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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3994 del 2022, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Sa., con domicilio digitale come da registri di Giustizia; contro la Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Co., con domicilio digitale come da registri di Giustizia; la Città Metropolitana di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ma. Ma., con domicilio digitale come da registri di Giustizia; il Ministero della Cultura, Ministero dell'Interno, il Ministero della Difesa, l'ENAC - Ente Nazionale Aviazione Civile, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); l'Università degli Studi di Napoli Parthenope, l'E.N.A.V. s.p.a., l'A.R.P.A.C. - Agenzia Regionale per la protezione dell'ambiente della Campania, il Consorzio A.S.I. della Provincia di Napoli, Azienda Sanitaria locale Napoli 2 Nord, l'Ente idrico campano, l'Ente d'ambito Napoli 1, Ngp Utilità s.r.l., il Consorzio generale di bonifica del bacino inferiore del (omissis), in persona dei legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio; nei confronti della ditta Ne. Gr. Fu. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fr. Ve., con domicilio digitale come da registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, sezione quinta, n. 2358 del 6 aprile 2022. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania, della Città Metropolitana di Napoli, della ditta Ne. Gr. Fu. S.r.l. e del Ministero della Cultura, del Ministero dell'Interno, del Ministero della Difesa e di Enac - Ente Nazionale aviazione civile; Visti tutti gli atti della causa; Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 24 novembre 2022 il consigliere Emanuela Loria; Viste le conclusioni delle parti presenti, o considerate tali ai sensi di legge, come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'oggetto del presente contenzioso è costituito: a) dal Decreto dirigenziale della Giunta Regionale della Campania n. 33 del 2 marzo 2021, recante ad oggetto: "Autorizzazione unica ai sensi del d.lgs. 387/03 per la realizzazione ed esercizio di un impianto di produzione di biometano ottenuto dalla digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti e produzione di compost mediante trattamento biologico da ubicarsi nel Comune di (omissis) (NA). Proponente Ne. Gr. Fu. S.r.l."; b) dal Decreto dirigenziale della Giunta Regionale della Campania n. 38 del 23 febbraio 2021, recante ad oggetto "Autorizzazione Integrata Ambientale nell'ambito del Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale, per l'impianto IPPC 5.3.b. da ubicare nel Comune di (omissis), loc. (omissis) - Zona Industriale ASI. Società Ne. Gr. Fu. s.r.l.", trasmessa con nota del 1 marzo 2021, prot. n. 2021.0111690, notificata il 3 marzo 2021; c) dal Decreto dirigenziale della Giunta Regionale della Campania, n. 46, del 9 febbraio 2021, recante ad oggetto: "Provvedimento di Valutazione di Impatto Ambientale relativo alla "Realizzazione di un impianto di produzione di biometano ottenuto dalla digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti e produzione di compost mediante trattamento biologico da ubicarsi nel Comune di (omissis) (NA). Proponente Ne. Gr. Fu. S.r.l. - CUP 8491"; d) dal Rapporto finale, in data 20 gennaio 2021, redatto dalla Conferenza di Servizi ai sensi dell'art. 27 bis d.lgs. n. 152/2006 e dell'art. 14 ter della l. n. 241/1990; e) dalla "bozza" del predetto Rapporto finale, dell'8 gennaio 2021; f) dai verbali delle riunioni della Conferenza di Servizi svoltesi nei giorni 15 ottobre 2020, 27 ottobre 2020, 23 novembre 2020 e 21 dicembre 2020; g) dal parere dell'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale in Campania (Arpac), del 30 dicembre 2020, prot. n. 0068384/2020; h) dal parere Arpac del 6 ottobre 2020, prot. n. 0051204/2020, riportante i pareri favorevoli della U.O. SURC per la matrice Rifiuti, U.O. Aria per la relativa matrice, U.O. Afis per il rumore; i) dal parere Arpac del 20 novembre 2020, prot. n. 0060684/2020; j) dal parere espresso dall'U.O.D. Autorizzazioni Ambientali e Rifiuti di Napoli della Giunta Regionale della Campania in data 7 gennaio 2021, prot. n. 2021.0005919, in conformità al parere tecnico-istruttorio espresso dal Dipartimento di Ingegneria dell'Università degli Studi di Napoli Parthenope; k) dal parere espresso dal Consorzio ASI della Provincia di Napoli, in data 8 febbraio 2021; l) dal parere dell'A.T.O. di Napoli 1 del 5 gennaio 2021; m) dal parere espresso dall'A.S.L. Napoli 2 Nord 2, in data 18 dicembre 2020, prot. n. 4632 UOPC/R; n) dal Decreto dirigenziale n. 61, del 29 dicembre 2020, del Consorzio ASI di Napoli; o) dalla nota della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per l'area metropolitana di Napoli in data 17 dicembre 2020, prot. n. 17046-2020; p) dalla nota dell'Aeronautica Militare - Comando Scuole dell'A.M./3^ Regione Aerea, del 16 novembre 2020, prot. n. M_D ABA001; q) dalla nota del Consorzio ASI della Provincia di Napoli, in data 13 novembre 2020, prot. n. 4693; r) dalla nota della Città Metropolitana di Napoli del 14 ottobre 2020, Registro Ufficiale U.0108068; s) dal parere tecnico-istruttorio reso dal Dipartimento d'Ingegneria dell'Università degli Studi di Napoli Parthenope del 7 ottobre 2020 nonché della relativa nota dell'U.O.D. Autorizzazioni ambientali e rifiuti Napoli della Giunta Regionale della Campania, in data 13 ottobre 2020, prot. n. 2020.0478575, che fa proprio il suddetto parere; t) dai verbali della Conferenza di servizi del 23 luglio 2020 e dell'1 ottobre 2020; u) dal verbale di Tavolo Tecnico del 28 maggio 2020; v) dal Decreto dirigenziale n. 17 del 22 gennaio 2020, di approvazione del Piano di caratterizzazione presentato dalla Ne. Gr. Fu.; w) dal verbale del Tavolo tecnico dell'11 novembre 2019; x) dalle note ARPAC del 27 settembre 2019, prot. n. 0056923, e del 2 ottobre 2019, prot. n. 501792; y) dal Decreto dirigenziale della Giunta Regionale della Campania (Dipartimento 50, Direzione Generale 17, Unità O.D. 92), n. 123, del 26 aprile 2021, recante ad oggetto: "Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale ai sensi dell'art. 27 bis del d.lgs. n. 152/2006 e ss.mm.ii., relativo alla Realizzazione ed esercizio di un impianto di produzione di biometano ottenuto dalla digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti e produzione di compost mediante trattamento biologico in zona industriale ASI del Comune di (omissis) (NA) loc. (omissis) - Proponente Ne. Gr. Fu. S.r.l. - CUP 8491"; z) dagli atti e provvedimenti allegati al Decreto impugnato sub y). 2. Con ricorso proposto dinanzi al T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, il Comune di (omissis) ha impugnato gli atti in epigrafe indicati da a) a x), con i quali è stato emesso il parere favorevole sul procedimento di valutazione d'impatto ambientale (VIA) ed è stata emessa l'autorizzazione unica ai sensi del d.lgs. n. 387 del 2003 per la realizzazione e l'esercizio di un impianto di produzione di biometano ottenuto dalla digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti e la produzione di compost mediante trattamento biologico. 3. Il ricorrente ha articolato tre motivi di gravame, estesi da pag. 12 a pag. 27: I. Violazione dell'art. 27 bis del d.lgs. n. 152/2006, violazione dell'art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, violazione dell'art. 9 del d.lgs. n. 155 del 2010, eccesso di potere per illogicità, difetto di istruttoria; II. Violazione e falsa applicazione dell'art. 27 bis, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, violazione dell'art. 1, comma 250, della l.r. n. 4 del 2011, eccesso di potere per illogicità e difetto di istruttoria; III. Violazione dell'art. 27 bis del Codice dell'Ambiente, violazione dell'art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, difetto di istruttoria. 3.1. Con motivi aggiunti depositati il 29 giugno 2021, il ricorrente ha esteso l'impugnativa agli atti indicati alle lettere y) e z) riproponendo, in via derivata, i motivi già articolati con il ricorso introduttivo e proponendo un ulteriore autonomo motivo (pag. 14 - 16): I. Violazione degli artt. 196 e 199 del d.lgs. n. 152 del 2006, della l.r. n. 4 del 2007 e n. 14 del 2016, erronea applicazione del Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti Speciali (PRGRS) adottato con delibera della Giunta Regionale della Campania n. 199/2021 nonché il difetto di istruttoria. 4. Il primo giudice, con la impugnata sentenza, ha respinto il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti e ha compensato tra le parti costituite le spese del giudizio. 5. Con l'appello in esame il Comune di (omissis) ha articolato i seguenti tre motivi estesi da pag. 15 a pag. 33: I. Error in iudicando: omessa pronuncia. Violazione e falsa applicazione dell'art. 27-bis d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Violazione e falsa applicazione dell'art. 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387. Violazione dell'art. 9 d.lgs. 13 agosto 2010, n. 155. Eccesso di potere per illogicità . Difetto di istruttoria. II. Error in iudicando: violazione e falsa applicazione degli artt. 27-bis, comma 4, decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Violazione dell'art. 1, comma 250, legge Regione Campania 15 marzo 2011, n. 4. Eccesso di potere per illogicità . Difetto di istruttoria. III. Error in iudicando: Violazione e falsa applicazione degli artt. 196 e 199 d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152. Violazione dell'art. 11 l.r. Campania 28 marzo 2007, n. 4. Violazione dell'art. 11 l.r. Campania 26 maggio 2016 n. 14. Erronea applicazione del piano di gestione dei rifiuti speciali adottato con delibera della Giunta regionale della Campania 27 aprile 2021, n. 199. Difetto di istruttoria. 6. Si sono costituiti in giudizio la società Ne. Gr. Fu. s.r.l., il Ministero della cultura, il Ministero della difesa, l'Ente nazionale aviazione civile (ENAC) con memoria di stile; la Città metropolitana di Napoli si è costituita e ha chiesto di essere estromessa dal giudizio per difetto di legittimazione passiva. 6.1. La controinteressata ha depositato memoria il 9 giugno 2002; l'appellante ha depositato memoria il 3 novembre 2022. 7. Con ordinanza cautelare n. 2830 del 20 giugno 2022 l'istanza cautelare è stata respinta giacché "a) sotto il profilo del fumus boni iuris le motivazioni espresse nella gravata sentenza resistono ai motivi articolati in appello, nei limiti del sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica; b) l'appellante non ha allegato i requisiti di attualità e concretezza necessari per la connotazione del danno grave e irreparabile.". 8. Alla pubblica udienza del giorno 24 novembre 2021 la causa è stata spedita in decisione. 9. In via preliminare deve essere delibata la domanda della Città Metropolitana di Napoli di essere estromessa dal giudizio per carenza di legittimazione passiva poiché al parere che è stato richiesto dallo staff tecnico-amministrativo valutazioni ambientali della Regione Campania, con la nota prot. 2020.0386028 del 18 agosto 2018, la Città Metropolitana ha dato riscontro affermando che "L'ufficio gestione rifiuti ha comunicato che dall'esame della documentazione visionata lo scrivente ufficio, per quanto di competenza, non ha alcuna osservazione da formulare". Inoltre, la Città Metropolitana ha rappresentato di non avere partecipato alle successive riunioni che hanno portato all'emissione dei singoli provvedimenti della Regione Campania in merito alla Valutazione di impatto ambientale, alla Autorizzazione integrata ambientale e all'Autorizzazione unica per la produzione di biometano, confluiti successivamente nel PAUR poiché non aveva nulla da rilevare. 9.1. Il Collegio osserva che la Città Metropolitana non ha effettivamente legittimazione passiva ai fini del presente giudizio giacché non ha sostanzialmente partecipato, né con atti scritti né con la presenza alle riunioni, al procedimento che ha condotto alla emissione dei provvedimenti di VIA e di Autorizzazione unica confluiti nel PAUR sicché l'Amministrazione va estromessa dal giudizio. 10. In via ulteriormente preliminare il Collegio osserva che, con l'atto di appello, il Comune di (omissis) ha riproposto, ad eccezione del terzo motivo, i motivi già proposti dinanzi al T.a.r.. 10.1. Conseguentemente, a seguito dell'appello e della sostanziale riproposizione da parte dell'appellante dei primi due motivi già proposti dinanzi al T.a.r., è riemerso il thema decidendum del giudizio di primo grado, per cui, per linearità espositiva, saranno prese in esame direttamente le prime due censure poste a sostegno del ricorso proposto in prime cure (ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, n. 1130 del 2016; sez. V, n. 5865 del 2015; sez. V, n. 5868 del 2015), non potendo trovare ingresso eventuali censure nuove proposte per la prima volta in questa sede in violazione del divieto dei nova sancito dall'art. 104 c.p.a. 11. Con il primo motivo il Comune ha richiamato il fatto di avere reiteratamente rappresentato le ragioni ostative al rilascio dell'autorizzazione per la realizzazione dell'impianto, sia nella fase precedente all'indizione della Conferenza di Servizi sia in seno alla stessa. Le ragioni si sostanziano nello stato di grave compromissione ambientale in cui versa il territorio comunale e, specificamente, la zona A.S.I. In particolare, non si sarebbe tenuto conto del "Rapporto tecnico-istruttorio a supporto della valutazione di domanda di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA ai sensi del d.lgs. 152/06 e s.m.i. Ne. Gr. Fu.", elaborato, in data 23 settembre 2019, dal Prof. Ra. Ci. e dall'Ing. An. Fo., del Dipartimento di Ingegneria dell'Università degli Studi di Napoli Parthenope, in rapporto di convenzione con la Regione Campania. In tale rapporto si sottolinea lo stato di criticità dell'area sotto il profilo ambientale e i continui sforamenti dei valori di qualità dell'aria (e in particolare della soglia di PM10) misurati dalle centraline dell'Arpac. Pertanto, l'attivazione del nuovo impianto della contro interessata, sia pure con un "modesto contributo", non potrebbe fare altro che incidere in senso negativo sulla qualità dell'habitat. Inoltre, non vi sarebbe stato riscontro a quanto evidenziato dai Docenti della Parthenope sia in sede di Conferenza di Servizi, sia nella riunione del 27 ottobre 2020 sia nelle successive riunioni nelle quali si sarebbe ritenuto sufficiente quanto ha relazionato l'Arpac con la nota dell'8 gennaio 2021, in ordine alla valutazione degli impatti cumulativi. La Regione Campania avrebbe assentito un progetto che si colloca in un contesto di concomitante e perdurante illegittimità, connesso alla mancata adozione di un Piano regionale di riduzione della situazione di inquinamento atmosferico, sulla scorta di un'attività istruttoria che presenta evidenti profili di illogicità, di carenza istruttoria e di contraddittorietà, oltre che in violazione del d.lgs. n. 155/2010. Sicché il procedimento di Valutazione di impatto ambientale non avrebbe effettivamente perseguito e raggiunto lo scopo che gli è proprio. Le considerazioni espresse dall'Amministrazione ricorrente non sarebbero state valutate in sede di Conferenza di Servizi, che avrebbe approvato il progetto presentato dalla contro interessata decontestualizzandolo dalla situazione di emergenza ambientale (e sanitaria) in cui versa il territorio comunale. 11.1. In linea generale, in relazione al potere esercitato con la Valutazione d'impatto ambientale, si osserva che la costante giurisprudenza, alla stregua dei principi euro-unitari e nazionali, ha affermato: a) la VIA si sostanzia non già in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale dell'opera programmata, bensì in un giudizio sintetico globale di comparazione tra il sacrificio ambientale imposto e l'utilità socio-economica procurata dall'opera medesima, tenendo conto anche delle alternative possibili e dei riflessi della c.d. opzione zero. Essa non è un mero atto (tecnico) di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, trattandosi di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico-amministrativo, con particolare riferimento al corretto uso del territorio (in senso ampio), attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei (contrapposti) interessi, pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico-sociale) e privati (Cons. Stato, sez. VI, n. 4484 del 2018; sez. IV, n. 1240 del 2018; sez. V, n. 4928 del 2014; sez. V, 361 del 2013; sez. V, 3254 del 2012; sez. IV, n. 4246 del 2010); b) l'ampia latitudine della discrezionalità (istituzionale, amministrativa e tecnica) esercitata dall'amministrazione in sede di VIA, in quanto istituto finalizzato alla tutela preventiva dell'ambiente inteso in senso ampio, è giustificata alla luce dei valori primari ed assoluti coinvolti (Cons. Stato, sez. II, n. 3938 del 2014; Cons. Stato, sez. IV, n. 36 del 2014; sez. IV, n. 4611 del 2013; sez. VI, n. 3561 del 2011; Corte giustizia UE, 25 luglio 2008, causa C-142/07; Corte cost., n. 367 del 2007); c) in materia ambientale l'ampia ammissibilità di clausole prescrittive trova fondamento nell'ampia discrezionalità dei provvedimenti in tema di VIA (Cons. Stato, sez. IV, n. 1240 del 2018; sez. IV, n. 1392 del 2017; sez. V, n. 263 del 2015); d) un progetto che ricomprende vasta parte del territorio comunale non può che comportare la sua sottoposizione ad una serie ampia di prescrizioni a tutela di tutti quei beni che possono essere incisi dalla sua realizzazione (Cons. Stato sez. IV, n. 6862 del 2020; sez. VI n. 1 del 2004). 11.3. Quanto al tipo di sindacato esercitabile da parte del giudice amministrativo, l'orientamento della giurisprudenza è nel senso che: a) la relativa valutazione di legittimità giudiziale, escludendo in maniera assoluta il carattere sostitutivo della stessa, debba evidenziare la sussistenza di vizi rilevabili ictu oculi, a causa della loro abnormità, irragionevolezza, contraddittorietà e superficialità . Invero, il giudizio di compatibilità ambientale quand'anche reso sulla base di criteri oggettivi di misurazione, pienamente esposti al sindacato del giudice amministrativo, è attraversato da profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa sul piano dell'apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all'interesse all'esecuzione dell'opera, con la conseguenza che le scelte effettuate dall'Amministrazione si sottraggono al sindacato del giudice amministrativo ogniqualvolta le medesime non si appalesino come manifestamente illogiche o incongrue (Cons. Stato, sez. IV, n. 1240 del 2018; sez. IV, n. 1392 del 2017); b) non è ammissibile la sostituzione, da parte del giudice amministrativo, della propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità dell'amministrazione costituendo ipotesi di sconfinamento vietato della giurisdizione di legittimità nella sfera riservata alla p.a., quand'anche l'eccesso in questione sia compiuto da una pronuncia il cui contenuto dispositivo si mantenga nell'area dell'annullamento dell'atto (Cass. civ., 14 sez. un., nn. 2312 e 2313 del 2012; Corte cost., n. 175 del 2011; Cons. Stato, sez. VI, n. 871 del 2011); c) in base al principio di separazione dei poteri sotteso al nostro ordinamento costituzionale - la cui declinazione nel processo amministrativo in materia di tutela dell'ambiente e del paesaggio si coglie nella tassatività dei casi di giurisdizione di merito sanciti dall'art. 134 c.p.a. (Cons. Stato, sez. IV, 3892 del 2023; Ad. plen. n. 5 del 2015; Cass. civ., sez. un., n. 19787 del 2015) - solo l'amministrazione è in grado di apprezzare, in via immediata e diretta, l'interesse pubblico affidato dalla legge alle sue cure e conseguentemente il sindacato sulla motivazione delle valutazioni discrezionali) deve essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto acquisiti e non può avvalersi di criteri che portano ad evidenziare la mera non condivisibilità della valutazione stessa. 11.2. Operata tale necessaria premessa, il primo motivo è infondato. In primo luogo, si rileva che, nei limiti del sindacato giurisdizionale sopra descritto, la motivazione del provvedimento impugnato risulta adeguata e approfondita di talché costituisce supporto adeguato per l'autorizzazione unica rilasciata. Va anche osservato che, come è possibile riscontrare dalla convenzione (cfr. allegato 3, fascicolo primo grado Amministrazioni statali), l'Università degli Studi di Napoli "Parthenope" ha, nell'ambito dei procedimenti di autorizzazione AIA, una funzione di consulenza della unità preposta all'istruttoria in seno alla Regione, pertanto i pareri espressi dall'Università nell'ambito della propria attività di consulenza non sono vincolanti per la Regione neanche quando propongono specifiche prescrizioni, ma costituiscono un mero supporto tecnico. Sotto un primo profilo, il ricorrente lamenta il cumulo degli impianti industriali posti nella medesima area territoriale e quindi la loro incidenza sull'habitat in generale: tale effetto cumulativo non sarebbe stato tenuto nella debita considerazione. Invero, attraverso la VIA la P.A. non è chiamata, in via notarile e passiva, a riscontrare la sussistenza di possibili impatti ambientali dell'opera, bensì è tenuta a ricercare attivamente, nella ponderazione comparativa di istanze potenzialmente confliggenti, un complessivo bilanciamento fra gli interessi perseguiti con la realizzazione dell'opus, da un lato, e le contrapposte esigenze di preservazione (rectius, di contenuta o, comunque, non eccessiva e sproporzionata incisione) del contesto ambientale lato sensu inteso (Cons. Stato, sez. IV, 14 dicembre 2021). Nel valutare un progetto d'impianto per il trattamento e recupero di rifiuti si devono sempre comparare i costi ed i benefici ambientali per la comunità derivanti dalla realizzazione dell'impianto stesso. Tale principio è ribadito dalla L.R. n. 14 del 26 maggio 2016 modificata con L.R. n. 29 del 8 agosto 2018 e dal PTR Regione Campania. Nel caso in esame, tale comparazione risulta effettuata poiché il rapporto finale della Regione attesta che la valutazione dell'impatto cumulativo è stata effettuata dall'Ufficio regionale competente in Valutazioni ambientali, insieme con l'Arpac e gli altri enti coinvolti nella Conferenza di servizi, tenendo conto sia degli elaborati prodotti dalla contro interessata sia del parere ambientale negativo del Comune di (omissis). In particolare, il rapporto finale della Regione ha sottolineato che: "Sono state valutate le emissioni derivanti dall'esercizio dell'impianto e quelle da attribuirsi al traffico prodotto dai mezzi che trasportano il materiale da sottoporre al processo. Sono state anche considerate le emissioni prodotte nella fase di costruzione dell'impianto. Ai fini di una valutazione delle emissioni da traffico sia nella fase di costruzione sia in quella di esercizio dell'impianto è stata effettuata, a cura della Società proponente, la valutazione del volume di traffico rispetto a quello attuale. Dai dati forniti dal proponente e ricavati da ANAS, si evince che rispettando i percorsi indicati nell'elaborato 22 'stima del traffico indottò, tale variazioni non supera lo 0,5% ed è perciò lecito ritenerla trascurabile... In fase di esercizio le uniche emissioni degne di considerazioni sono quelle relative alle sostanze odorigene. Considerata l'altezza delle emissioni dell'impianto la zona interessata alla ricaduta degli inquinanti risulta estremamente limitata e l'applicazione dei modelli di diffusione permette di valutare l'area interessata nelle peggiori condizioni atmosferiche nel raggio di 200-300 metri. Occorre evidenziare che entro tale raggio, per quanto a nostra conoscenza, non vi sono impianti che emettono sostanze odorigene. Pertanto in nessun modo per tali sostanze si può parlare di cumulo". Sotto il profilo delle emissioni delle polveri (PM10) e dell'impatto odorigeno, occorre inoltre considerare che nel Rapporto tecnico e nel Piano di monitoraggio vi sono prescrizioni particolarmente severe che la contro interessata è tenuta ad osservare: l'impianto deve essere adeguato alle ultime "B.A.T." (best available techologies) indicate nella Decisione di esecuzione UE 208/1147 della Commissione del 10 agosto 2018 ai sensi della Direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, pubblicata il 17 agosto 2018 nella Gazzetta Ufficiale. Nel decreto dirigenziale del 23 febbraio 2021 n. 38 è altresì previsto che "il gestore, nell'esercizio dell'impianto di cui al punto 1 dovrà rispettare tutto quanto indicato nell'allegato rapporto tecnico dell'Università degli studi di Napoli "Parthenope" a firma del Prof. Ra. Ci. e del Prof. An. Fo., che costituisce parte integrante del provvedimento, nonché adeguarlo alle prescrizioni ivi contenute, finalizzate ad assicurare un elevato livello di protezione ambientale e dovrà garantire quanto segue: per le emissioni in atmosfera il non superamento del limite obiettivo dell'80% dei limiti imposti dall'allegato VI alla parte quinta del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 s.m.i. e del D.M. 25 agosto 2000 nonché dalla DGRC 5 agosto 1992 n. 4102 e dalla DGRC 243/15; eventuali superamenti dei suindicati valori, contenuti sempre e inderogabilmente nei limiti di legge, vanno giustificati e segnalati tempestivamente a questo Settore e all'ARPAC, indicando, altresì, le tecniche che si intendono adottare per rientrare nei valori emissivi dichiarati. I tempi di rientro non devono superare i 60 giorni solari dalla data di rilevamento del superamento; la società dovrà inoltre attenersi a tutto quanto previsto al punto E1 del Rapporto Tecnico allegato al presente provvedimento e nel Piano di Monitoraggio e Controllo". Si desume, quindi, che per l'impianto da realizzare il limite emissivo è stato contenuto nel limite obiettivo inferiore (80%) ai sensi del d.lgs. n. 152 del 2006 s.m.i. Inoltre, come sopra visto, è previsto che il gestore dell'impianto dovrà rispettare quanto indicato nell'allegato tecnico dell'Università degli Studi di Napoli Parthenope, a firma dei Professori Ra. Ci. e An. Fo., e dovrà, altresì adeguarlo alle prescrizioni ivi contenute, finalizzate ad assicurare un elevato livello di protezione ambientale per cui dovrà garantire il rispetto di una serie di prescrizioni espressamente enunciate nel decreto dirigenziale n. 38 del 23 febbraio 2021. Fondamentale nel rispetto delle prescrizioni e dei limiti imposti è il sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni odorigene, che è previsto dall'Autorizzazione integrata ambientale sempre sulla base del rapporto dell'Università Parthenope, per ciò anche sotto questo profilo e nei limiti sopra tracciati del sindacato sulla discrezionalità espressa dall'Amministrazione nell'ambito del procedimento di Valutazione d'impatto ambientale e di Autorizzazione unica, il motivo è infondato. 12. Con un secondo motivo è dedotto il difetto d'istruttoria, il deficit procedimentale e la violazione di legge, come sarebbe comprovato dalla Relazione tecnica a firma del Dott. Ma. Mo.. Il parere del 15 luglio 2020 del Consorzio ASI della Provincia di Napoli, pur favorevole, evidenziava che "...in riferimento al sistema viabilità e relativi sottoservizi (acque nere, acque bianche, rete idrica, rete gas, etc) dall'esame degli elaborati grafici non si chiarisce il sistema di connessione tra l'impianto, oggetto di provvedimento, e le infrastrutture esistenti di competenza della società N.G. S.p.A. - ex Mo.." Disattendendo quanto prescritto dal Consorzio ASI, con la sopra riportata nota del 15 luglio 2020, gli elaborati progettuali non chiariscono il sistema di connessione tra l'impianto per cui è causa e la rete infrastrutturale fognaria della società N.G. S.p.A. ex Mo., sicché non sarebbero stati valutati i relativi impatti ambientali derivanti dalla loro realizzazione né risulterebbe che sia stato richiesto il rilascio dei necessari titoli abilitativi. In relazione al recapito delle acque, da un lato, nel depuratore di (omissis) e, dall'altro, nel canale "Re. La." (ossia in un corpo idrico superficiale) avrebbe dovuto essere disposta la partecipazione nella Conferenza di Servizi del Consorzio Generale di Bonifica del bacino inferiore del (omissis), il che non è avvenuto in violazione dell'art. 27-bis, comma 4, d.lgs. n. 152 del 2006, né è stato richiesto il - parimenti necessario - parere del Comune di (omissis) per il recapito delle acque reflue nel canale "Re. La.", con violazione dell'art. 124, comma 7, d.lgs. n. 152 del 2006 nonché dell'art. 1, comma 250, l.r. Campania n. 4 del 2011. Il Comune di (omissis), infatti, in sede di conferenza di servizi del 21 dicembre 2020, avrebbe rappresentato l'inesistenza di motivi ostativi esclusivamente sotto il profilo urbanistico-edilizi non già in merito al recapito delle acque piovane nel canale suddetto. Conseguentemente il provvedimento autorizzatorio finale sarebbe inficiato da gravi e insanabili carenze procedimentali, sostanziatesi in violazioni di legge, in relazione all'art. 27-bis, comma 4, d.lgs. n. 152 del 2006 e all'art. 124, comma 7, d.lgs. n. 152 del 2006 nonché dell'art. 1, comma 250, l.r. Campania n. 4 del 2011. 12.1. Il motivo è infondato. 12.2. In relazione alla deduzione in base alla quale il Comune di (omissis) si sarebbe espresso sul progetto soltanto con riferimento alla compatibilità edilizia ed urbanistica, la censura è infondata poiché ai sensi dell'art. 14 ter, comma 3, l. n. 241 del 1990 s.m.i. "Ciascun ente o amministrazione convocato alla riunione è rappresentato da un unico soggetto abilitato ad esprimere definitivamente e in modo univoco e vincolante la posizione dell'amministrazione stessa su tutte le decisioni di competenza della conferenza, anche indicando le modifiche progettuali eventualmente necessarie ai fini dell'assenso". Peraltro il verbale della seduta dell'8 gennaio 2021 registra la dichiarazione del rappresentante del Comune che conferma il parere inviato con la nota del 18 dicembre 2020 prot. n. 94658 favorevole per l'aspetto urbanistico-edilizio e anche per lo scarico in corpo idrico superficiale mentre limita il parere negativo in ordine all'aspetto ambientale per le motivazioni esposte nel parere trasmesso il 18 dicembre 2020 (pag. 28 verbale Conferenza di servizi). 12.3. Anche la censura relativa alla mancata convocazione alla Conferenza di servizi del Consorzio di bonifica del Bacino inferiore del (omissis) è infondata poiché è il Comune di (omissis) l'amministrazione competente ad esprimersi sullo scarico nel corpo idrico superficiale (e infatti il comune si è espresso, come sopra rappresentato). 12.4. Invero, dal verbale della Conferenza di servizi del 21 dicembre 2020, si desume che la società gestrice dell'impianto deve garantire il trattamento dei reflui ed il rispetto, in uscita dall'impianto, dei limiti previsti per lo scarico nel corpo idrico superficiale, per cui è il gestore ad essere chiaramente individuato come responsabile del trattamento. L'AIA, pertanto, pur con i caveat del caso, ha autorizzato gli scarichi e l'ASI ha precisato che il rapporto con la società gestrice dell'impianto deve essere regolato da provvedimenti successivi in conformità con il regolamento dell'ASI. Alla luce di tali elementi il motivo va pertanto rigettato. 13. Con la censura articolata in via autonoma con l'atto di motivi aggiunti, è dedotto il contrasto con il Piano regionale di gestione dei rifiuti speciali (PRGRS), adottato con deliberazione della Giunta regionale n. 199 del 2012, rispetto al quale non sarebbe più necessaria la individuazione dei criteri da parte dell'Amministrazione provinciale ai sensi della novellata lettera l) dell'art. 199, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006. Pertanto, il vincolo imposto dal Piano regionale avrebbe una portata immediatamente precettiva e, quindi, impedirebbe la realizzazione dell'impianto per cui è causa - in quanto collocato all'interno dell'area ASI di Acerra - indipendentemente e a prescindere dall'intervento di dettaglio da parte dell'Amministrazione provinciale. Ulteriore illegittimità degli atti impugnati vi sarebbe per il contrasto con l'art. 7, comma 4, del "Regolamento per l'insediamento di iniziative imprenditoriali nell'agglomerato del Consorzio ASI di Napoli" che, in conformità con il Piano rifiuti regionale, escluderebbe la possibilità che nell'Area di competenza ASI di Acerra possa essere autorizzata la realizzazione di impianti di smaltimento e/o di trattamento di rifiuti. 13.1. Il motivo è infondato. In primo luogo si rileva che ai sensi dell'art. 196 d.lgs. n. 152 del 2006 le Regioni hanno tra le loro competenze "la predisposizione, l'adozione e l'aggiornamento, sentiti le province, i comuni e le Autorità d'ambito, dei piani regionali di gestione dei rifiuti, di cui all'articolo 199". A sua volta l'art. 199, comma 3, lett. l) stabilisce che "I piani regionali di gestione dei rifiuti prevedono... l) i criteri per l'individuazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti, nonché per l'individuazione dei luoghi o impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti". L'art. 11 della l.r. n. 4 del 2007 prevede l'adozione di un "Piano regionale di gestione dei rifiuti speciali, anche pericolosi" e disciplina il suo contenuto. Ai sensi di tale disposizione, il Piano regionale di gestione dei rifiuti speciali, anche pericolosi "detta i criteri per l'individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti speciali". Il Piano regionale è stato adottato i base a tali disposizioni e al capitolo 6 prevede che "È estremamente rilevante rimarcare l'ambito di azione del presente Piano Regionale rispetto alla localizzazione dei siti di trattamento e smaltimento. Infatti, secondo il d.lgs. 152/2006, art. 196 comma 1, punti elenco n ed o, è competenza specifica della regione la sola definizione dei criteri per la determinazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, nonché dei luoghi o impianti idonei allo smaltimento, mentre è palese che l'individuazione delle stesse sia competenza esclusiva delle province"; - su tale direttrice, peraltro, è perfettamente allineata anche la L.R. n. 42/2007 con quanto espresso nei corrispondenti articoli 7 ed 8 (competenze della regione e competenze delle province). Più specificatamente nella citata L.R. n. 42/2007, si conferma che, sia il Piano regionale di gestione del ciclo integrato dei rifiuti all'art. 10 (lettera h) che il presente Piano Regionale di gestione dei rifiuti speciali, anche pericolosi di cui al successivo art. 11 (lettera c), debbano prevedere esclusivamente i criteri per l'individuazione delle aree non idonee e dei luoghi adatti allo smaltimento; viene dunque completamente confermata la competenza esclusiva, da parte delle province, nell'esercizio concreto dell'individuazione sia delle aree non adatte ad ospitare impianti di trattamento e smaltimento che delle aree dove preferibilmente tali impianti dovrebbero essere localizzati." Nonostante la disposizione della legge regionale che attribuiva alle Province l'attuazione dei criteri fissati dal Piano regionale sia stata abrogata dall'art. 51 l.r. n. 14 del 2016 (art. 13 ove si prevede che sia il Piano regionale a indicare i criteri per l'individuazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti speciali), la competenza delle Province è stata confermata dalla legge statale con l'art. 197, comma 1, lett. d) del d.lgs. n. 152 del 2006, secondo il quale spetta alla Province in attuazione dell'art. 19 del TUEL, l'individuazione "delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti, nonché delle zone non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti". Alla luce di tale previsione di rango statale, poiché permane la competenza provinciale nell'individuazione delle aree inidonee all'insediamento degli impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti, in assenza della disciplina provinciale, non vi è un vincolo assoluto ricavabile dal Piano regionale. 13.2. Si soggiunge che tale tesi, peraltro, non è in contrasto ma conforme con la giurisprudenza invocata da entrambe le parti, da cui si desume che in assenza dei doverosi criteri emanato dalla Provincia (ora Città metropolitana) provinciali, deve essere l'organo competente in ordine alla VIA, nell'ambito della intensa discrezionalità che si estrinseca nel giudizio di compatibilità ambientale, a valutare la compatibilità dell'intervento con le indicazioni generali del Piano regionale: "Il dato letterale è inequivoco nel rimandare alle "previsioni di cui all'art. 199, comma 3, lettere d) e h)" dello stesso d.lgs., la seconda delle quali (lett. h) individua tra i contenuti dei piani regionali di gestione dei rifiuti i criteri per l'individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione di impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti, nonché per l'individuazione dei luoghi o impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti, nel rispetto dei criteri generali fissati in ambito statale (art. 195, comma 1, lett.p). Il combinato disposto delle due disposizioni, lungi dal sottrarre alle regioni la competenza in materia, va interpretato nel senso presupposto dal giudice di primo grado secondo cui, ferma la competenza pianificatoria generale in capo alle regioni, spetta poi alle singole province l'individuazione in concreto e nel dettaglio delle diverse zone del territorio provinciale, idonee alla locazione di un tipo di impianti (smaltimento) o non idonee alla localizzazione di altro tipo (recupero e smaltimento)." 6.4. È vero peraltro che la presenza di un piano di perimetrazione provinciale avrebbe consentito di ritenere operante il vincolo sulla base delle sole risultanze del piano di dettaglio, laddove mancando quest'ultimo, si sono rimesse alla discrezionalità tecnica dell'organo competente in tema di V.I.A. - come emerso trattando del primo motivo di gravame- la ricognizione e la valutazione della natura di pregio agricolo dell'area interessata dall'intervento proposto." (Cons. Stato, Sez. V, n. 6035 del 2020). 14. In relazione alla ulteriore censura relativa alla violazione del "Regolamento per l'insediamento di iniziative imprenditoriali nell'agglomerato del Consorzio ASI di Napoli", approvato con delibera del Consiglio generale del Consorzio n. 3 dell'1 febbraio 2021, si rileva che trattasi di un mero atto interno di organizzazione dell'Ente, che fornisce indicazioni agli Organi consortili ai fini dell'espressione del "nulla osta" all'insediamento di iniziative imprenditoriali nell'agglomerato ASI di Acerra; tale atto non può costituire un vincolo per la Regione Campania, che sulla base degli atti sopraordinati e sulla base dei pareri espressi in Conferenza di servizi ha rilasciato i provvedimenti autorizzativi. 15. Conclusivamente l'appello va respinto. 16. Le spese del giudizio seguono la soccombenza nei riguardi della Regione Campania e della controinteressata, e sono liquidate come da dispositivo. 16.1. Sono compensate nei confronti del Ministero della cultura, del Ministero dell'interno, del Ministero della difesa e dell'ENAC, nonché, per giusti motivi, della estromessa Città metropolitana di Napoli. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello r.g.n. 3994/2022: a) estromette dal giudizio la Città metropolitana di Napoli, con compensazione delle spese; b) respinge il ricorso; c) condanna l'appellante a rifondere le spese del giudizio alla Regione Campania e alla controinteressata nella misura di euro 5.000,00 (cinquemila) per ciascuna, oltre accessori come per legge; compensa le spese del giudizio nei confronti del Ministero della cultura, del Ministero dell'interno, del Ministero della difesa e dell'ENAC. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 novembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Gerardo Mastrandrea - Presidente Luca Lamberti - Consigliere Alessandro Verrico - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 463 del 2022, proposto dal Co. Re. Pl., in persona dell'amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Ac., St. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato St. Pa. in Roma, via (...); contro Consorzio di Bonifica del Ve. Or., Già Consorzio di Bonifica del Ba. Pi. - S. Do. di Pi., non costituito in giudizio; nei confronti Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Em. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione Prima, n. 813/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 maggio 2023 il Cons. Raffaello Sestini, nessuno comparso per le parti costituite Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Il Consorzio di Bonifica del Ba. Pi., oggi Consorzio di bonifica del Ve. Or., nel luglio 2007 ha comunicato al Condominio appellante la revoca della concessione demaniale della canaletta irrigua "Os.", per concederla al Comune di (omissis), per ''priorità per pubblica utilità all'uso delle aree demaniali", ovvero per realizzare una pista ciclabile pubblica al posto del camminamento pedonale riservato al condominio. 2 - Il Condominio ha proposto ricorso davanti al TAR del Veneto, che lo ha rigettato qualificando l'atto impugnato, in sintesi, non come una vera e propria revoca, bensì come una disdetta pattiziamente inserita nell'ambito di un rapporto concessorio qualificabile come atto paritetico. 3 - Il Condominio propone appello avverso la predetta sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione Prima, n. 813/2021, proponendo i seguenti motivi d'appello: 1)mancata valutazione, da parte del TAR, della richiesta di rinvio della trattazione; 2) mancato rispetto dei requisiti procedurali e sostanziali per revocare la concessione oppure, ammesso che si tratti di "disdetta", abuso della disdetta per un motivo non previsto pattiziamente; 3) ultra petizione della sentenza, in quanto avrebbe attribuito ad una parte (il Consorzio, neppure costituitosi in giudizio) l'area contesa, ovvero un bene non richiesto; 4) mancato rispetto dei criteri generali di correttezza e di buona fede, che il Giudice avrebbe dovuto in ogni caso valutare anche laddove la disdetta fosse stata espressione di un diritto meramente potestativo il cui esercizio non richiedeva alcuna giustificazione come affermato dal TAR del Veneto; 5) erroneità del rigetto della domanda di indennizzo. Tale rigetto non sarebbe stato infatti coretto, sia perché la negazione del diritto all'indennizzo si fondava sul presupposto che si trattasse di una "revoca" e quindi un atto amministrativo e non una disdetta, atto paritetico, in piena contraddizione con quanto sostenuto in sentenza. Sia perché l'indennizzo era stato chiesto soltanto in via subordinata, nella denegata ipotesi in cui la revoca fosse stata ritenuta legittima e doveva quindi essere riconosciuto in linea con la tesi del TAR di disdetta esercitata quale atto paritetico, non essendovi in tale ipotesi né preclusioni di diritto amministrativo, né ostacoli a riconoscere l'indennizzo alla luce del lamentato c.d. abuso di disdetta, anche a titolo di risarcimento del danno. Inoltre, la clausola che esclude la previsione di un indennizzo in caso di revoca sarebbe nulla per violazione di una norma imperativa (art. 21 quinques l. 241/90) e comunque trattandosi di concessione e quindi un provvedimento con efficacia durevole era stato sottratto un bene della vita già acquisito al patrimonio e com'è tale doveva essere indennizzato; 6) erroneità della sentenza in relazione alla competenza del Consorzio; 7) riproposizione dei motivi di primo grado, con particolare riferimento al secondo motivo di ricorso di primo grado recante "violazione di legge. violazione art. 3 l. 241/90. difetto di motivazione" nella parte in cui ha disposto la revoca della concessione demaniale al Residence Plaza indicando genericamente ragioni di "pubblica utilità ". La difesa avversaria nel giudizio di primo grado avrebbe infatti affermato che il provvedimento impugnato esplicitava le ragioni della revoca con riferimento all'interesse del Comune per la "successiva realizzazione di pista ciclabile in continuità con quella esistente". 4 - Infine il Condominio, fermo che la realizzazione della pista ciclabile non sarebbe riconducibile a un superiore interesse del Consorzio, contesta le esigenze di pubblica utilità e pubblico interesse del Comune stesso, attesa la chiara volontà dell'Ente, espressa nella delibera n. 60/2003 del Consiglio Comunale, di monetizzare i terreni in questione, tanto più che esisterebbe un percorso alternativo che consentirebbe il collegamento, utilizzando la bicicletta, per andare da un punto all'altro di (omissis) e che il Comune non avrebbe mai realizzato o progettato nulla al riguardo. 5 - Il Comune replica su tutti i punti sopraindicati, evidenziando il carattere precario dell'attribuzione dell'area ed eccependo anche la tardività dell'ultimo punto sopra esposto. Il ricorso inoltre eccederebbe i limiti dimensionali (anche se la parte eccedente riguarda la quantificazione del richiesto ristoro economico, che comunque non sarebbe dovuto). 6 - Le censure dedotte, che possono essere esaminate congiuntamente, non sono fondate. Infatti il Condominio ricorrente impugna il provvedimento di "revoca" della concessione, con contestuale rilascio a terzi, deducendone l'illegittimità sotto vari profili, avendo utilizzato per circa dodici anni la canaletta per collegare il parco privato con piscina, posto al suo interno, con il resto della proprietà comune tramite un percorso pedonale realizzato con il tombamento della canaletta irrigua, ma, così come rilevato dal TAR, non riesce a superare l'espressa originaria qualificazione di una "concessione a titolo precario" dell'area al Condominio confinante ai fini della sua temporanea gestione e manutenzione in attesa di una più meditata decisione circa la sua destinazione in coerenza con le finalità pubblicistiche sottese alla pianificazione urbanistica, finalità poi effettivamente perseguite con le destinazione della medesima area ad una pista pubblica ciclabile da realizzare in futuro, impregiudicati restando in questa sede sia i tempi sia i soggetti individuati ai fini della successiva costruzione della pista ciclabile. 7 - Quindi la prima concessione in precario e la successiva definitiva destinazione del bene si ponevano in stretta continuità nell'ambito di un unico percorso decisionale del Comune volto al soddisfacimento di un interesse pubblico urbanistico inizialmente dichiarato e liberamente accettato dal Condominio, che aveva poi legittimamente chiesto un rinvio del giudizio volto a porre fine a questo stato di fatto precario, rinvio peraltro altrettanto legittimamente negato dal TAR in mancanza di una comprovata motivazione circa trattative in atto, non avendo il Condominio mai accettato la stima del bene fatta effettuare dal Comune. 8 - Sotto tale ultimo profilo, risulta altresì confermata la non rilevanza della risalente delibera del Consiglio comunale n. 60 del 15 settembre 2003, prodotta dal Condominio solo in appello e volta comunque a porre solo un criterio di indirizzo, peraltro non prioritario, ai fini della cessione economica delle aree ai privati, cessione che comunque non sarebbe potuta avvenire stante il mancato accordo sul valore dell'area. 9 - In definitiva, la concessione in esame, conferita, ed accettata dal Condominio senza riserve, con la descritta a conformazione precaria, era revocabile ad nutum senza particolari oneri motivazionali e procedimentali e senza indennizzo. Da ciò deriva che l'atto impugnato non aveva bisogno di fondarsi su una motivazione espressamente prevista pattiziamente e, in generale, di alcuna specifica motivazione e che l'esercizio di una potestà riconosciuta pattiziamente non può integrare la violazione dei criteri generali di correttezza e di buona fede, non comportando eventuali trattative di composizione della controversia alcuna preclusione per l'esercizio della menzionata potestà . 10. Non può dubitarsi sulla competenza del Consorzio a incidere su propri precedenti atti. Né vi è stata alcuna ultra petizione da parte del Tar che si è limitato a esaminare e respingere le censure proposte con il ricorso di primo grado. La illustrata natura precaria della concessione è infine incompatibile con il reclamato diritto all'indennizzo. 11. L'appello non può pertanto essere accolto. Sussistono tuttavia motivate ragioni, in considerazione della singolarità della fattispecie, per compensare fra le parti le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Marco Morgantini - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello numero di registro generale 8107 del 2022, proposto da Consorzio di Bonifica della (omissis) e (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ra. Va. e Ni. Uc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ma. D'A., rappresentato e difeso dall'avvocato Lu. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione Sesta, 1 settembre 2022, n. 5556, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ma. D'A.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2022 il Cons. Giorgio Manca e udito l'avvocato Va. per l'appellante; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il Sig. D'A. Ma., nella sua qualità di proprietario di terreni ricadenti nell'ambito del Consorzio di Bonifica della (omissis) e (omissis), con istanza di accesso del 17 marzo 2022 ha richiesto all'ente consortile "di esaminare ed estrarre copia, in carta libera, degli atti e provvedimenti relativi al contributo bonifica per terreni e/o fabbricati e/o infrastrutture comuni, inerente all'anno 2020, e della corrispondente relata di notifica", sull'assunto che la conoscenza dei documenti fosse necessaria "al fine di far accertare la nullità, l'annullamento e l'inefficacia delle presunte pretese creditorie". 2. Nell'inerzia dell'amministrazione, ritenendo decorso il termine di trenta giorni dalla formazione del silenzio (con valore legale di diniego), previsto dall'art. 116, comma 1, del codice del processo amministrativo, il sig. D'A. ha proposto ricorso innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania per l'annullamento del silenzio diniego e per l'accertamento e la declaratoria del diritto di accesso e l'emanazione dell'ordine di esibizione dei documenti. 3. Con sentenza del 1 settembre 2022, n. 5556, il T.a.r. per la Campania ha accolto il ricorso "trattandosi di fattispecie in cui viene in rilievo un evidente interesse difensivo provato dalla ricorrente e dedotto già in sede procedimentale" e ha ordinato al Consorzio di Bonifica della (omissis) e (omissis) "di consentire l'accesso agli atti oggetto della istanza del 17 marzo 2022 per mezzo di visione ed estrazione di copia (con eventuale partecipazione agli oneri di segreteria), entro trenta giorni dalla pubblicazione o comunicazione in via amministrativa della presente sentenza". 4. Il Consorzio (non costituitosi in primo grado) ha proposto appello chiedendo la riforma della sentenza sulla base di plurime censure. 5. Resiste in giudizio il sig. Ma. D'A., chiedendo il rigetto dell'appello. 6. Alla camera di consiglio del 17 novembre 2022, fissata per la trattazione della domanda cautelare proposta in via incidentale dal Consorzio, previo avviso alle parti presenti, la causa è stata trattenuta in decisione per la definizione nel merito. 7. Esposto, in premessa, lo specifico interesse del Consorzio di Bonifica alla proposizione dell'appello, con il primo motivo l'appellante deduce l'ingiustizia della sentenza nella parte in cui, accogliendo il ricorso, non ha rilevato come l'istanza di accesso del 17 marzo 2022 fosse assolutamente carente dei requisiti formali fissati dagli artt. 22 ss. della legge n. 241 del 1990, sia per la generica individuazione della tipologia di interesse legittimante l'accesso, sia per la "abnorme e generica richiesta" di tutti gli atti e provvedimenti relativi al contributo di bonifica per l'anno 2020. 8. Con il secondo motivo, l'appellante censura la sentenza in quanto, alla data della decisione, il ricorso era divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse del Sig. D'A., posto che il Consorzio con atto del 20 aprile 2022 aveva espressamente rigettato l'istanza di accesso del 17 marzo 2022, non impugnato dal ricorrente in primo grado né con ricorso autonomo, né con motivi aggiunti al ricorso R.G. 2052/2022 pendente innanzi al T.A.R. Campania, prestandovi dunque acquiescenza. Sottolinea, inoltre, che il sig. D'A., successivamente al diniego espresso del 20 aprile 2022, ha formulato nella medesima data una nuova istanza di accesso specificamente definita nei contenuti e nella legittimazione, la quale poi veniva positivamente esitata. Dal che discenderebbe anche un ulteriore profilo di improcedibilità del ricorso di primo grado per sopravvenuto difetto di interesse: il sig. D'A., infatti, il 24 aprile 2022 ha ricevuto i documenti richiesti senza null'altro pretendere. 9. Con il terzo motivo, il Consorzio impugna la sentenza anche nella parte in cui non ha rilevato la originaria inammissibilità del ricorso introduttivo, atteso che, alla data della notificazione del ricorso (19 aprile 2022) non era ancora decorso il termine di 30 giorni prescritto dall'art. 25, comma 4, della legge n. 241 del 1990 per la pronuncia sull'istanza di accesso. 10. È fondato, e assorbente, il secondo motivo d'appello con il quale l'appellante fa rilevare come, alla data in cui il ricorso introduttivo è stato trattenuto per la definizione del merito (camera di consiglio del 28 giugno 2022), questo era divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, atteso che nelle more del giudizio instaurato con la notifica del ricorso in data 19 aprile 2022 (depositato il 20 aprile 2022), il sig. D'A. presentava (in data 20 aprile 2022) una nuova istanza di accesso agli atti con la quale precisava i contenuti della richiesta di accesso già presentata il 17 marzo 2022, al fine di superare il diniego opposto dal Consorzio con la nota del 20 aprile 2022. L'istanza del 20 aprile 2022 va, conseguentemente, qualificata come una nuova istanza di accesso, alla quale il Consorzio ha adempiuto con nota del 22 aprile 2022, trasmettendo al sig. D'A. "l'avviso di pagamento relativo al contributo di bonifica per l'anno 2020, già inviato dall'Agenzia delle Entrate - Riscossione e stralciato dal ruolo elaborato da questo Consorzio. L'avviso contiene tutte le indicazioni ed informazioni relative all'iscrizione a ruolo del Sig. D'A. Ma.. Si precisa che, solo a seguito del mancato pagamento del citato avviso, è stata emessa la cartella n. 0712020008100964800 non in possesso di questo Consorzio che, allo stato, rappresenta l'atto esecutivo. Ogni ulteriore notizia o richiesta in merito andrà, pertanto, formulata all'Agenzia delle Entrate - Riscossione anche attraverso l'accesso al sito - sezione modulistica - richiesta documenti ed estratti - previa compilazione del modello RD1". L'atto del Consorzio, consolidatosi in quanto non oggetto di impugnazione da parte del ricorrente in primo grado, è idoneo a definire i termini del rapporto con il sig. D'A.; e poiché la situazione giuridica tra le parti risultava così definita già all'epoca in cui il ricorso di primo grado è stato trattenuto per la decisione di merito, ne deriva come conseguenza che il ricorso era divenuto improcedibile per il sopravvenuto difetto di interesse alla sua decisione. 11. L'appello, pertanto, va accolto e, per l'effetto, la sentenza va annullata senza rinvio, posto che la situazione sostanziale tra le parti è definita esclusivamente dal nuovo atto sopravvenuto con il quale il Consorzio ha consentito l'accesso. 12. Sussistono giuste ragioni per compensare tra le parti le spese giudiziali del doppio grado. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, decidendo definitivamente sull'appello in epigrafe, lo accoglie e, per l'effetto, annulla senza rinvio la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione Sesta, 1 settembre 2022, n. 5556. Compensa tra le parti le spese giudiziali del doppio grado di giudizio. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Francesco Caringella - Presidente Pierfrancesco Ungari - Consigliere Angela Rotondano - Consigliere Elena Quadri - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9695 del 2021, proposto dalla ditta He. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ar. Po., con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (...); contro l'Agenzia regionale per la prevenzione, l'ambiente e l'energia dell'Emilia-Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Fa. e Pa. On., con domicilio digitale come da registri di Giustizia; il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fe. Gu., con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Bologna, via (...); la Regione Emilia Romagna, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Ch. Li. e Fr. Ma., con domicilio digitale come da registri di Giustizia; nei confronti del Comune di (omissis), della Città Metropolitana di Bologna, del Consorzio della Bonifica Re., del Ministero dell'Interno-Dipartimento Vigili del fuoco - Soccorso Pubblico - Difesa civile, dell'Autorità di bacino distrettuale del fiume Po, dell'Azienda Usl di Bologna, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna, sede di Bologna, sezione prima, n. 672 del 6 luglio 2021. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Agenzia regionale per la prevenzione, l'ambiente e l'energia dell'Emilia-Romagna, del Comune di (omissis) e della Regione Emilia Romagna; Visti tutti gli atti della causa; Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2022 il Consigliere Emanuela Loria; Viste le conclusioni delle parti presenti, o considerate tali ai sensi di legge, come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'oggetto del presente giudizio è costituito: a) dalla determinazione dirigenziale della Regione Emilia-Romagna del 30 settembre 2019, n. 17621 recante l'annullamento d'ufficio della precedente determinazione di proroga della Valutazione d'impatto ambientale (VIA) del 10 agosto 2018, n. 13238 relativa al progetto presentato in data 28 febbraio 2011 da He., diretto a realizzare un ampliamento "della discarica di rifiuti non pericolosi ubicata del Comune di (omissis) e progetto di spostamento della linea MT esistente EN."; b) dalla determinazione dell'Arpae n. 448 del 1 ottobre 2019, n. 4489 recante l'annullamento d'ufficio della precedente determinazione del 12 settembre 2019, n. 4201; c) dagli atti di convocazione e dal verbale della Conferenza di servizi del 30 settembre 2019; d) tutti gli atti emanati da Comune di (omissis), ivi inclusi, la nota del 18 luglio 2019 (recante il parere negativo al riesame della VIA); e) dalla nota del 6 settembre 2019; f) dalla nota del 20 settembre 2019 (recante domanda di parere alla Regione sull'efficacia della Deliberazione del Consiglio comunale n. 27 del 26 settembre 2013 di ratifica della variazione degli strumenti urbanistici comunali relativa al progetto di ampliamento della discarica); g) dal parere del 23 settembre 2019 e dal parere del 2 agosto 2019, nella parte in cui lesivi dell'interesse dell'odierna ricorrente; h) dal verbale della Conferenza di servizi del 16 aprile 2019 e del 9 settembre 2019; i) dalla la nota del Comune di (omissis) del 17 settembre 2019 (recante richiesta di annullamento in autotutela della Determina dirigenziale di ARPAE n. 4201 del 12/09/2019), con la conseguente conferma del provvedimento di proroga della VIA del 10 agosto 2018; l) dal parere favorevole al riesame dell'AIA del 12 settembre 2019. 2. Con il ricorso di primo grado sono stati impugnati la determinazione dirigenziale della Regione Emilia-Romagna del 30 settembre 2019, n. 17621 e la determinazione dell'Arpae n. 448 del 1 ottobre 2019, n. 4489, atti avverso i quali sono stati articolati i seguenti motivi: I. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 208 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. - Eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica atteso che l'effetto di decadenza della variante urbanistica è incompatibile con la disciplina speciale per l'autorizzazione delle discariche di rifiuti. - Incompetenza della Regione ai fini dell'apprezzamento circa la validità ed efficacia della D.C.C. n. 27 del 2013 di ratifica della Variante. II. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 17, co. 5, della L.R. Emilia - Romagna 18 maggio 1999, n. 9. - Eccesso di potere per sviamento stante la finalità del temine perentorio previsto ex art. 17 co. 5 della L.R. ed art. 34 TUEL. - Eccesso di potere per carenza della motivazione e falsità dei presupposti, atteso che la decadenza non incide sul potere dell'Amministrazione di ratifica dei provvedimenti. - Violazione dell'artt. 1 e 21-octies dalla l. 7 agosto 1990, n. 241 in considerazione del divieto di aggravio del procedimento e della natura formale del vizio contestato. III. Violazione e falsa applicazione dell'art. 1, 7, 10 e 21-nonies l. 7 agosto 1990, n. 241, atteso che la Regione è intervenuta in autotutela oltre il termine di diciotto mesi previsto a tutela dell'affidamento sulla legittimità della variante urbanistica di cui alla D.G.P. n. 248/2013 e ratificata con la D.C.C. n. 27/2013. - Eccesso di potere per falsità dei presupposti atteso che la Regione ha negato l'esecutività della D.C.C. n. 27/2013. - Eccesso di potere per difetto d'istruttoria e carenza della motivazione avendo l'Amministrazione omesso il contributo procedimentale di He.. 2.1. Con motivi aggiunti è stata impugnata la nota dell'ARPAE del 6 dicembre 2019, che ha trasmesso alla ricorrente la determinazione n. 2019- 5654 avente ad oggetto "l'aggiornamento dell'AIA P.G. n. 12b409 del 28 marzo 2008 ss.mm.ii.", avverso la quale sono stati dedotti motivi di illegittimità derivata, ponendosi la predetta nota in linea di continuità con i precedenti provvedimenti impugnati. 3. La sentenza impugnata del T.a.r. per Emilia Romagna n. 672 del 6 luglio 2021, ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti e ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio nella misura complessiva di euro 8.000,00 (ottomila). 4. Con l'appello in esame, He. s.p.a. ha impugnato la citata sentenza, articolando i seguenti motivi: I. Error in iudicando - Erroneità della motivazione nella parte in cui è stato disatteso il vizio di illegittimità per "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 208 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. - Eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica atteso che l'effetto di decadenza della variante urbanistica è incompatibile con la disciplina speciale per l'autorizzazione delle discariche di rifiuti". II. Error in iudicando - Erroneità della motivazione nella parte in cui ha disatteso i profili di "Incompetenza della Regione ai fini dell'apprezzamento circa la validità ed efficacia della DCC n. 27 del 2013 di ratifica della Variante". II. Error in iudicando. - Erroneità della motivazione e/o omessa pronuncia nella parte in cui sono stati disattesi i profili di illegittimità per "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 17, co. 5, della L.R. Emilia-Romagna 18 maggio 1999, n. 9. - Eccesso di potere per sviamento stante la finalità del temine perentorio previsto ex art. 17 co. 5 della L.R. ed art. 34 TUEL. - Eccesso di potere per carenza della motivazione e falsità dei presupposti, atteso che la decadenza non incide sul potere dell'Amministrazione di ratifica dei provvedimenti. - Violazione dell'artt. 1 e 21-octies dalla l. 7 agosto 1990, n. 241 in considerazione del divieto di aggravio del procedimento e della natura formale del vizio contestato". III.1 Error in iudicando. - Erroneità della motivazione e/o omessa pronuncia nella parte in cui sono stati disattesi i profili di illegittimità per "violazione e falsa applicazione dell'art. 1, (...) e 21-nonies l. 7 agosto 1990, n. 241, atteso che la Regione è intervenuta in autotutela oltre il termine di diciotto mesi previsto a tutela dell'affidamento sulla legittimità della variante urbanistica di cui alla DGP n. 248/2013 e ratificata con la D.C.C. n. 27/2013. - Eccesso di potere per falsità dei presupposti atteso che la Regione ha negato l'esecutività della D.C.C. n. 27/2013". 5. Si sono costituiti in giudizio la Regione Emilia-Romagna, l'Agenzia regionale per la prevenzione, l'ambiente e l'energia dell'Emilia-Romagna, il Comune di (omissis), che hanno argomentato le rispettive tesi difensive con memorie e memorie di replica. 6. Alla pubblica udienza del 10 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione. 7. In punto di fatto si rileva che: a) il ricorso presentato dalla Società He. ha ad oggetto il provvedimento n. 17621 del 30 settembre 2019 del dirigente del Servizio valutazione impatto e promozione sostenibilità ambientale (VIPSA) della Regione - di annullamento d'ufficio della propria precedente determinazione n. 13238 del 10 agosto 2018, di proroga della VIA, e degli atti (AIA e verbali Conferenza di servizi) connessi e consequenziali, relativi al progetto di "ampliamento della discarica di rifiuti non pericolosi ubicata nel Comune di (omissis)", proposto dalla stessa società ; b) un primo progetto è stato approvato con VIA ed AIA a mezzo di deliberazione della Giunta della Provincia (organo competente ratione temporis) di Bologna del 23 luglio 2013 n. 248; c) con la delibera dei Consiglio Comunale del 26 settembre 2013, n. 27, il Comune di (omissis) ("Comune") provvedeva a "ratificare l'assenso alla variante urbanistica come descritta negli elaborati a corredo della V.I.A. approvata con la delibera di Giunta Provinciale n. 248 del 23.07.2013" ("DCC n. 27/2013"); d) con istanza del 28 dicembre 2015, He. domandava l'avvio di un procedimento di autorizzazione per la realizzazione di un progetto con caratteristiche dimensionali e tecniche in parte diverse da quello già autorizzato con Deliberazione della Giunta provinciale n. 248/2013. Il procedimento non si concludeva con esito favorevole in ragione delle diverse caratteristiche tecniche del progetto; e) con nota del 16 luglio 2018, la Società domandava quindi una proroga di tre anni dei termini di validità della VIA per la realizzazione del Progetto di cui alla D.G.P. n. 248/2013; f) con deliberazione della Giunta regionale del 10 agosto 2018, n. 13238, la Regione - nelle more subentrata nella competenza alla Provincia ai sensi della l.r. Emilia-Romagna 30 luglio 2005, n. 13 - accoglieva la richiesta di proroga della validità della DGP n. 248/2013 ("Proroga") di 21 mesi (fino a maggio 2020), precisando che "per le autorizzazioni, concessioni, certificazioni che risultano nel frattempo decadute, la proroga della validità di VIA non interviene e spetterà pertanto al proponente ottenere i nuovi titoli autorizzativi presso le Amministrazioni competenti prima di avviare i lavori"; g) in data 5 settembre 2018, l'Arpae comunicava l'avvio del procedimento di riesame dell'AIA; h) nel corso della riunione in Conferenza di servizi del 16 aprile 2019 veniva acquisito il parere negativo al rilascio del permesso di costruire del Comune di (omissis) rilevando incongruenze rispetto al Piano Regionale di gestione dei rifiuti e al Piano di gestione del rischio alluvioni; i) in data 2 agosto 2019, la Regione rilasciava il parere richiesto evidenziando che con riferimento specifico all'esercizio delle funzioni urbanistico edilizie del Comune "il progetto non presenta profili di incompatibilità " con il Piano regionale di gestione dei rifiuti e mandava all'Autorità di bacino per la valutazione sulla compatibilità del progetto con il Piano di gestione del rischio di alluvioni; l) ad integrazione del parere reso nella Conferenza di servizi del 16 aprile 2019, il Comune di (omissis), con nota del 6 settembre 2019, presentava una precisazione richiamando l'esistenza di un vincolo insistente sull'area di intervento; m) in data 6 settembre 2019 e 9 settembre 2019, l'Autorità di Bacino ed il Consorzio della Bonifica Re. rilasciavano parere favorevole al Progetto; n) in data 9 settembre 2019 si teneva la seduta conclusiva della Conferenza dei Servizi all'esito della quale, con nota del 12 settembre 2019, n. 4201, l'Arpae approvava il riesame dell'AIA; o) in data 17 settembre 2019, il Comune di (omissis) trasmetteva ad Arpae la richiesta di annullamento in autotutela della D.D. n. 4201/2019, riscontrata negativamente dall'Arpae in pari data; p) in data 20 settembre 2019, il Comune domandava altresì alla Regione parere autentico in merito "all'efficacia della Delibera di Consiglio Comunale n. 27 del 26/09/2013 di ratifica della variazione degli strumenti urbanistici comunali relativa al progetto di ampliamento della discarica"; q) in data 21 settembre 2019, il Comune presentava opposizione al Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi dell'art. 14-quinquies della l. n. 241/1990; r) in data 23 settembre 2019 la Regione rilasciava il proprio parere con il quale ha posto in evidenza che "alla luce di tali indicazione della dottrina e giurisprudenza che, se pur non riferite all'istituto della ratifica dell'effetto di variante derivate dalla VIA positiva, hanno riguardato a previsioni legislative analoghe quali in particolare l'accordo di programma in variante, si deve ritenere che il provvedimento positivo di VIA, relativo al progetto di ampliamento della discarica di rifiuti non pericolosi di (omissis) e alle opere connesse, non abbia prodotto l'effetto di variante agli strumenti di pianificazione del Comune di (omissis), in quanto alla comunicazione del medesimo provvedimento non è seguita - secondo quanto specificato dalla stessa Amministrazione comunale - la ratifica da parte del Consiglio comunale entro il termine perentorio di 30 giorni"; s) con propria nota, l'Arpae convocava la conferenza dei servizi per il giorno 30 settembre 2019, nell'ambito della quale precisava come non fosse possibile assumere una determinazione fino alla convocazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri e che, alla luce del parere giuridico espresso dal Servizio Giuridico del territorio, l'annullamento della determinazione n. 13238/2018 avrebbe reso conseguente l'annullamento della determinazione n. 4201 del 9 settembre 2019; t) in data 30 settembre 2019, con determinazione dirigenziale n. 17621/2019, la Regione annullava d'ufficio la propria determinazione di proroga della VIA n. 13238 del 10 agosto 2018; u) in data 1 ottobre 2019, l'Arpae annullava la precedente determinazione n. 4201/2019 di approvazione del riesame di AIA in quanto atto meramente consequenziale alla determinazione n. 13232/2018 di proroga della VIA annullata dalla Regione in data 30 settembre 2019. 9. Preliminarmente il Collegio osserva che l'appellante ha riproposto con l'atto di appello i motivi già proposti dinanzi al T.a.r. per l'Emilia Romagna. 9.1. Conseguentemente, a seguito dell'appello e della sostanziale riproposizione da parte degli appellanti dei motivi già proposti dinanzi al T.a.r., è riemerso l'intero thema decidendum del giudizio di primo grado, per cui, per linearità espositiva, saranno prese in esame direttamente le censure poste a sostegno del ricorso proposto in prime cure (ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, n. 1130 del 2016; sez. V, n. 5865 del 2015; sez. V, n. 5868 del 2015), non potendo trovare ingresso eventuali censure nuove proposte per la prima volta in questa sede in violazione del divieto dei nova sancito dall'art. 104 c.p.a. 9.2. Tutto ciò premesso, in applicazione del principio della "ragione più liquida" (cfr. Ad. plen. n. 5 del 2015 § 5.3), il Collegio ritiene di esaminare i motivi proposti sub I.1., nonché sub III.4. e III.5, tenuto conto della loro fondatezza. 10. Con il primo motivo è dedotta, in primo luogo, la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 208 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. In particolare, è stato rilevato che l'art. 208, comma 6, del d.lgs. n. 152/2006 disciplina il procedimento di autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti e stabilisce che "entro 30 giorni dal ricevimento delle conclusioni della Conferenza dei servizi, valutando le risultanze della stessa, la regione, in caso di valutazione positiva del progetto, autorizza la realizzazione e la gestione dell'impianto". Ed inoltre: "l'approvazione sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori". 10.1. Nel caso in esame con la deliberazione della Giunta provinciale n. 248/2013, la Provincia di Bologna ha rilasciato "la Valutazione di Impatto Ambientale positiva con prescrizioni per il Progetto... in quanto l'ampliamento nel complesso è ambientalmente compatibile e ne è possibile la realizzazione a condizione che siano rispettate le prescrizioni (...)" e "l'Autorizzazione Integrata Ambientale a HeraAmbiente.... in quanto il progetto è conforme ai requisiti e ai principi generali di prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento (...)". Nel provvedimento di autorizzazione, l'Amministrazione ha altresì dato atto che "la VIA positiva costituisce variante cartografica agli strumenti urbanistici comunali (PSC e RUE) relativamente all'ampliamento della discarica ed alla nuova linea MT di EN., a condizione che su tale variante sia acquisito l'assenso dal Consiglio Comunale di (omissis) entro 30 giorni dalla presente deliberazione a pena di decadenza". La Regione ha annullato il provvedimento di proroga della VIA del 10 agosto 2018 sull'assunto che "il provvedimento positivo di VIA di cui alla delibera di Giunta Provinciale n. 248 del 23 luglio 2013, in conseguenza della mancata ratifica entro il termine perentorio di 30 giorni dalla notifica del provvedimento non ha quindi prodotto l'effetto di variante agli strumenti di pianificazione del Comune di (omissis)" (par. sub (i) Det. 17621/2019). La tesi esposta dalla ricorrente è quindi nel senso che le previsioni del Codice dell'Ambiente in materia di autorizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti, consentirebbero di affermare che la variante agli strumenti urbanistici, in quanto presupposto necessario per il rilascio della VIA-AIA all'allocazione dell'impianto da autorizzare, è già valida ed efficace per effetto dell'approvazione in Conferenza di Servizi con il parere favorevole dell'Amministrazione comunale e dovrebbe interpretarsi come un mero rinvio recettizio il rinvio alla decisione dell'organo consiliare. L'art. 17, co. 5, della l.r. n. 9 del 1999, se interpretato nel senso di escludere la validità ed efficacia della variante agli strumenti urbanistici già assunta in Conferenza di servizi con il parere favorevole dell'Amministrazione comunale si rivelerebbe in contrasto con la disciplina prevista dall'art. 208 del d.lgs. n. 152 del 2006. La disciplina prevista dal Codice dell'Ambiente non sarebbe suscettibile di essere derogata da eventuali disposizioni regionali che prevedono termini più restrittivi per l'autorizzazione degli impianti come - nell'odierna fattispecie - l'introduzione di una condizione di efficacia a pena di decadenza, vale a dire "la mancata (tempestiva) ratifica". 10.2. Il motivo è fondato. La disposizione dell'art. 208 del d.lgs. n. 152 del 2006 costituisce infatti norma speciale nazionale (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 220 del 2011), sopravvenuta alla precedente legge regionale n. 9 del 1999. Tale disposizione, che consente sostanzialmente, in un'ottica di semplificazione di speditezza procedimentale, di derogare agli strumenti urbanistici vigenti, si applica alla fattispecie in esame in base del criterio della successione delle leggi nel tempo, sicché non viene in rilievo la questione del contrasto "orizzontale" tra norme. Inoltre, si rammenta che la materia legata alla tutela dell'ambiente, tra cui rientra anche il procedimento per l'autorizzazione di impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, risulta comunque di competenza esclusiva statale ai sensi di quanto previsto dall'articolo 117, comma 2, lett. s) Cost., per cui, a maggior ragione, alla fattispecie in esame trova applicazione l'art. 208 del d.lgs. n. 152 del 2006 nel testo sopra richiamato con la conseguenza che il provvedimento regionale impugnato risulta illegittimo nella parte in cui ha disposto che la VIA-AIA positiva "non avrebbe prodotto l'effetto di variante in conseguenza della mancata (tempestiva) ratifica". 11. Risultano altresì fondate le censure svolte ai punti III.4. e III.5 del ricorso (pag. 27 ricorso primo grado, pag. 28). 11.1. Sotto il primo profilo, anche ove la previsione della legge regionale n. 9 del 1999 sia ritenuta applicabile e prevalente, rispetto alla disciplina del citato art. 208, il provvedimento emesso in autotutela avrebbe dovuto esplicitare le ragioni di interesse pubblico prevalenti rispetto alla posizione giuridica del privato relativa alla ritenuta legittimità della variante urbanistica di cui alla deliberazione della Giunta provinciale n. 248/2013, ratificata con la deliberazione del Consiglio comunale n. 27/2013. Tale motivazione non si rinviene nel provvedimento gravato; 11.1. Sotto il secondo profilo, il provvedimento regionale impugnato ha chiaramente natura discrezionale poiché se da un lato l'oggetto dell'annullamento è costituto dalla deliberazione regionale del 2018, la motivazione dell'annullamento stesso è costituto dalla asserita illegittimità derivante dalla tardiva ratifica della variante urbanistica risalente all'anno 2013: è evidente come la stessa complessità della motivazione sottostante riveli - contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa regionale - la discrezionalità dell'atto in relazione al quale, pertanto, risultava necessario dare corso - ciò che è stato illegittimamente omesso - alla comunicazione d'avvio del procedimento di ritiro, ai sensi dell'art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241. Peraltro, il contraddittorio procedimentale, ove attivato dall'Amministrazione procedente ex art. 7 l. n. 241 del 1990 s.m.i., avrebbe potuto fare emergere circostanze nuove quali quelle inerenti la pianificazione urbanistica attualmente vigente. 12. Conclusivamente l'appello deve essere accolto. Le spese del giudizio seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello r.g.n. 9695/2921, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado. Condanna l'Agenzia regionale per la prevenzione, l'ambiente e l'energia dell'Emilia-Romagna, la Regione Emilia Romagna, e il Comune di (omissis), in solido, a rifondere all'appellante le spese del giudizio che sono liquidate in euro 10.000,00 (diecimila), oltre accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 novembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente FF Francesco Gambato Spisani - Consigliere Alessandro Verrico - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI SALERNO SECONDA SEZIONE CIVILE La Corte d'Appello di Salerno, 2 Sezione Civile, composta nelle persone dei seguenti Magistrati: 1. Dott. Bruno de Filippis - Presidente; 2. Dott.ssa Maria Assunta Niccoli - Consigliere; 3. Dott.ssa Giulia Carleo - Consigliere Relatore; ha pronunciato la seguente: SENTENZA nella causa civile iscritta al numero 534/2020 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi, avente ad oggetto appello avverso la sentenza n. 1666/2020 del Tribunale di Salerno, depositata telematicamente in data 09.06.2020, pubblicata e comunicata in data 30.06.2020 - notificata in pari data, TRA Comune di Montecorvino Rovella, in persona del Sindaco pro-tempore, avv. Ma.D'O., rappresentato e difeso dall'avv. Fr.Ar. ed elettivamente domiciliato in Montecorvino Rovella (SA), alla Via (...), presso studio difensore; - appellante- CONTRO (...), (...) e (...), rappresentati e difesi dall'avv. Pa.Pi. ed elettivamente domiciliati in Bellizzi, alla Via (...), presso studio difensore; (...), (...), quali eredi di (...) rappresentati e difesi dall'avv.to Do.Pi. ed elettivamente domiciliati in Bellizzi alla via (...) presso studio difensore; - appellati- E Regione Campania, in persona del suo Presidente, legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Ma.Co. e Al.Di. ed elettivamente domiciliata in Salerno, alla Via (...), presso lo studio del primo difensore, - altra parte appellata- E Consorzio di (...) in (...) del (...), in persona del suo Presidente, legale rappresentante pro-tempore, dott. (...), rappresentato e difeso dall'avv.to Pi.Me. ed elettivamente domiciliato in Eboli, al viale (...), presso la sede legale consortile; - altra parte appellata- OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 1666/2020 del Tribunale di Salerno -Risarcimento danni ex artt. 2049, 2051 e 2052 cod. civ. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione in appello ritualmente notificato in data 28.07.2020, il Comune di Montecorvino Rovella, in persona del Sindaco pro-tempore, proponeva gravame avverso la sentenza n. 1666/2020 del Tribunale di Salerno, depositata telematicamente in data 09.06.2020, pubblicata e comunicata in data 30.06.2020 -notificata in pari data, con la quale il Tribunale di Salerno così decideva: "1) Dichiara la competenza del Tribunale Ordinario di Salerno adito; 2) Accoglie la domanda attorea e, per l'effetto, condanna i convenuti in solido, al pagamento a titolo di risarcimento danni Euro 15.823,36 in favore di (...), Euro 52.134,97 in favore di (...), Euro 19.536,48 in favore di (...) e (...); 3) Condanna la convenuta Regione Campania e i terzi, Comune di Montecorvino Rovella e Consorzio di (...) in (...) del (...), in solido, al risarcimento in forma specifica, consistente in: taglio della vegetazione riparia; rimozione dei rifiuti solidi dalle sponde e dal fondo dell'alveo del fiume Cornea; ripristino delle sponde con ripresa degli scoscendimenti sulle aste torrentizie; 4) Condanna la convenuta Regione Campania e i terzi, Comune diMontecorvino Rovella e Consorzio di (...) in (...) del (...), in solido al pagamento delle spese processuali della fase di ATP, che liquida nella somma di Euro 145,00 per esborsi ed Euro 3.645,00 per compensi, oltre IVA, CPA e rimborso forfettario come per legge, con attribuzione all'avv. Pasquale Pizzuti per dichiarato anticipo; 5) Condanna la convenuta Regione Campania e i terzi, Comune di Montecorvino Rovella e Consorzio di Bonifica in (...) del (...), in solido al pagamento delle spese processuali della fase di merito, che liquida nella somma di Euro 555,26 per esborsi ed Euro 9.000,00 per compensi, oltre IVA, CPA e rimborso forfettario come per legge, con attribuzione all'avv. Pasquale Pizzuti per dichiarato anticipo; 6) Pone le spese di CTU, già liquidate con separato decreto, a definitivo carico solidale di Regione Campania, Comune di Montecorvino Rovella e del Consorzio di Bonifica in (...) del (...)". Nel primo grado di giudizio, con atto di citazione ritualmente notificato in data 09.03.2016, gli attori (...), (...), (...) e (...) convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Salerno, la Regione Campania esponendo di essere proprietari di fondi siti in agro di (...), alla loc. (...), confinanti con il fiume Cornea (in catasto al fol. (...), P. delle p.lle (...), (...), (...), (...), (...) e (...); P. delle p.lle (...), (...), (...), (...) e (...); V. delle p.lle (...) e (...); C. della p.lla (...)); che già da tempo detti fondi subivano degli allagamenti, dovuti alla fuoriuscita delle acque del fiume Cornea dal suo alveo, per la mancata manutenzione e vigilanza da parte della Regione Campania; che in occasione degli eventi meteorici che interessavano la zone nel settembre 2014, si verificavano danni ai fondi ed alle strutture degli attori; che in data 01.12.2014 presentavano ricorso per accertamento tecnico preventivo per verificare lo stato dei luoghi e quantificare i relativi danni; che nel corso del procedimento di ATP veniva redatta la C.T.U. del dott. (...), il quale accertava la causa della esondazione nella scarna manutenzione ordinaria dell'alveo del fiume, con presenza di vegetazione e rifiuti e la presenza di abusi edilizi, quali la presenza di un allevamento per cavalli, un'arginatura artificiale di contenimento delle sponde in blocchi di cemento armato e gabbionate in rete metalliche. Pertanto, chiedevano all'intestato Tribunale di Salerno che condannasse la Regione Campania a porre in essere tutte le opere necessarie al normale deflusso delle acque, così come indicate dal CTU, dott. (...), nella relazione tecnica, depositata in data 12.11.2015, all'interno del procedimento R.G. 10829/2014 e condannasse altresì la Regione Campania al risarcimento dei danni subiti dagli istanti, così come quantificati dal CTU nella richiamata perizia, ossia Euro 15.823,36 in favore di (...), Euro 52.134,97 in favore di (...), Euro 19.536,48 in favore di (...) e (...), con vittoria di spese e compensi. Instauratosi il contraddittorio, con comparsa di costituzione e risposta, si costituiva in giudizio la Regione Campania che eccepiva, in via preliminare, il difetto di giurisdizione del giudice adito per essere competente il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, nonché l'inammissibilità della richiesta risarcitoria per la sussistenza del caso fortuito, la carenza di legittimazione passiva essendo responsabili il Comune di Montecorvino Rovella e/o il Consorzio di Bonifica in (...) del (...). Autorizzata la chiamata in causa, si costituiva in giudizio il Comune di Montecorvino Rovella che eccepiva, in via preliminare, l'incompetenza per materia del Tribunale ordinario adito, essendo competente il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, il proprio difetto di legittimazione passiva, in subordine, l'assenza di qualsiasi responsabilità ex art. 2051 c.c., la presenza di abusi edilizi da parte del (...), causa dei danni lamentati, l'eccezionalità del fenomeno piovoso del 21-22 settembre 2014. Con comparsa di costituzione e risposta, si costituiva in giudizio il Consorzio di Bonifica in (...) del (...) che eccepiva la carenza di giurisdizione del giudice ordinario e la carenza di legittimazione passiva del Consorzio. Concessi in termini di cui all'art. 183, VI comma c.p.c. e sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 12.10.2017, il G.U. rigettava la richiesta di sospensione ex art. 295 c.p.c. formulata da parte convenuta dal momento che il procedimento penale per occupazione abusiva di aree demaniali era ancora nella fase delle indagini, per cui non si poneva alcun rapporto di pregiudizialità necessaria, rigettava le istanze istruttorie, rinviava all'udienza del 27.11.2019 per la precisazione delle conclusioni e, previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c., la causa veniva trattenuta in decisione. Con sentenza n. 1666/2020, depositata telematicamente in data 09.06.2020, pubblicata e comunicata in data 30.06.2020 - notificata in pari data, il Tribunale di Salerno dichiarava la competenza del Tribunale Civile Ordinario adito, accoglieva la domanda risarcitoria degli attori, condannava la Regione Campania e i soggetti terzi al risarcimento del danno in forma specifica, condannava al pagamento delle spese di lite e poneva le spese di C.T.U. a definitivo carico solidale di Regione Campania, Comune di Montecorvino Rovella e del Consorzio di Bonifica in (...) del (...). Con la proposizione del presente gravame, l'odierno appellante Comune di Montecorvino Rovella censurava l'impugnata sentenza per i seguenti motivi: "1) Sulla legittimazione passiva del Comune di Montecorvino Rovella; 2) Inesistenza di una responsabilità ex art. 2043 c.c.; 3) Il caso fortuito; 4) I danni; 5) Solidarietà e distinzione delle responsabilità; 6) Condanna al risarcimento in forma specifica; 7) Sulle spese". Chiedeva, pertanto, all'Ecc.ma Corte di Appello, in riforma dell'impugnata sentenza, di accogliere le seguenti conclusioni: "Accogliere il gravame proposto avverso la sentenza del Tribunale di Salerno n. 1666/2020, ritenere pienamente fondate le censure svolte e le richieste, anche istruttorie, volta a volta conseguentemente formulate. Il tutto previo accoglimento della istanza di sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza impugnata e con ogni conseguenza in ordine alle spese". Instauratosi il contraddittorio, con comparsa di costituzione e risposta in appello depositata telematicamente in data 08.01.2021, si costituivano in giudizio i sig.ri (...), (...) e (...) e gli eredi di (...), i quali eccepivano preliminarmente la decadenza della Regione Campania dal potere di proporre appello principale e incidentale, nonché l'inammissibilità ex art. 342 c.p.c., nel merito chiedevano di rigettare l'interposto gravame ed evidenziavano la tardività della domanda di rivalsa e di distinzione della responsabilità tra gli Enti proposta solo con il giudizio di appello. Con comparsa di costituzione e risposta depositata telematicamente in data 12.01.2021, si costituiva in giudizio la Regione Campania che chiedeva nel merito rigettarsi l'appello e la domanda avversa, nonché ogni istanza istruttoria, con vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio. Fissata la prima udienza per il 14.01.2021, disposta la trattazione del giudizio secondo il rito cartolare e depositate le note di trattazione scritta, la Corte si riservava sull'istanza di sospensione della sentenza impugnata; con Ordinanza del 21.01.2021, la Corte rigettava l'istanza di sospensione e rinviava per conclusioni all'udienza del 07.10.2021. Con comparsa di costituzione e risposta depositata telematicamente in data 12.05.2021, si costituiva in giudizio anche il Consorzio di Bonifica in (...) del (...) che evidenziava innanzitutto un errore di giudizio, nonché la propria carenza di legittimazione passiva e la responsabilità della Regione Campania; chiedeva, pertanto, di accogliere l'appello, di accertare la responsabilità totale ed esclusiva della Regione Campania, con vittoria di spese, diritti ed onorari di difesa. Nelle more del giudizio, con deposito telematico del 30.05.2022, il procuratore di parte appellata comunicava il decesso del sig. (...), sulla quale istanza il Collegio si riservava di provvedere alla già fissata udienza del 06.10.2022. Con ricorso in riassunzione ex art. 303 c.p.c. depositato telematicamente in data 27.06.2022, l'appellante Comune di Montecorvino Rovella provvedeva alla riassunzione del giudizio interrotto e con decreto del 07.07.2022 il Collegio disponeva per la comparizione delle parti l'udienza del 12.01.2023 che, celebrata mediante il rito cartolare, veniva assegnata a sentenza con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. Depositate le comparse conclusionali e le memorie di replica, il fascicolo veniva rimesso al Collegio per la decisione e viene così decisa. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello, come proposto, va rigettato per le ragioni di seguito riportate. In via preliminare va superata l'eccezione di inammissibilità dell'appello ex art. 342 c.p.c. in ragione della esposizione dei motivi di appello, adeguatamente rappresentati, e dunque comprensibili al lettore, tale da far ritenere sufficiente il contenuto dell'atto di appello. Passando al merito in relazione al primo motivo di appello relativo alla legittimazione del Comune di Montecorvino Rovella quale soggetto passivo dell'azione risarcitoria, va evidenziato come l'appellante si dolga della circostanza che seppur il consulente non abbia ricondotto in via immediata la responsabilità dei danni ai fondi da esondazione del fiume, alla condotta attiva o omissiva del Comune, il giudice di primo grado ne abbia affermato la responsabilità ex art. 2051 c.c., superando il potere di controllo sull'alveo del fiume della Regione Campania e del Consorzio, e ricollegando all'omesso controllo sugli abusi edilizi, i quali causalmente non avrebbero inciso sulla produzione del danno come desumibile dalla ctu. Inoltre, la legittimazione passiva, secondo l'appellante, sarebbe da escludersi per l'attribuzione della funzione primaria di polizia fluviale alla Regione Campania, con un ruolo solo integrativo su indirizzo regionale degli enti locali, come da disciplina dettata dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Ebbene, alla luce dell'art. 2051 c.c. la responsabilità per i danni subiti da terzo è imputabile all'ente custode dell'alveo del fiume, in ragione del nesso causale tra le omissioni e gli obblighi del custode di verifica sulla pulizia e assenza di ostacoli al deflusso regolare delle acque ed il danno conseguente per inerzia, salvo la prova del caso fortuito. Il concetto di caso fortuito non rientra l'evento meteorologico anche di notevole dimensioni che non abbia i requisiti dell'eccezionalità ed imprevedibilità da intendersi come obiettiva inverosimiglianza dell'evento e come una sensibile deviazione dalla normale frequenza statistica per il secondo, tale da rendere l'evento una eccezione( Cass. civ. n. 5422/2021) Pertanto, in mancanza di prova circa tali elementi per come descritti, la parte tenuta alla custodia del bene demaniale non può eccepire il caso fortuito, come nel caso in esame. Quanto alla qualità di custode riferibile anche al Comune di Montecorvino Rovella, premesso la sicura responsabilità della Regione Campania cui compete provvedere al mantenimento delle condizioni di regolarità degli argini e dell'alveo dei fiumi, detta responsabilità primaria non esclude la responsabilità concorrente di altri soggetti pubblici. Invero, la presenza di opera abusiva nell'area della esondazione, (pista per cavalli) come descritta dal ctu ha concorso con la presenza di rifiuti alla causazione del fenomeno alluvionale. In entrambi i casi ricorre un potere immediato di intervento da parte del custode sia in relazione alla verifica sulla incidenza dell'opera abusiva sul corso ordinato delle acque, in ragione dei poteri di vigilanza sull'edificazione nel perimetro comunale, come pure per omessa rimozione dei rifiuti insistenti lungo gli argini, ed evidentemente immessi nell'alveo anche in seguito alle precipitazioni abbondanti. Pertanto la qualificazione come responsabilità ex art. 2051 c.c. operata al primo giudice appare corretta e va confermata. Quanto alla critica in ordine alla liquidazione dei danni essa appare astratta in relazione alla potenzialità naturale di subire dei danni dei fondi frontisti il corso di un torrente, non incidente sul caso concreto, e non potendo essere una diminuente del danno effettivo. Generiche sono le altre contestazioni in relazione al danno liquidato a ciascun proprietario in maniera unitaria, tenuto conto del pregiudizio complessivo arrecato a ciascun suolo, e senza l'imputazione a singole voci di danno. Quanto alla imputazione in pari misura del danno in ragione della affermata solidarietà, la sentenza di primo grado va condivisa nella misura in cui la carenza di prova puntuale sulla responsabilità in percentuale di ciascun ente pubblico preclude il superamento della presunzione di cui all'art. 2055 c.c., il quale espressamente prevede che nel dubbio le singole colpe si presumono uguali. Infine, non articolato e sviluppato è il motivo n. 6, lamentando un vizio della sentenza di primo grado per la condanna ad un facere della pubblica amministrazione non sostenuto da argomentazione in diritto. Inoltre, il privato può chiedere al giudice ordinario la condanna ad un facere della pubblica amministrazione, poiché essa non investe scelte ed atti autoritativi, ma una attività soggetta al principio del "neminem laedere" (Cass. civ. sez. VI ordinanza 23/09/2021 n. 25843).Il motivo sulla liquidazione delle spese è infondato, stante la conferma della sentenza di primo grado. Quanto alla posizione della Regione Campania e del Consorzio appellato nel presente giudizio essa non può formare oggetto di vaglio stante l'assenza di un appello incidentale, e comunque la tardività della costituzione di entrambi le parti nel presente giudizio, ex art. 166 c.p.c., senza il rispetto del termine di venti giorni antecedenti alla prima udienza di cui alla citazione in appello, rende ogni prospettazione difensiva ostativa alla sentenza inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte d'Appello di Salerno, definitivamente pronunciando sull'appello proposto dal Comune di Montecorvino Rovella nei confronti di (...), (...) e per lui gli eredi (...) e (...), (...) e (...), nonché della Regione Campania e del Consorzio di (...) in (...) del (...), avverso la sentenza n. n. 1666/2020 del Tribunale di Salerno, depositata telematicamente in data 09.06.2020, pubblicata e comunicata in data 30.06.2020 - notificata in pari data, respinta ed assorbita ogni altra istanza, deduzione ed eccezione, così provvede: 1. Rigetta l'appello; 2. Condanna parte appellante Comune di Montecorvino Rovella al pagamento delle spese di lite in favore di parte appellate, in ragione delle due distinte difese, liquidate in Euro 8.000,00 ciascuna, oltre iva e cnap come per legge e spese generali, con attribuzione ai difensori antistatari, compensate le restanti spese. Ricorrono i presupposti di cui all'art. 1, comma 17 della L. 24 dicembre 2012, n. 228 per parte appellante. Così deciso in Salerno il 20 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 7340 del 2022, proposto da An. Za., rappresentato e difeso dall'avvocato Fa. Mu., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; contro En. Si., rappresentato e difeso dall'avvocato Re. Pe., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; nei confronti Regione Campania, Unione Regionale delle Bonifiche delle Irrigazioni e dei Miglioramenti Fondiari per la Campania - ANBI Campania, non costituiti in giudizio; Consorzio di Bonifica Integrale - Co. Sa., rappresentato e difeso dall'avvocato Lo. Le., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania- Sezione staccata di Salerno Sezione Prima n. 02359/2022, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'appello incidentale del Consorzio di Bonifica Integrale - Co. Sa.; Visti gli atti di costituzione in giudizio di En. Si. e del Consorzio di Bonifica Integrale - Co. Sa.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 marzo 2023 il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti gli avvocati Mu., Na. su delega orale di Pe., Le.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Sono controversi nel presente giudizio i risultati delle consultazioni elettorali, indette con deliberazione commissariale n. 410 del 27 dicembre 2020 e tenutesi il 10 luglio 2022, per la nomina del Consiglio dei Delegati del Consorzio di Bonifica Integrale Co. Sa. (d'ora in avanti "Consorzio"), ente pubblico economico a base associativa costituito ai sensi dell'art. 59 del R.D. 215/1933, con sede in Nocera Inferiore, titolare di competenze in materia ambientale, di tutela del territorio e di protezione civile. 2. È infatti oggetto di appello la sentenza indicata in epigrafe, resa in forma semplificata ai sensi dell'art. 60 Cod. proc. amm., con cui il Tribunale amministrativo per la Campania- Sezione Staccata di Salerno, respinta l'eccezione preliminare di inammissibilità del gravame sollevata dal Consorzio, ha accolto il ricorso proposto dal signor En. Si., terzo dei non eletti per la quarta fascia di contribuzione (delle quattro fasce contributive in rappresentanza delle quali è eletto l'organo consortile di cui si discute), e ha annullato per l'effetto, nei termini di cui in motivazione, gli atti impugnati (in particolare, il verbale n. 6560/2022 e le deliberazioni commissariali n. 215 del 13.07.2022 e n. 225 del 19.7.2022) con i quali sono stati pubblicati (in data 12 luglio 2022) i risultati delle elezioni consortili e il prospetto generale dei voti complessivi riportati dai singoli candidati e sono stati proclamati gli eletti (ovvero i primi due candidati ricompresi nella graduatoria finale, tra cui l'odierno appellante). 2.1. In particolare, la sentenza appellata, ritenuta superata la c.d. prova di resistenza (avendo il ricorrente dimostrato che in base al metodo di computo da ritenersi corretto, detraendo cioè i voti attribuiti alla lista e considerando i soli voti di preferenza riportati da ogni candidato, egli si sarebbe classificato alla seconda posizione, con 86 voti), ha condiviso la tesi del ricorrente sulle erronee modalità di attribuzione dei voti ai canditati dichiarati eletti: e ciò in quanto il totale dei voti validi assegnato a ciascun candidato della lista "Insieme si vince" (la sola presentata per la quarta fascia di contribuzione, che era stata sottoscritta da 618 consorziati ed era composta da due candidati, pari al numero complessivo dei delegati che spettano a tale fascia in relazione al valore dei ruoli consortili) sarebbe stato illegittimamente determinato sommando le preferenze individuali con i voti di lista, anziché attribuendo ai singoli candidati le sole preferenze espresse per ciascuno, quindi senza tener conto dei voti di lista (che andrebbero, viceversa, conteggiati soltanto qualora concorrano più liste, al fine di attribuire, su base proporzionale, i quozienti da assegnare a ciascuna di esse), pena, altrimenti, l'alterazione del dato elettorale. 2.2. Il T.a.r. ha ritenuto fondato il ricorso sulla base delle essenziali argomentazioni che seguono: a) il dato elettorale deve essere determinato, in presenza di un'unica lista, sulla base del numero delle preferenze raccolte dai singoli candidati e, quindi, del maggior numero dei voti individuali da ciascuno ottenuto, senza sommare i voti di lista, come risulterebbe dalla disciplina normativa e dall'interpretazione che ne ha dato, in un caso "in toto sovrapponibile", un precedente dello stesso Tribunale (di cui alla sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, n. 1291/2012); b) in particolare, la correttezza della tesi della ricorrente circa le modalità di computo dei voti si desumerebbe dalle disposizioni di cui all'art. 22, commi 8, 9 e 10, della legge regionale Campania n. 4/2003, dalle quali si evincerebbe che i voti della lista sono quelli che determinano il numero dei delegati da assegnare a ciascuna lista, mentre per stabilire quali siano i soggetti eletti bisogna fare riferimento soltanto al numero di preferenze acquisite da ciascuno; c) dall'analisi del dato normativo e, soprattutto, dal confronto tra le due diverse disposizioni (e cioè quella relativa all'ipotesi in cui vi sono più liste contrapposte e quella in cui è presentata una sola lista di candidati) si evince, pertanto, che la percentuale di voti ottenuti dalla lista determina il numero dei delegati da assegnare, ma, al tempo stesso, ove sia presente una sola lista, risultano eletti coloro che hanno ottenuto il maggior numero di voti di preferenza. 2.3. Su queste premesse il Tribunale, ritenuto che il voto di lista non avrebbe qui dovuto concorrere nella determinazione dei voti validi da assegnare a ciascun candidato, ha annullato le operazioni elettorali nella parte in cui hanno attribuito ai candidati della quarta fascia i voti di lista, disponendo il riconteggio dei voti, in conformità a quanto indicato in motivazione, e cioè tenendo conto delle sole preferenze individuali ottenute dai singoli candidati. 3. Di tale sentenza, con il gravame proposto in via principale, l'odierno appellante, già proclamato consigliere eletto (avendo ottenuto complessivamente 275 voti) ed escluso, per effetto della decisione di annullamento, dalla carica rivestita, ha domandato la riforma, previa istanza di sospensione dell'esecutività, alla stregua di due motivi di diritto entrambi rubricati "Error in iudicando- Violazione di legge (art. 71 e 73 D.Lgs. 267/2000- art. 22 della l.r. Campania 4/2023) Violazione art. 8 e 42 Statuto", con cui ha sostanzialmente lamentato che le statuizioni di prime cure avrebbero sovvertito gli esiti della competizione sulla base di una lettura erronea del sistema elettorale consortile (come disciplinato dall'art. 22 della legge regionale Campania n. 4 del 2003) e delle previsioni statutarie oltre che in contrasto con la chiara ed effettiva volontà espressa dagli elettori con i voti di lista, che sono stati di fatto "azzerati" e "sterilizzati" a vantaggio di una esigua minoranza che ha riportato solo una piccola porzione del consenso elettorale (l'originario ricorrente ha ottenuto 86 voti, pari a meno di un terzo delle preferenze riportate dall'appellante). In tal modo, lamenta l'appellante, l'espressione di consenso mediante i voti di lista finirebbe per non essere validamente rappresentata all'interno degli organi di gestione del Consorzio, sebbene la disciplina del sistema elettorale consortile, laddove ha consentito di esprimere preferenze anche per i candidati fuori lista nel caso di presentazione di un'unica lista, non avrebbe affatto privato il singolo elettore della facoltà di esprimere il proprio voto a favore dei candidati inclusi nella lista barrando soltanto il contrassegno della lista stessa. 4. In senso adesivo alle tesi degli appellanti principali ha proposto appello incidentale contro la sentenza anche il Consorzio di Bonifica, formulando analoghe doglianze (di violazione di legge e delle disposizioni statutarie) con cui ha censurato le statuizioni impugnate per aver ritenuto, sulla base di "un'interpretazione riduttiva e formalistica" del dato normativo, che ai singoli candidati dovessero essere attribuiti nel caso di specie solo i voti di preferenza individuale senza sommare i voti di lista, finendo così per non considerare la volontà effettiva degli elettori che, mediante il voto di lista, hanno inteso esprimere il proprio consenso per tutti i candidati della lista. La sentenza avrebbe così alterato la rappresentatività istituzionale dell'organo elettivo. Gli appellanti e il Consorzio hanno, pertanto, evidenziato gli effetti "distorsivi" conseguenti all'interpretazione "demolitoria" dei voti di lista (inutiliter espressi secondo la sentenza) e "deformante" la volontà dei consorziati sì da determinare una composizione dell'organismo consiliare consortile ad essa non conforme, censurando la violazione di "elementari principi di rappresentatività democratica" e sostenendo in sintesi che la decisione appellata sarebbe contraria alla vigente disciplina del sistema elettorale consortile e ai principi generali in materia di competizioni elettorali. 5. Si è costituito l'originario ricorrente, che ha insistito per il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata, illustrando le tesi già prospettate in primo grado. 5.1. All'esito della camera di consiglio del 13 ottobre 2022, con l'ordinanza n. 4938/2022, il Collegio ha accolto l'istanza cautelare, ritenendo i motivi di appello prima facie non manifestamente infondati e prevalente, nel contemperamento degli interessi, la prospettata esigenza di evitare soluzioni di continuità nella gestione amministrativa dell'organo consigliare. 5.2. All'udienza pubblica del 23 marzo 2023, la causa è passata in decisione. DIRITTO 6. Gli appelli sono fondati e vanno accolti. 7. La questione su cui sono incentrati i motivi di gravame attiene alla individuazione delle esatte modalità di computo dei voti di lista, e cioè se i voti espressi in favore dell'intera lista (nel caso di specie la sola presentata) si debbano computare in favore dei singoli candidati inclusi nella lista, come in effetti ha fatto il Consorzio, ovvero se, ai fini della cifra individuale, in caso di lista unica, debba tenersi conto delle sole preferenze espresse in favore di ciascun candidato e non anche dei voti di lista, come ritenuto dalla sentenza appellata. Infatti, secondo il giudice di prime cure, che ha condiviso la tesi dell'originario ricorrente, anche sulla base del richiamo a un precedente dello stesso T.a.r. (n. 1291/2012), già oggetto di un successivo appello in Consiglio di Stato (iscritto al n. R.G. 5162/2012), poi divenuto improcedibile per intervenuto rinnovo degli organi consortili, i risultati elettorali devono essere annullati in quanto la disciplina normativa applicabile (ossia il combinato disposto dell'art. 22 della l.r. Campania n. 4/2003 e degli artt. 8 e 42 dello Statuto consortile) escluderebbe, in caso di unica lista ammessa, che i voti in favore dell'intera lista possano essere assegnati ai singoli candidati, componenti della lista medesima, al quale dovrebbero, invece, attribuirsi, ai fini del conseguimento della carica consigliare, soltanto i voti di preferenza espressi, laddove i voti di lista sarebbero rilevanti unicamente ai fini del numero dei seggi da ripartire tra più liste concorrenti. 8. Ritiene, invece, il Collegio che i voti di lista andavano computati sommandoli alle preferenze a favore dei singoli candidati: infatti, esprimendo il voto per la lista, gli elettori hanno inteso esprimere il consenso anche per i singoli candidati ricompresi nella lista, ferma restando la possibilità per i consorziati della fascia, in caso di presentazione di un'unica lista, di presentare la propria candidatura fuori lista. 8.1. Deve anzitutto muoversi dalla basilare considerazione, ben espressa dagli odierni appellanti, secondo cui l'interpretazione di un sistema di elezione deve necessariamente privilegiare una ricostruzione che salvaguardi l'effettiva volontà dell'elettore per la scelta della propria rappresentanza in seno all'organo eletto, mentre le forme del procedimento elettorale sono gli strumenti mediante i quali tale volontà deve trovare compiuta affermazione e attuazione. 8.2. Ciò premesso, al lume di tale principio, quella prospettata dagli appellanti è la più corretta e ragionevole interpretazione della legge regionale e delle disposizioni statutarie consortili, di cui conviene richiamare le norme essenziali ai fini della decisione. 8.3. L'art. 22 della legge regionale n. 4 del 25 febbraio 2003 (recante "Nuove norme in materia di bonifica integrale"), ai commi 8, 9 e 10, dispone, infatti, che "8. Le liste dei candidati sono presentate da un numero di consorziati non inferiore al due per cento degli aventi diritto al voto della fascia, esclusi i candidati. Nell'ambito di ciascuna fascia il numero dei delegati da assegnare a ciascuna lista è pari alla percentuale di voti ottenuti dalla lista; in caso di resto, i delegati da assegnare sono attribuiti alle liste con maggiori quozienti. 9. Sono eletti, all'interno di ciascuna lista, i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti preferenziali. 10. Se in una fascia è stata presentata una sola lista di candidati, gli elettori possono dare il voto di preferenza anche ad aventi diritto al voto della medesima fascia, non compresi nella lista presentata. In questo caso, risultano eletti coloro che hanno ottenuto il maggior numero di voti.". 8.4. L'art. 42 dello Statuto, a sua volta, prevede che: "Ogni scheda valida rappresenta un voto di lista, infatti l'elettore può manifestare la preferenza esclusivamente per i candidati inclusi nella lista votata, apponendo un segno nella zona relativa alla stessa. L'elettore può altresì votare singoli candidati indicati nella stessa lista apponendo un segno nelle relative caselle, stampate a fianco dei nominativi medesimi". 8.5. Ulteriore conferma a tale interpretazione si trae poi anche dagli artt. 71 e 73 del D.Lgs. 267/2000, norme che assumono un indiscutibile valore di principio in materia di competizioni elettorali indette da enti pubblici, in base alle quali la cifra individuale di ciascun candidato è "costituita dalla cifra di lista aumentata dei voti di preferenza" (così l'art. 71, comma 9, laddove dispone che "Nell'ambito di ogni lista i candidati sono proclamati eletti consiglieri comunali secondo l'ordine delle rispettive cifre individuali, costituite dalla cifra di lista aumentata dei voti di preferenza. A parità di cifra, sono proclamati eletti i candidati che precedono nell'ordine di lista" e l'art. 73, comma 6, del D.Lgs. 267/2000, secondo cui "La cifra individuale di ciascun candidato a consigliere comunale è costituita dalla cifra di lista aumentata dei voti di preferenza"). 8.6. Alla luce di tali norme può dunque ritenersi che: - in caso di presentazione di un'unica lista, l'elettore può esprimere il voto anche in favore di aventi diritto della medesima fascia, non compresi tra i candidati della lista, risultando in tal caso eletti coloro che abbiano riportato il maggior numero di voti (cfr. art. 22, comma 10, legge regionale Campania cit.); - in conformità agli artt. 71 e 73 del D.Lgs. n. 267/2000, 22 legge regionale cit. e 42 dello Statuto consortile l'elettore può esprimere il proprio voto per la lista, barrandone il relativo contrassegno, ciò valendo quale manifestazione di preferenza "esclusivamente per i candidati inclusi nella lista votata" (cfr. art. 42 Statuto primo capoverso), o anche ("altresì ": v. art. 42 dello Statuto, secondo capoverso) in favore dei singoli candidati indicati nella lista, apponendo un segno nelle relative caselle a fianco dei nominativi di ciascuno, oppure in favore dei singoli candidati fuori lista; - il sistema elettorale consortile vigente, nella parte in cui ha consentito agli elettori, in caso di presentazione di una sola lista, di esprimere preferenze anche in favore di soggetti fuori lista, certamente non li ha privati della facoltà di esprimere il voto "esclusivamente per i candidati inclusi nella lista" barrando il contrassegno della lista ammessa, per cui in tal caso ogni voto espresso in favore della lista costituisce misura di consenso elettorale anche in favore di ciascuno dei candidati della lista stessa; - il voto di lista vale, dunque, anche come espressione di preferenza in favore di ciascun candidato ricompreso nella lista (art. 42 Statuto): tale soluzione ermeneutica è confermata dalla opzione alternativa ("altresì ...") prevista nella norma statutaria da ultimo citata, secondo la quale, qualora l'elettore non volesse esprimere il proprio consenso in favore di tutti i candidati della lista, può votare singoli candidati indicati nella stessa, apponendo un segno nelle relative caselle, stampate a fianco dei nominativi. 8.6.1. Pertanto, in linea col vigente ordinamento elettorale consortile, se in caso di unica lista l'elettore ha facoltà di esprimere il voto anche in favore di contribuenti di fascia non compresi nella lista presentata (come previsto dal comma 10 del più volte richiamato art. 22 della legge regionale), tale facoltà non può però tradursi ipso iure in un divieto per l'elettore di esprimere il voto di lista (contemplato dallo stesso art. 22 e dall'art. 42 dello Statuto), che è ammissibile e rilevante negli esiti elettorali in favore dei candidati della lista votata, in una competizione a lista unica, ed anche ai fini del riparto dei seggi nelle competizioni tra liste contrapposte (cfr. art. 22, comma 8, legge regionale). 8.6.2. Così delineata la disciplina normativa e per quanto di interesse ai fini della decisione, deve rilavarsi che la possibilità di scelta di altri consorziati fuori lista, nel limite massimo dei candidati eleggibili per ciascuna fascia, non privava gli elettori della possibilità di esprimere la propria preferenza per (tutti) i candidati inclusi nella lista soltanto mediante il voto di lista: una siffatta preclusione non è infatti contemplata dalla disciplina di settore né è presidiata, nel caso in esame, da specifici divieti o da espresse sanzioni di nullità . Anche nel sistema elettorale di cui si discute il voto di lista rappresenta, dunque, una tipica modalità di espressione del voto, mediante il quale si manifesta la volontà dell'elettore, che, in mancanza di un divieto prestabilito di esprimere un voto senza preferenze individuali, non può essere vanificata in virtù di un malinteso principio di tutela delle minoranze. 8.7. Per le sopra esposte considerazioni deve, pertanto, concludersi che la cifra elettorale individuale di ciascun candidato che rientra in un'unica lista ammessa è data dalla somma dei voti di lista e dei singoli voti di preferenza ottenuti da ciascun candidato. Se, infatti, era consentito agli elettori esprimere il voto eventualmente anche per aventi diritto della medesima fascia, non compresi nell'unica lista, oppure votare la lista, deve al contempo ritenersi che, in ragione delle suddette opzioni possibili e, comunque, in assenza di un divieto di esprimere un voto di lista senza preferenze individuali, gli elettori che, barrando il simbolo, hanno votato la lista "Insieme si vince" (che ha in tal modo conseguito 1914 voti, pari a circa il 70 per cento dei voti espressi per la prima fascia, di cui 954 esenti da preferenze individuali) intendessero indirizzare i voti espressi a tutti i suoi candidati (i cui nomi erano prestampati proprio nello spazio dedicato alla lista e sotto il contrassegno della stessa). 8.7.1. Del resto la ricostruzione seguita dalla sentenza appellata darebbe luogo ai seguenti irragionevoli effetti, correttamente evidenziati dagli appellanti: a) qualora tutti gli elettori votassero per la lista ammessa, senza esprimere voti di preferenza, le elezioni sarebbero invalide; b) qualora nessuno dei candidati dell'unica lista ammessa, beneficiaria di un gran numero di voti, ricevesse voti di preferenza, i consorziati aventi diritto al voto, non in lista, beneficiari anche di un solo voto di preferenza, sarebbero eletti consiglieri delegati. 8.7.2. Giova anche aggiungere che alla tesi condivisa dal Collegio è conforme la posizione espressa, sul punto e sulla specifica vicenda, dall'Associazione Nazionale dei Consorzi di Gestione e di Tutela del Territorio delle Acque Irrigue (ANBI), con il parere del 9 settembre 2022, secondo cui: "...la locuzione "possono dare il voto di preferenza anche ad aventi diritto al voto della medesima fascia non compresi nella lista presentata", rinvenibile tanto nell'articolo 22 decimo comma della L.R.C. n. 4/2003 cit. quanto negli articoli 8, decimo comma e 42, secondo comma, dello Statuto del Consorzio, non deve ragionevolmente essere interpretata restringendone la portata applicativa, in patente spregio dei criteri intangibili che presiedono ad ogni procedimento elettorale, consistenti nella più ampia possibile rappresentanza degli interessati e nella più intensa possibile tutela del diritto di elettorato il cui esercizio non può essere ingiustificatamente limitato"; altrimenti, "...a nulla rileverebbe la formazione e la presentazione di liste elettorali per candidarsi, collidendo questa inutilità irrimediabilmente con i principi generali e le disposizioni normative e statutarie che governano la materia", mentre "non è concettualmente ammissibile, né risulta previsto sul piano delle regole positive, alcuna differenza tra il voto di lista ed il voto di preferenza specifico attribuito solo ad alcuni candidati, dal momento che anche il primo si risolve in una preferenza, benché diffusa e collettiva". 8.8. In conclusione, deve ritenersi che nella specie il voto di lista non rileva solo ai fini dell'attribuzione dei seggi, ma è parte integrante del calcolo della cifra individuale di ciascun candidato della medesima lista, nel senso che la cifra individuale scaturisce dalla somma dei voti di lista e dei voti di preferenza. Infatti, il sistema elettorale consortile (come delineato dall'art. 22 della legge regionale Campania n. 4/2003 cit.), laddove ha inteso estendere la possibilità di esprimere il consenso elettorale anche all'esterno di un'unica lista, non ha però delegittimato l'espressione del voto di lista, come invece ritenuto dal Tribunale, sì da rendere "tamquam non essent" i voti espressi in favore dell'unica lista presentata. 8.9. Pertanto, il conteggio del Consorzio di Bonifica è corretto, avendo determinato la cifra elettorale di ciascun candidato dell'unica lista ammessa "Insieme si vince" attraverso la somma dei voti riportati dalla lista e dei voti di preferenza espressi in favore dei singoli candidati inclusi nella lista, proclamando di conseguenza legittimamente, con gli atti impugnati in primo grado, gli eletti alla carica di consigliere delegato. 9. In conclusione, gli appelli proposti vanno accolti, a ciò conseguendo la riforma della sentenza impugnata e il rigetto del ricorso di primo grado. 10. Sussistono giusti motivi, per la novità delle questioni trattate, per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sugli appelli, principale e incidentale, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado. Compensa tra le parti le spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Francesco Caringella - Presidente Angela Rotondano - Consigliere, Estensore Stefano Fantini - Consigliere Anna Bottiglieri - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello iscritto numero di registro generale 7339 del 2022, proposto da Al. Fa. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Fa. Mu., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; contro Um. Fe., rappresentato e difeso dall'avvocato Re. Pe., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; nei confronti Regione Campania, Unione Regionale delle Bonifiche delle Irrigazioni e dei Miglioramenti Fondiari per la Campania - ANBI Campania, non costituiti in giudizio; Consorzio di Bonifica Integrale - Co. Sa., rappresentato e difeso dall'avvocato Lo. Le., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania- Sezione staccata di Salerno Sezione Prima, 14 settembre 2022, n. 2358, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'appello incidentale del Consorzio di Bonifica Integrale Co. Sa.; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Um. Fe. e del Consorzio di Bonifica Integrale - Co. Sa.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 marzo 2023 il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti gli avvocati Mu., De Ro. su delega orale di Pe., Le.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Sono controversi nel presente giudizio i risultati delle consultazioni elettorali, indette con deliberazione commissariale n. 410 del 27 dicembre 2020 e tenutesi il 10 luglio 2022, per la nomina del Consiglio dei Delegati del Consorzio di Bonifica Integrale Co. Sa. (d'ora in avanti "Consorzio"), ente pubblico economico a base associativa costituito ai sensi dell'art. 59 del R.D. 215/1933, con sede in (omissis), titolare di competenze in materia ambientale, di tutela del territorio e di protezione civile. 2. È infatti oggetto di appello la sentenza indicata in epigrafe, resa in forma semplificata ai sensi dell'art. 60 Cod. proc. amm., con cui il Tribunale amministrativo per la Campania- Sezione Staccata di Salerno, respinte le eccezioni preliminari di inammissibilità del gravame sollevate dal Consorzio e dai controinteressati, ha accolto il ricorso proposto dal signor Um. Fe., terzo dei non eletti per la prima fascia di contribuzione (delle quattro fasce contributive in rappresentanza delle quali è eletto l'organo consortile di cui si discute), e ha annullato per l'effetto, nei termini di cui in motivazione, gli atti impugnati (in particolare, il verbale n. 6560/2022 e le deliberazioni commissariali n. 215 del 13.07.2022 e n. 225 del 19.7.2022) con i quali sono stati pubblicati (in data 12 luglio 2022) i risultati delle elezioni consortili e il prospetto generale dei voti complessivi riportati dai singoli candidati e sono stati proclamati gli eletti (ovvero i primi sette candidati ricompresi nella graduatoria finale, tra cui gli odierni appellanti). 2.1. In particolare, la sentenza appellata, ritenuta superata la c.d. prova di resistenza (avendo il ricorrente dimostrato che in base al metodo di computo da ritenersi corretto, detraendo cioè i voti attribuiti alla lista e considerando i soli voti di preferenza riportati da ogni candidato, egli si sarebbe classificato alla sesta posizione, con 118 voti), ha condiviso la tesi del ricorrente sulle erronee modalità di attribuzione dei voti ai canditati dichiarati eletti: e ciò in quanto il totale dei voti validi assegnato a ciascun candidato della lista "Insieme si vince" (la sola presentata per la prima fascia di contribuzione, che era stata sottoscritta da 4.957 consorziati ed era composta da sette candidati, pari al numero complessivo dei delegati che spettano a tale fascia in relazione al valore dei ruoli consortili) sarebbe stato illegittimamente determinato sommando le preferenze individuali con i voti di lista, anziché attribuendo ai singoli candidati le sole preferenze espresse per ciascuno, quindi senza tener conto dei voti di lista (che andrebbero, viceversa, conteggiati soltanto qualora concorrano più liste, al fine di attribuire, su base proporzionale, i quozienti da assegnare a ciascuna di esse), pena, altrimenti, l'alterazione del dato elettorale. 2.2. Il T.a.r. ha ritenuto fondato il ricorso sulla base delle essenziali argomentazioni che seguono: a) il dato elettorale deve essere determinato, in presenza di un'unica lista, sulla base del numero delle preferenze raccolte dai singoli candidati e, quindi, del maggior numero dei voti individuali da ciascuno ottenuto, senza sommare i voti di lista, come risulterebbe dalla disciplina normativa e dall'interpretazione che ne ha dato, in un caso "in toto sovrapponibile", un precedente dello stesso Tribunale (di cui alla sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, n. 1291/2012); b) in particolare, la correttezza della tesi della ricorrente circa le modalità di computo dei voti si desumerebbe dalle disposizioni di cui all'art. 22, commi 8, 9 e 10, della legge regionale Campania n. 4/2003, dalle quali si evincerebbe che i voti della lista sono quelli che determinano il numero dei delegati da assegnare a ciascuna lista, mentre per stabilire quali siano i soggetti eletti bisogna fare riferimento soltanto al numero di preferenze acquisite da ciascuno; c) dall'analisi del dato normativo e, soprattutto, dal confronto tra le due diverse disposizioni (e cioè quella relativa all'ipotesi in cui vi sono più liste contrapposte e quella in cui è presentata una sola lista di candidati) si evince, pertanto, che la percentuale di voti ottenuti dalla lista determina il numero dei delegati (e cioè dei seggi) da assegnare, ma, al tempo stesso, ove sia presente una sola lista, risultano eletti coloro che hanno ottenuto il maggior numero di voti di preferenza. 2.3. Su queste premesse il Tribunale, ritenuto che il voto di lista non avrebbe qui dovuto concorrere nella determinazione dei voti validi da assegnare a ciascun candidato, ha annullato le operazioni elettorali nella parte in cui hanno attribuito ai candidati della prima fascia i voti di lista, disponendo il riconteggio dei voti, in conformità a quanto indicato in motivazione, e cioè tenendo conto delle sole preferenze individuali ottenute dai singoli candidati. 3. Di tale sentenza, con il gravame proposto in via principale, gli odierni appellanti, già proclamati consiglieri eletti (avendo ottenuto complessivamente: il Varone 1.008 voti, il Fantasia 980 voti e la Lamberti 976) ed esclusi, per effetto della decisione di annullamento, dalla carica rivestita, hanno domandato la riforma, previa istanza di sospensione dell'esecutività, alla stregua di due motivi di diritto entrambi rubricati "Error in iudicando- Violazione di legge (art. 71 e 73 D.Lgs. 267/2000- art. 22 della l.r. Campania 4/2023) Violazione art. 8 e 42 Statuto", con cui hanno sostanzialmente lamentato che le statuizioni di prime cure avrebbero sovvertito gli esiti della competizione sulla base di una lettura erronea del sistema elettorale consortile (come disciplinato dall'art. 22 della legge regionale Campania n. 4 del 2003) e delle previsioni statutarie oltre che in contrasto con la chiara ed effettiva volontà espressa dagli elettori con i voti di lista, che sono stati di fatto "azzerati" e "sterilizzati" a vantaggio di una esigua minoranza che ha riportato solo una piccola porzione del consenso elettorale (l'originario ricorrente ha ottenuto 118 voti e i tre consiglieri subentranti hanno complessivamente riportato appena il 12% dei voti validamente conseguiti dagli appellanti, candidati nella lista unica, ossia 357 voti contro 2.964). In tal modo, lamentano gli appellanti, l'espressione di consenso mediante i voti di lista finirebbe per non essere validamente rappresentata all'interno degli organi di gestione del Consorzio, sebbene la disciplina del sistema elettorale consortile, laddove ha consentito di esprimere preferenze anche per i candidati fuori lista nel caso di presentazione di un'unica lista, non avrebbe affatto privato il singolo elettore della facoltà di esprimere il proprio voto a favore dei candidati inclusi nella lista barrando soltanto il contrassegno della stessa lista. 4. In senso adesivo alle tesi degli appellanti principali ha proposto appello incidentale contro la sentenza anche il Consorzio di Bonifica, formulando analoghe doglianze (di violazione di legge e delle disposizioni statutarie) con cui ha censurato le statuizioni impugnate per aver ritenuto, sulla base di "un'interpretazione riduttiva e formalistica" del dato normativo, che ai singoli candidati dovessero essere attribuiti nel caso di specie solo i voti di preferenza individuale senza sommare i voti della lista, finendo così per non considerare la volontà effettiva degli elettori che, mediante il voto di lista, hanno inteso esprimere il proprio consenso per ciascuno dei candidati della lista. La sentenza avrebbe così alterato la rappresentatività istituzionale dell'organo elettivo. Gli appellanti e il Consorzio hanno, pertanto, evidenziato gli effetti "distorsivi" conseguenti all'interpretazione "demolitoria" dei voti di lista (inutiliter espressi secondo la sentenza) e "deformante" la volontà dei consorziati sì da determinare una composizione dell'organismo consiliare consortile ad essa non conforme, censurando la violazione di "elementari principi di rappresentatività democratica" e sostenendo in sintesi che la decisione appellata sarebbe contraria alla vigente disciplina del sistema elettorale consortile e ai principi generali in materia di competizioni elettorali. 5. Si sono costituiti gli originari ricorrenti, che hanno insistito per il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata, illustrando le tesi già prospettate in primo grado. 5.1. All'esito della camera di consiglio del 13 ottobre 2022, con l'ordinanza n. 4929/2022, il Collegio ha accolto l'istanza cautelare, ritenendo i motivi di appello prima facie non manifestamente infondati e prevalente, nel contemperamento degli interessi, la prospettata esigenza di garantire la prosecuzione della gestione consortile senza soluzione di continuità nella funzione amministrativa, assicurata dall'organo consigliare nell'attuale composizione. 5.2. All'udienza pubblica del 23 marzo 2023, la causa è passata in decisione. DIRITTO 6. Gli appelli sono fondati e vanno accolti. 7. La questione su cui sono incentrati i motivi di gravame attiene alla individuazione delle esatte modalità di computo dei voti di lista, e cioè se i voti espressi in favore dell'intera lista (nel caso di specie la sola presentata) si debbano computare in favore dei singoli candidati, come in effetti ha fatto il Consorzio, ovvero se, ai fini della cifra individuale, in caso di lista unica, debba tenersi conto delle sole preferenze individuali espresse in favore di ciascun candidato e non anche dei voti di lista, come ritenuto dalla sentenza appellata. Infatti, secondo il giudice di prime cure, che ha condiviso la tesi dell'originario ricorrente, anche sulla base del richiamo a un precedente dello stesso T.a.r. (n. 1291/2012), già oggetto di un successivo appello in Consiglio di Stato (iscritto al n. R.G. 5162/2012), poi divenuto improcedibile per intervenuto rinnovo degli organi consortili, i risultati elettorali devono essere annullati in quanto la disciplina normativa applicabile (ossia il combinato disposto dell'art. 22 della l.r. Campania n. 4/2003 e degli artt. 8 e 42 dello Statuto consortile) escluderebbe, in caso di unica lista ammessa, che i voti in favore dell'intera lista possano essere assegnati ai singoli candidati, componenti della lista medesima, al quale dovrebbero, invece, attribuirsi, ai fini del conseguimento della carica consigliare, soltanto i voti di preferenza espressi, laddove i voti di lista sarebbero rilevanti unicamente ai fini del numero dei seggi da attribuire tra più liste concorrenti. 8. Ritiene, invece, il Collegio che i voti di lista andavano computati sommandoli alle preferenze a favore dei singoli candidati: infatti, esprimendo il voto per la lista, gli elettori hanno inteso esprimere il consenso anche per i singoli candidati ricompresi nella lista, ferma restando la possibilità per i consorziati della fascia, in caso di presentazione di un'unica lista, di presentare la propria candidatura fuori lista. 8.1. Deve anzitutto muoversi dalla basilare considerazione, ben espressa dagli odierni appellanti, secondo cui l'interpretazione di un sistema di elezione deve necessariamente privilegiare una ricostruzione che salvaguardi l'effettiva volontà dell'elettore per la scelta della propria rappresentanza in seno all'organo eletto, mentre le forme del procedimento elettorale sono gli strumenti mediante i quali tale volontà deve trovare compiuta affermazione e attuazione. 8.2. Ciò premesso, al lume di tale principio, quella prospettata dagli appellanti è la più corretta e ragionevole interpretazione della legge regionale e delle disposizioni statutarie consortili, di cui conviene richiamare le norme essenziali ai fini della decisione. 8.3. L'art. 22 della legge regionale n. 4 del 25 febbraio 2003 (recante "Nuove norme in materia di bonifica integrale"), ai commi 8, 9 e 10, dispone, infatti, che "8. Le liste dei candidati sono presentate da un numero di consorziati non inferiore al due per cento degli aventi diritto al voto della fascia, esclusi i candidati. Nell'ambito di ciascuna fascia il numero dei delegati da assegnare a ciascuna lista è pari alla percentuale di voti ottenuti dalla lista; in caso di resto, i delegati da assegnare sono attribuiti alle liste con maggiori quozienti. 9. Sono eletti, all'interno di ciascuna lista, i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti preferenziali. 10. Se in una fascia è stata presentata una sola lista di candidati, gli elettori possono dare il voto di preferenza anche ad aventi diritto al voto della medesima fascia, non compresi nella lista presentata. In questo caso, risultano eletti coloro che hanno ottenuto il maggior numero di voti.". 8.4. L'art. 42 dello Statuto, a sua volta, prevede che: "Ogni scheda valida rappresenta un voto di lista, infatti l'elettore può manifestare la preferenza esclusivamente per i candidati inclusi nella lista votata, apponendo un segno nella zona relativa alla stessa. L'elettore può altresì votare singoli candidati indicati nella stessa lista apponendo un segno nelle relative caselle, stampate a fianco dei nominativi medesimi". 8.5. Ulteriore conferma a tale interpretazione si trae poi anche dagli artt. 71 e 73 del D.Lgs. 267/2000, norme che assumono un indiscutibile valore di principio in materia di competizioni elettorali indette da enti pubblici, in base alle quali la cifra individuale di ciascun candidato è "costituita dalla cifra di lista aumentata dei voti di preferenza" (così l'art. 71, comma 9, laddove dispone che "Nell'ambito di ogni lista i candidati sono proclamati eletti consiglieri comunali secondo l'ordine delle rispettive cifre individuali, costituite dalla cifra di lista aumentata dei voti di preferenza. A parità di cifra, sono proclamati eletti i candidati che precedono nell'ordine di lista" e l'art. 73, comma 6, del D.Lgs. 267/2000, secondo cui "La cifra individuale di ciascun candidato a consigliere comunale è costituita dalla cifra di lista aumentata dei voti di preferenza"). 8.6. Alla luce di tali norme può dunque ritenersi che: - in caso di presentazione di un'unica lista, l'elettore può esprimere il voto anche in favore di un soggetto, avente diritto della medesima fascia, non compreso tra i candidati della lista, risultando in tal caso eletto il soggetto che abbia riportato il maggior numero di voti (cfr. art. 22, comma 10, legge regionale Campania cit.); - in conformità agli artt. 71 e 73 del D.Lgs. n. 267/2000, 22 legge regionale cit. e all'art. 42 dello Statuto consortile l'elettore può esprimere il proprio voto per la lista, barrandone il relativo contrassegno, ciò valendo quale manifestazione di preferenza "esclusivamente per i candidati inclusi nella lista votata" (cfr. art. 42 Statuto primo capoverso), o anche ("altresì ": v. art. 42 dello Statuto, secondo capoverso) in favore dei singoli candidati indicati nella lista oppure in favore dei singoli candidati fuori lista, sbarrando, in entrambi i casi, le relative caselle presenti accanto ai nominativi di ciascuno; - il sistema elettorale consortile vigente, nella parte in cui ha consentito agli elettori, in caso di presentazione di una sola lista, di esprimere preferenze anche in favore di soggetti fuori lista, certamente non li ha privati della facoltà di esprimere il voto "esclusivamente per i candidati inclusi nella lista" barrando il contrassegno della lista ammessa, per cui in tal caso ogni voto espresso in favore della lista costituisce misura di consenso elettorale anche in favore di ciascuno dei candidati della lista stessa; - il voto di lista vale, dunque, anche come espressione di voto in favore di ciascun candidato ricompreso nella lista (art. 42 Statuto): tale soluzione ermeneutica è confermata dalla opzione alternativa ("altresì ...") prevista nella norma statutaria da ultimo citata, secondo la quale, qualora l'elettore non volesse esprimere il proprio consenso in favore di tutti i candidati della lista, può votare singoli candidati indicati nella stessa, apponendo un segno nelle relative caselle, stampate a fianco dei nominativi. 8.6.1. Pertanto, in linea col vigente ordinamento elettorale consortile, se in caso di unica lista l'elettore ha facoltà di esprimere il voto anche in favore di contribuenti di fascia non compresi nella lista presentata (come previsto dal comma 10 del più volte richiamato art. 22 della legge regionale), tale facoltà non può però tradursi ipso iure in un divieto per l'elettore di esprimere il voto di lista (contemplato dallo stesso art. 22 e dall'art. 42 dello Statuto), che è ammissibile e rilevante negli esiti elettorali in favore dei candidati della lista votata, in una competizione a lista unica, ed anche ai fini del riparto dei seggi nelle competizioni tra liste contrapposte (cfr. art. 22, comma 8, legge regionale). 8.6.2. Così delineata la disciplina normativa e per quanto di interesse ai fini della decisione, deve rilavarsi che la possibilità di scelta di altri consorziati fuori lista, nel limite massimo dei candidati eleggibili per ciascuna fascia, non privava gli elettori della possibilità di esprimere la propria preferenza per (tutti) i candidati inclusi nella lista soltanto mediante il voto di lista: una siffatta preclusione non è infatti contemplata dalla disciplina di settore né è presidiata, nel caso in esame, da specifici divieti o da espresse sanzioni di nullità . Anche nel sistema elettorale di cui si discute il voto di lista rappresenta, dunque, una tipica modalità di espressione del voto, mediante il quale si manifesta la volontà dell'elettore, che, in mancanza di un divieto prestabilito di esprimere un voto senza preferenze individuali, non può essere vanificata in virtù di un malinteso principio di tutela delle minoranze. 8.7. Per le sopra esposte considerazioni deve, pertanto, concludersi che la cifra elettorale individuale di ciascun candidato che rientra in un'unica lista ammessa è data dalla somma dei voti di lista e dei singoli voti di preferenza ottenuti da ciascun candidato. Se, infatti, era consentito agli elettori esprimere il voto eventualmente anche per aventi diritto della medesima fascia, non compresi nell'unica lista, o comunque votare soltanto la lista, deve al contempo ritenersi che, in ragione delle suddette opzioni possibili e, comunque, in assenza di un divieto di esprimere un voto di lista senza preferenze individuali, gli elettori che, barrando il simbolo, hanno votato soltanto la lista "Insieme si vince" (che ha in tal modo conseguito 1914 voti, pari a circa il 70 per cento dei voti espressi per la prima fascia, di cui 954 esenti da preferenze individuali) intendessero indirizzare i voti espressi a tutti i suoi candidati (i cui nomi erano prestampati proprio nello spazio dedicato alla lista e sotto il contrassegno della stessa). 8.7.1. Del resto la ricostruzione seguita dalla sentenza appellata darebbe luogo ai seguenti irragionevoli effetti, correttamente evidenziati dagli appellanti: a) qualora tutti gli elettori votassero per la lista ammessa, senza esprimere voti di preferenza, le elezioni sarebbero invalide; b) qualora nessuno dei candidati dell'unica lista ammessa, beneficiaria di un gran numero di voti, ricevesse voti di preferenza, i consorziati aventi diritto al voto, non in lista, beneficiari anche di un solo voto di preferenza, sarebbero eletti consiglieri. 8.7.2. Giova anche aggiungere che alla tesi condivisa dal Collegio è conforme la posizione espressa, sul punto e sulla specifica vicenda, dall'Associazione Nazionale dei Consorzi di Gestione e di Tutela del Territorio delle Acque Irrigue (ANBI), con il parere del 9 settembre 2022, secondo cui: "...la locuzione "possono dare il voto di preferenza anche ad aventi diritto al voto della medesima fascia non compresi nella lista presentata", rinvenibile tanto nell'articolo 22 decimo comma della L.R.C. n. 4/2003 cit. quanto negli articoli 8, decimo comma e 42, secondo comma, dello Statuto del Consorzio, non deve ragionevolmente essere interpretata restringendone la portata applicativa, in patente spregio dei criteri intangibili che presiedono ad ogni procedimento elettorale, consistenti nella più ampia possibile rappresentanza degli interessati e nella più intensa possibile tutela del diritto di elettorato il cui esercizio non può essere ingiustificatamente limitato"; altrimenti, "...a nulla rileverebbe la formazione e la presentazione di liste elettorali per candidarsi, collidendo questa inutilità irrimediabilmente con i principi generali e le disposizioni normative e statutarie che governano la materia", mentre "non è concettualmente ammissibile, né risulta previsto sul piano delle regole positive, alcuna differenza tra il voto di lista ed il voto di preferenza specifico attribuito solo ad alcuni candidati, dal momento che anche il primo si risolve in una preferenza, benché diffusa e collettiva". 8.8. In conclusione, deve ritenersi che nella specie il voto di lista non rileva solo ai fini dell'attribuzione dei seggi, ma è parte integrante del calcolo della cifra individuale di ciascun candidato della medesima lista, nel senso che la cifra individuale scaturisce dalla sommatoria dei voti di lista e dei voti di preferenza. Infatti, il sistema elettorale consortile (come delineato dall'art. 22 della legge regionale Campania n. 4/2003 cit.), laddove ha inteso estendere la possibilità di esprimere il consenso elettorale anche all'esterno di un'unica lista, non ha però delegittimato l'espressione del voto di lista, come invece ritenuto dal Tribunale, sì da rendere "tamquam non essent" i voti espressi in favore dell'unica lista presentata. 8.9. Pertanto, il conteggio del Consorzio di Bonifica è corretto, avendo determinato la cifra elettorale di ciascun candidato dell'unica lista ammessa "Insieme si vince" attraverso la somma dei voti riportati dalla lista e dei voti di preferenza espressi in favore dei singoli candidati inclusi nella lista, proclamando di conseguenza legittimamente, con gli atti impugnati in primo grado, gli eletti alla carica di consigliere delegato. 9. In conclusione, gli appelli proposti vanno accolti, a ciò conseguendo la riforma della sentenza impugnata e il rigetto del ricorso di primo grado. 10. Sussistono giusti motivi, per la novità delle questioni trattate, per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sugli appelli, principale e incidentale, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado. Compensa tra le parti le spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Francesco Caringella - Presidente Angela Rotondano - Consigliere, Estensore Stefano Fantini - Consigliere Anna Bottiglieri - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6079 del 2015, proposto dalle società TM. E. Te. Ec. S.p.a. e TM. H.P. Te. Ho. Pa. S.r.l. in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Al. Bi. e An. Fa., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ma. Se. in Roma, via (...); contro il Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Vi. Ag., con domicilio eletto presso la sig. An. De An. in Roma, via (...); la Provincia di Brindisi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ma. Gu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; il Ministero dell'interno e la Prefettura - Ufficio territoriale del Governo di Brindisi, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via (...); nei confronti della società Da. Im. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Ab., con domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, via (...); della Regione Puglia, dell'ARPA Arpa Puglia - Agenzia regionale per la prevenzione e la protezione ambientale e dell'ASL- Azienda sanitaria locale di Brindisi, non costituite in giudizio; delle società Fr. Am. S.c. a r.l. in liquidazione, e Lo. Ec. S.r.l. in concordato, non costituite in giudizio; per l'annullamento ovvero la riforma della sentenza del T.a.r. Puglia, sezione staccata di Lecce, sez. I, 23 aprile 2015, n. 1354, che ha respinto il ricorso n. 1718/2014 R.G. proposto per l'annullamento dei seguenti atti e provvedimenti, concernenti la definizione degli interventi per la messa in sicurezza di emergenza, realizzazione delle opere di chiusura, sistemazione finale e gestione post-chiusura della discarica situata in Comune di (omissis), contrada (omissis): a) del verbale 10 aprile 2014, conosciuto il giorno 6 maggio 2014, con il quale la Conferenza di servizi decisoria convocata presso la Provincia di Brindisi ha individuato il Comune di (omissis) quale autorità competente ad emanare l'ordinanza contingibile e urgente ai sensi degli artt. 50 del T.U. 18 agosto 2000 n. 267 e 191 d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 e come ente più idoneo ad attivare le procedure tecnico amministrative per la realizzazione degli interventi di rimozione e smaltimento del percolato, colmamento del bacino centrale e successiva copertura con capping provvisorio in via sostitutiva e in danno della società Fr. Am.; b) dell'ordinanza 6 maggio 2014 n. 142, con la quale il Commissario straordinario presso il Comune di (omissis) ha ordinato, fra gli altri, alla società TM. E. S.p.a. di procedere senza indugio all'allontanamento del percolato ed al colmamento del cratere presenti in discarica secondo le modalità stabilite nel corso della conferenza di servizi 10 aprile 2014 di cui sopra, e ha diffidato le società destinatarie del provvedimento, fra cui la stessa TM., in solido fra loro e per quanto di loro competenza a dare inizio entro quindici giorni alle opere di chiusura definitiva dell'intera discarica, con conseguente avvio della post-gestione trentennale, secondo il progetto approvato dal Commissario delegato con decreto 23 dicembre 2004 n. 334; c) dell'ordinanza 21 maggio 2014 n. 172, con la quale lo stesso Commissario, accertata l'inottemperanza all'ordinanza di cui sopra, ha disposto di provvedere in via sostitutiva ai lavori di rimozione del percolato presente nella discarica in questione ed alla relativa messa in sicurezza della discarica stessa, secondo quanto disposto nella predetta conferenza di servizi e addebitando alle destinatarie dell'ordinanza i relativi costi, in solido tra loro; e di ogni atto presupposto, conseguente ovvero connesso; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), della Provincia di Brindisi, del Ministero dell'interno e della Prefettura, nonché della Da. Im.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 marzo 2023 il Cons. Francesco Gambato Spisani e viste le conclusioni delle parti presenti, o considerate tali ai sensi di legge, come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con bando pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione Europea 15 ottobre 1998 n. 200 e sulla Gazzetta ufficiale R.I. 5 ottobre 1998, n. 232 (doc. 1 in I grado ricorrente appellante, lettera di invito, ove gli estremi del bando), il Comune di (omissis), intimato appellato, ha indetto gara per "affidare in concessione la gestione di una discarica controllata di I categoria di 470 mila mc, previa costruzione della stessa, ubicata in località (omissis)", discarica che avrebbe dovuto smaltire i rifiuti urbani e assimilati e i fanghi di depurazione delle acque reflue da insediamenti civili provenienti dai nove comuni del bacino "Br 2", ovvero dal secondo bacino della Provincia di Brindisi, comprendente anche il Comune appaltante. 2. Con una scrittura privata datata 9 febbraio 1999 (doc. 2 in I grado ricorrente appellante, sul quale non constano estremi di autentica né di registrazione), tre società hanno disciplinato i loro rapporti al fine di partecipare a questa gara. 2.1 Si tratta della Lo. Ec. S.r.l., controinteressata appellata, e di altre due società, la Te. S.p.a. e la Em. Am. S.p.a., i cui rapporti con questa vicenda e con questo giudizio verranno illustrati di seguito. 2.2 Con questa scrittura privata, le parti hanno dato atto di voler partecipare alla gara in questione costituendo un'associazione temporanea- ATI, di cui la Lombardi sarebbe stata mandataria e le altre due imprese mandanti. 2.3 Ciò posto, le imprese stesse hanno convenuto che nel caso di aggiudicazione avrebbero costituito fra loro con quote di capitale predeterminate una società consortile "senza fini di lucro e con ribaltamento dei costi e dei ricavi", società alla quale avrebbero demandato "tutte le attività afferenti l'oggetto della concessione" facendola operare come "centro di coordinamento" delle loro attività al fine di "conseguire gli obiettivi e gli adempimenti previsti dal contratto di concessione" (doc. 2 in I grado ricorrente appellante, cit., § § 3 e 4). 3. Con atto Notaro Ma., di (omissis), sempre del giorno 9 febbraio 1999, le imprese citate hanno effettivamente costituito questa ATI fra loro, e convenuto fra l'altro che "fino all'estinzione di ogni rapporto l'ente committente... può far valere direttamente le responsabilità facenti capo alle imprese mandanti" (doc. 3 in I grado ricorrente appellante, atto citato, numeri di repertorio e raccolta ed estremi di registrazione non leggibili; la citazione è a p. 5 settimo rigo dal basso). 4. La ricorrente appellante Te. Ec. - TM. S.p.a. è divenuta parte di questo contratto attraverso un conferimento di ramo di azienda, atto Notaro Vo., di Genova, 28 ottobre 1999 rep. n. 64825 racc. n. 15028 (ricorso in I grado p. 5 § 3, circostanza non contestata). 5. L'ATI così composta, ovvero composta da Lo. Ec. ed altri, ha vinto la gara ed ha stipulato con il Comune intimato appellato la convenzione 7 dicembre 2000 rep. n. 4262 Segretario comunale, avente ad oggetto appunto l'affidamento in gestione della discarica previa costruzione della stessa con finanziamento a carico del concessionario. Sulla base di questa convenzione, il concessionario, ovvero l'ATI, si obbliga in sintesi a realizzare la discarica secondo il progetto approvato e a gestirla, con la precisazione che "la durata della concessione è strettamente collegata al totale esaurimento" della volumetria di discarica disponibile e che "il concessionario dovrà anche curare la conduzione, la manutenzione e il controllo delle opere di captazione e combustione del biogas, di raccolta e stoccaggio percolato e di altre eventuali emissioni, anche dopo l'esaurimento della discarica e conseguente cessazione del conferimento dei rifiuti per tutto il tempo necessario, ovvero fino alla cessazione delle emissioni suddette e al definitivo assestamento e mineralizzazione dei rifiuti stoccati" (doc. 4 in I grado ricorrente appellante, convenzione; la citazione è all'art. 2 di essa). 6. Successivamente, come da atto di cessione di azienda Notaro Ca. di Como 28 dicembre 2000 rep. n. 38521 racc. n. 13365, alla Em. è subentrata nell'ATI altra società, denominata DG. - Da. Ge. Im. S.p.a. (ricorso di I grado p. 5 § 5, circostanza non contestata); a questa società, come si anticipa per chiarezza, è a sua volta subentrata l'attuale controinteressata appellata Da. Im. S.p.a. attraverso successivi atti di fusione per incorporazione (v. all. B al ricorso di I grado, p. 1 in fine; circostanze non contestate). 7. Con atto 20 novembre 2001 rep. n. 59941 racc. n. 18648 Notaro Ma., di (omissis) (doc. 5 in I grado ricorrente appellante, senza estremi di registrazione), le allora componenti dell'ATI, ovvero la Lo. Ec. e la Te. Ec., attuali parti di questo processo, e la DG. Da. Im., dante causa della Da. Im. parte di questo processo, hanno poi costituito la società consortile di cui si è detto, denominata "Fr. Am.", convenendo che essa avesse ad oggetto "tutte le attività necessarie alla costruzione e gestione" della discarica e che essa non avesse fine di lucro, ma soltanto "lo scopo di soddisfare l'esigenza delle imprese consorziate di dotarsi di uno strumento organizzativo atto a salvaguardare l'unitarietà della gestione e della esecuzione delle attività connesse", e quindi convenendo che essa avrebbe ribaltato "i costi e i ricavi rispettivamente a carico e favore delle imprese socie in proporzione alla loro quota di partecipazione" (doc. 5 in I grado ricorrente appellante, cit. art. 4 pp. 3 e 6 dell'atto). 8. Questa società consortile ha effettivamente realizzato e gestito la discarica. Ha infatti fra l'altro ottenuto, per quanto qui interessa, il certificato di collaudo dei lavori con deliberazione 23 gennaio 2004 n. 3 dell'Autorità regionale di gestione (doc. 6 in I grado ricorrente appellante) ed è stata iscritta il 26 febbraio 2004 all'allora esistente Albo delle imprese di gestione di rifiuti (doc. 8 in I grado ricorrente appellante). 9. Successivamente, con atto 8 marzo 2010 rep. n. 77050 racc. n. 26106 del citato Notaro Ma., registrato a Bari il 15 marzo successivo n. 2907, la Te. Ec. ha ceduto alla Lo. Ec. tutta la propria quota di capitale della Fr. Am., ovvero della società consortile di cui si è detto (doc. 11 in I grado ricorrente appellante, atto citato). 10. Nel frattempo, per ragioni che non sono state illustrate in questo processo, ma risultano comunque non rilevanti ai fini della decisione, la discarica ha incominciato a presentare problemi di funzionamento, tanto da essere sottoposta a sequestro da parte dell'Autorità giudiziaria penale (ricorso di I grado, p. 8 § 15, circostanza non contestata). 11. In questa situazione, il Servizio ecologia della Provincia di Brindisi, con nota 17 settembre 2010 prot. n. 80382, ha informato la locale Procura della Repubblica che "nella zona sottoposta a sequestro risulta essere presente una quantità di percolato tale da costituire potenziale pericolo per la salute e per l'ambiente, nonché fonte di emissioni maleodoranti" ed ha chiesto alla Procura stessa di ordinarne la rimozione (doc 12 in I grado ricorrente appellante); ottenuto l'assenso della Procura con nota di essa 20 settembre 2010, con successiva nota 21 settembre 2010 prot. n. 81297 (doc. 13 in I grado ricorrente appellante) ha disposto la "piena attuazione con urgenza" di tutto ciò "a carico del gestore dell'impianto", ovvero della Fr. Am.. 12. Il successivo 12 giugno 2013, il Commissario straordinario del Comune di (omissis) ha poi disposto un sopralluogo sull'impianto, svolto alla presenza di personale del Comune, della Provincia di Brindisi, dell'Ambito territoriale e della Fr. Am., nel frattempo posta in liquidazione; nel corso del sopralluogo, è stato rilevato fra l'altro che "nell'area sottoposta a sequestro risulta evidente l'accumulo di percolato affiorante il livello dei rifiuti abbancati"; ciò posto, i funzionari presenti hanno richiesto al rappresentante della società tutta una serie di documenti amministrativi e tecnici necessari per la messa in sicurezza della discarica; preso atto che essi non erano disponibili, hanno assegnato un termine per produrli, avvertendo che in mancanza si sarebbe proceduto ad escutere la fideiussione rilasciata a garanzia (doc. 14 in I grado ricorrente appellante, verbale). 13. Poiché nulla ne è seguito, il Commissario straordinario ha emanato a carico della Fr. Am. l'ordinanza 17 giugno 2013 n. 260 - che non consta impugnata - con la quale, ritenuto il grave pericolo per l'inquinamento ambientale e la salute pubblica, ha ordinato di provvedere entro un brevissimo termine "alla rimozione del percolato presente in discarica" (doc. 15 in I grado ricorrente appellante, ordinanza). 14. Secondo logica, nemmeno quest'ordinanza ha avuto effetto, dal momento che, come da verbale 30 gennaio 2014 C.C. di (omissis), il Commissario straordinario ha ritenuto di presentare denuncia alla locale autorità di polizia, esponendo tutta la situazione. Nel verbale citato, il Commissario dichiara infatti in sintesi che la Fr. Am., in liquidazione, avrebbe abbandonato il sito e che la fideiussione rilasciata a garanzia degli obblighi di gestione è risultata emessa da una società maltese posta in liquidazione coatta già dal 2011. Il Commissario dichiara poi che il livello del percolato in discarica è aumentato, come risulterebbe da un successivo sopralluogo del 12 dicembre precedente, e che il sito è abbandonato a cancelli chiusi, risultando la Fr. Am. insolvente anche nel pagamento delle utenze elettriche necessarie a far funzionare i relativi sistemi, tra cui l'impianto antincendio. Il Commissario dà poi atto di avere richiesto alla Provincia di Brindisi di convocare una conferenza di servizi per risolvere la situazione (doc. 16 in I grado ricorrente appellante, verbale di denuncia). 15. I successivi sviluppi della vicenda risultano da una nota ai sensi degli artt. 26 commi 1 e 2 e 23 comma 7 del d.lgs. 19 dicembre 1991 n. 406, indirizzata al Tribunale di Brindisi dal Commissario straordinario. In questa nota, il Commissario dà atto che con sentenza 24 gennaio 2013 n. 33 il Tribunale stesso ha disposto la confisca dell'area, salvi gli obblighi di bonifica; dà atto poi della mancata esecuzione della propria ordinanza 17 giugno 2013 di cui si è detto e della continua inerzia della Fr. Am.; rappresenta poi l'intento dell'amministrazione di provvedere ad aspirare e smaltire il percolato e a colmare il relativo cratere di accumulo. Il Commissario evidenzia, infatti, che la situazione si sta aggravando, dato che il pozzo costruito per estrarre il percolato sta inclinandosi, con pericolo di perforazione della guaina impermeabile posta sul fondo della discarica e di inquinamento della falda (doc.17 in I grado ricorrente appellante, nota citata). 16. Nel frattempo, la conferenza di servizi richiesta dal Commissario viene effettivamente convocata, e con il verbale 10 aprile 2014 di cui in epigrafe (all. A al ricorso di I grado) delibera di individuare il Comune di (omissis) quale "autorità competente all'assunzione dell'ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell'art. 50 del T.U. 18 agosto 2000 n. 267 e dell'art. 191 d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152" nonché "quale stazione affidataria alla società concessionaria la realizzazione e gestione della discarica, l'ente più idoneo ad attivare le procedure tecnico-amministrative per la realizzazione degli interventi di rimozione e smaltimento del percolato... colmamento del bacino centrale... e successiva copertura con capping provvisorio in via sostitutiva e in danno nei confronti della società Fr. Am. inadempiente". 17. Ciò posto, il Commissario straordinario ha emanato dapprima l'ordinanza 6 maggio 2014 n. 142 di cui in epigrafe (all. B al ricorso di I grado), con cui provvede in due direzioni, come segue. 17.1 In primo luogo, il Commissario riassume i tratti essenziali della vicenda, sostanzialmente così come li si sono illustrati sin qui, e richiama in particolare la nota 21 marzo 2014 di cui si è detto, con la quale ha già evidenziato "il grave imminente rischio di danno ambientale... a causa dell'accumularsi nella zona interessata di una cospicua quantità di percolato, con rischio di infiltrazione nel sottosuolo a causa del pericolo connesso alla rottura della sottostante guaina di impermeabilizzazione, soggetta a sollecitazioni per lo scivolamento dell'argine, con conseguente inclinazione del pozzo di estrazione del percolato stesso". 17.2 Su questa base, "visto l'art. 50 comma 5 del d.lgs. n. 267/2000", il Commissario ordina di "procedere senza alcun indugio all'allontanamento del percolato ed al colmamento del cratere" secondo quanto stabilito dalla conferenza di servizi alle società in quel momento socie della Fr. Am., ovvero alla Lo. Ec., alla ricorrente appellante Te. Ec. e alla Da. Im.. 17.3 In secondo luogo, il Commissario dà atto che la discarica dal 31 gennaio 2011 non è più autorizzata a ricevere rifiuti e che sulle predette socie della società consortile "incombe l'obbligo della manutenzione ordinaria e straordinaria del sito, attualmente incustodito sebbene nell'esclusiva disponibilità del concessionario, e della gestione post mortem della discarica stessa, attività per cui il concessionario gestore ha regolarmente incassato circa euro ottomilioni come da somme erogate dai Comuni che hanno conferito i rifiuti". Il Commissario dà poi atto che il sito della discarica è in abbandono e che ciò "determina un incombente pericolo per l'ambiente, con conseguente rischio per la salute e l'igiene pubbliche" tanto da indurre a provvedere ai sensi dell'art 50 comma 5 d.lgs. 267/2000. 17.4 Su questa base, il Commissario diffida le stesse società di cui sopra a "dare inizio entro quindici giorni alle opere di chiusura definitiva dell'intera discarica" con avvio della gestione post trentennale, secondo un progetto già esistente che viene citato. 18. A seguito di quest'ordinanza, il Commissario dispone un nuovo sopralluogo, che si svolge il 19 maggio 2014 sul sito, alla presenza di funzionari del Comune e dell'Ambito, nonché di rappresentanti delegati dalla Fr. Am. e della Te. Ec.. Per quanto interessa, il sopralluogo riscontra un livello di percolato superiore a quello presente alla data del precedente sopralluogo del 12 giugno 2013, conferma che il pozzo di aspirazione è inclinato, nei termini già descritti, con pericolo di perforazione della guaina, e rileva che sia il quadro di comando delle pompe che aspirano il percolato, sia l'impianto antincendio sono fuori servizio (v. il verbale citato, parte dell'all. C al ricorso di I grado). 19. Ciò posto, il Commissario ha emanato l'ulteriore ordinanza 21 maggio 2014 n. 172, di cui sempre in epigrafe (all. C al ricorso di I grado), con cui preso atto del sopralluogo, accerta formalmente l'inottemperanza all'ordinanza 142/2014, ribadisce l'incombente pericolo per l'ambiente e la salute pubblica ai sensi dell'art. 50 comma 5 d.lgs. 267/2000, dà atto che l'urgenza esime dall'obbligo di comunicare l'inizio del procedimento ai sensi dell'art. 7 della l. 7 agosto 1990 n. 241 e ordina di procedere in via sostitutiva ai "lavori di rimozione del percolato presente nella discarica e di messa in sicurezza della discarica stessa al fine di eliminare le cause di accumulo del percolato... addebitando alle destinatarie dell'ordinanza in solido tra loro", ovvero alla Lo. Ec., alla Te. Ec. e alla Da. Im. "i relativi costi sostenuti". 20. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il T.a.r. ha respinto il ricorso presentato dalla Te. Ec. contro questi atti, ritenendo in sintesi estrema che essa fosse stata legittimamente individuata come obbligata, e che sussistessero i presupposti per intervenire con lo strumento dell'ordinanza di necessità e urgenza. 21. Contro questa sentenza, la Te. Ec. ha proposto impugnazione, con appello che contiene otto motivi, di riproposizione dei motivi dedotti in I grado e di critica alla sentenza impugnata per non averli accolti, così come segue. 21.1 Con il primo di essi, deduce propriamente violazione degli artt. 1321 c.c. e 50 comma 5 d.lgs. 267/2000. Criticando l'affermazione contraria contenuta nella sentenza di I grado, sostiene infatti che in presenza di una convenzione asseritamente valida ed efficace conclusa per la gestione della discarica con la Fr. Am. il Comune non avrebbe potuto innanzitutto "adottare dei provvedimenti di carattere autoritativo o, addirittura, extra ordinem, per pretendere l'adempimento delle obbligazioni contrattuali" (appello, p. 10 undicesimo rigo dell'atto) derivanti dalla convenzione stessa, ma avrebbe dovuto reagire con le azioni contrattuali civilistiche proponibili avanti il Giudice ordinario, e inoltre non avrebbe potuto in alcun modo "obbligare, con atto autoritativo, all'adempimento delle obbligazioni pattuite con la Fr. Am. (concessionaria), anche la società TM." (appello, p. 10 § 1.4) che non sarebbe parte del contratto in questione e che dal 2010 in poi non avrebbe più alcun rapporto con la società Fr. Am., avendone ceduto come si è detto le quote, né avrebbe la materiale disponibilità della discarica 21.2 Con il secondo motivo, deduce propriamente violazione dell'art. 37 quinquies della l. 11 febbraio 1994 n. 109, vigente all'epoca dei fatti. La norma, come è noto, disciplina la procedura di finanza di progetto, e prevede al comma 1 che "Il bando di gara per l'affidamento di una concessione per la realizzazione e/o gestione di una infrastruttura o di un nuovo servizio di pubblica utilità " mediante finanza di progetto "deve prevedere che l'aggiudicatario ha la facoltà, dopo l'aggiudicazione, di costituire una società di progetto in forma di società per azioni o a responsabilità limitata, anche consortile.... La società così costituita diventa la concessionaria subentrando nel rapporto di concessione all'aggiudicatario senza necessità di approvazione o autorizzazione. Tale subentro non costituisce cessione di contratto". Lo stesso articolo prevede al comma 1 ter che: "Per effetto del subentro di cui al comma 1, che non costituisce cessione del contratto, la società di progetto diventa la concessionaria a titolo originario e sostituisce l'aggiudicatario in tutti i rapporti con l'Amministrazione concedente. Nel caso di versamento di un prezzo in corso d'opera da parte della pubblica amministrazione, i soci della società restano solidalmente responsabili con la società di progetto nei confronti dell'Amministrazione per l'eventuale rimborso del contributo percepito. In alternativa, la società di progetto può fornire alla pubblica amministrazione garanzie bancarie e assicurative per la restituzione delle somme versate a titolo di prezzo in corso d'opera, liberando in tal modo i soci. Le suddette garanzie cessano alla data di emissione del certificato di collaudo dell'opera". Ciò posto, la sentenza di I grado, nella linea logica da essa seguita, ha ritenuto che la responsabilità della ricorrente appellante per la gestione della discarica, una volta costituita la società consortile Fr. Am., si fondasse sulle diverse norme degli artt. 26 commi 1 e 2 e 23 comma 7 del d.lgs. 19 dicembre 1991 n. 406, pure vigente all'epoca dei fatti. L'art. 26 commi 1 e 2, in materia di procedure di aggiudicazione di appalti di lavori pubblici, prevede che: "Le imprese riunite possono costituire tra loro una società, anche consortile, ai sensi del libro V, titolo V, capi III e seguenti del codice civile, per la esecuzione unitaria, totale o parziale, dei lavori (comma 1). La società subentra, senza che ciò costituisca ad alcun effetto subappalto o cessione di contratto e senza necessità di autorizzazione o di approvazione, nell'esecuzione totale o parziale del contratto, ferme restando le responsabilità delle imprese riunite di cui al comma 7 dell'articolo 23". A sua volta, l'art. 23 comma 7 prevede poi che in caso di ATI "L'offerta delle imprese riunite determina la loro responsabilità solidale nei confronti dell'amministrazione". Ciò posto, il Giudice di I grado ha considerato applicabile quest'ultima norma, e quindi ha ritenuto la responsabilità dell'impresa, e non quella dell'art. 37 quinquies, che, in tesi, avrebbe fatto venir meno questa responsabilità dopo intervenuto il collaudo, che nella specie è stato effettuato. La ricorrente appellante critica questa tesi, e sostiene che la società consortile costituita si configurerebbe non come società fra imprese riunite, ma come società di progetto, perché nella specie non si ragiona di un appalto di lavori, ma di una concessione di costruzione e gestione, fattispecie che si differenzierebbe dalla finanza di progetto solo per il dato, ad avviso della parte irrilevante ai fini che interessano, per cui il progetto dell'opera proviene dall'amministrazione e non dal privato. Sostiene quindi che a partire dal collaudo essa non avrebbe più alcuna responsabilità verso l'amministrazione, dovendosi applicare analogicamente l'art. 37 quinquies citato. 21.3 Con il terzo motivo, deduce falsa applicazione del citato art. 26 del d.lgs. 406/1991, e sostiene che la propria responsabilità nei confronti dell'amministrazione, anche ritenendola sussistente sulla base della norma citata, di cui comunque nega l'applicabilità . sarebbe comunque venuta meno dopo la cessione delle quote della Fr. Am. di cui si è detto, cessione che costituirebbe manifestazione di un preteso principio per cui la mandante potrebbe liberamente recedere dall'ATI aggiudicataria, recesso che farebbe venir meno le obbligazioni nei confronti dell'amministrazione aggiudicatrice. 21.4 Con il quarto motivo, deduce ulteriore difetto di motivazione da parte della sentenza di primo grado. In fatto, sostiene che a verbale del sopralluogo 19 maggio 2014 (parte cit. dell'all. C al ricorso di I grado) "il liquidatore e legale rappresentante della Fr. Am. ha espresso la propria disponibilità alla realizzazione delle opere di riparazione e messa in sicurezza richieste" (appello, p. 17 § IV 1 dell'atto). Sostiene quindi che ciò comporterebbe la illegittimità dell'ordinanza 172/2014 successivamente adottata, perché avrebbe di per sé escluso la necessità di emanare un'ordinanza di necessità e urgenza, e critica l'affermazione contraria del Giudice di primo grado, per cui, se la Fr. Am. avesse provveduto, al più sarebbe venuto meno l'interesse della Te. Ec. a impugnare l'ordinanza in questione. 21.5 Con il quinto motivo, deduce ancora difetto di motivazione della sentenza impugnata, nonché violazione dell'art. 50 comma 5 del d.lgs. 267/2000. La sentenza impugnata, va premesso, afferma che il mancato esercizio di poteri sostitutivi da parte del Comune, esercizio preannunziato, come si è visto, già con l'ordinanza 260/2013 (doc. 15 in I grado ricorrente appellante, cit.), non avrebbe inciso sulla situazione; afferma poi che se anche questi poteri fossero stati esercitati, i costi relativi sarebbero dovuti ricadere sulle imprese dell'ATI affidataria, e quindi anche sulla ricorrente appellante. Essa ciò premesso critica quest'affermazione, e sostiene che il mancato esercizio di questi poteri renderebbe illegittime le ordinanze impugnate, perché esse interverrebbero su una situazione di necessità e urgenza che se anche sussistesse, sarebbe creata dall'inerzia del Comune. 21.6 Con il sesto motivo, deduce ulteriore violazione dell'art. 50 d.lgs. 267/2000 e sostiene che i presupposti dell'ordinanza di necessità e urgenza non vi sarebbero. 21.7 Con il settimo motivo, deduce il difetto di motivazione della sentenza di primo grado nella parte in cui essa afferma che, una volta acclarata la posizione della ricorrente appellante "quale concessionaria e affidataria del servizio di gestione della discarica... ossia quale soggetto preposto agli obblighi di manutenzione, custodia e controllo delle attività di captazione e combustione del biogas, di raccolta e di stoccaggio del percolato e di altre eventuali emissioni, anche dopo l'esaurimento della discarica" come da convenzione sottoscritta, sarebbe "evidente la legittimità dell'ordine impartito in quanto direttamente e causalmente riconducibile all'attività (rectius: inattività ) posta in essere dalla ricorrente". Sul punto sostiene infatti che di omissione in senso giuridico non si potrebbe parlare, non sussistendo a proprio carico alcun obbligo di legge, ovvero di contratto, nel senso indicato. 21.8 Con l'ottavo motivo, deduce infine la violazione degli artt. 7 e 21 octies della l. 241/1990, perché a suo avviso, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di primo grado, non sussisterebbero, per quanto detto fin qui, i presupposti dell'urgenza che esimono dalla comunicazione di avvio del procedimento, e comunque non sarebbe dimostrato che il contenuto delle ordinanze impugnate non sarebbe potuto essere diverso. 22. Hanno resistito il Comune di (omissis), con atto 20 ottobre 2015, e la Provincia di Brindisi, con atto 4 ottobre 2018, ed hanno chiesto che l'appello sia respinto. 23. Si è poi costituita la Da. Im., con atto 14 luglio 2015, ed ha chiesto invece che l'appello sia accolto, chiedendone la riunione al procedimento n. 5626/2015 R.G. di questo Consiglio, relativo all'impugnazione di analoghe ordinanze pronunciate nei suoi confronti. Per completezza, si rileva però che questo procedimento risulta non coltivato, e quindi perento, come da decreto del Presidente della V sezione 15 marzo 2021 n. 370. 24. Di seguito, le amministrazioni statali citate, ovvero il Ministero dell'interno e la Prefettura di Brindisi, hanno resistito con atto 7 agosto 2015 e memoria 10 settembre 2022, in cui chiedono di essere estromesse dal giudizio per difetto di legittimazione passiva, in quanto del tutto estranee ai provvedimenti impugnati. 25. La ricorrente appellante, con memoria 8 settembre 2022, ha ribadito le proprie asserite ragioni; ha prodotto in allegato due comunicazioni, del settembre 2016, con le quali il Comune rende noto di avere avviato le attività tecniche per il rilievo della discarica. 26. Con memoria del 9 settembre 2022, il difensore della Da. Im. ha chiesto si dichiarasse l'interruzione del processo, stante il fallimento della propria assistita, così come dichiarato con l'allegata sentenza del Tribunale Milano 16 aprile 2021, n. 333. 27. In esito alla pubblica udienza già fissata per il giorno 12 settembre 2022, la Sezione, con ordinanza 19 ottobre 2022 n. 8911, ha quindi dichiarato l'interruzione stessa. 28. Con atto depositato il 12 dicembre 2022, il processo è stato ritualmente riassunto dalla Te. Ec. e da un'altra società, denominata Te. Ho. Pa. S.r.l. Questa società, a seguito di un atto di scissione parziale 17 dicembre 2015, di cui non constano maggiori dettagli, sarebbe subentrata negli effetti economici e finanziari, nonché negli oneri e nelle spese, di questo contenzioso; avrebbe poi impugnato gli stessi atti per cui è processo con un ricorso straordinario notificato il 23 marzo 2016, di cui pure non constano maggiori dettagli, che risulterebbe tuttora pendente. 29. Con documentazione prodotta il giorno 16 febbraio e memoria il 27 febbraio 2023 queste società hanno ribadito le loro difese, eccependo la presunta tardività della memoria 10 settembre 2022, in cui le amministrazioni statali hanno come si è detto eccepito il loro difetto di legittimazione passiva; hanno poi prodotto una comunicazione in data 21 dicembre 2022 prot. n. 40822 (all. 1 appellanti prodotto il giorno 16 febbraio 2023) della Provincia di Brindisi, di avvio del procedimento di bonifica nei confronti anche delle persone fisiche legali rappresentanti di tutte le società coinvolte nel procedimento, comunicazione che dichiarano di avere contestato. 30. Su questo punto, con nota di udienza 24 marzo 2023, le amministrazioni hanno replicato che si tratta comunque di questione rilevabile d'ufficio. 31. Alla pubblica udienza del giorno 30 marzo 2023, la Sezione ha infine trattenuto la causa in decisione. 32. In via preliminare, va disposta, conformemente alla richiesta, l'estromissione dal giudizio delle amministrazioni statali intimate, ovvero del Ministero dell'interno e Prefettura- Ufficio territoriale del Governo di Brindisi, che per inciso si considerano distintamente solo per chiarezza, dal momento che, come è noto, la Prefettura è organo periferico del Ministero e non soggetto a sé stante. In proposito, come correttamente osservato dalla difesa della parte, è irrilevante che l'eccezione sia stata sollevata in una memoria asseritamente tardiva, dato che si tratta di questione rilevabile d'ufficio, come da pacifica e risalente giurisprudenza: per tutte, C.d.S. sez. IV 21 agosto 2013 n. 4229. Il presupposto dell'estromissione è poi del tutto evidente, perché le amministrazioni statali in questione non hanno emesso alcuno dei provvedimenti impugnati. 33. Ciò posto, l'appello è infondato nel merito e va respinto, per le ragioni di seguito esposte. 34. È manifestamente infondato il primo motivo, centrato su una presunta impossibilità per il Comune di provvedere con strumenti autoritativi, appunto le ordinanze impugnate, nel momento in cui avrebbe potuto servirsi di rimedi contrattuali di diritto civile. È infatti principio del tutto pacifico ed evidente, che come tale non richiede puntuali citazioni giurisprudenziali, che i poteri autoritativi di intervento di cui dispone una qualsiasi autorità amministrativa, nella specie il Comune, le sono attribuiti nell'interesse pubblico, e quindi sono indisponibili. L'ente quindi non potrebbe in alcun modo obbligarsi contrattualmente a non esercitarli rispetto ad un qualsiasi amministrato, né a maggior ragione, come è ovvio, lo stesso risultato si potrebbe raggiungere in via indiretta, ovvero ritenendo che il loro esercizio sia paralizzato per il solo fatto che l'ente stesso, in questo caso il Comune, abbia concluso un contratto concernente lo stesso oggetto sul quale ha ritenuto di intervenire d'imperio. 35. I motivi secondo, terzo e settimo sono connessi, in quanto riguardano, sotto diverse angolazioni, la stessa questione, ovvero la presunta impossibilità di ravvisare una responsabilità della Te. Ec. per la mala gestione della discarica, responsabilità che ad avviso della parte dovrebbe ricadere esclusivamente sulla società consortile Fr. Am.. Come tali, i motivi in questione vanno esaminati congiuntamente e risultano infondati. 36.1 È necessario partire da una corretta ricostruzione del fatto, che risulta da quanto sopra esposto. 36.2 Così come si è detto, le società originariamente interessate alla gara, ovvero la Lo. Ec., la Te. S.p.a., dante causa dell'appellante, e la Em. Am. si sono impegnate reciprocamente a parteciparvi costituendo un'ATI con la citata scrittura privata del 9 febbraio 1999 (doc. 2 in I grado ricorrente appellante, cit.), e l'hanno effettivamente costituita con un atto notarile dello stesso giorno, in cui hanno convenuto, fra l'altro, che "fino all'estinzione di ogni rapporto l'ente committente... può far valere direttamente le responsabilità facenti capo alle imprese mandanti" (doc. 3 in I grado ricorrente appellante, cit.). Il Comune di (omissis) non è parte di questi atti, e quindi in base ad essi l'impegno non si può ancora ritenere sorto contrattualmente nei suoi confronti; la clausola peraltro è indicativa dell'intento delle parti effettive. 36.3 L'impegno contrattuale nei confronti del Comune viene assunto in un momento successivo, con la convenzione 7 dicembre 2000 rep. n. 4262 sopra citata (doc. 4 in I grado ricorrente appellante, cit.), che è stipulata, dopo l'aggiudicazione della gara, fra le tre imprese vincitrici da un lato ed il Comune dall'altro, e contiene l'impegno delle aggiudicatarie nei confronti dell'ente, in sintesi a realizzare la discarica e a gestirla facendola funzionare a regola d'arte. Questa convenzione è evidentemente un contratto vincolante di diritto civile, e costituisce a carico di ciascuna delle società e a favore del Comune obbligazioni in tal senso; costituisce quindi la fonte della responsabilità dell'appellante. 36.4 Questa conclusione non cambia per effetto della successiva costituzione, fra le imprese vincitrici e in conformità con gli accordi interni fra loro, della società consortile, ovvero della Fr. Am.. Come è noto, infatti, la società consortile è un istituto previsto in via generale dall'ordinamento civilistico, all'art. 2615 ter comma 1 c.c., secondo il quale: "Le società previste nei capi III e seguenti del titolo V", ovvero le ordinarie società lucrative, "possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell'articolo 2602", ovvero istituire "un'organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese", nel che consiste l'istituto del consorzio, già previsto sempre in via generale prima che la norma sulla società consortile fosse introdotta. 36.5 In altre parole, il senso delle norme citate è il seguente: gli imprenditori, che in via generale possono costituire il consorzio come loro struttura organizzativa di coordinamento, possono dare a questo consorzio anche la veste giuridica della società, fermo però restando che sempre di consorzio, ovvero di struttura organizzativa, si tratta. Sotto quest'ultimo profilo, è poi chiaro che la costituzione di un consorzio in forma non societaria non muta in alcun modo la responsabilità delle singole imprese consorziate verso i terzi per le obbligazioni che esse hanno assunto nei loro confronti e che non può certo mutare per effetto di scelte organizzative interne. La stessa conclusione vale nel caso in cui il consorzio assuma la forma di un distinto soggetto giuridico, ovvero della società consortile di cui all'art. 2615 ter, in base al noto e pacifico principio per cui non si può sostituire la persona del debitore di un'obbligazione, con liberazione dell'obbligato precedente, senza una espressa volontà in tal senso del creditore. 36.6 Applicando i principi appena delineati al caso di specie, risulta, come si è detto, che la responsabilità delle imprese aggiudicatarie, e quindi dell'appellante, sussisteva sulla base della convenzione 7 dicembre 2000 in base alle ordinarie regole del diritto civile, e non è stata in nulla modificata dalla successiva costituzione della società consortile con l'atto 20 novembre 2001 (doc. 5 in I grado ricorrente appellante, cit.). A ulteriore riprova, del resto, se così non fosse, non si spiegherebbe la clausola di quest'atto che parla di "ribaltamento" sulle imprese consorziate dei costi e dei ricavi della gestione da parte della società consortile. 36.7 Tutto ciò premesso, ad avviso del Collegio e in parziale dissenso sul punto dalla motivazione del Giudice di I grado, le norme di legge speciale citate dalla parte appellante non sono pertinenti al caso di specie. Ne è del tutto estraneo, anzitutto, l'art. 37 quinquies della l. 109/1994, che anzitutto fa eccezione alla regola generale dell'impossibilità di sostituire la persona del debitore senza la volontà del creditore, dato che prevede la responsabilità esclusiva della società di progetto, e quindi va interpretato in via restrittiva. 36.8 I presupposti applicativi dell'art. 37 quinquies sono poi del tutto diversi. In primo luogo, la norma riguarda la finanza di progetto, istituto al quale è essenziale la considerazione dei flussi finanziari generati dall'opera che si va a realizzare, considerazione del tutto assente nel caso di specie, in cui si ragiona di una semplice concessione di costruzione e gestione di un'opera pubblica. Inoltre, ai sensi del comma 1 dell'articolo, la liberazione degli originari aggiudicatari è subordinata ad una cautela molto importante, nel caso di specie del tutto assente, dato che il bando di gara deve prevedere un ammontare minimo di capitale richiesto alla società di progetto subentrante, a evidente garanzia della sua solidità . 36.9 Da un altro punto di vista, non è poi rilevante per la fattispecie nemmeno la norma di cui agli artt. 26, commi 1 e 2, e 23, comma 7, d.lgs. 406/ 1991, valorizzata dal Giudice di primo grado, a prescindere dall'interrogativo se essa, testualmente prevista per gli appalti di opere, possa applicarsi anche ad una concessione di costruzione e gestione come quella per cui è causa. Gli effetti che dalla norma in esame dovrebbero discendere - ovvero il subentro nell'esecuzione del contratto della società costituita allo scopo dalle imprese dell'ATI e il permanere della responsabilità di costoro nei confronti dell'amministrazione - nel caso di specie si sono creati, come si è detto, in base agli ordinari strumenti di diritto civile. Le imprese, come si ribadisce, sono e restano responsabili nei confronti del Comune sulla base dell'originaria convenzione del 7 dicembre 2000, e il subentro nell'esecuzione della Fr. Am. è avvenuto in linea di fatto, senza che il Comune abbia contestato alcunché . 36.10 In questi termini, vanno respinti il secondo ed il terzo motivo, che questa responsabilità negano nei termini appena esposti e confutati, nonché il settimo motivo, dato che ai fini della responsabilità fondata sulla convenzione contratto 7 dicembre 2000 è evidentemente irrilevante che una delle società socie della società consortile ne sia uscita cedendo le quote. 37. Il quarto motivo di appello, centrato su una presunta non necessità di provvedere a fronte di un altrettanto presunto impegno ad attivarsi della Fr. Am., è infondato in fatto. La Fr. Am. infatti, come risulta dalla semplice lettura del verbale di sopralluogo 19 maggio 2014 (la citata parte corrispondente dell'all. C al ricorso di I grado) non si è impegnata sostanzialmente a fare alcunché : il liquidatore ha semplicemente chiesto all'amministrazione comunale un incontro volto alla soluzione del problema del liquido accumulato, con atteggiamento che all'evidenza non si può che definire soltanto dilatorio. 38. È infondato anche il quinto motivo, centrato sulla presunta esclusiva responsabilità del Comune per un asserito mancato esercizio di poteri sostitutivi nei confronti delle imprese interessate, esercizio che come si è detto era stato preannunziato già con l'ordinanza 260/2013 (doc. 15 in I grado ricorrente appellante, cit.). In proposito, è sufficiente rilevare da un lato che i poteri "sostitutivi" sono appunto tali, ovvero possono operare nel momento in cui non provveda chi è in prima battuta obbligato a farlo, ma non valgono certo a liberarlo dalla relativa responsabilità . Inoltre, quand'anche, in via del tutto ipotetica, dovessero ravvisarsi responsabilità di tipo omissivo del Comune - sempre in via ipotetica ascrivibili agli organi in carica prima del Commissario che ha agito - ciò sarebbe irrilevante ai fini di causa, in base al noto principio di cui all'art. 2055 c.c. per cui la responsabilità per illecito è solidale. 39. È a sua volta infondato il sesto motivo di appello, centrato su una presunta mancanza dei presupposti di emanazione delle ordinanze di necessità e urgenza. In proposito, il Collegio ritiene di non doversi discostare dai principi recentemente ribaditi nella sentenza della Sezione 2 marzo 2023 n. 2208, di cui appresso. 39.1 Com'è noto, le ordinanze di necessità ed urgenza presuppongono in generale, per costante giurisprudenza, che ci si trovi di fronte ad una situazione di pericolo non fronteggiabile con mezzi ordinari: per tutte, C.d.S. sez. IV 25 marzo 2022 n. 2193 e sez. V 12 giugno 2017 n. 2847. Inoltre, l'esercizio del relativo potere non è precluso dall'esistenza di una serie di rimedi tipici per far fronte alle situazioni di emergenza di una data specie, rimedi nel caso in esame rappresentati come è evidente dai provvedimenti previsti dal d.lgs. 152/2006 in tema di bonifica dei siti inquinati (artt. 239 ss.). È infatti del tutto possibile che nel caso concreto questi rimedi risultino inadeguati (così in proposito la sentenza C.d.S. 2208/2023 citata, nonché le parimenti richiamate sez. IV 26 giugno 2021 n. 4802, in particolare al § XII 4.3 e sez. IV 1 giugno 2021 n. 4200, relativa ad un caso di inquinamento. In particolare, sempre secondo la sentenza 2208/2023, l'inadeguatezza dei rimedi ordinari sussiste quando una situazione di inquinamento, ovvero di abbandono di rifiuti, già esistente subisca un'improvvisa evoluzione in negativo, che renda necessario provvedere senza indugio). 39.2 Applicando questi principi al caso di specie, si deve ritenere la legittimità sul punto delle ordinanze impugnate, e quindi l'infondatezza del motivo di appello che le contesta. 39.3 Come si è detto sopra, l'ordinanza 6 maggio 2014 n. 142 (all. B al ricorso di I grado, cit.) viene emanata a seguito del sopralluogo di cui si dà conto nella nota del Commissario nota 21 marzo 2014 prot. n. 9525, e che aveva accertato una situazione in aggravamento, dovuta al crollo parziale della struttura del pozzo costruito per estrarre il percolato, dato che la relativa struttura si stava inclinando e minacciava di perforare la guaina impermeabile di fondo e quindi di inquinare la falda (doc.17 in I grado ricorrente appellante, cit.). Come è evidente, alla situazione di partenza, pacificamente già compromessa, si aggiunge un ulteriore e imminente pericolo. 39.4 A sua volta, l'ordinanza 21 maggio 2014 n. 172 (all. C al ricorso di I grado, cit.) si basa sul sopralluogo 19 maggio 2014 ed evidenzia un aggravamento ulteriore, dato che il livello di percolato è ancora superiore a quello già riscontrato, il pozzo di aspirazione continua a inclinarsi e soprattutto sia il quadro di comando delle pompe che il percolato dovrebbero aspirare, sia l'impianto antincendio sono fuori servizio. 39.5 Che si trattasse di una situazione di pericolo effettivo, e non di un eccesso di zelo, è poi dimostrato anche dalla successiva evoluzione dei fatti. Posto che per quanto è dato sapere le ordinanze impugnate non sono state in alcun modo eseguite, la guaina di fondo della discarica è stata infatti effettivamente perforata e nella falda risultano valori fuori soglia di contaminazione per il parametro "ferro", nonché valori "elevati e anomali di ammoniaca, potassio, nitrati e ossidabilità " (comunicazione 21 dicembre 2022 prot. n. 40822, all. 1 appellanti prodotta il giorno 16 febbraio 2023, cit.). 40. Da ultimo, è infondato anche l'ottavo motivo, essendosi dimostrato che l'urgenza nel provvedere sussisteva, e che quindi, come del resto detto in modo esplicito nell'ordinanza 21 maggio 2014 (all. C al ricorso di I grado cit.), l'obbligo di avviso dell'inizio del procedimento non vi era. 41. Le spese seguono la soccombenza nei confronti delle appellanti Te. Ec. e Te. Ho. Pa., nonché della Da. Im., che ha assunto la loro medesima posizione processuale, e a favore delle controparti costituite, ovvero del Ministero dell'interno e Prefettura- Ufficio territoriale del Governo di Brindisi, che si considerano come una parte unica, avendo il medesimo patrocinio, della Provincia di Brindisi e del Comune di (omissis). La liquidazione è poi commisurata al minimo previsto dai parametri di cui al D.M. 8 aprile 2014 n. 55, vigente al momento di proposizione del ricorso, per una causa di valore indeterminato e di complessità media. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 6079/2015 R.G.), così provvede: a) dichiara l'estromissione dal giudizio del Ministero dell'interno e della Prefettura- Ufficio territoriale del Governo di Brindisi; b) respinge l'appello; c) condanna in solido le appellanti Tm. E. - Te. Ec. S.p.a. e TM. H.P.- Te. Ho. Pa. S.r.l. e l'intimata Da. Im. S.p.a. a rifondere alle parti appellate, ovvero al Ministero dell'interno e alla Prefettura- Ufficio territoriale del Governo di Brindisi, alla Provincia di Brindisi e al Comune di (omissis) le spese di questo grado di giudizio, spese che liquida in Euro 5.176 (cinquemilacentosettantasei/00) per ciascuna parte, ai sensi di cui in motivazione, oltre rimborso spese forfetario ed accessori di legge, se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Gerardo Mastrandrea - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere, Estensore Silvia Martino - Consigliere Luca Monteferrante - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. COSTANZO Angelo - Consigliere Dott. ROSATI Martino - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere Dott. D'ARCANGELO Fabri - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza emessa in data 7 giugno 2022 del Tribunale di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D'Arcangelo; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Tomaso Emilio Epidendio, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; udito l'avvocato (OMISSIS), nell'interesse del ricorrente, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Palermo, in parziale accoglimento della richiesta di riesame proposta da (OMISSIS), ha annullato, limitatamente al delitto ascrittogli al capo 11) dell'imputazione provvisoria l'ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, che in data 3 maggio 2022 ha applicato la misura coercitiva della custodia cautelare nei confronti del ricorrente, confermandola nel resto. Nell'ordinanza impugnata il (OMISSIS), e' ritenuto gravemente indiziato della commissione del delitto di cui all'articolo 416-bis c.p., per aver fatto parte della famiglia mafiosa di (OMISSIS), e aver coadiuvato prima (OMISSIS), detto (OMISSIS), e poi (OMISSIS), nella gestione del mandamento e della famiglia, controllando il mercato immobiliare nella zona di (OMISSIS), mediante l'imposizione del pagamento della "sensaleria" sulle transazioni perfezionate, e nell'aver coadiuvato i predetti nella gestione illecita delle acque irrigue, anche a mezzo della commissione di furti d'acqua (capo 1). Il (OMISSIS) e', inoltre, stato ritenuto gravemente indiziato, in concorso con (OMISSIS), della commissione del delitto di cui all' articolo 110, articolo 61 c.p., n. 7, articoli 81 c.p., 624 c.p. e articolo 625 c.p. n. 7 e 7 bis, e articolo 416.bis.1 c.p., per aver costretto (OMISSIS), a versare la somma di novecento Euro, a titolo di "sensaleria" sulla vendita del proprio immobile alla (OMISSIS), (capo 4), e del delitto di cui agli articoli 81 cpv., articolo 110, articolo 629, comma 1 e 2, in relazione al n. 3 , dell'articolo 628 c.p., comma 3, articolo 416 bis.1., c.p., per essersi impossessato di acqua del consorzio di bonifica Palermo 2, cedendola, a fine di profitto, a terzi contadini (capo 7). 2. Gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori del (OMISSIS), ricorrono avverso tale ordinanza e ne chiedono l'annullamento, deducendo tre motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo i difensori censurano, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la violazione degli articoli 125, 273 c.p.p. e articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera c), e articolo 416 bis c.p. (capo 1) e il vizio di motivazione sul punto. Rilevano i difensori, che, quanto al delitto di partecipazione ad una associazione a delinquere di tipo mafioso, la motivazione del Tribunale del riesame sarebbe manifestamente illogica nel dimostrare, sulla base di meri contatti telefonici antecedenti a incontri tra presunti sodali, incontri dei quali peraltro si ignora il contenuto, la condotta partecipativa del ricorrente. Ad avviso dei difensori, gli elementi probatori addotti dal Tribunale del riesame sarebbero, infatti, equivoci; difetterebbe la dimostrazione che il ricorrente abbia manifestato un impegno reciproco e costante in favore dei sodali e, comunque, non sarebbe stata raggiunta la prova della concreta assunzione da parte del (OMISSIS), di un ruolo attivo all'interno della famiglia mafiosa di (OMISSIS). Il Tribunale del riesame aveva affermato che il ricorrente avrebbe ricevuto l'investitura mafiosa da (OMISSIS), (detto (OMISSIS)), tratto in arresto nel gennaio 2019, ma gli elementi in atti non dimostrerebbero che il ricorrente sia mai divenuto un partecipe dell'organizzazione mafiosa. Nessuno dei numerosi collaboratori di giustizia escussi nel presente procedimento, infatti, avrebbe accusato il ricorrente di tale delitto e le ulteriori attivita' di indagine svolte non avrebbero provato alcun contatto tra il ricorrente e (OMISSIS). Il Tribunale, del resto, avrebbe omesso del tutto di confrontarsi con tali elementi, che avrebbero richiesto un maggior rigore nella dimostrazione della condotta partecipativa del ricorrente. Manifestamente illogica sarebbe, dunque, l'affermazione del Tribunale secondo la quale la "mera rassegna" dei sette incontri (due nel 2019 e cinque nel 2020) asseritamente organizzati dal ricorrente smentirebbe la tesi della marginalita' del contributo del (OMISSIS). Non essendo, tuttavia, stato comprovato il formale ingresso del (OMISSIS) in Cosa Nostra, gli occasionali contributi valorizzati dal Tribunale non sarebbero idonei a proiettare la condotta del (OMISSIS) in un circuito di stabile compenetrazione fattuale all'interno del sodalizio mafioso. 2.2. Con il secondo motivo i difensori deducono, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la violazione degli articoli 125, 273 c.p.p. e articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera c), e dell'articolo 629 c.p., in relazione al delitto contestato al capo 7) dell'imputazione provvisoria, e il vizio di motivazione sul punto. Rilevano i difensori che al capo 6) della richiesta di applicazione di misura cautelare si contesta a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), di avere, in concorso tra loro e con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, manifestando la loro appartenenza a Cosa Nostra, costretto (OMISSIS), (promissario acquirente) e (OMISSIS), (promittente venditore) a rinunciare alla compravendita di un immobile per destinarlo ad (OMISSIS), persona di interesse di (OMISSIS). Al capo 7) si contesta, invece, ai soli (OMISSIS) e (OMISSIS) di avere, in concorso tra loro, e con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, manifestando la loro appartenenza a Cosa Nostra, costretto (OMISSIS), a versare la somma di 900 Euro a titolo di pretesa "sensaleria" per la vendita di tale immobile alla (OMISSIS). Ad avviso dei difensori, tuttavia, il Tribunale del riesame avrebbe travisato le dichiarazioni del (OMISSIS), che aveva riferito che il nuovo acquirente, trovato dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS), gli avrebbe offerto una somma superiore e che questi avevano ricevuto un compenso per l'attivita' di mediazione svolta. Il Giudice per le indagini preliminari, peraltro, aveva rigettato la richiesta di applicazione della misura cautelare per il delitto contestato al capo 6) e il pubblico ministero non aveva proposto appello sul punto. Manifestamente illogica sarebbe, dunque, la motivazione del Tribunale del riesame, che, a fronte di un giudicato cautelare formatosi sul fatto che le richieste formulate non abbiano indotto il (OMISSIS) a recedere dall'accordo con il (OMISSIS) e non lo avessero neppure intimidito, ha sostenuto che il compenso della "sensaleria" sarebbe stato versato dietro una minaccia "ambientale". La somma di novecento Euro versata dal (OMISSIS) al (OMISSIS), e al (OMISSIS) costituirebbe, infatti, una mera provvigione, ancorche' non autorizzata e in nero, dovuta per l'attivita' di intermediazione dai medesimi effettivamente posta in essere nella contrattazione immobiliare. 2.3. Con il terzo motivo i difensori deducono, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la violazione degli articoli 125, 273 e articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera c), e degli articoli 624 e 416-bis.1 c.p., in relazione al delitto contestato al capo 4) dell'imputazione provvisoria, e il vizio di motivazione sul punto. Il Tribunale del riesame avrebbe, infatti, posto a fondamento della motivazione del provvedimento impugnato le dichiarazioni rese da (OMISSIS), riferibili ad analoghe condotte di furto d'acqua poste in essere da (OMISSIS), padre di Emanuele, due conversazioni intercorse tra (OMISSIS)Prestifilippo e tale (OMISSIS), e alcune conversazioni con contadini, che secondo l'assunto accusatorio, si sarebbero avvantaggiati di questi furti. Tale motivazione sarebbe, tuttavia, manifestamente illogica, in quanto le dichiarazioni del (OMISSIS), unico elemento sul quale si fonda la contestazione dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. riguardano un'epoca antecedente a quella in contestazione e soggetti diversi dagli indagati. La prima delle due conversazioni intercettate, peraltro, non dimostrerebbe che il ricorrente abbia "rubato" acqua del consorzio, ma soltanto che l'interlocutore l'avrebbe istigato a commettere tale delitto ("non ti spaventare"). Il Tribunale, dunque, avrebbe illogicamente valorizzato due conversazioni intercorse tra il ricorrente ed asseriti "ricettatori" di acqua, ignorando che tali episodi non hanno alcuna attinenza con i fatti in contestazione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere rigettato, in quanto i motivi proposti sono infondati. 2. Con il primo motivo i difensori censurano, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la violazione degli articoli 125, 273 e articolo 292, c.p.p., comma 2, lettera c), e articolo 416 bis c.p., (capo 1) e il vizio di motivazione sul punto. 3. Il motivo proposto dal ricorrente e' inammissibile. 3.1. Il ricorrente, infatti, nel prospettare la manifesta illogicita' della motivazione dell'ordinanza impugnata, ha, in realta', proposto una lettura alternativa di ciascuno degli elementi probatori posti a fondamento della stessa e ha contestato nel merito la valenza indiziaria dei singoli elementi indiziari addotti dal Tribunale del riesame. Sono, tuttavia, precluse al giudice di legittimita' la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv. 280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482). Il Tribunale di Palermo ha, peraltro, ritenuto dimostrata la gravita' indiziaria in relazione al delitto contestato al capo 1), rilevando che la stessa trova conferma nei setti incontri organizzati (nelle date del (OMISSIS)) dal ricorrente per consentire a (OMISSIS), ("il Senatore") di relazionarsi, in modalita' riservata, con esponenti apicali di altri mandamenti. Ancorche' il contenuto di tali incontri riservati non sia stato oggetto di intercettazione, il Tribunale del riesame ha ritenuto non illogicamente che l'adozione di modalita' riservate di interlocuzione e la predisposizione di accurate cautele per evitare captazioni o la presenza di terzi dimostrassero come tali incontri fossero finalizzati alla trattazione degli affari illeciti del sodalizio criminoso. Il Tribunale ha, altresi', rilevato che il ricorrente talora veniva messo a conoscenza delle tematiche associative dibattute e che, in una occasione, il (OMISSIS), avrebbe avvisato il ricorrente del rinvenimento di una telecamera, verosimilmente apposta dagli inquirenti, in localita' (OMISSIS). La motivazione dell'ordinanza impugnata ha, inoltre, congruamente valorizzato la percezione da parte del ricorrente della "sensaleria" sulle transazioni immobiliari e il ruolo assunto nella distribuzione delle acque irrigue, quali compiti svolti su specifico mandato del vertice mafioso in settori economici nevralgici in un territorio ad esclusiva vocazione agricola. Il Tribunale ha, inoltre, rimarcato come dall'intercettazione che registra il disappunto del (OMISSIS), per essere stato associato, nel compito della esazione della "sensaleria", a (OMISSIS), ritenuto inidoneo al ruolo, emerge proprio come tale incarico sia stato conferito al ricorrente da (OMISSIS), vertice della famiglia di (OMISSIS), fino al gennaio del 2019. Il Tribunale del riesame, dunque, non certo illogicamente ha ritenuto comprovata, nei limiti delibatori della sede cautelare, l'ipotesi delittuosa contestata al capo 1), valutando sinergicamente tali risultanze probatorie. 3.2. Infondata e', inoltre, la censura di violazione dell'articolo 416 bis c.p., in ordine alla condotta partecipativa contestata al ricorrente, in quanto gli elementi probatori sopra richiamati dal Tribunale del riesame comprovano lo stabile inserimento del (OMISSIS), nel sodalizio criminoso, quale parte attiva di un circuito dinamico di relazioni associative con i vertici del sodalizio criminale ( (OMISSIS), dapprima e (OMISSIS) poi) e con i sodali "di maggiore versatilita' e visibile operativita' (il (OMISSIS))". Secondo le Sezioni unite di questa Corte, del resto, la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa dell'associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua "messa a disposizione" in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889 - 01). La condotta associativa accertata dal Tribunale del riesame e', dunque, conforme al paradigma di legge. 4. Con il secondo motivo i difensori deducono, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la violazione degli articoli 125, 273 c.p.p. e articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera c), e dell'articolo 629 c.p., in relazione al delitto contestato al capo 7) dell'imputazione provvisoria, e il vizio di motivazione sul punto. 5. Il motivo e' inammissibile, in quanto si risolve nella prospettazione in sede di legittimita' di una lettura alternativa degli elementi probatori posti a fondamento dell'ordinanza impugnata. Il Tribunale del riesame, infatti, non certo incongruamente ha rilevato, sulla base degli elementi probatori diffusamente descritti, come la risoluzione del contratto di vendita di alcuni immobili siti in (OMISSIS)', stipulato tra (OMISSIS), promittente venditore per conto della moglie, e (OMISSIS), promissario acquirente, e la sostituzione di quest'ultimo con (OMISSIS), siano state dovute esclusivamente alle pressioni esercitate dal clan mafioso. Nella valutazione non certo incongrua del Tribunale, il controllo del sodalizio mafioso sulla contrattazione immobiliare si era risolto, in particolare, nella convocazione del (OMISSIS), da parte del (OMISSIS) e del (OMISSIS), presso l'autolavaggio del (OMISSIS), per indurlo a rinunciare alla contrattazione e nell'invito rivolto dal (OMISSIS) al (OMISSIS), a scegliere il contraente da lui indicato ("la casa se la deve prendere un cognato...che e' una persona seria"), ovvero il sodale (OMISSIS), che aveva di seguito fatto intestare l'immobile alla (OMISSIS). - Il (OMISSIS), pertanto, per effetto dell'intervento del (OMISSIS) e del (OMISSIS), aveva subito non solo la scelta della propria controparte contrattuale, ma era stato anche costretto al pagamento della "sensaleria" in favore del clan, nella misura di novecento Euro stabilita dagli indagati. Sulla base di queste risultanze, dunque, il Tribunale del riesame ha ritenuto non certo illogicamente che la somma versata a titolo di provvigione, in realta' sine titulo, sia stata erogata solo per l'intervento del ricorrente e della sua "minaccia ambientale" e, dunque, integrasse una condotta estorsiva. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimita', del resto, per estorsione "ambientale" si intende quella particolare forma di estorsione, che viene perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali che spadroneggiano in un determinato territorio e che e' immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell'associazione di appartenenza del soggetto agente, quand'anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano idonei ad incutere timore e a coartare la volonta' della vittima (ex plurimis: Sez. 2, n. 53652 del 10/12/2014, Bonasorta, Rv. 261632 - 01). 6. Con il terzo motivo i difensori deducono, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la violazione degli articoli 125, 273 c.p.p. e 292 c.p.p., comma 2, lettera c), e degli articoli 624 e 416-bis.1 c.p., in relazione al delitto contestato al capo 4) dell'imputazione provvisoria, e il vizio di motivazione sul punto. 7. Il motivo e' aspecifico, in quanto non si confronta compiutamente con l'articolata motivazione del Tribunale del riesame che ha ritenuto comprovato, nei limiti propri della delibazione cautelare, lo stabile contributo concorsuale del ricorrente ai furti continuati di acque pubbliche erogate dal consorzio (OMISSIS). Nella valutazione non incongrua del Tribunale del riesame, il ricorrente, in particolare, si accordava con i coltivatori che, remunerandolo nella misura di quattordici Euro all'ora, prenotavano il giorno, la fascia oraria e la durata della fornitura dell'acqua, sottraendo l'acqua al consorzio di bonifica mediante allaccio abusivo al punto di prelievo, a seguito di una richiesta presentata sotto falso nome. Inammissibili sono, peraltro, i tentativi dei difensori del ricorrente di elaborare una diversa interpretazione delle intercettazioni richiamate nell'ordinanza impugnata, in quanto l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (ex plurimis: Sez. U., n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 - 01). 8. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere rigettato. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. MESSINI D. A. Piero - Consigliere Dott. PELLEGRINO And - rel. Consigliere Dott. TUTINELLI Vincenzo - Consigliere Dott. SARACO Antonio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); rappresentato ed assistito dall'avv. Clara Veneto, di fiducia avverso il decreto n. 16/22 in data 08/07/2022 della Corte di appello di Catanzaro, sezione misure di prevenzione; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Andrea Pellegrino; udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale, Luigi Orsi, ha concluso chiedendo di dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con decreto in data 08/07/2022, la Corte di appello di Catanzaro rigettava il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS), nella qualita' di legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., destinataria di un'informazione interdittiva antimafia emessa ex Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 84, comma 4, dalla Prefettura di Catanzaro, avverso il decreto in data 20/12/2021 del Tribunale di Catanzaro con il quale era stata rigettata la richiesta di ammissione al controllo giudiziario ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34-bis, comma 6. 2. Avverso il predetto decreto, nell'interesse di (OMISSIS), e' stato proposto ricorso per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p.. Primo motivo: violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34-bis. La norma de qua, come precisato dalla Corte territoriale, individua un confine netto tra le due categorie normative indicate dalla stessa, rispetto alle quali tertium non datur: non esiste, cioe', un presupposto di "incompatibilita'", quale quello richiamato dalla Corte, in aggiunta a quelli indicati dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34-bis, rapporto stabile o occasionale. Nella fattispecie, vi sarebbe un rapporto che la Corte chiarisce non essere trasmodato in relazione stabile, ma che tuttavia, a giudizio della stessa, sarebbe incompatibile con l'accesso alla misura gradata. Secondo motivo: violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10, comma 3, motivazione meramente apparente o addirittura inesistente. Al (OMISSIS) si contestano due episodi, risalenti il primo al 2011 ed il secondo al 2016. La Corte territoriale ha soltanto ribadito le ragioni di interessenza con i membri delle cosche (OMISSIS) e (OMISSIS) esposte nel provvedimento prefettizio e nel decreto di primo grado, paventando una possibile attuale influenza di queste ultime sull'azione imprenditoriale della (OMISSIS), senza tuttavia supportare siffatte conclusioni con il puntuale riferimento ad elementi concreti che corroborino la permanenza dei presunti rapporti, in palese contrasto con quella pregnanza logica che dovrebbe connotare gli aspetti in fatto addotti a sostegno della non occasionalita' dell'infiltrazione mafiosa. Terzo motivo: violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 7. La Corte territoriale ha fondato il proprio convincimento sulla mera pendenza del procedimento penale Imponimento a carico di (OMISSIS), omettendo ogni confronto con il portato delle valutazioni spese in senso opposto nel giudizio cautelare svoltosi nei confronti del sunnominato, i cui provvedimenti non sono stati impugnati dal pubblico ministero. Sia nell'istanza di ammissione al controllo giudiziario che nei motivi di appello che nel giudizio de libertate e' stato radicalmente escluso l'asservimento del (OMISSIS) della societa' (OMISSIS) s.r.l. alla ‘ndrangheta ed e' stato messa in evidenza l'assenza di elementi a dimostrazione dell'attualita' di rapporti con le cosche mafiose di cui si discute, proprio in ragione del decorso del tempo rispetto alle contestazioni mosse nel procedimento penale al (OMISSIS). Quarto motivo: violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34-bis e al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 20. La Corte territoriale non ha tenuto conto delle valutazioni del giudice per le indagini preliminari che, con riferimento al reato di cui all'articolo 513-bis c.p., aveva ritenuto inesistenti le esigenze cautelari non ravvisando uno stabile rapporto collusivo o di messa a disposizione fra le cosche mafiose ed il (OMISSIS), escludendo altresi' che l'impresa (OMISSIS) avesse stretto con le organizzazioni criminali operanti sul territorio un vero e proprio rapporto sinallagmatico finalizzato all'ottenimento di reciproci vantaggi e benefici. Quinto motivo: violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 6. La motivazione del decreto impugnato deve ritenersi assente o comunque meramente apparente anche con riferimento all'idoneita' o meno del controllo giudiziario ex Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34-bis, comma 4, a bonificare l'azienda e renderla impermeabile alle ingerenze mafiose, ma soprattutto viola il disposto normativo del Decreto Legislativo n. 231 del 2001 che, in materia di illecito amministrativo derivante da reato, prevede che la societa' possa dotarsi di un modello di organizzazione, gestione e controllo pur dopo la commissione del reato, nella misura in cui i protocolli ed i meccanismi previsti prevedano una cesura netta tra il singolo amministratore o dipendente e la societa'. Nei motivi di appello si era dato atto che l'impresa (OMISSIS) aveva attivato misure di self cleaning adottando il modello organizzativo di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001 volto a creare la massima distanza rispetto alle possibili ragioni di influenza ovvero infiltrazione derivanti dalle rimarcate interessenze mafiose poste alla base del provvedimento interdittivo prefettizio: aspetto, questo, che la Corte territoriale aveva del tutto estromesso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Va evidenziato in premessa come l'oggetto del giudizio di legittimita' avverso il provvedimento di ammissione o rigetto al controllo giudiziario riguarda esclusivamente la sussistenza dei presupposti richiesti dall'articolo 34-bis codice antimafia, dovendo la Suprema Corte limitarsi a valutare le eventuali illegittimita' del procedimento ex articolo 34-bis ovvero l'errata valutazione dei presupposti di legge per ammettere il controllo giudiziario compiuto da parte dello stesso tribunale e cio' nei limiti propri del giudizio di legittimita' in tema di misure di prevenzione in cui e' precluso l'analisi di circostanze di fatto ed unico vizio deducibile e' la violazione di legge ex Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10, comma 3, (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 18564 del 13/02/2019, Consorzio Sociale Coin societa' cooperativa sociale, Rv. 275419). Inoltre, quanto alla identificazione dei presupposti, questa corte ha affermato che in materia di misure di prevenzione, l'impresa destinataria dell'informazione antimafia interdittiva puo' avere accesso alla misura del controllo giudiziario a sua richiesta, ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34-bis, comma 6, allorche' abbia impugnato il provvedimento prefettizio e ricorra un'ipotesi di agevolazione dei soggetti indicati dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34, comma 1, con carattere " occasionale" (Sez. 5, n. 34526 del 02/07/2018, Eurostrade s.r.l., Rv. 273646, in motivazione). Il controllo giudiziario e', quindi, ontologicamente connotato dalla natura occasionale del "contagio mafioso" poiche' se non ricorresse tale condizione non si verterebbe nell'alveo del "controllo giudiziario" ma in altre fattispecie e non avrebbe allora senso l'inserimento del comma 6 nel tessuto normativo dell'articolo 34-bis. 3. Manifestamente infondati sono tutti e cinque i collegati (e, per questo, trattabili congiuntamente) motivi di ricorso. 3.1. Con decreto in data 21/12/2021, il Tribunale di Catanzaro rigettava l'istanza di ammissione al controllo giudiziario avanzata ex Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34-bis, comma 6, nell'interesse di (OMISSIS), nella qualita' di legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., destinataria di un'informazione interdittiva antimafia emessa, ex Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 84, comma 4, dal Prefetto di Catanzaro. A fondamento della propria decisione, il Tribunale rilevava gli elementi - gia' valorizzati nel provvedimento prefettizio - tratti dal procedimento penale denominato Imponimento, sintomatici nel rivelare un rapporto tra il (OMISSIS), nella sua citata qualita', ed i soggetti facenti parte delle cosche mafiose (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tale da non potersi definire come "agevolazione occasionale". 3.2. La Corte territoriale con il decreto impugnato confermava il diniego di ammissione al controllo. Nella relativa motivazione, i giudici, dopo aver premesso che il procedimento di prevenzione conserva la sua autonomia e il giudice non puo' vagliare la legittimita' della interdittiva antimafia oggetto di impugnazione innanzi al TAR, trattandosi di una valutazione rimessa al giudice amministrativo e chiarito che al giudice ordinario, ex articolo 34-bis I.cit., spetta, invece, la valutazione quanto alla garanzia della continuita' dell'esercizio dell'impresa, ha riconosciuto che il controllo giudiziario svolga la funzione di una misura che, ricorrendone le condizioni, consente il risanamento delle attivita' che solo in via occasionale siano state incise da un tentativo di infiltrazione e condizionamento da parte della mafia. Ne consegue che cio' che va verificato per potere disporre tale controllo e' che l'attivita' dell'impresa non venga a subire indebiti interventi dall'esterno. Nel merito, la Corte ha ricordato come " (OMISSIS), in seno al procedimento Imponimento, che ha ricostruito l'esistenza e l'operativita', in diversi Comuni facenti parte della provincia di (OMISSIS) e (OMISSIS), delle cosche di ndrangheta (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS) (facenti capo, rispettivamente, ad (OMISSIS), a (OMISSIS) e ai deceduti (OMISSIS) e (OMISSIS), sostituiti da (OMISSIS) e (OMISSIS)) e' stato ritenuto dal Giudice per le indagini preliminari di (OMISSIS) gravemente indiziato del delitto di cui all'articolo 513-bis c.p. (capo 11), essendo la sua impresa compresa fra quelle che ottenevano, con metodo mafioso, appalti e commesse nel settore boschivo in quanto "gradite" agli esponenti apicali delle suddette organizzazioni. Due, in particolare, sono gli episodi contestati a (OMISSIS). Il primo ha ad oggetto un appalto per l'acquisto di un lotto boschivo bandito nel Comune di (OMISSIS) nel 2011. In tale occasione (OMISSIS) veniva individuato dalla cosca (OMISSIS) quale imprenditore che avrebbe dovuto ottenere l'aggiudicazione anche se poi a spuntarla era l'imprenditore (OMISSIS) il quale usufruiva della intercessione del potente (OMISSIS), capo della omonima cosca mafiosa di (OMISSIS). Il secondo episodio riguarda una gara di appalto per l'acquisto di un lotto boschivo sito nel Comune di (OMISSIS), svolta nel 2016 e aggiudicata alla societa' (OMISSIS) s.r.l. grazie alla diretta intermediazione, questa volta, di (OMISSIS)". Da qui la conclusione secondo cui "... alla luce di tali emergenze, con le quali l'appellante non si e' confrontato, non puo' negarsi che il (OMISSIS), abbia, in distinte occasioni, intrattenuto con due diversi esponenti di potenti organizzazioni mafiose, perduranti rapporti finalizzati all'illecito ottenimento di appalti e commesse. Rapporti grazie ai quali, per ben due volte, ha chiesto e ottenuto di essere appoggiato". 4. Fermo quanto precede, il primo tema di diritto verte sul presunto errore della Corte territoriale nel ritenere necessario, per poter accedere al controllo giudiziario ai sensi della norma indicata, la prova della "non occasionalita' dell'infiltrazione mafiosa". A questo si aggiunge il tema della congruita' della motivazione quanto al ritenere il permanere del pericolo di partecipazione del (OMISSIS) alla gestione effettiva dell'impresa. Poiche', tuttavia, ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10, comma 3, il vizio di motivazione non e' deducibile in sede di ricorso nella materia delle misure di prevenzione, non ricorrendo ictu oculi un caso di motivazione totalmente omessa o apparente (tale, quindi, da consentire la deduzione di violazione di legge ex articolo 125 c.p.p.), non si porra' in discussione la ricostruzione dei fatti. Ci si puo', quindi, concentrare sul tema in diritto, rispondendo ai motivi di ricorso, anticipando che l'effettiva ratio decidendi della decisione impugnata non risulta collegata tanto al requisito della occasionalita' della infiltrazione per il passato quanto alla probabilita' dell'effettivo risanamento dell'impresa la cui proprieta' e' tuttora caratterizzata dal collegamento con un soggetto incline a stringere accordi illeciti per operare sul mercato. La decisione segue quanto gia' chiarito da vari precedenti di questa Suprema Corte. Invero, nella sentenza delle Sezioni unite n. 46898 del 26/09/2019, Ricchiuto, Rv. 277156, si afferma come l'istituto richieda attenzione "sulle concrete possibilita' che la singola realta' aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso della amministrazione, anche vere intromissioni) che il giudice delegato puo' rivolgere nel guidare la impresa infiltrata". E successive pronunce hanno affermato che il giudice deve "decidere se l'azienda istante, grazie all'applicazione della misura, possa attrezzarsi in modo adeguato al fine di scongiurare in futuro quegli "eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa diretti a condizionare l'impresa" che - subki in passato secondo le indagini prefettizie - hanno fatto scattare l'interdizione amministrativa" (Sez. 2, n. 9122 del 28/01/2021, Gandolfi, Rv. 280906), e che "se da un lato l'eventuale accoglimento della domanda rimuove le inibizioni alla prosecuzione della attivita' (articolo 34-bis, comma 7), dall'altro cio' apre una fase di monitoraggio - o "vigilanza prescrittiva" - dell'azienda da parte del commissario nominato dal Tribunale in ordine al corretto adempimento di specifici obblighi di compliance imposti dall'autorita' giudiziaria, la quale, in caso di inottemperanza, puo' disporre l'applicazione di piu' gravosa misura" (Sez. 6, n. 1590 del 14/10/2020, dep. 2021, Senesi S.p.a., Rv. 280341). 5. La societa' ricorrente, in quanto destinataria di informazione antimafia interdittiva ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 84, comma 4, dopo avere proposto l'impugnazione del relativo provvedimento del prefetto, ha presentato domanda ai sensi dell'articolo 34-bis, comma 6, I.cit. che consente in tale caso di: "... richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l'applicazione del controllo giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 del presente articolo. Il tribunale, accoglie la richiesta, ove ne ricorrano i presupposti; successivamente, anche sulla base della relazione dell'amministratore giudiziario, puo' revocare il controllo giudiziario e, ove ne ricorrano i presupposti, disporre altre misure di prevenzione patrimoniali". 5.1. L'articolo 34-bis I.cit., ai primi due commi, prevede: "1. Quando l'agevolazione prevista dal comma 1 dell'articolo 34 risulta occasionale, il tribunale dispone, anche d'ufficio, il controllo giudiziario delle attivita' economiche e delle aziende di cui al medesimo comma 1, se sussistono circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne l'attivita'. 2. Il controllo giudiziario e' adottato dal tribunale per un periodo non inferiore a un anno e non superiore a tre anni. Con il provvedimento che lo dispone, il tribunale puo': a) imporre nei confronti di chi ha la proprieta', l'uso o l'amministrazione dei beni e delle aziende di cui al comma 1 l'obbligo di comunicare al questore e al nucleo di polizia tributaria... gli atti di pagamento ricevuti, gli incarichi professionali, di amministrazione o di gestione fiduciaria ricevuti e gli altri atti o contratti indicati dal tribunale, di valore non inferiore a Euro 7.000 o del valore superiore stabilito dal tribunale... Tale obbligo deve essere assolto entro dieci giorni dal compimento dell'atto...; b) nominare un giudice delegato e un amministratore giudiziario, il quale riferisce periodicamente, almeno bimestralmente, gli esiti dell'attivita' di controllo al giudice delegato e al pubblico ministero." 5.2. Va notato, innanzitutto, che il comma 6 non fa rinvio al comma 1 dell'articolo che indica le ipotesi in cui viene disposto il controllo giudiziario delle aziende. Ed e' proprio in tale comma 1 che e' prevista la condizione della "agevolazione... occasionale". Quanto al rinvio (testuale) del comma 6 al comma 2, il rinvio e' fatto alla sola modalita' di esecuzione di tale controllo giudiziario in base alla lettera b). Questo significa che, quando ricorra la situazione tipica del comma 6 (ovvero di scelta volontaria che ha il vantaggio di sospendere le conseguenze della interdittiva antimafia), va disposta la piu' rigida modalita' di gestione di tale lettera b: ovvero, l'impresa che chiede di essere sottoposta a controllo non solo ha l'obbligo di comunicare lo svolgimento delle attivita' ivi elencate (lettera a) ma ha anche il ben piu' pregnante obbligo di attivare un controllo sulla gestione dell'impresa da parte dell'amministratore giudiziario e del giudice delegato. 5.3. Oltre che per la previsione testuale, anche per altra ragione risulta evidente che la condizione di "occasionalita'" non e' propriamente riferibile ai soggetti di cui al comma 6: vi e' diversita' rispetto ai soggetti individuati dal comma 1 per i quali e' possibile la applicazione della amministrazione straordinaria su iniziativa "anche di ufficio". Il comma 1 dell'articolo 34-bis I.cit., infatti, fa a sua volta rinvio al comma 1 dell'articolo 34 I.cit., quindi si discute di quei casi in cui "il libero esercizio di determinate attivita' economiche, comprese quelle di carattere imprenditoriale, sia direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento previste dall'articolo 416-bis del codice penale o possa comunque agevolare l'attivita' di persone nei confronti delle quali e' stata proposta o applicata una delle misure di prevenzione personale o patrimoniale previste dagli articoli 6 e 24 del presente decreto, ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per taluno dei delitti di cui all'articolo 4, comma 1, lettere a), b) e i-bis), del presente decreto, ovvero per i delitti di cui agli articoli 603-bis, 629, 644, 648-bis e 648-ter del codice penale, e non ricorrono i presupposti per l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali di cui al capo I del presente titolo". Quindi, si tratta di soggetti non direttamente mafiosi, il che e' dimostrato anche dal fatto che una condizione fondamentale e' che non ricorrano le condizioni per le misure di prevenzione patrimoniale, ma si tratta di soggetti "infiltrati", o, comunque, soggetti la cui attivita' "possa comunque agevolare l'attivita' di persone" mafiose etc. 5.4. Rispetto a questa situazione, e' comprensibile come il comma 1 del successivo articolo 34-bis, con riferimento al caso in cui si discute di "agevolazione prevista dal comma 1" del precedente articolo, richieda che tale agevolazione risulti comunque "occasionale", pur permanendo il "pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne l'attivita'". In una tale situazione, quindi, si e' prevista la possibilita' del "controllo giudiziario" nelle forme di cui al comma 2 che, nell'una forma di controllo piu' rigida (lettera b) o nell'altra piu' libera (lettera a) comunque non toccano affatto la liberta' di impresa ma mantengono solo una sorveglianza ("vigilanza prescrittiva") per rilevare eventuali infiltrazioni. Si tratta, peraltro, di una forma di controllo del tutto alternativa a quella dell'articolo 34 che invece, quando non si sia in presenza di una mera occasionalita' di condotte prevede la ben diversa e gravosa disposizione della "amministrazione giudiziaria dei beni" in cui giudice delegato e amministratore giudiziario esercitano le facolta' dei titolari di diritti sui beni e sulle aziende etc. 6. Il comma 6 dell'articolo 34-bis I.cit. prevede l'uso della medesima forma di controllo del comma 2, lettera b) in situazioni che, invece, sono diverse da quelle dell'articolo 34, comma 1: ovvero si tratta, come visto sopra, delle imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva (che abbiamo proposto impugnazione). Tali imprese, individuate nell'articolo 84, comma 4, sono tendenzialmente imprese nella quale vi e' stato un ben pregnante inserimento della criminalita'; lo dimostra chiaramente lo stesso comma 6 articolo cit. che prevede che il Tribunale, sulla base della relazione dell'amministratore giudiziario, possa non solo revocare il controllo (in situazioni positive) ma anche "disporre altre misure di prevenzione patrimoniali" (evidentemente se con il controllo emerge una significativa infiltrazione). Insomma, se l'impresa destinataria dell'interdittiva chiede tale misura, non ha solo il possibile vantaggio della sospensione degli effetti della misura del Prefetto, ma si pone in condizioni, li' dove non si dovesse riallineare al corretto contesto dell'economia "sana", di farsi applicare altre e piu' gravose misure di prevenzione. 7. Venendo, quindi, alla valutazione di quali sono le condizioni per la applicazione dell'istituto, certamente il comma 6 dell'articolo 34-bis I.cit., poiche' non richiama il comma 1, non richiede pertanto che ricorra la situazione dell'articolo 34, comma 1, con carattere di occasionalita'. 7.1. Invero, dalla lettura congiunta dei commi 6 e 7 e considerate le ragioni per le quali va disposta la interdittiva antimafia ex articolo 84 I.cit., si comprende che i "presupposti" richiesti dalla norma non riguardano la valutazione da parte del giudice delle misure di prevenzione della correttezza della decisione del Prefetto che, se del caso, e' oggetto del giudizio amministrativo. Tali presupposti, invece, riguardano la possibilita' di un giudizio prognostico favorevole quanto ad essersi in presenza di una impresa che possa operare senza i condizionamenti mafiosi, ragione per la quale l'articolo 34-bis, comma 7, fa conseguire automaticamente al provvedimento che dispone la amministrazione giudiziaria la sospensione degli effetti delle informazioni del Prefetto. 7.2. In definitiva, il riferimento alla "occasionalita'", non va intesa secondo la nozione specifica di cui al comma 1 (che, si ripete, significa "occasionalita'" della agevolazione descritta all'articolo 34, comma 1), anche se e' un termine che ben puo' rappresentare la situazione in cui l'impresa non e' di per se' "mafiosa" e la situazione che ha dato luogo agli interventi del prefetto appare emendabile: " la verifica dell'occasionalita' dell'infiltrazione mafiosa... non deve essere finalizzata ad acquisire un dato statico, consistente nella cristallizzazione della realta' preesistente, ma deve essere funzionale a un giudizio prognostico circa l'ermendabilita' della situazione rilevata, mediante gli strumenti di controllo previsti dall'articolo 34-bis, commi 2 e 3, Decreto Legislativo n. 159 del 2011 " (Sez. 6, n. 1590-2021, cit.). 8. Quindi, non e' rilevante nel caso di specie il tema dei presupposti della misura ("occasionalita'") ma il futuro presumibile nel caso di sua applicazione: la Corte territoriale ha evidenziato come il giudice per le indagini preliminari di (OMISSIS), richiesto di disporre la misura cautelare nei confronti del (OMISSIS) per il reato di cui all'articolo 513-bis c.p., nel respingere la richiesta de qua per insussistenza delle esigenze cautelari paventate dal pubblico ministero, ha tuttavia riconosciuto a carico dello stesso la gravita' indiziaria, precisando come anche il (OMISSIS) fosse in collusione con tale (OMISSIS) "diretta espressione di (OMISSIS), il quale gestiva, per suo conto, tutte le fasi operative che rendevano concreta la realizzazione degli accordi, in moda da garantire il massimo guadagno per le consorterie interessate e per gli imprenditori coinvolti, in danno degli enti pubblici". La stessa Corte territoriale ha, poi, evidenziato come tali elementi "a seguito dell'esercizio dell'azione penale, sono stati ritenuti... dal Giudice dell'udienza preliminare idonei a suffragare una prognosi dibattimentale di colpevolezza, tanto e' vero che il (OMISSIS) e' stato rinviato a giudizio sia per il delitto di cui all'articolo 513-bis c.p. (capo 11) che per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa (capo 12)". E questo e' ampiamente sufficiente, nel corretto giudizio formulato dalla Corte territoriale, per far ritenere che la (OMISSIS) s.r.l., avendo intessuto sia in passato (vedi vicende con le cosche (OMISSIS) e (OMISSIS)) che in epoca attuale, rapporti con associazioni mafiose, perduri - oltrettutto, mantenendo inalterata la propria compagine societaria - nella sua tendenziale predisposizione ad intessere contatti criminali subendone la relativa influenza e a far ritenere il pericolo di infiltrazione ai suoi danni, pur in presenza di un formale regolare "funzionamento", non solo non meramente occasionale ma anche del tutto attuale. E, in una situazione del genere, del tutto irrilevante e' apparso il fatto che la societa' si sia dotata di recente di un modello organizzativo ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001 (della cui attuazione, peraltro, nell'ottica prevenzionale, non e' stata data idonea dimostrazione) "... in quanto il ravvisato rapporto di stabile agevolazione che la societa' (OMISSIS) ha intessuto con le cosche mafiose (OMISSIS) e (OMISSIS) non permette di formulare, allo stato, una prognosi favorevole di bonifica e radicale risanamento". La situazione appare, pertanto, non emendabile. In conclusione, non vi e' stata la violazione di legge lamentata: la Corte territoriale non ha affatto richiesto le condizioni previste dal combinato disposto degli articoli 34, comma 1 e 34-bis, comma 1 I.cit. (impresa sottoposta "occasionalmente" a condizioni "di intimidazione o di assoggettamento... o possa comunque agevolare") bensi' ha valutato la sussistenza delle condizioni dell'articolo 84, comma 4, ovvero che sia una impresa infiltrata. E ha ritenuto che tale infiltrazione abbia carattere di radicalita' e, allo stato, non sia risolvibile. 9. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SCARANO Luigi Alessandro - Presidente Dott. SCODITTI Enrico - Consigliere Dott. IANNELLO Emilio - Consigliere Dott. MOSCARINI Anna - Consigliere Dott. GORGONI Marilena - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso Rg. n. 28806-2019 proposto da: (OMISSIS), titolare della ditta individuale (OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati BRUNO CELENTANO, ALBERTO DELFINO e GIAMMARIA CAMICI, elettivamente domiciliati in Roma presso lo studio di quest'ultimo, (OMISSIS); - ricorrenti - contro (OMISSIS), - Azienda Pubblica di Servizi alla Persona, in persona del Presidente legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati MARCO RUSSO e STEFANIA CONTALDI, elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio di quest'ultimo, Via (OMISSIS); - controricorrente - avverso la sentenza n. 288/2019 della Corte d'Appello di Genova, pubblicata in data 27/2/2019. Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore, Mauro Vitiello, che ha chiesto il rigetto del ricorso. Udita la relazione del Consigliere Marilena Gorgoni. FATTI DI CAUSA Nel 2010, (OMISSIS), Azienda Pubblica di Servizi alla Persona, conveniva, davanti al Tribunale di Savona, (OMISSIS) s.n.c., (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) S.p.A., (OMISSIS) piccola societa' cooperativa a r.l., (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS) A tale scopo adduceva: i) che il terreno era occupato sin dal 1973 dal Consorzio (OMISSIS) ( (OMISSIS)) in forza di un contratto qualificato come "concessione in uso precario annuale"; ii) che, nel 1998, tra dette parti contrattuali era sorto un contenzioso che era stato definito dal Tribunale di Savona con la sentenza n. 1332/2003, la quale qualificava detto contratto come locazione ed accertava che lo stesso era cessato alla data del 10/12/1998, condannando il (OMISSIS) al rilascio dell'immobile; iii) che, stante che il (OMISSIS) non aveva ottemperato all'obbligo di rilasciare l'immobile, nel 2005 aveva proposto nei suoi confronti una procedura esecutiva di rilascio; iv) che l'immobile risultava occupato per una parte consistente, oltre un ettaro, anche dagli altri convenuti, i quali, pertanto, venivano coinvolti nell'attivita' esecutiva che veniva portata a conclusione con verbale dell'Ufficiale Giudiziario in data 31/10/2005; iv) che nel mese di novembre 2005 (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS) v) che, anche dopo il mese di novembre 2005, il terreno risultava ingombro di altro materiale: una Fiat Tipo, una Citroen AX, un furgone frigorifero, alcuni bidoni, materiale edile di risulta, una Ford Turbo, alcuni tubi Innocenti, un motocarro Bremach, una betoniera, alcune baracche e capannoni; v) per tale ragione, con precedente atto di citazione, in data 24/3;2006, aveva convenuto, davanti al Tribunale di Savona, i medesimi soggetti per ottenere da essi il risarcimento del danno "da illegittima occupazione dell'immobile clan 1.5.1996 fino al giorno dell'effettiva e totale liberazione... " (causa rubricata al n. R.G. 1034/2006, ancora pendente alla data della notifica del secondo atto di citazione)"; vi) che, con la memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, n. 1, aveva esteso la domanda risarcitoria anche allo smaltimento della mole di rifiuti scaricati sul terreno; vi) che aveva rinunciato a tale domanda, a fronte della eccezione di tardivita' formulata dai convenuti, per proporla in un altro giudizio, quello per cui e' causa, nel quale aveva lamentato che sul terreno rilasciato era stata rinvenuta una mole di rifiuti, anche di natura pericolosa; vii) che il costo sostenuto per la rimozione di detti rifiuti ammontava a complessivi Euro 106.560,00, come documentato dalle fatture prodotte; viii) che, a seguito di indagini eseguite da ditte specializzate, era stato accertato l'inquinamento del terreno, da cui sarebbe scaturito un procedimento amministrativo volto alla caratterizzazione ed alla messa in sicurezza, secondo la disciplina di cui ai Decreto Legislativo n. 152 del 2006; ix) che anche detto inquinamento era riconducibile ai convenuti; x) che il costo per la bonifica del terreno era stato di Euro 397.095,27, come da fatture prodotte; xi) che non aveva potuto utilizzare il terreno sino alla positiva conclusione del procedimento amministrativo di bonifica; (OMISSIS), costituitosi, allegava di essersi limitato ad occupare, in forza di un contratto verbale di locazione stipulato con (OMISSIS), legale rappresentante del (OMISSIS), affermatosi legittimato alla sublocazione, una minima parte del terreno denominato "(OMISSIS)" dal 2002 al 31/10/2005 - data del verbale di rilascio redatto dall'Ufficiale Giudiziario - per posteggiarvi due furgoni di sua proprieta' che non trovavano spazio presso la sua sede, dietro pagamento di un canone mensile di Euro 50,00; negava di avere mai svolto un'attivita' che avesse potuto provocare l'inquinamento; precisava che Opere Sociali, durante tutto il periodo in cui il terreno era stato nella disponibilita' del (OMISSIS) in forza del richiamato contratto di locazione - ossia quantomeno dal 1973 al 1998, come esplicitamente affermato dal Tribunale nella sentenza n. 1332/2003 - ed anche successivamente non aveva mai esercitato alcun controllo sullo stato dell'immobile e sulle attivita' che vi svolgeva il (OMISSIS); chiedeva che tale omissione fosse considerata ai fini e per gli effetti di cui all'articolo 1227 c.c., comma 1. Dando (OMISSIS) svolgeva difese analoghe, allegando di essere titolare di un'impresa artigiana e di avere occupato una piccola porzione di "(OMISSIS), allo scopo di ricoverarvi i propri mezzi, sulla base di un accordo verbale con (OMISSIS). Sia (OMISSIS) che (OMISSIS) negavano di avere abbandonato rifiuti nell'area e/o di averla in qualsiasi modo inquinata. L'attrice, secondo la rappresentazione degli odierni ricorrenti, mutava radicalmente posizione nella sua memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, n. 1, sostenendo la diversa tesi di una responsabilita' omissiva dei convenuti, derivante dalla violazione di un non meglio precisato obbligo di custodia, per avere occupato, con o senza titolo, il terreno, per averlo rilasciato dopo averlo danneggiato o per averlo restituito danneggiato. Il Tribunale aveva disposto CTU, da cui era emerso che, nel sito "(OMISSIS)", erano presenti concentrazioni superiori alle CSC di piombo, di idrocarburi pesanti, di rame, di arsenico e di cadmio, imputa bili, in parte, alle lavorazioni svolte in passato sul sito, presumibilmente connesse alle operazioni di manutenzione sui veicoli (cambi di olio motore, perdite accidentali di carburante, ecc.), in parte, al permanere di contaminazioni dovute a sversamenti accidentali di ohi o carburanti e alla presenza di terreni di riporto presumibilmente utilizzati per livellare eventuali depressioni localizzate nell'area. La CM aveva escluso che gli inquinanti rinvenuti nelle acque di falda derivassero dalle attivita' esercitate in passato sulla superficie ed aveva genericamente ritenuto "congrui" i costi sostenuti da Opere Sociali per lo smaltimento dei rifiuti e le operazioni di bonifica. Il Tribunale di Savona, con la sentenza n. 1065/2015, rigettava integralmente le domande formulate dall'attrice, ritenendo insufficienti e comunque indimostrati i comportamenti lesivi imputati ai convenuti. La Corte d' Appello di Genova, con la sentenza n. 288/2019, depositata il 27/2/2019, investita del gravame da Opere Sociali, ha parzialmente riformato la decisione di primo grado; ha ritenuto: a) tutti i convenuti responsabili in solido, ex articolo 2055 c.c., di omissione, essendo obbligati non solo a non inquinare, ma altresi' a custodire l'intero fondo e ad evitare l'inquinamento da parte di terzi; b) provato presuntivamente il nesso di causa tra la occupazione del terreno e l'abbandono dei rifiuti e l'inquinamento; ha escluso la responsabilita' di (OMISSIS) e di (OMISSIS), il primo, perche' aveva dimostrato di essersi limitato a lasciare sul fondo per cui e' causa la sua autovettura non funzionante per un periodo di circa tre mesi prima del rilascio, il secondo, poiche' aveva utilizzato il fondo solo per tenervi un cavallo e due cani; ha condannato gli altri convenuti a corrispondere Euro 106.560,00 per lo smaltimento dei rifiuti, Euro 198.547,68, per i danni da inquinamento, Euro 50.000,00 per il completamento della bonifica. (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono, formulando otto motivi, per la cassazione di detta sentenza. Resiste con controricorso (OMISSIS). Si da' atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in Pubblica Udienza, come disposto con l'ordinanza interlocutoria n. 40887/2021, data la complessita' delle questioni da esso poste, questa Corte ha proceduto in camera di consiglio, senza l'intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8 bis, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176, non avendo alcuna delle parti ne' il Procuratore Generale fatto richiesta di trattazione orale. Il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore, Mauro Vitiello, ha chiesto il rigetto del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. RAGIONI DELLA DECISIONE 1) Con il primo motivo i ricorrenti deducono la "Nullita' della sentenza per violazione dell'articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell'articolo 111 Cost. in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Perplessita', contraddittorieta' e mera apparenza della motivazione". La tesi dei ricorrenti e' che la lunghezza della motivazione della sentenza impugnata sia stata determinata "non dall'intento di meglio chiarire le effettive ragioni della decisione, ma al contrario da quello di mimetizzarle e disperderle in un coacervo di argomentazioni difficilmente districabile", pervenendo al risultato di imputare indistintamente e cumulativamente ai convenuti i danni lamentati da Opere Sociali, senza prendere una posizione univoca circa la natura commissiva o omissiva dell'affermata responsabilita' e quindi del nesso causale che dovrebbe giustificare la relativa imputazione oggettiva. A supporto di tale censura i ricorrenti adducono il fatto che la Corte d'Appello non abbia mai preso posizione circa la natura commissiva o omissiva della responsabilita' e non ne abbia chiarito i presupposti; aggiungono che la sentenza avrebbe adottato una tesi mediana, distinguendo, senza giustificazione, la natura omissiva della responsabilita' derivante dall'abbandono di rifiuti da quella commissiva di inquinamento, per tornare a parlare di "responsabilita' unitaria della custodia", derivante dall'articolo 1177 c.c., per non avere impedito che i terzi, ivi compresi gli altri "occupanti", danneggiassero il bene. 1.1) Il motivo non merita accoglimento. Questa Corte a Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 03/11/2016, n. 22232; Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053) ha affermato che la motivazione e' solo apparente, e la sentenza e' nulla perche' affetta da error in procedendo, quando, benche' graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perche' recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le piu' varie, ipotetiche congetture. In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione, previsto dall'articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall'articolo 111 Cost., sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, ne' alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata. La motivazione della sentenza impugnata non presenta le gravi anomalie individuate dagli arresti giurisprudenziali sopra richiamati, ne' si pone al di sotto del "minimo costituzionale". I giudici di appello hanno spiegato che costituisce circostanza pacifica che tutti gli occupanti dell'area, ad eccezione di (OMISSIS) e di (OMISSIS), avevano la possibilita' di utilizzarla nella sua interezza e che avevano contribuito a depositarvi, nel corso degli anni, rifiuti di vario genere riconducibili alle attivita' da ciascuno di essi svolte e a danneggiarla con materiali inquinanti. 2) Con il secondo motivo si deduce la "Nullita' del procedimento e della sentenza per violazione degli articoli 112, 163 e 164 c.p.c. e articolo 183 c.p.c., commi 5 e 6 in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4", perche' la responsabilita' per omissione, su cui si e' basata la pronuncia di condanna, non sarebbe stata mai invocata dall'attrice, la quale, infatti, avrebbe contestato ai convenuti cumulativamente una condotta commissiva, consistente nell'avere abbandonato rifiuti e nell'avere inquinato il terreno denominato "(OMISSIS)" nel corso dell'occupazione sine titulo; solo a fronte delle difese dei convenuti costituiti, l'attrice avrebbe mutato posizione nella prima memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, datata 20/2/2012, affermando la sussistenza di una responsabilita' omissiva dei convenuti, derivante dalla violazione di un non meglio precisato obbligo di custodia. Sebbene tale inammissibile mutatio libelli avesse costituito oggetto di eccezione formulata nel giudizio di primo grado e fosse stata ribadita anche nelle difese svolte in appello, la Corte d' Appello di Genova avrebbe violato le preclusioni processuali poste dagli articoli 163 e 164 c.p.c. e articolo 183 c.p.c., commi 5 e 6, fondando la responsabilita' solidale dei convenuti proprio su condotte di natura omissiva derivanti dall'inadempimento di un obbligo di custodia non tempestivamente allegato dall'attrice. Risulterebbe in particolare, violato l'articolo 183 c.p.c., comma 5, il quale consente all'attore di proporre "le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto", ma non oltre la prima udienza di trattazione, stante che la pretesa dell'attrice di trasformare la responsabilita' dei convenuti da commissiva ad omissiva non avrebbe potuto essere qualificata mera precisazione della domanda gia' proposta nell'atto di citazione, essendo i relativi fatti costitutivi diversi e non evincibili dall'atto introduttivo del giudizio; farebbero difetto, in aggiunta, l'individuazione della fonte legale o negoziale dell'obbligo violato, la precisa individuazione dell'evento che la parte avrebbe avuto l'obbligo di impedire, l'allegazione della condotta doverosa in ipotesi non tenuta e che - in base al c.d. giudizio contro-fattuale - sarebbe stata idonea ad impedire l'evento. Alla sentenza viene rimproverato anche di essere incorsa nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. 2.1) Il motivo e' infondato. Il profilo commissivo e quello omissivo, inseparabilmente connessi ed inscindibilmente legati, sono stati unitariamente ricondotti al principio del "neminem laedere" sancito dall'articolo 2043 c.c.: a p. 8 la sentenza impugnata rileva, infatti, che la sentenza di primo grado aveva correttamente individuato l'essenza della domanda attrice nella violazione del principio generale del neminem laedere, sulla base di un comportamento illecito consistito nell'abbandono di rifiuti vari sul terreno e nel pregiudizio derivatone in termini di inquinamento e di impossibilita' di godimento. Ne consegue che correttamente la Corte territoriale ha rigettato l'eccezione di mutatio libelli: non sussiste, infatti, la denunciata mu-tatio libelli nel caso di domanda che contesti genericamente la ricorrenza di un fatto illecito, fonte di responsabilita' extracontrattuale, e poi specifichi piu' puntualmente il fatto dannoso (cfr. Cass. 13/12/2002, n. 17832). Posto che le due condotte, consistenti rispettivamente in un profilo commissivo - l'inquinamento prodotto dagli occupanti attraverso le specifiche attivita' esercitate all'interno dell'area - ed in altro omissivo - l'abbandono in loco di rifiuti di ogni genere - sono state ritenute inseparabilmente connesse ed inscindibilmente legate (a p. 8 della sentenza si legge che l'illecito imputato ai convenuti era consistito nell'abbandono di beni mobili e rifiuti di ogni genere, e del conseguente pregiudizio dell'area (risultata altresi' inquinata), derivato, in via diretta e causale, dal suddetto comportamento tenuto dagli stessi occupanti senza titolo), che il fatto costitutivo della domanda era stato, in modo univoco, indicato in citazione esattamente e che in relazione alla suddetta "causa petendi" si era svolta la fase istruttoria successiva, il cui tema di indagine era consistito proprio nel verificare se gli occupanti avessero abbandonato i rifiuti e inquinato il terreno, senza, quindi, introdurre un nuovo tema di indagine e senza mutare i fatti posti a fondamento della domanda risarcitoria. Non sussiste, percio', la dedotta "mutatio libelli" ed e' da escludere anche che il giudice di merito sia incorso nella denunciata ultrapetizione. 3) Con il terzo motivo alla sentenza impugnata si imputano "Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2043, 2055, 2727 e 2729 c.c. e degli articoli 40 e 41 c.p. in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3". La Corte d'Appello avrebbe fondato la sua decisione di condanna esclusivamente su argomenti presuntivi, violando gli articoli 2043, 2055, 2727 e 2729 c.c., nonche' gli articoli 40 e 41 c.p. In particolare, dopo avere individuato l'attivita' svolta dagli odierni ricorrenti sul fondo - trasporti e traslochi per conto terzi, detenendo sull'area i loro automezzi e furgoni - ed avere riferito al solo C.A.R. - Consorzio Autotrasportatori Ribaltabilisti, legittimo conduttore dal 1973 al 1998, le attivita' di manutenzione dei veicoli pesanti che venivano effettuate sulla piattaforma di cemento "in corrispondenza della quale e' stata riscontrata la piu' elevata concentrazione di idrocarburi pesanti", avrebbe errato nell'imputare indistintamente e cumulativamente a tutti i convenuti - e quindi anche agii attuali ricorrenti - sia l'abbandono di tutti i rifiuti rinvenuti sul terreno nel 2006 (una roulotte, tre autovetture, un motocarro, una betoniera, un furgone frigorifero, bidoni e materiali edili di risulta, alcuni Innocenti, alcune baracche e capannoni), sia l'inquinamento del terreno causa della presenza di piombo e idrocarburi, ritenendo evidente che i cumuli di detriti e di materiali vari rinvenuti provenissero da operazioni di scavo o da ristrutturazioni in conformita' con l'oggetto sociale delle attivita' svolte dagli occupanti e che la presenza di tubi, cavi e fili elettrici non potesse che essere ricondotta agli occupanti esercenti, oltre che attivita' edilizia e di movimento terra, anche attivita' di impiantistica (cosi' ad esempio (OMISSIS) S.p.A.) e, infine, che la presenza in ingente misura di fusti di olio, batterie al piombo, scarti di olio minerale per motori, ingranaggi e lubrificanti non clorurati, apparecchiature fuori uso non lasciasse dubbi circa la riconducibilita' alla CAR (che per un trentennio ha detenuto sull'area i propri autotreni curandone la manutenzione) e agli altri soggetti, proprietari di grossi automezzi ed esercenti a vario titolo attivita' di trasporto ( (OMISSIS), (OMISSIS), la stessa impresa di (OMISSIS)), salva naturalmente la graduazione interna delle relative e distinte responsabilita', ai sensi dell'articolo 2055 c.c.. Tali conclusioni sarebbero state raggiunte incorrendo nel divieto di praesumptio de praesumpto, perche' il giudice a quo avrebbe presunto che ogni attivita' astrattamente ricompresa nell'oggetto sociale fosse stata effettivamente esercitata e che dal relativo esercizio derivasse, secondo Vici quod plerumque accidit, l'abbandono incontrollato di rifiuti e l'inquinamento del suolo e avrebbe obliterare due circostanze: a) il difetto di qualunque prova di quale fosse la condizione del fondo nel 1973, prima che Opere Sociali lo concedesse in locazione al (OMISSIS); b) la circostanza che sia l'abbandono dei rifiuti che l'inquinamento del terreno erano stati accertati da Opere Sociali solo in epoca successiva al rilascio del fondo da parte dei convenuti - la presenza di rifiuti e' stata rilevata solo nel 2006, l'inquinamento addirittura due anni dopo - onde difetterebbe il rapporto di immediatezza tra occupazione e danni anche sotto il profilo meramente cronologico. 3.1) Il motivo non puo' accogliersi. Ad avviso del Collegio del tutto impropriamente i ricorrenti richiamano il principio praesumptum de praesumpto non admittitur. Va innanzitutto chiarito che tale principio non e' unanimemente ritenuto esistente - "perche' non e' riconducibile ne' agli evocati articoli 2729 e 2697 c.c. ne' a qualsiasi altra norma dell'ordinamento": come e' stato piu' volte e da tempo sottolineato da autorevole dottrina, il fatto noto accertato in base ad una o piu' presunzioni (anche non legali), purche' "gravi, precise e concordanti", ai sensi dell'articolo 2729 c.c., puo' legittimamente costituire la premessa di una ulteriore inferenza presuntiva idonea, in quanto a sua volta adeguata, a fondare l'accertamento del fatto ignoto (in termini: Cass. 16/06/2017, n. 15003) - esso opererebbe esclusivamente nella consecuzione di una presunzione semplice da un'altra presunzione semplice (cfr. Cass. 9/04/2002, n. 5045), in ragione del fatto che, poiche' le presunzioni semplici, ai sensi dell'articolo 2727 c.c., sono le conseguenze che il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto, gli elementi che costituiscono la premessa devono avere il carattere della certezza e della concretezza (cfr. Cass. 28/01/1995, n. 1044). In linea generale, va osservato che cio' che conta, invero, non e' che il fatto noto assunto a premessa di un'inferenza non derivi a sua volta da una inferenza, cioe', che sia frutto di un'altra presunzione come se si trattasse di applicare il principio della probabilita' congiunta o composta, in quanto il secondo fatto discende dalla verificazione favorevole di due probabilita': che sia vero il primo fatto e che sia esatta la conseguenza dedottane - ma che la concatenazione di inferenze presuntive non sia debole, cioe' inattendibile e infondata, e si fondi, invece, su una serie lineare di inferenze, ciascuna delle quali, nella sua conclusione, sia la premessa di una inferenza successiva. Tale linearita' e' assicurata esclusivamente dall'adozione dei criteri di precisione, gravita' e concordanza per attribuire attendibilita' al fatto noto, quale che ne sia la sua origine, cioe' anche quando il fatto noto sia divenuto tale sulla scorta di un ragionamento logico. La catena si rompe. e con essa tutto il ragionamento logico, cioe' tutto il percorso fatto per attribuire attendibilita' ad un enunciato di fatto ipotizzato, ove anche solo una delle premesse non sia assistita dal richiesto grado di attendibilita' e di conferma - giacche' per ragioni logiche, prima ancora che giuridiche, non si puo' legittimare una ricostruzione della questione di fatto sulla sola ed esclusiva base di ragionamenti presuntivi poco gravi ovvero scarsamente attendibili. Per contro, regge e puo' essere assunta per sostenere l'intero ragionamento inferenziale la' dove ogni anello della catena risulti conforme ai parametri di cui all'articolo 2729 c.c.. Nel caso specifico le censure dei ricorrenti si rivelano, innanzitutto, eccentriche rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha si' ritenuto rilevante lo stato di occupazione del bene, riferendosi ad esso come necessario presupposto, ma, prima ha escluso - riformando, sul punto, la decisione di prime cure - che il fatto lesivo ed il danno dedotto dall'attrice si identificassero con lo stato di occupazione in se' e per se' (pp. 9, 10, 11), poi, basandosi su un compendio probatorio articolato e complesso, di cui ha dato ampiamente conto, ha ritenuto provato il nesso di causa tra la condotta degli occupanti e i danni lamentati. Detto compendio probatorio e' costituito da prove testimoniali e documentali nonche' da univoci e convergenti elementi di natura presuntiva: i) il documento redatto dall'ufficiale giudiziario in data 31 ottobre 2005, con allegate le foto dello stato del sedime (p. 11); ii) le intimazioni e le ingiunzioni di sgombero e di bonifica emesse dal comune di Savona e le lettere inviate dalla Provincia (p. 12, p. 19); iii) le dichiarazioni rese dai convenuti e dallo stesso (OMISSIS) (pp. 12, 16, 17); iv) la testimonianza del custode (OMISSIS) e la lettera che egli aveva inviato agli occupanti, sollecitandoli a ritarare i loro beni (p. 13); iv) la CTU (p. 14, p. 21-23, 26-30); v) le testimonianze dei dipendenti delle ditte occupanti (pp. 15 e 16); vi) la documentazione camerale (p. 20); vi) il rifiuto dell'interrogatorio formale (p. 23). Quanto, invece, al fatto che la Corte territoriale abbia erroneamente presunto che tutte le attivita' previste nell'oggetto sociale delle imprese convenute, risultanti dalle visure camerali, fossero state effettivamente esercitate e che da esse, secondo l'id quod plerumque accidit, derivassero come conseguenza normale l'abbandonato incontrollato di rifiuti e l'inquinamento dei suolo, che non abbia tenuto conto dello stato del terreno occupato prima del 1973 e che l'attivita' esercitata dalle loro ditte individuali non comportasse lo svolgimento di attivita' di manutenzione e di riparazione dei mezzi che parcheggiavano in una ridotta porzione dell'area e per un limitato periodo di tempo, i Collegio ritiene che si tratti di sollecitazioni volte ad ottenere un riesame del materiale istruttorio sulla scorta di due presupposti: il primo, rivelatosi non esatto, che la Corte territoriale abbia integrato le allegazioni dell'appellante affidandosi a mere presunzioni e il secondo che i fatti noti si prestassero ad un'inferenza probabilistica diversa; affermano l'ricorrenti, infatti, che sarebbe "nozione notoria ad ogni operatore giuridico che l'oggetto sociale delle imprese viene di regola indicato in modo particolarmente ampio, si' da comprendervi anche attivita' che non vengono attualmente esercitate ma che potrebbero essere svolte in futuro ed anche evitare che agli amministratori possano essere eccepiti limiti ai poteri di rappresentanza" ed aggiungono che l'abbandono di rifiuti e l'inquina- mento ambientale costituiscono atti illeciti e specifiche fattispecie di reato, allo scopo di contestare che l'imprenditore per il fatto stesso di svolgere attivita' astrattamente inquinamenti possa presumersi responsabile dell'inquinamento. Censure di tal tenore non sono idonee a provocare la cassazione di una decisione per violazione del ragionamento presuntivo. Occorre ricordare, a tal proposito, che l'articolo 2729 c.c., nel prescrivere che le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla "prudenza del giudice" (secondo una formula analoga a quella che si rinviene nell'articolo 116 c.p.c., a proposito della valutazione delle prove dirette), impone al giudice di compiere l'inferenza logica dal fatto secondario (fatto noto) al fatto principale (fatto ignoto) sulla base di una regola d'esperienza che egli deve ricavare dal sensus communis, dalla conoscenza dell'uomo medio, dal sapere collettivo della comunita' sociale in quel dato momento storico. Grazie alla regola d'esperienza adottata, e' possibile per il giudice concludere che l'esistenza del fatto secondario (indizio) deponga, con un grado di probabilita' piu' o meno alto, per l'esistenza del fatto principale. Lo stesso articolo 2729 c.c. si cura di precisare come debba manifestarsi la "prudenza" del giudice, stabilendo che il decidente deve ammettere solo presunzioni che siano "gravi, precise e concordanti"; ove il requisito della "precisione" va riferito al fatto noto (indizio) che costituisce il punto di partenza dell'inferenza e postula che esso non sia vago ma ben determinato nella sua realta' storica; il requisito della "gravita'" va riferito al grado di probabilita' della sussistenza del fatto ignoto che, sulla base della regola d'esperienza adottata, e' possibile desumere dal fatto noto; mentre il requisito della "concordanza" richiede che il fatto ignoto sia - di regola - desunto da una pluralita' di indizi gravi e precisi, univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, anche se il requisito della "concordanza" deve ritenersi menzionato dalla legge solo per il caso di un eventuale ma non necessario concorso di piu' elementi presuntivi. Dal modello di prova per presunzioni configurato dalla legge, risulta che il giudice deve seguire un procedimento logico che si articola in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre che il giudice valuti in maniera analitica ognuno degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravita', presentino cioe' una positivita' parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, egli deve procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta considerando atomisticamente uno o alcuni consistente nella riscontrata presenza di rifiuti di vario genere e che, escluso l'inquinamento della falda acquifera, quello determinato dalla presenza di piombo e rame - ascritto dal CTU solo in parte alla presenza di batterie esauste e in prevalenza alla contaminazione con terreno di riporto di provenienza esterna impiegata per livellare il sedime - dovesse ritenersi, invece, solo parzialmente compatibile e collegabile - nella misura, determinata in via equitativa, del 50% - eziologicamente allo svolgimento delle attivita' di trasporto, di edilizia e di movimento terra. Tale statuizione non e' stata efficacemente confutata dai ricorrenti, i quali, riportandone solo uno stralcio, si limitano a lamentare che la Corte con una motivazione sbrigativa e lacunosa abbia considerato tutti gli occupanti indistintamente corresponsabili dei danni da inquinamento da piombo e rame. Deve, in primo luogo, ribadirsi che le valutazioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice, il quale puo' legittimamente disattenderle attraverso una valutazione critica, ancorata alle risultanze processuali con congrua e logica motivazione. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha sottolineato che, anche se il CTU aveva ascritto alle batterie esauste solo in parte la presenza di piombo e di rame, la concentrazione di tali sostanze era maggiore in corrispondenza delle zone in cui si effettuavano i lavaggi e la manutenzione dei veicoli, che la CTU non conteneva alcuna menzione dei cumuli e terreni di riporto, riconducibili alle ditte operanti nel settore edilizio e di movimento terra, che tutti gli occupanti - ad eccezione di (OMISSIS) e di (OMISSIS) - avevano occupato per decenni l'area, senza rilievo per il fatto di avere ottenuto da (OMISSIS) la disponibilita' di piccole porzioni del bene, stante la prova, raggiunta in giudizio, che tutti gli occupanti fruivano liberamente dell'intera area ed erano corresponsabili del suo stato complessivo (cfr. pp. 15-18 della sentenza), che la presenza in ingente misura di fusti di olio, di batterie al piombo, di scarti di olio minerale per motori, di ingranaggi e lubrificanti non clorurati, di apparecchiature indizi. In questo secondo momento valutativo, percio', gli indizi devono essere presi in esame e valutati dal giudice tutti insieme egli uni per mezzo degli altri allo scopo di verificare la concordanza delle presunzioni che da essi possono desumersi (c.d. convergenza del molteplice); dovendosi considerare erroneo l'operato del giudice di merito il quale, al cospetto di plurimi indizi, li prenda in esame e li valuti singolarmente, per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi assurga a dignita' di prova (cosi' Cass. 21/03/2022, n. 9054). Tale risulta il percorso seguito dalla Corte d'Appello, la cui statuizione resiste quindi alle censure dei ricorrenti. 4) Con il quarto motivo si imputano alla sentenza d'appello "Violazione e/o falsa applicazione sotto altro profilo degli articoli 2043, 2055, 2727 e 2729 c.c. e degli articoli 40 e 41 c.p. in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - Violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c. e articolo 115 c.p.c., comma 1 in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3". La Corte d' Appello di Genova avrebbe violato i principi che regolano il riparto dell'onere della prova e l'ammissibilita' della prova presuntiva anche in relazione all'affermazione di una responsabilita' solidale di tutti i convenuti per l'inquinamento da piombo rilevato dal C.T.U., nonostante quest'ultimo avesse escluso che l'inquinamento da piombo derivasse dalle attivita' che venivano effettuate sul terreno da parte dei convenuti. Parimenti violato sarebbe l'articolo 115 c.p.c., comma 1, che impone al giudice di decidere iuxta alligata et probata, avendo la Corte d'Appello costruito artificiosamente un nesso di causalita' materiale (o ipotetico-giuridica se si ha riguardo all'affermata responsabilita' omissiva) palesemente insussistente. 4.1) Il motivo non e' meritevole di accoglimento. La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto dimostrato, che tutti i soggetti che si erano avvicendati nell'occupazione del fondo, svolgendovi le proprie attivita', avessero contribuito al verificarsi del danno, fuori uso dovesse imputarsi anche ai soggetti proprietari di grossi automezzi ed esercenti a vario titolo attivita' di trasporto (salva la graduazione interna delle relative e distinte responsabilita', ai sensi dell'articolo 2055 c.c.). 5) Con il quinto motivo, rubricato "Omesso esame di fatti rilevanti ai fini dell'applicazione delle norme regolatrici del processo - Violazione dell'articolo 115 c.p.c., comma 1 e articolo 232 c.p.c., comma 1 in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4", si censura l'affermazione secondo cui i convenuti, non essendosi presentati a rendere l'interrogatorio formale, "avevano confermato in via confessoria, il contenuto dei capitoli, relativi sia alla pacifica occupazione dell'area nonche' allo stato di degrado della stessa". Detta affermazione, riferita a tutti i convenuti, sarebbe errata perche' invece gli odierni ricorrenti si erano regolarmente presentati ed avevano risposto alle domande oggetto di interrogatorio formale all'udienza del 23/12/2013. 6) Con il sesto motivo si rimprovera alla sentenza impugnata la "Violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 115 c.p.c., comma 1 e articolo 232 c.p.c., comma 1 in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti in relazione"; La Corte d'Appello avrebbe deciso senza tener conto delle risposte da loro date in sede di interrogatorio formale. 6.1) I motivi quinto e sesto, esaminabili congiuntamente, non meritano accoglimento. La sentenza impugnata, a p. 23, quando ha affermato "tutti i soggetti di cui sopra, non essendosi presentati a rendere l'interrogatorio formale, hanno, con cio', confermato, in via confessoria, il contenuto dei capitoli, relativi sia alla pacifica occupazione dell'area nonche' allo stato di degrado della stessa" ha erroneamente generalizzato; del resto, la stessa pronuncia prende in considerazione le affermazioni degli odierni ricorrenti cfr. p. 16, 17, ove, rispettivamente, viene riferito che (OMISSIS), occupante dal 2001, aveva dichiarato che solo nei 2003 si era spostato in una porzione recintata da una cancellata di legno a rete metallica, e ha ritenuto irrilevanti le affermazioni rese da (OMISSIS) di avere occupato solo piccole porzioni del bene, per un limitato periodo di tempo e in buona fede. Ne consegue che nessun rilievo ha assunto rispetto alla responsabilita' a titolo risarcitorio degli odierni ricorrenti la suddetta erronea generalizzazione; la sentenza impugnata ha preso in considerazione le dichiarazioni rese da (OMISSIS) e da (OMISSIS) ritenendole non idonee ad escludere che essi, benche' avessero ottenuto da (OMISSIS), la disponibilita' di una porzione dell'area, non potessero avere accesso all'intero fondo e non fossero da considerare corresponsabili della presenza dei rifiuti e dell'inquinamento del terreno. I ricorrenti riportano le risposte rese all'interrogatorio formale del 23.12.2003, allo scopo di dimostrare che la Corte d'Appello avrebbe falsamente applicato ai loro danni l'articolo 232 c.p.c., comma 1 e che, in aggiunta, avrebbe violato la regola che le imponeva di decidere tenendo conto delle risposte rese in sede di interrogatorio formale: proprio quelle risposte sono state prese in considerazione dalla sentenza impugnata, come gia' detto alle pagg. 16 e 17, e cio' dimostra inequivocabilmente che la sentenza impugnata e' scevra dai vizi e degli errori che le sono stati attribuiti. 7) Con il settimo motivo si censura la "Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1177 e 2055 c.c. e degli articoli 40 e 41 c.p. in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3". L'affermazione di una loro responsabilita' per omissione, in via solidale con tutti gli altri convenuti, costituirebbe, secondo i ricorrenti, altresi' violazione e comunque falsa applicazione degli articoli 1177 e 2055 c.c., perche' l'articolo 1177 c.c. si riferisce esplicitamente alle sole obbligazioni di fonte negoziale e non puo' costituire fonte di obbligazioni a carico dell'occupante senza titolo e perche' comunque la cosa della cui consegna si tratta deve essere "determinata". Avendo gli odierni ricorrenti occupato una ridotta porzione del terreno (poche decine di metri quadri), non avrebbero potuto essere tenuti alla riconsegna - e quindi alla custodia - dell'intero immobile. In aggiunta, la Corte d'Appello non avrebbe neppure individuato quale condotta avrebbero dovuto tenere in concreto per impedire il danno subito dall'intero fondo, considerata la sua estensione e la compresenza del (OMISSIS) e di tutti gli altri "subconduttori". Va innanzitutto osservato che il richiamo dell'articolo 1177 c.c. da parte della Corte d'Appello e' servito per cogliervi l'espressione codificata di un principio generale, informatore ed immanente al sistema, che impone a chiunque abbia la disponibilita' di una res altrui di garantirne la custodia in vista della restituzione, il quale ha assunto, nella decisione, una valenza complessa: in negativo, come limite connaturato alla situazione giuridica soggettiva, e in positivo, in chiave collaborativa-conformativa della preservazione dell'interesse proprietario, da cui sono dipesi tanto il riscontro di una condotta commissiva ed omissiva (cfr. pp. 9 - ove la Corte d'Appello afferma: si tratta invero di un principio generale ripreso, nell'ambito dei singoli istituti del codice, sia in tema di responsabilita' contrattuale l'articolo 1591 c.c.), sia in ambito extracontrattuale, rientrando a pieno titolo nella responsabilita' da illecito l'obbligo di non danneggiare la cosa in custodia, detenuta, a qualunque titolo, e pertanto, come in specie, anche in via di mero fatto, ma con uguale obbligo restitutorio) quanto la disamina in ordine alla sussistenza del nesso di causalita' materiale anche in ordine alla condotta omissiva imputata ai ricorrenti. Ora, stante che In tema di responsabilita' civile, poiche' l'omissione di un certo comportamento rileva quale condizione determinativa del processo causale dell'evento dannoso non soltanto quando si tratti di omissione di condotta imposta da una norma giuridica specifica (omissione specifica), ma anche quando, in relazione al configurarsi della posizione del soggetto cui si addebita l'omissione, si ravvisi l'esistenza a suo carico di un generico dovere di intervento (omissione generica) in funzione dell'impedimento di quell'evento, correttamente la Corte territoriale ha individuato nell'articolo 1177 c.c. l'emersione di un obbligo generico di intervento, soddisfacendo la necessita' che il giudizio relativo alla sussistenza del nesso causale non si limitasse alla mera valutazione della materialita' fattuale, bensi' postulasse la preventiva individuazione dell'obbligo specifico o generico di tenere la condotta omessa in capo al soggetto; l'individuazione di tale obbligo si connota, infatti, come preliminare all'apprezzamento di una condotta omissiva sul piano della causalita' giuridica, nel senso che, se prima non si individua, in relazione al comportamento che non risulti tenuto, il dovere generico o specifico che lo imponeva, non e' possibile apprezzare l'omissione del comportamento sul piano causale (Cass. 21/05/2013, n. 12401 e successiva giurisprudenza conforme). Cio' detto, attiene all'apprezzamento di fatto, non sindacabile in questa sede, l'accertamento del rispetto da parte degli odierni ricorrenti del principio di carattere generale che imponeva loro di attivarsi: rispetto che avrebbe evitato il verificarsi dell'evento dannoso. In aggiunta, va ribadito che l'unicita' del fatto dannoso richiesta dall'articolo 2055 c.c., ai fini della configurabilita' della responsabilita' solidale degli autori dell'illecito, va intesa in senso non assoluto, ma relativo, sicche' ricorre tale responsabilita', volta a rafforzare la garanzia del danneggiato e non ad alleviare la responsabilita' degli autori dell'illecito, come sembra adombrare la difesa dei ricorrenti, pur se il fatto dannoso sia derivato da piu' azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni od omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno. Deve infatti escludersi, a norma dell'articolo 41 c.p., comma 2, l'imputabilita' del fatto dannoso a taluno degli autori delle condotte illecite esclusivamente nel caso in cui a uno solo degli antecedenti causali debba essere riconosciuta efficienza determinante ed assorbente, tale da escludere il legame eziologico tra l'evento dannoso e gli altri fatti. Dopodiche' costituisce nuovamente apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimita', la verifica della sussistenza o meno, nella specie, di una condotta dotata di efficienza determinante ed assorbente, tale da escludere ogni responsabilita' concorrente (Cass. 12/04/2018, n. 9067). 8) Con l'ottavo motivo i ricorrenti lamentano l'Omessa pronuncia sull'eccezione relativa al preponderante concorso di colpa dell'attrice ai sensi dell'articolo 1227 c.c. - Violazione dell'articolo 112 c.p.c. in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4". La Corte d'Appello non si sarebbe pronunciata sull'eccezione con cui avevano chiesto di valutare, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 1227 c.c., comma 1, l'omesso controllo del terreno da parte della proprietaria, che aveva consentito che per quasi 30 anni (OMISSIS) - presidente dei consorzi di autotrasportatori che si sono avvicendati nel tempo - si comportasse quale vero e proprio dominus degli "(OMISSIS)" e proprio per questo i terzi interessati a poterne utilizzare alcune porzioni si rivolgevano direttamente a lui. Il concorso del fatto colposo del danneggiato ai sensi dell'articolo 1227 c.c., comma 1, non da' luogo a un'eccezione in senso proprio, bensi' a una mera difesa, sulla quale non sussiste alcun onere di espressa pronuncia. Deve ribadirsi il principio gia' affermato da questa Corte, per il quale, in tema di risarcimento del danno, l'ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell'evento dannoso (articolo 1227 c.c., comma 1) va distinta da quella (disciplinata dal comma 2 della medesima norma) riferibile a un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire alla sua causazione, costituendo, questa, oggetto di una eccezione in senso proprio, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 112 c.p.c.. E' vero che il giudice d'ufficio deve proporre un'indagine sul concorso di colpa del danneggiato, se risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali si possa desumere la ricorrenza della concausa del danno. Ora, per quanto risulta dalla sentenza impugnata, essa, ritenendo indubbio che solo gli occupanti dell'area e non altri soggetti, che solo la loro condotta consistita nell'abbandono dei rifiuti e nell'ulteriore inquinamento dell'area abbia cagionato e concorso a cagionare il danno sia pure implicitamente ha escluso un concorso di colpa della danneggiata. Ne consegue il rigetto del motivo. 9) Il ricorso va, dunque, rigettato. 10) Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. 11) Seguendo l'insegnamento di Cass., Sez. Un., 20/02/2020 n. 4315 si da' atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2012, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 12.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Si da' atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2012, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RICCIARELLI M. - Presidente Dott. CAPOZZI A. - Consigliere Dott. DE AMICIS G. - Consigliere Dott. DI NICOLA TRAVAGLINI Paol - Consigliere Dott. DI GERONIMO - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza emessa il 28/7/2022 dal Tribunale di Lecce; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere Dr. Paolo Di Geronimo; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Perelli Simone, che ha chiesto l'annullamento con rinvio. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale del riesame confermava l'ordinanza cautelare con la quale (OMISSIS) era stato sottoposto agli arresti domiciliari, in relazione al reato di cui all'articolo 319 c.p.. All'indagato, all'epoca dei fatti Commissario straordinario dei Consorzi di bonifica, si contesta di aver indebitamente rinnovato l'incarico di direttore amministrativo in favore di (OMISSIS), agendo in concorso con l'assessore regionale (OMISSIS). Quest'ultimo, quale prezzo della corruzione, avrebbe ricevuto plurime forniture di pesce e spumante, nonche' ospitalita' presso il ristorante gestito da (OMISSIS), padre di (OMISSIS), consegnando - almeno in un'occasione - anche al (OMISSIS) parte dei beni ricevuti dal (OMISSIS). Il tutto si inseriva nell'ambito di una piu' ampia gestione clientelare realizzata dal (OMISSIS), all'epoca dei fatti assessore regionale al welfare per la Regione Puglia, il quale si adoperava per la nomina di (OMISSIS) quale Commissario straordinario dei Consorzi di bonifica, ricevendo in cambio di tale atto il pieno appoggio del (OMISSIS) per la successiva conferma della (OMISSIS) nel ruolo di direttore amministrativo. Il Tribunale del riesame, nel confermare l'ordinanza cautelare, riqualificava l'imputazione provvisoria formulata al capo 2) in termini di corruzione propria, anziche' corruzione per l'esercizio della funzione, sul presupposto della sussistenza della commissione di un atto contrario ai doveri d'ufficio. La misura cautelare, infine, veniva confermata anche in relazione all'ulteriore contestazione mossa nei confronti del (OMISSIS), concernente il reato di falso ideologico (capo 3) commesso istigando la commissione di concorso, nominata per l'assunzione di due geometri presso uno dei consorzi rientranti nella competenza del (OMISSIS), ad attribuire un punteggio avulso dal reale rendimento di esame, nonche' il riconoscimento di un requisito di ammissione, al fine di consentire l'utile collocamento in graduatoria del soggetto per il quale (OMISSIS) aveva precedentemente interceduto presso il (OMISSIS). 2. Nell'interesse del ricorrente sono stati formulati tre motivi di impugnazione. 2.1. Con il primo articolato motivo, il ricorrente contesta l'insussistenza dei gravi indizi di reita' in ordine al reato di corruzione, sia nell'originaria qualificazione (318 c.p.) che in quella ritenuta dal Tribunale del riesame (319 c.p.). Si contesta, in primo luogo, che la nomina di (OMISSIS) quale Commissario straordinario dei Consorzi di bonifica non venne in alcun modo influenzata da (OMISSIS) e, quindi, (OMISSIS) non aveva alcun "debito di riconoscenza" nei suoi confronti. Dalle intercettazioni telefoniche, infatti, emergerebbe chiaramente che, allorquando (OMISSIS) si rivolgeva a (OMISSIS) per avere informazioni, la sua nomina era gia' in corso di definizione e, quindi, non venne in alcun modo influenzata da (OMISSIS). Nella proroga di (OMISSIS) quale dirigente amministrativo presso il consorzio di bonifica, (OMISSIS) non avrebbe compiuto alcun atto contrario ai doveri d'ufficio, posto che la (OMISSIS) aveva tutti i requisiti per permanere nel suddetto incarico. Ne' l'illegittimita' dell'atto potrebbe essere ravvisata nella proroga disposta per il periodo di 5 anni, a fronte di una iniziale nomina per una durata inferiore, posto che il contratto collettivo applicabile al caso di specie prevedeva espressamente la possibilita' di assunzione per chiamata diretta per la durata di 5 anni, ulteriormente rinnovabili. Si assume, inoltre, che (OMISSIS) si sarebbe limitato al compimento di un atto doveroso nell'interesse dell'amministrazione, non essendo partecipe dei rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS), connotati da ripetute dazioni del secondo in favore del primo. Di cio' ne sarebbe riprova il fatto che nelle captazioni delle conversazioni tra (OMISSIS) e (OMISSIS), il primo redarguiva il secondo dicendogli che lui con (OMISSIS) non doveva avere alcun rapporto, in tal modo il (OMISSIS) si proponeva quale unico referente delle richieste del (OMISSIS) e, quindi, anche delle sue remunerazioni indebite. Cio' sarebbe dimostrato dal fatto che mentre (OMISSIS) ha sicuramente ricevuto plurime forniture di frutti di mare e champagne dal (OMISSIS), quest'ultimo non elargi' alcunche' al (OMISSIS) al quale, solo in un'occasione, (OMISSIS) avrebbe dato una parte del pesce ricevuto dal (OMISSIS). 2.2. Con il secondo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei' gravi indizi del reato di falso ideologico contestato al capo 3). Il ricorrente contesta in primo luogo la configurabilita' del falso ideologico a fronte non gia' della constatazione di un fatto, bensi' dell'espressione di una valutazione resa in una prova concorsuale. Si sostiene, inoltre, che non vi sarebbero i gravi indizi per dimostrare che (OMISSIS) fosse compartecipe nella condotta, materialmente posta in essere dai componenti della commissione, consistita nel riconoscere al candidato un titolo costituente requisito per la partecipazione al concorso che, invero, non era stato neppure indicato nella domanda di partecipazione al concorso. 2.3. Con il terzo motivo, si contesta il vizio di motivazione e la violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, evidenziandosi, altresi', come il Tribunale del riesame non aveva neppure tenuto conto di quanto rappresentato con la memoria difensiva prodotta nell'interesse del (OMISSIS). 2.4. I difensori dell'indagato depositavano memoria difensiva con la quale insistevano per l'accoglimento del ricorso, allegando ulteriore documentazione. 3. Il procedimento e' stato trattato in forma cartolare, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, e Decreto Legislativo n. 150 del 2022, articolo 94, modificato dall'articolo 5-duodecies della L. n. 199 del 2022. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato nei limiti di seguito indicati. 2. Occorre preliminarmente esaminare la diversa qualificazione data al fatto dal Tribunale del riesame, secondo cui sarebbe configurabile il reato di corruzione propria, anziche' quello di corruzione per l'esercizio della funzione. Tale conclusione si fonda sul presupposto secondo cui il rinnovo del contratto disposto in favore di (OMISSIS) sarebbe formalmente legittimo, ma diverrebbe contrario ai doveri d'ufficio in quanto frutto dell'accordo corruttivo. Si assume che l'esito predeterminato dell'atto implicherebbe di per se' la violazione del dovere di imparzialita' e, quindi, renderebbe l'atto contrario ai doveri d'ufficio. Si tratta di una soluzione non condivisibile, posto che nel caso di specie si verte in tema di attivita' discrezionale, non sussistendo un obbligo di rinnovare o non rinnovare l'incarico gia' ricoperto dalla (OMISSIS), ne' risulta se vi sia stata una specifica violazione di legge commessa dal (OMISSIS). Quel che emerge, invero, e' un chiaro interesse del (OMISSIS) e del (OMISSIS) a confermare la (OMISSIS), anche aumentando la durata del suo incarico, il tutto pero', si sarebbe svolto nei limiti della legalita', non risultando la violazione dei doveri d'ufficio. Ne' a diversa conclusione puo' condurre l'osservazione secondo cui il semplice interesse di favorire il privato, alterando l'imparzialita' dell'agire della pubblica amministrazione, comporterebbe la sussistenza del piu' grave reato di corruzione propria. Invero, la giurisprudenza di questa Corte- all'esito di un percorso ermeneutico avviato a seguito delle modifiche apportate all'articolo 318 c.p. - ha affermato che la mera accettazione da parte del pubblico agente di un'indebita utilita' a fronte del compimento di un atto discrezionale non integra necessariamente il reato di corruzione propria, dovendosi verificare, in concreto, se l'esercizio dell'attivita' sia stata condizionata dalla "presa in carico" dell'interesse del privato corruttore, comportando una violazione delle norme attinenti a modi, contenuti o tempi dei provvedimenti da assumere e delle decisioni da adottare, ovvero se l'interesse perseguito sia ugualmente sussumibile nell'interesse pubblico tipizzato dalla norma attributiva del potere, nel qual caso la condotta integra il meno grave reato di corruzione per l'esercizio della funzione (Sez.6, n. 18125 del 22/10/2019, dep.2020, Bolla, Rv. 279555; Sez.6, n. 1594 10/11/2020, dep. 2021, Siclari Rv. 280342). Nel caso di specie, non e' stato evidenziato se ed in che misura la proroga nell'incarico della (OMISSIS) fosse obiettivamente confliggente con l'interesse pubblicistico, elemento che doveva essere puntualmente valutato, non potendosi ritenere che il mero accordo corruttivo renda di per se' l'atto contrario ai doveri d'ufficio. 2.1. Passando all'esame delle altre doglianze sollevate dal ricorrente, si rileva in primo luogo come non sia dubitabile che il (OMISSIS) avesse uno stretto legame con il (OMISSIS) e fosse pienamente compartecipe della sua gestione clientelare della cosa pubblica. A tal fine, invero, non e' dirimente il solo fatto dell'interessamentovdel (OMISSIS) alla nomina del (OMISSIS) quale Commissario per i Consorzi di bonifica, assumendo ben maggiore pregnanza l'atteggiamento mostrato dal (OMISSIS) sia nella vicenda relativa alla (OMISSIS), che in quella relativa al concorso nel quale era stata pilotata l'assunzione di (OMISSIS). Il dato secondo cui (OMISSIS) era totalmente disponibile a recepire le sollecitazioni del (OMISSIS), pertanto, non puo' essere messo ragionevolmente in discussione. 2.3. Tale assunto di partenza e' essenziale per correttamente inquadrare la questione relativa alla sussistenza o meno dei gravi indizi di reita' con riferimento all'adesione del (OMISSIS) al patto corruttivo, che avrebbe condotto al rinnovo del contratto della (OMISSIS). Il ricorrente, infatti, evidenzia come la dazione di utilita' - essenzialmente consistite in pranzi al ristorante di (OMISSIS) e forniture di prodotti di pregio sarebbero avvenute tutte in favore del (OMISSIS) e solo in un'occasione questi avrebbe diviso con il (OMISSIS) parte dei prodotti consegnatigli da (OMISSIS). Sottolinea la difesa come dalle intercettazioni telefoniche contenute nell'ordinanza genetica e, in parte, richiamate nell'ordinanza del riesame, risulta che (OMISSIS) avesse esplicitato a (OMISSIS) di non rivolgersi al (OMISSIS). In buona sostanza, (OMISSIS) risulterebbe essere il vero dominus dell'intera operazione, ragion per cui questi riceveva direttamente le utilita' dal (OMISSIS), mentre (OMISSIS) ne avrebbe beneficiato solo indirettamente. Il Tribunale del riesame ha superato tale obiezione ritenendo che il (OMISSIS), proprio perche' totalmente asservito al Rugg(eri, agiva essenzialmente per far conseguire a questi le utilita' provento della corruzione, si'cche' non rileva l'omessa percezione diretta dei beni, essendo sufficiente la consapevolezza dell'accordo corruttivo e la volonta' di contribuire alla sua realizzazione. Si' tratta di una ricostruzione che non presenta vizi motivazionali censurabili in sede di legittimita'. In particolare, non risulta illogica o contraddittoria una ricostruzione del fatto nell'ambito della quale (OMISSIS), forte della sua caratura politica, sapeva di poter fare pieno affidamento sul (OMISSIS), il quale a sua volta accondiscendeva alle richieste, nella piena consapevolezza delle dazioni' ricevute dal (OMISSIS) e delle quali, in almeno un'occasione, era stato reso partecipe. L'ipotesi concorsuale, del resto, consente di frazionare la condotta penalmente rilevante, con la conseguenza che ben puo' ipotizzarsi una forma di corruzione in cui le utilita' "dirette" siano percepite solo da uno dei due correi, a condizione che il soggetto che non riceva personalmente le utilita' sia consapevole della dazione o promessa e del rapporto sinallagmatico con l'esercizio della funzione, inserendosi in tale accordo con una condotta esecutiva del complessivo accordo. E' bene precisare, infine, che la fattispecie in esame non e' sovrapponibile a quelle in cui questa Corte ha escluso la configurabilita' del concorso di persone nel delitto di corruzione nel caso della condotta del terzo che, dopo la conclusione di un accordo corruttivo rispetto al quale e' rimasto estraneo e senza che sia intervenuto un nuovo patto con effetti novativi, si adoperi per la realizzazione, in fase esecutiva, di tale accordo, non essendo configurabile una compartecipazione postuma al delitto medesimo, gia' consumatosi nel momento in cui il pubblico ufficiale ha accettato l'indebita utilita' promessagli od offertagli dal privato corruttore (da ultimo, Sez.6, n. 46404 del 29/10/2019, Genco, Rv. 277308; Sez.6, n. 18125 del 22/10/2019, dep.2020, Bolla, Rv. 279555-10). Nelle suddette ipotesi, infatti, il concorso nel reato di corruzione del terzo e' escluso in virtu' della sua estraneita' all'accordo. Ben diversa e' la fattispecie oggetto del presente ricorso, nella quale (OMISSIS) era pienamente consapevole dell'accordo corruttivo, aveva beneficiato - sia pur limitatamente - dell'utilita' ricevuta dal (OMISSIS) e, soprattutto, si era dimostrato pienamente d'accordo con quest'ultimo per portare a compimento l'atto in vista della cui realizzazione le dazioni erano state elargite. In buona sostanza, quindi, puo' ritenersi che la fattispecie concorsuale vede da un lato il Ruggerch, che riceve personalmente l'utilita' e tiene i rapporti con il privato corruttore, dall'altro il (OMISSIS) attua l'accordo corruttivo, essendo pienamente consapevole della sua esistenza e, quindi, fornisce un contributo materiale necessario alla realizzazione dell'accordo. 3. Il secondo motivo di ricorso concerne la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di falso ideologico, rispetto al quale il (OMISSIS) avrebbe svolto la funzione di istigatore, inducendo i commissari di esame a dare una votazione favorevole a (OMISSIS), nonostante la deludente prova di esame, nonche' a riconoscergli un titolo costituente requisito di partecipazione al concorso di cui non era in possesso. La difesa contesta la ricostruzione in punto di gravita' indiziaria, nonche' di configurabilita' stessa del reato di falso ideologico, evidenziando la natura valutativa del contenuto dell'atto. Il motivo e' manifestamente infondato, ove solo si consideri che - a prescindere dall'aspetto relativo alla valutazione - l'atto sarebbe ugualmente falso nella misura in cui, nel verbale del 3 marzo 2020, si attestava il possesso di requisiti di ammissione che il (OMISSIS) non aveva neppure indicato nella domanda di partecipazione al concorso. La difesa eccepisce che difetterebbero elementi per affermare il concorso del (OMISSIS) nella condotta tenuta dai componenti della commissione. Sul punto, invero, si ritiene che le intercettazioni, compiutamente richiamate nell'ordinanza genetica, dimostrino inequivocabilmente come la procedura concorsuale fosse stata artatamente indirizzata in favore del (OMISSIS), per effetto dell'intervento del (OMISSIS) e del (OMISSIS), non assumendo altrimenti logica spiegazione le conversazioni nelle quali si' discute del modesto risultato del (OMISSIS) nella prova concorsuale e della conseguente difficolta' di attribuir n voto che lo facesse risultare vincitore. 4. Il terzo motivo di ricorso, concernente la valutazione della perdurante sussistenza delle esigenze cautelari e l'adeguatezza della misura degli arresti domiciliari, e' fondato. Occorre preliminarmente rilevare che il Tribunale non si e' pronunciato sulla questione relativa al pericolo di inquinamento probatorio, ma tale carenza 14/4 motivazione e' evidentemente indotta dal fatto che e' stato ritenuto assorbente il rischio di reiterazione del reato. Rispetto a quest'ultimo aspetto, il ricorrente rappresenta di essersi dimesso non solo dalla carica di Commissario per i consorzi di bonifica, ma anche da quella di consigliere comunale, in tal modo elidendo in radice la possibilita' di reiterare condotte analoghe a quelle per le quali si procede. Il Tribunale ha ritenuto non determinanti le dimissioni sopravvenute all'adozione della misura cautelare, considerandole strumentali alle esigenze difensive e, comunque, insufficienti a far venir meno la dimostrata capacita' di incidere nell'attivita' degli enti locali, frutto di consolidati e permanenti rapporti personali. A fronte dell'allontanamento del (OMISSIS) da qualsivoglia attivita' in seno alla pubblica amministrazione, obiettivamente sopravvenuto rispetto alla valutazione compiuta al momento dell'applicazione della misura, il Tribunale ha ritenuto di contrapporre il principio, anche recentemente ribadito da questa corte, secondo cui il giudizio di prognosi sfavorevole sulla pericolosita' sociale dell'incolpato non e' di per se' impedito dalla circostanza che l'indagato abbia dismesso la carica o esaurito l'ufficio nell'esercizio del quale aveva realizzato la condotta addebitata. Tuttavia, la validita' di tale principio deve essere rapportata al caso concreto, la' dove il rischio di ulteriori condotte illecite del tipo di quella contestata deve essere reso probabile da una permanente posizione soggettiva dell'agente che gli consenta di continuare a mantenere, pur nell'ambito di funzioni o incarichi pubblici diversi, condotte antigiuridiche aventi lo stesso rilievo ed offensive della stessa categoria di beni e valori di appartenenza del reato commesso (Sez.6, n. 19052 del 10/1/2013, De Pietro, Rv. 256223; Sez.6, n. 1238 del 3/12/2019, dep.2020, Carletti, Rv. 278338). Il Tribunale e' incorso in una motivazione contraddittoria nella parte in cui era chiamato a fornire le specifiche ragioni dalle quali desumere l'insufficienza della dismissione delle cariche pubbliche, fondata da un lato sul modus operandi dimostrato in relazione ai fatti per l'quali si' procede, dall'altro dalla circostanza che il "momentaneo allontanamento" da incarichi istituzionali sarebbe strumentale alle esigenze difensive. In tal modo si introduce un elemento - la temporaneita' dell'allontanamento che non trova riscontro in alcun dato fattuale ed ipotizza che l'indagato, una volta non piu' ristretto agli arresti domiciliari, potrebbe tornare a rivestire ruoli funzionali alla commissione di reati contro la pubblica amministrazione. Invero, in tal modo il pericolo di reiterazione, lungi dal fondarsi su un giudizio di attualita' e concretezza, si sposta su un piano ipotetico e, soprattutto, non prende in considerazione la possibilita' di garantire le esigenze cautelari con l'adozione di misure meno afflittive ma, al contempo, maggiormente confacenti alla fattispecie in esame. 4.1. Nel rivalutare l'attualita' delle esigenze cautelari e l'adeguatezza della misura cautelare, il Tribunale dovra' tener conto anche della diversa qualificazione data al fatto, inquadrato nella meno grave fattispecie della corruzione per l'esercizio della funzione. 5. Alla luce di tali considerazioni, l'ordinanza impugnata va annullata con rinvio, per nuovo giudizio in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, secondo i principi sopra indicati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Lecce, competente ai sensi dell'articolo 309 c.p.p., comma 7.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. COSTANZO Angelo - rel. Consigliere Dott. ROSATI Martino - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la ordinanza emessa dal Tribunale della Liberta' di Palermo il 7/06/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. COSTANZO Angelo. letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore Dott. EPIDENDIO Tomaso che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 7 giugno del 2022 il Tribunale della Liberta' di Palermo ha confermato il provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo ha applicato a (OMISSIS) la misura della custodia cautelare in carcere, ma limitatamente ai capi 3-bis e 5 delle imputazioni provvisorie, per avere illecitamente detenuto 7 chilogrammi di marijuana (articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73) e per avere concorso nel realizzare una conduttura abusiva sottraendo al Consorzio di bonifica di (OMISSIS) rilevanti quantita' di acqua destinata all'uso pubblico per cederla a (OMISSIS) (articolo 110 c.p., articolo 61 c.p., n. 7, articolo 624 c.p. e articolo 625 c.p., n. 7-bis). 2. Nel ricorso presentato dal difensore di (OMISSIS) si chiede l'annullamento dell'ordinanza per i seguenti motivi riportati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. Con il primo motivo si deduce erronea applicazione della legge per avere ravvisato il coinvolgimento di (OMISSIS) nei reati descritti nelle imputazioni provvisorie. Per quanto riguarda il capo 3-bis, si osserva che non risulta che egli abbia interloquito con i coindagati circa la detenzione della sostanza stupefacente, ne' basta che si sia interessato al suo rinvenimento o alla sua ricerca, perche' le osservazioni effettuate dalla Polizia giudiziaria nei pressi del casolare dove era custodita la droga sequestrata l'11/09/2020 non hanno mai rilevato la sua presenza: egli e' stato arrestato nel settembre del 2020 perche' i Carabinieri hanno rinvenuto nei pressi della sua abitazione 20 piante di cannabis e per questo e' stato condannato in primo grado di Palermo ma non emergono elementi per ritenere che si tratti di altra parte di sostanza rispetto a quella oggetto del capo 3-bis, sicche' il procedimento in corso costituisce una duplicazione del precedente. Per quel che riguarda il capo 5, l'ispezione sui luoghi da parte di un tecnico ha mostrato che la conformazione della rete idrica non permette un allaccio abusivo senza un previo scavo e nel sito, prossimo alle valvole, dove e' stato fotografato (OMISSIS) non appaiono segni di manomissione. Quanto alle esigenze cautelari, l'ordinanza non ne dimostra la concretezza e l'attualita', sebbene sia trascorso molto tempo dei fatti (collocati negli anni 2019/2020) e (OMISSIS) non presenti precedenti penali specifici. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deducono inosservanza o erronea applicazione della legge nel ravvisare l'aggravante ex articolo 416-bis c.p., comma 1, relativamente al capo 5 (mentre e' stata esclusa per le altre imputazioni) perche' mancano indizi per collegare la condotta di (OMISSIS) alla associazione mafiosa (OMISSIS), ne' risulta che egli frequenti gli altri indagati - tranne (OMISSIS) e (OMISSIS), comunque non condannati ex articolo 416-bis c.p. - o che vi siano conversazioni con (OMISSIS). Inoltre, l'ordinanza non giustifica perche' non e' stata applicata una misura meno restrittiva della custodia cautelare in carcere. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso non evidenzia manifeste illogicita' nel ragionamento che ha condotto il Tribunale, a riconoscere, sulla base di pertinenti massime di esperienza, gravi indizi di colpevolezza a carico di (OMISSIS) che Tribunale ha non irragionevolmente desunto dai seguenti dati: circa il capo 3-bis, (OMISSIS), dialogando (8/12/2020) con i coindagati (OMISSIS) e (OMISSIS), parla della necessita' di recuperare qualcosa che avrebbe fatto fruttare dei soldi, buttata in mezzo alle spine e che poteva essere danneggiata dall'acqua, mentre l'11/09/2020 (OMISSIS) e' stato visto addentrarsi nella boscaglia per caricare sulla sua autovettura un sacco che poi ripose in un magazzino; circa il capo 5, (OMISSIS) contatto' (OMISSIS) (agricoltore non consorziato) per informarlo passo per passo dell'attivazione dell'allaccio abusivo alla rete idrica di cui avrebbe beneficiato) raccomandandogli di non andare a controllare i lavori per non destare sospetti e in altra conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS) si commenta il fatto che personale del consorzio era intervenuto per chiudere le valvole di distribuzione. 2. Per quanto riguarda la sussistenza dell'aggravante ex articolo 416-bis.1 c.p., il Tribunale, dopo avere premesso che, da sentenze irrevocabili e dalle dichiarazioni del collaborante con l'autorita' giudiziaria (OMISSIS), risulta che l'erogazione dell'acqua ai terreni del territorio di (OMISSIS) era da tempo controllata dal locale mandamento di (OMISSIS) e che la gestione di questo sistema era passata dall'anziano associato a (OMISSIS) (OMISSIS) a suo figlio (OMISSIS), coindagato con (OMISSIS), ha evidenziato che la concreta e costante disponibilita' di (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) (p. 6-8). Tuttavia, per la configurabilita' della circostanza aggravante non solo occorre valutare se il delitto oggettivamente consolidi o rafforzi l'attivita' dell'associazione di stampo mafioso o una delle sue manifestazioni (Sez. 6, n. 28212 del 12/10/2017, dep. 2018, Barallo, Rv. 273538), ma anche, poiche' tale aggravante ha natura soggettiva (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, Chioccini Rv. 278734), e' necessario che ricorra il dolo specifico, magari come movente non esclusivo (Sez. 6, n. 29311 del 03/12/2014, dep. 2015, Cioffo, Rv. 264082) e che puo' essere desunto dalle stesse modalita' dell'azione, di agevolarne le attivita' (Sez. 6, n. 53691 del 17/10/2018, Belvedere, Rv. 274615; Sez. 6, n. 8891 del 19/12/2017, dep. 2018, Castiglione, Rv. 272335; Sez. 6, n. 54481 del 06/11/2017, Madaffari, Rv. 271652). Invece, nel caso in esame l'ordinanza impugnata si limita a evidenziare dati indicativi di un concorso nel reato fra (OMISSIS) e il coindagato (OMISSIS), di per se' insufficienti a configurare la circostanza aggravante in questione. 3. Pertanto, essa va annullata in relazione all'aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p. con rinvio per un nuovo giudizio alla luce dei principi di diritto richiamati. Ne deriva la necessita' di un rinvio anche per la eventuale rivisitazione del giudizio relativo alle esigenze cautelari e alla scelta della misura all'esito del nuovo giudizio relativo alla circostanza aggravante. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente all'aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p. e alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo giudizio su tali punti al Tribunale di Palermo competente ai sensi dell'articolo 309 c.p.p., comma 7, c.p.p. Rigetta il ricorso nel resto. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio - Presidente Dott. SESTINI Danilo - Consigliere Dott. SCARANO Luigi Alessandro - rel. Consigliere Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera - Consigliere Dott. CRICENTI Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 11909/2018 proposto da: (OMISSIS), domiciliata ex lege in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall'avvocato (OMISSIS); - ricorrente - contro (OMISSIS); - intimato - e contro Ministero Economia Finanze, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura Generale Dello Stato, da cui e' difeso per legge; - controricorrente - avverso la sentenza n. 123/2017 della CORTE D'APPELLO di POTENZA, depositata il 2/3/2017; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/5/2022 dal Cons. LUIGI ALESSANDRO SCARANO. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza del 2/3/2017 la Corte d'Appello di Potenza, in accoglimento del gravame interposto dalla sig. (OMISSIS) e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Potenza 4/4/2014, ha - per quanto ancora d'interesse - dichiarato la nullita' di tale sentenza "per violazione del principio del contraddittorio, con riferimento al rapporto instaurato nei confronti di (OMISSIS), quale erede di (OMISSIS)", rimettendo la causa al primo giudice ex articolo 354 c.p.c.. Ha per il resto rigettato il gravame interposto dal sig. (OMISSIS) in relazione alla suindicata pronunzia, di rigetto della domanda dal medesimo proposta nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze di cessazione dell'"abuso posto in essere dall'Intendente di Finanza di Matera, in rappresentanza dell'Amministrazione Statale delle Finanze, che, con ordinanza... notificata il 5/4/1993, aveva ordinato al ricorrente di lasciare l'alloggio, gestito dal consorzio di (OMISSIS), originariamente con destinazione specifica ad uso casello di bonifica", asseritamente "da oltre vent'anni assegnato al ricorrente ad uso abitazione, con una concessione di durata triennale, per il canone annuo di L. 660.000, tacitamente rinnovatasi nel tempo". Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la (OMISSIS) propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo, illustrato da memoria. Resiste con controricorso il Ministero dell'economia e delle finanze. Gia' chiamata all'udienza camerale della Sesta Sezione civile di questa Corte del 12/4/2019, la causa - ritenutosi il ricorso tempestivo - e' stata rinviata alla pubblica udienza. Con conclusioni scritte del 2/5/2022 il P.G. presso questa Corte ha chiesto l'accoglimento del ricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE Con unico motivo la ricorrente denunzia "violazione e/o falsa applicazione" degli articoli 102 e 307 c.p.c., in riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Si duole che la corte di merito l'abbia erroneamente ritenuta passivamente legittimata, pur avendo "da oltre dieci anni rinunciato all'eredita'" del marito, come l'"Amministrazione... doveva sapere, con la ordinaria diligenza, attraverso la consultazione del registro delle successioni". Lamenta che erroneamente la corte di merito non ha dichiarato l'estinzione del procedimento all'esito della riassunzione del giudizio effettuata solamente nei suoi confronti, passivamente non legittimata, e non anche di altro chiamato all'eredita' o erede effettivo legittimato passivo. Il motivo e' in parte inammissibile e in parte infondato. A fronte dell'affermazione della corte di merito nell'impugnata sentenza secondo cui "ai fini della corretta instaurazione del rapporto processuale si rileva che con il verbale pubblico del 20/6/1996, (OMISSIS) rinunciava all'eredita' di (OMISSIS); manca, tuttavia, la prova che tale atto sia stato anche trascritto prima della notifica dell'atto di riassunzione, al fine di renderlo opponibile ai terzi", l'odierna ricorrente lamenta che "l'Amministrazione conosceva attraverso lo stato di famiglia i nominativi di tutti i chiamati alla eredita' e doveva sapere, con la ordinaria diligenza, attraverso la consultazione del registro delle successioni, che la (OMISSIS) aveva da oltre dieci anni rinunciato alla eredita'", sicche' la "menzione in sentenza... della mancata trascrizione della rinuncia, come circostanza di inopponibilita', e' un mero refuso, perche' mancando nell'asse beni immobili, alcuna trascrizione poteva essere effettuata". Orbene, a tale stregua la statuizione dell'impugnata sentenza e' rimasta invero dalla medesima non (quantomeno idoneamente) censurata, in ragione del difetto di specificita' della mossa doglianza laddove, sostanziandosi nel trattarsi essa di un mero "refuso" in ragione della mancanza "nell'asse beni immobili", si fonda su un presupposto la cui verifica richiede accertamenti di fatto invero preclusi in questa sede di legittimita', nonche' su atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, lo "stato di famiglia", il "registro delle successioni") invero non debitamente riportati - per la parte strettamente d'interesse in questa sede - nel ricorso, in violazione del requisito a pena d'inammissibilita' prescritto all'articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6. Ne' puo' per altro verso sottacersi che l'odierna ricorrente chiede la cassazione senza rinvio dell'impugnata sentenza per essersi asseritamente verificata l'estinzione del giudizio senza invero indicare se, dove, come e quando abbia tempestivamente sollevato nel giudizio di merito la relativa eccezione. Il giudizio si ricorda - era soggetto al testo dell'articolo 307, u.c., anteriore alla sostituzione disposta dalla L. n. 69 del 2009. All'inammissibilita' e infondatezza del motivo consegue il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 6.400,00, oltre a spese eventualmente prenotate a debito. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, da' atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'eventuale ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Venezia sezione PRIMA Penale composta dai Magistrati: 1. Dott. Francesco Giuliano - Presidente 2. Dott. Alberta Beccaro - Consigliere 3. Dott. David Calabria - Consigliere Udita la relazione della causa fatta alla udienza pubblica/camerale, odierna dai Dott.ri Beccaro e Calabria Inteso il P.G. dott. appellant (...) difensor come da verbale, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: GI.EM. Nato a Roma il 03.06.1969 Elettivamente domiciliato presso Avv. Or.Do. del Foro di Milano Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Or.Do. del Foro di Difensore di fiducia Avv. Co.Mi. del Foro di Milano MA.PA. Nato a (...) Domiciliato presso l'Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza PE.MA. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna PI.AN. Nato (...) Domiciliato presso Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Difeso di fiducia dall'Avv. Gi.To. del Foro di Milano ZI.GI. Nato a (...) Residente a (...) Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza ZO.GI. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. En.Am. del Foro dì Vicenza Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. En.Am. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Tu.Pa. del Foro di Pisa RESPONSABILE AMMINISTRATIVO BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona del legale rappresentante pro tempore Difensore Avv. Fr.Mu. del Foro di Milano - non presente, sostituito dall'Avv. Ro.Bo. del Foro di Padova per delega orale PRESENTE RESPONSABILE CIVILE - ESTROMESSO con ordinanza depositata all'udienza del 22/04/2022. BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona dei legali rappresentanti pro tempore Di.Gi., Fe.Cl. e Vi.Fa. Parti civili: + 229 (omissis) IMPUTATI: Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. stralciato ad altro procedimento, Zi.Gi. e Zo.Gi., a.1) in ordine al reato previsto e punito dagli arti 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., e 2637 c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amava), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie di seguito descritta, attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della. Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta piassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., stralciato ad altro procedimento in qualità di direttore generale delia medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione. Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuatone della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, della segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; in tempi diversi, diffondevano notizie false e ponevano in essere operazioni simulate ed altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni B. (deliberato annualmente - ai sensi dell'art. 6 dello Statuto sociale e dell'art 2528 c.c. -dall'assemblea dei soci su proposta del consiglio di amministrazione, formulata sulla scorta di una perizia di stima del valore del relativo soprapprezzo elaborata da un esperto indipendente appositamente incaricato), e ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della medesima Banca (...) e dell'omonimo Groppo bancario. Operazioni simulate ed altri artifici consistite (condotte poste in essere da ciascuna delle persone indagate, secondo il rispettivo ruolo): i) nella ripetuta concessione di finanziamenti a favore di terzi soggetti finalizzati all'acquisto (nel mercato secondario) ed alla sottoscrizione (in occasione delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014) di azioni B., per un controvalore complessivo di circa Euro 963 mln (di cui circa Euro 545 mln sino al 31.122012, circa Euro 155 nel 2013, circa Euro 255 nel 2014 e circa Euro 8 mln nel primo trimestre 2015), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito (per talune operazioni formalizzato per iscritto, per un complessivo controvalore azionario di circa Euro 160 mln), cosi determinando una apparenza di liquidità del titolo sul mercato secondario e, al contempo, cosi consentendo la riduzione contabile del controvalore delle azioni proprie detenute; ii) nella omessa iscrizione al passivo dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014 di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., pari all'importo complessivo delle operazioni di finanziamento finalizzate all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. sopra indicato; iii) nella mancata comunicazione all'esperto incaricato della stima del valore del soprapprezzo dell'azione B., dell'esistenza e dell'entità della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come sopra descritta. Diffusione di notizie false compiuta mediante la pubblicazione di comunicati stampa, di comunicazioni al pubblico, anche ex art. 114, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, di comunicazioni ai soci e dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014, contenenti mendaci indicazioni circa (condotte materiali poste in essere da Zo.Gi., Zi.Gi., So.Sa. (Stralciato ad altro procedimento) e Pe.Ma., con il contributo di GI.Em., Pi.An. e Ma.Pa., che partecipavano alla attuazione della prassi dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. sopra descritta): - la reale entità del patrimonio (nei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014), a causa della mancata iscrizione di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., per un importo corrispondente all'ammontare dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. (pari a circa Euro 545 mln al 31.12.2012, circa Euro700 mln al 31.12.2013 e circa Euro 955 mln al 31.12.2014); - la solidità patrimoniale della Banca (comunicati stampa e comunicazioni ai soci del 30/3/2012; 8/8/2012; 3/9/2012; 19/3/2013; 27/4/2013; 27/4/2013; 10/9/2013; 2/4/2014; 9/9/2014; 26/10/2014; 4/12/2014; 19/3/2014) enfatizzata a dispetto della reale situazione derivante dal sopra descritto fenomeno di concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizioni di azioni B. e di lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle medesime e/o di garanzia del rendimento dell'investimento; - la crescita progressiva della compagine sociale (comunicati 27/8/2013; 18/3/2014; 29/8/2014; 26/10/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), lasciando intendere che essa derivasse dalla progressiva maggiore appetibilità dell'azione B. quale strumento di investimento, omettendo di rappresentare resistenza e l'entità della prassi della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie sopra descritta; - il buon esito delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014 (comunicati 9/8/2013; 27/8/2013; 18/3/2014; 8/8/2014; 29/8/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), tacendo la circostanza relativa al massiccio ricorso al finanziamento per la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione nell'ambito dei c.d. Aucap; Con raggravante di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone. In (...), nel corso degli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014. Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) a.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. r) D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - ZO.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società a capo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenite reati della stessa specie, commettevano il reato sub a.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nel mantenimento del valore dell'azione e dell'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto, realizzati anche attraverso un artificioso funzionamento del mercato secondario delle azioni B. e mediante una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca. In (...), nel corso degli anni (...), alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa., (stralciato ed altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., b1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 81, co. II 110, 112, n. 1, c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a., in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1), e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale e traendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti, e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalatone e comunicazioni air Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, durante l'attività ispettiva compiuta dalla stessa Autorità presso la sede sociale, occultavano con mezzi fraudolenti - l'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario, per un controvalore complessivo di circa Euro 250 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di oltre Euro 300 mln, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - l'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. c/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; e, comunque, omettevano di dare comunicazione di tali circostanze, cosi determinando effettivamente, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, che, conseguentemente, non dava luogo ad approfondimenti conoscitivi in sede ispettiva ed alla quale, di fatto, era impedito di accertare l'esistenza della suddetta prassi. Mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale sia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58. In (...) dal (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) b.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub b.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. c.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81 co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.6.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.9.2012) contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 268 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2012), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 280 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia medesima, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2012, stabiliva, con Lettera di intervento datata 5.3.2013, un obiettivo patrimoniale (c.d. Target ratio, in termini di Core Tier 1 capital ratio pari o superiore all'8%) non coerente con la situazione patrimoniale della stessa B. e, comunque, ometteva di assumere ulteriori misure ed iniziative di vigilanza coerenti rispetto alla reale situazione patrimoniale della B., Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.pa, in liquidazione coatta amm.va (già Sc.p.a.) c.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett., a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub al), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad atro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. d.1) reato previsto e punito dagli artt. 61 n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., 2638, co. II e III, c.., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 5.3.2013 - n. 228149, di fornire "dettagliate informazioni in ordine alle motivazioni sottostanti l'incremento, sia a livello individuale che consolidato, delle azioni o quote proprie ricomprese tra gli elementi negativi del patrimonio di base, passate da Euro 30,48 mln a Euro 239,85 mln" nel periodo 30.6/30.9.2012), nella Comunicazione 20.3.2013, con la quale era rappresentato falsamente che "L'incremento ... registrato al 30 settembre 2012 rispetto al 30 giugno 2012 è da ascrivere principalmente a fenomeni di ciclicità legati alle procedure di gestione delle azioni proprie. Le domande di acquisto di azioni della banca si sono invece concentrate nel IV trimestre, anche in relazione alla consueta maggiore propensione e convenienza sotto il profilo finanziario di procedere, da parte dei soci, all'acquisto nell'ultimo periodo dell'anno... I dati al 31 dicembre 2012 evidenziano un Core Tier 1 ratio e un Total Capital ratio rispettivamente all'8,37% e all'11,40%, ipotizzando l'integrale capitalizzazione dell'utile. Nell'ipotesi di distribuire un dividendo pari al 50% dell'utile distribuibile, il Tier 1 ratio si posizionerebbe all'8,23% comunque al di sopra del target minimo". - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.12.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.3.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 545 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistato da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 544 mln; ed inoltre, - nella Informativa preventiva 23.4.2013 relativa alla imminente operazione dì aumento di capitale (mediante emissione di azioni ordinarie e contestuale emissione di prestito obbligazionario convertibile, per l'importo complessivo di Euro 506 mln), nella quale non era indicato che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione di finanziamenti correlati alla sottoscrizione medesima ed era rappresentato, pertanto contrariamente al vero, che il relativo "impatto... sul Tier 1 ratio " era stimato in un incremento complessivo di 175 punti base; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della B., adottava la Lettera di intervento datata 24.6.2013 con la quale (rilevato che "alla data del 30 settembre 2012" B. deteneva azioni proprie per un controvalore complessivo superiore al limite del "5% del capitale" in assenza della necessaria autorizzazione) prescriveva a B. l'adozione di "ogni Iniziativa sul piano procedurale e dei controlli alfine di assicurare uno scrupoloso rispetto dei limiti previsti per il riacquisto o rimborso di proprie azioni" e di richiedere "la prescritta autorizzazione, laddove ne ricorrano i presupposti" senza assumere ulteriori misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, DI L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.p.a.) d.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub d. 1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. e.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, il 2,81, co. II, 110 e 112, n. 1, cp., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione delia medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30-6-2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.9.2013), contraente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 555 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca, anteriore e prossima al 25.10.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 626 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.3.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 700 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e dì garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) e.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di prendente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sube.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. f.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. n. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai scasi della L. 1 settembre 1993, a 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; -- So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delie operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella Informativa preventiva datata 5.3.2014 relativa alla imminente operazione di aumento di capitale mediante emissione di azioni ordinarie per l'importo complessivo massimo di Euro 700 min, tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima e rappresentando, pertanto falsamente, die "nell'ipotesi di effettuazione dell'importo massimo", l'Aucap determinerebbe un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma" del 10,89% (rispetto a quello esistente dell'8,50%) e del ''Total Capital ratio" del 13,85% (rispetto a quello esistente dell'11,41%) con un incremento "quantificabile in circa 239" punti base; - nella Informativa integrativa datata 11.4.2014 relativa alla operazione di aumento di capitale sopra indicata (contenente la precisazione che la stessa sarebbe stata compiuta per un importo massimo di Euro 683,754 mln), tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima ed attestando, pertanto falsamente, che le azioni di nuova emissione soddisfano "tutte le condizioni previste dagli artt. 28 e 29 della CRR" e rappresentando, pertanto ancora falsamente, che la relativa "stima dell'impatto patrimoniale" evidenziava un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma post aucap" del'11,65% (rispetto a quello esistente del 9,21%) e del "Total Capital ratio pro-forma post aucap" del 14,25 (rispetto a quello esistente dell'11,81%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, a seguito della "istanza di autorizzazione a classificare gli strumenti di capitale come strumenti di capitale primario di classe 1 ai sensi dell'art 26 par. 3, del Regolamento (UE) n. 575/2013" (contenuta nella Informativa integrativa suddetta), sulla scorta della mendaci informazioni ricevute, adottava il provvedimento autorizzato richiesto con atto del 15.4.2014, in difetto dei prescritti presupposti (trattandosi, in parte, di c.d. azioni finanziate). Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) BANCA (...) S.p.a. in liquidatone coatta amm.va (già S.c.p.a.) f.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s) D. L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub f1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nella autorizzata classificazione delle azioni di nuova emissione sottoscritte come strumenti di capitale primario di classe 1". In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. g.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co, II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi die precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella Use di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione dì vigilanza periodica al 31.3.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 728 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica ai 30.6.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in data 11.8.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra, indicata, per un importo complessivo di circa Euro 718 mln; - nella Comunicazione 1.9.2014, nella quale era rappresentato falsamente che "con riferimento alla segnalazione di vigilanza prudenziale al 30 giugno 2014... si è ravvisato il mancato soddisfacimento a livello consolidato del requisito combinato di riserva di capitale... con un deficit di euro 85 milioni rispetto al livello minimo previsto.... l'aumento dì capitale di euro 607,8 milioni - già in corso alla data del 30 giugno, completato lo scorso 8 agosto con l'integrale sottoscrizione dello stesso... consentiva di coprire ampiamente il deficit registrato... tenendo conto dell'aumento di capitale già regolato, la posizione patrimoniale del Gruppo risulta in surplus di euro 550,8 milioni..." ed era attestato falsamente il livello dei "Fondi Propri" (indicato in Euro 2,989 mld e, quelli "pro-forma" in Euro 3,635 mld) e dei ratios patrimoniali (ovverosia, 8,55% CET1 Ratio e 10,67% CET1 Ratio pro-forma; 8,55% Tier 1 Ratio e 10,67% Tier 1 Ratio pro-forma; 10,21% Total Capitai Ratio e 12,38% Total Capital Ratio pro-fonna); - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 886 mln; - (a seguito della richiesta di Banca d'Italia, formulata con Nota datata 25.10.2014 - n. 1053731/14 nella quale, dato atto che "Banca (...) ha eseguito dall'inizio del 2014 operazioni di riacquisto di azioni proprie (buybacks) per un ammontare complessivo netto di Euro 195 mln. Le segnalazioni prudenziali di codesta banca confermano il progressivo aumento delle deduzioni per azioni proprie in portafoglio dal common equity tier 1: Euro 32,3 mln a dicembre 2013; Euro 91,7 mln a marzo 2014; Euro 178,2 mln, di cui 52,4 mln detenute indirettamente, a giugno 2014.... (la B.) ha altresì proceduto al rimborso e successivo annullamento di azioni proprie per complessivi Euro 61,7 mln, a motivo di successioni ed escussioni per recupero crediti", era domandata "la puntuale verifica della correttezza dei dati segnalati tempistica e modalità di esecuzione dei buybacks; ... le informazioni necessarie alla comprensione delle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie, precisando le controparti (società veicolo/OICR) presso le quali ì titoli sono depositati; chiarimenti circa la coerenza dei riacquisti effettuati con le disposizioni della Capital Requirement Regulation e delle successive norme tecniche di attuazione") nella Comunicazione datata 4.11.2014, ove era rappresentato falsamente che "La Banca... ha proceduto ai riacquisti da Soci e agli annullamenti delle azioni proprie nella consapevolezza che la riduzione di capitale connessa ai medesimi era più che compensata dalla sottoscrizione degli aumenti di capitale in corso.... le predette operazioni di riacquisto e annullamento di azioni proprie eseguite dalla banca dall'inizio del 2014... sono comunque avvenute nell'ambito dì un complessivo rafforzamento patrimoniale del Gruppo Bancario, che ha visto il proprio Common Equity Tier 1 Ratio incrementarsi dal 1° gennaio 2014 di circa 141 bps"; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) g2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità, di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub g.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., h1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a, in liquidatone cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposte alla vigilanza della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a. 1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente fa predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberatone degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca Centrale Europea, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2014 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 15.3.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2015 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 25.4.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 963 mln; - nella Informativa al Pubblico al 31.12.2014, contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa delia mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln e, di conseguenza, l'indicazione falsata dei requisiti patrimoniali prudenziali (CET 1 ratio pari al 10,44% e Total Capital ratio pari all'11,55%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca Centrale Europea che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a., in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) h.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001. n. 231, perché, in concorso tra loro. - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di (fingente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub h1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. i) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a-1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente si processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinalo ed attuato concretamente la predetta prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alte proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Dividerne Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili relativa alle operazioni di aumento di capitale realizzate nel corso del 2013 (c.d. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2012 e nel primo quadrimestre 2013 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a.1), ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo (felle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo, la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancate evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sui prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In Vicenza, in data 10 giugno 2013 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. 1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a.1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predette prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predispostone dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalatone e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di adoni di nuova emissione relativa alle operazioni di aumento di capitate realizzate nel corso del 2014 (c.c. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2013 e nel primo quadrimestre 2014 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a1) ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo delle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo" la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancata evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sin prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., m.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110, 112, n. 1, c.p. e 2638 co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche in riferimento alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 RGNR - Mod. 21, (allegata al presente Avviso) in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione Della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, e della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di numerosi finanziamenti finalizzati air acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie (operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito, per talune operazioni formalizzato per iscritto), attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallalo la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. Srl, operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attualo concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase dì istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazioni e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea, nell'ambito dello svolgimento dell'esercizio di valutazione approfondita (c.d. "Comprehensive Assessment") previsto dall'art. 33, par. 4, del Regolamento (UE) n. 1024/2013 cit. ed oggetto della Decisione della Banca centrale Europea del 4 febbraio 2014 i) durante l'attività ispettiva compiuta dalla Banca d'Italia presso la sede sociale nel periodo marzo/agosto 2014 (consistita nel c.d. "Asset Quality Rewiev") occultavano con mezzi fraudolenti e, comunque, omettevano di dare comunicazione, - dell'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario e/o alla sottoscrizione delle medesime azioni in sede di operazioni di aumento di capitale, per un controvalore complessivo di circa Euro 728 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di circa 6 886 min, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - dell'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale aia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate; ii) esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 9.6.2014 - il 590133/14 di compilare un "questionario... (Preliminary Capital Plan)" contenente "informazioni idonee a valutare, distintamente per i vari annali di raccolta (interni ed esterni) l'ammontare aggiuntivo di capitale e di strumenti di ATI che potrebbero essere ottenuti in tempi rapidi (6 o 9 mesi) per fronteggiare eventuali shortfall" precisando "sia le operazioni già pianificate o in corso di attuazione, sia le misure aggiuntive che potrebbero essere perfezionate in caso di necessità entro i termini sopra indicati") nella Comunicazione datata 20.6.2014 ove erano indicati, quali interventi di rafforzamento patrimoniale realizzabili celermente, il "rimborso anticipato in azioni del prestito obbligazionario 2013-2018 convertibile di tipo soft mandatory... per un importo di euro 253 milioni e "l'incremento di CET" per effetto degli aumenti di capitale attualmente in corso per un importo totale di euro 673 milioni, di cui euro 608 milioni di aumento in opzione ai soci", omettendo di rappresentare che la sottoscrizione del suddetto prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni dì nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra descritta; - nelle comunicazioni trasmesse alle Autorità di vigilanza nell'ambito dell'esercizio di "stress test", contenenti l'indicazione, contrariamente al vero, di ratios patrimoniali e dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quelli reali, a causa della mancata considerazione, quale cimento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln; - nel Capital Plan comunicato in data 10.11.2014, relativo alle misure programmate per la copertura del deficit di capitale emerso all'esito dell'esercizio di "stress test" (nello scenario avverso, pari a Euro 223 mln), contenente l'indicazione, contrariamente al vero, dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln, ed omettendo di precisare che la sottoscrizione del prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni di nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea medesime, le quali, conseguentemente, non davano luogo, neppure in sede ispettiva, ad approfondimenti conoscitivi, e la BCE valutava idonee le misure di rafforzamento patrimoniale indicate da B. per fare fronte alla deficienza emersa all'esito del c.d. "Comprehensive Assessment" ed all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2014 stabiliva (con la relativa decisione SREP) requisiti prudenziali non coerenti con la reale situazione patrimoniale della stessa B. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richieda di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), dal marzo ad agosto 2014 (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) m.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n, 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em. in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub m.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) SO.SA. (stralciato ad altro procedimento) e GI.EM. n.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso rispetto al capo che precede ed alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 (allegata al presente Avviso), - SO.SA. in qualità di direttore generale, - GI.EM., in qualità di vice direttore generale responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), società sottoposta alla vigilanza della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa ai sensi del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, con riferimento alla operazione di aumento di capitale compiuta nel periodo 12.5/8.8.2014, avente in oggetto una offerta in opzione agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili di azioni ordinarie di nuova emissione e di obbligazioni nominative (e anche una offerta al pubblico indistinto dell'eventuale inoptato), a seguito della richiesta di dati e notizie di CONSOB datata 16.5.2014, nella successiva interlocuzione con la medesima Autorità di Vigilanza, comunicavano, contrariamente al vero (condotta materiale di So.Sa., quale firmatario delle missive, compiuta d'intesa con Gi.Em.), i) nella Nota datata 23.5.2014, - la decisione assunta dalla Banca "di astenersi, con riferimento all'Offerta in opzione, dalla prestazione di raccomandazioni personalizzate all'investimento" e, pertanto, del "divieto di prestare qualsivoglia attività consulenziale a favore dei titolari del diritto di opzione"; - l'adozione da parte della Banca "allo scopo di dare effettività alla menzionata prescrizione interna ed evitare forme surrettizie di raccomandazione personalizzata all'investimento... " di "modalità specifiche di adesione all'offerta idonee a contenere occasioni di contatto diretto tra gli addetti alla rete ed i titolari del diritto di opzione" (costituite, "a seguito della comunicazione informativa" neutra da parte della Banca contenente indicazione delle "caratteristiche principali dell'operazione e le modalità richieste per l'adesione", dalla preventiva manifestatone di interesse alla sottoscrizione da parte degli interessati "accedendo ad una apposita sezione del sito internet della Banca" oppure tramite l'invio per posta di un modulo prestampato, preventivamente trasmesso agli aventi diritto in allegato alla suddetta comunicazione informativa preliminare); - che la Banca si sarebbe astenuta dalla erogazione di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione di azioni B., essendo questa possibilità limitata all'operazione di aumento di capitale riservato a nuovi soci e finalizzato all'ampliamento della base sociale (c.d. "mini Aucap"); ii) nella Nota datata 4.7.2014, che - erano "immutate le modalità di offerta in opzione, agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili... " e, nel fornire i dati relativi all'andamento della operazione, che l'offerta in opzione aveva registrato adesioni da parte di 20.448 clienti, tutte perfezionate ad "iniziativa cliente", con valutazione positiva della appropriatezza nella misura del 83,9%; iii) nella Nota 15.10.2014, - che l'unica operatività effettuata nell'ambito dell'Offerta in opzione, era quella ad "iniziativa cliente"; - che tutti i 29,364 sottoscrittori "aventi diritto" avevano aderito all'offerta previa valutazione di appropriatezza, il cui esito era stato positivo nella misura del 82% circa; - che (nella unita Nota di osservazioni della funzione di Compliance), "la Banca ha inteso presidiare il rischio di consulenze surrettizie prevedendo un meccanismo volto a fare in modo che il contatto tra banca e clienti titolari del diritto di opzione si stabilisse solo in seguito ad una comunicazione preliminare"; e omettevano dunque, di rappresentare alla Commissione medesima, la realizzazione da parte della Banca, sino dal febbraio 2014 (e, dunque, prima dell'approvazione del prospetto previsto dall'art. 94, D.L.vo n. 58/98 cit.), di una strutturata azione commerciale finalizzata alla promozione della partecipazione all'aumento di capitale e concretizzatasi in consigli personalizzati di investimento, cosi ostacolando consapevolmente le funzioni di vigilanza della CONSOB, cui era conseguentemente impedita l'emanazione degli opportuni provvedimenti e l'adozione delle pertinenti iniziative di Vigilanza. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell'art. 116, D.L.vo n. 58/98 cit. ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) n. 2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e punito dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato indicato sub e.l) commesso da - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale, responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), in concorso tra loro, in difetto di un modello di organizzazione idoneo (comunque non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi, e nell'interesse ed a vantaggio della stessa BANCA (...) S.c.p.a., consistiti nel rafforzamento patrimoniale dell'ente perseguito ed attuato con l'operazione dì aumento di capitale compiuta nel corso dell'anno 2014. In (...), in data (...) CONCLUSIONI PEL PROCURATORE GENERALE: Con riferimento agli appelli proposti dagli imputati ZO., MA. e PI. chiede dichiararsi l'improcedibilità con riguardo alle fattispecie medio tempore prescritte, con conseguente rideterminazione della pena, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, Per il resto chiede confermarsi la sentenza. Con riferimento all'appello proposto dall'imputato GI. chiede affermarsi la penale responsabilità del predetto, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando la pena richiesta come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. Con riferimento all'appello proposto da B. in L.c.a. chiede ridursi l'entità della sanzione ex art. 12 comma 2 lett. a) D.Lgs. 231/2001 nella misura massima della metà, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, con irrogazione, per l'effetto, della sanzione pecuniaria nella misura di euro 324.000,00= e conferma nel resto. Con riferimento, infine, agli appelli proposti dal Pubblico Ministero nei confronti degli imputati PE. e ZI. chiede affermarsi la penale responsabilità dei predetti, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando le pene richieste come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di equivalenza. CONCLUSIONI PELLE PARTI CIVILI: Il difensore della parte civile Banca d'Italia, Avv. St.Ce., conclude chiedendo che la Corte rigetti gli appelli degli imputati Gi., Ma., Pi. e Zo. e confermi la sentenza per quanto riguarda le statuizioni civili a favore delta Banca d'Italia, inclusa la conferma della condanna in solido alla provvisionale. In accoglimento degli appelli della Pubblica Accusa, proposti contro gli imputati Pe. e Zi., chiede estendersi ai medesimi le statuizioni civili in favore della Banca d'Italia e per l'effetto la loro condanna in solido al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da liquidarsi in separato giudizio, con condanna a una provvisionale pari a quella stabilita in primo grado. Per il resto conclude come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022. Il difensore della parte civile CONSOB, Avv. Va.Ci., in sostituzione dell'Avv. Deborah Spedicati, chiede la conferma dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato Gi. per il reato di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza svolte da CONSOB, contestato nel capo d'imputazione NI, e la conferma delle statuizioni civili pronunciate in favore della stessa CONSOB, con condanna al pagamento delle spese per questo grado dì giudizio. Si richiama per il resto alla memoria depositata all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Pa.Ci. (67), chiede l'accoglimento delle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Re.Be. (24), si associa alle conclusioni della Procura Generale e si riporta alle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9,2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca. (55), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca., in sostituzione dell'Avv. Br.Ba. (16), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce. (62), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ca.Sp. (205), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimene deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ro.Pa. (163), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ca.Ma. (140), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delie parti civili, Avv. Ca.Ma., in sostituzione dell'Avv. Ni.D'A. (80), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co. (72), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. An.Bu. (42), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. Na.De. (84), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Si.Ba. (13), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ve.Bo. (40), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. An.Ca. (44), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ma.Ma. (139), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Gi.Vi. (219), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa. (160), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa., in sostituzione dell'Avv. Da.Tr. (211), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Pi.Ce. (63), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. St.An. (7), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Lu.Be. (22), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Al.Le. (127), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23,9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Mo. (156), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Sa., in sostituzione dell'Avv. Pi.Lu. (136), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ra.Di. (92), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Si dà altresì atto che all'udienza del 23.9.2022 le parti civili sotto elencate, su invito del Presidente e con l'accordo delle parti, hanno depositano le rispettive conclusioni scritte con allegate note spese, alle quali si riportano integralmente chiedendone l'accoglimento: (omissis) Il difensore delle parti civili, Avv. Fr.Ra., in sostituzione dell'Avv. An.Fi. (105), dichiara di non presentare conclusioni scritte dei propri assistiti e di riportarsi alle conclusioni già depositate in primo grado, chiedendone l'accoglimento, senza ulteriore deposito, CONCLUSIONI DELLE DIFESE MA., PI. e ZO.: Chiedono in principalità l'assoluzione dei rispettivi assistiti, avanzando richieste subordinate come da rispettivi atti di appello e motivi nuovi successivamente depositati, giusta conclusioni rispettivamente rassegnate alle udienze del 28.9.2022 (ZO.), del 30.9.2022 (MA.) e del 5.10.2022 (PI.), alle quali si riportano. CONCLUSIONI DELLA DIFESA GI.: Dichiara di rinunciare espressamente a tutti i motivi enunciati nell'atto di appello tranne che ai motivi nn. II, III, XIII, XX (quest'ultimo peraltro reso oggetto di rinuncia implicita, come da verbale d'udienza 23.9.2022, quanto alla svolta eccezione di nullità della sentenza), XXI, XXII e XXIII. Quanto al trattamento sanzionatorio invoca la rideterminazione in senso più favorevole come da verbale d'udienza 23.9.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA ZI.: Conclude per l'accoglimento del proprio appello e per il rigetto di quello del Pubblico Ministero, come da verbale d'udienza 5.10.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA PE.: Conclude chiedendo il rigetto dell'appello del Pubblico Ministero e la conferma della sentenza di assoluzione, come da verbale d'udienza 30.9.2022. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. La sentenza Con sentenza 19.3.2021, il Tribunale di Vicenza: - dichiarava Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. responsabili, nelle qualità dai predetti rispettivamente rivestite all'interno della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in LCA.), dei reati, siccome loro rispettivamente ascritti in rubrica (il capo NI era ascritto, fra essi, al solo GI.), di aggiotaggio ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 2637 c.c. (reato di cui al capo A1, commesso in Vicenza nel periodo successivo al 27.4,2013 e sino al 2015, in occasione della pubblicazione dei bilanci di esercizio degli anni 2013 e 2014), di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr 1 c.p., 2638 co. II, III c.c., aggravato dalla natura di società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116 D.L.vo 58/98 (capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1, posti in essere in Vicenza, dal maggio del 2012 all'anno 2015, nelle date di cui ai rispettivi capi di imputazione), di falso in prospetto, ex artt. 61 nr. 2, 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 173 bis D.L.vo 58/98 (capi I ed L, posti in essere, in Vicenza, rispettivamente, il 10 giugno del 2013 ed il 9 maggio del 2014) e, esclusa l'aggravante di cui all'art. 112 nr. 1 c.p., riconosciute a tutti gli imputati le attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alle residue aggravanti contestate ed unificati detti reati sotto il vincolo della continuazione, ritenuto più grave il delitto di cui al capo H1, condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione; - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno; - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Dichiarava i predetti imputati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Disponeva nei confronti dei medesimi la confisca per equivalente sino a concorrenza dell'importo di euro 963.000.000. - Dichiarava non doversi procedere nei confronti degli stessi imputati, con riferimento ai reati di aggiotaggio di cui al capo A1 (limitatamente alle condotte contestate fino alla data del 27.4.2013), perché estinti per prescrizione. - Condannava i suddetti imputati, nei termini seguenti, al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili: - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili private di cui all'elenco allegato alla sentenza (con esclusione, relativamente agli imputati GI. e MA., del risarcimento in favore delle parti private Al.Br., Lo.Al., Lo.Da., Lo.Tr., Pi.So. e To.La.), con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute da dette parti; - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile Banca d'Italia, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore della medesima parte, pari ad euro 601,017,39 oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte civile; - Gi.Em. era condannato al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile CONSOB, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore di detta parte nella misura dì euro 186.570,00, oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte avite. - Assolveva Pe.Ma. e Zi.Gi. dai reati loro ascritti perché il fatto non costituisce reato. - Dichiarava, inoltre, Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) e, riconosciuta l'attenuante ex art. 12, co. II, lett. a) D.L.vo 231/01 ed applicata la disciplina della pluralità di illeciti ex art. 21 D.L.vo cit., condannava detto ente al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 364.000,00, oltre al pagamento delle spese processuali, disponendo inoltre, nei confronti del medesimo ente, la confisca della somma di euro 74.212.687,50. - Disponeva, con riferimento alla posizione di Zo.Gi., la trasmissione degli atti al P.M. in relazione all'ipotesi di reato contestata sub capo N1; - Dichiarava improcedibile la domanda risarcitoria avanzata nei confronti del responsabile civile Banca (...) in L.C.A. 1.1 Gli addebiti L'affermazione di penale responsabilità attiene alle vicende emerse a seguito dell'ispezione avviata dalla squadra inviata presso l'istituto di credito vicentino dalla BCE nel febbraio del 2015 in relazione a irregolarità emerse nella gestione dell'attività d'impresa bancaria, irregolarità rappresentate: - dal sistematico ricorso della banca al sostegno finanziario concesso ai clienti/soci per l'acquisto di azioni proprie sul mercato primario e su quello secondario; - dal rilascio, in favore dei soci, di lettere con le quali l'istituto assumeva l'impegno al riacquisto delle azioni ovvero forniva garanzie di rendimento dei titoli; - dagli "storni" di interessi, autorizzati dagli organi di vertice dell'istituto onde neutralizzare i costi dei finanziamenti all'uopo erogati dalla Banca; - dagli investimenti di consistenti risorse in fondi esteri poi utilizzati, almeno in parte, per la detenzione indiretta dì azioni proprie. Tali anomalie operative, per effetto dei provvedimenti adottati all'esito dell'ispezione BCE del febbraio del 2015, avevano generato un impatto negativo sotto il profilo patrimoniale, stimato in circa un miliardo di euro di deduzioni dal patrimonio di vigilanza, come confermato dalla stessa banca verificata nella relazione semestrale del 30.6.2015 e, quindi, nel bilancio d'esercizio 2015. Ne era seguita anche l'iscrizione di rettifiche relative a crediti deteriorati per circa 1,3 miliardi di euro. Quindi, nel 2016, la banca aveva deliberato un piano di rafforzamento patrimoniale che tuttavia non era andato a buon fine (con particolare riferimento all'aumento di capitale, previsto nella consistente misura di 1,5 miliardi, tanto che il Fondo (...) aveva rilevato la proprietà dell'istituto sottoscrivendo aumenti di capitale per complessivi 2,3 miliardi). Di qui la dichiarazione, da parte della BCE, dello stato di dissesto o di rischio di dissesto e, successivamente, ravvio della procedura di LCA, decisa con decreto del Ministro dell'Economia del 25.6.2017. Con sentenza 21.12.2018, poi, il tribunale di Vicenza aveva dichiarato lo stato di insolvenza dell'istituto di credito. E' in questo contesto di crisi - successivamente sfociato, come appena precisato, nella dichiarazione dello stato di insolvenza - che si inscrivono le condotte di aggiotaggio manipolativo ed informativo, di ostacolo alla vigilanza della Banca d'Italia, della BCE e (quanto al solo imputato GI.) della CONSOB, nonché di falso in prospetto, condotte che costituiscono (oltre agli illeciti amministrativi contestati all'ente Banca (...) in L.C.A.) gli addebiti ritenuti provati nella pronunzia del tribunale di Vicenza. In particolare gli imputati, nelle loro rispettive qualità di esponenti di vertice dell'istituto bancario, avrebbero posto in essere una serie di azioni coordinate finalizzate alla manipolazione del mercato, attraverso una artificiosa rappresentazione di una solidità patrimoniale della banca in realtà inesistente e della liquidità del titolo azionario, mediante la sistematica concessione di assistenza finanziaria ai clienti per l'acquisto di azioni della banca, l'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo del valore delle azioni finanziate ed il mantenimento di un valore sovradimensionato del suddetto titolo (aggiotaggio manipolativo). Avrebbero, altresì, diffuso informazioni mendaci (prevalentemente attraverso la emissione di comunicati stampa indirizzati al mercato ed ai soci) inerenti alla situazione della banca, alla liquidità del titolo azionario e al pieno successo delle operazioni di aumento di capitale effettuate negli anni 2013 e 2014 (aggiotaggio informativo). Inoltre avrebbero posto in essere condotte di ostacolo alla vigilanza ai danni della Banca d'Italia e della BCE occultando la sistematica attività di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie e in tal guisa impedendo l'adozione di tempestivi piani di vigilanza coerenti con la reale situazione della banca, conseguendo, inoltre, l'autorizzazione alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale primario di classe 1 e superando positivamente, infine, il Camprehensive Assessment (ovverosia l'esercizio di valutazione approfondita con il quale la BCE aveva verificato lo stato di salute delle principali banche europee) con l'effetto di accedere al Meccanismo Unico di Vigilanza. Il solo GI., poi, avrebbe ostacolato la vigilanza della CONSOB in relazione all'aumento di capitale 2014, omettendo la rappresentazione delle operazioni commerciali finalizzate alla promozione dell'aumento di capitale in questione. Ulteriori condotte delittuose poste in essere dagli imputati, infine, sarebbero state quelle di falso in prospetto in relazione alla predisposizione e diffusione dei prospetti informativi inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni all'atto degli aumenti di capitale degli anni 2013 e 2014. Nell'occasione, infatti, per un verso, sarebbero state occultate le informazioni inerenti al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie; e, per altro verso, sarebbero state comunicate informazioni fuorvianti in merito all'andamento del mercato secondario delle azioni stesse. Nel complesso si sarebbe trattato di condotte tutte avvinte da un evidente nesso di strumentalità in quanto sistematicamente ispirate dalla medesima intenzione, da un lato, di creare un'apparenza di liquidità del titolo azionario e, dall'altro, di accreditare la solidità patrimoniale dell'istituto di credito. Solo in quest'ottica, del resto, nella prospettiva d'accusa, sarebbero interpretabili le condotte dei singoli imputati, altrimenti del tutto prive di senso, posto che le corrette attività di appostazione della riserva di bilancio e di scomputo del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza avrebbero reso prive di ogni effetto le operazioni correlate. Di qui la contestazione della responsabilità concorsuale degli imputati. 1.2 Il compendio probatorio Il giudizio di penale responsabilità scaturiva dalla valutazione coordinata di un panorama probatorio assai vasto e composito, segnatamente costituito da elementi di natura testimoniale (deposizioni degli agenti operanti, di ex dirigenti dell'istituto di credito, nonché di funzionari e dipendenti della banca, di clienti, ecc.) e documentale (e-mail, documenti contabili, verbali del CdA, piani industriali, ecc.), dagli esiti di operazioni di intercettazione telefonica, nonché dalle conclusioni cui erano pervenute approfondite attività di ispezione; conclusioni, queste ultime, che erano state dapprima documentate attraverso l'acquisizione delle relative relazioni e, quindi, confermate e precisate in sede di escussione dibattimentale degli ispettori e dei funzionari di vigilanza. Inoltre un rilievo significativo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato anche all'approdo cui era pervenuta la meticolosa attività di ricostruzione di quegli aspetti della gestione aziendale rilevanti ai fini della compiuta comprensione delle reali dinamiche e della esatta portata del fenomeno delle operazioni di capitale finanziato siccome effettuata dai consulenti tecnici del P.M.. Costoro, in effetti, avevano ripercorso, attraverso uno scrupoloso vaglio della notevole mole della documentazione disponibile, tutte le singole operazioni giungendo ad una precisa quantificazione del fenomeno; quantificazione, peraltro, sostanzialmente allineata, seppure per difetto, ai dati indicati dalla stessa banca nella Relazione sulla Gestione dei bilanci 2015-2016 (euro 1086,9 mln). Le indagini della GdF, poi, avevano consentito di riscontrare le evidenze ispettive e di delineare compiutamente il contributo fornito dai singoli imputati. Infine, anche la relazione ex art 33 L.f. - nella quale erano stati compendiati gli esiti di un accurato esame dei bilanci e degli indici di redditività, efficienza e solidità patrimoniale, nonché dei margini di struttura essenziale dell'istituto di credito - aveva rappresentato un prezioso contributo (peraltro convergente con le ulteriori risultanze processuali) per l'esatta comprensione del fenomeno del capitale finanziato. 1.3 La competenza Il tribunale, dopo avere premesso che la questione della competenza territoriale avrebbe dovuto essere valutata alla stregua delle indicazioni contenute nell'imputazione nonché delle allegazioni delle parti unicamente relative al fatto storico siccome stigmatizzato nell'imputazione medesima (fatta salva l'ipotesi - espressamente esclusa dal primo giudice - che dal capo di incolpazione emergessero macroscopici errori, immediatamente rilevabili come tali), ribadiva la competenza territoriale dell'a.g. vicentina, siccome già affermata (in sede di udienza preliminare e, quindi, negli atti preliminari al dibattimento), ritenendo le eccezioni difensive inammissibili e, comunque, infondate. Sotto il primo profilo il tribunale di Vicenza, per un verso, richiamava il contenuto della decisione della Corte di Cassazione (Cass. Sez. I, nr. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018) che - già investita della questione a seguito di conflitto negativo sollevato dal GIP di Milano - aveva in tal senso deliberato, la trama argomentativa della quale veniva dal primo giudice puntualmente ripercorsa; per altro verso evidenziava il difetto di fatti nuovi idonei a superare tale decisione (posto che il capo di incolpazione, medio tempore, non aveva subito sostanziali modifiche), concludendo, quindi, per la vincolatività della decisione medesima. In ogni caso, sotto il secondo profilo (quello dell'infondatezza delle eccezioni di incompetenza), il tribunale respingeva le ricostruzioni difensive che individuavano in Roma il luogo di commissione del più grave reato contestato sub B1, trattandosi del luogo nel quale aveva sede la Banca d'Italia e ove, pertanto, detto istituto aveva ricevuto il rendiconto ICAAP (Internal Capital Adequacy Assessment Process), al momento della ricezione (ovvero della valutazione) del quale - sempre secondo le prospettazioni difensive -, atteso il contenuto asseritamente decettivo del documento in questione, si sarebbe verificato l'evento di ostacolo. Ciò in ragione del fatto che la falsa informazione - sub specie di "occultamento fraudolento" - contenuta in tale documento non rientrava affatto nel perimetro dell'imputazione di riferimento; imputazione che - precisava il primo giudice - circoscriveva al periodo ricompreso tra l'inizio e la fine dell'ispezione il momento di commissione delle attività di intralcio alla vigilanza. Assegnare rilievo, sul punto, all'invio del citato documento da parte del coimputato So.Sa. (posizione stralciata e giudicata separatamente), infatti, avrebbe significato modificare indebitamente il capo di imputazione (peraltro inserendovi una condotta che, nella sua materialità, sarebbe stata espressione di una differente modalità di aggressione al bene giuridico presidiato dalla fattispecie incriminatrice), con conseguente contestazione di un fatto nuovo. Più nel dettaglio il tribunale non condivideva le osservazioni difensive, le quali: - da un lato evidenziavano come il capo di imputazione sub B1, là dove faceva riferimento all'occultamento o, comunque, alla mancata comunicazione di informazioni, necessariamente ricomprendesse, tra le comunicazioni "fuorvianti", anche la suddetta comunicazione ICAAP (sulla base della quale, del resto, l'ente incaricato della vigilanza aveva determinato l'oggetto dell'attività ispettiva che di lì a poco avrebbe svolto presso la sede dell'istituto vigilato); - dall'altro lato contestavano che dall'indicazione del tempus commissi delicti siccome precisato in imputazione potessero desumersi effetti decisivi in ordine alla delimitazione del perimetro dell'imputazione, trattandosi di indicazione - espressione dell'avvenuta, censurabile selezione, da parte del P.M., di una sorta di "finestra temporale" non corrispondente alle evidenze disponibili - non certo prevalente, sempre secondo le difese, rispetto alla descrizione del fatto siccome esposto nel capo di imputazione medesimo. Ad avviso del primo giudice, invero, la prospettazione d'accusa era chiara nell'individuare l'oggetto dell'addebito nelle condotte poste in essere nel corso dell'attività ispettiva, condotte rispetto alle quali l'invio della citata comunicazione ICAAP costituiva un fatto autonomo, estraneo a quello contestato sub B1 e neppure preso in considerazione come antecedente causale delle medesime condotte incriminate. Conclusivamente, l'eccezione di incompetenza territoriale, avanzata in relazione all'asserito rilievo da assegnarsi, sul punto, alla citata comunicazione ICAAP, oltre ad essere inammissibile per difetto di sopravvenienze rilevanti ex art, 25 c.p.p. (l'addebito di riferimento essendo rimasto inalterato rispetto all'imputazione provvisoria valutata dalla citata Cass. 15537/2018), era comunque infondata. Infine, neanche poteva sostenersi la competenza territoriale dell'a.g. milanese, pure prospettata da talune difese facendo leva sulle contestazioni di falso in prospetto di cui ai capi I ed L della rubrica. Si era in presenza, infatti, di reati puniti con pena edittale inferiore rispetto a quella prevista per il reato ex art. 2638 c.c., siccome nella specie aggravato ai sensi del comma terzo. In effetti, il raddoppio delle pene previsto dall'art. 39 co. 1 L. 262/05 non poteva ritenersi applicabile alla fattispecie in esame, in quanto modificata, anche in punto di trattamento sanzionatorio, dal medesimo intervento legislativo, come arguibile dalla ratio di detto intervento, quale ricavabile tanto dal tenore della disposizione ex art. 39, co. 3 L. cit., quanto dai relativi lavori preparatori. In ogni caso - e fermo, comunque, il principio di irretrattabilità del foro commissorio sancito dall'art. 25 c.p.p., - anche i reati di cui ai predetti capi I ed L erano stati commessi in Vicenza, presso la sede della banca vicentina, all'atto della pubblicazione dei prospetti informativi, tale essendo il momento consumativo del reato (e non già in Milano, sede della CONSOB, presso la quale detti prospetti erano stati depositati per l'approvazione). Donde la conferma della competenza del tribunale berico. 1.4 Il patrimonio di vigilanza e l'acquisto di azioni proprie: quadro normativo di riferimento Il tribunale, dopo avere esplicitamente richiamato il quadro normativo in ordine alla vigilanza informativa, regolamentare ed ispettiva sul settore bancario ed avere puntualmente delineato nozione e caratteristiche del "patrimonio di vigilanza" (nella sua accezione più ampia rispetto al semplice "patrimonio aziendale", in quanto ricomprendente, oltre al capitale sociale e alle riserve, anche gli strumenti di natura non strettamente patrimoniale ma rappresentanti "canali di patrimonializzazione"), precisava come, alia stregua delle disposizioni in materia, il "patrimonio di vigilanza" dovesse necessariamente corrispondere quantomeno all'ammontare del patrimonio interno assorbito dalle attività bancarie, in ragione della funzione assegnatagli di copertura dei rischi di mercato, operativo e di credito. Quindi, richiamati gli indici di riferimento per la valutazione delia capacità degli istituti di credito di sostenere le proprie attività in presenza dei rischi tipici ed evocata, altresì, la più recente disciplina di riferimento, il primo giudice precisava come il patrimonio di vigilanza complessivo dovesse intendersi costituito dalla somma algebrica tra il "patrimonio di base o capitale di classe 1" (Tier 1) e il "patrimonio supplementare o capitale di classe 2" (Tier 2), intesi come insieme di risorse capaci di assorbire le perdite, rispettivamente, in condizioni di continuità di impresa, ovvero di stato di crisi-In un siffatto contesto - proseguiva il tribunale - l'attività di vigilanza della Banca d'Italia assolveva, tra l'altro, alla funzione di valutare se gli strumenti finanziari emessi dagli istituti di credito fossero o meno computabili come strumenti di capitale primario, con la precisazione che, tra gli strumenti destinati ad essere integralmente dedotti dal capitale primario, rientravano certamente gli investimenti in azioni proprie (ivi comprese quelle che la banca fosse stata contrattualmente obbligata ad acquistare), e questo all'evidente fine di evitare il doppio computo del capitale. Con specifico riferimento al periodo interessato dalle imputazioni (2012-2015), poi, il giudice di prime cure puntualizzava come la composizione del patrimonio di vigilanza fosse disciplinata dalle Circolari della Banca d'Italia n. 263 del 27.12.2006 e n. 155 del 18.12.1991, circolari che, identificando il patrimonio di vigilanza come la somma algebrica tra il patrimonio di base (Tier 1) e il patrimonio supplementare (Tier 2), al netto delle deduzioni, esigevano che il rapporto tra il Tier 1 ed il totale delle esposizioni creditizie ponderate non dovesse essere inferiore al 4,00% e che il patrimonio di vigilanza, inteso come la somma di patrimonio di base Ver 1 e patrimonio supplementare Tier 2, dovesse essere almeno pari all'8% delle attività ponderate per il rischio. La Circolare n. 263/2006, poi, non prevedeva alcuna autorizzazione della Banca d'Italia per la computabilità delle azioni proprie nel patrimonio di vigilanza. Inoltre, a decorrere dal 2014, la disciplina di riferimento era costituita dal regolamento UE n. 575/2013 (Capital Requirements Regulation - CRR) e dalla Circolare della Banca d'Italia n. 286 del 17 dicembre 2013, con l'effetto che alla nozione di patrimonio di vigilanza era subentrata quella di "fondi propri" (costituiti dalle tre componenti: CET1, Additional Tier 1 e Tier 2), Secondo il CRR le banche avrebbero dovuto disporre di un requisito di capitale primario di classe 1 (CET) pari al 4,5% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio, di un requisito di capitale di classe 1 (Tier 1) pari al 6% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio e, infine, di un patrimonio di vigilanza totale (patrimonio di base più patrimonio supplementare) pari all'8% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio. Ciò posto, il primo giudice, con riferimento al tema dell'acquisto delle azioni proprie da parte di un istituto di credito, richiamava i limiti progressivamente sempre più stringenti introdotti sul punto, oltre alle specifiche condizioni legittimanti le autorizzazioni in materia da parte dell'autorità di vigilanza, sottolineando come il principio dell'obbligatoria deduzione dal patrimonio di vigilanza delle azioni riacquistate fosse rimasto immutato nel tempo, trattandosi di principio (nel periodo 2006-2013 previsto dalle citate circolari della Banca d'Italia, come progressivamente aggiornate) essenziale per la tutela dei terzi, posto che, nel momento in cui la banca finanziava l'acquisto di azioni proprie, l'apporto patrimoniale era destinato ad assumere carattere fittizio, inidoneo a incrementare il patrimonio destinato alla copertura di rischi e perdite aziendali. E, in proposito, il primo giudice delineava puntualmente il regime prudenziale previsto successivamente all'1.1.2014, regime nel cui ambito rilevava anche il processo interno di autodeterminazione dell'adeguatezza patrimoniale che gli istituti di credito erano chiamati ad effettuare e di cui avrebbero dovuto comunicare gli esiti alfa Banca d'Italia attraverso una apposita comunicazione (ICAAP) - la responsabilità della quale era rimessa agli organi societari di amministrazione e di controllo - destinata ad illustrare le caratteristiche di tale processo. Era proprio il resoconto ICAAP - proseguiva il tribunale - a consentire all'organo di vigilanza di effettuare una valutazione completa (destinata a concludersi con l'attribuzione di un punteggio ricompreso tra 1 e 5) delle caratteristiche qualitative fondamentali (attraverso un'attività di supervisione denominata SREP/Supervisory Review Evaluation Process, caratterizzata anche da un confronto diretto tra organo di vigilanza ed istituto vigilato). 1.5 La ricostruzione dei fatti. 1.5.1 L'ispezione della BCE del febbraio 2015 ed i riscontri all'analisi BCE. In ordine all'ispezione BCE del febbraio 2015 - avviata dopo che una serie di evidenze (ivi compresa la pubblicazione, a ottobre del 2014, di un articolo sul quotidiano "Il Sole 24 Ore", a firma Cl.Ga., nel quale si era fatto espresso riferimento proprio al tema del finanziamento delle azioni) avevano fatto emergere come la B. avesse riacquistato azioni proprie in difetto della previa autorizzazione alla vigilanza - il Tribunale precisava che detta ispezione, svoltasi dal febbraio al luglio del 2015, aveva effettivamente dimostrato il diffuso ricorso da parte dell'istituto di credito ad operazioni di assistenza finanziaria ai soci per l'acquisto di azioni proprie; azioni che, proprio in quanto acquistate con finanziamenti concessi dall'emittente, non avrebbero dovuto essere conteggiate nel patrimonio di vigilanza (ovverosia nei "fondi propri", secondo la terminologia adottata dall'art. 28, par. 1, lett. B, CRR). Sulla base, in particolare, della puntuale deposizione dell'ispettore Em.Ga. (responsabile del team della vigilanza), il primo giudice ricostruiva dettagliatamente natura, svolgimento ed esiti dell'ispezione in questione. Ebbene, si era trattato di una ispezione sul rischio di mercato, finalizzata, nell'ordine: - a verificare eventuali fenomeni di assistenza finanziaria relativi alle operazioni di aumento di capitale; - a controllare la corretta valutazione del prezzo delle azioni; s ad analizzare, infine, le operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi sottoscritti alla fine del 2012 dalla banca vigilata. L'arco temporale di riferimento assunto dagli ispettori era stato quello tra il 1.1.2014 ed il 28.2.2015. Il c.d. "mini aucap", poi, non era stato incluso nell'accertamento perché, in tale occasione, la banca aveva effettuato operazioni dì taglio piccolo (6250 euro/100 azioni) per le quali aveva espressamente previsto la possibilità di finanziamento da parte dello stesso istituto di credito, con corretta deduzione delle azioni acquistate dal patrimonio di vigilanza. Per il mercato secondario, poi, erano state analizzate tutte le operazioni per un controvalore superiore ai 250.000 euro. Quanto alla metodologia operativa seguita per intercettare le operazioni di capitale finanziato erano stati adottati criteri dì tipo quantitativo e qualitativo. Sotto il primo profilo erano state tracciate le operazioni caratterizzate da "una relazione forte" tra ammontare finanziato e sottoscritto (nel senso che il "finanziato" avrebbe dovuto essere superiore al "sottoscritto", sia con riferimento alle operazioni "full", ovverosia quelle in cui l'intero finanziamento era stato utilizzato per l'acquisto delle azioni; sia a quelle cc.dd. "fifty-fifty", ovverosia nelle quali solo una parte del finanziamento era stato impiegato per l'acquisto dei titoli). In ordine al dato temporale erano stati analizzati, in relazione al mercato primario, solo i finanziamenti concessi nel "periodo sospetto", ricompreso tra la data di inizio del collocamento e il giorno della consegna del titolo al cliente (c.d. delivery date), pari a circa tre mesi. Diversamente, in ordine al mercato secondario, erano state analizzate tutte le operazioni di acquisto in cui i finanziamenti erano stati erogati nei tre mesi antecedenti (posto che dai colloqui avuti con Se.Ro., addetto all'ufficio soci, gli ispettori avevano appreso che la tempistica media seguita dalla banca per evadere un ordine di acquisto di azioni non superava, per t'appunto, ì 90 giorni circa). In ogni caso - precisava il tribunale - gli ispettori avevano verificato che, generalmente, ì finanziamenti erano risultati concessi pochi giorni prima dell'esecuzione dell'ordine di acquisto. Altri elementi considerati ai fini ispettivi erano stati l'analisi dei conti, quasi tutti caratterizzati da bassissima operatività, nonché la valutazione delle P.E.F., (ovverosia le pratiche elettroniche di fido), risultate costantemente connotate dall'indicazione di causali estremamente generiche e ripetitive e, pertanto, ritenute sintomatiche di "operazioni eccentriche". Inoltre, anche la circostanza che le operazioni fossero "operazioni in bianco" (ovverosia prive di garanzia) costituiva una prassi anomala rispetto ai normali standard creditizi di sana e prudente gestione del portafogli creditizio di una banca. Quindi, con specifico riferimento agli esiti dell'ispezione, il tribunale illustrava le seguenti evidenze: a) l'esistenza di capitale finanziato per un importo complessivo di 506 milioni, capitale che, proprio in quanto oggetto di finanziamento, avrebbe dovuto essere detratto dal patrimonio di vigilanza; b) il rilascio di lettere di impegno collegate ad acquisti sul mercato secondario (peraltro non registrate nella contabilità aziendale né rappresentate nei documenti di bilancio) con le quali l'istituto si era vincolato al rimborso del capitale investito dagli azionisti nella banca, A fine ispezione, in relazione a tali lettere di impegno (la scoperta delle quali - precisava il tribunale sulla scorta della deposizione del teste Em.Ga. - aveva rappresentato un vero e proprio punto di svolta nell'ispezione, trattandosi della prova documentale della consapevolezza, da parte del management, del carattere finanziato dell'acquisto delle azioni), l'istituto era stato costretto a dedurre dal CET 1 circa 21 milioni di euro; c) il fenomeno degli storni di interessi alla clientela fonde tenerla indenne dei costi derivanti dal finanziamento correlato all'acquisto delle azioni). In alcuni casi si era trattato di storni non "baciati" da finanziamenti e, pertanto, sintomatici di un comportamento concludente dell'azienda finalizzato a riconoscere al cliente un corrispettivo per il possesso delle azioni, con conseguente accrescimento dei rischi legale e reputazionale a carico dell'azienda medesima. Peraltro la pratica degli "storni" aveva generato un vincolo sul rendimento delle azioni tale da precluderne la computabilità nel patrimonio di vigilanza; d) la sopravvalutazione del valore dell'azione, valore deciso a monte dal CdA senza considerare i dati fondamentali dell'azienda sotto il profilo economico-patrimoniale; profilo, in effetti, caratterizzato da risultati economici modesti; e) lo squilibrio del mercato secondario delle azioni, in quanto connotato da una marcata asimmetria tra ordini di acquisto e ordini di vendita (572,5 milioni contro 1.000.000,000, nel periodo gennaio 2013 - dicembre 2014); asimmetria, peraltro, risultata all'origine proprio del ricorso al capitale finanziato, quale strumento per contrastare l'illiquidità del titolo; f) l'investimento per euro 350,000.000 nei fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" ad esposizione sconosciuta, effettuato in modo non prudente né trasparente. Si trattava, in effetti, di fondi ad esposizione non comunicata, dei quali, sostanzialmente, B. era sottoscrittore unico (sicché, più che di fondi, si era in presenza di una gestione patrimoniale delle risorse dell'istituto di credito). Né i dirigenti della banca avevano fornito delucidazioni agli ispettori sulla natura degli investimenti in detti fondi se non a seguito della comunicazione che la mancata disclosure avrebbe comportato lo scomputo dell'intero importo di 350 milioni di euro dal patrimonio di vigilanza. Solo a quel punto, infatti, erano stati comunicati gli investimenti sottostanti ed era così emerso non solo che detti fondi avevano investito in asset in buona parte legati allo stesso istituto di credito ma, soprattutto, che i fondi medesimi erano stati lo strumento utilizzato per l'acquisto di azioni proprie, nel 2012, per un importo di 60 milioni di euro (in luogo di quello dichiarato di 54 milioni circa), titoli poi dismessi al 31 dicembre del 2014; g) l'esistenza della società di diritto irlandese B.Fi., utilizzata anche per alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato (operazioni relative, segnatamente: a) alla campagna "svuota fondo" 2012, tradottasi nell'acquisto dì azioni proprie, per il valore complessivo di 30 milioni di euro, per il tramite delie società italiane denominate Pe., Gi. e Lu., all'uopo provviste del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate da B.Fi.; b) alla dismissione delle azioni proprie detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" ed "(...)" ed acquistate, per una rilevante percentuale, dalla società So. Ltd. a mezzo di un finanziamento erogatole dalla predetta società di diritto irlandese B.Fi.). In definitiva - precisava il primo giudice - gli esiti cui era pervenuta l'attività ispettiva avevano generato un impatto deflagrante sul patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito, comportandone la riduzione per un valore di 607 milioni di euro (come da tabella riassuntiva riportata a pag. 288 della sentenza impugnata). Ne era seguita la predisposizione di un radicale piano di rafforzamento del capitale, onde consentire alla banca di rientrare immediatamente nei parametri richiesti dalla BCE. Nondimeno, nel prosieguo, la verificata impraticabilità degli interventi necessari a ripristinare la corretta operatività dell'istituto ne aveva imposto la liquidazione coatta amministrativa. Quindi, in ordine alla capacità probatoria da riconoscersi, nei limiti delineati dalla giurisprudenza di legittimità, agli accertamenti ispettivi, il tribunale precisava che tale capacità derivava, segnatamente, dalla competenza del personale dell'organo di vigilanza; dalla imparzialità propria dì tale organo (le cui valutazioni, del resto, avevano determinato un nuovo assetto di governance dell'istituto di credito); dalla coerenza, infine, tra gli esiti dell'ispezione e quanto verificato dai consulenti del P.M.. Peraltro anche il dott. Fe.Pa., consulente della difesa dell'imputato PE., aveva rimarcato il carattere "profondamente innovativo" e metodologicamente "ineccepibile" dei criteri seguiti dal team ispettivo nel corso della vigilanza, sottolineando anche la natura prudenziale dell'accertamento (sottostimato) che ne era derivato in punto di quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre - precisava il tribunale - numerosi erano stati i riscontri all'analisi della BCE. Trattavasi: a) dello squilibrio del mercato secondario, siccome manifestatosi a partire dal 2011 (squilibrio che, in difetto del ricorso al finanziamento delle azioni, avrebbe portato al "blocco della liquidità" già dal secondo trimestre del 2012; b) delle dichiarazioni di numerosi esponenti del management aziendale (segnatamente: i testi Fi.Ro., responsabile dell'Ufficio Soci, e Se.Ro., addetto allo stesso Ufficio Soci, i quali avevano rievocato l'incremento della richiesta di vendita delle azioni a partire dagli anni 2011/2012 e l'abbandono del relativo criterio cronologico a decorrere dallo stesso 2011; il teste Co.Tu., il quale aveva riferito che già dal 2009 erano state effettuate "operazioni svuota fondo" - rivolte cioè ad azzerare il fondo acquisto azioni proprie della banca - a ridosso della fine dell'anno per abbellire il bilancio; il teste Ma.Ba., il quale aveva dichiarato che dalla metà del 2011 aveva iniziato a sentire parlare di "operazioni K", finanziamenti correlati e operazioni c.d. "baciate" nel corso delle riunioni della Divisione Mercati con i capi area; l'ex direttore generale dal 2001 al 2005 e dal 2008 all'ottobre 2011, Di.Gr., il quale aveva confermato le tensioni sul mercato a causa della scarsità di domande di acquisto delle azioni, tensioni da lui fronteggiate rivolgendosi a investitori istituzionali che avevano comprato azioni B. con intesa verbale di riacquisto); c) degli appunti del segretario generale Ma.So. relativi alle operazioni c.d. "baciate", dal medesimo teste definite come operazioni sulle quali, dietro indicazione dei vertici aziendali, occorreva "spingere" per aumentare il capitale; d) degli ulteriori riscontri documentali in ordine all'andamento asimmetrico del mercato secondario (in particolare la e-mail di cui al documento nr. 166 e l'appunto di cui al documento 881 prodotti dal P.M. - cfr. pag. 304 della sentenza impugnata); e) delle attività "svuota fondo", attuate anche attraverso le operazioni c.d. "baciate" (per un importo stimato dai CCTT del P.M., con riferimento all'anno 2012, pari a 287 milioni di euro), delle quali avevano complessivamente riferito svariati testi (segnatamente i testi Fi.Ro., En.Da., Gi.Ca., Ma.Ba., Co.Tu. e Fr.Pi.); f) delle stesse dichiarazioni rese, nel corso del suo esame, dall'imputato Gi.Zi. (il quale aveva riferito che alla fine del 2012, attraverso la sua società Ze. s.r.l. aveva acquistato azioni dell'istituto di credito per "dare una mano alla banca" e consentire lo sblocco di richieste di vendita inevase); g) della ricostruzione del fenomeno del capitale finanziato siccome effettuata dall'Internal audit (e compendiata nel documento nr. 22 prodotto dal P.M.); h) delle dichiarazioni dibattimentali del teste Ro.Ri., gestore private di Contrà Porti (il quale aveva riferito delle modalità di attuazione delle operazioni più consistenti di capitale finanziato - i cc.dd. "big ticket" -caratterizzate da un arco temporale ristretto di 6/12 mesi e dalla corresponsione di un compenso variabile tra lo 0,50% e il 2%); i) delle articolate modalità di occultamento delle operazioni correlate, costituite, segnatamente: dal divieto di comunicazioni scritte (come riferito dai testi Co.Tu., Al.Cu. e Gi.Gi.; il teste Fr.Te., dal canto suo, aveva parlato di un eccesso di riservatezza al riguardo); dall'utilizzo di formule generiche nelle causali degli affidamenti (in particolare "cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare e/o immobiliare") tali da occultare all'esterno - ma, al contempo, da rendere immediatamente riconoscibili all'interno - le operazioni correlate; dal distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni; dalla cura prestata nell'evitare l'assoluta coincidenza di importo tra finanziamento ed azioni acquistate; e, infine, dall'inserimento nel portafoglio titoli dei clienti anche di azioni diverse; j) dell'esistenza delle lettere di impegno (l'Internal audit ne aveva censite in numero di 65); k) degli "storni" di interessi, siccome verificati anche dalle attività di audit (il documento richiamato era quello nr. 18 della produzione del P.M.) e oggetto di deposizione testimoniale (segnatamente, le deposizioni di Da.Es., funzionario addetto al "Risk Management", nonché quelle di Co.Tu., di Gi.Ca. e di Lu.Ve.); l) delle modalità seguite per il collocamento delle azioni quali evidenziate, ancora, dalla relazione di audit (modalità costituite: dall'acquisto con mezzi propri a fronte della promessa di una remunerazione proveniente dal pagamento dei dividendi, associata all'eventuale plusvalenza del prezzo dell'azione con eventuali scostamenti compensati attraverso storni di competenze non giustificati; dall'acquisto con mezzi propri di azioni B. per circa il 50% dell'importo disponibile e sottoscrizione per la parte rimanente di un time deposit a tasso di favore, in linea di massima del 4%, acquisto, questo, proposto a partire dal 2013; da finanziamenti "baciati" con storno competenze/spese e rendimento garantito, con durata, in genere, di 6/12 mesi; da fidi per "operazioni K" concessi a clienti cui era proposto un affidamento per ragioni proprie del cliente e con erogazione condizionata alla sottoscrizione di almeno il 10% dell'operazione per acquisto di azioni proprie; operazione, questa, poi estesa anche alle posizioni con fidi a revoca da revisionare su clienti individuati in tabulati forniti dalla Divisione Mercati; dall'acquisto di azioni proprie proposto in occasione di affidamenti su clientela con rating compreso tra 1 e 5 per il retati (ovverosia per i singoli clienti) e tra 1 e 6 per il corporate (ovverosia per le imprese); m) dei riscontri dibattimentali in ordine alla prassi adottata dai vertici dell'istituto per dare attuazione alle operazioni correlate con l'obiettivo di raggiungere, sia in occasione dei nuovi finanziamenti che nelle procedure di rinnovo, il rapporto del 10% tra il capitale sottoscritto e l'importo erogato. Dalle dichiarazioni dei testi, invero, era emersa la forte pressione praticata sulla rete aziendale per la conclusione delle operazioni "baciate" (deposizioni Al.Ba., Gi.Gi., Co.Tu., Ma.Ni., Di.Ip., Al.Cu.) al punto tale che alcuni collaboratori, come i private banker An.Vi. e Fr.Te., avevano rassegnato le dimissioni (il Te. proprio sul rilievo della contrarietà etica rispetto alle operazioni di capitale finanziato). Il verbale di conciliazione successivo alle dimissioni del Te., peraltro, aveva previsto l'inserimento di una clausola di riservatezza. Anche i bollettini sindacali acquisti nel corso del dibattimento, infine, avevano comprovato, così come le e-mail parimenti acquisite, le pressioni per il raggiungimento degli obiettivi di capitale assegnati (cfr. pagg. 317-318 della sentenza); n) delle dichiarazioni dibattimentali rese da clienti di rilievo (cfr. dep. Lo., Fe., Mo., Ro., To., Ti., Ma., Ca., Ma., Br., Ca., Gi. e Si.Ra.) che avevano concluso le operazioni aventi ad oggetto i "big ticket', là dove costoro avevano concordemente delineato lo schema operativo di riferimento (operazione a termine/apertura conto corrente dedicato/remunerazione variabile tra lo 0,5% e l'1%); o) delle dichiarazioni rese dall'ispettore Gi.Ma. (confermate dalla testimonianza del direttore regionale B. della Lombardia, della Liguria e del Piemonte, Gi.Gi. e dal direttore di B.Fi. Pi.Ra.) con specifico riferimento alle modalità operative seguite per realizzare lo "svuota fondo" del 2012 attraverso la società controllata irlandese B.Fi. per il tramite delle tre società italiane Pe., Lu. e Gi., all'uopo provviste -come detto sopra - del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate, per l'appunto, da B.Fi.; p) dell'operazione di acquisto di un'importante frazione delle azioni B. già detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", effettuata dalla società So. Ltd. per l'importo di 25 milioni di euro, secondo quanto emerso dalle stesse risultanze delle attività di revisione interna nonché dal contenuto delle deposizioni dibattimentali, ivi compresa quella di Iorio Francesco, amministratore delegato e d.g. di B. dal 1.6.2015 al 4,12,2016; questi aveva confermato come, di fatto, i suddetti fondi esteri fossero stati utilizzati sia per acquistare in origine azioni della banca sia per effettuare investimenti in società riconducibili a soggetti già finanziati dall'istituto (investimenti, questi ultimi, che, generando un rischio aggiuntivo, avrebbero imposto che fosse seguito un iter autorizzativo ben diverso, con competenza al rilascio del benestare da parte del CdA - cfr. pagine 325-329 della sentenza); q) delle dimissioni del private banker An.Vi., generate dalle pressioni ricevute per concludere le operazioni "baciate" e dall'atteggiamento dilatorio assunto dal d.g. Sa.So. a seguito delle conseguenti richieste di approfondimento della vicenda provenienti dal responsabile dell'audit Ma.Bo. (cfr. deposizione Vi. e documentazione di riferimento); r) della denunzia del fenomeno degli acquisti correlati effettuata, nel corso dell'assemblea del 26 Aprile 2014, dal socio Ma.Da. e della conseguente inerzia degli organi societari; s) delle anomalie riscontrate in occasione della revisione legale del bilancio della banca da parte della società K. in punto di adeguatezza patrimoniale con particolare riferimento alle operazioni fatte in contestualità, anomalie che avevano indotto la responsabile dell'ufficio legale interno a sollecitare l'esecuzione di un apposito audit ottenendo, tuttavia, un fermo diniego da parte del d.g. So. e di Pi.An., responsabile della Divisione Finanza (il quale ultimo aveva replicato: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa" - cfr. deposizione An.Pa., responsabile dell'ufficio legale interno); t) del contenuto del file audio (ritenuto dal tribunale utilizzabile, trattandosi di documento registrato dagli addetti informatici a ciò deputati e non già di abusiva registrazione effettuata da ignoti, donde il rigetto della relativa eccezione avanzata dal difensore dell'imputato MA.) inerente allo svolgimento dei lavori del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Tale registrazione aveva inequivocabilmente documentato tanto l'esistenza del fenomeno delle operazioni "baciate" quanto l'approntamento di strategie per occultare tale fenomeno alla vigilanza (cfr. pagg. 335-336 della sentenza); u) dell'allestimento della "Task Force gestione soci" che, nelle intenzioni dei vertici della banca, avrebbe dovuto approntare, in extremis, una strategia difensiva in relazione ai diversi profili di irregolarità emersi nel corso degli accertamenti ispettivi e favorire l'assunzione di una posizione comune a fronte delle sempre più pressanti richieste da parte dei clienti, dei reclami relativi al deprezzamento delle azioni e del rischio di fuga dei correntisti. Era stata proprio la questione, emersa sin dalle prime interlocuzioni, del fenomeno del capitale finanziato, peraltro di dimensioni notevolissime (pari a un miliardo di euro, secondo il teste Ma.Li.) che, di fatto, aveva impedito alla Task Force di esplicare qualsivoglia concreta attività (cfr. deposizione del teste Gi.Am.; e-mail di cui ai documenti nn.ri 525, 528 del P.M:); v) della quantificazione del capitale finanziato chef determinata dall'audit interno, su incarico BCE, nella misura di euro 941.335.883 e riferita a nr. 917 posizioni correlate, era poi stata fissata dalla società Er. (all'esito di una accurata ricostruzione del fenomeno, a partire dall'anno 2008, che aveva visto coinvolti il personale della Divisione Mercati ed i singoli capi area, questi ultimi richiesti di confermare/integrare i dati che andavano emergendo) nella misura di euro 1.086.892.062; w) della relazione redatta ex art. 33 l.f. dai commissari giudiziali che avevano individuato le cause del dissesto dell'istituto di credito, segnatamente: nella fissazione di un prezzo delle azioni sovrastimato (anche a causa della predisposizione di piani economico-finanziari mirabolanti, se non addirittura fantasiosi e per l'effetto dell'ausilio di professionisti incuranti dei dati utilizzati per le loro stime e valutazioni); nel massiccio ricorso alle operazioni correlate; nell'effettuazione di operazioni non strettamente riconducibili all'attività di erogazione del credito alla clientela bensì consistenti in investimenti in altre società, partecipazioni, ovvero in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) quali i fondi lussemburghesi (che avevano anche agito da "società veicolo" per operazioni "back to back") e, quindi, in definitiva, in operazioni eccessivamente speculative, rischiose o addirittura illecite; nella continua pratica di sollecitare il mercato azionario stimolando gli acquisti di azioni proprie grazie ai finanziamenti correlati, occultando le perdite e sovrastimando i titoli; e, infine, nella decisione di celare il continuo peggioramento della qualità del credito attraverso la sottostima delle rettifiche e l'occultamento delle perdite a bilancio. 1.5.2 La consulenza tecnica dei P.M. Assoluto rilievo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato agli esiti della consulenza tecnica disposta - nel corso delle indagini - dagli inquirenti. In particolare i consulenti dott.ssa La.Ca. e prof. Ro.Ta., all'esito di una valutazione analitica della documentazione a disposizione riferibile a ciascuno dei 965 clienti che erano stati segnatati per avere operato tramite finanziamento - valutazione, peraltro, fondata sull'adozione di un approccio prudenziale (caratterizzato, per evitare duplicazioni nel caso di finanziamenti indiretti, dall'attribuzione all'organo deliberante il finanziamento del controvalore di uno solo degli acquisti) - avevano evidenziato: con riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati (quesito nr. 1): - che dei 965 clienti segnalati solamente 91 non erano stati finanziati da B., sicché le posizioni finanziate erano pari a nr. 874; - che l'ammontare degli acquisti finanziati era pari a complessivi 1.031,6 milioni di euro (per un totale di azioni B. acquistate tramite finanziamento pari a 15.426.391), di cui euro 963 milioni riferiti ad acquisti di azioni B. ed euro 68 milioni riferiti a sottoscrizioni di prestito obbligazionario convertibile; - che la quota prevalente degli acquisti era riferibile a operazioni finanziate da B. (essendo imputabili alle controllate B.Fi. e Ba.Nu., rispettivamente, acquisti per euro 55,4 milioni e per euro 5,2 milioni); - che, quanto all'aumento di 506 milioni di euro di capitale effettuato nel 2013, la banca aveva finanziato il 28% dell'operazione, per un valore complessivo di euro 143 milioni; - che, quanto all'aumento di capitale nell'anno 2014 per euro 607,8 milioni, l'ammontare finanziato era stato di 136 milioni (pari al 22%); - che nel 64% degli acquisti il rapporto tra finanziamento e acquisto delle azioni era risultato pari o superiore al 90%; - che, quanto all'ammontare del valore dei titoli suddiviso per ciascun organo deliberante in relazione al periodo oggetto di indagine (30.6.2012-31-3.2015), al CdA andava "attribuito" un valore di euro 414.193.319 (pari al 35% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al Comitato Crediti un valore di euro 160-029.069 (pari al 13% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile Divisione Crediti, Ma.Pa., un valore di euro 108.418.754 (pari al 9% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile della Divisione Mercati, Gi.Em., un valore di euro 32.941.194; al Comitato Esecutivo un valore di euro 63.196.606; al Comitato Centrale Fidi, infine, un valore di euro 49.936.575; con riferimento al fenomeno della vendita delle azioni con patto di riacquisto (quesito nr. 2): - che tale fenomeno si era concretizzato nel rilascio di lettere in favore di 14 azionisti, trattandosi dei soggetti nei confronti dei quali la banca si era incontrovertibilmente impegnata al riacquisto delle azioni, il tutto per un valore complessivo di 46,6 milioni di euro (le restanti lettere non erano state prudenzialmente considerate in quanto contenenti un impegno "più debole", ovvero perché mai consegnate agli azionisti); con riferimento alla determinazione del patrimonio di vigilanza e del livello dei coefficienti patrimoniali prudenziali (quesito nr. 3) : - che, doverosamente detratti dall'ammontare del patrimonio di vigilanza (ovvero dall'ammontare dei "fondi propri", secondo la terminologia introdotta dal CRR), quale comunicato dalla Banca all'organo di vigilanza, tanto l'importo complessivo degli acquisti di azioni B. effettuati dai clienti considerati finanziati, quanto l'ammontare degli impegni al riacquisto di azioni ritenuti effettivamente vincolanti e prudenzialmente diminuite anche le attività ponderate per il rischio (RWA) del medesimo ammontare (sul rilievo che le operazioni di finanziamento non sarebbero state ragionevolmente poste in essere se non per il raggiungimento dello scopo in questione), la differenza tra il Total Capital Ratio comunicato e quello rettificato andava da un minimo di 1,16% a un massimo del 3,4% (31.3.2015). Inoltre: il CET 1 ratio rettificato al 31.3.2014 (6,63%) ed al 30.6.2014 (6,24%) si attestava a un livello inferiore alla soglia minima regolamentare del 7%; il Tier 1 Ratio rettificato si attestava ad un livello inferiore rispetto alla soglia target comunicata alla Banca d'Italia, pari all'8%, per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013 (valore minimo 6,32%, valore massimo 7,34%); per il Total Capital Ratio, infine, il dato rettificato al 31.3.2014 (8,51%), al 30.6.2014 (7,94%), al 30.9.2014 (9,57%), al 31,12.2014 (8,47%) e, infine, al 31,3,2015 (8,51%), si posizionava costantemente sotto la soglia minima regolamentare del 10,5%. con riferimento all'effetto distorsivo del fenomeno di assistenza finanziaria all'acquisto di azioni sul funzionamento ed andamento del mercato secondario (quesito nr. 5): - che il fenomeno del ricorso al capitale finanziato - risultato massiccio in coincidenza della fine dell'anno, con conseguenti, repentine diminuzioni del fondo acquisto azioni proprie - aveva comportato una profonda distorsione del mercato. In effetti la dettagliata ricostruzione delle dinamiche di acquisto dei titoli sul mercato secondario aveva reso evidente come il ricorso ai finanziamenti degli acquisti di azioni avesse consentito alla banca di mantenere il funzionamento del mercato secondario solo fino al 2012, A partire dall'anno successivo, infatti, l'istituto non era più stato in grado di garantire la liquidità del titolo; con riferimento alla stima del valore dell'azione (quesito nr. 4): - che il prof. Ma.Bi. (l'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) aveva basato il suo giudizio sui criteri, rispettivamente, reddituale (c.d. Income Approach), di mercato (c.d. Market Approach) e del costo (c.d. Cost Approach). Il CdA dell'istituto, dal canto suo, nel determinare il valore del titolo aveva assegnato rilievo pressoché esclusivo al criterio reddituale (Income Approach). Peraltro, l'assemblea, nel triennio di riferimento, aveva approvato il valore dell'azione allineandosi al valore massimo calcolato dal predetto professionista con riferimento al parametro in questione. Ebbene, l'approccio del prof. Bi. non era condivisibile in quanto non conforme alle raccomandazioni della dottrina e della prassi professionale, avendo comportato una sopravvalutazione del capitale economico di B. nel periodo 31.12.2012 - 31.12.2013. Quanto all'anno successivo, sebbene il professionista avesse preso atto di una riduzione del valore del titolo, si era comunque in presenza di una sovrastima dell'azione, in considerazione degli effettivi risultati economici consuntivi dell'attività dell'istituto e del marcato disallineamento con le quotazioni di borsa delle principali banche italiane. Pertanto, doverosamente considerato il fenomeno del capitale finanziato, era stato necessario procedere ad effettuare una nuova stima del capitale economico della banca e, quindi, del valore delle azioni, sia non rettificando gli RWA sia operando tale rettifica (ricostruzione, quest'ultima, più favorevole agli imputati). Il risultato era stato, in entrambi i casi, quello di una significativa riduzione di valore del titolo, stimato nei seguenti termini: al 31.12.2012 tra euro 21,94 e euro 22,49 (a fronte dì un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 55,77 euro e 56,31 euro); al 31.12.2013 tra euro 26,78 ed euro 27,45 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 54,40 e 55,05 euro); al 31.12.2014 tra euro 23,87 ed euro 24,94 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 41,68 euro e 42,70 euro). In definitiva, secondo il tribunale, i consulenti del P.M., avevano compiuto una ricostruzione dei fenomeni analizzati esaustiva e affidabile in quanto espressione di metodologia ispirata a prudenza; ricostruzione, peraltro, significativamente coerente con il perimetro già tracciato dagli ispettori BCE. In particolare ì consulenti avevano verificato che gli acquisti di azioni e obbligazioni fossero avvenuti attingendo, in tutto o in parte, a risorse fornite dalla banca mediante un nuovo affidamento concesso prima dell'operazione, ovvero mediante l'impiego di eventuali preesistenti erogazioni non ancora utilizzate. Inoltre avevano rispettato la normativa prudenziale in materia. In particolare la riprova dello scrupolo che aveva guidato l'azione dei consulenti era costituita dal fatto che i predetti avessero espunto ben 91 posizioni rispetto al numero di operazioni finanziate originariamente individuati dall'Internai audit. La diversa quantificazione del capitale finanziato compiuta dagli ispettori BCE, poi, era essenzialmente dipesa dal differente arco temporale oggetto di verifica (sul punto il tribunale, a pagina 380 della sentenza, riportava una tabella sinottica). Gli esiti di consulenza, inoltre, erano risultati coerenti con il materiale probatorio acquisito, non solo di tipo testimoniale ma anche documentale (davvero inequivoco, sul punto, ad avviso del primo giudice, era il contenuto della registrazione audio della seduta del Comitato di Direzione del 10 novembre 2014, là dove il d.g. So. aveva affermato espressamente "...abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare..."). Né, del resto, i consulenti delle difese avevano proposto una quantificazione alternativa del fenomeno del capitale finanziato in esame, sostanzialmente essendosi limitati a sostenere come i cc.tt. del P.M. avessero effettuato una stima in eccesso. Per converso emergevano dati inequivoci del fatto che si fosse trattato di una stima prudenziale, attuata per difetto. A riscontro di ciò il Tribunale richiamava la vicenda dell'operazione finanziata conclusa con la El. (operazione avente un valore, ad avviso dei consulenti, di 17 milioni di euro ma ammontante, secondo il teste Pi.Ca., a ben 20 milioni di euro). Infine, neppure le ulteriori censure difensive erano fondate ad avviso del primo giudice. In particolare, nella prospettiva del tribunale, era errata la tesi secondo la quale l'obbligo di detrazione dal capitale di vigilanza avrebbe presupposto l'esistenza di un "nesso teleologico" tra il finanziamento erogato e l'acquisto delle azioni (tesi che i consulenti delle difese ZO. e ZI. ancoravano alla circolare n. 263/2006 della Banca d'Italia). In effetti la ratio della normativa prudenziale - precisava il primo giudice - era quella di tutelare l'effettiva integrità del patrimonio aziendale, sicché non era affatto sostenibile un'interpretazione tale da rimettere alla volontà dei contraenti l'individuazione delie operazioni di finanziamento destinate all'acquisto delle azioni, esponendo a scontate elusioni le regole poste a presidio dell'integrità del patrimonio dì vigilanza. In realtà tutta la normativa di riferimento (a partire dalla circolare di Banca d'Italia n. 155/91 fino al Regolamento UE 575/13 e, ancora, al Regolamento UE 241/14) assegnava rilievo unicamente al dato oggettivo dell'utilizzo del finanziamento per l'acquisto delle azioni. Parimenti oggettivi, del resto, erano i criteri di cui alla circolare n. 263/2006 evocata dalle difese (contenente, sul punto, disposizioni che suggerivano di porre a confronto elementi meramente oggettivi, quali il dato temporale dell'erogazione del finanziamento e quello dell'acquisto delle azioni, nonché i relativi importi, senza assegnare rilievo alcuno alla finalità perseguita dalle parti). Anche l'ulteriore prospettazione difensiva secondo cui la deduzione del valore del finanziamento dal patrimonio di vigilanza non si sarebbe dovuta effettuare con riferimento all'acquisto di azioni sul mercato secondario (in quanto, in tal caso, la banca, avendo finanziato un cliente dotato di merito creditizio, non si sarebbe esposta al rischio di impresa) era destituita di fondamento. Questo non solo per l'assenza di un regime differenziato (tanto nella normativa comunitaria quanto in quella nazionale) con riferimento agli acquisti sul mercato primario, ovvero secondario, ma, soprattutto, per ragioni logiche. Anche in caso di acquisto di azioni proprie sul mercato secondario, infatti, l'omessa decurtazione del valore delle azioni dal patrimonio di vigilanza avrebbe determinato l'effetto distorsivo di annacquamento di tale presidio di garanzia. Senza considerare, poi, che subordinare alla ponderazione del merito creditizio la computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza avrebbe significato, in ultima analisi, rimettere a valutazioni discrezionali l'effettiva entità del patrimonio di vigilanza medesimo. Infine, nella prospettiva del primo giudice, neppure la censura relativa alla mancata specifica considerazione - nel valutare l'esistenza di operazioni correlate - del fattore temporale coglieva nel segno. Questo, solo a considerare il fatto che larghissima parte (circa l'86%) degli acquisti di azioni che, secondo i consulenti del P.M., erano stati finanziati aveva avuto luogo entro novanta giorni dal finanziamento. Conclusivamente, le stime effettuate dai predetti consulenti erano affidabili e semmai peccavano per difetto piuttosto che per eccesso nella quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. 1.6 Il reato di aggiotaggio Il tribunale di Vicenza riteneva provata la commissione di una pluralità di reati di aggiotaggio, posti in essere tra l'anno 2012 e l'anno 2015 e concretizzatisi: - nella sistematica concessione di assistenza finanziaria per l'acquisto e la sottoscrizione di azioni della banca onde determinare l'apparenza di liquidità del titolo; nell'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo delle azioni finanziate; e, infine, nella mancata comunicazione all'esperto incaricato di stimare il sovrapprezzo delle azioni B. dell'esistenza della prassi del capitale finanziato (aggiotaggio manipolativo): - nella diffusione di mendaci informazioni relative all'entità del patrimonio societario, alla solidità patrimoniale della banca, alla crescita della compagine sociale e al buon esito delle operazioni di aumento di capitale (aggiotaggio informativo. In particolare, dopo una accurata ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, il tribunale, quanto all'ipotesi di "aggiotaggio manipolativo", indicava come simulate le sistematiche operazioni di capitale finanziato effettuate, trattandosi di operazioni, per l'appunto, di natura simulata o, comunque, artificiosa. Simulata, più precisamente, doveva ritenersi tale natura con riferimento alle operazioni di finanziamento per importi corrispondenti al valore delle azioni e caratterizzate non già dal rimborso del finanziamento da parte del cliente bensì dall'impegno (orale, ovvero assunto per iscritto) al riacquisto delle azioni stesse da parte della banca, senza costi per il cliente (e talvolta con un rendimento garantito), essendosi in presenza, in tal caso, di un mutamento solo apparente della titolarità delle azioni, in realtà sempre rimaste nella proprietà della banca (con conseguente rischio derivante dalla fluttuazione del valore del titolo non già in capo al cliente, ma all'istituto di credito), donde una radicale estraneità di siffatte operazioni rispetto all'ipotesi ex art. 2358 c.c.. Analogamente simulate erano anche le operazioni di acquisto di azioni proprie effettuate tramite i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", trattandosi - di fatto - di una gestione patrimoniale di risorse interne, attuata al solo fine di svuotare il "fondo acquisto azioni proprie". Artificiosa, con riferimento alle altre operazioni di capitale finanziato, doveva ritenersi la loro natura sia quanto allo scopo (costituito, al solito, dal finanziamento dell'acquisto con risorse della banca) sia quanto alle modalità di gestione del trattamento contabile (in ragione dell'omessa appostazione a riserva del controvalore, dell'omessa decurtazione del patrimonio di vigilanza ed anche dell'occultamento al mercato), il tutto al fine di fare apparire tali acquisti come espressione della dinamica fisiologica di un attivo mercato secondario. Peraltro - precisava il tribunale - era emersa la mancata comunicazione al prof. Bi. (ovverosia all'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie, con l'effetto che detta stima (come, del resto, precisato dallo stesso Bi.) ne era risultata pesantemente condizionata (cfr. pagg. 419-422 della sentenza). Quanto, poi, agli addebiti di "aggiotaggio informativo" costituiti dalla diffusione di notizie false, si trattava - secondo la valutazione del primo giudice, pienamente adesiva, anche sul punto, rispetto all'impostazione d'accusa - di informazioni comunicate con una pluralità di mezzi che, per diffusività e platea dei destinatari di riferimento, erano obiettivamente risultate idonee a raggiungere praticamente tutte le tipologie di operatori. Più nel dettaglio, la falsità era risultata effettivamente attinente: - ai bilanci d'esercizio al 31.12.2012, al 31.12.2013 ed al 31.12.2014, stante la mancata iscrizione di una quota di riserva pari al valore delle azioni proprie; -ai comunicati stampa (taluni dei quali - quelli emessi ex art. 114 TUF - valevoli anche come comunicazioni al pubblico) dell'8.8.2012 diffuso ex art. 114 D.L.vo 58/98 (ove si evidenziavano, in particolare, valori falsati quanto alla solidità patrimoniale del gruppo e al miglioramento della liquidità strutturale, il tutto in un contesto nel quale si rimarcavano l'espansione della rete di vendita, l'incremento della clientela e l'aumento della compagine sociale); del 19.3.2013 (nel quale, comunicandosi i risultati del bilancio di esercizio e consolidato al 31.12.2012, si evidenziavano "Il rafforzamento della posizione di liquidità" e "l'ulteriore incremento della solidità patrimoniale" e si riportava l'entusiastico messaggio del presidente ZO.); del 27.4.2013 (di comunicazione del risultato del bilancio al 31.12.2012, nel quale si sottolineava la stabilità del valore dell'azione a 62,50 euro sulla base di un'approfondita perizia formulata da un autorevole consulente esterno", si riportava l'apprezzamento dell'assemblea per i risultati positivi conseguiti dalla banca e, ancora, si citava il giudizio lusinghiero del presidente ZO.); del 27.8.2013 (significativamente dedicato alla comunicazione del "miglioramento della gestione operativa" e del significativo rafforzamento patrimoniale", per effetto della positiva conclusione dell'operazione di raccolta di ingenti risorse, in ragione di un consistente aumento di capitale e di una altrettanto consistente raccolta di ben 253 milioni di prestito convertibile, comunicandosi che l'istituto poteva vantare un Core Tier al 30 giugno pari al 9%; anche in tal caso la comunicazione riportava il consueto messaggio positivo dei presidente ZO.); deH'8.8.2014, effettuato ai sensi dell'art. 114 D.L.vo 58/98 (con il quale si comunicavano i risultati dell'aumento di capitale 2014, conclusosi con "pieno successo", e si riferiva il giudizio del presidente ZO. in ordine al fatto che l'istituto potesse vantare "coefficienti patrimoniali particolarmente elevati"); del 29,8,2014 (nel quale si illustravano ì risultati della semestrale del 2014, ribadendosi il successo dell'aumento di capitale di tale anno, segnalandosi l'accrescimento della base sociale e della clientela e l'incremento "significativo" dei proventi derivanti dall'attività bancaria tradizionale e, complessivamente, si enfatizzavano gli elementi di crescita); del 26.10.2014 (nel quale si comunicava il positivo superamento del Comprehensive Assessment si evidenziavano, altresì, gli effetti positivi delle iniziative di patrimonializzazione esperite nel 2013 e nel 2014 e, infine, si informavano i destinatari che tali iniziative avevano portato l'istituto di credito a poter vantare una *eccedenza di CET1 pari a circa 30 milioni di euro"); del 10.2.2015 (avente ad oggetto i risultati preliminari del bilancio al 31.12.2014, nel quale si evidenziava la politica particolarmente prudenziale adottata dal CdA su indicazione della BCE, con aumento degli accantonamenti su crediti e rettifica degli avviamenti; si precisava che il risultato negativo era conseguente proprio all'adozione di una politica improntata a misura e all'origine, secondo il presidente ZO., di scelte al contempo *coraggiose e prudenziali"; si ribadiva il successo delle iniziative di rafforzamento patrimoniale; si sottolineava, infine, la crescita dei proventi derivanti dall'attività tradizionale in favore di una clientela ulteriormente aumentata); del 3.3.2015 (avente ad oggetto i risultati definitivi al 31.12.2014, nel quale, pur dandosi atto dei rilievi della BCE in ordine alla possibile riduzione del requisito minimo di CET 1, si rassicuravano gli interlocutori con la precisazione che i requisiti minimi erano stati ripristinati e, anzi, superati "già prima della citata riduzione del requisito di Cet1 Ratio"); - alle comunicazioni ai soci (tutte confezionate sulla base di un apposito format e sottoscritte dal presidente ZO.) in data 30.3.2012, 3.9.2012, 19.3.2013, 10.9.2013, 2.4.2014, 9.9.2014, 4.12.2014 e 19.3.2015, tutte costantemente caratterizzate da informazioni rassicuranti in punto di patrimonializzazione dell'istituto, di sicurezza dell'investimento azionario, di enfatizzazione della stabilità del titolo e nelle quali, inoltre, si minimizzava il profilo dell'allungamento dei tempi di vendita dell'azione. Ebbene, tutte le citate condotte manipolative e informative avevano avuto l'effetto di alterare sensibilmente il prezzo delle azioni B.. Se ciò, in effetti, era di immediata percezione per le condotte manipolative (l'investitore essendo stato evidentemente influenzato dalla vivacità degli scambi del titolo sul mercato secondario e dalle valutazioni conseguentemente alterate del valore del titolo medesimo siccome assegnato dall'esperto prof. Bi., la stima del quale aveva prodotto effetti anche sul mercato primario, sollecitato artificiosamente), altrettanto doveva dirsi per quanto riguardava le condotte di alterazione informativa. Questo, in ragione della marcata influenza della comunicazione di dati falsati inerenti a profili di assoluto rilievo nell'economia della scelta di un soggetto interessato all'investimento azionario, in particolare con riferimento ai dati inerenti alla patrimonializzazione dell'emittente (prospettata come particolarmente solida) e alla liquidità del titolo (presentato come appetibile, tanto sul mercato primario quanto su quello secondario). Di qui la conclusione, alla quale coerentemente perveniva il tribunale, in ordine all'efficacia decettiva delle comunicazioni effettuate, nelle occasioni sopra indicate, dall'istituto dì credito. Del resto gli effetti concreti prodotti da tali comportamenti manipolativi e di falsa informazione erano agevolmente riscontrabili - proseguiva il tribunale -analizzando le vicende societarie dell'epoca: - da un lato, infatti, gli investitori avevano perseverato nel riporre fiducia nell'istituto di credito, continuando a investire, ovvero astenendosi dal disinvestimento; - dall'altro, gli aumenti di capitale confluiti senza assistenza finanziaria erano stati comunque consistenti (nell'aucap 2013, su un totale di 506 milioni, 363 milioni erano confluiti senza finanziamenti; nel mini aucap 2013, su 100 milioni, 44 erano confluiti senza assistenza finanziaria; nell'aucap 2014 il rapporto era stato di 471,8 milioni confluiti senza assistenza su un totale di 607,8 milioni; nel mini aucap 2014, infine, il rapporto era stato di 60 milioni su 102 milioni). Inoltre la movimentazione sul mercato secondario, depurata dalle azioni finanziate, sì era attestata sul significativo valore di 900 milioni di euro. Tutto ciò aveva consentito di mantenere il valore del titolo artificiosamente alto. In effetti, a fronte dei valori stimati dal prof. Bi., erano emersi - all'esito di una rinnovata valutazione, posta in essere con criteri prudenziali - valori decisamente inferiori. In particolare: - nel 2012 l'azione era stata sovrastimata di un valore tra 6,73 euro e 6,19 euro rispetto al valore reale, da ridursi, rispettivamente, di una percentuale tra il 10,8% e il 9%; - al 31.12.2013 la sovrastima era stata ricompresa tra 8,10 e 7,20 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 13% alni,9%; - al 31.12.2014 la sovrastima era stata ricompresa tra 6,32 e 5,30 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 18,9% al 16,9%. Inoltre le condotte di aggiotaggio informativo avevano contribuito a rafforzare l'affidamento sulla stabilità patrimoniale dell'istituto di credito. Infatti i dati rettificati avevano evidenziato, anche nell'ipotesi più favorevole, un CET 1 ratio al 31.3.2014 del 6,63% e, al 30.6.2014, del 6,24% (valori, entrambi, al di sotto della soglia regolamentare del 7%); un Tier 1 Ratio dal 6,32% al 7,345% per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013, inferiore, pertanto, rispetto alla soglia-target comunicata alla Banca d'Italia pari all'8%; un Total Capital Ratio al 31.3.2014 dell'8,51%, al 30,6,2014 del 7,94%, al 30.9.2014 del 9,57%, al 31.12.2014 dell'8,47%, al 31.3.2015 dell'8,51% (ovverosia sempre inferiore rispetto alla soglia regolamentare dei 10,5%), Analogamente, le condotte di aggiotaggio manipolativo avevano contribuito ad accreditare l'immagine della banca come credibile e sostenuta del mercato, secondo quanto puntualmente evidenziato dai consulenti del P.M.. Con riferimento, poi, al profilo del concorso dei reati, il tribunale precisava come l'art. 2637 c.c prevedesse tre diverse modalità di esplicazione della condotta delittuosa, all'origine, rispettivamente, delle ipotesi di aggiotaggio informativo e aggiotaggio manipolativo o operativo. Di qui la natura della disposizione in esame quale disposizione contenente "norme penali miste cumulative", ovverosia inerenti a condotte non equipollenti o alternative, bensì costituenti differenti elementi materiali di altrettanti reati, con la conseguenza, nel caso di realizzazione di tali diverse condotte, della sussistenza di una pluralità di reati. Questo con la doverosa precisazione che, mentre tra aggiotaggio manipolativo e informativo era ravvisabile unicamente il concorso materiale di reati, nel caso di pluralità di condotte omogenee, per concludere nel senso dell'unicità ovvero della pluralità di reati, sarebbe stato necessario verificarne l'appartenenza o meno ad un'unica manovra manipolativa, ovvero informativa. E, a tale fine, il tribunale precisava come il momento consumativo del reato dovesse individuarsi nel tempo e nel luogo in cui si fossero verificate la sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario e la destabilizzazione del sistema bancario. In applicazione di tali criteri il primo giudice concludeva nel senso della ravvisabilità di ben 16 reati, posti in essere nel periodo tra il 2012 ed il 2015 e, segnatamente: -di 4 reati di aggiotaggio finanziario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio finanziario operativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario operativo (2012, 2013, 2014, 2015) traendone, peraltro, la conseguenza che le condotte poste in essere sino al 27.4.2013 (data di approvazione del bilancio 2012) dovessero ritenersi prescritte. Infine, quanto alle posizioni soggettive degli imputati - successivamente oggetto di separata, dettagliata analisi - il tribunale precisava che dovevano ritenersi responsabili dei reati di aggiotaggio: - Zo.Gi., per avere egli sostenuto e condiviso l'operatività del capitale finanziato; per avere sottoscritto personalmente i comunicati ai soci rappresentativi dì uno stato patrimoniale, finanziario ed economico, totalmente contrario a quello effettivo; nonché per avere approvato, in qualità di presidente del CdA, il bilancio privo dell'appostazione delle riserve previste per legge, oltre ai comunicati che contenevano le mendaci informazioni della situazione della banca e degli esiti degli aucap, in tal guisa rafforzando con le proprie dichiarazioni, l'apparenza di solidità dell'istituto di credito; - Gi.Em., Ma.Pa. e Pi.An., in ragione del totale coinvolgimento dei predetti nell'operatività dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie, e ciò nella piena, effettiva consapevolezza (stanti le modalità di occultamento) della finalizzazione di tale operatività ad alterare gli equilibri del mercato, ad annacquare il capitale e, infine, ad ingannare il pubblico. 1.7 I reati di ostacolo alla vigilanza Dopo avere effettuato una ricostruzione degli esiti delle attività di vigilanza della Banca d'Italia poste in essere, nei confronti dell'istituto di credito, nel periodo 2007-2012 - esiti che avevano evidenziato delle criticità, poi parzialmente superate dall'istituto - il tribunale collocava le condotte di ostacolo alla vigilanza ravvisabili nella vicenda sub iudice nel periodo che aveva avuto inizio con le ispezioni poste in essere a decorrere dal 2012. Al riguardo il primo giudice premetteva come la fattispecie di reato in esame consistesse, per un verso, nell'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero nonché nell'occultamento, con mezzi fraudolenti, di fatti che avrebbero dovuto essere comunicati all'autorità di vigilanza (2638 co. 1 c.c.); e, per altro verso, nella frapposizione di ostacoli alla vigilanza, posti in essere in qualsiasi forma, anche omissiva (2638, co. 2 c.c.). Segnatamente, la fattispecie di cui al primo comma della disposizione in esame prevedeva un reato di mera condotta, integrato, in via alternativa, da taluni specifici comportamenti; il secondo comma, invece, delineava un reato a forma libera, di danno (consistente nell'evento naturalistico dell'ostacolo). Ciò posto, nell'ipotesi di condotta di omessa comunicazione con mezzi fraudolenti che avesse creato ostacoli rilevanti all'autorità di vigilanza, il tribunale riteneva sussistente unicamente l'ipotesi di reato ex art. 2638, co. 2, c.c., dovendo farsi applicazione, in tal caso, dei principi di sussidiarietà e consunzione (valorizzati anche dalla Corte EDU e riconosciuti nell'art. 4 protocollo 7 CEDU e nell'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea), posto che emergeva con evidenza come l'evento di ostacolo previsto dalla fattispecie di cui all'art. 2638 co. 2 c.p. esaurisse l'intero disvalore della condotta. Nel pervenire a siffatta conclusione, peraltro, il tribunale si discostava motivatamente dalla ricostruzione effettuata, in fattispecie analoga, dalla giurisprudenza di legittimità, là dove la corte regolatrice (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, n. 42778 del 26/05/2017, Consoli e altro) aveva invece ravvisato, tra le due fattispecie in esame, un rapporto riconducibile al concorso formale. Tanto premesso, il primo giudice precisava come la contestazione sub B1 avesse ad oggetto la vigilanza ispettiva a differenza delle condotte stigmatizzate ai successivi capi C1, D1, E1, F1, G1 ed H1, dal primo giudice indicate come inerenti alla vigilanza informativa. Ebbene, nel caso dell'addebito sub B1 si era in presenza sia di attività di occultamento, con mezzi fraudolenti, delle operazioni di capitale finanziato e delle lettere di impegno al riacquisto, al fine di ostacolare l'autorità di vigilanza (attraverso, segnatamente, l'indicazione di una causale generica, la mancata contabilizzazione delle operazioni finanziate e il materiale occultamento delle lettere), sia dell'omessa comunicazione delle suddette operazioni alla squadra ispettiva. Diversamente - proseguiva il tribunale - gli addebiti di cui ai capi C1, D1, G1, H1 avevano ad oggetto l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in relazione alle segnalazioni ed alle interlocuzioni con le autorità di vigilanza (Banca d'Italia e BCE) intercorse negli anni 2012, 2013, 2014, 2015 e, quanto all'addebito di cui al capo F1, l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in occasione dell'aumento di capitale del 2014. Ciò posto, il tribunale: - esclusa, con riferimento alle condotte predette, la ravvisabilità dell'esimente fondata sul principio del nemo tenetur se detegere in relazione al precedente delitto di aggiotaggio (trattandosi di principio unicamente disciplinato nell'art. 384 c.p., ovverosia in una disposizione contenente una norma eccezionale derogatoria rispetto a quella di cui all'art. 61 nr. 2 c.p. e, in ogni caso, di esimente avente valore eminentemente processuale); s escluso, del pari, che quelli oggetto di contestazione fossero addebiti frutto di u una sorta di "replicazione" di contestazioni in realtà aventi ad oggetto una unitaria condotta di ostacolo alla vigilanza, protrattasi per un triennio (essendosi piuttosto in presenza di condotte che erano state realizzate nel corso di plurime attività di vigilanza, ciascuna compiutamente esauritasi), ricostruiva i singoli fatti di reato nei termini di seguito esposti. 1.7.1 L'ostacolo alla vigilanza durante l'ispezione di Banca d'Italia 2012 (capo B1) Nel corso dell'anno 2012 (segnatamente tra il 28 maggio e il 12 ottobre 2012) era stata effettuata una attività di ispezione avente ad oggetto la governance dell'istituto, gli standard creditizi, i meccanismi di sorveglianza e di controllo delle singole posizioni, la correttezza dei criteri di classificazione all'interno delle regole di vigilanza e l'osservanza delle regole di provisioning (attività, questa, di correzione del valore dei crediti con impatto sul conto economico della banca e sul bilancio), ispezione che si era conclusa con un giudizio parzialmente sfavorevole fondato sulla constatazione di un complessivo degrado del portafoglio accompagnato da inefficienze nei processi allocativi e di gestione dell'erogato. Ebbene, alla stregua delle testimonianze degli ispettori (e, segnatamente, di quanto riferito dal teste Gi.Sc., responsabile della squadra ispettiva), poteva dirsi pacifico che ove agli ispettori fossero state esibite le lettere di impegno al riacquisto e fosse stata comunicata l'esistenza del capitale finanziato - come sarebbe stato doveroso, peraltro, nell'ottica di una leale collaborazione tra vigilato e autorità vigilante - sarebbe effettivamente emersa l'irrealizzabilità del piano industriale approntato dall'istituto per migliorare la gestione del credito. La prassi del ricorso al capitale finanziato (e, nell'ambito di tale prassi, quella del rilascio delle lettere di impegno), infatti, era già consolidata nel 2012, come pure documentalmente provato. Né, d'altro canto, poteva sostenersi che tale fenomeno fosse comunque emerso nel corso dell'ispezione, in quanto le dichiarazioni rese, sul punto, dal teste Cl.Am. della Divisione Crediti - là dove questi aveva sostenuto di avere riferito in proposito all'ispettore Ge.Sa. - erano - state decisamente smentite tanto dal predetto Sa. quanto dai restanti componenti della squadra ispettiva. Peraltro - puntualizzava il tribunale - la versione dell'Am., finalizzata a ridimensionare il coinvolgimento della Divisione Crediti nell'operatività illecita della banca sul capitale finanziato, scontava plurimi profili di incertezza e contraddittorietà (segnatamente in relazione al ricorso alla formula generica "cogliere opportunità mobiliari o immobiliari" quale causale dei finanziamenti, nonché in ordine alle motivazioni per le quali il predetto Am. non avrebbe comunicato al collega Bo., responsabile dell'audit, le rivelazioni asseritamente fatte all'ispettore Sa.), Era certamente vero che anche la deposizione del Sa. si presentava scandita da contestazioni e da incertezze circa la corretta individuazione dei documenti esibiti, nel corso dell'ispezione, con riferimento alle posizioni finanziate. Nondimeno, mentre le dichiarazioni dell'Ambrosino in ordine alla presunta rivelazione agli ispettori delle operazioni finanziate non avevano trovato riscontro alcuno, neppure nelle dichiarazioni del collega De. (il quale aveva riferito che l'Am. gli aveva confidato di avere consegnato agli ispettori medesimi documenti che avrebbero potuto loro consentire di verificare l'esistenza di operazioni "baciate", negando, tuttavia, detto teste che l'Am. gli avesse rivelato di avere esplicitamente palesato tale prassi agli ispettori), le stesse erano anzi state smentite dai testi Lu.Br., Fr.Fe. e Sa. Re., dei quali i primi due erano appartenenti alla squadra ispettiva; quanto riferito dal Sa. era stato del resto confermato dalla narrazione dei fatti proposta tanto dal responsabile delia squadra ispettiva, Gi.Sc., quanto dagli altri componenti del team oltre che dal responsabile del servizio di vigilanza ispettiva, Ca.Ba.. Pertanto il tribunale, valorizzando altresì la puntuale deposizione del teste ispettore Gi.Ma., traeva la conclusione che la prassi del capitale finanziato non fosse stata "intercettata" nel corso dell'ispezione del 2012 poiché si era trattato di fenomeno che aveva essenzialmente interessato clienti affidabili sotto il profilo del rischio creditizio, rispetto ai quali, quindi, non emergeva alcuna anomalia (sicché, tenuto conto del perimetro del mandato ricevuto dagli ispettori, non v'era stata ragione di effettuare, con riferimento a costoro, alcun approfondimento ispettivo). Del resto, sul piano logico, la circostanza che nessun dirigente dell'istituto di credito (né il menzionato Cl.Am., né l'imputato Pa.Ma. e neppure l'imputato Em.Gi.) avesse fatto cenno alcuno, in occasione delle successive verifiche ispettive (compresa quella, decisiva, effettuata dalla BCE nel 2015), al fenomeno in esame, nonché il fatto che tutti i predetti dirigenti avessero pervicacemente negato, interloquendo con l'ispettore Ma., la natura finanziata delle operazioni in questione, costituivano formidabili riscontri dell'infondatezza delle dichiarazioni rese dal predetto teste Am.; infondatezza, del resto - soggiungeva il tribunale - ulteriormente avvalorata dal rinvenimento, negli appunti contenuti nell'agenda sequestrata al teste Al.Ba., dell'inequivoca ed assai significativa annotazione, redatta in prossimità del 23.4.2015: "evitare di fare ammissioni. Giustificare creditiziamente le operazioni". Di qui la conclusione della sussistenza dei presupposti tutti del reato di ostacolo contestato, essendosi in presenza, per un verso, del fraudolento occultamento dell'illecita operatività realizzata nel contesto temporale in cui si era svolta l'ispezione del 2012; e, per altro verso, della sistematica omissione della comunicazione agli ispettori tanto delle operazioni di finanziamento correlato quanto delle lettere di impegno al riacquisto delle azioni. 1.7.2 Le condotte di ostacolo successive all'ispezione del 2012 Quindi il tribunale evidenziava come, con riferimento ai periodo successivo all'ispezione del 2012 (e, segnatamente, all'arco temporale ricompreso tra il 30.6,2012 ed il 31.3.2015), fosse stato effettivamente possibile ricostruire documentalmente il dipanarsi del dialogo tra l'istituto bancario vicentino e l'autorità di vigilanza attraverso l'acquisizione dei flussi informativi inviati da B.. A tale riguardo era costantemente emerso l'occultamento della reale situazione patrimoniale del gruppo, in particolare con riferimento all'incidenza del fenomeno del capitale finanziato sui coefficienti del patrimonio di vigilanza in tale ampio periodo. Sul punto le conclusioni cui erano pervenuti i consulenti del P.M. - peraltro, precisava il primo giudice, all'esito di una valutazione particolarmente prudente (in quanto caratterizzata dallo scomputo dal CET 1 anche dell'ammontare degli RWA) - non consentivano davvero di nutrire perplessità. Si era in presenza, in effetti, di violazioni costanti dei requisiti patrimoniali, peraltro mai comunicate nelle informazioni rese all'autorità di vigilanza (comunicazioni, tutte, puntualmente riportate nella tabella riassuntiva di cui al documento nr. 485 prodotto dal P.M. all'udienza del 21.11.2019). Più nel dettaglio: - con riferimento all'anno 2012 (capo CI) si trattava della comunicazione del 17.9,2012, riferita al 30.6.2012, e di quella del 21.11.2012, riferita al 30.9.2012, nelle quali venivano indicati, rispettivamente, valori delle azioni proprie nella misura di 30 milioni e di 240 milioni. In entrambi i casi, infatti, era stata omessa la comunicazione delle operazioni di capitale finanziato per i significativi valori di 268 milioni a giugno e di 280 milioni a fine settembre. L'effetto distorsivo che ne era derivato era evidente, posto che il Tier Ratio, tenuto conto dei valori non comunicati, si sarebbe abbassato al 30 giugno dall'8,20% ai 7,34% nonché, al 30 settembre, dal 7,38% al 6,48%. Analogamente il TCR (Total Capital Ratio) si sarebbe ridotto dall'I 1,33% al 10,50% e dal 10,46% al 9,59%. La falsa comunicazione, poi, era stata all'origine del target patrimoniale deciso dalla Banca d'Italia, come precisato dal teste Ma.Pa.. In effetti, qualora i dati omessi fossero stati comunicati, ciò avrebbe comportato un immediato innalzamento del livello di monitoraggio e l'adozione di provvedimenti restrittivi concernenti operatività dell'istituto, distribuzione degli utili e fissazione di limiti all'importo totale della parte variabile delle remunerazioni della banca. Di assoluta evidenza, quindi, era l'ostacolo frapposto alla vigilanza; con riferimento al primo semestre dell'anno 2013 (capo DI) si trattava: - della falsa rappresentazione dei dati patrimoniali contenuta nelle segnalazioni relative al 31.12.2012 ed al 31.3.2013 (in effetti, con riferimento alia segnalazione relativa al 31.12.2012, la comunicazione del capitale finanziato per 545 milioni, ove effettuata, avrebbe comportato la flessione del Tier 1 Ratio dall'8,23% al 6,46% e del Total Capital Ratio dall'll,26% al 9,55%; nella comunicazione del 31.3.2013, poi, non erano state segnalate azioni proprie); - della falsità della comunicazione inoltrata il 20.3.2013 e relativa al superamento del limite del 5% degli acquisti (comunicazione con la quale, nel rispondere al rilievo critico della Banca d'Italia risalente al 5.3.2013, l'istituto di credito aveva rassicurato la vigilanza sostenendo che l'incremento del valore del fondo acquisto azioni proprie fosse imputabile a una mera contingenza, legata alla gestione delle attività dì compravendita delle azioni proprie con i soci e sostenendo, in particolare, che vi era stata una vendita di azioni da parte di pochi clienti con successivo ricollocamento dei titoli presso clienti soci). Inoltre l'istituto aveva inserito un ulteriore elemento di rassicurazione, là dove aveva dichiarato che era in corso la valutazione di un rafforzamento patrimoniale il quale avrebbe portato il Core Tier 1 al 9% già entro la fine del 2013; aveva prospettato, infine, il raggiungimento del 10% nel biennio successivo. Ne era seguita la lettera di richiamo del 24.6.2013, lettera nella quale era stato stigmatizzato il superamento, a causa dell'acquisto di azioni proprie, del limite del 5% del capitale sociale. A seguito dell'ispezione del 2015, poi, era emersa la falsità delle circostanze esposte nella missiva a firma Sa.So. del 20.3.2013 e, segnatamente, si era compreso come l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie non fosse stato affatto la conseguenza contingente di un'impennata nelle richieste di acquisto di azioni concentrate nel quarto trimestre, bensì l'effetto dell'illiquidità del titolo azionario; illiquidità che, infatti, proprio a partire dal 2012, aveva indotto l'istituto di credito a fare massiccio ricorso alle operazioni di capitale finanziato onde azzerare il fondo acquisto azioni proprie che impattava negativamente sul capitale di vigilanza; - della falsità, infine, dell'informativa preventiva del 23 aprile 2013 relativa al programmato aumento di capitale (informativa, a firma Sa.So., nella quale erano stati illustrati gli effetti del rafforzamento patrimoniale, segnalandosi che dopo tale operazione il Tier Ratio 1 sarebbe passato dall'8,23% al 9,1% e, quindi, al 9,98%, a seguito della conversione del soft mandatory). Peraltro neppure a seguito delle successive interlocuzioni dì Banca d'Italia, inerenti anche al profilo della liquidabilità del titolo, erano stati effettuati riferimenti, da parte dei rappresentanti di B., al fenomeno del capitale correlato. Infatti sì era sempre sostenuto, da parte dell'istituto di credito, che l'operazione di aumento di capitale si sarebbe presto conclusa con pieno successo. Sul punto - precisava il tribunale - il teste Ma.Pa. aveva chiarito che se la prassi delle operazioni di capitale finanziato fosse stata riferita, come doveroso, la Banca d'Italia sarebbe certamente intervenuta esercitando i poteri di controllo derivanti dalla legge. In particolare l'ente di vigilanza avrebbe imposto sia lo scomputo dell'ammontare del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza sia l'adozione di misure di risanamento. Invece, tacendo queste informazioni, l'istituto di credito aveva lucrato effetti favorevoli immediati: la Banca d'Italia aveva deciso di non avviare un procedimento sanzionatorio e neppure aveva adottato interventi che avrebbero precluso la distribuzione dei dividendi ed imposto il decremento della parte variabile della remunerazione dei dirigenti come previsto dalla normativa della stessa Banca d'Italia. La stessa operazione di aumento di capitale, poi, sarebbe stata valutata diversamente; ° con riferimento al secondo semestre dell'anno 2013 (capo E1) si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza relative al 30.6.2013, al 30.9.2013 e al 31.12.2013 (nelle quali mai era stato ricompreso l'ammontare delle operazioni di capitale finanziato per gli importi calcolati dai consulenti tecnici nella misura di 555 milioni a fine giugno, di 626 milioni a fine settembre e di 700 milioni a fine dicembre del 2013). Conseguentemente, senza l'effetto distorsivo prodotto dall'omessa rappresentazione della corretta quantificazione dei coefficienti patrimoniali, il T1 Ratio sarebbe passato a fine giugno dall'8,1% al 6,32%; al 30.9.2013 dall'8,50% al 6,50%; al 31.12.2013 dal 9,1% al 6,89%. Analogamente il TCR si sarebbe ridotto dall'I 1,06% al 9,32% al 30 giugno; dall'11,41% al 9,48% nel settembre; dall'11,8% al 9,55% al 31 dicembre. In definitiva in tutto il periodo in esame il Tier 1 Ratio sarebbe stato ben inferiore alla soglia-target dell'8%, siccome fissata dall'autorità di vigilanza; con riferimento all'aumento di capitale 2014 (capo F1) si trattava: - dell'informativa preventiva del 5.3.2014 e dell'informativa integrativa dell'11.4.2014. In entrambi i casi era stata omessa l'indicazione che l'operazione di aumento di capitale sarebbe stata portata a termine anche mediante la concessione di forme di assistenza finanziaria ai clienti, con conseguente indicazione di ratios patrimoniali post-aucap del tutto falsati. Quanto al c.d. miniaucap (ovverosia ad un aumento di capitale destinato a nuovi soci), previsto anche nel 2014, si era precisato che le quote di capitale finanziato non sarebbero state computate nel patrimonio di vigilanza. Vi era stato anche, in data 9.4.2014, un incontro tra i vertici dell'istituto di credito e la vigilanza. All'esito delle interlocuzioni la Banca d'Italia aveva autorizzato la classificazione patrimoniale richiesta. Solo a seguito dell'ispezione BCE e CONSOB del 2015, infatti, era emerso come l'operazione di aumento di capitale fosse stata pianificata con erogazione di finanziamenti correlati, per un importo accertato di euro 136.314.287 (pari al 22% dell'operazione). I dati dell'aumento di capitale erano stati, pertanto, gravemente falsati. Di qui la conclusione che il provvedimento autorizzativo della Banca d'Italia fosse stato ottenuto a seguito dello sviamento della funzione di vigilanza. Il teste Ma.Pa., del resto, aveva anche in tal caso precisato come, se la Banca d'Italia avesse avuto contezza dei dati occultati, non avrebbe di certo autorizzato l'operazione nei termini in cui ciò era avvenuto. Per contro, sarebbe palesemente emersa la grave difficoltà della banca di collocare i propri titoli sul mercato; - con riferimento alla vigilanza prudenziale della banca d'Italia nel 2014 (capo G1), si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza alla data del 31.3.2014, del 30.6.2014, del 30.9.2014 (per l'omessa indicazione tra gli elementi negativi delle quote di capitale finanziato, pari a 728 milioni alla data del 31 marzo, a 718 milioni alla data del 30 giugno e a 886 milioni alla data del 30 settembre. Conseguentemente il CET 1 ratio era passato, a fine marzo, dall'8,99% al 6,63%; a fine giugno dall'8,55% al 6,24%; a fine settembre dal 10,8% all'8,01%); - della falsità della comunicazione 1.9.2014 nella parte in cui si era attestato il raggiungimento degli obiettivi di raccolta aucap 2014 per l'importo di 607,8 milioni e, di conseguenza, il livello dei fondi propri e dei ratios patrimoniali. In particolare la comunicazione dell'istituto di credito di avere già riassorbito, attraverso la chiusura dell'aumento di capitale, il temporaneo mancato rispetto del "buffer" - ovverosia della riserva obbligatoria di conservazione del capitale pari al 2,5% - aveva indotto l'autorità di vigilanza a non assumere iniziative in ordine a tale violazione (dovuta ai riacquisti di azioni proprie che, dì fatto, avevano neutralizzato, per il valore corrispondente, l'aumento di capitale, come precisato dal teste En.Se.) perché, per l'appunto, immediatamente "riassorbita"; - nonché della falsità della comunicazione 4.11.2014, relativa alle giustificazioni fornite all'organo di vigilanza in relazione al fenomeno di riacquisto delle azioni proprie (per l'ammontare di 194 milioni nel primo semestre del 2014) nonché in relazione ai 52,4 milioni di euro di azioni detenuti indirettamente attraverso i fondi lussemburghesi "(...)" e, "(...)". In particolare la banca, da un lato, aveva ribadito che sì era trattato di riacquisti imposti dalla necessità di evadere (e domande di investimento dei clienti nella consapevolezza che il disavanzo sarebbe stato coperto dall'aumento di capitale in corso; aumento di capitale che, peraltro, aveva portato ad un incremento proprio del CET Ratio di circa 141 bps (punti base). Dall'altro lato la banca aveva confermato la correttezza dei dati contenuti nelle segnalazioni di vigilanza sulle operazioni svolte attraverso i fondi esteri. Diversamente, ove la Banca d'Italia avesse avuto contezza di quanto occultatole (e cioè, complessivamente, delle operazioni di capitale finanziato e dell'impegno al riacquisto delle azioni), avrebbe preso atto di una situazione patrimoniale radicalmente differente. La falsità della comunicazione, quindi, aveva prodotto l'effetto di impedire interventi dì vigilanza coerenti con l'effettiva situazione patrimoniale dell'istituto di credito. 1.7.3 Le condotte di ostacolo alfa vigilanza BCE (capo H1) Al riguardo il tribunale, premesso che a seguito dell'entrata in vigore, in data 4.11.2014, del Sistema di Vigilanza Unico, talune competenze primarie in materia di vigilanza erano state trasferite alla BCE, con conseguente ricomprensione anche della predetta Banca Centrale tra i soggetti destinatari della tutela ex art. 2638 c.c., individuava, alla stregua dell'imputazione, le condotte di ostacolo rispettivamente: - nella segnalazione di vigilanza al 31.12.2014 (in ragione della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dall'11,73% all'8,04%) e nella segnalazione di vigilanza al 31.3.2015 (in ragione, anche in tal caso, della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dal 10,67% al 7,49%). Tali condotte decettive, in entrambi i casi, avevano impedito alla vigilanza l'adozione di tempestivi provvedimenti; - nonché nella informativa al pubblico al 31.12.2014; 1.7.4 Le condotte di ostacolo relative al Comprehensive Assessment (capo M1) Con riferimento alle condotte di ostacolo poste in essere in danno di Banca d'Italia e BCE impegnate nella vigilanza in fase di valutazione approfondita (Comprehensive Assessment), svoltasi nel periodo tra il febbraio e l'agosto del 2014, il tribunale riteneva provate condotte di ostacolo tradottesi tanto nell'omessa comunicazione di informazioni essenziali (inerenti al fenomeno dell'assistenza finanziaria e al rilascio della lettere di impegno al riacquisto) quanto nell'esposizione di fatti non veritieri sulla situazione patrimoniale del gruppo come descritta nella nota 20,6.2014 e nel capital pian inviato in data 10.11.2014. In particolare nel corso della Asset Quality Review - AQR (ovverosia della Revisione della Qualità degli Attivi di bilancio), dopo che erano stati formulati rilievi molto critici per la banca da parte delle autorità di vigilanza (con l'ispettore Vi.Ca. che aveva esposto forti perplessità in ordine alla patrimonializzazione dell'istituto di credito, evidenziando come il progettato aumento di capitale sarebbe sostanzialmente servito solo a colmare il deficit; e aveva anche avanzato seri dubbi sulla stessa concreta possibilità di portare a compimento l'operazione di aumento di capitale), i vertici dell'istituto avevano rassicurato la vigilanza stessa sotto tutti i profili. Nel corso dell'ispezione, tuttavia, non era emerso in alcun modo il fenomeno del capitale finanziato né era venuta alla luce l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto; elementi che, se conosciuti, avrebbero portato ad esiti del Comprehensive Assessment ben diversi. Anche il Preliminary Capital Plan - predisposto dall'istituto di credito su richiesta della Banca d'Italia in data 9.6.2014, in previsione dell'entrata in vigore del meccanismo unico di vigilanza, e inviato all'autorità di vigilanza il 20.6.2014 - era stato caratterizzato dalla prospettazione di un obiettivo di patrimonializzazione rassicurante (euro 608 milioni per effetto dell'aumento di capitale); prospettazione, tuttavia, radicalmente falsata dalla mancata precisazione che anche tale risultato era dovuto al massiccio ricorso al capitale finanziato. Quindi, con il Capital Pian elaborato il 10.11.2014 (e, pertanto, successivamente agli esiti del Comprehensive Assessment che, pubblicati il 26.10.2014, avevano evidenziato la necessità dell'adozione di misure di implementazione del capitale, posto che gli Stress Test avevano rivelato un deficit da scenario avverso di 223 milioni), l'istituto di credito vicentino aveva adottato delle contromisure (segnatamente: l'utilizzo dell'aumento di capitale già collocato e la conversione del soft mandatory per 223 milioni) che avevano portato la BCE ad adottare una decisione SREP (ovverosia una decisione inerente al processo di revisione e valutazione prudenziale, consistente nell'analisi dei profili di rischio delle banche) con la quale veniva fissato un requisito minimo di CET1 ratio pari ad almeno il 10,25% ed erano stati richiesti l'adozione di un piano di capitale, da realizzarsi entro l'aprile del 2016, nonché il rafforzamento delle strutture organizzative dei processi e delle strategie di controllo interno. Al solito, la mancata comunicazione delle essenziali informazioni in ordine al massiccio ricorso al capitale finanziato, anche in occasione dell'aumento di capitale, aveva avuto lo scopo - effettivamente raggiunto - di procrastinare l'emersione delle situazioni di illiquidità del titolo e di sotto-patrimonializzazione dell'istituto di credito, di fatto seriamente ostacolando le funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della BCE, tenute all'oscuro delia esatta situazione patrimoniale e finanziaria del gruppo. Di qui l'adozione da parte degli organi di vigilanza di provvedimenti (la citata decisione SREP del febbraio 2015) incoerenti con tale situazione e, per contro, la mancata adozione di contromisure impellenti e indifferibili (come precisato dal teste ispettore En.Se.). Solo in occasione dell'ispezione BCE del 2015 - concludeva il tribunale - sarebbe effettivamente emersa la macroscopica divergenza tra i flussi informativi indirizzati alla vigilanza nel triennio 2012-2015 e la reale situazione patrimoniale della banca. 1.7.5 L'ostacolo alla vigilanza nei confronti di CONSOB (capo N1 - posizione G1) Il tribunale riteneva provato anche l'addebito stigmatizzato sub N1), inerente alle condotte di ostacolo alla vigilanza poste in essere, nei confronti di CONSOB, in relazione all'operazione di aumento di capitale 2014. In estrema sintesi, dopo avere dettagliatamente illustrato - in relazione tanto alla disciplina generale quanto al modello concretamente adottato da B. - il quadro normativo delle attività di intermediazione finanziaria (con particolare riguardo agli obblighi incombenti sugli intermediari nella relazione con la clientela sia nella fase precontrattuale, sia in quella di conclusione del contratto, sia nel corso dell'esecuzione del rapporto in un'ottica di tutela dell'investitore al fine di agevolarlo nella comprensione delle caratteristiche, dei rischi e dei costi dei prodotti finanziari offerti in un mercato di libera concorrenza), il primo giudice ricostruiva puntualmente l'episodio in questione. Nel caso di specie B. aveva pianificato una operazione che prevedeva un'offerta a pagamento mediante emissione di azioni ordinarie in opzione ai soci per un importo massimo di euro 700.000.000, nonché un aumento di capitale ordinario a pagamento mediante emissioni di azioni ordinarie finalizzata all'ampliamento della base sociale da offrire ai non soci per un importo massimo di 300.000.000 di euro. Nel corso della seduta del CdA 15.4.2014, poi, era stata definitivamente approvata l'operazione in questione, con l'individuazione dell'ammontare definitivo dell'aumento di capitale (aumento di capitale scindibile fino al controvalore massimo di 608.000,000 dì euro), la definizione del rapporto di opzione (una nuova azione ogni nove possedute con definizione del rapporto di attribuzione del premio fedeltà nella misura di un'azione ogni quattro) e la decisione che le azioni eventualmente inoptate sarebbero state offerte al pubblico indistinto e assegnate a coloro che ne avessero fatto richiesta durante il perìodo di offerta. Le azioni erano state emesse al prezzo di 62,5 euro, determinato sulla base della relazione di stima dell'esperto indipendente. Solo con riferimento al mini aucap, poi, era stato previsto che potessero essere concessi ai nuovi soci finanziamenti correlati alla sottoscrizione dell'aumento di capitale. In relazione a tale operazione l'istituto di credito aveva rappresentato, nelle relative comunicazioni inviate alla CONSOB, siccome specificamente richiamate in imputazione (trattasi della comunicazione formale 23.5.2014 in risposta alla richiesta di dati e notizie del 16.5.2014; della nota 4.7.2014; dell'ulteriore nota 15.10.2014), l'adozione di un modello operativo fondato su un atteggiamento neutro in ordine alla collocazione dei propri titoli nei confronti dei titolari dei diritti di opzione, attestando di avere predisposto modelli procedurali tesi a garantire la genuinità dell'iniziativa del cliente e sottolineando altresì che, come deciso, eventuali operazioni dì finanziamento sarebbero state previste solo con riferimento all'operazione di mini aucap. Tali modelli prevedevano, per i soci titolari del diritto di opzione: - da un lato l'esclusione dell'applicabilità della valutazione di adeguatezza, onde non interferire con l'esercizio del predetto diritto di opzione; - dall'altro lato l'astensione dalla prestazione di raccomandazioni all'investimento e di consulenza per i medesimi titolari del diritto di opzione e della connessa prelazione, i quali, infatti, onde contenere le occasioni di contatto diretto tra costoro e gli addetti di rete, avrebbero potuto aderire autonomamente all'aumento di capitale inviando richieste via internet, inserendo il proprio codice fiscale in una apposita pagina web, ovvero a mezzo raccomandata. In altri termini l'istituto di credito aveva rappresentato, nella comunicazione formale 23.5.2014, che avrebbe compensato il "sacrificio" della valutazione di adeguatezza (sacrificio resosi necessario per evitare che tale "filtro", posto a presidio dell'investitore, potesse pregiudicare il libero esercizio del diritto di opzione - e della connessa prelazione - nel caso di soggetto che, già socio e interessato ad avvalersi dell'opzione, non avesse superato detto vaglio) con l'assicurazione che i titolari di opzione sarebbero stati messi al riparo da influenze di sorta da parte della rete dell'istituto di credito, onde scongiurare qualsivoglia rischio che le determinazioni dei clienti potessero essere influenzate da consigli dì investimento fomiti dalla rete della banca in una situazione di conflitto di interesse. La CONSOB aveva approvato il prospetto relativo all'aucap 2014 in data 8.5.2014 e il successivo 9.5.2014 la banca aveva comunicato agli azionisti i dettagli delle operazioni informandoli della facoltà di esercitare i! diritto di opzione. In linea con l'originaria comunicazione alla CONSOB, por, si collocavano le successive comunicazioni dell'istituto all'ente di vigilanza rese nelle date del 4.7.2014 e del 15.10.2014. Ebbene, precisava il primo giudice, contrariamente a quanto comunicato a COIMSOB ed alla stregua di inequivoche prove tanto testimoniali (oltre alla deposizione del dirigente CONSOB, Francesco Adria, il tribunale valorizzava quelle dei dirigenti B. Al.Mo. e Gi.Am.) quanto documentali (tra le quali plurime, assai significative, comunicazioni via e-mail intercorse tra dirigenti B.), era emersa la natura meramente formale dei presidi organizzativi adottati dall'istituto di credito, peraltro sistematicamente aggirati nella pratica commerciale in attuazione di un'attività di pianificazione che si era caratterizzata per una fortissima pressione commerciale sulla rete (come precisato da numerosi dirigenti B. e, segnatamente, dai testi Gi.Ca., Ma.Ni., Lu.Ve., Ro.Pr. e Fu.Bo.), posto che: a) ben lungi dall'essere riconducibili alla spontanea iniziativa dei clienti, gli acquisti erano stati sollecitati dalla rete commerciale dell'istituto, appositamente istruita e sistematicamente resa oggetto di forti pressioni per la collocazione dei titoli; b) circa il 60% delle richieste di acquisto di azioni inviate via internet (modalità che, come detto, secondo il modello predisposto, unitamente all'invio della richiesta in modalità cartacea attraverso la spedizione di lettera raccomandata, avrebbe dovuto essere seguita dalla clientela interessata alla sottoscrizione di azioni onde evitare contatti inappropriati con la rete dell'istituto) erano risultate inviate da indirizzi IP di computer in uso a dipendenti della banca. Inoltre era emersa la prassi della presentazione brevi manu delle missive, in luogo dell'invio per raccomandata; c) contrariamente a quanto esposto all'autorità di vigilanza, in larghissima parte le adesioni all'offerta da parte degli opzionisti (26.000 su 29.000) si erano concretizzate al di fuori del sistema nella preventiva raccolta delle manifestazioni di interesse; d) mediante le modalità predisposte dalla banca, infatti, avevano aderito solo 2778 del 29.360 titolari del diritto di opzione, inviando 1695 lettere e 1083 manifestazioni di interesse via web; e) erano state create vere e proprie liste di clienti da contattare per supportare° la rete di vendita, nell'ambito di un'accurata pianificazione commerciale volta a favorire al massimo la collocazione delle azioni (ben 7434 soci che avevano aderito all'iniziativa, infatti, erano risultati inseriti nelle liste predisposte dalla banca); f) il 32% degli aderenti all'aucap censiti nel database delle manifestazioni di interesse aveva richiesto al momento dell'adesione un quantitativo di azioni esattamente corrispondente a quanto registrato nell'applicativo predisposto dalla banca nella fase di preadesione; g) era emersa la prassi di aggirare il test di adeguatezza (previsto per le adesioni del pubblico indistinto sino al 9.7.2014) facendo acquistare sul mercato secondario al cliente 100 azioni prima dell'aucap, in modo che il medesimo cliente potesse rientrare tra i soci e, quindi, potesse partecipare all'aumento di capitale senza effettuare le valutazioni di adeguatezza. Più nel dettaglio, i casi di consulenza surrettizia accertati - come precisato dall'ispettore An.Me. - erano risultati corrispondenti ad operazioni di acquisto per un valore pari a 143,17 milioni di euro su 497,98 milioni di euro complessivi. Secondo gli esiti della replica del test di adeguatezza standard effettuato in sede ispettiva (test che, infatti, sarebbe stato doveroso effettuare in caso di consulenza) era poi emerso che in almeno il 72% dei casi per un controvalore di 83 milioni di euro si sarebbe trattato di operazioni non adeguate, in quanto tali destinate ad essere bloccate dalla procedura. Inoltre si era acquisita contezza di agevolazioni (segnatamente, time deposit a tassi vantaggiosi) e anche di massicci finanziamenti concessi per l'acquisto di azioni proprie, non solo per garantire l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie ma anche per conseguire gli obiettivi di aumento di capitale, peraltro nell'ambito di iniziative commerciali che erano state taciute alla CONSOB e che avevano portato alla conclusione di operazioni di vendita di titoli in assenza delle doverose informazioni circa la natura e le caratteristiche delle operazioni medesime. Pertanto l'incremento di rischio per la clientela era stato del tutto privo di presidi nei sistemi di verifica di adeguatezza degli investimenti. In definitiva - concludeva il primo giudice - B. aveva fornito alla CONSOB, con riferimento alla predetta operazione di aumento di capitale, un quadro informativo falso e gravemente fuorviante, tanto in ordine al modello di servizio adottato per rapportarsi alla clientela quanto in punto di erogazione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie. La rilevanza decettiva di tali condotte era stata indubbia: ove la CONSOB fosse stata informata della pianificazione commerciale all'origine del collocamento delle azioni, infatti, avrebbe sicuramente esercitato in modo più pervasivo i propri poteri, sia di controllo che istruttori ex art. 94 TUF, e avrebbe imposto un più rigoroso modello di operatività fondato sulla consulenza e sull'obbligo di somministrazione di test di adeguatezza bloccante. Né, ad avviso del giudice di prime cure, poteva aderirsi alla tesi difensiva proposta dall'imputato Em.Gi.. Costui - risultato il dirigente che aveva maggiormente supportato e coadiuvato il direttore generale Sa.So. nell'iniziativa commerciale tesa a garantire il buon esito dell'aumento di capitale - aveva sostenuto, infatti, di avere agito nella convinzione dell'esistenza di una pregressa pianificazione commerciale concordata dall'istituto di credito con l'autorità di vigilanza. Tale tesi difensiva, tuttavia, era stata nettamente smentita dalle emergenze istruttorie. Da un lato, infatti, la banca aveva sempre attestato alla vigilanza che le operazioni di sottoscrizione erano avvenute ad iniziativa dei clienti; dall'altro lato era emersa un'operatività volta alla pianificazione commerciale dell'operazione non verbalizzata e, quindi, evidentemente elaborata e attuata nella piena consapevolezza di agire al di fuori del perimetro di regolarità tracciato dalla normativa Mifid. Né - proseguiva il tribunale - poteva accedersi alla tesi difensiva dell'imputato GI. secondo cui questi non era responsabile del reato in esame essendosi limitato a dare attuazione alle direttive impartitegli; in contrario deponevano la sua veste di dirigente apicale (responsabile della Divisione Mercati e vice direttore generale) nonché la prova - da considerarsi raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio - dell'incondizionato allineamento del GI. all'illecita politica gestoria ideata dal direttore generale So., cui il GI. medesimo aveva contribuito materialmente offrendo un fondamentale apporto partecipativo. Peraltro - concludeva, sul punto, il primo giudice - lo stesso presidente Zo.Gi. aveva preso parte tanto alla riunione del 3 aprile 2014, nel corso della quale il d.g. So. aveva illustrato alla rete le modalità operative pianificate per l'aucap e la campagna di contatto della clientela (al riguardo il riferimento era alla e-mail di cui al doc. 241 del P.M. in cui si esplicitava chiaramente la "campagna di contatto" all'uopo programmata), quanto alla precedente seduta del CdA del 4 marzo, in occasione della quale aveva fatto esplicito riferimento alla necessità dì "fare formazione sulla rete", chiarendo che "non devono parlare", ovverosia all'esigenza di stimolare i clienti ad aderire all'aumento di capitale e alla congiunta necessità di occultare tale prassi operativa. Donde la trasmissione degli atti al P.M. con riferimento alla posizione di tale imputato. 1.8. I reati di falso in prospetto In proposito va premesso che oggetto dei capì di imputazione sub I) ed L) sono i prospetti informativi redatti dall'istituto dì credito e depositati presso la CONSOB relativi agli aumenti di capitale realizzati negli anni 2013 e 2014 ed inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni La condotta di falso, secondo le suddette imputazioni, sarebbe consistita nell'occultamento di informazioni rilevanti in merito all'esistenza, all'entità e agli effetti del fenomeno degli investimenti correlati all'acquisto di azioni B., nonché nella comunicazione dì informazioni fuorvianti in ordine all'andamento del mercato secondario delle stesse azioni. Sul punto il tribunale, dopo avere richiamato il quadro normativo di riferimento (artt. 94, 94 bis, 173 bis D.Lvo 58/98 - TUF), evidenziava gli elementi costituivi della fattispecie delittuosa in esame precisando trattarsi di "reato comune", finalizzato ad approntare tutela al risparmio nella sua accezione "dinamica" e caratterizzato da una condotta reticente o fuorviante idonea a trarre in inganno l'investitore (senza peraltro la necessità della causazione di danno, come invece previsto dalla previgente fattispecie ex art. 2623 c.c.). In siffatta prospettiva la falsità non avrebbe dovuto necessariamente avere a oggetto dati materiali necessari ma anche notizie e valutazioni fondanti l'offerta (con l'ovvia precisazione che, in tal caso, più che di falsità delle predette valutazioni si sarebbe trattato di un difetto di genuinità e di imparzialità delle stesse). Anche l'occultamento di informazioni, poi, avrebbe potuto integrare la condotta materiale della fattispecie in questione, qualora inerente a dati o informazioni parimenti rilevanti. In ogni caso, essendosi in presenza dì reato di pericolo concreto, requisito essenziale della condotta decettiva era l'idoneità a trarre in inganno il destinatario; quest'ultimo, nella concretezza del caso sub iudice, non si sarebbe dovuto identificare nell'investitore professionale e neppure - ed a fortiori - in quello istituzionale, bensì nel piccolo/medio risparmiatore, ovverosia in quel soggetto che, generalmente, si limita alla lettura della sola "nota di sintesi", decisamente più breve e predisposta proprio al fine di renderlo edotto del contenuto "concreto" della proposta di investimento. Sotto il profilo soggettivo, poi, la norma era caratterizzata dalla combinazione del dolo specifico e di quello intenzionale: alla volontà e rappresentazione del fatto tipico commesso con l'intenzione di ingannare i destinatari del prodotto finanziario, infatti, si accompagnava lo scopo di conseguire un ingiusto profitto, per sé ovvero per altri. Tanto premesso - proseguiva il tribunale - negli anni 2013 e 2014 la banca vicentina aveva realizzato due aumenti di capitale, il primo deliberato il 16.4.2013 ed il secondo, caratterizzato da due offerte, il 15.4.2014. In entrambi i casi i prospetti comunicati dalla banca erano risultati caratterizzati dall'occultamento dell'esistenza, dell'entità e degli effetti del fenomeno della concessione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. e, quindi, dall'occultamento di informazioni essenziali perché l'investitore potesse determinarsi correttamente. Questo benché la prassi della concessione di siffatta tipologia di finanziamenti risalisse al 2009 (quando l'istituto aveva iniziato a proporre a clienti "amici" acquisto dì azioni proprie in grandi quantità - i c.d. "big ticket" - nell'ambito di operazioni "baciate", ovvero caratterizzate dalla tendenziale corrispondenza tra importo del finanziamento concesso e controvalore delle azioni acquistate, al fine di procedere allo svuotamento periodico del fondo acquisto azioni proprie) e benché detto fenomeno, che aveva interessato tanto il mercato primario quanto quello secondario, avesse raggiunto dimensioni consistenti già a partire dal 2012 (nel quarto trimestre de) 2012, infatti, il numero dì azioni finanziate era risultato corrispondere ad un controvalore di euro 545.520.996). Ora, con riferimento al mercato primario, nell'ambito degli aumenti di capitale finalizzati all'ampliamento della base sociale (mini aucap 2013 e 2014), l'istituto di credito aveva previsto espressamente l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie. Analoga informativa, invece, non era stata inserita nei prospetti relativi agli aumenti di capitale destinati ai titolari del diritto di opzione, ovvero al pubblico indistinto, sebbene, poi, in concreto, gli accertamenti ispettivi BCE e CONSOB avessero dimostrato come gli aumenti di capitale 2013 e 2014 fossero stati in larga parte realizzati proprio ricorrendo al massiccio finanziamento degli investitori che sottoscrivevano azioni di nuova emissione (nel 2013, su un controvalore totale di euro 506 milioni, le operazioni finanziate erano ammontate a 136.034,044,00 euro; nel 2014, poi, i finanziamenti concessi dall'istituto avevano riguardato azioni per un controvalore di 146,451.259 euro). Solo a seguito dell'ispezione BCE del 2015, infatti, l'istituto aveva ammesso l'esistenza delle operazioni di finanziamento correlato, per un valore complessivo determinato, in sede di internai audit, di 1.086 milioni di euro alla data del 31.10.2015, informazione che, come inevitabile, aveva provocato effetti dirompenti. Di qui la conclusione cui perveniva il primo giudice circa la penale responsabilità derivante dalla radicale assenza, nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento di capitale, dell'esistenza e dell'entità del fenomeno delle operazioni finanziate, trattandosi di informazioni che, ove conosciute, avrebbero evidentemente indotto un investitore ragionevole ad una ben maggiore ponderazione nella decisione di sottoscrivere gli aumenti di capitale. L'occultamento di tali informazioni, poi, aveva ovviamente alterato anche i dati di bilancio e, di conseguenza, le informazioni ad essi inerenti che erano state riportate nei prospetti relativi agli aumenti di capitale in questione. L'effetto che ne era derivato era stato, anche in tal caso, quello di distorcere gravemente la conoscenza degli investitori circa la rappresentazione dei livelli patrimoniali della società. Per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2012, infatti, il Tier 1 Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia dell'8% quale prescritta dalla Banca d'Italia nella lettera di intervento del 2.3.2012. Anche nel 2013, poi, si era registrata analoga violazione di detto requisito target. Così come durante il successivo esercizio 2014, quando il CET Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia regolamentare del 7% e il Total Capital Ratio aveva parimenti raggiunto un livello inferiore a quello minimo regolamentare del 10,5%. I dati di bilancio richiamati nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento del capitale, quindi, avevano indotto i risparmiatori a confidare in un livello di solidità patrimoniale dell'istituto di credito in realtà ben inferiore a quello prescritto. Donde l'idoneità decettiva delle informazioni fornite sul punto. Infine, anche le informazioni inerenti ai volumi delle azioni scambiate nell'ambito del mercato secondario erano risultate del tutto inattendibili per effetto della mancata comunicazione del fenomeno delle operazioni finanziate (fenomeno al quale la banca aveva fatto ricorso massicciamente, a partire dal 2012, proprio allo scopo di assicurare la negoziabilità del titolo, provocando, tuttavia, in tal guisa, una grave alterazione della dinamica del mercato secondario) e avevano ingenerato nei terzi la convinzione di una solo apparente liquidità delle azioni. In questo contesto era stata occultata al mercato - sostenendosi, nei prospetti, che le richieste di cessioni delle azioni sarebbero state sottoposte appena possibile al CdA - la persistente situazione di grave ritardo nell'evasione delle richieste di vendita di azioni provenienti dai soci (nel corso del 2013, in effetti, il time to sell era passato dai 28 giorni del mese di gennaio ai 311 giorni della fine dell'anno); richieste, peraltro, neppure sempre evase in ordine cronologico. In definitiva la mancata comunicazione di tali informazioni aveva ingenerato l'apparenza di un'appetibilità del titolo in realtà inesistente. Donde, anche sotto tale profilo, la sussistenza della condotta di reato di falso in prospetto. Quanto, poi, alle singole posizioni soggettive, il tribunale evidenziava come Zo.Gi., presidente del CdA dal 1996 al 2015, fosse certamente responsabile delle operazioni di aumento di capitale del 2013 e anche della redazione dei relativi prospetti, per avere egli, su incarico del CdA, conferito al d.g. So. e al vice d.g. PI. i poteri all'uopo necessari, nonché per avere egli sottoscritto il documento di registrazione e la dichiarazione di responsabilità. Analogamente, con riferimento all'aumento di capitale 2014, i poteri conferiti allo ZO. dal CdA in ordine all'operazione di aumento di capitale rendevano evidente la responsabilità del predetto nella falsificazione dei prospetti illustrativi di detta operazione Considerazioni del medesimo tenore, poi, venivano dal tribunale svolte con riferimento alla posizione del PI., trattandosi di un vice direttore B. nonché del responsabile della Divisione Finanza, ovverosia di una divisione alla quale, secondo l'organigramma dell'istituto di credito, competeva proprio l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi. Infine anche gli imputati GI. e MA. venivano giudicati responsabili del reato in questione, avendo i predetti, sebbene non coinvolti - secondo il primo giudice - nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, partecipato attivamente ad assicurare, conoscendone perfettamente le esigenze sottostanti, l'operatività del meccanismo dei finanziamenti correlati all'acquisto delle azioni B. mediante massiccio ricorso al capitale finanziato; meccanismo del quale avevano contribuito a occultare l'esistenza e l'entità. 1.9. Le singole posizioni processuali. 1.9.1 Zo.Gi. Il tribunale, dopo avere richiamato la normativa di dettaglio emanata da Banca d'Italia per disciplinare gli assetti del governo societario dell'impresa bancaria (assetti che attribuivano al presidente del CdA il ruolo di garanzia in ordine al corretto funzionamento dell'organo, precisando come costui non dovesse essere un componente esecutivo e non dovesse svolgere, neppure di fatto, funzioni gestionali) e dopo avere ricostruito la composizione, all'epoca dei fatti, del CdA di B., precisava che Zo.Gi. era stato presidente dell'istituto di credito dal 1996 al novembre del 2015 nonché presidente del comitato esecutivo. Tutti gli elementi disponibili, poi, convergevano nel delineare il ruolo dominante e pervasivo svolto dall'imputato nell'organizzazione dell'attività della banca, tanto che l'attenzione degli organi di vigilanza, sin dal 2007, aveva evidenziato tale criticità, stigmatizzando l'autoreferenzialità dei meccanismi di governance instaurati dall'imputato. Peraltro era stata proprio la strategia di crescita (aumento degli sportelli; continua espansione dimensionale) imposta alla banca dal Presidente a porsi all'origine delle problematiche degli aspetti patrimoniali del gruppo che, infatti, proprio per fare fronte alla progressiva crescita dei costi di gestione, era stato costretto a ricorrere sistematicamente ad aumenti di capitale. Inoltre i meccanismi di governo societario - e, in particolare, il ruolo predominante rivestito, nel consiglio di amministrazione, dall'imputato nonché la visione maturata e attuata dallo stesso dì un successo imprenditoriale commisurato alla continua espansione dimensionale dell'istituto - erano stati sistematicamente censurati dall'autorità di vigilanza (in particolare: in occasione del rapporto ispettivo del 2008; dell'ispezione di follow up del 2009; dell'ispezione sul credito del 2012; della vigilanza in relazione all'aumento di capitale del 2013). Del resto la struttura verticistica del governo aziendale era emersa da tutte le risultanze probatorie disponibili. In effetti - precisava il primo giudice - l'imputato esercitava una forma pervasiva di controllo sulle dinamiche del consiglio, nel cui seno le decisioni assunte non erano mai state oggetto di discussione o dibattito, il tutto mentre il controllo assicurato dal collegio sindacale era risultato meramente formale, come verificato da Banca d'Italia nell'ispezione 2008. Di fatto era lo ZO., con riferimento tanto al consiglio di amministrazione, quanto al collegio sindacale, a selezionare i candidati (dep. Zi., Gr., Lo.), scegliendoli, per cooptazione, tra esponenti dell'imprenditoria locale (individuando, peraltro, soggetti inesperti dei complessi meccanismi dell'impresa bancaria) e ad affiancare loro professionisti già legati alla persona dello stesso presidente da pregresse esperienze professionali. In particolare il tribunale, sulla base di puntuali deposizioni al riguardo (trattasi, segnatamente, della deposizione resa dal teste Da.Lo.), ricostruiva una situazione caratterizzata dall'assenza di obiezioni di sorta alle proposte presidenziali, da un clima dì effettiva intimidazione - se non di vero e proprio terrore - che rendeva difficile manifestare qualsiasi dissenso, nonché da modalità di votazione, in assemblea, che rendevano identificabili le singole manifestazioni di voto. In effetti il CdA si era costantemente limitato ad approvare le proposte del presidente e tutte le decisioni erano state sempre unanimi, sicché lo stesso ruolo del consiglio era stato, di fatto, svuotato di ogni profilo sostanziale. Emblematica di ciò - ad avviso del tribunale - era stata la vicenda dell'acquisizione di un immobile da adibire a sportello bancario nella località turistica di Cortina, operazione fortemente voluta dallo ZO. (in particolare per il ritorno di immagine che, a suo giudizio, ne sarebbe derivato) e che era stata conseguentemente accettata dal d.g. So. contro ogni logica dì convenienza economica, tanto che aveva portato all'esito fallimentare di una perdita di oltre venti milioni di euro (come peraltro comprovato dal contenuto della conversazione telefonica intercettata riportata a pag. 589 della sentenza impugnata e come confermato dalla relazione ex art. 33 l.f.). Altrettanto significativa del ruolo predominante dell'imputato in seno al CdA, poi, era la vicenda - la cui ricostruzione esatta era stata resa possibile dalla documentazione costituita dal relativo file audio - inerente alla determinazione del prezzo dell'azione in deroga alle stesse regole procedurali dell'istituto deliberata in occasione della seduta 1.4.2014. Connotato da analoga "impronta padronale", inoltre, era anche il rapporto tra l'imputato, da un lato, ed il management e le strutture aziendali, dall'altro. Infatti, ripetutamente, gli incarichi di vertice erano stati assegnati a soggetti indicati dal presidente (era il caso dei d.g. Gr. e So., di Ro., di Fa., consulente nel settore degli affari internazionali; di Ra., al quale era stato affidato l'incarico di presidente della società Mo. che gestiva il patrimonio immobiliare della banca), con il CdA che si era limitato a ratificarne le decisioni. Era lo ZO. a decidere su tutto: retribuzioni, posizioni, crediti, affidamenti, parco automobili (si veda la deposizione di Um.Se., direttore della controllata siciliana Ba.Nu. dal 2012), L'imputato si era occupato anche delle campagne pubblicitarie (cfr. la deposizione del teste Ma.Pa.) e addirittura della concessione, agli amici, di tassi di interesse fuori mercato ed in perdita per la banca (come nel caso dell'imprenditore amico Re.Ca., secondo la deposizione del teste Gi.Am.). Più nel dettaglio, il coinvolgimento dello ZO. nell'attività gestionale era stato confermato da numerose, convergenti deposizioni. Era il caso, in particolare, delle testimonianze di Al.Sa., Iv.Me. e Gi.Am., quest'ultima relativa anche alla riunione tenutasi l'il.11.2014 a seguito della pubblicazione dell'articolo del Sole 24 Ore che aveva messo in discussione il valore del titolo. In detta riunione ZO. aveva esplicitamente affermato, tra l'altro, che ì soci che avessero voluto vendere i titoli avrebbero potuto essere sostenuti con finanziamenti e la trascrizione della già menzionata seduta del Comitato di Direzione 10.11.2014 (doc. P.M. nr. 110) riscontra tali indicazioni del presidente. Le e-mail acquisite al fascicolo del dibattimento (docc. P.M. nr. 298, 299, 322, 320, 521), al pari degli appunti di Ma.So. contenuti nel "maxi quaderno giallo", poi, confermavano il ruolo operativo del presidente. Il teste Se.Ro., inoltre, aveva riferito al teste Ma.Pa. - cfr. la deposizione di quest'ultimo - che le decisioni di vendita delle azioni andavano ricondotte allo ZO. e, sul punto, non mancavano conferme documentali: la e-mail del 16.6.2014 (allegato 31 relazione CONSOB), avente ad oggetto il sollecito rivolto dalla segreteria del presidente ZO. al Ro. circa un reclamo - indirizzato direttamente al medesimo presidente ZO. -riguardante i ritardi nella vendita di azioni della sig.ra Ro.Sa.; il documento del P.M. nr. 321 (relativo a una corrispondenza e-mail tra Fi.Ro. e Da.Fa. del 20.1.2014); gli appunti del So.; infine le stesse dichiarazioni ammissive rese dall'imputato nel corso dell'interrogatorio del 24.3.2017. Lo strettissimo rapporto tra lo ZO. ed il d.g. So. (quest'ultimo, peraltro, proposto dallo stesso ZO. come consigliere delegato nel 2015, ovverosia poco prima dell'ispezione BCE, quando oramai la banca versava in condizioni di forte criticità ed aveva superato solo per il "rotto della cuffia" il Comprehensive Assessment tramite la conversione del prestito obbligazionario deliberata d'urgenza dal CdA nella seduta del 26.10.2014, convocata presso la tenuta toscana del presidente sita in (...) era stato delineato da numerosi testi escussi (Di.Gr., Se.Ro., Ad.Ca., Pa.An., Vi.Do., Ma.So.) e confermato dallo stralcio della conversazione intercettata tra Gi.Zi. e il suo interlocutore Pa.Ba. nello del 26.8.2015 (riportata a pag. 599 della gravata sentenza), dove si affermava che i due erano sostanzialmente inscindibili e "viaggiavano a braccetto". Lo stesso So. del resto, in occasione di talune conversazioni intercettate, si era riferito spesso al diretto coinvolgimento del Presidente nelle vicende gestorie della banca (il richiamo era ai progressivi 459, 300, 610, 845, 1570, 1587, nonché agli SMS di cui ai documenti nn.ri 653, 654, 655 - pagg. 600-603 della gravata sentenza). Con riferimento all'aucap del 2014, poi, la scheda file audio della seduta del CdA del 4.3-2014 aveva documentato il diretto coinvolgimento del presidente nella pianificazione dell'operazione in questione, mentre le dichiarazioni del coimputato GI. avevano ribadito tale coinvolgimento, peraltro confermato anche dalla documentazione disponibile (era il caso della e-mail costituente l'allegato nr. 75 alla relazione CONSOB). Lo ZO., inoltre, aveva avuto un ruolo attivo anche durante il comitato di direzione "allargato" del 20.4.2015 nel quale erano state affrontate, tra gli altri temi, le questioni dei soci finanziati e della creazione di una task force che avrebbe dovuto gestire il problema dei soci che chiedevano di vendere le proprie azioni. In tal senso deponeva il documento nr. 362 del P.M. costituito dagli appunti di Gi.Am., siccome "interpretati" dallo stesso Am. durante la propria deposizione. Nel corso di tale comitato di direzione, infatti, si era discusso anche del problema costituito dall'impossibilità di ricorrere all'impiego del fondo acquisto azioni proprie, ovvero allo strumento che, ad avviso del Presidente, doveva servire - secondo quanto riferito dal teste Am. - "a rendere più liquido l'investimento in azioni della (...)". Del resto le modalità della risoluzione del rapporto con il d.g. So. (risoluzione intervenuta solo quando, nel corso dell'ispezione BCE, la situazione era divenuta insostenibile a seguito dell'emersione della vicenda dei fondi lussemburghesi, della prassi delle lettere di impegno e dei finanziamenti correlati) dovevano ritenersi sintomatiche - nella ricostruzione dell'episodio fattane dal primo giudice - delle modalità gestorie dello ZO. e della volontà di assicurare al So. un commodus discessus. L'imputato, infatti, aveva fulmineamente risolto il contratto con il direttore generale (al quale, nondimeno, era stato riconosciuto di avere operato "con diligenza e correttezza nell'interesse della banca" e, soprattutto, era stata attribuita una buonuscita di ben 4 milioni di euro); questo era avvenuto nonostante il contrario parere del consigliere Gi.Zi. (documentato dal file audio della seduta del CdA) il quale aveva chiesto di valutare il licenziamento, al posto della risoluzione consensuale, al fine di salvaguardare la posizione dello stesso CdA. Peraltro dell'intervento dello ZI. il verbale consiliare non recava traccia alcuna (e questo nonostante la esplicita richiesta avanzata, in tal senso, dal menzionato consigliere). Si era trattato, quindi, di una decisione unilaterale di ZO., non preceduta da alcun dibattito in seno asl CdA (come riferito dallo stesso ZI. e come, del resto, confermato dalla deposizione del teste Ad.Ca.). Nell'occasione la finalità perseguita dallo ZO. - ad avviso del tribunale - era stata evidentemente quella di assicurarsi, "attraverso il fulmineo e ben retribuito congedo del direttore generale infedele", "un salvacondotto a fronte delle condotte illecite in fase di accertamento da parte della squadra ispettiva" (così si legge a pagina 611 della sentenza impugnata). Solo in quest'ottica, pertanto, poteva essere ragionevolmente interpretato quanto avvenuto in occasione delle successive sedute del CdA del 15 maggio, 27 maggio, 9 giugno e 11 giugno 2015, allorché sì era discusso della possibilità di intraprendere azioni legali nei confronti del So. per poi alla fine decidere, su proposta dello stesso ZO., di non procedere in alcun modo nei confronti dell'ex direttore generale. In definitiva l'accordo per la risoluzione del contratto con il manager con riconoscimento di una buonuscita multimilionaria - accordo deciso e repentinamente attuato dallo ZO. non solo in contrasto con le previsioni statutarie (che attribuivano al CdA la competenza in materia) e con la normativa di vigilanza in materia di remunerazione dei dirigenti, ma anche in radicale conflitto con l'interesse dell'istituto di credito - costituiva un elemento di prova della corresponsabilità dell'imputato. Sintomatiche dell'interesse (a proteggere il So.) perseguito, con detto accordo, dallo ZO. - significativamente definito, in un colloquio captato dagli investigatori, uno che ha governato come un monarca assoluto" e che, quindi, non era certo all'oscuro di quanto andava emergendo nel corso dell'ispezione - erano proprio alcune conversazioni intercettate (cfr. stralci riportati alle pagg. 611-613 della sentenza). Quindi il primo giudice, ad ulteriore sostegno della conclusione cui perveniva in ordine alla piena responsabilità dello ZO. nella gestione dell'istituto di credito con riferimento specifico alle condotte oggetto di imputazione, richiamava specificamente le operazioni correlate effettuate da taluni imprenditori. Trattasi, segnatamente: - di Se.Pi. (presidente del CdA della società It.). Costui, nel corso della deposizione resa in dibattimento, aveva ricostruito gli acquisti "baciati" dì azioni B. effettuati, originariamente su proposta dello ZO., con il ricorso ad affidamenti da parte dell'istituito di credito (il tutto per un'operatività di euro 4.400.000). Secondo detto teste lo ZO. era a conoscenza dell'esistenza dei finanziamenti correlati a lui concessi, iniziati nel 2005. Nel 2013, quando il teste era stato ospite dell'imputato a Castello di Albola, lo ZO. si era dimostrato soddisfatto dell'aumento di capitale e nell'occasione avevano parlato, tra l'altro, delle operazioni finanziate effettuate dal Pitacco, facendo anche specifico riferimento all'importo complessivo; - di Al.Be., imprenditore del settore dell'editoria legato da risalente rapporto di amicizia con l'imputato. Anche tale dichiarante (cfr. verbale di s.i.t. acquisito ex art. 493, co, 3, c.p,p.) aveva ricostruito le operazioni finanziate effettuate al fine di acquistare le azioni di B., per un valore complessivo di euro 1,25 milioni a fronte di un finanziamento di pari importo. Sebbene detto teste avesse riferito di non avere mai parlato con lo ZO. di tali operazioni "baciate", le relative dichiarazioni - sul punto - erano state smentite dai testi Gi.Gi. (direttore regionale della Lombardia) e Al.Ba. (responsabile della Divisione Crediti di B. dal gennaio 2015). Il primo, dopo avere ricostruito le operazioni "baciate" effettuate da detto imprenditore in condizioni di neutralità economica (donde i relativi storni che gli avevano garantito il totale rimborso degli interessi maturati), aveva precisato che il Be. gli aveva riferito di avere parlato con lo ZO. di una di tali operazioni (quella effettuata tramite la B.Me.), Il teste Al.Ba., dal canto suo, aveva dichiarato di avere discusso con l'imputato ZO. della posizione del Be., ragguagliandolo circa gli acquisiti di azioni tramite finanziamenti "baciati" effettuati in precedenza dallo stesso Be. per "Vare una cortesia alla banca". Ciò era avvenuto nel corso di un incontro cui aveva partecipato lo stesso imprenditore, il quale, nell'occasione, aveva espressamente chiesto che l'operazione "fosse smontata"; - di Do.Ir.. presidente di C., società del settore delle costruzioni e amica di famiglia dello ZO.. In questo caso le azioni B. erano state acquistate, per un valore di 1 milione di euro, impiegando parte di un più consistente finanziamento (5 milioni) concesso dall'istituto. A detta della Ir. la proposta iniziale le era stata avanzata, con riferimento all'aumento di capitale allora in fieri, proprio dallo ZO. il quale, poi, l'aveva "dirottata" sul d.g. So.. Dal canto suo il figlio della Ir., Ha.Mi. (vicepresidente e amministratore delegato di C.), il quale aveva poi portato avanti la trattativa, escusso in dibattimento non aveva ricordato con chi avesse effettivamente trattato (sebbene in sede di indagini, come emerso dalla contestazione del P.M., avesse riferito di avere interloquito, in proposito, con lo ZO. oppure con il manager Al.Cu.; soggetto, quest'ultimo, che - parimenti escusso in dibattimento - aveva smentito di essersi personalmente occupato della questione); - dei fratelli Ra.. In particolare Ra.Si., imprenditore del settore abbigliamento e cliente storico di B., aveva riferito di avere aderito, unitamente ad alcuni suoi familiari, alla proposta di operazioni "baciate". Più volte costui (al pari dei fratelli) aveva chiesto rassicurazioni al riguardo allo ZO. ed era stato sempre tranquillizzato. Nel 2013 i Ra. avevano iniziato a sollecitare la chiusura delle operazioni, al che Fu.Bo. ed Em.Gi. avevano tentato di dissuaderli. Dichiarazioni di analogo tenore, poi, erano state rese da Ra.Gi., sebbene costui avesse riferito, diversamente dal fratello, che le discussioni con lo ZO. avevano riguardato la solidità della banca e non già le operazioni "baciate" in corso. Nondimeno - precisava il tribunale - la conversazione nr. 560 intercettata sull'utenza in uso al So., nella quale costui, esprimendo disappunto sull'atteggiamento negazionista dello ZO., riferiva in termini coincidenti con la narrazione di Ra. Silvano, confermava la tesi di quest'ultimo in ordine al contenuto dei colloqui - aventi ad oggetto proprio il tema dell'acquisto delle azioni della banca - intercorsi tra i fratelli Ra. e il presidente ZO.; - di Fr.Zu. e Fe.Ri.. Il primo, cognato di ZO., aveva riferito di un fido concessogli per partecipare, a titolo di amicizia e senza alcun rischio, all'aucap 2014, operazione della quale, tuttavia, non aveva parlato con lo ZO.. Nondimeno dalle schede di analisi dei consulenti del P.M. erano emersi, complessivamente, acquisti di azioni effettuati dalla famiglia Zu. per 984 mila euro con risorse erogate all'uopo dall'istituto. Quanto al Ri., amico dell'imputato da decenni, ex direttore di musei e consulente della banca per la stima delle opere d'arte, aveva effettuato operazioni per gli aucap 2013 (300 mila euro) e 2014 (200 mila euro) e aveva riferito che lo ZO., quando aveva appreso di una di tali operazioni, aveva espresso il proprio compiacimento, sebbene il teste avesse pure precisato che con l'imputato aveva interloquito solo in relazione alla sua sottoscrizione dell'aucap, non già circa le modalità di acquisto delle azioni. Quando poi, nel 2015, aveva manifestato allo ZO. le proprie preoccupazioni per gli acquisti finanziati, l'imputato aveva ribattuto in modo brusco ("Ma chi ti ha detto di farli?"), lasciandolo perplesso; s di Gi.Ro., noto imprenditore del settore della valigeria. In tal caso le operazioni finanziate erano state molteplici (la prima per l'ammontare di 700,000 euro; successivamente anche per l'importo di 5 milioni). Ripetutamente aveva incontrato lo ZO. in occasione di cene e pranzi e, quando gli aveva chiesto rassicurazioni, era stato costantemente tranquillizzato. Richiesto di precisare se l'imputato fosse a conoscenza delle modalità seguite per l'acquisto delle azioni, il teste aveva risposto affermativamente sulla base di considerazioni di tipo logico (basate, per un verso, sulla posizione di vertice rivestita dall'interlocutore, definita dal teste quella del "capo", del "padre-padrone della banca" e, per altro verso, sull'importanza di dette operazioni nell'ambito della gestione dell'istituto di credito). Peraltro, precisava il tribunale, la registrazione del file audio del 18.6,2013 relativo alla breve conversazione intercorsa tra lo ZO. ed il coimputato GI. poco prima dell'inizio della seduta del CdA - conversazione della quale lo stesso GI. aveva poi chiarito il significato (inerente all'interesse manifestato da un imprenditore catanese, tale Riccardo Coffa, per una operazione "baciata") - dimostrava la piena consapevolezza, in capo allo ZO., della prassi esistente in relazione a tale tipologia di operazioni. Altro significativo elemento a carico dello ZO. era rappresentato, nella prospettiva del tribunale, dall'elevatissima concentrazione di operazioni correlate presso il "gestore private" Ro.Ri. nella filiale di Contrà Porti, la stessa ove l'imputato aveva acceso i propri conti correnti. In effetti lo strettissimo rapporto tra i due (ulteriormente comprovato dalla riassunzione de) "gestore" dopo che questi si era dimesso a seguito del trasferimento ad altra filiale; riassunzione, con immediata ricollocazione presso la filiale di Contrà Porti, conseguente a una semplice visita dello stesso Ri. presso l'abitazione dell'imputato) avrebbe avvalorato la conclusione circa la piena consapevolezza, in capo al presidente, della prassi delle operazioni "baciate" che il predetto Ri. effettuava in favore di una selezionatissima cliente, peraltro per importi estremamente ingenti. Questo benché il medesimo Ri. avesse negato di avere parlato di tali operazioni con l'imputato e, a maggior ragione, di avere da questi ricevuto, al riguardo, autorizzazioni di sorta. Del resto - precisava il tribunale - il teste Da.Ti. aveva dichiarato di essere stato rassicurato dallo stesso presidente ZO. - all'uopo interpellato dal "gestore private" Ri. che aveva sostanzialmente fatto da tramite - circa ii fato che le operazioni "baciate" di sua pertinenza sarebbero state chiuse. Anche l'inerzia dell'imputato a seguito della segnalazione di anomalie inerenti ad operazioni correlate ricevuta nella primavera-estate del 2014 deponeva nel senso della fondatezza dell'impostazione d'accusa, al pari, del resto, delle dimissioni del consulente private banker An.Vi., dimessosi in conseguenza delle insostenibili pressioni che riceveva dai superiori (a loro volta in tal senso istruiti dai vertici aziendali) proprio con riferimento alla conclusione di operazioni "baciate". Peraltro, una pec contenente l'esposizione delle ragioni delle dimissioni era stata trasmessa dal Vi., su consiglio del proprio avvocato, sia al CdA che allo stesso ZO., il quale ultimo l'aveva letta in data 7.7.2014 senza, tuttavia, sollecitare approfondimenti al riguardo. Del resto era significativo che la vicenda si fosse poi definita con un accordo transattivo e con l'impegno alla riservatezza. Di spiccato rilievo probatorio, poi, erano tanto l'inerzia manifestata dallo ZO. a seguito della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 26.4.2014, dal socio B. Da. con riferimento alla prassi degli acquisti finanziati, quanto l'atteggiamento, altrettanto inerte, assunto dallo stesso imputato a seguito della ricezione di due lettere anonime che denunziavano il fenomeno della pressione della rete commerciale per favorire la sottoscrizione di operazioni correlate. Conclusivamente, a fronte di tali convergenti elementi, le dichiarazioni rese dall'imputato in occasione degli interrogatori resi in fase di indagine e, successivamente, nel corso dell'esame dibattimentale svoltosi alle udienze - 23,6.2020 e 26.11.2020 - là dove questi aveva sostenuto di essere stato tenuto all'oscuro dell'esistenza del fenomeno delle operazioni correlate, di essersi fidato della valutazione di un esperto di indiscusso prestigio con riferimento al valore assegnato al titolo azionario e, infine, di avere avviato le operazioni di aumento di capitale facendo affidamento sul giudizio della Banca d'Italia in ordine alla solidità dell'istituto di credito - venivano dal tribunale giudicate come destituite di fondamento e scopertamente difensive. I fenomeni del capitale finanziato, delle lettere di impegno e degli investimenti effettuati tramite fondi esteri, infatti, erano stati espressione di prassi note, avallate e, anzi, incentivate dal presidente, vero e proprio dominus assoluto dell'istituto di credito. Egli aveva ricoperto, per circa un ventennio, una posizione di dominio incontrastato, aveva selezionato e fidelizzato il management, anche con trattamenti economici più che generosi (cfr. sul punto, la deposizione del teste Ma.Ma.), aveva imposto la regola dell'approvazione unanime delle sue proposte in CdA ed aveva sistematicamente agito (in forza di una asimmetria di poteri che, peraltro, trovava plastico riscontro anche nell'ammontare delle rispettive retribuzioni, quella dell'imputato risultando quasi dieci volte superiore a quelle degli altri consiglieri) in modo tale da indirizzare l'espansione territoriale dell'istituto nelle aree del Paese ove egli aveva i suoi insediamenti imprenditoriali (Toscana, Friuli, Sicilia), ovvero nelle località di vacanza da lui frequentate (Cortina). In definitiva tutte le dinamiche inerenti alla vita dell'istituto di credito erano state determinate dallo ZO., a partire dalle più importanti strategie d'impresa e fino alle attività più spicciole (posto che era emerso che all'imputato veniva sottoposta, per approvazione, finanche la lista degli invitati alle cene "istituzionali" periodicamente organizzate a casa Lo.), In siffatta prospettiva le conversazioni telefoniche intercettate nelle quali il d.g. Sa.So. evidenziava la piena riconducibilità delle scelte operative al Presidente, ben lungi dall'essere interpretabili come attuazione di una callida determinazione del predetto So., ispirata da logica autodifensiva (come invece sostenuto dalla difesa dello ZO.), costituivano coerente riscontro del pieno coinvolgimelo dell'imputato nell'attività delittuosa. Del resto talune conversazioni significative erano state effettuate impiegando utenze riconducibili a terzi (trattasi dell'utenza 3311650993 intestata a De.Mi.), donde, anche sotto tale profilo, l'insostenibilità della tesi della artificiosità di tali colloqui, il tenore dei quali, peraltro, era del tutto coerente con le richiamate acquisizioni probatorie testimoniali e documentali. Inoltre le affermazioni fatte dal So. in ordine al coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni dì capitale finanziato avevano trovato conforto anche negli SMS inviati dai coimputati MA. e GI. al predetto So., messaggi attraverso i quali costoro sollecitavano il benestare del presidenti su alcune operazioni correlate (trattasi dei documenti nn.ri 653 "ricordati di messaggiare il presidente per le pratiche di oggi in CdA - quelle su acquisto, valori mobiliari... Fe. 11 milioni, Mo. 14 milioni, Fe. 20 milioni"; 654: "il presidente sta arrivando bisogna parlargli di Da. e Ca."; 655: "Ti ricordo Zi. da parlarne al pres per il fido da farsi alla sua finanziaria". Di qui la conclusione in ordine alla sussistenza dei presupposti tutti per affermare il coinvolgimento dell'imputato, a titolo di concorso, in tutti i reati ascrittigli. 1.9.2 Gi.Em. Con riferimento a Gi.Em. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Mercati (della quale egli, a far tempo dalla fine del 2007, era stato il responsabile -spettandogli in tale veste, fino alla cessazione del rapporto avvenuta nel giugno 2015, la direzione e il coordinamento dell'attività commerciale della banca - oltre a rivestire in B. il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma di cui ai docc. nr. 262-267 del Pubblico Ministero. Evidenziava poi come il GI. fosse anche membro del Comitato Soci, ossia dell'organo endoconsiliare deputato alla disamina preventiva delle richieste di acquisto e cessione delle azioni B. prima che le stesse fossero sottoposte al CdA. Ciò premesso il tribunale, nel rinviare al cap. X della sentenza quanto alla disamina della penale responsabilità del GI. per il reato di cui al capo N1, affermava che l'istruttoria dibattimentale consentiva di ritenere "emerso in modo univoco" il diretto coinvolgimento del GI. "in tutti gli aspetti della illecita operatività della Banca", elencando al riguardo le seguenti condotte dal predetto poste in essere: - aveva significativamente contribuito alla definizione e all'attuazione delle prassi operative in tema di capitale finanziato: - aveva partecipato direttamente alle più rilevanti operazioni di capitale finanziato (c.d. "big ticket"); - aveva personalmente sottoscritto alcune lettere di impegno di B. al riacquisto delle azioni precedentemente vendute ai clienti cui esse erano indirizzate, autorizzando altresì in via preventiva la sottoscrizione di analoghe lettere da parte dei funzionari a lui sottoposti; - aveva co-organizzato e programmato una capillare attività di monitoraggio della produttività della rete commerciale, esercitando forti pressioni sui dipendenti della stessa al fine di stimolare il raggiungimento degli obiettivi di raccolta del capitale; - aveva personalmente autorizzato storni di interessi come forma di remunerazione dell'investimento in azioni B.; - aveva, in molteplici occasioni, ostacolato l'accertamento dell'illecita operatività della banca non soltanto nei confronti delle autorità di vigilanza esterna ma altresì nei confronti delle società di revisione (cfr. in particolare l'episodio che aveva coinvolto la società di revisione K.) e della vigilanza interna (audit). Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il primo giudice anzitutto illustrava i contenuti - evidenziati in particolar modo negli appunti manoscritti redatti dal segretario generale Ma.So. (doc. nr. 389 del P.M.), il quale ne aveva riferito nel suo esame dibattimentale - della riunione del Comitato di Direzione tenutasi l'8.11.2011, cui avevano partecipato fra gli altri, oltre al GI., il direttore generale Sa.So., il presidente Zo.Gi., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. (dirigente altresì preposto alla redazione dei documenti contabili), il responsabile della Divisione Finanza An.Pi., il direttore generale della controllata toscana Ca. Fr.To., il vicedirettore generale della controllata siciliana Ba.Nu. Um.Se.. In quella sede, dopo che il PE. aveva evidenziato la necessità di collocare più di 100 milioni di azioni, il To. e il Se. (secondo quanto ricostruito nel suo esame dibattimentale dal teste assistito To., il quale peraltro evidenziava come all'epoca si ritenesse in generale inapplicabile l'art. 2358 c.c. alle banche popolari in quanto cooperative) avevano prospettato espressamente la necessità di ricorrere ad operazioni c.d. "baciate" - benché "non facili da proporre come nell'occasione riconosciuto dal To. - al fine di aumentare il collocamento delle azioni, tenuto conto anche del fatto che mancavano ormai solo poco più di 30 giorni alla chiusura natalizia. Indi il primo giudice evidenziava come al GI. fosse ben nota -quantomeno dal giugno 2011 - la situazione, documentata in atti e altresì, riferita da vari testi, di crescente disallineamento tra le domande di acquisto di azioni e le richieste di vendita delle stesse (le quali sopravanzavano le domande di acquisto in maniera sempre più accentuata ed evidente), il che aveva determinato sin dal 2011 un incremento progressivo ed esponenziale del ricorso al capitale finanziato, secondo un "cambio di passo" riscontrabile proprio all'indomani della menzionata riunione del comitato di direzione tenutasi l'8.11.2011. In tale contesto - proseguiva il tribunale - Em.Gi. si era distinto in modo particolare per l'attivo ruolo svolto nell'organizzazione e nel coordinamento delle iniziative c.d. "svuota fondo", rivolte cioè ad attuare il sistematico svuotamento del fondo acquisto azioni proprie di B. (portato infatti a zero tanto alla fine del 2012 quanto alla fine del 2013) nonché per le pressioni - sempre più accentuate specie a partire dalla fine dell'anno 2012 - da lui esercitate sulla rete commerciale affinché fosse incrementato il collocamento delle azioni. Ampio spazio veniva dato al riguardo, in sentenza, alla deposizione dei testi Fi.Ro. (responsabile dell'Ufficio Soci) e Co.Tu. (funzionario in staff alla Divisione Mercati), secondo i quali il direttore generale So. e il GI. - che veicolava le direttive del So. all'intera rete - monitoravano congiuntamente l'andamento delle domande di acquisto e cessione delle azioni e prendevano le decisioni su quante azioni la banca potesse riacquistare, al che conseguiva il sorgere di un'esigenza di occultamento del capitale finanziato. Indi il primo giudice illustrava gli elementi probatori (fra cui le deposizioni dei testi Co.Tu., Gi.Gi., Ma.Ni., Al.Ba., Al.Cu., En.Da., Lu.Ve., Se.Ro., Ro.Ri. e altri) in base ai quali emergeva il ruolo del GI. nell'organizzazione delle attività di occultamento del capitale finanziato, segnatamente: - mediante il divieto, imposto alla rete, di comunicare per iscritto informazioni sul capitale finanziato; - mediante l'utilizzo nelle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) di una formula - estremamente generica ("necessità per investimenti immobiliari e mobiliari"); - mediante la raccomandazione di attuare un distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni e/o di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche azioni diverse da quelle di B.. La promozione e sollecitazione da parte del GI. dell'occultamento del capitale finanziato, posta in essere nei modi sopra indicati, ad avviso del primo Giudice si traduceva in un rilevante contributo dato dall'imputato all'alterazione della veridicità dei flussi informativi indirizzati all'autorità di vigilanza. In particolare tre episodi, secondo il tribunale, evidenziavano quella che in sentenza (cfr. pag. 647) veniva definita come la * pervicace condotta di Em.Gi. tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delle autorità di vigilanza ovvero della società di revisione": - la vicenda del private banker An.Vi., oggetto di una segnalazione da parte dell'avv. Es. che aveva a sua volta dato luogo ad accertamenti effettuati dall'audit, il cui responsabile Ma.Bo. (sentito come teste in dibattimento) aveva consegnato il 4.9.2014 il relativo report al direttore generale So., che dapprima assumeva un atteggiamento dilatorio salvo poi, pressato dal Bo., convocare il GI. nel gennaio 2015 e consegnargli il report dell'audit; di quest'ultimo, secondo il teste Co.Tu., il GI. aveva detto allo stesso Tu. - il quale pure aveva avuto in visione il report - che non avrebbe dovuto parlare con nessuno; s l'episodio della società di revisione K. (ricostruito all'udienza del 19.12.2019 dal teste Vi.An., partner di detta società; allo stesso episodio aveva altresì fatto riferimento l'avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., ricordando di essere stata zittita in malo modo tanto dal direttore generale So. quanto dal responsabile della Divisione Finanza PI. quando aveva cercato di sollecitare un audit su ciò che era stato riscontrato dalla società di revisione); per la precisione K. aveva, nel corso del suo controllo, individuato 17 posizioni a suo avviso sospette a causa della sostanziale coincidenza tra il valore delle azioni sottoscritte e l'utilizzo dei fidi concessi nonché a causa della vicinanza temporale tra la concessione del finanziamento e la data di acquisto delle azioni; il teste An. aveva dapprima informato il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio, Ma.Pe., e il collegio sindacale; indi, unitamente al PE., aveva presentato l'elenco delle 17 posizioni al direttore generale So. che lo aveva indirizzato al GI.; questi aveva rassicurato l'An. di K. circa la regolarità delle operazioni, l'assenza di criticità, il' rispetto del merito creditizio, l'assenza di correlazioni tra gli acquisti delle azioni e le erogazioni dei finanziamenti; tuttavia K. aveva insistito per ottenere un parere favorevole della direzione affari legali della banca (parere che l'avv. Pa. non riteneva di poter rilasciare), sicché si era giunti a un compromesso - secondo quanto riferito dalla stessa teste Pa. - basato sull'invio a K. di una lettera interlocutoria (elaborata con il contributo anche del GI. che aveva insistito per evidenziare in essa il rispetto del requisito del merito creditizio) contenente l'impegno a svolgere le operazioni necessarie per chiarire le operazioni segnalate; - le modalità di interlocuzione tenute dal GI. con la squadra ispettiva della BCE nel 2015, allorquando l'ispettore Gi.Ma., sentito come teste, aveva cercato di instaurare un contraddittorio preliminare con i vertici aziendali su poco meno di una cinquantina di posizioni già emerse, durante l'ispezione, come connotate dal compimento di operazioni correlate. Secondo quanto riferito dal teste Ma. il GI., nell'incontro con lui avuto il 12.5.2015 (presente anche il teste Al.Ba., la cui agenda conteneva al riguardo appunti idonei a riscontrare appieno il teste Ma.) aveva escluso trattarsi di operazioni correlate, ribadendo all'ispettore che tutti i finanziamenti erano giustificati dal merito creditizio; il GI. aveva anche preso parte alla predisposizione, sempre in relazione a quella cinquantina di posizioni emerse come critiche, di schede da consegnare all'ispettore Ma., il quale però le aveva giudicate inadeguate e insufficienti (analoga valutazione delle schede era stata previamente compiuta dal teste Ma.Bo., responsabile dell'audit). Indi il tribunale passava in rassegna le risultanze istruttorie - indicate in sentenza come plurime e convergenti (fra esse si citavano le deposizioni dei testi Gi.Ca., capo area; Gi.Gi., direttore regionale; Ma.Ni., capo area, Al.Cu., capo area, ed altri ancora) - circa il ruolo svolto dai GI. nell'azione di coordinamento e impulso della rete commerciale tesa a promuovere la stipula, a ritmi sempre più incalzanti, di operazioni correlate. Il primo Giudice evidenziava altresì come il GI. risultasse avere personalmente sottoscritto 16 - per un totale di 80 milioni di euro - fra le 65 lettere B. di impegno al riacquisto delle proprie azioni (tali lettere - in alcuni casi particolarmente impegnative per la banca - avevano l'evidente funzione di rassicurare i soci) consegnate alla squadra ispettiva BCE nella primavera del 2015. Sul punto la sentenza dava ampio risalto, in particolare, alla deposizione del teste Co.Tu. e a quella del teste Lo.Be., capo area. Sempre sul tema delle lettere di impegno il primo giudice indicava come particolarmente significativa, riportandone il contenuto (leggibile a pag. 95 della relativa perizia), la trascrizione della conversazione telefonica n. progr. 359 dell'1.9.2015 intercorsa tra il GI. e il sindaco La.Pi.. Sulle lettere di impegno il tribunale citava altresì - più avanti nel tessuto motivazionale della sentenza: cfr. sue pagg. 671-672 - il contenuto della deposizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'Internal audit, nella parte in cui riferiva di un incontro tenutosi con l'avv. An.Ge. - col quale il d.g. So. voleva concordare una linea difensiva - il 24.4,2015 a Vicenza (presenti, oltre allo stesso Bo. e al So., l'imputato GI. per la Divisione Mercati nonché An.Pi. per la Divisione Finanza, Ma.Pe. per la Divisione Pianificazione e Bilancio, l'avv. An.Pa. dell'ufficio legale e altri ancora); in tale occasione era stato proprio il GI. a parlare espressamente delle lettere di impegno dicendo che erano una ventina (in realtà, come detto, ne emersero oltre il triplo di cui 16 sottoscritte dallo stesso GI.), ammettendo di averne sottoscritte alcune e precisando che la situazione era grave, avendo ormai il fenomeno dei finanziamenti correlati raggiunto dimensioni rilevanti che avrebbero messo in crisi la banca. Il collegio vicentino passava indi ad esaminare le risultanze istruttorie (in particolare le deposizioni dei testi Gi.Ca., Co.Tu., Lu.Ve., nonché la e-mail - doc. 755 del P.M. - inviata il 29.9.2014 da Vi.Ga. al GI.) inerenti al ruolo concretamente svolto dallo stesso GI. nell'attuazione degli storni di interessi. Il primo giudice evidenziava poi come talune fra le operazioni correlate - soprattutto le c.d. big ticket, ossia quelle più importanti per rilevanza ed entità - vedessero un diretto coinvolgimento del GI. in prima persona nella loro conduzione (unitamente al direttore generale So.: i due si recavano appositamente in visita congiunta ai clienti - per lo più imprenditori - maggiormente patrimonializzati), menzionando le evidenze probatorie raccolte al riguardo e in particolare le deposizioni rese dai testi, fra cui Ro.Ri. (gestore private della filiale di Contrà Porti), Tr.Lo. (cliente), Gi.Ra. (cliente), Luca Fe.ni (cliente), Sa.Bu. (cliente), Lu.Mo. (cliente), Gi.Ro. (cliente), Pi.Ca. (cliente) e altri. Indi il tribunale passava in rassegna le deposizioni rese da parecchi testi (Di.Ip., Ma.Ni., Lu.Ve., Fu.Bo.) - fra i quali molti capi area ma anche due private banker come An.Vi. e Fr.Te., dimessisi entrambi, a loro dire, proprio a causa delle pressioni ricevute - dalle quali emergevano, a suo avviso, le sistematiche pressioni esercitate non soltanto dal direttore generale So. ma anche dall'imputato GI. sulla rete commerciale - a partire dal 2012 - affinché fossero raggiunti gli obiettivi di raccolta del capitale prefissati. L'effettivo esercizio di tali pressioni - proseguivano i giudici vicentini - trovava comunque plurimi riscontri documentali, in particolare nelle produzioni di cui ai docc. nn. 22, 91-95, 298, 657, 660 del P.M.. Altro elemento probatorio di pregnante rilevanza a carico del GI., secondo il primo giudice, era rappresentato dalla trascrizione del file audio corrispondente alla registrazione dì quanto detto nell'ambito del Comitato di Direzione tenutosi il 10.11.2014, al quale il GI. aveva preso parte unitamente al direttore generale So. e agli altri immediati suoi sottoposti. Ampi stralci di tale trascrizione sono riportati alle pagg. 666-667 della gravata sentenza. In particolare il direttore generale So., alla pag. 34 della trascrizione, dichiarava fra l'altro agli astanti che la banca aveva "fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare ... Noi dobbiamo selezionare molto di più i nostri impieghi (...). Non possiamo smontarli perché ci sono azioni dietro, ma non possiamo neanche tenerci questo popò di problema. Quindi dobbiamo risolvere il problema delle azioni appiccicate a questi e poi andiamo a vedere nominativo per nominativo (...)". Alla pag. 27 della trascrizione il responsabile della Divisione Finanza, An.Pi., parlava della necessità di collocare 27 milioni residui di azioni detenute dai fondi esteri trovando qualcuno che le compra a sconto"; il GI. gli replicava prospettando un possibile scambio con (...) (già (...)) che deteneva a sua volta titoli di (...) Banca. Alla pag. 67 della trascrizione il GI. si rivolgeva al So. nei seguenti termini: "Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? (...)". Al riguardo il tribunale vicentino affermava che, a differenza di quanto sostenuto dagli imputati in dibattimento, non emergeva dalla trascrizione (e ancor meno dall'ascolto diretto del file audio) alcun disallineamento degli astanti rispetto alla posizione espressa dal direttore generale So., né era dato cogliere, per converso, alcuna supina subordinazione dei predetti alla volontà dello stesso So., trattandosi piuttosto di un dialogo ove ognuno dei presenti prospettava - alla pari - problemi e ipotesi di soluzione. Il primo giudice passava quindi a valutare il complesso delle affermazioni rese dall'imputato GI. in sede di esame dibattimentale, sostenendo che l'assunto di questi circa la sua non consapevolezza delle reali dimensioni quantitative del capitale finanziato era ampiamente smentito da varie convergenti emergenze probatorie fra le quali spiccavano, oltre al tenore della trascrizione del menzionato file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014, alcune produzioni documentali (segnatamente le tabelle di rendicontazione sub docc. nn. 272, 273, 274, 275 del Pubblico Ministero) e varie deposizioni testimoniali (tra cui quelle dei testi Ma.So., Co.Tu., Cl.Gi. e Ro.Pr., quest'ultimo responsabile della direzione private dall'ottobre 2014, ma anche le deposizioni dei testi Gi.Am. e Ma.Li.); veniva riportato al riguardo in sentenza anche il tenore della già sopra menzionata deposizione del teste Ma.Bo. - responsabile dell'Internal audit - in ordine ai contenuti dell'incontro con l'avv. An.Ge. tenutosi in data 24.4.2015. Il tribunale - dopo avere illustrato alle pagg. 672-676 la versione resa dall'imputato GI. su vari argomenti (oltre al tema delle lettere di impegno anche quello degli storni di interessi, quello dell'episodio della società di revisione K., quello dei propri rapporti con il d.g. So. del quale eseguiva le direttive, quello delle pesanti pressioni provenienti a suo dire dallo stesso So. e dal CdA della banca e rivolte a sé come a tutti gli altri manager, sempre a suo dire tutti coinvolti, senza esclusione di alcuno, nella vicenda delle operazioni correlate) - riteneva tale versione smentita, tanto sulla piena consapevolezza dell'illegittimità delle svolte operazioni correlate (che il GI. - a suo dire - pensava fossero invece legittime, specie dopo che l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 non aveva mosso rilievi circa l'operatività dell'art. 2358 c.c.) quanto sul loro occultamento al mercato e alla vigilanza, da una serie di risultanze probatorie di segno contrario, così sunteggiate dai giudici vicentini: - il divieto di dare indicazioni scritte, l'utilizzo della P.E.F. generica, lo scostamento temporale tra delibera di fido e acquisto delle azioni; le indicazioni date di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche titoli diversi dalle azioni di B.; - l'inserimento nelle delibere autorizzale e nei documenti di offerta - in occasione dei miniaucap 2013 e 2014 - del richiamo al rispetto dei limiti di cui all'art 2358 c.c.; - l'omesso riferimento, nel corso dei colloqui con gli ispettori Vi.Ca. (AQR - Asset Quality Review) e Gi.Ma. (BCE), tanto al capitale finanziato quanto, in alternativa, agli esiti - di presunta rassicurazione circa l'inapplicabilità a B. dell'art. 2358 c.c. - dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012; - la valenza dei tre episodi relativi alle vicende del private banker An.Vi., della società di revisione K. e delle schede consegnate all'ispettore Ma.. Il primo giudice escludeva altresì la fondatezza dell'assunto del GI. circa il suo essere convinto che lo scorporo delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza avesse avuto luogo, definendolo come una "tesi (...) assolutamente inverosimile; è evidente che lo scopo delle operazioni finanziate era quello di dissimulare riliquidità del titolo, in ipotesi di corretta appostazione delle stesse esse sarebbero state inutili" (cfr. pag. 677 sentenza gravata). Non poteva avere infine alcuna valenza scriminante, secondo il tribunale, la necessità, dedotta dal GI., di dare esecuzione a direttive impartitegli dal CdA e/o dal direttore generale So., tenuto conto della sua veste di dirigente apicale membro della struttura esecutiva e investito ex lege di dirette responsabilità di gestione. 1.9.3 Ma.Pa. Con riferimento a Ma.Pa. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Crediti (della quale egli era stato il responsabile dal giugno 2010 sino al dicembre 2014, il che lo rendeva membro di diritto del Comitato Centrale Fidi e del Comitato Crediti) oltre a rivestire in B., a far tempo dal 18 ottobre 2011, anche il ruolo di vice direttore generale; citava a tal proposito la relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia nonché (con apparente riguardo alla sola gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati) il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale n. 262 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Crediti erano così descritte dal tribunale: - assicurare, in materia di erogazione del credito, il rispetto delle norme e disposizioni dell'Organo di Vigilanza, dello statuto nonché delle delibere degli organi superiori; - garantire l'analisi e la valutazione degli affidamenti secondo quanto previsto dalla normativa interna, nonché il loro perfezionamento e quello delle relative garanzie; - verificare la regolarità dell'iter di delibera delle concessioni di credito, nei limiti delle facoltà delegate, avvalendosi dell'attività delle strutture preposte che dipendevano dalla Divisione Crediti stessa; - presentare le proposte di finanziamento di competenza degli organi superiori, avvalendosi dell'attività della UO Analisi, anche alla luce dell'andamento del Gruppo e del settore economico di appartenenza; s garantire alla rete delle filiali un adeguato supporto di consulenza sulle tematiche di competenza, in particolare attraverso le strutture delle UO crediti di area e della U.O. Analisi; s assicurare la gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati. Nel far ciò il collegio vicentino affermava più in generale che "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito, compreso il rispetto della normativa in materia, sia di fonte "esterna" (norme e disposizioni delie Autorità di vigilanza) sia di fonte "interna"(statuto e delibere degli organi sovraordinati). In particolare, oltre a curare, per quanto di competenza, la fase di analisi e valutazione degli affidamenti, la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (e delle relative garanzie) e di gestione dell'anagrafe generale (...). In ogni caso la Divisione Crediti era chiamata a stabilire - sulla base degli indirizzi dei CdA e della Direzione Generale e per quanto di competenza - le politiche di gestione del credito" (cfr. pagg. 678-679 sentenza gravata). Nondimeno - proseguiva il tribunale - nel suo esame dibattimentale del "13.6.2013" (rectius 13.6.2019) il teste Cl.Gi., indicato in tale passo della sentenza impugnata come capo area di Vicenza, aveva dettagliatamente spiegato che la struttura dei Crediti era articolata su base territoriale: vi erano una funzione crediti dedicata in capo a ogni singolo capo area e una funzione crediti in capo alla direzione regionale; ciascuna direzione regionale a sua volta coordinava le proprie quattro aree di riferimento; entro certi limiti tali strutture decentrate godevano anche di una potestà deliberativa autonoma, di talché il processo di elaborazione del credito era definito in autonomia quanto agli aspetti relativi all'analisi e alla definizione della delibera; solo se esso eccedeva la potestà deliberativa si faceva luogo a una mera verifica di adeguatezza della proposta che la struttura decentrata inviava alla Divisione Crediti, deputata in quel caso a valutare in autonomia la relativa pratica. Ciò premesso il tribunale affermava che la svolta istruttoria dibattimentale consentiva dì ritenere univocamente provata la penale responsabilità dell'imputato, dimostratosi pienamente consapevole di tutte le condotte di reato ascrittegli. Premetteva al riguardo il collegio che, a detta del teste Em.Ga. (responsabile del team ispettivo che aveva operato nei confronti di B. nell'anno 2015), l'analisi delle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) condotta in sede ispettiva ne aveva subito evidenziato l'assenza di garanzie nonché l'estrema genericità e ripetitività delle causali indicate (le quali per lo più utilizzavano espressioni come cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare o immobiliare), il che era indice di sospettosità dal momento che in genere una banca, in caso di erogazione di fidi destinati ad acquisti di strumenti finanziari, era ben informata su quale tipologia di strumento finanziario il cliente desiderasse acquistare, su quali ne fossero le caratteristiche principali di rischio e su quali beni fossero costituiti in garanzia (essi corrispondevano per lo più agli stessi strumenti finanziari acquistati o ad altri di valore equivalente). Affermava il primo giudice che la svolta istruttoria aveva evidenziato in capo a Pa.Ma. un ruolo di centralità nel garantire che la rete si uniformasse all'istruzione operativa di utilizzare, nelle P.E.F. aventi ad oggetto capitale finanziato, la sopra evidenziata causale improntata a una formula generica e di stile (dal tribunale indicata come "causale sentinella" proprio in quanto consentiva di rendere immediatamente riconoscibile ai diversi addetti l'effettiva finalità dell'operazione di finanziamento). Il collegio giudicante citava al riguardo le deposizioni rese da vari testi. Quanto alla genesi della ed. "causale generica sentinella" il primo giudice evidenziava quanto segue: il capo area Gi.Ca. affermava che l'uso della causale generica gli era stato consigliato dai suoi superiori Ro.Pr., Lu.Ve. e Gi.Gi.; il capo area Lu.Ve. affermava che l'uso della causale generica era stato raccomandato da una direttiva di area illustrata nelle riunioni, probabilmente ad opera del responsabile della Divisione Mercati Em.Gi., ma che la Direzione Crediti ne era a sua volta a conoscenza tanto che in un'occasione egli aveva parlato direttamente con Pa.Ma. - e in maniera esplicita - dell'effettiva natura di un'operazione di finanziamento che andava a perfezionarsi con il titolare di un noto pastificio; il capo area Ma.Ni. indicava Cl.Gi. ed Em.Gi. come i soggetti dai quali proveniva l'indicazione di usare la causale generica aggiungendo che comunque la Divisione Crediti sapeva che un'operazione connotata da siffatta causale era un'operazione correlata all'acquisto di azioni della banca (in alcuni casi gli analisti della Divisione Crediti avevano anche chiesto al capo area di confermare che l'operazione fosse "baciata"); il capo area En.Da. ricordava che in alcune occasioni il direttore di filiale non aveva inserito la causale indicata (al che - a suo dire - l'Ufficio Crediti aveva restituito la pratica per il cambio della causale); il capo area e indi direttore regionale Cl.Gi. affermava di avere parlato - in alcune occasioni - di finanziamenti correlati con la Divisione Crediti e precisamente con il suo responsabile Pa.Ma. (la formula generica era stata a suo dire suggerita forse da Em.Gi. o forse da Co.Tu., funzionario in staff alla Divisione Mercati), fermo restando che - sempre a detta del Gi. - in alcune occasioni lo stesso Comitato Crediti, al quale partecipavano i direttori regionali, aveva deliberato operazioni di finanziamento in tutto o in parte correlate; il capo area e indi direttore regionale Al.Ca. (escusso ex art 210 c.p.p.) aveva attribuito - a seguito di contestazione - al MA. l'indicazione, data nel corso di alcune riunioni operative, di utilizzare la causale generica; anche secondo il teste Co.Tu. l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data dal MA., e ciò ancora alla fine dell'anno 2012 (secondo il teste Tu. il MA. aveva dato tale consiglio "perché questo tipo di operazioni era borderline e poteva destare l'attenzione della CONSOB e della Banca d'Italia"); il teste Gi.Am., responsabile nel periodo 2013-2014 della divisione retail, affermava che l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data da Em.Gi. ma era stata ripresa e ribadita anche da Pa.Ma., il quale - sempre a detta del teste Am. - aveva altresì respinto alcune pratiche in cui era indicata in modo esplicito la destinazione del finanziamento all'acquisto delle azioni di B.. Quanto poi all'altro espediente emerso durante l'istruttoria dibattimentale, ossia la precauzione di mantenere - per prevenire eventuali sospetti - una qual certa sfasatura temporale tra l'erogazione del fido e l'acquisto delle azioni B., il teste Co.Tu. affermava che il consiglio di far intercorrere un lasso di tempo alquanto lungo tra la delibera di affidamento, la sottoscrizione delle azioni e l'addebito sul conto era venuto da Ma.Pa. (peraltro nel corso del controesame il teste Tu. aveva dichiarato che lo scopo dell'indicazione di mantenere una sfasatura temporale non era quello di occultare l'effettiva finalità del finanziamento bensì, "principalmente", quello di evitare sconfinamenti sul c/c); il teste Lu.Ve. ricordava che la raccomandazione di far rispettare la sfasatura temporale era stata del GI., il quale aveva comunque precisato trattarsi di una linea operativa concordata con la Divisione Crediti. A memoria del teste En.Da. il consiglio di osservare la sfasatura temporale era venuto - benché di fatto i fidi non venissero gestiti dalla loro divisione di appartenenza che era la Divisione Mercati - da Em.Gi. e Co.Tu., i quali a loro volta dissero che ciò era stato specificamente concordato con la Divisione Crediti; sempre il teste capo area Da. ricordava che il MA. in una o due occasioni lo aveva contattato per operazioni correlate ove il teste stesso aveva mandato contestualmente alla Divisione Crediti sia la pratica di finanziamento sia il modulo già compilato di acquisto delle azioni, restituendogli tali pratiche con il seguente rimprovero: "non voglio vedere queste cose qua, mandi la pratica in maniera corretta e le azioni le acquisti quando la pratica è stata deliberata". Il teste Se.Ro., dell'Ufficio Soci, affermava che, a seguito dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012, il direttore generale So. e i vicedirettori GI. e MA. avevano raccomandato alla rete di fare in modo che la data di acquisto delle azioni fosse successiva alla data di delibera dei finanziamenti, ma ciò solo per evitare - a suo dire - sconfinamenti sul c/c. Il primo giudice affermava che vi era anche una prova documentale -rappresentata dal sopra illustrato file audio della registrazione dello svolgimento del Comitato di Direzione dd. 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.) - del fatto che la linea di indirizzo in tema di rispetto della sfasatura temporale nelle operazioni "baciate" fosse stata concordata con la Divisione Crediti diretta da Pa.Ma.; ne riportava al riguardo (cfr. pagg. 685-686 sentenza gravata) un lungo stralcio - a suo dire particolarmente eloquente - relativo a un dialogo tra lo stesso MA. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.. Il tribunale procedeva quindi a illustrare la ed. "campagna riqualificazione impieghi", deliberata dal CdA il 21.10.2014 (giusta doc. nr. 102 del P.M.) e presentata al Consiglio proprio da Pa.Ma.; trattavasi di un'iniziativa finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate - in sede di rinnovo o di revisione degli affidamenti - in base al peso percentuale delle azioni B. detenute dal cliente. Il primo giudice, sempre al fine dì illustrare il ritenuto protagonismo della posizione rivestita da Pa.Ma. nell'attuazione delle operazioni correlate, ricordava un episodio narrato da Um.Se., già direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu.: dalla capogruppo B. era giunta (su indicazione di Em.Gi. e Co.Tu. della Divisione Mercati, condivisa dalla Divisione Crediti nella persona di Pa.Ma.) una lista di nominativi ai quali la stessa Ba.Nu. avrebbe dovuto concedere affidamenti accompagnati dall'acquisto di azioni B. per un controvalore pari al 10-15-20% dell'intero affidamento; il teste Se., notando che alcuni dei nomi compresi nell'elenco corrispondevano a società sottoposte a procedura concorsuale, aveva parlato con Cl.Am. - della Divisione Crediti di B., subalterno del MA. - per chiedere spiegazioni; l'Am., dopo aver conferito con il suo superiore Pa.Ma., aveva replicato che Ba.Nu. doveva limitarsi a eseguire le direttive senza discuterle e che un tanto gli era stato detto dal MA.: "Guarda, il dottor Ma. mi ha urlato e mi ha detto che questa cosa la dovete fare. Punto e basta". Il collegio vicentino passava quindi ad illustrare gli estremi di una operazione correlata di finanziamento proposta personalmente nell'ottobre 2012 da Pa.Ma. a un imprenditore da lui conosciuto nel 2007 (quindi tre anni prima di entrare in B.), ossia Ez.Ci. del gruppo (...), del quale veniva acquisito in dibattimento ex art. 493 comma 3 c.p.p. il verbale delle s.i.t. rese il 24.10.2016. Il Ci. aveva dichiarato a s.i.t. che nell'occasione il MA. si era presentato a lui proponendogli di sottoscrivere azioni B. per complessivi 5 milioni di euro; alle perplessità del Ci., che aveva risposto di non disporre delle risorse a ciò necessarie. Il MA. aveva a sua volta replicato che B. avrebbe erogato un finanziamento di pari importo, a termine con scadenza di un anno, destinato ad essere garantito dalle stesse azioni B. che poi sarebbero state tenute in custodia dalla banca. Il Ci. si era risolto ad accettare la proposta dopo che MA. lo aveva rassicurato dicendogli che operazioni analoghe erano del tutto lecite ed erano state proposte anche ad altri imprenditori (da lui non nominati trattandosi a suo dire di notizia riservata); a ottobre 2013 detta operazione era stata rinnovata annualmente e così pure l'anno seguente. Nel maggio-giugno del 2013 B. aveva proposto al Ci. di partecipare all'aumento di capitale di quell'anno, il che anche in tal caso era avvenuto grazie a un finanziamento concessogli dalla stessa B.. Un pieno riscontro alle s.i.t. del Ci. era rappresentato - ad avviso del tribunale - dalla deposizione del teste Fr.Pi., capo area del distretto Veneto occidentale (indicato al Ci., nel racconto di questi, dal MA. come colui che avrebbe seguito la sua pratica, e così era stato). Il primo giudice individuava ulteriori elementi probatori del coinvolgimento a pieno titolo di Pa.Ma. nelle operazioni correlate effettuate da B. mediante c.d. "baciate" nelle deposizioni dei testi Gi.Gi., in B. con il ruolo di direttore regionale di Lombardia, Liguria e Piemonte (secondo il quale le pratiche di fido relative a operazioni "baciate" erano preannunciate alla Divisione Crediti e condivìse con i componenti di essa incluso il suo vertice MA., il quale partecipava altresì al comitato crediti ove pure veniva sempre evidenziata - dai componenti la Divisione Crediti che vi partecipavano - l'eventuale natura "baciata" delle pratiche di fido ivi presentate), e Fu.Bo., capo area (che rendeva sul punto dichiarazioni di analogo tenore), nonché in alcuni messaggi sms (in particolare il doc. nr, 653 del Pubblico Ministero, relativo a un sms del 27.9.2011, e il suo doc. nr. 655, relativo a un sms del 26.10.2012) nei quali il MA. ricordava al direttore generale So. di riferire al Presidente circa alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato, indicandogli nominativamente i soggetti suscettibili di essere finanziati - effettivamente risultati tali in seguito - nonché, in molti casi, il relativo importo). Ulteriore elemento probatorio indicato dal primo giudice a carico del MA. erano le risultanze degli accertamenti interni svolti dall'audit di B. sul capitale finanziato, in particolare la nota 7.5.2015 dell'Internaf audit (doc. nr. 23 del Pubblico Ministero) nella quale si evidenziava tra l'altro come la maggior parte delle numerose posizioni correlate rinvenute nel portafoglio di Ro.Ri., gestore private della filiale di Contrà Porti, fossero state deliberate da organi collegiali su presentazione proprio di Pa.Ma. (87%) oppure fossero state deliberate dallo stesso responsabile della Divisione Crediti. Il collegio vicentino passava quindi a ricostruire le interlocuzioni avute dal MA. con la vigilanza, rinviando - quanto a quelle inerenti all'ispezione della Banca d'Italia del 2012 - all'apposito cap. IX della sentenza, interamente dedicato a tale ispezione. In particolare tanto il teste Ma.Pa. (nel riferire di due incontri interlocutori da lui condotti cui aveva partecipato il MA. nel luglio 2013, il primo assieme al segretario generale Ma.So. e il secondo assieme al direttore generale Sa.So.) quar°z(il teste Vi.Ca. (nel riferire dell'accesso da lui condotto da febbraio ad agosto 2014 nell'ambito dell'AQR - Asset Quality Review, ove si era stabilmente relazionato con il MA.) precisavano che in tali occasioni nessuno aveva fatto il benché minimo riferimento al ricorso all'assistenza finanziaria per il collocamento delle azioni. Il primo giudice indi illustrava la versione dell'imputato, resa in occasione dell'esame dibattimentale tenutosi nelle udienze dell'11 e del 16 giugno 2020, evidenziando come essa da un lato fosse difforme dalle stesse dichiarazioni rese dal MA. in sede di indagini preliminari (interrogatori del 28 aprile e del 2 maggio 2017) e dall'altro lato configgesse in più punti - ad esempio nella parte in cui egli affermava che la causale generica "acquisto valori mobiliari e immobiliari", in uso almeno dal 2006, fosse un mero espediente tecnico per garantire il perfezionamento del fido in quanto, a suo dire, non esisteva il prodotto "finanziamento per acquisto azioni", o nella parte in cui egli affermava di non essere mai stato informato del fatto che i finanziamenti fossero destinati all'acquisto delle azioni - con il sopra delineato quadro probatorio. Il primo giudice evidenziava come l'esame dibattimentale del MA. divergesse radicalmente dai suoi interrogatori resi in sede dì indagine preliminare, in particolare dall'interrogatorio del 28.4,2017 in relazione alla vicenda dell'Operazione Sorgente (in tesi accusatoria si trattava di un'operazione "baciata" attraverso la quale la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato un finanziamento di 25 milioni di euro alla società So. Ltd., facente parte del gruppo Mainetti, che era stato utilizzato per acquisto di azioni B. al fine di consentirne la dismissione dal fondo estero "(...)"). In sede di esame dibattimentale il MA. negava trattarsi di operazione correlata mentre durante le indagini preliminari l'aveva definita "un'operazione baciata imposta da PI. al So. (...) Sono venuto a conoscenza di questa operazione con la proposta di affidamento giunta in Divisione Crediti. Ho compreso che si trattava di un'operazione baciata in quanto la causale dell'affidamento era indicata con la generica dicitura di cui ho detto prima, "cogliere opportunità di mercato" o analoghe, e inoltre vi era l'impegno al deposito dei titoli presso B.". Che la versione rispondente al vero fosse quella resa dal MA. in sede di indagini preliminari - proseguiva il tribunale - lo si evinceva da due elementi di prova rappresentati dal più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014 (nella trascrizione prodotta dal Pubblico Ministero quale suo doc. nr. 110, cfr. ieri particolare sua pag. 43) e da una conversazione intercettata Io.-Ma. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. Il tribunale evidenziava altresì come un ulteriore assunto del MA. - secondo cui egli e il suo sottoposto Cl.Am. avevano disvelato agli ispettori della Banca d'Italia nel 2012 il carattere correlato delle operazioni effettuate da almeno una quindicina circa dei clienti dì cui alla lista dei primi trenta soci di B. - fosse stato smentito dalle deposizioni dei predetti ispettori (che avevano concordemente negato la circostanza) e non avesse trovato il benché minimo riscontro in atti. Né - significativamente, secondo il collegio vicentino - il MA., soggetto da ritenersi nel complesso del tutto inattendibile, aveva mai accennato a tale preteso disvelamento neppure nei suoi atti giudiziari relativi alle cause di lavoro e all'azione di responsabilità dinanzi al tribunale delle imprese. Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono il primo giudice riteneva indubitabili il rilevante apporto causale concorsuale del MA. a tutti i reati ascrittigli (in base alla tabella n. 1 allegata al supplemento di consulenza tecnica del Pubblico Ministero dd. 14.11.2019 egli risultava avere partecipato consapevolmente alla fase deliberativa di finanziamenti correlati per un importo di circa 800 milioni di euro, di cui 414 milioni deliberati dal CdA su pratiche presentate dall'imputato, 160 milioni deliberati dal Comitato Crediti di cui il MA. era membro, 108 milioni deliberati dallo stesso MA. quale organo monocratico dotato di autonoma potestà deliberativa, 63 e 49 milioni rispettivamente deliberati dal Comitato esecutivo e dal Comitato Centrale fidi, anche in tal caso sulla base della presentazione di pratiche effettuata dal MA.) e il pieno ricorrere dell'elemento soggettivo del reato. 1.9.4 Pi.An. Con riferimento all'imputato Pi.An. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Finanza (nella quale egli operava con tale qualifica dal 2009 oltre a rivestire in B. anche il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale nr. 261 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Finanza erano così descritte dal tribunale: - partecipare al coordinamento e allo sviluppo delle attività del mercato primario e secondario su comparti azionari e obbligazionari: - curare l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi e l'emissione dei prestiti obbligazionari del gruppo, coordinandosi con le Unità competenti; - collaborare con la Divisione Mercati nell'adeguare i prodotti e i servizi finanziari da offrire alla clientela, sulla base delle esigenze/opportunità rilevate, tenendo conto delle linee guida definite dal Comitato Prodotti e Wealth Management; s all'interno della Divisione Finanza poi il nucleo "Documentation" si occupava di valutare l'adeguatezza e l'allineamento degli strumenti finanziari e dei processi alla normativa primaria (TUF, TUB, Regolamenti CONSOB e Banca d'Italia) e secondaria nonché alla normativa interna nella prestazione dei servizi d'investimento o comunque nello svolgimento dell'attività della Divisione Finanza, con precipuo riferimento alla materia dei servizi di investimento, supportando la divisione nei rapporti con le funzioni di compliance, legale, auditing e organizzativa; - l'Unità svolgeva inoltre un ruolo di supporto alle funzioni responsabili del processo di gestione delle informative da fornire alla clientela prima della negoziazione di strumenti finanziari, in conformità al dettato dell'art, 31 del Regolamento intermediari, nelle fasi di aggiornamento delle stesse; - partecipazione, per la parte di competenza della Divisione Finanza, alla redazione della relazione per le Autorità di vigilanza sulle procedure di svolgimento dei servizi di investimento; s assicurare l'informativa e le segnalazioni istituzionali di propria competenza, coordinandosi con le Unità competenti. Il primo giudice affermava (cfr. pag. 703 sentenza gravata) che dall'istruttoria dibattimentale era emersa "la prova del ruolo svolto da An.Pi. in alcune operazioni di capitale finanziato di rilevante importo effettuate attraverso la controllata irlandese B.Fi. e nella sottoscrizione dei fondi lussemburghesi utilizzati come strumento di detenzione indiretta delle azioni proprie da parte della banca vicentina, in particolare - attraverso i fondi esteri - nell'ambito dell'iniziativa svuota fondo 2012 furono collocati 60 milioni di euro di azioni B.". Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il collegio vicentino individuava plurime condotte ritenute penalmente rilevanti a carico del PI. e in particolare: - operazioni di capitale finanziato effettuate, estero su estero, dalle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" - tre società denominate Ma., Ju. e Br. - tanto nel 2012 (in occasione della relativa campagna svuota fondo) quanto nel 2013 (in occasione dell'aumento di capitale di quell'anno). Per la precisione - in base alla ricostruzione effettuata in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma., riscontrato dalle deposizioni rese dai testi Gi.Gi. (in B., come detto, con la veste di direttore regionale per Lombardia-Liguria-Piemonte) e Pi.Ra. (d.g. di B.Fi.) - nel novembre/dicembre 2012 la controllata irlandese B.Fi., il cui direttore era il teste Pi.Ra., risultava avere erogato tre fidi c.d. "bullet", di 10 milioni di euro l'uno, alle suddette società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali a loro volta avevano girato la liquidità cosi ricevuta a tre società italiane neocostituite e denominate Pe. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime (facenti capo al gruppo Fi., il cui direttore finanza era Ma.Sb.) avevano provveduto ad acquistare azioni B. per importi corrispondenti ai finanziamenti erogati. Indi, nel luglio 2013, la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato nuovi finanziamenti per 3 milioni di euro alle tre società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali anche in tale occasione avevano girato la liquidità così ricevuta alle tre società italiane denominate Pe.In. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime a loro volta avevano sottoscritto azioni e obbligazioni convertibili per un ammontare equivalente; i testi Gi. e Ra. avevano delineato il ruolo attivo dell'imputato PI. in entrambe le operazioni (la cui istruttoria era stata seguita dalla Divisione Crediti della capogruppo B.) e in particolare il teste Ra., direttore della controllata irlandese B.Fi., aveva indicato il PI. come colui che gli aveva richiesto di impostare i suddetti finanziamenti, affermando altresì essersi trattato di operazioni atipiche per B.Fi., la quale generalmente finanziava aziende produttrici dì beni e non concludeva operazioni strettamente finanziarie (cosa questa obiettata dal Ra. al PI., il quale tuttavia gli aveva replicato - nella prima delle due occasioni - che occorreva fare l'operazione "per aiutare la banca a comprare le proprie azioni" e riuscire così a svuotare il fondo acquisto azioni proprie entro la fine dell'anno 2012). Un altro teste, Gi.Fe., direttore della Divisione Compliance, ricordava che, nel corso di un'attività ispettiva svolta dalla Compliance a Dublino nel 2013 nei confronti di B.Fi., i finanziamenti concessi alle "tre sorelle" lussemburghesi erano emersi, il che lo aveva indotto a rivolgersi al direttore generale So. che a sua volta lo aveva indirizzato al PI.; questi aveva rassicurato il Fe. dicendogli che in quel periodo B. stava acquistando molte azioni (...) e che in contropartita la Save stava comprando azioni B.; s investimento della somma complessiva di 350 milioni di euro (di cui 200 milioni investiti dalla capogruppo B., 100 per ciascun fondo, e i restanti 150 milioni investiti dalla controllata irlandese B.Fi. in due fondi lussemburghesi denominati "(...)" e "(...)" (sotto-fondi (...) Multistrateqy I e II). utilizzati quale strumento di detenzione indiretta delle azioni di B. (per tale tramite nel 2012 erano state concluse operazioni c,d. "svuota fondo" - atte cioè ad alleggerire il fondo acquisto azioni proprie di B. - del valore di 60 milioni di euro). La delibera di investimento nei fondi in oggetto, adottata dal CdA di B. in data 21.2.2012 (in atti quale doc. n. 325 del Pubblico Ministero), era stata sottoscritta dal PI. quale responsabile della Divisione Finanza dopo che lo stesso aveva illustrato al CdA i termini dell'operazione, a sua volta in precedenza pianificata nel corso di una riunione tenutasi il 5.12,2011 tra Ma.So., Fi.Ro. e An.Pi. per B. e la coppia di rappresentanti del fondo "(...)" formata da Al.Ma. - sentito quale teste ex art, 507 c.p.p. su richiesta della difesa del PI. - e Gi.Ma.. Ciò risultava dalle deposizioni del teste ispettore Gi.Ma., dei testi Ma.So. e - soprattutto - Fi.Ro. nonché dai messaggi sms (in atti quale doc. nr. 311 del P.M.) intercorsi nel novembre 2012 - pochi giorni prima della sottoscrizione dei contratti con i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" avvenuta il 28.11.2012 - fra An.Pi. e i gestori dei fondi stessi. Subito dopo aver ricevuto tali capitali i due fondi "(...)" e "(...)" avevano comprato azioni B.. Secondo il tribunale vicentino il fatto che tale investimento di B. nei fondi lussemburghesi - lungi dall'indicare un interesse di questi ultimi a diventare soci della banca, come ammesso, secondo il teste Fi.Ro., anche dal direttore generale So. durante il comitato soci del 18.12.2012 - fosse stato puramente strumentale all'esigenza della stessa banca dì svuotare il proprio fondo acquisto azioni emergeva non soltanto dalla stretta consequenzialità temporale fra tutte le operazioni come sopra descritte ma altresì dalla deposizione dello stesso teste Fi.Ro. (facente parte dell'Ufficio Soci di B.), che ricordava di avere assistito al riguardo - nel novembre 2012 -a un breve incontro sul tema tra il direttore generale Sa.So., il responsabile della Divisione Mercati Em.Gi. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi. (nell'occasione il So., secondo la ricostruzione del teste Ro., aveva esposto la necessità di svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B. per un ammontare di 100 milioni di euro; il PI. si era Impegnato a effettuare operazioni "svuota fondo" per 60 milioni di euro e il GI. aveva assicurato che avrebbe fatto altrettanto per un valore di 40 milioni di euro). Sempre il teste Ro. affermava che, come preannunciatogli dall'imputato PI., egli era stato contattato poco prima della fine del 2012 dagli intermediari dei fondi (per il fondo "(...)" trattavasi del broker inglese Ma.Sp.; l'operazione sul piano amministrativo era stata gestita per Ma.Sp. da Ti.Ch., anch'egli sentito come teste); - di questi, gli investimenti nel sotto-fondo (...) Multistrategy II erano stati posti in essere, come sopra accennato, dalla controllata irlandese B.Fi.. Nel luglio 2013 il CdA della capogruppo B. aveva infatti ampliato il portafoglio di investimento della controllata irlandese B.Fi. portandolo dalla somma di 35 milioni a quella di 300 milioni di euro, dei quali 150 milioni erano stati dalla stessa controllata investiti, nei due mesi seguenti, nel sotto-fondo (...) Multistrategy II in due tranche rispettivamente da 100 e da 50 milioni di euro; tale investimento era avvenuto - in base alla deposizione del teste Pietro Ra., direttore di B.Fi. - su precisa indicazione di An.Pi., il quale, sempre a detta del Ra. (che evidenziava altresì l'anomalia dell'ingente importo degli investimenti in un singolo fondo rispetto a quanto era usuale per B.Fi. nonché l'anomalia relativa alla non visibilità dei sottostanti), aveva messo quest'ultimo in contatto con Gi.St. (membro del CdA di (...) Evolution Fund SIF e funzionario senior di (...) Asset Management), soggetto che - citato a deporre quale teste dalla difesa del PI. nel presente procedimento con le garanzie ex art. 210 c.p.p. in quanto indagato per reato connesso di bancarotta fraudolenta a seguito della dichiarazione di insolvenza di B. - si era avvalso della facoltà di non rispondere. Dal canto suo il teste Pi.Ra. - che aveva evidenziato una progressivamente crescente ingerenza di B. nell'autonomia gestionale di B.Fi. - affermava di essere stato rassicurato dal PI. circa le sue perplessità e preoccupazioni derivanti dalle anomalie come sopra illustrate. Le articolate modalità della successiva dismissione (avvenuta nel corso del 2014, in parte mediante operazione di equity swap in compenso tra azioni B. e azioni Veneto Banca) delle azioni B. detenute dai fondi esteri in oggetto venivano illustrate dal collegio vicentino alle pagg. 712-713 della gravata sentenza (la dismissione, accertata in sede ispettiva, era riscontrata - al pari del ruolo svolto in essa da An.Pi. - anche dalle dichiarazioni del teste Ro.Ri., gestore private della filiale B. di Contrà Porti); s operazione correlata di finanziamento effettuata in favore della società So. Ltd. (appartenente al gruppo MainettO attraverso la controllata irlandese B.Fi., che le aveva erogato un fido c.d. "bullet" per un importo di circa 25 milioni di euro. Con tale liquidità la So. Ltd. a sua volta aveva acquistato, nel dicembre 2014, 13,5 milioni dì euro di azioni B. dal fondo "(...)" di milioni di euro di azioni B. dal fondo "(...)". Il tutto emergeva dall'ispezione BCE del 2015 e anche in questo caso - osservava il primo giudice - il ruolo centrale nell'organizzazione della relativa operazione era stato rivestito da An.Pi., secondo quanto dichiarato in sede dibattimentale dai testi Pi.Ra. - direttore della controllata irlandese B.Fi. - e Wa.Ma., amministratore delegato del gruppo So. (quest'ultimo precisava che era stato il PI. a proporgli un finanziamento di 25 milioni di euro "siccome dobbiamo collocare un po' delle nostre azioni" e affermava che, vinta la propria iniziale perplessità, alla fine aveva accettato); un solido riscontro a tali deposizioni - e non solo ad esse ma altresì, ad esempio, al coinvolgimento del PI. nella decisione della banca di ricorrere alle lettere di impegno nonché al suo attivarsi per reperire una soluzione atta a consentire la dismissione delle azioni B. detenute dai fondi - era individuato dal primo giudice nel più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione tenutosi in data 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.); un ulteriore riscontro veniva individuato nella conversazione intercettata Io./MA. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. A tutto ciò si aggiungeva la deposizione resa da Al.Ma. - fondatore di (...) Asset Management - il quale, sentito come teste ex art, 507 c.p.p., su richiesta della difesa del PI., confermava che i fondi (...) Multistrategy I e II erano stati costituiti nell'interesse esclusivo di B. quale unico investitore del fondo. Il tribunale vicentino proseguiva la propria disamina indicando come dimostrati anche gli investimenti, operati dai fondi esteri in questione, su indicazione del PI., in obbligazioni emesse da società legate ai gruppi imprenditoriali Ma., Fu. e De., già fortemente esposti nei confronti di B.; contestualmente anche gli impieghi in equity risultavano essere stati indirizzati, su indicazione dello stesso PI., nei confronti di società illiquide clienti di B.: la Me.Ca. SpA (legata ad Al.Ma.) e la Ital-Finance SpA (riconducibile al gruppo De Gennaro). Inoltre - notava il primo giudice - il PI. risultava coinvolto più in generale nell'intera illecita operatività di B., risultando egli essere stato fra l'altro presente (giusta appunti manoscritti redatti dal teste Ma.So., in atti quale doc. nr. 389 del P.M.) al Comitato di Direzione tenutosi l'8.11.2011 nel quale erano stati effettuati inequivoci riferimenti alle c.d. operazioni "baciate" quale strumento da adottare per svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B.. Allo stesso modo, sempre secondo la ricostruzione operata dal primo giudice, il PI. doveva ritenersi coinvolto anche nel rilascio delle lettere di impegno da parte di B. oltre che in altre operazioni di capitale finanziato, come riferito dai testi An.Fa. (imprenditore del settore tessile) ed Ed.Ta. (altro imprenditore). Ancora, il teste Ma.So. aveva riferito di avere presenziato a un colloquio tra il direttore generale So. e il PI. su come strutturare "operazioni volte ad acquisire capitale" con l'imprenditore Luca Fe.ni (sentito a sua volta quale teste) e con il Fondo Ag. (in quest'ultimo caso l'operazione - ricostruita in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma. -in sede ispettiva non era stata considerata finanziata pur essendo assistita da una lettera di impegno). Il collegio vicentino richiamava altresì l'episodio della società di revisione K. (già esaminato sopra in relazione alla posizione dell'imputato GI.) evidenziando come, in base alla deposizione resa dalla teste avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., risultasse essere stato presente anche il PI. - assieme al direttore generale So. e al responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. - a una riunione convocata a seguito delle richieste dì delucidazioni rivolte alla banca da K.; nell'occasione, come già detto, l'avv. Pa. si era rifiutata di fornire il parere legale richiestole, suggerendo invece al So. (che aveva reagito in malo modo) di fare subito un audit, al che il PI. - come già evidenziato supra - aveva, a suo dire, ribattuto: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa". L'imputato PI. risultava aver fatto parte anche della già citata "Task Force Gestione Soci" costituita e attivata - ufficialmente - a seguito dell'entrata in vigore del Regolamento UE n. 575/2013 (c.d. CRR) e del Regolamento Delegato UE n. 241/2014 nonché del D.L. n. 3/2015; la costituzione di tale Task Force trasversale alle varie Divisioni, che avrebbe dovuto reperire e adottare misure atte a ripristinare l'interazione con la base sociale attraversata da crescente disorientamento e scontento, era stata preceduta da una documentata riunione operativa tenutasi il 24.4.2015 (il relativo resoconto è in atti quale doc. nn. 525 del P.M.). In realtà - proseguiva il primo giudice - la partecipazione e il coinvolgimento del PI., responsabile della Divisione Finanze, nella Task Force in questione apparivano funzionalmente eccentrici rispetto agli scopi di essa e si spiegavano solo "in ragione dei suo coinvolgimento in tutti gli aspetti relativi all'anomala operatività della banca" (cfr. pag 724 sentenza gravata). Il primo giudice si diffondeva altresì sulle occasioni nelle quali il PI. aveva avuto interlocuzioni con la vigilanza. Per la precisione si trattava di due riunioni interlocutorie tenutesi nel 2013 (durante la fase preparatoria dell'aumento di capitale di quell'anno) e nell'autunno del 2014 (allorquando erano emerse le problematiche relative ai riacquisti effettuati da B. nonché al deficit patrimoniale a seguito del Comprehensive Assessment). Il tribunale affermava che in ambedue le occasioni il PI. aveva fornito alla vigilanza indicazioni false e fuorvianti circa i livelli di patrimonializzazione di B.; era stato altresì omesso in tali occasioni qualsiasi accenno agli squilibri del capitale azionario e al fenomeno del capitale finanziato. Sulla prima riunione interlocutoria, tenutasi il 27 marzo 2013 su richiesta j della stessa B. (e alla quale avevano partecipato per la banca il direttore° generale Sa.So., il segretario generale Ma.So., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. e per l'appunto il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.), il teste Ma.Pa. - nel precisare che si trattava dì una riunione finalizzata a fornire, da parte della banca, aggiornamenti circa gli interventi pianificati per rafforzare il livello di patrimonializzazione del gruppo - aveva affermato che gli esponenti di B. gli avevano illustrato le caratteristiche principali dell'operazione programmata; queste ultime corrispondevano a quelle dell'aucap 2013 poi effettivamente realizzato, compresa la "campagna soci volta all'ampliamento della base azionaria (Euro 100 mln)", con "associata l'erogazione di finanziamenti, ai sensi dell'art. 2358 c.c. riservata ai nuovi soci. Sempre secondo il teste Pa., inoltre, tanto il PI. quanto il PE. avevano dimostrato di essere già a conoscenza del fatto che il capitale sottoscritto mediante finanziamenti concessi dalla banca non potesse essere computato ai fini del patrimonio di vigilanza se non nella quota del finanziamento nel frattempo oggetto di rimborso. A null'altro di quanto fino a quel momento accaduto si era fatto cenno, da parte dei predetti, in tale prima riunione come pure nella seconda riunione, tenutasi il 20.10.2014 tra Banca d'Italia e B. (in rappresentanza di quest'ultima erano stati presenti if PI. e il PE.). In base alla deposizione del teste ispettore Em.Ga., poi, risultava un contegno estremamente reticente del PI. in relazione alla sua conoscenza di quali investimenti fossero sottostanti ai fondi esteri dei quali sopra si è detto. Interpellato al riguardo dal team ispettivo il PI. si era limitato a giustificare tale assenza di informazioni con la reticenza dei gestori. Era stato allora rappresentato al direttore generale So., da parte della vigilanza, che in caso di mancata disclosure degli investimenti sottostanti si sarebbe scomputato l'intero importo di Euro 350 milioni dal patrimonio di vigilanza, al che le informazioni richieste erano prontamente pervenute. Il tribunale vicentino, dopo aver illustrato i contenuti della deposizione resa dal teste Massimo Castelluccio - all'epoca dei fatti in forza alla Divisione Finanza e dunque subalterno del PI. - circa le modalità della predisposizione dei documenti di offerta, passava in rassegna i contenuti di alcune conversazioni telefoniche e messaggi sms oggetto di intercettazione, contenenti, a suo avviso, significative ammissioni dello stesso PI. in ordine al proprio pieno coinvolgimento nei fatti per i quali qui si procede: conversazione progr. n. 360 dell'1.9.2015 tra il PI. e Mo.An.di UBS; messaggi sms scambiati il 3 maggio 2015 dal PI. con Em.Gi. (il primo scriveva ivi al secondo: "Deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori"). Indi il primo giudice illustrava i contenuti della versione dei fatti resa dall'imputato PI. - in sede di esame dibattimentale dd. 3.3.2020 - sui vari temi sopra ampiamente passati in rassegna (fra questi: prassi gestionale dei finanziamenti correlati, a suo dire appresa solo a seguito dell'ispezione BCE; lettera di impegno al riacquisto rilasciata all'imprenditore tessile Fa., in relazione alla quale il PI. sosteneva di avere detto all'imprenditore - che la pretendeva - di non poter fare nulla e di essersi limitato per parte sua a metterlo in contatto con il direttore generale So., che in effetti risultava essere il sottoscrittore della lettera di impegno poi concretamente emessa; operazione "So.", in relazione alla quale il PI. sosteneva non trattarsi di una operazione correlata; triangolazione coinvolgente le società c.d. "tre sorelle lussemburghesi", in relazione alla quale il PI. sosteneva di non aver mai saputo che alle anzidette società fosse stato erogato un finanziamento correlato per l'acquisto di azioni, scoprendolo solo dopo l'erogazione, allorquando si era avveduto che nel portafoglio titoli delle società stesse vi erano azioni B.; episodio, già più volte citato, dello scontro con l'avv. Pa. dell'ufficio legale di B. riguardo alla vicenda della società di revisione K., in relazione alla quale il PI. sosteneva di essersi limitato a dire alla Pa. che, come dirigente dell'ufficio legale alla quale era stato richiesto di redigere un parere, si sarebbe dovuta assumere le sue responsabilità; vicenda fondi "(...)" e "(...)", in relazione alla quale il PI. affermava che si era trattato di un'idea del direttore generale So. in vista dell'aucap 2013, che comunque i fondi erano stati sottoscritti dal So. sulla base del parere favorevole tanto dell'ufficio legale quanto della compliancet che in relazione alla seconda delle due operazioni egli si era limitato a presentare Gi.St. di (...) Asset Management al direttore generale della controllata irlandese B.Fi., Pi.Ra. e che, - in ogni caso - egli non era stato mai coinvolto dai fondi nella scelta degli investimenti sottostanti). Secondo il collegio vicentino tutte le anzidette affermazioni di esclusione della propria responsabilità rese dal PI. in sede di esame trovavano smentita nel complesso delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale come sopra passate in rassegna nel ricostruire i vari episodi ritenuti dallo stesso primo giudice idonei a rivestire rilevanza penale a carico dell'imputato. Quanto poi alla linea difensiva del PI. riguardo a numerosi fra i testi a suo carico (in particolare i testi Pi.Ra. e Fi.Ro.), ossia che si sarebbe trattato di testi del tutto inattendibili perché interessati a incolpare lo stesso PI. pur di allontanare ogni sospetto nei loro confronti, il tribunale ribatteva che le loro deposizioni risultavano munite di plurimi riscontri, indicati nel dettaglio alle pagg. 730-732 della gravata sentenza, 1.9.5 Pe.Ma. Con riferimento a Pe.Ma. il primo giudice - dopo avere richiamato l'ipotesi d'accusa, secondo la quale costui avrebbe concorso nei reati di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza nella sua qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili rilevanti nella prassi aziendale della concessione dì finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. ed avrebbe, altresì, fornito un concreto contributo alla realizzazione dei reati di falso in prospetto in ragione della sua responsabilità nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazioni all'autorità di vigilanza - evidenziava come l'imputato, nel periodo d'interesse 2011-2014, avesse ricoperto l'incarico di responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione nonché quello di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, donde la sua estraneità alla esecuzione delle operazioni di capitale finanziato. La responsabilità del PE., pertanto, avrebbe richiesto la verifica, per un verso, "a monte", della consapevolezza, in capo al predetto, dell'esistenza e della consistenza del fenomeno in esame; e, per altro verso, "a valle", dell'apporto da questi fornito alla realizzazione delle attività delittuose attraverso la predisposizione di documenti, diretti al mercato ed alle autorità di vigilanza, contenenti informazioni caratterizzate dall'occultamento di detto fenomeno. Sotto il primo profilo il tribunale premetteva una analitica individuazione del ruolo concretamente svolto dall'imputato all'interno delia compagine bancaria, sottolineando come il PE., nella sua qualità di direttore della suddetta Divisione, dipendesse gerarchicamente dal solo d.g. So.. Nella sua qualifica di dirigente preposto, poi, il predetto riferiva direttamente al CdA per il tramite del comitato di controllo. Più nel dettaglio, l'imputato costituiva il vertice di una divisione che comprendeva due uffici di staff (l'ufficio studi e lo staff del dirigente preposto), disponeva di ben 75 unità e che, attraverso le sue articolazioni (segnatamente attraverso la Direzione Pianificazione Strategica, diretta da An.Fa.), svolgeva una pluralità di attività che andavano dal supporto alla direzione generale nella redazione dei piani economici pluriennali e dei budget annuali di tutte le strutture della banca, alla gestione dei rapporti con le società di consulenza e con la struttura dell'esperto indipendente incaricato annualmente di effettuare la valutazione dell'azione; dal monitoraggio teso a verificare il rispetto dei ratios patrimoniali della banca in relazione agli attivi ponderati (RWA) e all'andamento del fondo acquisto azioni proprie, al controllo costante dell'andamento della rete commerciale (verificato attraverso l'attività dell'ufficio CRM). Per il tramite della Direzione Ragioneria Generale - diretta da Lu.Tr. e facente parte anch'essa della Divisione Bilancio - poi, venivano curati gli adempimenti fiscali, gestita la contabilità, predisposto il bilancio di esercizio e quello consolidato e, infine, redatte le segnalazioni all'autorità di vigilanza. Ebbene, in un contesto tanto articolato era giocoforza che il PE. svolgesse un ruolo di coordinamento, occupandosi anche di assicurare una garanzia di coerenza fra i dati gestionali e quelli contabili, mentre la gestione dei dati di dettaglio e le attività correnti erano necessariamente demandate alla struttura nel suo complesso, adeguatamente dotata di risorse umane (numerose unità; plurimi dirigenti) e materiali. Quanto, poi, alle funzioni attribuite al dirigente preposto (figura prevista e disciplinata dall'art. 154 bis TUF), tale soggetto si occupava non già della redazione materiale dei documenti contabili societari, bensì della "predisposizione di adeguate procedure amministrative e contabili per la formazione del bilancio di esercizio e, ove previsto, del bilancio consolidato, nonché di ogni altra comunicazione di carattere finanziario" (art. 154 bis co. 3). Inoltre a costui competeva attestare la corrispondenza degli atti e delle comunicazioni "alle risultanze documentali ai libri e alle scritture contabili", come previsto dall'art. 154 bis TUF. Nello specifico, all'interno di B., in linea con la normativa di riferimento, la figura del dirigente preposto era disciplinata dal "Modello del Dirigente Preposto alla redazione dei documenti contabili societari"; modello che prevedeva che ciascuna funzione aziendale di controllo trasmettesse al dirigente preposto i risultati delle verifiche di propria competenza. Di qui la necessità, affinché il dirigente preposto potesse svolgere correttamente il proprio ruolo, della correttezza e veridicità delle informazioni che ciascuna struttura aziendale trasmetteva al suddetto dirigente. Tanto premesso, nessuno degli organi di controllo (collegio sindacale, audit, organismo di vigilanza, compliance) - precisava il primo giudice - aveva segnalato al PE. l'esistenza dì prassi scorrette nell'operatività del mercato interno delle azioni proprie. Quando il responsabile dell'Internal audit Ma.Bo. aveva tentato di portare a compimento la prima attività ispettiva sui finanziamenti correlati, infatti, era stato bloccato dal d.g. Sa.So., il quale gli aveva impedito di divulgare il relativo report. Il collegio sindacale, dal canto suo, pur avendo ricevuto vari segnali (sul punto il riferimento specifico del tribunale era al caso del socio Dalla Grana), non aveva effettuato alcuna comunicazione in proposito. Altrettanto doveva dirsi per la funzione di compliance che, chiamata a gestire la vicenda Vi., non aveva segnalato nulla al riguardo. In definitiva, nessuna informazione in ordine al fenomeno delle operazioni correlate era pervenuta al PE. attraverso i canali istituzionali. Né tale fenomeno era stato percepito nell'ambito dell'attività - parimenti di competenza della Divisione facente capo all'imputato - di gestione della contabilità adottata dalla banca. Il teste Lu.Tr., infatti, aveva dichiarato di avere appreso per la prima volta del fenomeno del capitale finanziato nel marzo del 2015, nel corso di una riunione tra le società di revisione e il collegio sindacale in vista della redazione della relazione al bilancio 2014. Prima di allora, infatti, secondo tale teste, il suddetto fenomeno non era rappresentato nei sistemi contabili, né era comunque noto alla struttura, né, infine, vi erano possibilità che potesse essere rilevato dalla Ragioneria Generale attraverso l'analisi dei dati disponibili. Inoltre, neppure erano emersi elementi che consentissero di concludere che il PE. avesse acquisito aliunde (rispetto ai canali istituzionali) la consapevolezza circa l'operatività dei finanziamenti correlati. Anzi, in senso opposto orientavano le deposizioni dei testi An.Fa., Lu.Tr. e Al.Mo.. Del teste Tr. si è già detto. Il teste Fa., dal canto suo, aveva riferito di avere appreso delle operazioni correlate solo nel corso della ispezione BCE del 2015, precisando che anche il PE., fino ad allora, si trovava nella medesima situazione di ignoranza del fenomeno in questione. Il teste Mo., infine, aveva sostenuto che prima dell'ispezione vi fosse consapevolezza delle "baciate" ma non della loro diffusività e, con riferimento al PE., aveva precisato che costui era a conoscenza solo dello slogan del d.g, Sa.So. secondo il quale ogni cliente affidato avrebbe dovuto possedere azioni B. pari almeno al 10% del finanziamento. Aggiungasi che anche il teste Ma.Li. - all'epoca vicedirettore di Ba.Nu. ed in rapporto di wbuona colleganza" con l'imputato durante la precedente esperienza in B. - aveva dichiarato di avere avuto con costui un colloquio confidenziale nel mese di aprile 2015 (ovverosia in piena ispezione BCE e poco prima dell'avvio della Task Force voluta dal d.g. So.) traendone la convinzione che l'imputato non fosse a conoscenza "di questa rilevanza del problema". Anche la vicenda della comunicazione delle 17 posizioni sospette da parte di K. e la deposizione dell'avvocato Pa. (vicenda oggetto di puntuale ricostruzione da parte del primo giudice alle pagg. 746-748 della sentenza) deponevano tanto per la mancata consapevolezza, in capo al PE., dell'entità del problema del capitale finanziato (problema del quale lo stesso imputato, apprendendone in occasione della qui più volte menzionata riunione nell'ufficio del So., si era poi dimostrato seriamente preoccupato, al pari della suddetta Pa.), quanto per l'estraneità del medesimo PE. rispetto alle macchinazioni tese ad occultarlo. Analoghe conclusioni dovevano trarsi, ad avviso del tribunale, con riferimento alla disclosure sui fondi "(...)" e "(...)". In proposito era stato dall'ufficio del PE. che era partita la richiesta di disclosure sui sottostanti dei fondi (richiesta, peraltro, più volte ripetuta, come precisato dal teste Lu.Tr.). Quindi, in presenza di una risposta solo parziale, l'ufficio ricompreso nella Divisione diretta dall'imputato aveva applicato il trattamento previsto dalla normativa, segnalando l'intera esposizione verso quei fondi come una "esposizione sconosciuta". Peraltro, quando, successivamente, era entrato in vigore il CRR che imponeva alla banca di avere piena conoscenza anche degli investimenti sottostanti, era stato proprio l'imputato a segnalare che, in difetto di disclosure, l'istituto avrebbe dovuto detrarre integralmente l'intero investimento dal CET 1 e solo per effetto di tale segnalazione era stato finalmente comunicato l'investimento in azioni B., come segnalato dal teste ispettore Em.Ga.. Anche l'intervento effettuato dal PE. nel corso della seduta del CdA 1.4.2014 - allorché questi non si era affatto allineato alle valutazioni del prof. Bi. in ordine al valore da assegnare all'azione, ma, al contrario, aveva mosso delle critiche al riguardo - deponeva in senso favorevole all'imputato. Ove costui fosse stato coinvolto nell'illecita operatività del capitale finanziato, infatti, sarebbe stato lecito attendersi che non dissentisse rispetto alla metodologia applicata nella stima del valore del titolo. Né, a fronte di tali plurime emergenze probatorie favorevoli, gli elementi valorizzati in senso contrario dal P.M. potevano legittimare differenti conclusioni circa la consapevolezza, da parte del PE., del fenomeno in esame. Non l'episodio del Comitato di Direzione dell'8 novembre 2011, nel quale pure v'era prova che si fosse parlato delle "operazioni baciate" in presenza del PE., poiché l'affermazione fatta, nell'occasione, da costui, secondo quanto riportato negli appunti del teste Ma.So. ("Avrei bisogno di 110 milioni andare a 8 con capitalizzazione dell'utile trimestrale") e, più in generale, ciò che era stato sostenuto nel corso della riunione, anche dal d.g. So. ("dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. abbiamo degli impegni nei confronti di Banca d'Italia e del Consiglio di Amministrazione"), non consentivano di concludere che il medesimo PE. fosse consapevole delle specifiche caratteristiche di quella tipologia di operazioni, né della diffusività del fenomeno e, quindi, della sua incidenza sul patrimonio della banca. Tutt'altro che inverosimile, infatti, appariva quanto sostenuto, al riguardo, dallo stesso imputato, là dove il predetto aveva precisato di non avere dato adeguato peso agli interventi effettuati, in tale occasione, dal Se. e dal Tonato in quanto, all'epoca, neppure conosceva il significato della parola "baciata". Peraltro - precisava il primo giudice - a tale riunione era stata presente anche l'avv. An.Pa., la quale tuttavia aveva dichiarato di essere venuta a conoscenza del fenomeno solo nel 2015, in occasione della citata comunicazione della società di revisione K.. Non le dichiarazioni rese dal teste So. - sebbene costui avesse narrato di colloqui con figure apicali dell'istituto nei quali si era fatto ripetutamente riferimento alle "baciate" a partire dagli anni 2010-2011 - in quanto detto teste non aveva riferito di colloqui intercorsi, a tale specifico riguardo, con il PE.. E neppure le deposizioni - sostanzialmente analoghe e, comunque, assolutamente vaghe ed incerte - rese dei testi Gi.Am., Al.Ba. e Co.Tu.. Quanto, poi, al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (del quale nel corso dell'istruttoria dibattimentale era stata ascoltata la registrazione audio), il primo giudice precisava, per un verso, che si era trattato di riunione alla quale il PE. non aveva partecipato (in quanto si trovava a Francoforte) e, per altro verso, che il riferimento alla necessità di confrontarsi con il predetto, nell'occasione chiamato in causa da GI. ("... però dobbiamo confrontarci con Ma..."), costituiva un elemento insuscettibile di univoca lettura. Era lecito ipotizzare, infatti, che il predetto GI. - come, peraltro, da questi sostenuto - intendesse riferirsi alla necessità di "tagliare gli attivi", donde, in questa prospettiva, la regolarità del coinvolgimento del PE., in quanto titolare della Divisione "competente in materia". Inoltre, con riferimento alla deposizione rese dal teste Co.Tu. in relazione alla riunione del 7 gennaio 2015 (deposizione nel corso della quale detto testimone, dapprima, aveva riferito che si era trattato della prima occasione nella quale sì era parlato di "baciate" anche in presenza di PE. e successivamente, in sede di controesame, aveva smentito le precedenti dichiarazioni, negando che nel corso di questo incontro fosse stato affrontato tale argomento), si era evidentemente in presenza, ad avviso del primo giudice, di un contributo dichiarativo del tutto inattendibile. Infine il tribunale esaminava la tesi del coimputato GI. (tesi secondo la quale: il fenomeno del capitale finanziato era noto a tutti all'interno della banca; lo stesso GI. ne ignorava la dimensione; il medesimo dichiarante aveva confidato nella regolare appostazione a bilancio dei dati relativi a detto fenomeno) evidenziandone: - per un verso, il contrasto con gli elementi probatori in precedenza citati; ° per altro verso, la intrinseca contraddittorietà (posto che non era dato comprendere cosa avrebbe dovuto appostare a bilancio la ragioneria se neppure il GI. era a conoscenza di dati precisi al riguardo e se difettavano flussi informativi interni sul punto); - e, peraltro verso ancora, la palese illogicità (in quanto la contabilizzazione di tale fenomeno avrebbe vanificato la finalità di evitare la decurtazione del valore delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza). In definitiva - concludeva il primo giudice - il compendio probatorio non consentiva di giungere all'affermazione di responsabilità del PE.. Non solo l'imputato era del tutto estraneo alla strutturazione dell'operatività delle c.d. "baciate", ma neppure era provato che fosse consapevole di tale fenomeno. Al più erano emerse una vaga e generica conoscenza, da parte del predetto, della tematica in esame e la conseguente sottovalutazione della serietà delle relative implicazioni sul patrimonio di vigilanza, non già la consapevolezza delle caratteristiche e della diffusività della illecita operatività in esame, necessarie per fondare l'elemento psicologico dei reati oggetto di addebito. Di qui l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato 1.9.6 Zi.Gi. Con riferimento alla posizione processuale di Zi.Gi., al quale era addebitato il concorso nei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto (concorso estrinsecatosi nell'avere egli avallato la prassi aziendale del capitale finanziato, avendo compiuto per il tramite di Ze. s.r.l. operazioni di tale natura), il tribunale premetteva, alla stregua della deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma., la seguente ricostruzione delie operazioni riferibili all'imputato: - il 13 novembre 2012 il CdA aveva deliberato ex art. 136 TUB un affidamento di 12,5 milioni di euro in favore di Ze. s.r.l.. La causale era: "cogliere eventuali opportunità sia nel settore industriale che nel settore finanziario, nello specifico è in fase di avanzata trattativa l'acquisizione di un rilevante pacchetto di quote di Ar.Li. s.p.a. sono inoltre nell'intenzione degli imprenditori ulteriori significativi investimenti che al momento non sono ancora nel complesso definiti". Il fido era stato accreditato il 21 novembre e, lo stesso giorno, era stato effettuato un giroconto di 10 milioni di euro utilizzati per l'acquisto di azioni B. per un pari importo; - quindi, nel luglio del 2013, la Ze. S.r.l. aveva beneficiato di un finanziamento di 1.5 milioni di euro, fido erogato il 2.9.2013 sul conto corrente (...), intestato alla predetta società. Si trattava di un incremento del fido già concesso nel 2012. In data 2 settembre 2013 - data di regolamento dell'aucap 2013 - risultava poi un'erogazione di 1,13 milioni di euro su altro conto corrente intestato alla medesima società con l'impiego di detta somma per l'acquisto di azioni B. di pari valore; - ancora, il 4.12.2014, Zi.Gi. aveva ricevuto un affidamento di 5.200.000,00 euro. La P.E.F. indicava, quale causale: "finalizzato ad intercettare alcune opportunità immobiliari e di partecipazione". Non appena ricevuta l'erogazione, il relativo importo era stato bonificato su un conto U.It. s.p.a., filiale di Padova; - il 16.2.2015, infine, Ze. s.r.l. aveva venduto 5,5 milioni di azioni sul secondario e, con il ricavato, aveva ridotto parte del debito relativo al finanziamento di 15 milioni di euro. Tale ricostruzione - precisava il tribunale - coincideva con le conclusioni dei cc.tt. del P.M. dove sì attestava che l'importo delle azioni acquistate dalla società Ze. s.r.l. tramite finanziamenti era pari a 10 milioni di euro dal 31.12.2012 al 30.6.2013, ad euro 10.565.250 dal 30.9.2013 al 30.6.2014, ad euro 10.355.250 dal 30.9.2014 al 31.12.2014 e, infine, ad euro 4.855.250 al 31.3.2015. Così ricostruite le evidenze contabili, il primo giudice concludeva per la natura "correlata" delle operazioni effettuate dalla Ze. s.r.l. sulla scorta, in particolare, delle dichiarazioni rese dai testi Ma.Ba. e An.Cr.. Il primo, infatti, aveva rievocato (peraltro coerentemente con gli / esiti della consulenza dei cc.tt. del P.M.) l'operazione (da lui stesso curata su input di Em.Gi. ovvero di Al.Ba.) effettuata alla fine del 2012 e relativa al fido da 12,5 milioni di euro, parte dei quali (2,5 milioni), destinata all'acquisto della partecipazione in Ar.Li., la restante parte riservata a investimenti in azioni della banca. La pratica, poi, era stata materialmente seguita dal Criscuolo. L'operazione avrebbe dovuto avere carattere temporaneo, la liquidità essendo stata "parcheggiata" in azioni B. in attesa di un differente impiego, da effettuare previa liquidazione delle azioni. Nel 2013, poi, in occasione dell'aumento di capitale, il fido era stato esteso di ulteriori 1,5 milioni e con la relativa provvista Ze. s.r.l. aveva aderito all'iniziativa in questione. Il secondo teste (Cr.), poi, aveva sostanzialmente confermato la versione del collega Ba.. Infine anche il teste Al.Ba., responsabile della divisione "Corporate", aveva rievocato l'operazione posta in essere dallo ZI., operazione della quale, in parte, si era anche personalmente occupato allorquando, nel 2012, vi era stato un apposito incontro con lo stesso ZI. e con GI. per discuterne l'impostazione. Il teste Ba. ha precisato che vi era urgenza di effettuare l'operazione con rapidità in quanto si avvicinava la fine dell'anno 2012; che era impellente l'esigenza di liberare il fondo acquisto azioni; che, nell'occasione, ZI. aveva acconsentito ad effettuare l'operazione purché la cosa fosse gradita allo ZO.. Successivamente lo stesso ZI. gli aveva confidato di essersi prestato ad effettuare l'operazione a richiesta dì So. e GI., i quali "in sostanza gli avevano chiesto un favore e che lui si era messo a disposizione della banca". Dal canto suo lo stesso ZI. aveva ricordato di avere agito aderendo alla proposta di GI. e solo dopo avere ricevuto esplicite rassicurazioni in ordine al fatto che l'operazione non fosse intesa dal presidente ZO. come una iniziativa ostile. Il messaggio SMS inviato da MA. a So. il 26.10.2012 (doc. nr. 665 del P.M.) "ti ricordo Zi. di parlarne con il presidente per il fido da farsi sulla sua finanziaria", nonché il precedente' messaggio trasmesso, il 17.10.2012, dal GI. allo stesso So. "faccio anche ZI., Ma. d'accordo. Vedi problemi?" "il fratello ha già in atto l'operazione" costituivano, poi, significativi riscontri documentali dell'operazione in questione. Quindi il tribunale precisava, sulla scorta della deposizione del Criscuolo, che, con rifermento al finanziamento concesso allo ZI., erano stati applicati tassi differenziati per l'importo destinato all'acquisto di Ar. e per la parte destinata all'acquisto delle azioni e che i tassi erano stati "sistemati" con il consueto sistema dello storno. Alcuni documenti disponibili, peraltro, confermavano tale circostanza. Trattasi, segnatamente: - della richiesta di storno di cui al documento nr. 103 del P.M.; - dell'annotazione redatta da Zi.Gi. (doc nr. 730 del P.M.), contenente l'elenco delle azioni acquistate tramite finanziamento con l'indicazione di importi e tasse non deducibili "che avanziamo dalla banca" e con l'indicazione finale rimane da risolvere la vendita delle altre 80.000 azioni"; - del prospetto riassuntivo dell'applicazione del tasso di interesse (doc, nr. 737 del P.M.), estratto dal computer della segretaria della Ze. S.r.l., Ca.Ro., la quale aveva riferito di averlo redatto probabilmente su incarico di Gi.ZI. (questi, tuttavia, non aveva confermato la circostanza). In detto documento veniva riportato il tasso di interesse del 4,5% con riferimento al finanziamento di 2,5 milioni di euro relativo all'acquisizione di Ar.Li. e in esso si leggeva "calcolo eseguito non considerando il milione di aumento di capitale che si riferisce ai 10 milioni". Quanto, poi, al finanziamento di 10 milioni destinati all'acquisto delle azioni, nel consuntivo finale, alle competenze addebitate, comprensive di interessi ed imposte, venivano sottratti gli interessi "effettivamente dovuti" in ordine al finanziamento di 2,5 milioni destinato ad Ar.Li. e la differenza tra queste due somme era indicata come "differenza da rimb"; - della e-mail 15.7.2014 inviata dalla Ca. alla filiale B. in cui si precisava che le imposte di bollo andranno a confluire nel famoso rimborso concordato a suo tempo", così confermandosi l'esistenza dell'accordo per rimborsare a Ze. s.r.l. tutte le spese. La natura correlata delle operazioni effettuate dagli ZI. del resto emergeva, ad avviso del tribunale, anche da un appunto (doc. nr. 731 del P.M.) redatto dallo stesso imputato per ricostruire le operazioni effettuate con la banca. In detto appunto si legge che in data 8 maggio, a colloquio con ZO., Br. e l'avv. Am., ZI. aveva affermato essergli stato chiesto "in due occasioni di comprare azioni (2011 e 2012) con finanziamenti dove non ho percepito utili ma ho anticipato interessi passivi. La prima si è chiusa nel 2014 e la seconda per il 50% nel 2015". "Attualmente ci perdo 280.000 più oltre un milione di calo di valore: quindi la banca non è danneggiata ma ci ha guadagnato. Operazioni proposte da E. ma definite in ufficio da SS che mi ringraziava per l'aiuto. Ho sempre messo due condizioni, di non guadagnarci e che il Presidente fosse informato". Lo stesso imputato, poi, nel corso dell'esame, ha ricordato che il finanziamento era stato strutturato per l'acquisto di azioni dell'istituto e che egli lo aveva effettuato, sollecitato da GI., "per dare una mano alla banca". Del resto, nel corso della conversazione telefonica nr. 153 del 25.8.2015 intercorsa tra l'imputato e Lu.Bo., il primo aveva ammesso di essere stato finanziato dalla banca per l'acquisto delle azioni. Sicché la natura correlata dell'operazione di acquisto finanziato di azioni per 10 milioni di euro non poteva essere fondatamente revocata in dubbio. Altra operazione correlata era stata quella effettuata, per l'importo di 5 milioni di euro, da Zi.Gi. (finanziamento del 27.12.2011 ed acquisto delle azioni effettuato due giorni dopo). Con analoghe modalità, poi, lo stesso Zi.Gi. aveva partecipato all'aumento di capitale del 2013 per l'importo di 500.000 euro. La prima operazione era stata chiusa il 29.5.2014 con rimborso e annullamento delle azioni, ovverosia con un ricorso surrettizio - come emerso anche dalla deposizione del teste Ro. il quale aveva confermato che l'annullamento era un espediente al quale si ricorreva in casi eccezionali per chiudere operazioni correlate - ad uno strumento (quello dell'annullamento) previsto in caso di "inadempienza grave" del socio, inadempienza che, nel caso dì specie, non si era affatto verificata. Quindi il tribunale richiamava il finanziamento di 5 milioni di euro concesso da B. a Ze. s.r.l. e girato sul conto UBS il 5.12.2014. Nell'occasione al dipendente UBS Visentin, il quale si era relazionato con So., PI. e GI., l'imputato aveva riferito che aveva un "credito nei loro confronti" e che questa operazione "gli era dovuta" in quanto "aveva fatto molti favori alla banca". Infine il primo giudice evocava la e-mail inviata dallo ZI. a Em.Gi. e a Cl.Gi. con, in calce, l'analoga missiva inviatagli da Mi.Ga., il quale si lamentava del fatto che un dipendente B. gli avesse comunicato che il rinnovo di un secondo fido era stato anch'esso subordinato, al pari del primo, alla sottoscrizione di 50.000 azioni dell'istituto di credito. Nell'occasione l'imputato si era limitato a spiegare che "B. non opera con questa politica e che forse o hanno capito male o il funzionario si è espresso male". Ebbene, in presenza di tali evidenze probatorie lo ZI., come detto, aveva bensì ammesso di avere effettuato operazioni correlate per dare una mano alla banca ma aveva negato di essere stato consapevole delle problematiche connesse al capitale finanziato e, meno che mai, delle sue dimensioni, protestando altresì la propria totale inconsapevolezza circa la necessità dello scomputo delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza. Pertanto il tribunale riteneva certamente provato che l'imputato, attraverso Ze. s.r.l., avesse posto in essere operazioni correlate. Nondimeno, sempre secondo il tribunale, non soltanto lo ZI. non aveva minimamente preso parte alla concertazione - intercorsa, ai massimi livelli, tra il management della banca ed il presidente ZO. - che aveva reso possibile la manipolazione del mercato e le condotte di false informazioni alla vigilanza, ma neppure vi era prova affidabile circa la consapevolezza, in capo ai membri del CdA (e, quindi, allo stesso ZI.), in ordine alla diffusività dell'operatività illecita in questione. Il teste ispettore Em.Ga., invero, aveva puntualmente evidenziato la difficoltà di percepire se una operazione fosse o meno correlata da parte del CdA. Dal canto suo lo stesso coimputato MA., in sede di esame, aveva ammesso che, quando presentava le pratiche di acquisti correlati in Consiglio, era solito non esplicitare mai la natura delle operazioni, limitandosi a riportare sinteticamente i dati della P.E.F.. In buona sostanza - secondo il tribunale - la valutazione circa la sussumibilità o meno delia condotta dello ZI. nell'alveo della penale responsabilità implicava, necessariamente, la esatta comprensione dei termini della questione inerente al complesso tema della responsabilità dei componenti del CdA non esecutivi, estranei a qualsivoglia funzione gestoria dell'impresa bancaria, questione che, nel caso sub iudice, andava poi "calata" in un contesto obiettivamente peculiare in quanto caratterizzato, per un verso, dalla concreta fisionomia di un organo collegiale - il CdA di B. - sottoposto alla direzione di un presidente "assolutamente operativo"; e, per altro verso, dall'assenza, in capo ai consiglieri, della effettiva conoscenza della situazione di reale illiquidità del titolo azionario. In effetti, solo in presenza di segnali di allarme effettivamente percepibili (e realmente percepiti) come tali dai consiglieri sarebbe stato possibile ritenere costoro - e, quindi, tra essi, lo ZI., il quale non si trovava affatto in una situazione dissimile rispetto a quella dei "colleghi" che avevano posto in essere anch'essi operazioni correlate - responsabili, ex art. 40 c.p., per non avere impedito attività delittuose in itinere, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità. Nel caso di specie, tuttavia, nulla consentiva di affermare che l'imputato avesse volontariamente omesso di intervenire per scongiurare la consumazione dei reati, all'uopo non potendosi ritenere sufficiente la partecipazione, da parte del predetto, ad operazioni di capitale finanziato; operazioni, peraltro, da costui poste in essere su sollecitazione dei vertici dell'istituto e senza alcun tornaconto personale. In definitiva difettavano prove univocamente sintomatiche di un consapevole concorso materiale di Zi.Gi. nei reati ascrittigli, in difetto di adeguati riscontri circa la consapevolezza, in capo al predetto, delle condotte manipolatorie e decettive poste in essere dalle figure apicali dell'istituto di credito e, ancor meno, circa la dimensione del fenomeno del capitale finanziato. Donde l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non costituisce reato 1.10 La responsabilità amministrativa di B. in L.C.A. Il tribunale, inoltre, riteneva Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) in relazione ai reati dì aggiotaggio ex art, 2637 c.c. e di ostacolo alla vigilanza ex art. 2638 c.c. (ovverosia con riferimento a fattispecie incluse nell'art. 25 ter lett. R ed S del D.L.vo 231/01) posti in essere da soggetti sia di vertice che sottoposti alla direzione e vigilanza di posizioni apicali. In proposito, dopo avere richiamato, in ordine alla sussistenza delle ipotesi delittuose di riferimento, quanto già in precedenze esposto al riguardo, il tribunale in primo luogo evidenziava come, ai fini della responsabilità dell'ente, non rivestisse rilievo alcuno la sottoposizione della banca a procedura concorsuale, trattandosi di evento non ricompreso tra le cause dì estinzione dell'illecito da reato previste dalla disciplina in materia (come del resto era evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, che assegnava rilievo, al riguardo, unicamente al decorso del termine di legge, ovvero all'improcedibilità in caso di amnistia in relazione al reato presupposto). Fino alla cancellazione conseguente all'esito della procedura concorsuale, infatti, la società avrebbe dovuto ritenersi esistente. Né, d'altro canto, era possibile opinare diversamente sulla base di una sorta di giudizio prognostico fondato sul prevedibile esito della procedura fallimentare. Tanto premesso, neppure poteva dubitarsi che gli imputati avessero agito nell'interesse e a vantaggio dell'ente. Al riguardo il tribunale premetteva che l'interesse (da valutarsi, ex ante, secondo criteri "soggettivi" che, sebbene non coincidenti con l'elemento psicologico della fattispecie delittuosa di riferimento, dovevano comunque essere tali da esprimere la tensione finalistica dell'operato dell'autore del reato presupposto) avrebbe dovuto individuarsi nella prefigurabilità di un risultato positivo per la società. Quanto poi al vantaggio (da apprezzarsi, ex post, secondo criteri oggettivi), tale requisito si sarebbe dovuto identificare negli effetti favorevoli derivati dalla realizzazione degli illeciti. Questo con la precisazione, per un verso, che la mancata considerazione del criterio del vantaggio secondo la formulazione della disposizione vigente all'epoca dei fatti (art. 25 ter D.L.vo cit.) era circostanza di ben scarso rilievo, posto che, nel caso di specie, tutti i reati perpetrati erano caratterizzati dal correlativo interesse dell'istituto di credito; per altro verso, che l'antieconomicità a posteriori dell'operazione era ininfluente; e, peraltro verso ancora, che l'interesse dell'ente avrebbe potuto essere anche parziale o marginale, dovendosi escludere la responsabilità della società solo nel caso di interesse esclusivo dell'autore del reato (in ragione, in tal caso, della rottura "dello schema di immedesimazione organica" che costituiva il fondamento teorico dell'istituto in questione). Ebbene, nella vicenda sub iudice, le condotte delittuose erano state pacificamente poste in essere nell'interesse (anche) dell'istituto di credito. In effetti la contraria tesi difensiva (secondo la quale dette condotte si sarebbero poste in conflitto con il reale interesse della banca, in quanto, da un lato, avrebbero precluso l'effettuazione di ulteriori operazioni e in tal guisa avrebbero cagionato, fin dal momento genetico, un grave nocumento all'istituto di credito, mentre, dall'altro lato, sarebbero state realizzate nell'esclusivo interesse degli imputati, al di fuori di una politica di impresa e per finalità di mantenimento del potere gestionale da parte dei vertici amministrativi) non poteva affatto essere accolta. Ciò avrebbe infatti rappresentato l'espressione di un'interpretazione atomistica, fuorviante e retrospettiva del fenomeno delittuoso in esame e non già di una doverosa visione prospettica delle azioni criminose. Le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, infatti, erano state funzionali a far conseguire all'ente un beneficio, occultando le operazioni di capitale finanziato e così consentendo all'istituto di credito di mantenere standard elevati nell'esercizio dell'attività bancaria e di acquisire nuovo capitale o mantenere quello esistente. Si era trattato, quindi, di condotte che, a tutto discapito del mercato, avevano generato indubbi benefici per la banca, assicurandone la continuità e garantendone la competitività nel mercato del credito, sia pure in modo rivelatosi non sufficiente, nel lungo termine, a risolvere le carenze di un'errata politica di impresa (peraltro preesistente alle operazioni di capitale finanziato) che aveva portato ad un progressivo, inesorabile, deterioramento della situazione patrimoniale (con i relativi coefficienti che, già dal 2012, erano inferiori alla soglia target, come evidenziato dai consulenti del P.M.). Le ricadute positive per l'ente delle attività delittuose, del resto, erano state convincentemente delineate dalla deposizione del teste ispettore Em.Ga.. In assenza delle condotte delittuose, in effetti, la banca si sarebbe trovata nella necessità di impegnare le risorse disponibili per reintegrare i requisiti patrimoniali, oppure di disvelare una situazione di crisi che avrebbe inevitabilmente impattato negativamente, al contempo, tanto sul capitale (trattandosi di banca cooperativa), quanto sull'operatività (trattandosi di banca commerciale). In definitiva - precisava il primo giudice - occorreva distinguere tra le singole condotte operative di capitale finanziato (che costituivano solo una parte della politica imprenditoriale e non erano indicative della proiezione finalistica del reato) e le soprastanti condotte delittuose delle false prospettazioni al mercato e alla vigilanza, nelle quali si sostanziavano i reati presupposto che erano stati funzionali a favorire l'ente, consentendo alla società di conseguire un vantaggio economico. Ponendosi in questa prospettiva, diveniva allora evidente l'interesse (se non esclusivo, quantomeno prevalente) della banca alla commissione dei delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, in quanto espressione di una politica d'impresa funzionale a garantire la prosecuzione dell'attività dell'istituto, assicurando, per un verso, l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, il mantenimento di quello esistente. D'altronde, il peggioramento delle condizioni economiche dell'ente non era stato certo effetto della commissione dei reati, bensì del ricorso dissennato al capitale finanziato nell'ambito di un meccanismo divenuto progressivamente ingovernabile, il tutto mentre le condotte delittuose (che si ponevano a valle di tale fenomeno) avevano per un certo periodo di tempo consentito di contenere, limitare e ritardare gli ulteriori effetti negativi per l'ente che dal disvelamento di una siffatta realtà sarebbero inevitabilmente derivati. Quanto poi al criterio soggettivo di imputazione dell'illecito, costituito dalla colpa di organizzazione, il primo giudice ne ravvisava il ricorrere in ragione del fatto che l'ente non si fosse strutturato in modo idoneo a prevenire le condotte in questione. Nel caso di specie, infatti, non solo il modello organizzativo, nella versione aggiornata a febbraio del 2012 (documento nr. 269 del P.M.), non era stato predisposto in modo adeguato (essendo prevalentemente strutturato ai fini di anti-riciclaggio), ma neppure era stato applicato ed implementato convenientemente. Nulla era stato previsto in relazione alle modalità di predisposizione dei bilanci, al computo dei requisiti patrimoniali, anche ai fini del patrimonio di vigilanza, all'attività di erogazione del credito, ovvero alla gestione operativa, contabile e patrimoniale delle azioni (proprie e non) che, pure, costituiva l'attività su cui si focalizzava l'operatività della banca. Nessuna procedimentalizzazione delle attività di acquisto e vendita delle azioni, inoltre, era stata programmata nel modello. Né detto modello era mai stato implementato in tal senso. Si aggiunga che erano risultate assenti modalità operative per garantire la tracciabilità dei finanziamenti per l'acquisto dì azioni proprie e che neppure era stato previsto alcunché per assicurare la corretta registrazione dei collegamenti tra affidamenti e acquisto/sottoscrizione di azioni, ovvero per disciplinare le comunicazioni all'esterno, ovvero ancora per regolamentare gli aspetti afferenti al patrimonio di vigilanza. Inoltre il modello aveva previsto un Organismo dì Vigilanza collegiale composto da tre soggetti e, segnatamente, da due avvocati esterni all'istituto di credito, nonché dal responsabile interno dell'audit, soggetto, quest'ultimo, dipendente gerarchicamente dal d.g. e funzionalmente dal CdA, ovverosia proprio da coloro che egli avrebbe dovuto controllare. Donde un evidente deficit di autonomia di tale organismo. Quanto, poi, al Collegio sindacale, era risultato composto da soggetti alcuni dei quali (Za., Za., Ca.) legati personalmente allo ZO., ovvero a società riconducibili a tale imputato. Le stesse relazioni ispettive di Banca d'Italia, del resto, avevano censurato la logica di cooptazione alla base della composizione dell'organo in questione, stigmatizzandone l'attività di mero controllore formale. Di qui il giudizio di complessiva grave inadeguatezza dei presidi organizzativi predisposti da B. per fronteggiare i rischi operativi assunti e la conseguente affermazione della responsabilità dell'ente. Quindi, passando alla quantificazione della sanzione, il primo giudice stabiliva, quanto al più grave delitto di aggiotaggio, il numero di 600 quote (a fronte di una forbice di riferimento tra le 400 e le 1000 quote), ridotte a 400 in ragione dell'attenuante ex art. 12, co, 2, D.L.vo 231/01, essendosi l'ente adoperato (con una proposta di transazione rivolta agli azionisti ed avente ad oggetto l'offerta di una somma a titolo di indennizzo) per ridurre le conseguenze dannose dell'illecito. Considerata, poi, la pluralità di illeciti, il tribunale determinava nella misura di 150 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter R ed in 360 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter S, Conseguentemente, precisato che la prescrizione di talune condotte delittuose non poteva rivestire alcun rilievo in relazione all'illecito amministrativo dell'ente, quantificava le quote complessive nella misura di 910 quote e, determinato il valore di ciascuna quota in euro 400, fissava la sanzione pecuniaria complessiva nella misura di euro 364.000,00. Infine, evidenziato che il profitto del reato andava identificato nel vantaggio economico (inteso come benefìcio aggiunto di tipo patrimoniale) causalmente derivato dal reato presupposto, e sottolineato, inoltre, come una stima in tal senso fosse stata unicamente effettuata con riferimento al reato di cui al capo N2, all'origine del sequestro, disposto dal GIP del tribunale di Vicenza in data 18.5.2017, con riferimento al valore di euro 106.012.687,50 (corrispondente all'ammontare delle sottoscrizioni di capitale versate alla banca, a seguito dell'aucap, dai soci il cui acquisto era stato sollecitato dalla banca stessa e che non avrebbero potuto sottoscriverlo ove fosse stato applicato il "test di adeguatezza bloccante"), il tribunale disponeva la confisca in tal senso, detraendo tuttavia l'importo di euro 31,8 milioni, oggetto di restituzione effettuata a titolo transattivo, e fissando, quindi, l'ammontare della confisca nella misura di euro 74.212.687,50 (con conseguente parziale revoca del sequestro). 1.11 Il trattamento sanzionatorio Con riferimento ai reati commessi dagli imputati ZO., PI., MA. e GI., dei quali andava ad affermare la penale responsabilità, il tribunale ravvisava la sussistenza del vincolo della continuazione, trattandosi di reati espressione di un'unitaria determinazione criminosa. Quindi: - esclusa quanto ai reati di cui ai capi A1, B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1 l'aggravante ex art. 112 nr. 1 c.p., in ragione del numero inferiore a cinque degli autori delle relative condotte; - riconosciuta, quanto ai reati di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1 l'aggravante ad effetto speciale ex art. 2638 co. 3, c.c., essendosi in presenza di istituto di credito emittente strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ex art. 116 D.L.vo 58/98; - riconosciuta, altresì, in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1, N1, l'aggravante di cui all'art. 61 nr. 2 c.p., trattandosi di condotte di ostacolo, susseguitesi nel tempo, al fine di occultare l'illecita manipolazione del prezzo sia di nascondere la falsità dei precedenti flussi informativi; - riconosciute, inoltre, a tutti gli imputati le attenuanti generiche, trattandosi di soggetti incensurati che avevano anche tenuto corrette condotte processuali (in effetti, presenti a tutte le udienze, costoro si erano anche sottoposti ad esame, eccezion fatta per ZO. il quale, peraltro, aveva reso dichiarazioni spontanee); - valutate le predette attenuanti in regime di mera equivalenza rispetto alle ravvisate aggravanti, in considerazione della notevole entità dei danni cagionati con le condotte delittuose; - ritenuto più grave il reato di cui al capo H1, in ragione della pena edittale di riferimento e del tempo significativo di protrazione della relativa condotta (esauritasi solo nell'aprile del 2015); - considerati, infine, i criteri tutti di cui agli art. 132, 133 c.p. (e, segnatamente: il ruolo apicale rivestito dagli imputati; il numero e la varietà delle condotte delittuose, protrattesi per anni; l'intensità del dolo all'origine delle medesime condotte e, in particolare, la pervicacia e l'ostinazione che avevano orientato l'azione di occultamento al mercato e alla vigilanza della reale situazione dell'istituto di credito), condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di anni due in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 ed N1 (essendo evidentemente un errore materiale la quantificazione sintetica di tale aumento nella misura di anni uno, in ragione della specifica indicazione, nella misura di mesi tre, dell'aumento di pena irrogato per ciascuno di detti reati), con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia; aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, infine, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre e mesi sei di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati). Gli imputati, infine, erano dichiarati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. 1.12 La confisca per equivalente. Il tribunale, premesso che la disposizione di cui all'art. 2641 c.c., prevedeva, in relazione ai reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c,, la confisca (diretta, ovvero, in via sussidiaria, per equivalente) non solo del prodotto/profitto dei reati, ma anche dei beni utilizzati per commetterlo, precisava, a tale ultimo riguardo (richiamando sul punto la sentenza della Corte Costituzionale nr. 112/2019 e la giurisprudenza di legittimità espressasi in fattispecie analoga), come in tale categoria di beni non rientrassero unicamente i tradizionali "instrumenta sceleris", ovverosia le cose intrinsecamente pericolose (il grimaldello, la stampante utilizzata per la produzione di cartamoneta falsa, ecc..) bensì qualsivoglia res l'impiego della quale avesse reso possibile la commissione del reato e, pertanto, con riferimento alla vicenda sub iudice, anche le risorse finanziarie concesse dall'istituto a titolo di finanziamento ed impiegate per l'acquisto delle azioni dell'istituto medesimo; risorse che, nella specie, erano state convincentemente quantificate dai consulenti del P.M. nella misura di euro 963,000,000,00. Nella prospettiva del primo giudice, infatti, erano proprio i finanziamenti concessi per le operazioni di capitale finanziato che avevano reso possibili i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, trattandosi di reati che erano stati commessi comunicando un patrimonio di vigilanza non veritiero, in quanto non corrispondentemente decurtato. Erano detti finanziamenti, quindi, che, nel caso in esame, costituivano "i beni utilizzati per commettere i reati". A legittimare, poi, la confisca per equivalente nei confronti degli imputati era il mancato rinvenimento della somma oggetto dì confisca diretta e, quindi, l'impossibilità (peraltro da ritenersi all'uopo rilevante anche ove soltanto transitoria) di tale ablazione diretta. Nel caso di specie la confisca diretta era impedita dall'assoggettamento dell'istituto di credito, al momento della pronuncia, a liquidazione coatta amministrativa, trattandosi di procedura per effetto della quale era venuta meno in capo all'ente la disponibilità del patrimonio societario, destinato esclusivamente ad essere gestito, evitandone il depauperamento, in vista delle finalità della procedura medesima. Di qui la confisca disposta, per il valore di euro 963.000.000, nei confronti degli imputati ZO., PI., GI. e MA., con la precisazione che il principio solidaristico posto a fondamento della disciplina del concorso di persone, da un lato, e la natura eminentemente sanzionatoria della confisca per equivalente, dall'altro, implicavano che il provvedimento ablatorio fosse pronunziato, a carico di ciascuno di costoro, con riferimento all'intero importo. 1.13 Le questioni civilistiche Quindi, con riferimento alla posizione della Banca (...), citata da numerose parti civili in qualità di responsabile civile e in questa veste costituitasi in udienza preliminare, il tribunale riteneva la validità delle argomentazioni poste dall'istituto di credito a fondamento della relativa richiesta di esclusione (originariamente respinta per tardività) ex art. 83 TUB. In effetti la circostanza che l'istituto di credito fosse stato sottoposto a procedura di liquidazione coatta amministrativa con decreto ministeriale nr. 185 del 25 giugno 2017, ove debitamente valutata alla luce delle disposizioni di legge in materia, rispettivamente, di estensione alla procedura in esame delle disposizioni in materia di fallimento (art. 201), di disciplina dell'opposizione allo stato passivo (art. 83 TUB) e di improseguibilità delle pretese creditorie avanzate innanzi al tribunale ordinario (52 TUB), comportava la improcedibilità delle domande avanzate nei confronti della banca. Tutte le ragioni di credito, infatti, avrebbero dovuto essere fatte valere in sede concorsuale e, segnatamente, nell'ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, nel solco, peraltro, di quanto affermato ripetutamente dal giudice di legittimità. Di qui la declaratoria di improcedibilità della domanda avanzata dalle parti civili nei confronti del responsabile civile. Evidenziava infine il tribunale come esulassero dai poteri di ius dicere del giudice penale le domande (in taluni casi affiancate alle richieste risarcitone) volte a ottenere pronunce di accertamento della nullità e/o inefficacia dei contratti di finanziamento sottoscritti per l'acquisto di azioni. Quanto, poi, alle domande risarcitone da talune parti riproposte, in sede di conclusioni, nei confronti dell'Istituto di credito in qualità di ente incolpato ex D.L.vo 231/01, il Tribunale, richiamando i provvedimenti che non avevano ammesso la relativa costituzione di parte civile (sul rilievo della non esperibilità dì azioni civili volte ad ottenere il risarcimento del danno nei confronti degli enti in qualità di responsabili degli illeciti amministrativi), in tal senso espressamente motivava le ragioni che avevano indotto il collegio a non esaminare le relative richieste. Infine, con riferimento alle domande risarcitorie avanzate nei confronti degli imputati, il primo giudice pronunziava sentenza di condanna generica di questi ultimi in favore delle parti civili istituzionali (Banca d'Italia e CONSOB) e di quelle private (azionisti e obbligazionisti di B., siccome indicati negli elenchi, allegati al dispositivo, depurati delle parti le cui costituzioni erano state espressamente revocate, ovvero dovevano intendersi revocate per mancata presentazione delle conclusioni). In ordine ai primi, precisato che il pregiudizio patrimoniale consisteva negli esborsi e nel complessivo dispendio di risorse che le autorità di vigilanza avevano dovuto sostenere per ottenere quelle informazioni che erano state loro occultate, mentre il pregiudizio non patrimoniale doveva identificarsi nella compromissione delle finalità istituzionali delle suddette autorità e nella lesione dell'immagine che ne era derivata, il tribunale evidenziava la necessità di rimessione, per la quantificazione di dette voci dì danno, innanzi al giudice civile, in difetto di concreti elementi probatori idonei ad orientare la relativa determinazione. Nondimeno riconosceva una provvisionale nella misura di euro 601.017,39 in favore di Banca d'Italia e di euro 186.570 in favore di CONSOB, in entrambi i casi parametrandone l'entità ai costi (siccome quantificati dagli uffici interni di detti enti) sostenuti per l'aggravio di attività strettamente conseguenti alle condotte delittuose. Con riferimento, poi, alle parti civili private, osservato come il D.L. 99/17 che aveva posto in liquidazione coatta amministrativa l'istituto di credito avesse conservato i diritti dei titolari di obbligazioni subordinate nella liquidazione, sicché i predetti avrebbero potuto trovare soddisfazione solo una volta soddisfatti gli altri creditori, il primo giudice sottolineava che tutti gli investitori avevano subito un danno dalle condotte manipolative, in quanto indotti all'investimento sul presupposto di una situazione patrimoniale dell'istituto artatamente presentata come positiva e, quindi, senza essere stati posti nelle condizioni dì valutare la rischiosità dell'investimento stesso e la solvibilità della banca nell'estinguere il credito e nell'effettuare il rimborso. Segnatamente, con riferimento al delitto di aggiotaggio, il pregiudizio andava individuato nell'avere acquistato o conservato gli strumenti finanziari a prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, ovvero nell'avere effettuato un investimento che, senza le condotte manipolative, non sarebbe stato posto in essere. Analogamente, con riferimento al reato di falso in prospetto, gli investitori erano stati pregiudicati da condotte delittuose che avevano avuto l'effetto di mantenere artificiosamente alto il valore delle azioni, al contempo rappresentando una solidità patrimoniale dell'istituto in realtà insussistente. Più nel dettaglio, ad essere stati danneggiati - precisava il tribunale - non erano solo coloro che, nel periodo di commissione delle condotte delittuose, avevano acquistato azioni ad un prezzo superiore al reale valore dei titoli, ma anche gli investitori che, già in possesso di detti strumenti finanziari, si erano astenuti dal disinvestimento per effetto delle richiamate condotte manipolative. Di maggiore complessità, poi, era la questione inerente a coloro (peraltro una minima parte degli investitori, prevalentemente acquirenti di obbligazioni subordinate) che avevano acquistato le azioni successivamente alle condotte delittuose, sebbene anche con riferimento a tale categoria di investitori fosse effettivamente prospettabile un pregiudizio derivante dai reati, tenuto conto del periodo apprezzabile intercorso tra la cessazione delle condotte delittuose ed il disvelamento di quanto avvenuto (trattandosi di circostanza che aveva determinato il protrarsi di effetti di errata rappresentazione al mercato della reale situazione dell'istituto di credito, con indubbio svantaggio informativo). Infine vi erano i clienti dell'istituto che avevano effettuato gli acquisti con il denaro erogato dalla banca. Costoro non avevano subito una lesione diretta, non avendo impiegato risorse proprie nell'investimento (se non nel caso di investimento solo parzialmente finanziato); nondimeno, al di là della sussistenza o meno dell'obbligazione restitutoria, l'esposizione debitoria segnalata alla centrale rischi che ne era seguita e l'addebito dei costi di finanziamento costituivano pur sempre un pregiudizio effettivo. Conclusivamente, con riferimento alle parti civili private, emergeva un quadro composito, caratterizzato da posizioni eterogenee. Ebbene - precisava il tribunale - dette parti avevano quantificato: - il pregiudizio patrimoniale nel controvalore del pacchetto azionario calcolato sul valore dell'azione pari a 62,50 euro, ovvero all'ammontare della somma investita nelle operazioni di investimento (e, quindi, sostanzialmente, nella perdita dell'investimento); - ed il danno non patrimoniale in una quota parte di quello patrimoniale. Nondimeno tali parametri non potevano ritenersi appaganti, posto, per un verso, che il danno non si poteva meccanicamente identificare nella perdita del valore dell'azione in quanto i reati di aggiotaggio e falso in prospetto presentavano profili peculiari che non consentivano di determinare il relativo pregiudizio facendo ricorso a siffatto automatismo; e, per altro verso, che le parti civili si erano limitate a documentare i titoli sottoscritti (ovvero acquistati) e il prezzo pagato, senza fornire ulteriori elementi utili per la esatta quantificazione del pregiudizio. Peraltro, nulla era dato conoscere in ordine all'indennizzo corrisposto agli investitori dal FIR (Fondo Indennizzo Risparmiatori). Di qui la condanna generica al risarcimento ed il riconoscimento di una provvisionale nella misura del 5% dell'importo nominale del valore delle azioni od obbligazioni acquistate risultante dagli atti di costituzione di parte civile e, in ogni caso, onde evitare sperequazioni (tenuto conto del fatto che le cifre più consistenti erano quelle inerenti alle operazioni di capitale finanziato), non superiore ad euro 20.000,00 per ciascuna parte (importo dal primo giudice ritenuto tale da coprire almeno il danno non patrimoniale). Infine il primo giudice respingeva la domanda risarcitoria avanzata dagli enti esponenziali (Confconsumatori, Federconsumatori Friuli Venezia Giulia, Federconsumatorì Veneto, Codacons, Cittadinanza Onlus) per difetto di prova alcuna in ordine al pregiudizio non patrimoniale asseritamente subito a seguito delle condotte delittuose. 2. GLI APPELLI DEGLI IMPUTATI 2.1. Appello proposto da Gi.Em. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello la difesa di Gi.Em.. 2.1.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al capitolo I della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari), l'appellante - anteponendogli una premessa nella quale ha censurato in via generale il metodo argomentativo assertivo seguito nella sentenza impugnata, carente nell'enunciazione degli specifici "motivi di fatto e di diritto" attributiva delia responsabilità all'imputato GI. e tendente all'esposizione solo di alcune risultanze processuali senza nel contempo citarne molte altre, pur decisive su aspetti imprescindibili - ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018 del 7.12.2017 dep. 6.4.2018, emessa in sede cautelare, che aveva risolto in favore del foro vicentino il conflitto di competenza; conflitto sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore rispetto all'attuale e oltretutto connotato da una formulazione del capo B1 frattanto considerevolmente modificatasi). Le argomentazioni esposte in questo primo motivo d'appello dalla difesa del GI. a fondamento della dedotta competenza territoriale del Tribunale di Roma sono di tenore sostanzialmente analogo a quelle dell'appello ZO. (v. infra), cui si rinvia per il resto, fermo restando che dalla difesa dell'appellante GI. vengono particolarmente sviluppati i seguenti due argomenti: - il capo B1 contempla in sé, in realtà, sia il delitto di false informazioni (art. 2638 comma 1 c.c.) che quello di ostacolo (art. 2638 comma 2 c.c.) e i suddetti due delitti non si sono realizzati nel medesimo contesto temporale in quanto l'ispezione maggio-ottobre 2012 è stata per l'appunto preceduta dall'invio, in data 26.4.2012, della comunicazione di vigilanza (a firma del d.g. Sa.So.) avente ad oggetto il rendimento ICAAP sulla determinazione del patrimonio di vigilanza della banca al 31.12.2011; - nel decidere la questione di competenza la verifica del giudice non può essere limitata - diversamente da quanto ritenuto dal tribunale vicentino - alla mera enunciazione così come testualmente prospettata nel capo di imputazione, dovendo invece estendersi alla perimetrazione del fatto così come risultante dall'insieme di tutti gli atti allegati dalle parti (la comunicazione ICAAP inviata a Banca d'Italia il 26.4,2012 rientrerebbe per l'appunto fra gli atti di indagine specificamente relativi all'imputazione contestata sub capo B1 trattandosi di atti depositati dal Pubblico Ministero - segnatamente nel faldone n. 7 - e messi a disposizione del giudice con la richiesta di rinvio a giudizio); al riguardo vengono citati arresti giurisprudenziali di legittimità. L'appellante ha ribadito altresì - dopo averla prospettata già in primo grado nelle note d'udienza 2.4.2019 alle quali ha rinviato per tutti gli approfondimenti del caso - la possibilità di individuare in alternativa come territorialmente competente il Tribunale di Milano in quanto sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (ciò solo qualora i sia ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge n. 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile, trattandosi di questione tuttora dibattuta). 2.1.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione al capitolo II della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari) l'appellante ha dedotto la violazione degli art. 185 c.p. e 74 c.p.p. ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p. pronunciata dal tribunale in data 21.3.2019 (parzialmente reiettiva della richiesta di esclusione delle parti civili) e di tutte le parti della sentenza che la richiamano. L'impugnazione dell'anzidetta ordinanza si riferisce, per la precisione, ai suoi paragrafi 1.5, 1-6 e 1.7: s quanto al paragrafo 1.5 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile in capo agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti di causa. Essendo costoro divenuti azionisti od obbligazionisti (puri, subordinati o convertibili) in epoca successiva ai fatti che qui occupano non possono - conseguentemente - lamentare di avere subito un danno immediato e diretto (alcuni di essi, anzi, appaiono piuttosto avere messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti); quanto al paragrafo 1.6 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle c.d. operazioni "baciate"; tali soggetti non possono infatti che definirsi carenti di legitimatio ad causam essendo consapevoli di partecipare a un'operazione asseritamente illecita nella prospettazione d'accusa, a differenza di quanto affermato dal tribunale; al riguardo l'appellante ha ricordato come nella stessa costruzione generale dell'impianto accusatorio si dia indicazione della sottoscrizione, da parte dei clienti/soci/finanziati, di lettere di impegno - dal tenore chiaro ed esplicito - contenenti, per l'appunto, l'impegno da parte della banca al riacquisto delle azioni B. e/o contenenti la garanzia di un determinato rendimento; s quanto al paragrafo 1.7 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno messo in vendita le loro azioni. Nei confronti di tali soggetti si è infatti verificata l'interruzione - a seguito delia vendita - del nesso causale, con il conseguente carattere solo indiretto del danno da reato (commisurato al deprezzamento fra il momento di acquisto dell'azione e la realizzazione effettiva). Ebbene, lo stesso tribunale vicentino più volte ha fatto riferimento, nel contesto dell'ordinanza impugnata, proprio alla consequenzialità immediata fra reato e danno (enunciata negli artt. 1223 e 1227 comma 2 c.c.) dalla quale far discendere la sussistenza della legittimazione. Consequenzialità immediata che, nel caso di danno indiretto, per l'appunto non ricorre. - conseguentemente si è richiesta l'esclusione di tutte le parti civili rientranti nell'una o nell'altra delle suindicate tre categorie. 2.1.3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al capitolo III della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erronea ricostruzione -all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - della posizione del GI. nell'organigramma di B., dovuta tanto a un'erronea valutazione degli elementi ritenuti a carico quanto alla mancata valutazione di molti altri elementi pur esistenti a discarico. Segnatamente: la sentenza impugnata, nel sostenere che il GI. avrebbe svolto un ruolo primario agendo congiuntamente al direttore generale Sa.So. (l'operatività era gestita dal direttore generale So. e dal suo vice Gi."), contrasterebbe con un dato conclamato alla luce dell'intera vasta istruttoria dibattimentale e in particolare testimoniale, ossia il fatto che Sa.So. fosse in realtà da lungo tempo portatore, nei confronti del GI., di un sentimento - da lui apertamente manifestato - di sfiducia, contrarietà e desiderio di causarne l'emarginazione, come riferito - fra gli altri - dai testi Di.Gr., Co.Tu., Cl.Gi., Da.Es., Pa.An. (quest'ultimo in particolare, nell'evidenziare come tale connotazione del rapporto fra i due fosse evidente anche per i componenti del CdA, aveva dichiarato: Sostenere che So. facesse tandem con Gi. anche se poi il fenomeno delle baciate potrebbe anche farlo pensare, è un qualcosa che era assolutamente irreale per chi un minimo respirava la banca, anche perché era notorio che So. non amasse la professionalità di Gi..."). Tutt'altre invero erano le persone che all'interno di B. frequentavano abitualmente l'ufficio del So., menzionate nominativamente - ad esempio - dal teste Esposito in sede dibattimentale; da tale "salotto buono" (cfr, pag. 31 atto di appello) ovvero "cerchio magico" (Ibidem) il GI., in altri termini, era rigorosamente escluso; - la stessa elencazione delle funzioni e competenze tanto della Divisione Mercati quanto del suo responsabile Em.Gi., così come sunteggiata alla pag. 639 della sentenza impugnata, non risponde al vero poiché ignora il fatto che gli organigrammi e i funzionigrammi di B. hanno subito nel tempo, proprio per volere del So., accentuati cambiamenti il cui scopo era esattamente quello di emarginare il GI. coinvolgendo, nel contempo, personale fedele al direttore generale; sono state citate al riguardo tanto l'analisi condotta dal consulente tecnico della difesa prof. Pe. quanto le deposizioni rese da vari testimoni (Al.Mo., Co.Tu., Ma.Ba., Gi.Am., Cl.Am., Cl.Gi., Fi.Ro.); - sempre l'istruttoria dibattimentale, in particolare testimoniale (cfr le deposizioni dei testi Al.Ba., Co.Tu., Cl.Gi., Ma.Ni., Se.Ro., Lu.Ve., En.Da., Di.Ip., Al.Cu.), ha consentito di appurare che le scelte riguardanti le operazioni qui in discussione e le loro modalità erano decise in piena autonomia dal solo So., il quale impartiva alle strutture della banca le conseguenti direttive o in prima persona oppure avvalendosi, a guisa però di mero tramite, del GI. e/o del direttore commerciale Gi.Am.; - sempre l'istruttoria dibattimentale (cfr. le deposizioni dei testi Cl.Gi., En.Da., Co.Tu.) ha evidenziato come anche lo stesso GI. - tratteggiato nella gravata sentenza come l'autore in prima persona di pressioni estreme sulla rete commerciale - fosse in realtà destinatario di minacce e pressioni provenienti direttamente dal So.. Quanto alle fonti di prova citate in sentenza con riguardo alle pretese pressioni esercitate dal GI. (cfr. in particolare le dichiarazioni dei testi Di.Ip. e Ma.Ni.) la difesa ha argomentato nel senso del loro fraintendimento e/o vaglio solo parziale e decontestualizzato da parte del tribunale; - la sentenza gravata ha completamente omesso di considerare i seguenti due episodi - definiti gravi e inquietanti dalla difesa - in danno del GI., i y quali ben evidenziano quanto egli fosse "estraneo al milieu compatto e ristretto di gestione reale della Banca" (cfr. pag. 34 atto di appello): a) riguardo alla questione degli storni è emerso che - in seno alla Divisione Mercati diretta dal GI. - era stato ordinato da Gi.Am. al suo subalterno Al.Fe. di correggere le lettere di storno sottoscritte dallo stesso Am. obliterando la firma di questi e lasciando inalterate solo le lettere firmate dal GI., quando per converso l'estraneità di questi alla procedura degli storni deve ritenersi dimostrata anche dal rigetto, nei suoi confronti, della domanda cautelare presentata in sede civile dalla banca (cfr. documento n. 668 prodotto dallo stesso Pubblico Ministero, corrispondente al provvedimento n. 4414/2015 del Giudice del lavoro presso il Tribunale di Vicenza); b) a detta del teste Co.Tu. il collega Ad.Ca. - uno dei componenti la ristretta cerchia di frequentatori abituali dell'ufficio del d.g. Sa.So. - all'inizio del mese di maggio 2015 aveva minacciato lo stesso Tu. di licenziamento perché si era rifiutato di scrivere una relazione nella quale si dicesse falsamente che il GI. era il responsabile di tutta l'operatività illecita; - l'ostilità nei confronti del GI. si era finanche acuita dopo l'inizio dell'attività ispettiva, essendo sorta - per effetto di quanto andava ivi emergendo - l'esigenza di catalizzare sul predetto ogni responsabilità. 2.1.4 Con il quarto, il quinto e il sesto motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IV, V e VI della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erroneità dell'attribuzione al GI. - all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - dell'ideazione e attuazione delle operazioni di finanziamento correlato, rivendicando altresì in capo al predetto la genuina convinzione che tali operazioni non solo fossero lecite ma altresì che venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. Si è evidenziato in particolare al riguardo quanto segue: - il GI. era entrato in B. nel novembre 2007 allorquando la prassi delle operazioni correlate già era in essere (circostanza riferita non solo dall'imputato nel suo esame dibattimentale ma altresì dai testi Di.Gr. e Alessandro Ba. fra gli altri); - il GI. inizialmente era perplesso, e del resto si trattava di perplessità diffusa all'interno di B., circa l'applicabilità dell'art. 2358 cc. alle banche popolari come società cooperative e ciò quantomeno fino all'anno 2012, anno in cui aveva avuto luogo l'ispezione della Banca d'Italia; in tal senso del resto si era espresso anche un parere legale esterno acquisito dalla stessa B.; - la sentenza impugnata ha comunque errato nel ritenere non credibile il teste Cl.Am. circa l'andamento del suo colloquio con l'ispettore Ge.Sa. (del quale va tenuta in considerazione, in particolare, una conversazione captata - la n. 281 progn del 19.3.2017 - con il consulente tecnico del Pubblico Ministero, Pa., ove il primo diceva al suo interlocutore: "Poi, vedendo le carte, effettivamente alcune operazioni baciate c'erano", il che dimostrerebbe l'effettività dei disvelamento affermato dal teste Am.); né il tribunale ha valutato con adeguato rigore i plurimi elementi istruttori che depongono nel senso di un rapporto istituzionale "non esemplare" intrattenuto dalla Banca d'Italia, nella specifica occasione, con il So.; - plurime sono le evidenze testimoniali - citate nominativamente nell'atto di appello - di una "piana e pacifica conoscenza dell'esistenza delle operazioni correlate in capo a tutti i settori di B., incluso il settore legale nella persona dell'avv. An.Pa. (diversamente da quanto costei ha sostenuto in sede dibattimentale) e incluso soprattutto il settore bilancio e pianificazione di cui era responsabile il coimputato Ma.Pe., che oltretutto faceva parte - circostanza ben nota al Gi. - del milieu ristretto di dirigenti che avevano un rapporto esclusivo con il So. (al riguardo l'appellante ha lamentato il fatto che il PE. sia stato mandato assolto dal tribunale sull'assunto che in capo allo stesso PE. fosse insufficiente la prova dell'elemento soggettivo del reato); - il GI., atteso tutto quanto sopra (in particolare quanto osservato in relazione alla posizione del PE. e al contegno da questi tenuto), non poteva che maturare la convinzione che le operazioni correlate - a tutti note in B. - venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza; - non può condividersi per converso l'argomento, svolto a pag. 216 dalla sentenza impugnata, secondo cui è evidente che le operazioni correlate in oggetto non venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza in quanto, in caso contrario, sarebbero state del tutto inutili; tale argomento prova troppo, giacché, se davvero così fosse stato, tutti coloro che si erano occupati di operazioni correlate in B. (inclusi tutti gli esponenti dell'alta e media dirigenza, ivi compresi quelli più vicini al So.) sarebbero stati raggiunti dalle medesime imputazioni; ciò non è invece avvenuto proprio perché la Procura della Repubblica vicentina ha ritenuto mancante in capo a costoro la consapevolezza dell'intero disegno strategico intessuto al riguardi dal So. (e, con ogni probabilità, da questi tenuto riservato entro la ristretta cerchia delle persone per lui fidate, la quale non comprendeva - come detto - l'imputato GI., tenuto lontano dalle "strategie decisionali" del direttore generale stante il rapporto di emarginazione, sfiducia e contrarietà del quale egli era reso oggetto); - esistono inoltre ragioni prettamente tecniche, illustrate anche dal c.t, della difesa prof, Pe. (e passate in rassegna alle pagg. 50-51 dell'atto di appello), che rafforzano ulteriormente la conclusione da trarsi circa la genuina convinzione, in capo al GI., che le note operazioni correlate venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. 2.1.5 Con il settimo e l'ottavo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli VII e VIII della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha passato dettagliatamente in rassegna le numerose emergenze processuali già evidenziate in prime cure dalla difesa - ma ignorate dalla sentenza impugnata - che a suo avviso depongono nel senso della non consapevolezza, in capo al GI., dell'entità del fenomeno, censurando simmetricamente l'erronea valutazione, da parte del primo giudice, di quegli ulteriori elementi probatori che lo stesso tribunale ha ritenuto pesare a carico dell'imputato. In particolare si è evidenziato che: quanto al contenuto del file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, le frasi ivi pronunciate dal GI. e da altri partecipanti non sono state adeguatamente contestualizzate (a quell'epoca era ormai diffusa in B. una sensazione di "quasi defaul" manifesta e recepita da tutti con ovvie preoccupazioni); in alcuni altri casi invece - come ad esempio è a dirsi per la quantificazione da parte del So. dei "finanziamenti" in oltre un miliardo di euro - sono state travisate nel significato (in realtà sarebbe chiaro, a detta dell'appellante, che il So. non si riferiva al capitale finanziato bensì alla campagna pre-affidamenti, il che emergerebbe da vari elementi della svolta istruttoria); - del tutto neutro è il fatto che il So. prima del 2013 avesse fatto fare un report a Co.Tu. (circostanza evidenziata a pag. 668 della sentenza gravata), dato che la stessa sentenza ha ricordato come tale report - al pari delle tabelle di monitoraggio mensili diffuse nel corso delle riunioni della Divisione Mercati - riguardasse tutti i soci, anche quelli non finanziati; - anche la deposizione del teste Ro.Pr., valorizzata in sentenza quale dato significativo a carico del GI., non sarebbe stata letta ed esaminata nella sua interezza dai giudici vicentini; - le prove a discarico in punto "consapevolezza" del GI. sono state completamente ignorate dal primo giudice, pur provenendo esse a volte finanche da testi altrimenti rivelatisi alquanto "ostili" nei suoi confronti come Lu.Ve., Gi.Ca., En.Da., Se.Ro., Pa.An. (dei quali l'appellante ha riportato gli stralci di deposizione favorevoli al GI.); - quanto agli elementi probatori indicati in sentenza come "a carico" dell'imputato, invece, ivi non si è specificato neppure a quali fra i plurimi distinti reati contestatigli essi si riferiscano; - attesa la sopra ben evidenziata conoscenza diffusa a tutti i livelli, in B., del ricorso a operazioni di capitale finanziato, si svuotano di valenza probatoria "a carico" elementi come gli appunti del teste Ma.So. circa i contenuti del Comitato di Direzione 8.11.2011 e come l'incontestato ruolo di coordinamento della rete che il GI. esercitava in quanto direttamente afferente alla sua qualifica di responsabile della Divisione Mercati; - vari testi, ancora una volta ignorati dalla sentenza gravata, hanno riferito circa il reiterato attivarsi del GI. per favorire l'informatizzazione della procedura (il che avrebbe reso impossibile la prassi contestata), incontrando però sempre la ferma resistenza della Divisione Risorse; - non sono minimamente risolutivi gli asseriti indici di consapevolezza evidenziati in sentenza (il divieto alla rete di comunicare informazioni per iscritto; il ricorso alla ed. "clausola sentinella" generica nelle P.E.F.; l'invito a rispettare un distanziamento temporale tra fido e acquisto delle azioni), posto che, a tacer d'altro, la formula generica - preesistente all'ingresso di GI. in B. - è risultata non essere stata utilizzata in una cospicua percentuale delle stesse operazioni correlate (circa il 35,50%) e che pure la prassi del distanziamento temporale non era stata certo introdotta, come dimostrato dalla svolta istruttoria, dal GI., in capo al quale - diversamente da quanto ritenuto in sentenza - non può affatto di dimostrata una "pervicace condotta tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delie autorità di vigilanza" (cfr. pag. 647 sentenza gravata); - la sentenza impugnata, nell'indicare come elementi a carico significativi la vicenda Vi. (e relativo report Bo.), la richiesta di chiarimenti da parte della società di revisione KP. e le schede consegnate all'ispettore Gi.Ma., ha riportato solo alcuni aspetti della relativa vicenda ignorando le risultanze processuali utili a contestualizzarli e a inquadrarli; aspetti che l'appellante ha illustrato e analizzato alle pagg. 62-66 dell'atto di impugnazione. 2.1.6. Con il nono, decimo, undicesimo e dodicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IX, X, XI e XII della parte III dell'impugnazione) l'appellante ha illustrato quelli che a suo avviso sono fondamentali errori metodologici commessi dal primo giudice nella ricostruzione probatoria dei fatti, con particolare riguardo: - a una visibile confusione fatta tra gli elementi costitutivi della fattispecie legale dell'operazione correlata e l'individuazione dei mezzi probatori atti a verificarne l'effettiva realizzazione in una determinata situazione; all'utilizzo di "criteri" (nomenclatura estranea al diritto delle prove penali) non identificabili con le circostanze indiziarie disciplinate quali mezzi di prova dall'art. 192 comma 2 c.p.p., di talché si sarebbe persa di vista, in sentenza, la necessità che il quadro indiziario risulti connotato dai necessari requisiti di gravità, precisione, concordanza e necessità di adeguati riscontri; in altri termini la sentenza gravata non ha rispettato il citato canone processual-penalistico (cui era tenuta ad attenersi) bensì ha, piuttosto, utilizzato il metodo amministrativistico di cui alla circolare n. 263 della Banca d'Italia, e ciò benché le finalità perseguite dai vari metodi e dai differenti criteri in gioco (BCE, consulenti tecnici del P.M., CONSOB) si differenzino considerevolmente fra loro; - all'utilizzo in particolare, da parte della sentenza gravata, dei criteri impiegati dapprima da BCE e indi dai consulenti tecnici del P.M., che tuttavia sono estranei alla metodologia del processo penale di cui al citato art. 192 comma 2 c.p.p. in tema di valutazione critica delle prove indiziarie; metodologia che, se utilizzata, avrebbe dato esiti finali ben diversi e favorevoli all'imputato. 2.1.7 Con il tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo e sedicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XIII, XIV, XV e XVI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha censurato la sentenza impugnata laddove ha ritenuto di ravvisare una responsabilità concorsuale del GI. ex art, 110 c.p.p., anzitutto, nei reati di aggiotaggio manipolativo-operativo (articolato in una prima condotta relativa alla concessione del capitale finanziato, in una seconda condotta relativa alla mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014 e in una terza condotta relativa alla mancata comunicazione all'esperto prof. Ma.Bi. della prassi aziendale in tema di operazioni correlate), non prima peraltro di avere stigmatizzato l'illegittima "moltiplicazione", operata in sentenza, dei reati di aggiotaggio di cui al capo Al, da ritenersi attuata in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale. Ha evidenziato come l'apoditticità dell'argomentare dei giudici vicentini circa il ravvisato apporto concorsuale del GI. emerga a più riprese dalla lettura della sentenza, fermo restando che, ad applicare uguale metodologia argomentativa a svariati fra i soggetti escussi come testi in dibattimento, gli stessi sarebbero a loro volta dovuti figurare quali coimputati in ragione della loro conoscenza diretta del "fenomeno" del capitale finanziato e della loro altrettanto diretta operatività all'interno del fenomeno medesimo. Ha indicato come profondamente errata, alla stregua di tali considerazioni e della necessità di rispettare i principi generali in tema di concorso nel reato, l'attribuzione generalizzata al GI. (del tutto disancorata dalle prove acquisite al processo, anche per quanto riguarda i dati numerici) della penale responsabilità con riguardo a tutte le 874 operazioni emerse, pur frammentate negli anni oggetto di contestazione. In realtà - ha proseguito l'appellante - sarebbe stato necessario dimostrare, per ciascuna singola operazione correlata, che il GI. ne aveva deliberato il finanziamento per essa specificamente utilizzato; che ne aveva seguito l'intera evoluzione; che infine aveva avuto consapevolezza della non deduzione di tale finanziamento dal patrimonio di vigilanza. L'appellante ha escluso che le generiche affermazioni contenute in sentenza riescano a evidenziare in capo al GI. la prova della sua ravvisata penale responsabilità anche per la condotta di mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014; per converso il primo giudice ha completamente ignorato, ad avviso dell'appellante, una serie di prove a discarico (documentali e testimoniali) che, conducono a non poter ascrivere al GI. tale condotta, per vero del tutto estranea alle competenze della Divisione Mercati. Né - ha proseguito l'appellante - può ritenersi soddisfacente il generico e indistinto ricorso, da parte del primo giudice in aderenza alla formulazione dell'imputazione, alla nozione di "agevolazione", essendo noto che, nella interpretazione giurisprudenziale dell'art. 110 c.p., la c.d. "agevolazione" o il "rafforzamento del convincimento" (dato dal concorrente nel reato a colui che materialmente pone in essere la condotta) deve comunque estrinsecarsi in una condotta individuata nei suoi tratti essenziali. Indi l'appellante ha censurato come ancora una volta apodittico, e anzi in aperto contrasto con le risultanze dell'istruttoria dibattimentale, l'argomentare della sentenza impugnata circa l'asserito apporto concorsuale del GI. al reato di aggiotaggio manipolativo quanto alla condotta di mancata comunicazione all'esperto stimatore esterno incaricato da B. nel 2010, prof. Ma.Bi., della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie. Ha comunque evidenziato che in base alla stessa relazione dei cc.tt del P.M. - pur ampiamente citata e utilizzata in sentenza sotto altri profili e viceversa pressoché ignorata su questo specifico punto - emerge come l'erronea stima del sovrapprezzo dell'azione B. da parte del prof. Bi., lungi dal dipendere esclusivamente dall'omessa comunicazione al predetto esperto circa l'esistenza del capitale finanziato così come adombrato in sentenza, fosse conseguita anche, e soprattutto, a una serie di errori metodologici commessi dallo stesso prof. Bi., il cui operato è in effetti ampiamente stato criticato anche dai cc.tt. del P.M. senza che il primo giudice si sia tuttavia soffermato adeguatamente su tale pur fondamentale parte della relazione di consulenza tecnica dell'accusa. Ad avviso dell'appellante la suddetta omissione del tribunale si è riverberata in maniera determinante sulla valutazione circa l'esistenza o meno di un nesso causale tra la contestata condotta di asserito nascondimento al prof. Bi. del fenomeno delle operazioni correlate e la sovrastima del valore dell'azione da parte dell'esperto, fermo restando che nessun elemento depone nel senso di un qualsivoglia apporto causale, da parte del GI., al suddetto nascondimento (lo stesso prof. Bi., nel suo esame dibattimentale, ha escluso di essersi interfacciato con il predetto). 2.1.8 Con il diciassettesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XVII della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'estraneità del GI. anche al reato di aggiotaggio informativo, posto che il primo giudice, ancora una volta mantenendosi su di un piano di assoluta indeterminata genericità, non ha dato alcuna indicazione (né tantomeno ha indicato elementi probatori a carico) su quale possa essere stato il "contributo" dell'imputato - non meglio specificato nel capo di imputazione - alla materiale diffusione di notizie false nei vari canali informativi. Né certo la prova e la determinazione del preteso "contributo" del GI. a tale specifica condotta possono trarsi, secondo l'appellante, dalla pur data per scontata - ma a sua volta contestata - "consapevolezza", in capo al predetto, delle modalità di occultamento delle operazioni correlate (consapevolezza che in ogni caso attiene al piano dell'elemento soggettivo e non già a quello - ben distinto - dell'individuazione dell'apporto causale), ferma restando l'esatta distinzione giurisprudenziale tra connivenza non punibile e concorso manifestabile nella sua forma minima, ossia appunto nella agevolazione. Ancora una volta difetta totalmente, in tesi difensiva, il rispetto dell'esigenza di individuare in termini ben delineati quale sia stata in concreto la condotta del GI. inteso quale asserito concorrente "agevolatore". 2.1.9 Con il diciottesimo e il diciannovesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XVIII e XIX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'insussistenza di una condotta concorsuale del GI. nei reati di ostacolo alle funzioni di vigilanza di Banca d'Italia e BCE (capi da B1 a MI), evidenziandone in particolare l'obiettiva estraneità alla produzione dei flussi di informazione decettivi destinati alla vigilanza e a nulla potendo valere la sistematica trasposizione reiterata - di stile - operata, in ciascun capo di imputazione, di quello che altro non è se non il criterio di imputazione soggettiva della distinta condotta di aggiotaggio manipolativo di cui al capo A1. Anche in questo caso difetta totalmente in sentenza, secondo l'appellante, l'individuazione per il GI. di una specifica condotta, dotata di tipicità, atta a individuare in capo al predetto la meramente dedotta condotta agevolativa, tanto più ponendo mente al fatto che in questo specifico caso il GI. si pone quale extraneus rispetto a un reato proprio e che pertanto andrebbero semmai applicate le stringenti regole in tema di responsabilità dell'estraneo nel reato proprio. In ogni caso - ha proseguito la difesa concludendo con una disamina analitica, capo per capo dal B1 fino al MI, del compendio istruttorio acquisito in sede dibattimentale - il tribunale ha fatto malgoverno delle prove ignorando, anche per i suddetti reati di ostacolo, i pur esistenti elementi a discarico. 2.1.10 Con il ventesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il tribunale condannato il GI., in relazione al capo N1, per un fatto totalmente nuovo, naturalisticamente autonomo e non enunciato in alcun modo nel decreto che dispone il giudizio: non gli è infatti più stata ascritta una intesa, al riguardo, con il d.g. Sa.So. ma un contegno attuativo di condotte decisionali esclusive e autonome del So. stesso. In altri termini - ha proseguito la difesa - la condotta per la quale il GI. ha riportato condanna non è sovrapponibile a quella originariamente descritta nel decreto che dispone il giudizio. Di qui l'eccepita nullità. 2.1.11 Con il ventunesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p. avendo il tribunale condannato il GI., in relazione ai capi I e L (reati di falso in prospetto), per un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio. In quest'ultimo infatti gli si contestava di avere preso parte alla materiale predisposizione dei testi dei due prospetti. La sentenza gravata, invece, pur dando atto (perché un tanto emerge dalla svolta istruttoria) che il contenuto dei prospetti è direttamente riconducibile alla condotta dolosa degli imputati ZO. e PI., e pur dando atto che il GI. - come pure l'altro imputato MA. - non era direttamente coinvolto nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, ancora una volta ne ha fondato erroneamente la penale responsabilità (come già aveva fatto in relazione ai reati di ostacolo) sulla mera asserita consapevolezza dell'occultamento delle operazioni finanziate. 2.1.12 Con il ventiduesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXII della parte V dell'impugnazione) l'appellante in subordine ha censurato il trattamento sanzionatorio sotto i seguenti profili: non corretta individuazione del reato più grave (ravvisato nel capo H1 quando viceversa, al momento di determinare la competenza territoriale dell'autorità giudiziaria vicentina, esso era stato identificato con il capo B1); mancata determinazione della pena base nei limiti di legge; mancata determinazione degli aumenti per la continuazione nel minimo di legge; mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. Illegittima deve ritenersi infine - e se ne è chiesta la revoca - la disposta confisca per equivalente non avendo il tribunale indicato le ragioni per le quali il GI. sia stato ritenuto responsabile dell'erogazione di tutti i finanziamenti strumentali alla formazione del capitale finanziato de quo. 2.1.13 Con il ventitreesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXIII della parte VI dell'impugnazione) l'appellante, in relazione alle statuizioni civili, ha chiesto la revoca delle stesse; in ogni caso, e in subordine, ha chiesto sospendersi - sussistendo gravi motivi ex art. 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le partì civili. Riassuntivamente l'appellante GI. ha rassegnato le seguenti conclusioni: 1) In via preliminare principale di rito, riconosciuta l'incompetenza per territorio del Tribunale di Vicenza, pronunciarsi sentenza di annullamento ex art. 24 comma 1 c.p.p., della sentenza impugnata ordinando la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ovvero, in subordine, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano. 2) In via preliminare subordinata di rito annullarsi la sentenza impugnata ex art. 603 comma 4 c.p.p. sia in relazione al capo N1 che in relazione ai capi I e L per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il Tribunale di Vicenza condannato per fatti nuovi non enunciati nel decreto che dispone il giudizio. 3) In via principale di merito assolvere l'imputato GI. da tutti i reati a lui ascritti per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato o con altra formula ritenuta di giustizia. 4) In via subordinata di merito quanto al trattamento sanzionatorio, previa individuazione del reato più grave fra quelli ascritti nel capo B1, riduzione ai minimi di legge della pena base nonché di tutti gli aumenti operati per la continuazione interna con riconoscimento del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle residue aggravanti contestate. 5) In via subordinata quanto alle statuizioni civili, escludere quelli - fra soggetti costituitisi parti civili - da valutarsi come carenti di legittimazione attiva nei termini illustrati nel relativo motivo di gravame. In ogni caso revocare tutte le statuizioni civili e sospendere - sussistendo gravi motivi ex art 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le parti civili. 2.2 Appello proposto da Ma.Pa. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Ma.Pa.. 2.2.1 In particolare con il primo motivo, assai articolato, l'appellante ha censurato l'affermazione di responsabilità del MA. in relazione a tutti i reati contestati nel capo di imputazione sotto più profili che vengono qui di seguito illustrati. 2.2.1.1 Preliminarmente l'appellante ha eccepito la nullità della richiesta di rinvio a giudizio reiterando la già sollevata eccezione, respinta dal tribunale vicentino, di nullità delle notifiche dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p. e dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare effettuate - nel domicilio da lui eletto in data 28.4.2017 nell'ambito del solo procedimento n. 5628/2015 RGNR, allora unico procedimento pendente a suo carico - con riguardo afte imputazioni relative alle condotte criminose che lo stesso MA., in tesi d'accusa, avrebbe posto in essere nell'anno 2015 (condotte che dapprima avevano costituito l'oggetto di un distinto procedimento recante il n. 5851/2017 RGNR, iscritto dalla Procura della Repubblica vicentina - a seguito del deposito dell'informativa finale 6.7,2017 della GdF di Vicenza estesa per la prima volta alle condotte commesse nell'anno 2015 - mediante stralcio dal già pendente procedimento n. 5628/2015 RGNR; indi riunito al suddetto procedimento n, 5628/2015 RGNR solo in occasione dell'udienza preliminare tenutasi nell'aprile 2018) per violazione dell'art. 157 c.p.p.. Ciò in applicazione del principio secondo cui l'elezione di domicilio effettuata dall'imputato ha validità unicamente nell'ambito del procedimento in relazione al quale essa viene effettuata, con divieto quindi di una sua ultrattività anche nei procedimenti connessi. 2.2.1.2 Indi l'appellante ha formulato richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, comprensiva in particolare del confronto tra il teste Cl.Am. (già responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B.) e il teste Ge.Sa. (componente del tea/77 ispettivo di Banca d'Italia che aveva operato nel 2012); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, sul file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (ciò solo per il caso di rigetto dell'eccezione di sua inutilizzabilità sulla quale v. infra); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, atta a valutare l'importo complessivo del capitale ritenuto finanziato, a individuare l'effettiva disciplina della sua deducibilità dal patrimonio di vigilanza e - prima ancora - a individuare i criteri che debbono essere utilizzati al fine di stabilire se un'operazione di finanziamento possa o meno dirsi correlata/finalizzata all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni. A tale ultimo proposito la difesa ha affermato di richiamarsi anzitutto alle articolate argomentazioni svolte dalla difesa ZO. (v. infra); ha evidenziato in ogni caso come emblematico, in ordine alla necessità di disporre perizia, il fatto che, mentre il tribunale ha avallato acriticamente il criterio temporale dei tre mesi (criterio basato su una indicazione del teste Ro. nonché adottato dall'ispettore Ma. e indi dai consulenti tecnici del P.M.), nondimeno l'espletata istruttoria dibattimentale ha in realtà consentito di appurare come il concretamente riscontrato intervallo temporale - a detta dello stesso teste Ma. - si fosse di fatto attestato attorno a un massimo di un mese circa. 2.2.1.3 L'appellante ha poi rinnovato la già svolta eccezione di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014; nel caso di specie, infatti, l'autore materiale della registrazione (uno o forse più tecnici all'uopo incaricati, a suo dire, dal segretario generale Ma.So.) era un soggetto - estraneo alla conversazione tra presenti in questione - che aveva operato da una consolle di registrazione sita all'esterno dell'aula consiliare e non vi era neppure stato ammesso ad assistere da alcuno se non eventualmente dal solo So. a insaputa di tutti gli altri partecipanti. 2.2.1.4 L'appellante ha lamentato un malgoverno delle prove in quanto la gravata sentenza, nonostante la mole ponderosa, si caratterizzerebbe: a) per una costante sottrazione di elementi, pur presenti all'interno dell'istruttoria dibattimentale ma nemmeno considerati nella motivazione; b) per una elusione delle questioni di fondo poste dalla difesa dell'imputato. In primo luogo, comunque, non è dato comprendere perché tutta una serie di soggetti (si sono indicati esemplificativamente i testi Cl.Gi., Co.Tu., Gi.Am. e altri), pacificamente resisi autori materiali delle medesime condotte contestate all'imputato, non siano mai stati nemmeno indagati in relazione a tali loro condotte. La suddetta considerazione è prodromica all'ulteriore doglianza difensiva concernente la totale assenza, nella gravata sentenza, di ogni e qualsiasi valutazione in ordine alla componente psicologica dei reati contestati. A tale ultimo proposito la difesa ha evidenziato in particolare come il MA. mai abbia sostenuto di ignorare l'esistenza in B. di operazioni di finanziamento correlato; egli in effetti ha costantemente dichiarato ben altro, ossia di essere sempre stato genuinamente convinto della piena liceità delle operazioni stesse: non solo tale tipologia di operazione veniva eseguito in B. già prima del 2009, anno di assunzione del MA., ma altresì egli, da neoarrivato, aveva ricevuto assicurazioni da vari colleghi, tra cui il GI., il Co. e il Se. (all'epoca responsabile della Divisione Crediti), sul fatto che - trattandosi di una banca cooperativa - non trovasse ad essa applicazione l'art. 2358 c.c.; in tale ultimo senso anzi la banca aveva a suo tempo richiesto e acquisito pure un parere legale formulato da uno studio incaricato ad hoc (trattavasi dello studio Erede-Bonelli; il parere, redatto da uno dei massimi esperti nella materia, era stato favorevole alla tesi della inapplicabilità dell'art. 2358 c.c. alle banche cooperative); in effetti la dottrina e la stessa giurisprudenza fino ad epoca assai recente si erano dimostrate tutt'altro che univoche sul punto. A ciò si aggiunge la circostanza che l'effettuazione di operazioni correlate fosse emersa, alla luce della svolta istruttoria dibattimentale, quale dato pienamente noto anche all'interna audit della banca (il che renderebbe assai precaria, sotto il profilo dell'attendibilità, la posizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'audit) nonché al suo ufficio legale (considerazioni analoghe a quelle relative al teste Bo. andrebbero dunque svolte anche con riguardo alla sua responsabile, l'altra teste avv. An.Pa.): né l'una né l'altra struttura avevano mar avvisato alcuno in B. circa il fatto che si stesse con ciò ponendo in essere un'attività illecita. Anzi la teste Pa. in sede dibattimentale si era trovata costretta ad ammettere che aveva effettivamente potuto visionare la pratica (pacificamente correlata) Ca.-Lu. ma che, essendosi essa positivamente conclusa, non aveva ritenuto di fare nulla. 2.2.1.5 L'appellante ha indi lamentato l'errata ricostruzione operata dal tribunale - alla pag. 678 della gravata sentenza - delle competenze della Divisione Crediti, affermando che i giudici vicentini si sono basati, al riguardo, essenzialmente su quanto affermato dal teste Gi.Sc. nella relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia (laddove lo stesso Sc. in sede dibattimentale ha ammesso di non conoscere le facoltà deliberative autonome riconosciute alla rete), mentre sarebbe stata obliterata la delibera del CdA 7.2.2012 (pur acquisita al fascicolo del dibattimento) la quale aveva ridisegnato le competenze e le funzioni della Divisione Crediti istituendo le Direzioni Regionali. In particolare non risponde affatto al vero - ha proseguito l'appellante - l'assunto del primo giudice secondo cui "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito (...) la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (affida menti) (e delle relative garanzie)". In rea Ita i I perfezionamento e l'erogazione degli affidamenti, come pure l'acquisizione delle eventuali garanzie ad essi relative, erano - nel periodo in esame - demandati a una società controllata da B. e denominata Servizi Bancari, come riferito concordemente in sede dibattimentale dai testi Cl.Am. e Sa.R. oltre che dallo stesso imputato MA.. La difesa del MA. ha affermato altresì che, sempre in tale passo dell'impugnata sentenza, i giudici vicentini hanno equivocato anche sul ruolo svolto dal teste Cl.Gi. indicandolo come "capo area di Vicenza" Al di là del refuso "13.6.2013" in luogo di "13.6.2019" riguardo alla data dell'esame testimoniale del Gi. (che pure - a detta dell'appellante - non depone a favore della precisione ricostruttiva complessivamente impiegata dal collegio giudicante), io stesso Gi. nel corso del suo esame testimoniale aveva chiaramente detto di avere assunto la carica di Direttore regionale Ve.Oc. all'indomani della modifica dell'organizzazione commerciale della banca, disposta nell'aprile - maggio 2012 con l'istituzione delle direzioni territoriali. Infine, e più gravemente, il passo in oggetto della gravata sentenza avrebbe totalmente travisato la stessa spiegazione, in sé completa ed esatta, fornita dal teste Gi.. Dalla parafrasi del tribunale pare che ad essere articolata su base territoriale decentrata fosse la Divisione Crediti ma ciò è difforme da quanto riferito dal teste Gi. (nonché da altri testi come ad esempio il teste Ma.Ba., il teste Lu.Ve. e il teste Gi.Am.): gli Uffici Crediti articolati su base territoriale erano infatti alle dipendenze delle Direzioni Regionali, le quali a loro volta erano gerarchicamente inquadrate all'interno della Divisione Mercati. In altri termini nel periodo 2012-2015 successivo all'ispezione della Banca d'Italia la situazione era la seguente: a) la Divisione Crediti non era coinvolta in alcun modo nell'erogazione e perfezionamento dei finanziamenti; b) ciò che al riguardo veniva deliberato -in piena autonomia - dalle Direzioni Regionali era completamente estraneo al perimetro conoscitivo della Divisione Crediti. Soltanto nel 2015, come riferito con chiarezza dal teste Cl.Am., l'assetto organizzativo di B. era variato nuovamente con il ritorno alla Divisione Crediti della competenza gerarchica sui crediti in rete. Nel periodo 2012-2015, viceversa, alla stregua delle suesposte considerazioni, essendo il processo del credito non accentrato, diversamente da quanto sostenuto nella gravata sentenza, la Divisione Crediti (il cui ruolo e la cui funzione erano circoscritti alla necessità di assicurare la qualità del credito e il recupero di esso) non aveva - né poteva avere - contezza della complessiva entità del capitale finanziato. 2.2.1.6 L'appellante ha poi evidenziato come nessun rilievo fosse stato sollevato dalla vigilanza nei confronti della Divisione Crediti, tanto all'esito dell'ispezione del 2012 quanto all'esito di quella del 2015, mentre per converso erano stati formulati i seguenti rilievi per omissioni e carenze a vario titolo: contro i consiglieri di amministrazione in carica all'epoca dei fatti; contro i sindaci in carica all'epoca dei fatti; contro il direttore generale (Sa.So.) in carica all'epoca dei fatti; contro i vice direttori generali in carica all'epoca dei fatti An.Pi. (Divisione Finanza) ed Em.Gi. (Divisione Mercati); contro le funzioni aziendali di controllo - ossia contro i responsabili della funzione Internai Audit (Ma.Bo.) e della funzione Compliance (Gi.Fe.) - in carica all'epoca dei fatti. 2.2.1.7 L'appellante, con riguardo alla questione della c.d. "causale sentinella" connotata da estrema genericità, ha sollevato forti dubbi sulla valenza sintomatica attribuita in tesi d'accusa - e fatta propria dal tribunale vicentino - alla causale stessa, posto che: s lo stesso teste Gi.Sc., capo team dell'ispezione 2012, aveva affermato che 'le carenze nella causale non erano un fatto sistematico, perché altrimenti lo avremmo registrato nel rapporto o, perlomeno, non mi è stato restituito come un fatto sistematico, poi non posso evidentemente immaginare che tutte le PEF siano state esaustive (...)"; - anche il teste Ge.Sa., altro membro del team dell'ispezione 2012, aveva manifestato, sotto altro profilo, considerevoli dubbi sulla natura effettiva di "sentinella" in capo alla suddetta causale generica; - l'assoluta mancanza di rilievi in merito alla presunta genericità di tale, proposta di fido contenuta nella P.E.F. era stata confermata anche dal teste Ma.D.Bo. (all'epoca direttore dei Crediti Anomali nonché uno dei diretti interlocutori con il team ispettivo); - nemmeno l'ispettore Em.Ga. nel 2015, benché le regole da seguire e applicare fossero frattanto divenute più stringenti (in quanto non più di, matrice nazionale bensì europea), aveva proposto sanzioni al riguardo nemmeno aveva invitato la banca a modificare modulistica, procedura e altro in tema di credito; - la formula generica "cogliere opportunità di investimenti mobiliari e immobiliari", lungi dall'essere stata introdotta dal MA. come poteva sembrare leggendo la sentenza impugnata, preesisteva al suo arrivo in B. e d'altra parte non era applicata unicamente ad operazioni c.d. "baciate" (lo stesso teste Fr.Io., ossia il nuovo direttore generale succeduto a Sa.So., lo aveva confermato in sede dibattimentale al pari del teste Co.Tu.); - in relazione a tutte le operazioni finanziate, così come individuate dalla consulenza tecnica Ta.-Pa.-Ca., l'esame delle P.E.F. faceva emergere il dato statistico secondo cui circa il 40% dell'importo finanziato (esattamente il 41,44%) portava causali diverse da quella sopra indicata. 2.2.1.8 L'appellante ha confutato come non rispondente al contenuto complessivo dell'espletata istruttoria dibattimentale anche l'ulteriore assunto - di cui alle pagg. 680 e ss. della sentenza impugnata - secondo il quale le pratiche riguardanti le operazioni correlate dovevano necessariamente essere predisposte su un format fornito dalla Divisione Crediti, e ciò a pena di essere rifiutate, su disposizione apparentemente impartita dal MA., in caso contrario. In realtà tutti i testi sentiti al riguardo si erano espressi de relato riportando asserite affermazioni rese loro in tal senso dall'uno o dall'altro esponente della Divisione Mercati; non a caso l'espressione utilizzata al riguardo in sentenza - "Inoltre, si disse che tale dicitura era condivisa con la Divisione Crediti e avrebbe consentito l'approvazione della pratica" (cfr. pag. 680 cit.) - era quanto mai generica e impersonale. Anche quanto all'altro preteso indicatore univoco della natura correlata dell'operazione, oltre alla c.d. "clausola sentinella", ossia la c.d. "sfasatura temporale" tra l'erogazione del fido e l'acquisto di azioni, la difesa ha osservato che la sentenza impugnata pare volutamente confondere i piani intersecando l'unica disposizione data dal MA. al riguardo (ossia che il denaro del finanziamento erogato dovesse risultare già accreditato nel c/c prima di poter procedere all'acquisto delle azioni) con il fenomeno - del quale il MA. non era in alcun modo partecipe - dell'occultamento di tale procedura agli occhi dell'eventuale controllore. In altri termini il monito in questione, rivolto dal MA. al personale a seguito della reiterata disinvoltura dimostrata in passato da B. sull'argomento (cfr. ad esempio l'operazione Lu.-Ca.), disinvoltura che come tale era stata censurata dal team ispettivo del 2012, aveva il solo fine di evitare eventuali sconfinamenti in c/c come aveva ad esempio ben spiegato fra gli altri il teste Co.Tu.. Le stesse deposizioni che sul punto vanno apparentemente in senso sfavorevole al MA., segnatamente quelle rese dai testi En.Da., Gi.Am. e Al.Cu., sarebbero state riportate in sentenza dal tribunale vicentino solo per brevi stralci completamente decontestualizzati, sì da stravolgerne il senso. 2.2.1.9 L'appellante indi ha affrontato un altro tema (svolto dalla sentenza impugnata alle pagg. 686-687), quello della "campagna riqualificazione impieghi" - intendendosi per impieghi i prestiti - anche detta "pre-deliberato", connotata semplicemente dallo stanziamento, ad opera di B., di una rilevante somma finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate (ossia più vantaggiose) in sede di rinnovo o revisione degli affidamenti di clienti meritevoli di un particolare rating creditizio. Il compito della Divisione Crediti, a detta dell'appellante, era esclusivamente tecnico e riguardava solo l'individuazione dei criteri di rating da utilizzare per selezionare i clienti ai quali riqualificare il prestito, formare apposite liste e inviarle alla rete per la definitiva verifica. Il tutto - ha proseguito la difesa del MA. - è stato esaustivamente spiegato in dibattimento dai testi Cl.Am. e Ma.Ba. mentre l'appellante, contrariamente a quanto parrebbe desumersi dalla sentenza gravata, non aveva nulla a che vedere con le modalità, più o meno corrette, attraverso cui tale iniziativa era poi stata presentata dalla rete commerciale ai propri clienti, non potendo ascriversi all'imputato le eventuali pressioni esercitate dalla rete medesima ° nei confronti della clientela per accompagnare l'iniziativa con inviti ad acquistare azioni B.. Al riguardo, ad esempio, la sentenza impugnata valorizzerebbe al massimo grado la deposizione del teste Um.Se. ma da un lato trattasi di soggetto che risulta avere deliberato, egli sì, numerosi finanziamenti destinati all'acquisto di azioni (sia come predecessore del MA. alla Divisione Crediti - anteriormente all'introduzione delle Direzioni Regionali - e sia in seguito come direttore generale della controllata Ba.Nu.) mentre dall'altro lato la reale natura dell'iniziativa (di per sé priva di qualsivoglia rilievo nell'alveo del problema del capitale finanziato) risulterebbe assai meglio illustrata nella relativa delibera acquisita al fascicolo del dibattimento. Anche in tal caso comunque - secondo quanto ha lamentato la difesa - il tribunale avrebbe selezionato gli elementi istruttori omettendo di menzionare quelli favorevoli all'imputato. 2.2.1.10 L'appellante ha censurato altresì il grande rilievo attribuito dalla sentenza impugnata a una serie di note e di approfondimenti provenienti dall'audit nella persona del suo responsabile Ma.Bo., posto che - come già sopra accennato - questi, al pari dell'ufficio legale della banca, era perfettamente al corrente dell'esistenza della prassi delle operazioni di finanziamento correlato e che mai tali strutture avevano segnalato alcunché, fermo restando quanto già detto in ordine al convincimento del MA. circa la liceità di tali operazioni ed esulando dall'ambito delle sue competenze quella di controllare se poi il capitale finanziato con tali operazioni venisse correttamente scomputato dal patrimonio di vigilanza. Analogamente - ha proseguito l'appellante - si sarebbe dovuto considerare l'atteggiamento di fuga dalla responsabilità tenuto dal CdA (composto non già da persone digiune della materia ma da docenti universitari, da imprenditori di primo piano e finanche da un ex Ragioniere Generale dello Stato), il quale, sottoscrivendo ogni delibera, aveva a sua volta scelto di abdicare al proprio compito di vigilare sul rispetto degli adempimenti e sulla corretta deduzione del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza. Oltretutto - ha notato la difesa - diversi altri componenti del CdA, e non solo l'imputato Gi.ZI., avevano sottoscritto essi stessi dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni B. 2.2.1.11 L'appellante si è diffuso a lungo sulle due ispezioni (Banca d'Italia 2012; BCE 2015) - in particolare sulla prima - evidenziando la necessità di un confronto tra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. che avevano reso deposizioni tra loro inconciliabili ed erano stati entrambi definiti "debolmente attendibili" dal tribunale (il primo aveva sostenuto che l'effettuazione delle operazioni correlate di finanziamento non fosse stata affatto taciuta al team ispettivo del 2012, con i quali egli aveva avuto una diretta interlocuzione; il secondo - incorso peraltro in pesantissime contraddizioni nelle diverse occasioni in cui era stato sentito durante le indagini preliminari e finanche sottoposto a intercettazione telefonica dagli inquirenti - era tornato, in sede dibattimentale, ad affermare il contrario, ritrattando quanto aveva detto da ultimo agli stessi inquirenti). Ad avviso dell'appellante, comunque, l'Am., responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B. nonché vice - assieme a Ma.D.Bo. - del MA., sarebbe assai più credibile del Sa. e più in generale dell'intero team ispettivo della stessa Banca d'Italia, la quale, dopo avere incentivato la crescita di B., non potrebbe, secondo la difesa, "permettere che qualcuno o qualcosa possa accusarla di essere stata omissiva of peggio, connivente" (cfr. pag. 103 atto di appello). Sul punto la difesa dell'appellante MA. ha menzionato l'esistenza nel web, quale fonte aperta, della registrazione di un colloquio intercorso nei primi mesi del 2014 fra il presidente di B. Zo.Gi., l'allora presidente di Ve.Ba. e l'allora capo della vigilanza della Banca d'Italia da cui si evinceva che quest'ultimo, nel ricordare ai suoi interlocutori che dal 4 novembre di quello stesso anno Banca d'Italia avrebbe dovuto passare ex lege la mano al SSM (Single Supervisory Mechanism) e che dunque i controlli sarebbero stati più severi, stava cercando di convincere Ve.Ba. ad unirsi con B.. 2.2.1.12 L'appellante ha evidenziato altresì come il tribunale non abbia riferito, nell'occuparsi della successiva ispezione del 2015, che in realtà il MA. non vi aveva nemmeno preso parte in quanto trasferito dal 18.12.2014 alla controllata siciliana Ba.Nu.. 2.2.1.13 L'appellante è poi passato a confutare con argomentazione particolarmente articolata (cfr. pagg. 126-149 atto di appello) l'assunto del collegio vicentino in ordine alla pretesa non credibilità e contraddittorietà del MA., sostenendo: a) che il contenuto dell'esame di questi sarebbe viceversa stato equivocato e travisato in più punti dal primo giudice; b) che tra i testi particolarmente valorizzati dal tribunale contro il MA. vi è ad esempio il teste Fu.Bo., non rientrante, così come vari altri, nel novero degli imputati solo a causa di una scelta operativa, definita "discutibile" degli inquirenti. Un soggetto, il Bo., che, in base al complesso dell'espletata istruttoria, emergerebbe viceversa come contraddittorio e poco credibile e del quale, in ogni caso, il tribunale (seguendo invero una tecnica redazionale spesso utilizzata nella gravata sentenza) avrebbe estrapolato solo alcuni frammenti di esame dibattimentale per lo più sfavorevoli al MA., senza porli a confronto con le rettifiche operate dallo stesso teste in sede di controesame. 2.2.1.14 L'appellante, con riguardo al capo MI relativo alle condotte di ostacolo contestate all'imputato MA. durante l'effettuazione del Comprehensive Assessment e dell'AQR (Asset Quality Review), ha escluso anzitutto che l'AQR possa paragonarsi in tutto e per tutto a una normale ispezione, indicandone le ragioni (fra l'altro nel corso di essa, in relazione alle posizioni esaminate, nemmeno era prevista l'interlocuzione tra ispettori e funzionari dell'istituto) ed evidenziando fra l'altro, in tale contesto, come finanche la Banca d'Italia, una volta diffusi i risultati dell'AQR e dello stress test, avesse affermato che il Comprehensive Assessment era stato un esercizio di natura prevalentemente prudenziale e non contabile, ove si era fatto ricorso a metodi di tipo statistico non contemplati dai criteri contabili. Indi la difesa ha ricordato come, per costante giurisprudenza, in tema di ostacolo alla vigilanza assumano rilevanza penale solo quelle false informazioni - ovvero l'omissione o il nascondimento di informazioni - capaci di entrare in conflitto con l'esercizio della funzione concretamente svolta, presupposto a suo avviso non ricorrente nel caso in esame (fermo restando che al MA. non potrebbe contestarsi di avere taciuto al team l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto e degli storni, dal momento che egli era venuto a sapere di tali procedure, come altri in banca, solo all'esito dell'ispezione BCE del 2015; né in atti vi sarebbero elementi idonei a dimostrare il contrario, anzi tutti i testi escussi hanno concordemente dichiarato che le lettere di impegno al riacquisto non erano inserite nelle P.E.F., bensì venivano conservate in cartaceo presso le filiali ove il cliente aveva il c/c di riferimento; in nessun modo era segnalata l'eventuale presenza di tale impegno, che restava una pattuizione riservata tra il responsabile della rete di riferimento e la controparte). 2.2.1.15 L'appellante è passato quindi a contestare (cfr. pagg. 154-172 atto di appello) la configurabilità in capo al MA. di un apporto concorsuale rilevante ai sensi dell'art. 110 c.p., censurando anzitutto la struttura del capo d'imputazione, configurato nel senso di una piena e totale condivisione di tutti gli imputati in relazione alle condotte contestate, a prescindere dal ruolo rivestito e dalle funzioni esercitate, sul presupposto che "tutti avessero fatto tutto" e dunque sulla base di una sorta di automatismo presuntivo, A sua volta la motivazione sui punto della sentenza impugnata - circoscritta alla sua pag. 216 - è stata censurata dall'appellante come sbrigativa e insoddisfacente in quanto basata su un'asserita "consequenzialità" ("In questo contesto operativo, è consequenziale concludere che gli imputati - che nei diversi ruoli hanno posto in essere le singole condotte di manipolazione del mercato - avessero piena ed assoluta consapevolezza dell'occultamento di questa operatività al mercato e alla vigilanza") che non avrebbe invece fondamento alcuno. A parere della difesa nel dibattimento di primo grado non è stata fornita la prova che tutti gli imputati indistintamente, e l'appellante MA. in particolare, sapessero che le c.d. operazioni "baciate" non venivano scomputate dal capitale di vigilanza e che inoltre esse erano finalizzate - oltre che all'esigenza, a tutti nota, di svuotamento del fondo acquisto azioni proprie (soprattutto in coincidenza con il fine anno) nonché a creare liquidità per il mercato secondario - anche a fornire "una distorta immagine di solidità del mercato azionario ferma restando la forte differenza tra il flusso informativo che giungeva alla Divisione Crediti e quello, ben più intenso, diretto e pregnante, che invece perveniva alla Divisione Mercati e ne animava le riunioni. Al riguardo desta forte perplessità nell'appellante il fatto che una similare differenza di flussi informativi tra diverse Divisioni fosse invece stata valorizzata dal tribunale per assolvere il coimputato Ma.PE.. 2.2.1.16 L'appellante ha lamentato altresì come al MA. sia contestato di avere "avallato una prassi" senza tuttavia che - sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato - risulti provato che egli, divenuto a un certo punto consapevole che la prassi da tempo seguita era in realtà illecita, l'avesse ciononostante pervicacemente reiterata. Ha censurato altresì l'operato dell'Accusa la quale, pur dopo l'emersione di un fenomeno - nell'ambito di B. - di autonome potestà deliberative diffuse e non già accentrate, e pur avendo conferito la stessa Accusa a seguito di ciò ai propri consulenti tecnici il compito di redigere una relazione integrativa (atta a identificare, sulla scorta delle delibere esaminate, quale fosse l'organo deliberativo di volta in volta interessato), non vi ha tuttavia dato realmente seguito, astenendosi dal ripartire fra gli autori in concreto delle varie delibere le somme contestate nel capo di imputazione quale importo complessivo del capitale finanziato. D'altra parte - ha proseguito l'appellante - qualora gli inquirenti avessero effettivamente seguito tale ultima via si sarebbero necessariamente dovuti iscrivere nel registro degli indagati alcuni fra i testimoni dell'Accusa quali concorrenti materiali nel reato. Nondimeno, difettando il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso imputabile del maggiore capitale finanziato complessivo, non sarebbe possibile nemmeno valutare la reale offensività di ciascuna condotta. Il tutto comunque - ha precisato la difesa - vale, in relazione alla posizione del MA., per le sole contestazioni di fatti commessi fino al 18 dicembre 2014 dal momento che in tale data egli veniva rimosso dalla Divisione Crediti di B. e trasferito alla controllata Ba.Nu., Viceversa in sentenza il MA. è stato condannato - senza alcuna giustificazione - finanche per i fatti occorsi nell'anno 2015 (l'appellante ha osservato al riguardo che il responsabile della Divisione Crediti in carica per quegli importi è perfettamente identificabile trattandosi del teste non assistito, in quanto mai iscritto nel registro degli indagati, Al.Ba.). In via di mero subordine la difesa ha chiesto quindi che, nel caso di ravvisata penale responsabilità del MA., la stessa sia comunque ritenuta sussistente solo fino al 18 dicembre 2014. 2.2.2 Con il secondo motivo l'appellante ha censurato in via subordinata l'eccessività della pena inflitta, e ciò sia con riferimento alla pena base sia con riguardo agli aumenti operati per la ritenuta continuazione. 2.2.3 Quindi, con il terzo motivo, l'appellante - in via di ulteriore subordine - ha chiesto valutarsi le già riconosciute attenuanti generiche come prevalenti sulle contestate aggravanti nell'ambito del giudizio di bilanciamento. Conclusivamente, l'appellante ha chiesto: 1) assoluzione dell'imputato Ma.Pa. per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato; 2) in subordine, riduzione della pena inflitta (sia attraverso una diminuzione della pena base, quantificata nei minimi edittali, sia attraverso una riduzione dell'aumento operato per la continuazione); 3) in ulteriore subordine, riduzione della pena inflitta per effetto del richiesto giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. 2.2.4 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa ha ulteriormente argomentato in ordine alla già chiesta riapertura dell'istruttoria dibattimentale, insistendo in maniera particolare nella richiesta di confronto fra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. e chiedendo altresì, trattandosi di sopravvenienze: a) l'acquisizione dei verbali relativi alle dichiarazioni testimoniali rese dai predetti (Am. all'udienza 8.3.2022; Sa. all'udienza 18.3.2022) nel distinto procedimento rubricato al n. 1031/2020 pendente dinanzi al Tribunale di Vicenza in composizione collegiale a carico di So.Sa.; b) disporsi, sotto forma di perizia, l'estrazione dei dati contenuti nel server di SEC Servizi corrente in Padova, e ciò al fine di accertare la concreta attività svolta dall'ispettore Ge.Sa. nel corso dell'ispezione 2012 della Banca d'Italia, con particolare riguardo a quanto da lui visionato nei giorni dall'1 al 7 luglio 2012. 2.3. Appello proposto da Pi.An. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Pi.An.. 2.3.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 1 dell'impugnazione), l'appellante ha dedotto, richiamando alcuni arresti della giurisprudenza di legittimità, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p. dovuta alla totalmente omessa considerazione non soltanto di tutti i cospicui contributi orali e documentali forniti dalla difesa nel corso dell'intero dibattimento (inclusi i controesami difensivi - talora viceversa rivelatisi decisivi - dei testi a carico) ma altresì delle argomentazioni difensive esposte in una specifica ampia e dettagliata memoria depositata, nelle forme delle note d'udienza, in data 19 gennaio 2021. 2.3.2 Quindi, con il secondo motivo, l'appellante ha eccepito la violazione dell'art. 210 c.p.p. e dell'art. 192 comma 3 c.p.p., nonché una carenza assoluta di motivazione, in ordine alla valutazione - operata dal tribunale - di coerenza intrinseca ed estrinseca delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri., sulle quali si fonda - a suo avviso in via esclusiva - la ricostruzione dei fatti operata nella sentenza impugnata, e ciò benché la difesa avesse evidenziato, tanto in sede di discussione quanto nelle anzidette note d'udienza depositate il 19.1.2021, evidenti profili di inattendibilità e inutilizzabilità delle rispettive deposizioni. L'appellante ha evidenziato al riguardo i seguenti elementi: - i testi in questione sono soggetti che avevano contribuito in prima persona -loro sì materialmente - a quelle stesse condotte formanti l'oggetto della "prassi" contestata agli imputati, e in particolare al PI., nei capi d'imputazione, il che avrebbe quanto meno imposto un vaglio particolarmente stringente in ordine alla loro credibilità soggettiva e all'attendibilità di quanto da loro dichiarato; - oltre a ciò la pendenza del procedimento penale n. 2147/2019 RGNR (relativo alle asserite condotte di bancarotta connesse alla messa in L.C.A. di B. ha posto i predetti testi nella condizione di dover salvaguardare se stessi dal concreto rischio di essere incriminati in quel procedimento (nel cui ambito il Pubblico Ministero non aveva ancora cristallizzato l'imputazione né aveva ancora definito tutti i coindagati); - gli stessi testi, benché fossero stati sentiti a s.i.t. nel procedimento penale n. 2147/2019 RGNR proprio a ridosso della data del loro esame dibattimentale nel presente procedimento, in quest'ultimo hanno manifestato incertezze e lacune tali da rendere necessarie continue contestazioni, quando non addirittura letture diffuse - "in aiuto alla memoria" - dei verbali delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari quanto ai fatti che qui occupano (ciò varrebbe in particolare per i testi Ma.So. e Fi.Ro.); - più d'uno fra i suddetti testi si ritiene versi, in realtà, addirittura (come già eccepito in primo grado) in una condizione che ne avrebbe reso necessario l'esame nelle forme di cui all'art. 210 c.p.p. dal momento che a loro carico ricorrono obiettivi indizi di reità, quanto meno secondo i canoni del concorso di persone del reato, e ciò in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, prescindendo da indici formali quali l'avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, con la conseguente necessaria escussione non già come testimone bensì quale imputato di reato connesso ai sensi dell'art. 210 c.p.p.. Viceversa sul punto la sentenza impugnata non contiene considerazioni di sorta; - a ciò conseguirebbe la vera e propria inutilizzabilità delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri.; - ancor più peculiare sarebbe in realtà la posizione del teste Al.Ma. (sentito in qualità di testimone ex art. 194 c.p.p. all'udienza del 26.11.2020) posto che, successivamente al deposito della sentenza impugnata, è entrato nella disponibilità della difesa dell'imputato PI. (che lo ha allegato all'atto di appello e che ne ha chiesto - formulando istanza di rinnovazione probatoria ex art. 603 c.p.p. - l'acquisizione) un atto di esecuzione di perquisizione e sequestro a carico del Ma., eseguito per rogatoria dall'A.G, lussemburghese e datato 9.10.2020 (antecedente quindi all'esame dibattimentale del teste nel presente procedimento), dal quale si evincerebbe che anche il predetto Ma. - così come il teste pacificamente ex art. 210 c.p.p. Gi.St., avvalsosi in dibattimento della facoltà di non rispondere - all'epoca della sua deposizione già era iscritto (addirittura a far tempo dal 29 luglio 2020, in tesi difensiva) nel registro degli indagati del procedimento connesso n. 2147/2019 RGNR; - la vicenda relativa al teste Ma. viene indicata come di evidente gravità (la Procura della Repubblica vicentina non aveva, all'evidenza, mai reso noto che il teste, ben prima della sua ammissione ex art. 507 c.p.p., si trovasse già indagato in un procedimento fortemente connesso) ma l'unica sanzione di tale grave violazione delle garanzie difensive risiederebbe - in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità - nell'inutilizzabilità della relativa deposizione. 2.3.3 Quindi, con il terzo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 3 dell'impugnazione, a sua volta articolato in più sotto-paragrafi che vanno dal 3.1 al 3.10), l'appellante ha eccepito il malgoverno delle prove da parte dell'impugnata sentenza, la quale a suo avviso ha ricostruito i fatti in modo incompleto e unilaterale, omettendo di considerare prove decisive in favore dell'imputato. E' stata altresì eccepita la violazione degli artt. 43 e 110 c.p. per essere del tutto carente la motivazione in merito alla prova del concorso del PI. ex art. 110 c.p. nelle condotte contestate, come pure in merito alla prova del dolo che tali condotte dovrebbe sorreggere. Più in particolare l'appellante ha osservato quanto segue; - il ragionamento probatorio del tribunale muove da un'adesione tanto incondizionata quanto infondata dello stesso alla tesi accusatoria circa la strumentali delle condotte di aggiotaggio rispetto a quelle di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza; strumentalità da cui deriverebbe quale consequenziale conclusione il concorso ex art. 110 c.p. di tutti gli imputati aventi posto in essere singole operazioni correlate (e dunque singole condotte di manipolazione del mercato) in tutte le ipotesi di reato contestate nei numerosi capi d'imputazione, e ciò indipendentemente dall'acquisizione di qualsivoglia prova in ordine alla conoscenza, rappresentazione e volontà del fenomeno e della vicenda intesi nella loro complessità; trattasi però di motivazione basata, come tale, su meri sillogismi e asserite prove logiche aventi invece dignità di mera congettura. A ciò si aggiungono, in più passi della gravata sentenza, il vero e proprio travisamento delle prove e/o l'attribuzione di rilevanza a elementi che ne sono del tutto privi (come ad esempio l'assunto - in realtà nemmeno dimostrato - che il PI. fosse uno dei più stretti collaboratori del direttore generale Sa.So.); s per il PI. era impossibile avere conoscenza della "prassi" della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. dal momento che la Divisione Finanza da lui guidata non era, né poteva essere, destinataria dei relativi flussi informativi e ferma restando l'assoluta segretezza con cui la Divisione Mercati, la Divisione Crediti e il Comitato Soci gestivano il fenomeno in oggetto (da soli sotto il controllo del direttore generale Sa.So.); oltretutto la presenza del PI. presso la sede di Vicenza di B. si limitava a una cadenza settimanale (ogni martedi, giorno in cui - pressoché settimanalmente - si teneva il CdA); - in prime cure è stata attribuita una grande rilevanza al fatto che il PI. avesse partecipato al comitato di direzione dell'8.11.2011 ma in realtà il teste Ma.So., assai valorizzato al riguardo, nel deporre non ha riferito un suo ricordo bensì una interpretazione di un suo appunto senza riuscire a ben rammentare cosa fosse effettivamente successo nell'occasione; in altri termini dal materiale probatorio in atti non riesce ad evincersi se davvero i presenti avessero ivi toccato il tema delle operazioni di finanziamento correlate all'acquisto di azioni B., considerando anche la ben scarsa attendibilità complessiva del teste assistito Fr.To., che aveva deposto nella veste di imputato di reato connesso ex art. 210 c.p.p. e che, anteriormente alla sua iscrizione nel registro degli indagati, aveva reso dinanzi agli inquirenti dichiarazioni di tenore tutt'affatto differente; v la motivazione della sentenza impugnata è in ogni caso illogica laddove ha mandato assolto, viceversa, l'imputato Ma.Pe. -responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione - che pure aveva partecipato anch'egli a quello stesso Comitato di Direzione dell'8.11.2011 (assurto invece a "pietra miliare delta responsabilità addebitata al Dott. i Pi.": cfr. pag. 42 atto di appello), ritenendolo attendibile allorquando egli aveva sostenuto di non aver dato peso adeguato, in quell'occasione, agli interventi di Fr.To. e Um.Se. (rispettivamente facenti capo alle controllate Ca. e Ba.Nu.), che si erano riferiti - peraltro in maniera molto superficiale - alla possibile adozione di operazioni "baciate", posto che all'epoca egli nemmeno conosceva la parola "baciata". Non si comprende - prosegue la difesa - perché le analoghe dichiarazioni rese, su tale specifico punto, dal PI. non siano invece state valutate in senso a lui favorevole; - considerazioni analoghe valgono circa l'asserita rilevanza della partecipazione del PI. a ulteriori comitati e/o riunioni successivi all'8.11.2011, fermo restando che né l'appellante né alcun suo sottoposto constano aver preso mai parte alle riunioni della Divisione Mercati diretta da Em.Gi.; - vengono evidenziate le deposizioni rese dal teste Gi.Am., il quale ha espressamente escluso (dopo aver riferito di avere partecipato a 3-4 riunioni del Comitato di Direzione nel 2014) che nel corso di quegli incontri si fosse fatto riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto o sottoscrizione delle azioni B., e dal teste Ad.Ca., espressosi in senso analogo; - il lamentato malgoverno delle prove (e in particolare la totale pretermissione di elementi di prova favorevoli all'imputato PI., inclusi gli esiti del controesame del teste Tagliabue) avrebbe indotto il tribunale vicentino a ritenere - a torto - che il PI. abbia avuto un ruolo nel rilascio di lettere di impegno; quanto poi alla vicenda del teste Fa. l'appellante ha evidenziato come quest'ultimo avesse investito nell'acquisto di azioni B. non già capitale finanziato dalla stessa banca bensì capitale proprio; in ogni caso la lettera di impegno rilasciata al Fa., e a questi esibita in primo grado, risulta sottoscritta - su richiesta dello stesso Fa. - dal direttore generale So. proprio in quanto il PI. aveva rifiutato - come confermato sempre dal teste Fa. - ogni diretto coinvolgimento in un ambito chiaramente esulante dalle competenze della Direzione Finanze di sua pertinenza; infine la lettera rilasciata al Fa. non potrebbe nemmeno definirsi d'impegno, da essa derivando al più una mera disponibilità non vincolante; - quanto all'episodio della società di revisione K. va escluso - secondo la difesa - che il PI. abbia apostrofato l'avv. An.Pa., dell'uffici" legale, con l'icastica e colorita espressione da costei attribuitagli, dato che il parimenti presente dott. Ma.Pe. ha affermato, nel corso del suo esame dibattimentale, di non serbarne ricordo; - quanto alla vicenda delle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" la difesa ha evidenziato come la svolta istruttoria abbia fatto emergere, quale unico autore delle relative operazioni di finanziamento correlato, proprio il dott. Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese B. Fi., la cui deposizione testimoniale - perno della tesi accusatoria sul punto - deve quindi ritenersi inattendibile (se non inutilizzabile per i motivi già visti supra), oltre che basata su mere congetture e ricca di inesattezze e lacune; per giunta la deposizione dell'altro teste Gi.Gi. (appartenente alla Divisione Mercati), ritenuta in sentenza un riscontro a quella del teste Ra., secondo l'appellante è stata travisata giacché in realtà sarebbe, nel suo complesso, di tenore esattamente opposto (anche se il primo giudice ha omesso di considerarne la parte contenente elementi di discolpa per il PI.); lo stesso è a dirsi per la deposizione del teste Gi.Fe. della Co. (che, secondo la difesa, lungi dal riscontrare la deposizione del RA., l'avrebbe confutata). In ultima analisi la deposizione del teste Ra. deve ritenersi priva di riscontri, s quanto alla partecipazione del PI. al Comitato di Direzione del 10.11.2014, il relativo file audio non sarebbe acquisibile ex art. 234 c.p.p., e comunque andrebbe dichiarato inutilizzabile; sul punto l'appellante si è associato, come già in prime cure, alla relativa eccezione svolta dalla difesa del coimputato MA., svolgendo argomentazioni analoghe. Ad ogni modo, anche a voler ritenere acquisibile e/o utilizzabile quel file audio (e la relativa trascrizione), la sentenza ugualmente risulterebbe viziata da un'erronea valutazione degli interventi del PI. in quella sede, il cui tenore testuale (a ben guardare finanche contrario alle proposte fatte dal direttore generale So.) sarebbe stato travisato. Inoltre si è sottolineato (cfr. pag. 93 atto di appello) come il lamentato mancato espletamento di una perizia al riguardo impedisca oltretutto l'individuazione dei partecipanti al comitato e la corretta attribuzione dei singoli passaggi ai rispettivi loro autori. 2.3.4 Quindi, con il quarto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 4 dell'impugnazione), l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. giacché il fatto ritenuto in sentenza - con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B. - non risulta indicato in alcuno dei capi d'imputazione così come formulati dall'Accusa nei confronti dell'imputato PI., In alcun modo tali condotte, ritenute in sentenza commesse dal PI. nonché penalmente rilevanti, potrebbero rientrare nella contestatagli "prassi aziendale" avente ad oggetto "finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario. E d'altra parte, con ogni evidenza, l'investimento in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) non ha alcuna attinenza con l'erogazione del credito né alcuna connessione con le prassi decettive in seno a tale erogazione effettuate da altri. 2.3.5 Quindi, con il quinto motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi 5, 6, 7 e 8 dell'impugnazione), l'appellante ha contestato anche nel merito la fondatezza dell'accusa con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B.. Trattasi a suo dire di contegno non addebitabile al PI., pur non avendo questi mai negato di avere avuto un ruolo nella sottoscrizione dei fondi in questione. L'appellante ha evidenziato al riguardo quanto segue: s la unknown exposure non è sinonimo di decettività (in base alla deposizione del teste Da.Es., del Risk Management, il Comitato Finanza, a differenza di quanto ritenuto in sentenza, era correttamente informato di tutti i dati trasmessi dai fondi senza che alcun suo componente avesse mai lamentato profili di irregolarità); - il ricorso a fondi dedicati (che la gravata sentenza impropriamente definisce "gestione patrimoniale") era prassi diffusa tra gli istituti di credito, non solo italiani, come riferito anche dallo stesso teste Al.Ma., che pure per altri versi - ma non per questa parte della sua deposizione - risulta essere stato assai valorizzato, benché in realtà già indagato in procedimento connesso, dal giudice di prime cure; - le finalità per le quali tale investimento era stato autorizzato (vale a dire il reperimento di liquidità) erano state correttamente perseguite dal PI.; - irrilevante deve ritenersi, a fronte di altre emergenze istruttorie purtuttavia pretermesse dal tribunale, il da esso valorizzato doc. n. 350 delle produzioni del Pubblico Ministero (invero mai pervenuto nella sfera di conoscenza del PI.; né il suo invio aveva avuto alcun seguito); - la sentenza gravata ha travisato il contenuto delle deposizioni rese dai testi Fi.Ro., An.Su. (quest'ultimo peraltro connotato da evidenti profili di inattendibilità), Pi.Ra. e Al.Ma.; s più in generale (come dimostrato anche dalla vicenda dell'acceso confronto tra il teste avv. An.Su. e il teste Pa.Al., quest'ultimo responsabile della direzione Gl.Ma. all'interno della Divisione Finanza di B.; vicenda riferita nel suo esame dibattimentale dallo stesso teste Al.) si è evidenziata l'inattendibilità della ricostruzione della situazione offerta dagli esponenti di "Op." (testi Ma. e Su.), in quanto connotata da un chiaro tentativo di addossare agli esponenti di B., e segnatamente della sua Divisione Finanza, responsabilità eventualmente proprie del suddetto fondo; - peraltro - ha osservato l'appellante - l'attività istruttoria dibattimentale risulta essersi concentrata tutta su "Op." rimanendo carente sul conto di "At."; - la detenzione indiretta di azioni B. mediante i fondi "Op." e "At." in ogni caso non conduce alla prova del concorso del PI. nelle contestate condotte di aggiotaggio manipolativo sicché la sentenza presenta un vizio di motivazione sul punto, ferma restando in proposito la totale inattendibilità del teste Fi.Ro. (reso destinatario di corpose e continue contestazioni operate in dibattimento dal P.M., il Ro. era stato, fra l'altro, platealmente smentito dal teste Ti.Ch. - esponente del broker Ma.Sp. - circa la da lui asserita conoscenza tra questi e il PI., negata dal Ch.); - la condotta ascritta al PI. in relazione ai fondi "Op." e "At." neppure potrebbe condurre alla prova di un concorso dell'appellante nelle contestate condotte di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza, sicché la sentenza risulta erroneamente motivata sul punto con violazione degli artt. 43 e 110 c.p., tanto più che, con il mutare della normativa di settore a seguito dell'introduzione del CRR (Capital Requirements Regulation), Regolamento UE n. 575/2013, le strutture incaricate della tenuta delle comunicazioni avevano tempestivamente adottato le richieste da indirizzare ai fondi, come chiaramente illustrato dal teste Lu.Tr.; - la motivazione della sentenza è illogica nella parte in cui, con riferimento alla posizione personale di altro imputato e segnatamente di Pe.Ma., ha ritenuto sufficiente ad escluderne la responsabilità -mandandolo così assolto - il fatto che avesse formulato una richiesta di informazioni circa i sottostanti ai fondi de quibus. Il PI. infatti, dal canto suo, non solo non aveva avuto conoscenza dell'investimento operato dai fondi stessi in azioni B. ma neppure aveva inteso in alcun modo ostacolare la conoscenza dei sottostanti dei fondi medesimi da parte delle altre funzioni dell'istituto di credito, in particolare da parte delle funzioni di controllo; di fatto, anzi, il PI. aveva delegato i rapporti con i fondi ad altre strutture di B. diverse dalla Divisione Finanza, senza mai avere anche solo azzardato la minima ingerenza nelle loro funzioni; - l'assunto del primo giudice secondo cui anche la fase di dismissione delle azioni B. da parte di "Op." sarebbe stata eterodiretta dal PI. in veste di "regista" non risponde al vero e risulta anzi smentito - sempre secondo l'appellante - dalla deposizione del teste Ti.Ch., esponente del broker Ma.Sp., che evidenzierebbe altresì l'assoluta inattendibilità sul punto del teste Ro.Ri. (appartenente alla rete commerciale e per parte sua artefice di numerosissime operazioni correlate); il Ri. era infatti giunto ad affermare che il PI. lo aveva messo in contatto con il Ch. il quale invece come già detto sopra, negava di conoscere l'imputato. 2.3.6 Quindi, con il sesto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 9 dell'impugnazione), l'appellante ha argomentato in ordine alla dedotta insussistenza di un concorso ex art. 110 c.p., del PI. nella asserita Op." posta alla base di tutti i capi di imputazione, della quale viceversa egli non era consapevole né tantomeno ad essa aveva aderito. Né certo un siffatto apporto concorsuale poteva desumersi dall'assunto che, in quanto vicedirettore generale in B., egli fosse necessariamente vincolato alle scelte del direttore generale Sa.So.. In realtà, essendo concepita l'imputazione come una contestazione complessiva di tutte le condotte in essa descritte nei confronti di tutti gli imputati, ipotizzandosi ivi un concorso di reati riuniti sotto la disciplina della continuazione, la gravata sentenza, ad avviso dell'appellante, non ha assolto al suo onere che era quello di dimostrare - sulla base però di elementi di prova certi e non di mere congetture - che l'imputato: a) fosse consapevole delle condotte poste in essere da tutti o parte degli altri pretesi concorrenti; b) avesse agito con la volontà di portare a compimento il reato. Non è in altri termini condivisibile, per la difesa, l'argomentare di una sentenza la quale, di fatto, finisce con il ricondurre vicende di enorme complessità, articolatesi nel corso di un non trascurabile lasso temporale -nonché coinvolgenti decisioni, valutazioni e specifiche azioni di controllo ascrivibili a una pluralità estremamente variegata di soggetti - a un unico semplicistico schema interpretativo che ripropone il parimenti semplicistico approccio dello spunto investigativo iniziale. Secondo l'appellante va poi considerato quanto segue: - con riguardo alla pretesa manipolazione informativa ogni concorso del PI. deve essere escluso, non avendo egli mai preso parte in alcuna misura alla definizione del contenuto dei comunicati stampa oggetto di contestazione; - con riguardo alla pretesa manipolazione operativa e al preteso ostacolo alla vigilanza la sentenza pretermette diversi fattori di elevata importanza: a) nessuna delle operazioni attribuite in ottica di accusa al PI. risultava essere stata ancora attuata all'epoca della conclusione dell'ispezione 2012 della Banca d'Italia (peraltro mirata unicamente alla verifica del rischio di credito di B.): al 12 ottobre 2012, infatti, Sa.So. e Pi.Ra. non avevano ancora sottoscritto la partecipazione ai fondi lussemburghesi "Op." e "At." né tantomeno la controllata irlandese B. Fi., della quale il Ra. era il direttore generale, aveva erogato i finanziamenti alle società lussemburghesi Br.; c) nel caso dell'ispezione BCE, iniziata il 26 febbraio 2015, B. aveva già comunicato al Regolatore le informazioni frattanto ricevute dai gestori dei suddetti fondi in ordine al preciso ammontare di azioni B. detenute dai comparti di "Op." e "At.", e ciò a far data dal luglio 2014, in perfetta ottemperanza agli obblighi informativi imposti dal CRR (Regolamento UE 575/2013); che la stessa BCE fosse stata portata a conoscenza di un tanto emergeva altresì dal suo stesso rapporto ispettivo del 2015; - manca, in ogni caso, totalmente la prova del dolo; anzi le conversazioni captate del PI. evidenzierebbero un tenore chiaramente incompatibile con la consapevolezza tipica del partecipe. 2.3.7 Quindi, con il settimo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 10 dell'impugnazione), l'appellante in subordine, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio ne ha lamentato il carattere sproporzionato. Ha chiesto altresì che le già riconosciute attenuanti generiche siano valutate prevalenti sulle contestate aggravanti in sede di giudizio di bilanciamento. Ha ribadito inoltre le argomentazioni - già svolte in sede di discussione dinanzi al tribunale - circa la necessità di ricondurre a un'unica fattispecie di ostacolo alla vigilanza le plurime condotte configurate, in tesi d'accusa e in sentenza, come altrettanti reati distinti, fra loro unificati nel vincolo della continuazione. Ha richiamato al riguardo la giurisprudenza di legittimità che costruisce il reato ex art. 2638 comma 2 c.c., come suscettibile di assumere carattere eventualmente permanente. In tal caso, indipendentemente dalla reiterazione dell'invio di comunicazioni mendaci, la prima condotta deve intendersi assorbire le successive. Ha aggiunto che la strumentalità della fattispecie di ostacolo rispetto a quella di aggiotaggio fa sì che il disvalore della condotta decettiva si esaurisca tutto nell'evento del delitto di aggiotaggio. Ritenere diversamente si tradurrebbe altresì in una violazione del principio nemo tenetur se detegere, recentemente meglio delineato da Corte Cost. n. 84 del 2021. 2.3.8 Quindi, con l'ottavo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 11 dell'impugnazione), l'appellante ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018, che aveva risolto in favore del foro vicentino un conflitto di competenza sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore), e ciò sulla base di argomentazioni analoghe a quelle dell'appello ZO. (v. infra) - al quale qui si rinvia per il resto - ovvero in favore del Tribunale di Milano, sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (se ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile). 2.3.9 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa dell'imputato PI. ha ulteriormente argomentato in ordine: a) all'incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza; b) alla violazione dell'art. 210 c.p.p. e dell'art. 192 comma 3 c.p.p. in relazione all'escussione di vari testi; c) alla violazione del principio nemo teneturse detegere. Conclusivamente, quindi, l'appellante ha chiesto l'annullamento o la riforma della sentenza e dell'ordinanza di rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale contestualmente impugnate, instando per l'assoluzione dell'imputato Pi.An. con la formula più ampia. 2.4 Appello proposto da Zo.Gi. Avverso detta sentenza (e con contestuale riferimento alle ordinanze del GUP e del tribunale emesse rispettivamente nelle date del 19.5.2018 e del 7.5.2019, entrambe di rigetto della già proposta eccezione di incompetenza territoriale) ha interposto appello il difensore di Zo.Gi. con impugnazione che ha devoluto alla cognizione della Corte i punti ed i capi della sentenza relativi, nell'ordine, alla competenza territoriale, alla affermazione di penale responsabilità, alla condanna risarcitoria ed alle spese processuali, al trattamento sanzionatorio, al mancato riconoscimento del concorso apparente tra le fattispecie contestate, alla confisca per equivalente e, infine, alla mancata assunzione di perizia. 2.4.1 In particolare, dopo una "introduzione" (oggetto di trattazione al paragrafo 1 dell'impugnazione) finalizzata ad evidenziare gli effetti, ritenuti pregiudizievoli per la serenità del giudizio, della "pressione" esercitata, nel contesto locale, dagli organi di informazione (argomenti già posti a fondamento della richiesta di remissione del giudizio ex art. 45 c.p.p., pure disattesa dalla Corte di Cassazione) il difensore, con il primo motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi da 2.1 a 2.8 dell'impugnazione), ha censurato il rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale. In effetti, premesso: - che la sentenza della Corte di Cassazione n. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018 era stata motivata sul rilievo della connessione per continuazione tra i reati, rispettivamente, di cui ai capi E1 e B1, con la precisazione che il più risalente reato di ostacolo alla vigilanza oggetto di tale ultimo capo di imputazione doveva intendersi verificato in Vicenza, in quanto luogo nel quale "vengono assunte le determinazioni degli organi sociali"; - che, in sede di udienza preliminare, era stata ribadita la competenza del Tribunale di Vicenza in ragione della ritenuta infondatezza della contraria tesi difensiva che sollecitava l'individuazione presso la sede, in Roma, della Banca d'Italia, destinataria della comunicazione ICAAP, del luogo di commissione di tale reato (infondatezza argomentata sul rilievo della necessità di valutare la competenza alla stregua del perimetro dell'imputazione, rispetto al quale dovevano ritenersi estranee le vicende relative all'invio della predetta comunicazione); - che il Tribunale, con ordinanza 7,5.2019, aveva nuovamente confermato tali conclusioni, dichiarando inammissibile l'eccezione difensiva (riproposta nei medesimi termini) in ragione della preclusione derivante dalla vincolatività della citata pronunzia della Corte di Cassazione e, in ogni caso, ne aveva sostenuto l'infondatezza in considerazione della necessità di ancorare il giudizio in materia di incompetenza alla prospettazione accusatoria che, nella specie, non contemplava la contestazione dell'invio della comunicazione ICAAP; - che, infine, nella sentenza impugnata, erano state ancora una volta ribadite le argomentazioni (vincolatività della sentenza della Corte di cassazione, non superata da fatti nuovi; estraneità al perimetro dell'imputazione di riferimento della condotta dell'invio alla Banca d'Italia della comunicazione ICAAP) esposte nella precedente ordinanza 7.5.2019, il difensore ha contestato le conclusioni cui era pervenuto, sul punto, il primo giudice. Quanto al primo profilo, era errato sostenere la vincolatività della decisione della Corte di Cassazione. Si era in presenza, infatti, di pronunzia attinente ad uno specifico thema decidendum (quello della necessità di dirimere il contrasto inerente all'attribuzione della competenza - rispetto a reati oggetto di provvedimento cautelare - all'autorità giudiziaria vicentina, ovvero milanese) in ordine al quale era rimasta del tutto estranea la questione della eventuale competenza del Tribunale di Roma, in quanto non ricompresa nel perimetro del devolutum (come desumibile dalla stessa lettura della citata sentenza n. 15537/2018, sentenza dalla quale emergeva chiaramente che la Corte di cassazione, ai fini della decisione del conflitto, non aveva preso in considerazione la circostanza, pure nota al giudice di legittimità, della sopravvenuta iscrizione per il reato di falso in prospetto e come, del resto, confermato dallo stesso tribunale di Vicenza, a pag. 240 della sentenza impugnata). In ogni caso la diversità delle parti dei procedimenti attinenti, rispettivamente, alla cautela ed al merito impediva che potesse legittimamente evocarsi, sul punto, qualsivoglia preclusione processuale. Quanto al secondo profilo, por, ha contestato l'estraneità dell'invio della comunicazione ICAAP alla Banca d'Italia rispetto al perimetro dell'imputazione di cui al predetto capo B1. A ben vedere, infatti, il riferimento alle comunicazioni ed alle segnalazioni all'autorità di vigilanza, siccome contenuto nel medesimo capo di incolpazione, avrebbe dovuto ritenersi, all'uopo, del tutto sufficiente, trattandosi di riferimento effettuato in modo generico (e, quindi, necessariamente tale da ricomprendere anche l'invio della citata comunicazione). Ciò posto, l'appellante: - evidenziato il difetto di vincolatività della decisione della Corte di Cassazione n. 15537/2018; - sottolineato che l'invio della comunicazione ICAAP (pacificamente costituente, per l'importanza di tale adempimento, il primo degli atti di sviamento della funzione di vigilanza) doveva ritenersi ricompreso nel perimetro dell'imputazione; - precisato, in ogni caso, che il tribunale ben avrebbe potuto attribuire a tale comunicazione il doveroso rilievo, senza affatto indebitamente anticipare un sindacato di merito sulla falsità della comunicazione medesima (donde, anche sotto tale profilo, l'infondatezza delle argomentazioni poste dal primo giudice a fondamento del rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale); - osservato, ancora, che l'indicazione del luogo di consumazione del reato siccome indicato in imputazione Vicenza") non poteva ritenersi vincolante, allorché, come nella specie, un diverso focus commissi delicti ("Roma", sede della Banca d'Italia) fosse ricavabile dagli atti posti a disposizione dei giudicante (il GUP, prima; il tribunale, poi); s e rimarcato, infine, che il primo giudice nell'esercizio del potere/dovere di correggere l'errore nel quale era incorso il P,M. nell'individuazione del luogo di consumazione del reato non avrebbe affatto incontrato i limiti costituiti, rispettivamente, dal carattere macroscopico dello sbaglio e dalle circostanze di fatto siccome descritte in imputazione, purché queste ultime fossero, come nella specie, risultanti ex actis (pena la violazione dei principi in materia di obbligatorietà dell'azione penale e di rispetto del giudice naturale precostituito per legge), ha ribadito l'incompetenza del tribunale di Vicenza per essere competente il tribunale di Roma e, pertanto, ha sollecitato la declaratoria di nullità delle impugnate ordinanze e, quindi, della sentenza che le aveva confermate. 2.4.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi da 3.1 a 3.6 dell'impugnazione), poi, ha contestato l'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, affermazione basata su una motivazione, al contempo, carente e contraddittoria rispetto a specifiche emergenze processuali. Per un verso, infatti, il tribunale aveva omesso di considerare molteplici elementi probatori, in primo luogo in relazione al tema, per vero decisivo, della mancata attivazione di "campanelli d'allarme", da parte degli organismi deputati alla vigilanza interna (e, segnatamente, dell'ufficio di In.) circa il fenomeno del capitale finanziato, ma anche ai profili della vicenda costituiti, nell'ordine, dalle caratteristiche del fenomeno in esame, dal ruolo svolto dall'imputato in relazione a tale fenomeno e, più in generale, dalla posizione rivestita dallo ZO. all'interno dell'istituto di credito. Per altro verso, poi, il percorso argomentativo della decisione appariva viziato, quanto alla posizione processuale del medesimo ZO., da marcati profili di contrasto cori le risultanze probatorie, oltre che di vera e propria illogicità con particolare riferimento alla presunta conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno delle "operazioni baciate". Sotto il primo profilo (quello della mancata valutazione di emergenze probatorie favorevoli) il difensore ha sostenuto che l'imputato non era stato affatto portato a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato da parte degli organismi di vigilanza interna e, in particolare, dai responsabili dell'In., i quali avevano dolosamente sottaciuto, sul punto, circostanze ed esiti ispettivi di assoluto rilievo. Deponevano in tal senso le dichiarazioni, in ordine all'assenza di flussi informativi interni relativi agli esiti delle verifiche compiute dall'Au. e dal Ri., dei testi Do. (membro del CdA dal 2009 e, successivamente, Presidente del Comitato Controlli, poi Comitato Rischi) e Za. (dal 2014 membro del Collegio Sindacale che, dallo stesso anno, aveva assunto la funzione di Organismo di Vigilanza). Peraltro, anche le deposizioni degli ispettori BCE Ga. e Ma. avevano evidenziato le carenze dell'In.. Inoltre, lo stesso teste Bo. aveva dichiarato di essere stato a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato perlomeno dal 2012 ma di averne parlato solo nel corso dell'ispezione, rivolgendosi all'ispettore Ga., ed aveva soggiunto di non averne mai riferito al Collegio Sindacale né all'Organismo di Vigilanza, in quanto rassicurato dal successo dell'operazione di aumento di capitale del 2014. Il teste Es. (responsabile della funzione di Ri.), dal canto suo, con riferimento alle operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi, aveva parimenti dichiarato di non avere effettuato segnalazioni di criticità, precedentemente a quella del 2014 inerente all'incremento degli storni. Infine, anche dalla deposizione del teste Ferrante (responsabile della Co.) era emerso che il Bo. aveva ignorato qualsivoglia segnale di allarme ed aveva omesso di portare a conoscenza di tali criticità il CdA, il Collegio Sindacale e l'Organismo di vigilanza. E, in effetti, la stessa intercettazione telefonica del colloquio intercorso il 28.8.2015 tra tale teste ed il predetto Bo. confermava che mai quest'ultimo aveva riferito alcunché allo ZO.. Così delineato il contesto di omissioni informative imputabili all'ufficio di In., il difensore ha richiamato una serie di episodi specifici ulteriormente dimostrativi delle gravi carenze ed omissioni in ordine al flusso interno di informazioni inerenti al fenomeno delle operazioni "baciate". Trattasi, segnatamente: dell'"insabbiamento" degli esiti delle verifiche di audit relative ad operazioni baciate poste in essere presso le filiali di Padova e di Manzano; - della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 2014, dal socio Da.Gr., "nemico storico" dello ZO., denunzia cui non erano poi seguite attività di controllo di sorta da parte del Collegio Sindacale, al quale, del resto, il responsabile dell'au. aveva negato l'esistenza di fenomeni di capitale finanziato; - delle dimissioni del private banker Vi., dimissioni delle quali l'imputato ZO. non aveva ricevuto informazioni esaurienti, come emerso dai testi escussi e, in particolare, come dichiarato dallo stesso Bo., per effetto di una determinazione ascrivibile al d.g. So.; - della vicenda delle tre lettere anonime inviate a B. negli anni 2013 e 2014, la prima (quella del 7.10.2013), priva di riferimenti al fenomeno del capitale finanziato, le altre non portate a conoscenza del presidente ZO. o, comunque, non seguite da precise informazioni indirizzate all'imputato inerenti al fenomeno del capitale finanziato; - dell'articolo del Sole 24 Ore a firma Cl.Ga. (articolo, peraltro, bensì contenente accuse in ordine alle pressioni rivolte alla struttura per l'acquisto delle azioni, ma non anche la descrizione del fenomeno del capitale finanziato), mai seguito da attività di riscontro da parte della Direzione Generale, ovvero della Funzione di Controllo, ed in relazione al quale, in ogni caso, non era stata predisposta e portata a conoscenza del Presidente una relazione ispettiva. In definitiva, nessun serio segnale d'allarme era stato mai rappresentato allo ZO., la posizione del quale, pertanto, sul punto, non poteva ritenersi differente da quella del coimputato ZI., pure dal tribunale assolto, ovvero da quella degli altri componenti del CdA e del Collegio Sindacale. Tutti costoro, infatti, erano stati tenuti all'oscuro, per volontà del d.g. So., di quanto emerso in relazione al fenomeno del capitale finanziato nel corso delle attività di audit. Di seguito, l'appello ha evidenziato convergenti elementi probatori che avevano delineato il profilo dello ZO. non già nei termini di uno scaltro "padre padrone" dell'istituto di credito, come pure ripetutamente affermato dal primo giudice, bensì come quello di un presidente, certamente energico ma niente affatto autoritario, il quale aveva investito ingenti risorse personali e familiari nella banca, confidando nella solidità dell'istituto (dal miliardo di lire nel 1995 ai 25 milioni di euro del 2015), a riprova della buona fede che ne aveva sempre ispirato la condotta. In particolare, il difensore ha richiamato plurime deposizioni testimoniali dalle quali era emerso che l'imputato: non era affatto aduso imporre le proprie decisioni; era presente raramente presso la sede dell'istituto; si occupava solo di questioni strategiche e non tecniche; non interveniva nelle pratiche di fido e non aveva avuto rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia; pur comprensibilmente aspirando all'incremento del valore delle azioni non aveva fatto pressioni in tal senso; non aveva un ruolo determinante nella gestione del personale; si limitava a firmare i comunicati B. che, quanto alla parte riferibile allo stesso presidente, erano predisposti dal dipendente Ca. Del resto - ha precisato l'appellante - le stesse deposizioni dei testi Se. e Ro., prima facie pregiudizievoli per la posizione dell'imputato, ad una più attenta lettura deponevano in senso contrario, posto che evidenziavano come lo ZO. non avesse mai avuto un ruolo tecnico all'interno dell'istituto e, comunque, non interferisse affatto nelle decisioni di tale natura. D'altronde, a smentire il ruolo di "monarca assoluto" dell'istituto di credito attribuito allo ZO. dal primo giudice concorreva anche la circostanza che mai l'imputato avesse presieduto alcun comitato esecutivo dal 2012 al 2015 (nonostante, secondo le previsioni statutarie, ne costituisse il vertice) e che, quanto ai Comitati di Direzione/Riunioni svoltisi dal 2011 al 2015, lo stesso ZO. (anche in tal caso diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale che, infatti, aveva escluso la presenza dell'imputato al solo incontro del 10 novembre del 2014, peraltro II più importante) si era limitato a presenziare, solo per un breve saluto, a quello dell'8 novembre 2011. In tal senso, infatti, deponeva l'accurata analisi dei dati documentali disponibili e delle deposizioni assunte in dibattimento. Inoltre, nessun ruolo l'imputato aveva mai svolto con riferimento all'erogazione del credito nella consapevolezza della destinazione dei finanziamenti all'effettuazione di operazioni "baciate". In effetti la posizione dello ZO., al riguardo, non differiva da quella degli altri componenti del CdA che lo stesso primo giudice aveva ritenuto fossero rimasti all'oscuro del fenomeno del capitale finanziato (ivi compreso il coimputato ZI., assolto nonostante avesse compiuto, con la propria finanziaria, un paio di operazioni "baciate"). Sul punto, l'appellante ha richiamato plurime deposizioni testimoniali dalle quali emergeva il difetto di tale consapevolezza da parte dei componenti del consiglio, oltre alla importante conversazione telefonica del 28.8.2015, intercorsa tra il coimputato MA. e il responsabile audit Bo., nel corso della quale, al tentativo di quest'ultimo di indurre l'interlocutore a formulare un "atto di accusa" a carico dello ZO., all'evidente scopo di farne una sorta di capro espiatorio di quanto, oramai, andava inequivocabilmente emergendo, il MA. aveva ribattuto sostenendo di non avere fatto il nome del presidente in quanto il direttore generale So. non glielo aveva indicato espressamente come soggetto a conoscenza del fenomeno (ma si era limitato, come suo solito, a sostenere che aveva informato "chi di dovere") e, inoltre, aveva ribadito più volte che mai si era parlato "di baciate", alla sua presenza, con il presidente. Quanto, poi, alla svalutazione del titolo B. nell'aprile del 2015 da 62,50 a 48 euro, si era trattato, come palesato dal tenore di specifiche deposizioni testimoniali, di una decisione in relazione alla quale l'imputato aveva operato nel rispetto delle indicazioni fornitegli dagli organi preposti alla valutazione del titolo e, segnatamente, dall'esperto indipendente prof. Bi. (e, questo, nonostante lo stesso imputato ed i membri della sua famiglia fossero tra i principali azionisti della banca), mentre era stato il So. ad esprimere contrarietà alla svalutazione. In ordine alla predisposizione della "task-force", istituita con delibera del CdA del 28.4.2015, destinata a fronteggiare i problemi sorti con gli azionisti per effetto della svalutazione del titolo e ad affrontare la questione dei finanziamenti correlati, l'imputato era rimasto del tutto estraneo alla relativa iniziativa, in quanto, a partire dal mese di aprile, era stato di fatto esautorato da ogni ruolo nella banca, mentre l'unico dominus delle scelte gestionali ed imprenditoriali era l'amministratore delegato So., tanto che l'incontro dello stesso ZO. con il professionista esterno, avv. Ge., era stato solo fugace e formale. La prima conversazione telefonica intercorsa tra i due, del resto, aveva avuto luogo solo il 7 maggio 2015, al momento della cessazione dell'incarico, quando oramai le risultanze BCE erano emerse. Inoltre, con specifico riferimento alla scoperta delle lettere di garanzia, alla criticità dei fondi lussemburghesi ed alle risposte alle richieste degli ispettori BCE, l'appellante ha evidenziato che ZO., appena venuto a conoscenza dei primi esiti dell'ispezione, non aveva frapposto alcun ostacolo, ma si era attivato affinché la dirigenza fornisse piena collaborazione agli ispettori medesimi, tanto che a costoro erano state consegnate le lettere di impegno solo a seguito dell'intervento dell'imputato. Illuminanti, sul punto, erano le deposizioni degli ispettori Ga. e Ma., là dove il primo aveva riferito che l'imputato aveva dichiarato che la reazione dello ZO. era stata quella di sorpresa per l'entità del fenomeno in esame ed il secondo aveva precisato che le lettere di impegno erano state consegnate solo dopo l'intervento dello ZO. (il quale, peraltro, ad avviso del teste, non aveva colto appieno l'importanza del fenomeno del capitale finanziato, avendo manifestato preoccupazione soprattutto con riferimento al tema dei fondi di investimento e delle lettere di garanzia). Anche le deposizioni dei testi An., So., Co. e Fa., del resto, andavano nella medesima direzione, ovverosia deponevano nel senso della mancata consapevolezza, da parte del presidente, dei fenomeni illeciti (capitale finanziato/lettere di garanzia/fondi lussemburghesi). In relazione alle dimissioni dell'amministratore delegato So. poi, non si era affatto trattato di decisione adottata dal presidente per assicurare un commodus discessus al predetto onde garantirsi un "salvacondotto" a fronte dell'attività di accertamento della squadra ispettiva BCE. In effetti, non solo il tribunale non aveva considerato che i soli soggetti che avevano ottenuto dalla BCE tale "salvacondotto", tanto da essere rimasti estranei al procedimento, erano stati i veri responsabili delle irregolarità emerse (e, segnatamente, da un lato, i preposti ai controlli interni, i quali avevano violato tutti i doveri loro imposti dal ruolo ricoperto, nonché, dall'altro lato, i dirigenti/funzionari che avevano compiuto le "operazioni baciate"), ma aveva anche di fatto ignorato che ZO. mai aveva fatto ricorso ad un finanziamento per l'acquisto di azioni dell'istituto. In ogni caso, la velocità della "sostituzione" del So. era stata imposta dalla BCE che aveva sollecitato una immediata discontinuità nella gestione dell'istituto di credito, come puntualmente dichiarato dallo stesso ZO. in sede di dichiarazioni spontanee (udienza 25.6.2020) e come confermato da specifiche deposizioni testimoniali, in primis quella dell'ispettore Ma., il quale aveva riferito che la scelta di allontanare l'amministratore delegato era ascrivibile proprio alla BCE. Quanto, poi, al compenso milionario riconosciuto al So., le condizioni economiche assicurate a quest'ultimo nell'accordo - condizioni delle quali, peraltro, si erano esclusivamente occupati i dirigenti Ca. e Va. - erano state regolarmente comunicate alla BCE senza che ne derivassero obiezioni di sorta (se non la precisazione che il compenso avrebbe dovuto essere pagato in parte in azioni e, comunque, differito nel tempo). Del resto, la riferibilità alla BCE dell'avvicendamento dei vertici operativi era stata confermata, nel corso del proprio esame, anche dal coimputato GI. (sia pure con riferimento alla posizione del medesimo dichiarante). Infine, il tribunale neppure aveva considerato adeguatamente, per un verso, che ZO., prima di definire l'accordo di risoluzione del rapporto con il So., aveva contattato tutti i membri del CdA, in taluni casi incontrandoli personalmente (tanto che proprio lo ZI. - unico tra i consiglieri - aveva potuto manifestare le proprie perplessità, orientandosi nel senso del licenziamento); e, per altro verso, che la velocità e la spontaneità dell'avvicendamento erano funzionali a limitare il danno reputazionale per la banca. Anzi, lo ZO. non si era successivamente opposto all'iniziativa adottata dall'amministratore Io. di presentare un'istanza di sequestro delle somme pagate al So. ed aveva finanche promosso una azione giudiziaria verso quest'ultimo, obiettivamente incompatibile con l'intenzione di "comprarne il silenzio". Quanto, infine, alla condotta tenuta, negli ultimi mesi di presidenza, dall'imputato, quest'ultimo - il quale, peraltro, unitamente al CdA, già nei primi giorni di agosto 2015 (e, quindi, un anno prima dell'analoga iniziativa di Banca d'Italia) aveva dato incarico di presentare una denunzia presso la Procura della Repubblica di Vicenza - non aveva minimamente ostacolato gli accertamenti interni, lasciando al nuovo amministratore Iorio ogni compito inerente alle verifiche ed alle segnalazioni all'autorità giudiziaria. In definitiva, il primo giudice aveva omesso di considerare numerosi elementi probatori che, in relazione a plurimi e certamente significativi profili della vicenda, deponevano per l'estraneità dell'imputato alla concreta operatività della banca e, in particolare, alle condotte delittuose oggetto di addebito. Ciò posto, l'appello ha censurato la sentenza impugnata anche in relazione alle conclusioni cui era pervenuta in ordine alle caratteristiche del capitale finanziato. In effetti, il primo giudice si era totalmente adagiato sulla ricostruzione del fenomeno in esame siccome effettuata dai consulenti del P.M., giungendo alla conseguente conclusione che un sistema tanto pervasivo non avrebbe potuto essere ignorato dallo ZO. (sebbene, sempre secondo il tribunale, tutti gli altri membri del CdA, ivi compresi quelli che avevano effettuato, attraverso le società di riferimento, operazioni "baciate", fossero rimasti all'oscuro del fenomeno in esame). In realtà, il quadro rivelato dall'istruttoria dibattimentale era ben diverso. Innanzitutto, dalla deposizione del teste Gr. (amministratore delegato dell'istituto tra il 2001 e il 2011) era emerso, da un lato, che, nel suddetto periodo, i fisiologici problemi di liquidità "stagionale" delle azioni erano usualmente risolti mediante la richiesta di acquisti da parte di altre banche popolari, sulla base di intese che non prevedevano obblighi di riacquisto, se non "morali"; dall'altro, che si trattava di questioni rispetto alle quali ZO. - limitatosi costantemente a svolgere un ruolo istituzionale o, tutt'al più, strategico - non aveva concretamente operato. Ulteriori deposizioni testimoniali, poi, avevano consentito di attribuire solo alla persona del d.g. So. la decisione, occasionalmente adottata a fronte di situazioni specifiche, di ricorrere al finanziamento per l'acquisto di azioni proprie. Si era trattato, segnatamente, delle operazioni "De.Ro." e "Lo.Tr.". In effetti, unicamente a partire dall'anno 2012, a causa del perdurare della crisi mondiale (e, quindi, in un contesto nel quale molti clienti e soci avevano problemi di liquidità, sicché avevano iniziato a vendere in modo consistente azioni della banca), il fenomeno del capitale finanziato, per effetto dell'esclusiva iniziativa di So., aveva subito un incremento, con l'avvio di una pressione sulla rete commerciale della banca per il collocamento delle azioni medesime. D'altronde, sul punto, lo stesso coimputato GI., al di là della generica chiamata in correità di tutti i componenti del CdA della B. e di tutti i dirigenti di vertice, non aveva fornito specifici elementi probatori a carico dello ZO.. In definitiva - ha sostenuto l'appellante - tanto la genesi del fenomeno, quanto la sua successiva gestione, erano imputabili a decisioni operative facenti capo al predetto Sa.So.. Inoltre, il tribunale, pur in presenza delle marcate divergenze ravvisabili tra gli esiti degli elaborati predisposti, rispettivamente, dai consulenti del P.M. e della difesa, in ordine all'entità ed alle caratteristiche del fenomeno del capitale finanziato, per un verso aveva respinto la richiesta di perizia sul punto (peraltro motivando il rigetto unicamente con riferimento al profilo dell'entità di detto fenomeno); e, per altro verso, si era supinamente allineato alle conclusioni dei cc.tt. del P.M. (sostenendo, al riguardo, che la relazione del consulente della difesa prof. Gualtieri non aveva proposto una quantificazione alternativa del fenomeno in esame, senza tenere conto del fatto che era stata proprio l'assenza di prove disponibili circa la natura correlata o meno di talune operazioni ad avere impedito tale quantificazione alternativa). A tale riguardo, innanzitutto, il difensore ha evidenziato l'errore nel quale era caduto il tribunale, alla luce della disciplina (circolare 263/2006 di Banca d'Italia) vigente all'epoca di gran parte delle operazioni "incriminate", nell'escludere che la sussistenza del nesso teleologico tra finanziamento ed acquisto delle azioni costituisse dato rilevante per l'individuazione delle operazioni di capitale finanziato. Trattavasi, al contrario, di elemento all'uopo essenziale, non potendosi a tal fine unicamente considerare il fattore rappresentato dalla coincidenza temporale tra i due negozi, pena un automatico obbligo di deduzione dal capitale di vigilanza privo di effettivo ancoraggio normativo. Parimenti errata, poi, era la conclusione secondo la quale l'obbligo di deduzione avrebbe operato tanto con riferimento alle operazioni di acquisto di azioni dell'istituto di credito in sede di aumento di capitale quanto all'atto di acquisto di dette azioni sul mercato secondario. In realtà, poiché solo gli acquisti del primo tipo generavano, a carico della banca, un rischio di impresi; era solo a detti acquisti che conseguiva l'obbligo di deduzione. Che, poi, la disciplina di riferimento nulla precisasse sul punto, come pure evidenziato dal tribunale, derivava dall'ovvietà della circostanza. Né potevano confondersi, in ragione della diversa ratio economica di riferimento, i finanziamenti erogati in vista dell'aumento di capitale con quelli erogati per l'acquisto di azioni già emesse, con l'effetto che, proprio in ragione di tale differenza, solo i primi facevano scattare l'obbligo di deduzione dal capitale di vigilanza. Del resto, un esplicito ancoraggio normativo a tale interpretazione poteva ravvisarsi nella disposizione di cui all'art. 28 CRR, dalla quale era possibile evincere che gli strumenti rilevanti ai fini del CET 1 erano quelli interamente liberati e non finanziati dall'ente che li aveva emessi. Nella prospettiva dell'appellante, infatti, gli unici casi nei quali gli acquisti di azioni sul secondario comportavano l'obbligo di deduzione erano - come, peraltro, ben spiegato dal consulente prof. Gu. - quelli rispetto ai quali la banca si era assunta un obbligo di acquisto ad un dato valore nominale, ovvero che erano stati effettuati, a seguito di finanziamento, da clienti privi di merito creditizio. Questo proprio perché, in entrambi i suddetti casi, la banca finiva per assumere in proprio il relativo rischio di impresa. Ulteriore seria imprecisione nella quale era incorso il primo giudice, poi, era ravvisabile nel passaggio della motivazione nel quale era stato escluso che il merito creditizio assumesse rilievo ai fini della computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza. In effetti, ciò era vero esclusivamente con riferimento alle azioni di nuova emissione. Infine, il giudizio del tribunale era stato ulteriormente viziato dalla confusione tra le pratiche di sviluppo commerciale tipico delle società cooperative ed il fenomeno del capitale finanziato. A ben vedere, infatti, la proposta ai clienti di diventare soci attraverso l'acquisto del pacchetto azionario minimo poteva essere legittima o meno a seconda della prospettazione di vantaggi ovvero dell'adozione di modalità ricattatorie incidenti sulla conclusione del negozio (quali, ad esempio, il subordinare la concessione del finanziamento alla previa acquisizione dei titoli). Tuttavia, le modalità eventualmente illegittime adottate nella vendita dei titoli non avrebbero per ciò solo reso "finanziata" una operazione che non aveva le caratteristiche per la deduzione. In definitiva il primo giudice aveva sbrigativamente liquidato le argomentate conclusioni del prof. Gu., giungendo ad esiti errati con specifico riferimento al grado di diffusione delle operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni. Ciò era dipeso dai vizi metodologici che avevano caratterizzato la consulenza disposta dal p.m., poi integralmente accolta dal tribunale. Quindi, l'atto di appello ha passato in rassegna le risultanze probatorie inerenti alle vicende, individuate secondo il "campione" (necessariamente parziale) selezionato dalla pubblica accusa e ritenute dal tribunale significative della conoscenza da parte dello ZO. del fenomeno del capitale finanziato e del ruolo concretamente rivestito, in proposito, dal predetto imputato. E, a tale disamina, il difensore ha premesso l'avvertenza che tutti i clienti coinvolti nelle operazioni "baciate", avendo subito perdite milionarie in ragione dell'azzeramento del valore del titolo, avevano reso deposizioni che ponevano non trascurabili problemi di piena attendibilità, sotto il profilo del disinteresse alla esatta ricostruzione dei fatti, e che, ciononostante, avevano fornito contributi testimoniali dai quali si ricavava l'estraneità dell'imputato ai fatti sub iudice. In particolare, il difensore ha rievocato la deposizione dell'industriale Al.Fe., il quale - nonostante avesse contratto operazioni "baciate" per circa 18 milioni e ad onta del suo incarico presso il CdA di Servizi Bancari - mai aveva riferito di avere parlato delle operazioni in questione con ZO. (e neppure con il presidente del Collegio Sindacale, Za.). Analoghe considerazioni, poi, valevano per le deposizioni rese da Ca. Em., Br.Ca., Bo.Lo., Ca.Pi. (nonostante questi avesse concluso operazioni "baciate" per venti milioni di euro), Fa.An. (il quale, sebbene non avesse concluso operazioni "baciate", aveva investito somme consistenti nelle azioni della banca), Fe.Lu., Bu.Sa., D.Fr.Ma., Da.Vi.Pi., Va.Lu., Ro.Gi. (il quale, pur avendo sostenuto che il presidente avrebbe dovuto necessariamente essere al corrente della questione, aveva tuttavia escluso di avere parlato di tale questione espressamente con il medesimo presidente o comunque, aveva precisato di non serbarne memoria), Br.Fa., Ta.Ed., Fa.Al., Ri.Fr., De.Ch.Re., Co.Il., Ti.Da., Ti.An., Ma.Si., Tr.Al., Se.Al., To.En., Ba.Al.Te., Se.Cl.. Altrettanto doveva dirsi, poi, con riferimento a quanto dichiarato da Ma.Va., amministratore del gruppo So., il quale aveva trattato una importante operazione esclusivamente con il d.g. So. (e con An.Pi. della Divisione Finanza), Infine, quanto alla deposizione di Ca.Si., il difensore ha evidenziato come costui, dopo avere sostenuto in sede di indagini che, allorquando aveva manifestato perplessità sull'operazione, il funzionario della banca che gli aveva proposto tale operazione aveva replicato che "Gi. e De.Fr." gli avrebbero potuto adeguatamente illustrare, in occasione di una cena, i dettagli dell'operazione, in sede dibattimentale aveva poi mutato versione individuando nello ZO. il soggetto che, secondo il medesimo funzionario, gli avrebbe potuto chiarire i termini della questione onde rassicurarlo. Si era in presenza, ad avviso del difensore, di una testimonianza davvero sintomatica dell'"inquinamento" della genuinità delle deposizioni conseguente ad anni di clamore mediatico in ordine alla posizione di "padre padrone" della banca che i media avevano attribuito allo ZO.. A ben vedere, dalle citate deposizioni testimoniali era emerso che mai l'imputato aveva intrattenuto rapporti con i clienti (tranne in qualche occasione di rappresentanza, ovvero istituzionale) e che, in ogni caso, mai con costoro aveva trattato (e ancora meno concluso) operazioni "baciate". Infatti, neppure nel corso delle occasioni di contatto conviviale (ivi comprese le cene organizzate da Lo.Tr.) ZO. aveva affrontato il tema delle operazioni "baciate". Ciò emergeva dalle deposizioni rese dai testi Mo., Lo.Tr., Ra.Gi.. Perfino un teste ostile come Lo.Da. era stato costretto a riconoscere che mai aveva avuto colloqui con l'imputato in merito alle "baciate", mentre il teste Ra. Silvano aveva unicamente riferito di rassicurazioni generiche fornitegli dallo ZO. a fronte di richieste formulate dallo stesso teste in termini altrettanto vaghi. Inoltre, anche le testimonianze degli "amici" dell'imputato deponevano tutt'altro che a sfavore di quest'ultimo, posto che: - Ca.Re. - cfr. anche deposizione Am. - aveva bensì goduto di tassi di favore, ma non aveva trattato la questione con l'imputato e, in ogni caso, non aveva concluso operazioni "baciate"; - Ri.Fe. aveva reso dichiarazioni assolutamente generiche; - Ir.Do. e, in particolare, il di lei figlio, Ha.Mi., non avevano trattato di operazioni "baciate" con ZO., bensì con altri interlocutori; - Ra.Fo.Fe., a sua volta, non aveva affrontato il tema delle "baciate" con l'imputato; - Be.de.Pa., il quale aveva parimenti affermato di non avere parlato delle "baciate" con ZO., non poteva ritenersi smentito dai testi Gi. e Ba., posto che l'affermazione in tal senso del primo giudice era sfornita di qualsivoglia apparato motivazionale di sostegno. Si aggiunga che, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, né ZO., né le società del gruppo e neppure i familiari del predetto avevano mai concluso operazioni "baciate", fatta eccezione per il cognato dell'imputato, Zu.Fr., il quale, tuttavia, nelle dichiarazioni rese ex art. 391 bis co.2 c.p.p., acquisite al fascicolo del dibattimento, aveva precisato che mai ne aveva parlato con il proprio affine. La stessa "vicenda Ma." (vicenda che, trascurata in sentenza, è stata invece dettagliatamente ripercorsa nell'atto di appello) avrebbe dovuto ritenersi sintomatica, nella sua assoluta inverosimiglianza, del vero e proprio accanimento della pubblica accusa nella ricerca di elementi di responsabilità a carico dell'imputato. Neppure dalle dichiarazioni rese dai funzionari e dirigenti B. - ha proseguito l'appellante - era possibile desumere che ZO. fosse consapevole dell'esistenza del capitale finanziato. Nessuno di costoro, infatti, aveva avuto con l'imputato colloqui inerenti al fenomeno in esame, né aveva appreso da altri colleghi di conversazioni aventi tale oggetto alle quali avesse preso parte il presidente dell'istituto. Così era con riferimento alla deposizione del private banker Ri., dalla quale era peraltro emerso il rapporto di assoluta sudditanza tra il responsabile dell'audit Bo. ed il d.g. So.; così con riferimento alle deposizioni di Gi., dapprima responsabile della più importante area di B. e poi direttore interregionale; così, ancora, in relazione ai contributi dichiarativi: di Tu., direttore regionale (il quale aveva escluso che il coimputato GI. avesse mai parlato del fenomeno in esame allo ZO.), di To., vicedirettore e, quindi, direttore generale area Toscana, di Pa. (responsabile ufficio legale B.), di Ro., responsabile della Direzione Sviluppo, di Cu., capo area Friuli, di Ba., capo area Vicenza sud-ovest, di Te., private area Bassano, di Veronese, capo area Castelfranco e direttore regionale, di Ca., capo, area Treviso, di Da., capo area Vicenza nord, di Pi., direttore area Prato e, successivamente, direttore Veneto occidentale, di Bo., capo area Vicenza, di Ip., responsabile area Brescia, di Gi., di Ma., responsabile corporate Vicenza sud ovest, di Si., responsabile zona Th. e Sc., di Ni., capo zona Bassano, di Pr., capo area province Padova e Rovigo, di Ro., responsabile Ufficio Soci, di Be., viceresponsabile di area, di St., gestore di patrimoni private, di Sa., responsabile divisione estero, di Me., direttore della filiale di Asti, di Ta., direttore private e affluent; così, infine, in relazione alle deposizioni: di Pa. (deposizione pure valorizzata dal tribunale per sostenere il pervasivo controllo del presidente anche sull'operatività spicciola" e, segnatamente, in tema di campagne pubblicitarie); di Gi., direttore regionale di Lombardia, Piemonte e Liguria (il quale, con specifico riferimento alle operazioni "baciate" effettuate da Be.de.Pa., aveva bensì sostenuto che quest'ultimo ne avesse parlato con lo ZO., ma aveva precisato che il medesimo teste, personalmente, non aveva affrontato la questione con l'imputato) e di Ba.. Neanche dalle dichiarazioni dei soggetti addetti agli organi di controllo interno, ovvero dai membri dell'alta direzione (segnatamente, i coimputati), erano emersi elementi ai quali ancorare fondatamente l'affermazione della conoscenza, da parte dello ZO., del capitale finanziato. Quanto ai primi, l'appello ha richiamato le deposizioni del membro del Collegio Sindacale Za., nonché dei consiglieri di amministrazione Do., Co., Ro.di.Sc. e Ti., del vicepresidente Mo. e di Mi.. Quanto ai secondi il riferimento è stato all'esame reso, sul punto, dal coimputato ZI., il quale, per un verso, aveva decisamente escluso che in CdA fosse mai stato affrontato il tema in esame e che ZO. fruisse di un flusso informativo differenziato rispetto a quello degli altri consiglieri; per altro verso, con riferimento all'"operazione Ze.", aveva specificamente riferito che non si era parlato con ZO. di finanziamento correlato; e, per altro verso ancora, aveva evidenziato come l'imputato, a decorrere dagli anni 2012-2013, non avesse più avuto un'idea precisa dei conti della banca ed avesse maturato l'intenzione di dimettersi dalla presidenza nel 2016, in occasione dei 150 anni di vita dell'istituto. Peraltro, anche l'intercettazione del colloquio ZI.-Bo. del 25.8.2015 (inerente all'azione di responsabilità avviata dall'istituto nei confronti del d.g, So.) confermava il tenore delle dichiarazioni rese, con riferimento allo ZO., dal coimputato ZI.. Inoltre, ad essere valorizzate dall'appellante erano anche le deposizioni dei coimputati PI. e PE., oltre al tenore dell'intercettazione dei colloqui intercorsi tra il coimputato MA. e, rispettivamente, i funzionari Bo. (intercettazione nr. 259 del 28.8.2015) e Cu. (intercettazione nr. 526 del 9.9.2015), trattandosi di conversazioni dalle quali era stato possibile apprendere che tanto MA. quanto il Cu. non avevano mai affrontato con il presidente il tema delle operazioni "baciate". Quindi, con specifico riferimento alle dichiarazioni del GI. -dall'appellante qualificato come il vero e proprio dominus" fin dalle origini, di tutte le operazioni "baciate" - il difensore ha evidenziato come la generalizzata chiamata in correità formulata dal predetto (peraltro non accreditata di attendibilità in sentenza, se non con riferimento alla posizione dello ZO.) fosse stata smentita dai dati processuali disponibili e, segnatamente: - dal documento nr. 857 del P.M., costituito da un appunto manoscritto proveniente dallo stesso ZO., intitolato "dichiarazioni Gi." e contenente il riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati, documento dal quale era possibile arguire, sul piano logico, che l'imputato aveva appreso dell'esistenza di tale fenomeno solo allorquando, in data 4.5.2015, aveva raccolto le dichiarazioni del predetto GI.; - dalla deposizione resa il 3.7.2019 dal teste Tu., vice di GI.; - dall'intercettazione del colloquio intercorso tra La.Pi., membro del collegio sindacale, ed il medesimo GI., il quale ultimo neppure in un contesto di espliciti riferimenti ed ammissioni in ordine alle irregolarità degli storni e delle lettere di garanzia aveva coinvolto il presidente in dette irregolarità. Di analogo tenore, poi, era anche la conversazione nr. 2261, relativa al colloquio GI.-ZI. del 24 settembre 2015, trattandosi di colloquio dal quale emergeva che nessuno era a conoscenza dell'entità del fenomeno." D'altronde, nessun esplicito/implicito riferimento al tema delle operazioni "baciate" era contenuto in oltre 2000 ore di registrazione delle riunioni del CdA. In definitiva, il tribunale aveva ritenuto ZO. consapevole dell'esistenza del fenomeno del capitale finanziato pur in presenza di una sequela di testimoni che avevano deposto in senso contrario. Infatti, oltre un centinaio di testi erano stati escussi e pressoché tutti avevano concordemente affermato l'estraneità dell'imputato rispetto a tale fenomeno. Né, del resto, il giudice di prime cure aveva speso considerazioni di sorta per dimostrare la conoscenza in capo all'imputato della criticità dei fondi lussemburghesi, ovvero della presenza delle lettere di garanzia e degli storni, ovvero ancora degli interessi riconosciuti ai clienti che concludevano operazioni "baciate". Ma anche l'argomento, sostanzialmente unico, speso dal primo giudice a sostegno dell'affermazione di responsabilità - ovverosia il ruolo di vertice ricoperto dall'imputato all'interno dell'istituto di credito, in modo "pervasivo", secondo un modello "autocratico" e con una "logica padronale" - appariva obiettivamente infondato. Innanzitutto, non era affatto vero che ZO. avesse pilotato le decisioni degli esponenti di vertice dell'istituto (a partire dal d.g. So., fino ai membri del Collegio Sindacale e dei CdA), essendosi in presenza di interlocutori (imprenditori e professionisti) con competenze tecniche non certo inferiori a quella del presidente. Peraltro, l'istituto operava affidandosi al lavoro di tecnici esperti (era il caso, ad esempio, del prof. Bi.). Né persuadeva la valorizzazione, in chiave accusatoria, del fatto che le decisioni del CdA fossero assunte all'unanimità. In ogni caso, occorreva tenere distinto il piano della scelta "dello staff" e delle opzioni strategiche, inerenti alla politica di espansione della banca, da quello delle modalità tecniche di attuazione di tale "indirizzo politico". In effetti, l'imputato trascorreva pochissimo tempo presso la sede dell'istituto di credito (cfr. deposizione della teste Ca.Li.) e non conosceva ('"operatività tecnica" della banca (cfr. deposizione del teste Um.Se.). Era bensì temuto - in quanto era colui che "comandava", come riferito dal teste Pa. -ma questo non significava affatto che conoscesse il fenomeno del capitale finanziato. Del resto, l'ingerenza del presidente nella vendita delle azioni non poteva essere desunta dalle dichiarazioni rese, sul punto, dal predetto Pa. (dichiarazioni, peraltro, smentite dal teste di riferimento Ro.), né dai documenti prodotti dal P.M. sub 31 e 321 (trattandosi di documenti sostanzialmente irrilevanti sul punto), ovvero dall'autorizzazione data, dall'imputato alla vendita delle azioni possedute dallo ZI. (trattandosi di un membro del consiglio di amministrazione) e neppure, infine, dall'appunto redatto da So. recante la dizione "Ro. fascicoli procedure" (nulla essendo emerso sull'esatto oggetto della conseguente discussione). In ordine alla gestione della "divisione estero", poi, la deposizione del teste Sa. - il quale aveva riferito che il presidente era solito informarsi sull'andamento economico del settore - non provava certo che ZO. si fosse ingerito nell'attività tecnica della banca. Così come le dichiarazioni rese dall'imputato nella riunione 11.11.2014 in ordine ad un articolo di stampa che aveva messo in dubbio il valore del titolo non assumevano reale rilevanza in chiave accusatoria, in quanto non univocamente sintomatiche della conoscenza del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre, quanto riferito dal teste Gi. - secondo il quale, a fronte delle difficoltà nella vendita delle azioni da parte dei soci che intendevano liberarsene, l'imputato aveva ipotizzato l'intervento della banca a mezzo finanziamenti - avrebbe dovuto essere interpretato non già come l'espressione di un parere favorevole al ricorso ad operazioni "baciate", bensì come una proposta di sostegno finanziario da erogarsi in favore degli stessi soci titolari dei titoli, in attesa della vendita degli stessi. Con riferimento, quindi, ai documenti valorizzati dal tribunale per affermare un ruolo operativo del presidente, l'appellante ha evidenziato; - quanto agli appunti di So. relativi alla riunione di budget 9.12.2011, che si trattava di documento che non dimostrava affatto un ruolo "operativo" del presidente; - quanto al documento 322 della produzione del P.M, che si era in presenza di una e-mail (nella quale il dipendente Ro. si lamentava di essere stato costretto, mentre era in ferie, a contattare il d.g. ed il presidente) parimenti priva di significativo rilievo sul punto; s quanto alla e-mail di cui al documento 320 della produzione del P.M., nella quale si riferiva che il presidente sosteneva "che occorre incrementare il possesso azionario delle Za.", che il reale significato di detta comunicazione era stato successivamente chiarito dal teste Ro. (il quale, sul punto, aveva precisato come Za. fosse un socio che stava a cuore allo ZO. in quanto "socio storico", sicché, in questa prospettiva, le istruzioni impartite dall'imputato perdevano di significato, non attestando affatto che il predetto avesse effettiva contezza dei portafogli delle singole posizioni); - quanto al documento 521 della produzione del P.M., che si trattava di una e-mail relativa ad un intervento di repricing dalla quale emergeva bensì l'esistenza di posizioni di "intoccabili" ma che, per un verso, non era diretta all'imputato e, per altro verso, neppure conteneva riferimenti a quest'ultimo. Allo stesso modo, privo di significativo rilievo in chiave accusatoria era il contenuto della trascrizione della seduta del Comitato di Direzione del 10.11-2014. In effetti i passaggi della suddetta trascrizione inerenti, da un lato, allo svuotamento del fondo azioni proprie attraverso il ricorso alla "Fondazione CR Lucca" e, dall'altro lato, alla circostanza che il presidente ed il d.g., avrebbero di lì a poco avuto un incontro con i rappresentanti di tale istituto, non significavano affatto, tenuto conto dell'esatto tenore delle espressioni nell'occasione proferite, che il suddetto incontro fosse stato fissato in vista dell'investimento, bensì l'esatto contrario. Inoltre, la frase "Il presidente vuole vedere i numeri", proferita da An.Fa. nel corso del medesimo comitato, attestava unicamente l'interesse dell'imputato ad approfondire, con il conforto dei dati, un non meglio precisato aspetto di quanto oggetto di discussione nel corso di tale seduta. Ad avviso dell'appellante anche i rapporti tra ZO. e So. - rapporti ai quali la sentenza aveva pure attribuito ampio risalto, interpretandoli nel senso di uno stretto rapporto di collaborazione tra i due - avrebbero dovuto essere diversamente spiegati. In particolare, nessuna "insana complicità", volta a coprire una operatività illecita, aveva spinto il primo a sostenere la nomina del secondo, nel febbraio del 2015 (ovverosia in un momento di palese criticità per l'istituto), a consigliere delegato, bensì il solo, comprensibile interesse a conferire maggiore autonomia gestionale ad un soggetto apicale nei confronti del quale l'imputato nutriva stima. Peraltro, anche i tre messaggi di cui ai documenti nn.ri 653, 654 e 655, espressamente richiamati m sentenza (e relativi a comunicazioni in cui MA. o GI. avevano sollecitato So. a parlare col presidente di alcune posizioni che sarebbero poi risultate "baciate") potevano essere ragionevolmente intesi come finalizzati a preparare il terreno affinché il presidente nulla avesse da eccepire sulla concessione dei finanziamenti, piuttosto che come espressione di un consapevole coinvolgimento dello ZO. in tali operazioni correlate. La stessa risoluzione del rapporto con il d.g., poi, era stata frutto di una decisione - assunta, peraltro, dopo che era oramai emersa la realtà dei fatti - condivisa dalla dirigenza. Inoltre, la repentinità di tale iniziativa, lungi dal dimostrare una complicità dell'imputato con il direttore generale, era espressione di virtuosa capacità di assicurare la necessaria soluzione di continuità nella gestione dell'istituto, coerentemente con le direttive della BCE. L'inserimento della clausola di riservatezza, infine, rientrava nella prassi ordinaria in situazioni consimili. Le conclusioni cui era pervenuto il tribunale - ha proseguito l'appellante - non trovavano sostegno neppure nelle intercettazioni telefoniche, posto che quella, già sopra citata, relativa al colloquio tra lo ZI. ed il Ba. (nel corso della quale il primo aveva sostenuto che ZO. e il direttore generale "viaggiavano a braccetto") non era altro che espressione della obiettiva sintonia tra i due (come spiegato, del resto, dallo stesso ZI.), ma non provava nulla di più. Quanto, poi, ai colloqui intrattenuti dal So. (nn.ri 459 del 31.8.2015, 300 del 7.9.2015, 610 del 2.9.2015, 845 del 6.9.2015), si trattava di conversazioni che non indicavano affatto che il presidente fosse a conoscenza delle operazioni di capitale finanziato (e, men che meno, della questione, connessa, inerente alla mancata decurtazione dal capitale di vigilanza), potendo, in effetti, prestarsi a differenti interpretazioni e, segnatamente, legittimando la conclusione di una ben più generica conoscenza dei fatti. Questo, a fortiori, ove si fosse debitamente considerato che il predetto So., nel periodo di riferimento (da collocarsi in una fase in cui gli accertamenti BCE avevano oramai portato alla luce le gravi irregolarità gestionali), aveva un evidente interesse a sminuire il proprio ruolo e a sovradimensionare quello dello ZO.. Inoltre, l'appellante ha preso in considerazione tutti i rapporti con la clientela considerati dal primo giudice espressione del coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni correlate. Ebbene, anche in questi casi (assai pochi, peraltro in rapporto a quelli, molto più numerosi, in cui i clienti avevano escluso qualsivoglia rapporto con il presidente), le deposizioni degli investitori non provavano in alcun modo la responsabilità dell'imputato: - così era per Ca., il quale, del resto, aveva impiegato fondi propri per l'acquisto delle azioni; - così per Pi., posto che costui, pur avendo riferito di avere parlato con ZO. dei finanziamenti ricevuti per l'acquisto delle azioni, aveva reso una deposizione contraddittoria (anche alla luce del "memorandum" prodotto in dibattimento e dei documenti dalle difese, che ne smentivano la presenza tra gli ospiti che avevano soggiornato nella residenza dell'imputato di Ca.d.), tenuto peraltro conto delle reali finalità all'origine delle operazioni di acquisto di azioni dell'istituto effettuate dal predetto Pi., finalità non già "di cortesia", bensì speculative; s così per Be.de.Pa., il quale aveva negato di aver parlato col presidente delle sue operazioni di capitale finanziato (mentre le contrarie dichiarazioni de relato rese dal Gi. - espresse, peraltro, in forma dubitativa - erano state smentite, per l'appunto, dal teste di riferimento), - così per le dichiarazioni della Ir., posto che costei aveva riferito che l'imputato l'aveva dirottata sul direttore generale (e che il teste Cu. aveva precisato, al riguardo, che a trattare l'operazione erano stati il GI. ovvero il So.); - così, inoltre, per i fratelli Ra., tenuto conto del tenore generico delle relative deposizioni in ordine alle rassicurazioni ricevute dall'imputato circa l'andamento dei loro investimenti; - così, ancora, per quanto riferito dallo Zu. e dal Ri., essendosi in presenza di dichiarazioni che, a ben vedere, deponevano in termini esattamente contrari alla consapevolezza dell'imputato in ordine al fenomeno del capitale finanziato, - così, infine, per la testimonianza di Ro., in quanto la convinzione da questi maturata in ordine alla conoscenza, in capo allo ZO., dei finanziamenti correlati era frutto di una mera deduzione personale ("io faccio riferimento alia mia azienda, Le responsabilità sono sempre del presidente", "per svolgere il compito di presidente sicuramente avrà dovuto sapere tutto"...) non già di dati concreti aventi reale efficacia probante. Quindi, l'appellante ha rievocato la registrazione del colloquio che aveva avuto luogo, tra GI. e ZO., poco prima dell'inizio del CdA del 18.6.2013, colloquio inerente ai finanziamenti chiesti dall'imprenditore catanese Ri.Co.. Ebbene, che si fosse trattato di una richiesta finalizzata a porre in essere una operazione "baciata" era una conclusione cui il tribunale era pervenuto in assenza di adeguato sostegno probatorio. Infatti, per un verso, le dichiarazioni rese sul punto dal coimputato GI. erano contraddette dalla versione dello ZO., secondo il quale l'invito che lui stesso, nell'occasione di tale colloquio, aveva rivolto al predetto GI. E meglio essere prudenti, poiché chiacchiera, chiacchiera...") non dipendeva affatto dalla natura illecita delle operazioni che interessavano il Co. (operazioni nelle quali, pertanto, non era prudente coinvolgere soggetti delle cui riservatezza non si avevano garanzie), bensì dalla scarsa solidità patrimoniale di tale imprenditore; e, per altro verso, quest'ultimo aveva negato di avere mai affrontato con ZO. il tema dei finanziamenti inerenti all'acquisto di azioni. Questo, senza che la circostanza che dall'agenda dell'imputato risultasse un incontro tra i due potesse provare il contrario, ben potendo le parti avere discusso, nell'occasione di tale contatto, di operazioni diverse da quelle "baciate". Né il tribunale aveva minimamente illustrato le ragioni che lo avevano indotto a privilegiare la lettura dell'evento fornita dal coimputato GI. rispetto a quella proposta dal teste Coffa. Infine, neppure i rapporti tra ZO. e il gestore private Ri. rivestivano un rilievo gravemente indiziente. In effetti, sebbene quest'ultimo fosse stato uno dei maggiori artefici delle "baciate", la circostanza che avesse al contempo gestito il portafogli dell'imputato non provava alcunché. Piuttosto, il fatto che ZO. mai avesse posto in essere operazioni di tale natura (avendo egli sempre acquistato azioni della banca con risorse proprie) deponeva, sul piano logico, in senso contrario. In definitiva, la sentenza era caratterizzata, per un verso, dalla sistematica pretermissione dei dati probatori che orientavano nel senso dell'estraneità dello ZO. ai reati contestati e, per altro verso, dalla eccessiva valorizzazione degli "scarni e vaghi" elementi di prova emersi a carico dell'imputato medesimo. 2.4-3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 4 dell'impugnazione), poi, l'appellante ha censurato l'affermazione di penale le responsabilità sul rilievo dell'assenza di riscontro in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico dei delitti oggetto di addebito. In effetti, la contestazione elevata a carico dello ZO. di avere avallato la prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto delle azioni dell'istituto - contestazione già assai problematica sotto il profilo della tipizzazione del contributo concorsuale asseritamente offerto dall'imputato, sul quale, in effetti, non incombeva alcuna posizione di garanzia attivabile in chiave di concorso omissivo nell'altrui reato - presupponeva la consapevolezza in capo allo stesso ZO. dell'esistenza del fenomeno in esame. Sul punto, il difensore, nel sottolineare, anzitutto, la problematicità della stessa definizione delle operazioni "baciate", a fortiori nel periodo in esame, allorché l'unico riferimento normativo era costituito dalla circolare 263/2006 della Banca d'Italia (circolare che parificava le operazioni di finanziamento effettuate dalla banca per finalità di acquisto di azioni proprie al riacquisto dei titoli), ha precisato che tale riacquisto, sotto il profilo contrattuale, era caratterizzato da un "atto coordinato" tra finanziamento ed acquisto delle azioni. Ebbene, ad avviso del primo giudice, perché scattasse l'obbligo di decurtazione dal patrimonio di garanzia dei finanziamenti concessi ai soci, era sufficiente che vi fosse, tra il credito concesso e l'acquisto dei titoli, una "relazione di tipo oggettivo". Tuttavia, tale conclusione contrastava con la natura propria delle Ba.Co., ovverosia di istituti di credito che frequentemente erogavano finanziamenti a soggetti che erano già soci, oppure lo divenivano contestualmente, con l'ulteriore complicazione conseguente alla stessa fungibilità del denaro (sicché era arduo stabilire, anche nel caso di contiguità cronologica tra finanziamento ed acquisto, se le risorse oggetto del credito erogato dalla banca fossero poi state utilizzate per l'acquisto delle azioni). Di qui - ad avviso dell'appellante - la necessità di ricorrere, per individuare le "operazioni baciate", proprio a quell'ulteriore criterio del "nesso teleologico" che era stato illustrato dal consulente della difesa, prof. Gu.. In effetti, i criteri adottati dagli ispettori BCE e, segnatamente, sia quello cronologico (con l'individuazione di un periodo di riferimento di "tre mesi"), sia quello quantitativo (secondo il quale l'ammontare finanziato avrebbe dovuto essere superiore al sottoscritto), non potevano ritenersi appaganti. In particolare il primo di tali criteri, privo di ancoraggio normativo, era stato stabilito unilateralmente ed in via convenzionale. In ogni caso l'insufficienza di tali parametri era emersa anche nel corso del dibattimento, là dove, per un verso, gli stessi cc.tt. del P.M. avevano evidenziato la necessità dell'esame delle singole posizioni riferibili alla clientela e, per altro verso, l'ispettore Ga. aveva segnalato l'esigenza di analisi dettagliata del conto corrente di ciascun cliente. Ebbene, era proprio la complessità delle operazioni necessarie per la comprensione del fenomeno a rendere inverosimile che il presidente avesse potuto apprendere delle operazioni "baciate" nel corso delle attività del CdA, ovvero dall'esame dei dati dei quali disponeva in virtù della carica ricoperta. Questo, a fortiori, ove si fosse prestata la debita attenzione al fatto che i finanziamenti correlati che avevano caratterizzato l'operatività di B. non erano stati "statici" ma erano spesso cambiati nel tempo in ragione di rimborsi ovvero per altre cause (come segnalato dal teste Tr. all'udienza 5.11.2019 e come evidenziato dallo stesso consulente del P.M. dott. Pa. all'udienza 12.11.2019, là dove questi aveva suggestivamente paragonato l'esito dell'attività di consulenza non già ad una fotografia del fenomeno in esame bensì ad un film che, di tale fenomeno, aveva seguito l'andamento a decorrere dal 30.6.2012 e fino al 31.3.2015). Fatta tale premessa e ulteriormente precisato come, con riferimento alla posizione dei coimputati ZI. e PE., il primo giudice avesse correttamente escluso il coinvolgimento di costoro proprio in considerazione della difficoltà di identificare una "operazione baciata", l'appello ha evidenziato, nell'ordine: - che lo ZO., per un verso, non era affatto dotato di una competenza maggiore di quella propria dello ZI. e, per altro verso, non aveva fruito di informazioni maggiori di quelle a disposizione di tale coimputato, come emerso nel corso dell'istruttoria e come già evidenziato nello stesso atto di impugnazione; - che la prova del dolo, tanto con riferimento alla componente rappresentativa quanto a quella volitiva, non tollerava il ricorso a schemi presuntivi (neppure se "agganciati" a ipotetiche ed indimostrate posizioni di "dominio informativo") e men che meno a "indici di sospetto", pena la trasformazione "della colpa in dolo" e la degradazione "del dolo ad eventualità di dolo", proprio per effetto di una inammissibile semplificazione probatoria; - che, con riferimento al tema della decurtazione dei finanziamenti dal patrimonio di vigilanza, lo scarto tra realtà effettiva e dati patrimoniali contabilizzati costituiva un elemento centrale nella ricostruzione dell'oggetto del dolo; - che era già l'impiego, per alludere alle operazioni "baciate", di una sequela di differenti espressioni ("operazioni baciate", "operazioni correlate", "operazioni K", "big ticket", "operazioni di portage", tanto che "ogni area aveva le sue definizioni come precisato dal teste Ba.) a rendere vago il concetto di riferimento; concetto, peraltro, parimenti indeterminato anche quanto alle modalità di ricostruzione (stante la evidenziata diversità di approcci "criteriologici"); - che, per la prova del dolo in ordine alle comunicazioni che avevano omesso di registrare, decurtandoli, i finanziamenti correlati, non poteva ritenersi sufficiente una generica consapevolezza (peraltro, nella specie, insussistente) del fenomeno in esame, ove non accompagnata anche dalla conoscenza della entità delle relative dimensioni in termini di significatività tali da alterare i valori patrimoniali di bilancio e, a cascata, quelli del titolo B.; - che la peculiare natura di banca popolare dell'istituto vicentino rendeva non agevole la distinzione tra la qualifica di socio e quella di "affidato", specie in assenza di censure da parte degli organi di controllo, tanto che, sotto il primo profilo, era generalmente ritenuto fisiologico che il socio avesse pacchetti azionari, depositasse le proprie liquidità in banca e si facesse anche finanziare dalla banca medesima, sicché disporre di informazioni al riguardo costituiva elemento probatoriamente "neutro" ai finì in esame (donde l'irrilevanza di quanto emerso in ordine alle comunicazioni intercorse tra alcuni soci ed il presidente ZO., anche in occasione delle cene periodiche); - che, tenuto conto della contestazione del reato in forma concorsuale, non erano emersi elementi di sorta per ipotizzare la tesi di un previo concerto tra i diversi coimputati ed ipotetici concorrenti; - che, in ogni caso, una eventuale "vaga conoscenza" della possibilità che fossero state realizzate alcune operazioni irregolari, la mancata decurtazione delle quali non avrebbe determinato significativi scostamenti del Tier 1, ovvero degli altri parametri di bilancio (plurime testimonianze, invero, avevano evidenziato come un minimo di operazioni irregolari sarebbero state tollerate o, comunque, considerate non materialmente rilevanti), non poteva certo equivalere alla rappresentazione (e successiva volizione) del fenomeno in concreto realizzatosi, la prova del dolo richiedendo la rappresentazione e volizione "del fatto storico nella sua globalità" (con 1 conseguente irrilevanza dell'eventuale conoscenza delle operazioni poste in essere dai soli clienti Pi., Da.Ro. o Ro.); - che, d'altra parte, neppure era consentito "compensare" un deficit del momento volitivo con un solido momento rappresentativo In definitiva, per non giungere ad una inaccettabile ed incostituzionale equiparazione tra conoscibilità e conoscenza dell'oggetto del dolo e per evitare, in sostanza, di travestire un rimprovero sostanzialmente colposo sotto le mentite spoglie di un rimprovero doloso, quei "segnali d'allarme" che la giurisprudenza aveva ripetutamente valorizzato quali indicatori tanto della componente rappresentativa quanto della "accettazione del rischio", non solo avrebbero dovuto essere "perspicui e peculiari", ma anche effettivamente percepiti come fattori annunciane un illecito in itinere. Ad essi, poi, si sarebbe dovuto necessariamente accompagnare il momento volitivo. Ebbene, nel caso di specie, i segnali d'allarme che l'imputato ZO. aveva ricevuto erano sostanzialmente gli stessi (difficoltà del mercato secondario; detenzione di azioni proprie da parte dei fondi; segnalazioni del socio Da.Gr. e dell'avv. Es.; articoli di stampa; riacquisti di azioni avvenuti nel 2014) che erano pervenuti agli altri componenti del CdA. Si era trattato, inoltre, di segnali vaghi e non precipui e, ad eccezione della vicenda del dipendente Vi., tutti già a conoscenza dell'autorità di vigilanza che, nondimeno, non aveva colto alcunché del fenomeno del capitale finanziato fino a quando, nel 2015, la BCE non aveva proceduto agli approfondimenti ispettivi. E, in ogni caso, i suddetti "segnali d'allarme" non erano stati percepiti dall'imputato (come, del resto, dagli ispettori di Banca d'Italia, dagli altri consiglieri di amministrazione e dai sindaci) in quanto tali, ovverosia come specifici e precipui. Comunque l'analisi di tutti gli "indicatori sintomatico-probatori" rivelatori del dolo eventuale (siccome indicati dalla giurisprudenza di legittimità nella nota Cass. Pen. Sez. (J., 18 settembre 2014, n. 38343, Thyssenkrupp) conduceva ad escludere che l'imputato fosse stato consapevole sia del fenomeno dei finanziamenti correlati, sia - ed in ogni caso - della sua reale entità. Nulla, comunque, avrebbe consentito di affermare che ZO., se avesse avuto certezza della irregolarità della situazione, avrebbe agito in un determinato modo (secondo la verifica controfattuale riconducibile alla c.d. "prima formula di Frank"), ovverosia avrebbe "avallato" la prassi in questione; prassi, del resto, che indeboliva il patrimonio della popolare e che, pertanto, andava in direzione esattamente opposta rispetto all'obiettivo di rafforzamento dell'istituto tenacemente perseguito dal presidente. E, sul punto, l'appellante ha richiamato la pronunzia delle SSUU 26.11.2009, Nocera, in ordine all'atteggiarsi del dolo eventuale nella fattispecie di ricettazione, per evidenziare la necessità, ai fini dell'affermazione della responsabilità penale dello ZO., della conoscenza, da parte del predetto, tanto della effettiva natura quanto della portata del fenomeno delle operazioni "baciate", non essendo all'uopo sufficiente un mero stato di dubbio ovvero di sospetto. Di qui la richiesta di assoluzione per assenza dell'elemento soggettivo dei reati, in difetto di adeguata prova sul punto. 2.4.4 Con il quarto motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi 5 e 6 dell'impugnazione), l'appellante, in via subordinata, ha censurato l'incongruità del trattamento sanzionatorio. Innanzitutto, la pena irrogata allo ZO. era stata determinata in misura superiore rispetto a quella inflitta ai coimputati sulla base di quella inesistente posizione di assoluta egemonia all'interno della struttura di vertice dell'istituto di credito che, fondata esclusivamente sulla vox populi, aveva invece costantemente scandito le argomentazioni del tribunale, pur in difetto di ogni reale riscontro alla stregua degli esiti dell'istruttoria dibattimentale. Peraltro, si trattava di una dosimetria sanzionatoria configgente con la semplice considerazione del ruolo dallo stesso primo giudice attribuito allo ZO. nella vicenda delittuosa in esame, essendosi egli, anche nella prospettiva del tribunale, limitato ad avallare una prassi da altri ideata ed attuata. Sul punto, l'appellante ha infatti ribadito come l'imputato si fosse limitato a svolgere funzioni strategiche e di rappresentanza, astenendosi dal partecipare ai comitati esecutivi e a quelli di direzione, non avesse rilasciato alcuna lettera di garanzia e fosse anche rimasto del tutto estraneo alla vicenda dei fondi lussemburghesi. Anche sotto il profilo dell'intensità del dolo, poi, fi trattamento sanzionatorio non trovava alcuna giustificazione, solo a considerare che l'imputato aveva investito, negli aumenti di capitale dell'istituto, un patrimonio personale di più di venti milioni di euro, peraltro senza mai ricorrere ai finanziamenti della banca. In ogni caso, l'incongruità della pena inflitta era palese ove confrontata con quelle irrogate ai coimputati e, in particolare, al GI., il cui ruolo centrale nell'operatività delittuosa era stato pure espressamente evidenziato dallo stesso tribunale. In definitiva, tutti i parametri ex art. 133 c.p. (e, segnatamente, quelli inerenti alle modalità dell'azione, alla capacità a delinquere, ai motivi a delinquere, alla assenza di precedenti penali, alla condotta di vita antecedente e successiva al reato, al comportamento processuale ed alle condizioni di vita individuale, familiare e sociale) avrebbero dovuto univocamente orientare per il contenimento della pena al minimo, anche con riferimento agli aumenti irrogati a titolo di continuazione per i reati considerati satelliti. Peraltro, a tale ultimo riguardo (ovverosia quello inerente alla pluralità degli addebiti), l'appellante ha lamentato la violazione del divieto di bis in idem sostanziale e del principio del nemo tenetur se detegere. Ciò in quanto, per un verso, le diverse contestazioni (tanto con riferimento alle condotte di ostacolo alla vigilanza quanto a quelle di aggiotaggio) apparivano in realtà riconducibili ad un unico reato; e, peraltro verso, la consumazione della prima condotta di ostacolo alla vigilanza contestata sub B1 avrebbe necessariamente implicato le successive condotte delittuose, pena l'autoincriminazione per tali ulteriori reati. Sotto il primo profilo, infatti, l'informazione taciuta, ovvero falsata, era stata sempre la medesima (ovverosia l'esistenza di finanziamenti correlati che avrebbero comportato lo scomputo del relativo controvalore dal patrimonio di vigilanza), donde la configurabilità, con riferimento all'ipotesi delittuosa ex art. 2638 c.c., pur a fronte di una pluralità di condotte, di un unico reato (analogamente, del resto, a quanto previsto dalle fattispecie di cui agli artt. 513 bis, 609 octies c.p., parimenti caratterizzate dalla considerazione di una pluralità di "atti", rispettivamente, di concorrenza illecita e di aggressione sessuale). Avrebbe dovuto orientare in tal senso una interpretazione conforme ai principi costituzionali di proporzionalità della pena, a fortiori considerato che, nel caso di specie, erano riscontrabili tanto l'identità dei titolari degli interessi lesi dalle condotte contestate quanto la "unicità della spinta motivazionale". Peraltro, nella peculiare vicenda sub iudice, si era in presenza di una triplicazione di fattispecie a fronte di un identico nucleo fattuale di riferimento, consistente nel supposto occultamento del fenomeno delle operazioni "baciate" e nella conseguente alterazione dei dati patrimoniali, nucleo dal quale erano in effetti scaturite tanto le condotte di alterazione del prezzo dell'azione, quanto quelle di falsità in prospetto, quanto, infine, quelle di ostacolo alla vigilanza. Ebbene, il divieto di bis in idem sostanziale, finalizzato ad evitare eccedenze sanzionatone irrispettose del principio di proporzionalità della pena (divieto la cui portata sostanziale era stata recepita, nel solco delle pronunzie della Corte Edu e delia Corte di Giustizia Ue, anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza 43/18), avrebbe imposto, in ragione della sovrapponibilità fattuale delle imputazioni, l'esclusione del concorso dei reati, segnatamente facendo applicazione del principio di consunzione, con conseguente "sopravvivenza" della sola fattispecie di ostacolo alla vigilanza, più grave in ragione della contestazione della relativa aggravante di cui al terzo comma della disposizione incriminatrice di riferimento. Tale soluzione, del resto, sarebbe stata anche coerente con la doverosa considerazione del richiamato principio del nemo tenetur se detegere, rispetto al quale non poteva condividersi quanto sostenuto dal tribunale in ordine alla sua portata sostanzialmente limitata all'ambito processuale. In particolare, sul punto, per contestare la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva affermato che il principio in esame non avrebbe potuto trovare applicazione al di fuori dei casi previsti ex art. 384 c.p., l'appellante ha richiamato la sentenza della Corte di giustizia UE 24.2.2021 (là dove era stato riconosciuto, in conformità con i principi di cui agli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, il diritto al silenzio di chi fosse stato richiesto dall'autorità amministrativa di fornire notizie che avrebbero potuto esporlo a sanzioni penali), nonché la sentenza della Corte Costituzionale n. 112/19. 2.4-5 Infine, con il quinto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 7 dell'impugnazione), l'appellante ha censurato la violazione della disciplina in materia di confisca. In primo luogo, premesso che il tribunale aveva disposto la confisca per equivalente per un ammontare pari all'entità dei finanziamenti erogati per le operazioni "baciate" (considerando tali finanziamenti come i "beni utilizzati per commettere il reato", alla stregua della lettera dell'art. 2641 c.c. e delle considerazioni svolte, sul punto, dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza 112/19), l'appellante ha anzitutto censurato la decisione impugnata per la mancata previa verifica della concreta praticabilità della confisca diretta. In effetti, le considerazioni svolte dal primo giudice - là dove il tribunale aveva argomentato detta impossibilità sul rilievo della sottoposizione dell'istituto di credito a liquidazione coatta amministrativa -non trovavano affatto il conforto della univoca giurisprudenza di legittimità, essendo riscontrabile, in proposito, un contrario, preferibile orientamento. Per vero, l'esistenza di una procedura concorsuale non avrebbe potuto essere considerata preclusiva della confisca diretta dei beni della società, come anche precisato da recenti arresti della giurisprudenza di legittimità non solo con riferimento alla ablazione del profitto dei reati ma anche dei beni utilizzati per commetterli (Cass. Sez. V, 21.1.2020, nr. 5400; Cass. Sez. nr. 6391 del 4-18.2.2021). Peraltro, anche con riferimento al "conflitto" ravvisabile tra il vincolo imposto dall'apertura della procedura e quello discendente dal sequestro, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato la prevalenza del vincolo del sequestro (Cass. Sez. III, 18.1.2020, nr. 15776). Infine, neppure sussisteva, nel caso di specie, l'unico ostacolo effettivamente in astratto ravvisabile rispetto alla confisca diretta - ovverosia quello della riferibilità dei beni da sottoporre a confisca a soggetto estraneo al reato - non potendosi l'istituto di credito ritenere tale, avendo pacificamente tratto profitto dalla commissione dei reati. In secondo luogo, l'appellante ha evidenziato come sottoporre a confisca i finanziamenti concessi dalla B. per l'acquisto delle azioni proprie in quanto "beni utilizzati" per commettere i reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c., avrebbe violato i prìncipi costituzionali. In proposito ha richiamato la già citata sentenza Corte Cost. 112/19 che, ravvisata la natura sostanzialmente punitiva della confisca ex art. 187 sexies TUF in relazione ai beni utilizzati per commettere l'illecito in questione, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione in esame nella parte in cui prevedeva la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo e non del solo profitto. Questo, sul rilievo dei principi della personalità della responsabilità penale, della proporzionalità ed individualizzazione della pena e del necessario orientamento rieducativo della stessa. Sicché, tenuto conto del contenuto - del tutto speculare - ravvisabile tra la disposizione oggetto della citata declaratoria di incostituzionalità e quella di cui all'art. 2641 cc., ha sollecitato la Corte territoriale a fornire una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione da ultimo citata, con conseguente revoca della confisca disposta nei confronti di Zo.Gi., ovvero, in alternativa, a promuovere il relativo incidente di costituzionalità. Conclusivamente, l'appellante ha chiesto: - in via preliminare, dichiararsi l'incompetenza territoriale con conseguente trasferimento del procedimento all'autorità giudiziaria di Roma; - ai sensi dell'art. 603 c.p.p., disporsi la rinnovazione del dibattimento con escussione dei testi specificamente indicati nell'impugnazione e con l'espletamento di perizia ai fini di accertare entità e caratteristiche del fenomeno del capitale finanziato; - in via principale, assolversi l'imputato per non avere egli commesso il fatto, ovvero perché il fatto non costituisce reato e, conseguentemente, revocarsi la condanna al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili; - revocarsi la confisca per equivalente per mancata previa verifica della praticabilità della confisca diretta nei confronti di B.; - in ogni caso, escludersi la possibilità di applicare la confisca per equivalente in relazione ai beni utilizzati per commettere il reato, ovvero, in via gradata, sollevarsi la questione di costituzionalità con riferimento alla disposizione di cui all'art. 2641, co.2, c.c. per contrasto con gli articoli 3, 27, 42 Cost; - in via subordinata, previo assorbimento delle fattispecie di aggiotaggio e falso in prospetto nel più grave delitto di ostacolo alle funzioni di vigilanza, applicarsi il solo trattamento sanzionatorio previsto per tale ultima fattispecie; - comunque, contenersi la pena nel minimo e, questo, tanto con riferimento alla pena base quanto agli eventuali aumenti a titolo di continuazione, previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. 2.4.6 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, i difensori dell'imputato hanno ulteriormente argomentato in ordine alla erroneità della sentenza impugnata con riferimento alla confisca. Inoltre, hanno sollecitato la rinnovazione dell'attività istruttoria nei termini più oltre precisati. Sotto il primo profilo, da un lato, hanno richiamato, oltre alla già citata sentenza della Corte Costituzionale 112/19, le precedenti pronunzie del Giudice delle leggi nn.ri 68/17, 223/18 e 63/19, onde evidenziare la natura di sanzione penale non solo della confisca per equivalente ma anche di quella diretta, stante la sua valenza punitiva là dove la stessa abbia un carattere peggiorativo rispetto alla situazione patrimoniale precedente all'illecito; e, dall'altro, hanno evocato la recente modifica legislativa dell'art. 187 TUF per effetto della Legge Europea 238/21 (che ha escluso che potesse disporsi la confisca del prodotto del reato di abuso finanziario nonché dei beni utilizzati per commetterlo), trattandosi di innovazione legislativa inequivocabilmente attestante come, anche in materia penale, la confisca non possa eccedere il profitto dell'illecito. Conseguentemente, hanno denunziato l'illegittimità costituzionale, non solo, come già sostenuto negli originari motivi, della disposizione di cui all'art. 2641, 2° co, c.c., ma anche di quella di cui al comma primo del medesimo articolo, là dove dette disposizioni prevedono la confisca dei beni utilizzati per commettere il reato, ovvero di beni dal valore equivalente. Si tratterebbe, infatti, delle uniche (residue) ipotesi di disposizioni dell'ordinamento che, nell'ambito dei delitti finanziari, continuerebbero a prevedere la confisca dei beni utilizzati per la commissione del reato, peraltro attraverso il ricorso ad un criterio di quantificazione "rigido", non commisurato alla condotta del reo e non proporzionato al profitto eventualmente da questi conseguito, con violazione, sul punto, dei parametri di cui agli artt. 3, 27 Cost.. Di qui la richiesta, in via prioritaria, di interpretazione di dette disposizioni in modo conforme alla Legge fondamentale, con conseguente limitazione della confisca disposta nei confronti dell'imputato al solo profitto del reato. In subordine, hanno sollecitato la Corte a sollevare incidente di costituzionalità. In via di estremo subordine, infine, hanno chiesto la revoca della confisca perché applicata in difetto del requisito della sussidiarietà, stante la mancata verifica della praticabilità della confisca diretta nei confronti della società, non costituendo, sul punto, la procedura concorsuale un ostacolo decisivo. Sotto il secondo profilo, poi, hanno sollecitato - evocando la giurisprudenza della Corte Edu formatasi in relazione all'art. 6 CEDU - la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e, segnatamente, hanno chiesto l'escussione dei membri del CdA e del collegio sindacale che, già citati nel giudizio di primo grado, si erano in quella sede avvalsi della facoltà di non rispondere in quanto indagati, trattandosi di soggetti la cui posizione era stata medio tempore definita con provvedimento di archiviazione, con conseguente mutamento del regime giuridico di escussione testimoniale. Il principio di effettiva oralità, infatti, avrebbe imposto l'audizione dei testimoni - a fortiori nel caso di fonti mai escusse - non solo nel caso di giudizio d'appello che faccia seguito a sentenza di assoluzione, ma ogniqualvolta si imponga il riesame di una causa, in fatto o in diritto. E, nel caso di specie, le testimonianze dei componenti del CdA e del collegio sindacale rivestirebbero il carattere della decisività ai fini della comprensione dell'effettivo ruolo svolto dallo ZO. nell'ambito di B., tenuto peraltro conto delle peculiari considerazioni svolte, sul punto, nella sentenza di primo grado. Di qui la richiesta di escussione dei testimoni Br., Mo., Do., Zu., Ti., Pa., Sb., Bi., Ma., Fa., Za., Ca. e Pi.. 2.5 Appello proposto da Zi.Gi. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche il difensore di Zi.Gi.. 2.5.1 In particolare, con il primo motivo, l'appellante ha lamentato la erronea formula assolutoria adottata dal tribunale ("perché il fatto non costituisce reato") a fronte di un compendio probatorio che avrebbe dovuto necessariamente orientare per un proscioglimento motivato dalla estraneità dell'imputato alle condotte oggetto di imputazione, ovvero dall'insussistenza dei fatti allo stesso ascritti. A ben vedere, del resto, lo stesso apparato argomentativo della decisione era caratterizzato da plurimi, significativi passaggi nei quali, da un lato, si era dato atto dell'assenza "di alcuna significativa prova del coinvolgimento dell'imputato nella programmazione e/o attuazione delie condotte di manipolazione dei mercato e di ostacolo alla vigilanza, siccome cristallizzate nelle imputazioni" (così era dato leggere alle pagg. 768 e ss. della sentenza); e, dall'altro, si era precisato che "le condotte 0 addebitate a ZI. attengono alla sua operatività in veste di cliente coinvolto in operazioni illegittime", sicché "desumere da ciò la prova di un concorso materiale di condivisione operativa delie condotte manipolatone e di falsa informazione al mercato ed alla vigilanza" avrebbe comportato " una inammissibile semplificazione probatoria..." (così alle pagg. 771 e ss.). 2.5.2 Quindi, con il secondo motivo, ha censurato la erroneità della individuazione e della valutazione delle operazioni di finanziamento correlate all'acquisto di azioni Banca (...) che avrebbero dovuto essere detratte dal capitale della banca con riferimento all'"operazione Ze." In effetti, era errato ritenere che la Ze. s.r.l. avesse acquistato azioni dell'istituto di credito in attuazione di una operazione correlata. Si trattava, in particolare, di una conclusione alla quale il primo giudice era pervenuto sulla scorta delle deposizioni dei testi Ba. e Criscuolo, della contabilizzazione dei relativi interessi e del contenuto del memorandum redatto dall'imputato. Sennonché: - incontestato il fatto che la Ze. s.r.l. avesse impiegato, per l'acquisto di azioni B., finanziamenti erogati dallo stesso istituto di credito; s e considerato che, per unanime riconoscimento, costituiva prassi comune quella dell'erogazione di credito da parte delle banche popolari in favore dei rispettivi soci (come precisato dal teste Barbagallo, le dichiarazioni del quale, del resto, erano state anche riportate nella relazione scritta fornita nel corso dell'audizione parlamentare), ha osservato l'appellante che quella compiuta da Ze. s.r.l. non poteva affatto definirsi una operazione correlata. Sul punto, infatti, il tribunale aveva acriticamente sposato la tesi dei cc.tt. del P.M. - i quali, per individuare quali fossero le cc.dd. operazioni "baciate", avevano all'uopo considerato ogni finanziamento che fosse stato utilizzato per l'acquisto di azioni dell'istituto (a prescindere, quindi, dal tempo intercorso tra finanziamento ed acquisto, nonché dalla stessa percentuale riscontrabile tra entità del capitale erogato ed importo impiegato per l'acquisto dei titoli) - e, così facendo, aveva del tutto trascurato le contrarie, argomentate considerazioni spese dal prof. Pe. e dal prof. Gu., consulenti, rispettivamente, delle parti GI. e ZI.-ZO., là dove costoro avevano dettagliatamente evidenziato come, al fine di individuare correttamente le "baciate", si sarebbero dovuti considerare gli ulteriori criteri del "nesso teleologico" e (nell'ipotesi di acquisto di titoli sul mercato secondario) del "merito creditizio" (come anche precisato, a tale ultimo riguardo, dal teste Pa. il quale, in effetti, aveva sottolineato l'importanza, quale canone interpretativo, proprio del concetto del rischio di impresa). In ogni caso, la varietà dei criteri utilizzabili sul punto - e, quindi, l'incertezza che regnava in materia - era palesemente emersa dalle variegate prassi operative adottate, in proposito, dagli organi di vigilanza (CONSOB/Banca d'Italia/società di revisione). Del resto, gli stessi PP.MM., nel corso delle rispettive requisitorie (così come nella richiesta di archiviazione nel procedimento RGNR 3862/16 iscritto a carico di tutti i membri del CdA), avevano dato mostra di essere ben consapevoli di ciò. Ebbene, nel caso della Ze. srl era decisivo considerare che tale società aveva rimborsato l'intero finanziamento di 14 milioni (versando 8,5 milioni attinti dalla liquidità propria e 5,5 milioni derivanti dalla vendita parziale degli 11 milioni in azioni B. detenuti da tale società), nonostante tale restituzione fosse poi stata del tutto obliterata nella sentenza impugnata. Più nel dettaglio, l'appellante ha precisato: - che Ze. s.r.l. era una holding finanziaria ed immobiliare, nell'ambito della quale l'imputato - il quale, peraltro, poiché quotidianamente impegnato presso l'Associazione Industriali, si recava di rado presso la sede della suddetta società - si occupava delle partecipazioni (all'epoca ammontanti, complessivamente a circa 15 milioni), mentre il fratello, Zi.Gi., curava gli investimenti immobiliari (all'epoca aventi un valore complessivo di circa 10 milioni); - che i fratelli ZI., nell'anno 2008, con i proventi della vendita delia partecipazione nella società Tr., avevano acquistato, per un controvalore di 1,2 milioni di euro, azioni B. ed avevano altresì sottoscritto, per un valore di 300.000 euro, un prestito obbligazionario convertibile, così portando la loro partecipazione nell'istituto di credito ad un valore di circa 1,5 milioni di euro (valore al quale si doveva poi aggiungere quello delle azioni detenute a titolo personale); - che, quindi, tra i titoli posseduti tramite Ze. s.r.l. e quelli posseduti dall'imputato a titolo personale, si era in presenza di strumenti finanziari aventi un valore complessivo di circa 8,5 milioni di euro, sicché lo stesso imputato, dopo il presidente ZO., era il maggior azionista della banca e, quindi, tra i soggetti che avevano subito il danno più consistente (al quale, peraltro, doveva aggiungersi il pregiudizio rappresentato dagli oltre 700,000 euro pagati a titolo di interessi passivi per i finanziamenti ottenuti dalla predetta Ze. s.r.l.); - che, nel 2012 - ovverosia nel periodo nel quale si collocavano le operazioni oggetto di contestazione - Ze. s.r.l. aveva in essere una pluralità di trattative commerciali (alcune poi concretizzatesi, altre no) per un importo complessivo di 14-15 milioni di euro (tra le operazioni in questione l'appellante ha dettagliatamente richiamato quelle relative ad "Ar", a "Do.", a Sa.Im." ed a "Ne.Co.") e, non avendo la liquidità necessaria per portarle a termine, aveva ricercato sul mercato un idoneo finanziamento, innanzitutto rivolgendosi ad U., con cui già intratteneva rapporti, e, successivamente, stanti le difficoltà operative che erano emerse (segnatamente, la necessità di disinvestimento di strumenti finanziari, come precisato dal teste Vi.), seguendo il suggerimento di Gi.Em., a B.; - che era stato intorno alla fine di settembre - inizi di ottobre 2012 che il GI. aveva iniziato ad istruire la pratica di finanziamento per un importo di 12,5 milioni di euro, importo dalla banca ritenuto coerente con il merito creditizio di Ze. s.r.l.; - che solo successivamente - in un "secondo momento" (rispetto all'avvio della pratica di finanziamento) seguendo la terminologia dell'appellante - era stato comunicato a B. che parte di questo importo, pari a circa 2,5 milioni di euro, sarebbe stato impiegato per l'acquisto della partecipazione in Ar., come precisato dai testi Ba. e Cr., il quale ultimo figurava come il proponente della P.E.F. (proposta di fido elettronica), peraltro significativamente caratterizzata da una motivazione sottostante tutt'altro che generica; - che solo a questo punto (e, quindi, in un "terzo momento") lo ZI. era stato richiesto di investire la rimanente somma di 10 milioni di euro (somma che non aveva ancora impiegato, né lo avrebbe fatto a breve) in azioni della banca, fermo restando che, non appena Ze. s.r.l. avesse venduto dette azioni, avrebbe investito il relativo importo nell'acquisto di partecipazioni in altre società, come desumibile, ancora, dalle deposizioni dei citati Ba. e Cr.- Ebbene, tale scansione degli eventi rendeva evidente come l'operazione conclusa da Ze. s.r.l. con B. non fosse affatto una operazione di "portage". Quindi, con riferimento all'Aucap 2013, il difensore ha evidenziato che si era trattato dell'adesione, da parte di Ze. s.r.l. all'operazione di aumento di capitale, adesione effettuata utilizzando, per l'importo complessivo di 1 milione di euro (500,000 euro investiti in azioni, altrettanti in obbligazioni), parte del fido di 1,5 milioni concesso dall'istituto, il tutto mentre la restante parte del finanziamento era stata destinata all'impiego in altre operazioni commerciali, come dettagliatamente riferito dall'imputato nel corso del proprio esame. Quanto, poi, alla vendita parziale delle azioni B. detenute da Ze. s.r.l. effettuata nel 2014, si era trattato della cessione di 88,000 azioni, per un controvalore di 5,5 milioni (ovverosia della vendita di circa la metà delle azioni dell'istituto detenute dalla società in questione), motivata esclusivamente da ragioni fiscali (segnatamente, dalla impossibilità di dedurre completamente gli interessi passivi del finanziamento, stante la natura di società mista immobiliare-finanziaria di Ze. s.r.l., come precisato dal consulente fiscale dott. Ba.). Peraltro, anche successivamente alla svalutazione dell'azione, gli interessi del finanziamento erano stati regolarmente corrisposti da Ze. s.r.l. con fondi propri e, già a maggio del 2014, la società aveva parzialmente restituito il finanziamento (poi rinegoziato ed estinto nel 2016) per l'importo di 1,2 milioni di euro, senza vendere alcuna azione; circostanza, questa, logicamente incompatibile con una operazione concordata ab origine. In definitiva, nessuna delle operazioni di acquisto di azioni B. poste in essere da Ze. s.r.l. aveva le caratteristiche proprie delle "baciate", se non quella della vicinanza temporale (caratteristica, quest'ultima, significativa secondo i parametri valorizzati dalla BCE ma, ad esempio, non per quelli adottati dalla CONSOB). Si era in presenza, infatti, di operazioni: - poste in essere a seguito di finanziamenti inizialmente destinati all'acquisto di partecipazioni in altre società; - caratterizzate da causali dettagliate; - realizzate da società il cui merito creditizio era ampiamente sussistente; s prive di scadenza, bensì connotate dal mantenimento, per un tempo significativo, dei titoli, poi venduti (peraltro solo in parte) unicamente per ragioni fiscali; - non connotate dallo storno di interessi, né dal rilascio di lettere di garanzia; - rispetto alle quali erano stati regolarmente pagati gli interessi (nella specie per l'importo, non certo irrilevante, di 700,000 euro); - alle quali, infine, aveva fatto seguito la restituzione del finanziamento (peraltro effettuata, in prevalenza, con fondi propri). Conseguentemente l'appellante ha escluso che si trattasse di operazioni che avrebbero dovuto comportare lo scomputo dell'importo finanziato dal patrimonio di vigilanza. Inoltre ha contestato che deponessero per la natura correlata delle operazioni effettuate da Ze. s.r.l. le circostanze pure all'uopo valorizzate dal primo giudice ai punti 2 e 2.1 della sentenza impugnata. Così era per il messaggio sms ("Faccio anche ZI.. Ma. d'accordo, Vedi problemi?") intercorso tra GI. e So. di cui al documento 661 del P.M., trattandosi di comunicazione che, al più, dimostrava che quello che era stato fatto era avvenuto all'insaputa dell'imputato; cosi per l'ulteriore messaggio sms ("Ti ricordo ZI. da parlarne con Presidente per fido da farsi sulla finanziaria") inviato da MA. a So. di cui al doc. 665 del P.M., in quanto privo di ogni valore probatorio (risultando evidente il riferimento alla disciplina ex art. 136 TUB e, dunque, alla necessità di avvertire il presidente affinché venisse adottata la relativa procedura di uscita dall'aula dell'interessato); così, inoltre, in relazione alla tabella - peraltro non redatta dall'imputato - contenente lo specchietto di riepilogo delle competenze di cui al documento nr. 737 del P.M., essendo inequivoco che quello del 4,75% ivi indicato era il tasso interno applicato ad Ar. per il favore fattole da Ze. (s.r.l. anticipandole la relativa somma, come precisato dal teste Fr. e come anche dimostrato dal documento nr. 16 prodotto dalla difesa all'udienza 30.6.2020; così, ancora, in ordine alla e-mail di cui al documento nr. 121 del P.M., trattandosi di comunicazione inerente ad una richiesta di rimborso da intendersi come avente ad oggetto la riduzione legittima dei tassi più volte sollecitata da Gi.ZI. e, per suo conto, dalla impiegata della Ze. s.r.l. Ca.Ro., come da quest'ultima precisato nel corso della propria escussione dibattimentale; così, infine, in relazione al rimborso di cui al documento nr, 121 del P.M., trattandosi di documento che andava interpretato come conseguente non già ad una richiesta di storno bensì di mitigazione dei tassi di interesse (peraltro mai andata a buon fine), come desumibile dalla congiunta valutazione delle deposizioni rese dai testi Cr., Ma. ed Am.- Quanto, poi, alle intercettazioni telefoniche valorizzate dal primo giudice al punto 2,2 della sentenza, trattavasi di conversazioni tutte successive ai fatti e che, ove debitamente contestualizzate, non avrebbero potuto affatto costituire elementi di prova a carico, attestando piuttosto - ed unicamente - il disperato tentativo dell'imputato di comprendere la ragione per la quale figurasse tra gli indagati. In tal senso, infatti, andava interpretata la telefonata nr. 135 del 25.8.2015, intercorsa con Bo.Lu. (conversazione nella quale l'imputato aveva affermato di essere uno dei consiglieri finanziati dall'istituto, al contempo negando di essere a conoscenza del fatto che tale pratica riguardasse altri soci), come, d'altronde, convincentemente spiegato dallo stesso ZI. nel corso del proprio esame dibattimentale. Infine, in relazione al memorandum di cui al documento del P.M. nr, 731, parimenti valorizzato al punto 2.2 della sentenza, il difensore ha rappresentato trattarsi di documento redatto "di getto" dal proprio assistito (il quale, peraltro, aveva fatto confusione in ordine alle date delle operazioni effettuate con Ze. S.r.l.); documento, tuttavia, che conteneva il riferimento alle sole operazioni effettuate dalla predetta Ze. s.r.l. per le quali la società aveva pagato interessi passivi ed il cui complessivo tenore, a ben vedere, deponeva per la più totale ed assoluta ignoranza di aver posto in essere operazioni anche solo irregolari. Infine, il difensore ha evidenziato come i punti 3, 4 e 5 della sentenza avessero fatto riferimento a temi (trattasi, segnatamente: dell'operazione effettuata da Gi.ZI.; dell'operazione U. inerente al finanziamento utilizzato dall'imputato per l'acquisto di derivati e non di azioni della banca; della e-mail inviata a GI. e Gi. nella quale l'imputato precisava "B. non opera con questa politica e che forse hanno capito male o il funzionario non si è espresso bene") estranei alla imputazione. Ha concluso, pertanto, chiedendo la modifica, in termini più favorevoli, della formula adottata dal primo giudice per mandare assolto Zi.Gi. e, segnatamente, insistendo per il proscioglimento del proprio assistito non già "perché il fatto non costituisce reato", bensì "per non avere commesso il fatto". 3. Appello proposto da Banca (...) in liquidazione coatta amministrativa. Avverso detta sentenza ha interposto appello Banca (...) in L.C.A. con impugnazione che ha devoluto alla cognizione della Corte i punti della sentenza inerenti alla affermazione di responsabilità dell'ente in relazione agli illeciti amministrativi ascritti ai capi di imputazione sub A2, B2, C2, D2, E2 F2, G2, H2, M2 ed N2, al mancato riconoscimento dell'attenuante ex art. 12, co.2 lett. b, D. L.vo 231/01, alla quantificazione del profitto del reato di ostacolo alla vigilanza di cui al capo N2, alla quantificazione della sanzione ed alle spese processuali. 3-1 Con il primo motivo ha censurato la sentenza impugnata sul rilievo della erroneità dell'affermazione della sussistenza dell'interesse ovvero del vantaggio per l'ente derivante dai reati presupposti. In particolare, il primo giudice aveva esplicitamente sostenuto che i reati in contestazione, sebbene parte integrante di una politica di impresa che, all'esito, si era addirittura rivelata dannosa per l'istituto di credito, fossero stati espressione di una attività posta in essere nell'interesse ed a vantaggio di tale ente, in quanto strumentali a non farne emergere l'operatività illecita e, così, per un verso, a consentire l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, ad assicurare il mantenimento di quello esistente. Questo, sul rilievo della doverosa distinzione tra le singole operazioni di capitale finanziato, da un lato, e le specifiche condotte delittuose, dall'altro; condotte, queste ultime, successive alle prime e funzionali a consentire di realizzare un vantaggio economico immediato nei termini anzidetti. In definitiva - ha precisato l'appellante - il tribunale aveva tarato la prospettiva di giudizio sulla valutazione dell'interesse dell'ente in un momento successivo rispetto alle condotte delittuose. Ebbene, tale interpretazione era errata. In effetti, il difensore, dopo avere premesso: - che la differenza tra l'ente attuale (B. in L.C.A.) e quello amministrato/diretto dagli imputati non aveva rilevanza alcuna in punto di responsabilità amministrativa, in ragione della "autonoma oggettività" che costituiva la "cifra interpretativa" della disciplina in materia; - che il criterio di ascrizione stabilito ex art. 5 D.L.vo 231/01 imponeva di avere riguardo all'interesse o al vantaggio in relazione al singolo e specifico fatto di reato presupposto volta a volta addebitato alla persona fisica; - che il fatto del quale l'ente era chiamato a rispondere, trattandosi di fatto proprio ed autonomo dell'ente medesimo, non poteva identificarsi con il reato commesso, sottolineava come l'elemento costitutivo delia responsabilità amministrativa rappresentato dall'interesse/vantaggio dovesse essere valutato con diretto riferimento alla persona giuridica e dovesse essere necessariamente tale, in un'ottica di valutazione ex ante, da prospettare il verificarsi di una situazione migliorativa per l'ente in questione; prospettiva, peraltro, da valutarsi in termini squisitamente oggettivi e non già sulla base della ricostruzione "dell'attitudine psicologica dell'autore del reato presupposto", nella sfera esclusiva del quale restavano, per contro, gli estremi costitutivi del reato perpetrato. Donde, sotto tale profilo, l'impossibilità di valutare l'interesse dell'ente sulla base del movente che aveva guidato gli autori del reato e che, ripetutamente, era stato da costoro identificato "nell'interesse della banca". In altri termini l'interesse rilevante era solo quello, per un verso, avente una dimensione oggettiva e, per altro verso, identificabile, ex ante, in un reale utile per l'ente; utile, peraltro, da valutarsi in una prospettiva funzionale e (strumentale rispetto alla persona giuridica. Quanto al vantaggio, poi, valevano le medesime considerazioni, con la precisazione, tuttavia, che la identificazione di tale elemento presupponeva una valutazione da effettuarsi ex post. Ebbene, già tali considerazioni consentivano - ad avviso dell'appellante - di apprezzare l'errore di valutazione nel quale era incorso il primo giudice, solo a considerare, da un lato, che non rientrava certamente nell'interesse della banca effettuare un aumento di capitale con mezzi della banca medesima (trattandosi di operazione che, sin dal momento genetico, si presentava come foriera di un impoverimento patrimoniale dell'istituto); e, dall'altro, che nessun vantaggio era derivato alla B. dai reati perpetrati dagli imputati, reati che, al contrario, avevano generato un pregiudizio di vaste dimensioni. Più nel dettaglio, con riferimento al fenomeno sottostante alle condotte contestate di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, il difensore ha sottolineato - alla stregua, segnatamente, di quanto riferito dai testi Ba. e Io. -come gli aumenti di capitale effettuati negli anni 2013 e 2014, lungi dal rafforzare la stabilità patrimoniale dell'istituto vicentino, avessero unicamente creato una parvenza di stabilità e solidità economico-finanziaria (posto che si erano tradotti in una costruzione fittizia di patrimonio). Per un verso, infatti, le risorse utilizzate per gli aucap erano state fornite dal medesimo istituto di credito, sicché non vi era stata alcuna reale immissione di nuove risorse finanziarie; e, per altro verso, la neutralizzazione degli interessi passivi attraverso il cosiddetto "storno" si era tradotta in un depauperamento per l'istituto di credito, per effetto di operazioni "in perdita" (come del resto emerso nel corso dell'esame dell'imputato MA. e comprovato da specifiche deposizioni testimoniali). In effetti, la deposizione del teste ispettore Ma. era stata illuminante in ordine all'antieconomicità di tali operazioni. Il contenuto delle lettere di impegno rinvenute nel corso dell'ispezione BCE, poi, aveva confermato il carattere pregiudizievole per il patrimonio societario delle operazioni suddette (in quanto sostanzialmente tali da trasformare le azioni in obbligazioni, senza alcun reale apporto di risorse nuove in cambio di una quota parte del capitale sociale, come precisato dalla teste Pa.). Donde l'impossibilità di ravvisare, ex ante, alcuna positiva ripercussione di tali operazioni, poste in essere dalle persone fisiche, sulla persona giuridica. Inoltre, altrettanto pregiudizievoli per l'istituto di credito erano state le operazioni legate all'investimento di circa 350 milioni di euro nei fondi lussemburghesi "At." ed "Op.", in considerazione della natura delle operazioni poste in essere, del tutto eccentriche (come emerso solo al momento della disclosure circa il sottostante dei fondi) rispetto all'interesse di B., peraltro unico sottoscrittore dei fondi medesimi, con conseguente aumento del rischio di danno in caso di scelta di disinvestimento (come precisato dal teste Li.), danno, poi, puntualmente verificatosi (come evidenziato dal teste Io.). D'altronde, le operazioni suddette - e, in particolare, le "operazioni baciate" - avevano costretto la govemance aziendale subentrata a seguito delle verifiche BCE a fronteggiare una situazione davvero critica, di assoluta debolezza rispetto al tentativo di recuperare le perdite della precedente amministrazione (amministrazione, la prima, che aveva concesso fidi a clienti dall'apparente merito creditizio, la capacità restitutoria dei quali, al contrario, nella maggior parte dei casi, era risultata inesistente, con l'ulteriore anomalia che le garanzie dei finanziamenti erano state costituite, sovente, dalle stesse azioni; circostanza, questa, che si era riverberata negativamente, ab origine, sulla possibilità di recupero del capitale erogato). Tanto precisato con riferimento all'operatività sottostante alle condotte delittuose ex artt. 2637 e 2638 c.c., il difensore ha ribadito come la sottoscrizione di azioni di nuova emissione attraverso finanziamenti erogati dallo stesso istituto emittente, al pari dell'acquisto delle azioni B. sul mercato secondario ugualmente effettuato attraverso l'erogazione di credito da parte della banca vicentina, fossero operazioni che, sin dall'origine, compromettevano la consistenza economico-patrimoniale dell'istituto. Ed analoghe conclusioni si imponevano per gli investimenti nei fondi lussemburghesi e per gli impegni di garanzia. Ciò posto, era su tali modalità operative sottostanti che si erano innestate le condotte di occultamento, con mezzi fraudolenti, dell'effettività della situazione. Nondimeno, si trattava di condotte (volte a far apparire come effettivo un aumento di capitale; ovvero a sostenere artificiosamente l'appetibilità del titolo; ed, in ogni caso, a nascondere la effettività della situazione sottostante) del tutto distoniche e configgenti, sul piano oggettivo, con l'interesse di B., istituto che, al pari di qualsiasi altra banca, non poteva certo ritenersi oggettivamente interessato ad un aumento di capitale fittizio, tale da risolversi in un depauperamento della consistenza economica della banca. In un siffatto contesto, la tesi espressa dal tribunale, secondo il quale i reati erano stati "strumentali proprio a non rivelare tale operatività lungi dal comprovare l'esistenza di un interesse della banca rispetto a ciascun singolo reato, deponeva in senso esattamente opposto, dato che l'istituto aveva il contrario interesse di concludere operazioni sostenibili, ovvero di interrompere una operatività pregiudizievole per i propri obiettivi istituzionali. L'esito drammatico per B. del disvelamento dell'occultamento di tali irregolari modalità operative, del resto, confermava come queste ultime fossero in radicale contrasto con gli obiettivi della banca. A ben vedere, infatti, il reato ex art. 2638 c.c., non poteva affatto sostenersi fosse stato perpetrato nell'interesse dell'ente, trattandosi di delitto sostanziatosi nell'occultamento alla autorità di vigilanza di informazioni che, se comunicate, avrebbero impedito il rilascio dei nulla osta necessari per gli aumenti di capitale, ovvero per il riacquisto delle azioni proprie e, cioè, per operazioni tutte certamente dannose, sin dall'origine, per l'ente medesimo (come concluso, in fattispecie analoga, dal P.M. presso il tribunale di Siena nel decreto di archiviazione prodotto in allegato all'atto di appello, sub 1), In buona sostanza, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, l'interesse della banca non avrebbe certo potuto essere individuato nell'occultamento della debolezza patrimoniale dell'istituto medesimo al fine di "conseguire afflussi di capitale e mantenere l'operatività" e, così, scongiurare interventi più incisivi dell'autorità di vigilanza, trattandosi di obiettivi contrari a quelli propri di un ente bancario e, anzi, forieri di rischi e pericoli. Diversamente opinando - ha osservato l'appellante - ogni condotta di aggiotaggio ed ostacolo alla vigilanza finirebbe per trarre seco la responsabilità amministrativa dell'ente, anche nelle ipotesi, quali quelle sub iudice, caratterizzate da condotte produttive, ab origine, di un depauperamento per l'ente medesimo, con conseguente surrettizia introduzione di una sorta di responsabilità oggettiva della persona giuridica. Peraltro, la circostanza che la disposizione di cui all'art. 5, co. 2 D. L.vo 231/01 non contenesse riferimento alcuno alla nozione di vantaggio, costituiva significativo indice del fatto, con riferimento alla ipotesi disciplinata dal precedente comma, che, in assenza del relativo interesse, non sarebbe ravvisabile la responsabilità dell'ente. In effetti - ha osservato, conclusivamente, il difensore - l'unico interesse ravvisabile nella specie era quello, esclusivamente proprio del gruppo dirigente, ad occultare la reale situazione dell'istituto di credito per mantenere, il più a lungo possibile, ruoli e posizioni professionali di prestigio ed al contempo scongiurare il discredito che sarebbe derivato da una emersione del fenomeno in esame, interesse che gli imputati avevano perseguito ad ogni costo, in radicale contrasto con quello dell'istituto di credito. 3.2 Con il secondo motivo, poi, il difensore ha contestato la sussistenza della responsabilità dell'ente sotto il diverso profilo della asserita inidoneità del modello di organizzazione e gestione predisposto per la prevenzione dei reati e, in ogni caso, in ragione dell'asserita elusione fraudolenta dello stesso da parte dei vertici aziendali. In particolare l'appellante ha censurato le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, sostenendo, per contro, che B., nel predisporre ed attuare il modello di organizzazione, non si sarebbe affatto discostata dal comportamento astrattamente doveroso, con la conseguenza che, in difetto di un effettivo "scarto" tra ente modello ed ente concreto, difetterebbe il requisito dell'illecito amministrativo costituito dalla "colpa di organizzazione", siccome delineata ex art. 6 D. Lvo 231/01; colpa in concreto insussistente ove, come nella specie, il modello avesse caratteristiche tali da poter essere eluso solo attraverso un comportamento fraudolento. Ciò posto, dopo avere premesso: - che il difetto di analiticità del modello, lungi dall'esprimerne l'inadeguatezza, risponderebbe piuttosto all'ineludibile esigenza di non comprimere la libertà di organizzazione dei fattori produttivi; v che il carattere "ideale" del modello non avrebbe potuto essere "ipostatizzato", dovendosi necessariamente avere attenzione ad un modello "relativamente ideale", tenuto conto dell'attività concretamente svolta dall'ente, delle dimensioni dello stesso e, più in generale, delle caratteristiche tutte della persona giuridica di riferimento; - che, inoltre, nella valutazione del giudizio sulla sussistenza della colpa, rettamente intesa come "rimproverabilità", si sarebbero dovuti adeguatamente considerare eventuali profili di inesigibilità; s che, Infine, non si sarebbe certo potuto far automaticamente discendere dalla commissione dei reati la conclusione circa l'inadeguatezza del modello, il difensore ha analizzato le caratteristiche del modello di organizzazione effettivamente adottato da B., specificando che si trattava di modello - progressivamente aggiornato, sino al 2014 - ispirato ai principi ed alle linee guida dell'ABI.. Più nel dettaglio, la Sezione 11° del modello, con specifico riferimento alla funzione di vigilanza, prevedeva l'esistenza di un organo di controllo che, introdotto nel 2003, a decorrere dal 2008 era stato trasformato in un Organismo di Vigilanza ad hoc, composto da tre membri (il responsabile dell'audit e due soggetti esterni), munito di numerosi poteri (necessari per attuare le procedure di controllo, svolgere verifiche periodiche, coordinarsi con il responsabile della formazione del personale, raccogliere ed elaborare dati rilevanti, verificare le esigenze di aggiornamento del modello) e che curava una funzione di reporting agli organi sociali. Tale Organismo, poi, era integrato da specifiche responsabilità facenti capo alle diverse funzioni aziendali. L'Organismo di Vigilanza, a sua volta, riceveva informazioni e garantiva che coloro che avessero effettuato una segnalazione non subissero conseguenze negative di sorta da tali comunicazioni/denunzie. Inoltre, il modello, da un lato, includeva anche un sistema disciplinare quale elemento costitutivo dell'attività di controllo (sistema che contemplava un apparato sanzionatorio applicabile non solo agli organi apicali, ma a tutti i dipendenti dell'istituto, oltre ai collaboratori esterni); e, dall'altro, prevedeva un continuo monitoraggio del funzionamento del modello stesso, promuovendo all'uopo gli aggiornamenti ritenuti necessari. Nella Sezione IIIA, poi, era delineato un sistema preventivo (suddiviso nelle sotto-sezioni "Rischio", "Processo", "Funzioni Coinvolte", "Protocolli di controllo", "Normativa interna vigente") rivolto alla prevenzione del pericolo di commissione di specifici reati (questi ultimi, peraltro, oggetto di puntuale "mappatura" in un apposito allegato). E, con particolare riferimento alle ipotesi delittuose contestate, l'appellante ha precisato che, contrariamente a quanto sostenuto a pag. 795 della sentenza impugnata, per un verso, la procedura di redazione dei bilanci e la tenuta della contabilità erano effettuate facendo applicazione di manuali appositamente concepiti (ai quali si aggiungevano i "funzionigrammi", gli organigrammi ed i regolamenti interni pubblicati sull'intranet aziendale); e, per altro verso, specifica attenzione era dedicata proprio alle operazioni potenzialmente incidenti sull'integrità del capitale e/o del patrimonio sociale. Anche con riferimento alla trasparenza, poi, il modello conteneva specifiche disposizioni e, così, svolgeva una funzione, sul punto, "integrativa": alle procedure vigenti, infatti, aggiungeva disposizioni ulteriori relative all'osservanza della normativa societaria. In definitiva, quello adottato dall'istituto di credito vicentino era un valido presidio rispetto al rischio di commissione delle fattispecie penali di riferimento. In ogni caso, dopo avere ripercorso struttura e contenuto del modello, l'appellante si è concentrato sulle censure specificamente contenute nella sentenza impugnata, secondo la quale le carenze del modello in questione sarebbero state riferibili: - in primo luogo, alla composizione dell'Organismo di Vigilanza; se, in secondo luogo, all'inefficacia del modello rispetto ai reati contestati agli imputati. Ebbene, sotto il primo profilo, era sufficiente evidenziare come le stesse linee guida predisposte dall'ABI nel 2004 lasciassero ampia discrezionalità con riferimento alla composizione dell'ODV (nel senso che era previsto che le banche potessero creare un organismo ad hoc, ovvero utilizzare un organismo o una funzione già esistenti). Inizialmente la scelta di B. si era indirizzata verso un organo composto dal responsabile dell'internal audit affiancato da due soggetti esterni; quindi, nel 2014, l'istituto vicentino aveva modificato la composizione dell'organo in questione, in linea, peraltro, con l'evoluzione normativa in materia. A seguito dell'inserimento del co, 4 dell'articolo 6 D.Lvo 231/01 per effetto della legge di stabilità del 2012, infatti, B. aveva attribuito al Collegio Sindacale le funzioni in questione. Sicché, sul punto, le scelte della banca non potevano essere censurate. Quanto al secondo profilo, poi, il tribunale era pervenuto ad una valutazione di responsabilità per effetto di una erronea valutazione di inidoneità, conseguente alla stessa commissione dei reati e, in sostanza, adottando un criterio di giudizio basato su un inammissibile automatismo, di fatto tale da rendere del tutto inutili le previsioni ex artt. 6 e 7 D.Lvo 231/01. Per contro, ogni valutazione sul punto avrebbe dovuto essere effettuata secondo i criteri della "prognosi postuma" (pena la inevitabile, costante conclusione, in caso di commissione dei reati, della inadeguatezza del modello adottato dall'ente). Peraltro - ha proseguito, sul punto, il difensore - l'erroneità delle conclusioni, cui era giunto il primo giudice sarebbe emersa in termini di maggiore evidenza ove si fosse debitamente considerata la natura fraudolenta ed elusiva delle modalità di commissione del reato da parte delle persone fisiche in posizione apicale. L'elusione del modello organizzativo da parte di tali soggetti, infatti, era stata tale da "segnare una evidente scissione tra l'ente medesimo e il soggetto apicale autore del reato", la condotta di quest'ultimo non potendosi ritenere espressione "della politica di impresa dell'ente stesso", ma costituendo "una scelta personale e propria dell'autore dei fatto di reato". In definitiva - ha precisato l'appellante - "quando l'autore dei reato è un soggetto apicale, l'ampiezza dei poteri a questi conferiti introduce la variabile umana dell'abuso; essa segna i confini sussistenti tra i comportamenti ex ante prevedibili certamente compresi tra i pericoli che un valido modello organizzativo deve saper inibire, da un lato; e, dall'altro, quelli dei quali è predicabile un'intrinseca valenza fraudolenta perpetrati mediante l'abuso dei supremi poteri sociali come tali necessariamente ribelli alla possibilità di un qualsiasi controllo, seppure ben concepito e calibrato". E, sul punto, erano evidenti tanto le modalità fraudolente adottate per porre in essere le operazioni di capitale finanziato (solo a pensare alle clausole generiche inserite nei contratti di finanziamento), quanto la strumentalità delle operazioni di investimento estero nei fondi lussemburghesi. Donde la conclusione circa l'adeguatezza del modello organizzativo adottato da B.. 3.3 Quindi, con il terzo motivo, articolato in via subordinata, il difensore ha censurato il mancato riconoscimento dell'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b, D. L.vo 231/01, nonché l'errata quantificazione della sanzione pecuniaria rispetto ai criteri di determinazione del valore e del numero delle quote, anche in relazione all'aumento delle quote medesime per effetto della disciplina della pluralità di illeciti. Innanzitutto, la circostanza che la Banca si fosse dotata di un modello organizzativo sin dal 2002 ed il fatto che l'istituto avesse ristorato, a titolo transattivo, ben 66.770 azionisti, avrebbero dovuto fondare il contenimento nei minimi sia del numero delle quote che dell'aumento derivante dalla pluralità degli illeciti. La concessione dell'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b, D.L.vo 231/01, poi, avrebbe dovuto indubbiamente trovare riconoscimento. Questo, solo a considerare debitamente la condotta adottata dall'istituto di credito che, successivamente all'ispezione BCE, aveva prontamente provveduto alla revisione del modello organizzativo, dimostrando l'incontrovertibile intenzione dell'ente di dotarsi di un valido presidio per la prevenzione della commissione di ulteriori illeciti a seguito del disvelamento della mala gestio della precedente amministrazione. Infine, l'importo della singola quota era stato fissato senza tenere adeguatamente conto, come invece prescritto dall'art. 11 D.Lvo cit., delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente, al fine di assicurare l'efficacia della sanzione. La liquidazione dell'istituto di credito, invero, rendeva evidente l'inconciliabilità del valore della singola quota rispetto alla condizione dell'ente medesimo, con un conseguente "peso" della sanzione irrogata in misura sproporzionata rispetto alla effettiva responsabilità. Di qui la richiesta di determinazione nel minimo edittale della sanzione amministrativa irrogata a B. in L.C.A. 3.4 Inoltre, con il quarto motivo, l'appellante ha censurato la quantificazione del profitto del reato di ostacolo alla vigilanza contestato al capo N2 e, conseguentemente, del valore della relativa confisca. Il primo giudice, infatti, aveva disposto, nei confronti dell'istituto di credito, la confisca per l'importo di euro 74,212.687,50, quale indebito profitto del reato di ostacolo alla CONSOB perpetrato in occasione dell'aumento di capitale del 2014. In particolare, in occasione di tale aucap, l'operazione straordinaria era stata effettuata omettendo, nei confronti dell'investitore-sottoscrittore, il test di adeguatezza. In effetti, all'esito della replica del test di adeguatezza effettuato in sede ispettiva, era emerso che, su circa 10.812 sottoscrizioni, una parte consistente di operazioni, segnatamente 7.795, era stata effettuata da soggetti (non finanziati) ritenuti "inadeguati"; soggetti, pertanto, che non avrebbero potuto procedere in tal senso ovvero che avrebbero dovuto disporre di un adeguato compendio informativo. Sennonché, l'appellante ha segnalato che il profitto derivato dalle irregolari modalità di esecuzione dell'aumento di capitale, più che dall'ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB posto in essere dal GI. (ovverosia dall'imputato del reato presupposto contestato sub NI), era ascrivibile al reato ex art, 173 bis D.Lvo 58/98, contestato al capo L), di falso in prospetto relativo al medesimo aumento di capitale dell'anno 2014; delitto, tuttavia, non ricompreso nel novero dei reati presupposto di cui al D.L.vo 231/01. Donde l'impossibilità di sanzionare l'ente per la corrispondente condotta e, conseguentemente, l'insussistenza dei presupposti per la confisca del profitto del reato nei confronti dell'ente medesimo. Di qui la richiesta di dissequestro e restituzione della somma di euro 74.212,687,50. 3.5 Infine, con il quinto motivo, ha sollecitato la revoca della condanna al pagamento delle spese processuali quale effetto della invocata assoluzione dell'ente. 4 Gli appelli del P.M. 4.1 Appello inerente alla posizione di Pe.Ma. Il P.M. presso il tribunale di Vicenza ha impugnato l'assoluzione di Pe.Ma., assoluzione che il primo giudice aveva motivato sul rilievo dell'assenza di prova circa il coinvolgimento dell'imputato nella strutturazione dell'operatività delle "operazioni baciate" (e, ancor prima, circa la stessa effettiva conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno in esame, con specifico riferimento alle caratteristiche della prassi delle operazioni correlate ed alla loro diffusività) ritenendo, per contro, ragionevolmente dimostrato che costui, al più, avesse nutrito sospetti in proposito e, tuttavia, ne avesse sottovalutato le portata e le implicazioni in punto di incidenza sul patrimonio di vigilanza e sui coefficienti prudenziali. Ad orientare in tal senso le conclusioni del tribunale - ha precisato l'appellante - erano state, essenzialmente, le deposizioni rese dai testi Fa., Tr., Mo. e Li., la vicenda della disclosure sui fondi "At." ed "Op." al giugno 2014, l'episodio degli accertamenti effettuati dalla società K. incaricata della revisione del bilancio al 31.12.2014 e, infine, l'intervento dell'imputato durante la seduta del CdA dell'1.4.2014. Per contro, le circostanze della partecipazione dell'imputato al Comitato di Direzione 8.11.2011 ed alla riunione del 7.1.2015, il contenuto della registrazione della seduta del Comitato di Direzione 10.11,2014 e le deposizioni dei testi Am., Ba., Tu. e So. in ordine alle riunioni dell'alta dirigenza dell'istituto, erano stati ritenuti dati probatori "insufficienti a dimostrare la consapevolezza in capo al predetto delle condotte manipolatone poste in essere dai vertici di B.". Ebbene, la sentenza impugnata, per un verso, aveva omesso di valutare (ovvero aveva erroneamente valutato) prove in realtà pienamente dimostrative della integrale conoscenza, da parte dell'imputato, tanto della esistenza quanto dell'entità significativa del fenomeno del capitale finanziato; per altro verso, aveva radicalmente trascurato talune circostanze che, accertate nel corso del dibattimento, confermavano siffatta consapevolezza; e, per altro verso ancora, aveva effettuato una valutazione frazionata ed atomistica del materiale probatorio, astenendosi da un doveroso raffronto dei singoli elementi con l'intero compendio disponibile, conseguentemente pervenendo a conclusioni scorrette. E, al riguardo, il P.M., dopo avere richiamato le responsabilità ed i compiti che incombevano sul PE. tanto secondo il "funzionigramma" dell'istituto vicentino quanto, in ragione dell'incarico di dirigente preposto, in base alla disciplina di legge (art. 154 bis D.L.vo 58/98) ed alla normativa secondaria emanata dalla Banca d'Italia, e dopo avere altresì rievocato, sulla base della deposizione resa dal teste Tr., il meccanismo di tenuta della contabilità adottato da B., ha evidenziato il significativo rilievo probatorio, ai fini dell'esatta comprensione della posizione del PE., sotto il profilo dell'elemento psicologico dei reati in esame, rivestito, nell'ordine: a} dagli appunti redatti da So.Ma. in ordine alla seduta del Comitato di Direzione del giorno 8.11.2011 e dalla e-mail del 10.6.2011 inviata da Ro.Fi. all'imputato (oltre che ad altri dirigenti e funzionari dell'istituto). In particolare, dal contenuto di tale e-mail si ricavava chiaramente che, al momento della partecipazione alla citata seduta del Comitato di Direzione, nel quale era poi stato espressamente trattato il tema delle operazioni "baciate" (come desumibile da alcuni passaggi degli appunti manoscritti di So.), il PE. era necessariamente a conoscenza della situazione di grave squilibrio del mercato secondario delle azioni dell'istituto (con il fondo acquisto azioni proprie impegnato per ben 112 milioni di euro). Donde la conclusione che l'intervento effettuato dal PE. durante la seduta - allorquando l'imputato, in un contesto di espliciti riferimenti da parte del To., del Se. e del So. alle "baciate", aveva sollecitato un decremento dell'ammontare delle azioni proprie detenute in portafoglio per raggiungere un Tier 1 ratio dell'8% ("per andare ad S", secondo l'espressione attribuita al medesimo PE. negli appunti) - era necessariamente espressione di una effettiva conoscenza di un fenomeno strutturato ed in corso da tempo, fenomeno del quale si segnalava, durante detto incontro, la necessità di monitoraggio giornaliero e di ulteriore pianificazione. Peraltro - ha precisato l'appellante - il contenuto dell'appunto era coerente con la ricostruzione di tale fenomeno siccome effettuata dai cc.tt. del P.M. (secondo i quali, al 31.12.2010, le operazioni di capitale finanziato ammontavano a 50 milioni, mentre, nel corso dell'anno successivo, erano cresciute notevolmente sino a raggiungere il valore di ben 243 milioni). Ebbene, nonostante il tribunale avesse opportunamente valorizzato il rilievo probatorio del documento rappresentato dagli appunti in questione onde desumere il coinvolgimento, nell'operatività illecita della banca, dei coimputati GI. e PI. (visto che, in quell'occasione, erano state delineate "le strategie operative per gli interventi sul capitale ... che prevedevano il ricorso alle operazioni baciate come strumento per svuotare il fondo acquisto.."), del tutto incomprensibilmente lo stesso primo giudice aveva poi omesso di trarne le dovute, necessarie conclusioni in relazione all'analoga posizione del PE. (pure intervenuto attivamente, nel corso della riunione in questione, fornendo indicazioni rilevanti ai fini del perseguimento degli obiettivi fissati dal d.g. So.). In effetti, la versione fornita dall'imputato - secondo il quale "non aveva dato il giusto peso agii interventi di Se. e To. perché, all'epoca, non conosceva la parola "baciata" - lungi dall'essere "non inverosimile", era scopertamente difensiva; b) dalle deposizioni di So.. Am., Ba. e Tu.. Alla stregua di tali deposizioni, tutt'altro che generiche ed imprecise, era stato possibile, nell'ordine: ricostruire le modalità di funzionamento degli organi collegiali manageriali dell'istituto; apprendere che il PE., nella sua qualità di responsabile della "Divisione Bilancio e Pianificazione", aveva sempre preso parte sia ai Comitati di Direzione svoltisi sino al 2011 (e, in seguito, nuovamente convocati a partire dalla seconda metà del 2014, per effetto di una espressa richiesta BCE), sia alle informali "riunioni di direzione" convocate nel periodo intermedio; conoscere che, in occasione di tali riunioni, erano stati trattati anche i temi dell'operatività dei finanziamenti correlati, nell'ambito dei più generali argomenti della gestione del capitale, del fondo acquisto azioni proprie e dello squilibrio del mercato secondario delie azioni B.. Che, poi, il PE. non avesse compreso portata e caratteristiche del fenomeno in questione, era conclusione che contrastava, sul piano logico, con la circostanza che detto fenomeno aveva finito per rappresentare - come peraltro puntualmente osservato dal tribunale - una sistematica modalità di gestione dell'attività di impresa, protrattasi per un lungo arco temporale (5/6 anni), fino a raggiungere una dimensione quantitativa notevole (sia per il numero delle operazioni concluse, sia per il controvalore delle stesse), tale da coinvolgere i soci più importanti, da interessare tutte le zone di insediamento della banca e da rivestire una incidenza notevole, sul funzionamento del mercato secondario dei titoli B. e sulla situazione patrimoniale dell'istituto. Né alcun teste aveva riferito che il tema in esame costituisse argomento segreto, del quale le strutture della Divisione Bilancio e Pianificazione fossero state tenute all'oscuro. Peraltro, rientrava nelle competenze di detta Divisione la funzione di capital management, alla quale non era certo estranea la questione dell'entità della quota indisponibile del fondo acquisto azioni proprie (per le conseguenze sui livelli di patrimonializzazione e sui ratios patrimoniali prudenziali); c) dai risultati delle intercettazioni telefoniche. In particolare, il tribunale aveva del tutto omesso di considerare il tenore di due colloqui telefonici dai quali era possibile desumere la conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno delle "operazioni baciate". Si trattava della conversazione nr, 359 dell'1.9.2015, intercorsa tra il coimputato GI. e il membro del collegio sindacale Pi.La. (nel corso della quale era stato effettuato l'esplicito riferimento al fatto che il PE., in relazione alle operazioni baciate, "dava ordini.."); nonché della conversazione nr. 259 del 28.8.2015, intercorsa tra il responsabile audit Bo. ed il coimputato MA. (in occasione della quale quest'ultimo aveva ribadito che del fenomeno in questione erano a conoscenza anche gli altri componenti della Direzione Generale in quanto il So. era solito parlarne nel corso delle riunioni dell'alta dirigenza); d) dagli sms intercorsi tra i coimputati PI. e GI. in data 3.5.2015 (ovverosia in un momento nel quale i primi esiti dell'ispezione BCE stavano conducendo al disvelamento dell'operatività illecita della banca), là dove tali SMS contenevano l'esplicita affermazione del coinvolgimento collettivo dell'alta direzione dell'istituto ("deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori"); e) dalle dichiarazioni del teste Bo. in merito alla riunione del febbraio 2015 in previsione dell'avvio dell'ispezione BCE, riunione alla quale aveva preso parte anche il PE. e nella quale lo stesso teste aveva illustrato la criticità rappresentata dalla questione del capitale finanziato, senza che alcuno dei partecipanti avesse manifestato il benché minimo stupore; f) dalla registrazione della seduta del Comitato di Direzione del 10.11.2014, ovverosia da un elemento di eccezionale valore probatorio, in quanto, in un contesto di espliciti riferimenti a tutti gli aspetti problematici del fenomeno del capitale finanziato (natura di portage delle operazioni; obbligo di riacquisto; interessi riconosciuti alle controparti; rilascio delle lettere di garanzia del rendimento e dell'impegno al riacquisto; necessità di occultamento alla vigilanza; dimensioni del fenomeno), documentava che nessuno degli intervenuti all'incontro aveva richiesto delucidazioni sul punto, ovvero aveva manifestato dissensi, ovvero ancora stupore. Ebbene, nonostante il PE. fosse assente a quella riunione, emergeva chiaramente come le analisi che, nell'occasione, erano state discusse, fossero frutto anche del lavoro delle strutture della "Pianificazione", come, peraltro, desumibile dal riferimento, effettuato dal coimputato GI. nel corso dell'incontro, a tale "Ma." ("...allora, noi, comunque, le posizioni baciate, grosse, dobbiamo eliminarle....però bisogna confrontarsi con Ma..,.."), evidentemente da individuarsi nell'imputato, quale soggetto da interpellare per verificare le ipotesi di soluzione che andavano emergendo. Né tale riferimento poteva ritenersi - come, invece, sostenuto dal tribunale - di equivoca lettura, essendo chiaro che l'operazione di cui si era dibattuto nella riunione (ed in relazione alla quale, pertanto, occorreva confrontarsi con il PE.) non riguardava semplicemente l'eliminazione "di pezzi di attivo", bensì l'eliminazione delle operazioni "baciate" accompagnata dalla necessità di rimanere con i ratios stabili nonostante il decremento di capitale. Peraltro, tanto le e-mail intercorse tra il 14.8.2014 ed il 12.11.2014, quanto la deposizione resa dal teste Fa. confermavano il coinvolgimento dell'imputato nelle analisi inerenti all'impatto negativo delle operazioni "baciate" in ordine al margine di interesse della banca, analisi che aveva costituito il presupposto per le proposte operative formulate dal d.g. So., nel corso della predetta seduta del Comitato di Direzione, per superare le difficoltà inerenti proprio al meccanismo delle operazioni correlate. Peraltro, a fronte della mancata corretta valutazione di tali emergenze probatorie, la sentenza aveva sopravvalutato, ovvero equivocato, valorizzandoli come prove a discarico, gli elementi rappresentati, nell'ordine: a) dalla verifica compiuta dalla società di revisione K posto che, a ben vedere, una attenta analisi di quanto emerso al riguardo deponeva in senso diametralmente opposto, essendo la condotta tenuta, nell'occasione, dal PE. volta non certo ad agevolare, bensì a vanificare gli esiti di detta verifica, in adesione agli intendimenti del direttore generale; b) dalle deposizioni dei testi Fa., Tr., Mo. e Li., trattandosi di testimonianze sostanzialmente irrilevanti (così nel caso della deposizione del Tr., non avendo egli riferito di avere parlato con l'imputato delle operazioni "baciate"), ovvero di scarsa affidabilità (così con riferimento a quanto riferito dal Mo., dal Fa. e dal Li. - i quali avevano dichiarato di essersi convinti che il PE., prima del 2015, non avesse maturato una precisa conoscenza del fenomeno del capitale finanziato - posto che era ragionevole ritenere che l'imputato non avesse fatto automaticamente partecipi i terzi di quanto a lui effettivamente noto); c) dall'episodio della disdosure sui fondi "At." ed "Op.", con conseguente comunicazione all'autorità di vigilanza, essendosi in presenza ai attività esecutiva di uno specifico obbligo normativo e che, comunque, ove non compiuta, avrebbe comportato effetti maggiormente penalizzanti per l'istituto; d) dalle critiche espresse dal PE., in occasione del CdA 1.4.2014, in merito all'operato dell'esperto indipendente prof. Bi., in ragione della natura implicita - se non addirittura criptica - delle critiche formulate dall'imputato (il quale, peraltro: secondo la teste Pa., aveva manifestato contrarietà alla ostensione, in favore del socio Da.Gr., successivamente all'assemblea dei soci 26.4.2014. della relazione di stima del valore delle azioni; e, secondo il teste Ca., nel corso degli anni, aveva più volte ammesso come l'elaborazione dei piani industriali fosse il modo a sua disposizione per sostenere il prezzo dell'azione e in tal guisa influire sulla relativa stima da parte dell'esperto all'uopo incaricato). Conclusivamente, il P.M. appellante ha sostenuto che le prove disponibili erano certamente tali da attestare la piena conoscenza, in capo all'imputato, a far data dalla fine del 2011, dell'esistenza e della consistenza del fenomeno delle operazioni "baciate", fenomeno che, negli anni 2013 e 2014, era stato esteso anche alle operazioni inerenti agli aumenti di capitale. Tale conoscenza non era frutto del flusso delle informazioni ufficiali che gli pervenivano in ragione del suo ruolo istituzionale, bensì effetto della partecipazione "ai momenti di confronto della Direzione Generale e, quindi, per essere stato destinatario di quanto in quei contesti veniva riferito e, più in generale, per avere preso parte al gruppo dei dirigenti B. "allineati" ....ai presidente ZO., al Direttore Generale So.Sa. alla concertazione del quale, come indicato in sentenza, devono ricondursi le decisioni e l'attuazione della prassi delle operazioni baciate". Era stato nella piena consapevolezza del fenomeno delittuoso in esame, quindi, che il PE. aveva fornito il proprio decisivo contributo all'occultamento di detto fenomeno, predisponendo ripetutamente documenti (dal bilancio ai comunicati stampa, dalle segnalazioni prudenziali alle comunicazioni di interlocuzione con le autorità di vigilanza) aventi contenuto mendace e decettivo. Di qui la richiesta di affermazione della penale responsabilità dell'imputato con conseguente condanna alla pena di anni otto e mesi due di reclusione, come già richiesto all'atto delle conclusioni rassegnate nel giudizio di primo grado. 4.2 Appello inerente alla posizione di Zi.Gi. Il P.M. ha proposto appello anche avverso l'assoluzione di Zi.Gi., sul rilievo della errata individuazione del criterio di imputazione della responsabilità penale del predetto nonché della mancata valutazione di specifici elementi probatori. Al riguardo, dopo avere sinteticamente ripercorso ì passaggi contenuti nei sette paragrafi della sentenza che il tribunale aveva dedicato all'analisi della posizione di tale imputato, il P.M. ha evidenziato, innanzitutto, che il primo giudice aveva equivocato nel l'interpretare quale fosse, secondo l'impostazione d'accusa, il profilo di responsabilità che fondava l'imputazione elevata a carico del predetto ZI.. A costui, infatti, era stato contestato di avere avallato ripetutamente la prassi illecita delle operazioni correlate, così fornendo un concreto ausilio alle attività delittuose realizzate dalla dirigenza dell'istituto, posto che tale avallo non solo aveva agevolato la conclusione di siffatte operazioni, ma, per un verso, aveva contribuito a rassicurare i dipendenti sulla "esistenza di una copertura da parte dell'organo amministrativo" e, per altro verso, essendo l'imputato membro del CdA, aveva integrato anche i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza. Era stato il consiglio, infatti, a deliberare la concessione dei fidi relativi agli acquisti di azioni nell'ambito delle "baciate", nonché ad approvare i documenti contabili e le comunicazioni dirette agli organi di vigilanza. In presenza di tali contestazioni, quindi, le affermazioni del primo giudice, secondo il quale, da un lato, l'imputato non era stato parte attiva di "una condivisione operativa delle condotte manipolatone e di falsa informazione ai mercato ed alla vigilanza" e, dall'altro, non risultava provato il suo coinvolgimento nelle scelte gestionali relative alla liquidità dell'azione e alla crisi del mercato secondario", apparivano espressione di una inesatta comprensione dell'effettivo tenore della contestazione elevata a carico dello ZI.. Inoltre, la trama argomentativa della sentenza rivelava la radicai 5 J pretermissione, ovvero la inadeguata valutazione, di significativi elementi ai prova a carico. Al riguardo, sotto il primo profilo, il P.M. ha richiamato l'omessa considerazione dell'intercettazione nr. 543 del 31.8.2015, inerente ad una conversazione intercorsa tra l'imputato e To.Ni., conversazione dalla quale era possibile evincere la piena consapevolezza, in capo allo ZI., della prassi di sollecitare la clientela, in occasione della concessione o del rinnovo del credito, all'acquisto delle azioni tramite finanziamento. Sotto il secondo profilo, poi, ha evocato, segnatamente: a) la e-mail del 2.7.2014 inviata da Mi.Ga.; b) la partecipazione da parte del medesimo imputato ad importanti operazioni di svuotamento del fondo acquisto azioni ed alla sottoscrizione di azioni in occasione degli aumenti di capitale; c) la piena consapevolezza, in capo allo stesso giudicabile, dell'impiego surrettizio dello strumento del finanziamento; d) la significativa capacità professionale dell'imputato (presidente di Confindustria Vicenza nel periodo di interesse e titolare di una holding di partecipazioni), tale da assicuragli la piena comprensione della natura illecita e decettiva delle condotte poste in essere, anche suo tramite, dalle strutture dell'istituto di credito. Tanto premesso, l'appellante ha passato in rassegna le evidenze probatorie che avrebbero dovuto, ove correttamente inquadrate e valutate, condurre ad un giudizio di penale responsabilità. Trattasi, nell'ordine: a) dell'operazione effettuata, nell'anno 2011, da Zi.Gi.. fratello dell'imputato, il quale aveva ricevuto un finanziamento di 5 milioni di euro il 27.12.2011, finanziamento al quale aveva fatto seguito, in data 29.12.2011, l'acquisto di azioni B. per un pari importo. Quindi, in occasione dell'aumento di capitale 2013, lo stesso Gi.ZI. vi aveva partecipato, come persona fisica, fruendo di un finanziamento di 500.000 euro. Ebbene, con riferimento alla prima operazione - poi chiusa da Zi.Gi. con un "annullamento" e, questo, pur in assenza di inadempimenti di sorta da parte del predetto socio che, soli, alla stregua delle regole dell'istituto, avrebbero potuto giustificare un siffatto "annullamento" - l'imputato aveva sostenuto di essere rimasto all'oscuro dell'operazione in questione, essendo stata la pratica deliberata in sua assenza, stante l'applicabilità dell'art, 136 TUB. Sennonché, l'istruttoria dibattimentale (e, segnatamente, le dichiarazioni del teste Ba.) aveva provato l'esatto contrario. Peraltro il memorandum (costituente il documento nr, 731) rinvenuto nei supporti informatici dell'imputato conteneva, con riferimento alla data dell'8 maggio, annotazioni relative a dichiarazioni rese dallo stesso ZI. in ordine al fatto che il medesimo, in due occasioni (segnatamente, nel 2011 e nel 2012), era stato richiesto di effettuare operazioni di acquisto, tramite finanziamenti, di azioni della banca, operazioni la prima delle quali era stata chiusa nel 2014 e che, con ogni evidenza, doveva identificarsi proprio nell'operazione formalmente conclusa dal fratello Gi.. Peraltro, lo stesso documento nr. 730 - predisposto da Zi.Gi. e contenente una sorta di riepilogo delle operazioni "con finanziamento" - convergeva nel dimostrare come l'operazione effettuata nel 2011, da un lato, fosse sostanzialmente riconducibile a Zi.Gi. e, dall'altro, rientrasse nell'ambito della "campagna svuota fondo" relativa al medesimo anno; b) dell'operazione compiuta tramite Ze. S.r.l. nel novembre 2012, consistita nel finanziamento di 12,5 milioni in data 13.11.2012 e nell'acquisto, il successivo 20.11.2012, di azioni per il valore di 10 milioni di euro. Sebbene l'imputato avesse sostenuto (dapprima, nella memoria 14.4.2017; quindi, nell'interrogatorio 26.9.2017) che l'acquisto delle azioni era stato frutto di una decisione estemporanea, assunta allorché l'originario obiettivo di acquisire alcune partecipazioni si era rivelato non perseguibile, in sede di esame dibattimentale costui si era visto costretto, dalle inequivoche emergenze istruttorie sul punto (costituite, segnatamente: dal contenuto delle deposizioni di Ba., Gi. e Io.; dal contenuto del messaggio sms, inviato dal coimputato MA. al d.g. So. e relativo proprio all'operazione conclusa dallo ZI.; dall'analogo messaggio inviato da GI. al medesimo So.; dallo stesso tenore del documento relativo all'operazione in questione, in quanto caratterizzato dalla causale, assolutamente generica, "ulteriori significativi investimenti che al momento non sono ancora definiti"; dal fondamentale documento64 rinvenuto presso la sede della ditta Ze. S.r.l. - documento del quale, peraltro, nessuno dei potenziali redattori aveva riconosciuto la paternità - contenente elementi univocamente sintomatici della natura "baciata" delle operazioni effettuate dalla Ze. s.r.l.; dall'ulteriore documento inerente all'accordo per non pagare neppure le imposte sugli strumenti finanziari) a mutare versione, ammettendo che il finanziamento in questione era stato strutturato, ab origine, per l'acquisto di azioni dell'istituto. Del resto, il memorandum relativo alla data dell'8 maggio confermava chiaramente la partecipazione dell'imputato ad operazioni di finanziamenti correlati; partecipazione, peraltro, ulteriormente corroborata anche dalla deposizione, de relato dall'imputato, resa, sul punto, dal teste Ba., oltre che dalle dichiarazioni del teste Cr.. In definitiva - ha osservato il P.M. - se ZI. aveva concluso, anche per conto di Ze. s.r.l., operazioni correlate per importi considerevoli, significava che lo stesso, allorquando aveva trattato in CdA le pratiche inerenti alle analoghe operazioni poste in essere dai maggiori azionisti della banca, era perfettamente in grado di comprenderne natura, entità ed implicazioni, sicché a tale imputato non potevano affatto attagliarsi le considerazioni che il tribunale aveva riservato agli altri consiglieri in ordine al difetto, sul punto, di effettiva consapevolezza; c) della partecipazione tramite Ze. s.r.l. all'aumento di capitale 2013 (siccome ricostruita nella relativa scheda redatta dai cc.tt. del p.m. a pag. 367 dell'elaborato di consulenza), caratterizzata, a fronte di una linea di credito concessa dall'istituto per 1,5 milioni di euro, dall'acquisto di azioni della banca per 565.000 euro e dall'impiego di analogo importo per la partecipazione al prestito obbligazionario previsto dall'offerta. Ebbene, la sottoscrizione di azioni di nuova emissione con provvista della banca in occasione di un aumento di capitale - ovverosia in occasione di una iniziativa finalizzata ad aumentare il patrimonio netto dell'emittente - non poteva non costituire per un componente del CdA dell'istituto (peraltro titolare di una holding di partecipazioni, quale lo ZI.) un evidente campanello di allarme in ordine alla operatività delle strutture della banca, trattandosi di una operazione che contraddiceva la finalità dell'aumento di capitale, rendendolo, di fatto, solo apparente. L'imputato, infatti, dopo essere stato richiesto di / effettuare operazioni correlate per 5 milioni a fine 2011 (con operazione conclusa a nome del fratello) e per 10 milioni a fine 2012, effettuava una nuova operazione per circa un milione in sede di aumento di capitale. Di qui l'inverosimiglianza di quanto sostenuto dal giudicabile allorché, nel commentare con i consiglieri To. e Fa. il buon esito della chiusura dell'aumento di capitale 2013, aveva espresso la propria soddisfazione per il successo dell'operazione, essendosi per contro in presenza - come non poteva sfuggirgli - di una situazione tutt'altro che favorevole; d) delle intercettazioni telefoniche e, segnatamente: della conversazione nr. 153 del 25.8.2015, nel corso della quale l'imputato aveva riferito a Lu.Bo. di essere stato finanziato, al pari di altri consiglieri, soggiungendo di non essere a conoscenza dei finanziamenti concessi ad altri "soci" anche se avrebbe potuto "immaginarlo"); della conversazione nr, 235 del 26.8.2015, intercorsa tra ZI. e Pa.Ba. di Confindustria, nella quale si riferiva che GI. aveva fatto, su indicazione del So., cose non corrette "in difesa della banca") nonché della conversazione nr. 543 del 31.8.2015 - di cui l'imputato, peraltro, in sede di esame, non aveva saputo fornire spiegazioni -in occasione della quale lo stesso ZI., parlando con il consigliere To., aveva affermato che era prassi che la banca sollecitasse i clienti ai quali concedeva credito ad impiegare parte del denaro per l'acquisto di azioni dell'istituto, secondo un modus operandi che, per quanto irregolare, era diffuso tra tutti gli istituti di credito; e) dell'affermato difetto di conoscenza, da parte del medesimo imputato, del trattamento contabile degli acquisti di azioni finanziate. Se, infatti, lo ZI. aveva sostenuto di ignorare che gli acquisti finanziati non potessero essere computati nel patrimonio di vigilanza - affermazione della quale il tribunale aveva preso atto senza effettuare, al riguardo, alcuna valutazione specifica - a deporre, sul piano logico, in senso contrario erano le qualità personali dell'appellato, gestore di una società immobiliare e di partecipazioni, attività necessariamente implicante la capacità di valutazione dei bilanci, tanto che era stato lo stesso ZI., nel corso del proprio esame, a definirsi un esperto in materia. Peraltro, costui era stato presidente di Confindustria di Vicenza ad aveva anche aspirato, per sua stessa ammissione, alla presidenza di B., ovverosia di un istituto che, al tempo, era tra le prime dieci banche italiane, con oltre 3 miliardi di patrimonio netto. In ogni caso, nel corso dell'interrogatorio 26.9.2017, acquisito a seguito delle contestazioni formulate in dibattimento ai sensi dell'art. 503 c.p.p., era stato il medesimo imputato a confermare di conoscere il divieto di computo, pur soggiungendo di non avere mai nutrito sospetti sulla regolarità della gestione in materia. Era bensì vero che, in sede di esame dibattimentale, lo ZI. aveva spiegato tali dichiarazioni sostenendo che intendeva riferirsi, quando aveva affermato di essere al corrente di tale divieto, all'epoca in cui le aveva rese e non già al momento dei fatti, allorquando, al contrario, era all'oscuro del divieto medesimo. Nondimeno, al di là delle considerazioni già spese in ordine al profilo, proprio dell'imputato, di soggetto altamente qualificato, era lo stesso tenore complessivo delle risposte fornite in occasione del citato interrogatorio a rendere evidente che il momento cui il dichiarante aveva inteso alludere era quello nel quale lo stesso era consigliere di amministrazione della banca; f) dell'episodio di Mi.Ga.. Trattasi della e-mail con la quale quest'ultimo, rappresentante della società Ar., titolare di ben due fidi, entrambi in scadenza, da circa 500.000 euro l'uno, aveva segnalato la pretesa dell'istituto di credito che detta società, onde ottenerne il rinnovo, acquistasse azioni per almeno 50.000 euro in relazione a ciascuna linea di credito; pretesa che lo stesso ZI., nell'inoltrare al coimputato GI. ed al Gi. tale missiva, aveva poi significativamente definito "un ricatto". Ebbene, l'imputato, non solo non si era confrontato con gli altri consiglieri in relazione a tale vicenda; non solo non l'aveva segnalata ai responsabili della funzione di controllo; ma, nell'interloquire con i predetti GI. e Gi., si era sostanzialmente limitato a chiedere che vi fosse un "occhio di riguardo" per l'amico Ga.; g) dell'operazione con U., ovverosia del finanziamento che lo ZI. (interessato ad effettuare una operazione di acquisto di strumenti finanziari per compensare minusvalenze per circa 200.000 euro) aveva richiesto ed ottenuto da B. a titolo di favore in quanto, come rammentato dal teste Vi., "aveva fatto molti favorì alla banca". Detto finanziamento, peraltro, era stato concesso con la "solita" causale generica e sulla base della sola "capacità patrimoniale" e, poiché in data 28.3.2014 era stata avanzata dagli ZI. una richiesta di storno in relazione all'operazione Ze., poi non processata, era concreto il sospetto che il finanziamento in esame, mai restituito a seguito del contenzioso intentato dalla banca nei confronti dell'imputato, fosse stato espressione di una remunerazione alternativa proprio allo storno delle competenze. Pertanto, non solo l'imputato aveva preso parte attiva ad alcune operazioni correlate ma il quadro probatorio deponeva nel senso della piena consapevolezza, in capo a costui, tanto dell'esistenza di una prassi diffusa in tal senso, quanto delle relative "implicazioni tecniche" per l'operatività dell'istituto. E, a tale ultimo riguardo, non erano affatto irrilevanti sia le dichiarazioni del teste Bo. (là dove costui aveva sostenuto di non avere riferito al CdA in ordine agli accertamenti effettuati sul caso Vi. proprio perché il CdA, ad avviso di detto teste, "era il principale indiziato", immaginando che alcuni componenti dell'organo in questione fossero non solo a conoscenza ma anche direttamente coinvolti nel fenomeno del finanziamento), sia il contenuto della conversazione telefonica nr. 528 del 9.9.2015, intercorsa tra il coimputato MA. ed il collega Cu. nel corso della quale il primo, a riprova della consapevolezza da parte del CdA in ordine alle correlate, aveva affermato;" ma come si fa a dire che il Consiglio non sapeva, capito Al.?", ricevendo dall'interlocutore la significativa risposta; "..dai su, l'ha fatta anche ZI. una mi hanno detto, dai su..."). Peraltro, l'imputato era ben a conoscenza delle condizioni di difficoltà incontrate dalla banca sia sul mercato secondario, sia su quello primario e comprendeva esattamente il significato e le finalità delle operazioni di finanziamento all'acquisto delle azioni e dei "portage" (come dimostrato dalla citata conversazione nr. 299, intercorsa con To., allorché aveva ammesso la "leggerezza" usata dal CdA nel finanziare i soci per l'acquisto di azioni). Il fatto poi, che costui, allorquando era stato a sua volta richiesto di effettuare operazioni correlate, avesse dichiarato che non intendeva "guadagnare nulla" (come risultante dal documento nr. 731), lungi dal poter essere interpretato quale intendimento riferibile ad un eventuale incremento del valore delle azioni (come pure sostenuto dall'imputato nel corso del suo esame) appariva, piuttosto, espressione del fatto che lo stesso ZI. non intendeva, diversamente da altri soggetti finanziati, trarre vantaggi dalla conclusione di operazioni correlate e, quindi, deponeva per la piena conoscenza, da parte del predetto, delle caratteristiche usualmente proprie di tali operazioni. In conclusione, l'imputato aveva avallato, anche tramite la realizzazione in prima persona di operazioni di tale natura, tanto sul mercato primario quanto su quello secondario, le prassi illecite di finanziamento, finendo per "rassicurare" i dipendenti della banca sulla esistenza di una "copertura" da parte dell'organo amministrativo; e, al contempo, aveva posto in essere le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza in quanto era stato tramite il CdA, del quale l'imputato medesimo era parte, che erano "passate" non solo le delibere di fido e di acquisto relative alle operazioni "baciate", ma anche l'approvazione dei documenti contabili e le segnalazioni effettuate nei confronti degli organi di vigilanza. Di qui la richiesta di riforma della sentenza impugnata con condanna dell'imputato alla pena di anni otto e mesi due di reclusione come da richieste rassegnate all'esito del giudizio di primo grado. 5 Gli appelli delle parti civili. Avverso la suddetta sentenza hanno interposto appello le parti civili Va.Gi., RO.El. e Va.De., Pa.La. e Pa.Gi., Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li., Ca.Mi., Bi.Ce., Cr.La. e Co.An." 5.1 Appello delle parti civili Va.Gi., RO.El. e Va.De. Va.Gi., RO.El. e Va.De., costituiti parti civili limitatamente all'imputazione rubricata sub Al), hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Nel merito, l'impugnazione riproduce, per incorporazione, l'appello della pubblica accusa nei confronti del predetto imputato (sicché, sul punto, non può che richiamarsi quanto esposto sub 4.1) e conclude chiedendo l'affermazione di penale responsabilità del PE. e la condanna dello stesso, in solido con ì coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni cagionati alle predette partici civili, nella misura: - di euro 124.000,00 per Va.Gi. An. (euro 37.200 a titolo di danno morale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1984 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale); - di euro 124.000,00 per RO.El. (euro 37.200 a titolo di danno morale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1984 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale); - e di euro 46.962,50 per Va.De. (euro 10.838,50 per danno non patrimoniale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 578 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale), ovvero nell'importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine, dette parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel provvedimento di sequestro conservativo GUP Vicenza 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (nella misura di euro 62.000 ciascuno per Va.Gi. An. e RO.El. e ad euro 18.062,50 per Va.De.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.2 Appello delle parti civili Pa.La. e Pa.Gi. Pa.La. e Pa.Gi. (entrambi costituti parti civili in relazione all'imputazione rubricata sub Al e Pa.Gi. anche in ordine all'imputazione di cui al capo I, in quanto sottoscrittore dell'aumento di capitale 2014) hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Anche in tal caso, nel merito, l'appello riproduce, per incorporazione, l'impugnazione proposta dalla pubblica accusa nei confronti del predetto imputato. Ciò posto, gli appellanti hanno concluso chiedendo l'affermazione di penale responsabilità del PE. e la condanna dello stesso, in solido con i coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni patrimoniali cagionati alle predette parti civili, nella misura: - di euro 106.250,00 per Pa.La. (euro 62,50 moltiplicato per 1700 azioni possedute dalla parte); - e di euro 56.250,00 per Pa.Gi. (euro 62,50 moltiplicato per 900 azioni possedute dalla parte), ovvero nell'importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine, tali parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel provvedimento di sequestro conservativo del GUP Vicenza in data 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (euro 53,125 per Pa.La. e 28.125,00 per Pa.Gi.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del citato sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, nonché la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.3 Appello delle parti civili Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li. e Ca.Mi. Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li. e Ca.Mi., costituti parti civili limitatamente all'imputazione rubricata sub Al), hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Come nel caso degli appelli delle parti civili già esaminati, l'impugnazione riproduce, per incorporazione, quella proposta dalla pubblica accusa nei confronti del predetto imputato e conclude chiedendo l'affermazione di penale responsabilità dello stesso e la sua condanna, in solido con i coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni cagionati alle predette parti civili, nella misura: - quanto a Ad.Lu., di euro 67,843, 75 (euro 52,187,50 - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15,656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Ad.An., di euro 67,843,75 (euro 52.187,50-corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15.656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Ad.Ma., di euro 67,843,75 (euro 52.187,50 -corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15.656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Zo.Li., di euro 101.887,50 (euro 78.375,00 -corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1254 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 23.512,00 a titolo di danno morale); - quanto a Ca.Mi. di euro 58.825,00 (euro 45.250,00 - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 724 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 13.575,00 a titolo di danno morale), ovvero nell'Importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine dette parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale, da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel citato provvedimento di sequestro conservativo GUP Vicenza 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (pari ad euro 26.093,00 per Ad.Lu., ad euro 26,093,00 per Ad.An., ad euro 26.093,75 per Ad.Ma., ad euro 39.1987,00 per Zo.Li. e ad euro 21.125,00 per Ca.Mi.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del già menzionato sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.4 Appello delle parti civili Cr.La. e Co.An. Cr.La. e Co.An. hanno a loro volta impugnato la sentenza evidenziando come, nonostante si fossero costituiti parte civile in relazione non solo al reato di cui al capo Al), ma anche in ordine alle condotte delittuose stigmatizzate sub I) ed L), avendo sottoscritto gli aumenti di capitale 2013 e 2014 (la Cr. avendo acquistato nr. 103 azioni il 9.7.2013 ed il 25.6.2014, nonché, il 9.7.2013, obbligazioni a cinque anni successivamente convertite unilateralmente in azioni dall'istituto di credito; il Corrà avendo a sua volta acquistato nr, 74 azioni il 27.8,2013 ed il 29.8.2014, nonché, in data 24.7.2013, obbligazioni a cinque anni successivamente convertite unilateralmente in azioni dall'istituto di credito), il tribunale avesse accolto la domanda risarcitoria unicamente con riferimento al delitto di cui al citato capo Al). Di qui la richiesta di riconoscere valida e pienamente efficace la costituzione di parte civile con riferimento a tutti i reati di cui ai richiamati capi di imputazione e, conseguentemente, di condanna degli imputati al relativo risarcimento dei danni. 5.5 Appello della parte civile Bi.Ce. Il difensore delia parte civile Bi.Ce. ha proposto appello avverso la sentenza, nonché avverso l'ordinanza 28.11.2020 di rigetto della richiesta di assunzione della deposizione delta medesima parte offesa. Al riguardo, la difesa ha preliminarmente ricostruito la peculiare posizione del BI. evidenziando come il predetto, in data 14.6.2013, aderendo alla sollecitazione rivoltagli da funzionari apicali dell'istituto di credito, avesse ottenuto l'erogazione del finanziamento della somma di euro 500.000, importo interamente destinato all'acquisto di nr. 8000 azioni di B.. Quindi, in data 29.7.2014, al medesimo azionista era stata corrisposta la somma di euro 11.304,68 a titolo di rimborso degli interessi relativi all'anno precedente. Sopravvenuta la liquidazione coatta amministrativa della banca, poi, il BI., rappresentando che il finanziamento non era stato da lui richiesto, bensì era stato sollecitato dall'istituto, e precisando che detta erogazione era stata corredata dalla pattuizione circa la possibilità di restituzione, in qualsiasi momento, delle azioni sottoscritte, con conseguente annullamento de) finanziamento medesimo, aveva affermato di non essere tenuto alla restituzione dell'importo erogatogli, restituzione che, tuttavia, gli era stata intimata. Di qui l'esercizio dell'azione, nell'ambito del giudizio civile 13518/16 RG, radicato innanzi al Tribunale di Venezia - Sezione specializzata delle imprese, finalizzata alla declaratoria di nullità del negozio, ex art. 2358 c.c., azione che, successivamente, il BI. aveva trasferito, ai sensi dell'art. 75 co. 1 c.p.p., nel presente processo penale. Nondimeno, il tribunale di Vicenza aveva dichiarato l'improcedibilità dell'azione ex art. 83 T.U.B. senza affatto considerare la peculiare posizione del BI. medesimo, bensì parificandola a quella degli altri azionisti che rivendicavano il danno loro derivato dal deprezzamento delle azioni. In tal senso ricostruiti i fatti, l'appellante ha censurato la decisione impugnata, sul rilievo della perseguibilità dell'azione di nullità, in quanto azione non esperibile nell'ambito della procedura finalizzata all'accertamento del passivo (come peraltro ripetutamente precisato, proprio con riferimento alle "operazioni baciate", dalla giurisprudenza della sezione specializzata del Tribunale lagunare). Nel caso di specie, infatti, il BI., all'atto del trasferimento dell'azione nel processo penale, aveva espressamente domandato che venisse dichiarato nulla essere dovuto in adempimento del contratto di affidamento di euro 500.000,00 intervenuto con B. e relativo alia sottoscrizione di 8000,00 azioni della Banca stessa". Inoltre, una ulteriore ragione di nullità del negozio derivava, ex art. 1418 c.c., dalla illiceità della relativa causa. Per contro, il tribunale, ritenendo che l'azione fosse di tipo risarcitorio e non già demolitorio, aveva concluso nel senso della sua improcedibilità. Né poteva risultare di ostacolo all'accoglimento di detta domanda l'intervenuta procedura di liquidazione coatta amministrativa dell'istituto di credito, non essendosi per ciò solo in presenza di una soluzione di continuità incidente sul piano della soggettività della parte che aveva erogato il finanziamento. In ogni caso, la nullità del negozio e, quindi, della pretesa creditoria in capo a B., rendeva conseguentemente non riconoscibile il medesimo credito in capo a B. in liquidazione. Pertanto, la difesa ha chiesto, in via istruttoria, l'escussione del BI., ove ritenuta necessaria ai fini della prova della esclusiva provenienza da B. dell'invito ad accettare l'erogazione dell'affidamento; nel merito, ha concluso sollecitando la declaratoria di nullità del finanziamento di euro 500.000 e della coeva sottoscrizione di nr. 8000 azioni con conseguente dichiarazione che nulla era dovuto dal BI. in adempimento del suddetto contratto. Ha chiesto, infine, la liquidazione delle spese del giudizio civile trasferito nel processo penale e la condanna di B. al pagamento delle spese sostenute dalla medesima parte civile. 6 Il processo d'appello All'udienza 22.4.2022, ha avuto luogo la costituzione delle parti e la Corte, pronunziando su istanze del difensore del responsabile civile B. in liquidazione, ha pronunziato ordinanza di estromissione di detta parte. Le parti, poi, hanno depositato memorie come da verbale. Quindi, la Corte ha dato atto della predisposizione di relazione scritta, segnalando che il relativo deposito (tramite inserimento, a mezzo di apposito link, sul sito internet dell'ufficio) avrebbe potuto surrogare l'illustrazione orale e, acquisito l'accordo delle parti, è stato disposto in tal senso. Inoltre, in considerazione dell'elevatissimo numero delle parti civili e delle conseguenti implicazioni logistiche (anche in considerazione delle problematiche connesse alla pandemia da Covid 19) è stata prevista la possibilità che dette parti ed i rispettivi difensori, ovviamente senza alcuna deroga alle disposizioni di legge in materia di partecipazione alle udienze, potessero assistere (senza possibilità di interlocuzione diretta, quindi) alle udienze alle quali non avessero inteso presenziare direttamente fruendo del collegamento streaming, appositamente approntato dall'ufficio. Alla successiva udienza 16.5.2022, la Corte ha dato atto dell'avvenuto deposito della relazione scritta nei termini concordati. Quindi, le parti hanno illustrato le rispettive eccezioni (di inammissibilità delle impugnazioni; di nullità; ovvero di inutilizzabilità di singole prove) ed istanze di rinnovazione istruttoria" Tale attività è proseguita all'udienza 18.5.2022 e, all'esito, la Corte ha pronunziato ordinanza, cui si rinvia. La rinnovazione istruttoria, che si è tradotta nell'acquisizione di prove documentali ed orali, ha impegnato le udienze 30.5.2022, 1.6.2022, 8.6.2022, 13.6.2022, 15.6.2022, 17.6.2022, 20.6.2022, 24.6.2022, 5.7.2022, 8.7.2022 e 15.7.2022. La discussione, poi, ha avuto luogo alle udienze 19.9.2022, 20.9.2022, 22.9.2022, 23.9.2022, 28.9.2022, 30.9.2022 e 5.10.2022. Infine, all'udienza 10,10,2022, si sono svolte le repliche ed è stata pronunziata sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE Premessa metodologica La vicenda processuale, come s'è visto, si caratterizza per l'inusitata complessità dei fatti sub iudice, tanto per la natura estremamente specialistica delle tematiche economico-finanziarie di riferimento, quanto per le conseguenti implicazioni giuridiche, quanto, ancora, per la vastità del panorama probatorio raccolto all'esito di una lunga e laboriosa istruttoria dibattimentale. Ebbene, a tutte le tematiche rilevanti ai fini del decidere, il primo giudice ha offerto una risposta analitica, argomentata e, ad avviso di questa Corte, persuasiva, fatta eccezione, per quanto si dirà più oltre, con riferimento a talune specifiche questioni (segnatamente, in ordine alla affermazione circa la reiterazione delle contestazioni di aggiotaggio e, in parte, anche di ostacolo alla vigilanza, nonché in relazione alla confisca). Tenuto conto di ciò e considerata la diversa natura del giudizio di appello, chiamato a dare riposte alle questioni devolute con i motivi di gravame, è inevitabile il richiamo, per quegli aspetti della vicenda non oggetto di specifica censura, al provvedimento impugnato. Del resto, là dove ci si trovi in presenza di una sentenza di conferma del primo giudizio - ovverosia della c.d. "doppia conforme" - la struttura argomentativa dei provvedimenti di merito è destinata a saldarsi, in base alla omogeneità dei criteri di valutazione delle prove concretamente utilizzati (cfr. sul punto, Cass. Sez., V, n. 7437 del 15.10.2021, Ci. e altri, pag. 47; nonché Sez. II, n. 37295 del 19.6.2019, Sez. III, n. 44418 del 16.7.2013, Ar., Sez. III n. 13926 del 1.12.2011, Va.). Di qui la legittimità del rinvio alla trama argomentativa della decisione di primo grado, trama che, a ben vedere, costituisce la "cornice" all'interno della quale debbono collocarsi tutte le considerazioni svolte, nel solco delle specifiche doglianze argomentate negli atti di appello, nella presente sentenza. Tanto premesso, una ulteriore precisazione è d'obbligo. I motivi di impugnazione proposti dagli imputati affrontano, ripetutamente, questioni comuni (la competenza territoriale; i criteri di individuazione delle "operazioni baciate" e la "portata applicativa" dell'obbligo di deduzione delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito; la natura e la struttura dei reati oggetto di addebito; le sollevate eccezioni di violazione dei principi del ne bis in idem sostanziale e del nemo tenetur se detegere) e la soluzione di tali questioni - unitamente alla verifica dell'attendibilità e consistenza della chiamata di correo sopravvenuta in grado di appello - costituisce presupposto ineludibile anche con riferimento alla trattazione degli appelli proposti dal P.M.. Donde la decisione di far precedere alla trattazione dei singoli motivi di impugnazione l'analisi di questioni che, proprio in quanto di "interesse generale", ragioni di ordine espositivo e di semplificazione della struttura motivazionale rendono opportuno affrontare in un unico contesto, anche al fine di evitare superflue ripetizioni nel corso della presente trattazione. 7 La competenza Le difese degli imputati ZO., GI. e PI., nei termini di cui ai rispettivi atti di appello e motivi nuovi, hanno eccepito l'incompetenza del tribunale di Vicenza (quanto all'imputato GI., trattasi, peraltro, del cap. I dell'atto di appello, ossia di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione). L'eccezione è infondata. Al riguardo, va anzitutto evidenziato come la (parziale) diversità delle parti dei procedimenti attinenti, rispettivamente, alla cautela ed al merito (taluni degli odierni imputati non risultando indagati al momento della risoluzione del conflitto di competenza ad opera della Corte di Cassazione con sentenza Sez. I, n. 15537 del 7.12.2017, dep. il 6.4.2018) e la estraneità della prospettata competenza del tribunale di Roma rispetto alla cognizione devoluta alla Suprema Corte adita dal GIP del tribunale di Milano in occasione di tale conflitto impediscano di ravvisare nella decisione di cui alla citata sentenza della Suprema Corte la preclusione processuale prevista ex art. 25 c.p.p.. Ciò posto, sussisteva la competenza dell'autorità giudiziaria di Vicenza. Al riguardo, va in primo luogo ribadito come il reato più grave, ai fini della competenza, sia stato correttamente individuato dal primo giudice nella fattispecie di ostacolo di cui al capo B1), in considerazione della contestata aggravante ex art. 2638, co. 3, c.c.. Le articolate argomentazioni svolte nella sentenza gravata in ordine alla inapplicabilità alle fattispecie di falso in prospetto, contestate sub I) ed L), dell'aumento di pena previsto ex art. 39, c. 1, L. 262/05 sono, invero, del tutto convincenti e, in questa sede, non possono che essere integralmente richiamate, deponendo in tal senso tanto il tenore della disposizione ex art. 39, co. 3 L. cit. quanto l'intentio legis siccome ricavabile dai lavori preparatori. Né possono condividersi le considerazioni difensive in ordine alla avvenuta consumazione del suddetto reato di ostacolo in Roma, presso la sede della Banca d'Italia, al momento della ricezione della comunicazione ICAAP da parte della predetta autorità di vigilanza. Per vero, in disparte ogni considerazione di merito in ordine alla attitudine decettiva di tale comunicazione, è decisivo osservare: - per un verso, in diritto, che la valutazione che il giudice di primo grado è chiamato a svolgere in ordine alla propria competenza deve esplicarsi nell'alveo della contestazione siccome formulata dal pubblico ministero, effettivo dominus dell'azione penale (cfr. Cass. Sez. I, n. 36336 del 23.7.2015, dep. 8.9.2015, confl. comp. in proc. Novarese), al di là dell'ipotesi della presenza, nel corpo dell'imputazione medesima, di errori macroscopici, ictu oculi percepibili come tali (Cass. Sez. I, n. 31335 del 23.3,2018, dep. 10.7.2018, confl. comp, in proc. Gi., Cass. Sez. I, n. 11047 del 24.2.2010, confl. comp. in proc, Gu.). Il sistema processuale, infatti, non può tollerare indebite incursioni del giudicante in uno spazio costituzionalmente riservato alla pubblica accusa ex art. 112 Cost., beninteso fatta eccezione per l'ipotesi - che, d'altronde, non viene in rilievo nel caso di specie - di addebito tanto impreciso da pregiudicarne la esatta comprensione (in quanto, in tal caso, sussiste il potere/dovere del giudice, in sede di udienza preliminare, di sollecitare la puntualizzazione dell'imputazione prima di disporre, in caso di mancata adesione del P.M. a tale sollecitazione, la restituzione degli atti allo stesso P.M.); - e, per altro verso, in fatto, che il predetto capo di imputazione sub B1) non contemplava, neppure indirettamente, la contestazione della condotta di invio della comunicazione ICAAP alla Banca d'Italia. Ed invero, non solo non v'è riferimento alcuno, in tale capo di imputazione, alla citata comunicazione ICAAP, ma l'articolata descrizione dei fatti ivi contestati è interamente relativa a condotte poste in essere in sede di vigilanza ispettiva, presso la sede dell'istituto vigilato. Del resto, l'indicazione del focus e del tempus commissi delicti di riferimento ("In Vicenza, dal 28 maggio ai 12 ottobre 2012"), ancorché non decisiva, costituisce chiaro riscontro dell'intenzione della pubblica accusa di escludere l'invio della comunicazione citata dal perimetro della imputazione. In buona sostanza, quello che i difensori vorrebbero ricompreso nel perimetro del capo B1), facendone discendere il radicamento della competenza in capo all'autorità giudiziaria romana, è un fatto storico distinto da quelli oggetto di addebito in tale imputazione, fatto che ben avrebbe potuto integrare una autonoma ipotesi delittuosa connessa ex art. 12 co. 1, lett. b, seconda ipotesi, c.p.p. e, pertanto, giustificare una integrazione dell'imputazione in sede di udienza preliminare ex art. 423, co. 1, c.p.p. (senza, peraltro, che possa configurarsi, in capo al giudicante, la facoltà di invitare la parte pubblica ad operare in tal senso - cfr. Cass. Sez. II, n. 44952 del 9.10.2014), ma la contestazione del quale, in ogni caso, potrebbe pur sempre essere oggetto di separato addebito. Di qui il rigetto della eccezione di incompetenza territoriale. E' solo per mera completezza, quindi, che si precisa come a non diverse conclusioni dovrebbe comunque giungersi anche ove si volesse considerare la citata comunicazione ICAAP - diversamente da quanto, lo si ripete, ritiene questa Corte - indirettamente "ricompresa" nel perimetro dell'imputazione. E, questo, sia qualora si qualificasse l'invio di tale comunicazione come modalità esecutiva dell'ipotesi di reato dì "mera condotta" e di "pericolo concreto", caratterizzato dal "dolo specifico" di ostacolo, di cui alla fattispecie ex art. 2638, co. 1, c.c.; sia nell'ipotesi in cui il medesimo invio fosse invece considerato alla stregua di una condotta integrante la diversa fattispecie, ex art. 2638, co. 2 c.c., di "delitto di evento" (evento costituito dall'intralcio al potere di vigilanza). A ben vedere, infatti, il luogo di consumazione del reato andrebbe individuato: - nel primo caso, in quello di invio della comunicazione medesima e, quindi, nella vicenda per cui è processo, sempre in Vicenza. Questo, in quanto sarebbe di certo errato confondere il momento di esecuzione della attività decettiva con quello della sua successiva efficacia, essendosi in presenza di un reato istantaneo che, conseguentemente, si consuma nel momento in cui è posta in essere la relativa condotta (ed inerendo l'accertamento del pericolo unicamente al profilo della necessaria offensività dì tale condotta e non già a quello della consumazione del reato, pena un indebito "avanzamento" della relativa soglia, senza che possa a tal fine valorizzarsi l'eventuale natura recettizia della comunicazione in questione, incidente unicamente in punto di efficacia dell'azione tipica); - e, nel secondo caso, in quello nel quale l'attività di controllo, pregiudicata dalla comunicazione ingannevole, avrebbe dovuto svolgersi (e dove, di lì a poco, ha effettivamente avuto luogo), ovverosia, nella concretezza del caso sub iudice, presso la sede dell'istituto di credito vigilato (e, pe