermato dalla CTU disposta nel corso dell'istruttoria), il cui regolare funzionamento è stato di fatto vanificato dalla condotta negligente della (...) e dall'illegittima sostituzione della SIM da parte di V.; da ultimo, tramite l'utilizzo di un sistema informativo idoneo a comunicare in tempo reale alla cliente le operazioni gestorie e le movimentazioni del conto corrente, i cui allert del 26-2-2019, tuttavia, sono stati colpevolmente ignorati dall'attrice. Per i motivi sopra esposti, la responsabilità di (...) S.p.A. per la perdita derivata dalle disposizioni di pagamento in contestazione deve essere esclusa, giacché dal quadro probatorio risulta, con ragionevole certezza, che l'utilizzo abusivo dello strumento di pagamento da parte di terzi sia riconducibile alla condotta gravemente colposa della correntista (...) Oltre ciò, considerate le caratteristiche strutturali della Sim Swap Fraud e la specifica circostanza per cui la truffa non avrebbe potuto comunque perfezionarsi se il frodatore non fosse riuscito ad intervenire sull'utenza telefonica certificata, rendendola inattiva e dirottando a proprio favore l'invio delle credenziali dinamiche OTP e OTS tramite la sostituzione della SIM, deve essere altresì rilevata la responsabilità, concorrente con quella dell'attrice, di (...) S.p.A., la cui condotta negligente, estrinsecatasi nell'omessa verifica dell'identità del richiedente la sostituzione, è causalmente connessa con l'esecuzione delle operazioni disconosciute. A tal proposito, deve rilevarsi che l'operatore telefonico non ha allegato né dimostrato in alcun modo di aver posto in essere i dovuti accertamenti documentali e di riconoscimento dell'identità del richiedente prima della duplicazione della SIM, incentrando la propria difesa sull'assunto per cui l'obbligo di identificare il cliente sussiste solo al momento della prima attivazione della SIM e non anche in occasione del rilascio del duplicato della stessa. Sul punto occorre rilevare che l'art. 55 c. 7 del D.Lgs. n. 259 del 2003 ha previsto in capo agli operatori di telefonia mobile un obbligo di identificazione degli abbonati e degli acquirenti prima dell'attivazione del servizio, stabilendo che ogni impresa è tenuta a rendere disponibili, anche per via telematica, al centro di elaborazione dati del Ministero dell'interno gli elenchi di tutti i propri abbonati e di tutti gli acquirenti del traffico prepagato della telefonia mobile, i quali devono essere identificati prima dell'attivazione del servizio, al momento della consegna o messa a disposizione della occorrente scheda elettronica (SIM). A tal fine, le suddette imprese di telefonia sono tenute ad adottare tutte le necessarie misure affinché venga garantita l'acquisizione dei dati anagrafici riportati sul documento di identità esibito dal cliente e dei dati relativi al tipo e al numero del documento, nonché tutte le misure atte a garantire la corretta acquisizione della riproduzione del documento presentato dall'acquirente e ad assicurare il corretto trattamento dei dati ottenuti. Ciò detto, la sussistenza nell'ordinamento di un obbligo di identificazione dei clienti anche per la mera sostituzione della SIM, del tutto similare a quello previsto in caso di attivazione della SIM, si evince senza ombra di dubbio dalla disposizione di cui all'art. 1 c. 46 della L. n. 124 del 2017, che prevede: "Al fine di semplificare le procedure di migrazione tra operatori di telefonia mobile e le procedure per l'integrazione di SIM card aggiuntive o per la sostituzione di SIM card richieste da utenti già clienti di un operatore, con decreto del Ministero dell'Interno, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono previste misure per l'identificazione in via indiretta del cliente, anche utilizzando il sistema pubblico dell'identità digitale previsto dall'art. 64 del codice dell'amministrazione digitale, di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, in modo da consentire che la richiesta di migrazione e di integrazione di SIM card e di tutte le operazioni ad essa connesse possano essere svolte per via telematica", giacché la ratio di tale intervento normativo, ossia semplificare le modalità di identificazione del cliente nelle operazioni di migrazione, integrazione o sostituzione della SIM, trova un antecedente logico necessario nell'esistenza di un dovere in capo agli operatori telefonici di provvedere all'identificazione del cliente in occasione delle operazioni menzionate (cfr. ex multis Trib. Milano sent. 8562/2022, Trib. Ivrea sent. 543/2018, Trib. Savona sent. 428/2022). Ad abundantiam, deve essere evidenziato che proprio la rilevanza del suddetto dovere ha determinato l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (ACCOM) all'emanazione della Delib. n. 86/21/CR dell'8 luglio 2021, citata dalle parti, ma non applicabile al caso di specie poiché successiva al verificarsi dei fatti di causa, che ha ulteriormente rafforzato l'obbligo di identificazione del richiedente la duplicazione della SIM da parte dei gestori dei servizi di telefonia, con l'espressa intenzione di garantire maggiore protezione ai dati personali dei clienti e di prevenire attività dolose attuabili tramite la sostituzione della SIM dell'utente da parte di soggetti terzi non autorizzati (tra cui, è specificamente citato il furto per via telematica presso gli istituti bancari). Per i suddetti motivi, deve ritenersi che (...), venendo meno al dovere di diligenza qualificata che si richiede ad un operatore professionale che gestisce dati personali altrui, non ha adempiuto all'obbligo di opportuna identificazione del soggetto che in data 28-2-2019 ha chiesto ed ottenuto la sostituzione della SIM di cui era titolare (...) contribuendo con la sua condotta gravemente colposa, al pari dell'attrice, a rendere possibile la truffa. (...) S.p.A. deve, pertanto, essere condannata a rifondere a (...) la somma di Euro 90.5596, corrispondente al 50% della perdita subita dall'attrice a seguito delle operazioni fraudolente. Si deve ritenere, invece, che la correntista non abbia diritto alla restituzione dell'ulteriore 50% della perdita subita, posto che, come già specificato, la condotta gravemente colposa della stessa è stata definitivamente configurata in corso di giudizio quale concausa del perfezionamento dei pagamenti illeciti posti in essere dal frodatore. In conseguenza, risultano assorbite la domanda di manleva formulata da (...) S.p.A. nei confronti di (...) S.p.A., nonché l'eccezione di carenza di legittimazione attiva di (...) S.p.A. nei confronti di (...) S.p.A. da quest'ultima formulata. Mentre, devono essere respinte la domanda di manleva, la domanda di graduazione della responsabilità ex art. 1227 c.c. e ogni altra domanda formulata da (...) S.p.A. nei confronti di (...) S.p.A.. Alla soccombenza, per ciò che riguarda le domande formulate nei confronti di (...) S.p.A., consegue la condanna di (...) e di (...) S.p.A., in solido tra loro, alla rifusione, in favore dell'istituto di credito, delle spese di lite dallo stesso sostenute, nella misura liquidata in dispositivo. Diversamente, tenuto conto della natura del presente giudizio ed essendo stati accertati profili di responsabilità a carico sia di (...) che di (...) S.p.A., le spese di lite tra dette parti devono essere interamente compensate. Da ultimo, anche le spese per la espletata CTU seguono la soccombenza, tenuto conto delle domande come innanzi valutate, per il che sono poste definitivamente a carico di (...) e di (...) S.p.A., in solido tra loro, ed in pari misura. P.Q.M. Il Giudice Unico del Tribunale di Roma, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, nel contraddittorio tra le parti, così provvede: rigetta la domanda formulata da (...) nei confronti di (...) S.p.A. per le ragioni di cui in motivazione ; accoglie parzialmente la domanda formulata da (...) nei confronti di (...) S.p.A. per le ragioni di cui in motivazione e, pertanto, condanna (...) S.p.A. al pagamento in favore di (...), della somma di Euro 90.5596, pari al 50% dell'importo corrispondente alla perdita subita dalla correntista a causa delle operazioni illecitamente eseguite sul c/c n. (...) alla medesima intestato, oltre interessi legali a decorrere dall'11-11-2019; dichiara assorbita la domanda di manleva formulata da (...) S.p.A. nei confronti di (...) S.p.A.; dichiara assorbita l'eccezione di carenza di legittimazione attiva di (...) S.p.A. nei confronti di (...) S.p.A., da quest'ultima formulata; respinge la domanda di manleva, la domanda di graduazione della responsabilità ex art. 1227 c.c. e ogni altra domanda formulata da (...) S.p.A. nei confronti di (...) S.p.A.; condanna (...) e (...) S.p.A., in solido tra loro, al pagamento in favore di (...) S.p.A. delle spese di lite dalla stessa sostenute, che liquida in complessivi Euro 7.600,00 per compensi professionali, oltre spese generali come da tariffa forense, IVA e CPA come per legge; compensa interamente tra (...) e (...) S.p.A. le spese di lite; pone definitivamente a carico di e (...) S.p.A., in solido tra loro ed in pari misura, le spese della espletata CTU. Così deciso in Roma il 5 settembre 2023. Depositata in Cancelleria l'11 settembre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. SESSA Renata - rel. Consigliere Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 31/05/2022 della CORTE APPELLO di VENEZIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa SESSA RENATA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa LORI PERLA; Il Procuratore Generale conclude per l'inammissibilita' del ricorso. udito il difensore: L'avvocato (OMISSIS) si riporta alle conclusioni e nota spese che deposita; L'avvocato (OMISSIS) si riporta alle conclusioni e nota spese che deposita. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e chiede l'accoglimento dello stesso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 31.5.2022 la Corte di Appello di Venezia ha confermato la pronuncia emessa in primo grado nei confronti di (OMISSIS), che lo aveva dichiarato colpevole dei reati di cui - rispettivamente - agli articoli 612-bis, 494, 595 c.p., questi ultimi due sia ai danni di (OMISSIS) che di (OMISSIS). 2. Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo quattro motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. Col primo motivo deduce l'erronea applicazione della norma processuale di cui all'articolo 192 c.p.p., commi 1 e 3, nonche' la carenza ed illogicita' della motivazione in merito al vaglio di attendibilita' della testimonianza resa dalla persona offesa (OMISSIS) la cui costituzione di parte civile avrebbe richiesto esplicarsi in maniera piu' penetrante e rigorosa. In particolare, la illogicita' della motivazione si appalesa nella parte in cui essa da un lato afferma l'attendibilita' del racconto della persona offesa e dall'altro conclude che e' provato con certezza che l'imputato e' autore di almeno un falso profilo Facebook mentre e' altamente probabile, ma non provato, che anche gli altri profili siano stati creati dall'imputato, per poi conclusivamente, ulteriormente, affermare in maniera illogica che la responsabilita' dell'imputato sarebbe sufficientemente provata in relazione alla creazione di quell'unico profilo FB, quello su cui sarebbe apparsa la foto della persona offesa coperta con un asciugamano. 2.2. Col secondo motivo deduce l'erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., commi 1 e 3, per essere la motivazione carente e illogica in merito alla attendibilita' della testimonianza della parte civile (OMISSIS) e alla valutazione della consulenza tecnica informatica del PM, non essendosi in particolare considerato che la consulenza tecnica ha si' ravvisato la presenza delle medesime fotografie nel p.c. dell'imputato e pubblicate sul sito Xhamster ma ha parimenti specificato che i files fotografici nella disponibilita' di (OMISSIS) risultano scaricati dal sito web mentre non vi e' prova che siano stati da lui pubblicati; sicche' non puo' ritenersi raggiunta la prova della responsabilita' penale dell'imputato ben potendo avere caricato quelle foto qualunque altra persona registrata, al pari dell'imputato, sul dominio in questione. 2.3.Col terzo motivo deduce l'erronea applicazione della legge penale con riferimento all'articolo 612-bis c.p. lamentando in particolare l'omissione/illogicita' della motivazione in punto di elemento soggettivo del reato di atti persecutori che richiede il cd. dolo unitario trattandosi di reato abituale di evento, laddove le singole condotte nel caso di specie obbedivano ad impulsi singoli, differenti e di segno contrario tra loro. 2.4. Col quarto motivo deduce l'erronea applicazione degli articoli 133 e 62-bis c.p.. In particolare, lamenta che non si sia attribuito rilievo alla gelosia che, come ha avuto modo di affermare questa Corte con le pronunce n. 2897 del 1982 e n. 7272 del 2013, al pari delle altre situazioni psicologiche integranti gli "stati emotivi o passionali" menzionati dall'articolo 90 c.p., puo' essere presa in considerazione dal giudice ai fini della concessione delle attenuanti generiche. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 1.1. Il primo motivo e' generico. Esso stesso nel prospettare la censura fa riferimento al fattore evidentemente ritenuto decisivo dalla corte territoriale ai fini della conferma della responsabilita' dell'imputato - creazione quanto meno di un profilo Facebook - senza neppure spiegare perche' tale circostanza non possa di per se' suffragare il giudizio espresso dal giudice di merito che, quanto alla attendibilita' della persona offesa, ha comunque svolto una valutazione adeguata evidenziando - al pari del primo giudice - come la deposizione della stessa fosse dettagliata e mai contraddittoria e avesse ricevuto - nonostante cio' non fosse prescritto dalla legge - precisi e plurimi riscontri esterni. Ha in particolare esposto la corte territoriale che il narrato della persona offesa illustra il crescendo dei comportamenti persecutori posti in essere dall'imputato con impiego di strumenti informatici, che ha avuto inizio nel maggio del 2017 allorquando ella - ancora in essere la relazione tra i due consegnava all'imputato le proprie credenziali di accesso al profilo FB e alla casella di posta elettronica. E' da quel momento - spiega la corte di appello - che iniziano ad apparire i falsi profili Fb, le foto, i messaggi allusivi, su cui riferiscono concordemente amici e parenti della ragazza. Proseguendo le segnalazioni, ella dubita del fidanzato ma questi nega ogni coinvolgimento ed anzi le chiede nuovamente le credenziali; lei si accorge che quando tra loro non ci sono litigi, le segnalazioni sui finti profili FB diminuiscono. Dopo ulteriore cambio di password, decide di cancellare il profilo FB. Nel febbraio 2018 inizia la crisi della relazione che si concludeva nel mese successivo; ma intanto l'imputato le lascia innumerevoli biglietti d'amore, lei si sente controllata e ha attacchi di panico, che la inducevano ad assumere ansiolitici. Le segnalazioni dei profili fake continuano ma calano in quanto vengono contattati conoscenti meno stretti. Seguono: il 12.6.18 la pubblicazione sul finto profilo FB che porta le generalita' della persona offesa della sua foto che la ritrae coperta da un asciugamano - foto che solo l'imputato possedeva, accompagnata da una frase volgare che riguardava la ragazza; il 14.6.18 la pubblicazione sul medesimo profilo FB del video ritraente rapporto sessuale tra la donna e l'imputato registrato all'insaputa della predetta, accompagnato sempre da una frase volgare involgente le persone ritratte nel video e direttamente riferibile all'imputato; il 8.8.18 i messaggi di insulti e minacce dopo che l'imputato ha sorpreso la ragazza in compagnia di un uomo; il 10.8.18 la donna si reca dai Carabinieri per integrare la denuncia dichiarando di avere paura che l'imputato potesse passare dalle parole ai fatti ("diceva che me l'avrebbe fatta pagare a me...o l'avrebbe fatta colpendo gli altri"); la ragazza dichiara di vivere in uno stato di ansia e di soffrire di attacchi di panico tanto che il medico le aumentava il dosaggio degli ansiolitici. La corte di appello ha altresi' evidenziato - dopo avere opportunamente premesso che le dichiarazioni della persona offesa sono sufficienti a fondare il giudizio di colpevolezza ove ne sia accertata la credibilita' ed attendibilita' intrinseca - come nel caso di specie numerosi fossero i riscontri che ne convalidano anche dall'esterno l'affidabilita', facendo riferimento non solo alle deposizioni dei testi escussi ma anche alle risultanze della consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero, i cui esiti sono stati oggetto di puntuale disamina nelle conformi pronunce di primo e secondo grado; esiti dai quali si desume la creazione non solo di profilo FB fasullo ma anche di utenze di posta elettronica a nome, sempre, della persona offesa. Sicche' la circostanza che la corte territoriale abbia alla fine concluso, con riferimento ai profili FB, che e' da ritenere provato con certezza che l'imputato e' l'autore di almeno un falso profilo Fb, quello su cui sono stati postati foto e video che solo il predetto possedeva e che solo l'imputato (ossessionato dalla gelosia) aveva interesse a diffondere, mentre e' altamente probabile (ma non provato) che anche gli altri profili FB siano stati creati dall'imputato, non e' in alcun modo idonea a scardinare il giudizio di attendibilita' della persona offesa che la corte di appello ha inteso confermare, essendosi peraltro la persona offesa in realta' limitata a descrivere i fatti valutati poi dai giudici in assonanza con le altre emergenze processuali, ivi compresi gli accertamenti tecnici. 1.2. Il secondo motivo non considera che - anche con riferimento ai fatti di cui al capo B - oltre alla consulenza tecnica vi sono le dichiarazioni della persona offesa che incrociate coi dati acquisiti dal consulente hanno consentito di giungere alle conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito nelle conformi pronunce di primo e secondo grado. Le dichiarazioni della persona offesa hanno cioe' consentito di appurare che era stata infatti proprio la persona offesa del reato di cui al capo B a consentire all'imputato di scattare foto e registrare video che riprendevano i loro atti sessuali con la promessa che li avrebbe conservati solo per se', mentre era accaduto che sul profilo FB dell'imputato ella aveva notato un video hard che la riprendeva, rispetto al quale l'imputato si era giustificato assumendo che lo aveva postato per sbaglio; la ragazza aveva poi saputo da alcuni conoscenti che in alcuni siti pornografici erano apparse sue foto intime scattate proprio dall'imputato e da lui esclusivamente detenute; inoltre era venuta a conoscenza dell'apertura di falsi profili FB a lei riferibili sui quali erano stati postati video e foto intimi unitamente a commenti allusivi al sesso (come accaduto con riferimento all'altra persona offesa dei reati di cui al capo A). Sicche' in definitiva gli esiti della consulenza tecnica digital-forense si risolvono piuttosto in riscontri della versione del fatto resa dalla persona offesa che rimane attendibile nella valutazione dei giudici di merito per essere innanzitutto coerente e lineare laddove le testimonianze acquisite e gli accertamenti tecnici aggiungono solo credibilita' nella parte in cui offrono riscontri. 1.3. il terzo motivo nel lamentare la carenza di prova e di motivazione in ordine al cd. dolo unitario richiesto per il reato di atti persecutori a ben vedere fa espresso riferimento alla delusione amorosa e alla gelosia che avrebbe spinto l'imputato ad agire, finendo in tal modo con l'indicare esso stesso il possibile fattore soggettivo che ebbe ad unificare le singole condotte, laddove la specificita' dell'occasione che si e' poi eventualmente posta come antecedente della singola condotta non esclude la unitarieta' psicologica sottesa all'agire complessivo. Sicche' se e' vero che la mera esistenza di un comune movente non puo' costituire elemento di per se' sufficiente a fondare la prova della sussistenza del cd. dolo unitario richiesto per l'integrazione del reato di cui all'articolo 612-bis c.p. e che esso e' estraneo alla nozione di dolo, e' altrettanto vero pero' che il movente lo evidenzia, rivelando la comunanza del nesso psicologico fra i ripetuti e numerosi atti persecutori (cfr. in relazione al reato di maltrattamenti in famiglia Sez. 6, n. 5541 del 02/04/1996, Rv. 204874 - 01; Sez. 6, n. 8557 del 20/06/1987, Rv. 176441 - 01), e che possa quindi contribuire a svelare la dimensione soggettiva unitaria del reato (allorquando, come nel caso di specie, ricorrano altri elementi che connotano le azioni sotto il profilo materiale, denotando la natura progressiva dell'agire persecutorio, che possono essere i piu' disparati, dal contesto alla omogeneita' delle condotte). D'altronde nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l'elemento soggettivo e' integrato pur sempre dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volonta' di porre in essere piu' condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneita' a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualita' del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicita' normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione (Sez. 1, Sentenza n. 28682 del 25/09/2020 Ud. (dep. 15/10/2020) Rv. 279726 - 01). Sicche' si puo' affermare che nel delitto previsto dall'articolo 612-bis c.p., che ha natura abituale, la tipologia dell'elemento soggettivo richiesto discende dalla stessa natura di reato abituale dello stesso, che implica che l'evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, e la reiterazione degli atti considerati tipici costituisce elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere a tali atti un'autonoma ed unitaria offensivita', in quanto e' proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che infine degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice (Sez. 5, Sentenza n. 54920 del 08/06/2016, Rv. 269081 - 01); tale struttura oggettiva del reato si traduce sul versante soggettivo nella necessita dell'intento persecutorio inteso come dolo - generico - unitario, indicativo cioe' di un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica. E nel caso di specie, risulta vagliata la idoneita' della condotta a generare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica in una delle forme descritte dalla fattispecie, avendo la corte territoriale segnalato in piu' punti della motivazione le ripercussioni del reiterato agire criminoso dell'imputato sulla persona della vittima evidenziando come esse si fossero anche acuite nel tempo, al punto che la donna aveva avuto bisogno di un aumento di dosaggio degli ansiolitici. 1.4. Il quarto motivo che lamenta la mancata considerazione della gelosia quale stato passionale rilevante ai sensi dell'articolo 90 c.p. e' manifestamente infondato. Se e' vero che la gelosia e' uno stato emotivo - o almeno puo' essere definita tale ove non trasmodi in una condizione di tipo patologico e si manifesti come idea generica portatrice di inquietudine - e' altrettanto vero tuttavia che essa difficilmente puo' assurgere a ragione giustificatrice di uno sconto di pena allorquando - e il caso di specie ne costituisce un emblematico esempio accredita piuttosto una condotta che e' in realta' espressione di uno spirito punitivo nei confronti della vittima, considerata come propria appartenenza. Cio' senza considerare che la valutazione, attinente ad aspetti che rientrano nei potere discrezionale del giudice di merito, esercitato congruamente, logicamente e anche coerentemente al principio di diritto secondo il quale l'onere motivazionale da soddisfare non richiede necessariamente, ne' in tema di attenuanti generiche (Sez. 1, n. 33506 del 07/07/2010, dep. 13/09/2010, P.G. in proc. Biancofiore, Rv.247959), ne' in materia di determinazione della pena (Sez. 2, n. 36425 del 26/06/2009, dep. 18/09/2009, Denaro, Rv. 245596), l'esame di tutti i parametri fissati dall'articolo 133 c.p., si sottrae alle censure mosse, che, del tutto infondate nella opposta violazione dei principi che attengono alla concessione delle indicate attenuanti, corrispondono in definitiva a valutazioni alternative di merito, non traducibili in censure di legittimita', laddove reclamano la rilettura in fatto degli elementi attinenti alla condizione dell'imputato e al suo stato psicologico, gia' ragionevolmente esaminati. 2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilita' del ricorso, cui consegue, per legge, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonche', trattandosi di causa di inammissibilita' determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entita' delle questioni trattate. Consegue altresi' la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS) liquidate in complessivi Euro 4000, oltre accessori di legge, nonche' dalla parte civile (OMISSIS), ammessa al Patrocinio dello Stato, in favore dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla Corte di Appello competente per tale determinazione (competendo, come affermato da questa Corte a Sezioni Unite nella sentenza del 26.9.19, De Falco, a questa Corte, in caso di parte civile ammessa al gratuito patrocinio, unicamente la condanna generica dell'imputato al pagamento delle spese, spettando al giudice del rinvio o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato la liquidazione di tali spese mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83). In caso di diffusione del presente provvedimento devono essere omesse le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 4000, oltre accessori di legge, nonche' dalla parte civile (OMISSIS) ammessa al Patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla Corte di Appello di Venezia con separato decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - rel. Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/03/2022 della CORTE APPELLO di POTENZA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore KATE TASSONE che ha concluso chiedendo. udito il difensore. IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Potenza riformava parzialmente in senso favorevole all'imputato, limitatamente alla dosimetria della pena, la sentenza con cui il tribunale di Potenza, in data 3.7.2019, aveva condannato (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, in relazione al delitto ex articolo 595, comma 3, c.p., in rubrica ascrittogli, commesso in danno di (OMISSIS). La condotta attribuita all' (OMISSIS) consiste, in particolare, nell'avere immesso nel web attraverso il sito del social network (OMISSIS), un filmato da lui stesso realizzato, avente ad oggetto il vice-sindaco del comune di (OMISSIS), (OMISSIS), mentre utilizzava l'automobile di servizio del comune, immagini che l'imputato commentava sul proprio profilo (OMISSIS), utilizzando le espressioni riportate testualmente nel capo d'imputazione, ritenute offensive per la reputazione del (OMISSIS). 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, lamentando: 1) violazione di legge in punto di affermazione della responsabilita', non essendovi alcuna certezza in ordine alla riconducibilita' all' (OMISSIS) del "post" offensivo pubblicato sul suo profilo (OMISSIS), in quanto la corte territoriale ha omesso ogni verifica tecnica in ordine all'indirizzo IP da cui proveniva il messaggio ritenuto offensivo della reputazione della persona offesa, in mancanza della quale non puo' escludersi l'utilizzo del nickname del presunto autore del reato da parte dei terzi, senza tacere che la corte territoriale ha rigettato l'eccezione difensiva sul punto con motivazione del tutto apparente, non avendo fatto buon governo dei principi in tema di prova indiziaria in base ai quali ha ritenuto di poter ovviare alla mancanza del menzionato accertamento tecnico; 2) violazione di legge con riferimento al processo di acquisizione forense del materiale diffamatorio presente su (OMISSIS), che, nel caso in esame, e' avvenuto mediante il deposito della mera trascrizione su carta dei commenti incriminati, con conseguente inutilizzabilita' del materiale cartaceo, alla luce dell'articolo 260, comma 2, c.p.p., secondo cui le copie forensi devono essere eseguite adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l'alterazione, con una procedura che assicuri la conformita' dei dati acquisiti a quelli originali e la loro immodificabilita'; 3) violazione di legge in punto di mancata applicazione dell'esimente del diritto di critica politica; 4) violazione di legge e vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, piuttosto che di semplice equivalenza, rispetto alla ritenuta circostanza aggravante di cui all'articolo 595, comma 3, c.p.p., nonche' di irrogazione di una pena detentiva, invece che di una pena pecuniaria. 3. Con requisitoria scritta del 17.2.2023, depositata sulla base della previsione dell'articolo 23, comma 8, Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, che consente la trattazione orale in udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalita' di celebrazione e' stata specificamente richiesta da una delle parti, i cui effetti sono stati prorogati fino al 31 dicembre 2022, per effetto dell'articolo 16, comma 1, del Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla L. n. 15 del 25 febbraio 2022, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, chiede che la sentenza impugnata sia annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione. Con conclusioni scritte del 28.2.2023, il difensore di fiducia dell'imputato, nel replicare alla requisitoria del pubblico ministero, insiste in via principale, per l'accoglimento del ricorso e, in subordine, aderisce alle conclusioni dell'organo della Pubblica Accusa. Con conclusioni scritte del 7.3.2023 il difensore di fiducia della costituita parte civile chiede la conferma della sentenza oggetto di ricorso e la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, come da allegata nota spese. 4. Il ricorso appare fondato solo in parte, con riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio, e va, pertanto, accolto nei seguenti termini. 5. Inammissibile deve ritersi il primo motivo di ricorso, posto che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimita' il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. In questa sede di legittimita', infatti, e' precluso il percorso argomentativo seguito dal ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimita', quale e' quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Cass., Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758). La corte territoriale, del resto, con motivazione affatto apparente, manifestamente illogica o contraddittoria, ha risolto il tema della riconducibilita' del video diffamatorio, diffuso sulla pagina del soda network (OMISSIS) collegato all'account dell' (OMISSIS), sulla base delle dichiarazioni del teste (OMISSIS) (il quale ha riferito come "il suddetto video gli fosse stato inviato dallo stesso imputato sul sui account (OMISSIS)) e dell' (OMISSIS) medesimo, "che non ha disconosciuto di avere effettuato la ripresa e di averla commentata, postandola su internet", come del resto si evince dall'ulteriore circostanza, del pari evidenziata con logico argomentare dal giudice di secondo grado, che "il luogo in cui il Vice-sindaco stava effettuando il rifornimento di carburante era proprio una piazza del comune di (OMISSIS) intitolata a " (OMISSIS)" e l'imputato, nel video, rivendicava il proprio nome e cognome come quello attribuito alla piazza in questione, luogo in cui erano stati ripresi i fatti. Sicche' risulta dotata di intrinseca coerenza logica la motivazione con cui la corte territoriale ha rigettato la censura difensiva, volta a eccepire la mancanza di accertamenti sull'indirizzo IP (Internet Protocol) dell'utenza impiegata per la diffusione del video, evidenziandone l'inutilita', oltre che conforme ai condivisibili principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in subiecta materia. Si e', infatti, evidenziato che "la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimita' si attesta sulla riferibilita' della diffamazione anche su base indiziaria, a fronte della convergenza, pluralita' e precisione di dati quali il movente, l'argomento del forum su cui avviene la pubblicazione, il rapporto tra le parti, la provenienza del post dalla bacheca virtuale dell'imputato, con utilizzo del suo nickname, anche in mancanza di accertamenti circa la provenienza del post di contenuto diffamatorio dall'indirizzo IP dell'utenza telefonica intestata all'imputato medesimo. Si e', inoltre, attribuito rilievo, assieme agli elementi indiziari sopra sottolineati, anche all'assenza di denuncia di cd. furto di identita' da parte dell'intestatario della bacheca sulla quale vi e' stata la pubblicazione dei post incriminati (cfr., Sez. 5, n. 45339-18 del 13/07/2018, Petrangelo, n. m.; Sez. 5, n. 8328 del 13/07/2015, dep. 2016, Martinez, n. m.). Risponde, dunque, a criteri logici e a condivise massime di esperienza ritenere la provenienza di un post da un profilo (OMISSIS) proveniente dal profilo di un utente che ometta di denunciarne l'uso illecito eventualmente compiuto da parte di terzi" (cfr. Sez. 5, n. 24212 del 21.1.2021, n. m.). Sicche', non puo' essere esclusa la riferibilita' del fatto all'imputato, quando, come nel caso di specie, pur non essendo stati svolti accertamenti sull'indirizzo IP, risultano significativi elementi convergenti a suo carico quali la provenienza del post dal profilo (OMISSIS), collegato all'account del prevenuto, le dichiarazioni del teste (OMISSIS) e la stessa ammissione dell' (OMISSIS), nonche' la circostanza che il ricorrente non risulta abbia denunciato l'uso improprio del suo nickname, prendendo le distanze dalle affermazioni offensive in addebito. 6. Infondata appare la seconda censura difensiva, sulla quale bisogna soffermarsi, pur non essendo stata articolata con i motivi di appello, con essa deducendosi un vizio di inutilizzabilita', che puo' essere rappresentato anche per la prima volta in questa sede. Si tratta, in ogni caso, di censura infondata, sotto un duplice profilo. Da un lato, se e' vero, come affermato dalla giurisprudenza di legittimita', che l'articolo 260, comma 2, c.p.p., si limita a richiedere l'adozione di misure tecniche e di procedure idonee a garantire la conservazione dei dati informatici originali e la conformita' ed immodificabilita' delle copie estratte per evitare il rischio di alterazioni, senza imporre misure e procedure tipizzate (cfr. Sez. 3, n. 37644 del 28/05/2015, Rv. 265180), e' altrettanto vero che l'eventuale inosservanza di tali misure e procedure non determina di per se' l'inutilizzabilita' dei dati informatici acquisiti, essendo sempre necessario dimostrare quanto meno l'esistenza di un concreto dubbio sulla conformita' e sulla modificabilita' delle copie estratte, rispetto agli originali, che, nel caso in esame, il ricorrente non ha fornito. D'altro lato, ritiene il Collegio di aderire a un recente orientamento della giurisprudenza di legittimita', secondo cui ai fini dell'utilizzabilita' della trascrizione delle conversazioni via "wathsapp" effettuata dalla persona offesa (ma ovviamente il principio e' applicabile con riferimento a ogni spazio telematico), la necessita' di acquisire il supporto telematico o figurativo contenente la relativa registrazione deve essere valutata in concreto, tenendo conto della credibilita' della persona offesa e dell'attendibilita' delle sue dichiarazioni accusatorie. (Fattispecie in tema di atti persecutori, in cui la Corte ha affermato che correttamente il giudice di merito aveva ritenuto superflua la richiesta difensiva di accertamento tecnico e di estrazione dei dati del traffico telefonico delle utenze interessate, non essendovi ragione di dubitare dell'attendibilita' delle dichiarazioni della persona offesa in merito alla provenienza e al contenuto dei messaggi: cfr. Sez. 5, n. 2658 del 06/10/2021, Rv. 282771). Orbene nel caso in esame non e' stato sollevato alcun rilievo specifico sulla credibilita' personale della persona offesa ovvero sull'attendibilita' delle sue dichiarazioni, che hanno consentito di ricostruire i fatti, ovvero delle dichiarazioni del teste (OMISSIS), sicche' nessuna inutilizzabilita' per violazione di legge processuale penale e' configurabile in relazione alla utilizzazione ai fini della decisione della trascrizione cartacea delle frasi incriminate. 7. Infondato deve ritenersi il terzo motivo di ricorso. Non ignora, il Collegio, il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Sezione, secondo cui in tema di diffamazione, il rispetto della verita' del fatto assume, in riferimento all'esercizio del diritto di critica politica, un rilievo piu' limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, ed ancor piu' quella politica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non puo', per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (cfr. Cass., Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, Rv. 249239; Cass., Sez. 5, n. 25518 del 26/09/2016, Rv. 270284). Allo stesso tempo va, pero', rammentata la costante riflessione operata dalla giurisprudenza di legittimita', volta ad individuare i limiti interni alla scriminante di cui si discute, oltrepassati i quali la condotta oggettivamente contra legem posta in essere non puo' trovare giustificazione nell'esercizio del diritto di critica politica. Si tratta di un approdo interpretativo, che, nel corso degli anni, ha approfondito e sviluppato nelle sue diverse implicazioni, il fondamentale principio, secondo cui il limite immanente all'esercizio del diritto di critica e' essenzialmente quello del rispetto della dignita' altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale, anche mediante l'utilizzo di argumenta ad hominem (cfr. Cass., Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, Rv. 249239). Si e', cosi', affermato che sussiste l'esimente dell'esercizio del diritto di critica politica qualora l'espressione usata consiste in un dissenso motivato, anche estremo, rispetto alle idee ed ai comportamenti altrui, nel cui ambito possono trovare spazio anche valutazioni non obiettive, purche' non trasmodi in un attacco personale lesivo della dignita' morale ed intellettuale dell'avversario (cfr. Cass., Sez. 5, n. 46132 del 13/06/2014, Rv. 262184). Pertanto l'esimente di cui si discute, che pure tollera l'uso di espressioni forti e toni aspri, non ricorre ove tali espressioni siano generiche e non collegabili a specifici episodi, risolvendosi in frasi gratuitamente espressive di sentimenti ostili (cfr. Cass., Sez. 5, n. 48712 del 26/09/2014, Rv. 261489; Sez. 5, n. 9566 del 16/12/2020, Rv. 280809). Tale e' la fattispecie che ci occupa, in considerazione della natura gratuitamente offensiva delle frasi profferite nei confronti della persona offesa ("nulla....solite porcherie di una serpe resuscitata), peraltro riferite a un episodio in cui il vice-sindaco aveva dimostrato come l'utilizzazione del veicolo, al rifornimento del quale presso una pompa di benzina era stato immortalato nel video incriminato, fosse consentito, in quanto funzionale allo svolgimento di un'attivita' istituzionale (cfr. p. 4 della sentenza oggetto di ricorso). 8. Fondato, invece, risulta l'ultimo motivo di ricorso. Come affermato, infatti, dalla giurisprudenza di legittimita', con orientamento costante e assolutamente condivisibile, e' legittima, in relazione all'articolo 10 Cedu, secondo un'interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata della norma, l'irrogazione di una pena detentiva, ancorche' sospesa, per il delitto di diffamazione commesso, anche al di fuori di attivita' giornalistica, mediante mezzi comunicativi di rapida e duratura amplificazione (nella specie "internet"), ove ricorrano circostanze eccezionali connesse alla grave lesione di diritti fondamentali, come nel caso di discorsi di odio o di istigazione alla violenza. L'applicazione della pena detentiva per il delitto di diffamazione a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicita', in particolare, a seguito della sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, e' subordinata alla verifica della "eccezionale gravita'" della condotta, che, secondo un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, si individua nella diffusione di messaggi diffamatori connotati da discorsi d'odio e di incitazione alla violenza ovvero in campagne di disinformazione gravemente lesive della reputazione della vittima, compiute nella consapevolezza della oggettiva e dimostrabile falsita' dei fatti ad essa addebitati (cfr. Sez. 5, n. 28340 del 25/06/2021, Rv. 281602; Sez. 5, n. 13993 del 17/02/2021, Rv. 281024). Siffatto profilo, nonostante la presenza di un motivo di appello con cui si chiedeva di rivisitare l'entita' del trattamento sanzionatorio, per adeguare l'entita' della pena alla gravita' del fatto, non e' stato minimante preso in considerazione dalla corte territoriale, che ha rideterminato in mesi due di reclusione la pena detentiva irrogata dal giudice di primo grado, senza procedere ad alcuna valutazione sulla necessita' di irrogare una pena detentiva, sia pure contenuta. Ne consegue che, sul punto, la sentenza va annullata con rinvio alla corte di appello di Salerno, che provvedera' a colmare l'evidenziata lacuna motivazionale, uniformandosi ai principi di diritto in precedenza indicati. Ai sensi dell'articolo 624, c.p.p., va dichiarato il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, con riferimento all'affermazione di responsabilita' dell' (OMISSIS), dovendosi, sul punto, rilevare che, tenuto conto dei periodi di sospensione del relativo decorso intervenuti nel corso del giudizio, il termine di prescrizione del reato per cui si procede, nella sua estensione massima, non risulta affatto perento. La parziale fondatezza dei rilievi difensivi, implica che, pur dovendosi rigettare nel resto il ricorso, l'imputato non sia condannato al pagamento delle spese processuali, laddove l' (OMISSIS), essendo soccombente sul punto dell'affermazione della sua responsabilita' per la condotta in addebito, deve, invece, essere condannato, conformemente alla richiesta formulata dalla parte civile, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio da quest'ultima, che si liquidano in complessivi Euro 3500,00 oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo esame sul punto alla corte di appello di Salerno. Rigetta nel resto il ricorso. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 3500,00 oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 08-06-2022 della Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Fabio Zunica; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Baldi Fulvio, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; uditi gli avvocati (OMISSIS), difensori di fiducia del ricorrente, i quali hanno insistito nell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza dell'8 giugno 2022, la Corte di appello di Milano confermava la decisione del 15 dicembre 2020, con cui il G.U.P. del Tribunale di Milano aveva condannato (OMISSIS) alla pena di 3 anni, mesi 4 di reclusione ed Euro 14.000 di multa, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui agli articoli 81 e 600 ter c.p., a lui contestato per avere prodotto materiale pornografico utilizzando la minorenne (OMISSIS) istigando la minore, mediante esplicite richieste, a ritrarsi in 26 fotografie e in 14 video dal contenuto sessualmente esplicito; fatto commesso in (OMISSIS). 2. Avverso la sentenza della Corte di appello meneghina, (OMISSIS), tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando ventuno motivi. Con il primo, la difesa deduce l'inosservanza dell'articolo 603 ter c.p., comma 1, richiamando i principi espressi nelle pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte (sentenze n. 51815 del 2018 e n. 4616 del 2022) ed evidenziando che la Corte di appello avrebbe erroneamente applicato tali canoni ermeneutici, avendo valorizzato esclusivamente la differenza di eta' tra imputato e persona offesa, seguendo un'impostazione superata dalla successiva evoluzione interpretativa. Con il secondo motivo, la difesa contesta l'affermazione della penale responsabilita' del ricorrente, osservando che nel caso di specie ricorrevano tutti gli indici sintomatici della cd. "pornografia domestica", posto che lo scambio di foto e video tra imputato e persona offesa e' avvenuto senza alcuna condivisione con terze persone e nell'ambito di un rapporto affettivo, al di fuori di qualsivoglia costrizione o induzione, per cui i giudici di merito avrebbero ignorato i principi espressi dalle Sezioni Unite nelle ricordate sentenze del 2018 e del 2022, che peraltro attenevano a procedimenti a carico di maggiorenni, riferendosi la seconda a un maggiorenne che aveva intrattenuto una relazione affettiva con una minorenne e che era stato completamente assolto. Con il terzo motivo, e' stato denunciato il travisamento delle risultanze degli atti di indagine, dai quali sono emersi dati fattuali ignorati dalla Corte di appello, ovvero che (OMISSIS) e la (OMISSIS) si sono conosciuti sulle chat e non si sono mai incontrati e che, nell'ambito di una relazione quotidiana in cui parlavano di argomenti vari, si sono reciprocamente inviati files autoprodotti, posto che anche l'imputato si e' ritratto in video e foto trasmessi alla minore. Il quarto motivo censura il travisamento delle risultanze delle relazioni del consulente informatico della Procura della Repubblica, Dott. (OMISSIS), il quale, nella relazione finale del 1 marzo 2019, ha dato atto dell'interlocuzione quotidiana tra imputato e persona offesa, i quali si scambiavano messaggi dalla prima mattinata fino alla notte inoltrata, cio' a conferma del forte grado di complicita' dei due interlocutori e della assoluta liberta' di azione della ragazzina. Con il quinto motivo, ci si duole del travisamento delle dichiarazioni confessorie dell'imputato, il quale, nel premettere di essere consapevole della minore eta' della (OMISSIS), ha sempre negato di aver costretto o indotto costei a ritrarsi in foto e video pornografici, inserendosi lo scambio degli sporadici contenuti audiovisivi autoprodotti nell'ambito del clima di complicita' instauratosi. Con il sesto motivo, si censurano il travisamento, l'inosservanza della legge penale e il vizio di motivazione in relazione alle dichiarazioni di (OMISSIS), la quale, a riscontro del racconto dell'imputato, ha confermato l'esistenza di una relazione affettiva con (OMISSIS), escludendo sia qualsiasi forma di induzione nei suoi confronti ai fini della realizzazione del materiale autoprodotto, sia la sussistenza di presunti "ordini" o "direttive" da parte dell'imputato. Con il settimo motivo, la difesa lamenta la mancata considerazione delle risultanze della relazione redatta dalla psicologa infantile (OMISSIS) intervenuta in sede di audizione protetta, la quale ha ritenuto attendibile la narrazione della persona offesa, anche nella parte cui costei ha riferito di aver inviato liberamente il materiale contestato all'imputato, senza subire alcuna costrizione o induzione, non avendo la Dott.ssa (OMISSIS) rinvenuto alcun sintomo di abuso nella ragazzina. L'ottavo motivo e' dedicato al giudizio sull'asserita e apodittica sussistenza di presunti "ordini" o "direttive" rivolti dall'imputato alla minore, risultando tale affermazione fondata su un travisamento delle risultanze probatorie. Con il nono motivo, ci si duole dell'affermazione circa il presunto condizionamento da parte di (OMISSIS) che sarebbe stato favorito dalla fragilita' della (OMISSIS), risultando tale conclusione frutto di un fraintendimento degli esiti dell'audizione della persona offesa, la quale, come chiarito anche dalla Dott.ssa (OMISSIS), aveva instaurato un legame affettivo con l'imputato, idoneo a spiegare l'invio volontario del materiale audiovisivo reciprocamente prodotto. Con il decimo motivo, la difesa insiste sul difetto di induzione da parte del ricorrente nei confronti della (OMISSIS), risultando la condotta per cui si procede inquadrabile nel contesto della cd. "pornografia domestica" penalmente irrilevante, non essendovi stata alcuna violenza o induzione, essendo il materiale inviato destinato esclusivamente inter partes e avendo la persona offesa, che all'epoca dei fatti aveva compiuto 14 anni, liberamente espresso il suo consenso. Con l'undicesimo motivo, si contesta la mancata derubricazione del fatto nel reato di detenzione di materiale pedopornografico, risultando la meno grave qualificazione giuridica del fatto imposta dal principio di irretroattivita' della disciplina penale piu' sfavorevole, ancorche' di derivazione giurisprudenziale (articolo 7 della C.E.D.U.), avendo le Sezioni Unite dato luogo, con la sentenza n. 51815 del 2018, a un mutamento in peius dell'orientamento giurisprudenziale, posto che, per effetto dell'overruling, sono state incluse nell'ambito applicativo 600 ter c.p. condotte che, per essere prive, come nel caso di specie, del pericolo di diffusione del materiale, sarebbero state assoggettate, secondo il precedente orientamento, alla disciplina del reato ex articolo 600 quater c.p.. Il dodicesimo motivo e' dedicato al trattamento sanzionatorio, non avendo la Corte di appello fornito risposta alle deduzioni difensive, con cui era stato censurato il difetto di motivazione rispetto alla determinazione della pena, fissata in maniera ingiustificatamente superiore rispetto al minimo edittale. Con il tredicesimo, il quattordicesimo, il quindicesimo, il sedicesimo, il diciassettesimo, il diciottesimo, il diciannovesimo e il ventesimo motivo, si contesta sotto diversi aspetti il diniego delle attenuanti generiche, non avendo la Corte di appello fornito adeguata motivazione al riguardo (motivo 13) e non avendo tenuto conto di vari elementi positivi, ovvero: la confessione dell'imputato, avvenuta gia' in sede di dichiarazioni spontanee rese in sede di perquisizione e poi reiterate nelle successive fasi del procedimento penale (motivo 14); la condotta collaborativa di (OMISSIS), il quale, come emerso dagli atti delle indagini preliminari acquisiti al fascicolo processuale, ha coadiuvato il consulente tecnico del P.M., fornendo password e codici di sblocco, non essendo dipese le difficolta' di accertamento da alcuna azione volontaria di (OMISSIS) (motivo 15); la resipiscenza del ricorrente, il quale, oltre a rendere piena confessione gia' dinanzi agli operanti e ad aver compreso la gravita' del suo comportamento, ha effettuato il pieno risarcimento del danno, provvedendo al pagamento di 27.000 Euro alla minore e alla famiglia, che hanno rinunciato alla costituzione di parte civile (motivo 16); il fatto che (OMISSIS) ha interagito solo con la (OMISSIS), non avendo contatti con altre minorenni, come emerso dagli accertamenti informatici svolti (motivo 17); il comportamento processuale dell'imputato, che e' stato presente in tutte le sedi procedimentali e ha espresso piena consapevolezza per l'errore da lui commesso (motivo 18); la condizione di incensurato del ricorrente, l'assenza di carichi pendenti e la mancanza di denunce a suo carico, precedenti o successive ai fatti di causa (motivo 19); nonche' il documentato avvio, da parte dell'imputato, di un percorso psicoterapeutico, accanto al trattamento farmacologico gia' in atto, idoneo alla risoluzione delle fragilita' che hanno pesato sul suo comportamento nella vicenda (motivo 20). Il ventunesimo motivo, infine, e' dedicato all'aumento di pena ex articolo 81 c.p., comma 2, non avendo la Corte di appello illustrato le ragioni poste a fondamento del non lieve incremento di pena (mesi 6 di reclusione ed Euro 3.000 di multa) operato su un gia' elevatissimo minimo edittale. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' infondato. 1. In via preliminare, occorre evidenziare che i ventuno motivi di ricorso possono ricondursi a due aree tematiche: quella riguardante l'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato (i primi 11 motivi) e quella concernente il trattamento sanzionatorio (motivi da 12 a 21). Le due categorie di doglianze, nel loro rispettivo ambito, sono invero suscettibili di trattazione unitaria, risultando sostanzialmente sovrapponibili le questioni affrontate per ogni area tematica. 2. Iniziando dalle censure in punto di giudizio di colpevolezza, occorre evidenziare che le valutazioni compiute al riguardo nelle due conformi sentenze di merito non presentano vizi di legittimita' rilevabili in questa sede. In proposito si ritiene utile una breve e preliminare ricostruzione fattuale. Emerge invero dalle sentenze di primo e secondo grado, le cui argomentazioni sono destinate a integrarsi reciprocamente per formare un apparato motivazionale unitario, che il 31 ottobre 2018 si recava presso la Squadra Mobile di Como (OMISSIS), madre di (OMISSIS), nata nel (OMISSIS). La (OMISSIS) riferiva che sette giorni prima, il 24 ottobre, mentre si trovava in casa, aveva sentito la figlia parlare a telefono in vivavoce con un uomo, vertendo la conversazione su argomenti di natura sessuale: ella entrava quindi subito in camera di (OMISSIS), cui chiedeva spiegazioni, ma costei, dopo alcune iniziali reticenze, si limitava ad ammettere di aver parlato di sesso con un suo coetaneo. Tuttavia la (OMISSIS), avendo ascoltato interloquire con la figlia la voce di un adulto, a fronte delle negazioni della figlia, chiamava il marito, dicendogli di tornare subito a casa: i genitori di (OMISSIS) controllavano quindi il cellulare della figlia, rinvenendo nell'applicazione whatsapp solo conversazioni amichevoli e uno scambio di foto non allarmanti con tale (OMISSIS). Questi veniva comunque contattato dai genitori della minore, che gli dicevano che la figlia aveva solo 14 anni, al che l'uomo registrato come (OMISSIS) si scusava dicendo di aver sbagliato. Il pomeriggio del giorno successivo, la denunciante parlava di nuovo con la figlia, chiedendole se per caso avesse inviato all'uomo foto e video; dopo essere stata inizialmente reticente, (OMISSIS) confidava alla madre che, tramite l'applicazione Telegram, vi era stato uno scambio di foto e video di natura sessuale. A quel punto la minore mostrava alla madre le immagini in questione, che ritraevano ella nell'atto di masturbarsi in camera sua, nonche' il pene in erezione dell'uomo, il quale tuttavia non inviava mai foto del suo volto alla ragazzina. Venerdi' 26 ottobre la (OMISSIS) e la figlia si recavano presso lo studio della psicologa che aveva avuto in cura (OMISSIS) per un anno per attacchi e crisi di ansia, informandola dell'accaduto nel tentativo di superare quella situazione. Nel successivo fine settimana, la minore raccontava alla madre che tutto era nato nell'agosto 2017, allorquando, durante una vacanza con la zia, ella e la cugina (OMISSIS) si erano iscritte a una chat di incontri, dove aveva conosciuto (OMISSIS), che non ha mai incontrato, ma che sapeva fosse residente in Toscana. Dopo la presentazione della denuncia da parte della (OMISSIS), venivano avviate le indagini e, a seguito di verifiche tecniche sul cellulare della persona offesa, l'intestatario dell'utenza con cui (OMISSIS) aveva interloquito veniva identificato in (OMISSIS), nato nell'(OMISSIS) e residente in provincia di Pistoia. Il 14 dicembre 2018 veniva eseguita una perquisizione presso l'abitazione e il luogo di lavoro dell'imputato e, pur risultando cancellate dall'interessato le chat delle sue applicazioni whatsapp e telegram, venivano rinvenuti nei suoi dispositivi elettronici elementi di interesse investigativo, ovvero la presenza di modulistica del liceo classico di Como frequentato dalla persona offesa, e la registrazione dell'imputato in siti di incontri con due account che rimandavano al nome di (OMISSIS) indicato da (OMISSIS), ovvero "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)". Il contenuto degli scambi avvenuti quotidianamente tra l'imputato e la persona offesa veniva invece reso noto dall'analisi forense del cellulare in uso alla minore. In particolare, nel periodo compreso tra il 7 luglio e il 24 ottobre 2018, venivano registrati contatti quasi giornalieri tra i due, contraddistinti da conversazioni sia brevi che lunghe e dallo scambio di 132 files multimediali, tra i quali anche foto e video che ritraggono (OMISSIS) in atteggiamenti erotici, sia nuda che intenta nel compimento di atti di autoerotismo, emergendo dalla lettura delle chat che (OMISSIS), ovvero (OMISSIS) (l'identificazione dell'imputato e' pacifica), ben conosceva la minore eta' della sua interlocutrice, che le aveva detto di avere 15 anni. Nelle conversazioni, il ricorrente manifestava piu' volte l'intenzione di recarsi a Como per incontrare (OMISSIS), al fine di consumare un rapporto sessuale, ma la ragazzina esprimeva preoccupazione per il fatto di essere alla sua prima esperienza, manifestando inoltre la minore segni di paura per la conservazione del materiale pornografico che si scambiava con il suo interlocutore, temendo che qualche familiare potesse scoprire tale circostanza, emergendo altresi' una certa insofferenza di (OMISSIS) di fronte della frequenti richieste di (OMISSIS) di inviare immagini pornografiche, anche se ella poi cedeva dopo le insistenze di lui. Peraltro, dall'analisi tecnica compiuta dal consulente del P.M. e' emersa una significativa differenza numerica tra i contenuti sessuali che i due interlocutori si scambiavano, nel senso che le immagini erotiche prodotte e inviate dalla minore erano una cinquantina, mentre quelle inviate dall'imputato erano una decina. Nel prosieguo delle indagini, il 7 marzo 2019, veniva sentita (OMISSIS), la quale, nell'ambito di un'audizione spesso interrotta dal pianto, confermava le circostanze gia' riferite alla madre, precisando di essersi sentita gratificata dai complimenti e dalle attenzioni dell'imputato, il quale le aveva detto di avere 27 anni e di chiamarsi " (OMISSIS)" ed era diventato una presenza costante della sua vita quotidiana, anche quando egli aveva cominciato a chiederle con insistenza di inviargli foto intime, richiesta che ella assecondava, avendo paura che l'uomo si allontanasse definitivamente, come aveva minacciato piu' volte di fare. Dal canto suo, (OMISSIS), sentito il 6 marzo 2020 in sede di interrogatorio richiesto dopo la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, riferiva di non aver mai costretto o istigato la minore a fare qualcosa, ma l'aveva solo assecondata, posto che ella amava masturbarsi e spesso gli aveva chiesto di inventare situazioni erotiche, anche utilizzando un linguaggio volgare. Aggiungeva di non aver mai incontrato la ragazzina e di avere, dopo la telefonata della madre, formattato tutti i suoi dispositivi non per cancellare prove, ma per evitare di cadere nella tentazione di ricontattare (OMISSIS). Infine, in sede di dichiarazioni spontanee rese in sede di rito abbreviato, (OMISSIS) ha ribadito che con la minore si era creata una "forte amicizia" che l'aveva obbligato a starle vicino e ad assecondare le sue richieste, senza mai forzarla. 2.1. Orbene, cosi' ricostruiti i fatti di causa, all'esito di una disamina del materiale probatorio esauriente e priva di vizi di travisamento, i giudici di merito sono pervenuti alla coerente conclusione circa l'ascrivibilita' all'imputato della fattispecie di cui all'articolo 600 ter c.p., essendo stato richiamato a tal fine, in modo pertinente, il principio elaborato dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Sez. Un., n. 51815 del 31/05/2018, Rv. 274087), secondo cui, ai fini dell'integrazione del reato di produzione di materiale pedopornografico di cui all'articolo 600 ter c.p., comma 1, non e' richiesto l'accertamento del concreto pericolo di diffusione di detto materiale, essendo stato cosi' superato il precedente indirizzo ermeneutico (Sez. Un. 13 del 31/05/2000, Rv. 216337), con cui la rilevanza penale della condotta era stata invece ancorata alla verifica della sussistenza di un concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto. L'impostazione delle Sezioni Unite del 2018 e' stata peraltro condivisa e ulteriormente sviluppata nel 2021 con la sentenza n. 4616 del 28/10/2021, dep. 2022, Rv. 282718, con cui le Sezioni Unite hanno ribadito che, ai fini della configurabilita' del reato di cui all'articolo 600 ter c.p., comma 1, si ha "utilizzazione" del minore allorquando, all'esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell'eta', maturita', esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volonta' del minore stesso, restando invece escluse dalla rilevanza penale del fatto solo le condotte realmente prive di offensivita' rispetto all'integrita' psico-fisica dello stesso, come ad esempio avviene quando la produzione del materiale pornografico, con il consenso del minore ritratto, si realizza nell'ambito di una relazione paritaria tra minorenni ultraquattordicenni, unicamente a uso privato delle persone coinvolte (cd. "pornografia domestica"). Nel caso di specie, e' stata esclusa sia l'irrilevanza penale del fatto, sia la possibile derubricazione del fatto nella meno grave ipotesi di cui all'articolo 600 quater c.p., essendosi osservato (pag. 8 ss. della sentenza di primo grado e pag. 7 ss. della pronuncia di appello), in maniera tutt'altro che illogica, come nel caso di specie doveva escludersi l'esistenza di una semplice relazione affettiva tra imputato e persona offesa, avendo il primo 43 anni e la seconda 1314 all'epoca dei fatti ed essendo il rapporto contraddistinto non da condizioni paritarie, ma da un'evidente posizione di supremazia del ricorrente, il quale, nel relazionarsi con (OMISSIS), di quasi 30 anni piu' giovane di lui e in palesi condizioni di fragilita' psicologica, non mancava di screditare l'operato della psicoterapeuta che aveva in cura la minore, tentando di indirizzare sempre di piu' costei a lui, e cio' anche approfittando del fatto che la ragazzina, sentendosi lusingata dai suoi apprezzamenti, si e' sentita sempre piu' coinvolta in questo legame, finendo per assecondare le richieste del ricorrente per evitare di perdere il rapporto con lui. In tal senso, l'alternanza tra conversazioni normali e scambi di materiale pornografico e' stata ragionevolmente intesa dai giudici di merito come indizio non della spontaneita' della relazione, ma al contrario del proposito dell'imputato di condizionare psicologicamente la giovanissima (OMISSIS), al fine di spingerla ad assecondare le sue insistite richieste di inviargli materiale pornografico, richieste accompagnate peraltro da precise direttive su cosa dire e cosa fare. In definitiva, in quanto ancorata a considerazioni non irrazionali e anzi coerenti con gli indirizzi ermeneutici elaborati da questa Corte, l'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato non presta il fianco alle censure difensive, che, nella ricostruzione dei fatti di causa, soprattutto rispetto alla dinamica del rapporto intercorso tra (OMISSIS) e la persona offesa, si articolano nella sostanziale proposta di una lettura alternativa del materiale istruttorio, operazione non consentita in questa sede, dovendosi ribadire (cfr. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482 e Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601) che, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalita', sono precluse al giudice di legittimita' la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. 2.2. Ne' infine appare invocabile nel caso di specie l'asserita violazione dei principi convenzionali in ragione dell'overruling in tema di pornografia minorile, avendo questa Corte chiarito (cfr. Sez. 3, n. 46184 del 23/11/2021, Rv. 282238), peraltro proprio rispetto all'applicazione dei principi elaborati dalle Sezioni Unite con la richiamata sentenza n. 51815 del 2018, che, in tema di successione di leggi penali nel tempo, l'articolo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, non consente l'applicazione retroattiva dell'interpretazione giurisprudenziale piu' sfavorevole di una norma penale, solo quando il risultato interpretativo non fosse ragionevolmente prevedibile al momento della commissione del fatto, atteso che l'irretroattivita' del mutamento giurisprudenziale sfavorevole presuppone il ribaltamento imprevedibile di un quadro interpretativo consolidato, mentre, nel caso di specie, l'intervento nomofilattico del 2018 non poteva ritenersi affatto sorprendente, avuto riguardo all'evoluzione del quadro normativo, mutato con la L. n. 38 del 2006, con il Decreto Legge n. 11 del 2009, convertito dalla L. n. 38 del 2009, con la L. n. 172 del 2012 e da ultimo con il Decreto Legge n. 93 del 2013 convertito dalla L. n. 119 del 2013, avendo tali modifiche normative anticipato la soglia di punibilita' del reato, rendendo non imprevedibile, anche alla luce del grado di sviluppo tecnologico maturato rispetto al contesto storico in cui e' stato elaborato il differente approdo interpretativo, l'affermazione secondo cui, ai fini della configurabilita' del reato de quo, non e' piu' richiesto l'accertamento del pericolo concreto di diffusione del materiale pornografico. Di qui l'infondatezza delle censure in tema di responsabilita' penale. 3. Residuano le doglianze in materia di trattamento sanzionatorio. Anche sul punto, tuttavia, non si ravvisa nelle sentenze di merito alcuna criticita'. Occorre premettere al riguardo che il primo giudice ha irrogato all'imputato la pena finale di anni 3, mesi 4 di reclusione ed Euro 14.000 di multa, cosi' determinata: pena base, anni 6, mesi 9 di reclusione ed Euro 27.000 di multa, ridotta per l'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6 (riconosciuta in ragione dell'avvenuto risarcimento del danno alla persona offesa) ad anni 4, mesi 6 ed Euro 18.000 di multa, aumentata per la continuazione interna ad anni 5 di reclusione ed Euro 21.000 di multa, ridotta di un terzo per la scelta del rito. La Corte di appello ha ritenuto congrua la pena irrogata dal G.U.P., osservando che la pena base si discosta in misura contenuta dal minimo edittale di anni 6 di reclusione ed Euro 24.000 di multa, nonostante l'eta' nettamente inferiore a 18 anni della persona offesa, risultando non eccessivo anche l'aumento per la continuazione interna, stante la reiterazione nel tempo delle condotte illecite. Quanto al diniego delle attenuanti generiche, i giudici di secondo grado hanno condiviso il rilievo del primo giudice circa l'assenza di profili meritevoli di positiva considerazione, a parte il risarcimento del danno, che e' stato comunque adeguatamente valorizzato con il riconoscimento dell'attenuante ex articolo 62 c.p., n. 6, applicata peraltro nella sua estensione massima di un terzo. Non sono state ritenute invece dirimenti la collaborazione e la confessione invocate dalla difesa, dovendo le stesse essere valutate alla luce delle prove granitiche a carico dell'imputato, acquisite peraltro non attraverso il materiale da lui fornito, ma solo tramite l'esame del cellulare della persona offesa, tanto e' vero che (OMISSIS), avvisato dalla madre della persona offesa della sua intenzione di denunciarlo, aveva provveduto a cancellare i dati presenti sui propri dispositivi informatici, aspetto questo che, come osservato dal G.U.P. (pag. 11 della sentenza di primo grado), "colora di particolare intensita' anche il dolo del reato". Orbene, a fronte di considerazioni non manifestamente illogiche, non vi e' spazio per l'accoglimento delle censure difensive, che anche in tal caso sollecitano differenti valutazioni di merito non consentite in sede di legittimita', dovendosi richiamare la consolidata affermazione di questa Corte (cfr. ex multis Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269 e Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899) secondo cui, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non e' necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione. 4. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) deve essere rigettato, con onere per il ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA II SEZIONE LAVORO La Corte composta dai signori magistrati: dott.ssa Donatella Casablanca - Presidente dott.ssa Olga Pirone - Consigliere rel. dott.ssa Maria Vittoria Valente - Consigliere sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 9/05/2023, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 296 dell'anno 2023 vertente tra (...) spa con gli avv.ti S.Fl.; F.Da.; M.Be. come da procura in atti RECLAMANTE e, (...) con l'avv. R.Bo., come da procura in atti RECLAMATO Oggetto: reclamo avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, n. 10390/2022, pubblicata in data 6.12.2022 FATTO E DIRITTO Con ricorso ex art. 1, co. 48 L. n. 92 del 2012 Tito Vito conveniva in giudizio (...) s.p.a. dinnanzi al Tribunale di Roma, in funzione del giudice del lavoro, chiedendo l'annullamento del licenziamento disciplinare subito in data 5.11.2020, emesso all'esito della contestazione del 21.7.2020 in cui erano stati riportati in maniera articolata i fatti concernenti presunti illegittimi comportamenti del (...) nei confronti dei colleghi, nonché il suo indebito accesso a numerose schede clienti. Deduceva l'infondatezza delle contestazioni mossegli dalla banca e l'insussistenza di elementi concreti a supporto delle stesse, evidenziando invece di avere sempre svolto il compito di area manager nel rispetto del ruolo, peraltro incrementando notevolmente la vendita di prodotti bancari e l'allargamento della clientela; censurava inoltre la contestazione per genericità e tardività poiché la banca aveva contestato fatti risalenti a un periodo anteriore rispetto alla contestazione fino a 24 mesi, così lasciando intendere la legittimità del suo operato con violazione del principio di tempestività della contestazione. (...) spa si costituiva in giudizio impugnando e contestando quanto ex adverso dedotto, rappresentando che la contestazione disciplinare era stata il più possibile tempestiva in considerazione della necessità di accertare fatti nel loro complesso che avevano delineato un comportamento violativo tra gli altri dei principi di correttezza e buona fede che aveva reso intollerabile la prosecuzione del rapporto di lavoro e che era culminato quindi nella contestazione disciplinare, seguito dal recesso. Istruita la causa, il Giudice della fase sommaria con ordinanza del 5.1.2022 reputava infondate le doglianze del ricorrente e respingeva il ricorso senza procedere ad istruire la causa oralmente, poiché riteneva che la gravità dei fatti emergeva ictu oculi dalla documentazione in atti, in particolare dalla documentazione che dimostrava l'avvenuta violazione della privacy da parte del (...) il quale con l'accesso indebito alle schede clienti per motivi extralavorativi aveva posto in essere un comportamento "di per sé sufficiente ad inclinare in maniera definitiva il vincolo fiduciario con la banca convenute". Con ricorso ex art. 1 co. 51, L. n. 92 del 2012, (...) proponeva opposizione alla suddetta ordinanza lamentando l'erroneità della pronuncia fondata solo sulla documentazione e proponeva censure specifiche ai motivi di contestazione disciplinare ritenendoli insussistenti. L'(...) spa resisteva al giudizio. Espletata l'istruttoria orale, la causa veniva decisa con la sentenza indicata in oggetto con cui il Giudice dell'opposizione accoglieva il ricorso e disponeva la reintegrazione del lavoratore. Avverso tale sentenza, (...) spa ha proposto reclamo lamentandone l'erroneità e chiedendone la riforma, formulando articolati motivi di censura come di seguito sintetizzati: a) Erronea valutazione della tardività delle contestazioni mosse dall'istituto al ricorrente con riferimento particolare alle illegittime interrogazioni da parte del predetto, delle schede tecniche; b) Erroneità della sentenza laddove ha ritenuto che gli addebiti comportamentali mossi al (...) fossero stati in gran parte smentiti o non provati all'esito del giudizio; La reclamante ha quindi esaminato punto per punto le risultanze dell'istruttoria orale e documentale, confutando le conclusioni cui era giunto il Tribunale e ribadendo altresì la piena proporzionalità del licenziamento disciplinare adottato nei confronti del dipendente che aveva violato gravemente il vincolo fiduciario necessario, ha concluso in conformità. Si è costituito (...) come memoria depositata il 23.3.2023, proponendo preliminarmente eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del principio di sinteticità degli atti e nel merito contestando la fondatezza delle argomentazioni prospettate e, ripercorrendo anch'egli dettagliatamente le singole fasi dell'istruttoria, di cui evidenziava l'esaustività e la pertinenza delle conclusioni che avevano condiviso le proprie deduzioni quanto alla tardività della contestazione e alla sostanziale insussistenza del fatto materiale chiedeva il rigetto del reclamo. Matura per la decisione allo stato degli atti, all'udienza del 9.5.2023, dopo la discussione la Corte poneva la causa in riserva. MOTIVI DELLA DECISIONE Sul rilievo di tardività della contestazione mossa dall'Istituto di credito al dipendente. Il tribunale ha ritenuto parzialmente fondata l'eccezione di tardività della contestazione distinguendo la parte relativa ai comportamenti del dipendente, per i quali la contestazione doveva reputarsi tempestiva e quella concernente l'illecita consultazione delle schede clienti, ritenuta invece tardiva. L'esame di questa corte pertanto concerne questo secondo aspetto ed è sulle relative censure che occorre soffermarsi. Il giudice di primae curae ha infatti ripercorso innanzitutto i principi giurisprudenziali al riguardo, soffermandosi sulla natura relativa del principio di tempestività della contestazione, che deve tenere conto delle dimensioni dell'impresa/datore di lavoro nonché della necessità di accertare i fatti nella loro complessità, nonché ancora particolarmente rilevante laddove i fatti oggetto di contestazione siano stati fino a un certo momento, occulti. Tali principi sono condivisi da questa corte. Requisito fondamentale è l'immediatezza della contestazione dei fatti da addebitare e nel valutare detto elemento occorre tener conto dei contrapposti interessi del datore di lavoro a non avviare un procedimento senza aver acquisito i dati essenziali della vicenda ma in particolar modo l'interesse del lavoratore a essere tenuto a difendersi su una contestazione concernente i fatti trascorso un ragionevole lasso di tempo dalla loro commissione ( Cass. 07/1101). Come poc'anzi detto l'immediatezza, quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro, deve essere intesa in senso relativo, dovendosi obbligatoriamente tener conto della specifica natura dell'illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente all'espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più complessa è l'organizzazione dell'impresa ( Cass. 16/1248). Sempre in tema di tempestività della contestazione, è stato evidenziato che il datore ha il potere , ma non l'obbligo, di controllare continuamente i propri dipendenti, contestando loro qualsiasi infrazione al fine di evitarne un possibile aggravamento, atteso che un siffatto obbligo, non desumibile neppure dai principi di cui all'art. 1175 e 1375 c.c., negherebbe ab origine l'elemento fiduciario del rapporto di lavoro subordinato, sicché la tempestività della contestazione disciplinare va valutata non in relazione al momento in cui il datore avrebbe potuto accorgersi della violazione ove avesse continuamente controllato il lavoratore, bensì avuto riguardo all'epoca in cui ne abbia acquisito piena conoscenza ( Cass. 16/10069). Tali considerazioni svolte in punto di diritto, impongono quindi un riesame dei fatti oggetto dello specifico profilo di censura. Come si è appena detto, il tribunale mentre ha da un lato ritenuto tempestive le contestazioni di addebito riferite all'area comportamentale, con riguardo all'illegittima consultazione di 53 schede clienti ha invece ritenuto non giustificato il tempo occorso alla banca per formulare gli addebiti in parola, stabilendo testualmente che : " di contro, nel secondo caso, la banca si è limitata a delegare ai tecnici informatici l'estrazione dei dati, non compiendo in relazione agli stessi alcun ulteriore accertamento, sicchè alla data del febbraio 2020, prima ancora della sospensione delle attività per la pandemia da coronavirus, ben avrebbe potuto procedere alla contestazione di addebito. Il teste (...), già addetto all'ufficio del personale, richiesto di riferire gli accertamenti eseguiti dal suo ufficio, in ordine alla contestazione relativa alle indebite inquiry sulle "schede clienti", ha riferito che la banca non ritenne di dovere contattare i clienti le cui schede erano state visualizzate dal ricorrente, negando, inoltre, di sapere riferire se le verifiche compiute dall'Ufficio del personale furono limitate alla verifica delle inquiry di (...) alle schermate iniziali delle "schede clienti", o, se piuttosto, fossero stati delegati ai tecnici informatici ulteriori approfondimenti, relativi all'eventuale accesso ai sottomenu o alle schermate successive. Non avendo la banca ritenuto la necessità di compiere ulteriori attività istruttorie, una volta ricevuti i tabulati delle inquiry non autorizzate effettuate dal (...) non v'era alcun motivo di attendere la conclusione della complessa istruttoria disciplinare avviata per la verifica degli addebiti c.d. "comportamentali", trattandosi di fatti del tutto diversi e tra loro non collegati?Sempre in relazione all'addebito inerente le "schede clienti" l'eccezione di intempestività è fondata anche sotto un ulteriore profilo. Con lettera del 21.7.2020 sono contestate all'odierno ricorrente n.70 inquiry su "schede clienti" di colleghi e clienti effettuate tra il febbraio 2018 e il febbraio 2020. Invero la banca, tenuta alla conservazione dei dati, per propria disposizione interna, per un periodo massimo di 24 mesi, ha esteso l'indagine a ritroso fino al tempo massimo consentito dal proprio archivio. Mai, tuttavia, in precedenza, aveva sollevato alcun rilievo nei confronti dell'odierno ricorrente per ipotetici indebiti accessi alle "schede clienti" trincerandosi dietro la giustificazione che gli alert sono impostati al raggiungimento di un minimo di 6 accessi sospetti nell'arco di un mese, mai raggiunti dal (...). Tale modus operandi, nondimeno, è idoneo a ingenerare nel dipendente la convinzione circa la legittimità del proprio operato, in quanto mai segnalato-né tantomeno sanzionato- dalla banca, nonostante l'obbligo di quest'ultima di procedere a controlli periodici a campione." Il tribunale ha poi proseguito su tale linea richiamando a supporto la testimonianza della teste (...) che aveva specificato esserci una policy aziendale per cui la consultazione delle schede era possibile solo se necessaria in relazione a un determinato compito, e che però tale necessità era interpretata in modo non restrittivo fino ai fatti che hanno coinvolto l'odierno dipendente. Pertanto, valutando la circostanza che la contestazione in parola era poi arrivata a distanza di ulteriori cinque mesi su fatti antecedenti fino a 24 mesi prima, aveva concluso che tale tempo rendeva obiettivamente tardiva la contestazione, nonché lesiva del diritto di difesa del dipendente (che era lecito che non ricordasse a distanza di tanto tempo i motivi per i quali aveva consultato le schede). Tale statuizione è oggetto di gravame da parte dalla banca sotto un duplice profilo di censura: a) i sistemi informatici dell'istituto di credito sono impostati ai fini della registrazione dettagliata di tutte le operazioni di accesso ai dati bancari con registrazione del codice identificativo di chi ha posto in essere l'operazione; la data e l'ora di esecuzione dell'operazione di accesso; il codice cliente interessato dall'operazione di accesso ai dati bancari da parte dell'incaricato; la tipologia di rapporto contrattuale del cliente a cui si riferisce l'operazione effettuata; tali dati sono conservati per un minimo di 24 mesi successivi all'operazione ma è necessario un minimo di alert superiori a sei in un mese perché possa scattare il controllo e che mai in quel periodo si era verificata tale condizione e che inoltre la banca svolge un controllo a campione sugli alert soltanto successivamente; che la documentazione riportata in atti dimostrava che l'allora ricorrente aveva interrogato le schede clienti senza alcuna motivazione (o meglio per motivazioni non connesse a ragioni lavorative, quali l'accertamento della data di nascita di un dipendente per gli auguri di compleanno o del nominativo del numero di cellulare); che ciò non poteva ritenersi giustificato nemmeno facendo riferimento alla testimonianza della (...) richiamata dal giudice a supporto, che aveva affermato la necessità che l'accesso fosse dovuto a motivi specifici pur non stringenti, quali potevano essere l'intervento su carta smagnetizzata, una consulenza o la necessità di conoscere il cliente che si approcciava all'ufficio con una richiesta. b) La società reclamante ha altresì dedotto che in alcun modo il ricorrente aveva lamentato la violazione del diritto di difesa, richiamato invece dal giudice ancora una volta in modo improprio a sostegno della sussistenza della violazione del principio di tempestività. La censura è fondata. Alla stregua della giurisprudenza sopra richiamata infatti non si ravvisano quei profili di tardività ingiustificata individuati dal tribunale. Da un lato non si ravvisa alcuna violazione del diritto di difesa, non dedotto in sede di opposizione e dall'altro si ritiene che la necessità di accertamento dei fatti, la peculiarità degli stessi che ne rendeva possibile la necessaria valutazione soltanto dopo il venire in rilievo del numero di alert rilevabili dal sistema, ma ancora il quadro di insieme dei fatti tutti riconducibili a singoli accessi sostanzialmente non giustificati da motivi di ufficio nemmeno a posteriori, rendono congruo il tempo trascorso per la verifica, per poi procedere alla contestazione, che proprio in ragione della posizione del ricorrente, che nella sua qualità di area manager aveva conseguito risultati ottimi per il raggiungimento degli obiettivi aziendali, richiedeva un'accortezza e una ponderazione maggiore da parte del datore di lavoro. Si ritiene pertanto che il tribunale abbia fatto malgoverno di quei principi pure dallo stesso richiamati in sentenza e si impone a questo punto la verifica delle circostanze contestate in ragione della sanzione del licenziamento poi irrogata (anche sulla base degli addebiti comportamentali su cui si dirà), che invece non sono state esaminate dal giudice di primo grado che si è ovviamente arrestato alla pronuncia di tardività. Si tratta di 70 accessi reputati illegittimi a fronte dei quali il lavoratore ha offerto giustificazioni per ogni singolo episodio non legate da motivazioni aziendali (vedi lettera di giustificazioni del 31.7.2020 pagg-2429). Il sig. (...) ha ripetutamente violato il sistema informatico della Banca, accedendo abusivamente e illegittimamente visualizzando posizioni bancarie dei clienti della banca attraverso la consultazione delle schede cliente e della movimentazione di conto corrente, e ciò senza alcuna ragione di servizio, poiché al riguardo non ha reso alcuna giustificazione riconducibile a tali motivi. A ben vedere, anche alla luce delle dichiarazioni della testimone F., che come già detto sono state riportate in motivazione a sostegno della "normalità" degli accessi immotivati del (...), non si evincono ragioni obiettive per tutte o per lo meno la gran parte delle stesse, tali da potere ritenere nel suo complesso rispettata l'accezione della "necessità" di consultazione pur se non da intendersi secondo un'accezione restrittiva, come ha affermato la stessa testimone F.. L'illegittima visione di un numero così elevato di schede non può che fare ritenere violata la normativa della privacy richiamata dalla società e le disposizioni regolamentari interne della banca che si fondano sul rispetto di tale principio di riservatezza tutelato ex se, in ragione del valore costituzionale che assume la tutela del rispetto della privacy per la persona, senza la possibilità di individuare "esimenti" che non siano ragioni strettamente lavorative o, come sempre, di necessità obiettiva. Invero, in tale materia è stato con un arresto giurisprudenziale recente è stato ribadito che "Il potere di disporre di strumenti informatici volti al compimento delle operazioni finanziarie presso un istituto bancario non è di certo sinonimo di accesso indiscriminato a banche dati. Né si può ritenere, nel caso di specie, che sussiste un onere di impedire l'accesso a tali dati da parte della banca, che, stante il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e prestatore di lavoro, conceda l'utilizzo di tali strumenti informatici ai propri dipendenti affinchè operino in maniera lecita durante la prestazione lavorativa. Il ricorrente, ancora una volta, tenta di invocare una sorta di esimente per elidere l'illiceità del suo comportamento, imputando paradossalmente alla banca la mancata predisposizione di adeguate protezioni dei dati clienti." (Cass. sez.lav. 16.11.2021 n.3471/2021); Resa questa breve premessa, va evidenziato che per quanto di interesse va brevemente evidenziato che le prescrizioni del Garante relativamente al profilo degli accessi informatici da parte dei dipendenti delle banche ai dati relativi alla clientela e al correlato tracciamento delle operazioni poste in essere dagli stessi sono stringenti (vedi Decisione del 12.5.2011) prevedono una serie di adempimenti, da parte della banca quali: 1. il "tracciamento" degli accessi ai sistemi e i tempi di conservazione dei relativi file di log. 2. il. tracciamento delle operazioni 3. la conservazione dei log di tracciamento delle operazioni. 4. l'implementazione di alert volti a rilevare intrusioni o accessi anomali e abusivi ai sistemi informativi. 5. le informazioni da rendere all'interessato in caso di accessi non autorizzati; 6. le comunicazioni al Garante. Sulla scorta di quanto sopra richiamato emerge con evidenza l'attenzione che il Garante pone all'ingerenza nel trattamento dei dati da parte della banca (e dei suoi dipendenti), pertanto ritiene questa Corte che l'accesso non giustificato che ne ha fatto l'allora ricorrente vada ad integrare la condotta illecita contestata. In ordine alle conseguenze sanzionatorie e alla proporzionalità del licenziamento rispetto a questo unico fatto, va detto che l'istituto di credito non allega la sussistenza di danni consequenziali all'illecita ingerenza suddetta, provocato alla banca o a terzi né è emersa alcuna finalità fraudolenta o mirata a un indebito vantaggio per sé o per terzi, tale da rendere ancora più grave la posizione del dipendente che vi ha fatto ricorso. Nel caso di specie con la violazione in parola il datore di lavoro lamenta la sussistenza di un tale vulnus al vincolo fiduciario idoneo di per sé solo a giustificare il licenziamento. Ritiene la corte che contrariamente a quanto già sostenuto dal giudice della fase sommaria, tale illecita ingerenza non sia stata invece idonea a giustificare la più grave sanzione del licenziamento benchè vada affermata l'illiceità anche sulla scorta dei principi generali a essa connessi. Vengono in rilievo il diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 Cost. e dall'art. 8 della CEDU, il cui accertamento è necessario al fine di verificare la gravità della lesione e della serietà del danno eventualmente subito, ulteriore rispetto alla posizione di illiceità maturata in ragione della violazione del codice della privacy . La violazione delle regole di indebita ingerenza e trattamento dei dati personali assume rilevanza sotto molteplici profili, penalistici, prima ancora che civilistici e giuslavoristici. E' stato invero evidenziato in una nota pronuncia delle Sezioni Unite su di un'ipotesi di fatto commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio (615-ter, comma secondo, n. 1), che sotto il profilo dell'elemento oggettivo, integra il delitto previsto dall'art. 615-ter cod. pen. la condotta di colui che "pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un sistema informatico o telematico protetto per delimitarne l'accesso, acceda o si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso gli è attribuita"(Sez. U, n. 41210 del 18/05/2017,cd.sentenza Savarese). I principi espressi per il pubblico funzionario possono essere trasfusi anche al settore privato, nella parte in cui vengono in rilievo i doveri di fedeltà e lealtà del dipendente che connotano indubbiamente anche il rapporto di lavoro privatistico. Pertanto, sulla scorta di tale ragionamento se può senz'altro ravvisarsi il profilo di illecità per l'abusivo ricorso riconducibile a qualsiasi comportamento del dipendente che si ponga in contrasto con i suddetti doveri "manifestandosi in tal modo la "ontologica incompatibilità" dell'accesso al sistema informatico, connaturata ad un utilizzo dello stesso estraneo alla ratio del conferimento del relativo potere"(Sez. U, n. 41210 del 18/05/2017, Savarese, in motivazione), la modulazione della sanzione non può non tenere conto dell'assenza di danni concretizzatisi quale conseguenza di detta ingerenza il che giustificherebbe, ove richiesta anche in via subordinata, la comminazione di una sanzione conservativa ma non quella del licenziamento quale sanzione massima prevista. Occorre conseguentemente esaminare anche la successiva "seconda parte" della contestazione, quanto agli addebiti comportamentali e valutarne la complessiva influenza in ordine alla violazione dei richiamati doveri di probità e lealtà per verificare che via sia stato un eventuale "doppio" vulnus al vincolo fiduciario, tale a quel punto da giustificare nel suo insieme il licenziamento disciplinare comminato. Gli addebiti comportamentali. In relazione a questi fatti la corte condivide l'analisi accurata svolta dal primo giudice che ha esaminato ogni testimonianza, riportata nel provvedimento gravato e che ha evidenziato come a ben vedere nessuno dei fatti contestati realizzavano il fine discriminatorio né potevano avere alimentato il clima di preoccupazione e di scarsa fiducia denunziato nel canale anonimo "parlami" dal quale era partita l'indagine. Quale primo rilievo, si osserva che, nonostante la Banca abbia posto a fondamento della contestazione disciplinare le dichiarazioni ricevute dai propri dipendenti (...) - relative, nel complesso, alla rappresentazione gravissima di una gestione dispotica e clientelare dell'Area, basata su un sistema di intimidazioni, ricatti e ritorsioni nei confronti di tutti i dipendenti non compiacenti, di svilimento della linea gerarchica, controllo ossessivo dell'operato dei colleghi, intromissione nella loro vita privata, nonché, d'altro canto, di intrattenimento di relazioni personali a vantaggio di colleghe privilegiate nella carriera - tuttavia non ha prodotto in giudizio i verbali di audizione dei colleghi denuncianti, né le spontanee relazioni scritte acquisite dai dipendenti (...) e (...), queste ultime collegate a una presunta gestione dispotica e clientelare dell'area, tutti fatti affidati alla sintesi riepilogativa dell'ufficio del personale, vagliati in giudizio in sede di istruttoria. La banca reclamante in punto di censura ha rappresentato (punto E) del reclamo) che le testimonianze escusse hanno univocamente riferito su fatti appresi direttamente nell'esercizio dei propri compiti: in particolare, che i testi (...) e (...) hanno confermato le circostanze dedotte a sostegno del clima di terrore delineato dalla banca, apprendendolo direttamente dalle signore (...) e (...), protagonisti di alcuni dei "sorprusi" addebitati al (...), così come gli stessi (...) e (...), sentiti in giudizio avrebbero confermato le suddette circostanze mentre invece i testi (...), (...) (...) e (...), intimati dal reclamato, hanno potuto riferire di fatti non direttamente appresi da loro stessi. Secondo il reclamante quindi tale aspetto di un sostanziale "non allineamento" nella posizione dei testimoni avrebbe condizionato l'andamento dell'istruttoria svolta, oltre al fatto che i testimoni indicati dal (...) ed escussi in istruttoria erano tra coloro che facevano parte dei cd. "fedelissimi" non avrebbero potuto confermare il clima di intimidazione a questi addebitato, né potevano conoscerlo perché non erano i soggetti istituzionalmente tenuti alla ricezione delle denunce. Orbene si osserva preliminarmente in punto di diritto che il dovere del datore di lavoro di tutelare l'incolumità e l'integrità dei propri dipendenti (intesa in senso lato, anche come quella di operare in un ambiente di lavoro non inquinato da rapporti di prevaricazione, prepotenza o isolamento) addossa allo stesso il più ampio onere di controllare e intervenire laddove tali circostanze si verifichino o quando vi sia una possibilità o sospetto che queste si stiano verificando, al fine anche di prevenirle. Tale obbligo rientra come noto nell'obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro che come noto trova disciplina nei principi di cui alla norma di chiusura dettata dall'art. 2087 cod. civ., e impone al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente previste dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per tutelare l'integrità psicofisica del lavoratore, in base all'esperienza ed alla tecnica e tenuto conto della concreta realtà aziendale e degli specifici fattori di rischio, sia pure, come è stato precisato, in relazione ad obblighi di comportamento concretamente individuati (v. in tal senso, Cass. n. 30679 del 2019 in linea di continuità con Cass. n. 14066 del 2019; n. 12863 del 2004)". La banca reclamante aveva quindi senz'altro un obbligo di verifica e accertamento della veridicità dei fatti anonimi pervenuti, ma aveva altresì, in modo speculare tutelare il dipendente e quindi aveva il dovere di verificare che quei fatti concretizzassero le violazioni poi addebitate allo stesso. Il relativo onere probatorio in giudizio della sussistenza del fatto materiale posto a base del licenziamento, era quindi a carico del datore di lavoro, odierno reclamante, che secondo la Corte alla luce delle testimonianze in raffronto con la documentazione prodotta non risulta assolto. Ciò chiarito, questa corte condivide le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice che all'esito dell'istruttoria non ha ravvisato la concretezza di questi fatti ascritti, la cui gravità doveva desumersi nel loro insieme e non atomisticamente in singole valutazioni se non l'una assorbente rispetto alle altre (ma come si è detto ciò non rileva nemmeno per quanto concerne gli attacchi alla disciplina della privacy che da soli non risultano sufficienti a integrare il fatto giustificativo del licenziamento) proprio in chiave ricostruttiva del quadro accusatorio impiantato a carico del T.. Dovendo richiamare sinteticamente quanto riportato in modo più che ampio nella sentenza, nonché trasfuso negli atti difensivi delle parti, in particolare in quelli del reclamante, si osserva che: in ordine alle accuse rivolte a mezzo del canale "parlami" e al clima di terrore che si sarebbe creato la teste (...) ha riferito di avere appreso del clima di tensione da altro dipendente, il signor (...), che mai si era lamentato ufficialmente del ricorrente; la teste (...) non ha confermato tali circostanze pur avendo prestato servizio presso gli uffici di Latina per lungo tempo; il teste (...), ha riferito che le due segnalazioni del canale parlami non erano state riferite poi mai dai dipendenti direttamente; la teste (...), una delle "accusatrici" ha invece confermato tale clima che pure sarebbe intervenuto da un certo momento in poi, sempre sotto la direzione del (...), senza però sapere concretamente indicarne le motivazioni e risultando poi smentita da alti colleghi sentiti in istruttoria; la teste (...) infatti, a tale riguardo ha riferito che vi era un gruppo di colleghi, i signori B., (...), Valeriani, (...) e (...) che si lamentavano di tutto, in particolare dei trasferimenti a loro dire ingiustificati e delle e-mail riepilogative che ogni giorno l'area manager inviava loro, nonché in ordine alle chiamate continue alla (...), anch'esse indicate a sostegno del continuo clima "intimidatorio" la teste ha chiarito che tali chiamate erano dettate dalla necessità obiettiva di sostituzione della dipendente (...), di cui la (...) aveva preso il posto nel novembre 2019; che a fronte di ciò i testi (...) (...) e (...) hanno invece riferito di un clima tutt'altro che difficile; che lo stesso (...) ha sminuito le dichiarazioni che aveva offerto all'ufficio del personale in ordine al (...) affermando che di avere riferito solo di "qualche situazione di tensione"; che il trasferimento della teste (...) a (...) riguardava due sedi distanti tra loro di circa 500 mt e che dalle testimonianze della teste (...) e (...), da un lato non era emerso nulla riferibile alla presunta natura disagevole dello spostamento e dall'altro che comunque il (...) aveva sempre apprezzato la figura della (...) come degli altri dipendenti, riservandole un ruolo su misura; che nulla era emerso in merito a una presumibile ragione ritorsiva del (...) nei suoi confronti per il banale motivo di non essere stato invitato alla sua festa dei cinquant'anni, circostanza che peraltro non è stata confermata da alcun testimone (vedi teste (...) che riferisce di averlo saputo solo dalla diretta interessata e che nessun'altro le aveva mai riferito ciò) la teste (...) d'altro canto aveva dimostrato di essere consapevole e forte dei propri titoli e restia ad accettare cambiamenti imposti; che in ogni caso la (...) aveva resistito e tale modifica si era tramutata solo in una richiesta verbale, non essendoci né ordini di servizio né provvedimenti scritti con tale oggetto; sul trasferimento a Sessa Aurunca della (...) nel 2020, la motivazione inizialmente addotta a contestazione nei confronti del (...) di un clima ritorsivo acuitosi dopo il suo rifiuto di andare a (...) non era stata confermata in udienza in cui invece la teste (...) ha affermato che ciò fosse dovuto a rapporti privilegiati e confidenziali dell'allora ricorrente con alcune dipendenti a lei preferite; a riguardo nulla di tali circostanze è emerso dall'istruttoria perché non riferita in alcun modo; in ogni caso tale trasferimento, peraltro non impugnato dalla diretta interessata, era dipeso dalla soppressione della sua figura professionale a opera dell'ufficio, quindi esulava dai poteri del (...); l'ulteriore censura per la quale il (...) si occupasse da solo dei trasferimenti dei dipendenti senza coinvolgimento dell'ufficio del personale, tale circostanza non è stata confermata dai testimoni nemmeno da quelli indicati dall'allora resistente le signore (...) e (...); i comportamenti addebitati al (...) riferibili alla partecipazione a una cena estiva nel 2018 a Terracina sono stati parimenti riferiti in modo confuso che in alcun modo chiarivano la possibile ingerenza del (...) anche nelle vite private dei colleghi, né di sue pressioni per evitare divulgazioni circa il comportamento sconveniente, poiché nessuno dei testi ha confermato l'addebito ma semmai è stato riferito dagli stessi dipendenti che erano stati sentiti dal personale, quali la (...) e la (...), l'esistenza di un'atmosfera briosa tra colleghi e che in alcun modo erano state confermate le pressioni che secondo le accuse egli avrebbe adottato nei confronti della dipendente (...), la quale anzi aveva mostrato di apprezzare la conversazione e la compagnia anche del (...) anche in occasione dell'incontro conviviale di azienda. Gli altri episodi contestati sull'assegnazione del portafoglio di B.(...); il trasferimento della dipendente (...) da (...) a G.; l'ingerenza nella gestione del cliente (...), tutti non sono stati confermati come analogamente non risultano confermate le accuse di "rapporti ambigui" intrattenuti con alcune colleghe in quanto non erano in alcun modo emersi elementi di pressione o non consenzienza sulle frequentazioni del (...) che in ogni caso non sono state confermate; quanto al trasferimento del portafoglio clienti della dipendente (...) quando era stata promossa come direttore di monte (...), è emerso che in questo come in alcuni casi specifici era stata data un'autorizzazione riferibile solo ad alcuni clienti specifici della (...) e che quindi in alcun modo la circostanza poteva ingenerare dubbi circa la legittimità; nemmeno sui trasferimenti delle dipendenti (...) e (...) vi è stata conferma o di (...), su cui le teste (...) e (...) hanno offerto motivazioni diverse che sostanzialmente li legittimavano; altresì sulla circostanza che il teste (...) fosse stato minacciato di "marcire a Latina" solo la teste (...) ha riferito di averlo appreso dall'interessato, mentre invece egli era stato indicato da alcuni come il pupillo del (...) e tale circostanza si reputa confermata anche dai fatti visto che questi ha avuto una crescita professionale velocissima rispetto ad altri, quindi sicuramente non era stato ostacolato dal (...) nelle sue aspirazioni; gli altri episodi del rimprovero al senior banker (...) e del trasferimento presumibilmente ingiustificato del D.C. non sono stati confermati; analogamente, le accuse svolte dal (...) fatte pervenire all'ufficio del personale, che non era mai stato sentito in sede disciplinare non sono state confermate dai testimoni che non hanno saputo riferire nulla; che le accuse riferite al presunto atteggiamento di scherno e critica riservato al dipendente (...) sono state confermate de relato soltanto dal teste (...) e tuttavia contraddette da quanto affermato dalle testimoni (...) e (...), laddove la prima ha ricordato oltre al fatto che sotto la gestione (...) il (...) era stato promosso e che quest'ultimo aveva chiesto di rientrare a Latina da Roma, dopo i presunti episodi, che ove fossero corrispondenti a fatti concreti sicuramente sarebbero stati ostativi alla manifestazione di volontà del vessato di ritornare da colui che lo vessava; non sono nemmeno stati in alcun modo confermati gli episodi relativi ai rapporti difficili col (...) per cui non si rinviene nella lettera di contestazione la conferma nelle dichiarazioni del (...), e quanto al clima teso riferito dalla testimone (...) in merito a tale episodio, le dichiarazioni sono però smentite da quelle della teste T.; analogamente quanto ai rapporti con il (...), la situazione di difficoltà è stata riferita solo dal teste (...) smentito dagli altri e dalla registrazione della telefonata del 29.7.2020 (doc. 30 del ricorso in opposizione) da cui non si evince in alcun modo la sussistenza di tali circostanze; anche il trasferimento della cliente M.A.C. alla filiale di (...) la contestazione di una personalizzazione del rapporto con la cliente da parte del (...) che si sarebbe contrariato per il trasferimento, non corrisponde ai fatti emersi all'esito della testimonianza della stessa (...) che aveva mantenuto i rapporti con il gestore precedente e che ha parlato di una proficua collaborazione, nonché dalle stesse dichiarazioni della teste (...) che ha precisato che la teste era rilevante per la banca e che aveva delle richieste, né risulta confermato il clima di tensione tra (...) (direttore della filiale di (...)) e (...) dato che è stato confermato che i due in pubblico mostravano sempre rapporti cordiali e confidenziali e che lo stesso (...) aveva riferito alla cliente (...) nel corso di un incontro di lavoro, confidandole di avere ricevuto una proposta di Trasferimento dal (...) di cui lui era entusiasta, quindi anche su una presunta ritorsività quale motivo del trasferimento, nulla è emerso. Orbene, alla luce di questo quadro complessivo, sintetizzato rispetto alle acquisizioni probatorie integralmente riportate nella sentenza di primo grado che qui si richiamano e condividono, non si ravvisano le lacune e le discrepanze censurate dal reclamante né con riguardo alla non genuinità della testimonianza dei testi indicati dal lavoratore, che invece risultano coerenti nelle dichiarazioni rese, né riguardo a una non comprensione dei fatti che invece alla luce del quadro istruttorio non risultano confermati. Il reclamante quindi non ha confermato come era suo onere la sussistenza dei fatti e di un clima di tensione e di prevaricazione di cui si è detto all'inizio creato dal (...), dispotico e accentratore. Al di là delle note caratteriali che ciascuno può avere e che sembra abbiano influito in questa vicenda, nel creare forti antipatie da parte di alcuni colleghi, che peraltro non hanno direttamente impugnato i provvedimenti che li hanno interessati, ma hanno preferito intraprendere la strada della segnalazione all'ufficio del personale, alimentata dalle segnalazioni anonime che si ribadisce non sono state confermate in udienza. Conseguentemente i comportamenti contestati non integrano il fatto materiale posto a base del licenziamento che va valutato solo in considerazione delle violazioni riguardanti la disciplina della privacy di cui si è già detto e rispetto alla quale in assenza di danno risulta quale sanzione risulta eccessivamente onerosa. Ne consegue, in assenza di deduzioni alternative in ordine alla possibilità di comminatoria di una sanzione conservativa, la conferma del reclamo con riguardo alle conseguenze di legge all'illegittimità del licenziamento ex art.18 co.4 L. n. 300 del 1970 per l'assenza di illiceità dei fatti addebitati quali comportamenti, così come già disposto nel corso del giudizio di primo grado. Alla stregua delle considerazioni che precedono, alle quali deve attribuirsi rilievo assorbente rispetto alle ulteriori questioni prospettate dalle parti, dovrà pertanto, va confermata la pronuncia di annullamento del licenziamento comminato al (...) con diritto alle conseguenze in termini di reintegrazione e risarcimento del danno già disposte in sede di opposizione. In applicazione dell'art.92, II comma c.p.c. la regolamentazione delle spese del grado, liquidate come in dispositivo, segue la parziale reciproca virtuale soccombenza nella misura di un terzo, ponendo a carico del reclamante i restanti due terzi delle spese. In ragione dell'integrale rigetto del ricorso deve darsi atto in dispositivo della ricorrenza delle condizioni previste dall'art.13 comma 1-quater, primo periodo, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (introdotto dall'art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228) per il versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese ma al fatto oggettivo - e altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'appellante, dell'impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. civ., S.U., n. 22035/2014 e, più di recente, Cass. civ., sez. lav., n. 25386/2016; in argomento si veda anche, da ultimo, Cass. civ., S.U., n. 4315/2020). P.Q.M. La Corte, a scioglimento della riserva del 9.5.2023, statuendo sul reclamo così provvede: -respinge il reclamo proposto da (...) spa - compensa le spese del giudizio nella misura di un terzo e condanna la (...) SPA, alle restante parte delle spese liquidate per l'intero in Euro 4.800,00 per il primo grado ed Euro 3.700,00 per il secondo grado, oltre spese generali, rimborso forfettario e accessori come per legge. - dà atto della sussistenza dei presupposti oggettivi per il versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto nel caso nel caso di impugnazione totalmente respinta. D.I.R. alla camera di consiglio del 9 maggio 2023. Così deciso in Roma il 9 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4449 del 2022, proposto da Nt. Da. It. S.p.A. ed altri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Bo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Consip Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti De. Ri. Ad. S.r.l. Società Be., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Pa. Be., Pi. Ot., Jo. Br., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ey Ad. S.p.A. ed altri, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 04840/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Consip Spa e di De. Ri. Ad. S.r.l. Società Be.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2022 il Cons. Massimo Santini e uditi per le parti gli avvocati Bo. e Be.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Si controverte su un appalto quadro indetto da CONSIP per i servizi di sicurezza informatica (in particolare: sicurezza da remoto, compliance e controllo) delle pubbliche amministrazioni. Obiettivo: proteggere le stesse pubbliche amministrazioni da "attacchi informatici di particolare gravità " (cfr. pag. 10 capitolato generale di appalto). Il lotto 2 (attività di compliance (ossia "conformità alle procedure") e controllo) era da aggiudicare a due operatori: oltre 70 milioni di contratti esecutivi al primo classificato; oltre 46 milioni di contratti esecutivi al secondo classificato. 2. La terza classificata NTT contestava dinanzi al TAR Lazio il primo posto di De. (la quale era stata anche previamente sottoposta a giudizio di congruità dell'offerta) a causa del cospicuo numero di lavoratori autonomi che quest'ultima avrebbe impiegato nella commessa (44% della complessiva forza lavoro). Cospicuo numero che peraltro, nella prospettiva della stessa NTT, non avrebbe consentito a De. un sufficiente margine di utile. Il TAR Lazio rigettava tuttavia il ricorso affermando che: a) Il disciplinare di gara non era stato concepito in modo di ammettere soltanto lavoratori subordinati in seno alle società appaltatrici. Le formule adesso previste dal diritto del lavoro nonché il tipo di mansioni e di organizzazione aziendale richiesti dalla legge di gara ("lavoro in team") consentono di dare ingresso anche a tipologie contrattuali diverse rispetto a quella del lavoro subordinato in senso stretto (es. co.co.co, lavoro etero direzionato, etc.). Il tutto non senza trascurare la libertà imprenditoriale e la discrezionalità organizzativa di cui godono i soggetti appaltatori nella scelta del proprio "modello di organizzazione del lavoro"; b) La società ricorrente ha inoltre fornito una propria personale ricostruzione dei costi del lavoro senza tenere conto delle peculiari differenze (es. regime contributivo) tra il regime di lavoro autonomo e quello di tipo subordinato; c) Altre voci di costo sono state infine correttamente computate, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente NTT, e tra queste anche quelle legate alle "trasferte" del personale. 3. La sentenza di primo grado formava oggetto di appello per error in iudicando nella parte in cui non sarebbe stato considerato che: 3.1. Le regole di gara presupporrebbero (unicamente) la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra l'appaltatore e le risorse impiegate nella commessa; 3.2. A ben vedere, le medesime risorse impiegate nella commessa da parte di De. - o per lo meno quel 44% di cui si controverte in questa sede - sarebbero solo formalmente lavoratori autonomi ma, nella sostanza, lavoratori subordinati a tutti gli effetti; 3.3. L'offerta economica sarebbe inconsistente con particolare riguardo al costo medio giornaliero; 3.4. La stazione appaltante non avrebbe compiuto alcuna istruttoria né avrebbe espresso una articolata motivazione con riferimento ai giustificativi presentati da De. in merito alla sostenibilità dei costi del lavoro; 3.5. Non si sarebbe tenuto conto della insostenibilità dell'offerta economica, sempre sul piano del costo del lavoro, sulla base delle stime elaborate dalla stessa NTT (odierna appellante); 3.6. Vi sarebbe stato un certo scostamento dalle tabelle ministeriali con particolare riguardo al TFR; 3.7. I costi di trasferta stimati da De. non avrebbero tenuto conto del fatto che le prestazioni del fornitore dovrebbero svolgersi primariamente in situ, ossia "in presenza" presso le singole amministrazioni; 3.8. Gli stessi costi di trasferta sarebbero in ogni caso fortemente inattendibili; 3.9. Non si sarebbe tenuto conto dei "buoni pasto" da corrispondere ai lavoratori autonomi; 3.10. La stazione appaltante non avrebbe compiuto una esauriente istruttoria, né avrebbe formulato una adeguata motivazione in merito alla durata dei contratti esecutivi ipotizzata da De.. 4. Si costituivano in giudizio CONSIP e De. per chiedere il rigetto del gravame mediante articolate controdeduzioni che, più avanti, formeranno oggetto di specifica trattazione. 5. Alla pubblica udienza del 1° dicembre 2022 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso veniva infine trattenuto in decisione. 06. Tutto ciò premesso l'appello è infondato per le ragioni di seguito indicate. 6. Quanto al primo motivo di appello, si ripropongono nella sostanza le stesse argomentazioni del ricorso di primo grado senza tuttavia dimostrare che la legge di gara imponeva l'uso esclusivo di personale con rapporto di lavoro subordinato. Allo stesso modo non si dimostra in che modo una simile formula organizzativa non consentirebbe il raggiungimento degli obiettivi di commessa. Più in particolare: 6.1. Qui di seguito le principali disposizioni di gara che riguardano le modalità di lavoro del fornitore: - Articolo 7.1.2 del Capitolato Tecnico Generale ("Risorse impiegate"): "Il Fornitore dovrà garantire un elevato grado di flessibilità nel rendere disponibili le risorse, nonché nel garantire l'aggiornamento tecnico delle necessarie competenze"; - Articolo 7.2.1 del Capitolato Tecnico Generale ("Responsabile Unico delle Attività Contrattuali" RUAC): "Il RUAC dovrà riferire... su tutte le tematiche contrattuali, quali ad esempio:... -coordinamento fra i gruppi ed i referenti tecnici per garantirne il massimo grado di sinergia e omogeneità d'azione"; - Articolo 7.2.2 del Capitolato Tecnico Generale ("Referenti tecnici per l'erogazione dei servizi"): "I Referenti tecnici... dovranno: - svolgere il coordinamento delle attività e delle risorse impiegate negli specifici servizi"; - Articolo 3 del Capitolato Tecnico Speciale ("Descrizione dei servizi"): "il Fornitore dovrà garantire la totale copertura dei fabbisogni dell'Amministrazione, anche in situazioni di particolare urgenza o complessità, prevedendo la totale flessibilità e puntualità nell'impiego delle risorse professionali per l'esecuzione dei servizi"; - Articolo 4.3 del Capitolato Tecnico Speciale ("Trasferimento know how"): "Il Fornitore dovrà mettere a disposizione un apposito gruppo di lavoro dedicato, con un numero adeguato di risorse professionali, strumenti organizzativi e tecnologici"; - Articolo 5.6 del Capitolato Tecnico Speciale ("Team di Lavoro"): "Il Fornitore per erogare i servizi contrattuali dovrà disporre delle competenze, esperienze e capacità richieste ai profili professionali indicati di seguito, che devono tutte obbligatoriamente fare parte dei Team di Lavoro (o Team Ottimale) di ciascun servizio. I Team di Lavoro sono sotto la responsabilità e l'organizzazione del Fornitore che ha la responsabilità di strutturare i migliori gruppo di lavoro in funzione dell'operatività e dei deliverable richiesti, garantendo la disponibilità dei profili professionali e delle competenze previste". "Il Fornitore sarà libero di organizzare le suddette figure nell'ambito del proprio Team Ottimale in autonomia per soddisfare le richieste progettuali dell'Amministrazione... il Fornitore sarà libero di organizzare le suddette figure nell'ambito del proprio "team ottimale" per singolo servizio"; 6.2. Emerge, dalle disposizioni appena descritte, come il capitolato tecnico operi costante riferimento a "responsabilità " (di risultati e non di mezzi) e "organizzazione" del team di lavoro, attribuendo per tale via ampio risalto al "lavoro di gruppo" che dal canto suo implica, giocoforza, coordinamento e flessibilità (modello organizzativo, questo, compatibile anche con collaboratori esterni e dunque autonomi, come si avrà modo di osservare) e non piuttosto direzione strettamente gerarchica (propria dei soli lavoratori subordinati). In estrema sintesi, gli elementi principali del modello organizzativo descritto dalla legge di gara si basa su alcuni capisaldi tra cui: a) modalità di lavoro basate su team e dunque "gruppi di lavoro"; b) stile direzionale improntato di conseguenza sul coordinamento, piuttosto che sulla direzione verticistica in senso stretto; c) ampia flessibilità se non proprio libertà di organizzazione, da parte del fornitore, nel costruire i suddetti gruppi di lavoro; d) inserimento di lavoratori ad elevata qualificazione professionale (caratteristica questa propria dei lavoratori autonomi); e) libertà più in generale del fornitore, infine, nella scelta del modello organizzativo più efficace per il raggiungimento degli obiettivi che la legge di gara gli impone di realizzare. Il modello proposto dalla SA, in altre parole, non ponendo in essere alcun vincolo organizzativo nell'impiego delle risorse (le disposizioni di capitolato operano espresso riferimento a concetti come libertà di organizzazione e flessibilità nell'impiego delle risorse) non è allora necessariamente di tipo "divisionale" (il quale tollera solo lavoratori subordinati in quanto fortemente direzionale e gerarchico) ma ben può rivelarsi altresì "a matrice" in quanto basato non solo su funzioni ma anche su progetti. Tale modello implica in particolare ampia flessibilità di intervento, decisioni collegiali e dunque risulta compatibile con la presenza di lavoratori sia subordinati, sia autonomi/consulenti. Ciò anche in linea con la libertà di organizzazione imprenditoriale che la legge di gara stessa garantisce al fornitore (cfr. art. 5.6. del CTS cit.) e che trova peraltro un certo riconoscimento nella giurisprudenza di questa stessa sezione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 31 maggio 2021, n. 4150) laddove si afferma che vige in materia il "principio di autonomia dell'imprenditore (che discende dal principio costituzionale della libera iniziativa privata di cui all'art. 41 Cost.), il quale organizza e predispone autonomamente le risorse e i mezzi idonei e necessari ad adempiere alle obbligazioni contrattuali oggetto dell'appalto"); 6.3. Si veda altresì, sul tema specifico, la giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui: "in tema di distinzione tra rapporto di lavoro subordinato ed autonomo, l'organizzazione del lavoro attraverso disposizioni o direttive - ove le stesse non siano assolutamente pregnanti ed assidue, traducendosi in un'attività di direzione costante e cogente atta a privare il lavoratore di qualsiasi autonomia - costituisce una modalità di coordinamento e di eterodirezione propria di qualsiasi organizzazione aziendale e si configura quale semplice potere di sovraordinazione e di coordinamento, di per sè compatibile con altri tipi di rapporto, e non già quale potere direttivo e disciplinare, dovendosi ritenere che quest'ultimo debba manifestarsi con ordini specifici, reiterati ed intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa e non in mere direttive di carattere generale, mentre, a sua volta, la potestà organizzativa deve concretizzarsi in un effettivo inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale e non in un mero coordinamento della sua attività . Cass. lav. n. 1717 del 23/01/2009" (così : Cass. Civile, sez. lav., 24 luglio 2020, n. 15922). Ed ancora: "quanto allo schema normativo di cui all'art. 2094 c.c., si è precisato che costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato (v. Cass., 27.2.2007 n. 4500)" (Cass. Civile, sez. VI, 26 maggio 2021, n. 14530). Infine: "l'elemento essenziale di differenziazione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato consiste nel vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, da ricercare in base ad un accertamento esclusivamente compiuto sulle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. In particolare, mentre la subordinazione implica l'inserimento del lavoratore nella organizzazione imprenditoriale del datore di lavoro mediante la messa a disposizione, in suo favore, delle proprie energie lavorative (operae) ed il contestuale assoggettamento al potere direttivo di costui, nel lavoro autonomo l'oggetto della prestazione è costituito dal risultato dell'attività (opus)" (Cass. Civile, sez. lav., 26 giugno 2020, n. 12871); 6.4. Sintetizzando il punto che precede: mentre il lavoro subordinato si caratterizza per la soggezione del dipendente alla "direzione costante e cogente" del datore di lavoro, il quale si esprime a sua volta attraverso "ordini" (oggetto della prestazione sono dunque le "energie lavorative" del dipendente), nel lavoro autonomo lo stile direzionale è quello più flessibile del "coordinamento" che si esprime attraverso "direttive" di carattere generale (in siffatto contesto, oggetto della prestazione è dato più propriamente dal "risultato" che scaturisce dalla prestazione lavorativa stessa). 6.5. Trasponendo tali coordinate al modello organizzativo descritto nella legge di gara di cui in questa sede si controverte (si vedano le considerazioni di cui al punto 6.2.), deve allora concludersi che è agevole assistere, nel caso di specie, ad un modello organizzativo per lo più basato su coordinamento e dunque su "direttive" impartite ai propri collaboratori (che dunque possono essere sia dipendenti, sia lavoratori autonomi) e non soltanto su direzione costante e cogente espressa mediante "ordini" (non traspare giammai, in altre parole, quel "vincolo di soggezione" che è tipico del lavoro subordinato). Il modello delineato dalla legge di gara, in altri termini, è compatibile con la assegnazione di specifici obiettivi - piuttosto che rigide mansioni - ai singoli componenti del gruppo di lavoro. Obiettivi che i medesimi potranno raggiungere con un certo grado di autonomia funzionale data anche l'elevata qualificazione professionale da loro posseduta. Di qui la compatibilità, altresì, con la figura di lavoratori non solo subordinati ma anche autonomi. 6.6. Unico passaggio della legge di gara evidenziato dalla difesa di parte appellante - e in base al quale vi sarebbe una certa indicazione di impiegare soltanto lavoratori subordinati - sarebbe quello in cui si afferma che: "Il Team di Lavoro è sotto la responsabilità e l'organizzazione del fornitore" (cfr. punto 3.2.2. del Capitolato tecnico speciale). Trattasi tuttavia, ad avviso del collegio, di affermazione inidonea a suffragare una simile restrittiva lettura (solo lavoratori subordinati e non anche autonomi), e tanto sulla base della già accennata considerazione secondo cui: allorché si parli di "responsabilità " ci si deve riferire non tanto ad una responsabilità "di mezzi" quanto, piuttosto, "di risultato" (dunque occorre avere presenti gli "esiti concreti" dell'attività svolta e non le singole "energie lavorative" per conseguirli); allorché si tratti di "organizzazione" il riferimento può essere a diverse opzioni che, secondo la scienza aziendalistica, possono variare come visto da modelli "funzionali" e "divisionali" (i quali presuppongono stili direzionali di natura gerarchica e verticistica) a modelli "a matrice" oppure "a rete" che privilegiano stili direzionali e decisionali più collegiali e dunque di natura orizzontale. Modelli questi ultimi improntati sulla tecnica direzionale del (più flessibile) coordinamento organizzativo che, per le ragioni sopra esposte al punto 6.2., risulta senz'altro più aderente alle condizioni ed alle modalità lavorative impresse dalla legge di gara. In altre termini: "responsabilità " e "organizzazione" richiesti per la conduzione del gruppo di lavoro non implicano necessariamente "direzione costante e cogente" ma, piuttosto, un più flessibile ed ampio potere di "coordinamento" (seguendo la ridetta impostazione della Corte di cassazione) che pertanto ben può esprimersi attraverso "direttive" e non necessariamente mediante "ordini" (che implicano vincoli di soggezione e dunque solo lavoro subordinato). Del resto, la stessa invocata disposizione del capitolato (art. 5.6.) prevede altresì che da responsabilità e organizzazione del fornitore discenda altresì la piena facoltà, in capo a quest'ultimo, di scegliere "i migliori gruppi di lavoro in funzione dell'operatività e dei deliverable (risultati) richiesti"; 6.7. Da quanto sinora detto consegue la piena possibilità, da parte delle imprese concorrenti, di prevedere nei propri asset organizzativi sia lavoratori subordinati, sia lavoratori autonomi entro certi limiti qui comunque osservati, dal momento che queste ultime figure corrispondono a meno della metà della forza lavoro complessivamente impiegata; 6.8. Alla luce delle considerazioni appena esposte, il primo motivo di appello deve dunque essere rigettato con conseguente conferma, sul punto, delle condivisibili statuizioni del giudice di primo grado. 7. Con il motivo sub 3.2. si lamenta che, a ben vedere, le risorse impiegate nella commessa da parte di De. - o per lo meno quel 44% di cui si controverte in questa sede - sarebbero solo formalmente lavoratori autonomi ma, nella sostanza, lavoratori subordinati a tutti gli effetti. Viene dedotta al riguardo la presenza di alcuni indici sintomatici tra cui orario di lavoro predeterminato, continuità del servizio e luogo di esecuzione. Osserva al riguardo il collegio che: 7.1. Trattasi di valutazioni che attengono alla fase esecutiva della commessa e che dunque possono essere operate soltanto ex post (tra l'altro ad opera di altro plesso giurisdizionale (AGO)) ossia sulla base delle concrete modalità e condizioni di lavoro e non ex ante sulla sola base di presunzioni astrattamente ricavabili da documenti di gara concernenti il mero assetto organizzativo dell'impresa concorrente. In questa sede ci si può occupare, in altri termini, soltanto dell'an ossia sul "se" tali lavoratori autonomi possano astrattamente essere utilizzabili nella commessa in questione e non anche del quomodo ossia se gli stessi soggetti siano anche concretamente utilizzati come tali. Una simile prognosi, in tale fase, non è in altri termini effettuabile; 7.2. Ad ogni modo, pur volendo ammettere simili presunzioni trattasi pur sempre di indici non dirimenti né decisivi, onde poter configurare la presenza di un effettivo rapporto di subordinazione, e ciò sulla base di un certo orientamento giurisprudenziale secondo cui: "caratteri dell'attività lavorativa... come la continuità, la rispondenza dei suoi contenuti ai fini propri dell'impresa e le modalità di erogazione della retribuzione non assumono rilievo determinante, essendo compatibili sia con il rapporto di lavoro subordinato, sia con quelli di lavoro autonomo parasubordinato. Conforme, tra l'altro, Cass. n. 224 del 2001" (così Cass. Civile, sez. lav., 24 luglio 2020, n. 15922, cit.). 7.3. Alla luce delle suddette considerazioni, anche tale motivo deve pertanto essere rigettato. 8. Con il motivo sub 3.3. si deduce che l'offerta economica di De. sarebbe inconsistente con particolare riguardo al costo medio giornaliero (130 euro per professionista 1 e 150 euro per professionista 2). La censura si rivela tuttavia generica e dunque inammissibile in quanto un simile importo non ha formato oggetto di più specifica contestazione (piuttosto, come si avrà modo più avanti di osservare al punto 10, la stessa voce di costo è stata poi del tutto ricalibrata dalla difesa di parte appellante sulla base di proprie soggettive valutazioni). La stessa difesa di parte appellante si è infatti limitata ad affermare che: "La quantificazione di tali costi... risulta del tutto generica". Di qui il suo integrale rigetto. 9. Con il motivo sub 3.4. si lamenta che la stazione appaltante non avrebbe compiuto alcuna istruttoria né avrebbe espresso una articolata motivazione con riferimento ai giustificativi presentati da De. in merito alla sostenibilità dei costi del lavoro. Osserva al riguardo il collegio che, per giurisprudenza costante: "nelle gare pubbliche, ove l'Amministrazione consideri congrua l'offerta sulla base delle spiegazioni fornite dal concorrente in sede di verifica dell'anomalia, la sua valutazione deve ritenersi sufficientemente motivata con richiamo "per relationem" ai chiarimenti ricevuti, tanto più che la verifica delle offerte anomale non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, mirando invece ad accertare se l'offerta nel suo complesso sia attendibile e, dunque, se dia o non serio affidamento circa la corretta esecuzione" (così, testualmente, Cons. St., V, n. 4450/11 cit.). "Il giudizio di anomalia dell'offerta richiede una motivazione rigorosa ed analitica solo ove si concluda in senso negativo mentre, in caso positivo, non occorre che la relativa determinazione sia fondata su un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute attendibili, essendo sufficiente anche una motivazione espressa "per relationem" alle giustificazioni rese dall'impresa vincitrice, sempre che queste, a loro volta, siano state congrue ed adeguate" (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 2014, n. 6154). Dalle suddette considerazioni discende il rigetto altresì della specifica censura. 10. Con il motivo sub 3.5. si deduce che non si sarebbe tenuto conto della insostenibilità dell'offerta economica, sempre sul piano del costo del lavoro, sulla base delle stime elaborate dalla stessa NTT (odierna appellante). Rammenta al riguardo il Collegio che sul giudizio di anomalia la giurisprudenza consolidata, per quanto di interesse in questa sede, ha in particolare affermato che nelle gare pubbliche un simile giudizio circa l'incongruità dell'offerta costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile dal giudice amministrativo solo in caso di macroscopica illogicità o di palese erroneità (ex multis, Cons. Stato, III, 6 febbraio 2017, n. 514; Cons. Stato, V, 17 novembre 2016, n. 4755): di qui l'impossibilità di censurare la mera non condivisibilità del giudizio, dovendosi piuttosto dimostrare la sua palese inattendibilità nonché l'evidente insostenibilità dell'offerta e delle relative giustificazioni. Con la conseguenza che, ove non emergano evidenti travisamenti o irrazionalità ma solo margini di fisiologica opinabilità della valutazione tecnico-discrezionale operata dalla Pubblica amministrazione, il giudice amministrativo non potrebbe in alcun caso sovrapporre la propria valutazione a quella del competente organo della stazione appaltante, né potrebbe parimenti procedere ad una autonoma verifica di congruità dell'offerta medesima e delle sue singole voci (cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 novembre 2018, n. 6689). Tanto doverosamente premesso, le stime di costo ricalibrate dalla società appellante si riducono ad una mera sovrapposizione di calcoli già effettuati e valutati come congrui in sede di gara. Dunque nessuna dimostrazione di manifesta inattendibilità delle stime effettuate, si ravvisa, ma soltanto mera opinabilità delle valutazioni già effettuate dalla stazione appaltante. Valutazioni queste che, come già anticipato, sono rimesse in discussione dalla difesa di parte appellante (cfr. modelli e tabelle alle pagg. 33-37 atto di appello) attraverso una propria operazione di riparametrazione e rielaborazione dei costi (dunque sovrapposta a quella stimata come congrua dalla SA) che, ove accettata da questo giudice di appello, determinerebbe conseguentemente una inammissibile sostituzione nei confronti dell'amministrazione stessa. Il tutto riproponendo sic et simpliciter, tra l'altro, il modello dei lavoratori subordinati e dunque senza depurare - come correttamente posto in evidenza dal giudice di primo grado - alcuni importanti costi che non sarebbero altrimenti sopportati attraverso l'impiego di lavoratori autonomi (contributi INPS, TFR, indennità di contingenza). In ultimo si osserva che, se è ben vero che questo giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. III, 25 marzo 2019, n. 1979) ha ritenuto legittimo, in caso di valutazione di congruità delle prestazioni professionali di lavoratori autonomi, il ricorso ai parametri retributivi (comunque non vincolanti) dei lavoratori subordinati che svolgono analoghe mansioni, è anche vero che tale decisione si riferiva al diverso caso in cui l'appellante contestava (e non pretendeva, come nel caso di specie) l'utilizzo di tale metodo da parte della stazione appaltante (la quale, giova rammentare, esercita al riguardo un potere tecnico-discrezionale, laddove il ricorrente non potrebbe giammai far valere tale identico metodo onde riparametrare certi costi in via del tutto alternativa e sostitutiva rispetto alle valutazioni al riguardo già svolte dalla stessa SA). Nei termini suddetti anche tale censura deve dunque essere rigettata 11. Con la censura sub 3.6. si lamenta che vi sarebbe stato un certo scostamento dalle tabelle ministeriali con particolare riguardo al TFR. Rammenta al riguardo il collegio che, per giurisprudenza costante, in sede di valutazione della non anomalia dell'offerta i valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali costituiscono un semplice parametro di valutazione della congruità dell'offerta: per tali ragioni, l'eventuale scostamento delle voci di costo da quelle riassunte nelle tabelle ministeriali non legittima un giudizio di anomalia o di incongruità in quanto occorre, affinché possa dubitarsi della congruità, che la discordanza sia considerevole e palesemente ingiustificata (cfr., ex multis: Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 2022, n. 10071; Cons. Stato, sez. V, 6 settembre 2022, n. 7762). Ebbene, alla luce di quanto appena rammentato la difesa di parte appellante non allega elementi tali da poter ipotizzare che la suddetta discordanza possa essere ritenuta considerevole o palesemente ingiustificata, e ciò dal momento che la stessa si limita in proposito a rilevare che: "il RTI... ha palesemente sottostimato tale voce di costo". Ed ancora che: "emergono delle differenze rispetto alle tabelle ministeriali di riferimento" (pag. 39 atto di appello). Inoltre che: "il valore della rivalutazione del TFR è stato calcolato con una percentuale ben inferiore al minimo di legge" (pag. 40 atto di appello), senza tuttavia quantificare l'entità di tale denunziato scostamento. Infine, anche in via pressoché meramente sostitutiva, che: "Dalle tabelle che precedono si evince che il RTI ha sottostimato, per ciascuna categoria di risorse professionali, di ciascuna delle aziende del raggruppamento coinvolte, i reali costi che dette aziende avrebbero dovuto sostenere" (pag. 42 atto di appello). Dalle suddette considerazioni emerge dunque che anche tale motivo deve giocoforza essere rigettato. 12. Con il motivo sub 3.7. si deduce che i costi di trasferta stimati da De. non avrebbero tenuto conto del fatto che le prestazioni del fornitore dovrebbero svolgersi primariamente in situ, ossia "in presenza" presso le singole amministrazioni. Osserva al riguardo il collegio che: 12.1. Ai sensi del punto 3 del Capitolato tecnico generale: "le prestazioni contrattuali dovranno essere svolte come di seguito indicato: - per i servizi erogati da remoto: presso i Centri Servizi del Fornitore; - per i servizi on-site: presso le sedi dell'Amministrazione ove specificato dall'Amministrazione stessa; in alternativa presso la Sede del Fornitore". Inoltre, ai sensi dell'art. 3 del Capitolato tecnico speciale si prevede che: "La modalità di esecuzione dei servizi di "Compliance e controllo" è di tipo "on-site": ovvero primariamente presso le sedi dall'Amministrazione, ove dalla stessa indicate; in alternativa presso la sede del Fornitore"; 12.2. Non vengono utilizzate, con riguardo al servizio prestato presso la sede del fornitore, espressioni come "in via secondaria" oppure "in via subordinata" ma la diversa formula "in alternativa" che, anche ai sensi dell'art. 1285 c.c., lascia presumere che ci si trovi dinanzi a modalità di adempimento dell'obbligazione per l'appunto "alternative" la cui scelta, di conseguenza, spetta a colui che deve effettuare la prestazione stessa (ossia l'appaltatore); 12.3. Nei sensi sopra indicati l'espressione "primariamente", quanto alle modalità di lavoro "in presenza", va allora letta come "preferibilmente" o comunque "in linea tendenziale", salvo una diversa scelta effettuata dall'appaltatore circa la possibilità di effettuare interventi "da remoto" e dunque direttamente dalla sede del fornitore stesso; 12.4. Del resto, una simile opzione interpretativa risulta pienamente ed anche evolutivamente coerente con esigenze non solo di emergenza sanitaria (limitazione al minimo dei contatti personali per via del COVID) ma anche di carattere ambientale (limitazione degli spostamenti per ragioni di inquinamento atmosferico) ed economico (legate al costo dei carburanti e dei mezzi di trasporto): insomma tutte necessità che inducono a promuovere in ogni contesto, ivi ricompreso il settore delle pubbliche commesse, lo strumento del "lavoro da remoto"; 12.5. Per tutte le ragioni sopra evidenziate, anche tale motivo deve pertanto essere rigettato. 13. Con il motivo indicato sub 3.8. si lamenta poi che gli stessi costi di trasferta sarebbero in ogni caso fortemente inattendibili (costo medio giornaliero pari ad euro 50,00). Osserva al riguardo il collegio che la difesa di De., sin dai giustificativi resi in sede di giudizio di congruità, aveva indicato una serie di fattori idonei a configurare economie di scala utili, in quanto tali, a contribuire ad un forte abbattimento di simili costi di trasferta. Tra queste voci: presenza di numerosi uffici locali, in capo al concorrente RTI, idonei a garantire adeguata copertura logistica su tutto il territorio nazionale (di qui il venir meno della necessità di ricorrere alla trasferta); utilizzo importante di "lavoro da remoto" (smart working, video conferenze, etc.); utilizzo di auto aziendali; convenzioni con strutture alberghiere; collaborazioni con professionisti ad elevata qualificazione (per l'appunto: lavoratori autonomi) dislocati nelle varie regioni italiane che sono così in grado di coprire l'intero territorio nazionale. Ebbene in merito a tali considerazioni (fatte proprie dalla stazione appaltante ma anche dal giudice di primo grado) la difesa di parte appellante non ha mosso specifiche contestazioni in termini di manifesta incongruità oppure di evidente erroneità in fatto. Ciò risulta piuttosto evidente nella parte in cui la stessa: a) si limita ad affermare genericamente che: "risulta evidente che i costi prospettati dal RTI per garantire la corretta esecuzione del servizio sono così bassi rispetto al loro reale ammontare da mettere in dubbio la serietà dell'offerta" (pag. 46 atto di appello); b) propone una propria stima alternativa di tali costi - in quanto tale inammissibile per le stesse ragioni evidenziate al punto 10 della presente decisione - laddove si afferma in via del tutto sovrapponibile rispetto alle valutazioni della SA che: "Calcolando il 30% del numero di giornate lavorative complessive stimate, risulta che i giorni di trasferta saranno pari ad almeno 115.075 che, moltiplicati per il costo giornaliero di trasferta stimato dal RTI in Euro 50,00, determina un aggravio di costi pari a Euro 5.527.271" (pag. 47 atto di appello). Da quanto sopra detto consegue l'infondatezza, altresì, della specifica censura ed il suo conseguente rigetto. 14. Con il motivo sub 3.9. viene dedotto che non si sarebbe tenuto conto dei "buoni pasto" da corrispondere ai lavoratori solo formalmente autonomi ma sostanzialmente subordinati. Osserva il collegio come la censura sia strettamente collegata a quella già affrontata al punto 7. Pertanto, poiché in quell'occasione si è negata la possibilità di riconoscere in questa sede la qualità effettiva di lavoratori subordinati in capo ai suddetti "collaboratori esterni" di De., va conseguentemente rigettata anche tale specifica censura. 15. Con ultima censura si lamenta che la stazione appaltante non avrebbe compiuto una esauriente istruttoria, né avrebbe formulato una adeguata motivazione in merito alla durata dei contratti esecutivi ipotizzata da De.. Osserva il collegio che, in sede di giustificativi, De. ha fornito ampie delucidazioni circa il fatto che, pur nell'arco complessivo del periodo di attivazione dell'accordo quadro (6 anni), la durata media dei singoli contratti esecutivi sarebbe pari a due anni. Ebbene tali precisazioni sono state evidentemente fatte proprie dalla stazione appaltante mediante motivazione per relationem, come tale non necessitante di più specifiche argomentazioni sulla base delle conclusioni di cui al punto 9 della presente decisione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 2014, n. 6154, cit.). A ciò si aggiunga che, pur a fronte di tali delucidazioni da parte di De., la difesa di parte appellante si è limitata ad affermare alquanto genericamente e dubitativamente che: "il RTI... non ha mai chiarito cosa debba intendersi per contratti di "grande" e "media" dimensione, che rimangono concetti astratti e privi di qualsivoglia significato. Allo stesso modo non è dato comprendere i criteri sottesi all'attribuzione dei relativi pesi specifici" (pag. 25 e 26 memoria NTT in data 15 novembre 2022). Anche tale motivo deve pertanto essere rigettato. 16. In conclusione l'appello è infondato e deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza di primo grado. Le spese di lite possono in ogni caso essere integralmente compensate tra tutte le parti costituite stante la peculiarità delle esaminate questioni. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Angela Rotondano - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Elena Quadri - Consigliere Massimo Santini - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6278 del 2022, proposto da In. s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. An., Ma. Or., An. Ru. e An. Fa., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia, con domicilio eletto presso lo studio AO. Avvocati in Roma, via (...); contro Am. Tr. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fr. Ca., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia, con domicilio eletto presso la segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza (...); nei confronti di Si. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvvocato Se. Ga., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sezione prima, n. 892 del 16 giugno 2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Am. Tr. s.p.a. e di Si. s.r.l.; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2022 il consigliere Claudio Tucciarelli, uditi per le parti gli avvocati Fr. Ca. e Fr. Br. su delega di Se. Ga. e vista l'istanza di passaggio in decisione depositata dagli avvocati An. An., An. Ru., An. Fa. e Ma. Or.. FATTO e DIRITTO 1. Con bando del 31 maggio 2021, Am. Tr. s.p.a. ha indetto una procedura di gara aperta telematica sul portale Em., avente ad oggetto l'affidamento della fornitura di un "Sistema informativo per la gestione del servizio di raccolta domiciliare dei rifiuti solidi urbani, gestito da AM. S.p.a., nella Città di (omissis)". Il valore complessivo della gara era pari a Euro 195.000, il criterio di aggiudicazione prescelto dalla stazione appaltante era quello dell'offerta più vantaggiosa, con l'attribuzione di 80 punti massimi all'offerta tecnica e 20 punti massimi all'offerta economica. In particolare, il disciplinare di gara ha previsto quali requisiti di capacità economica e finanziaria: a) un fatturato globale medio annuo riferito agli ultimi tre esercizi finanziari disponibili, non inferiore ad euro 200.000,00, Iva esclusa; b) un fatturato specifico medio annuo per forniture e servizi analoghi a quelli oggetto dell'appalto riferito agli ultimi tre esercizi finanziari disponibili, non inferiore alla metà dell'importo a base d'asta, Iva esclusa. Quali requisiti di capacità tecnica e professionale, il bando ha previsto: "aver realizzato e collaudato nell'ultimo triennio almeno una fornitura con attivazione di un sistema informativo (hardware + software) ana, utilizzato in un comune con popolazione non inferiore a 50.000 abitanti gestito con modalità di raccolta domiciliare porta a porta (in alternativa due forniture per comuni che complessivamente sommano almeno 50.000 abitanti)". Inoltre, il capitolato speciale d'appalto, all'art. 5 concernente "Caratteristiche minime previste", ha precisato che "il sistema deve garantire elevati standard tecnici in materia di protezione dei dati comprovati da idonee certificazioni quali, a mero titolo esemplificativo, ISO 15408 e ISO 27000 (il fornitore dovrà essere in possesso della certificazione o dovrà produrre la documentazione a garanzia di futura prossima certificazione)". Nel termine del 16 giugno 2021, hanno presentato la propria offerta la ricorrente In. - Consorzio per l'I. e la Te. s.r.l. e Si. s.r.l. Dopo l'ammissione alla gara in data 5 ottobre 2021, la Commissione, nominata nel frattempo, ha proceduto all'apertura delle Buste B e ha disposto per il prosieguo. Con specifico riferimento alla busta B presentata da Si. s.r.l., la Commissione ha rilevato che "contiene i documenti richiesti dall'art. 14 del disciplinare di gara, e cioè la "Relazione Tecnica dei servizi offerti costituita da 46 facciate formato A4 oltre a ulteriori 5 facciate A4 costituite da dichiarazione di avvalimento e dichiarazione di diniego per l'accesso. La documentazione contenuta nella busta B risulta quindi conforme a quanto previsto dal Disciplinare di Gara e pertanto l'offerta della Ditta Si. s.r.l. viene ammessa al prosieguo della gara". Quindi, la Commissione ha proceduto alla valutazione delle offerte tecniche e delle offerte economiche e ha stilato la graduatoria finale in cui Si. è risultata collocata al primo posto e In. S.r.l. al secondo. Con verbale del 19 novembre 2021, il Responsabile Unico del Procedimento ha aggiudicato l'appalto alla Si. S.r.l. in via definitiva. Dopo l'accesso agli atti da parte di In., in data 17 dicembre 2021, sarebbe emerso che l'oggetto del contratto di avvalimento è costituito dal prestito da parte della società Ma. S.p.a. di una caratteristica minima dell'offerta tecnica: la certificazione ISO 27001, come richiesta dall'art. 5 del capitolato. 2. In. ha quindi proposto ricorso al T.a.r. per la Puglia, al fine di ottenere: a) l'annullamento a1) del verbale prot. 7249 del 19.11.2021, trasmesso via pec, recante l'aggiudicazione definitiva della gara indetta da AM. (omissis) avente ad oggetto l'affidamento della fornitura di un "Sistema informativo per la gestione del servizio di raccolta domiciliare dei rifiuti solidi urbani, gestito da AM. S.p.a., nella Città di (omissis)" in favore di Si. S.r.l.; a2) del verbale del 5 ottobre 2021 con cui la Commissione di gara, dopo aver proceduto all'apertura delle buste B, con specifico riferimento alla busta B presentata da Si. ha rilevato che "contiene i documenti richiesti dall'art. 14 del Disciplina di gara, e cioè la "Relazione Tecnica dei servizi offerti costituita da 46 facciate formato A4 oltre a ulteriori 5 facciate A4 costituite da dichiarazione di avvalimento e dichiarazione di diniego per l'accesso. La documentazione contenuta nella busta B risulta quindi conforme a quanto previsto dal Disciplinare di Gara e pertanto l'offerta della Ditta Si. s.r.l. viene ammessa al prosieguo della gara"; a3) del verbale con cui la Commissione ha proceduto alla valutazione delle offerte tecniche; a4) del verbale con cui la Commissione ha proceduto alla valutazione delle offerte economiche, provvedendo alla formulazione della graduatoria finale in cui Si. risulta collocata al primo posto; a5) del verbale di apertura delle buste amministrative; a6) per quanto occorrer possa, in parte qua del bando, del disciplinare e del capitolato; b) la declaratoria di inefficacia del contratto, se stipulato; c) la condanna al risarcimento dei danni; 3. Il ricorso al T.a.r. era affidato a tre gruppi di motivi. 3.1. Violazione e falsa applicazione dell'art 63 della Direttiva 2014/24 e art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016; disparità di trattamento; difetto e carenza di istruttoria e motivazione; contraddittorietà ; illogicità ed irragionevolezza; sviamento; violazione della par condicio competitorum; irragionevolezza manifesta. L'aggiudicataria avrebbe fatto un uso improprio dell'avvalimento, per colmare non la carenza di un requisito di partecipazione alla gara, ma una condizione minima di partecipazione prevista dall'art. 5 del capitolato tecnico con riferimento all'offerta tecnica, quale sarebbe la certificazione ISO 27001, relativa alla gestione della sicurezza delle informazioni. L'art. 89 consentirebbe il ricorso all'avvalimento dei requisiti economico finanziari, tecnici e professionali solo nell'ipotesi in cui il concorrente ne sia privo e ne abbia bisogno per partecipare alla gara. Inoltre, il medesimo istituto non sarebbe ammesso nel caso in cui il concorrente vi faccia ricorso per conseguire un punteggio maggiore o per integrare la mancanza di caratteristiche tecniche indicate dalla stazione appaltante come minime. L'avvalimento non potrebbe avere ad oggetto elementi diversi dai requisiti richiesti dal bando per l'ammissione alla gara. L'art. 89 del d.lgs. n. 50/2016 prevede che "L'operatore economico, singolo o in raggruppamento di cui all'articolo 45, per un determinato appalto, può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale di cui all'articolo 83, comma 1, lettere b) e c), necessari per partecipare ad una procedura di gara, e, in ogni caso, con esclusione dei requisiti di cui all'articolo 80, avvalendosi delle capacità di altri soggetti, anche partecipanti al raggruppamento, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi". L'avvalimento servirebbe solo a consentire la partecipazione alla gara, non anche a migliorare le condizioni di tale partecipazione, garantendo il rispetto delle prescrizioni minime per l'esecuzione o accrescendo il proprio punteggio tecnico. In base alla giurisprudenza, l'avvalimento sarebbe utilizzabile solo per rimediare alla carenza di requisiti di partecipazione, ma non per sopperire alla mancanza di caratteristiche minime dell'offerta tecnica. 3.2. Violazione e falsa applicazione della Direttiva n. 24/2014 e dell'art. 89 del D. lgs. n. 50 del 2016; nullità del contratto di avvalimento, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1418 c.c., 1325 c.c., 89 d.lgs. n. 50/2016 e 88 d.P. R. n. 207/2010, disparità di trattamento, difetto e carenza di istruttoria e motivazione; contraddittorietà ; illogicità e irragionevolezza; sviamento; violazione della par condicio competitorum; irragionevolezza manifesta. Secondo un recente orientamento del Consiglio di Stato, il contratto di avvalimento prodotto in sede di gara dall'aggiudicataria dovrebbe essere considerato nullo, in quanto la determinazione del suo oggetto non consentirebbe di soddisfare la richiesta del capitolato di gara. Poiché il contratto di avvalimento avrebbe dovuto consentire all'aggiudicataria di avvalersi della certificazione di qualità ISO 27001 messale a disposizione dalla ausiliaria, esso avrebbe dovuto indicare tutte le risorse necessarie ad ottenere il rilascio dall'organismo indipendente della predetta certificazione di qualità . Nello specifico, lo schema ISO 27001 prevede uno standard per la gestione della sicurezza delle informazioni in tutti gli ambiti interessati per prevenire i rischi derivanti da attacchi dall'esterno o dall'interno, informatici e non informatici, da errori o dal mancato rispetto della normativa vigente pertinente. L'ausiliaria, invece, avrebbe messo a disposizione risorse che non integrerebbero alcuno degli elementi, materiali o immateriali, tipizzati a fondamento della certificazione ISO 27001 (né struttura organizzativo-gestionale, né procedure operative aziendali né altro). La stazione appaltante, quindi, avrebbe dovuto procedere all'esclusione dell'aggiudicataria. 3.3. Violazione dell'art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016; violazione dell'art. 97 della Costituzione; disparità di trattamento; difetto di istruttoria e motivazione; sviamento; violazione della par condicio competitorum; irragionevolezza manifesta. 4. In subordine, la ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'intera procedura di gara in quanto l'oscurità della lex specialis avrebbe prodotto un effetto distorsivo sui principi di concorrenza e parità di trattamento. L'inserimento della certificazione ISO27001 nell'art. 5 del capitolato avrebbe indotto gli operatori economici a ritenere che la certificazione medesima costituisse un elemento minimo ed inderogabile dell'offerta tecnica, in quanto tale non suscettibile di avvalimento (istituto riservato a garantire il prestito dei requisiti di ammissione alla gara di cui all'art. 83 d.lgs. n. 50/2016). Gli operatori economici privi della certificazione ISO non avrebbero partecipato alla gara, nella convinzione di non potere ricorrere all'istituto dell'avvalimento per sopperire alla mancanza della caratteristica minima. La oscurità della legge di gara avrebbe indotto in confusione gli operatori economici, alterando la regolare partecipazione alla gara e incidendo sul confronto concorrenziale. 5. Am. Tr. s.p.a. e la società controinteressata, Si. s.r.l., si sono costituiti in giudizio per resistere al ricorso. 6. La sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sezione prima, n. 892 del 16 giugno 2022: - ha rigettato il primo motivo, ritenendo che la certificazione di qualità non coincida con un requisito di idoneità professionale ma sia ascrivibile ai requisiti di partecipazione indicati dall'art. 83, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 50/2016, e quindi che essa possa essere oggetto di avvalimento ex art. 89, comma 1, del medesimo d.lgs.; il fatto che AM. s.p.a. abbia chiesto il possesso della certificazione di qualità con il capitolato tecnico e nell'ambito delle caratteristiche minime richieste, invece che nel disciplinare di gara e nell'elencazione dei requisiti di partecipazione, non assume rilievo dirimente, né rileva la circostanza che l'aggiudicataria abbia inserito la documentazione relativa all'avvalimento nella busta relativa all'offerta economica, invece che nella busta contenente la documentazione amministrativa. Inoltre, l'art. 5 del capitolato non imponeva alcun specifico sistema di certificazione, in quanto le certificazioni ISO 15408 e ISO 27000 erano indicate a mero titolo esemplificativo né era richiesto il possesso immediato della certificazione di qualità ; - ha rigettato il secondo motivo, ritenendo che vada esclusa la nullità del contratto di avvalimento, in quanto solo i requisiti tecnici richiedono una puntuale specificazione delle risorse messe a disposizione, mentre tale obbligo va escluso in relazione alla certificazione di qualità che costituisce un bene immateriale per il quale non è rilevante la specificazione puntuale delle risorse messe a disposizione della società ausiliata; inoltre, ha sottolineato che, ai fini della determinazione del contenuto necessario per il contratto di avvalimento nelle gare di appalto, occorre tenere conto anche della natura e dell'oggetto del servizio richiesto; - ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse e comunque infondato il terzo motivo; - ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio (2.000 euro). 7. In. ha proposto appello, provvisto di domanda cautelare. 7.1. I motivi dell'appello sono i seguenti. 7.1.1. La sentenza del T.a.r. Puglia sarebbe erronea nel punto in cui ha ritenuto che la certificazione relativa alla protezione e alla sicurezza dei dati, richiesta dall'art. 5 del Capitolato di gara quale caratteristica minima di esecuzione, potesse essere, viceversa, oggetto di avvalimento, nonostante la tipologia del servizio richiesto e l'espressa, diversa indicazione nel capitolato di gara. Sarebbe inoltre contraddittoria la sentenza impugnata nel punto in cui, dopo avere sostenuto che la certificazione ISO 27001 debba essere intesa come requisito di partecipazione, osserva di converso che "il capitolato non richiedeva nemmeno il possesso immediato della certificazione di qualità ": in realtà, o la certificazione di cui si tratta era un requisito di partecipazione e, dunque, avrebbe potuto essere oggetto di avvalimento e il relativo possesso avrebbe dovuto essere verificato in sede di ammissione dei concorrenti; oppure si tratta di una prescrizione relativa alle stesse caratteristiche dell'offerta tecnica del concorrente, il quale avrebbe dovuto "dimostrare che il sistema fornito garantisse elevati standard tecnici in materia di protezione dei dati", senza la possibilità di ricorrere all'avvalimento. Inoltre, la prescritta condizione minima di esecuzione sarebbe relativa al sistema e, di conseguenza, al prodotto da fornire. La certificazione - come confermato dal suo inserimento nel capitolato tecnico - avrebbe costituito requisito minimo, al fine di garantire elevati standard tecnici per la protezione dei dati, e non requisito tecnico. A ulteriore dimostrazione, Si. aveva inserito la dichiarazione di avvalimento nella busta dell'offerta tecnica e non in quella relativa alla documentazione amministrativa. Solo i requisiti di partecipazione - e non i requisiti minimi - possono essere oggetto di avvalimento. 7.1.2. E' criticata, in subordine al primo motivo, la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la nullità del contratto di avvalimento e ritenuto che solo i requisiti configurabili come beni materiali impongano una specificazione delle risorse, mentre tale obbligo va escluso in relazione alla certificazione di qualità che costituisce un bene immateriale. L'ausiliaria avrebbe messo a disposizione risorse (una stampante e un impiegato) che non integrano alcuno degli elementi posti a fondamento della certificazione ISO 27001 e non sarebbero in grado di assicurare la sicurezza della protezione dei dati, richiesta dalla stazione appaltante. 7.1.3. E' contestata, in via ulteriormente subordinata, l'inammissibilità della terza censura, mentre il T.a.r. avrebbe dovuto considerare l'interesse strumentale alla riedizione della procedura di selezione del contraente. 8. Si sono costituite nel giudizio di appello la controinteressata Si. s.r.l. e Am. Tr. s.p.a. 9. Con ordinanza n. 4201 del 30 agosto 2022, la Sezione ha preso atto della rinuncia all'istanza cautelare da parte dell'appellante e ha compensato le spese della fase cautelare. 10. All'udienza pubblica del 20 ottobre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione. 11. Il Collegio rileva innanzitutto che il primo motivo dell'appello è infondato. Infatti, è da condividere la tesi secondo cui è legittimo l'avvalimento da parte dell'aggiudicataria per la certificazione di qualità (Cons. Stato, sez. III, n. 4418 del 2019; sez. III, n. 3517 del 2015). "Giurisprudenza prevalente, dopo alcuni contrari avvisi, ne ammette oramai pacificamente l'ammissibilità (ex multis, Cons. Stato, Ad. plen. 4 novembre 2016, n. 23; V, 27 luglio 2017, n. 3710; 17 maggio 2018, n. 2953; III, 8 ottobre 2018, n. 5765; V, 10 settembre 2018, n. 5287; 20 novembre 2018, n. 6551; 18 marzo 2019, n. 1730), in particolare rilevando, come di recente, che "I certificati rilasciati da organismi indipendenti di cui all'art. 87 del Codice dei contratti pubblici sono pur sempre attinenti a capacità tecniche e professionali dell'impresa, così come definite dall'art. 58, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/UE ("requisiti per garantire che gli operatori economici possiedono le risorse umane e tecniche e l'esperienza necessarie per eseguire l'appalto con adeguato standard di qualità "), di modo che, ai sensi del successivo art. 63, ben possono essere oggetto di avvalimento" (Cons. Stato, V, 13 settembre 2021, n. 6271)" (Cons. Stato, sez. V, n. 7370 del 2021). Come questo Consiglio di Stato ha sottolineato (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 5765 del 2018, Sez. V, n. 2953 del 2018) in linea generale l'istituto dell'avvalimento è stato introdotto nell'ordinamento nazionale in attuazione di puntuali prescrizioni dell'ordinamento U.E. ed esso risulta volto, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'U.E., a conseguire l'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile. Si tratta, secondo la Corte, di un obiettivo perseguito dalle direttive a vantaggio non soltanto degli operatori economici, ma parimenti delle amministrazioni aggiudicatrici (in tal senso, sentenza del 23 dicembre 2009 in causa C-305/08, CoNISMa). L'enucleazione dell'istituto mira inoltre a facilitare l'accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, cui tende altresì la direttiva 2004/18, come posto in rilievo dal considerando 32 (in tal senso la sentenza del 10 ottobre 2013 in causa C-94/12, SWM Costruzioni). Trattandosi di obiettivi generali dell'ordinamento eurounitario (e sulla base di generali canoni ermeneutici di matrice U.E.), grava sull'operatore nazionale l'obbligo di interpretare le categorie del diritto nazionale in senso loro conforme (c.d. criterio dell'interpretazione conforme) e di non introdurre in relazione ad essi vincoli e limiti ulteriori e diversi rispetto a quelli che operano in relazione alle analoghe figure del diritto interno (si tratta di un corollario applicativo dei generali principi di parità di trattamento e di non discriminazione che devono assistere le posizioni giuridiche e gli istituti di matrice eurounitaria); in particolare, in assenza di motivate condizioni eccezionali, l'applicazione dei richiamati principi di parità di trattamento e di non discriminazione osta all'introduzione da parte dei legislatori nazionali di vincoli e limiti alla generale possibilità per gli operatori di fare affidamento sulle capacità di altri soggetti (in tal senso la sentenza 7 aprile 2016 in causa C-324/14, Partner Apelski Dariusz). In tale contesto è stato chiarito che "nelle gare pubbliche la certificazione di qualità, essendo connotata dal precipuo fine di valorizzare gli elementi di eccellenza dell'organizzazione complessiva, è da considerarsi anch'essa requisito di idoneità tecnico organizzativa dell'impresa, da inserirsi tra gli elementi idonei a dimostrarne la capacità tecnico professionale assicurando che l'impresa, cui sarà affidato il servizio o la fornitura, sarà in grado di effettuare la prestazione nel rispetto di un livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò predisposto" (così Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6125, vedi anche Sez. V, 6 marzo 2013, n. 1368; Sez. IV, n. 4958 del 2014; Sez. V, n. 3517 del 2015; Sez. V, n. 2953 del 2018). In caso di avvalimento, quindi, l'impresa ausiliata può senz'altro utilizzare tutti i requisiti afferenti alla capacità economica e tecnica dell'impresa ausiliaria, non esclusa la certificazione di qualità . Gli argomenti dedotti dall'appellante sono volti a limitare la possibilità di avvalimento nel caso di specie, identificando la certificazione di qualità con i requisiti minimi di partecipazione. Si tratterebbe di soluzione contrastante con i principi appena richiamati di matrice europea, accolti ormai da tempo dal Consiglio di Stato. I medesimi argomenti non tengono peraltro conto del fatto che la giurisprudenza del giudice amministrativo ha chiarito che benché il bando, il disciplinare di gara e il capitolato speciale d'appalto abbiano ciascuno una propria autonomia ed una propria peculiare funzione nell'economia della procedura, il primo fissando le regole della gara, il secondo disciplinando in particolare il procedimento di gara ed il terzo integrando eventualmente le disposizioni del bando, tutti insieme costituiscono la lex specialis della gara (Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 2014, n. 6154; id., sez. V, 5 settembre 2011, n. 4981; id. 25 maggio 2010, n. 3311; id. 12 dicembre 2009, n. 7792), in tal modo sottolineandosi il carattere vincolante che (tutte) quelle disposizioni assumono non solo nei confronti dei concorrenti, ma anche dell'amministrazione appaltante, in attuazione dei principi costituzionali fissati dall'art. 97 (v. Cons. Stato, Sez. III, n. 1804 del 2021). 12. A diversa conclusione si deve giungere con riguardo al secondo motivo dell'appello, che risulta fondato. La giurisprudenza amministrativa ha infatti precisato a più riprese (v. da ultimo Cons. Stato, Sez. V, n. 2515 del 2022) che, qualora oggetto di avvalimento sia la certificazione di qualità, è indispensabile che l'impresa ausiliaria metta a disposizione dell'impresa ausiliata tutta la propria organizzazione aziendale comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse che, complessivamente considerate, le hanno consentito di acquisire la certificazione di qualità (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 settembre 2021, n. 6271; Sez. V, 18 marzo 2019, n. 1730; sez. V, 27 luglio 2017, n. 3710), poiché si tratta di avvalimento complessivo o, meglio, avente ad oggetto un requisito "inscindibile" nel senso che la medesima organizzazione aziendale non può essere contemporaneamente utilizzata dall'ausiliata e messa a disposizione dell'ausiliaria. L'avvalimento deve quindi essere effettivo e non fittizio, non potendosi ammettere il c.d. "prestito" della sola certificazione di qualità quale mero documento e senza quel minimo d'apparato dell'ausiliaria atta a dar senso al prestito stesso, a seconda dei casi i mezzi, il personale, il know how, le prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti (cfr. così, Cons. St., Sez. V, n. 3574 del 2014; Sez. III, n. 3517 del 2015). La certificazione di qualità, in quanto finalizzata ad assicurare l'espletamento del servizio o della fornitura da una impresa secondo il livello qualitativo accertato dall'apposito organismo e sulla base di parametri rigorosi delineati a livello internazionale -che danno rilievo all'organizzazione complessiva della relativa attività ed all'intero svolgimento delle diverse fasi di lavoro -, non può essere oggetto di avvalimento senza la messa a disposizione di tutto o di quella parte del complesso aziendale del soggetto al quale è stato riconosciuto il sistema di qualità, occorrente per l'effettuazione del servizio o della fornitura. Occorre infatti che il requisito di ammissione dimostrato dall'impresa partecipante mediante l'avvalimento rassicuri la stazione appaltante circa l'affidabilità della futura offerta allo stesso modo in cui ciò avverrebbe se il requisito fosse posseduto in via diretta dalla partecipante alla gara (v. ex multis, Cons. Stato, Sez. III, n. 3517 del 2015; Sez. V, n. 3710 del 2017). In altri termini, l'ausiliaria deve mettere a disposizione dell'ausiliata l'intera organizzazione aziendale, comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse, che, complessivamente considerata, le ha consentito di acquisire la certificazione di qualità da mettere a disposizione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 2017, n. 852; Cons. Stato., sez. V, 12 maggio 2017, n. 2225, con considerazioni riferite al prestito dell'attestazione S.O.A., che valgono a maggior ragione per il prestito della certificazione di qualità ). La qualità risulta, infatti, inscindibile dal complesso dell'impresa che rimane in capo all'ausiliaria (Cons. Stato, Sez. V, n. 3710 del 2017). L'avvalimento riferito alla certificazione di qualità ha dunque carattere complessivo o, meglio, ha ad oggetto un requisito "inscindibile" nel senso che la medesima organizzazione aziendale (comprensiva, non solo del personale operativo, ma anche di quello preposto al controllo di qualità, degli audit periodici) non può essere contemporaneamente utilizzata dall'ausiliata e messa a disposizione dell'ausiliaria (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. V, n. 2515 del 2022). Nel caso di specie, ciò che rileva è l'incompletezza del contratto di avvalimento (rispetto alla complessiva organizzazione aziendale dell'ausiliaria), con conseguente inidoneità dello stesso a trasferire il requisito non posseduto della certificazione di qualità . Infatti, il contratto di avvalimento del 9 giugno 2021 tra Ma. s.p.a. e Si. s.r.l fa riferimento espresso al capitolato speciale d'appalto che, all'art. 5, prevede il seguente requisito: "il sistema deve garantire elevati standard tecnici in materia di protezione dei dati, comprovati da idonee certificazioni quali, a mero titolo esemplificativo, ISO 15408 o ISO 27000 (il fornitore dovrà essere in possesso della certificazione o dovrà produrre la documentazione a garanzia di futura prossima certificazione)" e precisa che l'ausiliaria è in possesso dei requisiti generali di cui all'articolo 80 del D.Lgs. 50/2016 e successive modificazioni, e dispone dei requisiti obbligatori di cui è carente il concorrente e precisamente è in possesso della Certificazione ISO 27001:2014. Peraltro, il medesimo contratto stabilisce che l'ausiliaria debba mettere a disposizione del concorrente i mezzi e le risorse di cui quest'ultima è carente, elencati in modo determinato e specifico: mezzi, n. 1 Personal Computer e n. 1 stampante; risorse, n. 1 Impiegato tecnico. Nessuna ulteriore indicazione è invece fornita, atta a garantire l'idoneità del contratto di avvalimento a soddisfare i requisiti posti al riguardo dalla giurisprudenza, allorchè l'avvalimento interessi la certificazione di qualità . 13. Il terzo motivo, proposto dall'appellante in via subordinata al precedente, è assorbito dall'accoglimento di quest'ultimo. 14. Per le ragioni e nei termini esposti, l'appello va quindi accolto e di conseguenza deve essere riformata la sentenza impugnata, con annullamento dei provvedimenti impugnati con il ricorso in primo grado, cui dovrà conseguire l'aggiudicazione in favore della società appellante. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza, come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (n. r.g. 6278/2022): a) lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata: a1) annulla i seguenti provvedimenti impugnati dalla ricorrente in primo grado: il verbale prot. 7249 del 19 novembre 2021, recante l'aggiudicazione definitiva della gara indetta da AM. s.p.a. avente ad oggetto l'affidamento della fornitura di un "Sistema informativo per la gestione del servizio di raccolta domiciliare dei rifiuti solidi urbani, gestito da AM. S.p.a., nella Città di (omissis)" in favore di Si. S.r.l.; il verbale della Commissione di gara del 5 ottobre 2021; il verbale con cui la Commissione ha proceduto alla valutazione delle offerte tecniche; il verbale con cui la Commissione ha proceduto alla valutazione delle offerte economiche, provvedendo alla formulazione della graduatoria finale; il verbale di apertura delle buste amministrative; a2) dichiara inefficace il contratto per l'affidamento del servizio della fornitura di un "Sistema informativo per la gestione del servizio di raccolta domiciliare dei rifiuti solidi urbani, gestito da AM. s.p.a., nella città di (omissis)", stipulato il 15 febbraio 2022 tra AM. Tr. e Si. s.r.l; b) condanna Am. Tr. s.p.a. e Si. s.r.l, in solido tra loro, a rifondere alla società appellante le spese del doppio grado di giudizio, liquidate in complessivi Euro 6.000 (euro seimila), oltre oneri di legge ove dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Nicola D'Angelo - Consigliere Silvia Martino - Consigliere Claudio Tucciarelli - Consigliere, Estensore Ugo De Carlo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Venezia sezione PRIMA Penale composta dai Magistrati: 1. Dott. Francesco Giuliano - Presidente 2. Dott. Alberta Beccaro - Consigliere 3. Dott. David Calabria - Consigliere Udita la relazione della causa fatta alla udienza pubblica/camerale, odierna dai Dott.ri Beccaro e Calabria Inteso il P.G. dott. appellant (...) difensor come da verbale, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: GI.EM. Nato a Roma il 03.06.1969 Elettivamente domiciliato presso Avv. Or.Do. del Foro di Milano Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Or.Do. del Foro di Difensore di fiducia Avv. Co.Mi. del Foro di Milano MA.PA. Nato a (...) Domiciliato presso l'Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza PE.MA. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna PI.AN. Nato (...) Domiciliato presso Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Difeso di fiducia dall'Avv. Gi.To. del Foro di Milano ZI.GI. Nato a (...) Residente a (...) Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza ZO.GI. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. En.Am. del Foro dì Vicenza Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. En.Am. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Tu.Pa. del Foro di Pisa RESPONSABILE AMMINISTRATIVO BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona del legale rappresentante pro tempore Difensore Avv. Fr.Mu. del Foro di Milano - non presente, sostituito dall'Avv. Ro.Bo. del Foro di Padova per delega orale PRESENTE RESPONSABILE CIVILE - ESTROMESSO con ordinanza depositata all'udienza del 22/04/2022. BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona dei legali rappresentanti pro tempore Di.Gi., Fe.Cl. e Vi.Fa. Parti civili: + 229 (omissis) IMPUTATI: Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. stralciato ad altro procedimento, Zi.Gi. e Zo.Gi., a.1) in ordine al reato previsto e punito dagli arti 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., e 2637 c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amava), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie di seguito descritta, attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della. Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta piassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., stralciato ad altro procedimento in qualità di direttore generale delia medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione. Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuatone della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, della segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; in tempi diversi, diffondevano notizie false e ponevano in essere operazioni simulate ed altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni B. (deliberato annualmente - ai sensi dell'art. 6 dello Statuto sociale e dell'art 2528 c.c. -dall'assemblea dei soci su proposta del consiglio di amministrazione, formulata sulla scorta di una perizia di stima del valore del relativo soprapprezzo elaborata da un esperto indipendente appositamente incaricato), e ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della medesima Banca (...) e dell'omonimo Groppo bancario. Operazioni simulate ed altri artifici consistite (condotte poste in essere da ciascuna delle persone indagate, secondo il rispettivo ruolo): i) nella ripetuta concessione di finanziamenti a favore di terzi soggetti finalizzati all'acquisto (nel mercato secondario) ed alla sottoscrizione (in occasione delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014) di azioni B., per un controvalore complessivo di circa Euro 963 mln (di cui circa Euro 545 mln sino al 31.122012, circa Euro 155 nel 2013, circa Euro 255 nel 2014 e circa Euro 8 mln nel primo trimestre 2015), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito (per talune operazioni formalizzato per iscritto, per un complessivo controvalore azionario di circa Euro 160 mln), cosi determinando una apparenza di liquidità del titolo sul mercato secondario e, al contempo, cosi consentendo la riduzione contabile del controvalore delle azioni proprie detenute; ii) nella omessa iscrizione al passivo dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014 di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., pari all'importo complessivo delle operazioni di finanziamento finalizzate all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. sopra indicato; iii) nella mancata comunicazione all'esperto incaricato della stima del valore del soprapprezzo dell'azione B., dell'esistenza e dell'entità della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come sopra descritta. Diffusione di notizie false compiuta mediante la pubblicazione di comunicati stampa, di comunicazioni al pubblico, anche ex art. 114, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, di comunicazioni ai soci e dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014, contenenti mendaci indicazioni circa (condotte materiali poste in essere da Zo.Gi., Zi.Gi., So.Sa. (Stralciato ad altro procedimento) e Pe.Ma., con il contributo di GI.Em., Pi.An. e Ma.Pa., che partecipavano alla attuazione della prassi dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. sopra descritta): - la reale entità del patrimonio (nei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014), a causa della mancata iscrizione di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., per un importo corrispondente all'ammontare dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. (pari a circa Euro 545 mln al 31.12.2012, circa Euro700 mln al 31.12.2013 e circa Euro 955 mln al 31.12.2014); - la solidità patrimoniale della Banca (comunicati stampa e comunicazioni ai soci del 30/3/2012; 8/8/2012; 3/9/2012; 19/3/2013; 27/4/2013; 27/4/2013; 10/9/2013; 2/4/2014; 9/9/2014; 26/10/2014; 4/12/2014; 19/3/2014) enfatizzata a dispetto della reale situazione derivante dal sopra descritto fenomeno di concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizioni di azioni B. e di lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle medesime e/o di garanzia del rendimento dell'investimento; - la crescita progressiva della compagine sociale (comunicati 27/8/2013; 18/3/2014; 29/8/2014; 26/10/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), lasciando intendere che essa derivasse dalla progressiva maggiore appetibilità dell'azione B. quale strumento di investimento, omettendo di rappresentare resistenza e l'entità della prassi della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie sopra descritta; - il buon esito delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014 (comunicati 9/8/2013; 27/8/2013; 18/3/2014; 8/8/2014; 29/8/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), tacendo la circostanza relativa al massiccio ricorso al finanziamento per la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione nell'ambito dei c.d. Aucap; Con raggravante di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone. In (...), nel corso degli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014. Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) a.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. r) D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - ZO.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società a capo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenite reati della stessa specie, commettevano il reato sub a.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nel mantenimento del valore dell'azione e dell'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto, realizzati anche attraverso un artificioso funzionamento del mercato secondario delle azioni B. e mediante una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca. In (...), nel corso degli anni (...), alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa., (stralciato ed altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., b1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 81, co. II 110, 112, n. 1, c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a., in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1), e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale e traendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti, e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalatone e comunicazioni air Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, durante l'attività ispettiva compiuta dalla stessa Autorità presso la sede sociale, occultavano con mezzi fraudolenti - l'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario, per un controvalore complessivo di circa Euro 250 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di oltre Euro 300 mln, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - l'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. c/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; e, comunque, omettevano di dare comunicazione di tali circostanze, cosi determinando effettivamente, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, che, conseguentemente, non dava luogo ad approfondimenti conoscitivi in sede ispettiva ed alla quale, di fatto, era impedito di accertare l'esistenza della suddetta prassi. Mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale sia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58. In (...) dal (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) b.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub b.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. c.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81 co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.6.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.9.2012) contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 268 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2012), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 280 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia medesima, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2012, stabiliva, con Lettera di intervento datata 5.3.2013, un obiettivo patrimoniale (c.d. Target ratio, in termini di Core Tier 1 capital ratio pari o superiore all'8%) non coerente con la situazione patrimoniale della stessa B. e, comunque, ometteva di assumere ulteriori misure ed iniziative di vigilanza coerenti rispetto alla reale situazione patrimoniale della B., Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.pa, in liquidazione coatta amm.va (già Sc.p.a.) c.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett., a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub al), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad atro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. d.1) reato previsto e punito dagli artt. 61 n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., 2638, co. II e III, c.., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 5.3.2013 - n. 228149, di fornire "dettagliate informazioni in ordine alle motivazioni sottostanti l'incremento, sia a livello individuale che consolidato, delle azioni o quote proprie ricomprese tra gli elementi negativi del patrimonio di base, passate da Euro 30,48 mln a Euro 239,85 mln" nel periodo 30.6/30.9.2012), nella Comunicazione 20.3.2013, con la quale era rappresentato falsamente che "L'incremento ... registrato al 30 settembre 2012 rispetto al 30 giugno 2012 è da ascrivere principalmente a fenomeni di ciclicità legati alle procedure di gestione delle azioni proprie. Le domande di acquisto di azioni della banca si sono invece concentrate nel IV trimestre, anche in relazione alla consueta maggiore propensione e convenienza sotto il profilo finanziario di procedere, da parte dei soci, all'acquisto nell'ultimo periodo dell'anno... I dati al 31 dicembre 2012 evidenziano un Core Tier 1 ratio e un Total Capital ratio rispettivamente all'8,37% e all'11,40%, ipotizzando l'integrale capitalizzazione dell'utile. Nell'ipotesi di distribuire un dividendo pari al 50% dell'utile distribuibile, il Tier 1 ratio si posizionerebbe all'8,23% comunque al di sopra del target minimo". - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.12.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.3.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 545 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistato da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 544 mln; ed inoltre, - nella Informativa preventiva 23.4.2013 relativa alla imminente operazione dì aumento di capitale (mediante emissione di azioni ordinarie e contestuale emissione di prestito obbligazionario convertibile, per l'importo complessivo di Euro 506 mln), nella quale non era indicato che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione di finanziamenti correlati alla sottoscrizione medesima ed era rappresentato, pertanto contrariamente al vero, che il relativo "impatto... sul Tier 1 ratio " era stimato in un incremento complessivo di 175 punti base; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della B., adottava la Lettera di intervento datata 24.6.2013 con la quale (rilevato che "alla data del 30 settembre 2012" B. deteneva azioni proprie per un controvalore complessivo superiore al limite del "5% del capitale" in assenza della necessaria autorizzazione) prescriveva a B. l'adozione di "ogni Iniziativa sul piano procedurale e dei controlli alfine di assicurare uno scrupoloso rispetto dei limiti previsti per il riacquisto o rimborso di proprie azioni" e di richiedere "la prescritta autorizzazione, laddove ne ricorrano i presupposti" senza assumere ulteriori misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, DI L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.p.a.) d.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub d. 1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. e.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, il 2,81, co. II, 110 e 112, n. 1, cp., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione delia medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30-6-2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.9.2013), contraente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 555 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca, anteriore e prossima al 25.10.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 626 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.3.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 700 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e dì garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) e.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di prendente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sube.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. f.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. n. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai scasi della L. 1 settembre 1993, a 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; -- So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delie operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella Informativa preventiva datata 5.3.2014 relativa alla imminente operazione di aumento di capitale mediante emissione di azioni ordinarie per l'importo complessivo massimo di Euro 700 min, tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima e rappresentando, pertanto falsamente, die "nell'ipotesi di effettuazione dell'importo massimo", l'Aucap determinerebbe un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma" del 10,89% (rispetto a quello esistente dell'8,50%) e del ''Total Capital ratio" del 13,85% (rispetto a quello esistente dell'11,41%) con un incremento "quantificabile in circa 239" punti base; - nella Informativa integrativa datata 11.4.2014 relativa alla operazione di aumento di capitale sopra indicata (contenente la precisazione che la stessa sarebbe stata compiuta per un importo massimo di Euro 683,754 mln), tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima ed attestando, pertanto falsamente, che le azioni di nuova emissione soddisfano "tutte le condizioni previste dagli artt. 28 e 29 della CRR" e rappresentando, pertanto ancora falsamente, che la relativa "stima dell'impatto patrimoniale" evidenziava un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma post aucap" del'11,65% (rispetto a quello esistente del 9,21%) e del "Total Capital ratio pro-forma post aucap" del 14,25 (rispetto a quello esistente dell'11,81%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, a seguito della "istanza di autorizzazione a classificare gli strumenti di capitale come strumenti di capitale primario di classe 1 ai sensi dell'art 26 par. 3, del Regolamento (UE) n. 575/2013" (contenuta nella Informativa integrativa suddetta), sulla scorta della mendaci informazioni ricevute, adottava il provvedimento autorizzato richiesto con atto del 15.4.2014, in difetto dei prescritti presupposti (trattandosi, in parte, di c.d. azioni finanziate). Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) BANCA (...) S.p.a. in liquidatone coatta amm.va (già S.c.p.a.) f.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s) D. L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub f1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nella autorizzata classificazione delle azioni di nuova emissione sottoscritte come strumenti di capitale primario di classe 1". In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. g.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co, II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi die precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella Use di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione dì vigilanza periodica al 31.3.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 728 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica ai 30.6.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in data 11.8.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra, indicata, per un importo complessivo di circa Euro 718 mln; - nella Comunicazione 1.9.2014, nella quale era rappresentato falsamente che "con riferimento alla segnalazione di vigilanza prudenziale al 30 giugno 2014... si è ravvisato il mancato soddisfacimento a livello consolidato del requisito combinato di riserva di capitale... con un deficit di euro 85 milioni rispetto al livello minimo previsto.... l'aumento dì capitale di euro 607,8 milioni - già in corso alla data del 30 giugno, completato lo scorso 8 agosto con l'integrale sottoscrizione dello stesso... consentiva di coprire ampiamente il deficit registrato... tenendo conto dell'aumento di capitale già regolato, la posizione patrimoniale del Gruppo risulta in surplus di euro 550,8 milioni..." ed era attestato falsamente il livello dei "Fondi Propri" (indicato in Euro 2,989 mld e, quelli "pro-forma" in Euro 3,635 mld) e dei ratios patrimoniali (ovverosia, 8,55% CET1 Ratio e 10,67% CET1 Ratio pro-forma; 8,55% Tier 1 Ratio e 10,67% Tier 1 Ratio pro-forma; 10,21% Total Capitai Ratio e 12,38% Total Capital Ratio pro-fonna); - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 886 mln; - (a seguito della richiesta di Banca d'Italia, formulata con Nota datata 25.10.2014 - n. 1053731/14 nella quale, dato atto che "Banca (...) ha eseguito dall'inizio del 2014 operazioni di riacquisto di azioni proprie (buybacks) per un ammontare complessivo netto di Euro 195 mln. Le segnalazioni prudenziali di codesta banca confermano il progressivo aumento delle deduzioni per azioni proprie in portafoglio dal common equity tier 1: Euro 32,3 mln a dicembre 2013; Euro 91,7 mln a marzo 2014; Euro 178,2 mln, di cui 52,4 mln detenute indirettamente, a giugno 2014.... (la B.) ha altresì proceduto al rimborso e successivo annullamento di azioni proprie per complessivi Euro 61,7 mln, a motivo di successioni ed escussioni per recupero crediti", era domandata "la puntuale verifica della correttezza dei dati segnalati tempistica e modalità di esecuzione dei buybacks; ... le informazioni necessarie alla comprensione delle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie, precisando le controparti (società veicolo/OICR) presso le quali ì titoli sono depositati; chiarimenti circa la coerenza dei riacquisti effettuati con le disposizioni della Capital Requirement Regulation e delle successive norme tecniche di attuazione") nella Comunicazione datata 4.11.2014, ove era rappresentato falsamente che "La Banca... ha proceduto ai riacquisti da Soci e agli annullamenti delle azioni proprie nella consapevolezza che la riduzione di capitale connessa ai medesimi era più che compensata dalla sottoscrizione degli aumenti di capitale in corso.... le predette operazioni di riacquisto e annullamento di azioni proprie eseguite dalla banca dall'inizio del 2014... sono comunque avvenute nell'ambito dì un complessivo rafforzamento patrimoniale del Gruppo Bancario, che ha visto il proprio Common Equity Tier 1 Ratio incrementarsi dal 1° gennaio 2014 di circa 141 bps"; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) g2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità, di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub g.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., h1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a, in liquidatone cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposte alla vigilanza della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a. 1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente fa predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberatone degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca Centrale Europea, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2014 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 15.3.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2015 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 25.4.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 963 mln; - nella Informativa al Pubblico al 31.12.2014, contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa delia mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln e, di conseguenza, l'indicazione falsata dei requisiti patrimoniali prudenziali (CET 1 ratio pari al 10,44% e Total Capital ratio pari all'11,55%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca Centrale Europea che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a., in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) h.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001. n. 231, perché, in concorso tra loro. - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di (fingente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub h1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. i) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a-1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente si processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinalo ed attuato concretamente la predetta prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alte proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Dividerne Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili relativa alle operazioni di aumento di capitale realizzate nel corso del 2013 (c.d. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2012 e nel primo quadrimestre 2013 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a.1), ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo (felle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo, la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancate evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sui prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In Vicenza, in data 10 giugno 2013 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. 1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a.1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predette prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predispostone dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalatone e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di adoni di nuova emissione relativa alle operazioni di aumento di capitate realizzate nel corso del 2014 (c.c. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2013 e nel primo quadrimestre 2014 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a1) ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo delle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo" la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancata evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sin prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., m.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110, 112, n. 1, c.p. e 2638 co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche in riferimento alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 RGNR - Mod. 21, (allegata al presente Avviso) in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione Della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, e della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di numerosi finanziamenti finalizzati air acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie (operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito, per talune operazioni formalizzato per iscritto), attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallalo la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. Srl, operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attualo concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase dì istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazioni e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea, nell'ambito dello svolgimento dell'esercizio di valutazione approfondita (c.d. "Comprehensive Assessment") previsto dall'art. 33, par. 4, del Regolamento (UE) n. 1024/2013 cit. ed oggetto della Decisione della Banca centrale Europea del 4 febbraio 2014 i) durante l'attività ispettiva compiuta dalla Banca d'Italia presso la sede sociale nel periodo marzo/agosto 2014 (consistita nel c.d. "Asset Quality Rewiev") occultavano con mezzi fraudolenti e, comunque, omettevano di dare comunicazione, - dell'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario e/o alla sottoscrizione delle medesime azioni in sede di operazioni di aumento di capitale, per un controvalore complessivo di circa Euro 728 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di circa 6 886 min, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - dell'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale aia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate; ii) esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 9.6.2014 - il 590133/14 di compilare un "questionario... (Preliminary Capital Plan)" contenente "informazioni idonee a valutare, distintamente per i vari annali di raccolta (interni ed esterni) l'ammontare aggiuntivo di capitale e di strumenti di ATI che potrebbero essere ottenuti in tempi rapidi (6 o 9 mesi) per fronteggiare eventuali shortfall" precisando "sia le operazioni già pianificate o in corso di attuazione, sia le misure aggiuntive che potrebbero essere perfezionate in caso di necessità entro i termini sopra indicati") nella Comunicazione datata 20.6.2014 ove erano indicati, quali interventi di rafforzamento patrimoniale realizzabili celermente, il "rimborso anticipato in azioni del prestito obbligazionario 2013-2018 convertibile di tipo soft mandatory... per un importo di euro 253 milioni e "l'incremento di CET" per effetto degli aumenti di capitale attualmente in corso per un importo totale di euro 673 milioni, di cui euro 608 milioni di aumento in opzione ai soci", omettendo di rappresentare che la sottoscrizione del suddetto prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni dì nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra descritta; - nelle comunicazioni trasmesse alle Autorità di vigilanza nell'ambito dell'esercizio di "stress test", contenenti l'indicazione, contrariamente al vero, di ratios patrimoniali e dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quelli reali, a causa della mancata considerazione, quale cimento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln; - nel Capital Plan comunicato in data 10.11.2014, relativo alle misure programmate per la copertura del deficit di capitale emerso all'esito dell'esercizio di "stress test" (nello scenario avverso, pari a Euro 223 mln), contenente l'indicazione, contrariamente al vero, dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln, ed omettendo di precisare che la sottoscrizione del prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni di nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea medesime, le quali, conseguentemente, non davano luogo, neppure in sede ispettiva, ad approfondimenti conoscitivi, e la BCE valutava idonee le misure di rafforzamento patrimoniale indicate da B. per fare fronte alla deficienza emersa all'esito del c.d. "Comprehensive Assessment" ed all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2014 stabiliva (con la relativa decisione SREP) requisiti prudenziali non coerenti con la reale situazione patrimoniale della stessa B. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richieda di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), dal marzo ad agosto 2014 (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) m.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n, 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em. in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub m.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) SO.SA. (stralciato ad altro procedimento) e GI.EM. n.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso rispetto al capo che precede ed alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 (allegata al presente Avviso), - SO.SA. in qualità di direttore generale, - GI.EM., in qualità di vice direttore generale responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), società sottoposta alla vigilanza della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa ai sensi del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, con riferimento alla operazione di aumento di capitale compiuta nel periodo 12.5/8.8.2014, avente in oggetto una offerta in opzione agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili di azioni ordinarie di nuova emissione e di obbligazioni nominative (e anche una offerta al pubblico indistinto dell'eventuale inoptato), a seguito della richiesta di dati e notizie di CONSOB datata 16.5.2014, nella successiva interlocuzione con la medesima Autorità di Vigilanza, comunicavano, contrariamente al vero (condotta materiale di So.Sa., quale firmatario delle missive, compiuta d'intesa con Gi.Em.), i) nella Nota datata 23.5.2014, - la decisione assunta dalla Banca "di astenersi, con riferimento all'Offerta in opzione, dalla prestazione di raccomandazioni personalizzate all'investimento" e, pertanto, del "divieto di prestare qualsivoglia attività consulenziale a favore dei titolari del diritto di opzione"; - l'adozione da parte della Banca "allo scopo di dare effettività alla menzionata prescrizione interna ed evitare forme surrettizie di raccomandazione personalizzata all'investimento... " di "modalità specifiche di adesione all'offerta idonee a contenere occasioni di contatto diretto tra gli addetti alla rete ed i titolari del diritto di opzione" (costituite, "a seguito della comunicazione informativa" neutra da parte della Banca contenente indicazione delle "caratteristiche principali dell'operazione e le modalità richieste per l'adesione", dalla preventiva manifestatone di interesse alla sottoscrizione da parte degli interessati "accedendo ad una apposita sezione del sito internet della Banca" oppure tramite l'invio per posta di un modulo prestampato, preventivamente trasmesso agli aventi diritto in allegato alla suddetta comunicazione informativa preliminare); - che la Banca si sarebbe astenuta dalla erogazione di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione di azioni B., essendo questa possibilità limitata all'operazione di aumento di capitale riservato a nuovi soci e finalizzato all'ampliamento della base sociale (c.d. "mini Aucap"); ii) nella Nota datata 4.7.2014, che - erano "immutate le modalità di offerta in opzione, agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili... " e, nel fornire i dati relativi all'andamento della operazione, che l'offerta in opzione aveva registrato adesioni da parte di 20.448 clienti, tutte perfezionate ad "iniziativa cliente", con valutazione positiva della appropriatezza nella misura del 83,9%; iii) nella Nota 15.10.2014, - che l'unica operatività effettuata nell'ambito dell'Offerta in opzione, era quella ad "iniziativa cliente"; - che tutti i 29,364 sottoscrittori "aventi diritto" avevano aderito all'offerta previa valutazione di appropriatezza, il cui esito era stato positivo nella misura del 82% circa; - che (nella unita Nota di osservazioni della funzione di Compliance), "la Banca ha inteso presidiare il rischio di consulenze surrettizie prevedendo un meccanismo volto a fare in modo che il contatto tra banca e clienti titolari del diritto di opzione si stabilisse solo in seguito ad una comunicazione preliminare"; e omettevano dunque, di rappresentare alla Commissione medesima, la realizzazione da parte della Banca, sino dal febbraio 2014 (e, dunque, prima dell'approvazione del prospetto previsto dall'art. 94, D.L.vo n. 58/98 cit.), di una strutturata azione commerciale finalizzata alla promozione della partecipazione all'aumento di capitale e concretizzatasi in consigli personalizzati di investimento, cosi ostacolando consapevolmente le funzioni di vigilanza della CONSOB, cui era conseguentemente impedita l'emanazione degli opportuni provvedimenti e l'adozione delle pertinenti iniziative di Vigilanza. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell'art. 116, D.L.vo n. 58/98 cit. ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) n. 2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e punito dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato indicato sub e.l) commesso da - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale, responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), in concorso tra loro, in difetto di un modello di organizzazione idoneo (comunque non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi, e nell'interesse ed a vantaggio della stessa BANCA (...) S.c.p.a., consistiti nel rafforzamento patrimoniale dell'ente perseguito ed attuato con l'operazione dì aumento di capitale compiuta nel corso dell'anno 2014. In (...), in data (...) CONCLUSIONI PEL PROCURATORE GENERALE: Con riferimento agli appelli proposti dagli imputati ZO., MA. e PI. chiede dichiararsi l'improcedibilità con riguardo alle fattispecie medio tempore prescritte, con conseguente rideterminazione della pena, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, Per il resto chiede confermarsi la sentenza. Con riferimento all'appello proposto dall'imputato GI. chiede affermarsi la penale responsabilità del predetto, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando la pena richiesta come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. Con riferimento all'appello proposto da B. in L.c.a. chiede ridursi l'entità della sanzione ex art. 12 comma 2 lett. a) D.Lgs. 231/2001 nella misura massima della metà, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, con irrogazione, per l'effetto, della sanzione pecuniaria nella misura di euro 324.000,00= e conferma nel resto. Con riferimento, infine, agli appelli proposti dal Pubblico Ministero nei confronti degli imputati PE. e ZI. chiede affermarsi la penale responsabilità dei predetti, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando le pene richieste come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di equivalenza. CONCLUSIONI PELLE PARTI CIVILI: Il difensore della parte civile Banca d'Italia, Avv. St.Ce., conclude chiedendo che la Corte rigetti gli appelli degli imputati Gi., Ma., Pi. e Zo. e confermi la sentenza per quanto riguarda le statuizioni civili a favore delta Banca d'Italia, inclusa la conferma della condanna in solido alla provvisionale. In accoglimento degli appelli della Pubblica Accusa, proposti contro gli imputati Pe. e Zi., chiede estendersi ai medesimi le statuizioni civili in favore della Banca d'Italia e per l'effetto la loro condanna in solido al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da liquidarsi in separato giudizio, con condanna a una provvisionale pari a quella stabilita in primo grado. Per il resto conclude come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022. Il difensore della parte civile CONSOB, Avv. Va.Ci., in sostituzione dell'Avv. Deborah Spedicati, chiede la conferma dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato Gi. per il reato di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza svolte da CONSOB, contestato nel capo d'imputazione NI, e la conferma delle statuizioni civili pronunciate in favore della stessa CONSOB, con condanna al pagamento delle spese per questo grado dì giudizio. Si richiama per il resto alla memoria depositata all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Pa.Ci. (67), chiede l'accoglimento delle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Re.Be. (24), si associa alle conclusioni della Procura Generale e si riporta alle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9,2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca. (55), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca., in sostituzione dell'Avv. Br.Ba. (16), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce. (62), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ca.Sp. (205), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimene deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ro.Pa. (163), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ca.Ma. (140), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delie parti civili, Avv. Ca.Ma., in sostituzione dell'Avv. Ni.D'A. (80), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co. (72), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. An.Bu. (42), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. Na.De. (84), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Si.Ba. (13), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ve.Bo. (40), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. An.Ca. (44), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ma.Ma. (139), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Gi.Vi. (219), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa. (160), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa., in sostituzione dell'Avv. Da.Tr. (211), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Pi.Ce. (63), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. St.An. (7), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Lu.Be. (22), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Al.Le. (127), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23,9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Mo. (156), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Sa., in sostituzione dell'Avv. Pi.Lu. (136), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ra.Di. (92), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Si dà altresì atto che all'udienza del 23.9.2022 le parti civili sotto elencate, su invito del Presidente e con l'accordo delle parti, hanno depositano le rispettive conclusioni scritte con allegate note spese, alle quali si riportano integralmente chiedendone l'accoglimento: (omissis) Il difensore delle parti civili, Avv. Fr.Ra., in sostituzione dell'Avv. An.Fi. (105), dichiara di non presentare conclusioni scritte dei propri assistiti e di riportarsi alle conclusioni già depositate in primo grado, chiedendone l'accoglimento, senza ulteriore deposito, CONCLUSIONI DELLE DIFESE MA., PI. e ZO.: Chiedono in principalità l'assoluzione dei rispettivi assistiti, avanzando richieste subordinate come da rispettivi atti di appello e motivi nuovi successivamente depositati, giusta conclusioni rispettivamente rassegnate alle udienze del 28.9.2022 (ZO.), del 30.9.2022 (MA.) e del 5.10.2022 (PI.), alle quali si riportano. CONCLUSIONI DELLA DIFESA GI.: Dichiara di rinunciare espressamente a tutti i motivi enunciati nell'atto di appello tranne che ai motivi nn. II, III, XIII, XX (quest'ultimo peraltro reso oggetto di rinuncia implicita, come da verbale d'udienza 23.9.2022, quanto alla svolta eccezione di nullità della sentenza), XXI, XXII e XXIII. Quanto al trattamento sanzionatorio invoca la rideterminazione in senso più favorevole come da verbale d'udienza 23.9.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA ZI.: Conclude per l'accoglimento del proprio appello e per il rigetto di quello del Pubblico Ministero, come da verbale d'udienza 5.10.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA PE.: Conclude chiedendo il rigetto dell'appello del Pubblico Ministero e la conferma della sentenza di assoluzione, come da verbale d'udienza 30.9.2022. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. La sentenza Con sentenza 19.3.2021, il Tribunale di Vicenza: - dichiarava Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. responsabili, nelle qualità dai predetti rispettivamente rivestite all'interno della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in LCA.), dei reati, siccome loro rispettivamente ascritti in rubrica (il capo NI era ascritto, fra essi, al solo GI.), di aggiotaggio ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 2637 c.c. (reato di cui al capo A1, commesso in Vicenza nel periodo successivo al 27.4,2013 e sino al 2015, in occasione della pubblicazione dei bilanci di esercizio degli anni 2013 e 2014), di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr 1 c.p., 2638 co. II, III c.c., aggravato dalla natura di società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116 D.L.vo 58/98 (capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1, posti in essere in Vicenza, dal maggio del 2012 all'anno 2015, nelle date di cui ai rispettivi capi di imputazione), di falso in prospetto, ex artt. 61 nr. 2, 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 173 bis D.L.vo 58/98 (capi I ed L, posti in essere, in Vicenza, rispettivamente, il 10 giugno del 2013 ed il 9 maggio del 2014) e, esclusa l'aggravante di cui all'art. 112 nr. 1 c.p., riconosciute a tutti gli imputati le attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alle residue aggravanti contestate ed unificati detti reati sotto il vincolo della continuazione, ritenuto più grave il delitto di cui al capo H1, condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione; - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno; - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Dichiarava i predetti imputati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Disponeva nei confronti dei medesimi la confisca per equivalente sino a concorrenza dell'importo di euro 963.000.000. - Dichiarava non doversi procedere nei confronti degli stessi imputati, con riferimento ai reati di aggiotaggio di cui al capo A1 (limitatamente alle condotte contestate fino alla data del 27.4.2013), perché estinti per prescrizione. - Condannava i suddetti imputati, nei termini seguenti, al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili: - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili private di cui all'elenco allegato alla sentenza (con esclusione, relativamente agli imputati GI. e MA., del risarcimento in favore delle parti private Al.Br., Lo.Al., Lo.Da., Lo.Tr., Pi.So. e To.La.), con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute da dette parti; - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile Banca d'Italia, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore della medesima parte, pari ad euro 601,017,39 oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte civile; - Gi.Em. era condannato al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile CONSOB, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore di detta parte nella misura dì euro 186.570,00, oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte avite. - Assolveva Pe.Ma. e Zi.Gi. dai reati loro ascritti perché il fatto non costituisce reato. - Dichiarava, inoltre, Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) e, riconosciuta l'attenuante ex art. 12, co. II, lett. a) D.L.vo 231/01 ed applicata la disciplina della pluralità di illeciti ex art. 21 D.L.vo cit., condannava detto ente al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 364.000,00, oltre al pagamento delle spese processuali, disponendo inoltre, nei confronti del medesimo ente, la confisca della somma di euro 74.212.687,50. - Disponeva, con riferimento alla posizione di Zo.Gi., la trasmissione degli atti al P.M. in relazione all'ipotesi di reato contestata sub capo N1; - Dichiarava improcedibile la domanda risarcitoria avanzata nei confronti del responsabile civile Banca (...) in L.C.A. 1.1 Gli addebiti L'affermazione di penale responsabilità attiene alle vicende emerse a seguito dell'ispezione avviata dalla squadra inviata presso l'istituto di credito vicentino dalla BCE nel febbraio del 2015 in relazione a irregolarità emerse nella gestione dell'attività d'impresa bancaria, irregolarità rappresentate: - dal sistematico ricorso della banca al sostegno finanziario concesso ai clienti/soci per l'acquisto di azioni proprie sul mercato primario e su quello secondario; - dal rilascio, in favore dei soci, di lettere con le quali l'istituto assumeva l'impegno al riacquisto delle azioni ovvero forniva garanzie di rendimento dei titoli; - dagli "storni" di interessi, autorizzati dagli organi di vertice dell'istituto onde neutralizzare i costi dei finanziamenti all'uopo erogati dalla Banca; - dagli investimenti di consistenti risorse in fondi esteri poi utilizzati, almeno in parte, per la detenzione indiretta dì azioni proprie. Tali anomalie operative, per effetto dei provvedimenti adottati all'esito dell'ispezione BCE del febbraio del 2015, avevano generato un impatto negativo sotto il profilo patrimoniale, stimato in circa un miliardo di euro di deduzioni dal patrimonio di vigilanza, come confermato dalla stessa banca verificata nella relazione semestrale del 30.6.2015 e, quindi, nel bilancio d'esercizio 2015. Ne era seguita anche l'iscrizione di rettifiche relative a crediti deteriorati per circa 1,3 miliardi di euro. Quindi, nel 2016, la banca aveva deliberato un piano di rafforzamento patrimoniale che tuttavia non era andato a buon fine (con particolare riferimento all'aumento di capitale, previsto nella consistente misura di 1,5 miliardi, tanto che il Fondo (...) aveva rilevato la proprietà dell'istituto sottoscrivendo aumenti di capitale per complessivi 2,3 miliardi). Di qui la dichiarazione, da parte della BCE, dello stato di dissesto o di rischio di dissesto e, successivamente, ravvio della procedura di LCA, decisa con decreto del Ministro dell'Economia del 25.6.2017. Con sentenza 21.12.2018, poi, il tribunale di Vicenza aveva dichiarato lo stato di insolvenza dell'istituto di credito. E' in questo contesto di crisi - successivamente sfociato, come appena precisato, nella dichiarazione dello stato di insolvenza - che si inscrivono le condotte di aggiotaggio manipolativo ed informativo, di ostacolo alla vigilanza della Banca d'Italia, della BCE e (quanto al solo imputato GI.) della CONSOB, nonché di falso in prospetto, condotte che costituiscono (oltre agli illeciti amministrativi contestati all'ente Banca (...) in L.C.A.) gli addebiti ritenuti provati nella pronunzia del tribunale di Vicenza. In particolare gli imputati, nelle loro rispettive qualità di esponenti di vertice dell'istituto bancario, avrebbero posto in essere una serie di azioni coordinate finalizzate alla manipolazione del mercato, attraverso una artificiosa rappresentazione di una solidità patrimoniale della banca in realtà inesistente e della liquidità del titolo azionario, mediante la sistematica concessione di assistenza finanziaria ai clienti per l'acquisto di azioni della banca, l'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo del valore delle azioni finanziate ed il mantenimento di un valore sovradimensionato del suddetto titolo (aggiotaggio manipolativo). Avrebbero, altresì, diffuso informazioni mendaci (prevalentemente attraverso la emissione di comunicati stampa indirizzati al mercato ed ai soci) inerenti alla situazione della banca, alla liquidità del titolo azionario e al pieno successo delle operazioni di aumento di capitale effettuate negli anni 2013 e 2014 (aggiotaggio informativo). Inoltre avrebbero posto in essere condotte di ostacolo alla vigilanza ai danni della Banca d'Italia e della BCE occultando la sistematica attività di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie e in tal guisa impedendo l'adozione di tempestivi piani di vigilanza coerenti con la reale situazione della banca, conseguendo, inoltre, l'autorizzazione alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale primario di classe 1 e superando positivamente, infine, il Camprehensive Assessment (ovverosia l'esercizio di valutazione approfondita con il quale la BCE aveva verificato lo stato di salute delle principali banche europee) con l'effetto di accedere al Meccanismo Unico di Vigilanza. Il solo GI., poi, avrebbe ostacolato la vigilanza della CONSOB in relazione all'aumento di capitale 2014, omettendo la rappresentazione delle operazioni commerciali finalizzate alla promozione dell'aumento di capitale in questione. Ulteriori condotte delittuose poste in essere dagli imputati, infine, sarebbero state quelle di falso in prospetto in relazione alla predisposizione e diffusione dei prospetti informativi inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni all'atto degli aumenti di capitale degli anni 2013 e 2014. Nell'occasione, infatti, per un verso, sarebbero state occultate le informazioni inerenti al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie; e, per altro verso, sarebbero state comunicate informazioni fuorvianti in merito all'andamento del mercato secondario delle azioni stesse. Nel complesso si sarebbe trattato di condotte tutte avvinte da un evidente nesso di strumentalità in quanto sistematicamente ispirate dalla medesima intenzione, da un lato, di creare un'apparenza di liquidità del titolo azionario e, dall'altro, di accreditare la solidità patrimoniale dell'istituto di credito. Solo in quest'ottica, del resto, nella prospettiva d'accusa, sarebbero interpretabili le condotte dei singoli imputati, altrimenti del tutto prive di senso, posto che le corrette attività di appostazione della riserva di bilancio e di scomputo del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza avrebbero reso prive di ogni effetto le operazioni correlate. Di qui la contestazione della responsabilità concorsuale degli imputati. 1.2 Il compendio probatorio Il giudizio di penale responsabilità scaturiva dalla valutazione coordinata di un panorama probatorio assai vasto e composito, segnatamente costituito da elementi di natura testimoniale (deposizioni degli agenti operanti, di ex dirigenti dell'istituto di credito, nonché di funzionari e dipendenti della banca, di clienti, ecc.) e documentale (e-mail, documenti contabili, verbali del CdA, piani industriali, ecc.), dagli esiti di operazioni di intercettazione telefonica, nonché dalle conclusioni cui erano pervenute approfondite attività di ispezione; conclusioni, queste ultime, che erano state dapprima documentate attraverso l'acquisizione delle relative relazioni e, quindi, confermate e precisate in sede di escussione dibattimentale degli ispettori e dei funzionari di vigilanza. Inoltre un rilievo significativo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato anche all'approdo cui era pervenuta la meticolosa attività di ricostruzione di quegli aspetti della gestione aziendale rilevanti ai fini della compiuta comprensione delle reali dinamiche e della esatta portata del fenomeno delle operazioni di capitale finanziato siccome effettuata dai consulenti tecnici del P.M.. Costoro, in effetti, avevano ripercorso, attraverso uno scrupoloso vaglio della notevole mole della documentazione disponibile, tutte le singole operazioni giungendo ad una precisa quantificazione del fenomeno; quantificazione, peraltro, sostanzialmente allineata, seppure per difetto, ai dati indicati dalla stessa banca nella Relazione sulla Gestione dei bilanci 2015-2016 (euro 1086,9 mln). Le indagini della GdF, poi, avevano consentito di riscontrare le evidenze ispettive e di delineare compiutamente il contributo fornito dai singoli imputati. Infine, anche la relazione ex art 33 L.f. - nella quale erano stati compendiati gli esiti di un accurato esame dei bilanci e degli indici di redditività, efficienza e solidità patrimoniale, nonché dei margini di struttura essenziale dell'istituto di credito - aveva rappresentato un prezioso contributo (peraltro convergente con le ulteriori risultanze processuali) per l'esatta comprensione del fenomeno del capitale finanziato. 1.3 La competenza Il tribunale, dopo avere premesso che la questione della competenza territoriale avrebbe dovuto essere valutata alla stregua delle indicazioni contenute nell'imputazione nonché delle allegazioni delle parti unicamente relative al fatto storico siccome stigmatizzato nell'imputazione medesima (fatta salva l'ipotesi - espressamente esclusa dal primo giudice - che dal capo di incolpazione emergessero macroscopici errori, immediatamente rilevabili come tali), ribadiva la competenza territoriale dell'a.g. vicentina, siccome già affermata (in sede di udienza preliminare e, quindi, negli atti preliminari al dibattimento), ritenendo le eccezioni difensive inammissibili e, comunque, infondate. Sotto il primo profilo il tribunale di Vicenza, per un verso, richiamava il contenuto della decisione della Corte di Cassazione (Cass. Sez. I, nr. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018) che - già investita della questione a seguito di conflitto negativo sollevato dal GIP di Milano - aveva in tal senso deliberato, la trama argomentativa della quale veniva dal primo giudice puntualmente ripercorsa; per altro verso evidenziava il difetto di fatti nuovi idonei a superare tale decisione (posto che il capo di incolpazione, medio tempore, non aveva subito sostanziali modifiche), concludendo, quindi, per la vincolatività della decisione medesima. In ogni caso, sotto il secondo profilo (quello dell'infondatezza delle eccezioni di incompetenza), il tribunale respingeva le ricostruzioni difensive che individuavano in Roma il luogo di commissione del più grave reato contestato sub B1, trattandosi del luogo nel quale aveva sede la Banca d'Italia e ove, pertanto, detto istituto aveva ricevuto il rendiconto ICAAP (Internal Capital Adequacy Assessment Process), al momento della ricezione (ovvero della valutazione) del quale - sempre secondo le prospettazioni difensive -, atteso il contenuto asseritamente decettivo del documento in questione, si sarebbe verificato l'evento di ostacolo. Ciò in ragione del fatto che la falsa informazione - sub specie di "occultamento fraudolento" - contenuta in tale documento non rientrava affatto nel perimetro dell'imputazione di riferimento; imputazione che - precisava il primo giudice - circoscriveva al periodo ricompreso tra l'inizio e la fine dell'ispezione il momento di commissione delle attività di intralcio alla vigilanza. Assegnare rilievo, sul punto, all'invio del citato documento da parte del coimputato So.Sa. (posizione stralciata e giudicata separatamente), infatti, avrebbe significato modificare indebitamente il capo di imputazione (peraltro inserendovi una condotta che, nella sua materialità, sarebbe stata espressione di una differente modalità di aggressione al bene giuridico presidiato dalla fattispecie incriminatrice), con conseguente contestazione di un fatto nuovo. Più nel dettaglio il tribunale non condivideva le osservazioni difensive, le quali: - da un lato evidenziavano come il capo di imputazione sub B1, là dove faceva riferimento all'occultamento o, comunque, alla mancata comunicazione di informazioni, necessariamente ricomprendesse, tra le comunicazioni "fuorvianti", anche la suddetta comunicazione ICAAP (sulla base della quale, del resto, l'ente incaricato della vigilanza aveva determinato l'oggetto dell'attività ispettiva che di lì a poco avrebbe svolto presso la sede dell'istituto vigilato); - dall'altro lato contestavano che dall'indicazione del tempus commissi delicti siccome precisato in imputazione potessero desumersi effetti decisivi in ordine alla delimitazione del perimetro dell'imputazione, trattandosi di indicazione - espressione dell'avvenuta, censurabile selezione, da parte del P.M., di una sorta di "finestra temporale" non corrispondente alle evidenze disponibili - non certo prevalente, sempre secondo le difese, rispetto alla descrizione del fatto siccome esposto nel capo di imputazione medesimo. Ad avviso del primo giudice, invero, la prospettazione d'accusa era chiara nell'individuare l'oggetto dell'addebito nelle condotte poste in essere nel corso dell'attività ispettiva, condotte rispetto alle quali l'invio della citata comunicazione ICAAP costituiva un fatto autonomo, estraneo a quello contestato sub B1 e neppure preso in considerazione come antecedente causale delle medesime condotte incriminate. Conclusivamente, l'eccezione di incompetenza territoriale, avanzata in relazione all'asserito rilievo da assegnarsi, sul punto, alla citata comunicazione ICAAP, oltre ad essere inammissibile per difetto di sopravvenienze rilevanti ex art, 25 c.p.p. (l'addebito di riferimento essendo rimasto inalterato rispetto all'imputazione provvisoria valutata dalla citata Cass. 15537/2018), era comunque infondata. Infine, neanche poteva sostenersi la competenza territoriale dell'a.g. milanese, pure prospettata da talune difese facendo leva sulle contestazioni di falso in prospetto di cui ai capi I ed L della rubrica. Si era in presenza, infatti, di reati puniti con pena edittale inferiore rispetto a quella prevista per il reato ex art. 2638 c.c., siccome nella specie aggravato ai sensi del comma terzo. In effetti, il raddoppio delle pene previsto dall'art. 39 co. 1 L. 262/05 non poteva ritenersi applicabile alla fattispecie in esame, in quanto modificata, anche in punto di trattamento sanzionatorio, dal medesimo intervento legislativo, come arguibile dalla ratio di detto intervento, quale ricavabile tanto dal tenore della disposizione ex art. 39, co. 3 L. cit., quanto dai relativi lavori preparatori. In ogni caso - e fermo, comunque, il principio di irretrattabilità del foro commissorio sancito dall'art. 25 c.p.p., - anche i reati di cui ai predetti capi I ed L erano stati commessi in Vicenza, presso la sede della banca vicentina, all'atto della pubblicazione dei prospetti informativi, tale essendo il momento consumativo del reato (e non già in Milano, sede della CONSOB, presso la quale detti prospetti erano stati depositati per l'approvazione). Donde la conferma della competenza del tribunale berico. 1.4 Il patrimonio di vigilanza e l'acquisto di azioni proprie: quadro normativo di riferimento Il tribunale, dopo avere esplicitamente richiamato il quadro normativo in ordine alla vigilanza informativa, regolamentare ed ispettiva sul settore bancario ed avere puntualmente delineato nozione e caratteristiche del "patrimonio di vigilanza" (nella sua accezione più ampia rispetto al semplice "patrimonio aziendale", in quanto ricomprendente, oltre al capitale sociale e alle riserve, anche gli strumenti di natura non strettamente patrimoniale ma rappresentanti "canali di patrimonializzazione"), precisava come, alia stregua delle disposizioni in materia, il "patrimonio di vigilanza" dovesse necessariamente corrispondere quantomeno all'ammontare del patrimonio interno assorbito dalle attività bancarie, in ragione della funzione assegnatagli di copertura dei rischi di mercato, operativo e di credito. Quindi, richiamati gli indici di riferimento per la valutazione delia capacità degli istituti di credito di sostenere le proprie attività in presenza dei rischi tipici ed evocata, altresì, la più recente disciplina di riferimento, il primo giudice precisava come il patrimonio di vigilanza complessivo dovesse intendersi costituito dalla somma algebrica tra il "patrimonio di base o capitale di classe 1" (Tier 1) e il "patrimonio supplementare o capitale di classe 2" (Tier 2), intesi come insieme di risorse capaci di assorbire le perdite, rispettivamente, in condizioni di continuità di impresa, ovvero di stato di crisi-In un siffatto contesto - proseguiva il tribunale - l'attività di vigilanza della Banca d'Italia assolveva, tra l'altro, alla funzione di valutare se gli strumenti finanziari emessi dagli istituti di credito fossero o meno computabili come strumenti di capitale primario, con la precisazione che, tra gli strumenti destinati ad essere integralmente dedotti dal capitale primario, rientravano certamente gli investimenti in azioni proprie (ivi comprese quelle che la banca fosse stata contrattualmente obbligata ad acquistare), e questo all'evidente fine di evitare il doppio computo del capitale. Con specifico riferimento al periodo interessato dalle imputazioni (2012-2015), poi, il giudice di prime cure puntualizzava come la composizione del patrimonio di vigilanza fosse disciplinata dalle Circolari della Banca d'Italia n. 263 del 27.12.2006 e n. 155 del 18.12.1991, circolari che, identificando il patrimonio di vigilanza come la somma algebrica tra il patrimonio di base (Tier 1) e il patrimonio supplementare (Tier 2), al netto delle deduzioni, esigevano che il rapporto tra il Tier 1 ed il totale delle esposizioni creditizie ponderate non dovesse essere inferiore al 4,00% e che il patrimonio di vigilanza, inteso come la somma di patrimonio di base Ver 1 e patrimonio supplementare Tier 2, dovesse essere almeno pari all'8% delle attività ponderate per il rischio. La Circolare n. 263/2006, poi, non prevedeva alcuna autorizzazione della Banca d'Italia per la computabilità delle azioni proprie nel patrimonio di vigilanza. Inoltre, a decorrere dal 2014, la disciplina di riferimento era costituita dal regolamento UE n. 575/2013 (Capital Requirements Regulation - CRR) e dalla Circolare della Banca d'Italia n. 286 del 17 dicembre 2013, con l'effetto che alla nozione di patrimonio di vigilanza era subentrata quella di "fondi propri" (costituiti dalle tre componenti: CET1, Additional Tier 1 e Tier 2), Secondo il CRR le banche avrebbero dovuto disporre di un requisito di capitale primario di classe 1 (CET) pari al 4,5% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio, di un requisito di capitale di classe 1 (Tier 1) pari al 6% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio e, infine, di un patrimonio di vigilanza totale (patrimonio di base più patrimonio supplementare) pari all'8% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio. Ciò posto, il primo giudice, con riferimento al tema dell'acquisto delle azioni proprie da parte di un istituto di credito, richiamava i limiti progressivamente sempre più stringenti introdotti sul punto, oltre alle specifiche condizioni legittimanti le autorizzazioni in materia da parte dell'autorità di vigilanza, sottolineando come il principio dell'obbligatoria deduzione dal patrimonio di vigilanza delle azioni riacquistate fosse rimasto immutato nel tempo, trattandosi di principio (nel periodo 2006-2013 previsto dalle citate circolari della Banca d'Italia, come progressivamente aggiornate) essenziale per la tutela dei terzi, posto che, nel momento in cui la banca finanziava l'acquisto di azioni proprie, l'apporto patrimoniale era destinato ad assumere carattere fittizio, inidoneo a incrementare il patrimonio destinato alla copertura di rischi e perdite aziendali. E, in proposito, il primo giudice delineava puntualmente il regime prudenziale previsto successivamente all'1.1.2014, regime nel cui ambito rilevava anche il processo interno di autodeterminazione dell'adeguatezza patrimoniale che gli istituti di credito erano chiamati ad effettuare e di cui avrebbero dovuto comunicare gli esiti alfa Banca d'Italia attraverso una apposita comunicazione (ICAAP) - la responsabilità della quale era rimessa agli organi societari di amministrazione e di controllo - destinata ad illustrare le caratteristiche di tale processo. Era proprio il resoconto ICAAP - proseguiva il tribunale - a consentire all'organo di vigilanza di effettuare una valutazione completa (destinata a concludersi con l'attribuzione di un punteggio ricompreso tra 1 e 5) delle caratteristiche qualitative fondamentali (attraverso un'attività di supervisione denominata SREP/Supervisory Review Evaluation Process, caratterizzata anche da un confronto diretto tra organo di vigilanza ed istituto vigilato). 1.5 La ricostruzione dei fatti. 1.5.1 L'ispezione della BCE del febbraio 2015 ed i riscontri all'analisi BCE. In ordine all'ispezione BCE del febbraio 2015 - avviata dopo che una serie di evidenze (ivi compresa la pubblicazione, a ottobre del 2014, di un articolo sul quotidiano "Il Sole 24 Ore", a firma Cl.Ga., nel quale si era fatto espresso riferimento proprio al tema del finanziamento delle azioni) avevano fatto emergere come la B. avesse riacquistato azioni proprie in difetto della previa autorizzazione alla vigilanza - il Tribunale precisava che detta ispezione, svoltasi dal febbraio al luglio del 2015, aveva effettivamente dimostrato il diffuso ricorso da parte dell'istituto di credito ad operazioni di assistenza finanziaria ai soci per l'acquisto di azioni proprie; azioni che, proprio in quanto acquistate con finanziamenti concessi dall'emittente, non avrebbero dovuto essere conteggiate nel patrimonio di vigilanza (ovverosia nei "fondi propri", secondo la terminologia adottata dall'art. 28, par. 1, lett. B, CRR). Sulla base, in particolare, della puntuale deposizione dell'ispettore Em.Ga. (responsabile del team della vigilanza), il primo giudice ricostruiva dettagliatamente natura, svolgimento ed esiti dell'ispezione in questione. Ebbene, si era trattato di una ispezione sul rischio di mercato, finalizzata, nell'ordine: - a verificare eventuali fenomeni di assistenza finanziaria relativi alle operazioni di aumento di capitale; - a controllare la corretta valutazione del prezzo delle azioni; s ad analizzare, infine, le operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi sottoscritti alla fine del 2012 dalla banca vigilata. L'arco temporale di riferimento assunto dagli ispettori era stato quello tra il 1.1.2014 ed il 28.2.2015. Il c.d. "mini aucap", poi, non era stato incluso nell'accertamento perché, in tale occasione, la banca aveva effettuato operazioni dì taglio piccolo (6250 euro/100 azioni) per le quali aveva espressamente previsto la possibilità di finanziamento da parte dello stesso istituto di credito, con corretta deduzione delle azioni acquistate dal patrimonio di vigilanza. Per il mercato secondario, poi, erano state analizzate tutte le operazioni per un controvalore superiore ai 250.000 euro. Quanto alla metodologia operativa seguita per intercettare le operazioni di capitale finanziato erano stati adottati criteri dì tipo quantitativo e qualitativo. Sotto il primo profilo erano state tracciate le operazioni caratterizzate da "una relazione forte" tra ammontare finanziato e sottoscritto (nel senso che il "finanziato" avrebbe dovuto essere superiore al "sottoscritto", sia con riferimento alle operazioni "full", ovverosia quelle in cui l'intero finanziamento era stato utilizzato per l'acquisto delle azioni; sia a quelle cc.dd. "fifty-fifty", ovverosia nelle quali solo una parte del finanziamento era stato impiegato per l'acquisto dei titoli). In ordine al dato temporale erano stati analizzati, in relazione al mercato primario, solo i finanziamenti concessi nel "periodo sospetto", ricompreso tra la data di inizio del collocamento e il giorno della consegna del titolo al cliente (c.d. delivery date), pari a circa tre mesi. Diversamente, in ordine al mercato secondario, erano state analizzate tutte le operazioni di acquisto in cui i finanziamenti erano stati erogati nei tre mesi antecedenti (posto che dai colloqui avuti con Se.Ro., addetto all'ufficio soci, gli ispettori avevano appreso che la tempistica media seguita dalla banca per evadere un ordine di acquisto di azioni non superava, per t'appunto, ì 90 giorni circa). In ogni caso - precisava il tribunale - gli ispettori avevano verificato che, generalmente, ì finanziamenti erano risultati concessi pochi giorni prima dell'esecuzione dell'ordine di acquisto. Altri elementi considerati ai fini ispettivi erano stati l'analisi dei conti, quasi tutti caratterizzati da bassissima operatività, nonché la valutazione delle P.E.F., (ovverosia le pratiche elettroniche di fido), risultate costantemente connotate dall'indicazione di causali estremamente generiche e ripetitive e, pertanto, ritenute sintomatiche di "operazioni eccentriche". Inoltre, anche la circostanza che le operazioni fossero "operazioni in bianco" (ovverosia prive di garanzia) costituiva una prassi anomala rispetto ai normali standard creditizi di sana e prudente gestione del portafogli creditizio di una banca. Quindi, con specifico riferimento agli esiti dell'ispezione, il tribunale illustrava le seguenti evidenze: a) l'esistenza di capitale finanziato per un importo complessivo di 506 milioni, capitale che, proprio in quanto oggetto di finanziamento, avrebbe dovuto essere detratto dal patrimonio di vigilanza; b) il rilascio di lettere di impegno collegate ad acquisti sul mercato secondario (peraltro non registrate nella contabilità aziendale né rappresentate nei documenti di bilancio) con le quali l'istituto si era vincolato al rimborso del capitale investito dagli azionisti nella banca, A fine ispezione, in relazione a tali lettere di impegno (la scoperta delle quali - precisava il tribunale sulla scorta della deposizione del teste Em.Ga. - aveva rappresentato un vero e proprio punto di svolta nell'ispezione, trattandosi della prova documentale della consapevolezza, da parte del management, del carattere finanziato dell'acquisto delle azioni), l'istituto era stato costretto a dedurre dal CET 1 circa 21 milioni di euro; c) il fenomeno degli storni di interessi alla clientela fonde tenerla indenne dei costi derivanti dal finanziamento correlato all'acquisto delle azioni). In alcuni casi si era trattato di storni non "baciati" da finanziamenti e, pertanto, sintomatici di un comportamento concludente dell'azienda finalizzato a riconoscere al cliente un corrispettivo per il possesso delle azioni, con conseguente accrescimento dei rischi legale e reputazionale a carico dell'azienda medesima. Peraltro la pratica degli "storni" aveva generato un vincolo sul rendimento delle azioni tale da precluderne la computabilità nel patrimonio di vigilanza; d) la sopravvalutazione del valore dell'azione, valore deciso a monte dal CdA senza considerare i dati fondamentali dell'azienda sotto il profilo economico-patrimoniale; profilo, in effetti, caratterizzato da risultati economici modesti; e) lo squilibrio del mercato secondario delle azioni, in quanto connotato da una marcata asimmetria tra ordini di acquisto e ordini di vendita (572,5 milioni contro 1.000.000,000, nel periodo gennaio 2013 - dicembre 2014); asimmetria, peraltro, risultata all'origine proprio del ricorso al capitale finanziato, quale strumento per contrastare l'illiquidità del titolo; f) l'investimento per euro 350,000.000 nei fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" ad esposizione sconosciuta, effettuato in modo non prudente né trasparente. Si trattava, in effetti, di fondi ad esposizione non comunicata, dei quali, sostanzialmente, B. era sottoscrittore unico (sicché, più che di fondi, si era in presenza di una gestione patrimoniale delle risorse dell'istituto di credito). Né i dirigenti della banca avevano fornito delucidazioni agli ispettori sulla natura degli investimenti in detti fondi se non a seguito della comunicazione che la mancata disclosure avrebbe comportato lo scomputo dell'intero importo di 350 milioni di euro dal patrimonio di vigilanza. Solo a quel punto, infatti, erano stati comunicati gli investimenti sottostanti ed era così emerso non solo che detti fondi avevano investito in asset in buona parte legati allo stesso istituto di credito ma, soprattutto, che i fondi medesimi erano stati lo strumento utilizzato per l'acquisto di azioni proprie, nel 2012, per un importo di 60 milioni di euro (in luogo di quello dichiarato di 54 milioni circa), titoli poi dismessi al 31 dicembre del 2014; g) l'esistenza della società di diritto irlandese B.Fi., utilizzata anche per alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato (operazioni relative, segnatamente: a) alla campagna "svuota fondo" 2012, tradottasi nell'acquisto dì azioni proprie, per il valore complessivo di 30 milioni di euro, per il tramite delie società italiane denominate Pe., Gi. e Lu., all'uopo provviste del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate da B.Fi.; b) alla dismissione delle azioni proprie detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" ed "(...)" ed acquistate, per una rilevante percentuale, dalla società So. Ltd. a mezzo di un finanziamento erogatole dalla predetta società di diritto irlandese B.Fi.). In definitiva - precisava il primo giudice - gli esiti cui era pervenuta l'attività ispettiva avevano generato un impatto deflagrante sul patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito, comportandone la riduzione per un valore di 607 milioni di euro (come da tabella riassuntiva riportata a pag. 288 della sentenza impugnata). Ne era seguita la predisposizione di un radicale piano di rafforzamento del capitale, onde consentire alla banca di rientrare immediatamente nei parametri richiesti dalla BCE. Nondimeno, nel prosieguo, la verificata impraticabilità degli interventi necessari a ripristinare la corretta operatività dell'istituto ne aveva imposto la liquidazione coatta amministrativa. Quindi, in ordine alla capacità probatoria da riconoscersi, nei limiti delineati dalla giurisprudenza di legittimità, agli accertamenti ispettivi, il tribunale precisava che tale capacità derivava, segnatamente, dalla competenza del personale dell'organo di vigilanza; dalla imparzialità propria dì tale organo (le cui valutazioni, del resto, avevano determinato un nuovo assetto di governance dell'istituto di credito); dalla coerenza, infine, tra gli esiti dell'ispezione e quanto verificato dai consulenti del P.M.. Peraltro anche il dott. Fe.Pa., consulente della difesa dell'imputato PE., aveva rimarcato il carattere "profondamente innovativo" e metodologicamente "ineccepibile" dei criteri seguiti dal team ispettivo nel corso della vigilanza, sottolineando anche la natura prudenziale dell'accertamento (sottostimato) che ne era derivato in punto di quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre - precisava il tribunale - numerosi erano stati i riscontri all'analisi della BCE. Trattavasi: a) dello squilibrio del mercato secondario, siccome manifestatosi a partire dal 2011 (squilibrio che, in difetto del ricorso al finanziamento delle azioni, avrebbe portato al "blocco della liquidità" già dal secondo trimestre del 2012; b) delle dichiarazioni di numerosi esponenti del management aziendale (segnatamente: i testi Fi.Ro., responsabile dell'Ufficio Soci, e Se.Ro., addetto allo stesso Ufficio Soci, i quali avevano rievocato l'incremento della richiesta di vendita delle azioni a partire dagli anni 2011/2012 e l'abbandono del relativo criterio cronologico a decorrere dallo stesso 2011; il teste Co.Tu., il quale aveva riferito che già dal 2009 erano state effettuate "operazioni svuota fondo" - rivolte cioè ad azzerare il fondo acquisto azioni proprie della banca - a ridosso della fine dell'anno per abbellire il bilancio; il teste Ma.Ba., il quale aveva dichiarato che dalla metà del 2011 aveva iniziato a sentire parlare di "operazioni K", finanziamenti correlati e operazioni c.d. "baciate" nel corso delle riunioni della Divisione Mercati con i capi area; l'ex direttore generale dal 2001 al 2005 e dal 2008 all'ottobre 2011, Di.Gr., il quale aveva confermato le tensioni sul mercato a causa della scarsità di domande di acquisto delle azioni, tensioni da lui fronteggiate rivolgendosi a investitori istituzionali che avevano comprato azioni B. con intesa verbale di riacquisto); c) degli appunti del segretario generale Ma.So. relativi alle operazioni c.d. "baciate", dal medesimo teste definite come operazioni sulle quali, dietro indicazione dei vertici aziendali, occorreva "spingere" per aumentare il capitale; d) degli ulteriori riscontri documentali in ordine all'andamento asimmetrico del mercato secondario (in particolare la e-mail di cui al documento nr. 166 e l'appunto di cui al documento 881 prodotti dal P.M. - cfr. pag. 304 della sentenza impugnata); e) delle attività "svuota fondo", attuate anche attraverso le operazioni c.d. "baciate" (per un importo stimato dai CCTT del P.M., con riferimento all'anno 2012, pari a 287 milioni di euro), delle quali avevano complessivamente riferito svariati testi (segnatamente i testi Fi.Ro., En.Da., Gi.Ca., Ma.Ba., Co.Tu. e Fr.Pi.); f) delle stesse dichiarazioni rese, nel corso del suo esame, dall'imputato Gi.Zi. (il quale aveva riferito che alla fine del 2012, attraverso la sua società Ze. s.r.l. aveva acquistato azioni dell'istituto di credito per "dare una mano alla banca" e consentire lo sblocco di richieste di vendita inevase); g) della ricostruzione del fenomeno del capitale finanziato siccome effettuata dall'Internal audit (e compendiata nel documento nr. 22 prodotto dal P.M.); h) delle dichiarazioni dibattimentali del teste Ro.Ri., gestore private di Contrà Porti (il quale aveva riferito delle modalità di attuazione delle operazioni più consistenti di capitale finanziato - i cc.dd. "big ticket" -caratterizzate da un arco temporale ristretto di 6/12 mesi e dalla corresponsione di un compenso variabile tra lo 0,50% e il 2%); i) delle articolate modalità di occultamento delle operazioni correlate, costituite, segnatamente: dal divieto di comunicazioni scritte (come riferito dai testi Co.Tu., Al.Cu. e Gi.Gi.; il teste Fr.Te., dal canto suo, aveva parlato di un eccesso di riservatezza al riguardo); dall'utilizzo di formule generiche nelle causali degli affidamenti (in particolare "cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare e/o immobiliare") tali da occultare all'esterno - ma, al contempo, da rendere immediatamente riconoscibili all'interno - le operazioni correlate; dal distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni; dalla cura prestata nell'evitare l'assoluta coincidenza di importo tra finanziamento ed azioni acquistate; e, infine, dall'inserimento nel portafoglio titoli dei clienti anche di azioni diverse; j) dell'esistenza delle lettere di impegno (l'Internal audit ne aveva censite in numero di 65); k) degli "storni" di interessi, siccome verificati anche dalle attività di audit (il documento richiamato era quello nr. 18 della produzione del P.M.) e oggetto di deposizione testimoniale (segnatamente, le deposizioni di Da.Es., funzionario addetto al "Risk Management", nonché quelle di Co.Tu., di Gi.Ca. e di Lu.Ve.); l) delle modalità seguite per il collocamento delle azioni quali evidenziate, ancora, dalla relazione di audit (modalità costituite: dall'acquisto con mezzi propri a fronte della promessa di una remunerazione proveniente dal pagamento dei dividendi, associata all'eventuale plusvalenza del prezzo dell'azione con eventuali scostamenti compensati attraverso storni di competenze non giustificati; dall'acquisto con mezzi propri di azioni B. per circa il 50% dell'importo disponibile e sottoscrizione per la parte rimanente di un time deposit a tasso di favore, in linea di massima del 4%, acquisto, questo, proposto a partire dal 2013; da finanziamenti "baciati" con storno competenze/spese e rendimento garantito, con durata, in genere, di 6/12 mesi; da fidi per "operazioni K" concessi a clienti cui era proposto un affidamento per ragioni proprie del cliente e con erogazione condizionata alla sottoscrizione di almeno il 10% dell'operazione per acquisto di azioni proprie; operazione, questa, poi estesa anche alle posizioni con fidi a revoca da revisionare su clienti individuati in tabulati forniti dalla Divisione Mercati; dall'acquisto di azioni proprie proposto in occasione di affidamenti su clientela con rating compreso tra 1 e 5 per il retati (ovverosia per i singoli clienti) e tra 1 e 6 per il corporate (ovverosia per le imprese); m) dei riscontri dibattimentali in ordine alla prassi adottata dai vertici dell'istituto per dare attuazione alle operazioni correlate con l'obiettivo di raggiungere, sia in occasione dei nuovi finanziamenti che nelle procedure di rinnovo, il rapporto del 10% tra il capitale sottoscritto e l'importo erogato. Dalle dichiarazioni dei testi, invero, era emersa la forte pressione praticata sulla rete aziendale per la conclusione delle operazioni "baciate" (deposizioni Al.Ba., Gi.Gi., Co.Tu., Ma.Ni., Di.Ip., Al.Cu.) al punto tale che alcuni collaboratori, come i private banker An.Vi. e Fr.Te., avevano rassegnato le dimissioni (il Te. proprio sul rilievo della contrarietà etica rispetto alle operazioni di capitale finanziato). Il verbale di conciliazione successivo alle dimissioni del Te., peraltro, aveva previsto l'inserimento di una clausola di riservatezza. Anche i bollettini sindacali acquisti nel corso del dibattimento, infine, avevano comprovato, così come le e-mail parimenti acquisite, le pressioni per il raggiungimento degli obiettivi di capitale assegnati (cfr. pagg. 317-318 della sentenza); n) delle dichiarazioni dibattimentali rese da clienti di rilievo (cfr. dep. Lo., Fe., Mo., Ro., To., Ti., Ma., Ca., Ma., Br., Ca., Gi. e Si.Ra.) che avevano concluso le operazioni aventi ad oggetto i "big ticket', là dove costoro avevano concordemente delineato lo schema operativo di riferimento (operazione a termine/apertura conto corrente dedicato/remunerazione variabile tra lo 0,5% e l'1%); o) delle dichiarazioni rese dall'ispettore Gi.Ma. (confermate dalla testimonianza del direttore regionale B. della Lombardia, della Liguria e del Piemonte, Gi.Gi. e dal direttore di B.Fi. Pi.Ra.) con specifico riferimento alle modalità operative seguite per realizzare lo "svuota fondo" del 2012 attraverso la società controllata irlandese B.Fi. per il tramite delle tre società italiane Pe., Lu. e Gi., all'uopo provviste -come detto sopra - del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate, per l'appunto, da B.Fi.; p) dell'operazione di acquisto di un'importante frazione delle azioni B. già detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", effettuata dalla società So. Ltd. per l'importo di 25 milioni di euro, secondo quanto emerso dalle stesse risultanze delle attività di revisione interna nonché dal contenuto delle deposizioni dibattimentali, ivi compresa quella di Iorio Francesco, amministratore delegato e d.g. di B. dal 1.6.2015 al 4,12,2016; questi aveva confermato come, di fatto, i suddetti fondi esteri fossero stati utilizzati sia per acquistare in origine azioni della banca sia per effettuare investimenti in società riconducibili a soggetti già finanziati dall'istituto (investimenti, questi ultimi, che, generando un rischio aggiuntivo, avrebbero imposto che fosse seguito un iter autorizzativo ben diverso, con competenza al rilascio del benestare da parte del CdA - cfr. pagine 325-329 della sentenza); q) delle dimissioni del private banker An.Vi., generate dalle pressioni ricevute per concludere le operazioni "baciate" e dall'atteggiamento dilatorio assunto dal d.g. Sa.So. a seguito delle conseguenti richieste di approfondimento della vicenda provenienti dal responsabile dell'audit Ma.Bo. (cfr. deposizione Vi. e documentazione di riferimento); r) della denunzia del fenomeno degli acquisti correlati effettuata, nel corso dell'assemblea del 26 Aprile 2014, dal socio Ma.Da. e della conseguente inerzia degli organi societari; s) delle anomalie riscontrate in occasione della revisione legale del bilancio della banca da parte della società K. in punto di adeguatezza patrimoniale con particolare riferimento alle operazioni fatte in contestualità, anomalie che avevano indotto la responsabile dell'ufficio legale interno a sollecitare l'esecuzione di un apposito audit ottenendo, tuttavia, un fermo diniego da parte del d.g. So. e di Pi.An., responsabile della Divisione Finanza (il quale ultimo aveva replicato: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa" - cfr. deposizione An.Pa., responsabile dell'ufficio legale interno); t) del contenuto del file audio (ritenuto dal tribunale utilizzabile, trattandosi di documento registrato dagli addetti informatici a ciò deputati e non già di abusiva registrazione effettuata da ignoti, donde il rigetto della relativa eccezione avanzata dal difensore dell'imputato MA.) inerente allo svolgimento dei lavori del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Tale registrazione aveva inequivocabilmente documentato tanto l'esistenza del fenomeno delle operazioni "baciate" quanto l'approntamento di strategie per occultare tale fenomeno alla vigilanza (cfr. pagg. 335-336 della sentenza); u) dell'allestimento della "Task Force gestione soci" che, nelle intenzioni dei vertici della banca, avrebbe dovuto approntare, in extremis, una strategia difensiva in relazione ai diversi profili di irregolarità emersi nel corso degli accertamenti ispettivi e favorire l'assunzione di una posizione comune a fronte delle sempre più pressanti richieste da parte dei clienti, dei reclami relativi al deprezzamento delle azioni e del rischio di fuga dei correntisti. Era stata proprio la questione, emersa sin dalle prime interlocuzioni, del fenomeno del capitale finanziato, peraltro di dimensioni notevolissime (pari a un miliardo di euro, secondo il teste Ma.Li.) che, di fatto, aveva impedito alla Task Force di esplicare qualsivoglia concreta attività (cfr. deposizione del teste Gi.Am.; e-mail di cui ai documenti nn.ri 525, 528 del P.M:); v) della quantificazione del capitale finanziato chef determinata dall'audit interno, su incarico BCE, nella misura di euro 941.335.883 e riferita a nr. 917 posizioni correlate, era poi stata fissata dalla società Er. (all'esito di una accurata ricostruzione del fenomeno, a partire dall'anno 2008, che aveva visto coinvolti il personale della Divisione Mercati ed i singoli capi area, questi ultimi richiesti di confermare/integrare i dati che andavano emergendo) nella misura di euro 1.086.892.062; w) della relazione redatta ex art. 33 l.f. dai commissari giudiziali che avevano individuato le cause del dissesto dell'istituto di credito, segnatamente: nella fissazione di un prezzo delle azioni sovrastimato (anche a causa della predisposizione di piani economico-finanziari mirabolanti, se non addirittura fantasiosi e per l'effetto dell'ausilio di professionisti incuranti dei dati utilizzati per le loro stime e valutazioni); nel massiccio ricorso alle operazioni correlate; nell'effettuazione di operazioni non strettamente riconducibili all'attività di erogazione del credito alla clientela bensì consistenti in investimenti in altre società, partecipazioni, ovvero in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) quali i fondi lussemburghesi (che avevano anche agito da "società veicolo" per operazioni "back to back") e, quindi, in definitiva, in operazioni eccessivamente speculative, rischiose o addirittura illecite; nella continua pratica di sollecitare il mercato azionario stimolando gli acquisti di azioni proprie grazie ai finanziamenti correlati, occultando le perdite e sovrastimando i titoli; e, infine, nella decisione di celare il continuo peggioramento della qualità del credito attraverso la sottostima delle rettifiche e l'occultamento delle perdite a bilancio. 1.5.2 La consulenza tecnica dei P.M. Assoluto rilievo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato agli esiti della consulenza tecnica disposta - nel corso delle indagini - dagli inquirenti. In particolare i consulenti dott.ssa La.Ca. e prof. Ro.Ta., all'esito di una valutazione analitica della documentazione a disposizione riferibile a ciascuno dei 965 clienti che erano stati segnatati per avere operato tramite finanziamento - valutazione, peraltro, fondata sull'adozione di un approccio prudenziale (caratterizzato, per evitare duplicazioni nel caso di finanziamenti indiretti, dall'attribuzione all'organo deliberante il finanziamento del controvalore di uno solo degli acquisti) - avevano evidenziato: con riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati (quesito nr. 1): - che dei 965 clienti segnalati solamente 91 non erano stati finanziati da B., sicché le posizioni finanziate erano pari a nr. 874; - che l'ammontare degli acquisti finanziati era pari a complessivi 1.031,6 milioni di euro (per un totale di azioni B. acquistate tramite finanziamento pari a 15.426.391), di cui euro 963 milioni riferiti ad acquisti di azioni B. ed euro 68 milioni riferiti a sottoscrizioni di prestito obbligazionario convertibile; - che la quota prevalente degli acquisti era riferibile a operazioni finanziate da B. (essendo imputabili alle controllate B.Fi. e Ba.Nu., rispettivamente, acquisti per euro 55,4 milioni e per euro 5,2 milioni); - che, quanto all'aumento di 506 milioni di euro di capitale effettuato nel 2013, la banca aveva finanziato il 28% dell'operazione, per un valore complessivo di euro 143 milioni; - che, quanto all'aumento di capitale nell'anno 2014 per euro 607,8 milioni, l'ammontare finanziato era stato di 136 milioni (pari al 22%); - che nel 64% degli acquisti il rapporto tra finanziamento e acquisto delle azioni era risultato pari o superiore al 90%; - che, quanto all'ammontare del valore dei titoli suddiviso per ciascun organo deliberante in relazione al periodo oggetto di indagine (30.6.2012-31-3.2015), al CdA andava "attribuito" un valore di euro 414.193.319 (pari al 35% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al Comitato Crediti un valore di euro 160-029.069 (pari al 13% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile Divisione Crediti, Ma.Pa., un valore di euro 108.418.754 (pari al 9% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile della Divisione Mercati, Gi.Em., un valore di euro 32.941.194; al Comitato Esecutivo un valore di euro 63.196.606; al Comitato Centrale Fidi, infine, un valore di euro 49.936.575; con riferimento al fenomeno della vendita delle azioni con patto di riacquisto (quesito nr. 2): - che tale fenomeno si era concretizzato nel rilascio di lettere in favore di 14 azionisti, trattandosi dei soggetti nei confronti dei quali la banca si era incontrovertibilmente impegnata al riacquisto delle azioni, il tutto per un valore complessivo di 46,6 milioni di euro (le restanti lettere non erano state prudenzialmente considerate in quanto contenenti un impegno "più debole", ovvero perché mai consegnate agli azionisti); con riferimento alla determinazione del patrimonio di vigilanza e del livello dei coefficienti patrimoniali prudenziali (quesito nr. 3) : - che, doverosamente detratti dall'ammontare del patrimonio di vigilanza (ovvero dall'ammontare dei "fondi propri", secondo la terminologia introdotta dal CRR), quale comunicato dalla Banca all'organo di vigilanza, tanto l'importo complessivo degli acquisti di azioni B. effettuati dai clienti considerati finanziati, quanto l'ammontare degli impegni al riacquisto di azioni ritenuti effettivamente vincolanti e prudenzialmente diminuite anche le attività ponderate per il rischio (RWA) del medesimo ammontare (sul rilievo che le operazioni di finanziamento non sarebbero state ragionevolmente poste in essere se non per il raggiungimento dello scopo in questione), la differenza tra il Total Capital Ratio comunicato e quello rettificato andava da un minimo di 1,16% a un massimo del 3,4% (31.3.2015). Inoltre: il CET 1 ratio rettificato al 31.3.2014 (6,63%) ed al 30.6.2014 (6,24%) si attestava a un livello inferiore alla soglia minima regolamentare del 7%; il Tier 1 Ratio rettificato si attestava ad un livello inferiore rispetto alla soglia target comunicata alla Banca d'Italia, pari all'8%, per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013 (valore minimo 6,32%, valore massimo 7,34%); per il Total Capital Ratio, infine, il dato rettificato al 31.3.2014 (8,51%), al 30.6.2014 (7,94%), al 30.9.2014 (9,57%), al 31,12.2014 (8,47%) e, infine, al 31,3,2015 (8,51%), si posizionava costantemente sotto la soglia minima regolamentare del 10,5%. con riferimento all'effetto distorsivo del fenomeno di assistenza finanziaria all'acquisto di azioni sul funzionamento ed andamento del mercato secondario (quesito nr. 5): - che il fenomeno del ricorso al capitale finanziato - risultato massiccio in coincidenza della fine dell'anno, con conseguenti, repentine diminuzioni del fondo acquisto azioni proprie - aveva comportato una profonda distorsione del mercato. In effetti la dettagliata ricostruzione delle dinamiche di acquisto dei titoli sul mercato secondario aveva reso evidente come il ricorso ai finanziamenti degli acquisti di azioni avesse consentito alla banca di mantenere il funzionamento del mercato secondario solo fino al 2012, A partire dall'anno successivo, infatti, l'istituto non era più stato in grado di garantire la liquidità del titolo; con riferimento alla stima del valore dell'azione (quesito nr. 4): - che il prof. Ma.Bi. (l'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) aveva basato il suo giudizio sui criteri, rispettivamente, reddituale (c.d. Income Approach), di mercato (c.d. Market Approach) e del costo (c.d. Cost Approach). Il CdA dell'istituto, dal canto suo, nel determinare il valore del titolo aveva assegnato rilievo pressoché esclusivo al criterio reddituale (Income Approach). Peraltro, l'assemblea, nel triennio di riferimento, aveva approvato il valore dell'azione allineandosi al valore massimo calcolato dal predetto professionista con riferimento al parametro in questione. Ebbene, l'approccio del prof. Bi. non era condivisibile in quanto non conforme alle raccomandazioni della dottrina e della prassi professionale, avendo comportato una sopravvalutazione del capitale economico di B. nel periodo 31.12.2012 - 31.12.2013. Quanto all'anno successivo, sebbene il professionista avesse preso atto di una riduzione del valore del titolo, si era comunque in presenza di una sovrastima dell'azione, in considerazione degli effettivi risultati economici consuntivi dell'attività dell'istituto e del marcato disallineamento con le quotazioni di borsa delle principali banche italiane. Pertanto, doverosamente considerato il fenomeno del capitale finanziato, era stato necessario procedere ad effettuare una nuova stima del capitale economico della banca e, quindi, del valore delle azioni, sia non rettificando gli RWA sia operando tale rettifica (ricostruzione, quest'ultima, più favorevole agli imputati). Il risultato era stato, in entrambi i casi, quello di una significativa riduzione di valore del titolo, stimato nei seguenti termini: al 31.12.2012 tra euro 21,94 e euro 22,49 (a fronte dì un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 55,77 euro e 56,31 euro); al 31.12.2013 tra euro 26,78 ed euro 27,45 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 54,40 e 55,05 euro); al 31.12.2014 tra euro 23,87 ed euro 24,94 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 41,68 euro e 42,70 euro). In definitiva, secondo il tribunale, i consulenti del P.M., avevano compiuto una ricostruzione dei fenomeni analizzati esaustiva e affidabile in quanto espressione di metodologia ispirata a prudenza; ricostruzione, peraltro, significativamente coerente con il perimetro già tracciato dagli ispettori BCE. In particolare ì consulenti avevano verificato che gli acquisti di azioni e obbligazioni fossero avvenuti attingendo, in tutto o in parte, a risorse fornite dalla banca mediante un nuovo affidamento concesso prima dell'operazione, ovvero mediante l'impiego di eventuali preesistenti erogazioni non ancora utilizzate. Inoltre avevano rispettato la normativa prudenziale in materia. In particolare la riprova dello scrupolo che aveva guidato l'azione dei consulenti era costituita dal fatto che i predetti avessero espunto ben 91 posizioni rispetto al numero di operazioni finanziate originariamente individuati dall'Internai audit. La diversa quantificazione del capitale finanziato compiuta dagli ispettori BCE, poi, era essenzialmente dipesa dal differente arco temporale oggetto di verifica (sul punto il tribunale, a pagina 380 della sentenza, riportava una tabella sinottica). Gli esiti di consulenza, inoltre, erano risultati coerenti con il materiale probatorio acquisito, non solo di tipo testimoniale ma anche documentale (davvero inequivoco, sul punto, ad avviso del primo giudice, era il contenuto della registrazione audio della seduta del Comitato di Direzione del 10 novembre 2014, là dove il d.g. So. aveva affermato espressamente "...abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare..."). Né, del resto, i consulenti delle difese avevano proposto una quantificazione alternativa del fenomeno del capitale finanziato in esame, sostanzialmente essendosi limitati a sostenere come i cc.tt. del P.M. avessero effettuato una stima in eccesso. Per converso emergevano dati inequivoci del fatto che si fosse trattato di una stima prudenziale, attuata per difetto. A riscontro di ciò il Tribunale richiamava la vicenda dell'operazione finanziata conclusa con la El. (operazione avente un valore, ad avviso dei consulenti, di 17 milioni di euro ma ammontante, secondo il teste Pi.Ca., a ben 20 milioni di euro). Infine, neppure le ulteriori censure difensive erano fondate ad avviso del primo giudice. In particolare, nella prospettiva del tribunale, era errata la tesi secondo la quale l'obbligo di detrazione dal capitale di vigilanza avrebbe presupposto l'esistenza di un "nesso teleologico" tra il finanziamento erogato e l'acquisto delle azioni (tesi che i consulenti delle difese ZO. e ZI. ancoravano alla circolare n. 263/2006 della Banca d'Italia). In effetti la ratio della normativa prudenziale - precisava il primo giudice - era quella di tutelare l'effettiva integrità del patrimonio aziendale, sicché non era affatto sostenibile un'interpretazione tale da rimettere alla volontà dei contraenti l'individuazione delie operazioni di finanziamento destinate all'acquisto delle azioni, esponendo a scontate elusioni le regole poste a presidio dell'integrità del patrimonio dì vigilanza. In realtà tutta la normativa di riferimento (a partire dalla circolare di Banca d'Italia n. 155/91 fino al Regolamento UE 575/13 e, ancora, al Regolamento UE 241/14) assegnava rilievo unicamente al dato oggettivo dell'utilizzo del finanziamento per l'acquisto delle azioni. Parimenti oggettivi, del resto, erano i criteri di cui alla circolare n. 263/2006 evocata dalle difese (contenente, sul punto, disposizioni che suggerivano di porre a confronto elementi meramente oggettivi, quali il dato temporale dell'erogazione del finanziamento e quello dell'acquisto delle azioni, nonché i relativi importi, senza assegnare rilievo alcuno alla finalità perseguita dalle parti). Anche l'ulteriore prospettazione difensiva secondo cui la deduzione del valore del finanziamento dal patrimonio di vigilanza non si sarebbe dovuta effettuare con riferimento all'acquisto di azioni sul mercato secondario (in quanto, in tal caso, la banca, avendo finanziato un cliente dotato di merito creditizio, non si sarebbe esposta al rischio di impresa) era destituita di fondamento. Questo non solo per l'assenza di un regime differenziato (tanto nella normativa comunitaria quanto in quella nazionale) con riferimento agli acquisti sul mercato primario, ovvero secondario, ma, soprattutto, per ragioni logiche. Anche in caso di acquisto di azioni proprie sul mercato secondario, infatti, l'omessa decurtazione del valore delle azioni dal patrimonio di vigilanza avrebbe determinato l'effetto distorsivo di annacquamento di tale presidio di garanzia. Senza considerare, poi, che subordinare alla ponderazione del merito creditizio la computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza avrebbe significato, in ultima analisi, rimettere a valutazioni discrezionali l'effettiva entità del patrimonio di vigilanza medesimo. Infine, nella prospettiva del primo giudice, neppure la censura relativa alla mancata specifica considerazione - nel valutare l'esistenza di operazioni correlate - del fattore temporale coglieva nel segno. Questo, solo a considerare il fatto che larghissima parte (circa l'86%) degli acquisti di azioni che, secondo i consulenti del P.M., erano stati finanziati aveva avuto luogo entro novanta giorni dal finanziamento. Conclusivamente, le stime effettuate dai predetti consulenti erano affidabili e semmai peccavano per difetto piuttosto che per eccesso nella quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. 1.6 Il reato di aggiotaggio Il tribunale di Vicenza riteneva provata la commissione di una pluralità di reati di aggiotaggio, posti in essere tra l'anno 2012 e l'anno 2015 e concretizzatisi: - nella sistematica concessione di assistenza finanziaria per l'acquisto e la sottoscrizione di azioni della banca onde determinare l'apparenza di liquidità del titolo; nell'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo delle azioni finanziate; e, infine, nella mancata comunicazione all'esperto incaricato di stimare il sovrapprezzo delle azioni B. dell'esistenza della prassi del capitale finanziato (aggiotaggio manipolativo): - nella diffusione di mendaci informazioni relative all'entità del patrimonio societario, alla solidità patrimoniale della banca, alla crescita della compagine sociale e al buon esito delle operazioni di aumento di capitale (aggiotaggio informativo. In particolare, dopo una accurata ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, il tribunale, quanto all'ipotesi di "aggiotaggio manipolativo", indicava come simulate le sistematiche operazioni di capitale finanziato effettuate, trattandosi di operazioni, per l'appunto, di natura simulata o, comunque, artificiosa. Simulata, più precisamente, doveva ritenersi tale natura con riferimento alle operazioni di finanziamento per importi corrispondenti al valore delle azioni e caratterizzate non già dal rimborso del finanziamento da parte del cliente bensì dall'impegno (orale, ovvero assunto per iscritto) al riacquisto delle azioni stesse da parte della banca, senza costi per il cliente (e talvolta con un rendimento garantito), essendosi in presenza, in tal caso, di un mutamento solo apparente della titolarità delle azioni, in realtà sempre rimaste nella proprietà della banca (con conseguente rischio derivante dalla fluttuazione del valore del titolo non già in capo al cliente, ma all'istituto di credito), donde una radicale estraneità di siffatte operazioni rispetto all'ipotesi ex art. 2358 c.c.. Analogamente simulate erano anche le operazioni di acquisto di azioni proprie effettuate tramite i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", trattandosi - di fatto - di una gestione patrimoniale di risorse interne, attuata al solo fine di svuotare il "fondo acquisto azioni proprie". Artificiosa, con riferimento alle altre operazioni di capitale finanziato, doveva ritenersi la loro natura sia quanto allo scopo (costituito, al solito, dal finanziamento dell'acquisto con risorse della banca) sia quanto alle modalità di gestione del trattamento contabile (in ragione dell'omessa appostazione a riserva del controvalore, dell'omessa decurtazione del patrimonio di vigilanza ed anche dell'occultamento al mercato), il tutto al fine di fare apparire tali acquisti come espressione della dinamica fisiologica di un attivo mercato secondario. Peraltro - precisava il tribunale - era emersa la mancata comunicazione al prof. Bi. (ovverosia all'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie, con l'effetto che detta stima (come, del resto, precisato dallo stesso Bi.) ne era risultata pesantemente condizionata (cfr. pagg. 419-422 della sentenza). Quanto, poi, agli addebiti di "aggiotaggio informativo" costituiti dalla diffusione di notizie false, si trattava - secondo la valutazione del primo giudice, pienamente adesiva, anche sul punto, rispetto all'impostazione d'accusa - di informazioni comunicate con una pluralità di mezzi che, per diffusività e platea dei destinatari di riferimento, erano obiettivamente risultate idonee a raggiungere praticamente tutte le tipologie di operatori. Più nel dettaglio, la falsità era risultata effettivamente attinente: - ai bilanci d'esercizio al 31.12.2012, al 31.12.2013 ed al 31.12.2014, stante la mancata iscrizione di una quota di riserva pari al valore delle azioni proprie; -ai comunicati stampa (taluni dei quali - quelli emessi ex art. 114 TUF - valevoli anche come comunicazioni al pubblico) dell'8.8.2012 diffuso ex art. 114 D.L.vo 58/98 (ove si evidenziavano, in particolare, valori falsati quanto alla solidità patrimoniale del gruppo e al miglioramento della liquidità strutturale, il tutto in un contesto nel quale si rimarcavano l'espansione della rete di vendita, l'incremento della clientela e l'aumento della compagine sociale); del 19.3.2013 (nel quale, comunicandosi i risultati del bilancio di esercizio e consolidato al 31.12.2012, si evidenziavano "Il rafforzamento della posizione di liquidità" e "l'ulteriore incremento della solidità patrimoniale" e si riportava l'entusiastico messaggio del presidente ZO.); del 27.4.2013 (di comunicazione del risultato del bilancio al 31.12.2012, nel quale si sottolineava la stabilità del valore dell'azione a 62,50 euro sulla base di un'approfondita perizia formulata da un autorevole consulente esterno", si riportava l'apprezzamento dell'assemblea per i risultati positivi conseguiti dalla banca e, ancora, si citava il giudizio lusinghiero del presidente ZO.); del 27.8.2013 (significativamente dedicato alla comunicazione del "miglioramento della gestione operativa" e del significativo rafforzamento patrimoniale", per effetto della positiva conclusione dell'operazione di raccolta di ingenti risorse, in ragione di un consistente aumento di capitale e di una altrettanto consistente raccolta di ben 253 milioni di prestito convertibile, comunicandosi che l'istituto poteva vantare un Core Tier al 30 giugno pari al 9%; anche in tal caso la comunicazione riportava il consueto messaggio positivo dei presidente ZO.); deH'8.8.2014, effettuato ai sensi dell'art. 114 D.L.vo 58/98 (con il quale si comunicavano i risultati dell'aumento di capitale 2014, conclusosi con "pieno successo", e si riferiva il giudizio del presidente ZO. in ordine al fatto che l'istituto potesse vantare "coefficienti patrimoniali particolarmente elevati"); del 29,8,2014 (nel quale si illustravano ì risultati della semestrale del 2014, ribadendosi il successo dell'aumento di capitale di tale anno, segnalandosi l'accrescimento della base sociale e della clientela e l'incremento "significativo" dei proventi derivanti dall'attività bancaria tradizionale e, complessivamente, si enfatizzavano gli elementi di crescita); del 26.10.2014 (nel quale si comunicava il positivo superamento del Comprehensive Assessment si evidenziavano, altresì, gli effetti positivi delle iniziative di patrimonializzazione esperite nel 2013 e nel 2014 e, infine, si informavano i destinatari che tali iniziative avevano portato l'istituto di credito a poter vantare una *eccedenza di CET1 pari a circa 30 milioni di euro"); del 10.2.2015 (avente ad oggetto i risultati preliminari del bilancio al 31.12.2014, nel quale si evidenziava la politica particolarmente prudenziale adottata dal CdA su indicazione della BCE, con aumento degli accantonamenti su crediti e rettifica degli avviamenti; si precisava che il risultato negativo era conseguente proprio all'adozione di una politica improntata a misura e all'origine, secondo il presidente ZO., di scelte al contempo *coraggiose e prudenziali"; si ribadiva il successo delle iniziative di rafforzamento patrimoniale; si sottolineava, infine, la crescita dei proventi derivanti dall'attività tradizionale in favore di una clientela ulteriormente aumentata); del 3.3.2015 (avente ad oggetto i risultati definitivi al 31.12.2014, nel quale, pur dandosi atto dei rilievi della BCE in ordine alla possibile riduzione del requisito minimo di CET 1, si rassicuravano gli interlocutori con la precisazione che i requisiti minimi erano stati ripristinati e, anzi, superati "già prima della citata riduzione del requisito di Cet1 Ratio"); - alle comunicazioni ai soci (tutte confezionate sulla base di un apposito format e sottoscritte dal presidente ZO.) in data 30.3.2012, 3.9.2012, 19.3.2013, 10.9.2013, 2.4.2014, 9.9.2014, 4.12.2014 e 19.3.2015, tutte costantemente caratterizzate da informazioni rassicuranti in punto di patrimonializzazione dell'istituto, di sicurezza dell'investimento azionario, di enfatizzazione della stabilità del titolo e nelle quali, inoltre, si minimizzava il profilo dell'allungamento dei tempi di vendita dell'azione. Ebbene, tutte le citate condotte manipolative e informative avevano avuto l'effetto di alterare sensibilmente il prezzo delle azioni B.. Se ciò, in effetti, era di immediata percezione per le condotte manipolative (l'investitore essendo stato evidentemente influenzato dalla vivacità degli scambi del titolo sul mercato secondario e dalle valutazioni conseguentemente alterate del valore del titolo medesimo siccome assegnato dall'esperto prof. Bi., la stima del quale aveva prodotto effetti anche sul mercato primario, sollecitato artificiosamente), altrettanto doveva dirsi per quanto riguardava le condotte di alterazione informativa. Questo, in ragione della marcata influenza della comunicazione di dati falsati inerenti a profili di assoluto rilievo nell'economia della scelta di un soggetto interessato all'investimento azionario, in particolare con riferimento ai dati inerenti alla patrimonializzazione dell'emittente (prospettata come particolarmente solida) e alla liquidità del titolo (presentato come appetibile, tanto sul mercato primario quanto su quello secondario). Di qui la conclusione, alla quale coerentemente perveniva il tribunale, in ordine all'efficacia decettiva delle comunicazioni effettuate, nelle occasioni sopra indicate, dall'istituto dì credito. Del resto gli effetti concreti prodotti da tali comportamenti manipolativi e di falsa informazione erano agevolmente riscontrabili - proseguiva il tribunale -analizzando le vicende societarie dell'epoca: - da un lato, infatti, gli investitori avevano perseverato nel riporre fiducia nell'istituto di credito, continuando a investire, ovvero astenendosi dal disinvestimento; - dall'altro, gli aumenti di capitale confluiti senza assistenza finanziaria erano stati comunque consistenti (nell'aucap 2013, su un totale di 506 milioni, 363 milioni erano confluiti senza finanziamenti; nel mini aucap 2013, su 100 milioni, 44 erano confluiti senza assistenza finanziaria; nell'aucap 2014 il rapporto era stato di 471,8 milioni confluiti senza assistenza su un totale di 607,8 milioni; nel mini aucap 2014, infine, il rapporto era stato di 60 milioni su 102 milioni). Inoltre la movimentazione sul mercato secondario, depurata dalle azioni finanziate, sì era attestata sul significativo valore di 900 milioni di euro. Tutto ciò aveva consentito di mantenere il valore del titolo artificiosamente alto. In effetti, a fronte dei valori stimati dal prof. Bi., erano emersi - all'esito di una rinnovata valutazione, posta in essere con criteri prudenziali - valori decisamente inferiori. In particolare: - nel 2012 l'azione era stata sovrastimata di un valore tra 6,73 euro e 6,19 euro rispetto al valore reale, da ridursi, rispettivamente, di una percentuale tra il 10,8% e il 9%; - al 31.12.2013 la sovrastima era stata ricompresa tra 8,10 e 7,20 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 13% alni,9%; - al 31.12.2014 la sovrastima era stata ricompresa tra 6,32 e 5,30 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 18,9% al 16,9%. Inoltre le condotte di aggiotaggio informativo avevano contribuito a rafforzare l'affidamento sulla stabilità patrimoniale dell'istituto di credito. Infatti i dati rettificati avevano evidenziato, anche nell'ipotesi più favorevole, un CET 1 ratio al 31.3.2014 del 6,63% e, al 30.6.2014, del 6,24% (valori, entrambi, al di sotto della soglia regolamentare del 7%); un Tier 1 Ratio dal 6,32% al 7,345% per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013, inferiore, pertanto, rispetto alla soglia-target comunicata alla Banca d'Italia pari all'8%; un Total Capital Ratio al 31.3.2014 dell'8,51%, al 30,6,2014 del 7,94%, al 30.9.2014 del 9,57%, al 31.12.2014 dell'8,47%, al 31.3.2015 dell'8,51% (ovverosia sempre inferiore rispetto alla soglia regolamentare dei 10,5%), Analogamente, le condotte di aggiotaggio manipolativo avevano contribuito ad accreditare l'immagine della banca come credibile e sostenuta del mercato, secondo quanto puntualmente evidenziato dai consulenti del P.M.. Con riferimento, poi, al profilo del concorso dei reati, il tribunale precisava come l'art. 2637 c.c prevedesse tre diverse modalità di esplicazione della condotta delittuosa, all'origine, rispettivamente, delle ipotesi di aggiotaggio informativo e aggiotaggio manipolativo o operativo. Di qui la natura della disposizione in esame quale disposizione contenente "norme penali miste cumulative", ovverosia inerenti a condotte non equipollenti o alternative, bensì costituenti differenti elementi materiali di altrettanti reati, con la conseguenza, nel caso di realizzazione di tali diverse condotte, della sussistenza di una pluralità di reati. Questo con la doverosa precisazione che, mentre tra aggiotaggio manipolativo e informativo era ravvisabile unicamente il concorso materiale di reati, nel caso di pluralità di condotte omogenee, per concludere nel senso dell'unicità ovvero della pluralità di reati, sarebbe stato necessario verificarne l'appartenenza o meno ad un'unica manovra manipolativa, ovvero informativa. E, a tale fine, il tribunale precisava come il momento consumativo del reato dovesse individuarsi nel tempo e nel luogo in cui si fossero verificate la sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario e la destabilizzazione del sistema bancario. In applicazione di tali criteri il primo giudice concludeva nel senso della ravvisabilità di ben 16 reati, posti in essere nel periodo tra il 2012 ed il 2015 e, segnatamente: -di 4 reati di aggiotaggio finanziario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio finanziario operativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario operativo (2012, 2013, 2014, 2015) traendone, peraltro, la conseguenza che le condotte poste in essere sino al 27.4.2013 (data di approvazione del bilancio 2012) dovessero ritenersi prescritte. Infine, quanto alle posizioni soggettive degli imputati - successivamente oggetto di separata, dettagliata analisi - il tribunale precisava che dovevano ritenersi responsabili dei reati di aggiotaggio: - Zo.Gi., per avere egli sostenuto e condiviso l'operatività del capitale finanziato; per avere sottoscritto personalmente i comunicati ai soci rappresentativi dì uno stato patrimoniale, finanziario ed economico, totalmente contrario a quello effettivo; nonché per avere approvato, in qualità di presidente del CdA, il bilancio privo dell'appostazione delle riserve previste per legge, oltre ai comunicati che contenevano le mendaci informazioni della situazione della banca e degli esiti degli aucap, in tal guisa rafforzando con le proprie dichiarazioni, l'apparenza di solidità dell'istituto di credito; - Gi.Em., Ma.Pa. e Pi.An., in ragione del totale coinvolgimento dei predetti nell'operatività dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie, e ciò nella piena, effettiva consapevolezza (stanti le modalità di occultamento) della finalizzazione di tale operatività ad alterare gli equilibri del mercato, ad annacquare il capitale e, infine, ad ingannare il pubblico. 1.7 I reati di ostacolo alla vigilanza Dopo avere effettuato una ricostruzione degli esiti delle attività di vigilanza della Banca d'Italia poste in essere, nei confronti dell'istituto di credito, nel periodo 2007-2012 - esiti che avevano evidenziato delle criticità, poi parzialmente superate dall'istituto - il tribunale collocava le condotte di ostacolo alla vigilanza ravvisabili nella vicenda sub iudice nel periodo che aveva avuto inizio con le ispezioni poste in essere a decorrere dal 2012. Al riguardo il primo giudice premetteva come la fattispecie di reato in esame consistesse, per un verso, nell'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero nonché nell'occultamento, con mezzi fraudolenti, di fatti che avrebbero dovuto essere comunicati all'autorità di vigilanza (2638 co. 1 c.c.); e, per altro verso, nella frapposizione di ostacoli alla vigilanza, posti in essere in qualsiasi forma, anche omissiva (2638, co. 2 c.c.). Segnatamente, la fattispecie di cui al primo comma della disposizione in esame prevedeva un reato di mera condotta, integrato, in via alternativa, da taluni specifici comportamenti; il secondo comma, invece, delineava un reato a forma libera, di danno (consistente nell'evento naturalistico dell'ostacolo). Ciò posto, nell'ipotesi di condotta di omessa comunicazione con mezzi fraudolenti che avesse creato ostacoli rilevanti all'autorità di vigilanza, il tribunale riteneva sussistente unicamente l'ipotesi di reato ex art. 2638, co. 2, c.c., dovendo farsi applicazione, in tal caso, dei principi di sussidiarietà e consunzione (valorizzati anche dalla Corte EDU e riconosciuti nell'art. 4 protocollo 7 CEDU e nell'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea), posto che emergeva con evidenza come l'evento di ostacolo previsto dalla fattispecie di cui all'art. 2638 co. 2 c.p. esaurisse l'intero disvalore della condotta. Nel pervenire a siffatta conclusione, peraltro, il tribunale si discostava motivatamente dalla ricostruzione effettuata, in fattispecie analoga, dalla giurisprudenza di legittimità, là dove la corte regolatrice (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, n. 42778 del 26/05/2017, Consoli e altro) aveva invece ravvisato, tra le due fattispecie in esame, un rapporto riconducibile al concorso formale. Tanto premesso, il primo giudice precisava come la contestazione sub B1 avesse ad oggetto la vigilanza ispettiva a differenza delle condotte stigmatizzate ai successivi capi C1, D1, E1, F1, G1 ed H1, dal primo giudice indicate come inerenti alla vigilanza informativa. Ebbene, nel caso dell'addebito sub B1 si era in presenza sia di attività di occultamento, con mezzi fraudolenti, delle operazioni di capitale finanziato e delle lettere di impegno al riacquisto, al fine di ostacolare l'autorità di vigilanza (attraverso, segnatamente, l'indicazione di una causale generica, la mancata contabilizzazione delle operazioni finanziate e il materiale occultamento delle lettere), sia dell'omessa comunicazione delle suddette operazioni alla squadra ispettiva. Diversamente - proseguiva il tribunale - gli addebiti di cui ai capi C1, D1, G1, H1 avevano ad oggetto l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in relazione alle segnalazioni ed alle interlocuzioni con le autorità di vigilanza (Banca d'Italia e BCE) intercorse negli anni 2012, 2013, 2014, 2015 e, quanto all'addebito di cui al capo F1, l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in occasione dell'aumento di capitale del 2014. Ciò posto, il tribunale: - esclusa, con riferimento alle condotte predette, la ravvisabilità dell'esimente fondata sul principio del nemo tenetur se detegere in relazione al precedente delitto di aggiotaggio (trattandosi di principio unicamente disciplinato nell'art. 384 c.p., ovverosia in una disposizione contenente una norma eccezionale derogatoria rispetto a quella di cui all'art. 61 nr. 2 c.p. e, in ogni caso, di esimente avente valore eminentemente processuale); s escluso, del pari, che quelli oggetto di contestazione fossero addebiti frutto di u una sorta di "replicazione" di contestazioni in realtà aventi ad oggetto una unitaria condotta di ostacolo alla vigilanza, protrattasi per un triennio (essendosi piuttosto in presenza di condotte che erano state realizzate nel corso di plurime attività di vigilanza, ciascuna compiutamente esauritasi), ricostruiva i singoli fatti di reato nei termini di seguito esposti. 1.7.1 L'ostacolo alla vigilanza durante l'ispezione di Banca d'Italia 2012 (capo B1) Nel corso dell'anno 2012 (segnatamente tra il 28 maggio e il 12 ottobre 2012) era stata effettuata una attività di ispezione avente ad oggetto la governance dell'istituto, gli standard creditizi, i meccanismi di sorveglianza e di controllo delle singole posizioni, la correttezza dei criteri di classificazione all'interno delle regole di vigilanza e l'osservanza delle regole di provisioning (attività, questa, di correzione del valore dei crediti con impatto sul conto economico della banca e sul bilancio), ispezione che si era conclusa con un giudizio parzialmente sfavorevole fondato sulla constatazione di un complessivo degrado del portafoglio accompagnato da inefficienze nei processi allocativi e di gestione dell'erogato. Ebbene, alla stregua delle testimonianze degli ispettori (e, segnatamente, di quanto riferito dal teste Gi.Sc., responsabile della squadra ispettiva), poteva dirsi pacifico che ove agli ispettori fossero state esibite le lettere di impegno al riacquisto e fosse stata comunicata l'esistenza del capitale finanziato - come sarebbe stato doveroso, peraltro, nell'ottica di una leale collaborazione tra vigilato e autorità vigilante - sarebbe effettivamente emersa l'irrealizzabilità del piano industriale approntato dall'istituto per migliorare la gestione del credito. La prassi del ricorso al capitale finanziato (e, nell'ambito di tale prassi, quella del rilascio delle lettere di impegno), infatti, era già consolidata nel 2012, come pure documentalmente provato. Né, d'altro canto, poteva sostenersi che tale fenomeno fosse comunque emerso nel corso dell'ispezione, in quanto le dichiarazioni rese, sul punto, dal teste Cl.Am. della Divisione Crediti - là dove questi aveva sostenuto di avere riferito in proposito all'ispettore Ge.Sa. - erano - state decisamente smentite tanto dal predetto Sa. quanto dai restanti componenti della squadra ispettiva. Peraltro - puntualizzava il tribunale - la versione dell'Am., finalizzata a ridimensionare il coinvolgimento della Divisione Crediti nell'operatività illecita della banca sul capitale finanziato, scontava plurimi profili di incertezza e contraddittorietà (segnatamente in relazione al ricorso alla formula generica "cogliere opportunità mobiliari o immobiliari" quale causale dei finanziamenti, nonché in ordine alle motivazioni per le quali il predetto Am. non avrebbe comunicato al collega Bo., responsabile dell'audit, le rivelazioni asseritamente fatte all'ispettore Sa.), Era certamente vero che anche la deposizione del Sa. si presentava scandita da contestazioni e da incertezze circa la corretta individuazione dei documenti esibiti, nel corso dell'ispezione, con riferimento alle posizioni finanziate. Nondimeno, mentre le dichiarazioni dell'Ambrosino in ordine alla presunta rivelazione agli ispettori delle operazioni finanziate non avevano trovato riscontro alcuno, neppure nelle dichiarazioni del collega De. (il quale aveva riferito che l'Am. gli aveva confidato di avere consegnato agli ispettori medesimi documenti che avrebbero potuto loro consentire di verificare l'esistenza di operazioni "baciate", negando, tuttavia, detto teste che l'Am. gli avesse rivelato di avere esplicitamente palesato tale prassi agli ispettori), le stesse erano anzi state smentite dai testi Lu.Br., Fr.Fe. e Sa. Re., dei quali i primi due erano appartenenti alla squadra ispettiva; quanto riferito dal Sa. era stato del resto confermato dalla narrazione dei fatti proposta tanto dal responsabile delia squadra ispettiva, Gi.Sc., quanto dagli altri componenti del team oltre che dal responsabile del servizio di vigilanza ispettiva, Ca.Ba.. Pertanto il tribunale, valorizzando altresì la puntuale deposizione del teste ispettore Gi.Ma., traeva la conclusione che la prassi del capitale finanziato non fosse stata "intercettata" nel corso dell'ispezione del 2012 poiché si era trattato di fenomeno che aveva essenzialmente interessato clienti affidabili sotto il profilo del rischio creditizio, rispetto ai quali, quindi, non emergeva alcuna anomalia (sicché, tenuto conto del perimetro del mandato ricevuto dagli ispettori, non v'era stata ragione di effettuare, con riferimento a costoro, alcun approfondimento ispettivo). Del resto, sul piano logico, la circostanza che nessun dirigente dell'istituto di credito (né il menzionato Cl.Am., né l'imputato Pa.Ma. e neppure l'imputato Em.Gi.) avesse fatto cenno alcuno, in occasione delle successive verifiche ispettive (compresa quella, decisiva, effettuata dalla BCE nel 2015), al fenomeno in esame, nonché il fatto che tutti i predetti dirigenti avessero pervicacemente negato, interloquendo con l'ispettore Ma., la natura finanziata delle operazioni in questione, costituivano formidabili riscontri dell'infondatezza delle dichiarazioni rese dal predetto teste Am.; infondatezza, del resto - soggiungeva il tribunale - ulteriormente avvalorata dal rinvenimento, negli appunti contenuti nell'agenda sequestrata al teste Al.Ba., dell'inequivoca ed assai significativa annotazione, redatta in prossimità del 23.4.2015: "evitare di fare ammissioni. Giustificare creditiziamente le operazioni". Di qui la conclusione della sussistenza dei presupposti tutti del reato di ostacolo contestato, essendosi in presenza, per un verso, del fraudolento occultamento dell'illecita operatività realizzata nel contesto temporale in cui si era svolta l'ispezione del 2012; e, per altro verso, della sistematica omissione della comunicazione agli ispettori tanto delle operazioni di finanziamento correlato quanto delle lettere di impegno al riacquisto delle azioni. 1.7.2 Le condotte di ostacolo successive all'ispezione del 2012 Quindi il tribunale evidenziava come, con riferimento ai periodo successivo all'ispezione del 2012 (e, segnatamente, all'arco temporale ricompreso tra il 30.6,2012 ed il 31.3.2015), fosse stato effettivamente possibile ricostruire documentalmente il dipanarsi del dialogo tra l'istituto bancario vicentino e l'autorità di vigilanza attraverso l'acquisizione dei flussi informativi inviati da B.. A tale riguardo era costantemente emerso l'occultamento della reale situazione patrimoniale del gruppo, in particolare con riferimento all'incidenza del fenomeno del capitale finanziato sui coefficienti del patrimonio di vigilanza in tale ampio periodo. Sul punto le conclusioni cui erano pervenuti i consulenti del P.M. - peraltro, precisava il primo giudice, all'esito di una valutazione particolarmente prudente (in quanto caratterizzata dallo scomputo dal CET 1 anche dell'ammontare degli RWA) - non consentivano davvero di nutrire perplessità. Si era in presenza, in effetti, di violazioni costanti dei requisiti patrimoniali, peraltro mai comunicate nelle informazioni rese all'autorità di vigilanza (comunicazioni, tutte, puntualmente riportate nella tabella riassuntiva di cui al documento nr. 485 prodotto dal P.M. all'udienza del 21.11.2019). Più nel dettaglio: - con riferimento all'anno 2012 (capo CI) si trattava della comunicazione del 17.9,2012, riferita al 30.6.2012, e di quella del 21.11.2012, riferita al 30.9.2012, nelle quali venivano indicati, rispettivamente, valori delle azioni proprie nella misura di 30 milioni e di 240 milioni. In entrambi i casi, infatti, era stata omessa la comunicazione delle operazioni di capitale finanziato per i significativi valori di 268 milioni a giugno e di 280 milioni a fine settembre. L'effetto distorsivo che ne era derivato era evidente, posto che il Tier Ratio, tenuto conto dei valori non comunicati, si sarebbe abbassato al 30 giugno dall'8,20% ai 7,34% nonché, al 30 settembre, dal 7,38% al 6,48%. Analogamente il TCR (Total Capital Ratio) si sarebbe ridotto dall'I 1,33% al 10,50% e dal 10,46% al 9,59%. La falsa comunicazione, poi, era stata all'origine del target patrimoniale deciso dalla Banca d'Italia, come precisato dal teste Ma.Pa.. In effetti, qualora i dati omessi fossero stati comunicati, ciò avrebbe comportato un immediato innalzamento del livello di monitoraggio e l'adozione di provvedimenti restrittivi concernenti operatività dell'istituto, distribuzione degli utili e fissazione di limiti all'importo totale della parte variabile delle remunerazioni della banca. Di assoluta evidenza, quindi, era l'ostacolo frapposto alla vigilanza; con riferimento al primo semestre dell'anno 2013 (capo DI) si trattava: - della falsa rappresentazione dei dati patrimoniali contenuta nelle segnalazioni relative al 31.12.2012 ed al 31.3.2013 (in effetti, con riferimento alia segnalazione relativa al 31.12.2012, la comunicazione del capitale finanziato per 545 milioni, ove effettuata, avrebbe comportato la flessione del Tier 1 Ratio dall'8,23% al 6,46% e del Total Capital Ratio dall'll,26% al 9,55%; nella comunicazione del 31.3.2013, poi, non erano state segnalate azioni proprie); - della falsità della comunicazione inoltrata il 20.3.2013 e relativa al superamento del limite del 5% degli acquisti (comunicazione con la quale, nel rispondere al rilievo critico della Banca d'Italia risalente al 5.3.2013, l'istituto di credito aveva rassicurato la vigilanza sostenendo che l'incremento del valore del fondo acquisto azioni proprie fosse imputabile a una mera contingenza, legata alla gestione delle attività dì compravendita delle azioni proprie con i soci e sostenendo, in particolare, che vi era stata una vendita di azioni da parte di pochi clienti con successivo ricollocamento dei titoli presso clienti soci). Inoltre l'istituto aveva inserito un ulteriore elemento di rassicurazione, là dove aveva dichiarato che era in corso la valutazione di un rafforzamento patrimoniale il quale avrebbe portato il Core Tier 1 al 9% già entro la fine del 2013; aveva prospettato, infine, il raggiungimento del 10% nel biennio successivo. Ne era seguita la lettera di richiamo del 24.6.2013, lettera nella quale era stato stigmatizzato il superamento, a causa dell'acquisto di azioni proprie, del limite del 5% del capitale sociale. A seguito dell'ispezione del 2015, poi, era emersa la falsità delle circostanze esposte nella missiva a firma Sa.So. del 20.3.2013 e, segnatamente, si era compreso come l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie non fosse stato affatto la conseguenza contingente di un'impennata nelle richieste di acquisto di azioni concentrate nel quarto trimestre, bensì l'effetto dell'illiquidità del titolo azionario; illiquidità che, infatti, proprio a partire dal 2012, aveva indotto l'istituto di credito a fare massiccio ricorso alle operazioni di capitale finanziato onde azzerare il fondo acquisto azioni proprie che impattava negativamente sul capitale di vigilanza; - della falsità, infine, dell'informativa preventiva del 23 aprile 2013 relativa al programmato aumento di capitale (informativa, a firma Sa.So., nella quale erano stati illustrati gli effetti del rafforzamento patrimoniale, segnalandosi che dopo tale operazione il Tier Ratio 1 sarebbe passato dall'8,23% al 9,1% e, quindi, al 9,98%, a seguito della conversione del soft mandatory). Peraltro neppure a seguito delle successive interlocuzioni dì Banca d'Italia, inerenti anche al profilo della liquidabilità del titolo, erano stati effettuati riferimenti, da parte dei rappresentanti di B., al fenomeno del capitale correlato. Infatti sì era sempre sostenuto, da parte dell'istituto di credito, che l'operazione di aumento di capitale si sarebbe presto conclusa con pieno successo. Sul punto - precisava il tribunale - il teste Ma.Pa. aveva chiarito che se la prassi delle operazioni di capitale finanziato fosse stata riferita, come doveroso, la Banca d'Italia sarebbe certamente intervenuta esercitando i poteri di controllo derivanti dalla legge. In particolare l'ente di vigilanza avrebbe imposto sia lo scomputo dell'ammontare del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza sia l'adozione di misure di risanamento. Invece, tacendo queste informazioni, l'istituto di credito aveva lucrato effetti favorevoli immediati: la Banca d'Italia aveva deciso di non avviare un procedimento sanzionatorio e neppure aveva adottato interventi che avrebbero precluso la distribuzione dei dividendi ed imposto il decremento della parte variabile della remunerazione dei dirigenti come previsto dalla normativa della stessa Banca d'Italia. La stessa operazione di aumento di capitale, poi, sarebbe stata valutata diversamente; ° con riferimento al secondo semestre dell'anno 2013 (capo E1) si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza relative al 30.6.2013, al 30.9.2013 e al 31.12.2013 (nelle quali mai era stato ricompreso l'ammontare delle operazioni di capitale finanziato per gli importi calcolati dai consulenti tecnici nella misura di 555 milioni a fine giugno, di 626 milioni a fine settembre e di 700 milioni a fine dicembre del 2013). Conseguentemente, senza l'effetto distorsivo prodotto dall'omessa rappresentazione della corretta quantificazione dei coefficienti patrimoniali, il T1 Ratio sarebbe passato a fine giugno dall'8,1% al 6,32%; al 30.9.2013 dall'8,50% al 6,50%; al 31.12.2013 dal 9,1% al 6,89%. Analogamente il TCR si sarebbe ridotto dall'I 1,06% al 9,32% al 30 giugno; dall'11,41% al 9,48% nel settembre; dall'11,8% al 9,55% al 31 dicembre. In definitiva in tutto il periodo in esame il Tier 1 Ratio sarebbe stato ben inferiore alla soglia-target dell'8%, siccome fissata dall'autorità di vigilanza; con riferimento all'aumento di capitale 2014 (capo F1) si trattava: - dell'informativa preventiva del 5.3.2014 e dell'informativa integrativa dell'11.4.2014. In entrambi i casi era stata omessa l'indicazione che l'operazione di aumento di capitale sarebbe stata portata a termine anche mediante la concessione di forme di assistenza finanziaria ai clienti, con conseguente indicazione di ratios patrimoniali post-aucap del tutto falsati. Quanto al c.d. miniaucap (ovverosia ad un aumento di capitale destinato a nuovi soci), previsto anche nel 2014, si era precisato che le quote di capitale finanziato non sarebbero state computate nel patrimonio di vigilanza. Vi era stato anche, in data 9.4.2014, un incontro tra i vertici dell'istituto di credito e la vigilanza. All'esito delle interlocuzioni la Banca d'Italia aveva autorizzato la classificazione patrimoniale richiesta. Solo a seguito dell'ispezione BCE e CONSOB del 2015, infatti, era emerso come l'operazione di aumento di capitale fosse stata pianificata con erogazione di finanziamenti correlati, per un importo accertato di euro 136.314.287 (pari al 22% dell'operazione). I dati dell'aumento di capitale erano stati, pertanto, gravemente falsati. Di qui la conclusione che il provvedimento autorizzativo della Banca d'Italia fosse stato ottenuto a seguito dello sviamento della funzione di vigilanza. Il teste Ma.Pa., del resto, aveva anche in tal caso precisato come, se la Banca d'Italia avesse avuto contezza dei dati occultati, non avrebbe di certo autorizzato l'operazione nei termini in cui ciò era avvenuto. Per contro, sarebbe palesemente emersa la grave difficoltà della banca di collocare i propri titoli sul mercato; - con riferimento alla vigilanza prudenziale della banca d'Italia nel 2014 (capo G1), si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza alla data del 31.3.2014, del 30.6.2014, del 30.9.2014 (per l'omessa indicazione tra gli elementi negativi delle quote di capitale finanziato, pari a 728 milioni alla data del 31 marzo, a 718 milioni alla data del 30 giugno e a 886 milioni alla data del 30 settembre. Conseguentemente il CET 1 ratio era passato, a fine marzo, dall'8,99% al 6,63%; a fine giugno dall'8,55% al 6,24%; a fine settembre dal 10,8% all'8,01%); - della falsità della comunicazione 1.9.2014 nella parte in cui si era attestato il raggiungimento degli obiettivi di raccolta aucap 2014 per l'importo di 607,8 milioni e, di conseguenza, il livello dei fondi propri e dei ratios patrimoniali. In particolare la comunicazione dell'istituto di credito di avere già riassorbito, attraverso la chiusura dell'aumento di capitale, il temporaneo mancato rispetto del "buffer" - ovverosia della riserva obbligatoria di conservazione del capitale pari al 2,5% - aveva indotto l'autorità di vigilanza a non assumere iniziative in ordine a tale violazione (dovuta ai riacquisti di azioni proprie che, dì fatto, avevano neutralizzato, per il valore corrispondente, l'aumento di capitale, come precisato dal teste En.Se.) perché, per l'appunto, immediatamente "riassorbita"; - nonché della falsità della comunicazione 4.11.2014, relativa alle giustificazioni fornite all'organo di vigilanza in relazione al fenomeno di riacquisto delle azioni proprie (per l'ammontare di 194 milioni nel primo semestre del 2014) nonché in relazione ai 52,4 milioni di euro di azioni detenuti indirettamente attraverso i fondi lussemburghesi "(...)" e, "(...)". In particolare la banca, da un lato, aveva ribadito che sì era trattato di riacquisti imposti dalla necessità di evadere (e domande di investimento dei clienti nella consapevolezza che il disavanzo sarebbe stato coperto dall'aumento di capitale in corso; aumento di capitale che, peraltro, aveva portato ad un incremento proprio del CET Ratio di circa 141 bps (punti base). Dall'altro lato la banca aveva confermato la correttezza dei dati contenuti nelle segnalazioni di vigilanza sulle operazioni svolte attraverso i fondi esteri. Diversamente, ove la Banca d'Italia avesse avuto contezza di quanto occultatole (e cioè, complessivamente, delle operazioni di capitale finanziato e dell'impegno al riacquisto delle azioni), avrebbe preso atto di una situazione patrimoniale radicalmente differente. La falsità della comunicazione, quindi, aveva prodotto l'effetto di impedire interventi dì vigilanza coerenti con l'effettiva situazione patrimoniale dell'istituto di credito. 1.7.3 Le condotte di ostacolo alfa vigilanza BCE (capo H1) Al riguardo il tribunale, premesso che a seguito dell'entrata in vigore, in data 4.11.2014, del Sistema di Vigilanza Unico, talune competenze primarie in materia di vigilanza erano state trasferite alla BCE, con conseguente ricomprensione anche della predetta Banca Centrale tra i soggetti destinatari della tutela ex art. 2638 c.c., individuava, alla stregua dell'imputazione, le condotte di ostacolo rispettivamente: - nella segnalazione di vigilanza al 31.12.2014 (in ragione della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dall'11,73% all'8,04%) e nella segnalazione di vigilanza al 31.3.2015 (in ragione, anche in tal caso, della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dal 10,67% al 7,49%). Tali condotte decettive, in entrambi i casi, avevano impedito alla vigilanza l'adozione di tempestivi provvedimenti; - nonché nella informativa al pubblico al 31.12.2014; 1.7.4 Le condotte di ostacolo relative al Comprehensive Assessment (capo M1) Con riferimento alle condotte di ostacolo poste in essere in danno di Banca d'Italia e BCE impegnate nella vigilanza in fase di valutazione approfondita (Comprehensive Assessment), svoltasi nel periodo tra il febbraio e l'agosto del 2014, il tribunale riteneva provate condotte di ostacolo tradottesi tanto nell'omessa comunicazione di informazioni essenziali (inerenti al fenomeno dell'assistenza finanziaria e al rilascio della lettere di impegno al riacquisto) quanto nell'esposizione di fatti non veritieri sulla situazione patrimoniale del gruppo come descritta nella nota 20,6.2014 e nel capital pian inviato in data 10.11.2014. In particolare nel corso della Asset Quality Review - AQR (ovverosia della Revisione della Qualità degli Attivi di bilancio), dopo che erano stati formulati rilievi molto critici per la banca da parte delle autorità di vigilanza (con l'ispettore Vi.Ca. che aveva esposto forti perplessità in ordine alla patrimonializzazione dell'istituto di credito, evidenziando come il progettato aumento di capitale sarebbe sostanzialmente servito solo a colmare il deficit; e aveva anche avanzato seri dubbi sulla stessa concreta possibilità di portare a compimento l'operazione di aumento di capitale), i vertici dell'istituto avevano rassicurato la vigilanza stessa sotto tutti i profili. Nel corso dell'ispezione, tuttavia, non era emerso in alcun modo il fenomeno del capitale finanziato né era venuta alla luce l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto; elementi che, se conosciuti, avrebbero portato ad esiti del Comprehensive Assessment ben diversi. Anche il Preliminary Capital Plan - predisposto dall'istituto di credito su richiesta della Banca d'Italia in data 9.6.2014, in previsione dell'entrata in vigore del meccanismo unico di vigilanza, e inviato all'autorità di vigilanza il 20.6.2014 - era stato caratterizzato dalla prospettazione di un obiettivo di patrimonializzazione rassicurante (euro 608 milioni per effetto dell'aumento di capitale); prospettazione, tuttavia, radicalmente falsata dalla mancata precisazione che anche tale risultato era dovuto al massiccio ricorso al capitale finanziato. Quindi, con il Capital Pian elaborato il 10.11.2014 (e, pertanto, successivamente agli esiti del Comprehensive Assessment che, pubblicati il 26.10.2014, avevano evidenziato la necessità dell'adozione di misure di implementazione del capitale, posto che gli Stress Test avevano rivelato un deficit da scenario avverso di 223 milioni), l'istituto di credito vicentino aveva adottato delle contromisure (segnatamente: l'utilizzo dell'aumento di capitale già collocato e la conversione del soft mandatory per 223 milioni) che avevano portato la BCE ad adottare una decisione SREP (ovverosia una decisione inerente al processo di revisione e valutazione prudenziale, consistente nell'analisi dei profili di rischio delle banche) con la quale veniva fissato un requisito minimo di CET1 ratio pari ad almeno il 10,25% ed erano stati richiesti l'adozione di un piano di capitale, da realizzarsi entro l'aprile del 2016, nonché il rafforzamento delle strutture organizzative dei processi e delle strategie di controllo interno. Al solito, la mancata comunicazione delle essenziali informazioni in ordine al massiccio ricorso al capitale finanziato, anche in occasione dell'aumento di capitale, aveva avuto lo scopo - effettivamente raggiunto - di procrastinare l'emersione delle situazioni di illiquidità del titolo e di sotto-patrimonializzazione dell'istituto di credito, di fatto seriamente ostacolando le funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della BCE, tenute all'oscuro delia esatta situazione patrimoniale e finanziaria del gruppo. Di qui l'adozione da parte degli organi di vigilanza di provvedimenti (la citata decisione SREP del febbraio 2015) incoerenti con tale situazione e, per contro, la mancata adozione di contromisure impellenti e indifferibili (come precisato dal teste ispettore En.Se.). Solo in occasione dell'ispezione BCE del 2015 - concludeva il tribunale - sarebbe effettivamente emersa la macroscopica divergenza tra i flussi informativi indirizzati alla vigilanza nel triennio 2012-2015 e la reale situazione patrimoniale della banca. 1.7.5 L'ostacolo alla vigilanza nei confronti di CONSOB (capo N1 - posizione G1) Il tribunale riteneva provato anche l'addebito stigmatizzato sub N1), inerente alle condotte di ostacolo alla vigilanza poste in essere, nei confronti di CONSOB, in relazione all'operazione di aumento di capitale 2014. In estrema sintesi, dopo avere dettagliatamente illustrato - in relazione tanto alla disciplina generale quanto al modello concretamente adottato da B. - il quadro normativo delle attività di intermediazione finanziaria (con particolare riguardo agli obblighi incombenti sugli intermediari nella relazione con la clientela sia nella fase precontrattuale, sia in quella di conclusione del contratto, sia nel corso dell'esecuzione del rapporto in un'ottica di tutela dell'investitore al fine di agevolarlo nella comprensione delle caratteristiche, dei rischi e dei costi dei prodotti finanziari offerti in un mercato di libera concorrenza), il primo giudice ricostruiva puntualmente l'episodio in questione. Nel caso di specie B. aveva pianificato una operazione che prevedeva un'offerta a pagamento mediante emissione di azioni ordinarie in opzione ai soci per un importo massimo di euro 700.000.000, nonché un aumento di capitale ordinario a pagamento mediante emissioni di azioni ordinarie finalizzata all'ampliamento della base sociale da offrire ai non soci per un importo massimo di 300.000.000 di euro. Nel corso della seduta del CdA 15.4.2014, poi, era stata definitivamente approvata l'operazione in questione, con l'individuazione dell'ammontare definitivo dell'aumento di capitale (aumento di capitale scindibile fino al controvalore massimo di 608.000,000 dì euro), la definizione del rapporto di opzione (una nuova azione ogni nove possedute con definizione del rapporto di attribuzione del premio fedeltà nella misura di un'azione ogni quattro) e la decisione che le azioni eventualmente inoptate sarebbero state offerte al pubblico indistinto e assegnate a coloro che ne avessero fatto richiesta durante il perìodo di offerta. Le azioni erano state emesse al prezzo di 62,5 euro, determinato sulla base della relazione di stima dell'esperto indipendente. Solo con riferimento al mini aucap, poi, era stato previsto che potessero essere concessi ai nuovi soci finanziamenti correlati alla sottoscrizione dell'aumento di capitale. In relazione a tale operazione l'istituto di credito aveva rappresentato, nelle relative comunicazioni inviate alla CONSOB, siccome specificamente richiamate in imputazione (trattasi della comunicazione formale 23.5.2014 in risposta alla richiesta di dati e notizie del 16.5.2014; della nota 4.7.2014; dell'ulteriore nota 15.10.2014), l'adozione di un modello operativo fondato su un atteggiamento neutro in ordine alla collocazione dei propri titoli nei confronti dei titolari dei diritti di opzione, attestando di avere predisposto modelli procedurali tesi a garantire la genuinità dell'iniziativa del cliente e sottolineando altresì che, come deciso, eventuali operazioni dì finanziamento sarebbero state previste solo con riferimento all'operazione di mini aucap. Tali modelli prevedevano, per i soci titolari del diritto di opzione: - da un lato l'esclusione dell'applicabilità della valutazione di adeguatezza, onde non interferire con l'esercizio del predetto diritto di opzione; - dall'altro lato l'astensione dalla prestazione di raccomandazioni all'investimento e di consulenza per i medesimi titolari del diritto di opzione e della connessa prelazione, i quali, infatti, onde contenere le occasioni di contatto diretto tra costoro e gli addetti di rete, avrebbero potuto aderire autonomamente all'aumento di capitale inviando richieste via internet, inserendo il proprio codice fiscale in una apposita pagina web, ovvero a mezzo raccomandata. In altri termini l'istituto di credito aveva rappresentato, nella comunicazione formale 23.5.2014, che avrebbe compensato il "sacrificio" della valutazione di adeguatezza (sacrificio resosi necessario per evitare che tale "filtro", posto a presidio dell'investitore, potesse pregiudicare il libero esercizio del diritto di opzione - e della connessa prelazione - nel caso di soggetto che, già socio e interessato ad avvalersi dell'opzione, non avesse superato detto vaglio) con l'assicurazione che i titolari di opzione sarebbero stati messi al riparo da influenze di sorta da parte della rete dell'istituto di credito, onde scongiurare qualsivoglia rischio che le determinazioni dei clienti potessero essere influenzate da consigli dì investimento fomiti dalla rete della banca in una situazione di conflitto di interesse. La CONSOB aveva approvato il prospetto relativo all'aucap 2014 in data 8.5.2014 e il successivo 9.5.2014 la banca aveva comunicato agli azionisti i dettagli delle operazioni informandoli della facoltà di esercitare i! diritto di opzione. In linea con l'originaria comunicazione alla CONSOB, por, si collocavano le successive comunicazioni dell'istituto all'ente di vigilanza rese nelle date del 4.7.2014 e del 15.10.2014. Ebbene, precisava il primo giudice, contrariamente a quanto comunicato a COIMSOB ed alla stregua di inequivoche prove tanto testimoniali (oltre alla deposizione del dirigente CONSOB, Francesco Adria, il tribunale valorizzava quelle dei dirigenti B. Al.Mo. e Gi.Am.) quanto documentali (tra le quali plurime, assai significative, comunicazioni via e-mail intercorse tra dirigenti B.), era emersa la natura meramente formale dei presidi organizzativi adottati dall'istituto di credito, peraltro sistematicamente aggirati nella pratica commerciale in attuazione di un'attività di pianificazione che si era caratterizzata per una fortissima pressione commerciale sulla rete (come precisato da numerosi dirigenti B. e, segnatamente, dai testi Gi.Ca., Ma.Ni., Lu.Ve., Ro.Pr. e Fu.Bo.), posto che: a) ben lungi dall'essere riconducibili alla spontanea iniziativa dei clienti, gli acquisti erano stati sollecitati dalla rete commerciale dell'istituto, appositamente istruita e sistematicamente resa oggetto di forti pressioni per la collocazione dei titoli; b) circa il 60% delle richieste di acquisto di azioni inviate via internet (modalità che, come detto, secondo il modello predisposto, unitamente all'invio della richiesta in modalità cartacea attraverso la spedizione di lettera raccomandata, avrebbe dovuto essere seguita dalla clientela interessata alla sottoscrizione di azioni onde evitare contatti inappropriati con la rete dell'istituto) erano risultate inviate da indirizzi IP di computer in uso a dipendenti della banca. Inoltre era emersa la prassi della presentazione brevi manu delle missive, in luogo dell'invio per raccomandata; c) contrariamente a quanto esposto all'autorità di vigilanza, in larghissima parte le adesioni all'offerta da parte degli opzionisti (26.000 su 29.000) si erano concretizzate al di fuori del sistema nella preventiva raccolta delle manifestazioni di interesse; d) mediante le modalità predisposte dalla banca, infatti, avevano aderito solo 2778 del 29.360 titolari del diritto di opzione, inviando 1695 lettere e 1083 manifestazioni di interesse via web; e) erano state create vere e proprie liste di clienti da contattare per supportare° la rete di vendita, nell'ambito di un'accurata pianificazione commerciale volta a favorire al massimo la collocazione delle azioni (ben 7434 soci che avevano aderito all'iniziativa, infatti, erano risultati inseriti nelle liste predisposte dalla banca); f) il 32% degli aderenti all'aucap censiti nel database delle manifestazioni di interesse aveva richiesto al momento dell'adesione un quantitativo di azioni esattamente corrispondente a quanto registrato nell'applicativo predisposto dalla banca nella fase di preadesione; g) era emersa la prassi di aggirare il test di adeguatezza (previsto per le adesioni del pubblico indistinto sino al 9.7.2014) facendo acquistare sul mercato secondario al cliente 100 azioni prima dell'aucap, in modo che il medesimo cliente potesse rientrare tra i soci e, quindi, potesse partecipare all'aumento di capitale senza effettuare le valutazioni di adeguatezza. Più nel dettaglio, i casi di consulenza surrettizia accertati - come precisato dall'ispettore An.Me. - erano risultati corrispondenti ad operazioni di acquisto per un valore pari a 143,17 milioni di euro su 497,98 milioni di euro complessivi. Secondo gli esiti della replica del test di adeguatezza standard effettuato in sede ispettiva (test che, infatti, sarebbe stato doveroso effettuare in caso di consulenza) era poi emerso che in almeno il 72% dei casi per un controvalore di 83 milioni di euro si sarebbe trattato di operazioni non adeguate, in quanto tali destinate ad essere bloccate dalla procedura. Inoltre si era acquisita contezza di agevolazioni (segnatamente, time deposit a tassi vantaggiosi) e anche di massicci finanziamenti concessi per l'acquisto di azioni proprie, non solo per garantire l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie ma anche per conseguire gli obiettivi di aumento di capitale, peraltro nell'ambito di iniziative commerciali che erano state taciute alla CONSOB e che avevano portato alla conclusione di operazioni di vendita di titoli in assenza delle doverose informazioni circa la natura e le caratteristiche delle operazioni medesime. Pertanto l'incremento di rischio per la clientela era stato del tutto privo di presidi nei sistemi di verifica di adeguatezza degli investimenti. In definitiva - concludeva il primo giudice - B. aveva fornito alla CONSOB, con riferimento alla predetta operazione di aumento di capitale, un quadro informativo falso e gravemente fuorviante, tanto in ordine al modello di servizio adottato per rapportarsi alla clientela quanto in punto di erogazione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie. La rilevanza decettiva di tali condotte era stata indubbia: ove la CONSOB fosse stata informata della pianificazione commerciale all'origine del collocamento delle azioni, infatti, avrebbe sicuramente esercitato in modo più pervasivo i propri poteri, sia di controllo che istruttori ex art. 94 TUF, e avrebbe imposto un più rigoroso modello di operatività fondato sulla consulenza e sull'obbligo di somministrazione di test di adeguatezza bloccante. Né, ad avviso del giudice di prime cure, poteva aderirsi alla tesi difensiva proposta dall'imputato Em.Gi.. Costui - risultato il dirigente che aveva maggiormente supportato e coadiuvato il direttore generale Sa.So. nell'iniziativa commerciale tesa a garantire il buon esito dell'aumento di capitale - aveva sostenuto, infatti, di avere agito nella convinzione dell'esistenza di una pregressa pianificazione commerciale concordata dall'istituto di credito con l'autorità di vigilanza. Tale tesi difensiva, tuttavia, era stata nettamente smentita dalle emergenze istruttorie. Da un lato, infatti, la banca aveva sempre attestato alla vigilanza che le operazioni di sottoscrizione erano avvenute ad iniziativa dei clienti; dall'altro lato era emersa un'operatività volta alla pianificazione commerciale dell'operazione non verbalizzata e, quindi, evidentemente elaborata e attuata nella piena consapevolezza di agire al di fuori del perimetro di regolarità tracciato dalla normativa Mifid. Né - proseguiva il tribunale - poteva accedersi alla tesi difensiva dell'imputato GI. secondo cui questi non era responsabile del reato in esame essendosi limitato a dare attuazione alle direttive impartitegli; in contrario deponevano la sua veste di dirigente apicale (responsabile della Divisione Mercati e vice direttore generale) nonché la prova - da considerarsi raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio - dell'incondizionato allineamento del GI. all'illecita politica gestoria ideata dal direttore generale So., cui il GI. medesimo aveva contribuito materialmente offrendo un fondamentale apporto partecipativo. Peraltro - concludeva, sul punto, il primo giudice - lo stesso presidente Zo.Gi. aveva preso parte tanto alla riunione del 3 aprile 2014, nel corso della quale il d.g. So. aveva illustrato alla rete le modalità operative pianificate per l'aucap e la campagna di contatto della clientela (al riguardo il riferimento era alla e-mail di cui al doc. 241 del P.M. in cui si esplicitava chiaramente la "campagna di contatto" all'uopo programmata), quanto alla precedente seduta del CdA del 4 marzo, in occasione della quale aveva fatto esplicito riferimento alla necessità dì "fare formazione sulla rete", chiarendo che "non devono parlare", ovverosia all'esigenza di stimolare i clienti ad aderire all'aumento di capitale e alla congiunta necessità di occultare tale prassi operativa. Donde la trasmissione degli atti al P.M. con riferimento alla posizione di tale imputato. 1.8. I reati di falso in prospetto In proposito va premesso che oggetto dei capì di imputazione sub I) ed L) sono i prospetti informativi redatti dall'istituto dì credito e depositati presso la CONSOB relativi agli aumenti di capitale realizzati negli anni 2013 e 2014 ed inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni La condotta di falso, secondo le suddette imputazioni, sarebbe consistita nell'occultamento di informazioni rilevanti in merito all'esistenza, all'entità e agli effetti del fenomeno degli investimenti correlati all'acquisto di azioni B., nonché nella comunicazione dì informazioni fuorvianti in ordine all'andamento del mercato secondario delle stesse azioni. Sul punto il tribunale, dopo avere richiamato il quadro normativo di riferimento (artt. 94, 94 bis, 173 bis D.Lvo 58/98 - TUF), evidenziava gli elementi costituivi della fattispecie delittuosa in esame precisando trattarsi di "reato comune", finalizzato ad approntare tutela al risparmio nella sua accezione "dinamica" e caratterizzato da una condotta reticente o fuorviante idonea a trarre in inganno l'investitore (senza peraltro la necessità della causazione di danno, come invece previsto dalla previgente fattispecie ex art. 2623 c.c.). In siffatta prospettiva la falsità non avrebbe dovuto necessariamente avere a oggetto dati materiali necessari ma anche notizie e valutazioni fondanti l'offerta (con l'ovvia precisazione che, in tal caso, più che di falsità delle predette valutazioni si sarebbe trattato di un difetto di genuinità e di imparzialità delle stesse). Anche l'occultamento di informazioni, poi, avrebbe potuto integrare la condotta materiale della fattispecie in questione, qualora inerente a dati o informazioni parimenti rilevanti. In ogni caso, essendosi in presenza dì reato di pericolo concreto, requisito essenziale della condotta decettiva era l'idoneità a trarre in inganno il destinatario; quest'ultimo, nella concretezza del caso sub iudice, non si sarebbe dovuto identificare nell'investitore professionale e neppure - ed a fortiori - in quello istituzionale, bensì nel piccolo/medio risparmiatore, ovverosia in quel soggetto che, generalmente, si limita alla lettura della sola "nota di sintesi", decisamente più breve e predisposta proprio al fine di renderlo edotto del contenuto "concreto" della proposta di investimento. Sotto il profilo soggettivo, poi, la norma era caratterizzata dalla combinazione del dolo specifico e di quello intenzionale: alla volontà e rappresentazione del fatto tipico commesso con l'intenzione di ingannare i destinatari del prodotto finanziario, infatti, si accompagnava lo scopo di conseguire un ingiusto profitto, per sé ovvero per altri. Tanto premesso - proseguiva il tribunale - negli anni 2013 e 2014 la banca vicentina aveva realizzato due aumenti di capitale, il primo deliberato il 16.4.2013 ed il secondo, caratterizzato da due offerte, il 15.4.2014. In entrambi i casi i prospetti comunicati dalla banca erano risultati caratterizzati dall'occultamento dell'esistenza, dell'entità e degli effetti del fenomeno della concessione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. e, quindi, dall'occultamento di informazioni essenziali perché l'investitore potesse determinarsi correttamente. Questo benché la prassi della concessione di siffatta tipologia di finanziamenti risalisse al 2009 (quando l'istituto aveva iniziato a proporre a clienti "amici" acquisto dì azioni proprie in grandi quantità - i c.d. "big ticket" - nell'ambito di operazioni "baciate", ovvero caratterizzate dalla tendenziale corrispondenza tra importo del finanziamento concesso e controvalore delle azioni acquistate, al fine di procedere allo svuotamento periodico del fondo acquisto azioni proprie) e benché detto fenomeno, che aveva interessato tanto il mercato primario quanto quello secondario, avesse raggiunto dimensioni consistenti già a partire dal 2012 (nel quarto trimestre de) 2012, infatti, il numero dì azioni finanziate era risultato corrispondere ad un controvalore di euro 545.520.996). Ora, con riferimento al mercato primario, nell'ambito degli aumenti di capitale finalizzati all'ampliamento della base sociale (mini aucap 2013 e 2014), l'istituto di credito aveva previsto espressamente l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie. Analoga informativa, invece, non era stata inserita nei prospetti relativi agli aumenti di capitale destinati ai titolari del diritto di opzione, ovvero al pubblico indistinto, sebbene, poi, in concreto, gli accertamenti ispettivi BCE e CONSOB avessero dimostrato come gli aumenti di capitale 2013 e 2014 fossero stati in larga parte realizzati proprio ricorrendo al massiccio finanziamento degli investitori che sottoscrivevano azioni di nuova emissione (nel 2013, su un controvalore totale di euro 506 milioni, le operazioni finanziate erano ammontate a 136.034,044,00 euro; nel 2014, poi, i finanziamenti concessi dall'istituto avevano riguardato azioni per un controvalore di 146,451.259 euro). Solo a seguito dell'ispezione BCE del 2015, infatti, l'istituto aveva ammesso l'esistenza delle operazioni di finanziamento correlato, per un valore complessivo determinato, in sede di internai audit, di 1.086 milioni di euro alla data del 31.10.2015, informazione che, come inevitabile, aveva provocato effetti dirompenti. Di qui la conclusione cui perveniva il primo giudice circa la penale responsabilità derivante dalla radicale assenza, nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento di capitale, dell'esistenza e dell'entità del fenomeno delle operazioni finanziate, trattandosi di informazioni che, ove conosciute, avrebbero evidentemente indotto un investitore ragionevole ad una ben maggiore ponderazione nella decisione di sottoscrivere gli aumenti di capitale. L'occultamento di tali informazioni, poi, aveva ovviamente alterato anche i dati di bilancio e, di conseguenza, le informazioni ad essi inerenti che erano state riportate nei prospetti relativi agli aumenti di capitale in questione. L'effetto che ne era derivato era stato, anche in tal caso, quello di distorcere gravemente la conoscenza degli investitori circa la rappresentazione dei livelli patrimoniali della società. Per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2012, infatti, il Tier 1 Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia dell'8% quale prescritta dalla Banca d'Italia nella lettera di intervento del 2.3.2012. Anche nel 2013, poi, si era registrata analoga violazione di detto requisito target. Così come durante il successivo esercizio 2014, quando il CET Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia regolamentare del 7% e il Total Capital Ratio aveva parimenti raggiunto un livello inferiore a quello minimo regolamentare del 10,5%. I dati di bilancio richiamati nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento del capitale, quindi, avevano indotto i risparmiatori a confidare in un livello di solidità patrimoniale dell'istituto di credito in realtà ben inferiore a quello prescritto. Donde l'idoneità decettiva delle informazioni fornite sul punto. Infine, anche le informazioni inerenti ai volumi delle azioni scambiate nell'ambito del mercato secondario erano risultate del tutto inattendibili per effetto della mancata comunicazione del fenomeno delle operazioni finanziate (fenomeno al quale la banca aveva fatto ricorso massicciamente, a partire dal 2012, proprio allo scopo di assicurare la negoziabilità del titolo, provocando, tuttavia, in tal guisa, una grave alterazione della dinamica del mercato secondario) e avevano ingenerato nei terzi la convinzione di una solo apparente liquidità delle azioni. In questo contesto era stata occultata al mercato - sostenendosi, nei prospetti, che le richieste di cessioni delle azioni sarebbero state sottoposte appena possibile al CdA - la persistente situazione di grave ritardo nell'evasione delle richieste di vendita di azioni provenienti dai soci (nel corso del 2013, in effetti, il time to sell era passato dai 28 giorni del mese di gennaio ai 311 giorni della fine dell'anno); richieste, peraltro, neppure sempre evase in ordine cronologico. In definitiva la mancata comunicazione di tali informazioni aveva ingenerato l'apparenza di un'appetibilità del titolo in realtà inesistente. Donde, anche sotto tale profilo, la sussistenza della condotta di reato di falso in prospetto. Quanto, poi, alle singole posizioni soggettive, il tribunale evidenziava come Zo.Gi., presidente del CdA dal 1996 al 2015, fosse certamente responsabile delle operazioni di aumento di capitale del 2013 e anche della redazione dei relativi prospetti, per avere egli, su incarico del CdA, conferito al d.g. So. e al vice d.g. PI. i poteri all'uopo necessari, nonché per avere egli sottoscritto il documento di registrazione e la dichiarazione di responsabilità. Analogamente, con riferimento all'aumento di capitale 2014, i poteri conferiti allo ZO. dal CdA in ordine all'operazione di aumento di capitale rendevano evidente la responsabilità del predetto nella falsificazione dei prospetti illustrativi di detta operazione Considerazioni del medesimo tenore, poi, venivano dal tribunale svolte con riferimento alla posizione del PI., trattandosi di un vice direttore B. nonché del responsabile della Divisione Finanza, ovverosia di una divisione alla quale, secondo l'organigramma dell'istituto di credito, competeva proprio l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi. Infine anche gli imputati GI. e MA. venivano giudicati responsabili del reato in questione, avendo i predetti, sebbene non coinvolti - secondo il primo giudice - nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, partecipato attivamente ad assicurare, conoscendone perfettamente le esigenze sottostanti, l'operatività del meccanismo dei finanziamenti correlati all'acquisto delle azioni B. mediante massiccio ricorso al capitale finanziato; meccanismo del quale avevano contribuito a occultare l'esistenza e l'entità. 1.9. Le singole posizioni processuali. 1.9.1 Zo.Gi. Il tribunale, dopo avere richiamato la normativa di dettaglio emanata da Banca d'Italia per disciplinare gli assetti del governo societario dell'impresa bancaria (assetti che attribuivano al presidente del CdA il ruolo di garanzia in ordine al corretto funzionamento dell'organo, precisando come costui non dovesse essere un componente esecutivo e non dovesse svolgere, neppure di fatto, funzioni gestionali) e dopo avere ricostruito la composizione, all'epoca dei fatti, del CdA di B., precisava che Zo.Gi. era stato presidente dell'istituto di credito dal 1996 al novembre del 2015 nonché presidente del comitato esecutivo. Tutti gli elementi disponibili, poi, convergevano nel delineare il ruolo dominante e pervasivo svolto dall'imputato nell'organizzazione dell'attività della banca, tanto che l'attenzione degli organi di vigilanza, sin dal 2007, aveva evidenziato tale criticità, stigmatizzando l'autoreferenzialità dei meccanismi di governance instaurati dall'imputato. Peraltro era stata proprio la strategia di crescita (aumento degli sportelli; continua espansione dimensionale) imposta alla banca dal Presidente a porsi all'origine delle problematiche degli aspetti patrimoniali del gruppo che, infatti, proprio per fare fronte alla progressiva crescita dei costi di gestione, era stato costretto a ricorrere sistematicamente ad aumenti di capitale. Inoltre i meccanismi di governo societario - e, in particolare, il ruolo predominante rivestito, nel consiglio di amministrazione, dall'imputato nonché la visione maturata e attuata dallo stesso dì un successo imprenditoriale commisurato alla continua espansione dimensionale dell'istituto - erano stati sistematicamente censurati dall'autorità di vigilanza (in particolare: in occasione del rapporto ispettivo del 2008; dell'ispezione di follow up del 2009; dell'ispezione sul credito del 2012; della vigilanza in relazione all'aumento di capitale del 2013). Del resto la struttura verticistica del governo aziendale era emersa da tutte le risultanze probatorie disponibili. In effetti - precisava il primo giudice - l'imputato esercitava una forma pervasiva di controllo sulle dinamiche del consiglio, nel cui seno le decisioni assunte non erano mai state oggetto di discussione o dibattito, il tutto mentre il controllo assicurato dal collegio sindacale era risultato meramente formale, come verificato da Banca d'Italia nell'ispezione 2008. Di fatto era lo ZO., con riferimento tanto al consiglio di amministrazione, quanto al collegio sindacale, a selezionare i candidati (dep. Zi., Gr., Lo.), scegliendoli, per cooptazione, tra esponenti dell'imprenditoria locale (individuando, peraltro, soggetti inesperti dei complessi meccanismi dell'impresa bancaria) e ad affiancare loro professionisti già legati alla persona dello stesso presidente da pregresse esperienze professionali. In particolare il tribunale, sulla base di puntuali deposizioni al riguardo (trattasi, segnatamente, della deposizione resa dal teste Da.Lo.), ricostruiva una situazione caratterizzata dall'assenza di obiezioni di sorta alle proposte presidenziali, da un clima dì effettiva intimidazione - se non di vero e proprio terrore - che rendeva difficile manifestare qualsiasi dissenso, nonché da modalità di votazione, in assemblea, che rendevano identificabili le singole manifestazioni di voto. In effetti il CdA si era costantemente limitato ad approvare le proposte del presidente e tutte le decisioni erano state sempre unanimi, sicché lo stesso ruolo del consiglio era stato, di fatto, svuotato di ogni profilo sostanziale. Emblematica di ciò - ad avviso del tribunale - era stata la vicenda dell'acquisizione di un immobile da adibire a sportello bancario nella località turistica di Cortina, operazione fortemente voluta dallo ZO. (in particolare per il ritorno di immagine che, a suo giudizio, ne sarebbe derivato) e che era stata conseguentemente accettata dal d.g. So. contro ogni logica dì convenienza economica, tanto che aveva portato all'esito fallimentare di una perdita di oltre venti milioni di euro (come peraltro comprovato dal contenuto della conversazione telefonica intercettata riportata a pag. 589 della sentenza impugnata e come confermato dalla relazione ex art. 33 l.f.). Altrettanto significativa del ruolo predominante dell'imputato in seno al CdA, poi, era la vicenda - la cui ricostruzione esatta era stata resa possibile dalla documentazione costituita dal relativo file audio - inerente alla determinazione del prezzo dell'azione in deroga alle stesse regole procedurali dell'istituto deliberata in occasione della seduta 1.4.2014. Connotato da analoga "impronta padronale", inoltre, era anche il rapporto tra l'imputato, da un lato, ed il management e le strutture aziendali, dall'altro. Infatti, ripetutamente, gli incarichi di vertice erano stati assegnati a soggetti indicati dal presidente (era il caso dei d.g. Gr. e So., di Ro., di Fa., consulente nel settore degli affari internazionali; di Ra., al quale era stato affidato l'incarico di presidente della società Mo. che gestiva il patrimonio immobiliare della banca), con il CdA che si era limitato a ratificarne le decisioni. Era lo ZO. a decidere su tutto: retribuzioni, posizioni, crediti, affidamenti, parco automobili (si veda la deposizione di Um.Se., direttore della controllata siciliana Ba.Nu. dal 2012), L'imputato si era occupato anche delle campagne pubblicitarie (cfr. la deposizione del teste Ma.Pa.) e addirittura della concessione, agli amici, di tassi di interesse fuori mercato ed in perdita per la banca (come nel caso dell'imprenditore amico Re.Ca., secondo la deposizione del teste Gi.Am.). Più nel dettaglio, il coinvolgimento dello ZO. nell'attività gestionale era stato confermato da numerose, convergenti deposizioni. Era il caso, in particolare, delle testimonianze di Al.Sa., Iv.Me. e Gi.Am., quest'ultima relativa anche alla riunione tenutasi l'il.11.2014 a seguito della pubblicazione dell'articolo del Sole 24 Ore che aveva messo in discussione il valore del titolo. In detta riunione ZO. aveva esplicitamente affermato, tra l'altro, che ì soci che avessero voluto vendere i titoli avrebbero potuto essere sostenuti con finanziamenti e la trascrizione della già menzionata seduta del Comitato di Direzione 10.11.2014 (doc. P.M. nr. 110) riscontra tali indicazioni del presidente. Le e-mail acquisite al fascicolo del dibattimento (docc. P.M. nr. 298, 299, 322, 320, 521), al pari degli appunti di Ma.So. contenuti nel "maxi quaderno giallo", poi, confermavano il ruolo operativo del presidente. Il teste Se.Ro., inoltre, aveva riferito al teste Ma.Pa. - cfr. la deposizione di quest'ultimo - che le decisioni di vendita delle azioni andavano ricondotte allo ZO. e, sul punto, non mancavano conferme documentali: la e-mail del 16.6.2014 (allegato 31 relazione CONSOB), avente ad oggetto il sollecito rivolto dalla segreteria del presidente ZO. al Ro. circa un reclamo - indirizzato direttamente al medesimo presidente ZO. -riguardante i ritardi nella vendita di azioni della sig.ra Ro.Sa.; il documento del P.M. nr. 321 (relativo a una corrispondenza e-mail tra Fi.Ro. e Da.Fa. del 20.1.2014); gli appunti del So.; infine le stesse dichiarazioni ammissive rese dall'imputato nel corso dell'interrogatorio del 24.3.2017. Lo strettissimo rapporto tra lo ZO. ed il d.g. So. (quest'ultimo, peraltro, proposto dallo stesso ZO. come consigliere delegato nel 2015, ovverosia poco prima dell'ispezione BCE, quando oramai la banca versava in condizioni di forte criticità ed aveva superato solo per il "rotto della cuffia" il Comprehensive Assessment tramite la conversione del prestito obbligazionario deliberata d'urgenza dal CdA nella seduta del 26.10.2014, convocata presso la tenuta toscana del presidente sita in (...) era stato delineato da numerosi testi escussi (Di.Gr., Se.Ro., Ad.Ca., Pa.An., Vi.Do., Ma.So.) e confermato dallo stralcio della conversazione intercettata tra Gi.Zi. e il suo interlocutore Pa.Ba. nello del 26.8.2015 (riportata a pag. 599 della gravata sentenza), dove si affermava che i due erano sostanzialmente inscindibili e "viaggiavano a braccetto". Lo stesso So. del resto, in occasione di talune conversazioni intercettate, si era riferito spesso al diretto coinvolgimento del Presidente nelle vicende gestorie della banca (il richiamo era ai progressivi 459, 300, 610, 845, 1570, 1587, nonché agli SMS di cui ai documenti nn.ri 653, 654, 655 - pagg. 600-603 della gravata sentenza). Con riferimento all'aucap del 2014, poi, la scheda file audio della seduta del CdA del 4.3-2014 aveva documentato il diretto coinvolgimento del presidente nella pianificazione dell'operazione in questione, mentre le dichiarazioni del coimputato GI. avevano ribadito tale coinvolgimento, peraltro confermato anche dalla documentazione disponibile (era il caso della e-mail costituente l'allegato nr. 75 alla relazione CONSOB). Lo ZO., inoltre, aveva avuto un ruolo attivo anche durante il comitato di direzione "allargato" del 20.4.2015 nel quale erano state affrontate, tra gli altri temi, le questioni dei soci finanziati e della creazione di una task force che avrebbe dovuto gestire il problema dei soci che chiedevano di vendere le proprie azioni. In tal senso deponeva il documento nr. 362 del P.M. costituito dagli appunti di Gi.Am., siccome "interpretati" dallo stesso Am. durante la propria deposizione. Nel corso di tale comitato di direzione, infatti, si era discusso anche del problema costituito dall'impossibilità di ricorrere all'impiego del fondo acquisto azioni proprie, ovvero allo strumento che, ad avviso del Presidente, doveva servire - secondo quanto riferito dal teste Am. - "a rendere più liquido l'investimento in azioni della (...)". Del resto le modalità della risoluzione del rapporto con il d.g. So. (risoluzione intervenuta solo quando, nel corso dell'ispezione BCE, la situazione era divenuta insostenibile a seguito dell'emersione della vicenda dei fondi lussemburghesi, della prassi delle lettere di impegno e dei finanziamenti correlati) dovevano ritenersi sintomatiche - nella ricostruzione dell'episodio fattane dal primo giudice - delle modalità gestorie dello ZO. e della volontà di assicurare al So. un commodus discessus. L'imputato, infatti, aveva fulmineamente risolto il contratto con il direttore generale (al quale, nondimeno, era stato riconosciuto di avere operato "con diligenza e correttezza nell'interesse della banca" e, soprattutto, era stata attribuita una buonuscita di ben 4 milioni di euro); questo era avvenuto nonostante il contrario parere del consigliere Gi.Zi. (documentato dal file audio della seduta del CdA) il quale aveva chiesto di valutare il licenziamento, al posto della risoluzione consensuale, al fine di salvaguardare la posizione dello stesso CdA. Peraltro dell'intervento dello ZI. il verbale consiliare non recava traccia alcuna (e questo nonostante la esplicita richiesta avanzata, in tal senso, dal menzionato consigliere). Si era trattato, quindi, di una decisione unilaterale di ZO., non preceduta da alcun dibattito in seno asl CdA (come riferito dallo stesso ZI. e come, del resto, confermato dalla deposizione del teste Ad.Ca.). Nell'occasione la finalità perseguita dallo ZO. - ad avviso del tribunale - era stata evidentemente quella di assicurarsi, "attraverso il fulmineo e ben retribuito congedo del direttore generale infedele", "un salvacondotto a fronte delle condotte illecite in fase di accertamento da parte della squadra ispettiva" (così si legge a pagina 611 della sentenza impugnata). Solo in quest'ottica, pertanto, poteva essere ragionevolmente interpretato quanto avvenuto in occasione delle successive sedute del CdA del 15 maggio, 27 maggio, 9 giugno e 11 giugno 2015, allorché sì era discusso della possibilità di intraprendere azioni legali nei confronti del So. per poi alla fine decidere, su proposta dello stesso ZO., di non procedere in alcun modo nei confronti dell'ex direttore generale. In definitiva l'accordo per la risoluzione del contratto con il manager con riconoscimento di una buonuscita multimilionaria - accordo deciso e repentinamente attuato dallo ZO. non solo in contrasto con le previsioni statutarie (che attribuivano al CdA la competenza in materia) e con la normativa di vigilanza in materia di remunerazione dei dirigenti, ma anche in radicale conflitto con l'interesse dell'istituto di credito - costituiva un elemento di prova della corresponsabilità dell'imputato. Sintomatiche dell'interesse (a proteggere il So.) perseguito, con detto accordo, dallo ZO. - significativamente definito, in un colloquio captato dagli investigatori, uno che ha governato come un monarca assoluto" e che, quindi, non era certo all'oscuro di quanto andava emergendo nel corso dell'ispezione - erano proprio alcune conversazioni intercettate (cfr. stralci riportati alle pagg. 611-613 della sentenza). Quindi il primo giudice, ad ulteriore sostegno della conclusione cui perveniva in ordine alla piena responsabilità dello ZO. nella gestione dell'istituto di credito con riferimento specifico alle condotte oggetto di imputazione, richiamava specificamente le operazioni correlate effettuate da taluni imprenditori. Trattasi, segnatamente: - di Se.Pi. (presidente del CdA della società It.). Costui, nel corso della deposizione resa in dibattimento, aveva ricostruito gli acquisti "baciati" dì azioni B. effettuati, originariamente su proposta dello ZO., con il ricorso ad affidamenti da parte dell'istituito di credito (il tutto per un'operatività di euro 4.400.000). Secondo detto teste lo ZO. era a conoscenza dell'esistenza dei finanziamenti correlati a lui concessi, iniziati nel 2005. Nel 2013, quando il teste era stato ospite dell'imputato a Castello di Albola, lo ZO. si era dimostrato soddisfatto dell'aumento di capitale e nell'occasione avevano parlato, tra l'altro, delle operazioni finanziate effettuate dal Pitacco, facendo anche specifico riferimento all'importo complessivo; - di Al.Be., imprenditore del settore dell'editoria legato da risalente rapporto di amicizia con l'imputato. Anche tale dichiarante (cfr. verbale di s.i.t. acquisito ex art. 493, co, 3, c.p,p.) aveva ricostruito le operazioni finanziate effettuate al fine di acquistare le azioni di B., per un valore complessivo di euro 1,25 milioni a fronte di un finanziamento di pari importo. Sebbene detto teste avesse riferito di non avere mai parlato con lo ZO. di tali operazioni "baciate", le relative dichiarazioni - sul punto - erano state smentite dai testi Gi.Gi. (direttore regionale della Lombardia) e Al.Ba. (responsabile della Divisione Crediti di B. dal gennaio 2015). Il primo, dopo avere ricostruito le operazioni "baciate" effettuate da detto imprenditore in condizioni di neutralità economica (donde i relativi storni che gli avevano garantito il totale rimborso degli interessi maturati), aveva precisato che il Be. gli aveva riferito di avere parlato con lo ZO. di una di tali operazioni (quella effettuata tramite la B.Me.), Il teste Al.Ba., dal canto suo, aveva dichiarato di avere discusso con l'imputato ZO. della posizione del Be., ragguagliandolo circa gli acquisiti di azioni tramite finanziamenti "baciati" effettuati in precedenza dallo stesso Be. per "Vare una cortesia alla banca". Ciò era avvenuto nel corso di un incontro cui aveva partecipato lo stesso imprenditore, il quale, nell'occasione, aveva espressamente chiesto che l'operazione "fosse smontata"; - di Do.Ir.. presidente di C., società del settore delle costruzioni e amica di famiglia dello ZO.. In questo caso le azioni B. erano state acquistate, per un valore di 1 milione di euro, impiegando parte di un più consistente finanziamento (5 milioni) concesso dall'istituto. A detta della Ir. la proposta iniziale le era stata avanzata, con riferimento all'aumento di capitale allora in fieri, proprio dallo ZO. il quale, poi, l'aveva "dirottata" sul d.g. So.. Dal canto suo il figlio della Ir., Ha.Mi. (vicepresidente e amministratore delegato di C.), il quale aveva poi portato avanti la trattativa, escusso in dibattimento non aveva ricordato con chi avesse effettivamente trattato (sebbene in sede di indagini, come emerso dalla contestazione del P.M., avesse riferito di avere interloquito, in proposito, con lo ZO. oppure con il manager Al.Cu.; soggetto, quest'ultimo, che - parimenti escusso in dibattimento - aveva smentito di essersi personalmente occupato della questione); - dei fratelli Ra.. In particolare Ra.Si., imprenditore del settore abbigliamento e cliente storico di B., aveva riferito di avere aderito, unitamente ad alcuni suoi familiari, alla proposta di operazioni "baciate". Più volte costui (al pari dei fratelli) aveva chiesto rassicurazioni al riguardo allo ZO. ed era stato sempre tranquillizzato. Nel 2013 i Ra. avevano iniziato a sollecitare la chiusura delle operazioni, al che Fu.Bo. ed Em.Gi. avevano tentato di dissuaderli. Dichiarazioni di analogo tenore, poi, erano state rese da Ra.Gi., sebbene costui avesse riferito, diversamente dal fratello, che le discussioni con lo ZO. avevano riguardato la solidità della banca e non già le operazioni "baciate" in corso. Nondimeno - precisava il tribunale - la conversazione nr. 560 intercettata sull'utenza in uso al So., nella quale costui, esprimendo disappunto sull'atteggiamento negazionista dello ZO., riferiva in termini coincidenti con la narrazione di Ra. Silvano, confermava la tesi di quest'ultimo in ordine al contenuto dei colloqui - aventi ad oggetto proprio il tema dell'acquisto delle azioni della banca - intercorsi tra i fratelli Ra. e il presidente ZO.; - di Fr.Zu. e Fe.Ri.. Il primo, cognato di ZO., aveva riferito di un fido concessogli per partecipare, a titolo di amicizia e senza alcun rischio, all'aucap 2014, operazione della quale, tuttavia, non aveva parlato con lo ZO.. Nondimeno dalle schede di analisi dei consulenti del P.M. erano emersi, complessivamente, acquisti di azioni effettuati dalla famiglia Zu. per 984 mila euro con risorse erogate all'uopo dall'istituto. Quanto al Ri., amico dell'imputato da decenni, ex direttore di musei e consulente della banca per la stima delle opere d'arte, aveva effettuato operazioni per gli aucap 2013 (300 mila euro) e 2014 (200 mila euro) e aveva riferito che lo ZO., quando aveva appreso di una di tali operazioni, aveva espresso il proprio compiacimento, sebbene il teste avesse pure precisato che con l'imputato aveva interloquito solo in relazione alla sua sottoscrizione dell'aucap, non già circa le modalità di acquisto delle azioni. Quando poi, nel 2015, aveva manifestato allo ZO. le proprie preoccupazioni per gli acquisti finanziati, l'imputato aveva ribattuto in modo brusco ("Ma chi ti ha detto di farli?"), lasciandolo perplesso; s di Gi.Ro., noto imprenditore del settore della valigeria. In tal caso le operazioni finanziate erano state molteplici (la prima per l'ammontare di 700,000 euro; successivamente anche per l'importo di 5 milioni). Ripetutamente aveva incontrato lo ZO. in occasione di cene e pranzi e, quando gli aveva chiesto rassicurazioni, era stato costantemente tranquillizzato. Richiesto di precisare se l'imputato fosse a conoscenza delle modalità seguite per l'acquisto delle azioni, il teste aveva risposto affermativamente sulla base di considerazioni di tipo logico (basate, per un verso, sulla posizione di vertice rivestita dall'interlocutore, definita dal teste quella del "capo", del "padre-padrone della banca" e, per altro verso, sull'importanza di dette operazioni nell'ambito della gestione dell'istituto di credito). Peraltro, precisava il tribunale, la registrazione del file audio del 18.6,2013 relativo alla breve conversazione intercorsa tra lo ZO. ed il coimputato GI. poco prima dell'inizio della seduta del CdA - conversazione della quale lo stesso GI. aveva poi chiarito il significato (inerente all'interesse manifestato da un imprenditore catanese, tale Riccardo Coffa, per una operazione "baciata") - dimostrava la piena consapevolezza, in capo allo ZO., della prassi esistente in relazione a tale tipologia di operazioni. Altro significativo elemento a carico dello ZO. era rappresentato, nella prospettiva del tribunale, dall'elevatissima concentrazione di operazioni correlate presso il "gestore private" Ro.Ri. nella filiale di Contrà Porti, la stessa ove l'imputato aveva acceso i propri conti correnti. In effetti lo strettissimo rapporto tra i due (ulteriormente comprovato dalla riassunzione de) "gestore" dopo che questi si era dimesso a seguito del trasferimento ad altra filiale; riassunzione, con immediata ricollocazione presso la filiale di Contrà Porti, conseguente a una semplice visita dello stesso Ri. presso l'abitazione dell'imputato) avrebbe avvalorato la conclusione circa la piena consapevolezza, in capo al presidente, della prassi delle operazioni "baciate" che il predetto Ri. effettuava in favore di una selezionatissima cliente, peraltro per importi estremamente ingenti. Questo benché il medesimo Ri. avesse negato di avere parlato di tali operazioni con l'imputato e, a maggior ragione, di avere da questi ricevuto, al riguardo, autorizzazioni di sorta. Del resto - precisava il tribunale - il teste Da.Ti. aveva dichiarato di essere stato rassicurato dallo stesso presidente ZO. - all'uopo interpellato dal "gestore private" Ri. che aveva sostanzialmente fatto da tramite - circa ii fato che le operazioni "baciate" di sua pertinenza sarebbero state chiuse. Anche l'inerzia dell'imputato a seguito della segnalazione di anomalie inerenti ad operazioni correlate ricevuta nella primavera-estate del 2014 deponeva nel senso della fondatezza dell'impostazione d'accusa, al pari, del resto, delle dimissioni del consulente private banker An.Vi., dimessosi in conseguenza delle insostenibili pressioni che riceveva dai superiori (a loro volta in tal senso istruiti dai vertici aziendali) proprio con riferimento alla conclusione di operazioni "baciate". Peraltro, una pec contenente l'esposizione delle ragioni delle dimissioni era stata trasmessa dal Vi., su consiglio del proprio avvocato, sia al CdA che allo stesso ZO., il quale ultimo l'aveva letta in data 7.7.2014 senza, tuttavia, sollecitare approfondimenti al riguardo. Del resto era significativo che la vicenda si fosse poi definita con un accordo transattivo e con l'impegno alla riservatezza. Di spiccato rilievo probatorio, poi, erano tanto l'inerzia manifestata dallo ZO. a seguito della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 26.4.2014, dal socio B. Da. con riferimento alla prassi degli acquisti finanziati, quanto l'atteggiamento, altrettanto inerte, assunto dallo stesso imputato a seguito della ricezione di due lettere anonime che denunziavano il fenomeno della pressione della rete commerciale per favorire la sottoscrizione di operazioni correlate. Conclusivamente, a fronte di tali convergenti elementi, le dichiarazioni rese dall'imputato in occasione degli interrogatori resi in fase di indagine e, successivamente, nel corso dell'esame dibattimentale svoltosi alle udienze - 23,6.2020 e 26.11.2020 - là dove questi aveva sostenuto di essere stato tenuto all'oscuro dell'esistenza del fenomeno delle operazioni correlate, di essersi fidato della valutazione di un esperto di indiscusso prestigio con riferimento al valore assegnato al titolo azionario e, infine, di avere avviato le operazioni di aumento di capitale facendo affidamento sul giudizio della Banca d'Italia in ordine alla solidità dell'istituto di credito - venivano dal tribunale giudicate come destituite di fondamento e scopertamente difensive. I fenomeni del capitale finanziato, delle lettere di impegno e degli investimenti effettuati tramite fondi esteri, infatti, erano stati espressione di prassi note, avallate e, anzi, incentivate dal presidente, vero e proprio dominus assoluto dell'istituto di credito. Egli aveva ricoperto, per circa un ventennio, una posizione di dominio incontrastato, aveva selezionato e fidelizzato il management, anche con trattamenti economici più che generosi (cfr. sul punto, la deposizione del teste Ma.Ma.), aveva imposto la regola dell'approvazione unanime delle sue proposte in CdA ed aveva sistematicamente agito (in forza di una asimmetria di poteri che, peraltro, trovava plastico riscontro anche nell'ammontare delle rispettive retribuzioni, quella dell'imputato risultando quasi dieci volte superiore a quelle degli altri consiglieri) in modo tale da indirizzare l'espansione territoriale dell'istituto nelle aree del Paese ove egli aveva i suoi insediamenti imprenditoriali (Toscana, Friuli, Sicilia), ovvero nelle località di vacanza da lui frequentate (Cortina). In definitiva tutte le dinamiche inerenti alla vita dell'istituto di credito erano state determinate dallo ZO., a partire dalle più importanti strategie d'impresa e fino alle attività più spicciole (posto che era emerso che all'imputato veniva sottoposta, per approvazione, finanche la lista degli invitati alle cene "istituzionali" periodicamente organizzate a casa Lo.), In siffatta prospettiva le conversazioni telefoniche intercettate nelle quali il d.g. Sa.So. evidenziava la piena riconducibilità delle scelte operative al Presidente, ben lungi dall'essere interpretabili come attuazione di una callida determinazione del predetto So., ispirata da logica autodifensiva (come invece sostenuto dalla difesa dello ZO.), costituivano coerente riscontro del pieno coinvolgimelo dell'imputato nell'attività delittuosa. Del resto talune conversazioni significative erano state effettuate impiegando utenze riconducibili a terzi (trattasi dell'utenza 3311650993 intestata a De.Mi.), donde, anche sotto tale profilo, l'insostenibilità della tesi della artificiosità di tali colloqui, il tenore dei quali, peraltro, era del tutto coerente con le richiamate acquisizioni probatorie testimoniali e documentali. Inoltre le affermazioni fatte dal So. in ordine al coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni dì capitale finanziato avevano trovato conforto anche negli SMS inviati dai coimputati MA. e GI. al predetto So., messaggi attraverso i quali costoro sollecitavano il benestare del presidenti su alcune operazioni correlate (trattasi dei documenti nn.ri 653 "ricordati di messaggiare il presidente per le pratiche di oggi in CdA - quelle su acquisto, valori mobiliari... Fe. 11 milioni, Mo. 14 milioni, Fe. 20 milioni"; 654: "il presidente sta arrivando bisogna parlargli di Da. e Ca."; 655: "Ti ricordo Zi. da parlarne al pres per il fido da farsi alla sua finanziaria". Di qui la conclusione in ordine alla sussistenza dei presupposti tutti per affermare il coinvolgimento dell'imputato, a titolo di concorso, in tutti i reati ascrittigli. 1.9.2 Gi.Em. Con riferimento a Gi.Em. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Mercati (della quale egli, a far tempo dalla fine del 2007, era stato il responsabile -spettandogli in tale veste, fino alla cessazione del rapporto avvenuta nel giugno 2015, la direzione e il coordinamento dell'attività commerciale della banca - oltre a rivestire in B. il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma di cui ai docc. nr. 262-267 del Pubblico Ministero. Evidenziava poi come il GI. fosse anche membro del Comitato Soci, ossia dell'organo endoconsiliare deputato alla disamina preventiva delle richieste di acquisto e cessione delle azioni B. prima che le stesse fossero sottoposte al CdA. Ciò premesso il tribunale, nel rinviare al cap. X della sentenza quanto alla disamina della penale responsabilità del GI. per il reato di cui al capo N1, affermava che l'istruttoria dibattimentale consentiva di ritenere "emerso in modo univoco" il diretto coinvolgimento del GI. "in tutti gli aspetti della illecita operatività della Banca", elencando al riguardo le seguenti condotte dal predetto poste in essere: - aveva significativamente contribuito alla definizione e all'attuazione delle prassi operative in tema di capitale finanziato: - aveva partecipato direttamente alle più rilevanti operazioni di capitale finanziato (c.d. "big ticket"); - aveva personalmente sottoscritto alcune lettere di impegno di B. al riacquisto delle azioni precedentemente vendute ai clienti cui esse erano indirizzate, autorizzando altresì in via preventiva la sottoscrizione di analoghe lettere da parte dei funzionari a lui sottoposti; - aveva co-organizzato e programmato una capillare attività di monitoraggio della produttività della rete commerciale, esercitando forti pressioni sui dipendenti della stessa al fine di stimolare il raggiungimento degli obiettivi di raccolta del capitale; - aveva personalmente autorizzato storni di interessi come forma di remunerazione dell'investimento in azioni B.; - aveva, in molteplici occasioni, ostacolato l'accertamento dell'illecita operatività della banca non soltanto nei confronti delle autorità di vigilanza esterna ma altresì nei confronti delle società di revisione (cfr. in particolare l'episodio che aveva coinvolto la società di revisione K.) e della vigilanza interna (audit). Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il primo giudice anzitutto illustrava i contenuti - evidenziati in particolar modo negli appunti manoscritti redatti dal segretario generale Ma.So. (doc. nr. 389 del P.M.), il quale ne aveva riferito nel suo esame dibattimentale - della riunione del Comitato di Direzione tenutasi l'8.11.2011, cui avevano partecipato fra gli altri, oltre al GI., il direttore generale Sa.So., il presidente Zo.Gi., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. (dirigente altresì preposto alla redazione dei documenti contabili), il responsabile della Divisione Finanza An.Pi., il direttore generale della controllata toscana Ca. Fr.To., il vicedirettore generale della controllata siciliana Ba.Nu. Um.Se.. In quella sede, dopo che il PE. aveva evidenziato la necessità di collocare più di 100 milioni di azioni, il To. e il Se. (secondo quanto ricostruito nel suo esame dibattimentale dal teste assistito To., il quale peraltro evidenziava come all'epoca si ritenesse in generale inapplicabile l'art. 2358 c.c. alle banche popolari in quanto cooperative) avevano prospettato espressamente la necessità di ricorrere ad operazioni c.d. "baciate" - benché "non facili da proporre come nell'occasione riconosciuto dal To. - al fine di aumentare il collocamento delle azioni, tenuto conto anche del fatto che mancavano ormai solo poco più di 30 giorni alla chiusura natalizia. Indi il primo giudice evidenziava come al GI. fosse ben nota -quantomeno dal giugno 2011 - la situazione, documentata in atti e altresì, riferita da vari testi, di crescente disallineamento tra le domande di acquisto di azioni e le richieste di vendita delle stesse (le quali sopravanzavano le domande di acquisto in maniera sempre più accentuata ed evidente), il che aveva determinato sin dal 2011 un incremento progressivo ed esponenziale del ricorso al capitale finanziato, secondo un "cambio di passo" riscontrabile proprio all'indomani della menzionata riunione del comitato di direzione tenutasi l'8.11.2011. In tale contesto - proseguiva il tribunale - Em.Gi. si era distinto in modo particolare per l'attivo ruolo svolto nell'organizzazione e nel coordinamento delle iniziative c.d. "svuota fondo", rivolte cioè ad attuare il sistematico svuotamento del fondo acquisto azioni proprie di B. (portato infatti a zero tanto alla fine del 2012 quanto alla fine del 2013) nonché per le pressioni - sempre più accentuate specie a partire dalla fine dell'anno 2012 - da lui esercitate sulla rete commerciale affinché fosse incrementato il collocamento delle azioni. Ampio spazio veniva dato al riguardo, in sentenza, alla deposizione dei testi Fi.Ro. (responsabile dell'Ufficio Soci) e Co.Tu. (funzionario in staff alla Divisione Mercati), secondo i quali il direttore generale So. e il GI. - che veicolava le direttive del So. all'intera rete - monitoravano congiuntamente l'andamento delle domande di acquisto e cessione delle azioni e prendevano le decisioni su quante azioni la banca potesse riacquistare, al che conseguiva il sorgere di un'esigenza di occultamento del capitale finanziato. Indi il primo giudice illustrava gli elementi probatori (fra cui le deposizioni dei testi Co.Tu., Gi.Gi., Ma.Ni., Al.Ba., Al.Cu., En.Da., Lu.Ve., Se.Ro., Ro.Ri. e altri) in base ai quali emergeva il ruolo del GI. nell'organizzazione delle attività di occultamento del capitale finanziato, segnatamente: - mediante il divieto, imposto alla rete, di comunicare per iscritto informazioni sul capitale finanziato; - mediante l'utilizzo nelle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) di una formula - estremamente generica ("necessità per investimenti immobiliari e mobiliari"); - mediante la raccomandazione di attuare un distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni e/o di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche azioni diverse da quelle di B.. La promozione e sollecitazione da parte del GI. dell'occultamento del capitale finanziato, posta in essere nei modi sopra indicati, ad avviso del primo Giudice si traduceva in un rilevante contributo dato dall'imputato all'alterazione della veridicità dei flussi informativi indirizzati all'autorità di vigilanza. In particolare tre episodi, secondo il tribunale, evidenziavano quella che in sentenza (cfr. pag. 647) veniva definita come la * pervicace condotta di Em.Gi. tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delle autorità di vigilanza ovvero della società di revisione": - la vicenda del private banker An.Vi., oggetto di una segnalazione da parte dell'avv. Es. che aveva a sua volta dato luogo ad accertamenti effettuati dall'audit, il cui responsabile Ma.Bo. (sentito come teste in dibattimento) aveva consegnato il 4.9.2014 il relativo report al direttore generale So., che dapprima assumeva un atteggiamento dilatorio salvo poi, pressato dal Bo., convocare il GI. nel gennaio 2015 e consegnargli il report dell'audit; di quest'ultimo, secondo il teste Co.Tu., il GI. aveva detto allo stesso Tu. - il quale pure aveva avuto in visione il report - che non avrebbe dovuto parlare con nessuno; s l'episodio della società di revisione K. (ricostruito all'udienza del 19.12.2019 dal teste Vi.An., partner di detta società; allo stesso episodio aveva altresì fatto riferimento l'avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., ricordando di essere stata zittita in malo modo tanto dal direttore generale So. quanto dal responsabile della Divisione Finanza PI. quando aveva cercato di sollecitare un audit su ciò che era stato riscontrato dalla società di revisione); per la precisione K. aveva, nel corso del suo controllo, individuato 17 posizioni a suo avviso sospette a causa della sostanziale coincidenza tra il valore delle azioni sottoscritte e l'utilizzo dei fidi concessi nonché a causa della vicinanza temporale tra la concessione del finanziamento e la data di acquisto delle azioni; il teste An. aveva dapprima informato il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio, Ma.Pe., e il collegio sindacale; indi, unitamente al PE., aveva presentato l'elenco delle 17 posizioni al direttore generale So. che lo aveva indirizzato al GI.; questi aveva rassicurato l'An. di K. circa la regolarità delle operazioni, l'assenza di criticità, il' rispetto del merito creditizio, l'assenza di correlazioni tra gli acquisti delle azioni e le erogazioni dei finanziamenti; tuttavia K. aveva insistito per ottenere un parere favorevole della direzione affari legali della banca (parere che l'avv. Pa. non riteneva di poter rilasciare), sicché si era giunti a un compromesso - secondo quanto riferito dalla stessa teste Pa. - basato sull'invio a K. di una lettera interlocutoria (elaborata con il contributo anche del GI. che aveva insistito per evidenziare in essa il rispetto del requisito del merito creditizio) contenente l'impegno a svolgere le operazioni necessarie per chiarire le operazioni segnalate; - le modalità di interlocuzione tenute dal GI. con la squadra ispettiva della BCE nel 2015, allorquando l'ispettore Gi.Ma., sentito come teste, aveva cercato di instaurare un contraddittorio preliminare con i vertici aziendali su poco meno di una cinquantina di posizioni già emerse, durante l'ispezione, come connotate dal compimento di operazioni correlate. Secondo quanto riferito dal teste Ma. il GI., nell'incontro con lui avuto il 12.5.2015 (presente anche il teste Al.Ba., la cui agenda conteneva al riguardo appunti idonei a riscontrare appieno il teste Ma.) aveva escluso trattarsi di operazioni correlate, ribadendo all'ispettore che tutti i finanziamenti erano giustificati dal merito creditizio; il GI. aveva anche preso parte alla predisposizione, sempre in relazione a quella cinquantina di posizioni emerse come critiche, di schede da consegnare all'ispettore Ma., il quale però le aveva giudicate inadeguate e insufficienti (analoga valutazione delle schede era stata previamente compiuta dal teste Ma.Bo., responsabile dell'audit). Indi il tribunale passava in rassegna le risultanze istruttorie - indicate in sentenza come plurime e convergenti (fra esse si citavano le deposizioni dei testi Gi.Ca., capo area; Gi.Gi., direttore regionale; Ma.Ni., capo area, Al.Cu., capo area, ed altri ancora) - circa il ruolo svolto dai GI. nell'azione di coordinamento e impulso della rete commerciale tesa a promuovere la stipula, a ritmi sempre più incalzanti, di operazioni correlate. Il primo Giudice evidenziava altresì come il GI. risultasse avere personalmente sottoscritto 16 - per un totale di 80 milioni di euro - fra le 65 lettere B. di impegno al riacquisto delle proprie azioni (tali lettere - in alcuni casi particolarmente impegnative per la banca - avevano l'evidente funzione di rassicurare i soci) consegnate alla squadra ispettiva BCE nella primavera del 2015. Sul punto la sentenza dava ampio risalto, in particolare, alla deposizione del teste Co.Tu. e a quella del teste Lo.Be., capo area. Sempre sul tema delle lettere di impegno il primo giudice indicava come particolarmente significativa, riportandone il contenuto (leggibile a pag. 95 della relativa perizia), la trascrizione della conversazione telefonica n. progr. 359 dell'1.9.2015 intercorsa tra il GI. e il sindaco La.Pi.. Sulle lettere di impegno il tribunale citava altresì - più avanti nel tessuto motivazionale della sentenza: cfr. sue pagg. 671-672 - il contenuto della deposizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'Internal audit, nella parte in cui riferiva di un incontro tenutosi con l'avv. An.Ge. - col quale il d.g. So. voleva concordare una linea difensiva - il 24.4,2015 a Vicenza (presenti, oltre allo stesso Bo. e al So., l'imputato GI. per la Divisione Mercati nonché An.Pi. per la Divisione Finanza, Ma.Pe. per la Divisione Pianificazione e Bilancio, l'avv. An.Pa. dell'ufficio legale e altri ancora); in tale occasione era stato proprio il GI. a parlare espressamente delle lettere di impegno dicendo che erano una ventina (in realtà, come detto, ne emersero oltre il triplo di cui 16 sottoscritte dallo stesso GI.), ammettendo di averne sottoscritte alcune e precisando che la situazione era grave, avendo ormai il fenomeno dei finanziamenti correlati raggiunto dimensioni rilevanti che avrebbero messo in crisi la banca. Il collegio vicentino passava indi ad esaminare le risultanze istruttorie (in particolare le deposizioni dei testi Gi.Ca., Co.Tu., Lu.Ve., nonché la e-mail - doc. 755 del P.M. - inviata il 29.9.2014 da Vi.Ga. al GI.) inerenti al ruolo concretamente svolto dallo stesso GI. nell'attuazione degli storni di interessi. Il primo giudice evidenziava poi come talune fra le operazioni correlate - soprattutto le c.d. big ticket, ossia quelle più importanti per rilevanza ed entità - vedessero un diretto coinvolgimento del GI. in prima persona nella loro conduzione (unitamente al direttore generale So.: i due si recavano appositamente in visita congiunta ai clienti - per lo più imprenditori - maggiormente patrimonializzati), menzionando le evidenze probatorie raccolte al riguardo e in particolare le deposizioni rese dai testi, fra cui Ro.Ri. (gestore private della filiale di Contrà Porti), Tr.Lo. (cliente), Gi.Ra. (cliente), Luca Fe.ni (cliente), Sa.Bu. (cliente), Lu.Mo. (cliente), Gi.Ro. (cliente), Pi.Ca. (cliente) e altri. Indi il tribunale passava in rassegna le deposizioni rese da parecchi testi (Di.Ip., Ma.Ni., Lu.Ve., Fu.Bo.) - fra i quali molti capi area ma anche due private banker come An.Vi. e Fr.Te., dimessisi entrambi, a loro dire, proprio a causa delle pressioni ricevute - dalle quali emergevano, a suo avviso, le sistematiche pressioni esercitate non soltanto dal direttore generale So. ma anche dall'imputato GI. sulla rete commerciale - a partire dal 2012 - affinché fossero raggiunti gli obiettivi di raccolta del capitale prefissati. L'effettivo esercizio di tali pressioni - proseguivano i giudici vicentini - trovava comunque plurimi riscontri documentali, in particolare nelle produzioni di cui ai docc. nn. 22, 91-95, 298, 657, 660 del P.M.. Altro elemento probatorio di pregnante rilevanza a carico del GI., secondo il primo giudice, era rappresentato dalla trascrizione del file audio corrispondente alla registrazione dì quanto detto nell'ambito del Comitato di Direzione tenutosi il 10.11.2014, al quale il GI. aveva preso parte unitamente al direttore generale So. e agli altri immediati suoi sottoposti. Ampi stralci di tale trascrizione sono riportati alle pagg. 666-667 della gravata sentenza. In particolare il direttore generale So., alla pag. 34 della trascrizione, dichiarava fra l'altro agli astanti che la banca aveva "fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare ... Noi dobbiamo selezionare molto di più i nostri impieghi (...). Non possiamo smontarli perché ci sono azioni dietro, ma non possiamo neanche tenerci questo popò di problema. Quindi dobbiamo risolvere il problema delle azioni appiccicate a questi e poi andiamo a vedere nominativo per nominativo (...)". Alla pag. 27 della trascrizione il responsabile della Divisione Finanza, An.Pi., parlava della necessità di collocare 27 milioni residui di azioni detenute dai fondi esteri trovando qualcuno che le compra a sconto"; il GI. gli replicava prospettando un possibile scambio con (...) (già (...)) che deteneva a sua volta titoli di (...) Banca. Alla pag. 67 della trascrizione il GI. si rivolgeva al So. nei seguenti termini: "Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? (...)". Al riguardo il tribunale vicentino affermava che, a differenza di quanto sostenuto dagli imputati in dibattimento, non emergeva dalla trascrizione (e ancor meno dall'ascolto diretto del file audio) alcun disallineamento degli astanti rispetto alla posizione espressa dal direttore generale So., né era dato cogliere, per converso, alcuna supina subordinazione dei predetti alla volontà dello stesso So., trattandosi piuttosto di un dialogo ove ognuno dei presenti prospettava - alla pari - problemi e ipotesi di soluzione. Il primo giudice passava quindi a valutare il complesso delle affermazioni rese dall'imputato GI. in sede di esame dibattimentale, sostenendo che l'assunto di questi circa la sua non consapevolezza delle reali dimensioni quantitative del capitale finanziato era ampiamente smentito da varie convergenti emergenze probatorie fra le quali spiccavano, oltre al tenore della trascrizione del menzionato file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014, alcune produzioni documentali (segnatamente le tabelle di rendicontazione sub docc. nn. 272, 273, 274, 275 del Pubblico Ministero) e varie deposizioni testimoniali (tra cui quelle dei testi Ma.So., Co.Tu., Cl.Gi. e Ro.Pr., quest'ultimo responsabile della direzione private dall'ottobre 2014, ma anche le deposizioni dei testi Gi.Am. e Ma.Li.); veniva riportato al riguardo in sentenza anche il tenore della già sopra menzionata deposizione del teste Ma.Bo. - responsabile dell'Internal audit - in ordine ai contenuti dell'incontro con l'avv. An.Ge. tenutosi in data 24.4.2015. Il tribunale - dopo avere illustrato alle pagg. 672-676 la versione resa dall'imputato GI. su vari argomenti (oltre al tema delle lettere di impegno anche quello degli storni di interessi, quello dell'episodio della società di revisione K., quello dei propri rapporti con il d.g. So. del quale eseguiva le direttive, quello delle pesanti pressioni provenienti a suo dire dallo stesso So. e dal CdA della banca e rivolte a sé come a tutti gli altri manager, sempre a suo dire tutti coinvolti, senza esclusione di alcuno, nella vicenda delle operazioni correlate) - riteneva tale versione smentita, tanto sulla piena consapevolezza dell'illegittimità delle svolte operazioni correlate (che il GI. - a suo dire - pensava fossero invece legittime, specie dopo che l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 non aveva mosso rilievi circa l'operatività dell'art. 2358 c.c.) quanto sul loro occultamento al mercato e alla vigilanza, da una serie di risultanze probatorie di segno contrario, così sunteggiate dai giudici vicentini: - il divieto di dare indicazioni scritte, l'utilizzo della P.E.F. generica, lo scostamento temporale tra delibera di fido e acquisto delle azioni; le indicazioni date di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche titoli diversi dalle azioni di B.; - l'inserimento nelle delibere autorizzale e nei documenti di offerta - in occasione dei miniaucap 2013 e 2014 - del richiamo al rispetto dei limiti di cui all'art 2358 c.c.; - l'omesso riferimento, nel corso dei colloqui con gli ispettori Vi.Ca. (AQR - Asset Quality Review) e Gi.Ma. (BCE), tanto al capitale finanziato quanto, in alternativa, agli esiti - di presunta rassicurazione circa l'inapplicabilità a B. dell'art. 2358 c.c. - dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012; - la valenza dei tre episodi relativi alle vicende del private banker An.Vi., della società di revisione K. e delle schede consegnate all'ispettore Ma.. Il primo giudice escludeva altresì la fondatezza dell'assunto del GI. circa il suo essere convinto che lo scorporo delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza avesse avuto luogo, definendolo come una "tesi (...) assolutamente inverosimile; è evidente che lo scopo delle operazioni finanziate era quello di dissimulare riliquidità del titolo, in ipotesi di corretta appostazione delle stesse esse sarebbero state inutili" (cfr. pag. 677 sentenza gravata). Non poteva avere infine alcuna valenza scriminante, secondo il tribunale, la necessità, dedotta dal GI., di dare esecuzione a direttive impartitegli dal CdA e/o dal direttore generale So., tenuto conto della sua veste di dirigente apicale membro della struttura esecutiva e investito ex lege di dirette responsabilità di gestione. 1.9.3 Ma.Pa. Con riferimento a Ma.Pa. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Crediti (della quale egli era stato il responsabile dal giugno 2010 sino al dicembre 2014, il che lo rendeva membro di diritto del Comitato Centrale Fidi e del Comitato Crediti) oltre a rivestire in B., a far tempo dal 18 ottobre 2011, anche il ruolo di vice direttore generale; citava a tal proposito la relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia nonché (con apparente riguardo alla sola gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati) il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale n. 262 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Crediti erano così descritte dal tribunale: - assicurare, in materia di erogazione del credito, il rispetto delle norme e disposizioni dell'Organo di Vigilanza, dello statuto nonché delle delibere degli organi superiori; - garantire l'analisi e la valutazione degli affidamenti secondo quanto previsto dalla normativa interna, nonché il loro perfezionamento e quello delle relative garanzie; - verificare la regolarità dell'iter di delibera delle concessioni di credito, nei limiti delle facoltà delegate, avvalendosi dell'attività delle strutture preposte che dipendevano dalla Divisione Crediti stessa; - presentare le proposte di finanziamento di competenza degli organi superiori, avvalendosi dell'attività della UO Analisi, anche alla luce dell'andamento del Gruppo e del settore economico di appartenenza; s garantire alla rete delle filiali un adeguato supporto di consulenza sulle tematiche di competenza, in particolare attraverso le strutture delle UO crediti di area e della U.O. Analisi; s assicurare la gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati. Nel far ciò il collegio vicentino affermava più in generale che "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito, compreso il rispetto della normativa in materia, sia di fonte "esterna" (norme e disposizioni delie Autorità di vigilanza) sia di fonte "interna"(statuto e delibere degli organi sovraordinati). In particolare, oltre a curare, per quanto di competenza, la fase di analisi e valutazione degli affidamenti, la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (e delle relative garanzie) e di gestione dell'anagrafe generale (...). In ogni caso la Divisione Crediti era chiamata a stabilire - sulla base degli indirizzi dei CdA e della Direzione Generale e per quanto di competenza - le politiche di gestione del credito" (cfr. pagg. 678-679 sentenza gravata). Nondimeno - proseguiva il tribunale - nel suo esame dibattimentale del "13.6.2013" (rectius 13.6.2019) il teste Cl.Gi., indicato in tale passo della sentenza impugnata come capo area di Vicenza, aveva dettagliatamente spiegato che la struttura dei Crediti era articolata su base territoriale: vi erano una funzione crediti dedicata in capo a ogni singolo capo area e una funzione crediti in capo alla direzione regionale; ciascuna direzione regionale a sua volta coordinava le proprie quattro aree di riferimento; entro certi limiti tali strutture decentrate godevano anche di una potestà deliberativa autonoma, di talché il processo di elaborazione del credito era definito in autonomia quanto agli aspetti relativi all'analisi e alla definizione della delibera; solo se esso eccedeva la potestà deliberativa si faceva luogo a una mera verifica di adeguatezza della proposta che la struttura decentrata inviava alla Divisione Crediti, deputata in quel caso a valutare in autonomia la relativa pratica. Ciò premesso il tribunale affermava che la svolta istruttoria dibattimentale consentiva dì ritenere univocamente provata la penale responsabilità dell'imputato, dimostratosi pienamente consapevole di tutte le condotte di reato ascrittegli. Premetteva al riguardo il collegio che, a detta del teste Em.Ga. (responsabile del team ispettivo che aveva operato nei confronti di B. nell'anno 2015), l'analisi delle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) condotta in sede ispettiva ne aveva subito evidenziato l'assenza di garanzie nonché l'estrema genericità e ripetitività delle causali indicate (le quali per lo più utilizzavano espressioni come cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare o immobiliare), il che era indice di sospettosità dal momento che in genere una banca, in caso di erogazione di fidi destinati ad acquisti di strumenti finanziari, era ben informata su quale tipologia di strumento finanziario il cliente desiderasse acquistare, su quali ne fossero le caratteristiche principali di rischio e su quali beni fossero costituiti in garanzia (essi corrispondevano per lo più agli stessi strumenti finanziari acquistati o ad altri di valore equivalente). Affermava il primo giudice che la svolta istruttoria aveva evidenziato in capo a Pa.Ma. un ruolo di centralità nel garantire che la rete si uniformasse all'istruzione operativa di utilizzare, nelle P.E.F. aventi ad oggetto capitale finanziato, la sopra evidenziata causale improntata a una formula generica e di stile (dal tribunale indicata come "causale sentinella" proprio in quanto consentiva di rendere immediatamente riconoscibile ai diversi addetti l'effettiva finalità dell'operazione di finanziamento). Il collegio giudicante citava al riguardo le deposizioni rese da vari testi. Quanto alla genesi della ed. "causale generica sentinella" il primo giudice evidenziava quanto segue: il capo area Gi.Ca. affermava che l'uso della causale generica gli era stato consigliato dai suoi superiori Ro.Pr., Lu.Ve. e Gi.Gi.; il capo area Lu.Ve. affermava che l'uso della causale generica era stato raccomandato da una direttiva di area illustrata nelle riunioni, probabilmente ad opera del responsabile della Divisione Mercati Em.Gi., ma che la Direzione Crediti ne era a sua volta a conoscenza tanto che in un'occasione egli aveva parlato direttamente con Pa.Ma. - e in maniera esplicita - dell'effettiva natura di un'operazione di finanziamento che andava a perfezionarsi con il titolare di un noto pastificio; il capo area Ma.Ni. indicava Cl.Gi. ed Em.Gi. come i soggetti dai quali proveniva l'indicazione di usare la causale generica aggiungendo che comunque la Divisione Crediti sapeva che un'operazione connotata da siffatta causale era un'operazione correlata all'acquisto di azioni della banca (in alcuni casi gli analisti della Divisione Crediti avevano anche chiesto al capo area di confermare che l'operazione fosse "baciata"); il capo area En.Da. ricordava che in alcune occasioni il direttore di filiale non aveva inserito la causale indicata (al che - a suo dire - l'Ufficio Crediti aveva restituito la pratica per il cambio della causale); il capo area e indi direttore regionale Cl.Gi. affermava di avere parlato - in alcune occasioni - di finanziamenti correlati con la Divisione Crediti e precisamente con il suo responsabile Pa.Ma. (la formula generica era stata a suo dire suggerita forse da Em.Gi. o forse da Co.Tu., funzionario in staff alla Divisione Mercati), fermo restando che - sempre a detta del Gi. - in alcune occasioni lo stesso Comitato Crediti, al quale partecipavano i direttori regionali, aveva deliberato operazioni di finanziamento in tutto o in parte correlate; il capo area e indi direttore regionale Al.Ca. (escusso ex art 210 c.p.p.) aveva attribuito - a seguito di contestazione - al MA. l'indicazione, data nel corso di alcune riunioni operative, di utilizzare la causale generica; anche secondo il teste Co.Tu. l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data dal MA., e ciò ancora alla fine dell'anno 2012 (secondo il teste Tu. il MA. aveva dato tale consiglio "perché questo tipo di operazioni era borderline e poteva destare l'attenzione della CONSOB e della Banca d'Italia"); il teste Gi.Am., responsabile nel periodo 2013-2014 della divisione retail, affermava che l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data da Em.Gi. ma era stata ripresa e ribadita anche da Pa.Ma., il quale - sempre a detta del teste Am. - aveva altresì respinto alcune pratiche in cui era indicata in modo esplicito la destinazione del finanziamento all'acquisto delle azioni di B.. Quanto poi all'altro espediente emerso durante l'istruttoria dibattimentale, ossia la precauzione di mantenere - per prevenire eventuali sospetti - una qual certa sfasatura temporale tra l'erogazione del fido e l'acquisto delle azioni B., il teste Co.Tu. affermava che il consiglio di far intercorrere un lasso di tempo alquanto lungo tra la delibera di affidamento, la sottoscrizione delle azioni e l'addebito sul conto era venuto da Ma.Pa. (peraltro nel corso del controesame il teste Tu. aveva dichiarato che lo scopo dell'indicazione di mantenere una sfasatura temporale non era quello di occultare l'effettiva finalità del finanziamento bensì, "principalmente", quello di evitare sconfinamenti sul c/c); il teste Lu.Ve. ricordava che la raccomandazione di far rispettare la sfasatura temporale era stata del GI., il quale aveva comunque precisato trattarsi di una linea operativa concordata con la Divisione Crediti. A memoria del teste En.Da. il consiglio di osservare la sfasatura temporale era venuto - benché di fatto i fidi non venissero gestiti dalla loro divisione di appartenenza che era la Divisione Mercati - da Em.Gi. e Co.Tu., i quali a loro volta dissero che ciò era stato specificamente concordato con la Divisione Crediti; sempre il teste capo area Da. ricordava che il MA. in una o due occasioni lo aveva contattato per operazioni correlate ove il teste stesso aveva mandato contestualmente alla Divisione Crediti sia la pratica di finanziamento sia il modulo già compilato di acquisto delle azioni, restituendogli tali pratiche con il seguente rimprovero: "non voglio vedere queste cose qua, mandi la pratica in maniera corretta e le azioni le acquisti quando la pratica è stata deliberata". Il teste Se.Ro., dell'Ufficio Soci, affermava che, a seguito dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012, il direttore generale So. e i vicedirettori GI. e MA. avevano raccomandato alla rete di fare in modo che la data di acquisto delle azioni fosse successiva alla data di delibera dei finanziamenti, ma ciò solo per evitare - a suo dire - sconfinamenti sul c/c. Il primo giudice affermava che vi era anche una prova documentale -rappresentata dal sopra illustrato file audio della registrazione dello svolgimento del Comitato di Direzione dd. 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.) - del fatto che la linea di indirizzo in tema di rispetto della sfasatura temporale nelle operazioni "baciate" fosse stata concordata con la Divisione Crediti diretta da Pa.Ma.; ne riportava al riguardo (cfr. pagg. 685-686 sentenza gravata) un lungo stralcio - a suo dire particolarmente eloquente - relativo a un dialogo tra lo stesso MA. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.. Il tribunale procedeva quindi a illustrare la ed. "campagna riqualificazione impieghi", deliberata dal CdA il 21.10.2014 (giusta doc. nr. 102 del P.M.) e presentata al Consiglio proprio da Pa.Ma.; trattavasi di un'iniziativa finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate - in sede di rinnovo o di revisione degli affidamenti - in base al peso percentuale delle azioni B. detenute dal cliente. Il primo giudice, sempre al fine dì illustrare il ritenuto protagonismo della posizione rivestita da Pa.Ma. nell'attuazione delle operazioni correlate, ricordava un episodio narrato da Um.Se., già direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu.: dalla capogruppo B. era giunta (su indicazione di Em.Gi. e Co.Tu. della Divisione Mercati, condivisa dalla Divisione Crediti nella persona di Pa.Ma.) una lista di nominativi ai quali la stessa Ba.Nu. avrebbe dovuto concedere affidamenti accompagnati dall'acquisto di azioni B. per un controvalore pari al 10-15-20% dell'intero affidamento; il teste Se., notando che alcuni dei nomi compresi nell'elenco corrispondevano a società sottoposte a procedura concorsuale, aveva parlato con Cl.Am. - della Divisione Crediti di B., subalterno del MA. - per chiedere spiegazioni; l'Am., dopo aver conferito con il suo superiore Pa.Ma., aveva replicato che Ba.Nu. doveva limitarsi a eseguire le direttive senza discuterle e che un tanto gli era stato detto dal MA.: "Guarda, il dottor Ma. mi ha urlato e mi ha detto che questa cosa la dovete fare. Punto e basta". Il collegio vicentino passava quindi ad illustrare gli estremi di una operazione correlata di finanziamento proposta personalmente nell'ottobre 2012 da Pa.Ma. a un imprenditore da lui conosciuto nel 2007 (quindi tre anni prima di entrare in B.), ossia Ez.Ci. del gruppo (...), del quale veniva acquisito in dibattimento ex art. 493 comma 3 c.p.p. il verbale delle s.i.t. rese il 24.10.2016. Il Ci. aveva dichiarato a s.i.t. che nell'occasione il MA. si era presentato a lui proponendogli di sottoscrivere azioni B. per complessivi 5 milioni di euro; alle perplessità del Ci., che aveva risposto di non disporre delle risorse a ciò necessarie. Il MA. aveva a sua volta replicato che B. avrebbe erogato un finanziamento di pari importo, a termine con scadenza di un anno, destinato ad essere garantito dalle stesse azioni B. che poi sarebbero state tenute in custodia dalla banca. Il Ci. si era risolto ad accettare la proposta dopo che MA. lo aveva rassicurato dicendogli che operazioni analoghe erano del tutto lecite ed erano state proposte anche ad altri imprenditori (da lui non nominati trattandosi a suo dire di notizia riservata); a ottobre 2013 detta operazione era stata rinnovata annualmente e così pure l'anno seguente. Nel maggio-giugno del 2013 B. aveva proposto al Ci. di partecipare all'aumento di capitale di quell'anno, il che anche in tal caso era avvenuto grazie a un finanziamento concessogli dalla stessa B.. Un pieno riscontro alle s.i.t. del Ci. era rappresentato - ad avviso del tribunale - dalla deposizione del teste Fr.Pi., capo area del distretto Veneto occidentale (indicato al Ci., nel racconto di questi, dal MA. come colui che avrebbe seguito la sua pratica, e così era stato). Il primo giudice individuava ulteriori elementi probatori del coinvolgimento a pieno titolo di Pa.Ma. nelle operazioni correlate effettuate da B. mediante c.d. "baciate" nelle deposizioni dei testi Gi.Gi., in B. con il ruolo di direttore regionale di Lombardia, Liguria e Piemonte (secondo il quale le pratiche di fido relative a operazioni "baciate" erano preannunciate alla Divisione Crediti e condivìse con i componenti di essa incluso il suo vertice MA., il quale partecipava altresì al comitato crediti ove pure veniva sempre evidenziata - dai componenti la Divisione Crediti che vi partecipavano - l'eventuale natura "baciata" delle pratiche di fido ivi presentate), e Fu.Bo., capo area (che rendeva sul punto dichiarazioni di analogo tenore), nonché in alcuni messaggi sms (in particolare il doc. nr, 653 del Pubblico Ministero, relativo a un sms del 27.9.2011, e il suo doc. nr. 655, relativo a un sms del 26.10.2012) nei quali il MA. ricordava al direttore generale So. di riferire al Presidente circa alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato, indicandogli nominativamente i soggetti suscettibili di essere finanziati - effettivamente risultati tali in seguito - nonché, in molti casi, il relativo importo). Ulteriore elemento probatorio indicato dal primo giudice a carico del MA. erano le risultanze degli accertamenti interni svolti dall'audit di B. sul capitale finanziato, in particolare la nota 7.5.2015 dell'Internaf audit (doc. nr. 23 del Pubblico Ministero) nella quale si evidenziava tra l'altro come la maggior parte delle numerose posizioni correlate rinvenute nel portafoglio di Ro.Ri., gestore private della filiale di Contrà Porti, fossero state deliberate da organi collegiali su presentazione proprio di Pa.Ma. (87%) oppure fossero state deliberate dallo stesso responsabile della Divisione Crediti. Il collegio vicentino passava quindi a ricostruire le interlocuzioni avute dal MA. con la vigilanza, rinviando - quanto a quelle inerenti all'ispezione della Banca d'Italia del 2012 - all'apposito cap. IX della sentenza, interamente dedicato a tale ispezione. In particolare tanto il teste Ma.Pa. (nel riferire di due incontri interlocutori da lui condotti cui aveva partecipato il MA. nel luglio 2013, il primo assieme al segretario generale Ma.So. e il secondo assieme al direttore generale Sa.So.) quar°z(il teste Vi.Ca. (nel riferire dell'accesso da lui condotto da febbraio ad agosto 2014 nell'ambito dell'AQR - Asset Quality Review, ove si era stabilmente relazionato con il MA.) precisavano che in tali occasioni nessuno aveva fatto il benché minimo riferimento al ricorso all'assistenza finanziaria per il collocamento delle azioni. Il primo giudice indi illustrava la versione dell'imputato, resa in occasione dell'esame dibattimentale tenutosi nelle udienze dell'11 e del 16 giugno 2020, evidenziando come essa da un lato fosse difforme dalle stesse dichiarazioni rese dal MA. in sede di indagini preliminari (interrogatori del 28 aprile e del 2 maggio 2017) e dall'altro lato configgesse in più punti - ad esempio nella parte in cui egli affermava che la causale generica "acquisto valori mobiliari e immobiliari", in uso almeno dal 2006, fosse un mero espediente tecnico per garantire il perfezionamento del fido in quanto, a suo dire, non esisteva il prodotto "finanziamento per acquisto azioni", o nella parte in cui egli affermava di non essere mai stato informato del fatto che i finanziamenti fossero destinati all'acquisto delle azioni - con il sopra delineato quadro probatorio. Il primo giudice evidenziava come l'esame dibattimentale del MA. divergesse radicalmente dai suoi interrogatori resi in sede dì indagine preliminare, in particolare dall'interrogatorio del 28.4,2017 in relazione alla vicenda dell'Operazione Sorgente (in tesi accusatoria si trattava di un'operazione "baciata" attraverso la quale la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato un finanziamento di 25 milioni di euro alla società So. Ltd., facente parte del gruppo Mainetti, che era stato utilizzato per acquisto di azioni B. al fine di consentirne la dismissione dal fondo estero "(...)"). In sede di esame dibattimentale il MA. negava trattarsi di operazione correlata mentre durante le indagini preliminari l'aveva definita "un'operazione baciata imposta da PI. al So. (...) Sono venuto a conoscenza di questa operazione con la proposta di affidamento giunta in Divisione Crediti. Ho compreso che si trattava di un'operazione baciata in quanto la causale dell'affidamento era indicata con la generica dicitura di cui ho detto prima, "cogliere opportunità di mercato" o analoghe, e inoltre vi era l'impegno al deposito dei titoli presso B.". Che la versione rispondente al vero fosse quella resa dal MA. in sede di indagini preliminari - proseguiva il tribunale - lo si evinceva da due elementi di prova rappresentati dal più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014 (nella trascrizione prodotta dal Pubblico Ministero quale suo doc. nr. 110, cfr. ieri particolare sua pag. 43) e da una conversazione intercettata Io.-Ma. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. Il tribunale evidenziava altresì come un ulteriore assunto del MA. - secondo cui egli e il suo sottoposto Cl.Am. avevano disvelato agli ispettori della Banca d'Italia nel 2012 il carattere correlato delle operazioni effettuate da almeno una quindicina circa dei clienti dì cui alla lista dei primi trenta soci di B. - fosse stato smentito dalle deposizioni dei predetti ispettori (che avevano concordemente negato la circostanza) e non avesse trovato il benché minimo riscontro in atti. Né - significativamente, secondo il collegio vicentino - il MA., soggetto da ritenersi nel complesso del tutto inattendibile, aveva mai accennato a tale preteso disvelamento neppure nei suoi atti giudiziari relativi alle cause di lavoro e all'azione di responsabilità dinanzi al tribunale delle imprese. Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono il primo giudice riteneva indubitabili il rilevante apporto causale concorsuale del MA. a tutti i reati ascrittigli (in base alla tabella n. 1 allegata al supplemento di consulenza tecnica del Pubblico Ministero dd. 14.11.2019 egli risultava avere partecipato consapevolmente alla fase deliberativa di finanziamenti correlati per un importo di circa 800 milioni di euro, di cui 414 milioni deliberati dal CdA su pratiche presentate dall'imputato, 160 milioni deliberati dal Comitato Crediti di cui il MA. era membro, 108 milioni deliberati dallo stesso MA. quale organo monocratico dotato di autonoma potestà deliberativa, 63 e 49 milioni rispettivamente deliberati dal Comitato esecutivo e dal Comitato Centrale fidi, anche in tal caso sulla base della presentazione di pratiche effettuata dal MA.) e il pieno ricorrere dell'elemento soggettivo del reato. 1.9.4 Pi.An. Con riferimento all'imputato Pi.An. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Finanza (nella quale egli operava con tale qualifica dal 2009 oltre a rivestire in B. anche il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale nr. 261 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Finanza erano così descritte dal tribunale: - partecipare al coordinamento e allo sviluppo delle attività del mercato primario e secondario su comparti azionari e obbligazionari: - curare l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi e l'emissione dei prestiti obbligazionari del gruppo, coordinandosi con le Unità competenti; - collaborare con la Divisione Mercati nell'adeguare i prodotti e i servizi finanziari da offrire alla clientela, sulla base delle esigenze/opportunità rilevate, tenendo conto delle linee guida definite dal Comitato Prodotti e Wealth Management; s all'interno della Divisione Finanza poi il nucleo "Documentation" si occupava di valutare l'adeguatezza e l'allineamento degli strumenti finanziari e dei processi alla normativa primaria (TUF, TUB, Regolamenti CONSOB e Banca d'Italia) e secondaria nonché alla normativa interna nella prestazione dei servizi d'investimento o comunque nello svolgimento dell'attività della Divisione Finanza, con precipuo riferimento alla materia dei servizi di investimento, supportando la divisione nei rapporti con le funzioni di compliance, legale, auditing e organizzativa; - l'Unità svolgeva inoltre un ruolo di supporto alle funzioni responsabili del processo di gestione delle informative da fornire alla clientela prima della negoziazione di strumenti finanziari, in conformità al dettato dell'art, 31 del Regolamento intermediari, nelle fasi di aggiornamento delle stesse; - partecipazione, per la parte di competenza della Divisione Finanza, alla redazione della relazione per le Autorità di vigilanza sulle procedure di svolgimento dei servizi di investimento; s assicurare l'informativa e le segnalazioni istituzionali di propria competenza, coordinandosi con le Unità competenti. Il primo giudice affermava (cfr. pag. 703 sentenza gravata) che dall'istruttoria dibattimentale era emersa "la prova del ruolo svolto da An.Pi. in alcune operazioni di capitale finanziato di rilevante importo effettuate attraverso la controllata irlandese B.Fi. e nella sottoscrizione dei fondi lussemburghesi utilizzati come strumento di detenzione indiretta delle azioni proprie da parte della banca vicentina, in particolare - attraverso i fondi esteri - nell'ambito dell'iniziativa svuota fondo 2012 furono collocati 60 milioni di euro di azioni B.". Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il collegio vicentino individuava plurime condotte ritenute penalmente rilevanti a carico del PI. e in particolare: - operazioni di capitale finanziato effettuate, estero su estero, dalle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" - tre società denominate Ma., Ju. e Br. - tanto nel 2012 (in occasione della relativa campagna svuota fondo) quanto nel 2013 (in occasione dell'aumento di capitale di quell'anno). Per la precisione - in base alla ricostruzione effettuata in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma., riscontrato dalle deposizioni rese dai testi Gi.Gi. (in B., come detto, con la veste di direttore regionale per Lombardia-Liguria-Piemonte) e Pi.Ra. (d.g. di B.Fi.) - nel novembre/dicembre 2012 la controllata irlandese B.Fi., il cui direttore era il teste Pi.Ra., risultava avere erogato tre fidi c.d. "bullet", di 10 milioni di euro l'uno, alle suddette società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali a loro volta avevano girato la liquidità cosi ricevuta a tre società italiane neocostituite e denominate Pe. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime (facenti capo al gruppo Fi., il cui direttore finanza era Ma.Sb.) avevano provveduto ad acquistare azioni B. per importi corrispondenti ai finanziamenti erogati. Indi, nel luglio 2013, la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato nuovi finanziamenti per 3 milioni di euro alle tre società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali anche in tale occasione avevano girato la liquidità così ricevuta alle tre società italiane denominate Pe.In. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime a loro volta avevano sottoscritto azioni e obbligazioni convertibili per un ammontare equivalente; i testi Gi. e Ra. avevano delineato il ruolo attivo dell'imputato PI. in entrambe le operazioni (la cui istruttoria era stata seguita dalla Divisione Crediti della capogruppo B.) e in particolare il teste Ra., direttore della controllata irlandese B.Fi., aveva indicato il PI. come colui che gli aveva richiesto di impostare i suddetti finanziamenti, affermando altresì essersi trattato di operazioni atipiche per B.Fi., la quale generalmente finanziava aziende produttrici dì beni e non concludeva operazioni strettamente finanziarie (cosa questa obiettata dal Ra. al PI., il quale tuttavia gli aveva replicato - nella prima delle due occasioni - che occorreva fare l'operazione "per aiutare la banca a comprare le proprie azioni" e riuscire così a svuotare il fondo acquisto azioni proprie entro la fine dell'anno 2012). Un altro teste, Gi.Fe., direttore della Divisione Compliance, ricordava che, nel corso di un'attività ispettiva svolta dalla Compliance a Dublino nel 2013 nei confronti di B.Fi., i finanziamenti concessi alle "tre sorelle" lussemburghesi erano emersi, il che lo aveva indotto a rivolgersi al direttore generale So. che a sua volta lo aveva indirizzato al PI.; questi aveva rassicurato il Fe. dicendogli che in quel periodo B. stava acquistando molte azioni (...) e che in contropartita la Save stava comprando azioni B.; s investimento della somma complessiva di 350 milioni di euro (di cui 200 milioni investiti dalla capogruppo B., 100 per ciascun fondo, e i restanti 150 milioni investiti dalla controllata irlandese B.Fi. in due fondi lussemburghesi denominati "(...)" e "(...)" (sotto-fondi (...) Multistrateqy I e II). utilizzati quale strumento di detenzione indiretta delle azioni di B. (per tale tramite nel 2012 erano state concluse operazioni c,d. "svuota fondo" - atte cioè ad alleggerire il fondo acquisto azioni proprie di B. - del valore di 60 milioni di euro). La delibera di investimento nei fondi in oggetto, adottata dal CdA di B. in data 21.2.2012 (in atti quale doc. n. 325 del Pubblico Ministero), era stata sottoscritta dal PI. quale responsabile della Divisione Finanza dopo che lo stesso aveva illustrato al CdA i termini dell'operazione, a sua volta in precedenza pianificata nel corso di una riunione tenutasi il 5.12,2011 tra Ma.So., Fi.Ro. e An.Pi. per B. e la coppia di rappresentanti del fondo "(...)" formata da Al.Ma. - sentito quale teste ex art, 507 c.p.p. su richiesta della difesa del PI. - e Gi.Ma.. Ciò risultava dalle deposizioni del teste ispettore Gi.Ma., dei testi Ma.So. e - soprattutto - Fi.Ro. nonché dai messaggi sms (in atti quale doc. nr. 311 del P.M.) intercorsi nel novembre 2012 - pochi giorni prima della sottoscrizione dei contratti con i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" avvenuta il 28.11.2012 - fra An.Pi. e i gestori dei fondi stessi. Subito dopo aver ricevuto tali capitali i due fondi "(...)" e "(...)" avevano comprato azioni B.. Secondo il tribunale vicentino il fatto che tale investimento di B. nei fondi lussemburghesi - lungi dall'indicare un interesse di questi ultimi a diventare soci della banca, come ammesso, secondo il teste Fi.Ro., anche dal direttore generale So. durante il comitato soci del 18.12.2012 - fosse stato puramente strumentale all'esigenza della stessa banca dì svuotare il proprio fondo acquisto azioni emergeva non soltanto dalla stretta consequenzialità temporale fra tutte le operazioni come sopra descritte ma altresì dalla deposizione dello stesso teste Fi.Ro. (facente parte dell'Ufficio Soci di B.), che ricordava di avere assistito al riguardo - nel novembre 2012 -a un breve incontro sul tema tra il direttore generale Sa.So., il responsabile della Divisione Mercati Em.Gi. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi. (nell'occasione il So., secondo la ricostruzione del teste Ro., aveva esposto la necessità di svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B. per un ammontare di 100 milioni di euro; il PI. si era Impegnato a effettuare operazioni "svuota fondo" per 60 milioni di euro e il GI. aveva assicurato che avrebbe fatto altrettanto per un valore di 40 milioni di euro). Sempre il teste Ro. affermava che, come preannunciatogli dall'imputato PI., egli era stato contattato poco prima della fine del 2012 dagli intermediari dei fondi (per il fondo "(...)" trattavasi del broker inglese Ma.Sp.; l'operazione sul piano amministrativo era stata gestita per Ma.Sp. da Ti.Ch., anch'egli sentito come teste); - di questi, gli investimenti nel sotto-fondo (...) Multistrategy II erano stati posti in essere, come sopra accennato, dalla controllata irlandese B.Fi.. Nel luglio 2013 il CdA della capogruppo B. aveva infatti ampliato il portafoglio di investimento della controllata irlandese B.Fi. portandolo dalla somma di 35 milioni a quella di 300 milioni di euro, dei quali 150 milioni erano stati dalla stessa controllata investiti, nei due mesi seguenti, nel sotto-fondo (...) Multistrategy II in due tranche rispettivamente da 100 e da 50 milioni di euro; tale investimento era avvenuto - in base alla deposizione del teste Pietro Ra., direttore di B.Fi. - su precisa indicazione di An.Pi., il quale, sempre a detta del Ra. (che evidenziava altresì l'anomalia dell'ingente importo degli investimenti in un singolo fondo rispetto a quanto era usuale per B.Fi. nonché l'anomalia relativa alla non visibilità dei sottostanti), aveva messo quest'ultimo in contatto con Gi.St. (membro del CdA di (...) Evolution Fund SIF e funzionario senior di (...) Asset Management), soggetto che - citato a deporre quale teste dalla difesa del PI. nel presente procedimento con le garanzie ex art. 210 c.p.p. in quanto indagato per reato connesso di bancarotta fraudolenta a seguito della dichiarazione di insolvenza di B. - si era avvalso della facoltà di non rispondere. Dal canto suo il teste Pi.Ra. - che aveva evidenziato una progressivamente crescente ingerenza di B. nell'autonomia gestionale di B.Fi. - affermava di essere stato rassicurato dal PI. circa le sue perplessità e preoccupazioni derivanti dalle anomalie come sopra illustrate. Le articolate modalità della successiva dismissione (avvenuta nel corso del 2014, in parte mediante operazione di equity swap in compenso tra azioni B. e azioni Veneto Banca) delle azioni B. detenute dai fondi esteri in oggetto venivano illustrate dal collegio vicentino alle pagg. 712-713 della gravata sentenza (la dismissione, accertata in sede ispettiva, era riscontrata - al pari del ruolo svolto in essa da An.Pi. - anche dalle dichiarazioni del teste Ro.Ri., gestore private della filiale B. di Contrà Porti); s operazione correlata di finanziamento effettuata in favore della società So. Ltd. (appartenente al gruppo MainettO attraverso la controllata irlandese B.Fi., che le aveva erogato un fido c.d. "bullet" per un importo di circa 25 milioni di euro. Con tale liquidità la So. Ltd. a sua volta aveva acquistato, nel dicembre 2014, 13,5 milioni dì euro di azioni B. dal fondo "(...)" di milioni di euro di azioni B. dal fondo "(...)". Il tutto emergeva dall'ispezione BCE del 2015 e anche in questo caso - osservava il primo giudice - il ruolo centrale nell'organizzazione della relativa operazione era stato rivestito da An.Pi., secondo quanto dichiarato in sede dibattimentale dai testi Pi.Ra. - direttore della controllata irlandese B.Fi. - e Wa.Ma., amministratore delegato del gruppo So. (quest'ultimo precisava che era stato il PI. a proporgli un finanziamento di 25 milioni di euro "siccome dobbiamo collocare un po' delle nostre azioni" e affermava che, vinta la propria iniziale perplessità, alla fine aveva accettato); un solido riscontro a tali deposizioni - e non solo ad esse ma altresì, ad esempio, al coinvolgimento del PI. nella decisione della banca di ricorrere alle lettere di impegno nonché al suo attivarsi per reperire una soluzione atta a consentire la dismissione delle azioni B. detenute dai fondi - era individuato dal primo giudice nel più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione tenutosi in data 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.); un ulteriore riscontro veniva individuato nella conversazione intercettata Io./MA. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. A tutto ciò si aggiungeva la deposizione resa da Al.Ma. - fondatore di (...) Asset Management - il quale, sentito come teste ex art, 507 c.p.p., su richiesta della difesa del PI., confermava che i fondi (...) Multistrategy I e II erano stati costituiti nell'interesse esclusivo di B. quale unico investitore del fondo. Il tribunale vicentino proseguiva la propria disamina indicando come dimostrati anche gli investimenti, operati dai fondi esteri in questione, su indicazione del PI., in obbligazioni emesse da società legate ai gruppi imprenditoriali Ma., Fu. e De., già fortemente esposti nei confronti di B.; contestualmente anche gli impieghi in equity risultavano essere stati indirizzati, su indicazione dello stesso PI., nei confronti di società illiquide clienti di B.: la Me.Ca. SpA (legata ad Al.Ma.) e la Ital-Finance SpA (riconducibile al gruppo De Gennaro). Inoltre - notava il primo giudice - il PI. risultava coinvolto più in generale nell'intera illecita operatività di B., risultando egli essere stato fra l'altro presente (giusta appunti manoscritti redatti dal teste Ma.So., in atti quale doc. nr. 389 del P.M.) al Comitato di Direzione tenutosi l'8.11.2011 nel quale erano stati effettuati inequivoci riferimenti alle c.d. operazioni "baciate" quale strumento da adottare per svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B.. Allo stesso modo, sempre secondo la ricostruzione operata dal primo giudice, il PI. doveva ritenersi coinvolto anche nel rilascio delle lettere di impegno da parte di B. oltre che in altre operazioni di capitale finanziato, come riferito dai testi An.Fa. (imprenditore del settore tessile) ed Ed.Ta. (altro imprenditore). Ancora, il teste Ma.So. aveva riferito di avere presenziato a un colloquio tra il direttore generale So. e il PI. su come strutturare "operazioni volte ad acquisire capitale" con l'imprenditore Luca Fe.ni (sentito a sua volta quale teste) e con il Fondo Ag. (in quest'ultimo caso l'operazione - ricostruita in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma. -in sede ispettiva non era stata considerata finanziata pur essendo assistita da una lettera di impegno). Il collegio vicentino richiamava altresì l'episodio della società di revisione K. (già esaminato sopra in relazione alla posizione dell'imputato GI.) evidenziando come, in base alla deposizione resa dalla teste avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., risultasse essere stato presente anche il PI. - assieme al direttore generale So. e al responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. - a una riunione convocata a seguito delle richieste dì delucidazioni rivolte alla banca da K.; nell'occasione, come già detto, l'avv. Pa. si era rifiutata di fornire il parere legale richiestole, suggerendo invece al So. (che aveva reagito in malo modo) di fare subito un audit, al che il PI. - come già evidenziato supra - aveva, a suo dire, ribattuto: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa". L'imputato PI. risultava aver fatto parte anche della già citata "Task Force Gestione Soci" costituita e attivata - ufficialmente - a seguito dell'entrata in vigore del Regolamento UE n. 575/2013 (c.d. CRR) e del Regolamento Delegato UE n. 241/2014 nonché del D.L. n. 3/2015; la costituzione di tale Task Force trasversale alle varie Divisioni, che avrebbe dovuto reperire e adottare misure atte a ripristinare l'interazione con la base sociale attraversata da crescente disorientamento e scontento, era stata preceduta da una documentata riunione operativa tenutasi il 24.4.2015 (il relativo resoconto è in atti quale doc. nn. 525 del P.M.). In realtà - proseguiva il primo giudice - la partecipazione e il coinvolgimento del PI., responsabile della Divisione Finanze, nella Task Force in questione apparivano funzionalmente eccentrici rispetto agli scopi di essa e si spiegavano solo "in ragione dei suo coinvolgimento in tutti gli aspetti relativi all'anomala operatività della banca" (cfr. pag 724 sentenza gravata). Il primo giudice si diffondeva altresì sulle occasioni nelle quali il PI. aveva avuto interlocuzioni con la vigilanza. Per la precisione si trattava di due riunioni interlocutorie tenutesi nel 2013 (durante la fase preparatoria dell'aumento di capitale di quell'anno) e nell'autunno del 2014 (allorquando erano emerse le problematiche relative ai riacquisti effettuati da B. nonché al deficit patrimoniale a seguito del Comprehensive Assessment). Il tribunale affermava che in ambedue le occasioni il PI. aveva fornito alla vigilanza indicazioni false e fuorvianti circa i livelli di patrimonializzazione di B.; era stato altresì omesso in tali occasioni qualsiasi accenno agli squilibri del capitale azionario e al fenomeno del capitale finanziato. Sulla prima riunione interlocutoria, tenutasi il 27 marzo 2013 su richiesta j della stessa B. (e alla quale avevano partecipato per la banca il direttore° generale Sa.So., il segretario generale Ma.So., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. e per l'appunto il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.), il teste Ma.Pa. - nel precisare che si trattava dì una riunione finalizzata a fornire, da parte della banca, aggiornamenti circa gli interventi pianificati per rafforzare il livello di patrimonializzazione del gruppo - aveva affermato che gli esponenti di B. gli avevano illustrato le caratteristiche principali dell'operazione programmata; queste ultime corrispondevano a quelle dell'aucap 2013 poi effettivamente realizzato, compresa la "campagna soci volta all'ampliamento della base azionaria (Euro 100 mln)", con "associata l'erogazione di finanziamenti, ai sensi dell'art. 2358 c.c. riservata ai nuovi soci. Sempre secondo il teste Pa., inoltre, tanto il PI. quanto il PE. avevano dimostrato di essere già a conoscenza del fatto che il capitale sottoscritto mediante finanziamenti concessi dalla banca non potesse essere computato ai fini del patrimonio di vigilanza se non nella quota del finanziamento nel frattempo oggetto di rimborso. A null'altro di quanto fino a quel momento accaduto si era fatto cenno, da parte dei predetti, in tale prima riunione come pure nella seconda riunione, tenutasi il 20.10.2014 tra Banca d'Italia e B. (in rappresentanza di quest'ultima erano stati presenti if PI. e il PE.). In base alla deposizione del teste ispettore Em.Ga., poi, risultava un contegno estremamente reticente del PI. in relazione alla sua conoscenza di quali investimenti fossero sottostanti ai fondi esteri dei quali sopra si è detto. Interpellato al riguardo dal team ispettivo il PI. si era limitato a giustificare tale assenza di informazioni con la reticenza dei gestori. Era stato allora rappresentato al direttore generale So., da parte della vigilanza, che in caso di mancata disclosure degli investimenti sottostanti si sarebbe scomputato l'intero importo di Euro 350 milioni dal patrimonio di vigilanza, al che le informazioni richieste erano prontamente pervenute. Il tribunale vicentino, dopo aver illustrato i contenuti della deposizione resa dal teste Massimo Castelluccio - all'epoca dei fatti in forza alla Divisione Finanza e dunque subalterno del PI. - circa le modalità della predisposizione dei documenti di offerta, passava in rassegna i contenuti di alcune conversazioni telefoniche e messaggi sms oggetto di intercettazione, contenenti, a suo avviso, significative ammissioni dello stesso PI. in ordine al proprio pieno coinvolgimento nei fatti per i quali qui si procede: conversazione progr. n. 360 dell'1.9.2015 tra il PI. e Mo.An.di UBS; messaggi sms scambiati il 3 maggio 2015 dal PI. con Em.Gi. (il primo scriveva ivi al secondo: "Deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori"). Indi il primo giudice illustrava i contenuti della versione dei fatti resa dall'imputato PI. - in sede di esame dibattimentale dd. 3.3.2020 - sui vari temi sopra ampiamente passati in rassegna (fra questi: prassi gestionale dei finanziamenti correlati, a suo dire appresa solo a seguito dell'ispezione BCE; lettera di impegno al riacquisto rilasciata all'imprenditore tessile Fa., in relazione alla quale il PI. sosteneva di avere detto all'imprenditore - che la pretendeva - di non poter fare nulla e di essersi limitato per parte sua a metterlo in contatto con il direttore generale So., che in effetti risultava essere il sottoscrittore della lettera di impegno poi concretamente emessa; operazione "So.", in relazione alla quale il PI. sosteneva non trattarsi di una operazione correlata; triangolazione coinvolgente le società c.d. "tre sorelle lussemburghesi", in relazione alla quale il PI. sosteneva di non aver mai saputo che alle anzidette società fosse stato erogato un finanziamento correlato per l'acquisto di azioni, scoprendolo solo dopo l'erogazione, allorquando si era avveduto che nel portafoglio titoli delle società stesse vi erano azioni B.; episodio, già più volte citato, dello scontro con l'avv. Pa. dell'ufficio legale di B. riguardo alla vicenda della società di revisione K., in relazione alla quale il PI. sosteneva di essersi limitato a dire alla Pa. che, come dirigente dell'ufficio legale alla quale era stato richiesto di redigere un parere, si sarebbe dovuta assumere le sue responsabilità; vicenda fondi "(...)" e "(...)", in relazione alla quale il PI. affermava che si era trattato di un'idea del direttore generale So. in vista dell'aucap 2013, che comunque i fondi erano stati sottoscritti dal So. sulla base del parere favorevole tanto dell'ufficio legale quanto della compliancet che in relazione alla seconda delle due operazioni egli si era limitato a presentare Gi.St. di (...) Asset Management al direttore generale della controllata irlandese B.Fi., Pi.Ra. e che, - in ogni caso - egli non era stato mai coinvolto dai fondi nella scelta degli investimenti sottostanti). Secondo il collegio vicentino tutte le anzidette affermazioni di esclusione della propria responsabilità rese dal PI. in sede di esame trovavano smentita nel complesso delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale come sopra passate in rassegna nel ricostruire i vari episodi ritenuti dallo stesso primo giudice idonei a rivestire rilevanza penale a carico dell'imputato. Quanto poi alla linea difensiva del PI. riguardo a numerosi fra i testi a suo carico (in particolare i testi Pi.Ra. e Fi.Ro.), ossia che si sarebbe trattato di testi del tutto inattendibili perché interessati a incolpare lo stesso PI. pur di allontanare ogni sospetto nei loro confronti, il tribunale ribatteva che le loro deposizioni risultavano munite di plurimi riscontri, indicati nel dettaglio alle pagg. 730-732 della gravata sentenza, 1.9.5 Pe.Ma. Con riferimento a Pe.Ma. il primo giudice - dopo avere richiamato l'ipotesi d'accusa, secondo la quale costui avrebbe concorso nei reati di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza nella sua qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili rilevanti nella prassi aziendale della concessione dì finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. ed avrebbe, altresì, fornito un concreto contributo alla realizzazione dei reati di falso in prospetto in ragione della sua responsabilità nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazioni all'autorità di vigilanza - evidenziava come l'imputato, nel periodo d'interesse 2011-2014, avesse ricoperto l'incarico di responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione nonché quello di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, donde la sua estraneità alla esecuzione delle operazioni di capitale finanziato. La responsabilità del PE., pertanto, avrebbe richiesto la verifica, per un verso, "a monte", della consapevolezza, in capo al predetto, dell'esistenza e della consistenza del fenomeno in esame; e, per altro verso, "a valle", dell'apporto da questi fornito alla realizzazione delle attività delittuose attraverso la predisposizione di documenti, diretti al mercato ed alle autorità di vigilanza, contenenti informazioni caratterizzate dall'occultamento di detto fenomeno. Sotto il primo profilo il tribunale premetteva una analitica individuazione del ruolo concretamente svolto dall'imputato all'interno delia compagine bancaria, sottolineando come il PE., nella sua qualità di direttore della suddetta Divisione, dipendesse gerarchicamente dal solo d.g. So.. Nella sua qualifica di dirigente preposto, poi, il predetto riferiva direttamente al CdA per il tramite del comitato di controllo. Più nel dettaglio, l'imputato costituiva il vertice di una divisione che comprendeva due uffici di staff (l'ufficio studi e lo staff del dirigente preposto), disponeva di ben 75 unità e che, attraverso le sue articolazioni (segnatamente attraverso la Direzione Pianificazione Strategica, diretta da An.Fa.), svolgeva una pluralità di attività che andavano dal supporto alla direzione generale nella redazione dei piani economici pluriennali e dei budget annuali di tutte le strutture della banca, alla gestione dei rapporti con le società di consulenza e con la struttura dell'esperto indipendente incaricato annualmente di effettuare la valutazione dell'azione; dal monitoraggio teso a verificare il rispetto dei ratios patrimoniali della banca in relazione agli attivi ponderati (RWA) e all'andamento del fondo acquisto azioni proprie, al controllo costante dell'andamento della rete commerciale (verificato attraverso l'attività dell'ufficio CRM). Per il tramite della Direzione Ragioneria Generale - diretta da Lu.Tr. e facente parte anch'essa della Divisione Bilancio - poi, venivano curati gli adempimenti fiscali, gestita la contabilità, predisposto il bilancio di esercizio e quello consolidato e, infine, redatte le segnalazioni all'autorità di vigilanza. Ebbene, in un contesto tanto articolato era giocoforza che il PE. svolgesse un ruolo di coordinamento, occupandosi anche di assicurare una garanzia di coerenza fra i dati gestionali e quelli contabili, mentre la gestione dei dati di dettaglio e le attività correnti erano necessariamente demandate alla struttura nel suo complesso, adeguatamente dotata di risorse umane (numerose unità; plurimi dirigenti) e materiali. Quanto, poi, alle funzioni attribuite al dirigente preposto (figura prevista e disciplinata dall'art. 154 bis TUF), tale soggetto si occupava non già della redazione materiale dei documenti contabili societari, bensì della "predisposizione di adeguate procedure amministrative e contabili per la formazione del bilancio di esercizio e, ove previsto, del bilancio consolidato, nonché di ogni altra comunicazione di carattere finanziario" (art. 154 bis co. 3). Inoltre a costui competeva attestare la corrispondenza degli atti e delle comunicazioni "alle risultanze documentali ai libri e alle scritture contabili", come previsto dall'art. 154 bis TUF. Nello specifico, all'interno di B., in linea con la normativa di riferimento, la figura del dirigente preposto era disciplinata dal "Modello del Dirigente Preposto alla redazione dei documenti contabili societari"; modello che prevedeva che ciascuna funzione aziendale di controllo trasmettesse al dirigente preposto i risultati delle verifiche di propria competenza. Di qui la necessità, affinché il dirigente preposto potesse svolgere correttamente il proprio ruolo, della correttezza e veridicità delle informazioni che ciascuna struttura aziendale trasmetteva al suddetto dirigente. Tanto premesso, nessuno degli organi di controllo (collegio sindacale, audit, organismo di vigilanza, compliance) - precisava il primo giudice - aveva segnalato al PE. l'esistenza dì prassi scorrette nell'operatività del mercato interno delle azioni proprie. Quando il responsabile dell'Internal audit Ma.Bo. aveva tentato di portare a compimento la prima attività ispettiva sui finanziamenti correlati, infatti, era stato bloccato dal d.g. Sa.So., il quale gli aveva impedito di divulgare il relativo report. Il collegio sindacale, dal canto suo, pur avendo ricevuto vari segnali (sul punto il riferimento specifico del tribunale era al caso del socio Dalla Grana), non aveva effettuato alcuna comunicazione in proposito. Altrettanto doveva dirsi per la funzione di compliance che, chiamata a gestire la vicenda Vi., non aveva segnalato nulla al riguardo. In definitiva, nessuna informazione in ordine al fenomeno delle operazioni correlate era pervenuta al PE. attraverso i canali istituzionali. Né tale fenomeno era stato percepito nell'ambito dell'attività - parimenti di competenza della Divisione facente capo all'imputato - di gestione della contabilità adottata dalla banca. Il teste Lu.Tr., infatti, aveva dichiarato di avere appreso per la prima volta del fenomeno del capitale finanziato nel marzo del 2015, nel corso di una riunione tra le società di revisione e il collegio sindacale in vista della redazione della relazione al bilancio 2014. Prima di allora, infatti, secondo tale teste, il suddetto fenomeno non era rappresentato nei sistemi contabili, né era comunque noto alla struttura, né, infine, vi erano possibilità che potesse essere rilevato dalla Ragioneria Generale attraverso l'analisi dei dati disponibili. Inoltre, neppure erano emersi elementi che consentissero di concludere che il PE. avesse acquisito aliunde (rispetto ai canali istituzionali) la consapevolezza circa l'operatività dei finanziamenti correlati. Anzi, in senso opposto orientavano le deposizioni dei testi An.Fa., Lu.Tr. e Al.Mo.. Del teste Tr. si è già detto. Il teste Fa., dal canto suo, aveva riferito di avere appreso delle operazioni correlate solo nel corso della ispezione BCE del 2015, precisando che anche il PE., fino ad allora, si trovava nella medesima situazione di ignoranza del fenomeno in questione. Il teste Mo., infine, aveva sostenuto che prima dell'ispezione vi fosse consapevolezza delle "baciate" ma non della loro diffusività e, con riferimento al PE., aveva precisato che costui era a conoscenza solo dello slogan del d.g, Sa.So. secondo il quale ogni cliente affidato avrebbe dovuto possedere azioni B. pari almeno al 10% del finanziamento. Aggiungasi che anche il teste Ma.Li. - all'epoca vicedirettore di Ba.Nu. ed in rapporto di wbuona colleganza" con l'imputato durante la precedente esperienza in B. - aveva dichiarato di avere avuto con costui un colloquio confidenziale nel mese di aprile 2015 (ovverosia in piena ispezione BCE e poco prima dell'avvio della Task Force voluta dal d.g. So.) traendone la convinzione che l'imputato non fosse a conoscenza "di questa rilevanza del problema". Anche la vicenda della comunicazione delle 17 posizioni sospette da parte di K. e la deposizione dell'avvocato Pa. (vicenda oggetto di puntuale ricostruzione da parte del primo giudice alle pagg. 746-748 della sentenza) deponevano tanto per la mancata consapevolezza, in capo al PE., dell'entità del problema del capitale finanziato (problema del quale lo stesso imputato, apprendendone in occasione della qui più volte menzionata riunione nell'ufficio del So., si era poi dimostrato seriamente preoccupato, al pari della suddetta Pa.), quanto per l'estraneità del medesimo PE. rispetto alle macchinazioni tese ad occultarlo. Analoghe conclusioni dovevano trarsi, ad avviso del tribunale, con riferimento alla disclosure sui fondi "(...)" e "(...)". In proposito era stato dall'ufficio del PE. che era partita la richiesta di disclosure sui sottostanti dei fondi (richiesta, peraltro, più volte ripetuta, come precisato dal teste Lu.Tr.). Quindi, in presenza di una risposta solo parziale, l'ufficio ricompreso nella Divisione diretta dall'imputato aveva applicato il trattamento previsto dalla normativa, segnalando l'intera esposizione verso quei fondi come una "esposizione sconosciuta". Peraltro, quando, successivamente, era entrato in vigore il CRR che imponeva alla banca di avere piena conoscenza anche degli investimenti sottostanti, era stato proprio l'imputato a segnalare che, in difetto di disclosure, l'istituto avrebbe dovuto detrarre integralmente l'intero investimento dal CET 1 e solo per effetto di tale segnalazione era stato finalmente comunicato l'investimento in azioni B., come segnalato dal teste ispettore Em.Ga.. Anche l'intervento effettuato dal PE. nel corso della seduta del CdA 1.4.2014 - allorché questi non si era affatto allineato alle valutazioni del prof. Bi. in ordine al valore da assegnare all'azione, ma, al contrario, aveva mosso delle critiche al riguardo - deponeva in senso favorevole all'imputato. Ove costui fosse stato coinvolto nell'illecita operatività del capitale finanziato, infatti, sarebbe stato lecito attendersi che non dissentisse rispetto alla metodologia applicata nella stima del valore del titolo. Né, a fronte di tali plurime emergenze probatorie favorevoli, gli elementi valorizzati in senso contrario dal P.M. potevano legittimare differenti conclusioni circa la consapevolezza, da parte del PE., del fenomeno in esame. Non l'episodio del Comitato di Direzione dell'8 novembre 2011, nel quale pure v'era prova che si fosse parlato delle "operazioni baciate" in presenza del PE., poiché l'affermazione fatta, nell'occasione, da costui, secondo quanto riportato negli appunti del teste Ma.So. ("Avrei bisogno di 110 milioni andare a 8 con capitalizzazione dell'utile trimestrale") e, più in generale, ciò che era stato sostenuto nel corso della riunione, anche dal d.g. So. ("dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. abbiamo degli impegni nei confronti di Banca d'Italia e del Consiglio di Amministrazione"), non consentivano di concludere che il medesimo PE. fosse consapevole delle specifiche caratteristiche di quella tipologia di operazioni, né della diffusività del fenomeno e, quindi, della sua incidenza sul patrimonio della banca. Tutt'altro che inverosimile, infatti, appariva quanto sostenuto, al riguardo, dallo stesso imputato, là dove il predetto aveva precisato di non avere dato adeguato peso agli interventi effettuati, in tale occasione, dal Se. e dal Tonato in quanto, all'epoca, neppure conosceva il significato della parola "baciata". Peraltro - precisava il primo giudice - a tale riunione era stata presente anche l'avv. An.Pa., la quale tuttavia aveva dichiarato di essere venuta a conoscenza del fenomeno solo nel 2015, in occasione della citata comunicazione della società di revisione K.. Non le dichiarazioni rese dal teste So. - sebbene costui avesse narrato di colloqui con figure apicali dell'istituto nei quali si era fatto ripetutamente riferimento alle "baciate" a partire dagli anni 2010-2011 - in quanto detto teste non aveva riferito di colloqui intercorsi, a tale specifico riguardo, con il PE.. E neppure le deposizioni - sostanzialmente analoghe e, comunque, assolutamente vaghe ed incerte - rese dei testi Gi.Am., Al.Ba. e Co.Tu.. Quanto, poi, al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (del quale nel corso dell'istruttoria dibattimentale era stata ascoltata la registrazione audio), il primo giudice precisava, per un verso, che si era trattato di riunione alla quale il PE. non aveva partecipato (in quanto si trovava a Francoforte) e, per altro verso, che il riferimento alla necessità di confrontarsi con il predetto, nell'occasione chiamato in causa da GI. ("... però dobbiamo confrontarci con Ma..."), costituiva un elemento insuscettibile di univoca lettura. Era lecito ipotizzare, infatti, che il predetto GI. - come, peraltro, da questi sostenuto - intendesse riferirsi alla necessità di "tagliare gli attivi", donde, in questa prospettiva, la regolarità del coinvolgimento del PE., in quanto titolare della Divisione "competente in materia". Inoltre, con riferimento alla deposizione rese dal teste Co.Tu. in relazione alla riunione del 7 gennaio 2015 (deposizione nel corso della quale detto testimone, dapprima, aveva riferito che si era trattato della prima occasione nella quale sì era parlato di "baciate" anche in presenza di PE. e successivamente, in sede di controesame, aveva smentito le precedenti dichiarazioni, negando che nel corso di questo incontro fosse stato affrontato tale argomento), si era evidentemente in presenza, ad avviso del primo giudice, di un contributo dichiarativo del tutto inattendibile. Infine il tribunale esaminava la tesi del coimputato GI. (tesi secondo la quale: il fenomeno del capitale finanziato era noto a tutti all'interno della banca; lo stesso GI. ne ignorava la dimensione; il medesimo dichiarante aveva confidato nella regolare appostazione a bilancio dei dati relativi a detto fenomeno) evidenziandone: - per un verso, il contrasto con gli elementi probatori in precedenza citati; ° per altro verso, la intrinseca contraddittorietà (posto che non era dato comprendere cosa avrebbe dovuto appostare a bilancio la ragioneria se neppure il GI. era a conoscenza di dati precisi al riguardo e se difettavano flussi informativi interni sul punto); - e, peraltro verso ancora, la palese illogicità (in quanto la contabilizzazione di tale fenomeno avrebbe vanificato la finalità di evitare la decurtazione del valore delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza). In definitiva - concludeva il primo giudice - il compendio probatorio non consentiva di giungere all'affermazione di responsabilità del PE.. Non solo l'imputato era del tutto estraneo alla strutturazione dell'operatività delle c.d. "baciate", ma neppure era provato che fosse consapevole di tale fenomeno. Al più erano emerse una vaga e generica conoscenza, da parte del predetto, della tematica in esame e la conseguente sottovalutazione della serietà delle relative implicazioni sul patrimonio di vigilanza, non già la consapevolezza delle caratteristiche e della diffusività della illecita operatività in esame, necessarie per fondare l'elemento psicologico dei reati oggetto di addebito. Di qui l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato 1.9.6 Zi.Gi. Con riferimento alla posizione processuale di Zi.Gi., al quale era addebitato il concorso nei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto (concorso estrinsecatosi nell'avere egli avallato la prassi aziendale del capitale finanziato, avendo compiuto per il tramite di Ze. s.r.l. operazioni di tale natura), il tribunale premetteva, alla stregua della deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma., la seguente ricostruzione delie operazioni riferibili all'imputato: - il 13 novembre 2012 il CdA aveva deliberato ex art. 136 TUB un affidamento di 12,5 milioni di euro in favore di Ze. s.r.l.. La causale era: "cogliere eventuali opportunità sia nel settore industriale che nel settore finanziario, nello specifico è in fase di avanzata trattativa l'acquisizione di un rilevante pacchetto di quote di Ar.Li. s.p.a. sono inoltre nell'intenzione degli imprenditori ulteriori significativi investimenti che al momento non sono ancora nel complesso definiti". Il fido era stato accreditato il 21 novembre e, lo stesso giorno, era stato effettuato un giroconto di 10 milioni di euro utilizzati per l'acquisto di azioni B. per un pari importo; - quindi, nel luglio del 2013, la Ze. S.r.l. aveva beneficiato di un finanziamento di 1.5 milioni di euro, fido erogato il 2.9.2013 sul conto corrente (...), intestato alla predetta società. Si trattava di un incremento del fido già concesso nel 2012. In data 2 settembre 2013 - data di regolamento dell'aucap 2013 - risultava poi un'erogazione di 1,13 milioni di euro su altro conto corrente intestato alla medesima società con l'impiego di detta somma per l'acquisto di azioni B. di pari valore; - ancora, il 4.12.2014, Zi.Gi. aveva ricevuto un affidamento di 5.200.000,00 euro. La P.E.F. indicava, quale causale: "finalizzato ad intercettare alcune opportunità immobiliari e di partecipazione". Non appena ricevuta l'erogazione, il relativo importo era stato bonificato su un conto U.It. s.p.a., filiale di Padova; - il 16.2.2015, infine, Ze. s.r.l. aveva venduto 5,5 milioni di azioni sul secondario e, con il ricavato, aveva ridotto parte del debito relativo al finanziamento di 15 milioni di euro. Tale ricostruzione - precisava il tribunale - coincideva con le conclusioni dei cc.tt. del P.M. dove sì attestava che l'importo delle azioni acquistate dalla società Ze. s.r.l. tramite finanziamenti era pari a 10 milioni di euro dal 31.12.2012 al 30.6.2013, ad euro 10.565.250 dal 30.9.2013 al 30.6.2014, ad euro 10.355.250 dal 30.9.2014 al 31.12.2014 e, infine, ad euro 4.855.250 al 31.3.2015. Così ricostruite le evidenze contabili, il primo giudice concludeva per la natura "correlata" delle operazioni effettuate dalla Ze. s.r.l. sulla scorta, in particolare, delle dichiarazioni rese dai testi Ma.Ba. e An.Cr.. Il primo, infatti, aveva rievocato (peraltro coerentemente con gli / esiti della consulenza dei cc.tt. del P.M.) l'operazione (da lui stesso curata su input di Em.Gi. ovvero di Al.Ba.) effettuata alla fine del 2012 e relativa al fido da 12,5 milioni di euro, parte dei quali (2,5 milioni), destinata all'acquisto della partecipazione in Ar.Li., la restante parte riservata a investimenti in azioni della banca. La pratica, poi, era stata materialmente seguita dal Criscuolo. L'operazione avrebbe dovuto avere carattere temporaneo, la liquidità essendo stata "parcheggiata" in azioni B. in attesa di un differente impiego, da effettuare previa liquidazione delle azioni. Nel 2013, poi, in occasione dell'aumento di capitale, il fido era stato esteso di ulteriori 1,5 milioni e con la relativa provvista Ze. s.r.l. aveva aderito all'iniziativa in questione. Il secondo teste (Cr.), poi, aveva sostanzialmente confermato la versione del collega Ba.. Infine anche il teste Al.Ba., responsabile della divisione "Corporate", aveva rievocato l'operazione posta in essere dallo ZI., operazione della quale, in parte, si era anche personalmente occupato allorquando, nel 2012, vi era stato un apposito incontro con lo stesso ZI. e con GI. per discuterne l'impostazione. Il teste Ba. ha precisato che vi era urgenza di effettuare l'operazione con rapidità in quanto si avvicinava la fine dell'anno 2012; che era impellente l'esigenza di liberare il fondo acquisto azioni; che, nell'occasione, ZI. aveva acconsentito ad effettuare l'operazione purché la cosa fosse gradita allo ZO.. Successivamente lo stesso ZI. gli aveva confidato di essersi prestato ad effettuare l'operazione a richiesta dì So. e GI., i quali "in sostanza gli avevano chiesto un favore e che lui si era messo a disposizione della banca". Dal canto suo lo stesso ZI. aveva ricordato di avere agito aderendo alla proposta di GI. e solo dopo avere ricevuto esplicite rassicurazioni in ordine al fatto che l'operazione non fosse intesa dal presidente ZO. come una iniziativa ostile. Il messaggio SMS inviato da MA. a So. il 26.10.2012 (doc. nr. 665 del P.M.) "ti ricordo Zi. di parlarne con il presidente per il fido da farsi sulla sua finanziaria", nonché il precedente' messaggio trasmesso, il 17.10.2012, dal GI. allo stesso So. "faccio anche ZI., Ma. d'accordo. Vedi problemi?" "il fratello ha già in atto l'operazione" costituivano, poi, significativi riscontri documentali dell'operazione in questione. Quindi il tribunale precisava, sulla scorta della deposizione del Criscuolo, che, con rifermento al finanziamento concesso allo ZI., erano stati applicati tassi differenziati per l'importo destinato all'acquisto di Ar. e per la parte destinata all'acquisto delle azioni e che i tassi erano stati "sistemati" con il consueto sistema dello storno. Alcuni documenti disponibili, peraltro, confermavano tale circostanza. Trattasi, segnatamente: - della richiesta di storno di cui al documento nr. 103 del P.M.; - dell'annotazione redatta da Zi.Gi. (doc nr. 730 del P.M.), contenente l'elenco delle azioni acquistate tramite finanziamento con l'indicazione di importi e tasse non deducibili "che avanziamo dalla banca" e con l'indicazione finale rimane da risolvere la vendita delle altre 80.000 azioni"; - del prospetto riassuntivo dell'applicazione del tasso di interesse (doc, nr. 737 del P.M.), estratto dal computer della segretaria della Ze. S.r.l., Ca.Ro., la quale aveva riferito di averlo redatto probabilmente su incarico di Gi.ZI. (questi, tuttavia, non aveva confermato la circostanza). In detto documento veniva riportato il tasso di interesse del 4,5% con riferimento al finanziamento di 2,5 milioni di euro relativo all'acquisizione di Ar.Li. e in esso si leggeva "calcolo eseguito non considerando il milione di aumento di capitale che si riferisce ai 10 milioni". Quanto, poi, al finanziamento di 10 milioni destinati all'acquisto delle azioni, nel consuntivo finale, alle competenze addebitate, comprensive di interessi ed imposte, venivano sottratti gli interessi "effettivamente dovuti" in ordine al finanziamento di 2,5 milioni destinato ad Ar.Li. e la differenza tra queste due somme era indicata come "differenza da rimb"; - della e-mail 15.7.2014 inviata dalla Ca. alla filiale B. in cui si precisava che le imposte di bollo andranno a confluire nel famoso rimborso concordato a suo tempo", così confermandosi l'esistenza dell'accordo per rimborsare a Ze. s.r.l. tutte le spese. La natura correlata delle operazioni effettuate dagli ZI. del resto emergeva, ad avviso del tribunale, anche da un appunto (doc. nr. 731 del P.M.) redatto dallo stesso imputato per ricostruire le operazioni effettuate con la banca. In detto appunto si legge che in data 8 maggio, a colloquio con ZO., Br. e l'avv. Am., ZI. aveva affermato essergli stato chiesto "in due occasioni di comprare azioni (2011 e 2012) con finanziamenti dove non ho percepito utili ma ho anticipato interessi passivi. La prima si è chiusa nel 2014 e la seconda per il 50% nel 2015". "Attualmente ci perdo 280.000 più oltre un milione di calo di valore: quindi la banca non è danneggiata ma ci ha guadagnato. Operazioni proposte da E. ma definite in ufficio da SS che mi ringraziava per l'aiuto. Ho sempre messo due condizioni, di non guadagnarci e che il Presidente fosse informato". Lo stesso imputato, poi, nel corso dell'esame, ha ricordato che il finanziamento era stato strutturato per l'acquisto di azioni dell'istituto e che egli lo aveva effettuato, sollecitato da GI., "per dare una mano alla banca". Del resto, nel corso della conversazione telefonica nr. 153 del 25.8.2015 intercorsa tra l'imputato e Lu.Bo., il primo aveva ammesso di essere stato finanziato dalla banca per l'acquisto delle azioni. Sicché la natura correlata dell'operazione di acquisto finanziato di azioni per 10 milioni di euro non poteva essere fondatamente revocata in dubbio. Altra operazione correlata era stata quella effettuata, per l'importo di 5 milioni di euro, da Zi.Gi. (finanziamento del 27.12.2011 ed acquisto delle azioni effettuato due giorni dopo). Con analoghe modalità, poi, lo stesso Zi.Gi. aveva partecipato all'aumento di capitale del 2013 per l'importo di 500.000 euro. La prima operazione era stata chiusa il 29.5.2014 con rimborso e annullamento delle azioni, ovverosia con un ricorso surrettizio - come emerso anche dalla deposizione del teste Ro. il quale aveva confermato che l'annullamento era un espediente al quale si ricorreva in casi eccezionali per chiudere operazioni correlate - ad uno strumento (quello dell'annullamento) previsto in caso di "inadempienza grave" del socio, inadempienza che, nel caso dì specie, non si era affatto verificata. Quindi il tribunale richiamava il finanziamento di 5 milioni di euro concesso da B. a Ze. s.r.l. e girato sul conto UBS il 5.12.2014. Nell'occasione al dipendente UBS Visentin, il quale si era relazionato con So., PI. e GI., l'imputato aveva riferito che aveva un "credito nei loro confronti" e che questa operazione "gli era dovuta" in quanto "aveva fatto molti favori alla banca". Infine il primo giudice evocava la e-mail inviata dallo ZI. a Em.Gi. e a Cl.Gi. con, in calce, l'analoga missiva inviatagli da Mi.Ga., il quale si lamentava del fatto che un dipendente B. gli avesse comunicato che il rinnovo di un secondo fido era stato anch'esso subordinato, al pari del primo, alla sottoscrizione di 50.000 azioni dell'istituto di credito. Nell'occasione l'imputato si era limitato a spiegare che "B. non opera con questa politica e che forse o hanno capito male o il funzionario si è espresso male". Ebbene, in presenza di tali evidenze probatorie lo ZI., come detto, aveva bensì ammesso di avere effettuato operazioni correlate per dare una mano alla banca ma aveva negato di essere stato consapevole delle problematiche connesse al capitale finanziato e, meno che mai, delle sue dimensioni, protestando altresì la propria totale inconsapevolezza circa la necessità dello scomputo delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza. Pertanto il tribunale riteneva certamente provato che l'imputato, attraverso Ze. s.r.l., avesse posto in essere operazioni correlate. Nondimeno, sempre secondo il tribunale, non soltanto lo ZI. non aveva minimamente preso parte alla concertazione - intercorsa, ai massimi livelli, tra il management della banca ed il presidente ZO. - che aveva reso possibile la manipolazione del mercato e le condotte di false informazioni alla vigilanza, ma neppure vi era prova affidabile circa la consapevolezza, in capo ai membri del CdA (e, quindi, allo stesso ZI.), in ordine alla diffusività dell'operatività illecita in questione. Il teste ispettore Em.Ga., invero, aveva puntualmente evidenziato la difficoltà di percepire se una operazione fosse o meno correlata da parte del CdA. Dal canto suo lo stesso coimputato MA., in sede di esame, aveva ammesso che, quando presentava le pratiche di acquisti correlati in Consiglio, era solito non esplicitare mai la natura delle operazioni, limitandosi a riportare sinteticamente i dati della P.E.F.. In buona sostanza - secondo il tribunale - la valutazione circa la sussumibilità o meno delia condotta dello ZI. nell'alveo della penale responsabilità implicava, necessariamente, la esatta comprensione dei termini della questione inerente al complesso tema della responsabilità dei componenti del CdA non esecutivi, estranei a qualsivoglia funzione gestoria dell'impresa bancaria, questione che, nel caso sub iudice, andava poi "calata" in un contesto obiettivamente peculiare in quanto caratterizzato, per un verso, dalla concreta fisionomia di un organo collegiale - il CdA di B. - sottoposto alla direzione di un presidente "assolutamente operativo"; e, per altro verso, dall'assenza, in capo ai consiglieri, della effettiva conoscenza della situazione di reale illiquidità del titolo azionario. In effetti, solo in presenza di segnali di allarme effettivamente percepibili (e realmente percepiti) come tali dai consiglieri sarebbe stato possibile ritenere costoro - e, quindi, tra essi, lo ZI., il quale non si trovava affatto in una situazione dissimile rispetto a quella dei "colleghi" che avevano posto in essere anch'essi operazioni correlate - responsabili, ex art. 40 c.p., per non avere impedito attività delittuose in itinere, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità. Nel caso di specie, tuttavia, nulla consentiva di affermare che l'imputato avesse volontariamente omesso di intervenire per scongiurare la consumazione dei reati, all'uopo non potendosi ritenere sufficiente la partecipazione, da parte del predetto, ad operazioni di capitale finanziato; operazioni, peraltro, da costui poste in essere su sollecitazione dei vertici dell'istituto e senza alcun tornaconto personale. In definitiva difettavano prove univocamente sintomatiche di un consapevole concorso materiale di Zi.Gi. nei reati ascrittigli, in difetto di adeguati riscontri circa la consapevolezza, in capo al predetto, delle condotte manipolatorie e decettive poste in essere dalle figure apicali dell'istituto di credito e, ancor meno, circa la dimensione del fenomeno del capitale finanziato. Donde l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non costituisce reato 1.10 La responsabilità amministrativa di B. in L.C.A. Il tribunale, inoltre, riteneva Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) in relazione ai reati dì aggiotaggio ex art, 2637 c.c. e di ostacolo alla vigilanza ex art. 2638 c.c. (ovverosia con riferimento a fattispecie incluse nell'art. 25 ter lett. R ed S del D.L.vo 231/01) posti in essere da soggetti sia di vertice che sottoposti alla direzione e vigilanza di posizioni apicali. In proposito, dopo avere richiamato, in ordine alla sussistenza delle ipotesi delittuose di riferimento, quanto già in precedenze esposto al riguardo, il tribunale in primo luogo evidenziava come, ai fini della responsabilità dell'ente, non rivestisse rilievo alcuno la sottoposizione della banca a procedura concorsuale, trattandosi di evento non ricompreso tra le cause dì estinzione dell'illecito da reato previste dalla disciplina in materia (come del resto era evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, che assegnava rilievo, al riguardo, unicamente al decorso del termine di legge, ovvero all'improcedibilità in caso di amnistia in relazione al reato presupposto). Fino alla cancellazione conseguente all'esito della procedura concorsuale, infatti, la società avrebbe dovuto ritenersi esistente. Né, d'altro canto, era possibile opinare diversamente sulla base di una sorta di giudizio prognostico fondato sul prevedibile esito della procedura fallimentare. Tanto premesso, neppure poteva dubitarsi che gli imputati avessero agito nell'interesse e a vantaggio dell'ente. Al riguardo il tribunale premetteva che l'interesse (da valutarsi, ex ante, secondo criteri "soggettivi" che, sebbene non coincidenti con l'elemento psicologico della fattispecie delittuosa di riferimento, dovevano comunque essere tali da esprimere la tensione finalistica dell'operato dell'autore del reato presupposto) avrebbe dovuto individuarsi nella prefigurabilità di un risultato positivo per la società. Quanto poi al vantaggio (da apprezzarsi, ex post, secondo criteri oggettivi), tale requisito si sarebbe dovuto identificare negli effetti favorevoli derivati dalla realizzazione degli illeciti. Questo con la precisazione, per un verso, che la mancata considerazione del criterio del vantaggio secondo la formulazione della disposizione vigente all'epoca dei fatti (art. 25 ter D.L.vo cit.) era circostanza di ben scarso rilievo, posto che, nel caso di specie, tutti i reati perpetrati erano caratterizzati dal correlativo interesse dell'istituto di credito; per altro verso, che l'antieconomicità a posteriori dell'operazione era ininfluente; e, peraltro verso ancora, che l'interesse dell'ente avrebbe potuto essere anche parziale o marginale, dovendosi escludere la responsabilità della società solo nel caso di interesse esclusivo dell'autore del reato (in ragione, in tal caso, della rottura "dello schema di immedesimazione organica" che costituiva il fondamento teorico dell'istituto in questione). Ebbene, nella vicenda sub iudice, le condotte delittuose erano state pacificamente poste in essere nell'interesse (anche) dell'istituto di credito. In effetti la contraria tesi difensiva (secondo la quale dette condotte si sarebbero poste in conflitto con il reale interesse della banca, in quanto, da un lato, avrebbero precluso l'effettuazione di ulteriori operazioni e in tal guisa avrebbero cagionato, fin dal momento genetico, un grave nocumento all'istituto di credito, mentre, dall'altro lato, sarebbero state realizzate nell'esclusivo interesse degli imputati, al di fuori di una politica di impresa e per finalità di mantenimento del potere gestionale da parte dei vertici amministrativi) non poteva affatto essere accolta. Ciò avrebbe infatti rappresentato l'espressione di un'interpretazione atomistica, fuorviante e retrospettiva del fenomeno delittuoso in esame e non già di una doverosa visione prospettica delle azioni criminose. Le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, infatti, erano state funzionali a far conseguire all'ente un beneficio, occultando le operazioni di capitale finanziato e così consentendo all'istituto di credito di mantenere standard elevati nell'esercizio dell'attività bancaria e di acquisire nuovo capitale o mantenere quello esistente. Si era trattato, quindi, di condotte che, a tutto discapito del mercato, avevano generato indubbi benefici per la banca, assicurandone la continuità e garantendone la competitività nel mercato del credito, sia pure in modo rivelatosi non sufficiente, nel lungo termine, a risolvere le carenze di un'errata politica di impresa (peraltro preesistente alle operazioni di capitale finanziato) che aveva portato ad un progressivo, inesorabile, deterioramento della situazione patrimoniale (con i relativi coefficienti che, già dal 2012, erano inferiori alla soglia target, come evidenziato dai consulenti del P.M.). Le ricadute positive per l'ente delle attività delittuose, del resto, erano state convincentemente delineate dalla deposizione del teste ispettore Em.Ga.. In assenza delle condotte delittuose, in effetti, la banca si sarebbe trovata nella necessità di impegnare le risorse disponibili per reintegrare i requisiti patrimoniali, oppure di disvelare una situazione di crisi che avrebbe inevitabilmente impattato negativamente, al contempo, tanto sul capitale (trattandosi di banca cooperativa), quanto sull'operatività (trattandosi di banca commerciale). In definitiva - precisava il primo giudice - occorreva distinguere tra le singole condotte operative di capitale finanziato (che costituivano solo una parte della politica imprenditoriale e non erano indicative della proiezione finalistica del reato) e le soprastanti condotte delittuose delle false prospettazioni al mercato e alla vigilanza, nelle quali si sostanziavano i reati presupposto che erano stati funzionali a favorire l'ente, consentendo alla società di conseguire un vantaggio economico. Ponendosi in questa prospettiva, diveniva allora evidente l'interesse (se non esclusivo, quantomeno prevalente) della banca alla commissione dei delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, in quanto espressione di una politica d'impresa funzionale a garantire la prosecuzione dell'attività dell'istituto, assicurando, per un verso, l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, il mantenimento di quello esistente. D'altronde, il peggioramento delle condizioni economiche dell'ente non era stato certo effetto della commissione dei reati, bensì del ricorso dissennato al capitale finanziato nell'ambito di un meccanismo divenuto progressivamente ingovernabile, il tutto mentre le condotte delittuose (che si ponevano a valle di tale fenomeno) avevano per un certo periodo di tempo consentito di contenere, limitare e ritardare gli ulteriori effetti negativi per l'ente che dal disvelamento di una siffatta realtà sarebbero inevitabilmente derivati. Quanto poi al criterio soggettivo di imputazione dell'illecito, costituito dalla colpa di organizzazione, il primo giudice ne ravvisava il ricorrere in ragione del fatto che l'ente non si fosse strutturato in modo idoneo a prevenire le condotte in questione. Nel caso di specie, infatti, non solo il modello organizzativo, nella versione aggiornata a febbraio del 2012 (documento nr. 269 del P.M.), non era stato predisposto in modo adeguato (essendo prevalentemente strutturato ai fini di anti-riciclaggio), ma neppure era stato applicato ed implementato convenientemente. Nulla era stato previsto in relazione alle modalità di predisposizione dei bilanci, al computo dei requisiti patrimoniali, anche ai fini del patrimonio di vigilanza, all'attività di erogazione del credito, ovvero alla gestione operativa, contabile e patrimoniale delle azioni (proprie e non) che, pure, costituiva l'attività su cui si focalizzava l'operatività della banca. Nessuna procedimentalizzazione delle attività di acquisto e vendita delle azioni, inoltre, era stata programmata nel modello. Né detto modello era mai stato implementato in tal senso. Si aggiunga che erano risultate assenti modalità operative per garantire la tracciabilità dei finanziamenti per l'acquisto dì azioni proprie e che neppure era stato previsto alcunché per assicurare la corretta registrazione dei collegamenti tra affidamenti e acquisto/sottoscrizione di azioni, ovvero per disciplinare le comunicazioni all'esterno, ovvero ancora per regolamentare gli aspetti afferenti al patrimonio di vigilanza. Inoltre il modello aveva previsto un Organismo dì Vigilanza collegiale composto da tre soggetti e, segnatamente, da due avvocati esterni all'istituto di credito, nonché dal responsabile interno dell'audit, soggetto, quest'ultimo, dipendente gerarchicamente dal d.g. e funzionalmente dal CdA, ovverosia proprio da coloro che egli avrebbe dovuto controllare. Donde un evidente deficit di autonomia di tale organismo. Quanto, poi, al Collegio sindacale, era risultato composto da soggetti alcuni dei quali (Za., Za., Ca.) legati personalmente allo ZO., ovvero a società riconducibili a tale imputato. Le stesse relazioni ispettive di Banca d'Italia, del resto, avevano censurato la logica di cooptazione alla base della composizione dell'organo in questione, stigmatizzandone l'attività di mero controllore formale. Di qui il giudizio di complessiva grave inadeguatezza dei presidi organizzativi predisposti da B. per fronteggiare i rischi operativi assunti e la conseguente affermazione della responsabilità dell'ente. Quindi, passando alla quantificazione della sanzione, il primo giudice stabiliva, quanto al più grave delitto di aggiotaggio, il numero di 600 quote (a fronte di una forbice di riferimento tra le 400 e le 1000 quote), ridotte a 400 in ragione dell'attenuante ex art. 12, co, 2, D.L.vo 231/01, essendosi l'ente adoperato (con una proposta di transazione rivolta agli azionisti ed avente ad oggetto l'offerta di una somma a titolo di indennizzo) per ridurre le conseguenze dannose dell'illecito. Considerata, poi, la pluralità di illeciti, il tribunale determinava nella misura di 150 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter R ed in 360 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter S, Conseguentemente, precisato che la prescrizione di talune condotte delittuose non poteva rivestire alcun rilievo in relazione all'illecito amministrativo dell'ente, quantificava le quote complessive nella misura di 910 quote e, determinato il valore di ciascuna quota in euro 400, fissava la sanzione pecuniaria complessiva nella misura di euro 364.000,00. Infine, evidenziato che il profitto del reato andava identificato nel vantaggio economico (inteso come benefìcio aggiunto di tipo patrimoniale) causalmente derivato dal reato presupposto, e sottolineato, inoltre, come una stima in tal senso fosse stata unicamente effettuata con riferimento al reato di cui al capo N2, all'origine del sequestro, disposto dal GIP del tribunale di Vicenza in data 18.5.2017, con riferimento al valore di euro 106.012.687,50 (corrispondente all'ammontare delle sottoscrizioni di capitale versate alla banca, a seguito dell'aucap, dai soci il cui acquisto era stato sollecitato dalla banca stessa e che non avrebbero potuto sottoscriverlo ove fosse stato applicato il "test di adeguatezza bloccante"), il tribunale disponeva la confisca in tal senso, detraendo tuttavia l'importo di euro 31,8 milioni, oggetto di restituzione effettuata a titolo transattivo, e fissando, quindi, l'ammontare della confisca nella misura di euro 74.212.687,50 (con conseguente parziale revoca del sequestro). 1.11 Il trattamento sanzionatorio Con riferimento ai reati commessi dagli imputati ZO., PI., MA. e GI., dei quali andava ad affermare la penale responsabilità, il tribunale ravvisava la sussistenza del vincolo della continuazione, trattandosi di reati espressione di un'unitaria determinazione criminosa. Quindi: - esclusa quanto ai reati di cui ai capi A1, B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1 l'aggravante ex art. 112 nr. 1 c.p., in ragione del numero inferiore a cinque degli autori delle relative condotte; - riconosciuta, quanto ai reati di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1 l'aggravante ad effetto speciale ex art. 2638 co. 3, c.c., essendosi in presenza di istituto di credito emittente strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ex art. 116 D.L.vo 58/98; - riconosciuta, altresì, in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1, N1, l'aggravante di cui all'art. 61 nr. 2 c.p., trattandosi di condotte di ostacolo, susseguitesi nel tempo, al fine di occultare l'illecita manipolazione del prezzo sia di nascondere la falsità dei precedenti flussi informativi; - riconosciute, inoltre, a tutti gli imputati le attenuanti generiche, trattandosi di soggetti incensurati che avevano anche tenuto corrette condotte processuali (in effetti, presenti a tutte le udienze, costoro si erano anche sottoposti ad esame, eccezion fatta per ZO. il quale, peraltro, aveva reso dichiarazioni spontanee); - valutate le predette attenuanti in regime di mera equivalenza rispetto alle ravvisate aggravanti, in considerazione della notevole entità dei danni cagionati con le condotte delittuose; - ritenuto più grave il reato di cui al capo H1, in ragione della pena edittale di riferimento e del tempo significativo di protrazione della relativa condotta (esauritasi solo nell'aprile del 2015); - considerati, infine, i criteri tutti di cui agli art. 132, 133 c.p. (e, segnatamente: il ruolo apicale rivestito dagli imputati; il numero e la varietà delle condotte delittuose, protrattesi per anni; l'intensità del dolo all'origine delle medesime condotte e, in particolare, la pervicacia e l'ostinazione che avevano orientato l'azione di occultamento al mercato e alla vigilanza della reale situazione dell'istituto di credito), condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di anni due in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 ed N1 (essendo evidentemente un errore materiale la quantificazione sintetica di tale aumento nella misura di anni uno, in ragione della specifica indicazione, nella misura di mesi tre, dell'aumento di pena irrogato per ciascuno di detti reati), con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia; aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, infine, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre e mesi sei di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati). Gli imputati, infine, erano dichiarati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. 1.12 La confisca per equivalente. Il tribunale, premesso che la disposizione di cui all'art. 2641 c.c., prevedeva, in relazione ai reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c,, la confisca (diretta, ovvero, in via sussidiaria, per equivalente) non solo del prodotto/profitto dei reati, ma anche dei beni utilizzati per commetterlo, precisava, a tale ultimo riguardo (richiamando sul punto la sentenza della Corte Costituzionale nr. 112/2019 e la giurisprudenza di legittimità espressasi in fattispecie analoga), come in tale categoria di beni non rientrassero unicamente i tradizionali "instrumenta sceleris", ovverosia le cose intrinsecamente pericolose (il grimaldello, la stampante utilizzata per la produzione di cartamoneta falsa, ecc..) bensì qualsivoglia res l'impiego della quale avesse reso possibile la commissione del reato e, pertanto, con riferimento alla vicenda sub iudice, anche le risorse finanziarie concesse dall'istituto a titolo di finanziamento ed impiegate per l'acquisto delle azioni dell'istituto medesimo; risorse che, nella specie, erano state convincentemente quantificate dai consulenti del P.M. nella misura di euro 963,000,000,00. Nella prospettiva del primo giudice, infatti, erano proprio i finanziamenti concessi per le operazioni di capitale finanziato che avevano reso possibili i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, trattandosi di reati che erano stati commessi comunicando un patrimonio di vigilanza non veritiero, in quanto non corrispondentemente decurtato. Erano detti finanziamenti, quindi, che, nel caso in esame, costituivano "i beni utilizzati per commettere i reati". A legittimare, poi, la confisca per equivalente nei confronti degli imputati era il mancato rinvenimento della somma oggetto dì confisca diretta e, quindi, l'impossibilità (peraltro da ritenersi all'uopo rilevante anche ove soltanto transitoria) di tale ablazione diretta. Nel caso di specie la confisca diretta era impedita dall'assoggettamento dell'istituto di credito, al momento della pronuncia, a liquidazione coatta amministrativa, trattandosi di procedura per effetto della quale era venuta meno in capo all'ente la disponibilità del patrimonio societario, destinato esclusivamente ad essere gestito, evitandone il depauperamento, in vista delle finalità della procedura medesima. Di qui la confisca disposta, per il valore di euro 963.000.000, nei confronti degli imputati ZO., PI., GI. e MA., con la precisazione che il principio solidaristico posto a fondamento della disciplina del concorso di persone, da un lato, e la natura eminentemente sanzionatoria della confisca per equivalente, dall'altro, implicavano che il provvedimento ablatorio fosse pronunziato, a carico di ciascuno di costoro, con riferimento all'intero importo. 1.13 Le questioni civilistiche Quindi, con riferimento alla posizione della Banca (...), citata da numerose parti civili in qualità di responsabile civile e in questa veste costituitasi in udienza preliminare, il tribunale riteneva la validità delle argomentazioni poste dall'istituto di credito a fondamento della relativa richiesta di esclusione (originariamente respinta per tardività) ex art. 83 TUB. In effetti la circostanza che l'istituto di credito fosse stato sottoposto a procedura di liquidazione coatta amministrativa con decreto ministeriale nr. 185 del 25 giugno 2017, ove debitamente valutata alla luce delle disposizioni di legge in materia, rispettivamente, di estensione alla procedura in esame delle disposizioni in materia di fallimento (art. 201), di disciplina dell'opposizione allo stato passivo (art. 83 TUB) e di improseguibilità delle pretese creditorie avanzate innanzi al tribunale ordinario (52 TUB), comportava la improcedibilità delle domande avanzate nei confronti della banca. Tutte le ragioni di credito, infatti, avrebbero dovuto essere fatte valere in sede concorsuale e, segnatamente, nell'ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, nel solco, peraltro, di quanto affermato ripetutamente dal giudice di legittimità. Di qui la declaratoria di improcedibilità della domanda avanzata dalle parti civili nei confronti del responsabile civile. Evidenziava infine il tribunale come esulassero dai poteri di ius dicere del giudice penale le domande (in taluni casi affiancate alle richieste risarcitone) volte a ottenere pronunce di accertamento della nullità e/o inefficacia dei contratti di finanziamento sottoscritti per l'acquisto di azioni. Quanto, poi, alle domande risarcitone da talune parti riproposte, in sede di conclusioni, nei confronti dell'Istituto di credito in qualità di ente incolpato ex D.L.vo 231/01, il Tribunale, richiamando i provvedimenti che non avevano ammesso la relativa costituzione di parte civile (sul rilievo della non esperibilità dì azioni civili volte ad ottenere il risarcimento del danno nei confronti degli enti in qualità di responsabili degli illeciti amministrativi), in tal senso espressamente motivava le ragioni che avevano indotto il collegio a non esaminare le relative richieste. Infine, con riferimento alle domande risarcitorie avanzate nei confronti degli imputati, il primo giudice pronunziava sentenza di condanna generica di questi ultimi in favore delle parti civili istituzionali (Banca d'Italia e CONSOB) e di quelle private (azionisti e obbligazionisti di B., siccome indicati negli elenchi, allegati al dispositivo, depurati delle parti le cui costituzioni erano state espressamente revocate, ovvero dovevano intendersi revocate per mancata presentazione delle conclusioni). In ordine ai primi, precisato che il pregiudizio patrimoniale consisteva negli esborsi e nel complessivo dispendio di risorse che le autorità di vigilanza avevano dovuto sostenere per ottenere quelle informazioni che erano state loro occultate, mentre il pregiudizio non patrimoniale doveva identificarsi nella compromissione delle finalità istituzionali delle suddette autorità e nella lesione dell'immagine che ne era derivata, il tribunale evidenziava la necessità di rimessione, per la quantificazione di dette voci dì danno, innanzi al giudice civile, in difetto di concreti elementi probatori idonei ad orientare la relativa determinazione. Nondimeno riconosceva una provvisionale nella misura di euro 601.017,39 in favore di Banca d'Italia e di euro 186.570 in favore di CONSOB, in entrambi i casi parametrandone l'entità ai costi (siccome quantificati dagli uffici interni di detti enti) sostenuti per l'aggravio di attività strettamente conseguenti alle condotte delittuose. Con riferimento, poi, alle parti civili private, osservato come il D.L. 99/17 che aveva posto in liquidazione coatta amministrativa l'istituto di credito avesse conservato i diritti dei titolari di obbligazioni subordinate nella liquidazione, sicché i predetti avrebbero potuto trovare soddisfazione solo una volta soddisfatti gli altri creditori, il primo giudice sottolineava che tutti gli investitori avevano subito un danno dalle condotte manipolative, in quanto indotti all'investimento sul presupposto di una situazione patrimoniale dell'istituto artatamente presentata come positiva e, quindi, senza essere stati posti nelle condizioni dì valutare la rischiosità dell'investimento stesso e la solvibilità della banca nell'estinguere il credito e nell'effettuare il rimborso. Segnatamente, con riferimento al delitto di aggiotaggio, il pregiudizio andava individuato nell'avere acquistato o conservato gli strumenti finanziari a prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, ovvero nell'avere effettuato un investimento che, senza le condotte manipolative, non sarebbe stato posto in essere. Analogamente, con riferimento al reato di falso in prospetto, gli investitori erano stati pregiudicati da condotte delittuose che avevano avuto l'effetto di mantenere artificiosamente alto il valore delle azioni, al contempo rappresentando una solidità patrimoniale dell'istituto in realtà insussistente. Più nel dettaglio, ad essere stati danneggiati - precisava il tribunale - non erano solo coloro che, nel periodo di commissione delle condotte delittuose, avevano acquistato azioni ad un prezzo superiore al reale valore dei titoli, ma anche gli investitori che, già in possesso di detti strumenti finanziari, si erano astenuti dal disinvestimento per effetto delle richiamate condotte manipolative. Di maggiore complessità, poi, era la questione inerente a coloro (peraltro una minima parte degli investitori, prevalentemente acquirenti di obbligazioni subordinate) che avevano acquistato le azioni successivamente alle condotte delittuose, sebbene anche con riferimento a tale categoria di investitori fosse effettivamente prospettabile un pregiudizio derivante dai reati, tenuto conto del periodo apprezzabile intercorso tra la cessazione delle condotte delittuose ed il disvelamento di quanto avvenuto (trattandosi di circostanza che aveva determinato il protrarsi di effetti di errata rappresentazione al mercato della reale situazione dell'istituto di credito, con indubbio svantaggio informativo). Infine vi erano i clienti dell'istituto che avevano effettuato gli acquisti con il denaro erogato dalla banca. Costoro non avevano subito una lesione diretta, non avendo impiegato risorse proprie nell'investimento (se non nel caso di investimento solo parzialmente finanziato); nondimeno, al di là della sussistenza o meno dell'obbligazione restitutoria, l'esposizione debitoria segnalata alla centrale rischi che ne era seguita e l'addebito dei costi di finanziamento costituivano pur sempre un pregiudizio effettivo. Conclusivamente, con riferimento alle parti civili private, emergeva un quadro composito, caratterizzato da posizioni eterogenee. Ebbene - precisava il tribunale - dette parti avevano quantificato: - il pregiudizio patrimoniale nel controvalore del pacchetto azionario calcolato sul valore dell'azione pari a 62,50 euro, ovvero all'ammontare della somma investita nelle operazioni di investimento (e, quindi, sostanzialmente, nella perdita dell'investimento); - ed il danno non patrimoniale in una quota parte di quello patrimoniale. Nondimeno tali parametri non potevano ritenersi appaganti, posto, per un verso, che il danno non si poteva meccanicamente identificare nella perdita del valore dell'azione in quanto i reati di aggiotaggio e falso in prospetto presentavano profili peculiari che non consentivano di determinare il relativo pregiudizio facendo ricorso a siffatto automatismo; e, per altro verso, che le parti civili si erano limitate a documentare i titoli sottoscritti (ovvero acquistati) e il prezzo pagato, senza fornire ulteriori elementi utili per la esatta quantificazione del pregiudizio. Peraltro, nulla era dato conoscere in ordine all'indennizzo corrisposto agli investitori dal FIR (Fondo Indennizzo Risparmiatori). Di qui la condanna generica al risarcimento ed il riconoscimento di una provvisionale nella misura del 5% dell'importo nominale del valore delle azioni od obbligazioni acquistate risultante dagli atti di costituzione di parte civile e, in ogni caso, onde evitare sperequazioni (tenuto conto del fatto che le cifre più consistenti erano quelle inerenti alle operazioni di capitale finanziato), non superiore ad euro 20.000,00 per ciascuna parte (importo dal primo giudice ritenuto tale da coprire almeno il danno non patrimoniale). Infine il primo giudice respingeva la domanda risarcitoria avanzata dagli enti esponenziali (Confconsumatori, Federconsumatori Friuli Venezia Giulia, Federconsumatorì Veneto, Codacons, Cittadinanza Onlus) per difetto di prova alcuna in ordine al pregiudizio non patrimoniale asseritamente subito a seguito delle condotte delittuose. 2. GLI APPELLI DEGLI IMPUTATI 2.1. Appello proposto da Gi.Em. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello la difesa di Gi.Em.. 2.1.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al capitolo I della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari), l'appellante - anteponendogli una premessa nella quale ha censurato in via generale il metodo argomentativo assertivo seguito nella sentenza impugnata, carente nell'enunciazione degli specifici "motivi di fatto e di diritto" attributiva delia responsabilità all'imputato GI. e tendente all'esposizione solo di alcune risultanze processuali senza nel contempo citarne molte altre, pur decisive su aspetti imprescindibili - ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018 del 7.12.2017 dep. 6.4.2018, emessa in sede cautelare, che aveva risolto in favore del foro vicentino il conflitto di competenza; conflitto sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore rispetto all'attuale e oltretutto connotato da una formulazione del capo B1 frattanto considerevolmente modificatasi). Le argomentazioni esposte in questo primo motivo d'appello dalla difesa del GI. a fondamento della dedotta competenza territoriale del Tribunale di Roma sono di tenore sostanzialmente analogo a quelle dell'appello ZO. (v. infra), cui si rinvia per il resto, fermo restando che dalla difesa dell'appellante GI. vengono particolarmente sviluppati i seguenti due argomenti: - il capo B1 contempla in sé, in realtà, sia il delitto di false informazioni (art. 2638 comma 1 c.c.) che quello di ostacolo (art. 2638 comma 2 c.c.) e i suddetti due delitti non si sono realizzati nel medesimo contesto temporale in quanto l'ispezione maggio-ottobre 2012 è stata per l'appunto preceduta dall'invio, in data 26.4.2012, della comunicazione di vigilanza (a firma del d.g. Sa.So.) avente ad oggetto il rendimento ICAAP sulla determinazione del patrimonio di vigilanza della banca al 31.12.2011; - nel decidere la questione di competenza la verifica del giudice non può essere limitata - diversamente da quanto ritenuto dal tribunale vicentino - alla mera enunciazione così come testualmente prospettata nel capo di imputazione, dovendo invece estendersi alla perimetrazione del fatto così come risultante dall'insieme di tutti gli atti allegati dalle parti (la comunicazione ICAAP inviata a Banca d'Italia il 26.4,2012 rientrerebbe per l'appunto fra gli atti di indagine specificamente relativi all'imputazione contestata sub capo B1 trattandosi di atti depositati dal Pubblico Ministero - segnatamente nel faldone n. 7 - e messi a disposizione del giudice con la richiesta di rinvio a giudizio); al riguardo vengono citati arresti giurisprudenziali di legittimità. L'appellante ha ribadito altresì - dopo averla prospettata già in primo grado nelle note d'udienza 2.4.2019 alle quali ha rinviato per tutti gli approfondimenti del caso - la possibilità di individuare in alternativa come territorialmente competente il Tribunale di Milano in quanto sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (ciò solo qualora i sia ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge n. 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile, trattandosi di questione tuttora dibattuta). 2.1.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione al capitolo II della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari) l'appellante ha dedotto la violazione degli art. 185 c.p. e 74 c.p.p. ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p. pronunciata dal tribunale in data 21.3.2019 (parzialmente reiettiva della richiesta di esclusione delle parti civili) e di tutte le parti della sentenza che la richiamano. L'impugnazione dell'anzidetta ordinanza si riferisce, per la precisione, ai suoi paragrafi 1.5, 1-6 e 1.7: s quanto al paragrafo 1.5 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile in capo agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti di causa. Essendo costoro divenuti azionisti od obbligazionisti (puri, subordinati o convertibili) in epoca successiva ai fatti che qui occupano non possono - conseguentemente - lamentare di avere subito un danno immediato e diretto (alcuni di essi, anzi, appaiono piuttosto avere messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti); quanto al paragrafo 1.6 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle c.d. operazioni "baciate"; tali soggetti non possono infatti che definirsi carenti di legitimatio ad causam essendo consapevoli di partecipare a un'operazione asseritamente illecita nella prospettazione d'accusa, a differenza di quanto affermato dal tribunale; al riguardo l'appellante ha ricordato come nella stessa costruzione generale dell'impianto accusatorio si dia indicazione della sottoscrizione, da parte dei clienti/soci/finanziati, di lettere di impegno - dal tenore chiaro ed esplicito - contenenti, per l'appunto, l'impegno da parte della banca al riacquisto delle azioni B. e/o contenenti la garanzia di un determinato rendimento; s quanto al paragrafo 1.7 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno messo in vendita le loro azioni. Nei confronti di tali soggetti si è infatti verificata l'interruzione - a seguito delia vendita - del nesso causale, con il conseguente carattere solo indiretto del danno da reato (commisurato al deprezzamento fra il momento di acquisto dell'azione e la realizzazione effettiva). Ebbene, lo stesso tribunale vicentino più volte ha fatto riferimento, nel contesto dell'ordinanza impugnata, proprio alla consequenzialità immediata fra reato e danno (enunciata negli artt. 1223 e 1227 comma 2 c.c.) dalla quale far discendere la sussistenza della legittimazione. Consequenzialità immediata che, nel caso di danno indiretto, per l'appunto non ricorre. - conseguentemente si è richiesta l'esclusione di tutte le parti civili rientranti nell'una o nell'altra delle suindicate tre categorie. 2.1.3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al capitolo III della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erronea ricostruzione -all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - della posizione del GI. nell'organigramma di B., dovuta tanto a un'erronea valutazione degli elementi ritenuti a carico quanto alla mancata valutazione di molti altri elementi pur esistenti a discarico. Segnatamente: la sentenza impugnata, nel sostenere che il GI. avrebbe svolto un ruolo primario agendo congiuntamente al direttore generale Sa.So. (l'operatività era gestita dal direttore generale So. e dal suo vice Gi."), contrasterebbe con un dato conclamato alla luce dell'intera vasta istruttoria dibattimentale e in particolare testimoniale, ossia il fatto che Sa.So. fosse in realtà da lungo tempo portatore, nei confronti del GI., di un sentimento - da lui apertamente manifestato - di sfiducia, contrarietà e desiderio di causarne l'emarginazione, come riferito - fra gli altri - dai testi Di.Gr., Co.Tu., Cl.Gi., Da.Es., Pa.An. (quest'ultimo in particolare, nell'evidenziare come tale connotazione del rapporto fra i due fosse evidente anche per i componenti del CdA, aveva dichiarato: Sostenere che So. facesse tandem con Gi. anche se poi il fenomeno delle baciate potrebbe anche farlo pensare, è un qualcosa che era assolutamente irreale per chi un minimo respirava la banca, anche perché era notorio che So. non amasse la professionalità di Gi..."). Tutt'altre invero erano le persone che all'interno di B. frequentavano abitualmente l'ufficio del So., menzionate nominativamente - ad esempio - dal teste Esposito in sede dibattimentale; da tale "salotto buono" (cfr, pag. 31 atto di appello) ovvero "cerchio magico" (Ibidem) il GI., in altri termini, era rigorosamente escluso; - la stessa elencazione delle funzioni e competenze tanto della Divisione Mercati quanto del suo responsabile Em.Gi., così come sunteggiata alla pag. 639 della sentenza impugnata, non risponde al vero poiché ignora il fatto che gli organigrammi e i funzionigrammi di B. hanno subito nel tempo, proprio per volere del So., accentuati cambiamenti il cui scopo era esattamente quello di emarginare il GI. coinvolgendo, nel contempo, personale fedele al direttore generale; sono state citate al riguardo tanto l'analisi condotta dal consulente tecnico della difesa prof. Pe. quanto le deposizioni rese da vari testimoni (Al.Mo., Co.Tu., Ma.Ba., Gi.Am., Cl.Am., Cl.Gi., Fi.Ro.); - sempre l'istruttoria dibattimentale, in particolare testimoniale (cfr le deposizioni dei testi Al.Ba., Co.Tu., Cl.Gi., Ma.Ni., Se.Ro., Lu.Ve., En.Da., Di.Ip., Al.Cu.), ha consentito di appurare che le scelte riguardanti le operazioni qui in discussione e le loro modalità erano decise in piena autonomia dal solo So., il quale impartiva alle strutture della banca le conseguenti direttive o in prima persona oppure avvalendosi, a guisa però di mero tramite, del GI. e/o del direttore commerciale Gi.Am.; - sempre l'istruttoria dibattimentale (cfr. le deposizioni dei testi Cl.Gi., En.Da., Co.Tu.) ha evidenziato come anche lo stesso GI. - tratteggiato nella gravata sentenza come l'autore in prima persona di pressioni estreme sulla rete commerciale - fosse in realtà destinatario di minacce e pressioni provenienti direttamente dal So.. Quanto alle fonti di prova citate in sentenza con riguardo alle pretese pressioni esercitate dal GI. (cfr. in particolare le dichiarazioni dei testi Di.Ip. e Ma.Ni.) la difesa ha argomentato nel senso del loro fraintendimento e/o vaglio solo parziale e decontestualizzato da parte del tribunale; - la sentenza gravata ha completamente omesso di considerare i seguenti due episodi - definiti gravi e inquietanti dalla difesa - in danno del GI., i y quali ben evidenziano quanto egli fosse "estraneo al milieu compatto e ristretto di gestione reale della Banca" (cfr. pag. 34 atto di appello): a) riguardo alla questione degli storni è emerso che - in seno alla Divisione Mercati diretta dal GI. - era stato ordinato da Gi.Am. al suo subalterno Al.Fe. di correggere le lettere di storno sottoscritte dallo stesso Am. obliterando la firma di questi e lasciando inalterate solo le lettere firmate dal GI., quando per converso l'estraneità di questi alla procedura degli storni deve ritenersi dimostrata anche dal rigetto, nei suoi confronti, della domanda cautelare presentata in sede civile dalla banca (cfr. documento n. 668 prodotto dallo stesso Pubblico Ministero, corrispondente al provvedimento n. 4414/2015 del Giudice del lavoro presso il Tribunale di Vicenza); b) a detta del teste Co.Tu. il collega Ad.Ca. - uno dei componenti la ristretta cerchia di frequentatori abituali dell'ufficio del d.g. Sa.So. - all'inizio del mese di maggio 2015 aveva minacciato lo stesso Tu. di licenziamento perché si era rifiutato di scrivere una relazione nella quale si dicesse falsamente che il GI. era il responsabile di tutta l'operatività illecita; - l'ostilità nei confronti del GI. si era finanche acuita dopo l'inizio dell'attività ispettiva, essendo sorta - per effetto di quanto andava ivi emergendo - l'esigenza di catalizzare sul predetto ogni responsabilità. 2.1.4 Con il quarto, il quinto e il sesto motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IV, V e VI della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erroneità dell'attribuzione al GI. - all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - dell'ideazione e attuazione delle operazioni di finanziamento correlato, rivendicando altresì in capo al predetto la genuina convinzione che tali operazioni non solo fossero lecite ma altresì che venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. Si è evidenziato in particolare al riguardo quanto segue: - il GI. era entrato in B. nel novembre 2007 allorquando la prassi delle operazioni correlate già era in essere (circostanza riferita non solo dall'imputato nel suo esame dibattimentale ma altresì dai testi Di.Gr. e Alessandro Ba. fra gli altri); - il GI. inizialmente era perplesso, e del resto si trattava di perplessità diffusa all'interno di B., circa l'applicabilità dell'art. 2358 cc. alle banche popolari come società cooperative e ciò quantomeno fino all'anno 2012, anno in cui aveva avuto luogo l'ispezione della Banca d'Italia; in tal senso del resto si era espresso anche un parere legale esterno acquisito dalla stessa B.; - la sentenza impugnata ha comunque errato nel ritenere non credibile il teste Cl.Am. circa l'andamento del suo colloquio con l'ispettore Ge.Sa. (del quale va tenuta in considerazione, in particolare, una conversazione captata - la n. 281 progn del 19.3.2017 - con il consulente tecnico del Pubblico Ministero, Pa., ove il primo diceva al suo interlocutore: "Poi, vedendo le carte, effettivamente alcune operazioni baciate c'erano", il che dimostrerebbe l'effettività dei disvelamento affermato dal teste Am.); né il tribunale ha valutato con adeguato rigore i plurimi elementi istruttori che depongono nel senso di un rapporto istituzionale "non esemplare" intrattenuto dalla Banca d'Italia, nella specifica occasione, con il So.; - plurime sono le evidenze testimoniali - citate nominativamente nell'atto di appello - di una "piana e pacifica conoscenza dell'esistenza delle operazioni correlate in capo a tutti i settori di B., incluso il settore legale nella persona dell'avv. An.Pa. (diversamente da quanto costei ha sostenuto in sede dibattimentale) e incluso soprattutto il settore bilancio e pianificazione di cui era responsabile il coimputato Ma.Pe., che oltretutto faceva parte - circostanza ben nota al Gi. - del milieu ristretto di dirigenti che avevano un rapporto esclusivo con il So. (al riguardo l'appellante ha lamentato il fatto che il PE. sia stato mandato assolto dal tribunale sull'assunto che in capo allo stesso PE. fosse insufficiente la prova dell'elemento soggettivo del reato); - il GI., atteso tutto quanto sopra (in particolare quanto osservato in relazione alla posizione del PE. e al contegno da questi tenuto), non poteva che maturare la convinzione che le operazioni correlate - a tutti note in B. - venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza; - non può condividersi per converso l'argomento, svolto a pag. 216 dalla sentenza impugnata, secondo cui è evidente che le operazioni correlate in oggetto non venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza in quanto, in caso contrario, sarebbero state del tutto inutili; tale argomento prova troppo, giacché, se davvero così fosse stato, tutti coloro che si erano occupati di operazioni correlate in B. (inclusi tutti gli esponenti dell'alta e media dirigenza, ivi compresi quelli più vicini al So.) sarebbero stati raggiunti dalle medesime imputazioni; ciò non è invece avvenuto proprio perché la Procura della Repubblica vicentina ha ritenuto mancante in capo a costoro la consapevolezza dell'intero disegno strategico intessuto al riguardi dal So. (e, con ogni probabilità, da questi tenuto riservato entro la ristretta cerchia delle persone per lui fidate, la quale non comprendeva - come detto - l'imputato GI., tenuto lontano dalle "strategie decisionali" del direttore generale stante il rapporto di emarginazione, sfiducia e contrarietà del quale egli era reso oggetto); - esistono inoltre ragioni prettamente tecniche, illustrate anche dal c.t, della difesa prof, Pe. (e passate in rassegna alle pagg. 50-51 dell'atto di appello), che rafforzano ulteriormente la conclusione da trarsi circa la genuina convinzione, in capo al GI., che le note operazioni correlate venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. 2.1.5 Con il settimo e l'ottavo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli VII e VIII della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha passato dettagliatamente in rassegna le numerose emergenze processuali già evidenziate in prime cure dalla difesa - ma ignorate dalla sentenza impugnata - che a suo avviso depongono nel senso della non consapevolezza, in capo al GI., dell'entità del fenomeno, censurando simmetricamente l'erronea valutazione, da parte del primo giudice, di quegli ulteriori elementi probatori che lo stesso tribunale ha ritenuto pesare a carico dell'imputato. In particolare si è evidenziato che: quanto al contenuto del file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, le frasi ivi pronunciate dal GI. e da altri partecipanti non sono state adeguatamente contestualizzate (a quell'epoca era ormai diffusa in B. una sensazione di "quasi defaul" manifesta e recepita da tutti con ovvie preoccupazioni); in alcuni altri casi invece - come ad esempio è a dirsi per la quantificazione da parte del So. dei "finanziamenti" in oltre un miliardo di euro - sono state travisate nel significato (in realtà sarebbe chiaro, a detta dell'appellante, che il So. non si riferiva al capitale finanziato bensì alla campagna pre-affidamenti, il che emergerebbe da vari elementi della svolta istruttoria); - del tutto neutro è il fatto che il So. prima del 2013 avesse fatto fare un report a Co.Tu. (circostanza evidenziata a pag. 668 della sentenza gravata), dato che la stessa sentenza ha ricordato come tale report - al pari delle tabelle di monitoraggio mensili diffuse nel corso delle riunioni della Divisione Mercati - riguardasse tutti i soci, anche quelli non finanziati; - anche la deposizione del teste Ro.Pr., valorizzata in sentenza quale dato significativo a carico del GI., non sarebbe stata letta ed esaminata nella sua interezza dai giudici vicentini; - le prove a discarico in punto "consapevolezza" del GI. sono state completamente ignorate dal primo giudice, pur provenendo esse a volte finanche da testi altrimenti rivelatisi alquanto "ostili" nei suoi confronti come Lu.Ve., Gi.Ca., En.Da., Se.Ro., Pa.An. (dei quali l'appellante ha riportato gli stralci di deposizione favorevoli al GI.); - quanto agli elementi probatori indicati in sentenza come "a carico" dell'imputato, invece, ivi non si è specificato neppure a quali fra i plurimi distinti reati contestatigli essi si riferiscano; - attesa la sopra ben evidenziata conoscenza diffusa a tutti i livelli, in B., del ricorso a operazioni di capitale finanziato, si svuotano di valenza probatoria "a carico" elementi come gli appunti del teste Ma.So. circa i contenuti del Comitato di Direzione 8.11.2011 e come l'incontestato ruolo di coordinamento della rete che il GI. esercitava in quanto direttamente afferente alla sua qualifica di responsabile della Divisione Mercati; - vari testi, ancora una volta ignorati dalla sentenza gravata, hanno riferito circa il reiterato attivarsi del GI. per favorire l'informatizzazione della procedura (il che avrebbe reso impossibile la prassi contestata), incontrando però sempre la ferma resistenza della Divisione Risorse; - non sono minimamente risolutivi gli asseriti indici di consapevolezza evidenziati in sentenza (il divieto alla rete di comunicare informazioni per iscritto; il ricorso alla ed. "clausola sentinella" generica nelle P.E.F.; l'invito a rispettare un distanziamento temporale tra fido e acquisto delle azioni), posto che, a tacer d'altro, la formula generica - preesistente all'ingresso di GI. in B. - è risultata non essere stata utilizzata in una cospicua percentuale delle stesse operazioni correlate (circa il 35,50%) e che pure la prassi del distanziamento temporale non era stata certo introdotta, come dimostrato dalla svolta istruttoria, dal GI., in capo al quale - diversamente da quanto ritenuto in sentenza - non può affatto di dimostrata una "pervicace condotta tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delie autorità di vigilanza" (cfr. pag. 647 sentenza gravata); - la sentenza impugnata, nell'indicare come elementi a carico significativi la vicenda Vi. (e relativo report Bo.), la richiesta di chiarimenti da parte della società di revisione KP. e le schede consegnate all'ispettore Gi.Ma., ha riportato solo alcuni aspetti della relativa vicenda ignorando le risultanze processuali utili a contestualizzarli e a inquadrarli; aspetti che l'appellante ha illustrato e analizzato alle pagg. 62-66 dell'atto di impugnazione. 2.1.6. Con il nono, decimo, undicesimo e dodicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IX, X, XI e XII della parte III dell'impugnazione) l'appellante ha illustrato quelli che a suo avviso sono fondamentali errori metodologici commessi dal primo giudice nella ricostruzione probatoria dei fatti, con particolare riguardo: - a una visibile confusione fatta tra gli elementi costitutivi della fattispecie legale dell'operazione correlata e l'individuazione dei mezzi probatori atti a verificarne l'effettiva realizzazione in una determinata situazione; all'utilizzo di "criteri" (nomenclatura estranea al diritto delle prove penali) non identificabili con le circostanze indiziarie disciplinate quali mezzi di prova dall'art. 192 comma 2 c.p.p., di talché si sarebbe persa di vista, in sentenza, la necessità che il quadro indiziario risulti connotato dai necessari requisiti di gravità, precisione, concordanza e necessità di adeguati riscontri; in altri termini la sentenza gravata non ha rispettato il citato canone processual-penalistico (cui era tenuta ad attenersi) bensì ha, piuttosto, utilizzato il metodo amministrativistico di cui alla circolare n. 263 della Banca d'Italia, e ciò benché le finalità perseguite dai vari metodi e dai differenti criteri in gioco (BCE, consulenti tecnici del P.M., CONSOB) si differenzino considerevolmente fra loro; - all'utilizzo in particolare, da parte della sentenza gravata, dei criteri impiegati dapprima da BCE e indi dai consulenti tecnici del P.M., che tuttavia sono estranei alla metodologia del processo penale di cui al citato art. 192 comma 2 c.p.p. in tema di valutazione critica delle prove indiziarie; metodologia che, se utilizzata, avrebbe dato esiti finali ben diversi e favorevoli all'imputato. 2.1.7 Con il tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo e sedicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XIII, XIV, XV e XVI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha censurato la sentenza impugnata laddove ha ritenuto di ravvisare una responsabilità concorsuale del GI. ex art, 110 c.p.p., anzitutto, nei reati di aggiotaggio manipolativo-operativo (articolato in una prima condotta relativa alla concessione del capitale finanziato, in una seconda condotta relativa alla mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014 e in una terza condotta relativa alla mancata comunicazione all'esperto prof. Ma.Bi. della prassi aziendale in tema di operazioni correlate), non prima peraltro di avere stigmatizzato l'illegittima "moltiplicazione", operata in sentenza, dei reati di aggiotaggio di cui al capo Al, da ritenersi attuata in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale. Ha evidenziato come l'apoditticità dell'argomentare dei giudici vicentini circa il ravvisato apporto concorsuale del GI. emerga a più riprese dalla lettura della sentenza, fermo restando che, ad applicare uguale metodologia argomentativa a svariati fra i soggetti escussi come testi in dibattimento, gli stessi sarebbero a loro volta dovuti figurare quali coimputati in ragione della loro conoscenza diretta del "fenomeno" del capitale finanziato e della loro altrettanto diretta operatività all'interno del fenomeno medesimo. Ha indicato come profondamente errata, alla stregua di tali considerazioni e della necessità di rispettare i principi generali in tema di concorso nel reato, l'attribuzione generalizzata al GI. (del tutto disancorata dalle prove acquisite al processo, anche per quanto riguarda i dati numerici) della penale responsabilità con riguardo a tutte le 874 operazioni emerse, pur frammentate negli anni oggetto di contestazione. In realtà - ha proseguito l'appellante - sarebbe stato necessario dimostrare, per ciascuna singola operazione correlata, che il GI. ne aveva deliberato il finanziamento per essa specificamente utilizzato; che ne aveva seguito l'intera evoluzione; che infine aveva avuto consapevolezza della non deduzione di tale finanziamento dal patrimonio di vigilanza. L'appellante ha escluso che le generiche affermazioni contenute in sentenza riescano a evidenziare in capo al GI. la prova della sua ravvisata penale responsabilità anche per la condotta di mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014; per converso il primo giudice ha completamente ignorato, ad avviso dell'appellante, una serie di prove a discarico (documentali e testimoniali) che, conducono a non poter ascrivere al GI. tale condotta, per vero del tutto estranea alle competenze della Divisione Mercati. Né - ha proseguito l'appellante - può ritenersi soddisfacente il generico e indistinto ricorso, da parte del primo giudice in aderenza alla formulazione dell'imputazione, alla nozione di "agevolazione", essendo noto che, nella interpretazione giurisprudenziale dell'art. 110 c.p., la c.d. "agevolazione" o il "rafforzamento del convincimento" (dato dal concorrente nel reato a colui che materialmente pone in essere la condotta) deve comunque estrinsecarsi in una condotta individuata nei suoi tratti essenziali. Indi l'appellante ha censurato come ancora una volta apodittico, e anzi in aperto contrasto con le risultanze dell'istruttoria dibattimentale, l'argomentare della sentenza impugnata circa l'asserito apporto concorsuale del GI. al reato di aggiotaggio manipolativo quanto alla condotta di mancata comunicazione all'esperto stimatore esterno incaricato da B. nel 2010, prof. Ma.Bi., della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie. Ha comunque evidenziato che in base alla stessa relazione dei cc.tt del P.M. - pur ampiamente citata e utilizzata in sentenza sotto altri profili e viceversa pressoché ignorata su questo specifico punto - emerge come l'erronea stima del sovrapprezzo dell'azione B. da parte del prof. Bi., lungi dal dipendere esclusivamente dall'omessa comunicazione al predetto esperto circa l'esistenza del capitale finanziato così come adombrato in sentenza, fosse conseguita anche, e soprattutto, a una serie di errori metodologici commessi dallo stesso prof. Bi., il cui operato è in effetti ampiamente stato criticato anche dai cc.tt. del P.M. senza che il primo giudice si sia tuttavia soffermato adeguatamente su tale pur fondamentale parte della relazione di consulenza tecnica dell'accusa. Ad avviso dell'appellante la suddetta omissione del tribunale si è riverberata in maniera determinante sulla valutazione circa l'esistenza o meno di un nesso causale tra la contestata condotta di asserito nascondimento al prof. Bi. del fenomeno delle operazioni correlate e la sovrastima del valore dell'azione da parte dell'esperto, fermo restando che nessun elemento depone nel senso di un qualsivoglia apporto causale, da parte del GI., al suddetto nascondimento (lo stesso prof. Bi., nel suo esame dibattimentale, ha escluso di essersi interfacciato con il predetto). 2.1.8 Con il diciassettesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XVII della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'estraneità del GI. anche al reato di aggiotaggio informativo, posto che il primo giudice, ancora una volta mantenendosi su di un piano di assoluta indeterminata genericità, non ha dato alcuna indicazione (né tantomeno ha indicato elementi probatori a carico) su quale possa essere stato il "contributo" dell'imputato - non meglio specificato nel capo di imputazione - alla materiale diffusione di notizie false nei vari canali informativi. Né certo la prova e la determinazione del preteso "contributo" del GI. a tale specifica condotta possono trarsi, secondo l'appellante, dalla pur data per scontata - ma a sua volta contestata - "consapevolezza", in capo al predetto, delle modalità di occultamento delle operazioni correlate (consapevolezza che in ogni caso attiene al piano dell'elemento soggettivo e non già a quello - ben distinto - dell'individuazione dell'apporto causale), ferma restando l'esatta distinzione giurisprudenziale tra connivenza non punibile e concorso manifestabile nella sua forma minima, ossia appunto nella agevolazione. Ancora una volta difetta totalmente, in tesi difensiva, il rispetto dell'esigenza di individuare in termini ben delineati quale sia stata in concreto la condotta del GI. inteso quale asserito concorrente "agevolatore". 2.1.9 Con il diciottesimo e il diciannovesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XVIII e XIX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'insussistenza di una condotta concorsuale del GI. nei reati di ostacolo alle funzioni di vigilanza di Banca d'Italia e BCE (capi da B1 a MI), evidenziandone in particolare l'obiettiva estraneità alla produzione dei flussi di informazione decettivi destinati alla vigilanza e a nulla potendo valere la sistematica trasposizione reiterata - di stile - operata, in ciascun capo di imputazione, di quello che altro non è se non il criterio di imputazione soggettiva della distinta condotta di aggiotaggio manipolativo di cui al capo A1. Anche in questo caso difetta totalmente in sentenza, secondo l'appellante, l'individuazione per il GI. di una specifica condotta, dotata di tipicità, atta a individuare in capo al predetto la meramente dedotta condotta agevolativa, tanto più ponendo mente al fatto che in questo specifico caso il GI. si pone quale extraneus rispetto a un reato proprio e che pertanto andrebbero semmai applicate le stringenti regole in tema di responsabilità dell'estraneo nel reato proprio. In ogni caso - ha proseguito la difesa concludendo con una disamina analitica, capo per capo dal B1 fino al MI, del compendio istruttorio acquisito in sede dibattimentale - il tribunale ha fatto malgoverno delle prove ignorando, anche per i suddetti reati di ostacolo, i pur esistenti elementi a discarico. 2.1.10 Con il ventesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il tribunale condannato il GI., in relazione al capo N1, per un fatto totalmente nuovo, naturalisticamente autonomo e non enunciato in alcun modo nel decreto che dispone il giudizio: non gli è infatti più stata ascritta una intesa, al riguardo, con il d.g. Sa.So. ma un contegno attuativo di condotte decisionali esclusive e autonome del So. stesso. In altri termini - ha proseguito la difesa - la condotta per la quale il GI. ha riportato condanna non è sovrapponibile a quella originariamente descritta nel decreto che dispone il giudizio. Di qui l'eccepita nullità. 2.1.11 Con il ventunesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p. avendo il tribunale condannato il GI., in relazione ai capi I e L (reati di falso in prospetto), per un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio. In quest'ultimo infatti gli si contestava di avere preso parte alla materiale predisposizione dei testi dei due prospetti. La sentenza gravata, invece, pur dando atto (perché un tanto emerge dalla svolta istruttoria) che il contenuto dei prospetti è direttamente riconducibile alla condotta dolosa degli imputati ZO. e PI., e pur dando atto che il GI. - come pure l'altro imputato MA. - non era direttamente coinvolto nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, ancora una volta ne ha fondato erroneamente la penale responsabilità (come già aveva fatto in relazione ai reati di ostacolo) sulla mera asserita consapevolezza dell'occultamento delle operazioni finanziate. 2.1.12 Con il ventiduesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXII della parte V dell'impugnazione) l'appellante in subordine ha censurato il trattamento sanzionatorio sotto i seguenti profili: non corretta individuazione del reato più grave (ravvisato nel capo H1 quando viceversa, al momento di determinare la competenza territoriale dell'autorità giudiziaria vicentina, esso era stato identificato con il capo B1); mancata determinazione della pena base nei limiti di legge; mancata determinazione degli aumenti per la continuazione nel minimo di legge; mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. Illegittima deve ritenersi infine - e se ne è chiesta la revoca - la disposta confisca per equivalente non avendo il tribunale indicato le ragioni per le quali il GI. sia stato ritenuto responsabile dell'erogazione di tutti i finanziamenti strumentali alla formazione del capitale finanziato de quo. 2.1.13 Con il ventitreesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXIII della parte VI dell'impugnazione) l'appellante, in relazione alle statuizioni civili, ha chiesto la revoca delle stesse; in ogni caso, e in subordine, ha chiesto sospendersi - sussistendo gravi motivi ex art. 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le partì civili. Riassuntivamente l'appellante GI. ha rassegnato le seguenti conclusioni: 1) In via preliminare principale di rito, riconosciuta l'incompetenza per territorio del Tribunale di Vicenza, pronunciarsi sentenza di annullamento ex art. 24 comma 1 c.p.p., della sentenza impugnata ordinando la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ovvero, in subordine, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano. 2) In via preliminare subordinata di rito annullarsi la sentenza impugnata ex art. 603 comma 4 c.p.p. sia in relazione al capo N1 che in relazione ai capi I e L per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il Tribunale di Vicenza condannato per fatti nuovi non enunciati nel decreto che dispone il giudizio. 3) In via principale di merito assolvere l'imputato GI. da tutti i reati a lui ascritti per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato o con altra formula ritenuta di giustizia. 4) In via subordinata di merito quanto al trattamento sanzionatorio, previa individuazione del reato più grave fra quelli ascritti nel capo B1, riduzione ai minimi di legge della pena base nonché di tutti gli aumenti operati per la continuazione interna con riconoscimento del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle residue aggravanti contestate. 5) In via subordinata quanto alle statuizioni civili, escludere quelli - fra soggetti costituitisi parti civili - da valutarsi come carenti di legittimazione attiva nei termini illustrati nel relativo motivo di gravame. In ogni caso revocare tutte le statuizioni civili e sospendere - sussistendo gravi motivi ex art 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le parti civili. 2.2 Appello proposto da Ma.Pa. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Ma.Pa.. 2.2.1 In particolare con il primo motivo, assai articolato, l'appellante ha censurato l'affermazione di responsabilità del MA. in relazione a tutti i reati contestati nel capo di imputazione sotto più profili che vengono qui di seguito illustrati. 2.2.1.1 Preliminarmente l'appellante ha eccepito la nullità della richiesta di rinvio a giudizio reiterando la già sollevata eccezione, respinta dal tribunale vicentino, di nullità delle notifiche dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p. e dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare effettuate - nel domicilio da lui eletto in data 28.4.2017 nell'ambito del solo procedimento n. 5628/2015 RGNR, allora unico procedimento pendente a suo carico - con riguardo afte imputazioni relative alle condotte criminose che lo stesso MA., in tesi d'accusa, avrebbe posto in essere nell'anno 2015 (condotte che dapprima avevano costituito l'oggetto di un distinto procedimento recante il n. 5851/2017 RGNR, iscritto dalla Procura della Repubblica vicentina - a seguito del deposito dell'informativa finale 6.7,2017 della GdF di Vicenza estesa per la prima volta alle condotte commesse nell'anno 2015 - mediante stralcio dal già pendente procedimento n. 5628/2015 RGNR; indi riunito al suddetto procedimento n, 5628/2015 RGNR solo in occasione dell'udienza preliminare tenutasi nell'aprile 2018) per violazione dell'art. 157 c.p.p.. Ciò in applicazione del principio secondo cui l'elezione di domicilio effettuata dall'imputato ha validità unicamente nell'ambito del procedimento in relazione al quale essa viene effettuata, con divieto quindi di una sua ultrattività anche nei procedimenti connessi. 2.2.1.2 Indi l'appellante ha formulato richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, comprensiva in particolare del confronto tra il teste Cl.Am. (già responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B.) e il teste Ge.Sa. (componente del tea/77 ispettivo di Banca d'Italia che aveva operato nel 2012); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, sul file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (ciò solo per il caso di rigetto dell'eccezione di sua inutilizzabilità sulla quale v. infra); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, atta a valutare l'importo complessivo del capitale ritenuto finanziato, a individuare l'effettiva disciplina della sua deducibilità dal patrimonio di vigilanza e - prima ancora - a individuare i criteri che debbono essere utilizzati al fine di stabilire se un'operazione di finanziamento possa o meno dirsi correlata/finalizzata all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni. A tale ultimo proposito la difesa ha affermato di richiamarsi anzitutto alle articolate argomentazioni svolte dalla difesa ZO. (v. infra); ha evidenziato in ogni caso come emblematico, in ordine alla necessità di disporre perizia, il fatto che, mentre il tribunale ha avallato acriticamente il criterio temporale dei tre mesi (criterio basato su una indicazione del teste Ro. nonché adottato dall'ispettore Ma. e indi dai consulenti tecnici del P.M.), nondimeno l'espletata istruttoria dibattimentale ha in realtà consentito di appurare come il concretamente riscontrato intervallo temporale - a detta dello stesso teste Ma. - si fosse di fatto attestato attorno a un massimo di un mese circa. 2.2.1.3 L'appellante ha poi rinnovato la già svolta eccezione di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014; nel caso di specie, infatti, l'autore materiale della registrazione (uno o forse più tecnici all'uopo incaricati, a suo dire, dal segretario generale Ma.So.) era un soggetto - estraneo alla conversazione tra presenti in questione - che aveva operato da una consolle di registrazione sita all'esterno dell'aula consiliare e non vi era neppure stato ammesso ad assistere da alcuno se non eventualmente dal solo So. a insaputa di tutti gli altri partecipanti. 2.2.1.4 L'appellante ha lamentato un malgoverno delle prove in quanto la gravata sentenza, nonostante la mole ponderosa, si caratterizzerebbe: a) per una costante sottrazione di elementi, pur presenti all'interno dell'istruttoria dibattimentale ma nemmeno considerati nella motivazione; b) per una elusione delle questioni di fondo poste dalla difesa dell'imputato. In primo luogo, comunque, non è dato comprendere perché tutta una serie di soggetti (si sono indicati esemplificativamente i testi Cl.Gi., Co.Tu., Gi.Am. e altri), pacificamente resisi autori materiali delle medesime condotte contestate all'imputato, non siano mai stati nemmeno indagati in relazione a tali loro condotte. La suddetta considerazione è prodromica all'ulteriore doglianza difensiva concernente la totale assenza, nella gravata sentenza, di ogni e qualsiasi valutazione in ordine alla componente psicologica dei reati contestati. A tale ultimo proposito la difesa ha evidenziato in particolare come il MA. mai abbia sostenuto di ignorare l'esistenza in B. di operazioni di finanziamento correlato; egli in effetti ha costantemente dichiarato ben altro, ossia di essere sempre stato genuinamente convinto della piena liceità delle operazioni stesse: non solo tale tipologia di operazione veniva eseguito in B. già prima del 2009, anno di assunzione del MA., ma altresì egli, da neoarrivato, aveva ricevuto assicurazioni da vari colleghi, tra cui il GI., il Co. e il Se. (all'epoca responsabile della Divisione Crediti), sul fatto che - trattandosi di una banca cooperativa - non trovasse ad essa applicazione l'art. 2358 c.c.; in tale ultimo senso anzi la banca aveva a suo tempo richiesto e acquisito pure un parere legale formulato da uno studio incaricato ad hoc (trattavasi dello studio Erede-Bonelli; il parere, redatto da uno dei massimi esperti nella materia, era stato favorevole alla tesi della inapplicabilità dell'art. 2358 c.c. alle banche cooperative); in effetti la dottrina e la stessa giurisprudenza fino ad epoca assai recente si erano dimostrate tutt'altro che univoche sul punto. A ciò si aggiunge la circostanza che l'effettuazione di operazioni correlate fosse emersa, alla luce della svolta istruttoria dibattimentale, quale dato pienamente noto anche all'interna audit della banca (il che renderebbe assai precaria, sotto il profilo dell'attendibilità, la posizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'audit) nonché al suo ufficio legale (considerazioni analoghe a quelle relative al teste Bo. andrebbero dunque svolte anche con riguardo alla sua responsabile, l'altra teste avv. An.Pa.): né l'una né l'altra struttura avevano mar avvisato alcuno in B. circa il fatto che si stesse con ciò ponendo in essere un'attività illecita. Anzi la teste Pa. in sede dibattimentale si era trovata costretta ad ammettere che aveva effettivamente potuto visionare la pratica (pacificamente correlata) Ca.-Lu. ma che, essendosi essa positivamente conclusa, non aveva ritenuto di fare nulla. 2.2.1.5 L'appellante ha indi lamentato l'errata ricostruzione operata dal tribunale - alla pag. 678 della gravata sentenza - delle competenze della Divisione Crediti, affermando che i giudici vicentini si sono basati, al riguardo, essenzialmente su quanto affermato dal teste Gi.Sc. nella relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia (laddove lo stesso Sc. in sede dibattimentale ha ammesso di non conoscere le facoltà deliberative autonome riconosciute alla rete), mentre sarebbe stata obliterata la delibera del CdA 7.2.2012 (pur acquisita al fascicolo del dibattimento) la quale aveva ridisegnato le competenze e le funzioni della Divisione Crediti istituendo le Direzioni Regionali. In particolare non risponde affatto al vero - ha proseguito l'appellante - l'assunto del primo giudice secondo cui "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito (...) la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (affida menti) (e delle relative garanzie)". In rea Ita i I perfezionamento e l'erogazione degli affidamenti, come pure l'acquisizione delle eventuali garanzie ad essi relative, erano - nel periodo in esame - demandati a una società controllata da B. e denominata Servizi Bancari, come riferito concordemente in sede dibattimentale dai testi Cl.Am. e Sa.R. oltre che dallo stesso imputato MA.. La difesa del MA. ha affermato altresì che, sempre in tale passo dell'impugnata sentenza, i giudici vicentini hanno equivocato anche sul ruolo svolto dal teste Cl.Gi. indicandolo come "capo area di Vicenza" Al di là del refuso "13.6.2013" in luogo di "13.6.2019" riguardo alla data dell'esame testimoniale del Gi. (che pure - a detta dell'appellante - non depone a favore della precisione ricostruttiva complessivamente impiegata dal collegio giudicante), io stesso Gi. nel corso del suo esame testimoniale aveva chiaramente detto di avere assunto la carica di Direttore regionale Ve.Oc. all'indomani della modifica dell'organizzazione commerciale della banca, disposta nell'aprile - maggio 2012 con l'istituzione delle direzioni territoriali. Infine, e più gravemente, il passo in oggetto della gravata sentenza avrebbe totalmente travisato la stessa spiegazione, in sé completa ed esatta, fornita dal teste Gi.. Dalla parafrasi del tribunale pare che ad essere articolata su base territoriale decentrata fosse la Divisione Crediti ma ciò è difforme da quanto riferito dal teste Gi. (nonché da altri testi come ad esempio il teste Ma.Ba., il teste Lu.Ve. e il teste Gi.Am.): gli Uffici Crediti articolati su base territoriale erano infatti alle dipendenze delle Direzioni Regionali, le quali a loro volta erano gerarchicamente inquadrate all'interno della Divisione Mercati. In altri termini nel periodo 2012-2015 successivo all'ispezione della Banca d'Italia la situazione era la seguente: a) la Divisione Crediti non era coinvolta in alcun modo nell'erogazione e perfezionamento dei finanziamenti; b) ciò che al riguardo veniva deliberato -in piena autonomia - dalle Direzioni Regionali era completamente estraneo al perimetro conoscitivo della Divisione Crediti. Soltanto nel 2015, come riferito con chiarezza dal teste Cl.Am., l'assetto organizzativo di B. era variato nuovamente con il ritorno alla Divisione Crediti della competenza gerarchica sui crediti in rete. Nel periodo 2012-2015, viceversa, alla stregua delle suesposte considerazioni, essendo il processo del credito non accentrato, diversamente da quanto sostenuto nella gravata sentenza, la Divisione Crediti (il cui ruolo e la cui funzione erano circoscritti alla necessità di assicurare la qualità del credito e il recupero di esso) non aveva - né poteva avere - contezza della complessiva entità del capitale finanziato. 2.2.1.6 L'appellante ha poi evidenziato come nessun rilievo fosse stato sollevato dalla vigilanza nei confronti della Divisione Crediti, tanto all'esito dell'ispezione del 2012 quanto all'esito di quella del 2015, mentre per converso erano stati formulati i seguenti rilievi per omissioni e carenze a vario titolo: contro i consiglieri di amministrazione in carica all'epoca dei fatti; contro i sindaci in carica all'epoca dei fatti; contro il direttore generale (Sa.So.) in carica all'epoca dei fatti; contro i vice direttori generali in carica all'epoca dei fatti An.Pi. (Divisione Finanza) ed Em.Gi. (Divisione Mercati); contro le funzioni aziendali di controllo - ossia contro i responsabili della funzione Internai Audit (Ma.Bo.) e della funzione Compliance (Gi.Fe.) - in carica all'epoca dei fatti. 2.2.1.7 L'appellante, con riguardo alla questione della c.d. "causale sentinella" connotata da estrema genericità, ha sollevato forti dubbi sulla valenza sintomatica attribuita in tesi d'accusa - e fatta propria dal tribunale vicentino - alla causale stessa, posto che: s lo stesso teste Gi.Sc., capo team dell'ispezione 2012, aveva affermato che 'le carenze nella causale non erano un fatto sistematico, perché altrimenti lo avremmo registrato nel rapporto o, perlomeno, non mi è stato restituito come un fatto sistematico, poi non posso evidentemente immaginare che tutte le PEF siano state esaustive (...)"; - anche il teste Ge.Sa., altro membro del team dell'ispezione 2012, aveva manifestato, sotto altro profilo, considerevoli dubbi sulla natura effettiva di "sentinella" in capo alla suddetta causale generica; - l'assoluta mancanza di rilievi in merito alla presunta genericità di tale, proposta di fido contenuta nella P.E.F. era stata confermata anche dal teste Ma.D.Bo. (all'epoca direttore dei Crediti Anomali nonché uno dei diretti interlocutori con il team ispettivo); - nemmeno l'ispettore Em.Ga. nel 2015, benché le regole da seguire e applicare fossero frattanto divenute più stringenti (in quanto non più di, matrice nazionale bensì europea), aveva proposto sanzioni al riguardo nemmeno aveva invitato la banca a modificare modulistica, procedura e altro in tema di credito; - la formula generica "cogliere opportunità di investimenti mobiliari e immobiliari", lungi dall'essere stata introdotta dal MA. come poteva sembrare leggendo la sentenza impugnata, preesisteva al suo arrivo in B. e d'altra parte non era applicata unicamente ad operazioni c.d. "baciate" (lo stesso teste Fr.Io., ossia il nuovo direttore generale succeduto a Sa.So., lo aveva confermato in sede dibattimentale al pari del teste Co.Tu.); - in relazione a tutte le operazioni finanziate, così come individuate dalla consulenza tecnica Ta.-Pa.-Ca., l'esame delle P.E.F. faceva emergere il dato statistico secondo cui circa il 40% dell'importo finanziato (esattamente il 41,44%) portava causali diverse da quella sopra indicata. 2.2.1.8 L'appellante ha confutato come non rispondente al contenuto complessivo dell'espletata istruttoria dibattimentale anche l'ulteriore assunto - di cui alle pagg. 680 e ss. della sentenza impugnata - secondo il quale le pratiche riguardanti le operazioni correlate dovevano necessariamente essere predisposte su un format fornito dalla Divisione Crediti, e ciò a pena di essere rifiutate, su disposizione apparentemente impartita dal MA., in caso contrario. In realtà tutti i testi sentiti al riguardo si erano espressi de relato riportando asserite affermazioni rese loro in tal senso dall'uno o dall'altro esponente della Divisione Mercati; non a caso l'espressione utilizzata al riguardo in sentenza - "Inoltre, si disse che tale dicitura era condivisa con la Divisione Crediti e avrebbe consentito l'approvazione della pratica" (cfr. pag. 680 cit.) - era quanto mai generica e impersonale. Anche quanto all'altro preteso indicatore univoco della natura correlata dell'operazione, oltre alla c.d. "clausola sentinella", ossia la c.d. "sfasatura temporale" tra l'erogazione del fido e l'acquisto di azioni, la difesa ha osservato che la sentenza impugnata pare volutamente confondere i piani intersecando l'unica disposizione data dal MA. al riguardo (ossia che il denaro del finanziamento erogato dovesse risultare già accreditato nel c/c prima di poter procedere all'acquisto delle azioni) con il fenomeno - del quale il MA. non era in alcun modo partecipe - dell'occultamento di tale procedura agli occhi dell'eventuale controllore. In altri termini il monito in questione, rivolto dal MA. al personale a seguito della reiterata disinvoltura dimostrata in passato da B. sull'argomento (cfr. ad esempio l'operazione Lu.-Ca.), disinvoltura che come tale era stata censurata dal team ispettivo del 2012, aveva il solo fine di evitare eventuali sconfinamenti in c/c come aveva ad esempio ben spiegato fra gli altri il teste Co.Tu.. Le stesse deposizioni che sul punto vanno apparentemente in senso sfavorevole al MA., segnatamente quelle rese dai testi En.Da., Gi.Am. e Al.Cu., sarebbero state riportate in sentenza dal tribunale vicentino solo per brevi stralci completamente decontestualizzati, sì da stravolgerne il senso. 2.2.1.9 L'appellante indi ha affrontato un altro tema (svolto dalla sentenza impugnata alle pagg. 686-687), quello della "campagna riqualificazione impieghi" - intendendosi per impieghi i prestiti - anche detta "pre-deliberato", connotata semplicemente dallo stanziamento, ad opera di B., di una rilevante somma finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate (ossia più vantaggiose) in sede di rinnovo o revisione degli affidamenti di clienti meritevoli di un particolare rating creditizio. Il compito della Divisione Crediti, a detta dell'appellante, era esclusivamente tecnico e riguardava solo l'individuazione dei criteri di rating da utilizzare per selezionare i clienti ai quali riqualificare il prestito, formare apposite liste e inviarle alla rete per la definitiva verifica. Il tutto - ha proseguito la difesa del MA. - è stato esaustivamente spiegato in dibattimento dai testi Cl.Am. e Ma.Ba. mentre l'appellante, contrariamente a quanto parrebbe desumersi dalla sentenza gravata, non aveva nulla a che vedere con le modalità, più o meno corrette, attraverso cui tale iniziativa era poi stata presentata dalla rete commerciale ai propri clienti, non potendo ascriversi all'imputato le eventuali pressioni esercitate dalla rete medesima ° nei confronti della clientela per accompagnare l'iniziativa con inviti ad acquistare azioni B.. Al riguardo, ad esempio, la sentenza impugnata valorizzerebbe al massimo grado la deposizione del teste Um.Se. ma da un lato trattasi di soggetto che risulta avere deliberato, egli sì, numerosi finanziamenti destinati all'acquisto di azioni (sia come predecessore del MA. alla Divisione Crediti - anteriormente all'introduzione delle Direzioni Regionali - e sia in seguito come direttore generale della controllata Ba.Nu.) mentre dall'altro lato la reale natura dell'iniziativa (di per sé priva di qualsivoglia rilievo nell'alveo del problema del capitale finanziato) risulterebbe assai meglio illustrata nella relativa delibera acquisita al fascicolo del dibattimento. Anche in tal caso comunque - secondo quanto ha lamentato la difesa - il tribunale avrebbe selezionato gli elementi istruttori omettendo di menzionare quelli favorevoli all'imputato. 2.2.1.10 L'appellante ha censurato altresì il grande rilievo attribuito dalla sentenza impugnata a una serie di note e di approfondimenti provenienti dall'audit nella persona del suo responsabile Ma.Bo., posto che - come già sopra accennato - questi, al pari dell'ufficio legale della banca, era perfettamente al corrente dell'esistenza della prassi delle operazioni di finanziamento correlato e che mai tali strutture avevano segnalato alcunché, fermo restando quanto già detto in ordine al convincimento del MA. circa la liceità di tali operazioni ed esulando dall'ambito delle sue competenze quella di controllare se poi il capitale finanziato con tali operazioni venisse correttamente scomputato dal patrimonio di vigilanza. Analogamente - ha proseguito l'appellante - si sarebbe dovuto considerare l'atteggiamento di fuga dalla responsabilità tenuto dal CdA (composto non già da persone digiune della materia ma da docenti universitari, da imprenditori di primo piano e finanche da un ex Ragioniere Generale dello Stato), il quale, sottoscrivendo ogni delibera, aveva a sua volta scelto di abdicare al proprio compito di vigilare sul rispetto degli adempimenti e sulla corretta deduzione del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza. Oltretutto - ha notato la difesa - diversi altri componenti del CdA, e non solo l'imputato Gi.ZI., avevano sottoscritto essi stessi dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni B. 2.2.1.11 L'appellante si è diffuso a lungo sulle due ispezioni (Banca d'Italia 2012; BCE 2015) - in particolare sulla prima - evidenziando la necessità di un confronto tra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. che avevano reso deposizioni tra loro inconciliabili ed erano stati entrambi definiti "debolmente attendibili" dal tribunale (il primo aveva sostenuto che l'effettuazione delle operazioni correlate di finanziamento non fosse stata affatto taciuta al team ispettivo del 2012, con i quali egli aveva avuto una diretta interlocuzione; il secondo - incorso peraltro in pesantissime contraddizioni nelle diverse occasioni in cui era stato sentito durante le indagini preliminari e finanche sottoposto a intercettazione telefonica dagli inquirenti - era tornato, in sede dibattimentale, ad affermare il contrario, ritrattando quanto aveva detto da ultimo agli stessi inquirenti). Ad avviso dell'appellante, comunque, l'Am., responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B. nonché vice - assieme a Ma.D.Bo. - del MA., sarebbe assai più credibile del Sa. e più in generale dell'intero team ispettivo della stessa Banca d'Italia, la quale, dopo avere incentivato la crescita di B., non potrebbe, secondo la difesa, "permettere che qualcuno o qualcosa possa accusarla di essere stata omissiva of peggio, connivente" (cfr. pag. 103 atto di appello). Sul punto la difesa dell'appellante MA. ha menzionato l'esistenza nel web, quale fonte aperta, della registrazione di un colloquio intercorso nei primi mesi del 2014 fra il presidente di B. Zo.Gi., l'allora presidente di Ve.Ba. e l'allora capo della vigilanza della Banca d'Italia da cui si evinceva che quest'ultimo, nel ricordare ai suoi interlocutori che dal 4 novembre di quello stesso anno Banca d'Italia avrebbe dovuto passare ex lege la mano al SSM (Single Supervisory Mechanism) e che dunque i controlli sarebbero stati più severi, stava cercando di convincere Ve.Ba. ad unirsi con B.. 2.2.1.12 L'appellante ha evidenziato altresì come il tribunale non abbia riferito, nell'occuparsi della successiva ispezione del 2015, che in realtà il MA. non vi aveva nemmeno preso parte in quanto trasferito dal 18.12.2014 alla controllata siciliana Ba.Nu.. 2.2.1.13 L'appellante è poi passato a confutare con argomentazione particolarmente articolata (cfr. pagg. 126-149 atto di appello) l'assunto del collegio vicentino in ordine alla pretesa non credibilità e contraddittorietà del MA., sostenendo: a) che il contenuto dell'esame di questi sarebbe viceversa stato equivocato e travisato in più punti dal primo giudice; b) che tra i testi particolarmente valorizzati dal tribunale contro il MA. vi è ad esempio il teste Fu.Bo., non rientrante, così come vari altri, nel novero degli imputati solo a causa di una scelta operativa, definita "discutibile" degli inquirenti. Un soggetto, il Bo., che, in base al complesso dell'espletata istruttoria, emergerebbe viceversa come contraddittorio e poco credibile e del quale, in ogni caso, il tribunale (seguendo invero una tecnica redazionale spesso utilizzata nella gravata sentenza) avrebbe estrapolato solo alcuni frammenti di esame dibattimentale per lo più sfavorevoli al MA., senza porli a confronto con le rettifiche operate dallo stesso teste in sede di controesame. 2.2.1.14 L'appellante, con riguardo al capo MI relativo alle condotte di ostacolo contestate all'imputato MA. durante l'effettuazione del Comprehensive Assessment e dell'AQR (Asset Quality Review), ha escluso anzitutto che l'AQR possa paragonarsi in tutto e per tutto a una normale ispezione, indicandone le ragioni (fra l'altro nel corso di essa, in relazione alle posizioni esaminate, nemmeno era prevista l'interlocuzione tra ispettori e funzionari dell'istituto) ed evidenziando fra l'altro, in tale contesto, come finanche la Banca d'Italia, una volta diffusi i risultati dell'AQR e dello stress test, avesse affermato che il Comprehensive Assessment era stato un esercizio di natura prevalentemente prudenziale e non contabile, ove si era fatto ricorso a metodi di tipo statistico non contemplati dai criteri contabili. Indi la difesa ha ricordato come, per costante giurisprudenza, in tema di ostacolo alla vigilanza assumano rilevanza penale solo quelle false informazioni - ovvero l'omissione o il nascondimento di informazioni - capaci di entrare in conflitto con l'esercizio della funzione concretamente svolta, presupposto a suo avviso non ricorrente nel caso in esame (fermo restando che al MA. non potrebbe contestarsi di avere taciuto al team l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto e degli storni, dal momento che egli era venuto a sapere di tali procedure, come altri in banca, solo all'esito dell'ispezione BCE del 2015; né in atti vi sarebbero elementi idonei a dimostrare il contrario, anzi tutti i testi escussi hanno concordemente dichiarato che le lettere di impegno al riacquisto non erano inserite nelle P.E.F., bensì venivano conservate in cartaceo presso le filiali ove il cliente aveva il c/c di riferimento; in nessun modo era segnalata l'eventuale presenza di tale impegno, che restava una pattuizione riservata tra il responsabile della rete di riferimento e la controparte). 2.2.1.15 L'appellante è passato quindi a contestare (cfr. pagg. 154-172 atto di appello) la configurabilità in capo al MA. di un apporto concorsuale rilevante ai sensi dell'art. 110 c.p., censurando anzitutto la struttura del capo d'imputazione, configurato nel senso di una piena e totale condivisione di tutti gli imputati in relazione alle condotte contestate, a prescindere dal ruolo rivestito e dalle funzioni esercitate, sul presupposto che "tutti avessero fatto tutto" e dunque sulla base di una sorta di automatismo presuntivo, A sua volta la motivazione sui punto della sentenza impugnata - circoscritta alla sua pag. 216 - è stata censurata dall'appellante come sbrigativa e insoddisfacente in quanto basata su un'asserita "consequenzialità" ("In questo contesto operativo, è consequenziale concludere che gli imputati - che nei diversi ruoli hanno posto in essere le singole condotte di manipolazione del mercato - avessero piena ed assoluta consapevolezza dell'occultamento di questa operatività al mercato e alla vigilanza") che non avrebbe invece fondamento alcuno. A parere della difesa nel dibattimento di primo grado non è stata fornita la prova che tutti gli imputati indistintamente, e l'appellante MA. in particolare, sapessero che le c.d. operazioni "baciate" non venivano scomputate dal capitale di vigilanza e che inoltre esse erano finalizzate - oltre che all'esigenza, a tutti nota, di svuotamento del fondo acquisto azioni proprie (soprattutto in coincidenza con il fine anno) nonché a creare liquidità per il mercato secondario - anche a fornire "una distorta immagine di solidità del mercato azionario ferma restando la forte differenza tra il flusso informativo che giungeva alla Divisione Crediti e quello, ben più intenso, diretto e pregnante, che invece perveniva alla Divisione Mercati e ne animava le riunioni. Al riguardo desta forte perplessità nell'appellante il fatto che una similare differenza di flussi informativi tra diverse Divisioni fosse invece stata valorizzata dal tribunale per assolvere il coimputato Ma.PE.. 2.2.1.16 L'appellante ha lamentato altresì come al MA. sia contestato di avere "avallato una prassi" senza tuttavia che - sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato - risulti provato che egli, divenuto a un certo punto consapevole che la prassi da tempo seguita era in realtà illecita, l'avesse ciononostante pervicacemente reiterata. Ha censurato altresì l'operato dell'Accusa la quale, pur dopo l'emersione di un fenomeno - nell'ambito di B. - di autonome potestà deliberative diffuse e non già accentrate, e pur avendo conferito la stessa Accusa a seguito di ciò ai propri consulenti tecnici il compito di redigere una relazione integrativa (atta a identificare, sulla scorta delle delibere esaminate, quale fosse l'organo deliberativo di volta in volta interessato), non vi ha tuttavia dato realmente seguito, astenendosi dal ripartire fra gli autori in concreto delle varie delibere le somme contestate nel capo di imputazione quale importo complessivo del capitale finanziato. D'altra parte - ha proseguito l'appellante - qualora gli inquirenti avessero effettivamente seguito tale ultima via si sarebbero necessariamente dovuti iscrivere nel registro degli indagati alcuni fra i testimoni dell'Accusa quali concorrenti materiali nel reato. Nondimeno, difettando il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso imputabile del maggiore capitale finanziato complessivo, non sarebbe possibile nemmeno valutare la reale offensività di ciascuna condotta. Il tutto comunque - ha precisato la difesa - vale, in relazione alla posizione del MA., per le sole contestazioni di fatti commessi fino al 18 dicembre 2014 dal momento che in tale data egli veniva rimosso dalla Divisione Crediti di B. e trasferito alla controllata Ba.Nu., Viceversa in sentenza il MA. è stato condannato - senza alcuna giustificazione - finanche per i fatti occorsi nell'anno 2015 (l'appellante ha osservato al riguardo che il responsabile della Divisione Crediti in carica per quegli importi è perfettamente identificabile trattandosi del teste non assistito, in quanto mai iscritto nel registro degli indagati, Al.Ba.). In via di mero subordine la difesa ha chiesto quindi che, nel caso di ravvisata penale responsabilità del MA., la stessa sia comunque ritenuta sussistente solo fino al 18 dicembre 2014. 2.2.2 Con il secondo motivo l'appellante ha censurato in via subordinata l'eccessività della pena inflitta, e ciò sia con riferimento alla pena base sia con riguardo agli aumenti operati per la ritenuta continuazione. 2.2.3 Quindi, con il terzo motivo, l'appellante - in via di ulteriore subordine - ha chiesto valutarsi le già riconosciute attenuanti generiche come prevalenti sulle contestate aggravanti nell'ambito del giudizio di bilanciamento. Conclusivamente, l'appellante ha chiesto: 1) assoluzione dell'imputato Ma.Pa. per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato; 2) in subordine, riduzione della pena inflitta (sia attraverso una diminuzione della pena base, quantificata nei minimi edittali, sia attraverso una riduzione dell'aumento operato per la continuazione); 3) in ulteriore subordine, riduzione della pena inflitta per effetto del richiesto giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. 2.2.4 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa ha ulteriormente argomentato in ordine alla già chiesta riapertura dell'istruttoria dibattimentale, insistendo in maniera particolare nella richiesta di confronto fra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. e chiedendo altresì, trattandosi di sopravvenienze: a) l'acquisizione dei verbali relativi alle dichiarazioni testimoniali rese dai predetti (Am. all'udienza 8.3.2022; Sa. all'udienza 18.3.2022) nel distinto procedimento rubricato al n. 1031/2020 pendente dinanzi al Tribunale di Vicenza in composizione collegiale a carico di So.Sa.; b) disporsi, sotto forma di perizia, l'estrazione dei dati contenuti nel server di SEC Servizi corrente in Padova, e ciò al fine di accertare la concreta attività svolta dall'ispettore Ge.Sa. nel corso dell'ispezione 2012 della Banca d'Italia, con particolare riguardo a quanto da lui visionato nei giorni dall'1 al 7 luglio 2012. 2.3. Appello proposto da Pi.An. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Pi.An.. 2.3.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 1 dell'impugnazione), l'appellante ha dedotto, richiamando alcuni arresti della giurisprudenza di legittimità, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p. dovuta alla totalmente omessa considerazione non soltanto di tutti i cospicui contributi orali e documentali forniti dalla difesa nel corso dell'intero dibattimento (inclusi i controesami difensivi - talora viceversa rivelatisi decisivi - dei testi a carico) ma altresì delle argomentazioni difensive esposte in una specifica ampia e dettagliata memoria depositata, nelle forme delle note d'udienza, in data 19 gennaio 2021. 2.3.2 Quindi, con il secondo motivo, l'appellante ha eccepito la violazione dell'art. 210 c.p.p. e dell'art. 192 comma 3 c.p.p., nonché una carenza assoluta di motivazione, in ordine alla valutazione - operata dal tribunale - di coerenza intrinseca ed estrinseca delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri., sulle quali si fonda - a suo avviso in via esclusiva - la ricostruzione dei fatti operata nella sentenza impugnata, e ciò benché la difesa avesse evidenziato, tanto in sede di discussione quanto nelle anzidette note d'udienza depositate il 19.1.2021, evidenti profili di inattendibilità e inutilizzabilità delle rispettive deposizioni. L'appellante ha evidenziato al riguardo i seguenti elementi: - i testi in questione sono soggetti che avevano contribuito in prima persona -loro sì materialmente - a quelle stesse condotte formanti l'oggetto della "prassi" contestata agli imputati, e in particolare al PI., nei capi d'imputazione, il che avrebbe quanto meno imposto un vaglio particolarmente stringente in ordine alla loro credibilità soggettiva e all'attendibilità di quanto da loro dichiarato; - oltre a ciò la pendenza del procedimento penale n. 2147/2019 RGNR (relativo alle asserite condotte di bancarotta connesse alla messa in L.C.A. di B. ha posto i predetti testi nella condizione di dover salvaguardare se stessi dal concreto rischio di essere incriminati in quel procedimento (nel cui ambito il Pubblico Ministero non aveva ancora cristallizzato l'imputazione né aveva ancora definito tutti i coindagati); - gli stessi testi, benché fossero stati sentiti a s.i.t. nel procedimento penale n. 2147/2019 RGNR proprio a ridosso della data del loro esame dibattimentale nel presente procedimento, in quest'ultimo hanno manifestato incertezze e lacune tali da rendere necessarie continue contestazioni, quando non addirittura letture diffuse - "in aiuto alla memoria" - dei verbali delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari quanto ai fatti che qui occupano (ciò varrebbe in particolare per i testi Ma.So. e Fi.Ro.); - più d'uno fra i suddetti testi si ritiene versi, in realtà, addirittura (come già eccepito in primo grado) in una condizione che ne avrebbe reso necessario l'esame nelle forme di cui all'art. 210 c.p.p. dal momento che a loro carico ricorrono obiettivi indizi di reità, quanto meno secondo i canoni del concorso di persone del reato, e ciò in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, prescindendo da indici formali quali l'avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, con la conseguente necessaria escussione non già come testimone bensì quale imputato di reato connesso ai sensi dell'art. 210 c.p.p.. Viceversa sul punto la sentenza impugnata non contiene considerazioni di sorta; - a ciò conseguirebbe la vera e propria inutilizzabilità delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri.; - ancor più peculiare sarebbe in realtà la posizione del teste Al.Ma. (sentito in qualità di testimone ex art. 194 c.p.p. all'udienza del 26.11.2020) posto che, successivamente al deposito della sentenza impugnata, è entrato nella disponibilità della difesa dell'imputato PI. (che lo ha allegato all'atto di appello e che ne ha chiesto - formulando istanza di rinnovazione probatoria ex art. 603 c.p.p. - l'acquisizione) un atto di esecuzione di perquisizione e sequestro a carico del Ma., eseguito per rogatoria dall'A.G, lussemburghese e datato 9.10.2020 (antecedente quindi all'esame dibattimentale del teste nel presente procedimento), dal quale si evincerebbe che anche il predetto Ma. - così come il teste pacificamente ex art. 210 c.p.p. Gi.St., avvalsosi in dibattimento della facoltà di non rispondere - all'epoca della sua deposizione già era iscritto (addirittura a far tempo dal 29 luglio 2020, in tesi difensiva) nel registro degli indagati del procedimento connesso n. 2147/2019 RGNR; - la vicenda relativa al teste Ma. viene indicata come di evidente gravità (la Procura della Repubblica vicentina non aveva, all'evidenza, mai reso noto che il teste, ben prima della sua ammissione ex art. 507 c.p.p., si trovasse già indagato in un procedimento fortemente connesso) ma l'unica sanzione di tale grave violazione delle garanzie difensive risiederebbe - in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità - nell'inutilizzabilità della relativa deposizione. 2.3.3 Quindi, con il terzo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 3 dell'impugnazione, a sua volta articolato in più sotto-paragrafi che vanno dal 3.1 al 3.10), l'appellante ha eccepito il malgoverno delle prove da parte dell'impugnata sentenza, la quale a suo avviso ha ricostruito i fatti in modo incompleto e unilaterale, omettendo di considerare prove decisive in favore dell'imputato. E' stata altresì eccepita la violazione degli artt. 43 e 110 c.p. per essere del tutto carente la motivazione in merito alla prova del concorso del PI. ex art. 110 c.p. nelle condotte contestate, come pure in merito alla prova del dolo che tali condotte dovrebbe sorreggere. Più in particolare l'appellante ha osservato quanto segue; - il ragionamento probatorio del tribunale muove da un'adesione tanto incondizionata quanto infondata dello stesso alla tesi accusatoria circa la strumentali delle condotte di aggiotaggio rispetto a quelle di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza; strumentalità da cui deriverebbe quale consequenziale conclusione il concorso ex art. 110 c.p. di tutti gli imputati aventi posto in essere singole operazioni correlate (e dunque singole condotte di manipolazione del mercato) in tutte le ipotesi di reato contestate nei numerosi capi d'imputazione, e ciò indipendentemente dall'acquisizione di qualsivoglia prova in ordine alla conoscenza, rappresentazione e volontà del fenomeno e della vicenda intesi nella loro complessità; trattasi però di motivazione basata, come tale, su meri sillogismi e asserite prove logiche aventi invece dignità di mera congettura. A ciò si aggiungono, in più passi della gravata sentenza, il vero e proprio travisamento delle prove e/o l'attribuzione di rilevanza a elementi che ne sono del tutto privi (come ad esempio l'assunto - in realtà nemmeno dimostrato - che il PI. fosse uno dei più stretti collaboratori del direttore generale Sa.So.); s per il PI. era impossibile avere conoscenza della "prassi" della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. dal momento che la Divisione Finanza da lui guidata non era, né poteva essere, destinataria dei relativi flussi informativi e ferma restando l'assoluta segretezza con cui la Divisione Mercati, la Divisione Crediti e il Comitato Soci gestivano il fenomeno in oggetto (da soli sotto il controllo del direttore generale Sa.So.); oltretutto la presenza del PI. presso la sede di Vicenza di B. si limitava a una cadenza settimanale (ogni martedi, giorno in cui - pressoché settimanalmente - si teneva il CdA); - in prime cure è stata attribuita una grande rilevanza al fatto che il PI. avesse partecipato al comitato di direzione dell'8.11.2011 ma in realtà il teste Ma.So., assai valorizzato al riguardo, nel deporre non ha riferito un suo ricordo bensì una interpretazione di un suo appunto senza riuscire a ben rammentare cosa fosse effettivamente successo nell'occasione; in altri termini dal materiale probatorio in atti non riesce ad evincersi se davvero i presenti avessero ivi toccato il tema delle operazioni di finanziamento correlate all'acquisto di azioni B., considerando anche la ben scarsa attendibilità complessiva del teste assistito Fr.To., che aveva deposto nella veste di imputato di reato connesso ex art. 210 c.p.p. e che, anteriormente alla sua iscrizione nel registro degli indagati, aveva reso dinanzi agli inquirenti dichiarazioni di tenore tutt'affatto differente; v la motivazione della sentenza impugnata è in ogni caso illogica laddove ha mandato assolto, viceversa, l'imputato Ma.Pe. -responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione - che pure aveva partecipato anch'egli a quello stesso Comitato di Direzione dell'8.11.2011 (assurto invece a "pietra miliare delta responsabilità addebitata al Dott. i Pi.": cfr. pag. 42 atto di appello), ritenendolo attendibile allorquando egli aveva sostenuto di non aver dato peso adeguato, in quell'occasione, agli interventi di Fr.To. e Um.Se. (rispettivamente facenti capo alle controllate Ca. e Ba.Nu.), che si erano riferiti - peraltro in maniera molto superficiale - alla possibile adozione di operazioni "baciate", posto che all'epoca egli nemmeno conosceva la parola "baciata". Non si comprende - prosegue la difesa - perché le analoghe dichiarazioni rese, su tale specifico punto, dal PI. non siano invece state valutate in senso a lui favorevole; - considerazioni analoghe valgono circa l'asserita rilevanza della partecipazione del PI. a ulteriori comitati e/o riunioni successivi all'8.11.2011, fermo restando che né l'appellante né alcun suo sottoposto constano aver preso mai parte alle riunioni della Divisione Mercati diretta da Em.Gi.; - vengono evidenziate le deposizioni rese dal teste Gi.Am., il quale ha espressamente escluso (dopo aver riferito di avere partecipato a 3-4 riunioni del Comitato di Direzione nel 2014) che nel corso di quegli incontri si fosse fatto riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto o sottoscrizione delle azioni B., e dal teste Ad.Ca., espressosi in senso analogo; - il lamentato malgoverno delle prove (e in particolare la totale pretermissione di elementi di prova favorevoli all'imputato PI., inclusi gli esiti del controesame del teste Tagliabue) avrebbe indotto il tribunale vicentino a ritenere - a torto - che il PI. abbia avuto un ruolo nel rilascio di lettere di impegno; quanto poi alla vicenda del teste Fa. l'appellante ha evidenziato come quest'ultimo avesse investito nell'acquisto di azioni B. non già capitale finanziato dalla stessa banca bensì capitale proprio; in ogni caso la lettera di impegno rilasciata al Fa., e a questi esibita in primo grado, risulta sottoscritta - su richiesta dello stesso Fa. - dal direttore generale So. proprio in quanto il PI. aveva rifiutato - come confermato sempre dal teste Fa. - ogni diretto coinvolgimento in un ambito chiaramente esulante dalle competenze della Direzione Finanze di sua pertinenza; infine la lettera rilasciata al Fa. non potrebbe nemmeno definirsi d'impegno, da essa derivando al più una mera disponibilità non vincolante; - quanto all'episodio della società di revisione K. va escluso - secondo la difesa - che il PI. abbia apostrofato l'avv. An.Pa., dell'uffici" legale, con l'icastica e colorita espressione da costei attribuitagli, dato che il parimenti presente dott. Ma.Pe. ha affermato, nel corso del suo esame dibattimentale, di non serbarne ricordo; - quanto alla vicenda delle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" la difesa ha evidenziato come la svolta istruttoria abbia fatto emergere, quale unico autore delle relative operazioni di finanziamento correlato, proprio il dott. Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese B. Fi., la cui deposizione testimoniale - perno della tesi accusatoria sul punto - deve quindi ritenersi inattendibile (se non inutilizzabile per i motivi già visti supra), oltre che basata su mere congetture e ricca di inesattezze e lacune; per giunta la deposizione dell'altro teste Gi.Gi. (appartenente alla Divisione Mercati), ritenuta in sentenza un riscontro a quella del teste Ra., secondo l'appellante è stata travisata giacché in realtà sarebbe, nel suo complesso, di tenore esattamente opposto (anche se il primo giudice ha omesso di considerarne la parte contenente elementi di discolpa per il PI.); lo stesso è a dirsi per la deposizione del teste Gi.Fe. della Co. (che, secondo la difesa, lungi dal riscontrare la deposizione del RA., l'avrebbe confutata). In ultima analisi la deposizione del teste Ra. deve ritenersi priva di riscontri, s quanto alla partecipazione del PI. al Comitato di Direzione del 10.11.2014, il relativo file audio non sarebbe acquisibile ex art. 234 c.p.p., e comunque andrebbe dichiarato inutilizzabile; sul punto l'appellante si è associato, come già in prime cure, alla relativa eccezione svolta dalla difesa del coimputato MA., svolgendo argomentazioni analoghe. Ad ogni modo, anche a voler ritenere acquisibile e/o utilizzabile quel file audio (e la relativa trascrizione), la sentenza ugualmente risulterebbe viziata da un'erronea valutazione degli interventi del PI. in quella sede, il cui tenore testuale (a ben guardare finanche contrario alle proposte fatte dal direttore generale So.) sarebbe stato travisato. Inoltre si è sottolineato (cfr. pag. 93 atto di appello) come il lamentato mancato espletamento di una perizia al riguardo impedisca oltretutto l'individuazione dei partecipanti al comitato e la corretta attribuzione dei singoli passaggi ai rispettivi loro autori. 2.3.4 Quindi, con il quarto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 4 dell'impugnazione), l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. giacché il fatto ritenuto in sentenza - con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B. - non risulta indicato in alcuno dei capi d'imputazione così come formulati dall'Accusa nei confronti dell'imputato PI., In alcun modo tali condotte, ritenute in sentenza commesse dal PI. nonché penalmente rilevanti, potrebbero rientrare nella contestatagli "prassi aziendale" avente ad oggetto "finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario. E d'altra parte, con ogni evidenza, l'investimento in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) non ha alcuna attinenza con l'erogazione del credito né alcuna connessione con le prassi decettive in seno a tale erogazione effettuate da altri. 2.3.5 Quindi, con il quinto motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi 5, 6, 7 e 8 dell'impugnazione), l'appellante ha contestato anche nel merito la fondatezza dell'accusa con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B.. Trattasi a suo dire di contegno non addebitabile al PI., pur non avendo questi mai negato di avere avuto un ruolo nella sottoscrizione dei fondi in questione. L'appellante ha evidenziato al riguardo quanto segue: s la unknown exposure non è sinonimo di decettività (in base alla deposizione del teste Da.Es., del Risk Management, il Comitato Finanza, a differenza di quanto ritenuto in sentenza, era correttamente informato di tutti i dati trasmessi dai fondi senza che alcun suo componente avesse mai lamentato profili di irregolarità); - il ricorso a fondi dedicati (che la gravata sentenza impropriamente definisce "gestione patrimoniale") era prassi diffusa tra gli istituti di credito, non solo italiani, come riferito anche dallo stesso teste Al.Ma., che pure per altri versi - ma non per questa parte della sua deposizione - risulta essere stato assai valorizzato, benché in realtà già indagato in procedimento connesso, dal giudice di prime cure; - le finalità per le quali tale investimento era stato autorizzato (vale a dire il reperimento di liquidità) erano state correttamente perseguite dal PI.; - irrilevante deve ritenersi, a fronte di altre emergenze istruttorie purtuttavia pretermesse dal tribunale, il da esso valorizzato doc. n. 350 delle produzioni del Pubblico Ministero (invero mai pervenuto nella sfera di conoscenza del PI.; né il suo invio aveva avuto alcun seguito); - la sentenza gravata ha travisato il contenuto delle deposizioni rese dai testi Fi.Ro., An.Su. (quest'ultimo peraltro connotato da evidenti profili di inattendibilità), Pi.Ra. e Al.Ma.; s più in generale (come dimostrato anche dalla vicenda dell'acceso confronto tra il teste avv. An.Su. e il teste Pa.Al., quest'ultimo responsabile della direzione Gl.Ma. all'interno della Divisione Finanza di B.; vicenda riferita nel suo esame dibattimentale dallo stesso teste Al.) si è evidenziata l'inattendibilità della ricostruzione della situazione offerta dagli esponenti di "Op." (testi Ma. e Su.), in quanto connotata da un chiaro tentativo di addossare agli esponenti di B., e segnatamente della sua Divisione Finanza, responsabilità eventualmente proprie del suddetto fondo; - peraltro - ha osservato l'appellante - l'attività istruttoria dibattimentale risulta essersi concentrata tutta su "Op." rimanendo carente sul conto di "At."; - la detenzione indiretta di azioni B. mediante i fondi "Op." e "At." in ogni caso non conduce alla prova del concorso del PI. nelle contestate condotte di aggiotaggio manipolativo sicché la sentenza presenta un vizio di motivazione sul punto, ferma restando in proposito la totale inattendibilità del teste Fi.Ro. (reso destinatario di corpose e continue contestazioni operate in dibattimento dal P.M., il Ro. era stato, fra l'altro, platealmente smentito dal teste Ti.Ch. - esponente del broker Ma.Sp. - circa la da lui asserita conoscenza tra questi e il PI., negata dal Ch.); - la condotta ascritta al PI. in relazione ai fondi "Op." e "At." neppure potrebbe condurre alla prova di un concorso dell'appellante nelle contestate condotte di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza, sicché la sentenza risulta erroneamente motivata sul punto con violazione degli artt. 43 e 110 c.p., tanto più che, con il mutare della normativa di settore a seguito dell'introduzione del CRR (Capital Requirements Regulation), Regolamento UE n. 575/2013, le strutture incaricate della tenuta delle comunicazioni avevano tempestivamente adottato le richieste da indirizzare ai fondi, come chiaramente illustrato dal teste Lu.Tr.; - la motivazione della sentenza è illogica nella parte in cui, con riferimento alla posizione personale di altro imputato e segnatamente di Pe.Ma., ha ritenuto sufficiente ad escluderne la responsabilità -mandandolo così assolto - il fatto che avesse formulato una richiesta di informazioni circa i sottostanti ai fondi de quibus. Il PI. infatti, dal canto suo, non solo non aveva avuto conoscenza dell'investimento operato dai fondi stessi in azioni B. ma neppure aveva inteso in alcun modo ostacolare la conoscenza dei sottostanti dei fondi medesimi da parte delle altre funzioni dell'istituto di credito, in particolare da parte delle funzioni di controllo; di fatto, anzi, il PI. aveva delegato i rapporti con i fondi ad altre strutture di B. diverse dalla Divisione Finanza, senza mai avere anche solo azzardato la minima ingerenza nelle loro funzioni; - l'assunto del primo giudice secondo cui anche la fase di dismissione delle azioni B. da parte di "Op." sarebbe stata eterodiretta dal PI. in veste di "regista" non risponde al vero e risulta anzi smentito - sempre secondo l'appellante - dalla deposizione del teste Ti.Ch., esponente del broker Ma.Sp., che evidenzierebbe altresì l'assoluta inattendibilità sul punto del teste Ro.Ri. (appartenente alla rete commerciale e per parte sua artefice di numerosissime operazioni correlate); il Ri. era infatti giunto ad affermare che il PI. lo aveva messo in contatto con il Ch. il quale invece come già detto sopra, negava di conoscere l'imputato. 2.3.6 Quindi, con il sesto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 9 dell'impugnazione), l'appellante ha argomentato in ordine alla dedotta insussistenza di un concorso ex art. 110 c.p., del PI. nella asserita Op." posta alla base di tutti i capi di imputazione, della quale viceversa egli non era consapevole né tantomeno ad essa aveva aderito. Né certo un siffatto apporto concorsuale poteva desumersi dall'assunto che, in quanto vicedirettore generale in B., egli fosse necessariamente vincolato alle scelte del direttore generale Sa.So.. In realtà, essendo concepita l'imputazione come una contestazione complessiva di tutte le condotte in essa descritte nei confronti di tutti gli imputati, ipotizzandosi ivi un concorso di reati riuniti sotto la disciplina della continuazione, la gravata sentenza, ad avviso dell'appellante, non ha assolto al suo onere che era quello di dimostrare - sulla base però di elementi di prova certi e non di mere congetture - che l'imputato: a) fosse consapevole delle condotte poste in essere da tutti o parte degli altri pretesi concorrenti; b) avesse agito con la volontà di portare a compimento il reato. Non è in altri termini condivisibile, per la difesa, l'argomentare di una sentenza la quale, di fatto, finisce con il ricondurre vicende di enorme complessità, articolatesi nel corso di un non trascurabile lasso temporale -nonché coinvolgenti decisioni, valutazioni e specifiche azioni di controllo ascrivibili a una pluralità estremamente variegata di soggett