Sentenze recenti disdette integrativi aziendali

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  • Il datore di lavoro può validamente recedere dai contratti collettivi di secondo livello a tempo indeterminato, salva l'intangibilità dei diritti già maturati in capo ai lavoratori. Tuttavia, tale facoltà di recesso non si estende ai trattamenti retributivi espressamente previsti nei contratti individuali di lavoro, qualora emerga la chiara volontà delle parti di sostituire la fonte collettiva con quella individuale. Inoltre, la soppressione di voci retributive a seguito della disdetta contrattuale non integra di per sé la violazione del principio costituzionale di adeguatezza della retribuzione, salvo che il trattamento complessivo non scenda al di sotto di tale limite minimo. Infine, in caso di passaggio dei lavoratori a seguito di fusione o cessione d'azienda, il mantenimento di specifici trattamenti retributivi previsti dalla precedente contrattazione aziendale può essere garantito attraverso la loro imputazione alle voci della nuova disciplina collettiva, senza che ciò escluda la legittimità della disdetta di quest'ultima da parte del nuovo datore di lavoro.

  • Il recesso unilaterale del datore di lavoro da un contratto collettivo azienale istitutivo di un trattamento previdenziale integrativo di malattia, privo di termine finale, è ammissibile secondo i principi generali sull'estinzione dei rapporti di durata a tempo indeterminato. Tuttavia, tale recesso non può incidere sui diritti quesiti già maturati dai lavoratori, né sulle posizioni di coloro che hanno già esercitato il diritto al trattamento pensionistico aziendale, né su quelle di coloro che hanno maturato i requisiti ma non hanno ancora esercitato il relativo diritto. Inoltre, il recesso deve rispettare la garanzia normativa di cui all'art. 2117 c.c. e non può avere effetto sulla posizione di coloro che, pur non avendo ancora maturato i requisiti per il trattamento aziendale, sono parte della fattispecie a formazione progressiva, costitutiva di capitale in via di accumulo, vincolato a beneficio di tutti gli iscritti al fondo. Il recesso, inoltre, non può essere giustificato dalla mera invocazione dell'eccessiva onerosità delle prestazioni economiche di malattia poste a carico del datore di lavoro dalla legge, in quanto l'eccessiva onerosità è categoria tipica dell'istituto della risoluzione e non è mutuabile al recesso, che consiste in una dichiarazione unilaterale ricettizia volta a far cessare il rapporto a tempo indeterminato. Infine, il recesso non può avere efficacia retroattiva, ma opera solo per il futuro, a partire dalla data in cui la relativa comunicazione è stata ricevuta dal lavoratore, fermi restando i diritti nel frattempo maturati per effetto del vincolo contrattuale.

  • Il trattamento pensionistico integrativo disciplinato da un regolamento aziendale di previdenza complementare, quale il FIP, non può essere unilateralmente modificato in peius dal datore di lavoro, anche in caso di disdetta del regolamento, nei confronti di coloro che hanno già maturato il diritto al trattamento pensionistico integrativo, trattandosi di diritti quesiti tutelati dall'ordinamento. Pertanto, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere il trattamento pensionistico integrativo previsto dal regolamento aziendale, ivi compresa la perequazione automatica, ai lavoratori che hanno già cessato il servizio e maturato il relativo diritto, anche in caso di successiva disdetta del regolamento e stipulazione di nuovi accordi sindacali che prevedano un trattamento peggiorativo. La normativa in materia di perequazione automatica delle pensioni di cui al D.Lgs. 503/1992 non trova applicazione con riferimento a forme di previdenza integrativa basate su un sistema a ripartizione, come il FIP, non rinvenendosi in esse posizioni individuali soggette a capitalizzazione. Inoltre, tale disciplina riguarda solo i soggetti in servizio alla data del 31/12/1990 e non anche coloro che erano già cessati dal servizio, per i quali il venir meno della clausola oro decorre dall'1/1/1998.

  • Il trattamento pensionistico integrativo erogato da un fondo di previdenza complementare aziendale, istituito mediante accordi sindacali, non può essere unilateralmente modificato in senso peggiorativo dal datore di lavoro, anche in caso di disdetta degli accordi istitutivi, nei confronti di coloro che hanno già maturato il diritto al trattamento pensionistico integrativo o che, pur non avendolo ancora esercitato, possiedono i requisiti per accedervi, trattandosi di diritti quesiti tutelati dall'ordinamento. Pertanto, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere il trattamento pensionistico integrativo in conformità alle previsioni regolamentari vigenti al momento della maturazione del diritto, ivi compresa la perequazione automatica dello stesso in relazione agli aumenti retributivi dei pari grado in servizio, senza che possano trovare applicazione le successive modifiche normative o contrattuali che incidano in senso peggiorativo sui diritti già maturati.

  • Il contratto collettivo, in assenza di un termine di efficacia predeterminato, non può vincolare indefinitamente le parti contraenti, in quanto la contrattazione collettiva deve parametrarsi sull'evoluzione della realtà socio-economica. Pertanto, il datore di lavoro può legittimamente recedere unilateralmente dal contratto collettivo, sopprimendo i trattamenti retributivi accessori previsti dagli accordi aziendali, salvo il limite dei diritti quesiti, intesi come le situazioni già definitivamente acquisite nel patrimonio del lavoratore. Le indennità e i trattamenti economici aggiuntivi previsti dalla contrattazione collettiva, pur avendo natura retributiva, non rientrano nella sfera di garanzia dell'art. 36 Cost. e possono essere soppressi per effetto del recesso unilaterale del datore di lavoro, in quanto non costituiscono diritti quesiti, ma mere aspettative future del lavoratore, suscettibili di essere diversamente regolate in caso di successione di contratti collettivi.

  • Il diritto alla perequazione aziendale delle pensioni integrative, riconosciuto in un precedente giudicato, si estingue con l'accettazione da parte del pensionato della proposta di capitalizzazione della pensione integrativa, in quanto tale perequazione costituisce un accessorio indissolubilmente legato alla prestazione pensionistica integrativa principale, che viene estinta con la corresponsione della somma in capitale. L'accettazione della proposta di capitalizzazione, contenente una clausola di risoluzione di ogni rapporto con il Fondo e con la Banca in relazione al trattamento integrativo, determina l'estinzione non solo della pensione integrativa periodica, ma anche dei suoi accessori, come la perequazione aziendale, senza che rilevi l'assenza di una specifica rinuncia da parte del pensionato. Il giudicato che aveva riconosciuto il diritto alla perequazione aziendale non può giustificarne la prosecuzione anche dopo l'estinzione della prestazione pensionistica integrativa principale cui essa accede, in quanto ciò comporterebbe un'inammissibile autonomizzazione di tale accessorio, in contrasto con la causa concreta dell'accordo di capitalizzazione. Né la mancata inclusione nella somma capitalizzata degli importi successivamente accertati in forza del giudicato può determinare la prosecuzione della perequazione aziendale, essendo tale discrasia rimediabile con diversi strumenti, ma non attraverso l'attribuzione di un diritto alla perequazione per un periodo successivo all'estinzione della prestazione pensionistica integrativa.

  • Il diritto alla perequazione aziendale di pensione integrativa si estingue con l'accettazione da parte del pensionato della proposta di capitalizzazione del trattamento pensionistico integrativo, in quanto tale accettazione determina l'estinzione della prestazione pensionistica integrativa periodica e di tutti i suoi accessori, tra cui la perequazione aziendale, che sono indissolubilmente legati alla prestazione principale. L'accettazione della capitalizzazione, in forza della clausola statutaria che prevede la "contestuale risoluzione di ogni rapporto con il Fondo e con il Banco avuto riguardo al trattamento integrativo", comporta la rinuncia a qualsiasi pretesa relativa al trattamento pensionistico integrativo, inclusa la perequazione aziendale, per il periodo successivo alla capitalizzazione. Pertanto, il pensionato che abbia accettato la capitalizzazione non può più rivendicare la corresponsione degli aumenti derivanti dalla perequazione aziendale per il periodo successivo a tale accettazione, in quanto il diritto alla perequazione aziendale si estingue unitamente alla prestazione pensionistica integrativa cui accede. Ciò vale anche qualora nella somma oggetto di capitalizzazione non siano stati inclusi gli importi successivamente accertati in forza di un giudicato, in quanto tale discrasia non può giustificare l'ultrattività della perequazione aziendale oltre l'estinzione della prestazione pensionistica integrativa. Inoltre, la rivendicazione di maggiori importi sul trattamento pensionistico erogato dopo la capitalizzazione pretermette il fatto che tali ratei gravano sulla gestione speciale INPS, caratterizzata dal diverso meccanismo legale di perequazione, e non sulla perequazione aziendale oggetto del giudicato.

  • I trattamenti pensionistici integrativi aziendali hanno natura giuridica di retribuzione differita, in relazione alla loro funzione previdenziale, non incidendo la funzione previdenziale del trattamento sul lato strutturale rappresentato dell'inesistenza di un rapporto giuridico previdenziale, distinto rispetto a quello di lavoro, né sul rapporto di corrispettività con la prestazione lavorativa; ne consegue che le parti non possono subordinare, nell'applicazione della loro autonomia negoziale, il sorgere del diritto alla prestazione previdenziale alla clausola che il rapporto non sia cessato per destituzione, ossia in conseguenza di fatti rilevanti sul piano disciplinare, non essendo consentita la perdita di diritti economici che traggono titolo da un rapporto di lavoro in conseguenza di condanne penali o sanzioni disciplinari.

  • La giurisdizione sulle controversie relative ai trattamenti pensionistici integrativi, prima a carico di fondi aziendali di enti pubblici soppressi, spetta al giudice ordinario anziché al giudice amministrativo, in quanto tali trattamenti, a seguito della costituzione presso l'INPS di una gestione speciale ad esaurimento per l'erogazione dei trattamenti dovuti al personale trasferito alle unità sanitarie locali, traggono titolo non più dal rapporto di pubblico impiego con l'ente ormai soppresso, ma dal distinto rapporto previdenziale instauratosi con l'INPS. Pertanto, le controversie aventi ad oggetto i suddetti trattamenti integrativi sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, quale giudice delle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria non affidate espressamente ad altro giudice, anziché a quella esclusiva del giudice amministrativo. L'elemento costitutivo della natura previdenziale di una determinata prestazione pecuniaria è desumibile non già esclusivamente dall'omologa funzione di quest'ultima, bensì dalla sussistenza del dato strutturale costituito dalla sua inerenza ad un rapporto giuridico distinto da quello di lavoro, ancorché connesso, sicché i trattamenti correlati alla cessazione del rapporto di lavoro hanno natura di retribuzione differita solo fino a quando la loro erogazione sia riferibile ad adempimento di obbligazioni proprie di tale rapporto, mentre dismettono la natura retributiva, per assumere quella previdenziale, conforme alla loro funzione, quando divengano riferibili ad un centro autonomo di imputazione di un distinto rapporto.

  • Le controversie relative ai trattamenti integrativi in precedenza a carico di fondi aziendali di enti mutualistici soppressi, transitati all'INPS a seguito dell'opzione del dipendente per il mantenimento della posizione assicurativa anteriormente costituita, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, quale giudice delle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria non affidate espressamente ad altro giudice, e non alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Ciò in quanto tali controversie hanno il loro titolo non più dal rapporto di pubblico impiego con l'ente ormai soppresso nel quale il fondo speciale si inseriva, ma dal distinto rapporto previdenziale instauratosi con l'INPS, a cui è demandato istituzionalmente il compito ad esaurimento dell'erogazione del trattamento integrativo in precedenza corrisposto dal preesistente fondo di previdenza. Il sistema che attribuisce all'INPS tale compito comporta che le controversie concernenti il suddetto trattamento esulano dalla giurisdizione del giudice amministrativo.

  • Il diritto alla perequazione aziendale del trattamento pensionistico integrativo si estingue con l'accettazione da parte del pensionato della proposta di capitalizzazione in un'unica soluzione, in quanto tale accettazione determina la risoluzione di ogni rapporto con il Fondo pensione e con l'istituto di credito riguardo al trattamento integrativo. L'accettazione della capitalizzazione fa venir meno il diritto alla prestazione pensionistica integrativa periodica e, di conseguenza, anche il diritto alla relativa perequazione aziendale, essendo quest'ultima strettamente connessa e accessoria alla prestazione principale. Pertanto, il pensionato che abbia accettato la capitalizzazione non può più rivendicare differenze sulla perequazione aziendale per il periodo successivo all'esercizio dell'opzione, in quanto tale diritto si è estinto unitamente alla prestazione pensionistica integrativa. La mancata espressa rinuncia o la formulazione di riserve da parte del pensionato non incidono sull'effetto estintivo derivante dall'accettazione della capitalizzazione, in quanto tale effetto è tipico e indefettibile dell'accordo concluso.

  • La pensione integrativa aziendale, avente natura retributiva e non previdenziale, non è soggetta al blocco della perequazione automatica di cui all'art. 59, comma 13, della legge n. 449/1997, il quale concerne esclusivamente i trattamenti previdenziali obbligatori e quelli specificamente contemplati dalla predetta disposizione. Pertanto, il lavoratore ha diritto alla rivalutazione automatica della propria pensione integrativa in base all'andamento del costo della vita, senza che possa trovare applicazione la sospensione della perequazione prevista per i trattamenti pensionistici obbligatori. Tale principio si fonda sulla consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui la pensione integrativa, essendo erogata dal fondo aziendale e non rientrando nell'ambito di applicazione della normativa previdenziale pubblica, non è soggetta alle limitazioni e ai vincoli imposti dalla legislazione in materia di trattamenti pensionistici obbligatori. La compensazione delle spese di lite è altresì giustificata dalla sussistenza di un contrasto giurisprudenziale, in atto al momento della proposizione del gravame, in ordine all'applicabilità o meno della perequazione automatica alle pensioni integrative aziendali.

  • Le somme erogate da fondi integrativi aziendali mediante distrazione dal fine di destinazione hanno natura retributiva e vanno pertanto incluse nella retribuzione imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali obbligatori, dal momento che non rientrano in alcuna delle eccezioni previste dall'art. 12 della legge n. 153 del 1969 (fattispecie relativa a somme erogate "una tantum" ai soci lavoratori di una cooperativa mediante divisione di un fondo integrativo di quiescenza e destinate all'aumento delle rispettive quote sociali).

  • I trattamenti pensionistici integrativi aziendali hanno natura giuridica di retribuzione differita, ma, in relazione alla loro funzione previdenziale, sono ascrivibili alla categoria delle erogazioni solo in senso lato in relazione di corrispettività con la prestazione lavorativa, con la conseguenza che l'autonomia privata non subisce, in linea generale, limiti alla determinazione del "quantum" dovuto e dei presupposti e requisiti di erogazione di dette pensioni, potendo determinare altresì le condizioni della reversibilità delle prestazioni in favore del coniuge e dei figli del pensionato. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la reversione della pensione in favore del coniuge del pensionato - nel caso, separato giudizialmente alla data di risoluzione del rapporto di lavoro - in quanto la contrattazione collettiva limitava la reversibilità al coniuge convivente).

  • Il diritto alla perequazione aziendale del trattamento pensionistico integrativo, riconosciuto dal giudicato formatosi tra le parti, si estingue con l'accettazione da parte del pensionato della proposta di capitalizzazione della pensione integrativa, in quanto tale accettazione determina l'estinzione della prestazione pensionistica integrativa periodica e, con essa, anche del diritto alla relativa perequazione. Pertanto, il pensionato che abbia optato per la capitalizzazione non può più rivendicare la corresponsione degli aumenti perequativi per il periodo successivo all'erogazione della somma in capitale, in quanto tale diritto è venuto meno unitamente all'estinzione della prestazione pensionistica integrativa cui era accessorio. La mancata esplicita rinuncia alla perequazione o la riserva formulata in sede di accettazione della capitalizzazione non sono idonee a incidere sull'effetto estintivo che discende tipicamente dall'accordo di capitalizzazione, il quale involge sia la prestazione pensionistica integrativa che i suoi accessori, tra cui la perequazione aziendale.

  • Il trattamento pensionistico erogato dai fondi pensione integrativi aziendali ha natura previdenziale, distinta dalla retribuzione, e pertanto non rientra tra i crediti di lavoro privilegiati ai sensi dell'art. 2751-bis c.c. Tuttavia, ai crediti previdenziali di natura privatistica, come quelli derivanti da fondi pensione integrativi, si applica il diritto alla rivalutazione monetaria, in analogia ai crediti di lavoro, in virtù dell'intervento della Corte Costituzionale che ha dichiarato costituzionalmente illegittima l'esclusione di tale diritto. Il divieto di cumulo tra rivalutazione monetaria e interessi, previsto per le forme di previdenza obbligatoria, non si estende ai fondi pensione integrativi aziendali, in quanto gestiti da datori di lavoro privati e non da enti pubblici. Pertanto, i crediti previdenziali derivanti da fondi pensione integrativi aziendali hanno diritto alla rivalutazione monetaria, con decorrenza dal momento dell'inadempimento, e al cumulo con gli interessi legali. L'omessa comunicazione da parte della cancelleria del decreto di fissazione dell'udienza di comparizione nel giudizio di opposizione allo stato passivo non determina l'improcedibilità del ricorso, in quanto tale comunicazione costituisce un onere a carico dell'ufficio giudiziario, la cui mancanza non può essere addebitata alla parte opponente. Il principio del giusto processo, di cui all'art. 6 CEDU, non si esaurisce nella sola durata ragionevole del processo, ma comprende anche altri valori, come il diritto di difesa e il contraddittorio, che devono essere salvaguardati.

  • Le controversie relative ai trattamenti pensionistici integrativi, derivanti da fondi previdenziali aziendali confluiti nell'INPDAP a seguito della soppressione degli enti mutualistici di provenienza, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto tali trattamenti, pur avendo una funzione integrativa della pensione di base, traggono titolo da un distinto rapporto previdenziale instaurato con l'INPS, e non più dal pregresso rapporto di pubblico impiego. Pertanto, la cognizione di tali controversie non spetta al giudice amministrativo, bensì al giudice ordinario, quale giudice delle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria non affidate espressamente ad altro giudice. Tale principio si applica anche ai trattamenti pensionistici integrativi gestiti all'interno dell'INPDAP, in quanto derivanti da fondi previdenziali aziendali confluiti nell'Istituto a seguito della soppressione degli enti mutualistici di provenienza. Ciò in quanto tali trattamenti, pur avendo una funzione integrativa della pensione di base, traggono titolo da un distinto rapporto previdenziale instaurato con l'INPS, e non più dal pregresso rapporto di pubblico impiego. Di conseguenza, la cognizione delle relative controversie non spetta al giudice amministrativo, bensì al giudice ordinario, quale giudice delle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria non affidate espressamente ad altro giudice.

  • Il diritto all'iscrizione ai fondi integrativi di previdenza previsti dai regolamenti di taluni enti pubblici, per il personale assunto successivamente all'entrata in vigore della legge n. 70/1975, è subordinato all'emanazione di un decreto ministeriale che approvi i criteri attuariali aggiornati, elaborati dagli enti interessati, per determinare l'onere per la ricongiunzione o il riscatto a qualsiasi titolo, posto a totale carico dei dipendenti; in assenza di tale decreto, la facoltà di iscrizione e di riscatto dei periodi pregressi non può ritenersi perfezionata, con la conseguenza che la cancellazione ex tunc dal fondo integrativo di lavoratori indebitamente iscritti risulta legittima. La mancata emanazione del decreto ministeriale previsto dall'art. 18, comma 9, del d.lgs. n. 124/1993 non consente di ritenere integrato in capo ai lavoratori un diritto soggettivo all'iscrizione al fondo integrativo e al riscatto dei periodi pregressi, configurando al più un'aspettativa qualificata all'emanazione del decreto, la cui assenza rende illegittima l'iscrizione disposta in assenza dei necessari presupposti normativi. Pertanto, la cancellazione dal fondo integrativo di previdenza di lavoratori indebitamente iscritti, con restituzione dei contributi versati, risulta legittimamente operata dall'ente previdenziale, non potendosi imporre alla pubblica amministrazione il riconoscimento di un trattamento pensionistico non giustificato dalla normativa di riferimento.

  • Il diritto alla perequazione aziendale del trattamento pensionistico integrativo, riconosciuto da un giudicato, si estingue con l'accettazione da parte del pensionato della proposta di capitalizzazione della prestazione pensionistica integrativa, in quanto tale accettazione determina l'estinzione della prestazione pensionistica integrativa periodica e di tutti i suoi accessori, tra cui la perequazione aziendale, che sono indissolubilmente legati alla prestazione principale. Pertanto, il pensionato che abbia accettato la capitalizzazione non può più rivendicare la corresponsione di ulteriori importi a titolo di perequazione aziendale per il periodo successivo all'erogazione della somma in capitale, in quanto tale diritto si è estinto unitamente alla prestazione pensionistica integrativa. L'eventuale riserva apposta dal pensionato in sede di accettazione della capitalizzazione non è idonea a incidere sull'efficacia estintiva dell'accordo, che opera ipso iure in virtù della natura tipica e indefettibile dell'istituto della capitalizzazione, né la mancanza di un'espressa rinuncia può superare tale effetto, atteso che l'accordo di capitalizzazione racchiude l'autoregolamento d'interessi vincolante tra le parti. Inoltre, i ratei di pensione erogati dalla gestione speciale INPS dopo la capitalizzazione, gravati dal meccanismo legale di perequazione, sono estranei all'ambito della controversia relativa alla perequazione aziendale oggetto del giudicato.

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