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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 6292 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Ga. Vi., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Al. Tu. in Roma, via (...); contro Federazione Italiana Gi. Ca. - F.I., in persona del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Le. Ma. e Lu. Me., con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via (...); Comitato Olimpico Nazionale Italiano - C.O.N.I., in persona del presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. An., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - sede di Roma (sezione prima) n. -OMISSIS- Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Federazione Italiana Gi. Ca. - F.I.; Visto l'appello incidentale del Comitato Olimpico Nazionale Italiano - C.O.N.I.; Viste le memorie e tutti gli atti della causa; Relatore all'udienza ex art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm. del giorno 20 settembre 2022 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Vi., Bo., Me. e Ni., in dichiarata delega dell'avvocato An.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con distinti ricorsi entrambi proposti al Tribunale amministrativo per il Lazio - sede di Roma, il signor -OMISSIS-, già -OMISSIS- - F.I. impugnava: - (ricorso iscritto al n. di r.g. -OMISSIS-) dapprima la sanzione dell'inibizione per cinque anni da ogni carica federale, comminatagli dagli organi della giustizia sportiva (decisioni della Commissione di appello federale del 14 luglio 2006 e della Corte federale del 4 agosto 2006, e lodo della Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport presso il CONI in data 12 aprile 2007), a conclusione del processo a suo carico per illecito sportivo rientrante nel noto filone denominato "calciopoli", in conseguenza della quale veniva ulteriormente proposto per la radiazione (recte: preclusione in qualsiasi rango o categoria della Federazione); - (ricorso iscritto al n. di r.g. -OMISSIS-) chiedeva quindi il risarcimento dei danni subiti per effetto dei provvedimenti sanzionatori adottati nei suoi confronti, compresa la radiazione successivamente inflittagli dagli organi giurisdizionali competenti secondo il nuovo codice di giustizia sportiva (decisioni della Commissione nazionale disciplinare del 9 giugno 2011, della Corte di giustizia federale del 15 luglio 2011 e dell'Alta Corte di giustizia sportiva presso il CONI dell'11 maggio 2012), previa disapplicazione di questi e della disciplina transitoria emanata dalla FI. in conseguenza dell'entrata in vigore del nuovo codice (comunicato del consiglio federale n. 143/A del 3 marzo 2011, intitolato approvazione norme regolamentari), con cui era stabilito che la competenza ad applicare la sanzione accessoria alle condanne disciplinari già inflitte sulla base delle "sentenze rese" al momento dell'entrata in vigore del codice fosse degli organi di giustizia sportiva, anziché del presidente federale. 2. Riuniti i ricorsi per connessione, con la sentenza indicata in epigrafe l'adito Tribunale amministrativo regionale per il Lazio: - dichiarava il difetto assoluto di giurisdizione sulla domanda di annullamento della condanna disciplinare, in ragione della riserva di giurisdizione a favore degli organi di giustizia sportiva sui provvedimenti disciplinari nei confronti degli iscritti alle federazioni sportive; - respingeva la domanda risarcitoria, sulla base del presupposto accertamento della legittimità della disciplina transitoria sopra richiamata, e dell'avvenuto consolidamento delle decisioni rese nei suoi confronti dagli organi di giustizia sportiva, in ragione del maturare della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni da esse asseritamente derivati. 3. Con il presente appello il -OMISSIS- ha riproposto la domanda risarcitoria formulata nel ricorso iscritto in primo grado al n. di r.g. -OMISSIS-. 4. Si sono costituiti in resistenza all'appello la FI. e il CONI. Con appello incidentale subordinato quest'ultimo ha inoltre impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui non ha escluso la propria legittimazione passiva nella presente controversia. DIRITTO 1. L'appello censura - con i motivi primo, terzo e quarto - la sentenza di primo grado nella parte in cui ha giudicato legittima la disciplina transitoria emanata in relazione all'entrata in vigore del nuovo codice di giustizia sportiva, con il sopra citato al comunicato del consiglio federale n. 143/A del 3 marzo 2011. All'assunto posto a base della sentenza, secondo cui la disciplina in questione si sarebbe limitata a ridefinire la competenza per la sanzione accessoria della preclusione, "spostandola dal Presidente federale, che prima ne era titolare, a determinati organi di giustizia sportiva", senza introdurre nuove ipotesi di illecito, l'appello ripropone la tesi della sua natura sostanziale. Dal descritto inquadramento sarebbe conseguita la violazione: del principio di imparzialità sancito dall'art. 23 dello statuto del CONI, a causa del fatto che la radiazione non è stata comminata in casi analoghi di condanne per illeciti sportivi; dell'art. 238-bis cod. proc. pen., per l'automatismo sanzionatorio che connota il secondo procedimento disciplinare, finalizzato alla radiazione, dopo quello di accertamento dell'illecito sportivo all'esito del quale il ricorrente ha riportato la condanna a cinque anni di inibizione; del divieto di bis in idem, in ragione dei procedimenti sanzionatori in successione cui il ricorrente è stato sottoposto, il secondo dei quali non svoltosi a cognizione piena e con le correlative garanzie a difesa dell'incolpato, ma limitato ad una "mera presa d'atto del contenuto delle sentenze rese". Non sarebbe inoltre contestabile la duplicazione sanzionatoria, nella misura in cui essa ha tratto fondamento da un unico "fatto storico", con identità di valutazione nei due distinti procedimenti, la seconda delle quali destinata "a formarsi sulla base delle "sentenze rese"", rispetto al previgente ordinamento di giustizia sportiva, nel quale la sanzione accessoria era rimessa ad "una valutazione ed una decisione politica e discrezionale" del presidente federale. 2. Le censure così sintetizzate sono infondate. 3. Come sul punto ha correttamente statuito la sentenza di primo grado, la disciplina transitoria censurata si è limitata a definire la situazione di "quanti, come l'attuale ricorrente, erano stati destinatari di una sanzione principale ed oggetto di proposta per l'irrogazione di quella accessoria della radiazione dalla Federazione, senza che su tale proposta fosse già intervenuta una decisione". La disciplina transitoria è quindi intervenuta ad estendere alle condanne disciplinari già pronunciate il principio di "separatezza delle funzioni" di direzione e gestione della federazione da quelle di carattere giustiziale nei confronti dei tesserati introdotto con il nuovo codice di giustizia sportiva, entrato in vigore il 1° luglio 2007, con la devoluzione agli organi di giustizia sportiva della competenza a pronunciarsi sulla radiazione permanente, che nell'assetto ordinamentale precedente faceva invece capo al vertice federale. Deve pertanto essere confermata la qualificazione data dalla sentenza di primo grado al comunicato del consiglio federale n. 143/A del 3 marzo 2011, di atto recante una disciplina "meramente procedimentale" e non sostanziale. 4. La sentenza di primo grado è immune dalle censure contenute nell'appello anche nella parte in cui ha escluso che dall'assoggettamento del procedimento a carico del ricorrente alla medesima normativa transitoria sia derivato a danno di costui un automatismo sanzionatorio e sia stato inoltre violato il ne bis in idem. Con riguardo al primo profilo è infatti corretto il rilievo per cui l'accertamento definitivo della commissione dell'illecito sportivo e la conseguente definitività della sanzione disciplinare principale (inibizione da ogni carica federale per cinque anni) non esclude che gli organi di giustizia sportiva debbano a loro volta "compiere una propria autonoma ed ulteriore valutazione discrezionale" della gravità dei fatti ormai incontroversi "sulla base delle sentenze rese", ai fini della sanzione accessoria della radiazione permanente (o preclusione), nell'ambito di un procedimento ulteriore rispetto a quello già concluso in cui è assicurato il diritto al contraddittorio con l'incolpato ("garantendo il rispetto dei termini e delle procedure previste dall'art. 30, commi 8 e 9, del codice di giustizia sportiva": così il comunicato del consiglio federale n. 143/A del 3 marzo 2011). In relazione al secondo profilo, il bis in idem è stato condivisibilmente escluso in ragione del carattere discrezionale del giudizio finalizzato all'eventuale applicazione della sanzione accessoria, implicante la "valorizzazione di ulteriori elementi, quali la gravità dei fatti ascritti, che hanno determinato l'inflizione della sanzione principale", e dunque senza alcuna automatica duplicazione sanzionatoria. 5. Sulla base di quanto finora rilevato non è inoltre configurabile alcuna disparità di trattamento con altri casi di illeciti sportivi in tesi - solo genericamente affermata - analoghi a quello oggetto del presente giudizio, mentre per quanto concerne le garanzie difensive derivanti dalla nuova disciplina, estesa in via transitoria alle condanne disciplinari già inflitte, è altrettanto evidente che con la devoluzione della competenza a pronunciarsi sulla sanzione accessoria agli organi di giustizia sportiva la posizione dell'incolpato risulta maggiormente rafforzata rispetto ad un previgente sistema, in cui la decisione era invece rimessa al presidente federale. Come esposto in precedenza, l'appello suppone sul punto che mentre quest'ultimo disponeva di un margine di apprezzamento discrezionale sulla base dell'accertamento dell'illecito e dell'applicazione della sanzione principale, non altrettanto avverrebbe con la devoluzione della competenza agli organi di giustizia sportiva. L'asserzione è tuttavia apodittica, laddove è invece evidente che al mutamento di competenza in favore di organi di carattere giustiziale corrisponde un conseguente incremento delle garanzie difensive anche sotto il profilo dell'autonomia di giudizio dei medesimi organi. 6. Con un'ulteriore censura (secondo motivo) l'appello ribadisce che la pretesa punitiva della federazione si era prescritta, ai sensi dell'art. 18, commi 1 e 3, del codice di giustizia sportiva vigente al tempo dei fatti, quando è stata pronunciata la preclusione nei confronti del ricorrente, e cioè oltre la sesta stagione successiva alla commissione dell'ultimo atto diretto a commettere l'illecito, in presenza di un valido atto interruttivo (quattro anni aumentati della metà ). La sentenza di primo grado avrebbe errato sul punto nel non ritenere applicabile al caso di specie il termine di prescrizione in questione, sulla base dell'erroneo assunto che l'illecito era già stato definitivamente accertato e che il secondo procedimento era finalizzato all'applicazione di una sanzione accessoria, avente come presupposto l'accertamento in questione. Del pari la sentenza sarebbe incorsa in errore nell'escludere che il secondo procedimento abbia in ogni caso ecceduto i limiti di una ragionevole durata, sul rilievo che la radiazione è stata "comunque emessa nel periodo di efficacia dell'interdizione di cinque anni da qualsiasi attività in Federazione" (avente scadenza nel luglio 2011). Si sottolinea a quest'ultimo riguardo che il potere sanzionatorio potrebbe in sostanza essere illegittimamente dilatato sine die, in contrasto con i principi generali valevoli in materia. 7. Il motivo è infondato nel duplice profilo in cui si articola. 8. La sentenza di primo grado ha innanzitutto correttamente preso atto, per un verso, che per l'applicazione della sanzione accessoria della radiazione, secondo la competenza ex novo introdotta con il codice di giustizia sportiva entrato in vigore il 1° luglio 2007, non è previsto alcun termine di prescrizione. E per altro verso che quello di cui all'art. 18 del codice invocato dal ricorrente è riferito al procedimento sanzionatorio finalizzato all'accertamento dell'illecito, in coerenza con le finalità dell'istituto della prescrizione in materia penale o punitiva in generale, di estinguere la potestà sanzionatoria per fatti risalenti nel tempo onde non tenervi soggetto per un periodo intollerabilmente prolungato l'incolpato. A quest'ultimo riguardo, il tempo impiegato dagli organi di giustizia sportiva per applicare al ricorrente la preclusione non può nemmeno essere considerato irragionevole, dal momento che la dilatazione dei tempi rispetto al procedimento disciplinare concluso con la condanna all'inibizione da ogni carica federale per cinque anni è stata dovuta all'obiettiva necessità di definire le questioni connesse con l'entrata in vigore del nuovo codice di giustizia sportiva attraverso la disciplina transitoria di cui al più volte richiamato il comunicato del consiglio federale n. 143/A del 3 marzo 2011, la quale ha richiesto l'acquisizione dei relativi pareri da parte degli organi consultivi della federazione. 9. A fondamento della domanda risarcitoria l'appello ribadisce inoltre (quinto motivo) l'illegittimità della sanzione dell'inibizione quinquennale sotto il profilo della sproporzione, non esaminata in primo grado a causa dell'erronea applicazione sia della prescrizione quinquennale della domanda risarcitoria proposta nel 2012, con il secondo ricorso in sede giurisdizionale, rispetto a decisione rese dagli organi di giustizia sportiva nel 2006, sia del termine decadenziale ex art. 30, comma 5, cod. proc. amm. di 120 giorni. Con riguardo al merito della condanna disciplinare, si sottolinea che la motivazione a supporto della misura dell'inibizione è carente e non conforme al principio del gradualismo sanzionatorio, in rapporto all'effettiva gravità degli illeciti accertati nei confronti del ricorrente, ulteriormente aggravata con la sanzione accessoria della preclusione sulla base di una proposta in questo senso formulata nel giudizio di secondo grado davanti alla Corte federale, in violazione del divieto di reformatio in peius. 10. Le censure sono infondate, malgrado l'erronea applicazione in via cumulativa della prescrizione e della decadenza, la quale tuttavia non incide sulla correttezza della decisione ma sulla sola motivazione. Più nello specifico, esse colgono un errore laddove la sentenza ha applicato la decadenza ai sensi del sopra citato art. 30, comma 5, cod. proc. amm. e la prescrizione quinquennale (ex art. 2947, comma 1, cod. civ.) rispetto ad una domanda risarcitoria tempestivamente proposta in sede giurisdizionale amministrativa una volta esauriti i rimedi giustiziali previsti dall'ordinamento sportivo contro la sanzione della radiazione, da cui è sorto l'interesse risarcitorio, in conformità a quanto previsto dall'art. 3 del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220 (recante Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva; convertito dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280). 11. La domanda risarcitoria è nondimeno infondata nella misura in cui essa tende a rimettere in discussione decisioni ormai definitive dagli organi di giustizia sportiva. Occorre al riguardo muovere dal "principio di autonomia", regolatore ai sensi dell'art. 1, comma 2, del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, ora richiamato, i rapporti tra l'ordinamento sportivo e quello statale "sono regolati in base al principio di autonomia". La definizione dei rapporti tra i due ordinamenti secondo il principio di autonomia implica il riconoscimento dei reciproci valori giuridici e quindi degli atti rispettivamente adottati all'interno di ciascuno di essi, in conformità alle norme ivi vigenti. Nell'ambito della descritta dialettica, l'incontrovertibilità dell'accertamento di un illecito sportivo e la correlata definitività delle sanzioni per esso applicate dai competenti organi di giustizia sportiva, in base ad una competenza loro riservata in senso assoluto ai sensi dell'art. 2, commi 1, lett. b), e 2, del medesimo decreto-legge, comporta che queste ultime non possono essere considerate illegittime nell'ordinamento statale, e nello specifico nella presente sede giurisdizionale amministrativa. 12. Quanto ora precisato vale anche ai fini di un accertamento di tipo incidentale sui provvedimenti sanzionatori sportivi ai fini del riconoscimento del diritto al risarcimento del danno, come richiesto nel presente giudizio dal ricorrente. La legittimità ormai definitivamente accertata della sanzione dell'inibizione quinquennale, sulla cui base è stata successivamente comminata a quest'ultimo l'ulteriore sanzione della preclusione permanente, a sua volta confermata in tutti i gradi di giudizio previsti dall'ordinamento sportivo, impedisce di configurare l'elemento strutturale dell'illecito civile costituito dall'ingiustizia del danno, consistente nella lesione arrecata ad un interesse giuridicamente (contra ius) rilevante al di fuori di una causa di giustificazione (non iure). I pretesi danni subiti dal ricorrente per effetto delle sanzioni comminategli non possono infatti ritenersi ingiusti, e come tali meritevoli di ristoro economico per equivalente monetario, nemmeno all'esito di un accertamento incidentale di illegittimità delle stesse. Nel sovrapporsi comunque al giudizio disciplinare svoltosi presso i competenti si porrebbe comunque in contraddizione con la loro acquisita definitività, e nella misura in cui la competente federazione sportiva o il CONI fossero dichiarati tenuti al risarcimento dei danni quest'ultima si creerebbe un conflitto tra l'ordinamento sportivo e quello della Repubblica, che implicherebbe il disconoscimento da parte di quest'ultima delle decisioni autonomamente dai competenti organi del primo. 13. Pertanto, nell'ambito dell'astratta ammissibilità della tutela risarcitoria davanti agli organi della giurisdizione statale, secondo l'interpretazione ormai consolidata del già richiamato art. 3 del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220 (in questo senso, per tutte: Cass., SS.UU. civili, ord. 28 dicembre 2020, n. 29654), la stessa non nello specifico caso oggetto del presente giudizio essere riconosciuta (all'opposto di quanto avviene pacificamente nel caso in cui la domanda risarcitoria abbia quale proprio presupposto decisioni di carattere disciplinare accertate come illegittime, come nel caso di recente esaminato da questa sezione, nella sentenza 9 luglio 2019, n. 4790). 14. L'appello principale deve pertanto essere respinto, dacché va conseguentemente dichiarato improcedibile l'appello incidentale del CONI. Per l'effetto la sentenza di primo grado deve essere confermata, ma per la natura delle questioni controverse le spese di causa possono essere compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, respinge il principale e dichiara improcedibile l'incidentale; per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'appellante. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 20 settembre 2022, tenuta da remoto ai sensi dell'art. 17, comma 6, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF, Estensore Stefano Fantini - Consigliere Elena Quadri - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere Annamaria Fasano - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima Stralcio ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 11301 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Pe., Gi. Pe., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Gi. Pe. in Roma, corso (...); contro Federazione Italiana Giuoco Calcio - Figc, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Le. Ma. e Lu. Me., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Lu. Me. in Roma, via (...); Associazione Italiana Arbitri - Aia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Ga. e Lu. Me., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Lu. Me. in Roma, via (...); Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, non costituita in giudizio; per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia, della decisione del Comitato Nazionale dell'Associazione Italiana Arbitri (AIA), appartenente alla Federazione Italiana Giuoco calcio (F.I.G.C.) del 4 luglio 2008, per come confermata con il lodo della Camera di conciliazione ed arbitrato per lo sport trasmesso con nota 12 novembre 2008 unitamente alla relativa delibera di approvazione del lodo medesimo (atti tutti pure impugnati), e di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale; con motivi aggiunti depositati il 30 aprile 2009 per l'annullamento del deliberato del Comitato Nazionale della Associazione Italiana Arbitri (AIA, appartenente alla Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), del 18 febbraio u.s. di cui al verbale trasmesso al deducente in data 5.3.09, avente ad oggetto "Adempimenti CAN A-B: delibere conseguenti all'ordinanza del TAR Lazio del 18.12.2008" con la quale il Comitato Nazionale ha approvato la proposta dell'organo tecnico di confermare l'avvicendamento del -OMISSIS- disposto con provvedimento sospeso da codesto ecc.mo TAR (con ordinanza confermata dal Consiglio di Stato); con motivi aggiunti depositati il 30 luglio 2009 per l'annullamento degli atti impugnati con il ricorso principale e, ove occorra, del lodo del TNAS prot. n. 1327 del 14 luglio 2009. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Federazione Italiana Giuoco Calcio e dell'Associazione Italiana Arbitri; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza di smaltimento dell'arretrato del giorno 10 dicembre 2021 la dott.ssa Francesca Petrucciani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso in epigrafe -OMISSIS- -OMISSIS- ha impugnato la decisione del Comitato Nazionale dell'Associazione Italiana Arbitri (AIA) del 4 luglio 2008, confermata con il lodo della Camera di conciliazione ed arbitrato per lo sport trasmesso con nota 12 novembre 2008. Il ricorrente, Arbitro Effettivo (A.E.) internazionale, ha esposto di essere stato coinvolto nel primo procedimento "Calciopoli", nell'ambito del quale gli era stata irrogata una sospensione di 8 mesi dalla Commissione Nazionale di Disciplina dell'AIA con delibera C.N.D. AIA n. 6 del 4.9.2006. Il ricorrente aveva adito la Corte Federale per impugnare la sanzione e la Corte aveva accolto il ricorso, annullando la sanzione inflitta dall'AIA. Dopo essere rientrato ad arbitrare, il ricorrente veniva nuovamente coinvolto nelle indagini avviate dalla Procura della Repubblica di Napoli sulle cd. "schede svizzere", scontando nuovamente un periodo di sospensione. Tuttavia, quando avrebbe dovuto rientrare in attività, in prossimità dell'inizio della stagione 2008-2009, l'AIA aveva modificato l'art. 20 delle Norme di funzionamento degli organi tecnici, rubricato "Avvicendamento degli arbitri dagli organi tecnici nazionali", che in precedenza disponeva che "La permanenza nel ruolo CAN, senza aver conseguito la qualifica di internazionale, non può essere di norma superiore a 10 stagioni sportive a partire dalla data in cui l'arbitro è stato proposto". La nuova norma prevedeva, invece, che: "La permanenza nel ruolo CAN, per gli Arbitri Effettivi non in possesso della qualifica di internazionale al termine della stagione sportiva non può essere superiore a 10 stagioni sportive a partire dalla data in cui l'arbitro è stato proposto, salvo deroga richiesta dall'O. T. al Comitato Nazionale per particolari casi di eccellente rendimento nell'ultima stagione sportiva". Di conseguenza la sospensione subita nell'ultima stagione sulla base della nuova norma comportava per il ricorrente l'estromissione dai ruoli CAN. L'AIA aveva quindi emesso il provvedimento espulsivo del deducente dal ruolo CAN, in difetto però di proposta e valutazione da parte dell'organo tecnico, come richiesto dalla disciplina federale. Il -OMISSIS- aveva adito la Camera arbitrale, che aveva respinto il ricorso. A sostegno del ricorso sono state formulate le seguenti censure: 1.Violazione art. 7 Norme Funzionamento Organi Tecnici AIA e art. 11, 6° comma lett. a Regolamento AIA. Violazione art. 47, 1° comma, Regolamento AIA. Carenza del presupposto. Eccesso di potere sotto molteplici profili. La dismissione del ricorrente difettava del tutto del presupposto richiesto dall'art. 7 norme di funzionamento secondo cui il Comitato Nazionale provvede alla promozione o avvicendamento degli arbitri solo su proposta del competente Organo Tecnico e quindi, nella fattispecie, della Commissione Arbitri Nazionale (CAN). La determinazione non poteva trovare giustificazione nella norma di cui all'art. 47 comma 1 Reg. AIA richiamata dalla camera arbitrale, poiché anche tale norma impone che la dimissione degli arbitri che hanno superato il 28° anno di età debba comunque avvenire "su proposta dell'organo tecnico". 2. Eccesso di potere. In modo irrituale si era intervenuti sugli organici che, per norma regolamentare, venivano definiti entro il 31 marzo. Seppure vi era stata una sospensione dell'attività, la stessa non poteva certo essere addotta quale causa di dismissione tecnica, potendo a tal fine rilevare solo si fosse accertato che l'inattività avesse minato l'idoneità certo non soltanto fisica anche attitudinale, da sperimentarsi però con apposite prove in campo e fuori. Si sono costituite la FIGC e l'AIA eccependo il difetto assoluto di giurisdizione sulla controversia e chiedendo, nel merito, il rigetto del ricorso. Con ordinanza del 19 dicembre 2008 questa Sezione ha accolto l'istanza cautelare, rilevando che, pur riservato alla cognizione di merito l'approfondimento sull'eccezione di difetto di giurisdizione, ai fini dell'avvicendamento dell'arbitro era necessaria, sia ai sensi dell'art. 7 delle Norme di funzionamento degli organi tecnici dell'A.I.A., che ai sensi dell'art. 47 del Regolamento A.I.A., una proposta del competente organo tecnico, nella specie assente. La decisione cautelare è stata confermata dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 559/09. Con motivi aggiunti depositati il 30 aprile 2009 il ricorrente ha impugnato il deliberato del Comitato Nazionale della Associazione Italiana Arbitri (AIA) del 18 febbraio 2009, avente ad oggetto "Adempimenti CAN A-B: delibere conseguenti all'ordinanza del TAR Lazio del 18.12.2008", con il quale il Comitato Nazionale ha approvato la proposta dell'organo tecnico di confermare l'avvicendamento del -OMISSIS- disposto con provvedimento sospeso dal TAR, con ordinanza confermata dal Consiglio di Stato. Avverso tale atto il ricorrente ha attivato sia la procedura innanzi al TNAS (che ha sostituito con le medesime funzioni la Camera di Conciliazione e di Arbitrato), che il giudizio innanzi a questo T.a.r., al fine di non incorrere in alcuna ipotesi di decadenza. A seguito della decisione cautelare del T.a.r. l'organo tecnico aveva confermato l'avvicendamento sempre sulla base dell'unico presupposto che il -OMISSIS- era rimasto "inattivo nella stagione" precedente, ritenendo "irrilevanti le prestazioni tecniche.... rese nelle stagioni sportive precedenti". Il Comitato nazionale con la deliberazione impugnata aveva approvato la relazione così formulata dall'organo tecnico confermando la dismissione dell'istante. A sostegno dei motivi aggiunti sono state proposte le seguenti ulteriori censure: 1.Violazione dell'ordine cautelare. Eccesso di potere. Violazione norme di funzionamento degli organi tecnici dell'AIA. Violazione regolamento AIA. Erroneamente l'organo tecnico (CAN A-B) aveva ritenuto di doversi limitare a confermare quanto dallo stesso proposto in occasione delle precedenti determinazioni censurate dal giudice amministrativo, non avendo espresso alcuna precedente valutazione. In ogni caso la proposta di dismissione era violativa delle norme richiamate e dell'effetto conformativo alla disposta ordinanza cautelare. Con ordinanza del 6 agosto 2009 la Sezione ha accolto l'istanza cautelare riproposta con i motivi aggiunti. Con un secondo atto di motivi aggiunti depositato il 30 luglio 2009, affidato alle medesime censure, il ricorrente ha chiesto l'annullamento degli atti impugnati con il ricorso principale e, ove occorrente, del lodo del TNAS prot. n. 1327 del 14 luglio 2009 che ha dichiarato la propria incompetenza a decidere sulla controversia. All'udienza di smaltimento dell'arretrato del 10 dicembre 2021 il ricorso è stato trattenuto in decisione. DIRITTO Deve preliminarmente rilevarsi l'improcedibilità del ricorso principale, giacché la determinazione impugnata è stata superata da quella gravata con i successivi motivi aggiunti. Con riferimento a questi ultimi deve essere esaminata la questione della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo sulla presente controversia. Il provvedimento ha disposto l'estromissione del ricorrente dal ruolo arbitrale, per effetto dell'avvicendamento correlato alla riduzione dell'organico: nella proposta riformulata in ottemperanza all'ordinanza di questo Tribunale, che aveva rilevato l'assenza del parere della Commissione Arbitrale, quest'ultima ha evidenziato che la riduzione di organico è stata ritenuta soluzione utile per l'avvicendamento non soltanto di quegli arbitri valutati meno meritevoli sulla base dei giudizi espressi sulle prestazioni dai medesimi rese nella precedente stagione, ma anche degli arbitri rimasti inattivi nella stagione 2007/2008 e in parte di quella precedente; ha quindi proposto al Comitato Nazionale la dismissione del ricorrente, reputando che la protratta assenza dello stesso dei campi di gioco per la direzione di gare ufficiali, avuto riguardo alle esigenze organizzative riportate nella relazione di fine stagione, inducesse comunque a preferire la dismissione di arbitri quali il ricorrente, rimasti inattivi, rispetto ad altri che avevano arbitrato senza soluzioni di continuità nelle trascorse stagioni. L'esame di tale atto induce a ritenere insussistente la giurisdizione del giudice statale sulla presente controversia. Il d.l. n. 220/2003, conv. in l. n. 280/2003, stabilisce, all'art. 1, che i rapporti tra l'ordinamento sportivo e quello statale sono regolati in base al principio di autonomia, "salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo" (art. 1, primo comma). Il successivo art. 2, in applicazione di tale principio, riserva all'ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive. L'art. 3, infine, occupandosi specificamente della giurisdizione prevede che, "esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui all'articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei contratti di cui all'articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91". Come è stato chiarito dalla sentenza della Corte Costituzionale 11 febbraio 2011, n. 49, gli articoli riportati prevedono tre forme di tutela: una limitata ai rapporti di carattere patrimoniale tra le società sportive, le associazioni sportive, gli atleti (e i tesserati), demandata alla cognizione del giudice ordinario; una relativa ad alcune delle questioni aventi ad oggetto le materie di cui all'art. 2, non apprestata da organi dello Stato ma da organismi interni all'ordinamento stesso in cui le norme in questione sono state poste, secondo uno schema proprio della cosiddetta "giustizia associativa"; una terza, tendenzialmente residuale e devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, relativa a tutto ciò che per un verso non concerne i rapporti patrimoniali fra le società, le associazioni sportive, gli atleti (e i tesserati) - demandati al giudice ordinario -, per altro verso non rientra tra le materie che, ai sensi dell'art. 2, d.l. n. 220 del 2003, sono riservate all'esclusiva cognizione degli organi della giustizia sportiva. Da tale ripartizione si evince che la giustizia sportiva costituisce lo strumento di tutela per le ipotesi in cui si discute dell'applicazione delle regole sportive, mentre quella statale è chiamata a risolvere le controversie che presentano una rilevanza per l'ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi (Cons. St., sez. VI, 9 luglio 2004 n. 5025). Come già chiarito dalla giurisprudenza in materia, in tale sistema i provvedimenti che riguardano l'inserimento nel ruolo degli arbitri, in dipendenza di un giudizio tecnico e senza perdita dello status di tesserato, rientrano nelle questioni interne alla giustizia sportiva, soggette agli strumenti di tutela propri del relativo ordinamento (T.A.R. Lazio, sez. III quater, sent. n. 8607/2014; Cons. St., sez. VI, 17 aprile 2009, n. 2333; Tar Lazio, sez. III ter, 5 novembre 2007, n. 10911). Ciò in quanto tali provvedimenti sono basati su un giudizio relativo alle qualità tecniche, privo di rilevanza esterna all'ordinamento sportivo, non avendo alcun riflesso, né diretto né indiretto, nell'ordinamento statale il giudizio di scarsa capacità tecnica reso nei confronti dell'arbitro (T.A.R. Lazio, sez. I ter, sentenza n. 10308/2016). La determinazione impugnata, inoltre, non incide neanche sullo status di tesserato, permanendo in capo al ricorrente il rapporto associativo con la FIGC. Sempre per completezza deve anche evidenziarsi che il rapporto che lega l'arbitro alla Federazione non è qualificabile, in alcun modo, come rapporto di lavoro, difettandone i requisiti essenziali, in termini di continuatività, subordinazione e prevalenza dell'attività svolta, ed essendo l'arbitro remunerato con un compenso qualificato in termini di mera indennità . In conclusione i motivi aggiunti devono deve essere dichiarati inammissibili. La peculiarità della questione controversa giustifica comunque la compensazione delle spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima Stralcio, definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti: - dichiara improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso principale; - dichiara inammissibili i motivi aggiunti; - compensa le spese di giudizio tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2021 con l'intervento dei magistrati: Antonella Mangia - Presidente Francesca Petrucciani - Consigliere, Estensore Raffaello Scarpato, Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CO RTF D'APPELLO DI ROMA SEZIONE PRIMA Riunita in Camera di Consiglio e composto da: Dott. Roberto Reali Presidente Dott. Lucio Bochicchio Consigliere Dotissa Gianna Maria Zannella Consigliere Relatore ha emesso la seguente SENTENZA Nella causa civile di secondo grado, iscritta al numero di ruolo generale 6828 dell'anno 2011, riservata in decisione all'udienza collegiale del 17.2.2015 con termini per depositare. Comparse conclusionali e repliche sino all'11.5.2015 e vertente tra Ma.Fa. APPELLANTE E Ed. S.p.A. ed altri (...). APPELLATI OGGETTO Appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 20297 depositata il 14 10,2010 in tema di pretesa diffamazione tramite stampa. Conclusioni. L'appellante ha concluso per la riforma integrale della sentenza appellata e la condanna solidale degli appellati al risarcimento in proprio favore del danno morale e patrimoniale, quantificato in Euro 200.000,00 nella diversa somma ritenuta di giustizia, nonché per la pubblicazione della sentenza di condanna sul giornale St., con vittoria delle spese di entrambi i gradi dei giudizio, nonché per la condanna al pagamento della ulteriore somma di Euro 50.000, ai sensi dell'art. 12 legge stampa, gli appellali hanno concluso per il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata, con vittoria delle spese processuali. Svolgimento del processo. Il dott. Fa.Ma. ha convenuto in giudizio dinanzi a questa Corte la società "Ed. s.p.a." in persona del suo legale rappresentante, nella qualità di editrice del quotidiano "St.", nonché il Direttore di quest'ultima, dott. Gi.An., nonché i dott. Gu.Bu. ed altri (...), autori degli articoli di seguito indicati, con la citazione notificata a tutti il 28.11.2011. Ha chiesto che fosse riformata la sentenza del Tribunale di Roma in epigrafe indicata, respinta le parti. Con la quale la domanda proposta dal dott. Ma. in primo grado era stata respinta e che fossero accolte le conclusioni in epigrafe riassunte. Ha esposto l'appellante di aver convenuto in giudizio gli odierni appellati dinanzi al Tribunale di Roma al fine di ottenere il risarcimento del danno patito in seguito alla pubblicazione, sul. quotidiano St., dei seguenti articoli: l'articolo, a firma dei dott. Bu. e Ru., del 14.5.2006 dal titolo "Sembra Tangentopoli", nel quale si dava conto del ed scandalo di "ca." e della rete di persone "al servizio" di Lu.Mo., facendovi rientrare il dott. Ma. all'epoca Direttore di Ra.; - l'articolo, a firma del dott. Ma.Fe., del 12 9.2006, dal titolo (...), nel quale si faceva riferimento alla" cupola" del calcio corrotto, con a capo Lu.Mo., nonché alla "cupola11 del giornalismo a quest'ultimo legata, formata da giornalisti sportivi, tra cui l'odierno appellante; l'articolo, non firmato, dell'11 10 2006, dal titolo (...) nel quale si narrava che la sostituzione dei Direttori Hai era particolarmente controversa, all'interno dei consiglio di amministrazione dell'azienda, per quanto atteneva a Ra.. Infatti, da tempo il comitato di redazione della testata sportiva aveva chiesto cambiamenti, alla luce del coinvolgimento del dott. Ma. nello scandalo di "calciopoli". A sostegno dell'appello il dott. Ma. ha posto i seguenti motivi: 1. Il Tribunale aveva osservato che le notizie riportate si erano fondamentalmente basate sulle dichiarazioni del dott. Fr.Sa. nella qualità di Capo dell'Ufficio Indagini della Federazione Italiano Gioco Calcio (d'ora in poi F.I.G.C.), nell'ambito dell'indagine sportiva da quest'ultima disposta, all'interno della c d giustizia sportiva in particolare, secondo il primo Giudice, in ragione del ruolo rivestito nella specie dal dott. Bo., di Capo dell'Ufficio indagini, la sua attività aveva avuto un carattere pubblico e perciò fondatamente le dichiarazioni sui suoi risultati erano state poste a base degli articoli. Invece, secondo l'appellante, avendo la F.I.G.C. natura di ente privato, le sue indagini avevano un rilievo meramente interno, non era chiaro in qual modo i giornalisti si fossero procurati gli esiti dei predetti accertamenti disposti dalla F.I.G.C. ed i giornalisti avrebbero dovuto comunque verificarne il contenuto e l'attendibilità il dott. Ma. era estraneo a qualunque coinvolgimento della sua attività di Direttore di Ra. con le attività del Mo.. 2. Non vi era interesse pubblico alla diffusione delle notizie contenute negli articoli, contrari a meni e a quanto osservato dal primo Giudice in difetto di fonti ufficiali sugli argomenti trattati, l'articolo del 12.9.2006 voleva solo appagare la curiosità morbosa del pubblico e scadeva a livello di pettegolezzo; 3. gli articoli, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, difettavano del requisito della continenza verbale e non erano quindi in alcun modo scriminati in essi si esprimeva chiaramente il concetto "sembra Tangentopoli" o si usava un linguaggio allusivo e denigratorio, volto a denigrare la figura dell'appellante. L'appello si è infine diffuso nell'illustrazione dei danno patito dal Ma.. Tutti gli appellati si sono costituiti ed hanno chiesto il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza appellata, contestando diffusamente le ragioni poste a fondamento dell'impugnazione In seguito, precisate le conclusioni, la causa è stata riservata in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Ad avviso della Corte, l'appello è infondato e deve essere respinto, mentre la sentenza impugnata deve essere confermata. I motivi di appello si esaminano tutti consuntamente, essendo ira loro strettamente connessi. Gli articoli, come ha consciamente ritenuto la sentenza impugnata, si sono tradotti nel legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica. Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha, del tutto correttamente, osservato che le notazioni critiche contenute negli articoli, all'indirizzo del dott. Ma., si erano basate sugli esiti dell'indagine sportiva disposta dalla FIGC. Da tale indagine, nella parte relativa ai rapporti con la stampa, emergeva la profonda influenza che Lu.Mo. - all'epoca direttore generale della società Ju. - era riuscito ad esercitare su alcuni organi di informazione, tra cui Ra., riuscendo in particolare ad imporre un giornaiista sportivo, formalmente privo della qualità di inviato, che commentasse le partite della Ju.. Invero, ad avviso di questa Corte, gli atti dell'indagine della Procura Federale della FIGC e la relazione del dott. Fr.Sa. quale Capo dell1 Ufficio Indagini per conio della medesima F.I.G.C. (doc 6 dei convenuti in primo grado) non lasciavano adito a dubbi circa" l'imbarazzante asservimento" (cosi testualmente nella predetta relazione) "di alcuni protagonisti di trasmissioni calcistiche al volere del Mo.", compreso il Direttore di Ra., don Ma., allorquando veniva in modo continuativo utilizzato il lavoro deill'inviato Ci.Ve. per le partile e gli allenamenti della Ju., a scapito di colleghi di maggiore esperienza e nonostante le continue richieste del comitato di redazione di "riequilibrare la presenza dei vari giornalisti" in occasione dei le partile più importanti della Ju.. Tutto ciò è staio correttamente sottolineato dal Tribunale ed i fatti ivi narrati non sono stati neppure particolarmente contestati in appello. Quindi, non può che concludersi, al pari di quanto osservato dal Tribunale, che gii autori degli articoli hanno verificato l'attendibilità delle notizie che andavano pubblicando e commentando. Non rileva, ad avviso di questa Corte, che la F.I.G.C. avesse natura di ente di diritto privato, al fine di togliere fondatezza alla" fonte" delle notizie o di rendere necessari ulteriori approfondimenti. Tale prospettazione appare del tutto riduttiva. L'indagine sportiva da cui i giornalisti hanno avuto le informazioni era stata indubitabilmente commissionata e voluta dalla F.I.G.C. che annovera tra le sue funzioni quella di supervisionare e controllare i campionati di calcio professionistici e che prevede al suo interno una serie complessa di norme attinenti proprio alla giustizia sportiva, cosicché non può dubitarsi del notevole rilievo proprio della fonte delle informazioni. L'art. 15 del d.lgs. del 1999 n 242 ha enunciato il principio per cui le Federazioni sportive nazionali e la Discipline sportive associate svolgono attività sportiva in armonia con le deliberazioni del CIO, delle Federazioni internazionali del CONI. Gli organi di giustizia sportiva, ai sensi dell'art. 2 primo comma lett. a) e b) D.L. del 2003 n 130, convertito con modificazioni nella legge del 2003 n. 280. sono preposti a far rispettare l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni, nonché a valutare i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare per l'irrogazione delle relative sanzioni disciplinari sportive. Tanto ciò è vero che la novella contenuta nel d.lgs. 8, L. 2004 n. contenente modifiche e correzioni al d.lgs. del 1999 n 242. ha demandato al CONI l'individuazione della valenza pubblicistica di alcune attività delle Federazioni sportive nazionali. Detto Statuto, quale applicabile ratione temporis, ha individuato tali attività tra le altre - nell'ammissione ed affiliazione di società, associazioni sportive e singoli tesserati, nella revoca di tali provvedimenti, nel controllo circa il regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici, nell'utilizzazioni di contributi pubblici, nella prevenzione e repressione del doping, nella preparazione olimpica e nella Formazione di alto livello dei tecnici, nonché nell'utilizzazione e gestione degli impianti sportivi pubblici. Ne segue che, con riguardo a tali attività, le Federazioni sportive nazionali assumono un vero e proprio munus pubblico. Sotto tale profilo, l'espressione adoperata dal Tribunale, per cui l'indagine svolta dal dott. Ro. per conto della F.I.G.C aveva carattere pubblico e, conseguentemente, la sua utilizzazione da parte degli odierni appellati era legittima, non aveva inteso attribuire natura pubblicistica all'attività svolta, esplicazione cioè di pubblici poteri; bensì aveva inteso ricondurre siffatta attività nel novero delle attività della Federazioni aventi un chiaro connotato pubblicistico, come sul visto. Il Tribunale ha invero osservato che si trattava di un'indagine voluta dall'ente di vertice del calcio italiano, anche per quanto concerneva i controlli sui campionati nazionali e che quindi, nell'ottica dell'accertamento della verità - per quanto di competenza della giustizia sportiva - era un'indagine volutamente trasparente ed in quanto tale, pienamente utilizzabile da pane dei giornalisti Risulta in tal modo rispettato uno dei requisiti del corretto esercizio del contemporaneo diritto di cronaca e di critica, quello della verità dei fatti. Esso va correttamente inteso. Nell'esercizio del diritto di critica il requisito della verità c rispettato non già quando si riportano singoli episodi, che devono essere veri nella critica, a differenza della cronaca, noti si riportano i fatti rilevanti, ma si commenta, positivamente o negativamente, con taglio differente rispetto al loro protagonista, presupponendone la notorietà. Pertanto, la verità deve essere intesa in senso soggettivo, quale corrispondenza del fatto a verità poiché così ritenuto dall'autore, secondo un giudizio di verosimiglianza e di verificabilità, tale da evirare che la critica si appunti su fatti del tutto diversi dal reale, perchè stravolti o riportati in modo del tutto difforme rispetto al vero. La giurisprudenza di legittimità, nel caso di contemporaneo esercizio del diritto di cronaca e di critica, non ha mancato di osservare che in tal caso occorre far riferimento alla "interpretazione soggettiva dei fatti esposti. Infatti la entità mira non già ad informare, ma a fornire giudizi e valutazioni personali e, se è vero che, come ogni diritto, anche quello in questione non può essere esercitato se non entro limiti oggettivi fissati dalla logica concettuale e dall'ordinamento positivo, da ciò non può inferirsi che la critica sia sempre vietata quando sia idonea ad offendere la reputazione individuale, richiedendosi invece un bilanciamento dell'interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita. Siffatto bilanciamento è ravvisabile nella pertinenza della critica di cui si tratta all'interesse pubblico, cioè nell'interesse dell'opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, che è presupposto della stessa e quindi, fuori di essa, ma di quella interpretazione del fatto, interesse che costituisce - assieme alla correttezza formale (continenza), requisito per la invocabilità per la esimente dell'esercizio del diritto di critica". 1.2. La critica contenuta negli articoli era, inoltre, finalizzata all'interesse pubblico alla conoscenza della vasta rete di conoscenze e relazioni del Mo., tale addirittura da influenzare il sereno e disinteressato commento sportivo, in trasmissioni peraltro diffuse dall'emittente di Stato. E' del tutto evidente infatti che tanto il lettore appassionato di sport, quanto il lettore che intenda informarsi compiutamente, siano interessati ad apprendere che le trasmissioni sportive di calcio, sport non certo "di nicchia", bensì molto seguito da ampie fasce delle popolazione, potessero essere in qualche modo" pilotate" con giornalisti più indirli a favore di una squadra e non invece effettivamente indipendenti nel seguire e commentare le competizioni della stessa, il tutto con evidenti ricadute anche sull'opinione che i lettori potevano formarsi, necessariamente falsata da tale modo viziato di proporre l'informazione calcistica ed i relativi commenti. A tal riguardo non sono rilevanti i successivi sviluppi dell'indagine sportiva, in quanto gli articoli devono essere valutati in relazione alle informazioni quali acquisite e quali era possibile acquisire al tempo delle pubblicazioni, infine, le notizie sono state forniti e inserendo le vicende del Ma. rigorosamente nell'ambito di quanto emerso nelle rotazioni tra il Mo. ed il mondo del giornalismo sportivo, mentre in nessun passaggio degli stessi l'odierno appellante è staio avvicinato ai fatti di rilevanza penale che concernevano il Mo. o altre persone con io stesso coinvolte. Nel bilanciamento tra il diritto di critica, costituzionalmente garantito dall'art. 21 Cost., con i diritti personalissimi all'onore ed alla reputazione, deve darsi prevalenza al primo, quando esso non si traduca nei la mera contumelia o aggressione verbale nei confronti del personaggio pubblico e non lo colpisca nella propria sfera privata, del tutto scollegata cioè dall'immagine e della condotte pubbliche della persona stessa. La giurisprudenza di legittimità ha anche di recente chiarito che "in tema di diffamazione a mezzo stampa, non è giuridicamente né logicamente corretto sostenere il prevalere del diritto all'onore ed alla reputazione sul diritta di manifestare liberamente il propria pensiero pure in chiave critica anche in presenza di capacità lesive estremamente ridotte, tali quindi da non giustificare in nessun caso detta prevalenza. Ed invero qualunque critica che concerna le persone è idonea a incidere in qualche modo in senso negativo sulla reputazione di qualcuno tuttavia, escludere il diritto di critica ogni qualvolta leda, seppure in modo minimo, la reputazione di taluno, significherebbe negare il diritto di manifestare ti proprio pensiero. Pertanto il diritto di critica può essere esercitalo utilizzando espressioni di qualsiasi tipa anche lesive della reputazione altrui, purché stano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall'opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un'aggressione gratuita distruttiva dell'onore o della reputazione del soggetto interessato", Cass. 16.5.2008 n. 12420. Occorre quindi eseguire il bilanciamento tra l'interesse personale al diritto all'onore ed alla reputazione con la tutela del diritto di manifestazione del pensiero attraverso la critica, il quale, a giudizio della Corte, deve concludersi con la prevalenza del secondo, poiché la critica è stata pertinente all'interesse pubblico, inteso quale "interesse dell'opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto della critica, che è il presupposto della stessa e quindi, fuori di essa, ma dell'interpretazione di quel fatto, interesse che costituisce, assieme alla correttezza formale (continenza), requisito per l'invocabilità dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica": Cass. 6.8.2007 n. 17171 (orientamento ribadito da Cass. 2009 n 25 già richiamata). 1.3. Infine, con riferimento alla mancata continenza degli articoli, si osserva quanto segue: II titolo (...) del primo articolo non può ritenersi privo di continenza rispetto al Ma.. L'articolo non si occupa solo delle relazioni tra il Mo. e i giornalisti sportivi, ma riassume una vasta indagine della Procura della Repubblica di Napoli, che vedeva oltre 50 persone indagate e di cui aveva già ampiamente dato conto un settimanale, secondo la quale una fitta rete di persone, interne ed esterne al mondo del calcio, in vario modo ed a vario titolo era "al servizio di Mo.", questi avrebbe avuto il potere di condizionare fortemente l'andamento del campionato di calcio, grazie anche ad arbitri, all'influenza sui contratti coti i giocatori all'influenza sui mezzi di informazione. Il titolo dell'articolo vuol descrivere plasticamente l'ampiezza del sistema di relazioni illegittime che andava emergendo dall'indagine, tale da avvicinarlo a quello emerso dal procedimento penale noto anche come "Ta.". Non vi è però alcun diretto richiamo, all'interno dell'articolo, al Ma. quale persona in qualche modo somigliante a coloro che erano stati coinvolti in Ta.. Per quanto attiene all'articolo a firma del Fe., è condivisitele la conclusione del Tribunale: esso non ha risparmiato critiche al Ma., descritto tuttora quale amico dei Mo., ma non vi é alcun travalicamemo nella contumelia o nel dileggio fine a se stesso, ai danni dell'odierno appellante. L'articolo, infatti, in veste critica e vagamente satirica, traendo spunto da un'apparizione televisiva del Mo., si era occupato di coloro che, all'interno del giornalismo sportivo, soprattutto televisivo, erano tuttora, rispettivamente, favorevoli e contrari al Mo.. Ugualmente é da dirsi per le osservazioni rivolte al Ma. nell'articolo privo di firma l'articolo, che si occupa del rinnovo di alcune cariche alle direzioni di testate R., descrive le ripetute richieste del comitato di redazione di mutamenti alla guida di Ra. "dopo il coinvolgimento del Direttore Ma. nello scandalo di Ca.", il che altro non è se non il richiamo alle notizie su riferite in ordine ai rapporti tra il Mo. ed il Ma.. La continenza verbale, nella manifestazione del diritto di critica, non si risolve necessariamente nell'uso di toni pacati e di vocaboli compiti. Non deve essere cioè valutata secondo criteri solo formali (Cass. 7.1.2009 n. 25). La critica, per sua natura, si accompagna invero ad un fervore polemico, poiché i fatti vengono osservati da un'angolazione diversa rispetto a quella propria del loro autore e vengono sottoposti a revisione, secondo canoni differenti rispetto a chi ha agito, con la conseguenza che non può essere obiettiva. E' quindi affermazione pacifica in giurisprudenza quella per cui la critica può dispiegarsi anche attraverso un linguaggio "colorito e pungente", (Cass. 6.8.2007 n. 17172), con espressioni forti, che, nell'ambito degli spazi utili per la manifestazione del proprio pensiero, accompagnino adeguatamente il dissenso o l'opinione ragionata contrastante con quella del personaggio pubblico oggetto dell'articolo, senza trasmodare nella pura offesa, né risolversi in un attacco ingiustificato alla persona della quale si tratta. Anche più di recente (Cass. 23.2.2010 n. 4325), la S.C. ha ribadito che l'esimente del diritto di critica è ravvisabile tutte le volle che, pur usandosi un linguaggio pungente o toni particolarmente aspri, rispetto a quelli che connotano usualmente i rapporti interpersonali, si svolgono commenti nei quali può evidenziarsi l'interesse pubblico alla loro conoscenza ed escludersi il mero attacco personale, al fine di sottolineare l'indegnità della persona. Nel caso di specie, certamente i giornalisti, anche quando hanno utilizzalo un linguaggio colorito, non hanno mai utilizzato appellativi o epiteti volti sic et simpliciter a denigrare la persona dell'appellante, a prescindere dalla sua figura di Direttore di una testata della televisione nazionale 2. Al rigetto dell'appello segue la condanna dell'appellante al pagamento delle spese processuali in favore solidale degli appellati. Esse si liquidano come in dispositivo, d'ufficio in mancanza di noia. P.Q.M. La Corte d'Appello di Roma, definitivamente pronunciando sull'appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma, proposto dal dott. Fa.Ma. nei confronti della società "Ed. s.p.a." in persona dei suo legale rappresentante, nella qualità di editrice del quotidiano "St.", nonché dei dott. Gi.An., Gu.Bu., Gu.Ru. e Ma.Fe., respinge l'appello, conferma la sentenza appellata. Condanna l'appellante al pagamento in favore solidale degli appellati delle spese del giudizio d'appello, liquidate in Euro 12.000,00 per onorari. Così deciso in Roma il 9 giugno 2015. Depositata in Cancelleria il 21 settembre 2015.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ESPOSITO Antonio - Presidente Dott. CAMMINO Matilde - Consigliere Dott. TADDEI Margherita Bian - Consigliere Dott. MANNA Antonio - Consigliere Dott. RAGO Geppino - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) n. (OMISSIS); (OMISSIS) n. (OMISSIS); (OMISSIS) n. in (OMISSIS); (OMISSIS) n. (OMISSIS); (OMISSIS) n. (OMISSIS); (OMISSIS) n. (OMISSIS); (OMISSIS) n. (OMISSIS); avverso la sentenza emessa il 16 maggio 2013 dalla Corte di appello di Milano; Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Matilde Cammino; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, sost. Proc. Gen. Dott. Baldi Fulvio, che ha chiesto l'annullamento con rinvio per i ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e il rigetto degli altri ricorsi; sentiti i difensori di fiducia del ricorrente (OMISSIS), avv. (OMISSIS) del foro di Reggio Calabria, dei ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), avv. (OMISSIS) del foro di Milano, e dei ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), avv. (OMISSIS) del foro di Milano, che hanno chiesto l'accoglimento dei relativi ricorsi. CONSIDERATO IN FATTO 1. Con sentenza in data 20 luglio 2011 il Tribunale di Milano dichiarava (OMISSIS) colpevole del delitto di tentata estorsione aggravata (capo B) e del delitto di lancio di materiale pericoloso in occasione di manifestazioni sportive (capo D: Legge n. 401 del 1989, articolo 6 Bis) e lo condannava, ritenuta la continuazione, con la contestata recidiva specifica, alla pena di anni cinque, mesi otto di reclusione ed euro 580,00 di multa; dichiarava (OMISSIS) colpevole del delitto di tentata estorsione (capo B) nonche' dei delitti di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali in concorso formale (capo C) e lo condannava per il primo reato alla pena di anni cinque di reclusione ed euro 500,00 di multa e per il capo C alla pena di mesi dieci di reclusione; dichiarava (OMISSIS) colpevole dei reati ascrittigli ai capi C e D condannandolo per il capo C alla pena di mesi dieci di reclusione e per il reato ascritto al capo D alla pena di mesi otto di reclusione; dichiarava (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli del reato loro contestato al capo D e condannava il primo, con la contestata recidiva, alla pena di mesi otto di reclusione, il secondo e il terzo alla pena condizionalmente sospesa di mesi quattro di reclusione, il quarto alla pena di mesi sei di reclusione. Tutti i predetti imputati, assolti dagli altri reati loro rispettivamente ascritti, venivano condannati al risarcimento dei danni in favore della parte civile (OMISSIS) nella misura di euro 10.000,00 e il (OMISSIS) e lo (OMISSIS) anche, in solido con altro coimputato non ricorrente, al risarcimento dei danni, da liquidarsi separatamente, in favore della parte civile (OMISSIS), cui veniva assegnata una provvisionale di euro 2.000. 2. Con sentenza in data 16 maggio 2013 la Corte di appello di Milano ha riformato parzialmente la suddetta sentenza riducendo la pena nei confronti dell'imputato (OMISSIS) in ordine al reato continuato ad anni tre, mesi otto di reclusione ed euro 800,00 di multa e dell'imputato (OMISSIS) in ordine al reato di tentata estorsione ascrittogli al capo B in anni tre, mesi sei di reclusione ed euro 600,00 di multa (confermando la pena quanto al capo C), per entrambi con la sostituzione della pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella della durata di anni cinque e la revoca della pena accessoria dell'interdizione legale; riconoscendo, inoltre, all'imputato (OMISSIS) le circostanze attenuanti generiche, con conseguente riduzione della pena per il reato al capo C a mesi sette, giorni quindici di reclusione e per il reato al capo D a mesi sei di reclusione; applicando, infine, il beneficio della non menzione agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS). 3. La vicenda processuale riguarda il tentativo messo in atto dagli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), fino al dicembre 2006, per ottenere dalla societa' sportiva di calcio (OMISSIS) l'assegnazione di un rilevante quantitativo di biglietti di ingresso allo stadio a condizioni di favore e l'assegnazione di un centinaio di pass gratuiti per il nuovo gruppo di tifosi denominato Guerrieri Ultras con la minaccia, diretta o mediante allusioni, di provocare disordini sia all'interno che all'esterno dello stadio, avendo gia' in piu' occasioni determinato lo sfondamento del cancello 37 di ingresso allo stadio e rivendicando la paternita' di episodi analoghi (capo B). In tale contesto si inserivano, secondo la tesi accusatoria ritenuta fondata dai giudici di merito, i fatti violenti accaduti in occasione della partita (OMISSIS) nello stadio (OMISSIS) (capo C), allorche' un gruppo di tifosi (tra i quali (OMISSIS) e (OMISSIS), con il concorso morale del (OMISSIS) identificato quale mandante) aveva opposto resistenza alle forze dell'ordine che tentavano di impedire l'introduzione nello stadio di ordigni e altro materiale vietato, e il lancio in campo di torce illuminanti avvenuto durante l'incontro (OMISSIS) (capo D). 4. Avverso la sentenza di appello i predetti imputati, tramite i rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione. 4.1. Con il ricorso presentato nell'interesse dell'imputato (OMISSIS) dall'avv. (OMISSIS) e dall'avv. (OMISSIS) si deduce: 1) la violazione di legge e il vizio della motivazione in ordine al ritenuto concorso morale nel tentativo di estorsione ascritto al (OMISSIS), in mancanza di qualsivoglia elemento che potesse collegare anche solo logicamente l'operato del (OMISSIS) con quello del ricorrente; il (OMISSIS) nei contatti telefonici con il teste (OMISSIS), dipendente di (OMISSIS), e nel colloquio in data 24 novembre 2006 con la teste (OMISSIS), responsabile del settore booking della societa' (OMISSIS), aveva manifestato un atteggiamento intimidatorio non compatibile con il comportamento effettivamente tenuto dal (OMISSIS), inidoneo a configurare l'istigazione rispetto al tentativo di estorsione messo in atto dal coimputato; nel contatto telefonico con il (OMISSIS) dell'8 novembre 2006 il (OMISSIS) si era limitato a parlare di un'azione dimostrativa come il blocco dell'autobus della squadra quale strumento di protesta finalizzato all'ottenimento di un incontro con i vertici della societa', azione non realizzata e nella quale comunque difetterebbero "quelle note di patrimonialita'...necessarie a comporre il paradigma legale dell'estorsione"; anche nella telefonata (OMISSIS) - (OMISSIS) del 24 novembre 2006, che aveva preceduto di circa tre ore il colloquio del (OMISSIS) con la (OMISSIS), il ricorrente non aveva fatto altro che condividere le parole del (OMISSIS) sulla pretesa per i Guerrieri Ultras, attraverso azioni di protesta prive di contenuti estorsivi, un trattamento uguale a quello riservato ai gruppi "storici" della tifoseria milanista, senza fare alcun riferimento alle minacce che nella successiva conversazione telefonica con la (OMISSIS) il (OMISSIS), in piena autonomia, aveva ritenuto di formulare; anche ex post non vi sarebbe connessione eziologica tra le condotte del (OMISSIS) e del (OMISSIS), in quanto nella telefonata seguita a quella con la (OMISSIS) il (OMISSIS), il quale dopo aver riferito della minaccia di abbandono della curva in mancanza di risposte da parte della societa' aveva accennato al lancio di torce e di fumogeni e alle azioni violente del passato, era stato ripreso dal (OMISSIS) che, visibilmente contrariato, lo aveva avvertito che agendo in quel modo stava commettendo un'estorsione; anche il 13 dicembre successivo il (OMISSIS) aveva preso le distanze dal (OMISSIS), manifestando il suo disaccordo sui metodi usati in occasione della partita Milan-Torino del (OMISSIS) (erano stati lanciati in campo dei fumogeni e la (OMISSIS) se ne era lamentata con il (OMISSIS)); la motivazione della sentenza impugnata sarebbe illogica in quanto la consapevolezza dell'intercettazione in corso era successiva al 24 novembre 2006 e nelle conversazioni precedenti il (OMISSIS) aveva gia' manifestato il suo disaccordo, quanto ai metodi da utilizzare nei confronti della societa' calcistica, rispetto al (OMISSIS); 2) la violazione di legge e il vizio della motivazione quanto al capo D; la corresponsabilita' del (OMISSIS) in ordine all'accensione e al lancio di torce illuminanti sul terreno di gioco, materialmente realizzate da altri il (OMISSIS), era stata considerata conseguenza automatica della ritenuta condotta di istigazione relativa al tentativo di estorsione contestato al capo B; 3) la violazione degli articoli 62 bis e 133 c.p. poiche' i precedenti penali erano stati presi in considerazione due volte, ai fini dell'applicazione della recidiva e della mancata riduzione di pena attraverso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; l'entita' della pena, inoltre, era stata determinata con riferimento al "particolare allarme sociale", quindi ad un criterio del tutto avulso dalle componenti oggettive e soggettive del fatto. 4.2. Con il ricorso presentato nell'interesse dell'imputato (OMISSIS) dall'avv. (OMISSIS) si deduce: 1) la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione al tentativo di estorsione e, in particolare, all'ingiustizia del profitto ritenuta sussistente nonostante i vantaggi che l' (OMISSIS) avrebbe tratto nella gestione dell'ordine all'interno dello stadio e, con l'aumento del numero degli abbonamenti, sotto il profilo pubblicitario ed economico; del resto la societa', anche dopo il decreto c.d. Pisanu, usava riservare agevolazioni alla tifoseria organizzata e (OMISSIS), responsabile dei gruppo emergente, era stato piu' volte fotografato con i presidenti (OMISSIS) e (OMISSIS); la qualificazione giuridica piu' adeguata del fatto sarebbe stata quella di violenza privata; 2) il vizio della motivazione in relazione all'articolo 56 c.p., comma 3; 3) il vizio della motivazione in ordine al reato ascritto al capo C perche' (OMISSIS) era solo un millantatore che al (OMISSIS) e alla (OMISSIS) aveva raccontato fatti non corrispondenti alla realta', in termini diversi anche da quanto riferito dalle persone offese (OMISSIS) e (OMISSIS), agenti di P.S.; 4) il vizio della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della continuazione tra i reati ascritti ai capi B e C e alla mancata esclusione della recidiva; 5) la violazione degli articoli 62 bis e 99 c.p.. 4.3. Con il ricorso presentato nell'interesse dell'imputato (OMISSIS) dall'avv. (OMISSIS) si deduce la violazione della Legge n. 481 del 1989, articolo 6 bis e articolo 62 bis c.p. in quanto non era stato dimostrato che dal lancio degli artifizi pirotecnici fosse derivato un effettivo pericolo per le persone; inoltre il (OMISSIS) aveva ammesso l'acquisto di giochi pirotecnici in libera vendita e il loro uso per protestare contro la campagna acquisti del (OMISSIS), reduce dalla penalizzazione seguita alla vicenda Calciopoli interpretata dal tifoso come una provocazione, mentre non si era tenuto conto nella "telegrafica" motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche della passione sportiva che aveva animato l'imputato ne' del suo comportamento processuale e della particolare situazione personale ed ambientale. 4.4. Con il ricorso presentato nell'interesse dell'imputato (OMISSIS) dall'avv. (OMISSIS) si deduce l'inosservanza dell'articolo 110 c.p. in relazione alla Legge n. 481 del 1989, articolo 6 bis e, inoltre, la contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla prova del concorso nel reato del (OMISSIS), ritenuto responsabile di aver "aderito" al lancio delle torce in campo, "sostenendo" e "rafforzando" la condotta degli ultras solo per il fatto di conoscerli e di aver inviato un (unico) messaggio telefonico di commento dopo i fatti ad uno di coloro che avevano preso parte al lancio dei fumogeni; il teste (OMISSIS) non lo aveva indicato come autore dei lanci, la sua immagine non compariva nel DVD menzionato dal teste e nei fotogrammi acquisiti, inoltre (a differenza dei coimputati) non aveva ammesso i fatti ne' risultava mittente o destinatario di messaggi telefonici rivolti ai coimputati; sarebbe "del tutto illogica e irragionevolmente capziosa" l'interpretazione data al messaggio telefonico, che si e' ritenuto diretto ad influire sulla condotta degli ultras rafforzandone la volonta' criminale nella fase esecutiva mentre in realta' costituiva solo un commento rispetto ad un'azione gia' esauritasi; il comportamento del ricorrente era stato al piu' di mera connivenza. 4.5. Con il ricorso presentato nell'interesse degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) dall'avv. (OMISSIS) si deduce quanto segue. Relativamente alla posizione dell'imputato (OMISSIS) si evidenzia la grave carenza motivazionale in ordine all'affermazione di responsabilita' relativamente al reato ascritto al capo C, basata esclusivamente sulla conversazione telefonica tra terzi (il coimputato (OMISSIS) e (OMISSIS)) debole dal punto di vista indiziario: (OMISSIS), che aveva coinvolto tale (OMISSIS) nell'episodio criminoso, era assente ai fatti dell'(OMISSIS) e (OMISSIS) poteva essere caduto in errore, in quanto il gruppo "Fossa dei Leoni" era costituito da almeno 5.000 persone e tra costoro non era solo il ricorrente ad essere "vecchio" e "piccoletto"; i giudici di merito non avevano tenuto conto, peraltro, di elementi favorevoli allo (OMISSIS) costituiti dal mancato riconoscimento da parte degli agenti di polizia, dalle testimonianze di (OMISSIS) e (OMISSIS), dalle dichiarazioni dello stesso imputato che in sede di interrogatorio di garanzia aveva immediatamente richiesto l'acquisizione di eventuali filmati. Quanto agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) (capo D) si deduce la violazione della legge penale sostanziale e processuale, il vizio della motivazione, la lesione del diritto di difesa per violazione del principio del contraddittorio; le dichiarazioni del teste (OMISSIS), agente D.I.G.O.S., potevano essere valide per l'identificazione dei due imputati sulla base della conoscenza professionale, ma non per l'attribuzione ai predetti soggetti della specifica condotta criminosa che e' frutto di una valutazione personale del contenuto del DVD contenente le immagini delle videocamere di sicurezza dello stadio, non acquisito dai giudici di merito (che si erano anche sottratti alla valutazione dei fotogrammi prodotti, fotocopiati in bianco e nero, che costituivano una selezione di quelli piu' chiari e utili alla tesi accusatola) e inutilizzabile ex articolo 526 c.p.p.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il reato ascritto al capo D, commesso il (OMISSIS), e' estinto per intervenuta prescrizione nei confronti degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), essendo decorso il termine massimo di prescrizione di sette anni e sei mesi in data 10 giugno 2014. Nei confronti dei predetti imputati, il cui ricorso non presenta profili di inammissibilita', la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, non consentendo le risultanze gia' poste dai giudici di merito a fondamento dell'affermazione di responsabilita' una piu' favorevole declaratoria di non punibilita' per ragioni di merito ex articolo 129 c.p.p.. Non e' ancora decorso, invece, il termine di prescrizione in ordine a detto reato nei confronti del ricorrente (OMISSIS), al quale risulta applicato l'aumento di pena per la contestata recidiva specifica. Nell'interesse dell'imputato (OMISSIS) il ricorso e' limitato al capo C e non riguarda, nemmeno sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, il reato ascritto al capo D, per cui il capo della sentenza impugnata relativo a quest'ultimo reato, esente da censure in sede di legittimita', deve ritenersi gia' divenuto irrevocabile. 2. Relativamente al ricorso proposto nell'interesse dell'imputato (OMISSIS) la Corte rileva quanto segue. 2.1. Le doglianze formulate con il primo motivo riproducono in gran parte gli argomenti prospettati con l'appello, ai quali la Corte territoriale ha dato adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che il ricorrente non considera ne' specificatamente censura. Il giudice di appello per affermare l'infondatezza della tesi difensiva della non condivisione da parte del (OMISSIS) dei metodi intimidatori messi in atto dal (OMISSIS) per ottenere il rilascio di biglietti a condizioni di favore ha infatti, con argomentazioni ineccepibili sia logicamente che giuridicamente, evidenziato che dai colloqui telefonici intercettati tra il ricorrente e il (OMISSIS), sia l'8 novembre 2006 che nella giornata del (OMISSIS) successivo, prima e dopo il colloquio del (OMISSIS) con la (OMISSIS), emergeva che il (OMISSIS) non solo era a conoscenza dei contatti del (OMISSIS) con i responsabili della societa' (OMISSIS) per la richiesta dei biglietti a condizioni di favore, ma avallava il tenore intimidatorio delle richieste del (OMISSIS) alla societa' sportiva. Quanto alla condivisione da parte del (OMISSIS) del metodo intimidatorio del (OMISSIS), tradottosi nelle telefonate con i testi (OMISSIS) e (OMISSIS) in esplicite minacce di provocare disordini e lancio di fumogeni allo stadio anche con riferimento a episodi del genere gia' verificatisi, nella motivazione della sentenza impugnata si fa specifico riferimento alla telefonata del ricorrente con il (OMISSIS) dell'8 novembre 2006 (in cui il (OMISSIS), lungi dal dissociarsi, prospettava all'interlocutore azioni anche piu' incisive e negative per la societa' dicendo "se non ci incontrano...dopodiche' blocchiamo il pullman dei giocatori e altre cose", prefigurando quindi interventi diretti dei tifosi contro i calciatori alla cui incolumita' fisica e tranquillita' le societa' sportive sono particolarmente interessate, e "altre cose" verosimilmente piu' gravi) nonche' alle telefonate del (OMISSIS) al (OMISSIS) sia prima che dopo la telefonata del 24 novembre alla (OMISSIS). In particolare nella telefonata al (OMISSIS) successiva a quella con la (OMISSIS), responsabile del booking e di tutta l'organizzazione sportiva nonche' delegata alla sicurezza per gli eventi sportivi dell' (OMISSIS), il (OMISSIS) riferiva il discorso fatto all'interlocutrice in termini che non possono non definirsi minacciosi ("noi siamo una tifoseria tranquilla...per adesso...se ce ne andiamo meta' curva rimane vuota... fumogeni si possono eliminare, dipende tutto da voi...") e il (OMISSIS) si limitava, peraltro ridendo, a dire: "che.. fai, li minacci? Questa e' estorsione, oh". Anche dopo la telefonata del 13 dicembre 2006 alla (OMISSIS), il (OMISSIS) chiamava il (OMISSIS) che tuttavia, sottolinea la Corte, aveva nel frattempo saputo che i telefoni del (OMISSIS) erano sotto controllo e aveva assunto un atteggiamento piu' cauto e, allorche' era stato chiamato poco dopo dalla stessa (OMISSIS), sia pure in termini meno espliciti aveva mantenuto ferme le richieste del (OMISSIS) confermando le rimostranze per il trattamento ricevuto dai Guerrieri Ultras quanto ai biglietti e alle trasferte ( "..Il (OMISSIS) piu' di un tot di biglietti non ci vengono dati...per le trasferte.. siamo stati lasciati a piedi...") e il suo ruolo determinante, quale responsabile del nuovo gruppo organizzato di tifosi, nella gestione della tifoseria ("...la gestione della curva sta nel fatto appunto ...di cercare di non fare accadere fatti spiacevoli come quelli di domenica...cerchiamo di non far fare delle stupidaggini a dei ragazzi, sia per il (OMISSIS) che per loro...io cerco di adoperarmi, ma perche' mi devo adoperare? Per me non si' e' adoperato nessuno..."). La motivazione, basata essenzialmente per il (OMISSIS) sul contenuto delle intercettazioni telefoniche, e' esaustiva e dettagliata quanto alla partecipazione del ricorrente, quanto meno dal punto di vista morale avendo il (OMISSIS) rafforzato la volonta' criminale del (OMISSIS) sia nella fase preparatoria che in quella esecutiva come si deduce dal contenuto dei colloqui telefonici intercettati, alle richieste formulate con modalita' intimidatorie nel confronti dell' (OMISSIS) che dai disordini in campo e dal lancio dei fumogeni avrebbe tratto solo svantaggi, come il pagamento di multe, eventuali penalizzazioni nel campionato e una negativa immagine della squadra. Il ricorso e' quindi fondato su una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione la cui valutazione e' compito esclusivo del giudice di merito ed e' inammissibile in questa sede, essendo stato comunque l'obbligo di motivazione esaustivamente soddisfatto nella sentenza impugnata con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall'istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico-giuridico, degli argomenti a sostegno dell'affermazione di responsabilita'. 2.2. Il secondo motivo e' manifestamente infondato poiche' nella motivazione della sentenza impugnata e' data adeguata motivazione, che nel ricorso non si contesta specificamente, circa il coinvolgimento del (OMISSIS) nell'episodio contestato al capo D, desunto dal contenuto dei messaggi telefonici inviati e ricevuti durante lo svolgimento della partita dagli imputati e dalla telefonata, poche ore prima della partita, alle ore 12,26 tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) che si accordavano sul lancio dei fumogeni. Nella motivazione della sentenza impugnata si fa legittimo richiamo per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado quanto al contenuto dei messaggi telefonici e della telefonata intercettati, mentre si sottolinea che la difesa aveva riconosciuto che il (OMISSIS) aveva "aderito e condiviso il lancio dei fumogeni (pur nella finalita' meramente sportiva)". 2.3. Il terzo motivo e' manifestamente infondato. Come affermato da questa Corte, anche recentemente (Cass. sez. 6, 14 novembre 2013 n.47537, Quagliara; sez. 1, 7 febbraio 1977 n. 8857, Lippolis), il giudice, nell'esercizio del suo potere discrezionale, puo' legittimamente negare la concessione delle attenuanti generiche e, contemporaneamente, ritenere la recidiva, valorizzando per entrambe le valutazioni il riferimento ai precedenti penali dell'imputato, in quanto il principio del ne bis in idem sostanziale non preclude la possibilita' di utilizzare piu' volte lo stesso fattore per giustificare scelte relative ad elementi la cui determinazione e' rimessa al prudente apprezzamento dell'Autorita' decidente. Nulla vieta, peraltro, che un dato polivalente possa essere utilizzato piu' volte sotto differenti profili, per distinti fini e conseguenze (Cass. sez. 2, 9 novembre 2007 n.45206, Grasso; sez. 2, 5 marzo 2004 n.18892, Bufano; sez. 1, 28 ottobre 1997 n.1376, P.M. e Brembilla). 3. In ordine al ricorso di (OMISSIS) la Corte osserva quanto segue. 3.1. Il primo motivo e' manifestamente infondato. Le richieste formulate dal (OMISSIS) in accordo con il coimputato (OMISSIS), come ben evidenziato nella motivazione della sentenza impugnata (f. 14), avevano il carattere dell'ingiustizia in quanto, come riferito dalla teste (OMISSIS), all'epoca dei fatti il trattamento riservato ai gruppi storici delle tifoserie, che si fondava su un rapporto fiduciario, aveva subito drastiche limitazioni per effetto delle nuove regole che imponevano la nominativita' dei biglietti di accesso allo stadio e, comunque, erano chiaramente estorsive essendo intese ad ottenere un vantaggio di carattere patrimoniale (biglietti gratuiti e altre condizioni economiche di favore), con oggettivo danno economico per la societa' sportiva costituito dal mancato introito del prezzo dei biglietti e dall'elargizione degli ulteriori vantaggi richiesti. Correttamente e' stata esclusa la ricorrenza dei presupposti per riqualificare il fatto come violenza privata in quanto, secondo la costante giurisprudenza di legittimita', e' configurabile il delitto di estorsione, e non quello di violenza privata,- ne caso in cui l'agente, al fine di procurare a se' o ad altri un ingiusto profitto, faccia uso della violenza o della minaccia per costringere il soggetto passivo a fare od omettere qualcosa che gli procuri un danno economico. (Cass. sez. 2, 5 novembre 2013 n.9024, Lauria e altri; 15 gennaio 2013 n.5668, Levak; 19 novembre 2009 n.4669, Prenci; 10 maggio 1983 n. 10938, Cutrona). Ne' gli asseriti vantaggi che l' (OMISSIS) avrebbe tratto dall'adesione alle richieste del gruppo Guerrieri Ultras (gestione dell'ordine all'interno dello stadio, vantaggi economici e pubblicitari con l'aumento del numero degli abbonamenti) possono essere presi in considerazione in questa sede in quanto sarebbero stati, in ipotesi, vantaggi ottenuti mediante la coartazione della volonta' del soggetto passivo, coartazione diretta indubitabilmente ad ottenere per l'agente l'ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale, indipendentemente dai benefici che il soggetto destinatario della minaccia ne avrebbe nel contempo tratti. 3.2. Il secondo motivo e' del pari manifestamente infondato. Secondo il costante orientamento di questa Corte (Cass. sez. 2, 5 dicembre 2013 n.51514, Martucciello; sez. 5, 28 gennaio 2013 n.13293, Di Rocco e altri; sez. 5, 11 luglio 2008 n.36919, De Valeri; sez. 5, 3 dicembre 2004 n.17688, Dominici), e' configurabile il tentativo e non la desistenza volontaria nel caso in cui la condotta delittuosa si sia arrestata prima del vendicarsi dell'evento non per volontaria iniziativa dell'agente, ma per fattori esterni che impediscano comunque la prosecuzione dell'azione o la rendano vana. Nel caso in esame, come rilevato nella motivazione della sentenza impugnata che ha fatto puntuale applicazione della giurisprudenza di legittimita' sul punto, non poteva ravvisarsi la desistenza in quanto l'attivita' esecutiva si era gia' esaurita e, inoltre, l'uscita di scena del (OMISSIS) era stata determinata dall'intervento del (OMISSIS) che aveva rivendicato la sua posizione di responsabile dei Guerrieri Ultras e di gestore dei rapporti con l' (OMISSIS). 3.3. Il terzo motivo e' anch'esso manifestamente infondato. La Corte territoriale, dopo aver richiamato per relationem la motivazione del giudice di primo grado quanto al capo C), ha confutato con adeguate argomentazioni la tesi difensiva dell'estraneita' del (OMISSIS) all'episodio di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali contestato al capo C, cui avrebbe sostenuto per millanteria di aver partecipato nelle telefonate intercettate con il (OMISSIS) e la (OMISSIS). I giudici di appello hanno infatti evidenziato che nella conversazione con il (OMISSIS) il (OMISSIS) aveva descritto le fasi salienti dell'accaduto affermando che gli agenti erano tre, che erano stati messi in un angolo e in un punto in cui non c'erano le telecamere e che li aveva colpiti con il calcio. Nella telefonata alla (OMISSIS) il ricorrente aveva parlato di tre agenti, isolati e circondati. Tale specifica e dettagliata motivazione il ricorrente non prende nemmeno in considerazione, limitandosi a ribadire la tesi gia' esposta nei motivi di appello e confutata, con diffuse e ragionevoli argomentazioni, nella sentenza impugnata. 3.4. Il quarto motivo e' manifestamente infondato. Non risulta che l'applicazione della continuazione tra i reati contestati ai capi B e C sia stata richiesta con i motivi di appello. Quanto alla mancata esclusione della recidiva e' stata data congrua motivazione con riferimento ai precedenti penali che, seppure risalenti nel tempo, consentono, per il tipo di reati commessi, di far ritenere la condotta criminosa in esame "indicativa di pervicacia nella condotta illecita e di maggiore capacita' delinquenziale". 3.5. Il quinto motivo, quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, attiene al merito ed e' improponibile in sede di legittimita'. La concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell'ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalita' del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena concreta alla gravita' effettiva del reato ed alla personalita' del reo (Cass. sez. 6, 28 ottobre 2010 n.41365, Straface). Pertanto il diniego delle circostanze attenuanti generiche puo' essere legittimamente fondato anche sull'apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri (Cass. sez. 6, 28 maggio 1999 n.8668, Milenkovic), come nel caso in esame e il particolare allarme sociale. In relazione alla mancata esclusione della recidiva deve richiamarsi quanto detto nell'esame del quarto motivo di ricorso. 4. Relativamente al ricorso di (OMISSIS), in cui le censure sono in concreto limitate all'affermazione di responsabilita' in ordine ai reati contestati in concorso formale al capo C, la Corte rileva che le doglianze reiterano argomenti prospettati nell'appello, senza tener conto delle argomentate e logicamente coerenti risposte della Corte territoriale che il ricorrente non considera ne' specificatamente censura. Il giudice di appello -che ha legittimamente richiamato per relationem la motivazione del giudice di primo grado- per affermare l'infondatezza della tesi difensiva dell'estraneita' dello (OMISSIS) rispetto all'episodio di resistenza nei confronti degli agenti di polizia che prima della partita stavano controllando l'ingresso dei tifosi allo stadio ha infatti, con argomentazioni ineccepibili sia logicamente che giuridicamente, da una parte evidenziato che lo (OMISSIS) non aveva negato di essere stato presente allo stadio quel giorno e di aver conosciuto in quell'occasione il (OMISSIS) e, dall'altro, che dalla telefonata intercettata quello stesso giorno tra il coimputato (OMISSIS) e il (OMISSIS) emergeva il suo coinvolgimento nell'episodio di resistenza ai danni degli agenti (era stato identificato dal (OMISSIS) nel "piccoletto" che gia' faceva parte della Fossa dei leoni, "il vecchio di Fossa", come uno dei partecipanti all'azione e che il (OMISSIS) ricordava con il nome di (OMISSIS), che e' quello dello (OMISSIS)). Nella sentenza impugnata inoltre motivatamente sono state valutate inattendibili e generiche dichiarazioni della teste (OMISSIS), mentre si e' data una plausibile spiegazione al mancato riconoscimento del ricorrente da parte delle persone offese che erano state circondate da almeno venti tifosi e non avrebbero potuto individuare i singoli aggressori, aggiungendo che il solo (OMISSIS) era stato riconosciuto trattandosi del tifoso trovato in possesso di un fumogeno e scappato. Le ulteriori dichiarazioni asseritamente favorevoli al ricorrente evidenziate nell'appello provenivano peraltro dai coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) e dal teste (OMISSIS) che aveva solo dichiarato di non ricordare una specifica presenza di (OMISSIS) ai fatti: si tratta di dichiarazioni non menzionate nella motivazione ma evidentemente ritenute di scarso spessore dal punto di vista probatorio. Del resto il dovere di motivazione della sentenza e' adempiuto, ad opera del giudice del merito, attraverso la valutazione globale delle deduzioni delle parti e delle risultanze processuali, non essendo necessaria l'analisi approfondita e l'esame dettagliato delle predette poiche' e' sufficiente che si spieghino le ragioni che hanno determinato il convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. sez. 6, 4 maggio 2011 n.20092, Schowick; sez. 1, 22 maggio 2013 n.27825, Camello e altri). 5. Quanto al ricorso presentato nell'interesse dell'imputato (OMISSIS), la Corte osserva che la Corte territoriale non ha mancato di valutare il pericolo per le persone derivante dal lancio di torce illuminanti -pericolo la cui sussistenza in concreto poteva peraltro desumersi anche dalla circostanza che il lancio in campo era avvenuto durante la partita Milan-Torino del (OMISSIS), quindi in uno stadio affollato da diverse migliaia di spettatori mentre sul terreno di gioco erano in movimento i giocatori di entrambe le squadre e l'arbitro - facendosi specifico e adeguato riferimento nella motivazione della sentenza impugnata (f.18) all'avvenuto intervento dei Vigili del fuoco per spegnere i fumogeni. Quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non sembra che la passione sportiva o il comportamento deludente della squadra possano costituire elementi idonei ad essere valutati ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche che e' stato negato in considerazione del ruolo particolarmente attivo del (OMISSIS) in occasione dei lanci e dei suoi precedenti penali. Del resto la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell'articolo 62 bis c.p. e' oggetto di un giudizio di fatto e puo' essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talche' la stessa motivazione, purche' congrua e non contraddittoria, non puo' essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (Cass. sez. 6, 24 settembre 2008 n.42688, Caridi; sez. 6, 4 dicembre 2003 n.7707, Anaclerio). Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non e' quindi necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Cass. sez. 6, 16 giugno 2010 n.34364, Giovane). 6. Alla inammissibilita' dei ricorsi proposti nell'interesse degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) consegue ex articolo 616 c.p.p. la condanna dei predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000,00 ciascuno. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) perche' estinto il reato di cui al capo D per prescrizione; dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE ROBERTO Giovanni - Presidente Dott. LEO Guglielmo - Consigliere Dott. FIDELBO Giorgio - rel. Consigliere Dott. APRILE Ercole - Consigliere Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 13 febbraio 2013 emessa dalla Corte d'appello di Roma; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo; udite le richieste del sostituto procuratore generale, Alfredo Pompeo Viola, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), sostituto processuale dell'avvocato (OMISSIS), difensori delle parti civili costituite, che hanno concluso per l'inammissibilita' del ricorso; udito l'avvocato (OMISSIS) difensore dell'imputato, che ha insistito nel ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la decisione in epigrafe la Corte d'appello di Roma ha confermato la sentenza del 3 marzo 2009 con cui il Tribunale aveva ritenuto (OMISSIS) responsabile di interruzione di pubblico servizio, condannandolo alla pena di quattro mesi di reclusione e al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili. La contestazione del reato di cui all'articolo 340 c.p. si riferisce a due distinti episodi in cui l'imputato, secondo i giudici di merito, avrebbe interrotto alcuni servizi giornalistici televisivi in diretta: in particolare, il 26 giugno 2006 durante un collegamento in diretta con il TG 1 della (OMISSIS) (OMISSIS) si avvicinava alla giornalista (OMISSIS), che aveva appena cominciato a svolgere il suo servizio in diretta audio e video sullo scandalo cd. di "calciopoli", e facendosi inquadrare dalla telecamera pronunciava piu' volte la frase "Ho fatto sesso col Papa (OMISSIS) ha fatto sesso col Papa" percepibile attraverso il microfono della giornalista, costretta a restituire la linea e a rinunciare al servizio che sarebbe dovuto andare in onda; il (OMISSIS) (OMISSIS) metteva in atto un analogo comportamento, questa volta durante una diretta televisiva di Italia 1, entrando nell'inquadratura della giornalista (OMISSIS), che aveva iniziato il servizio per la trasmissione Studio Sport, ed esibendo prima un cartello con la scritta "Il Papa e' uno stronzo" e poi pronunciando la frase "Il Papa e' gay", costringendo, anche in questa occasione, ad interrompere il servizio televisivo. La Corte territoriale, sulla base di tale ricostruzione dei fatti, ha ritenuto corretta la decisione del primo giudice, in quanto il comportamento di disturbo dell'imputato, attraverso intromissioni a sorpresa nelle dirette televisive, ha cagionato l'interruzione dei relativi servizi di pubblica informazione, integrando il reato contestato. Anche sotto il profilo soggettivo i giudici di appello hanno considerato sussistente il reato, mettendo in rilievo che l'imputato, in entrambe le occasioni, ha agito con perfetta lucidita', dopo essersi informato sui luoghi in cui sarebbero stati realizzati i servizi televisivi, in un caso predisponendo in anticipo un cartello da esibire in video, sicche' appare evidente l'intenzione di disturbare e interrompere le trasmissioni operanti a livello nazionale. Infine, la Corte ha escluso l'ipotesi, sostenuta dalla difesa, dell'errore sul fatto costituente il reato, errore determinato dall'esistenza di precedenti pronunce assolutorie per fatti analoghi. 2. L'imputato ha presentato personalmente ricorso per cassazione, deducendo un unico e articolato motivo relativo alla inosservanza dell'articolo 340 c.p. e alla sussistenza della causa di ignoranza scusabile della legge penale ai sensi dell'articolo 5 c.p., dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988. Secondo il ricorrente i giudici di merito avrebbero dovuto riconoscere l'esistenza dell'ignoranza scusabile della legge penale in considerazione del fatto che in precedenza, per analoghe condotte, era stato assolto. In particolare, menziona la sentenza del Tribunale di Parma - sezione distaccata di Fidenza, del 3 dicembre 2000, che ha ritenuto il suo comportamento penalmente irrilevante, assolvendolo con la formula "il fatto non sussiste", precisando che questa sentenza lo avrebbe indotto in errore circa la liceita' del suo comportamento, errore indotto da una interpretazione giudiziaria che ha avuto ad oggetto lo stesso fatto e lo stesso reato. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il motivo proposto e' manifestamente infondato. 3.1. Il ricorrente non contesta la materialita' della sua condotta, ma adduce la sussistenza dell'ignoranza scusabile della legge penale ai sensi dell'articolo 5 c.p., sul presupposto di una precedente sentenza del Tribunale di Parma che, per un analogo episodio, lo aveva assolto. Invero, sul punto si e' gia' pronunciato il giudice del gravame, escludendo con motivazione pienamente condivisibile qualsiasi ipotesi di errore di fatto incolpevole o buona fede, idonea a interferire sull'elemento psicologico del reato, in quanto la precedente sentenza di assoluzione concerneva una fattispecie diversa, che non integrava una reale interruzione o turbativa del servizio pubblico, per cui non era da reputare idonea ad indurre nell'imputato la certezza della liceita' della sua condotta; peraltro, aggiungono i giudici di appello, proprio la precedente esperienza giudiziaria avrebbe dovuto indurlo a riflettere prima di reiterare un analogo comportamento. A cio' si puo' aggiungere che nel frattempo sono intervenute decisioni, ben note all'imputato, che hanno riconosciuto il rilievo penale di azioni del tipo di quelle poste in essere dall'imputato, sicche' appare difficile riconoscere un atteggiamento di buona fede nei confronti del (OMISSIS). Del resto, questa Corte ha costantemente affermato che l'inevitabilita' dell'errore su legge penale e la pretesa buona fede in base alla sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale non costituisce una causa indiscriminata di scusabilita', ma deriva da particolari situazioni in cui il predetto errore e' inevitabile, sicche' esiste sempre un obbligo, incombente su chi versa in un determinato contesto, di informarsi con diligenza sulla normativa esistente e sulla liceita' del suo comportamento e, nel caso, di dubbio, di astenersi dal porre in essere la condotta criminosa. 4. In conclusione, la manifesta infondatezza del motivo proposto determina l'inammissibilita' del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in euro 1.000,00; inoltre, il (OMISSIS) deve essere condannato a rimborsare le spese di questo grado di giudizio in favore delle parti civili costituite, che si liquidano in euro 3.000,00 oltre accessori, i.v.a. e c.p.a.. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. Condanna altresi' il ricorrente a rimborsare a ciascuna delle parti civili le spese di questo grado, che liquida in euro 3.000,00 oltre accessori, i.v.a. e c.p.a..
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI MILANO SEZIONE X CIVILE In persona del Giudice Istruttore, in finizione di Giudice Unico, dott. Damiano Spera, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al R.G. n. 68837/2006 + 75570/2006, promossa da VI.CH., con l'avv. Da.Bu. elettivamente domiciliato in Milano, presso e nello studio dell'avv. Bu. - attore - Contro TELECOM ITALIA S.P.A., con l'avv. Gi.Na. elettivamente domiciliata in Milano, presso e nello studio dell'avv. To. - convenuta - e F.C. S.P.A., con gli avv.ti Fa.Lu. e Al.Ca., elettivamente domiciliata presso e nello studio degli avv.ti Lu. e Ca. - convenuta e terza chiamata - Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione ritualmente notificato (R.G. n. 68837/2006), il sig. Christian Vi. conveniva in giudizio la società Telecom Italia S.p.A. chiedendo di accertare e dichiarare la condotta illecita ex art. 2043 c.c. del sig. Gi.Ta. - nella sua qualità di responsabile della funzione Security della società convenuta- e per l'effetto accertare e dichiarare la responsabilità ex art. 2049 c.c. della Telecom, condannandola al risarcimento in proprio favore di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti e patiendi e quantificati in Euro 12.000.000,00. A fondamento della propria domanda l'attore esponeva di aver appreso dai mezzi di informazione nel settembre 2006 che le proprie utenze telefoniche, fisse e mobili, venivano illecitamente intercettate, e comunque controllate, e che tali illecite attività sarebbero state compiute tramite il sig. Ta. (dirigente Telecom) su commissione della società sportiva In. presso cui l'attore era all'epoca tesserato. A riprova di quanto esposto, produceva in giudizio numerosi articoli estratti da quotidiani, successivamente integrati nel corso dell'istruttoria con materiale probatorio risultante dal procedimento penale in corso avanti alla Procura della Repubblica di Milano e riguardante - tra l'altro - anche i fatti contestati dall'attore, nonché una fattura emessa dalla società investigativa W.C. ed intestata alla FC.In. Si costituiva in giudizio la convenuta Telecom Italia S.p.A. contestando integralmente gli assunti attorei. Esponeva, in particolare, in via preliminare il proprio difetto di legittimazione passiva rilevando che i fatti esposti dall'attore si sarebbero svolti nel primo semestre dell'anno 2000, come comprovato dalla fattura della società W.C. citata dallo stesso attore e prodotta in giudizio dalla convenuta - unitamente ad altra della stessa società sub docc. 2 e 3, e che a tale epoca il sig. Ta. non era ancora dipendente Telecom, in quanto sarebbe stato assunto da tale società solo il 1.3.2003. A seguito della datazione dei fatti come sopra effettuata, eccepiva, in ogni caso, la convenuta la prescrizione di eventuali diritti al risarcimento del danno, essendo trascorsi oltre 5 anni tra la commissione dei fatti (primo semestre del 2000) e la richiesta di risarcimento (novembre 2006). Telecom chiedeva inoltre: - La riunione della causa con altra R.G. 75570/06 intrapresa dallo stesso attore nei confronti della FC.In. S.p.A. (cui chiedeva un risarcimento del danno pari ad Euro 9.250.000,00) innanzi allo stesso Tribunale e per i medesimi fatti; - il differimento della prima udienza al fine di consentire la chiamata in causa della stessa F.C., ritenuta responsabile dei fatti di causa per l'ipotesi di accoglimento delle domande attoree, e nei confronti della quale svolgeva domanda per essere garantita e manlevata. Si costituiva in giudizio, altresì, la terza chiamata eccependo in via preliminare e pregiudiziale di rito la nullità dell'atto di citazione notificatole per difetto assoluto dell'esposizione dei fatti e delle ragioni posti alla base della domanda di garanzia svolta nei suoi confronti. Nel merito, esponeva come non vi fosse stata alcuna attività di illecita intercettazione da parte della società calcistica, in quanto la stessa aveva commissionato attività investigativa nei limiti consentiti dall'art. 8 L. 300/70 e dall'art. 13 D.Lgs. 196/2003 (già art. 12, lett. h, L. 675/96 applicabile all'epoca dei fatti). La stessa, inoltre, chiedeva - come già fatto da Telecom - che venisse disposta la riunione della causa con l'altra R.G. 75570/06 e che venisse dichiarata inammissibile la domanda dell'attore in quanto prescritta. All'udienza del 27.9.2007, il Giudice - a scioglimento della riserva assunta - dichiarava la nullità della chiamata in causa della F.C. concedendo alla convenuta termine per la notifica di memoria integrativa e alla terza chiamata successivo termine per replica. Nella causa R.G. 75570/06, sopra citata, l'attore Vi. conveniva in giudizio la F.C. S.p.A. chiedendo di accertarne e dichiararne l'illecita condotta ai sensi dell'art. 2043 c.c. per gli stessi fatti materiali contestati a Telecom (ovvero l'illecita attività di investigazione sul traffico telefonico ai suoi danni, di cui lo stesso acquisiva notizia nel settembre 2006 tramite i mezzi di informazione) e per l'effetto condannare la convenuta al risarcimenti di tutti i danni patiti e patiendi che quantificava in Euro 9.250.000,00. Si costituiva in tale giudizio la F.C. S.p.A. contestando tutto quanto dedotto dall'attore e chiedendo: - in via pregiudiziale di rito di riunire la causa con quella R.G. 68837/06 essendo stata instaurata per gli stessi fatti e ove la convenuta si era già costituita in qualità di terza chiamata; - in via preliminare di merito di dichiarare inammissibile la domanda risarcitoria perché prescritta (individuando quale momento per la decorrenza della prescrizione il primo semestre 2000 con stessa motivazione di Telecom sopra esposta); - in via principale di rigettare tutte le domande perché infondate. All'udienza del 3.4,2008, veniva disposta la riunione delle due cause; la terza chiamata riproponeva l'eccezione di nullità anche con riferimento alla memoria integrativa notificatale da Telecom, ritenendo che anche in tale secondo atto non fossero esplicitate le ragioni di fatto e di diritto della chiamata in garanzia. Il Giudice riservava la decisione su tale eccezione al merito della causa concedendo i termini di cui all'art. 183, 6 comma, c.p.c. In particolare, l'attore nella propria memoria ex art. 183, 6 comma n. 1, ha precisato le proprie domande chiedendo che la richiesta condanna di Telecom avvenisse eventualmente in solido con l'In.Mi. All'udienza del 17.2.2009, con ordinanza emessa a seguito di riserva, il giudice decideva sulle poneste istruttorie delle parti, riservando al merito della causa la decisione in ordine al difetto di legittimazione passiva di Telecom ed alla prescrizione dei diritti attorei. Venivano quindi esperite le prove orali con escussione dei testi citati dalle parti. All'esito dell'istruttoria orale il G.I. disponeva consulenza tecnica d'ufficio medico - legale sulla persona dell'attore, nominando C.T.U. il dott. Ra.Ca. e il dott. Re.Ve. Terminate le operazioni peritali, stante il contrasto di opinioni sorto tra i predetti C.T.U, dopo il deposito di una prima bozza di relazione congiunta, venivano depositate due distinte relazioni peritali. All'udienza del 28.02.2012 il G.I. invitava le parti a conciliare la lite; successivamente le parti precisavano le conclusioni come in epigrafe trascritte; disposto lo scambio delle sole comparse conclusionali, all'udienza di discussione del 26.06.2012, la causa veniva trattenuta in decisione ai sensi dell'art. 281 quinquies cpv, c.p.c. Ritiene questo giudice che le domande proposte dall'attore meritino parziale accoglimento. Sulle questioni pregiudiziali e preliminari A) Sulla nullità della citazione della società FC.In. S.p.A. La FC.In. ha riproposto l'eccezione di nullità anche in riferimento alla memoria integrativa esponendo che anche in tale secondo scritto non fossero esplicitate le ragioni di fatto e di diritto della chiamata in garanzia. La difesa di parte Telecom, con la memoria integrativa in data 18.1.2008, ha ritenuto di aver correttamente assolto all'onere di allegazione di cui all'art. 163 c.p.c. precisando che le "ragioni di fatto" della propria domanda sarebbero il fatto descrittivo dell'illecito come indicato nel proprio atto di citazione e testualmente richiamato dalla convenuta nell'atto di citazione per chiamata di terzo; le "ragioni di diritto" sarebbero costituite dalla combinazione tra erronea attribuzione del fatto a Telecom e conseguente sua richiesta di manleva nei confronti dell'In. (vd. In particolare memoria integrativa pag. 10). Più precisamente dalla lettura complessiva del diritto atto processuale si rileva che Telecom "chiede di accertare e dichiarare che la responsabilità dell'evento sia riconducibile alla terza chiamata F.C. s.p.a. e conseguentemente che la medesima venga dichiarata tenuta e condannata a manlevare Telecom" (cfr. pag. 8). Le ragioni della chiamata in manleva possono meglio dedursi dalla pag. 5 del citato atto in cui si afferma che la chiamata in garanzia può essere fondata anche in un collegamento di fatto tra rapporti giuridici, senza alcuna connessione per il titolo (garanzia impropria). Si può, pertanto, ritenere che non sussistono ragioni di nullità della chiamata del terzo. Le ragioni esposte possono, infatti, essere contestate e criticate nel merito e nella loro fondatezza, ma formalmente l'atto non può ritenersi privo degli elementi di cui all'art. 163 c.p.c. B) Sul difetto di legittimazione passiva di Telecom Telecom, come sopra detto, eccepisce il difetto di legittimazione passiva in capo a sé ili quanto il soggetto ritenuto autore materiale dell'illecito (Ta.) non sarebbe stato suo dipendente all'epoca dei fatti (datati dalla stessa net primo semestre 2000) in quanto sarebbe stato assunto solo il 1.3.2003. Tale circostanza risulta in effetti comprovata dalla numerosa documentazione prodotta da Telecom il cui contenuto è stato anche confermato all'udienza del 22.10.2009 dal teste di parte Telecom Mi. Tuttavia, tale eccezione, all'esito dell'istruttoria, non appare fondata. Dalle deposizioni rese dai testi infra precisati, appare infatti che gli episodi di illecite investigazioni sul traffico telefonico dell'attore possono essere suddivisi in due tranches temporali. Una prima franche si sarebbe conclusa nel 2000 e ad essa si riferirebbero le fatture prodotte dalla convenuta sub docc. 2 e 3. Sul punto si veda la deposizione resa dal teste Ci. - (escusso all'udienza del 10.6.2010). Il Ci., escusso nella sua veste di investigatore, già amministratore della società Po.D'I., aveva materialmente compiuto l'attività di investigazione relativa a tale primo periodo su incarico di Ta. (all'epoca responsabile per la sicurezza di Pi.) il quale, a sua volta, avrebbe ricevuto richiesta in tal senso da parte della società calcistica In. Il teste precisava che la fatturazione di tale attività era stata effettuata nei confronti della committente Inter non direttamente dalla sua società, ma dalla società investigativa W.C. Ltd per soddisfare l'interesse della committente di rendere più difficilmente ad essa riconducibile tale attività di indagine. Il Ci. ha, altresì, confermato in toto le dichiarazioni rese in sede di indagine penale (prodotte dall'attore sub docc. 56 e 57). Da tali dichiarazioni è emerso che già nel 2000 erano state compiute - tra l'altro - investigazioni sul traffico telefonico non consistenti in intercettazioni, ma nell'individuazione delle chiamate in entrata ed in uscita dalle utenze del Vi. con associazione delle stesse chiamate al relativo titolare del numero telefonico. Il Ci. ha dichiarato, ancora: a) che l'incarico ricevuto comprendeva espressamente indagini sul traffico telefonico (poi effettuate); b) di aver ricevuto a tal fine alcuni numeri di telefono da controllare da parte di Ta. - che gli avrebbe riferito di averli a sua volta ricevuti dall'In. -; c) che il risultato di tali indagini era stato inserito in un dossier denominato "Pr.Ca." che era stato consegnato al committente le investigazioni (FC.In.), che aveva successivamente provveduto al pagamento. Precisava di non aver assistito alla materiale consegna del dossier a dirigenti In., ma di aver assistito a delle telefonate tra Ta. e la segretaria di Mo., cui veniva chiesto appuntamento, e di aver poi effettivamente ricevuto il pagamento del proprio lavoro da parte dell'In. a mezzo bonifico bancario. Anche il teste Tr.Pr. - sentito all'udienza del 26.10.2010 - ha confermato il conferimento di un'indagine investigativa negli anni 1999 e 2000, sebbene affermi che l'incarico era limitato alle sole attività lecitamente consentite dalla legge, precisando che i contatti con Ta. (all'epoca responsabile della sicurezza di Pi., come detto) avevano l'unica finalità di sapere in che modo agivano le altre società calcistiche ed, in particolare, se seguivano la vita privata dei calciatori. Altri testi hanno invece riferito di un secondo filone di controlli sui tabulati effettuato in epoca successiva. In particolare: il teste Tr.Pr. ha confermato la circostanza contenuta nel cap. 13 della memoria dell'attore 1.12.2008 e precisamente che agli inizi del 2004 la propria segretaria avrebbe contattato il sig. Ta. per riferire "guardi la cercherà il dott. Mo., ha bisogno di una mano, le chiederà una consulenza tra virgolette". Il capitolo è stato anche confermato dal teste Ta. (ud. 1.2.2011) sebbene questi abbia precisato che la "consulenza" riguardava i c.d. fatti di "calciopoli" e non Vi. La teste Pl. (dipendente Th. dal 2002 al 2004 e Telecom dal 2004 al 2006) (sentita all'udienza del 26.10.2010) ha dichiarato di aver ricevuto incarico da Bo. (dirigente Ti.) di effettuare un'indagine su Vi. La Pl., tramite il computer posto nell'ufficio di Bo., avrebbe provveduto ad annotare i numeri in entrata ed in uscita dalle utenze di Vi. che si ripetevano con maggiore frequenza prendendo degli appunti cartacei. Tale attività si sarebbe svolta negli anni 2002 o 2003. Solo successivamente avrebbe riportato su computer i risultati di tale attività; pertanto dichiarava che la data del 2004, rilevata in sede penale come data del suo lavoro dovrebbe riferirsi alla data di creazione dei files e non all'attività materiale compiuta. Il teste Ta. (udienza 1.2.2011) dichiarava di aver ricevuto nel 2004 incarico di investigazione da Bu. (vice presidente In. e amministratore delegato di Telecom). Precisava che tale investigazione veniva richiesta ai fini della valutazione dell'utilizzo di Vi. per una campagna pubblicitaria della Pi. A tal fine si rivolse al sig. Bo.( all'epoca responsabile della sicurezza di Ti.); a sua volta Bo. avrebbe provveduto nei termini dichiarato dalla teste Pl. (seppure la Pl. afferma che la richiesta da Bo. sarebbe giunta nel 2002 o 2003 e non nei 2004). Precisava, altresì, che l'indagine venne in seguito interrotta in quanto era venuto meno l'interesse allo sfruttamento dell'immagine di Vi. da parte della Pi. Sia il teste Ta. che il teste Ci. hanno smentito di aver consegnato alla società Internazionale l'elenco dei tabulati telefonici relativi a Vi. per questa seconda fase di indagini (capitolo 29 di parte attrice). Da quanto sopra, emerge che il coinvolgimento del sig. Ta. nella vicenda di cui trattasi, per sua stessa ammissione, si è avuto ancora almeno sino al 2004, epoca in cui era già alle dipendenza di Telecom (l'assunzione è del 1.3.2003), Si precisa poi che l'attore nella memoria ex art. 183, n,l, del 31.10,2008, ha esteso la richiesta dì accertamento di responsabilità, oltre che al Ta., anche a qualsivoglia altro dipendente, collaboratore, dirigente della Telecom. Tale estensione è da ritenersi precisazione della domanda consentita nella sede processuale utilizzata, tanto più che l'attore non ha svolto alcuna domanda diretta nei confronti dei dipendenti, ma solo nei confronti della Telecom nella sua veste di responsabile ex art, 2049 c.c.; risulta quindi priva di pregio l'eccezione sollevata da Telecom nella propria memoria 183 n. 2 per la quale la precisazione costituirebbe domanda nuova non consentita. C) Sulla prescrizione del diritto dell'attore al risarcimento del danno Ai sensi dell'art. 2947 c.c. la prescrizione del diritto al risarcimento del danno extracontrattuale si verifica con il decorso di cinque anni dall'epoca della commissione dell'illecito. L'attore, nella propria memoria ex art. 183 n. 1, ha precisato che la prescrizione inizierebbe a decorrere dal momento in cui si verifica la lesione del diritto che nel caso di specie sarebbe avvenuta solo nel 2006, quando lo stesso avrebbe appresso delle intercettazioni per il tramite dei mass media. Se è vero, infatti, che la violazione della privacy sarebbe avvenuta in epoca antecedente, è solo in tale momento che l'attore ha preso consapevolezza della illecita intromissione nella propria sfera privata, con conseguenti sofferenza e asserito danno biologico. La conoscenza in tale momento temporale sarebbe confermata dai testi di parte attrice Sa., e Ri. (escusse all'udienza del 22.10.2009) e Ve.Vi. (udienza 12.5.2010). L'eccezione di prescrizione è infondata. Ha statuito, infatti, la Suprema Corte di Cassazione che "In tema di risarcimento dei danno da fatto illecito, la prescrizione decorre noti dal momento in cui il fatto del terzo determina ontologicamente il danno all'altrui diritto, bensì da quello in cui la produzione del danno si manifesta all'esterno, divenendo conoscibile, ossia dal momento in cui il danneggiato abbia avuto - o avrebbe dovuto avere, usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche - sufficiente conoscenza della rapportabilità causale del danno lamentato. "(Cass. Sentenza n. 12699 del 25/05/2010, nonché sempre in tal senso Cass. Sez. U. Sentenza n. 516 del 11/01/2008). Tale principio, oltre che essere autorevolmente affermato, appare pienamente condivisibile al fine di garantire effettiva tutela dei diritti alla luce del principio costituzionale garantito dall'art. 24 Cost. oltre che del generale disposto di cui all'art. 2935 c.c. Ad ogni modo, dall'istruttoria è emersa la commissione di nuove attività di illecito controllo del traffico telefonico anche negli anni 2002 o 2003 (come riferito dal teste Pl.) ovvero successivamente nel 2004 (come riferito dal teste Ta.); rispetto a tali fatti la domanda dell'attore (novembre 2006) sarebbe comunque tempestivamente proposta. Sulla responsabilità delle convenute a) Prova dell'an commissione di illecita attività di controllo del traffico telefonico Dall'istruttoria della causa può ritenersi accertata la commissione di un fatto illecito commesso ai danni dell'attore Ch.Vi., consistente nell'abusivo controllo del traffico telefonico in entrata ed in uscita dalle utenze allo stesso intestate. La prova può ritenersi raggiunta dalle dichiarazioni rese dai testi, in particolare Pl. e Ta., implicati nei fatti in prima persona, nonché del teste Ci., le cui dichiarazioni, seppure riferibili agli anni 1999-2000, hanno comunque rilievo ai fini di chiarire il modus operandi della società calcistica FC.In. anche in relazione alla seconda tronche di controlli avvenuti in epoca successiva. Valore solo indiziario ai fini della valutazione complessiva delle risultanze istruttorie e non di prova possono, invece, avere i numerosi documenti prodotti e facenti parte del procedimento penale (assunti senza possibilità di contraddittorio con le parti del presente giudizio) nonché i vari articoli di giornali privi di per sé di valore probatorio. b) Imputabilità Quanto all'imputabilità dei fatti accertati in capo alle società convenute, occorre rilevare quanto segue, b.1) Sulla responsabilità di Telecom L'attore ritiene responsabile la società di telecomunicazioni ai sensi dell'art, 2049 c.c. per essere stata l'illecita attività compiuta tramite propri dipendenti. La società si difende sostanzialmente affermando in primo luogo il mancato rapporto di lavoro all'epoca dei fatti (ma tale eccezione è da ritenersi superata come sopra rilevato) e comunque la mancanza di propria responsabilità per avere il Ta. agito per scopi estranei rispetto alle sue mansioni e comunque per soddisfare un proprio interesse privato. Tale difesa, tuttavia, non vale ad escludere la responsabilità di Telecom ex art. 2049 c.c., attesa l'acclarata responsabilità ex art, 2043 c.c. dei suoi dipendenti. Infatti "La responsabili là indiretta ex art. 2049 cod. civ. del datore di lavoro per il fatto dannoso commesso dal dipendente non richiede che ira le mansioni affidate all'autore dell'illecito e l'evento sussista un nesso di causalità, essendo sufficiente che ricorra un rapporto di occasionalità necessaria tale per cui le funzioni esercitate abbiano determinato o anche soltanto agevolato la realizzazione del fatto lesivo. E irrilevante, pertanto, che il dipendente abbia superato i limiti delle mansioni affidategli, od abbia agito con dolo e per finalità strettamente personali." (Cass. sentenza n. 17836 del 22/08/2007; Cass. sentenza n. 1516 del 24/01/2007). E' sufficiente, quindi, la dimostrazione del compimento dell'illecito da parte del dipendente per determinare una declaratoria di responsabilità della convenuta ex art. 2049 c.c. Dall'istruttoria è, appunto, emerso un diretto coinvolgimento del sig. Ta. (per i fatti del 2004) nonché del dott. Bu. (nella duplice veste di vice presidente In. e amministratore delegato Telecom e sempre per il medesimo arco temporale) con conseguente estensione della responsabilità in capo al datore di lavoro. b.2) Sulla responsabilità dell'In. L'attore ritiene responsabile la società sportiva per avere commissionato le investigazioni nei suoi confronti. La società si difende affermando di essersi limitata a commissionare attività lecita di controllo ai fine di verificare la professionalità del proprio dipendente Vi. Occorre quindi verificare se l'In. possa essere ritenuta responsabile dei fatto che determinati soggetti da lei incaricati abbiano eventualmente travalicato i limiti dell'incarico svolgendo attività illecita, e quindi se lo svolgimento di tale attività illecita da parte dell'incaricato valga ad interrompere il nesso di causalità. In realtà, come sopra già evidenziato, il teste Ci. (coinvolto negli episodi relativi all'anno 2000) ha dichiarato che l'incarico di investigazione attribuitogli riguardava espressamente anche il controllo del traffico telefonico riferibile all'attore. In ogni caso, però, anche a voler ritenere che il controllo sul traffico telefonico non abbia costituito oggetto di specifico incarico, la società sportiva sarebbe comunque responsabile per l'attività illecita commessa in esecuzione dell'incarico dalla stessa commissionato. Occorre, in primo luogo, premettere che per costante giurisprudenza della Suprema Corte il nesso di causalità materiale - richiesto dall'art. 2043 cod. civ. in tema di responsabilità extracontrattuale - tra un'azione ed un evento sussiste in applicazione del principio della "conditio sine qua non", temperato da quello della regolarità causale, sottesi agli artt. 40 e 41 cod. pen. (expluribus Cass. sentenza n. 8096 del 06/04/2006). Ciò premesso, il nesso di causalità viene ritenuto interrotto solo a seguito del verificarsi di un fatto imprevisto ed imprevedibile idoneo di per sé a cagionare l'evento (In tal senso, tra numerose, Cass. sentenza ". 8096 del 06/04/2006 sopra citata e Cass. sentenza n. 18094 del 12/09/2005). Nel caso di specie, la commissione del fatto illecito consistente nell'indebita intrusione nella sfera privata altrui mediante il controllo del traffico telefonico - quand'anche non fosse stato espressamente commissionato - non può ritenersi evento imprevisto ed imprevedibile. Nel caso di cui trattasi, infatti, poiché la società calcistica si era rivolta al dirigente di una nota società di telecomunicazioni per l'espletamento di "una consulenza tra virgolette" (vedi deposizioni testimoniali sopra riportate), si può ragionevolmente ritenere che la richiedente avesse intenzione di estendere l'indagine anche a controlli sui tabulati telefonici. Ciò, a maggior ragione, se si considera il modus operandi già tenuto nelle precedenti investigazioni compiute negli anni 1999-2000 sulle quali ha riferito il teste Ci. Questi, infatti, ha dichiarato che già a quell'epoca si erano svolti dei controlli sul traffico telefonico del Vi. e di tale attività l'Inter (indicata come committente) era stata resa edotta tramite il report ad essa consegnato (c.d. "Pr.Ca."). Se a ciò si aggiunge che già nel 2000 l'attività investigativa era stata compiuta materialmente dal Ci., ma per il tramite del sig. Ta. (all'epoca, come detto, dipendente di altra società) deve affermarsi che il dirigente In. (indicato nel vice presidente dott. Bu.) nel momento in cui procedeva a conferire l'incarico di investigazione allo stesso Ta. poteva ben prevedere come possibile l'esecuzione di illecite attività di controllo anche del traffico telefonico del dipendente (Vi.). Deve pertanto dichiararsi anche la responsabilità della F.C. ai sensi dell'art. 2043 c.c. Alla luce di quanto esposto deve dichiararsi quindi la responsabilità solidale di entrambe le convenute nella produzione dei danni subiti dall'attore. L'unicità del fatto dannoso richiesta dall'art. 2055 cod. civ. ai fini della configurabilità della responsabilità solidale degli autori dell'illecito va intesa in senso non assoluto, ma relativo, sicché ricorre tale responsabilità, volta a rafforzare la garanzia del danneggiato e non ad alleviare la responsabilità degli autori dell'illecito, pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni o omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno, a nulla rilevando, a differenza di quanto accade nel campo penalistico, l'assenza di un collegamento psicologico tra le stesse (vedi da ultimo Cassazione, sentenza n. 6041 del 12/03/2010). Sul risarcimento del danno L'attore ha allegato di aver subito sta danni patrimoniali che non patrimoniali. a) Danno patrimoniale Allo stato non risultano danni patrimoniali accertati. Non può, infatti, ritenersi provato che i fatti per cui è causa abbiano determinato per l'attore minori possibilità di guadagno; ed invero tale circostanza è dedotta in modo del tutto generico quale compromissione della "possibilità che l'esponente vengo ingaggiato da un grande club per il futuro", senza però dar conto di quale sia il nesso di causalità tra il fatto dedotto e tale specifico danno. Al contrario è stato dedotto in atti dalla convenuta Telecom (oltre che essere confermato dallo stesso attore vedi doc. 17) che il sig. Vi. ha concluso un contratto di ingaggio con la società At. ed ha giocato per la predetta squadra anche in epoca successiva alla diffusione della conoscenza dei fatti per cui è causa a mezzo dei mass media; successivamente, lo stesso ha anche giocato con la società calcistica Fi. A ciò aggiungasi che proprio l'età del giocatore (33 anni), oltre che il notorio infortunio dallo stesso subito proprio nel 2006, costituiscono eventi che secondo la normalità dei casi nel settore calcistico influenzano negativamente ed in modo determinante le aspettative di carriera di giocatori di calcio professionisti, specie se ingaggiati nel ruolo specifico rivestito dall'attore (attaccante). Non risulta affatto provato il nesso di causalità tra gli illeciti oggetto del presente giudizio e la mancata partecipazione dell'attore ai Campionati del Mondo di calcio. Dall'istruttoria orale espletata è emerso chiaramente che l'attore si era infortunato durante la partita Paris Saint Germain Monaco del 26 marzo 2006 e che successivamente venne sottoposto a due operazioni, la prima in data 9.05,2006 e la seconda nel novembre del 2006; solo nel febbraio del 2007 l'attore ricominciò ad allenarsi con la squadra dell'At. Risulta evidente che l'impossibilità per l'attore di partecipare ai Mondiali di Calcio è derivata esclusivamente dall'infortunio avvenuto in prossimità delle convocazioni (maggio 2006) per i Campionati del Mondo di calcio (vedi deposizione del teste Fa.Mo. resa all'udienza del 12.05,2010). Parimenti non risultano provati i danni lamentati dall'attore per la perdita di ingaggi da parte di prestigiose società calcistiche e per la asserita "carriera stroncata" (così menzionata dall'attore in comparsa conclusionale). L'attore, all'epoca dei fatti ma soprattutto all'epoca del grave infortunio che gli ha impedito di svolgere la propria professione per quasi un anno e di partecipare ai Mondiali, aveva 33 anni; tale circostanza ha sicuramente inciso sulle prospettive di ripresa e di carriera dell'attore negli anni successivi alle vicende per cui è causa. Tuttavia lo stesso attore, durante il colloquio del 6 luglio 2011 con i nominati C.T.U. ha affermato: "mi hanno cercato per giocare in Brasile...mi avrebbero fatto un contratto milionario" e ancora nel colloquio del 5.10.2011: "ho avuto un'offerta ora a settembre di giocare ancora in Brasile con due anni di contratto...ma non me la sento". Non risulta inoltre provato il danno patrimoniale dall'allegata mancata conclusione di contratti in qualità di "testimonial" in conseguenza dei fatti illeciti di cui è causa. Alla luce di quanto esposto ritiene questo Giudice che la domanda di risarcimento del danno patrimoniale lamentato dall'attore debba essere integralmente rigettata. b) Danno non patrimoniale da lesione del bene salute Viene allegato un danno alla salute consistente in episodi di insonnia, stati di ansia, mutamento delle proprie abitudini di vita a causa della consapevolezza di essere stato "spiato". Le dichiarazioni dei testi Sa., Ri. e Ve.Vi. attestano l'insorgere dei sintomi sopra indicati a seguito all'apprendimento da parte dell'attore dei fatti illeciti commessi in suo danno (conoscenza avvenuta nel settembre 2006 dai mezzi di informazione). Le dichiarazioni dell'attore e dei testi sopra citate riferiscono dell'insorgere di un evidente stato di malessere con immediata successione temporale rispetto alla conoscenza dei fatti per cui è causa. L'attività illecita, sopra descritta ed accertata, ha senz'altro comportato una indebita invasione della sfera privata dell'attore con innegabile e comprovata sofferenza da parte di quest'ultimo. Tale stato di sofferenza, però, non è di per sé sufficiente a dimostrale la causazione di un danno biologico diverso e più grave rispetto alla mera sofferenza transeunte e tale da determinare una lesione del bene salute culminante in episodi di insonnia, stati di ansia, che a loro volta avrebbero provocato mutamento nelle abitudini di vita e quindi una vera e propria patologia clinica definita dal perito di parte attrice "disturbo dell'adattamento cronico con ansia" (doc. 36). Occorre rilevare che sul punto è emersa una notevole divergenza di opinioni tra i due C.T.U. incaricati dal Tribunale per verificare se sia insorta nell'attore una malattia psichiatrica riconoscibile e diagnosticabile e, nell'ipotesi affermativa, se tale malattia sia stata causata o concausata dagli atti lesivi della privacy dell'attore. Secondo un primo orientamento, condiviso da entrambi i consulenti tecnici nella bozza di relazione peritale inviata ai C.T.P., pur dando atto del disappunto, del fastidio, del disturbo del sonno e del timore di essere ancora oggetto di pedinamenti e intercettazioni riferiti dall'attore anche messi insieme, segni e sintomi siffatti non costituiscono uno stato di "malattia" collocabile in qualche casella diagnostica" (pag. 10 della bozza di relazione peritale). Analizzando i test psicodiagnostici effettuati dalla dott.ssa Ap. i C.T.U. rilevavano che "al test di Rorschach emerge, sì, "una condizione depressiva (DEP15) " che, però, la psicologa accortamente definisce "non primaria, correlatile ad un deficit nella capacità di gestione delle richieste sociali e relazionali (CDI positivo)". "Condizione" che non necessariamente configura un Disturbo dell'Umore; e che, di certo, dipende da fattori personologici e non da questo o quell'evento di vita (pag. 12 della bozza di relazione peritale). I consulenti tecnici concludevano pertanto affermando che "né l'osservazione clinica, né l'indagine psicocliagnostica consentono di rilevare, in oggi, segni e sintomi atti a configurare una malattia psichica riconoscibile e diagnosticabile secondo le più note e diffuse nosografie"; inoltre "manca del tutto documentazione medica atta a consentire la ricostruzione di una plausibile storia clinica. Né possono essere tratti elementi dì giudizio dalle prove testimoniali. I testi, infatti, parlano di disturbi del sonno, di ansia, di depressione; ma si tratta dì locuzioni generiche". Tuttavia, concluse le indagini medico - legali sulla persona dell'attore, i C.T.U. hanno depositato due distinte relazioni peritali, dando atto dell'insorgenza di contrasti di opinioni tali da rendere impossibile la produzione di un unico elaborato. Nello specifico il dott. Ra.Ca. ha confermato le considerazioni precedentemente svolte nella bozza di relazione peritale, sottolineando che: "da un punto di vista strettamente obiettivo, fatti come quelli accaduti, pur gravi e riprovevoli, ben difficilmente possono ritenersi causa di vera e propria malattia psichica". "gli sparsi sintomi soggettivi riferiti dal signor Vi. sono ben lontani dal costituire un quadro psicopatologico diagnosticabile come "malattia"; "l'assoluta mancanza di documentazione clinica non consente di ricostruire una plausibile storia clinica; che, per di più, daterebbe da ben cinque lunghi anni. Cosa impossibile anche alla luce dei test; (...) Pertanto, nessuna malattia psichica attuale -che qui non c'è - si potrebbe, in ogni caso, collegare causalmente con i fatti di causa". A conclusioni diverse è giunto il C.T.U. dott. Re.Ve. il quale, modificando il primo orientamento espresso nella bozza di relazione peritale, ha affermato che: - "si ritiene che il signor Ch.Vi. sia affetto da una malattia psichiatrica riconoscibile e diagnosticabile: si tratta di un disturbo paranoide di personalità con manifestazioni associate di tipo fondamentalmente depressivo e con ansia persecutoria. Per talune caratteristiche di insorgenza il disturbo può essere assimilato ad un c.d. "disturbo post-traumatico da stress", ai fini della valutazione medico - legale; "l'epoca di insorgenza del disturbo non è databile atteso che trova la sua radice, come tutti i disturbi di personalità, nella particolare vulnerabilità del soggetto e nelle sue antiche esperienze dì vita (...) Certamente databile l'epoca dello scompenso psicopatologico, che può agevolmente essere fatto coincidere con lo stress emotivo causalo dall'aver appreso d'essere staio oggetto di pedinamenti e intercettazioni nel 2006"; "la psicopatologia descritta è stata sicuramente concausata dagli atti lesivi della privacy dell'attore commessi dal 2000 in poi"; circa la sussistenza e la valutazione quantitativa del danno, inteso come danno biologico permanente, risulta equa una valutazione mediana del 20%, "tenuto conto della gravità dei disturbi ma anche del fatto che non sembra che l'evento traumatico possa assumere valore causale esclusivo"; "l'attività lavorativa di calciatore (...) è stata certamente e gravemente influenzata negativamente e totalmente fino ad oggi"; "per quanto riguarda le spese sostenute riteniamo che siano giustificate. Per quanto concerne eventuali spese future riteniamo che sarebbe auspicabile e opportuno che signor Vi. si sottoponesse a una psicoterapia di lunga durata. Ipotizzando un costo medio a seduta di euro 120 - 150 per (come minimo) una volta la settimana, per 2-3 anni, si può ritenere attendibile una spese complessiva dì circa euro 15.000 - 20.000". Questo giudice condivide le argomentazioni e le conclusioni cui è pervenuto il C.T.U. dott. Ra.Ca., con metodo corretto ed immune da vizi logici o di altra natura. Occorre preliminarmente osservare che con istanza depositata in data 29.07.2011, F.C. S.p.A. rilevava che durante lo svolgimento delle operazioni peritali parte attrice, per il tramite del proprio consulente tecnico di parte, aveva irritualmente prodotto documentazione medica dell'attore (relazione peritale e test psico - diagnostici) senza una preventiva autorizzazione del Giudice istruttore in tal senso; il G.I., con provvedimento del 13.09.2011, non autorizzava alcuna ulteriore produzione documentale e confermava l'iter della C.T.U. già predisposto. Nonostante l'assenza di tale documentazione e la mancata autorizzazione del Giudice alla produzione di nuovi documenti nel corso delle operazioni peritali, il dott. Re.Ve. ha ritenuto invece che "seppure formalmente non sia stata acquisita, nondimeno rappresenta un elemento di valutazione aggiuntivo essendo stato acquisito in sede di c.t.u., attraverso le parole stesse del signor Vi., che ha sostenuto di essere stato visitato per i suoi disturbi in 2 occasioni da uno specialista psichiatra e di essere tuttora in terapia con psicofarmaci (ansiolitici e ipnotici)". L'assenza di documentazione medica attestante lo stato di salute dell'attore dal giorno bell'asserito evento traumatico ad oggi rileva invece, secondo l'impostazione seguita dal dott. Ca. e condivisa da questo giudice, in quanto l'accertamento medico - legale non può fondarsi sulla mera soggettività, dovendo al contrario trovare riscontro in referti clinici e documentazione medica idonea. L'attore, prima dell'espletamento dell'esame medico - legale e nei termini perentori a tal fine concessi, non ha prodotto alcuna documentazione medica; non possono ritenersi sufficienti a provare lo stato psicopatologico del soggetto le dichiarazioni dallo stesso rese relative a 2 colloqui con uno specialista psichiatra. Non vi sono inoltre riscontri obiettivi che consentano di affermare che l'attore sia tuttora in terapia con psicofarmaci (non vi è alcuna prescrizione medica agli atti). Ritiene pertanto questo Giudice di aderire alle conclusioni del dott. Ra.Ca., in un primo momento condivise anche dal C.T.U. Re.Ve.; non risulta provata l'insorgenza di una malattia psico - fisica in capo all'attore a seguito dei fatti di cui è causa e pertanto nessuna somma può essere liquidata a titolo di danno biologico (permanente e temporaneo). c) Danno non patrimoniale da lesione del diritto alla privacy L'attore, nell'atto introduttivo del presente giudizio, sia pure senza introdurre nel giudizio un'esplicita domanda in tal senso, ha invocato altresì la responsabilità di Telecom Italia S.p.A. ai sensi dell'art. 2050 c.c. in quanto richiamato dall'art. 15 del D.lgs 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali). Ebbene, ai fini della valutazione del danno risarcibile, giova evidenziare che l'art. 15 citato dispone altresì che "il danno non patrimoniale è risarcibile anche in caso di violazione dell'articolo il" della stessa legge. L'art. 11 dispone: "I dati personali oggetto di trattamento sono: a) trattati in modo lecito e secondo correttezza; b) raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, ed utilizzati in altre operazioni del trattamento in termini compatibili con tali scopi; c) esatti e, se necessario, aggiornati; d) pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati; e) conservati in una forma che consenta l'identificazione dell'interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati". Alla luce di quanto esposto risulta acclarata la violazione della norma citata in relazione alle disposizioni di cui alle lettere a), b) e d). Tale violazione comporta il diritto del danneggiato anche al risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. Infatti, come confermato anche dalla giurisprudenza della Suprema Corte, "Il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi "previsti dalla legge", e cioè, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ.: ... (omissis)... quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al dì fuori di una ipotesi di reato (ad es., nel caso di illecito trattamento dei dati personali ....)" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008; in tal senso anche Cass. Sentenza n. 12433 del 16/05/2008). Tuttavia il danno non patrimoniale non è in re ipsa e deve essere provato in giudizio, anche mediante presunzioni. Come sopra rilevato, le prove testimoniali hanno comprovato che l'apprendimento della notizia di aver subito una rilevante violazione della propria vita privata ha comportato per l'attore una indubbia sofferenza. Tale circostanza appare del resto verosimile in quanto può ritenersi massima di comune esperienza che un'indebita intromissione nella propria sfera privata da parte di soggetti estranei, tanto più quando viene effettuata in modo subdolo e con modalità illecite, ingenera nella vittima uno stato di sofferenza. Del resto anche l'espletata C.T.U. ha confermato uno stato di disagio, malessere, ansia e sofferenza psico-fisica che - sebbene inidoneo a comprovare la lesione (temporanea e permanente) del diritto alla salute - integra il danno non patrimoniale in esame. Ai fini della liquidazione del danno deve altresì tenersi conto della durata dell'attività illecita delle convenute, protrattasi per circa 4 anni e dell'enorme (acclarato) effetto mediatico che ha certamente aggravato lo stato di inquietudine e di ansia dell'attore. In definitiva ritiene il Tribunale aderente alla fattispecie concreta liquidare il danno non patrimoniale da lesione del diritto alla privacy patito dall'attore, nella complessiva somma, equitativamente determinata e rivalutata ad oggi, di Euro 1.000.000,00 (un milione). Su tale importo devono essere riconosciuti gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell'equivalente pecuniario del bene perduto. Gli interessi compensativi - secondo l'ormai consolidato indirizzo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (v. sentenza n. 1712/1995) - decorrono dalla produzione dell'evento di danno sino al tempo della liquidazione; per questo periodo, gli interessi compensativi si possono calcolare applicando un tasso annuo medio ponderato, equitativamente determinato, sul danno rivalutato. Da oggi, giorno della liquidazione, all'effettivo saldo decorrono gli interessi legali sulla somma rivalutata. Pertanto, alla luce degli esposti criteri, le convenute, in solido, devono essere condannate al pagamento, in favore dell'attore, della complessiva somma di Euro 1.000.000,00, liquidata in moneta attuale, oltre: interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato dell'1,5%, sulla somma di Euro 1.000.000,00, dall'1.10.2006 (data in cui l'attore aveva certamente consapevolezza dell'attività illecita) ad oggi; interessi, al tasso legale, sempre sulla somma di Euro 1.000.000,00, dalla data della presente sentenza al saldo effettivo. Non risultano provati ulteriori titoli di danno. In particolare non è provato un ulteriore danno all'immagine, atteso che negli articoli di stampa prodotti non risulta trascritto il contenuto delle comunicazioni e Vi. viene indicato esclusivamente quale vittima dell'attività illecita posta in essere dalle convenute. Né per altro verso può essere accolta la domanda di risarcimento del danno esistenziale, inteso quale danno svincolato dalla lesione di uno specifico bene protetto. Giova infatti richiamare quanto ritenuto dalla citata sentenza n. 26972/2008: "Il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata "danno esistenziale", perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell'atipicità". In definitiva "di danno esistenziale come autonoma categoria di danno non è più dato discorrere". Come si è innanzi accennato il danno non patrimoniale risarcibile ex art. 2059 c.c. deve essere conseguenza della lesione del bene salute o di altro diritto inviolabile, ovvero di un fatto illecito integrante una fattispecie di reato oppure un'altra ipotesi espressamente prevista dalla legge. Le spese della consulenza tecnica d'ufficio vanno poste a carico delle convenute in solido. Alla luce di quanto esposto non sono rilevanti e devono essere quindi rigettate le ulteriori istanze istruttorie riproposte dalle parti all'udienza di precisazione delle conclusioni. Consegue alla prevalente soccombenza la condanna delle convenute, in solido, a rifondere all'attore 2/3 delle spese processuali da distrarsi in favore dell'avv. Da.Bu. procuratore antistatario ex art. 93 c.p.c., dichiarandole compensate tra le parti per il rimanente terzo. Quanto al rapporto processuale tra le parti Telecom e In.Mi., per tutte le ragioni sopra addotte entrambe le società devono essere ritenute solidalmente responsabili del danno subito dall'attore e pertanto la domanda formulata, in via subordinata, dalla prima società nei confronti della seconda di essere garantita e manlevata deve essere rigettata. Tenuto conto della necessaria partecipazione al giudizio della società calcistica a seguito della riunione del procedimento R.G. n. 68837/06 con quello R.G. 75570/06 in cui la medesima era convenuta e dell'esito finale dei giudizi riuniti, concorrono giusti motivi per dichiarare integralmente compensate le spese processuali tra l' F.C. S.p.a. e la Telecom Italia S.p.a. La presente sentenza è dichiarata provvisoriamente esecutiva ex lege. - P.Q.M. - Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, così provvede: dichiara la responsabilità di Telecom Italia S.p.a. e di F.C. S.p.a. nella produzione dei danni subiti dall'attore; condanna le convenute, in solido, al pagamento, in favore dell'attore, della somma di Euro 1.000.000,00 (un milione), oltre interessi, come specificati in motivazione; pone le spese della consulenza tecnica d'ufficio a carico delle convenute, in solido; rigetta le altre domande ed istanze proposte dalle parti; condanna le convenute, in solido, a rifondere all'attore i 2/3 delle spese processuali, che, in tale proporzione, liquida in Euro 3.195,00 per esborsi ed Euro 35.000,00 per l'attività difensiva complessivamente svolta, oltre I.V.A. e C.P.A., da distrarsi in favore dell'avv. Da.Bu., procuratore antistatario ex art. 93 c.p.c., dichiarandole compensate tra le parti per il rimanente terzo; dichiara integralmente compensate le spese processuali tra le altre parti; - dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva. Così deciso in Milano, il 4 agosto 2012. Depositata in Cancelleria il 3 settembre 2012.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GRASSI Aldo - Presidente Dott. CARROZZA Arturo - Consigliere Dott. AMATO Alfonso - Consigliere Dott. OLDI Paolo - Consigliere Dott. VESSICHELLI Maria - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1) PA. PA. , N. IL (OMESSO); 2) P. N. , N. IL (OMESSO); avverso la sentenza n. 494/2008 CORTE APPELLO di BARI, del 09/02/2009; visti gli atti, la sentenza e il ricorso; udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/10/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI; Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Fodaroni Maria Giuseppina, che ha concluso per il rigetto; Udito, per la parte civile, l'Avv. Romito per eredi di Ci. Fr. , Piccolo per Ci. Ni. ; Udito il difensore avv. Sisto per P. ; avv. Preziosi in sost. Dell'avv. Castellanche' per entrambi i ricorsi. FATTO E DIRITTO Propongono ricorso per Cassazione Pa. Pa. e P. N. avverso la sentenza della Corte di appello di Bari in data 9 febbraio 2009 con la quale e' stata confermata quella di primo grado, affermativa della loro responsabilita' in ordine al reato, rispettivamente ascritto, di diffamazione a mezzo stampa in danno di Ci. Ni. e Ci. Fr. e di omesso controllo. Come si legge nella sentenza di primo grado, l'articolo di stampa contenente le frasi ritenute lesive della reputazione della parte civile era stato pubblicato sulla (OMESSO) del (OMESSO), in uno spazio dedicato ad una inchiesta sui concorsi universitari a cattedra nella area accademica di (OMESSO) e agli esiti dei ricorsi amministrativi collegati, rivelatori, ad avviso dell'autore dell'articolo, di illegittimita' che si potevano spiegare anche in ragione di possibili favoritismi dovuti a rapporti di stretta parentela tra il candidato e taluni cattedratici, legati a loro volta, a vario titolo, ai componenti delle commissioni esaminatrici. In particolare nell'articolo incriminato, affiancato da altri approfondimenti sul tema (un ulteriore pezzo riguardava l'indagine avviata dalla locale Procura dopo l'annullamento, ad opera dello stesso Tar, di altro concorso riguardante parimenti uno stretto congiunto di un cattedratico del luogo), era stata rievocata la vicenda universitaria del prof. Ci.Ni. , figlio del prof. Ci.Fr. , vincitore di un concorso accademico poi annullato dal Tar: i due cattedratici si erano poi querelati sostenendo in giudizio che le frasi ad essi dedicate erano zeppe di inesattezze e riguardavano eventi privi di interesse sociale in quanto risalenti a tre anni prima (il (OMESSO)). La tesi sostenuta dalla Corte di appello, al pari dell'assunto del primo giudice, era quella della sussistenza delle ipotesi criminose contestate anche e soprattutto per la inoperativita' della causa di giustificazione del diritto di cronaca. In particolare i giudici del merito rilevavano che difettava il requisito della "pertinenza", ossia della attualita' dei fatti narrati, costituente uno degli elementi atti a sostanziare, assieme alla continenza e alla verita' del fatto, la detta scriminante. Invero, la attualita' della notizia era esclusa dal rilievo che i fatti riguardanti il Ci. risalivano a tre anni prima. I giudici escludevano anche che le espressioni utilizzate ("parentopoli accademica"; "scoperchio' la pentola"; "dottore bocciato") presentassero il connotato della "continenza". Infine negavano che il fatto narrato fosse vero poiche' i favoritismi che secondo l'articolista potevano essere provenuti alla parte civile dal padre, professore nella stessa universita', erano prospettati in base al rilievo della affinita' delle cattedre di rispettivo interesse, mentre tale affinita' non era affatto ravvisabile: il Prof. Ci.Fr. era titolare della cattedra di procedura civile (e non di diritto civile come scritto) mentre suo figlio aspirava alla cattedra di diritto privato. Deducono i ricorrenti: 1) il vizio totale di motivazione riguardo ai motivi di appello. La sentenza di secondo grado si era limitata a ripercorrere il ragionamento del primo giudice. In tal senso si era determinata con riferimento al requisito (escluso) della attualita' della notizia. Invece era stato ignorato il rilievo della difesa volto a far notare che l'articolo incriminato non era isolato ma pubblicato assieme ad altri due articoli i quali narravano di altri concorsi universitari finiti al vaglio della medesima autorita' amministrativa che aveva annullato la procedura concorsuale riguardante la parte civile Ci. Ni. . Inoltre quest'ultima vicenda era iniziata tre anni prima ma si era conclusa nel (OMESSO) con la assegnazione ad altro candidato del posto universitario cui aspirava la menzionata parte civile. Ugualmente erano stati ignorati i rilievi difensivi volti a contrastare l'assunto del primo giudice sulla "falsita'" della notizia data. Tale connotato era derivato, a parere del primo giudice, dall'avere, il giornalista, attribuito al prof. Ci. la titolarita' della cattedra di diritto civile anziche' quella, effettiva, di diritto processuale civile, per meglio sostenere la tesi della decisivita' del rapporto di parentela del medesimo con l'aspirante candidato alla cattedra di diritto privato (il figlio, Ni. ) a determinare la vincita del concorso stesso: in altre parole la cattedra ambita era stata fatta apparire, nella falsa prospettiva dell'articolista, affine a quella del padre del candidato e tanto bastava ad accreditare, pur senza fondamento, la suggestione che il genitore avrebbe potuto sfruttare la colleganza con la commissione giudicatrice composta da docenti della materia, appunto, omologa a quella insegnata dal titolare di cattedra. Ebbene, la difesa aveva sostenuto non solo che l'errore era assolutamente incolpevole e corrispondente ad una svista, ma soprattutto che era "irrilevante" a sostenere la critica articolata nell'articolo di stampa. Tale critica, infatti, poggiava sulla tesi della importanza del rapporto di parentela tra candidato e soggetto titolare di cattedra in posizione di collegamento con i membri della commissione esaminatrice (c.d. parentopoli), e tale collegamento prescindeva dalla esatta individuazione della cattedra di cui il presunto "sponsor" era titolare. In tale senso deponevano anche numerosi altri articoli di stampa pubblicati dal ricorrente e da altri, antecedentemente, incentrati tutti sul detto rapporto di parentela ritenuto qualificante e decisivo. Il vizio di motivazione era rilevato anche con riferimento al requisito della continenza del linguaggio. I giudici avevano omesso di valutare i rilievi difensivi che erano stati articolati invocando la esimente non solo nel profilo del diritto di cronaca ma anche in quello del diritto di critica, il quale, come e' noto, e' assolutamente compatibile con un linguaggio anche colorito e pungente. 2) la erronea applicazione dell'articolo 51 c.p.. L'articolo di stampa rientrava nel progetto di una inchiesta giornalistica, dotata quindi di caratteristiche critiche, come quelle che avevano riguardato "tangentopoli" o "calciopoli" senza che tali termini avessero mai dato adito a rilievi giudiziari. La inchiesta aveva respiro nazionale come attestato dalla presenza di articoli dello stesso genere su quotidiani a diffusione nazionale e traeva spunto dalla presenza di piu' componenti di diverse famiglie all'interno delle facolta' della Universita' di (OMESSO). Era stata poi la emissione di decisioni del Tar Puglia di annullamento di taluni concorsi per irregolarita' dei lavori delle Commissioni a dare l'avvio alle dette inchieste giornalistiche, le quali avevano aggiunto i particolari sui rapporti di parentela di cui si e' detto, ritenuti ulteriormente sintomatici delle medesime irregolarita'. 3) la erronea applicazione della Legge n. 47 del 1948, articolo 12 al direttore del quotidiano, Pa. Pa. , chiamato a rispondere non di concorso nel reato di diffamazione ma di quello di omesso controllo. In data 28 settembre 2010, l'avv. Sisto, nell'interesse di P. N. , ha presentato una memoria nella quale sono state reiterate le doglianze oggetto del ricorso introduttivo. Anche la parte civile Ci.Ni. ha presentato una memoria difensiva il 21 settembre 2010, sottolineando la necessita' della attualita' della notizia - nella specie insussistente - in riferimento alla esimente del diritto di cronaca. Proprio la risalenza della notizia avrebbe imposto la assenza delle inesattezze contenute nell'articolo di stampa. La difesa ha anche sostenuto il difetto del requisito della continenza delle espressioni e la impossibilita' di superare tutte le rilevate mancanze anche in riferimento al profilo del diritto di critica. I ricorsi sono fondati e devono essere accolti. Non e' qui in discussione la alta offensivita' del tenore di un articolo, quale quello oggetto del processo, in cui si presenti un soggetto, gia' vincitore di concorso a cattedra - pure rimasto soccombente nel successivo giudizio amministrativo sulla legittimita' dell'esito del concorso stesso - come possibile destinatario di convergenti iniziative volte a favorirlo a prescindere dal merito, iniziative ispirate dalla autorevolezza del genitore, pure cattedratico, e sostanzialmente atte ad integrare altrettanti possibili abusi da parte dei pubblici ufficiali preposti alla valutazione. La difesa dei ricorrenti e gli odierni motivi di ricorso si sono infatti dispiegati esclusivamente sulla operativita' delle cause di giustificazione le quali, come anche una parte della dottrina riconosce, presuppongono l'accertamento di una o piu' condotte antigiuridiche quali sono risultate essere - senza doglianza al riguardo negli atti di gravame- quelle contestate agli imputati, a titolo di diffamazione e di omesso controllo. Orbene, in tema di esimenti del diritto di critica e di cronaca la giurisprudenza di questa Corte si esprime ormai in termini consolidati nell'individuare i requisiti caratterizzanti. E l'elemento dell'interesse sociale alla notizia diffusa in violazione dell'altrui diritto alla tutela della reputazione, e' stato generalmente considerato sussistente anche in relazione alla rievocazione di fatti non attualissimi. E' stato infatti affermato da questa Corte il principio, riferito ad un contesto di polemica politica ma valido anche in relazione al tema, oggi ricorrente, della inchiesta giornalistica, secondo cui in materia di diffamazione a mezzo stampa non costituisce reato la riproduzione di affermazioni e ricostruzioni (nella specie, gia' diffuse in passato da altri) che rechino frasi offensive della reputazione dei soggetti coinvolti nella inchiesta stessa, quando il precedente storico assuma una funzione meramente documentale per supportare un giudizio critico di contenuto diverso e riferibile alla situazione attuale (Rv. 208153). Invero, la elaborazione giurisprudenziale in tema di esimenti del reato di diffamazione ha posto ricorrentemente l'accento sul requisito dell'interesse sociale (assieme a quello della continenza del linguaggio e della verita' del fatto narrato) e in tale ottica ha evocato il parametro della attualita' della notizia: nel senso cioe' che una delle ragioni fondanti della esclusione della antigiuridicita' della condotta lesiva della altrui reputazione e' vista nell'interesse generale alla conoscenza del fatto ossia nella attitudine della notizia a contribuire alla formazione della pubblica opinione, in modo che ognuno possa fare liberamente le proprie scelte, nella specie, nel campo della formazione culturale e scientifica. L'attualita' e' stata pero' richiesta dalla giurisprudenza e dalla dottrina non con riferimento al fatto, ma con riferimento all'interesse pubblico alla notizia, nel senso cioe' che solo una notizia dotata di utilita' sociale puo' perdere rilevanza penale quando sia capace di ledere l'altrui reputazione, e tale utilita' e' necessariamente connotata dall'attualita' dell'interesse alla pubblicazione. Proprio di tale prospettiva si e' fatto carico anche il piu' recente intervento di questa Corte in tema di "diritto all'oblio" (Sez. 5, Sentenza n. 45051 del 17/07/2009 Ud. (dep. 24/11/2009) Rv. 245154 Presidente: Pizzuti G. Estensore: Bruno PA.) riconosciuto sussistente solo ove non permanga o ove non si riattualizzi l'interesse pubblico alla relativa propalazione. Il giudice del rinvio dovra' pertanto rivalutare la sussistenza del requisito in parola, nella sentenza impugnata escluso sulla base dell'errato riferimento alla attualita' della notizia, alla luce del principio di diritto sopra ricordato. Identica necessita' di rivalutazione si impone con riferimento al requisito della verita' del fatto. Invero il principio di diritto operante sul tema e' quello secondo cui non inducono il superamento del limite della verita' del fatto narrato, piccole inesattezze, che incidono su semplici modalita' del fatto in questione senza modificarne la struttura essenziale (Rv. 167836). In piu', opera nella specie anche il principio che modella ulteriormente il requisito della necessaria "verita' del fatto" (cosi' come quello della "continenza" di cui si dira') in relazione all'esercizio del diritto di critica. Deve cioe' considerarsi che in tema di diffamazione, per la sussistenza dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica - pure invocato dai ricorrenti- e' necessario che quanto riferito non trasmodi in gratuiti attacchi alla sfera personale del destinatario e rispetti un nucleo di veridicita', fermo restando che l'onere del rispetto della verita' e' piu' attenuato rispetto all'esercizio del diritto di cronaca, in quanto la critica esprime un giudizio di valore che, in quanto tale, non puo' pretendersi rigorosamente obiettivo (Rv. 245098). Ebbene la Corte di merito risulta avere effettuato una disamina delle "inesattezze" denunciate, attenendosi all'ambito piu' restrittivo del diritto di cronaca ma omettendola del tutto con riferimento all'ambito del diritto di critica, pure espressamente evocato nell'atto di appello (pag. 26; la sollecitazione era del resto stata apprezzata anche nella memoria depositata dalla Parte civile in sede di appello). Orbene, attenendosi a tale dictum, la Corte di appello dovra' chiarire - quindi nella prospettiva del diritto di critica - in quali termini e per quali ragioni la attribuzione al padre della parte civile Ci. Ni. , della titolarita' di una cattedra diversa da quella effettivamente diretta ma comunque nell'area delle materie giuridiche, possa essere servita ad integrare esclusivamente un elemento di decisiva importanza nell'ottica della volontaria diffamazione e non avrebbe, piuttosto, meritato di essere considerato elemento accessorio e del tutto secondario nella prospettiva seguita dall'articolista, che era quella di agire nell'ambito di operativita' della causa di giustificazione dell'esercizio del diritto non solo di cronaca ma anche di critica, ovviamente ulteriori e conseguenti all'accertamento della rilevazione di una condotta penalmente rilevante ai sensi dell'articolo 595 c.p.. La Corte di merito, nella sentenza impugnata, ha infatti - come detto - completamente omesso di valutare quanto rilevato nei motivi di appello e cioe' che la tesi sostenuta dal giornalista avrebbe dovuto essere quella secondo cui i soggetti accusati di favoritismi risulterebbero figli, parenti o anche solo amici di altri professori universitari, anche di discipline, facolta' o universita' "diverse" rispetto a quelle in cui era impegnato il candidato prescelto. Si trattera', in altri termini, di vagliare la sussistenza, nei due diversi profili, della scriminante riconducibile all'articolo 51 c.p., attribuendo al requisito della "verita' del fatto" la valenza che la giurisprudenza ad esso normalmente connette in tema di diritto di critica o di cronaca, sempre che, ovviamente, uno o entrambi i profili ricorrano nel caso di specie. Infine, anche il requisito della "continenza del linguaggio" non ha trovato adeguata disamina nella sentenza impugnata. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il limite della continenza deve ritenersi superato solo quando le espressioni adottate risultino pretestuosamente denigratorie e sovrabbondanti rispetto al fine della cronaca del fatto e della sua critica: ne consegue che la verifica circa l'adeguatezza del linguaggio alle esigenze del diritto del giornalista alla cronaca e alla critica impone innanzitutto l'accertamento della verita' del fatto riportato (nei limiti sopra precisati) e la "proporzionalita'" dei termini ad operati in rapporto al l'esigenza di evidenziare la "gravita'" dell'accaduto quando questo presenti oggettivi profili di interesse pubblico (Rv. 231562). Ebbene anche nel caso in esame si riscontra una sostanziale carenza di motivazione sulla possibilita' - invero apoditticamente sostenuta dai giudici del merito - di definire le espressioni utilizzate dall'articolista non rispondenti al canone della continenza. Invero, a parte il caso - non ricorrente nella specie- della valenza esclusivamente e incondizionatamente offensiva di talune espressioni, e' fatto obbligo al giudice di indicare il parametro in base al quale una espressione anche colorita o pungente sia da ritenere inclusa o esclusa dal novero di quelle funzionali alla esposizione di una data critica legittima che l'imputato sostenga di avere inteso formulare. Gli ulteriori motivi restano assorbiti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bari.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. AMATO Alfonso - Presidente Dott. DUBOLINO Pietro - Consigliere Dott. SANDRELLI Giangiacomo - Consigliere Dott. BRUNO Paolo Antoni - Consigliere Dott. VESSICHELLI Maria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto il 15.10.2008 da: Avv. Nizza Vincenzo, difensore e procuratore speciale della parte civile Ri. An. ; nel procedimento penale a carico di: BO. Ca. , nato a (OMESSO); e di ZU. Co. , nato a (OMESSO); Letto il ricorso e l'ordinanza impugnata; Sentita la relazione del Consigliere Dr. Paolo Antonio BRUNO; Udite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del Sostituto Dr. Fraticelli Mario, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per remissione di querela. OSSERVA 1. - Con sentenza del 10 giugno 2008, il GIP del Tribunale di Roma, pronunciando ai sensi dell'articolo 425 c.p.p., dichiarava non luogo a procedere nei confronti di Bo. Ca. , Zu. Co. e Ma. Ez. - i primi due, articolisti ed il terzo direttore responsabile del quotidiano (OMESSO) - con riferimento ad una serie di articoli il cui contenuto era stato ritenuto offensivo da Ri. An. , magistrato della Procura della Repubblica di Torino, per via di riferimenti alla sua persona ed a pretesi collegamenti con Mo.Lu. , direttore generale della societa' calcistica Ju. e ad ambienti calcistici, sullo sfondo dell'inchiesta giudiziaria denominata off-side (c.d. calciopoli). Riteneva il giudicante che, nelle pubblicazioni anzidette, fosse ravvisabile l'esercizio del diritto di cronaca e di critica, donde la pronuncia di proscioglimento con formule corrispondenti. Avverso l'anzidetta pronuncia il difensore della persona offesa ha proposto ricorso per Cassazione, denunciando, con il primo motivo, violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera c) in relazione all'articolo 425 c.p.p. nonche' nullita' della sentenza impugnata per violazione dei presupposti di legittimita' della pronuncia di proscioglimento ai sensi della menzionata norma processuale. Il secondo motivo deduce violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) con riferimento agli articoli 51 e 595 c.p. per erronea applicazione della legge penale, in ordine al riconosciuto esercizio del diritto di cronaca e di critica da parte degli imputati. 2. - In linea di prima approssimazione, puo' riconoscesi la fondatezza delle doglianze di parte ricorrente nella misura in cui censurano la valutazione del giudicante, che, in esito ad approfondito apprezzamento di merito, ha ritenuto di poter ravvisare nella fattispecie gli estremi delle esimenti del diritto di cronaca e di critica, il cui fondamento, peraltro, e' oggetto di specifica contestazione dello stesso istante, anche sotto il profilo della falsita' di talune notizie riferite. Al di la' della pur impegnata motivazione del provvedimento impugnato, non par dubbio che la complessa vicenda in esame avrebbe meritato un adeguato approfondimento in sede dibattimentale, essendo ben noto, alla stregua di consolidato insegnamento giurisprudenziale, che la valutazione di cui all'articolo 425 c.p.p., comma 3, deve essere parametrata alla sola prognosi dell'inutilita' del dibattimento e, rispetto a siffatta necessaria finalizzazione, e' logicamente incongruo escludere lo sfogo dibattimentale in presenza di elementi idonei ad uno sviluppo probatorio, nella dialettica del contraddittorio, in quanto oggettivamente suscettibili di soluzioni alternative ed aperte. 2. - Nondimeno, va preso atto - alla stregua dell'allegata documentazione - che la persona offesa ha rimesso la querela a suo tempo proposta e tale remissione e' stata ritualmente accettata dagli imputati. Considerato, pertanto, che la remissione e l'accettazione sono state effettuate con le forme prescritte dall'articolo 340 c.p.p., comma 2, si deve far luogo all'annullamento della sentenza in esame, per sopravvenuta estinzione del reato. Le spese del procedimento sono a carico dei querelati, a norma dell'articolo 340 c.p.p., comma 4, in mancanza di contraria determinazione. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, per essere i reati estinti per remissione di querela. Condanna i querelati al pagamento in solido delle spese del procedimento.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente DECISIONE sul ricorso in appello n. 5578/2007, proposto dall'A.C. Ar. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti prof. Gu. Co. e Gi. Pe., elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Ro., via (...) Se. n. (...); contro F.I.G.C. - Federazione Italiana Giuoco Calcio, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Lu. Me. e Ma. Ga., presso il primo elettivamente domiciliata, in Ro., via Pa. n. (...); C.O.N.I. - Comitato Olimpico Nazionale Italiano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Al. An., presso il quale è elettivamente domiciliato in Ro., alla via Gi. Pi., n. (...); e nei confronti della Lega Nazionale Professionisti serie A e B, rappresentata e difesa dall'avv. Ru. St., elettivamente domiciliata in Ro., via Va., n. (...), presso lo studio dell'avv. Fr. Va.; della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport presso il C.O.N.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, del Collegio arbitrale, in persona del Presidente pro tempore, della A.C. Ce. S.p.a., della U.S. Tr. Calcio S.r.l., della Sp. Calcio S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio; per l'annullamento e/o la riforma della sentenza del T.a.r. Lazio, sezione III ter, n. 5645/2007, depositata il 21 giugno 2007; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione della F.I.G.C., del C.O.N.I. e della Lega Nazionale professionisti; Visto l'appello incidentale proposto dalla F.I.G.C.; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Alla pubblica udienza del 21 ottobre 2008 relatore il Consigliere Roberto Giovagnoli; Uditi gli avv.ti Pesce, Lu. Me. e Al. An.; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: FATTO 1. Con ricorso proposto innanzi al T.a.r. del Lazio, la società sportiva A.C. Ar. s.p.a. ha impugnato, chiedendo anche il risarcimento del danno subito, le decisioni succedutesi dinanzi alle corti di giustizia sportiva culminate con il lodo della Camera arbitrale, che ha sancito per l'Ar. la penalizzazione di 6 punti in classifica nel campionato di calcio di serie B, stagione 2006/2007, penalizzazione rivelatasi poi decisiva per la retrocessione dell'Ar. dalla serie B alla serie C1. La penalizzazione è stata inflitta all'Ar. a titolo di illecito sportivo, per fatti connessi alla vicenda della c.d. "calciopoli", insorta nella stagione calcistica 2005/2006. 2. La vicenda è nata dall'intercettazione di una telefonata intercorsa il 16/5/05 tra il sig. Ti., designato come guardalinee per la delicata partita Ar. - Sa., disputata il precedente 14/5, e terminata con il risultato di 1 - 0, ed il sig. Me., dirigente del Mi. ed amico del primo, ove si riferisce di un incontro e di una conversazione intervenuta a Co. tra il medesimo Ti. ed il sig. Ma., vicecommissario della CAN ed incaricato della formazione fisica e tecnica degli assistenti di gioco, nel corso della quale il Ma. avrebbe riservatamente rappresentato al proprio interlocutore di seguire con attenzione la competizione sportiva; nel corso della telefonata, inoltre, il Ti. riferisce di un paio di episodi di giuoco da lui segnalati all'arbitro (che non li aveva ritenuti fallosi) inseriti in azioni di gioco che avrebbero potuto portare al pareggio della Sa. 3. Giova ancora evidenziare che l'Ar. è stato sanzionato in ragione dell'applicazione della figura della c.d. responsabilità presunta prevista dal codice della giustizia sportiva, all'art. 9, comma terzo (pure oggetto di impugnativa innanzi al T.a.r. Lazio). 4. Il T.a.r. Lazio, con la sentenza n. 5645 del 2007, ha respinto il ricorso, dopo aver disatteso alcune eccezioni di inammissibilità sollevate dalle parti resistenti. In particolare, ha respinto le eccezioni di inammissibilità fondate sul difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo, e sulla natura giuridica delle decisione emessa dal Collegio arbitrale. 5. Avverso tale sentenza ha proposto l'A.C. Ar. s.p.a. ha proposto appello, chiedendo, in via cautelare, la sospensione. Si costituita in giudizio la F.I.G.C. che ha spiegato anche appello incidentale, riproponendo le eccezioni di inammissibilità (fondate sul difetto di giurisdizione e sulla natura non provvedi mentale del lodo emesso dalla Camera di Conciliazione e arbitrato del C.O.N.I.). Si sono costituiti in giudizio, sostenendo posizioni analoghe a quella della F.I.G.C., anche il C.O.N.I. e la Lega Nazionale Professionisti serie A e B. 6. Con ordinanza n. 4098/2007, emessa all'esito della camera di consiglio del 31 luglio 2007, la Sezione ha respinto l'istanza cautelare volta alla sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza proposta dall'appellante principale. 7. All'udienza del 21 ottobre 2008, la causa è stata trattenuta per la decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Appare opportuno premettere che il presente giudizio ha ormai ad oggetto soltanto il risarcimento del danno subito dall'A.C. Ar. in conseguenza della penalizzazione inflitta che ha determinato, al termine della stagione 2006/2007, la retrocessione della società in serie C1. L'A.C. Ar., infatti, ha già disputato il campionato 2007/2008 in serie C1 (anziché in serie B, come sarebbe avvenuto senza la penalizzazione). Gli atti impugnati hanno, quindi, prodotto conseguenze irreversibili, nel senso che - come del resto evidenziato, in sede di istanza cautelare, dallo stesso appellante principale - neanche una eventuale decisione favorevole di questo Giudice potrebbe restituire all'Ar. il "bene della vita" (qui coincidente con la permanenza in serie B) che la squadra avrebbe ottenuto senza la sanzione dei 6 punti. La legittimità degli atti impugnati viene, quindi, in rilievo, in via indiretta, al fine di decidere sulla domanda risarcitoria proposta dall'A.C. Ar. s.p.a. Ciò premesso, si può ora procedere all'esame dei motivi di appello. 2. Risulta logicamente pregiudiziale l'esame delle eccezioni di inammissibilità respinte dal T.a.r. e riproposte, mediante appello incidentale, dalla F.I.G.C. 3. Va, in primo luogo, esaminata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione dell'adito giudice amministrativo, eccezione riproposta dalla F.I.G.C. nell'assunto che oggetto del gravame sia una sanzione disciplinare sportiva (consistente nella penalizzazione in classifica), destinata ad esaurire i propri effetti nell'ambito dell'ordinamento settoriale, con conseguente irrilevanza per l'ordinamento statale, alla stregua anche di quanto disposto dall'art. 2, della legge n. 280/2003. 3.1. Occorre, a tal fine, ricostruire brevemente il quadro normativo e il dibattito giurisprudenziale sviluppatosi in ordine ai rapporti tra giustizia sportiva e giurisdizione amministrativa. Il d.l. n. 220/2003 conv. in l. n. 280/2003 (c.d. "salva calcio" o "blocca T.a.r.) stabilisce, all'art. 1, che i rapporti tra l'ordinamento sportivo e quello statale sono regolati in base al principio di autonomia, "salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo" (art. 1, primo comma). Dando applicazione al principio dell'autonomia dell'ordinamento sportivo, il successivo art. 2 riserva all'ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive. L'art. 3 d.l. cit., infine, occupandosi specificamente della giurisdizione prevede che, "esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui all'articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei contratti di cui all'articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91". 3.2. Le norme appena riportate, nate con il preciso intento di arginare l'intervento della giustizia statale sull'autonomia dell'ordinamento sportivo, hanno inteso tracciare una linea di confine netta tra i territori rispettivamente riservati all'ordinamento sportivo, e ai suoi organi di giustizia, e quelli nei quali è possibile l'intervento della giurisdizione statale, e del giudice amministrativo in particolare Il legislatore non è, tuttavia, pienamente riuscito nel suo scopo chiarificatore. Anche dopo del d.l. n. 220/2003 la linea di confine tra giustizia sportiva e giurisdizione amministrativa è rimasta spesso incerta, come dimostrano le numerose divergenze interpretative che si riscontrano anche all'interno della giurisprudenza amministrativa. Si tratta di difficoltà ermeneutiche che riflettono, del resto, la stessa complessità che si incontra nel tentativo di conciliare due principi che mostrano diversi momenti di potenziale conflitto: il principio dell'autonomia dell'ordinamento sportivo (che trova il suo fondamento costituzionale negli artt. 2 e 18 della Costituzione) e il principio del diritto di azione e di difesa, espressamente qualificato come inviolabile dall'art. 24 Cost. 3.2. In questa indagine sui rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale si deve partire da una considerazione di fondo: quella secondo cui la "giustizia sportiva" costituisce lo strumento di tutela per le ipotesi in cui si discute dell'applicazione delle regole sportive, mentre la giustizia statale è chiamata a risolvere le controversie che presentano una rilevanza per l'ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi. 3.3. Proprio alla luce di tale principio, oggi c'è sostanziale concordia sul fatto che siano riservate giustizia sportiva le c.d. controversie tecniche, (quelle cioè che riguardano il corretto svolgimento della prestazione sportiva, ovvero la regolarità della competizione sportiva) in quanto non vi è lesione né di diritti soggettivi, né di interessi legittimi. 3.4. Ugualmente, è ormai pacifico che siano riservate alla giurisdizione amministrativa le questioni concernenti l'ammissione e l'affiliazione alle federazioni di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 luglio 20004, n. 3917). Nel testo dell'originario D.L. n. 220/2003 esse rientravano tra le questioni riservate all'ordinamento sportivo (art. 2, comma 1, lett. c). La soppressione in sede di conversione di tale categoria, costituisce chiaro indice della volontà del legislatore di non considerare indifferenti per l'ordinamento statale controversie, quali quelle inerenti, l'affiliazione delle società alle federazioni e i provvedimenti di ammissione ai campionati, trattandosi di provvedimenti di natura amministrativa in cui le Federazioni esercitano poteri di carattere pubblicistico in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del Coni. 3.5. La questione si fa, invece, molto più delicata per le controversie c.d. disciplinari, le quali attengono alla irrogazione di provvedimenti di carattere punitivo nei confronti di atleti, associazioni e società sportive. In questo caso, è, infatti, frequente che il provvedimento punitivo adottato nell'ambito dell'ordinamento sportivo incida, almeno indirettamente, per i gravi effetti anche economici che comporta, su situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo, ma rilevanti per l'ordinamento generale. Il problema allora è se debba prevalere il valore dell'autonomia dell'ordinamento sportivo o quello del diritto di azione o di difesa in giudizio. A favore della prima soluzione sembrerebbe deporre la formulazione letterale dell'art. 2 d.l. n. 220/2003 che riserva alla giustizia sportiva, senza alcuna ulteriore distinzione, "i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive". A favore della seconda lettura si può, tuttavia, invocare la parte finale dell'art. 1 d.l. n. 220/2003 che, nell'affermare solennemente il principio dell'autonomia sportiva, fa espressamente "salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo". 3.6. In giurisprudenza sono state sostenute entrambe le posizioni. 3.6.1. Alcune sentenze, soprattutto di primo grado, proprio dando rilevanza alla rilevanza esterna (in termini di incidenza si situazioni giuridiche soggettive protette dall'ordinamento generale) delle conseguenze derivanti dal provvedimento afflittivo irrogato dalla Federazione sportiva, hanno ritenuto sussistente la giurisdizione amministrativa anche sui ricorsi avverso le sanzioni disciplinari irrogate avverso società o singoli tesserati. Così, proprio con specifico riferimento alle penalizzazioni di alcuni punti in classifica, si segnala T.a.r. Lazio, sez. III, 22 agosto 2006, n. 7331 secondo cui tale sanzione, determinando l'esclusione dalla graduatoria delle società ripescabili nel campionato nazionale, e la conseguente retrocessione della società di calcio, assumerebbe anche rilevanza esterna, incidendo sullo status del soggetto in termini non solo economici, ma anche di onorabilità. A tale orientamento interpretativo (che afferma o nega la giurisdizione in base alla gravità delle conseguenze che derivano dal provvedimento punitivo) fa, del resto, esplicito riferimento la sentenza di primo grado oggetto del presente appello. 3.6.2. In senso opposto, si è pronunciato invece il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia con la nota sentenza 8 novembre 2007 n. 1048, secondo cui in materia disciplinare la giurisdizione statale è sempre esclusa, a prescindere dalle conseguenze ulteriori - anche se patrimonialmente rilevanti o rilevantissime - che possano indirettamente derivare da atti che la legge considera propri dell'ordinamento sportivo e a quest'ultimo puramente riservati. A sostegno di tale tesi si osserva che il legislatore del 2003 "ha operato una scelta netta, nell'ovvia consapevolezza che l'applicazione di una norma regolamentare sportiva ovvero l'irrogazione di una sanzione disciplinare sportiva hanno normalmente grandissimo rilievo patrimoniale indiretto; e tale scelta l'interprete è tenuto ad applicare, senza poter sovrapporre la propria "discrezionalità interpretativa" a quella legislativa esercitata dal Parlamento" (C.G.A., sentenza 8 novembre 2007 n. 1048). 3.7. Tra le due diverse opzioni ermeneutiche, la seconda appare quella più aderente alla formulazione letterale degli artt. 2 e 3 d.l. n. 220/2003. Tali norme, infatti, demandano in via esclusiva alla giustizia tutti i "comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive". Il legislatore non fa alcuna distinzione in ordine alla conseguenze patrimoniali che quelle sanzioni possono produrre. Del resto, come è stato rilevato ((C.G.A., sentenza 8 novembre 2007 n. 1048), il legislatore allorché emanò il decreto legge n. 220 del 2003 non poteva certo ignorare che l'applicazione del regolamento sportivo - sia da parte dell'arbitro nella singola gara determinante per l'esito dell'intera stagione; sia da parte del giudice sportivo di primo o di ultimo grado - e l'irrogazione delle più gravi sanzioni disciplinari quasi sempre producono conseguenze patrimoniali indirette di rilevantissima entità. Tuttavia a tali conseguenze non ha attribuito alcun rilievo ai fini della verifica di sussistenza della giurisdizione statuale; che, infatti, il legislatore ha radicato solo nei casi diversi da quelli, espressamente eccettuati, di cui all'art. 2, comma 1, del decreto legge citato. 3.8. Così inteso, tuttavia, il d.l. n. 220/2003 (conv. In l. n. 280/2003), dà luogo ad alcune perplessità in ordine alla legittimità costituzionale della riserva a favore della "giustizia sportiva": in particolare, non risultano manifestamente infondati quei dubbi di costituzionalità, prospettati anche dall'appellante principale, che evocano un possibile contrasto col principio della generale tutela statuale dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi (art. 24 Cost.), e con la previsione costituzionale che consente sempre l'impugnativa di atti e provvedimenti amministrativi dinnanzi agli organi di giustizia amministrativa (art. 103 e 113 Cost.). Né sembra possibile procedere ad una interpretazione correttiva e costituzionalmente orientata della norme in esame: la strada dell'interpretazione "correttiva", che poi è quella praticata dal T.a.r. Lazio con la sentenza appellata, finisce, infatti, per tradursi, di fronte ad una norma dalla chiara ed univoca portata precettiva, in una operazione di disapplicazione della legge incostituzionale, senz'altro preclusa a questo Giudice. 3.9. Tuttavia, nel caso di specie, il Collegio ritiene di poter decidere la presente controversia senza sollevare la questione di costituzionalità delle norme contenute negli artt. 2 e 3 d.l. n. 220/2003 (conv. in l. n. 280/2003). Ciò in quanto, come sopra si è precisato, oggetto del presente giudizio non è più l'annullamento della sanzione disciplinare irrogata dalla Federazione all'Ar. Calcio e delle decisioni che organi di giustizia sportiva che hanno respinto i ricorsi della società. Tali atti, infatti, hanno ormai prodotto effetti irreversibili (avendo l'Ar. già disputato, in conseguenza della sanzione subita e della conseguente retrocessione, il campionato di serie C1, anziché quello di serie B). Una eventuale decisione di annullamento pronunciata da questo Giudice non potrebbe comunque restituire all'A.C. Ar. il "bene della vita" (coincidente con la permanenza in serie B) che la squadra avrebbe ottenuto senza la sanzione dei 6 punti. La legittimità degli atti impugnati viene, pertanto, in rilievo solo in via indiretta ed incidentale, al fine di decidere sulla domanda risarcitoria, che a questo punto rappresenta l'oggetto esclusivo del presente giudizio. 3.10. Rispetto alla domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno subito da una società in conseguenza delle decisioni adottate da una Federazione sportiva o dagli organi della giustizia sportiva non può essere sostenuto il difetto assoluto di giurisdizione, invocando gli artt. 2 e 3 del più volte citato d.l. n. 220 del 2003. A tale conclusione conducono le seguenti considerazioni. In primo luogo, la domanda risarcitoria non è proponibile innanzi agli organi della giustizia sportiva (ai quali si può chiedere solo l'annullamento della sanzione). Escludere la giurisdizione statale avrebbe, allora, la conseguenza di creare un vero proprio vuoto di tutela: i danni provocati dalle decisioni delle Federazioni sportive (o dalla Camera di Conciliazione e di Arbitrato del CONI) diventerebbero irrisarcibili, anche quando incidono (come spesso accade) su situazioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico generale. Non si avrebbe più soltanto una questione processuale, involgente i rapporti tra giustizia sportiva e giurisdizione statale, ma si avrebbe una vera e propria deroga sostanziale all'applicazione dell'art. 2043 c.c., deroga priva di ogni plausibile giustificazione e sprovvista di fondamento normativo espresso. 3.11. In questo caso, tuttavia, l'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme è possibile. Da un lato, infatti, l'art. 2 d.l. cit., nel delimitare la riserva a favore dell'ordinamento sportivo, non fa alcun riferimento alle controversie risarcitorie. Dall'altro, l'art. 3 prevede espressamente che, "esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo". Infine, l'art. 1 d.l. n. 220 del 2003, nel sancire il principio dell'autonomia dell'ordinamento sportivo, fa proprio "salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo". Ebbene, il Collegio ritiene che tali norme debbano essere interpretate, in un'ottica costituzionalmente orientata, nel senso che laddove il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal C.O.N.I. abbia incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l'ordinamento giuridico statale, la domanda volta ad ottenere non la caducazione dell'atto, ma il conseguente risarcimento del danno, debba essere proposta innanzi al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, non operando alcuna riserva a favore della giustizia sportiva, innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere. 3.12. Anche per le controversie risarcitorie opera, tuttavia, il c.d. vincolo della giustizia sportiva, e quindi potranno essere instaurate solo dopo che siano "esauriti i gradi della giustizia sportiva", così come prevede l'art. 3. In definitiva, anche se, secondo la vigente normativa, la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo prevista dall'art. 3 d.l. n. 220/2003 non include le domande volte all'annullamento delle sanzioni disciplinari, deve, tuttavia, ritenersi, in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata del tessuto normativo, che siano proponibili innanzi al Giudice amministrativo le domande volte ad ottenere il risarcimento del danno che tali sanzioni disciplinari hanno provocato incidendo anche su situazioni rilevanti per l'ordinamento generale della Repubblica. Il Giudice amministrativo può, quindi, conoscere, nonostante la riserva a favore della "giustizia sportiva", delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni ed atleti, in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione. Alla luce di tali considerazioni, deve, quindi, affermarsi la sussistenza della giurisdizione amministrativa sulla domanda risarcitoria proposta dall'A.C. Ar., volta ad ottenere i danni subiti a causa della retrocessione in serie C1determinata dalla penalizzazione subita. Il primo motivo dell'appello incidentale va, pertanto, respinto. 3.13. La domanda risarcitoria, tuttavia, come prevede l'art. 3 cit., è proponibile solo dopo l'esaurimento dei gradi della giustizia sportiva. La necessità che siano esauriti i gradi della giustizia sportiva impone di distinguere due ipotesi. 3.13.1. La prima si verifica se gli organi della giustizia sportiva annullano la sanzione inflitta dalla Federazione: in tal caso, al Giudice amministrativo potranno essere chiesti i danni che si sono medio tempore prodotti nonostante l'annullamento della sanzione. Considerato che il provvedimento fonte del danno è già stato annullato nell'ambito dell'ordinamento sportivo, il giudice non dovrà compiere alcuna valutazione incidentale sulla legittimità dello stesso, limitandosi a verificare l'an e il quantum del danno provocato. 3.13.2. La seconda ipotesi ricorre se la sanzione inflitta viene confermata dagli organi della giustizia sportiva. Anche in tal caso, la domanda risarcitoria potrà essere comunque proposta innanzi al Giudice amministrativo, che, però, ricorrendo tale evenienza, dovrà procedere ad una valutazione incidentale della legittimità del provvedimento, allo scopo di decidere sulla domanda risarcitoria. 3.14. Si pone qui l'ulteriore problema di individuare l'atto fonte del danno che, come tale, deve essere oggetto del sindacato incidentale da parte del Giudice amministrativo. L'esistenza del c.d. vincolo della giustizia sportiva, in forza del quale il ricorso giurisdizionale è proponibile solo dopo l'esaurimento dei gradi della giustizia sportiva, fa sì che l'atto fonte del danno debba essere individuato nella decisione che esaurisce i gradi della giustizia sportiva, ovvero, come accade nel caso di specie, nella decisione del Collegio arbitrale istituito presso la Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport. E' allora necessario, per delineare i limiti del sindacato giurisdizionale esercitabile dal Giudice amministrativo, capire quale sia la natura giuridica di tale decisione. 4. Si tratta proprio della questione oggetto del secondo motivo di appello incidentale, con il quale la F.I.G.C. deduce l'inammissibilità del ricorso sostenendo, appunto, che la decisione della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport ha natura di pronuncia arbitrale vera e propria e non di atto amministrativo. 4.1. Il motivo è fondato. 4.2. Il Collegio non ignora, ma anzi condivide, l'orientamento giurisprudenziale proprio di questa Sezione, secondo cui la decisione della camera di conciliazione e arbitrato per lo sport del C.O.N.I. non costituisce un vero e proprio lodo arbitrale, ma rappresenta la decisione di ultimo grado della giustizia sportiva, avente quindi il carattere sostanziale di provvedimento amministrativo, benché emesso con le forme e le garanzie tratte dal giudizio arbitrale. Si tratta, come specificato da Cons. Stato, sez. VI, 9 luglio 2004, n. 3917, di una decisione emessa dal supremo organo della giustizia sportiva sulla base di principi e garanzie tipiche del giudizio arbitrale, ma che resta soggetta agli ordinari strumenti di tutela giurisdizionale per le fattispecie non riservate all'ordinamento sportivo. 4.3. Tale qualificazione del lodo in termini di atto amministrativo non può essere, tuttavia, applicata alla presente fattispecie. Nel caso in esame, infatti, la sanzione inflitta all'A.C. Ar., consistendo in una penalizzazione di classifica (da scontare nel campionato di serie B 2006/2007) non era arbitrabile ai sensi dell'art. 27.3 dello Statuto federale all'epoca vigente. Come correttamente deduce l'appellante incidentale, la controversia, quindi, è stata portata all'esame della Camera di Conciliazione ed Arbitrato dello Sport solo a seguito di un apposito accordo compromissorio, di cui, del resto si dà atto sia nelle premesse del lodo ("all'udienza arbitrale del 24 novembre 2006, le parti accettando il regolamento della Camera senza alcuna riserva in ordine ai poteri del Collegio arbitrale, accettando altresì la designazione del Collegio arbitrale [...]"), sia nel verbale del della prima riunione del Collegio arbitrale ("preliminarmente le parti dichiarano di accettare, per quanto possa occorrere, la designazione dell'odierno collegio arbitrale, ogni eccezione rimossa"). 4.4. Dalla qualificazione della decisione della Camera di Conciliazione in termini di vero e proprio lodo arbitrale (e non di atto amministrativo, come è, invece, per il lodo pronunciato su controversie arbitrabili ai sensi dello Statuto federale), discende che tale atto può formare oggetto di impugnazione nei soli limiti consentiti dal codice di procedura civile. In particolare, il lodo rituale è soggetto al regime di impugnazione per le cause di nullità, tassativamente indicare nell'art. 829 c.p.c.; il lodo irrituale, invece, se avente origine da convenzioni arbitrali stipulate, come nella fattispecie, successivamente al 3.3.2006, è sottoposto ai motivi di impugnazione previsti dall'art. 808 ter c.p.c. (norma introdotta dal d.lgs. n. 40/2006), ai quali, secondo la tesi prevalente, si aggiungono, comunque, le ordinarie impugnative negoziali (incapacità, errore, violenza, dolo, eccesso di mandato, violazione di norme imperative). Il dubbio circa la natura rituale o irrituale dell'arbitrato oggi deve essere risolto, in base a quanto previsto dall'art. 808 ter c.p.c., a favore della natura rituale del lodo. Con tale norma, infatti, il legislatore ha chiarito che la scelta in favore di un arbitrato che abbia esito in un lodo irrituale (come tale non destinato agli effetti di cui all'art. 824 bis c.p.c.), oltre a richiedere una forma scritta, deve essere espressa: in caso contrario, ogni dubbio sulla qualificazione come rituale o irrituale dell'arbitrato prescelto dalle parti deve sciogliersi a favore della natura riturale e della conseguente integrale applicabilità della disciplina legale, anche per quel che riguarda il regime di impugnazione di cui all'art. 827 c.p.c. E' stato così superato per tabulas il precedente maggioritario orientamento giurisprudenziale che, invece, in caso incertezza sulla individuazione della species di arbitrato, optava per la natura irrituale in considerazione del favor della competenza giurisdizionale, a cui le parti eccezionalmente derogherebbero con il deferimento ad arbitri rituali del potere di decidere la controversia. 4.5. Da quanto detto deriva che il lodo oggetto del presente giudizio debba essere qualificato come lodo rituale e, quindi, soggetto ai motivi di impugnazione tassativamente indicati nell'art. 829 c.p.c. Emerge allora l'inammissibilità sotto questo profilo del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (e della relativa domanda risarcitoria), non essendo state con esso spiegate censure riconducibili ad alcuna delle tipologie dei vizi a critica vincolata ammesse avverso la pronuncia arbitrale. L'unico motivo che potrebbe essere ricondotto alla cause di nullità previste dall'art. 829 c.p.c. è, soltanto, quello con cui si fa valere la inesistenza del lodo per difetto di rituale sottoscrizione. L'appellante principale sostiene che il lodo è stato deliberato in Ro. in data 24/11/2006, ma poi è stato sottoscritto dai vari arbitri in diversi luoghi e differenti date. Anche tale motivo non è, tuttavia, suscettibile di accoglimento: esso, infatti, è stato proposto muovendo dal dichiarato presupposto che nel caso di specie venga in considerazione o un provvedimento amministrativo collegiale (per il quale sarebbe necessaria la contestualità tra deliberazione e sottoscrizione) o un lodo irrituale (perché, deduce l'appellante, anche i negozi giuridici dovrebbero essere sottoscritti appena deliberati nel contenuto). La censura è invece inammissibile con riferimento al lodo rituale, dato che non rientra in nessuno dei motivi di nullità tassativamente indicati nell'art. 829 c.p.c. E non potrebbe essere diversamente, dato che per il lodo rituale, la possibilità di una sottoscrizione non contestuale da parte degli arbitri è espressamente prevista dall'art. 816, u.c.c.p.c. Tale possibilità è ulteriormente confermata dall'art. 823 n. 8) c.p.c.: tale norma, richiedendo, come requisito del lodo, l'indicazione della data delle sottoscrizioni, ammette implicitamente l'eventualità di una sottoscrizione con date diverse. E' appena il caso di aggiungere, peraltro, che anche qualificando la decisione impugnata come atto amministrativo collegiale o come lodo irrituale, il motivo andrebbe respinto in quanto nessuna norma impone la contestualità della sottoscrizione da parte di coloro che hanno preso parte all'atto. 4.6. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve essere accolto l'appello incidentale proposto dalla F.I.G.C. e, per l'effetto, il ricorso di primo grado va dichiarato inammissibile. 5. Le spese del giudizio devono essere integralmente compensate fra le parti ricorrendo giusti motivi, in considerazione della complessità e della novità delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione VI, accoglie l'appello incidentale e, per l'effetto, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado. Compensa le spese di giudizio. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 21 ottobre 2008 con l'intervento dei Sigg.ri: Giovanni Ruoppolo Presidente Paolo Buonvino Consigliere Domenico Cafini Consigliere Roberto Giovagnoli Consigliere Est. e Rel. Manfedo Atzeni Consigliere DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 25/11/2008 (Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Ter Composto dai Magistrati: Italo RIGGIO Presidente Giulia FERRARI Componente Stefano FANTINI Componente relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso n. 11384 del 2006 Reg. Gen. proposto dall'Associazione L'Eg. di Na., in persona del legale rappresentante pro tempore Avv. Ra. Di Mo., dal medesimo rappresentata e difesa, ed elettivamente domiciliata in Ro., presso la Segreteria del Tribunale; CONTRO F.I.G.C. - Federazione Italiana Giuoco Calcio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Lu. Me., presso il quale è elettivamente domiciliata in Ro., alla Via Pa. n. (...); e nei confronti della F.C. In. Mi. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Fr. Mu., Fr. Pe. e Ad. Ra., ed elettivamente domiciliata in Ro., presso lo studio dell'Avv. Le. Ma., alla Via Pa. n. (...); e con l'intervento ad adiuvandum del Comitato Di., in persona del legale rappresentante pro tempore ing. Al. Sc., rappresentato e difeso dagli Avv.ti En. Ma., Gi. Gi. e Ro. Co., presso quest'ultimo elettivamente domiciliato in Ro., alla Via Pa. n. (...); per l'annullamento del provvedimento di assegnazione dello scudetto 2005 - 2006 all'In. Football Club, emesso dalla F.I.G.C. in data 26/7/2006; di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della F.I.G.C. e della F.C. In. Mi. S.p.a.; Visto l'atto di intervento ad adiuvandum del Comitato Di.; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore, alla pubblica udienza del 15/5/2008, il Cons. Stefano Fantini; Udito l'Avv. Ra. Di Mo. per l'associazione ricorrente, gli Avv.ti Fr. Pe. e Ad. Ra. per la controinteressata F.C. In. Mi. S.p.a., l'Avv. Gi. Gi. per il Comitato interveniente, nonchè l'Avv. Lu. Me. per la Federazione resistente; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. FATTO Con atto notificato nei giorni 23/11/06 e seguenti e depositato il successivo 7/12 la ricorrente, associazione senza scopo di lucro istituita nel dicembre 2004, impegnata nella promozione e diffusione dei temi della cittadinanza partecipata, del rispetto delle leggi, della legalità democratica, e dunque anche interessata alla vicenda c.d. Calciopoli, in relazione alla quale ha assunto iniziative nei confronti della Federazione al fine di ottenere una modifica del codice sportivo, volta a convertire la sanzione della retrocessione in sanzioni pecuniarie proporzionate alla gravità della violazione, da destinare al finanziamento di progetti a favore dello sport giovanile, ha impugnato il provvedimento della F.I.G.C. in data 26/7/2006, di assegnazione all'Inter F.C. dello scudetto 2005/2006, precedentemente revocato alla Ju. a seguito dell'accertamento degli illeciti sportivi. Premette di avere avanzato formale istanza all'allora Commissario Straordinario della Federazione perchè provvedesse alla revoca del provvedimento di assegnazione dello scudetto all'Inter, senza ricevere peraltro alcun riscontro. Esposto dunque di essere titolare di un interesse collettivo e qualificato, e di essere stata danneggiata dal caso Calciopoli se non altro perché si è vista revocare la sponsorizzazione (di 50.000,00 Euro) già riconosciutale dalla Ma. S.r.l. al fine di realizzare corsi di etica sportiva presso le scuole della Ca., deduce a sostegno del ricorso il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà, disparità di trattamento, perplessità, illogicità ed ingiustizia manifesta. La Commissione di esperti officiata dal Commissario Straordinario della F.I.G.C. per decidere sulle sorti dello scudetto 2005/2006 in caso di revoca del titolo per modificazioni di classifica ha rilevato che l'art. 49 delle N.O.I.F. prevede l'automatica acquisizione del titolo per la squadra che risulta prima classificata; gli organi federali possono tuttavia intervenire con apposito provvedimento di non assegnazione allorché ricorrano motivi di ragionevolezza e di etica sportiva, ad esempio ove le irregolarità siano state di numero e di portata tali da falsificare l'intero campionato. In questa prospettiva appare evidente che serie ragioni di etica sportiva avrebbero imposto di non attribuire lo scudetto all'Inter, in considerazione di quanto emerso all'esito delle intercettazioni telefoniche disposte dalla Procura della Repubblica di Torino nei confronti del designatore arbitrale Pi. Pa. nell'ambito dell'inchiesta sulla frode sportiva, che hanno visto coinvolto un dirigente dell'Inter, nonché della sentenza di condanna per ricettazione, falsità in certificazioni, contraffazione ed uso di pubblici sigilli, patteggiata in data 27/4/06 da altro dirigente della medesima società con riferimento al falso passaporto del calciatore Al. Re. Appare, in definitiva, viziata da illogicità ed incoerente motivazione l'assegnazione dello scudetto 2005/2006 all'In., tanto più se si procede alla comparazione della posizione dell'In. con quella della Ju., che, a seguito dell'accertamento degli illeciti sportivi, a differenza della prima, ha integralmente rinnovato il proprio Consiglio direttivo e si è dotata di un codice etico. Si sono costituite in giudizio la F.I.G.C. e la F.C. In. Mi. S.p.a. eccependo l'inammissibilità del ricorso per carenza di giurisdizione dell'adito giudice amministrativo, oltre che per difetto di legittimazione ad agire, l'irricevibilità e comunque la sua infondatezza nel merito. E' intervenuto ad adiuvandum il Comitato Di. concludendo per l'accoglimento del ricorso. All'udienza del 15/5/2008 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. - Deve essere preliminarmente esaminata, per ragioni di ordine processuale, l'eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione dell'adito giudice amministrativo, sollevata dalla F.I.G.C. nell'assunto che la res litigiosa verta su di una materia riservata all'autonomia dell'ordinamento sportivo, implicando l'applicazione di regole interne disciplinanti l'ordinamento dei campionati ed i criteri di formazione delle classifiche finali. L'eccezione non appare meritevole di positiva valutazione. Occorre considerare come l'art. 2 della legge 17/10/2003, n. 280 riserva all'autonomia dell'ordinamento sportivo (e dunque al suo sistema di giustizia sportiva) le c.d. controversie tecnico - sportive (lett. a) e le controversie originanti da comportamenti rilevanti sul piano disciplinare, implicanti l'irrogazione di sanzioni disciplinari sportive (lett. b). Ora, l'impugnato provvedimento di assegnazione dello scudetto 2005/2006 all'Inter non rientra nel novero delle controversie tecnico - sportive, aventi cioè ad oggetto l'applicazione di regole idonee a garantire il corretto svolgimento delle attività sportive, e sottratte alla giurisdizione statale per l'assorbente ragione che tale tipo di regolamentazione costituisce proprio l'intrinseco sportivo, e non rileva come norma dal punto di vista dell'ordinamento generale. L'assegnazione del titolo di campione d'Italia per il campionato 2005/2006 alla squadra prima classificata all'esito dei giudizi disciplinari è espressione di un'attività a connotazione pubblicistica, svolta dalla Federazione in luogo dell'ente pubblico C.O.N.I., cui vengono imputati i risultati. Sotto altro profilo, ove voglia evidenziarsi la connessione tra l'impugnato provvedimento e la modifica della classifica finale di campionato, conseguente all'irrogazione di sanzioni disciplinari, è noto come la Sezione abbia riconosciuto, facendo ricorso ad un'interpretazione costituzionalmente orientata del combinato disposto degli artt. 1, II comma, e 2, I comma, della legge n. 280/03 la propria giurisdizione anche in materia disciplinare, al cospetto di atti incidenti su posizioni giuridiche rilevanti nell'ordinamento generale (T.A.R. Lazio, Sez. III ter, 21/6/2007, n. 5645; 8/6/2007, n. 5280; 19/3/2008, n. 2472). Ritiene il Collegio, nonostante la dissenting opinion del C.G.A. Sicilia 8/11/2007, n. 1048, che tale indirizzo meriti di essere confermato; e comunque certamente nella fattispecie in esame in cui, a tutto concedere, la vicenda disciplinare che ha riguardato la Ju. ed il Mi. si pone come mero antecedente fattuale del provvedimento impugnato, il quale, per effetto dello scorrimento della classifica, fa applicazione dell'art. 49 delle N.O.I.F. 2. - Va a questo punto esaminata l'eccezione di irricevibilità, atteso che il profilo della tempestività del ricorso attiene alla regolarità della costituzione del rapporto processuale, e pertanto la sua disamina deve precedere ogni altra questione, sia processuale, che di merito (ex multis Cons. Stato, Sez, V, 4/12/1987, n. 766; Sez. VI, 12/11/1987, n. 893). In particolare, le parti resistenti assumono che il dies a quo per la proposizione del ricorso vada individuato nel 26/6/2006, data di pubblicazione del provvedimento commissariale che ha conferito lo scudetto all'In., con conseguente tardività del gravame, notificato solamente in data 23/11/06. L'eccezione è fondata, e pertanto deve essere accolta. La tesi di parte ricorrente è quella per cui il termine per la proposizione del ricorso decorra dal 27/10/06, data di pubblicazione del lodo arbitrale adottato dalla C.C.A.S., adita dalla Ju. avverso la decisione della Corte federale, in quanto solo da tale momento sarebbe divenuta definitiva la sanzione sportiva. L'assunto non appare al Collegio condivisibile sotto un duplice profilo. In primo luogo, l'assegnazione del titolo alla odierna controinteressata è avvenuta con provvedimento del 26/7/06, non sottoposto ad alcuna condicio iuris incidente sulla sua efficacia, come inequivocabilmente attestato, tra l'altro, dal fatto che, come si evince dal comunicato stampa della Federazione, in pari data è stata trasmessa alla UEFA la nuova classifica del campionato italiano di serie A 2005/2006, e l'elenco delle squadre da iscrivere alla Champions League ed alla Coppa UEFA. Peraltro, a prescindere da tale considerazione in ordine alla definitività del provvedimento del Commissario straordinario, non è enucleabile un qualche rapporto giuridico tra questo e la decisione dell'organo arbitrale, che ha avuto ad oggetto la (ben diversa) decisione della Corte federale, epilogo del processo sportivo. E' noto come, al contrario, la posticipazione della decorrenza del termine dell'impugnativa giurisdizionale è stata postulata in giurisprudenza, seppure con qualche temperamento, solo nel caso in cui sia ravvisabile un rapporto di controllo, vale a dire allorché il provvedimento lesivo sia sottoposto a controllo preventivo, in considerazione del fatto che solo da tale epoca sorge definitivamente l'interesse a contestare la decisione, ancorché immediatamente esecutiva (in termini, tra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 18/9/2003, n. 5310; Sez. V, 19/3/1999, n. 276; Sez. VI, 13/6/1995, n. 576). Al di fuori di tale rapporto di controllo (integrativo dell'efficacia), in caso di pubblicazione prescritta da una norma, il termine per impugnare un provvedimento decorre dalla medesima, in quanto determinante la conoscibilità legale per i soggetti non contemplati in esso; la pubblicazione costituisce infatti una presunzione legale di conoscenza e crea un onere di diligenza nei confronti degli interessati, che devono attivarsi per accertare che il provvedimento non sia lesivo dei propri interessi; il sistema della conoscenza legale costituisce invero lo strumento per conciliare il principio costituzionale dell'efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa (art. 97 della Costituzione) con il diritto di difesa (Cons. Stato, Sez. IV, 9/8/2005, n. 4228). Inoltre, procedendo così all'analisi del secondo profilo, conferma l'infondatezza della tesi di parte ricorrente la circostanza per cui il lodo sportivo non è stato neppure fatto oggetto di gravame in questa sede, non solo in ragione della, peraltro palese, estraneità al procedimento arbitrale dell'associazione ricorrente, ma soprattutto dell'autonomia, anche funzionale, del lodo stesso rispetto al provvedimento commissariale qui impugnato, in quanto tale inidoneo ad incidere direttamente sullo stesso. Si intende dire, ad escludere qualsivoglia profilo di presupposizione, che quand'anche la C.C.A.S. avesse annullato la revoca dello scudetto inflitta alla Ju. dalla Corte federale, si sarebbe imposto un ulteriore provvedimento in sede di autotutela per rimuovere la sopravvenuta attribuzione del titolo all'In. 3. - Le considerazioni che precedono evidenziano l'irricevibilità del ricorso (e ciò è quanto basta ai fini del decidere), ma al contempo (lo si evidenzia per completezza espositiva) anche il difetto di legitimatio ad causam dell'associazione L'Eg. di Na., intesa come (affermata) titolarità di una posizione di interesse qualificato, che valga a differenziarla dalla generalità dei consociati. Tale situazione è resa evidente dalla sua connotazione in termini di soggetto extraneus all'ordinamento sportivo e dall'assenza di un obiettivo nesso causale tra l'atto ivi impugnato e la dedotta perdita del finanziamento promessole dalla Ma. S.r.l.; né a diverso opinamento può indurre l'invocata norma dell'art. 27 della legge 7/12/2000, n. 383 (recante la disciplina delle associazioni di promozione sociale), che si limita, per quanto ora rileva, a riconoscere alle stesse la legittimazione a ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi lesivi degli interessi collettivi concernenti le finalità generali perseguite dall'associazione. A prescindere da ogni approfondimento di merito, non può affermarsi, per incompatibilità logica prima ancora che giuridica, che gli interessi statutariamente perseguiti dalla ricorrente (in definitiva, riconducibili alla valorizzazione della cultura della legalità) siano stati pregiudicati da un provvedimento derivante dagli accertamenti connessi alla vicenda denominata Calciopoli, ed alle conseguenti determinazioni sanzionatorie adottate dagli organi di giustizia sportiva. 4. - La pronuncia di irricevibilità rende inammissibile l'intervento ad adiuvandum del Comitato Di., in ragione del suo carattere accessorio rispetto al ricorso principale, e dunque anche a prescindere dall'inammissibilità dei motivi nuovi, con i quali l'interveniente ha inteso ampliare il thema decidendum. Le spese di giudizio seguono, come per regola, la soccombenza, e sono liquidate nella misura fissata nel dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Sezione III Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo dichiara irricevibile. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio nei confronti della resistente F.I.G.C. e della controinteressata F.C. In. Mi. S.p.a., liquidate in complessivi Euro duemila/00 (2.000,00) in favore di ciascuna parte creditrice. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15.5.2008.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio Sezione Terza Ter composto dai Magistrati: Italo Riggio Presidente Giulia Ferrari Consigliere relatore Diego Sabatino Primo referendario ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso n. 7711/06, proposto dal sig. Lu. Mo., rappresentato e difeso dagli avv.ti Pi. Gi., Fu. Gi., Pa. Tr. e Fe. Te. e con questi elettivamente domiciliato in Ro., Largo Me. n. (...), presso lo studio dell'avv. Fe. Te., contro la Federazione Italiana Giuoco Calcio - F.I.G.C., in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Lu. Me. e Le. Ma. presso il cui studio in Ro., via Pa. n. (...), è elettivamente domiciliata, il Comitato Olimpico Nazionale Italiano C.O.N.I., in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Al. An. presso il cui studio in Ro., via Gi. Pi. n. (...), è elettivamente domiciliato, il Ministero per i giovani e lo sport, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui Uffici in Ro., Via De. Po. n. (...), è per legge domiciliato, nonché nei confronti dell'Associazione Calcio Mi. s.p.a., in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Le. Ca., An. Di Po., Fi. Sa., Fa. Fa. e Fi. La. e con questi elettivamente domiciliata in Ro., via G. Da Pa. n. (...), presso lo studio dell'avv. Fi. Sa., della Ju. Football Club s.p.a., in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio, della Football Club In. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio, del Football Club Me. Pe. s.r.l., in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio, del sig. An. Gi., non costituito in giudizio, del sig. Ad. Ga., non costituito in giudizio, del sig. Le. Me., non costituito in giudizio, con l'intervento ad opponendum del Codacons e dell'Associazione Utenti Servizi Turistici Sportivi e della Multiproprietà, Sezione Tifosi dell'In. e della Ro., in persona dei rispettivi Presidenti pro tempore, anche ricorrenti incidentali, entrambi rappresentati e difesi dall'avv. Ca. Ri. ed elettivamente domiciliati in Ro., viale Ma. n. (...), per l'annullamento, previa sospensiva, della decisione della Corte Federale della F.I.G.C. del 25 luglio 2006, nella parte in cui è stata confermata la sanzione, inflitta al ricorrente dalla Commissione d'Appello Federale del 14 luglio 2006, dell'inibizione per cinque anni dai ranghi federali, con proposta al Presidente Federale di preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C., e l'ammenda di Euro 50.000,00 per la commissione di illecito sportivo e non una sanzione meno affittiva per la violazione dei soli principi di cui all'art. 1 del Codice di giustizia sportiva; di ogni altro atto presupposto, successivo o comunque connesso, con espresso riferimento all'atto di deferimento della Procura Federale ed alla decisione della Commissione d'Appello Federale del 14 luglio 2006, nella parte in cui è stata disposta a suo carico la predetta sanzione, nonché, per quanto occorra, l'ordinanza della medesima C.A.F. del 3 luglio 2006, con la quale è stata respinta l'eccezione di carenza di giurisdizione della C.A.F. nei suoi confronti. Visto l'atto di costituzione in giudizio della Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.); Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.); Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Associazione Calcio Mi. s.p.a.; Visto l'atto di intervento ad opponendum ed il ricorso incidentale del Codacons e dell'Associazione Utenti Servizi Turistici Sportivi e della Multiproprietà, Sezione Tifosi dell'In. e della Ro.; Vista l'istanza, verbalizzata dal ricorrente nella Camera di consiglio del 22 agosto 2006, di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Comunità europea; Visto il primo atto di motivi aggiunti, notificato dal ricorrente il 10 agosto 2006 e depositato il successivo 11 agosto 2006; Visto il secondo atto di motivi aggiunti, notificato dal ricorrente il 4 aprile 2007 e depositato il successivo 12 aprile 2007; Viste le memorie prodotte dalle parti in causa costituite a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del 13 marzo 2008 il Consigliere Giulia Ferrari; uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale; Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue: FATTO 1. Con ricorso notificato in data 2 agosto 2006 e depositato il successivo 4 agosto, il sig. Lu. Mo. impugna, tra gli altri, la decisione della Corte Federale della F.I.G.C. del 25 luglio 2006, nella parte in cui è stata confermata la sanzione, inflittagli dalla Commissione d'Appello Federale in data 14 luglio 2006, dell'inibizione per cinque anni dai ranghi federali, con proposta al Presidente Federale di preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C., e l'ammenda di Euro 50.000,00 per la commissione di illecito sportivo e non una sanzione meno afflittiva per la violazione dei soli principi di cui all'art. 1 del Codice di giustizia sportiva, e ne chiede l'annullamento. Espone, in fatto, che la vicenda disciplinare che l'ha visto coinvolto, nella qualità di direttore generale della società calcistica Ju., insieme ad altri tesserati e ad alcune squadre di calcio, ha avuto inizio a conclusione di un'indagine attivata a seguito di intercettazione di utenze telefoniche sue e di personaggi di rilievo della F.I.G.C., del settore arbitrale e di squadre militanti nel campionato di serie A. Dal 2004 la Procura della Repubblica di Napoli ha attivato un'indagine che, partita da ipotesi di scommesse illegali nel mondo del calcio, si è poi estesa, raccogliendo ed utilizzando intercettazioni telefoniche disposte sulle sue utenze. Gli atti raccolti dalla Procura di Napoli sono stati trasmessi all'Ufficio indagini della F.I.G.C. che, all'esito di una brevissima attività diretta essenzialmente alla conferma degli atti raccolti dall'Autorità giudiziaria, ne ha seguito pedissequamente l'impostazione, rilevando l'esistenza di responsabilità sue, di dirigenti di altre società (Mi., Fi. e La.), di alcuni organi della Federazione (Presidente e vice Presidente) e di arbitri e designatori. A seguito del deferimento alla C.A.F. questa, con decisione del 14 luglio 2006, ha disposto nei suoi confronti l'inibizione per cinque anni, con proposta al Presidente Federale di preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C., e l'ammenda di Euro 50.000,00. Avverso la predetta decisione egli ha proposto appello alla Corte Federale che, con decisione del 25 luglio 2006, ha confermato le sanzioni a suo carico. 2. Avverso i predetti provvedimenti il ricorrente è insorto deducendo: A) In via pregiudiziale: a) Sull'ammissibilità del ricorso per sussistenza di situazioni soggettive rilevanti per l'ordinamento. In subordine: illegittimità dell'art. 1 L. n. 280 del 2003 per violazione degli artt. 24 e 103 Cost. Carenza di giurisdizione della C.A.F. e della Corte Federale. Preliminarmente il ricorrente afferma che, ai sensi dell'art. 2 L. 17 ottobre 2003 n. 280, la competenza a conoscere la controversia è del giudice amministrativo. Diversamente opinando, ove cioè si ritenesse che non esiste un giudice naturale da adire per la verifica degli atti adottati dall'ordinamento sportivo, il cit. art. 2 sarebbe incostituzionale. Aggiungasi che in data 16 maggio 2006 egli aveva presentato le dimissioni dalla carica di direttore generale nel F.C. Ju., richiedendo ed ottenendo, contestualmente, la cancellazione dall'Elenco speciale dei Direttori sportivi. Segue da ciò che, ai sensi dell'ar. 36, settimo comma, N.O.I.F., non avrebbe potuto essere sottoposto a procedimento di giustizia domestica ad opera di un organo appartenente ad un ordinamento settoriale del quale egli non faceva più parte. B) Nel merito: b) Violazione e falsa applicazione del principio del giusto procedimento. b') Carenza di giurisdizione e falsa applicazione del principio del giusto procedimento. Essendosi egli dimesso dalla propria carica il 16 maggio 2006, la C.A.F. prima e la Corte Federale poi avrebbero dovuto dichiarare la propria carenza di giurisdizione. b'') Illegittima acquisizione ab origine delle intercettazioni telefoniche; rinvio pregiudiziale ex art. 234 del Trattato Ce. Le intercettazioni telefoniche, che hanno portato all'attivazione del procedimento penale dinanzi alla Procura della Repubblica di Napoli e di quello disciplinare dinanzi alla C.A.F., sono state illegittimamente acquisite. Aggiungasi che la società che le ha effettuate non è stata scelta a seguito di una procedura di evidenza pubblica. Le intercettazioni, dunque, sono state effettuate, raccolte, gestite e classificate in violazione della normativa comunitaria in materia di appalti di forniture e di servizi, con la conseguente necessità che gli atti siano rimessi, ex art. 234 del Trattato Ce, alla Corte di giustizia. Data la premessa, da essa discende che l'intero sistema probatorio, in base al quale egli è stato deferito e giudicato responsabile dei fatti ascrittigli, è viziato da illegittimità derivata. b') Illegittimo avvio e svolgimento del procedimento disciplinare. Il contraddittorio con l'interessato, svolto solo nella fase dibattimentale, avrebbe dovuto essere anticipato alla fase delle indagini. b) Illegittimo e parziale uso del materiale probatorio. Illegittimamente solo una minima parte delle intercettazioni acquisite a carico del sig. Lu. Mo. sono state utilizzate. La scelta di alcune conversazioni anziché di altre ha portato ad una visione distorta dell'intera vicenda. b') Illegittima ed inesistente valutazione del materiale probatorio. Illegittimamente la C.A.F. ha ratificato ex post, senza svolgere alcuna effettiva attività istruttoria, ipotesi accusatorie costruite dall'ufficio indagini e dalla Procura Federale in totale assenza di contraddittorio. c) Violazione e falsa applicazione dell'art. 6 del Codice di Giustizia sportiva Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, assenza dei presupposti, contraddittorietà, disparità di trattamento e violazione del principio di proporzionalità. La decisione della C.A.F. è viziata da palese contraddizione, atteso che gli si imputa di aver alterato la classifica ma non i risultati di singole gare, anzi escludendo che ciò era avvenuto. Aggiungasi che gli arbitri, con i quali egli avrebbe raggiunto l'intesa illecita, sono stati tutti assolti. 3. Con un primo atto di motivi aggiunti, notificato il 10 agosto 2006 e depositato il successivo 11 agosto 2006, il ricorrente impugna nuovamente la decisione della Corte Federale della F.I.G.C. del 25 luglio 2006, essendo stata la stessa depositata e resa pubblica nella sua versione integrale solo il 4 agosto 2006. Reitera nei confronti di detto provvedimento i motivi già dedotti con l'atto introduttivo del giudizio. 4. Con un secondo atto di motivi aggiunti, notificato il 4 aprile 2007 e depositato il successivo 12 aprile 2007, il ricorrente impugna il lodo arbitrale emesso il 7 marzo 2006 dalla Camera di conciliazione ed arbitrato dello sport, che ha dichiarato la propria incompetenza a decidere sulla controversia instaurata dallo stesso ricorrente avverso la decisione della Corte Federale. Detto lodo è inficiato non solo per vizi di illegittimità derivata ma anche per vizi propri e, in particolare, per eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità ed incompletezza della pronuncia. La Camera di conciliazione, che costituisce l'ultimo grado della giustizia sportiva, non poteva dichiararsi incompetente sulla base del medesimo atto e fatto che aveva giustificato la pronuncia della C.A.F., e della Corte Federale e poi omettere di trarre da tale affermazione le necessarie conseguenze, annullando le pronunce disciplinari adottate nei suoi confronti. In altri termini, la Camera di conciliazione, avendo preso atto che a seguito delle dimissioni presentate egli era uscito dall'ordinamento sportivo, doveva necessariamente concludere nel senso che non poteva essere soggetto a procedimento disciplinare né dalla C.A.F. né dalla Corte Federale della F.G.C. e per l'effetto doveva annullare le pronunce da esse emesse. 5. Con istanza, verbalizzata nella Camera di consiglio del 22 agosto 2006, il ricorrente ha chiesto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Comunità europea. 6. Si è costituita in giudizio la Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.), che ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso sotto diversi profili mentre nel merito ne ha sostenuto l'infondatezza. 7. Si è costituito in giudizio il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, che ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso sotto diversi profili mentre nel merito ne ha sostenuto l'infondatezza. 8. Si è costituita in giudizio l'Associazione Calcio Mi. s.p.a., che ha sostenuto l'infondatezza, nel merito, del ricorso. 9. Con atto di intervento ad opponendum, notificato il 21 agosto 2008, si sono costituiti in giudizio il Codacons e l'Associazione Utenti Servizi Turistici Sportivi e della Multiproprietà, Sezione Tifosi dell'In. e della Ro., che hanno sostenuto l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso. 10. Il Codacons e l'Associazione Utenti Servizi Turistici Sportivi e della Multiproprietà, Sezione Tifosi dell'In. e della Ro. hanno proposto altresì, uno actu, ricorso incidentale chiedendo l'annullamento della decisione della Corte d'appello federale nella parte in cui ha ridotto le sanzioni comminate dalla C.A.F. Detta decisione è, ad avviso dei ricorrenti incidentali, illegittima perché adottata con la presenza di un componente che avrebbe dovuto invece astenersi, nonché per difetto di motivazione. Le associazioni chiedono altresì la condanna al risarcimento dei danni, che quantificano in almeno due milioni di Euro per ciascuno dei soggetti coinvolti. 11. Con memorie depositate alla vigilia dell'udienza di discussione le parti costituite hanno ribadito le rispettive tesi difensive. 12. Con ordinanza n. 4666 del 22 agosto 2006 (confermata dalla VI Sez., del Consiglio di Stato con ord. 30 marzo 2007 n. 1600), è stata respinta l'istanza cautelare di sospensiva. 13. All'udienza del 13 marzo 2008 la causa è stata trattenuta per la decisione. DIRITTO 1. Come esposto in narrativa, il sig. Lu. Mo. impugna (con l'atto introduttivo del giudizio e con il primo atto di motivi aggiunti) la decisione della Corte Federale della F.I.G.C. del 25 luglio 2006, nella parte in cui è stata confermata la sanzione, inflitta nei suoi confronti dalla Commissione d'Appello Federale con atto del 14 luglio 2006, dell'inibizione per cinque anni dai ranghi federali, con proposta al Presidente Federale di preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C., e l'ammenda di Euro 50.000,00 per illecito sportivo commesso nel periodo in cui era direttore generale della F.C. Ju. s.p.a. nonché (con il secondo atto di motivi aggiunti) il lodo arbitrale emesso il 7 marzo 2006 dalla Camera di conciliazione ed arbitrato dello sport, che ha dichiarato la propria incompetenza a decidere sulla controversia da lui instaurata avverso la decisione della Corte Federale. Nell'esame delle diverse eccezioni sollevate dalle parti resistenti il Collegio ritiene di dover dare la priorità a quella relativa al proprio difetto di giurisdizione, sollevata sull'assunto che oggetto del gravame è una sanzione disciplinare sportiva, destinata ad esaurire i propri effetti nell'ambito dell'ordinamento settoriale, con conseguente irrilevanza per l'ordinamento statale alla stregua anche di quanto disposto dall'art. 2, primo comma, lett. b), D.L. 19 agosto 2003 n. 220, convertito con modificazioni dall'art. 1 L. 17 ottobre 2003 n. 280. La questione relativa alla sussistenza della giurisdizione del giudice adito va infatti esaminata prioritariamente, a prescindere dall'ordine delle eccezioni dato dalla parte, e ciò in quanto la carenza di giurisdizione inibisce al giudice anche di verificare la legittimazione passiva delle parti evocate in giudizio, così come la procedibilità del ricorso. Infatti, le statuizioni sul rito costituiscono manifestazione di potere giurisdizionale, di pertinenza esclusiva del giudice dichiarato competente a conoscere della controversia (Cons.Stato, IV Sez., 22 maggio 2006 n. 3026; T.A.R. Lazio, Sez. III ter, 20 luglio 2006 n. 6180). L'eccezione non è condivisibile. Ai sensi del D.L. 19 agosto 2003 n. 220, convertito dalla L. 17 ottobre 2003 n. 280, il criterio secondo il quale i rapporti tra l'ordinamento sportivo e quello statale sono regolati in base al principio di autonomia - con conseguente sottrazione al controllo giurisdizionale degli atti a contenuto tecnico sportivo - trova una deroga nel caso di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo; in tale ipotesi, le relative controversie sono attribuite alla giurisdizione dell'Autorità giudiziaria ordinaria ove abbiano per oggetto i rapporti patrimoniali tra Società, Associazioni ed atleti, mentre ogni altra controversia avente per oggetto atti del C.O.N.I. o delle Federazioni sportive nazionali è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In altri termini, la giustizia sportiva costituisce lo strumento di tutela per le ipotesi in cui si discute dell'applicazione delle regole sportive, mentre quella statale è chiamata a risolvere le controversie che presentano una rilevanza per l'ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi (Cons.Stato, VI Sez., 9 luglio 2004 n. 5025). Con precipuo riferimento al principio, introdotto dal cit. art. 2, di autonomia dell'ordinamento sportivo da quello statale, che riserva al primo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive, questo Tribunale ha già più volte chiarito che detta disposizione, letta unitamente all'art. 1, secondo comma, dello stesso decreto legge, non appare operante nel caso in cui la sanzione non esaurisce la sua incidenza nell'ambito strettamente sportivo, ma rifluisce nell'ordinamento generale dello Stato (T.A.R. Lazio, Sez. III ter, 22 agosto 2006 n. 7331; 18 aprile 2005 n. 2801 e 14 dicembre 2005 n. 13616). In applicazione di detto principio questa Sezione (21 giugno 2007 n. 5645; 8 giugno 2007 n. 5280) ha quindi affermato la propria giurisdizione nei ricorsi proposti dalla soc. Ar. e da un arbitro avverso le sanzioni inflitte con la decisione della Corte Federale della F.I.G.C. per illecito sportivo per fatti connessi alla vicenda della c.d. calciopoli (nella quale è stato ritenuto coinvolto anche l'odierno ricorrente), insorta nella stagione calcistica 2005/2006, mentre ha dichiarato (5 novembre 2007 nn. 10894 e 10911) il difetto assoluto di giurisdizione nella controversia promossa da un arbitro per la mancata iscrizione alla Commissione Arbitri Nazionale della serie A e B, fondandosi il provvedimento impugnato su un giudizio basato esclusivamente sulle qualità tecniche espresse dall'arbitro ed essendo, dunque, privo di qualsiasi effetto all'esterno dell'ordinamento sportivo. Ritiene il Collegio di non dover mutare l'orientamento assunto dalla Sezione nelle succitate decisioni in considerazione delle argomentazioni svolte sul punto dal Cons. giust. amm. sic. (decisione 8 novembre 2007 n. 1048), il quale ha escluso che possa avere rilevanza, per radicare la giurisdizione in capo al giudice amministrativo, l'efficacia esterna di detti provvedimenti sanzionatori (nella specie si trattava della squalifica di un campo di calcio e del conseguente obbligo della squadra locale di giocare su terreno neutro). La tesi svolta dal succitato organo giurisdizionale è che si tratta di conseguenze che normativamente non dispiegano alcun rilievo ai fini della verifica della sussistenza della giurisdizione statuale, che il legislatore avrebbe riconosciuto solo nei casi diversi da quelli, espressamente esclusi, perché dall'art. 2 primo comma, D.L. n. 220 del 2003 riservati al giudice sportivo. Osserva il Collegio che la conclusione del giudice di appello si fonda su un'interpretazione del concetto di autonomia, legislativamente riconosciuta ad un determinato ordinamento giuridico, che non è condivisibile. Autonomia sta a significare inibizione per un ordinamento giuridico di interferire con le proprie regole e i propri strumenti attuativi in un ambito normativamente riservato ad altro ordinamento coesistente (nella specie, quello sportivo), ma a condizione che gli atti e le pronunce in detto ambito intervenuti in esso esauriscano i propri effetti. Il che è situazione che, alla luce del comune buon senso, non ricorre affatto allorché la materia del contendere è costituita innanzi tutto da valutazioni e apprezzamenti personali, che a prescindere dalla qualifica professionale rivestita dal soggetto destinatario degli stessi e del settore nel quale egli ha svolto la sua attività, investono con immediatezza diritti fondamentali dello stesso in quanto uomo e cittadino, con conseguenze lesive della sua onorabilità e negativi, intuitivi riflessi nei rapporti sociali. Verificandosi questa ipotesi, che è poi quella che ricorre nel caso in esame - atteso che il danno asseritamente ingiusto, sofferto dal ricorrente è, più che nella misura interdittive e patrimoniali comminate, nel durissimo giudizio negativo sulle sue qualità morali, che esse inequivocabilmente sottintendono è davvero difficile negare all'odierno ricorrente l'accesso a colui che di dette vicende è incontestabilmente il giudice naturale. Una diversa conclusione assumerebbe carattere di particolare criticità ove si consideri, come sarà meglio chiarito in seguito, che in una determinata fase dell'impugnato procedimento è stata negata al ricorrente la stessa appartenenza al cd. mondo sportivo. Aggiungasi, ed il rilievo è assorbente, che la necessità per il Collegio di confermare anche in questa occasione le conclusioni già assunte dalla Sezione e non condivise dal giudice di appello siciliano nasce dalla necessità di dare una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2 D.L. n. 220 del 2003. Costituisce infatti principio ricorrente nella giurisprudenza del giudice delle leggi che, dinanzi ad un dubbio interpretativo di una norma o ad un'aporia del sistema, prima di dubitare della legittimità costituzionale dello norma stessa occorre verificare la possibilità di darne un'interpretazione secondo Costituzione (Corte cost. 22 ottobre 1996 n. 356). Ha chiarito la Corte costituzionale (30 novembre 2007 n. 403) che il giudice (specie in assenza di un pressoché consolidato orientamento giurisprudenziale) ha il dovere di adottare, tra più possibili interpretazioni di una disposizione, quella idonea a fugare ogni dubbio di legittimità costituzionale, dovendo sollevare la questione dinanzi al giudice delle leggi solo quando la lettera della norma sia tale da precludere ogni possibilità ermeneutica idonea a offrirne una lettura conforme a Costituzione. Ha infine aggiunto il giudice delle leggi che in linea di principio le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile dare di esse interpretazioni incostituzionali, ma perché è impossibile dare delle stesse interpretazioni costituzionali. Ora, nel caso di specie non mancano argomenti e precedenti giurisprudenziali a dimostrazione che il Legislatore del 2003 ha voluto solo garantire il previo esperimento, nella materia della disciplina sportiva, di tutti i rimedi interni, senza peraltro elidere la possibilità, per le parti del rapporto, di adire il giudice dello Stato se la sanzione comminata non esaurisce la sua rilevanza all'interno del solo ordinamento sportivo. Nella vicenda in esame il sig. Lu. Mo. impugna le sanzioni disciplinari (interdittive e patrimoniali) comminategli dalla Commissione d'Appello Federale (C.A.F.) e dalla Corte Federale per illeciti commessi durante il Campionato di calcio 2004/2005. Si è già detto che le sanzioni in questione, per la loro natura, assumono rilevanza anche al di fuori dell'ordinamento sportivo e quindi a prescindere dalle dimissioni rassegnate dal ricorrente dalla carica di direttore generale della F.C. Ju. s.p.a. e dalla richiesta ed ottenuta cancellazione dall'Elenco speciale dei Direttori sportivi - ove solo si considerino non soltanto i riflessi sul piano economico (il ricorrente potrebbe essere chiamato a rispondere, a titolo risarcitorio, sia alla soc. F.C. Ju., società quotata in borsa, che ai singoli azionisti) ma anche e soprattutto il giudizio di disvalore che da detta sanzione discende sulla personalità del soggetto in questione in tutti i rapporti sociali. Dunque, le impugnate sanzioni disciplinari sportive, in sé considerate, sono certo rilevanti per l'ordinamento sportivo, ma impingono altresì su posizioni regolate dall'ordinamento generale, onde la relativa tutela spetta a questo giudice, nella propria competenza esclusiva di cui all'art. 3 primo comma, D.L. n. 220 del 2003, pena la violazione dell'art. 24 della Costituzione. Infine, come già anticipato, ritiene il Collegio che nel caso in esame sussiste un'ulteriore argomentazione che depone a favore del necessario riconoscimento della sua giurisdizione anche a prescindere dalla rilevanza esterna delle sanzioni inflitte al sig. Lu. Mo. Come si dirà più diffusamente in seguito, il ricorrente in data 16 maggio 2006 ha rassegnato le proprie dimissioni dalla carica di direttore generale della F.C. Ju. s.p.a. ed ha chiesto ed ottenuto la cancellazione dall'Elenco speciale dei Direttori sportivi. Da questa circostanza la Camera di conciliazione ed arbitrato dello sport ha dedotto la propria incompetenza a decidere sull'istanza di arbitrato depositata dal sig. Lu. Mo. il 2 novembre 2006. Se dunque il ricorrente non è più soggetto appartenente all'ordinamento sportivo e non può quindi adire gli organi della giustizia sportiva, deve allora necessariamente ammettersi che può rivolgersi per la tutela della propria posizione giuridica soggettiva agli organi della giustizia statale, a meno che non s'intenda paradossalmente affermare che in ambito sportivo esistono fatti e comportamenti nei confronti dei quali, ancorché sicuramente lesivi dei diritti fondamentali della persona, l'ordinamento sia statale che sportivo non apprestano rimedi giurisdizionali. 2. Deve essere invece accolta l'eccezione sollevata dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.) e dichiarato il suo difetto di legittimazione passiva, non essendo a questi imputabile alcuno degli atti impugnati. Ed invero, l'art. 12 dello Statuto del C.O.N.I. configura la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport come un organo non amministrativo ma arbitrale, rispettoso dei principi di terzietà, autonomia ed indipendenza di giudizio; a ciò si aggiunga che l'art. 20 del regolamento della Camera significativamente precisa che il lodo è imputabile esclusivamente all'organo arbitrale. In nessun caso il lodo può essere considerato atto della Camera o del C.O.N.I. (T.A.R. Lazio, III Sez., 7 aprile 2005 n. 2571). 3. Deve essere invece respinta l'eccezione di improcedibilità dell'atto introduttivo del giudizio per mancato assolvimento della cd. pregiudiziale sportiva. Come correttamente ha dato atto la stessa difesa della F.I.G.C. il sig. Lu. Mo., successivamente alla proposizione dell'atto introduttivo del giudizio, ha esaurito i rimedi interni dell'ordinamento sportivo ed ha successivamente impugnato, con il secondo atto di motivi aggiunti, il lodo arbitrale emesso il 7 marzo 2006 dalla Camera di conciliazione ed arbitrato dello sport, con conseguente superamento della predetta eccezione di improcedibilità del ricorso. 5. Infine, il Collegio ritiene di doversi porre d'ufficio la questione relativa all'ammissibilità del ricorso incidentale, proposto dal Codacons e dall'Associazione Utenti Servizi Turistici Sportivi e della Multiproprietà, Sezione Tifosi dell'In. e della Ro. uno actu con l'intervento ad opponendum. Ed invero, se non può precludersi la proposizione dell'intervento (adesivo od oppositivo) per la cura di un semplice interesse di fatto, ciò che è, invece, precluso all'interveniente è l'ampliamento dell'oggetto del giudizio con la proposizione di un ricorso incidentale (Cons.Stato, IV Sez., 18 marzo 1997 n. 262; VI Sez., 4 ottobre 1983 n. 703; T.A.R. Catania, I Sez., 29 ottobre 2004 n. 3006; T.A.R. Lazio, II Sez., 17 luglio 2000 n. 5934). Secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, infatti, il ricorso incidentale, previsto dagli artt. 37 T.U. 26 giugno 1924 n. 1054 e 37 L. 6 dicembre 1971 n. 1034, è un mezzo posto a disposizione del controinteressato intimato per impugnare un provvedimento amministrativo in una parte e per motivi diversi da quelli addotti dal ricorrente, allo scopo di paralizzare l'azione proposta da quest'ultimo e di ottenere che, nel caso di eventuale possibile fondatezza della sua istanza, il provvedimento impugnato in via principale (o altro provvedimento connesso) venga nel contempo sindacato sotto altri profili, favorevoli allo stesso controinteressato, sì da portare alla finale salvezza del suo contenuto essenziale ovvero al suo rinnovo in senso ugualmente vantaggioso (Cons.Stato, V Sez., 26 luglio 1985 n. 267) .Nella fattispecie le due Associazioni non rivestono in senso sostanziale la posizione di controinteressate, dal momento che le decisioni della C.A.F. prima e della Corte Federale dopo non hanno procurato né ad esse né alla platea dei consumatori, che le stesse rappresentano, un vantaggio diretto, come è invece accaduto, ad es. alla società calcistica Football Club In. s.p.a. che, per effetto della retrocessione in serie B della Ju. e della penalizzazione di punti al Mi., ha ottenuto lo scudetto. 5. Passando al merito del ricorso, preliminare appare l'esame della questione relativa alla sottoponibilità a procedimento disciplinare del sig. Lu. Mo. da parte dell'ordinamento sportivo, avendo egli rassegnato le proprie dimissioni dalla carica di direttore generale della F.C. Ju. s.p.a. il 16 maggio 2006 e richiesto ed ottenuto la cancellazione dall'Elenco speciale dei Direttori sportivi. Giova premettere che, ai sensi dell'art. 36, comma 7, non possono essere nuovamente tesserati coloro che abbiano rinunciato ad un precedente tesseramento in pendenza di procedimento disciplinare a loro carico. Da questa norma il ricorrente desume l'illegittimità della prosecuzione del procedimento disciplinare a suo carico, essendo ormai fuori dall'ordinamento sportivo e non potendo più rientrarvi per aver rassegnato le proprie dimissioni in pendenza del procedimento disciplinare. Il sig. Lu. Mo. parte infatti dall'assunto che il procedimento disciplinare inizia con il ricevimento della notitia criminis da parte dell'Ufficio indagini, avvenuto nel marzo 2006. A questa conclusione si contrappone quella della Corte Federale, secondo cui il procedimento disciplinare inizia con il deferimento dell'interessato, da parte della Procura Federale, alla Commissione di Appello federale, che nella specie è avvenuto il 23 giugno 2006. Il sig. Lu. Mo. ha rassegnato le proprie dimissioni il 16 maggio 2006, quindi prima dell'inizio del procedimento. Né possono rilevare, per invocare l'applicabilità dell'art. 36, comma 7, N.O.I.F., le seconde dimissioni ripresentate dallo stesso ricorrente il 3 luglio 2006, e cioè in epoca in cui già non era più tesserato. Il Collegio ritiene corretta l'impostazione difensiva della F.I.G.C. Il procedimento, che si conclude con la comminatoria di una sanzione disciplinare a carico di tesserati, inizia, infatti, con il deferimento da parte della Procura Federale della C.A.F., essendo la fase precedente preordinata all'acquisizione degli elementi di conoscenza necessari per valutare se sussistono o no gli estremi per l'attivazione del procedimento stesso. Solo ove questa prima fase si concluda positivamente ha inizio il procedimento disciplinare a carico del deferito (T.A.R. Lazio, Sez. III ter, 8 giugno 2007 n. 5280). Sono inoltre prive di giuridica rilevanza le dimissioni nuovamente presentate dal ricorrente il 3 luglio 2006, non ricoprendo egli a quella data più alcuna carica dalla quale potersi dimettere in ragione degli effetti già derivati dalle dimissioni rassegnate il 16 maggio 2006 e della cancellazione predisposta, in pari data, dalla Commissione responsabile della tenuta dell'Elenco speciale dei direttori sportivi. Data la premessa, la conseguenza è che non è invocabile il cit. settimo comma dell'art. 36 N.O.I.F., che assume a presupposto che le dimissioni siano presentate in pendenza di procedimento disciplinare. Ma il Collegio ritiene che l'inapplicabilità dell'art. 36, settimo comma, N.O.I.F., derivi anche da un'altra ragione. La norma in questione, infatti, dispone espressamente soltanto che il tesserato dimessosi (in pendenza di procedimento disciplinare) non può successivamente chiedere una nuova iscrizione. Ciò per l'evidente ragione di evitare che le dimissioni siano rassegnate al fine precipuo di interrompere il procedimento in corso, salvo poi chiedere la riammissione nell'ordinamento sportivo. Nulla prevede, invece, la norma in ordine all'assoggettabilità a procedimento disciplinare del tesserato dimessosi. Il Collegio ritiene che dalla statuizione espressa del settimo comma non possa trarsi la conseguenza affermata dal ricorrente e che, dunque, nulla impedisca di sottoporre a procedimento disciplinare anche un tesserato già dimessosi. Al fine di giustificare le conclusioni alle quali il Collegio è pervenuto soccorrono pur con gli opportuni distinguo connessi alla differente natura del rapporto i principi pacificamente affermati nell'ambito dell'impiego pubblico, nel quale si ammette in via generale l'esperibilità del procedimento disciplinare nei confronti di un dipendente cessato dal servizio, nelle ipotesi in cui sussista in concreto un interesse giuridicamente qualificato, dell'impiegato o della stessa Amministrazione, ad una valutazione sotto il profilo disciplinare del comportamento tenuto in servizio dal dipendente (Cons.Stato, II Sez., 16 maggio 2001, n. 422; T.A.R. Veneto, II Sez., 22 agosto 2002 n. 4514). Tali principi possono essere ragionevolmente trasfusi nel caso in esame nel quale l'interesse dell'ordinamento sportivo a sanzionare un tesserato pur a fronte della sicurezza che lo stesso non potrà in alcun caso, ex art. 36, settimo comma, N.O.I.F., chiedere una nuova iscrizione deriva dalla necessità non solo di moralizzare il mondo sportivo accertando sempre e comunque il comportamento asseritamente amorale di un ex iscritto ma anche dal fatto che tra le sanzioni comminabili figura anche quella pecuniaria, a nulla rilevando che, come afferma la F.I.G.C. nei propri scritti difensivi, questa assumerebbe la natura di obbligazione naturale. Ad avviso della Federazione, infatti, essa potrebbe non essere mai pagata senza che sia possibile, proprio per l'autonomia dell'ordinamento sportivo, ricorrere ai rimedi predisposti, questa volta dall'ordinamento statale, contro i debitori inadempienti. Il primo motivo di ricorso non è dunque suscettibile di positiva valutazione. 6. Con il secondo motivo di ricorso si deduce innanzitutto l'illegittimità, sotto molteplici profili, dell'intero sistema probatorio basato sulle intercettazioni telefoniche delle utenze del sig. Lu. Mo. Priva di pregio è la prima censura dedotta con il motivo in esame, con la quale si afferma che illegittimamente le intercettazioni sono state fatte e raccolte da una società che non era stata scelta a seguito di una procedura di evidenza pubblica. Rileva infatti il Collegio che eventuali vizi, relativi all'affidamento senza ricorso ad una gara, del servizio di intercettazione telefonica alla Telecom Italia s.p.a. (peraltro non evocata in giudizio), non sono idonei a refluire con effetti invalidanti sull'attività posta in essere dalla C.A.F. prima e dalla Corte Federale della F.I.G.C. poi e sulle conclusioni alle quali sono pervenuti gli organi in questione anche sulla base di dette intercettazioni, non sussistendo tra le informazioni fornite dalla Telecom Italia s.p.a. e l'uso che delle stesse è stato fatto in sede di indagine preliminare un rapporto diverso da quello di mera strumentalità materiale del primo rispetto al secondo. Aggiungasi che il ricorrente non contesta, in punto di fatto, il contenuto delle intercettazioni telefoniche poste a base della sua condanna disciplinare, con la conseguenza che dall'affidamento del servizio ad altra società risultata aggiudicataria di una gara il sig. Lu. Mo. non sarebbe stato in grado di ottenere alcun risultato utile. Di qui la non accoglibilità della richiesta di trasmissione degli atti di causa alla Corte di Giustizia ex art. 234 del Trattato Ce (come del resto affermato anche dal Consiglio di Stato nell'ordinanza n. 1600 del 30 marzo 2007, con la quale è stato confermato il diniego di sospensione cautelare di questo Tribunale). 7. Priva di pregio è anche la censura, sempre dedotta con il secondo motivo di ricorso, con la quale si afferma che, illegittimamente, di tutte le intercettazioni raccolte solo alcune sono state utilizzate. La scelta di talune conversazioni anziché di altre avrebbe portato ad una visione distorta dell'intera vicenda. Rileva il Collegio che le intercettazioni raccolte, stante il loro inequivoco tenore, sono certamente sufficienti a supportare l'intero impianto probatorio con la conseguenza che, ove pure ne fossero state aggiunte altre, la conclusione non muterebbe. 8. Occorre ora passare all'esame della censura più delicata relativa all'utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche in sede di procedimento disciplinare a carico di soggetti appartenenti (o che erano appartenuti) all'ordinamento sportivo e alla possibilità di fondare sulle stesse l'intera struttura probatoria. Sulla questione il Collegio si è già pronunciato (21 giugno 2007 n. 5645) in occasione della decisione emessa su un ricorso proposto da una società sportiva sanzionata nell'ambito della stessa vicenda cd. calciopoli, con argomentazioni dalle quali non intende discostarsi. Giova premettere che le intercettazioni telefoniche provenienti dal procedimento penale pendente dinanzi all'Autorità giudiziaria napoletana sono state acquisite dagli uffici federali ai sensi dell'art. 2, terzo comma, L. 13 dicembre 1989 n. 401, che consente agli organi della disciplina sportiva di chiedere copia degli atti del procedimento penale a norma dell'art. 116 c.p.p. Dette intercettazioni sono state legittimamente valutate in sede amministrativa, in conformità al principio di libera utilizzazione degli elementi di prova acquisiti in procedimenti diversi, che opera in assenza di un principio di tipicità dei mezzi di prova. Questa Sezione ha anche chiarito, in relazione alla valenza probatoria delle intercettazioni, che non può essere trascurato come anche la giurisprudenza penale (Cass. pen., V Sez., 9 febbraio 2007 n. 5699 e 16 febbraio 2000 n. 6350), sia pure ai diversi fini del giudizio penale, costantemente afferma che nell'interpretazione dei fatti comunicativi le regole del linguaggio e della comunicazione costituiscono il criterio di inferenza (premessa maggiore) che, muovendo dal testo della comunicazione o comunque della struttura del messaggio (premessa minore), consente di pervenire alla conclusione interpretativa. Sicchè le valutazioni del giudice di merito sono censurabili solo quando si fondino su criteri interpretativi inaccettabili (difetto della giustificazione esterna), ovvero applichino scorrettamente tali criteri (difetto della giustificazione interna). Anche nel caso di specie, l'interpretazione del significato delle intercettazioni coinvolgenti il sig. Lu. Mo. è adeguatamente e logicamente motivata nelle decisioni degli organi federali e risulta compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, secondo la formula ricorrente nella giurisprudenza penale. Ne deriva, ancora, che l'interpretazione del fatto comunicativo (e cioè della conversazione intercettata) è incensurabile in questa sede di giurisdizione di legittimità, seppure esclusiva. Quanto poi alla prospettata inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, in quanto asseritamente acquisite al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dall'art. 266 del c.p.p., ritiene il Collegio sufficiente osservare come il divieto di utilizzazione concerne il procedimento penale e comunque richiede un accertamento che rientra nella competenza esclusiva del giudice penale (Cass., I Sez., 30 marzo 1993), il quale dispone la distruzione della relativa documentazione (art. 271, terzo comma, c.p.p.). Deve dunque condividersi l'orientamento giurisprudenziale alla stregua del quale l'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche non può spiegare effetti oltre gli ambiti processuali penali e, pertanto, non può impedire l'apprezzamento delle stesse in sede disciplinare (T.A.R. Lazio, Sez. III ter, 21 giugno 2007 n. 5645; T.A.R. Bari, I Sez., 19 aprile 2001 n. 1199). 9. Il Collegio esclude, infine, che le intercettazioni sulle quali gli organi di giustizia sportiva si sono basati per comminare le sanzioni non siano idonee ad assurgere a prova dell'illecito contestato al sig. Lu. Mo.. Occorre prendere le mosse dalla condivisibile valutazione, contenuta nella decisione della Corte federale, e, prima ancora della C.A.F., secondo cui le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche ed ambientali non vengono generalmente in rilievo quali prove in sé degli addebiti rivolti ai deferiti, ma come mera circostanza storica - non disconosciuta nella sua esistenza, né nel suo oggetto, né nella sua veridicità, dagli incolpati - suscettibile di lettura critica, interpretazione logica, collegamento con altri elementi probatori acquisiti, in una parola di valutazione di merito. Tale metodo è stato seguito anche con riguardo alla posizione del sig. Lu. Mo., come inequivocabilmente si evince alle pagg. 64 - 68 della decisione della Corte federale, ove il contenuto delle interlocuzioni intervenute tra il ricorrente e i designatori arbitrali è stato sottoposto a vaglio critico e ritenuto condivisibilmente espressivo di un comune intento fraudolento, tale da integrare la fattispecie di cui all'art. 6 del Codice di giustizia Sportiva. 10. Non è suscettibile di positiva valutazione neanche la censura, anch'essa dedotta con il secondo motivo, con la quale si afferma che illegittimamente il contraddittorio con il sig. Lu. Mo. si è svolto solo nella fase dibattimentale mentre avrebbe dovuto essere anticipato alla fase delle indagini. E' sufficiente sul punto richiamare quanto già chiarito dal Collegio sub 4 in ordine al momento in cui inizia il procedimento disciplinare. Contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, questo inizia, infatti, con il deferimento dell'inquisito alla C.A.F., con la conseguenza che è solo da quel momento che si deve come di fatto è avvenuto - assicurare il contraddittorio con l'accusato, il quale viene messo in tal modo in grado di dare il proprio apporto partecipativo al provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare di non doversi procedere o di comminatoria di sanzione. Aggiungasi, al solo fine di moralizzare la vicenda contenziosa, che il sig. Lu. Mo. in data 7 giugno 2006 (e, quindi, prima del deferimento avvenuto con atto del 22 giugno 2006) ha comunicato per il tramite dei suoi legali di essere divenuto ormai estraneo all'ordinamento calcistico per effetto delle rassegnate dimissioni e di non intendere, per questo motivo, presenziare alle audizioni in corso. Altro rilievo determinante alla reiezione della censura è connesso al fatto che le decisioni degli organi di giustizia sportiva in questa sede gravati sono l'epilogo di procedimenti amministrativi (seppure in forma giustiziale) e non già giurisdizionali, con la conseguenza che non possono ritenersi presidiati dalle garanzie del processo. Come la Sezione ha già chiarito (8 giugno 2007 n. 5280), alla giustizia sportiva si applicano, oltre che le regole sue proprie previste dalla normativa federale, per analogia anche quelle dell'istruttoria procedimentale, ove vengono acquisiti fatti semplici e complessi, che possono anche investire la sfera giuridica di soggetti terzi. Richiamando anche la giurisprudenza formatasi in tema di ricorsi amministrativi di cui al D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199, si è evidenziata l'inapplicabilità delle regole processuali di formazione in contraddittorio della prova (tipiche specialmente del processo penale). Pur valorizzando la disciplina contenuta nella legge generale sul procedimento amministrativo, la giurisprudenza costantemente afferma che contraddittorio e partecipazione sono soddisfatti allorché la parte interessata sia adeguatamente informata della natura e dell'effettivo avvio del procedimento e sia posta in condizione di fornire gli apporti ritenuti utili in chiave istruttoria e logico - argomentativa (Cons. Stato, IV Sez., 30 giugno 2003 n. 3925). 11. Con l'ultima, articolata censura, sempre del secondo motivo di ricorso, il sig. Lu. Mo. deduce che la decisione della C.A.F. è viziata da palese contraddizione, atteso che gli si imputa di aver alterato la classifica senza alterare il risultato di singole partite. Ove si fosse correttamente proceduto, al più il ricorrente avrebbe potuto essere sanzionato per la minore violazione prevista dall'art. 1 del Codice di Giustizia Sportiva (id est, violazione di doveri di lealtà sportiva), e non per quella prevista dall'art. 6 (id est, illecito sportivo). Anche questa censura non è suscettibile di positiva valutazione. Risulta infatti palese, da una corretta lettura dell'art. 6, comma 1, del Codice di giustizia sportiva, che ciò che si è inteso qualificare come illecito sportivo e severamente sanzionare non è soltanto l'avvenuta alterazione, con mezzi fraudolenti, del risultato di una determinata partita ma, a monte e innanzitutto, la creazione di una struttura sapientemente articolata e fondata su interessati rapporti con i centri decisionali della Federazione e della classe arbitrale, la cui funzione non è certamente quella di assicurare ad una determinata società, all'interno del sistema calcio, un'immagine di strapotere sul piano organizzativo e funzionale, ma di ingenerare a suo favore una situazione di sudditanza psicologica da parte sia degli arbitri, condizionandone l'operato a mezzo dello strumento delle designazioni affidate a persone facenti parte della struttura sopra citata, che delle altre società, boicottandole non solo sul piano strettamente competitivo ma anche su quello del mercato delle acquisizioni, e al tempo stesso di assicurare alla società protetta la consapevolezza che in caso di bisogno non mancheranno tempestivi interventi idonei a fronteggiare, con idonee misure, eventuali situazioni di pericolo. Situazione questa agevolmente realizzabile con il concorso di un arbitro compiacente e disponibile a non vedere all'occorrenza falli compiuti sul campo da giocatori della società protetta e a intervenire con severità su quelli, esistenti o no, imputati ai giocatori della squadra avversaria. In sostanza ciò che appare decisivo, dal punto di vista strutturale, è la circostanza che l'illecito sportivo di cui all'art. 6, I e II comma, del C.G.S. si configura come illecito di pericolo, o, meglio, a consumazione anticipata, concretandosi nel compimento, con qualsiasi mezzo, di atti funzionalmente preordinati ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara ovvero ad assicurare un vantaggio che poi si rifletterà nella classifica. Non rileva, quindi, al limite, che l'arbitraggio sia stato effettivamente parziale, ma piuttosto l'idoneità degli atti compiuti a conseguire il risultato lesivo, ovvero la messa in pericolo del bene protetto. 12. Quanto alla dedotta disparità di trattamento, a prescindere dalla genericità e, quindi, dall'inammissibilità della censura per omessa indicazione dei nominativi di coloro che sarebbero stati destinatari di un diverso è più favorevole trattamento, è assorbente la considerazione che tale figura sintomatica dell'eccesso di potere richiede che situazioni identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, ed è evidente che tale giudizio di equivalenza risulta precluso dall'accertamento di autonome fattispecie di responsabilità. 13. La reiezione dei motivi dedotti con l'atto introduttivo del giudizio comporta la reiezione dei motivi, pressoché identici, dedotti con il primo atto di motivi aggiunti. 14. Infine, per quanto attiene ai secondi motivi aggiunti dedotti per l'annullamento del lodo arbitrale, essi sono da respingere nella parte in cui prospettano vizi di illegittimità derivati da quelli già denunciati con l'atto introduttivo del giudizio e nella via dei primi motivi aggiunti. Ed invero, a prescindere dal fatto che non risulta chiarito quali fra i vizi imputati agli atti già impugnati si rifletterebbero anche sul lodo, in ragione del suo contenuto, è assorbente la considerazione che tutte le censure contro di esso dedotte sono state motivatamente disattese. Non assecondabile è anche l'altro motivo di doglianza, con il quale si imputa al Collegio arbitrale un comportamento contraddittorio per aver dichiarato la sua incompetenza ad emettere il loro arbitrale senza aver contestualmente annullato le pronunce disciplinari adottate a carico del sig. Lu. Mo. Sembra al Collegio agevole opporre che illogica sarebbe la decisione collegiale (non contestata peraltro nella parte afferente la dichiarata incompetenza) se la camera arbitrale, dopo aver dichiarato la sua incompetenza a pronunciare nella materia de qua, si fosse sentita autorizzata ad intervenire con effetti demolitori sulle decisioni in precedenza assunte dai giudici sportivi. 15. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere respinto. Quanto alle spese di giudizio, può disporsene l'integrale compensazione fra le parti costituite in giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio Sezione III Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto, come in epigrafe, dal sig. Lu. Mo.: a) dichiara inammissibile il ricorso incidentale proposto dal Codacons e dall'Associazione Utenti Servizi Turistici, Sportivi e Multiproprietà, Sezioni tifosi dell'In. e della Ro.; b) respinge il ricorso principale. Compensa integralmente tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 13 marzo 2008.
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