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Il contratto di finanziamento revolving stipulato presso un rivenditore non autorizzato è nullo per violazione della riserva di attività in favore degli agenti in attività finanziaria, in quanto l'attività del rivenditore non si è limitata alla mera distribuzione di una carta di pagamento, ma ha comportato la raccolta di una proposta contrattuale relativa all'apertura di una linea di credito utilizzabile mediante carta di credito revolving, attività riservata per legge agli intermediari finanziari abilitati. La nullità del contratto comporta il diritto del cliente di rimborsare il solo capitale utilizzato, con applicazione degli interessi al tasso legale, e non quello previsto nel contratto nullo. La mancata tempestiva contestazione degli estratti conto non preclude al cliente di far valere la nullità del contratto, in quanto tale condotta incide solo sulla contabilità, ma non sulla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori da cui derivano gli addebiti. Il termine di prescrizione per l'azione di ripetizione dell'indebito decorre dall'ultima rimessa effettuata dal cliente, in quanto avente natura ripristinatoria e non solutoria, non rilevando la circostanza che il conto corrente non sia ancora estinto.
La nullità del contratto di concessione di linea di credito con carta revolving stipulato con un soggetto non abilitato alla promozione finanziaria, in violazione della riserva di legge prevista per l'esercizio professionale dell'agenzia in attività finanziaria, comporta il diritto del consumatore di rimborsare il capitale utilizzato con l'applicazione del solo tasso legale, in quanto la nullità del contratto per violazione di norma imperativa ai sensi dell'art. 1418 c.c. non consente l'applicazione delle pattuizioni contrattuali, ivi comprese quelle relative agli interessi. Tale nullità, essendo posta a tutela di interessi generali e non solo del contraente debole, non può essere ricondotta al genus delle nullità "di protezione", per le quali la presenza di una clausola nulla non inficia l'intero contratto. Inoltre, la transazione intervenuta tra le parti, avendo natura conservativa e non novativa, è anch'essa affetta da nullità in quanto regola un rapporto giuridico patrimoniale fondato su un titolo contrattuale invalido. Il comportamento del consumatore, che abbia sempre adempiuto alle obbligazioni contrattuali senza contestare il rapporto, non integra una violazione dell'obbligo di buona fede, in quanto egli ha agito in buona fede nell'ignoranza dell'invalidità del contratto, e non può pertanto essere ritenuto responsabile dei danni lamentati dalla banca.
La nullità del contratto di finanziamento revolving concluso tramite un venditore di elettrodomestici, in violazione della disciplina pubblicistica sul collocamento e distribuzione dei prodotti finanziari, comporta l'obbligo per l'intermediario finanziario di restituire al cliente le sole somme in capitale ricevute, al tasso legale di interesse, senza che rilevi la mancata contestazione degli estratti di conto da parte del cliente, il quale ha agito in buona fede confidando nella validità del contratto per tutto il periodo di esecuzione. Il principio di diritto affermato nella sentenza è che il contratto di finanziamento revolving concluso tramite un venditore di elettrodomestici, anziché attraverso gli agenti in attività finanziaria come previsto dalla normativa di settore, è nullo per violazione della disciplina pubblicistica sul collocamento e distribuzione dei prodotti finanziari. Di conseguenza, l'intermediario finanziario è tenuto a restituire al cliente le sole somme in capitale ricevute, al tasso legale di interesse, senza che rilevi la mancata contestazione degli estratti di conto da parte del cliente, il quale ha agito in buona fede confidando nella validità del contratto per tutto il periodo di esecuzione. La massima sottolinea come la nullità del contratto, derivante dalla violazione della normativa pubblicistica, sia insanabile e non possa essere sanata dalla mancata contestazione degli estratti di conto da parte del cliente, il quale non può essere considerato in mala fede per aver beneficiato della linea di credito senza contestare alcunché, essendo egli un contraente debole che ha confidato nella validità del contratto. L'intermediario finanziario è quindi tenuto alla restituzione delle sole somme in capitale, al tasso legale, senza poter trattenere gli interessi ultralegali applicati.
Il contratto bancario o finanziario, anche se contenente clausole di interessi moratori, è soggetto alla disciplina antiusura di cui alla legge n. 108/1996, la quale sanziona la pattuizione di interessi eccessivi sia a titolo di corrispettivo per la concessione del denaro, sia a titolo di interessi moratori dovuti in relazione al contratto concluso. Ai fini della verifica del superamento del tasso-soglia antiusura, occorre considerare non solo gli interessi corrispettivi, ma anche gli interessi moratori, nonché tutte le altre voci di costo del finanziamento, quali commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all'erogazione del credito. Qualora il costo complessivo del finanziamento, così determinato, risulti superiore al tasso-soglia antiusura, la clausola che lo prevede è nulla e non sono dovuti gli interessi, ferma restando la debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti. Anche in corso di rapporto, il debitore ha interesse ad agire per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti, tenuto conto del tasso-soglia del momento dell'accordo; una volta verificatosi l'inadempimento e il presupposto per l'applicazione degli interessi di mora, la valutazione di usurarietà attiene all'interesse in concreto applicato dopo l'inadempimento. Nei contratti conclusi con un consumatore, concorre la tutela prevista dal Codice del Consumo in tema di clausole abusive.
Il falso in denuncia penale, pur essendo un reato di pericolo, richiede il dolo generico, ovvero la coscienza e volontà di affermare falsamente l'avvenuta consumazione di un reato, a prescindere dal movente. Pertanto, la presentazione di una denuncia contenente dichiarazioni mendaci, che determinino l'astratta possibilità di un'attività degli organi inquirenti diretta all'accertamento del fatto denunciato, integra il delitto di simulazione di reato di cui all'art. 367 c.p., anche qualora il denunciante non intendesse propriamente attivare un procedimento penale. Tuttavia, la condotta dell'imputato può essere valutata favorevolmente ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, ove ricorrano i relativi presupposti, tenuto conto della sua incensuratezza e del comportamento collaborativo nel corso del processo.
La detenzione illegale di un revolver cal. 32 e di diciotto cartucce cal. 7,65 va qualificata come delitto punibile ex artt. 10 e 11 legge n.. 497 del 1974 e non integra più l'ipotesi di cui all'art.. 697 cod. PEN.. tali norme, avendo regolato ex novo ed in diverso modo la materia, hanno avuto effetto abrogativo delle preesistenti norme in materia di detenzione illegale di armi.
Il contratto di apertura di linea di credito rotativa o "revolving" è valido ed efficace se risulta sottoscritto da entrambe le parti contraenti, anche se stipulato presso un punto vendita commerciale, in quanto tale modalità non costituisce di per sé una violazione di norme o principi di diritto, purché siano rispettati i requisiti di forma e di contenuto previsti dalla legge. Pertanto, ove il contratto risulti validamente sottoscritto dal cliente, non può essere dichiarato nullo o inefficace per il solo fatto che la sua conclusione sia avvenuta presso un esercizio commerciale, essendo sufficiente che il cliente abbia ricevuto adeguata informativa sulle caratteristiche e condizioni del finanziamento. Inoltre, la successiva entrata in vigore di norme o provvedimenti amministrativi che vietano o limitano tali modalità di conclusione dei contratti bancari non può avere efficacia retroattiva, con conseguente applicazione della disciplina vigente al momento della stipulazione del contratto. Infine, il giudice, nel valutare la domanda di accertamento negativo del credito, non può spingersi oltre il petitum formulato dalla parte, condannando la banca alla restituzione di somme indebitamente percepite, se tale domanda non è stata espressamente proposta.
La revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia e della carta europea d'arma da fuoco può essere legittimamente disposta dall'Autorità di pubblica sicurezza anche in presenza di un singolo episodio di comportamento violento e aggressivo da parte del titolare, che denoti carenza di equilibrio e scarsa capacità di autocontrollo, a prescindere dalla successiva remissione della querela da parte della persona offesa. Ciò in quanto la valutazione dell'affidabilità e della buona condotta del soggetto detentore di armi, ai fini del rilascio o del mantenimento del relativo titolo di polizia, non ha finalità sanzionatoria, ma cautelare, essendo volta a prevenire possibili abusi nell'utilizzo delle armi e a tutelare la sicurezza pubblica. Pertanto, l'Amministrazione gode di ampia discrezionalità nel valutare la sussistenza di tali requisiti, potendo prendere in considerazione anche episodi privi di rilievo penale, purché sintomatici di una personalità incline a perdere il controllo e a tenere condotte potenzialmente pericolose per l'ordine e la sicurezza pubblica.
Il rilascio e la revoca del porto d'armi sono disciplinati da una normativa rigorosa volta a garantire la totale affidabilità nell'uso delle armi, in quanto tali titoli abilitativi possono avere rilevanti ricadute sull'ordine e sulla sicurezza pubblica. L'autorità di pubblica sicurezza gode di ampia discrezionalità nell'apprezzare se la persona richiedente sia meritevole del titolo, non essendo necessaria la sussistenza di un accertato abuso delle armi, ma essendo sufficiente anche una minima erosione dell'affidabilità del soggetto. Il diniego o la revoca del porto d'armi non hanno natura sanzionatoria, non implicano necessariamente un giudizio di illiceità sui comportamenti dell'interessato e non presuppongono un accertamento di responsabilità penale. Tali provvedimenti sono sindacabili dal giudice amministrativo nei soli limiti dell'irragionevolezza o dell'arbitrarietà. Pertanto, la revoca del porto d'armi e della carta europea d'arma da fuoco può essere legittimamente disposta dall'autorità di pubblica sicurezza sulla base di una valutazione prognostica, anche in assenza di una condanna penale, qualora emergano elementi sintomatici di una situazione personale complessa e problematica, idonei a incidere sull'affidabilità del soggetto nell'uso delle armi e a giustificare, in un'ottica di prevenzione, l'adozione di tali provvedimenti.
Il limite massimo di cartucce detenibili per pistole o rivoltelle è di 200 unità, mentre per i fucili da caccia è di 1.500 unità, a prescindere dalla tipologia di munizioni, salvo il caso in cui il fucile da caccia sia in grado di camerare cartucce per pistola, per il quale si applica comunque il limite di 200 cartucce. La distinzione tra il limite di detenzione si basa sulla tipologia di arma e non sulla tipologia di munizioni, essendo il criterio generale quello dell'arma alla quale le cartucce sono destinate, fatta eccezione per il caso in cui il fucile da caccia possa utilizzare cartucce per pistola. Pertanto, la vendita di cartucce calibro 300 Blackout, solitamente utilizzate per la caccia, ma destinate a essere caricate in una pistola, rientra nel limite di 200 cartucce previsto per le armi corte, a prescindere dalla loro effettiva destinazione venatoria.
Il provvedimento di diniego del rinnovo della carta europea d'arma da fuoco e di revoca della licenza di porto di fucile per uso di caccia, adottato sulla base di precedenti penali risalenti e depenalizzati, nonché di meri deferimenti per ipotesi di reato non sfociate in condanne, è illegittimo per carenza di adeguata motivazione in ordine all'attuale inaffidabilità del richiedente. Infatti, la mera esistenza di precedenti penali, specie se risalenti e depenalizzati, ovvero di semplici deferimenti non sfociati in condanne, non è di per sé sufficiente a giustificare il diniego o la revoca di titoli abilitativi in materia di armi, in assenza di una puntuale e specifica valutazione della pericolosità attuale del soggetto, da effettuarsi alla luce di tutti gli elementi concreti del caso. L'Amministrazione è tenuta a motivare adeguatamente il provvedimento di diniego o revoca, dimostrando in modo circostanziato l'attuale inaffidabilità del richiedente, senza poter fare affidamento in modo automatico su precedenti penali ormai risalenti e depenalizzati, ovvero su meri deferimenti non sfociati in condanne.
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