Sentenze recenti diffamazione

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  • La diffamazione è un reato che può essere scriminato dalla prova liberatoria di cui all'art. 596 c.p., la quale richiede non solo la pendenza di un procedimento penale a carico della persona offesa, ma anche la piena dimostrazione dell'esistenza del fatto attribuito al diffamato, che può essere fornita direttamente nel medesimo procedimento penale per diffamazione oppure indirettamente mediante la produzione di una sentenza irrevocabile di condanna. La mera pendenza di un procedimento penale a carico della persona offesa, o la successiva depenalizzazione del fatto attribuito al diffamato, non sono di per sé sufficienti a configurare la scriminante, essendo necessario l'accertamento della veridicità del fatto oggetto della condotta diffamatoria nell'ambito del giudizio per diffamazione. Il giudice non può ritenere integrata la scriminante sulla base di una mera presunzione o assenza di prova contraria circa l'esistenza del fatto attribuito al diffamato, dovendosi invece procedere ad un puntuale accertamento della sua effettiva veridicità.

  • Il reato di diffamazione richiede che le espressioni divulgate abbiano una effettiva e chiara portata lesiva della reputazione di una persona determinata, individuabile in modo univoco dai terzi che entrano in contatto con le stesse. Pertanto, non integra il reato di diffamazione l'affissione di scritti contenenti espressioni ambigue e di non immediata significatività offensiva, la cui riferibilità al soggetto leso non risulti certa e inequivocabile per i consociati, anche in considerazione del contesto in cui le medesime sono inserite. In tali ipotesi, in assenza di una chiara e determinata individuazione del destinatario dell'offesa, deve escludersi la sussistenza del reato per difetto dell'elemento oggettivo della fattispecie, con conseguente pronuncia di assoluzione per insussistenza del fatto.

  • La diffamazione, quale reato contro l'onore e la reputazione, si configura quando l'agente comunica con più persone, attribuendo falsamente al soggetto passivo fatti idonei a lederne la reputazione, senza che sia necessaria la prova dell'effettiva conoscenza da parte di terzi. Tuttavia, l'estinzione del reato per remissione di querela da parte della persona offesa, comporta l'annullamento senza rinvio della sentenza di condanna, con conseguente addebito delle spese processuali a carico del querelato. Il giudice di merito, nel valutare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato, deve esaminare attentamente le risultanze probatorie, anche in relazione alle eventuali discrasie o contraddizioni emerse nelle deposizioni testimoniali, al fine di pervenire ad una motivazione congrua e logica sulla responsabilità dell'imputato. La massima, pertanto, riassume i principi di diritto in materia di diffamazione, rimarcando l'importanza di una corretta valutazione delle prove e della motivazione della sentenza, nonché gli effetti della remissione di querela sulla definizione del procedimento.

  • Il reato di diffamazione è integrato dalla condotta lesiva dell'identità personale, intesa come distorsione, alterazione, travisamento od offuscamento del patrimonio intellettuale, politico, religioso, sociale, ideologico o professionale dell'individuo, quando realizzata mediante l'offesa della reputazione dei soggetti passivi, anche in assenza di indicazione nominativa, purché gli stessi siano ugualmente individuabili. L'elemento psicologico del reato è integrato dal dolo generico, consistente nella consapevolezza e volontà di offendere l'onore e la reputazione altrui, a prescindere dalla veridicità dei fatti oggetto della condotta. La diffamazione mediante l'utilizzo di un social network, con la pubblicazione di un messaggio diffamatorio sulla bacheca pubblica di un profilo, configura il reato di diffamazione aggravato dall'uso del mezzo di pubblicità, essendo distinta l'area dell'informazione di tipo professionale, diffusa per il tramite di una testata giornalistica online, dall'ambito più vasto ed eterogeneo della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo. Ai fini della determinazione della pena, il giudice deve valutare la serietà del fatto e tutti i parametri di cui all'articolo 133 c.p., potendo riconoscere le circostanze attenuanti generiche in caso di necessità di adeguare la pena alla concreta entità del fatto e al non particolare calibro criminoso attribuibile allo stesso.

  • La diffamazione a mezzo stampa è un illecito civile che si realizza con la comunicazione a più persone di espressioni offensive della reputazione altrui, da valutarsi non in base alla lettura atomistica delle singole frasi, ma con riferimento all'intero contesto della pubblicazione, comprensivo di titoli, sottotitoli e altri elementi idonei a fuorviare e suggestionare i lettori. La condotta diffamatoria può essere scriminata dal diritto di cronaca, quando l'interesse pubblico all'informazione prevalga sull'interesse del singolo alla propria reputazione e ricorrano i requisiti della verità, anche putativa, della notizia, della sua utilità sociale e della forma civile dell'esposizione. Ove tali presupposti non sussistano, il giornalista è responsabile per i danni non patrimoniali cagionati, da liquidarsi equitativamente in base alla diffusività dello strumento di comunicazione utilizzato, alla rilevanza dell'offesa e alla posizione sociale della vittima. Il risarcimento del danno può essere accompagnato dalla condanna al pagamento della riparazione pecuniaria ex art. 12 L. 47/1948 e dall'ordine di pubblicazione per estratto della sentenza, al fine di ristabilire la reputazione lesa.

  • Il delitto di diffamazione si configura quando l'agente, con dolo generico, anche sotto forma di dolo eventuale, utilizza consapevolmente espressioni socialmente interpretabili come offensive della reputazione altrui, secondo il significato oggettivamente attribuito dalla generalità dei consociati, a prescindere dalle sue specifiche intenzioni. La qualità di persona la cui onorabilità sia già in parte compromessa non esclude la possibilità di configurare il delitto di diffamazione nei suoi confronti, poiché anche la reputazione parzialmente lesa può formare oggetto di ulteriori illecite lesioni, rilevanti ai fini dell'affermazione della responsabilità, pur potendo incidere sulla quantificazione della pena e del danno risarcibile. Il danno morale derivante dalla lesione della reputazione a mezzo di diffusione televisiva può essere provato attraverso il ricorso a presunzioni e al fatto notorio, in considerazione del nesso causale evidente tra il contenuto e le modalità di diffusione delle affermazioni lesive e la sofferenza patita dalla persona offesa. Anche i congiunti della persona diffamata possono essere riconosciuti come danneggiati in via diretta e autonoma, in ragione dello strettissimo legame familiare e personale, qualora la notizia diffamatoria li abbia resi riconoscibili come tali.

  • Il diritto di critica e denuncia nei confronti di un professionista, come l'avvocato, trova un limite nel divieto di diffamazione, per cui le affermazioni offensive e infondate contenute in un esposto disciplinare presentato all'Ordine professionale, pur non essendo parte di un procedimento giudiziario, possono integrare gli estremi del reato di diffamazione e dare luogo a responsabilità civile per il risarcimento del danno non patrimoniale alla reputazione e all'immagine del professionista offeso. Tuttavia, la valutazione del danno deve tenere conto del fatto che le dichiarazioni diffamatorie siano rimaste circoscritte all'ambito ristretto dell'Ordine professionale che, ritenendole infondate, ne ha disposto l'archiviazione, limitando così la capacità lesiva delle stesse.

  • Il reato di diffamazione si configura quando le offese vengono comunicate a una pluralità di persone, oltre la persona offesa, in modo tale che quest'ultima non possa interloquire direttamente con l'offensore. Pertanto, la comunicazione di offese a terzi, anche se in presenza della persona offesa, integra il reato di diffamazione e non quello di ingiuria, in quanto la persona offesa non è posta in condizione di reagire immediatamente all'offesa. Il termine per proporre querela decorre dalla conoscenza certa, da parte della persona offesa, di tutti gli elementi costitutivi del reato, non rilevando il mero momento di consumazione della condotta o della diffusione delle offese. Il vizio di motivazione, rilevante ai fini dell'annullamento della sentenza, deve presentare il carattere dell'essenzialità, nel senso che la parte deducente deve dar conto delle conseguenze del vizio denunciato rispetto alla complessiva tenuta logica argomentativa della decisione, non essendo sufficiente allegare una mera diversa valutazione del dato probatorio. Infine, la mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nel giudizio di appello può costituire vizio di legittimità solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado, circostanza che deve essere specificamente allegata.

  • Il reato di diffamazione si configura quando l'autore comunica notizie lesive della reputazione altrui a più persone, anche in momenti diversi, purché le espressioni denigratorie abbiano ad oggetto gli stessi fatti e siano idonee a compromettere la considerazione sociale della persona offesa. A tal fine, non è necessaria la perfetta sovrapponibilità delle frasi utilizzate, essendo sufficiente che il loro significato essenziale sia convergente. Inoltre, integra la fattispecie di diffamazione anche la comunicazione di informazioni lesive della reputazione ad una sola persona, qualora tale notizia possa ragionevolmente pervenire a conoscenza di altri soggetti. L'elemento soggettivo del reato di diffamazione consiste nella consapevolezza e volontà dell'autore di divulgare le notizie denigratorie, essendo irrilevanti le sue effettive intenzioni. Pertanto, il giudice è tenuto a valutare complessivamente le modalità di comunicazione delle informazioni lesive, senza limitarsi a un'analisi parcellizzata delle singole condotte, al fine di accertare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato.

  • Il reato di diffamazione postula la propalazione o la diffusione di notizie lesive della reputazione di un soggetto determinato, o almeno sicuramente e inequivocabilmente identificabile, attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e portata dell'offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono, unitamente agli altri elementi che la vicenda offre, essere valutati complessivamente, così che possa desumersi, con ragionevole certezza, l'inequivoca individuazione dell'offeso, sia in via processuale che come fatto preprocessuale, cioè come piena e immediata consapevolezza dell'identità del destinatario che abbia avuto chiunque abbia letto l'articolo diffamatorio. Pertanto, il reato di diffamazione non sussiste quando l'atteggiamento descritto e che si ritiene diffamatorio sia riferibile non ad un determinato soggetto, ma ad una generica pluralità di soggetti, non identificabili né individuabili specificamente. La concreta possibilità di identificazione del destinatario dell'offesa attraverso la complessiva valutazione della natura e portata dell'offesa, delle circostanze oggettive e soggettive, dei riferimenti personali e temporali postula un giudizio di fatto, insuscettibile di sindacato in sede di legittimità, se supportato da motivazione non contraddittoria e non inficiata da elementi di manifesta illogicità. Inoltre, il pregiudizio non patrimoniale derivante dalla lesione della reputazione, non costituendo un mero danno-evento, deve essere oggetto di allegazione e di prova, anche tramite presunzioni semplici.

  • Il reato di diffamazione è costituito dall'offesa alla reputazione di una persona determinata e non può essere, quindi, ravvisato nel caso in cui vengano pronunciate o scritte frasi offensive nei confronti di una o più persone appartenenti ad una categoria anche limitata se le persone cui le frasi si riferiscono non sono individuabili. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità del reato in relazione a delle generiche affermazioni offensive, pronunciate nel corso di una trasmissione radiofonica, caratterizzate da preconcetti e luoghi comuni riferiti ad asserite caratteristiche degli abitanti di una zona del territorio nazionale).

  • Il reato di diffamazione si configura quando l'offesa alla reputazione altrui avviene comunicando con più persone, anche in assenza di consapevolezza della presenza della persona offesa, mentre il reato di ingiuria è integrato solo se l'autore è consapevole della presenza della persona offesa al momento della condotta offensiva. Pertanto, qualora le espressioni offensive siano state pronunciate in presenza della persona offesa, la cui presenza era nota all'imputato, il fatto deve essere qualificato come ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, reato ormai depenalizzato, anziché come diffamazione. Ai fini della configurabilità del reato di ingiuria, è necessario che l'autore abbia consapevolezza della presenza della persona offesa al momento della condotta, non essendo sufficiente la mera presenza fisica della stessa. La sentenza di condanna per diffamazione deve pertanto essere annullata con rinvio al giudice di merito affinché accerti la consapevolezza dell'imputato circa la presenza della persona offesa al momento della condotta, al fine di qualificare correttamente il fatto come ingiuria aggravata.

  • Il reato di diffamazione sussiste quando l'agente comunica consapevolmente a due o più persone espressioni offensive della reputazione altrui, a prescindere dall'intenzione di ledere l'onore o il decoro della persona offesa o dalla circostanza che le espressioni offensive siano effettivamente percepite da ulteriori soggetti. L'elemento soggettivo del reato di diffamazione è integrato dal dolo generico, ovvero dalla coscienza e volontà di pronunciare le espressioni offensive, senza che sia necessario l'animus iniuriandi, ossia l'intenzione specifica di offendere l'altrui reputazione. Pertanto, la comunicazione a due o più persone di espressioni offensive della reputazione altrui, anche se non finalizzata a diffonderle ulteriormente, integra il reato di diffamazione, a prescindere dalla effettiva percezione delle stesse da parte di altri soggetti e dall'intenzione dell'agente di ledere l'onore o il decoro della persona offesa.

  • Il reato di diffamazione sussiste quando l'imputato, con consapevolezza, diffonde a terzi espressioni lesive della reputazione e della professionalità della persona offesa, anche attraverso la divulgazione di comportamenti che, secondo i canoni etici condivisi dalla comunità, siano suscettibili di incontrare la riprovazione della communis opinio. L'offesa alla reputazione può consistere nell'aggressione alla sfera del decoro professionale della persona offesa. L'elemento psicologico del reato di diffamazione si configura come dolo generico, essendo sufficiente la consapevolezza dell'imputato di indirizzare alla persona offesa ed a terzi le espressioni lesive della altrui reputazione. Tuttavia, il reato di diffamazione può estinguersi per prescrizione, qualora il termine di prescrizione sia decorso prima della definitiva pronuncia della sentenza. In tal caso, il giudice deve dichiarare l'estinzione del reato, annullando senza rinvio la sentenza impugnata. Inoltre, in caso di depenalizzazione del reato di ingiuria, le relative statuizioni civili devono essere revocate.

  • Il reato di diffamazione sussiste quando l'autore, con coscienza e volontà, comunica alla collettività fatti determinati, anche se non pienamente provati, idonei a ledere la reputazione e il decoro di una persona, senza che rilevi la mera intenzione di esprimere un giudizio negativo sulla condotta altrui. Pertanto, l'attribuzione a un soggetto di comportamenti e connotazioni incompatibili con i canoni della civile convivenza, tali da indurre un mutamento radicale e pregiudizievole delle sue scelte esistenziali e lavorative, integra il reato di diffamazione, a prescindere dalla percezione negativa o meno del termine utilizzato per identificare il soggetto offeso nella comunità di riferimento. Ciò in quanto la diffamazione si realizza attraverso la divulgazione di una immagine deteriore della persona, volta a sminuirne il credito e la considerazione sociale, anche mediante il riferimento a elementi attinenti alla sua sfera religiosa o personale.

  • Il reato di diffamazione sussiste quando l'agente, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, offende la reputazione di una persona attraverso la diffusione di scritti o riproduzioni contenenti espressioni lesive della sua onorabilità, anche se indirizzati ai soli familiari della persona offesa. Ai fini della configurabilità del reato non è necessario che la comunicazione diffamatoria sia stata effettuata nei confronti di una pluralità indeterminata di soggetti, essendo sufficiente che essa sia stata rivolta a più persone determinate. Inoltre, il reato di diffamazione si perfeziona indipendentemente dall'effettiva individuazione del soggetto passivo, essendo sufficiente che le espressioni offensive siano riferibili in modo inequivoco alla persona offesa. Pertanto, la condotta diffamatoria realizzata mediante la diffusione di scritti o riproduzioni a contenuto pornografico e recanti i numeri telefonici della persona offesa e dei suoi familiari, integra il reato di diffamazione, anche qualora la comunicazione sia stata indirizzata ai soli familiari della vittima e non a una pluralità indeterminata di soggetti. In tali casi, la prescrizione del reato non impedisce la condanna dell'imputato al risarcimento del danno in favore della persona offesa costituitasi parte civile.

  • Il reato di diffamazione si configura quando l'imputato pronuncia espressioni offensive della reputazione altrui in presenza di più persone, anche se non tutte le persone presenti abbiano effettivamente udito le frasi diffamatorie, essendo sufficiente che le stesse siano state pronunciate in modo tale da poter essere percepite dai presenti. Ai fini della sussistenza del reato, non è necessario che l'imputato fosse consapevole della comunicazione con più persone, essendo sufficiente che le frasi siano state pronunciate in modo da poter essere udite dai presenti. Nella commisurazione della pena per il reato di diffamazione, il giudice deve attenersi ai limiti edittali previsti dalla legge, tenendo conto delle circostanze attenuanti generiche e della modesta gravità del fatto, senza poter irrogare una pena superiore al minimo edittale, salvo che ricorrano circostanze aggravanti.

  • Integra il reato di diffamazione la diffusione con modalità caricaturali di una conversazione telefonica in cui emerge, in maniera evidente, il balbettante eloquio di uno dei conversanti, non potendosi escludere l'offensività della condotta per essere la balbuzie della vittima già nota in ampio ambito sociale.

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