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ECLI:IT:TARLAZ:2023:905SENT
La cartella clinica, in quanto atto pubblico ai sensi degli artt. 2699 ss. c.c., fa piena prova fino a querela di falso della provenienza dal pubblico ufficiale che l'ha formata e delle dichiarazioni e dati in essa contenuti. Il medico responsabile e la struttura sanitaria sono tenuti, nell'ambito delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale ex art. 1176 c.c., a controllare la completezza e l'esattezza delle cartelle cliniche e dei referti allegati. Quanto non riportato nel citato documento non è giuridicamente esistente secondo il principio quod non est in actis non est in mundo. Il controllo effettuato dall'ente pubblico ha natura meramente documentale e si concretizza attraverso la disamina degli atti in possesso della struttura controllata. La mancata attivazione delle procedure di conciliazione previste dai decreti del Commissario ad Acta non impedisce l'applicazione in sede amministrativa delle risultanze riscontrate in sede di controllo. Non può configurarsi un legittimo affidamento della struttura sanitaria per aver da sempre redatto le cartelle cliniche nei termini contestati dalla p.a., in quanto tale comportamento risulta contrario alle previsioni normative. L'ASL agisce come mero esecutore di provvedimenti presupposti e i termini indicati nella normativa di riferimento non sono perentori, potendo l'attività sanzionatoria essere attivata sino alla prescrizione del relativo diritto. La quantificazione della sanzione consegue agli accertamenti effettuati in contraddittorio con la parte ed al conseguente rilievo circa le prestazioni sanitarie non confermate.
Le attestazioni contenute in una cartella clinica, redatta da un'azienda ospedaliera pubblica o da un ente convenzionato con il SSN, hanno natura di certificazione amministrativa - a cui è applicabile lo speciale regime degli artt. 2699 e ss. c.c. - per quanto attiene alle indicazioni ivi contenute delle attività svolte nel corso di una terapia o di un intervento (a differenza delle valutazioni, delle diagnosi o, comunque, delle manifestazioni di scienza o di opinione annotate, prive di fede privilegiata), mentre le attività non risultanti dalla cartella possono essere provate con ogni mezzo. (Nella specie la S.C. ha cassato la decisione della Corte d'appello di non valutare le risultanze istruttorie mediante le quali i danneggiati avevano provato l'intervenuto svolgimento di un tracciato ecotocografico ulteriore, rispetto a quelli indicati nella cartella clinica, erroneamente assumendo che l'attendibilità e la completezza di quest'ultima possono essere poste in discussione solo a mezzo della querela di falso).
La cartella clinica, in quanto atto pubblico redatto dal personale sanitario che agisce in qualità di pubblico ufficiale, fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale e delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. Pertanto, in assenza di querela di falso, la cartella clinica e i fatti in essa riportati devono considerarsi veritieri, ivi compresa la circostanza che il cardiologo di turno presso l'ospedale aveva reso una consulenza cardiologica negativa per affezioni cardiache. La mancata effettuazione di esami strumentali di primo livello (esami di laboratorio, radiografia, elettrocardiogramma ed ecocardiogramma) da parte del cardiologo, nonostante la sintomatologia del paziente fosse compatibile con una patologia cardiaca, integra una condotta professionale censurabile. Infatti, l'iter diagnostico per la cianosi neonatale prevede in prima istanza l'esecuzione di tali indagini, essendo l'elettrocardiogramma equiparabile all'"occhio del cardiologo" e la palpazione dei polsi femorali parte integrante dell'esame fisico pediatrico. Il ritardo nella diagnosi corretta di coartazione aortica e nell'avvio della terapia farmacologica di stabilizzazione ha comportato un aggravamento delle condizioni cliniche del paziente, aggiungendo al danno neurologico inizialmente di tipo emodinamico anche quello di tipo metabolico. Pertanto, il nesso di causalità tra la condotta imperita del cardiologo e il danno neurologico grave e irreversibile riportato dal paziente è stato correttamente ritenuto sussistente, in quanto la tempestiva diagnosi e il conseguente trattamento avrebbero consentito di prevenire le complicanze emorragiche e metaboliche, stabilizzando il paziente prima dell'intervento chirurgico correttivo.
Il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustifica l'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa. Tale condotta integra il delitto di falsa attestazione della presenza in servizio, previsto dall'art. 55-quinquies del D.Lgs. 165/2001, anche qualora non vi sia stata una alterazione dei sistemi di rilevamento, ma l'utilizzo abusivo del badge di un altro dipendente per attestare falsamente la propria presenza. La norma penale si applica anche al pubblico dipendente in aspettativa, in quanto permangono a suo carico obblighi di condotta conformi alle funzioni, di mantenimento del segreto d'ufficio e di non incorrere in incompatibilità. L'omissione di redigere la cartella clinica e il registro operatorio, in violazione degli obblighi di pubblico ufficiale, integra il reato di rifiuto di atti d'ufficio di cui all'art. 328, comma 1, c.p., in quanto tali atti sono necessari per la tutela della salute del paziente e per la ricostruzione ex post dell'appropriatezza degli interventi effettuati. I dati relativi al traffico telefonico acquisiti prima dell'entrata in vigore del D.L. 132/2021 possono essere utilizzati a carico dell'imputato solo unitamente ad altri elementi di prova e per l'accertamento di reati gravi, ai sensi della norma transitoria introdotta in sede di conversione. Qualora vi sia stata condanna in primo grado anche agli effetti civili, il giudice dell'impugnazione, pur in presenza di prescrizione del reato, deve valutare appieno la res iudicanda anche in relazione all'eventuale contraddittorietà o insufficienza della prova, ai fini delle statuizioni civili.
La cartella clinica redatta da un medico di un ospedale pubblico è caratterizzata dalla produttività di effetti incidenti su situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica, nonché dalla documentazione di attività compiute dal pubblico ufficiale che ne assume la paternità: trattasi di atto pubblico che esplica la funzione di diario del decorso della malattia e di altri fatti clinici rilevanti, sicché i fatti devono esservi annotati contestualmente al loro verificarsi. Pertanto, tutte le modifiche, le aggiunte, le alterazioni e le cancellazioni successive integrano falsità in atto pubblico, punibili in quanto tali, a prescindere dal movente, essendo le fattispecie delineate in materia dal codice penale connotate dal dolo generico e non dal dolo specifico. Inoltre, il falso in sé rileva, non la ragione dello stesso, e neppure la presenza di una scheda redatta da altro sanitario può escludere il falso, in quanto ciascun documento fidefaciente mantiene la propria autonomia, ponendosi poi il tema, in caso di contrasto, su quale atto debba ritenersi maggiormente attendibile, a riprova della lesione del bene giuridico protetto della fede pubblica. Infine, ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, l'elemento oggettivo è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere una condotta determinata, a prescindere dalla possibilità tecnica di compiere l'atto richiesto, essendo sufficiente il dolo generico consistente nella cosciente volontà di minacciare un male ingiusto, indipendentemente dal fine avuto di mira.
La cartella clinica costituisce atto pubblico di fede privilegiata, la cui incompletezza non può essere censurata in sede giurisdizionale se non attraverso la dimostrazione di una sua mancata corrispondenza con la realtà fattuale. L'amministrazione sanitaria è tenuta a conservare solo i referti e i risultati degli esami effettuati presso la propria struttura, non anche quelli eventualmente esibiti dal paziente e annotati nella cartella clinica, in quanto non rientranti nell'obbligo di conservazione a tempo indeterminato. Pertanto, l'amministrazione sanitaria, una volta consegnata la cartella clinica completa di tutti gli elementi in suo possesso, adempie correttamente all'obbligo di ostensione, senza che possa essere richiesta la produzione di documenti non detenuti dalla stessa, ancorché annotati nella cartella clinica come esibiti dal paziente.
La cartella clinica redatta da un medico di un ospedale pubblico è un atto pubblico che esplica la funzione di diario del decorso della malattia e di altri eventi clinici rilevanti, con efficacia di fede privilegiata. Pertanto, tutte le modifiche, le aggiunte, le alterazioni e le cancellazioni della cartella clinica integrano il reato di falso materiale in atto pubblico, a prescindere dall'intento che muove l'agente, in quanto la cartella clinica acquista carattere definitivo in relazione ad ogni singola annotazione ed esce dalla sfera di disponibilità del suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata. Tuttavia, affinché possa essere ritenuta in sentenza la fattispecie aggravata del reato di falso in atto pubblico ai sensi dell'art. 476 co. 2 c.p., la natura fidefacente dell'atto considerato falso deve essere esplicitamente contestata ed esposta nel capo di imputazione, con la precisazione di tale natura o con formule alla stessa equivalenti, ovvero con l'indicazione della norma di legge di cui sopra. In mancanza di una contestazione in tal senso, il giudice non può ritenere sussistente l'aggravante, con conseguente applicazione della sola fattispecie base di cui all'art. 476 co. 1 c.p. e decorrenza del termine di prescrizione dalla data del fatto.
La massima giuridica che può essere estratta dalla sentenza è la seguente: Il concetto di "cartella clinica", ai fini della valutazione dell'offerta tecnica in una gara d'appalto per la fornitura di dispositivi medici per pazienti diabetici, deve essere inteso in senso ampio, come strumento idoneo a raccogliere e integrare tutti i dati relativi alla "storia" clinica complessiva del paziente, e non limitato alla sola patologia diabetica. Pertanto, la mera capacità di un dispositivo di interfacciarsi con applicazioni per la gestione dei dati sanitari inerenti al diabete, senza la possibilità di interagire con una cartella clinica in senso proprio, non consente l'attribuzione del punteggio aggiuntivo previsto dal disciplinare di gara per tale caratteristica tecnica. La valutazione della stazione appaltante, che ha escluso l'attribuzione di tale punteggio aggiuntivo all'offerta della ricorrente, è pertanto legittima e conforme alla normativa di riferimento.
La massima giuridica che può essere estratta dalla sentenza è la seguente: Il sistema informatico per la gestione dei dati diabetologici, anche se denominato "cartella clinica elettronica", non può essere considerato tale ai fini dell'attribuzione del punteggio premiale previsto dal bando di gara per la "possibilità di trasmissione da remoto dei dati memorizzati nella cartella clinica", se non consente l'integrazione e la trasmissione di tutti i dati clinici e assistenziali del paziente, secondo le definizioni di "cartella clinica" contenute nelle linee guida ministeriali e regionali. Il concorrente che non abbia dichiarato in sede di offerta tecnica la capacità del proprio sistema di interfacciarsi con la "cartella clinica elettronica" in uso presso le aziende sanitarie, non può pretendere l'attribuzione del punteggio premiale, in applicazione del principio di autoresponsabilità che grava sui partecipanti alla gara nella compilazione della documentazione di offerta. L'amministrazione aggiudicatrice non può integrare o modificare l'offerta tecnica del concorrente, ma può solo richiedere chiarimenti e specificazioni su elementi già contenuti nell'offerta stessa.
La corretta codifica delle prestazioni sanitarie erogate dalle strutture private accreditate, mediante l'attribuzione dei relativi codici ICD-9-CM, è essenziale per l'appropriata remunerazione delle stesse da parte del Servizio Sanitario Regionale. Le Regioni e le Aziende Sanitarie Locali sono tenute a svolgere un'attività di controllo e monitoraggio sulla correttezza di tale codifica, al fine di garantire l'effettività del diritto alla salute dei cittadini e la razionalizzazione della spesa pubblica sanitaria. Tale attività di controllo, pur non essendo soggetta a termini perentori, deve essere svolta nel rispetto del contraddittorio e delle garanzie partecipative, e deve basarsi sull'esame analitico della documentazione clinica, senza poter prescindere dalla stessa. Ove emergano anomalie nella codifica, l'Amministrazione può procedere alla riqualificazione delle prestazioni, con conseguente recupero delle somme indebitamente corrisposte, fermo restando il limite del giudicato formatosi su eventuali decreti ingiuntivi non opposti.
La cartella clinica costituisce documento pubblico avente valore probatorio privilegiato in ordine alle prestazioni sanitarie effettivamente erogate, la cui incompletezza o imprecisione non è sufficiente a integrare il delitto di truffa aggravata ai danni del Servizio Sanitario Nazionale, in assenza di una dimostrazione che le indicazioni in essa contenute siano state consapevolmente falsificate al fine di ottenere indebiti rimborsi. L'affermazione di responsabilità penale per il reato di truffa, con conseguente riforma di una precedente sentenza assolutoria, richiede una puntuale valutazione delle singole emergenze processuali, senza poter fondare la condanna su mere congetture o su una generica critica alle argomentazioni del primo giudice. L'amministratore senza deleghe operative non risponde penalmente per i reati commessi nell'ambito della società, salvo che non siano stati forniti elementi probatori circa la sua effettiva conoscenza di segnali chiari e peculiari di illeciti, e la sua mancata attivazione per impedirne la realizzazione o la protrazione. Il falso ideologico in atto pubblico, consistente nell'indicazione in cartella clinica della presenza di un anestesista in assenza di sua effettiva partecipazione all'intervento, non sussiste ove sia accertato che la presenza dell'anestesista, pur senza suo diretto intervento, era comunque necessaria per garantire la sicurezza dell'intervento chirurgico.
La cartella clinica, in quanto documento amministrativo, può essere oggetto di impugnazione per vizi formali, quali la falsità o l'alterazione materiale, entro il termine di decadenza previsto dalla legge. Tuttavia, qualora il contenuto della cartella clinica sia già stato oggetto di accertamento in sede giurisdizionale civile, con conseguente ordine di ripristino del documento, non è ammissibile una nuova impugnazione per i medesimi vizi, in applicazione del principio del ne bis in idem. Diversamente, i vizi di incompetenza del medico verbalizzante o di eccesso di potere per sviamento sono soggetti al termine di decadenza per l'impugnazione degli atti amministrativi, decorrente dalla conoscenza dell'atto stesso.
La cartella clinica redatta dal medico pubblico è un atto pubblico che deve rappresentare in modo fedele e contestuale il decorso e l'evolversi della malattia e degli altri fatti clinici rilevanti. Pertanto, l'aggiunta successiva di annotazioni relative a visite mediche, terapie e condizioni del paziente, non contestualmente al loro verificarsi, integra il reato di falso materiale in atto pubblico ex art. 476 c.p., a prescindere dall'intento dell'autore, in quanto la fattispecie è caratterizzata da dolo generico. La cartella clinica, in quanto atto pubblico, deve essere immodificabile dopo la sua definitiva formazione, essendo finalizzata a garantire l'assoluta affidabilità del documento, la sua completezza e l'attestazione puntuale della diagnosi e delle cure praticate durante la degenza. Eventuali annotazioni contenute in altri documenti, come la scheda termometrica, non possono sanare l'alterazione della cartella clinica, in quanto quest'ultima costituisce l'atto pubblico ufficiale che documenta l'attività del medico pubblico.
La cartella clinica costituisce il documento tipico, necessario e sufficiente a conferire certezza alle prestazioni sanitarie rese nei confronti di soggetti ricoverati in istituti sanitari di lunga degenza. Ai fini dell'accertamento della natura prevalente ed assorbente delle attività di natura sanitaria, la sola relazione del Direttore sanitario o accertamenti a posteriori non sono sufficienti, essendo necessaria la produzione in giudizio della cartella clinica relativa ai trattamenti di natura sanitaria praticati al ricoverato. In assenza di tale documentazione, non sussistono elementi certi per definire rispondente ad esigenze di natura sanitaria il ricovero protratto per lungo periodo nell'istituto ospedaliero, potendo esso essere ricondotto ad esigenze squisitamente socio-assistenziali. Il giudice, pertanto, ordina all'istituto ospedaliero di depositare in giudizio copia della cartella clinica relativa ai periodi di ricovero per i quali è richiesta la corresponsione delle rette, al fine di consentire la corretta definizione della natura prevalente delle prestazioni erogate.
Il medico che, in qualità di pubblico ufficiale, omette di annotare nella cartella clinica un fatto clinicamente rilevante, come l'errata somministrazione di un farmaco che ha causato una grave reazione allergica nel paziente, integra il reato di falso ideologico in atto pubblico. Tale omissione, che attribuisce all'atto un significato diverso dal vero, è sufficiente a integrare il dolo generico del reato, a prescindere dalla mancanza di un interesse specifico dell'agente alla falsificazione, in quanto ciò che rileva è la volontarietà dell'omissione di una informazione essenziale, la cui conoscenza non risulta altrimenti ufficialmente documentata. Il dovere di completezza della cartella clinica, in quanto atto pubblico, impone al medico curante di annotare tutti i fatti clinicamente rilevanti, a tutela della corretta e trasparente documentazione dell'attività sanitaria svolta e dell'effettiva ricostruzione dell'iter diagnostico-terapeutico del paziente.
Il diritto di accesso agli atti amministrativi, disciplinato dagli artt. 22 e ss. della L. 241/1990, è riconosciuto non solo per finalità di partecipazione procedimentale o di difesa in giudizio, ma anche per tutelare situazioni giuridiche rilevanti dell'istante, la cui nozione è più ampia rispetto all'interesse all'impugnazione. Pertanto, il titolare di un interesse concreto, diretto e attuale, come il paziente ricoverato presso un centro di permanenza per il rimpatrio, ha diritto di accedere alla propria cartella clinica, comprensiva di anamnesi, diario clinico, referti di visite ed esami, prescrizioni farmacologiche, al fine di verificare la correttezza delle cure ricevute e la compatibilità del proprio stato di salute con il trattenimento, senza che l'amministrazione possa opporre un ingiustificato diniego o ritardo nell'ostensione della documentazione richiesta.
Il pubblico ufficiale che, nell'esercizio delle sue funzioni, redige una cartella clinica contenente false attestazioni in merito alle condizioni di salute di un paziente, integra il reato di falso materiale e ideologico, a prescindere dalle ragioni che lo hanno indotto a compiere tali falsificazioni. La falsità della cartella clinica, in quanto atto pubblico destinato a provare la verità di quanto in esso contenuto, lede il bene giuridico della pubblica fede, anche quando non sia finalizzata a procurare un ingiusto profitto o a cagionare un danno. Inoltre, il pubblico ufficiale che, al fine di ottenere un ingiusto profitto, minaccia di divulgare notizie e documenti compromettenti per l'immagine di un ente pubblico, integra il reato di tentata estorsione, anche qualora la vittima non abbia preso seriamente in considerazione le minacce ricevute, essendo sufficiente che queste siano idonee a ingenerare un timore consistente nella paventata previsione di più gravi pregiudizi. Tuttavia, la pena per tali reati può essere ridotta in considerazione dell'assenza di precedenti penali dell'imputato e della possibilità di una prognosi favorevole in merito all'astensione dalla commissione di ulteriori reati, con conseguente revoca della misura di sicurezza e concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
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