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È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale - promossa dal Governo in riferimento all'art. 117, secondo comma, lett. h), Cost. - dell'art. 4, della legge reg. Umbria n. 4 del 2018, che, nell'istituire il Tavolo di coordinamento per la prevenzione e il contrasto del bullismo e del cyberbullismo, prevede che vi possano partecipare, previa intesa con gli enti di appartenenza, tra gli altri, anche rappresentanti delle forze dell'ordine. Il dato testuale e la lettura sistematica della disposizione impugnata, che prevede la facoltatività della partecipazione dei rappresentanti delle forze dell'ordine al citato Tavolo e affida a quest'ultimo compiti meramente conoscitivi e informativi, consentono di ritenere che la Regione si sia mossa nell'ambito della promozione culturale e politica socio-assistenziale, di propria competenza, escludendo una lesione della competenza esclusiva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza. (Precedenti citati: sentenze n. 208 del 2018, n. 325 del 2011, n. 105 del 2006 e n. 55 del 2001). Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la competenza dello Stato in materia di ordine e sicurezza pubblica riguarda le funzioni dirette a tutelare interessi fondamentali, quali l'integrità fisica e psichica delle persone, o la sicurezza dei beni, restando estranea a tale ambito l'attività di conoscenza, formazione e ricerca che appare strutturalmente inidonea ad incidere sull'assetto della competenza statale. (Precedenti citati: sentenze n. 208 del 2018, n. 105 del 2006 e n. 290 del 2001).
È dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale, promosse dal Governo in riferimento agli artt. 2, 3, 117, secondo comma, lett. e), e 118, quarto comma, Cost. degli artt. 18, comma 2, 19 e 40, commi 5, lett. d), e 6, lett. e), della legge reg. Abruzzo n. 3 del 2020, i quali, rispettivamente, prevedono la possibilità dell'esercizio provvisorio degli enti, delle agenzie e degli altri organismi dipendenti dalla Regione nelle more dell'approvazione dei loro bilanci da parte della Giunta, nonché disciplinano i rendiconti degli enti ed organismi strumentali. Successivamente alla proposizione del ricorso, lo ius superveniens introdotto rispettivamente dagli artt. 8, commi 1 e 2, e 12, commi 1 e 2, della legge reg. Abruzzo n. 14 del 2020 ha prodotto la rinuncia del ricorrente, non accettata formalmente dalla resistente, la quale, non comparendo in udienza, ha ulteriormente palesato la mancanza di interesse a coltivare il giudizio. (Precedenti citati: sentenze n. 286 del 2019, n. 171 del 2019 e n. 234 del 2017).
È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale - promossa dal Governo in riferimento all'art. 3 Cost. - dell'art. 4 della legge reg. Basilicata n. 43 del 2018, che individua, tra i beneficiari dei finanziamenti regionali di appositi programmi finalizzati alla prevenzione e al contrasto del bullismo e del cyberbullismo, le "associazioni con certificata esperienza che operano nel campo del disagio sociale ed in particolare nell'area minori iscritte nel registro regionale del volontariato e/o della promozione sociale". Dalla platea dei beneficiari non sono escluse le associazioni nazionali, ma soltanto quelle che non svolgano alcuna attività istituzionale, neppure attraverso articolazioni locali o circoli affiliati, nel territorio della Regione Basilicata. Infatti, in attesa che diventi operativo il "registro unico nazionale del terzo settore", istituito dal d.lgs. n. 117 del 2017, alle associazioni di promozione sociale è tuttora applicabile, in via transitoria, l'art. 7, comma 3, della legge n. 383 del 2000, che stabilisce un collegamento automatico tra l'iscrizione nei registri regionali e provinciali e quella nel registro nazionale. Così ricostruito l'ambito applicativo della disposizione regionale impugnata, la delimitazione che essa stabilisce non appare irragionevole, in quanto valorizza la specifica esperienza maturata dalle associazioni - anche quali articolazioni territoriali o circoli affiliati alle associazioni nazionali - nel contesto locale di riferimento, in funzione di una maggiore efficacia dell'intervento legislativo regionale.
In tema di diffamazione, il "blogger" risponde del delitto nella forma aggravata, ai sensi del comma 3 dell'art. 595 cod. pen., sotto il profilo dell'offesa arrecata "con qualsiasi altro mezzo di pubblicità", per gli scritti di carattere denigratorio pubblicati sul proprio sito da terzi quando, venutone a conoscenza, non provveda tempestivamente alla loro rimozione, atteso che tale condotta equivale alla consapevole condivisione del contenuto lesivo dell'altrui reputazione e consente l'ulteriore diffusione dei commenti diffamatori. (Fattispecie in cui l'imputato aveva consapevolmente mantenuto nel suo "blog" contenuti offensivi, propri e di terzi, a commento di una lettera della persona offesa dal medesimo pubblicata, fino all'oscuramento intimato dall'autorità giudiziaria ed eseguito dal "provider").
Il fatto che le espressioni offensive siano state inserite in una chat che consente la partecipazione e l'intervento anche non in tempo reale, e che al momento della loro messa in circolazione la persona offesa non fosse presente, integra il delitto di diffamazione e non la fattispecie depenalizzata di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone. Ciò in quanto l'offesa è stata proferita ai danni di persona in quel momento assente e comunicata ad almeno due persone, presenti o distanti. La circostanza che la persona offesa abbia successivamente replicato sulla chat non esclude la configurabilità del reato di diffamazione, in quanto la comunicazione delle espressioni offensive è avvenuta in assenza della stessa. Pertanto, la qualificazione giuridica del fatto come diffamazione e non come ingiuria è corretta, in quanto l'offesa è stata rivolta a persona assente e comunicata ad altri soggetti, anche se non in tempo reale.
Integra il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti la condotta di chi, avendo ricevuto o comunque acquisito materiale visivo pubblicato su un sito "web" di incontri con accesso limitato ai soli iscritti, lo trasmette a terzi senza il consenso della persona ritratta, in quanto tale facoltà, in virtù del consenso espresso da quest'ultima al momento dell'apertura dell'"account", è circoscritta ai soli appartenenti alla comunità virtuale a cui il materiale era stato originariamente inviato e unicamente all'interno di essa.
Il delitto di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) è integrato dalla reiterazione di condotte moleste e minacciose, anche attraverso messaggi telematici ingiuriosi e diffamatori, che determinino nella vittima un progressivo stato di ansia e paura, fino a costringerla a modificare le proprie abitudini di vita. La condotta persecutoria deve essere valutata nel suo complesso, essendo irrilevante la datazione dei singoli atti, purché essi siano identificabili come segmenti di un'azione unitaria causalmente orientata alla produzione dell'evento tipico. L'attribuzione all'imputato dell'invio dei messaggi telematici può fondarsi anche sulla sola testimonianza della persona offesa, senza necessità di accertamenti tecnici, salvo che non emergano specifici elementi di dubbio sulla riferibilità degli stessi all'imputato. Il giudice di appello può legittimamente negare la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, in assenza di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado, ove ritenga di poter decidere allo stato degli atti, senza che tale valutazione sia sindacabile in cassazione se adeguatamente motivata.
L'invio di una e-mail dal contenuto offensivo a una pluralità di destinatari, tra i quali vi sia anche l'offeso, integra il reato di diffamazione e non quello di ingiuria, in quanto la presenza "virtuale" o "da remoto" dell'offeso non è equiparabile alla sua presenza fisica contestuale con gli altri destinatari. Ciò in quanto il concetto di "presenza" dell'offeso, quale criterio distintivo tra ingiuria e diffamazione, implica necessariamente la compresenza fisica, in unità di tempo e di luogo, di offeso e spettatori, ovvero una situazione ad essa sostanzialmente equiparabile realizzata con l'ausilio di moderni sistemi tecnologici, come call conference, audioconferenza o videoconferenza. Pertanto, laddove le affermazioni offensive siano affidate a una comunicazione scritta, come una e-mail, indirizzata all'offeso e ad altri soggetti che ne prendano conoscenza in tempi diversi, ricorrono i presupposti della diffamazione e non dell'ingiuria, a prescindere dalla circostanza che l'offeso abbia effettivamente letto il messaggio contestualmente agli altri destinatari. Il vizio di motivazione relativo alla valutazione delle prove, inoltre, non è deducibile con il ricorso per cassazione avverso le sentenze di appello pronunciate per reati di competenza del giudice di pace, in applicazione della disciplina dettata dall'art. 606, comma 2-bis, c.p.p. e dall'art. 39-bis del d.lgs. n. 274 del 2000, entrata in vigore il 6 marzo 2018.
La reiterazione di condotte di minaccia, ingiuria e molestia, anche attraverso strumenti informatici o telematici, che determinano nella persona offesa un perdurante e grave stato di ansia o paura, o ingenerano in essa un fondato timore per la propria incolumità o per quella di persone a essa vicine, ovvero la costringono ad alterare le proprie abitudini di vita, integra il reato di atti persecutori di cui all'art. 612-bis c.p., anche in assenza di precedenti penali a carico dell'agente, qualora le circostanze attenuanti generiche siano ritenute prevalenti sull'aggravante di cui al comma 2 del medesimo articolo. In tali casi, il giudice può concedere all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, ferma restando la condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, da liquidarsi in sede civile.
La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di un social network, come Instagram o Facebook, integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma terzo, c.p., in quanto la condotta è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone. Perché si configuri il reato di diffamazione, e non la fattispecie depenalizzata di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, è necessario che tra l'offensore e l'offeso non sia possibile instaurare un rapporto diretto, reale o virtuale, che garantisca a quest'ultimo un contraddittorio immediato, attuato con modalità tali da assicurare una sostanziale "parità delle armi". Costituisce legittimo esercizio del diritto di critica politica la diffusione, con mezzo di pubblicità, di giudizi negativi circa condotte biasimevoli poste in essere da amministratori pubblici, purché la critica prenda spunto da una notizia vera, si connoti di pubblico interesse e non trascenda in un attacco personale, superando i limiti della continenza. La liquidazione dei danni morali, attesa la loro natura, avviene in via equitativa, essendo sufficiente l'indicazione dei fatti materiali tenuti in considerazione e del percorso logico posto a base della decisione, senza la necessità di indicare analiticamente i calcoli effettuati.
La condotta di chi offende la reputazione di una persona, anche in relazione a caratteristiche fisiche, comunicando con più soggetti, integra il reato di diffamazione, a prescindere dalla possibilità per la persona offesa di replicare successivamente alle espressioni lesive. Ciò in quanto la reputazione individuale, strettamente connessa alla dignità della persona, costituisce un diritto inviolabile tutelato dalla legge penale, a prescindere dalla possibilità di immediata replica da parte dell'offeso. L'elemento distintivo tra diffamazione e ingiuria risiede nel fatto che nella diffamazione l'offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con più persone, mentre nell'ingiuria la comunicazione è diretta all'offeso e questi è posto in condizione di interloquire con l'offensore in modo contestuale. Pertanto, in assenza di tale contestualità tra comunicazione dell'offesa e recepimento della stessa da parte dell'offeso, si configura il reato di diffamazione, a prescindere dalla possibilità per l'offeso di replicare successivamente alle espressioni lesive.
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