Sentenze recenti fotovoltaico

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4895 del 2020, proposto da Po. S.r.l., Sa. S.p.A., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Ma. Gi. Ro. Mo., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. Cu. in Roma, corso (...); contro Regione Abruzzo, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero della Cultura, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gu. Bl., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); F.L.A.I. / C.G.I.L., F.A.I. / C.I.S.L., U.I.L.A. / U.I.L., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Fr. Pa., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; Arta Abruzzo - Agenzia Regionale per la Tutela dell'Ambiente, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Pi. Ma., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; e con l'intervento di Provincia di L'Aquila, Azienda Regionale per Le Attività Produttive - Arap - Unità Territoriale n. 1 (omissis), Azienda Regionale per la Tutela dell'Ambiente-Arta Distretto Provinciale di L'Aquila, Azienda Regionale per la Tutela dell'Ambiente-Arta Centrale, Regione Abruzzo-Servizio Tutela, Valorizzazione del Paesaggio e Valutazione Ambientale, Regione Abruzzo-Servizio Gestione Rifiuti, Regione Abruzzo-Direzione Politiche Agricole e di Sviluppo Rurale,Forestale, Caccia e Pesca, Emigrazione, Ministero dello Sviluppo Economico, Comunicazioni-Ispettorato Territoriale Abruzzo e Molise, Vigili del Fuoco-Comando di L'Aquila, Consorzio Acquedottistico Marsicano, Enel Distribuzione S.p.A.-Distribuzione Territoriale-Rete Lazio Abruzzo e Molise-Unità Sviluppo Rete/Programmazione Lav, Terna S.p.A., Snam Rete Gas S.p.A., Società Gasdotti Italia S.p.A., F.L.A.I./C.G.I.L.-Federazione Lavoratori Agro-Industria, F.A.I./C.I.S.L.-Federazione Agricola Alimentare Ambientale, U.I.L.A./U.I.L.-Unione Italiana Lavoratori Agroalimentari, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo n. 474/2019, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Abruzzo, del Comune di (omissis), del Ministero dell'Interno, di F.L.A.I. / C.G.I.L. e di F.A.I. / C.I.S.L. e di U.I.L.A. / U.I.L., del Ministero dello Sviluppo Economico, del Ministero della Cultura e di Arta Abruzzo - Agenzia Regionale per la Tutela dell'Ambiente; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 8 maggio 2024 il Cons. Ugo De Carlo e vista l'istanza di passaggio in decisione delle parti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Po. s.r.l. e Sa. S.p.a. hanno impugnato la sentenza indicata in epigrafe che ha respinto il loro ricorso per ottenere l'annullamento della determinazione dirigenziale della Regione Abruzzo del 13 maggio 2016, con cui si è stabilito di concludere con esito negativo il procedimento di autorizzazione unica ai sensi dell'art. 12 d.lgs. 387/2003 e autorizzazione integrata ambientale a sensi dell'art. 29-ter d.lgs. 152/2006 per la costruzione e l'esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica e della delibera di Giunta regionale 19 aprile 2016, n. 248 con cui la Regione Abruzzo ha condiviso e fatto proprie le valutazioni effettuate dal gruppo di lavoro e ha ritenuto sussistenti le condizioni per la risoluzione per inadempimento dell'Accordo di riconversione produttiva. 2. Le società appellanti avevano chiesto l'autorizzazione unica per costruire un impianto di produzione di energia elettrica alimentato a biomasse nonché un impianto fotovoltaico, da ubicarsi nei Comuni di (omissis) e di (omissis), attuativo della riconversione dell'ex-zuccherificio Eridania-Sa. di (omissis). Il progetto era stato approvato e dichiarato "di interesse nazionale" dal Comitato Interministeriale istituito con la legge 81/2006 ed era oggetto dello specifico Accordo di riconversione del 19.9.2007 sottoscritto dalle Società, dalla Regione Abruzzo e dagli altri Enti pubblici, nonché dalle Organizzazioni sindacali. Nel corso del procedimento ex art. 12 D.lgs. n. 387/2003 sorgevano alcune difficoltà perché venivano contestati da altri enti i giudizi di VIA positiva rilasciati dalla Regione Abruzzo sul progetto; il Comune di (omissis) con le deliberazioni n. 75 e n. 85 del 2010 istituiva una fascia di rispetto attorno alla Riserva del Monte Saviano interferendo con l'area di sedime del progetto. La Regione in conclusione respingeva l'istanza di autorizzazione unica nel 2015 con provvedimento che veniva annullato da T.a.r. con sentenza confermata dal Consiglio di Stato. All'esito dello svolgimento di un nuovo procedimento venivano emessi i provvedimenti oggetto di impugnazione. 3. La sentenza impugnata ha respinto il ricorso poiché ha condiviso le valutazioni effettuate dal gruppo di lavoro, ha ritenuto sussistenti le condizioni per la risoluzione per inadempimento dell'Accordo di riconversione produttiva; la violazione del sinallagma deriverebbe dalla mancata realizzazione del centro di trasformazione orticola per la valorizzazione delle patate e delle carote, obiettivo inscindibile dall'altro e non sostituibile con altro impianto. Non vi sarebbe poi alcuna violazione del principio di proporzionalità poiché le ragioni sulle quali la Regione nega l'autorizzazione unica sono plurime e tra queste riveste natura dirimente quella risultante dal verbale di Conferenza di servizi del 21 aprile 2016, ove emerge la mancata disponibilità delle aree l'intervento per l'intervenuta scadenza dei relativi contratti preliminari. 4. L'appello è affidato a tre motivi con riproposizione ex art. 101 c.p..a. di due censure presentate in primo grado e ritenute assorbite dal T.a.r. 4.1. Il primo motivo contesta la sentenza per aver ritenuto corretto il comportamento dell'Amministrazione che, invece di chiedere alle società l'adempimento delle prestazioni, aveva accertato unilateralmente il presunto inadempimento senza documentare la sussistenza e la gravita` delle condotte in cui tale inadempimento si sostanzierebbe. Il primo giudice non ha considerato che l'Amministrazione non ha mai contestato in alcun modo tale supposto inadempimento. La Regione, se riteneva che vi fossero gravi inadempimenti da parte dell'appellante, avrebbe dovuto diffidarla ad adempiere alle obbligazioni: non avendolo fatto la Po. s.r.l. non è stata posta in grado di poter adempiere, né ha avuto consapevolezza che la Regione considerava tali aspetti come suscettibili di configurare un inadempimento essenziale ai termini dell'Accordo e da legittimare quindi il proprio recesso dal medesimo. Oltretutto il Gruppo di lavoro costituito il 22 marzo 2016, si riuniva il 13 aprile e in una sola seduta decideva che sussistevano inadempimenti gravissimi all'Accordo, nonostante vi fosse stata una valutazione positiva in sede di V.I.A. La scelta di realizzare un impianto a biogas al posto della Centrale Orticola per la valorizzazione di carote e patate è derivata da una richiesta della Co. che doveva inserire una rotazione agronomica nelle colture dei terreni della zona del (omissis) e che aveva individuato nel mais, da utilizzare nel biogas, la coltura che poteva valorizzare maggiormente l'iniziativa e contemporaneamente ridurre l'eccessiva offerta presente di colture orticole. Inoltre la Regione aveva condiviso con le ricorrenti il nuovo progetto in luogo del Centro Orticolo e non poteva considerarlo un inadempimento. 4.2. Il secondo motivo lamenta la contestazione da parte dell'Amministrazione di un impianto a biomasse che consentiva la produzione da fonti rinnovabili sia di energia elettrica che termica che aveva tutti i requisiti tecnici previsti dalla normativa e che aveva ottenuto un giudizio positivo n sede di V.I.A. E' stato contestato alle appellanti che non avevano realizzato la società di scopo, senza tener conto che, negli altri casi di riconversione degli zuccherifici, essa era stata costituita soltanto dopo l'ottenimento autorizzazione unica alla costruzione della centrale. Ulteriore censura motivante il rigetto dell'autorizzazione è stato il presunto mancato coinvolgimento della componente agricola che, però, non ha tenuto conto della condivisione del progetto espressa dalle organizzazioni professionali agricole con la firma dell'intesa preliminare il 2 agosto 2007 e dell'Intesa quadro di filiera agro energetica per la riconversione dell'attività bieticolo saccarifera dell'ex zuccherificio di (omissis) siglata in data 31 agosto 2007 da Co., C., CI. e Cop.. L'asserita mancanza di un piano di approvvigionamento biomassa attendibile era stata smentita dalla sentenza n. 237/2016 del T.a.r. che rigettava i ricorsi RG n. 624/2010 e 733/2011 proposti dal Comune di (omissis) e dalla C.I.A. avverso il giudizio di V.I.A. positivo emesso dalla Regione Abruzzo con delibera n. 1559/2010. Quanto al mancato raggiungimento degli obiettivi occupazionali previsti, esso è dipeso dalla mancata autorizzazione unica. La mancanza o l'insufficienza di un Piano di comunicazione non sarebbe comunque un inadempimento tale da giustificare il recesso. In conclusione le appellanti contestano la violazione dei principi di correttezza e buona fede da parte dell'Amministrazione regionale che dichiarava il proprio recesso dall'Accordo sulla base di inadempimenti che non esistevano e che comunque, se anche sussistenti, non rivestivano certo quel carattere di gravità ed essenzialità che solo giustifica ai sensi del codice civile la risoluzione per inadempimento. 4.3. Il terzo motivo sostiene che, diversamente da quanto affermato dal T.a.r., la scelta della Conferenza dei servizi del 21 aprile 2016 di esaminare aspetti tecnici già discussi nella Conferenza del 24 marzo 2015, era illegittima e contraddittoria di per sé e violava anche l'art. 1 l. 241/1990 in quanto inefficiente ed aggravatoria di un procedimento iniziato ben otto anni prima e che essa aveva appena prima già stabilito di concludere negativamente in ragione del recesso ed a prescindere dagli aspetti tecnici che invece ha proceduto a ridiscutere. 4.4. Il primo dei motivi non esaminati in primo grado riguarda la contestazione della contrarietà alla localizzazione dell'impianto, in quanto non compatibile con il contesto territoriale e con la presenza di siti di interesse culturale, espressa dal rappresentante del Ministero della Cultura; l'area nel territorio del Comune di (omissis) prescelta per la realizzazione della centrale è area industriale in base alle destinazioni urbanistiche e non è oggetto di alcun vincolo storico-artistico o paesaggistico. Anche il Sindaco, che in qualità di Autorità sanitaria locale, ha fatto proprio un parere A.S.L. del 19 aprile 2016 e che riguarda la presenza di un asilo nelle vicinanze del sito di progetto; le possibilità di disturbo olfattivo, l'incidenza territoriale sul traffico di gomma, la criticità sugli aspetti epidemiologici e gli aspetti inerenti il permesso di costruire e la titolarità dei titoli abilitativi, non ha tenuto conto del parere favorevole ai fini V.I.A. 4.5. Il secondo motivo non esaminato in primo grado contesta che il recesso della Regione dall'Accordo di riconversione, che contiene un progetto dichiarato di interesse nazionale e strategico dal Comitato Interministeriale per fronteggiare gravi emergenze socio-occupazionali derivate dalla riconversione del settore bieticolo-saccarifero, essendo contrario alle regole civilistiche contrasta con il principio di proporzionalità e di contemperamento degli interessi coinvolti, ivi compresi quelli pubblici e generali, e al connesso principio di buon andamento (art. 97 Cost.) nonché di tutela dell'iniziativa economica (art. 41 cost.) che gli atti impugnati compromettono senza valido motivo. 5. Il comune di (omissis) e la Regione Abruzzo si sono costituiti in giudizio, chiedendo il rigetto dell'appello. 6. Le intervenienti ad adiuvandum si sono costituite in giudizio chiedendo l'accoglimento dell'appello. 7. Con nota depositata in 5 aprile 2024 la Sa. S.p.a. rinunciava all'appello in quanto posta in liquidazione con decreto di omologa del concordato preventivo del Tribunale di Bologna che non prevede la prosecuzione dell'appello. 8 L'appello è infondato. 8.1. La Regione Abruzzo ha espresso contestazioni sulla realizzazione dell'Accordo di programma con la nota del 24 marzo 2015 resa nel corso della coeva conferenza di servizi e fondata sulla relazione del gruppo di Lavoro, parte integrante della Delibera di Giunta con specifica nota del Servizio Agricoltura. Le riserve riguardavano la mancata comunicazione delle evidenze tecnico-scientifiche acquisite nel corso degli anni di sperimentazione di cui all'art. 2.3. dell'Accordo, dello stato di attuazione del "Progetto Orticolo" e della filiera corta, delle criticità circa l'approvvigionamento della materia prima per la centrale a biomasse. Inoltre la sottoscrizione da parte dell'appellante di contratti per la fornitura di mais con soli 125 agricoltori nel (omissis) per la Regione non può essere considerata suppletiva del Progetto della trasformazione orticola prevista nell'Accordo. La centrale era inoltre una variazione rispetto allo stabilimento per la trasformazione e conservazione di carote e patate con una ricomprensione nel progetto di una superficie coltivabile assai inferiore ai 1000 ettari previsti in fase di avvio del polo orticolo. Quindi non corrisponde alla realtà che vi sia stato un recesso unilaterale, fermo restando che laddove sia sottoscritto un accordo ex art. 15 l. 241/1990 l'Amministrazione per cui l'Accordo costituisce solamente una modalità alternativa al provvedimento amministrativo può recedere senza particolari formalità laddove veda che non è più raggiungibile lo scopo per cui l'Accorso era stato sottoscritto. Diversamente va valutato il provvedimento negativo impugnato all'esito della conferenza di servizi del 13 aprile 2016. Il diniego dell'autorizzazione è stata la conseguenza di una serie di inadempimenti che non possono essere solamente attribuiti alla mancata accettazione delle proposte dell'appellante da parte di alcuni produttori locali. La previsione di riconversione dell'ex zuccherificio di (omissis) prevedeva la realizzazione del progetto di trasformazione orticola. Il primo motivo è in conclusione infondato. 8.2. La centrale di biomasse doveva essere un impianto di generazione di energia elettrica a ciclo combinato ad alta efficienza cogenerativo di circa 30 Mw non una centrale a biomasse termoelettrica a vapore senza cogenerazione ed a bassa efficienza. Rispetto a queste difformità, la circostanza che vi era stato un parere favorevole V.I.A. nel 2010 non è rilevante anche perché il piano di approvvigionamento del materiale per alimentare la centrale aveva subito due aggiornamenti. La V.I.A. peraltro è un subprocedimento iniziale che in caso di esito negativo determina la reiezione dell'autorizzazione integrata ambientale, ma laddove sia positiva non preclude ad esiti negativi sulla scorta di una serie di latri presupposti che devono essere valutati dalle Amministrazioni coinvolte nella conferenza di servizi che deve fornire il parere all'autorità decidente. Già nella conferenza del 24 marzo 2015 vi sono molteplici perplessità espresse dai vari enti coinvolti oltre al parere negativo del Comune di (omissis) da un punto di vista igienico sanitario e dal punto di vista urbanistico. Relativamente alla censura nella conferenza di servizi di un appropriato piano di approvvigionamento che viene contestata dall'appellante, è sufficiente richiamare quanto espresso nella memoria della Regione alle pagine da 30 a 36 dove sono illustrate analiticamente le ragioni per cui non si poteva condividere la fattibilità del piano presentato. Le altre doglianze espresse nel secondo motivo sono ininfluenti poiché il diniego è supportato da altre ragioni per cui quando l'atto è plurimotivato non è necessario affrontare tutte le censure poiché anche solo la reiezione anche di una sola di esse impedisce l'annullamento dell'atto. 8.3. Il terzo motivo non può essere accolto poiché la conferenza di servizi del 24 marzo 2015 aveva espresso numerose criticità che hanno giustificato un'ulteriore conferenza un anno dopo che poi ha confermato gli aspetti negativi da cui sono scaturiti i provvedimenti impugnati. 8.4. Il quarto motivo ripropone una censura illustrata in primo grado ma non esaminata perché ritenuta assorbita dalle altre ragioni già sufficienti a respingere il ricorso. La stessa valutazione può essere fatta in appello poiché la reiezione dei principali motivi di appello rende superfluo l'esame della censura sulla contestata localizzazione da parte della Soprintendenza per ragioni archeologiche. 8.5. Il quinto motivo contiene sempre una censura al recesso dall'Accordo da parte dell'Amministrazione che contrasterebbe con il principio di proporzionalità e di contemperamento degli interessi, ma il Collegio si è già espresso circa la piena legittimità del recesso dall'accordo perché la proposta fatta non era conforme a quanto previsto inizialmente per cui non vi è alcuna violazione del principio di proporzionalità poiché non vi era una strada diversa dal recesso per le ragioni illustrate in precedenza. 9. Le spese seguono la soccombenza nei confronti della Regione Abruzzo e del Comune di (omissis) e vengono liquidate in dispositivo quanto alla Po. S.r.l., mentre possono essere compensare quanto alla Sa. s.p.a. ed agli intervenienti ad adiuvandum. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara estinto per rinuncia quanto alla Sa. s.p.a. e per il resto lo respinge. Condanna la Po. S.r.l., a rifondere le spese della presente fase alla Regione Abruzzo ed al Comune di (omissis) che liquida per ciascuna di essi in Euro 4.000 (quattromila) oltre agli accessori di legge. Spese compensate quanto alla Sa. s.p.a. agli intervenienti ad adiuvandum. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024, tenuta da remoto ai sensi dell'art. 87, comma 4 bis, c.p.a., con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF Raffaello Sestini - Consigliere Giovanni Sabbato - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere Ugo De Carlo - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9005 del 2021, proposto da An. Br., rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Gse - Gestore Servizi Energetici S.P.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Pu. e Ma. Or., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione terza ter n. 08241/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Gse - Gestore Servizi Energetici S.P.A; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 maggio 2024 il Cons. Carmelina Addesso e udito per la parte appellata l'avv. Ma. Lu. Ci. in sostituzione dell'avv. Ma. Or.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il signor An. Br. impugna la sentenza in epigrafe indicata che ha respinto il ricorso avverso l'atto di annullamento in autotutela del provvedimento di ammissione alle tariffe incentivanti per il periodo intercorrente tra il 3 marzo 2015 ed il 24 maggio 2016 con conseguente recupero, mediante compensazione, degli incentivi riconosciuti nel suindicato periodo. 1.1 In punto di fatto l'appellante espone che: - in data 24 gennaio 2001 acquistava la proprietà dell'immobile sito in Comune di (omissis) (SV), Frazione (omissis), riportato nel N.C.T. alla partita (omissis), sezione ca., foglio (omissis), mappale (omissis); - con successivo contratto di affitto del 29 gennaio 2008 acquisiva, altresì, la disponibilità di un appezzamento di terreno limitrofo a quello acquistato, sito al mappale (omissis); -in data 21 maggio 2012 stipulava con il GSE la convenzione per il riconoscimento delle tariffe incentivanti di cui al d.m. 5 maggio 2011 (quarto conto energia) in relazione all'impianto fotovoltaico insistente su entrambi i terreni, quello acquistato e quello condotto in affittanza agraria; - a seguito della comunicazione di disdetta dal contratto di affitto agrario da parte dei proprietari del mappale (omissis), cui seguiva una vertenza giudiziaria conclusa con sentenza del Tribunale di Savona n. 667/2015 che dichiara risolto il contratto e condannava il signor Br. al rilascio dell'immobile, il GSE annullava in autotutela il provvedimento di ammissione delle tariffe incentivanti per il periodo intercorrente tra il 3 marzo 2015 (data della domanda giudiziale di risoluzione) e il 24 maggio 2016 (data dell'atto di acquisto della proprietà del terreno da parte del ricorrente), periodo in cui l'interessato aveva perso la disponibilità del terreno. 1.2 Il signor Br. impugnava il sopra indicato provvedimento con ricorso al TAR, lamentandone l'illegittimità in quanto aveva mantenuto inalterata la disponibilità del terreno per tutto il periodo considerato, come comprovato dalla documentazione versata in atti attestante la mancata esecuzione dello sfratto e le trattative intercorse con i proprietari, poi sfociate nell'acquisto della proprietà del mappale da parte del ricorrente. 1.3 Il TAR adito respingeva il ricorso, rilevando che il ricorrente aveva perso la disponibilità giuridica del terreno a seguito di risoluzione del contratto di affitto, mentre alcun rilievo può avere la mera detenzione di fatto. Il giudice di primo grado escludeva, inoltre, in ragione dell'unicità dell'impianto e della richiesta di ammissione all'incentivo, che l'interessato potesse invocare il beneficio per la parte dell'impianto fotovoltaico insistente sul terreno limitrofo di sua proprietà . 2. Con l'appello in trattazione il ricorrente chiede la riforma della sentenza per "Violazione e falsa applicazione dell'art. 12 comma 4bis, d.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387. Violazione e falsa applicazione Decreto ministeriale 5 maggio 2011 - "Quarto Conto Energia". Violazione del Principio di Proporzionalità ex art. 97 Costituzione e art. 1 Legge 7 agosto 1990, n. 241.Violazione di Legge, eccesso di potere per sviamento ed illogicità manifesta". 3. Si è costituito in giudizio il GSE che, con successiva memoria, ha insistito per la reiezione del gravame. 4. Con ordinanza n. 6178 del 17 novembre 2021 questa Sezione ha respinto l'istanza di sospensione dell'esecutività del provvedimento impugnato. 5. All'udienza del 14 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 6. L'appello è affidato alle seguenti censure: i) il giudice di primo grado è incorso in errore laddove, richiamando l'art. 12 comma 4 bis del D. Lgs. 387/2003 nella parte in cui dispone che "il proponente deve dimostrare nel corso del procedimento, e comunque prima dell'autorizzazione, la disponibilità del suolo su cui realizzare l'impianto", non ha tenuto conto delle argomentazioni e delle allegazioni del ricorrente da cui risulta che lo stesso è sempre stato legittimo detentore del terreno sulla base dell'assenso dei proprietari. Questi ultimi non hanno mai portato ad esecuzione lo sfratto per la pendenza delle trattative concluse con atto di compravendita del 19 maggio 2016, ove espressamente si dichiara che l'immobile è condotto in affitto dal signor Br.: ii) la sentenza merita di essere riformata anche laddove ha respinto la censura di difetto di proporzionalità del provvedimento senza tenere conto della situazione sostanziale complessiva, delle evoluzioni nella vicenda giudiziaria intercorsa tra l'odierno appellante e la precedente proprietà del fondo, dell'unitarietà dell'impianto fotovoltaico, esteso sul compendio unico rappresentato dai due fondi finitimi, e del fatto che esso ha sempre continuato ad operare anche durante la pendenza della vicenda giudiziaria e delle trattative riguardanti il mappale (omissis). 7. Le censure sono infondate. 8. Ai sensi dell'art. 12 comma 4 bis d.lgs 387/2003 il rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione degli impianti fotovoltaici è subordinato alla dimostrazione, da parte del proponente, della disponibilità del suolo su cui realizzare l'impianto. 8.1 L'autorizzazione sopra indicata deve essere, una volta rilasciata, trasmessa al Gestore ai fini dell'ammissione all'incentivo (allegato 3-c punto a.2 d.m. 5 maggio 2011). 8.2 Le "Regole Applicative per il Riconoscimento delle Tariffe Incentivanti" (doc. 10 fascicolo appello GSE), stabiliscono, inoltre, al paragrafo 4.2 che: "per richiedere l'incentivo il Soggetto Responsabile dell'impianto deve caricare sul sistema informatico del GSE i seguenti documenti: (...) 4. Dichiarazione di essere proprietario dell'immobile destinato alla installazione dell'impianto, ovvero autorizzazione all'installazione dell'impianto sottoscritta dal/i proprietario/i dell'immobile". 8.3 Non è revocabile in dubbio che la legittima disponibilità giuridica del suolo e, quindi, dell'impianto su di esso realizzato assurga a presupposto condizionante il diritto al riconoscimento e al mantenimento dell'incentivo poiché soggetto responsabile di impianto può essere solo colui che, essendo legittimamente detentore dell'impianto medesimo, è anche giuridicamente responsabile del relativo esercizio e della relativa manutenzione ai sensi dell'art. 3 lett s) del d.m. 5 maggio 2011). 8.4 Solo il titolo giuridico, infatti, è suscettibile di verifica documentale da parte del Gestore, laddove il possesso o la detenzione privi di titolo si risolvono in una situazione di fatto che non solo è connotata da precarietà, ma è anche logicamente incompatibile con il sistema dei regimi di sostegno, fondato su evidenze documentali su cui si innesta l'attività di verifica e controllo del GSE. E' evidente, peraltro, che il potere di verifica non può estendersi all'indagine sull'animus possidendi, disancorata da qualunque atto costitutivo del diritto. 8.5 Per tale ragione, l'art. 10 comma 4 del citato decreto assegna rilievo unicamente alle vicende circolatorie dell'immobile che siano assistite da titolo idoneo a costituirne la legittima disponibilità, imponendo un onere di comunicazione al gestore dell'atto di cessione entro trenta giorni dalla registrazione. Tale disposizione è espressamente richiamata all'art. 7 della convenzione sottoscritta dal ricorrente (doc. 4 fascicolo primo grado ricorrente). 8.6 Pur ricordando la giurisprudenza che, in senso ancora più restrittivo, ha statuito che la disponibilità dell'area su cui realizzare l'impianto "postula necessariamente la sussistenza di una relazione qualificata a contenuto reale con il bene (come diritto di proprietà, di superficie, usufrutto), anche se in formazione, non essendo sufficiente il solo rapporto obbligatorio, in quanto il diritto ad ottenere l'autorizzazione ad edificare l'impianto de quo consiste in una proiezione del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento che autorizza a disporre dell'area in modo esclusivo" (Cons. Stato sez. V, n. 4331 del 31 luglio 2012), il Collegio sottolinea che ciò che è indispensabile è la legittima disponibilità del bene, derivante o dalla titolarità di un diritto reale sullo stesso, ovvero, quantomeno, una disponibilità derivante da altro valido titolo (come può essere, appunto, il contratto di affitto), e della cui congruenza con i presupposti di legge e con le finalità dell'ammissione al contributo, sarà il GSE a valutare. 8.7 Ciò che è certo è che il quadro normativo e giurisprudenziale non assegna rilevanza alcuna alla disponibilità materiale del suolo su cui sorge l'impianto, sia che si tratti di possesso di buona fede sia che si tratti di detenzione tollerata o consentita -sempre ex facto- dai proprietari, circostanza, quest'ultima, che consente di qualificare come detentore "de facto" (piuttosto che come possessore) il soggetto che esercita il potere sulla res, ma non è sufficiente a trasformare la detenzione da non titolata in titolata. 9. Nel caso di specie è pacifico che l'appellante abbia perso la disponibilità giuridica del bene a far data, quanto meno, dalla trascrizione della domanda giudiziale (03/03/2015) che è stata accolta dalla sentenza del Tribunale di Savona n. 667/2015 - la quale ha dichiarato "risolto il contratto di affittanza agraria in seguito alla tempestiva disdetta" e condannato il convenuto al rilascio del fondo -per riacquisirla solo al momento dell'acquisto della proprietà del mappale avvenuta con contratto del 24/05/2016. 9.1 Privo di rilievo è il richiamo da parte dell'appellante alle trattative intercorrenti con i proprietari del mappale, comprovate dalle mail versate in atti, alla mancata esecuzione dello sfratto e anche alla scrittura privata del 12/1/2016 (ove al punto 4 si precisa, peraltro, che "il possesso giuridico dell'immobile decorrerà dalla data del rogito notarile con l'assunzione da parte dell'acquirente di tutte le spese relative all'immobile: doc. 13 fascicolo primo grado ricorrente) con cui l'accordo transattivo è stato formalizzato, in quanto si tratta di circostanze e documenti che confermano la disponibilità materiale, ma non quella giuridica del mappale, comunque venuta meno con la disdetta del contratto di locazione agraria e recuperata solo con l'acquisto della proprietà del terreno. 9.2 Ne discende che correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto la legittimità del provvedimento impugnato per difetto in capo all'interessato di un valido titolo giuridico che confermi la natura giuridica e non solo fattuale di tale disponibilità . 10. Parimenti infondata- in disparte l'inammissibilità per violazione del divieto di nova eccepita da GSE con memoria del 12.11.2021-è la censura di difetto di proporzionalità del provvedimento impugnato poiché, come osservato dal TAR, l'impianto fotovoltaico, realizzato su entrambe le particelle catastali, è unitario: la perdita di disponibilità del terreno corrispondente alla particella n. 44 si è tradotta nella perdita della disponibilità dell'intero impianto che, in quanto unitario, non può che essere unitariamente inteso ai fini non solo dell'ottenimento ma anche del mantenimento dei benefici richiesti. 10.1 Il provvedimento, inoltre, disponendo la revoca e il recupero dell'incentivo unicamente per il periodo di tempo in cui il ricorrente ha perso la disponibilità giuridica del bene, non appare affetto da manifesta sproporzione poiché la perdita dei requisiti per il riconoscimento dell'incentivo ne preclude in maniera vincolata l'erogazione. 10.2 Esso, pur qualificato come annullamento d'ufficio, costituisce, piuttosto, espressione del potere di decadenza per il venir meno dei presupposti dell'incentivazione. Al riguardo, la stessa convenzione sottoscritta dal ricorrente precisa all'art. 9 (Verifiche, controlli e sopralluoghi) che il Gestore si riserva di effettuare attività di controllo al fine di accertare, tra l'altro, la permanenza del diritto all'incentivo. 10.3 Il venir meno del requisito in questione ha determinato necessariamente la decadenza dal diritto per il periodo considerato, senza alcuna possibilità di modulazione della decurtazione atteso che, per pacifica giurisprudenza, il provvedimento di decadenza non ha alcuna connotazione sanzionatoria e si configura come atto vincolato di accertamento dell'assenza dei requisiti cui è subordinata l'erogazione del beneficio (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. II 2254 del 7/03/2014; Ad Plen. n. 18 del 11 settembre 2020). 11. Per le ragioni sopra indicate l'appello deve essere respinto. 12. Sussistono giustificati motivi in ragione della peculiarità della controversia per compensare tra le parti le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Oberdan Forlenza - Presidente Giovanni Sabbato - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere, Estensore Maria Stella Boscarino - Consigliere Ugo De Carlo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8102 del 2021, proposto da Ra. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. St. Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Gse- Gestore Servizi Energetici Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fo. Fr. Mi. e An. Pu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Fo. Fr. Mi. in Roma, via (...); nei confronti Ic. Spa, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione terza ter n. 03152/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Gse Spa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 maggio 2024 il Cons. Carmelina Addesso e uditi per le parti gli avvocati Ug. De Lu. per An. St. Da. e Fo. Mi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Ra. S.r.l. impugna la sentenza in epigrafe indicata che ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento del GSE di rimodulazione delle tariffe incentivanti in precedenza riconosciute in favore di un impianto fotovoltaico di potenza pari a 996,50 kW, sito nel Comune di (omissis). 1.1 Espone che il GSE ha disposto la decadenza dagli incentivi previsti dal d.m. 19.2.2007 ("II Conto"), riconosciuti ai sensi dell'art. 1-septies d.l.105/20101, convertito in legge n. 129/2010 ("Salva Alcoa"), ammettendo contestualmente la Società agli incentivi previsti dal d.m. 6.8.2010 ("III Conto"). 1.2 A sostegno di tale decisione, il GSE ha rilevato che "la Società non ha fornito elementi per nuove e diverse valutazioni in ordine alle difformità riscontrate dal confronto tra le fotografie inviate ai fini della richiesta di ammissione ai benefici della Legge 129/2010 e le fotografie scattate nel corso del sopralluogo, che evidenziano l'assenza di alcune schiere di moduli fotovoltaici". 1.3 Il giudice di primo grado respingeva il ricorso, ritenendo corretta la determinazione del gestore in ordine alla mancata prova da parte della società dell'ultimazione dell'impianto alla data del 31.12.2010. 2. La società, premessa la ricostruzione del quadro normativo di riferimento, chiede la riforma della sentenza di primo grado per i seguenti motivi: I. Illegittimità della Sentenza in relazione al primo e al terzo motivo del ricorso introduttivo. Sulla sussistenza dei requisiti di incentivabilità dell'Impianto e sui deficit istruttori che hanno contraddistinto l'operato del GSE. Il TAR Lazio si è limitato a rilevare che nella foto contestata apparivano strutture di sostegno prive di moduli fotovoltaici e ha meccanicisticamente affermato come detta immagine non consentisse di dimostrare l'intervenuta conclusione dei lavori entro il termine previsto, senza considerare che, sulla base del quadro normativo di riferimento, il GSE è tenuto ad accertare la sussistenza di una violazione rilevante ai fini dell'ammissione agli incentivi e non mere irregolarità del tutto ininfluenti. II. Illegittimità della Sentenza in relazione al secondo motivo del ricorso introduttivo. Sulla violazione della disciplina dell'autotutela amministrativa. La sentenza deve essere annullata e/o riformata nella parte in cui il Giudice di prime cure ha rigettato il secondo motivo del ricorso introduttivo, con cui la società ha dedotto la violazione dell'art. 21-nonies della legge n. 241/90 e, più in generale, la frustrazione dei principi che sovraintendono l'esercizio del potere di autotutela amministrativa e il proprio legittimo affidamento. III. Illegittimità della Sentenza in relazione al quarto motivo del ricorso introduttivo per omessa pronuncia. La sentenza si mostra illegittima per omessa pronuncia sul quarto motivo del ricorso introduttivo con il quale la società ha dedotto, in via subordinata, l'illegittimità del paragrafo 3.1. della Procedura Operativa se interpretato in senso favorevole all'impostazione del GSE. IV. Illegittimità della Sentenza in relazione al ricorso per motivi aggiunti. Sull'illegittimo rigetto della richiesta di dilazione. Con il ricorso per motivi aggiunti, la società ha impugnato per vizi propri e derivati i provvedimenti con cui il GSE ha negato la rateizzazione della somma da restituire, ritenuta ex post non dovuta. Il TAR ha errato nell'affermare che il diniego di dilazione rientra nella discrezionalità amministrativa poiché la discrezionalità del GSE nell'accordare la rateizzazione deve ritenersi ormai esaurita alla luce della condotta processuale in concreto tenuta che ha vincolato il successivo esercizio dell'azione amministrativa e che avrebbe imposto l'accoglimento dell'istanza della società . 3. Si è costituito in giudizio il GSE che ha depositato memoria, resistendo alle avverse difese. 4. In vista dell'udienza di trattazione l'appellante ha depositato memoria di replica, insistendo per l'accoglimento del gravame. 5. All'udienza del 14 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 6. L'appello è fondato. 7. Con il primo e il secondo motivo di appello, che possono essere esaminati congiuntamente, la ricorrente chiede la riforma del capo della sentenza che ha respinto il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso introduttivo con cui era stato dedotto che: i) l'impianto rispetta i requisiti di incentivabilità previsti dal Salva Alcoa, essendo stato ultimato entro il 31 dicembre 2010 ed essendo entrato in esercizio nel mese di aprile 2011, una volta adempiute le formalità notiziali; ii) l'invio della documentazione fotografica ha carattere meramente eventuale; iii) nel corso del procedimento era stata data prova della fine dei lavori al 31 dicembre 2010; iv) il GSE è incorso in uno sviamento di potere poiché ha dedotto la mancata conclusione dei lavori da un'immagine tesa invece a provare la presenza dei locali tecnici; v) il provvedimento impugnato è espressione del potere di autotutela adottato in assenza dei presupposti indicati dall'art 21 nonies l. 241/1990. Espone che il giudice di primo grado ha sbrigativamente respinto le censure sulla base di un'erronea ricostruzione del quadro normativo di riferimento che impone al GSE di accertare in modo compiuto la sussistenza di una violazione rilevante ai fini dell'ammissione agli incentivi e non mere irregolarità (comunque nel caso di specie insussistenti), del tutto ininfluenti ai fini dell'interesse pubblico tutelato dalla norma. L'adozione di un provvedimento sanzionatorio postula che il GSE accerti e dimostri (senza poter ribaltare l'onere della prova in capo al privato) che l'impianto non sia stato concluso entro il termine previsto dalla legge. Per contro, nel caso di specie, il Gestore si è limitato a rilevare asserite criticità in ordine alla foto contestata senza tuttavia considerare che l'esame complessivo del materiale istruttorio dimostra, invece, come i moduli, alla data del 31 dicembre 2010, fossero installati presso l'impianto. La foto contestata è, infatti, funzionale a rappresentare l'esecuzione della cabina inverter/trasformazione e non a documentare l'installazione e la tipologia dei moduli fotovoltaici nonché la realizzazione anteriormente all'integrale completamento dell'impianto. La sentenza sarebbe errata anche laddove ha affermato il carattere vincolante del set fotografico poiché, da un lato, il paragrafo 3.1 della Procedura Operativa, approntata dallo stesso GSE, prevede che il caricamento del dossier fotografico sia una mera eventualità e, dall'altro lato, l'art. 1-septies del d.l. 105/2010 prevede che la prova della conclusione dei lavori venga offerta con l'allegazione di dichiarazione asseverata da un tecnico incaricato, dichiarazione che non solo è stata fornita ma è stata anche accompagnata dalla produzione delle comunicazioni di fine lavori trasmesse al Comune e al gestore di rete. In via subordinata, chiede che venga sollevata questione di legittimità costituzionale della disciplina primaria (Salva Alcoa e art. 42 del d.lgs. n. 42/2011) per contrasto con i principi fondamentali del giusto procedimento, consacrati nell'art. 97 Cost., nell'art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE e nell'art. 6 CEDU, se interpretata nel senso di legittimare l'adozione di un provvedimento gravemente afflittivo (come quello che viene in rilievo in questa sede) sulla base di una mera speculazione e in assenza di prove incontrovertibili circa l'insussistenza del requisito sostanziale per l'accesso ai benefici. Da ultimo, ove si ritenesse che il provvedimento impugnato trovi copertura nella normativa primaria di riferimento, e che la stessa sia immune da profili di incostituzionalità, chiede di disporre il rinvio pregiudiziale in Corte di Giustizia, al fine di verificare la compatibilità con i principi espressi dalla direttiva 2009/28/CE e, in particolare, con i considerando 8, 11, 14, 25, 40 e 41 e con l'art. 13, di una normativa nazionale, quale quella qui rilevante, che consente all'amministrazione di disporre una misura afflittiva (come quella della decadenza dai benefici) a fronte della sussistenza di un mero dubbio circa la mancata ultimazione dei lavori nel termine previsto e a fronte di documentazione che, al contrario, testimonia l'avvenuta fine lavori nel termine previsto dal Salva Alcoa. 8. I motivi sono fondati nei termini di seguito esposti. 9. Giova premettere una sintetica ricostruzione della vicenda per cui è causa: i) la ricorrente è subentrata alla So. S.p.a. nella realizzazione dell'impianto per il quale la cessionaria aveva già ottenuto tutte le necessarie autorizzazioni (doc. 6 fascicolo di primo grado); ii) in data 30.12.2010, la società ha inviato al GSE la comunicazione di fine lavori secondo il format dallo stesso predisposto, comprensivo di un set di cinque fotografie, ciascuna delle quali funzionale ad offrire una visione dei diversi particolari delle componenti dell'impianto e, nel loro insieme, una visione complessiva del medesimo (doc. 7-bis, fascicolo di primo grado); iii) a seguito dell'entrata in esercizio dell'impianto (avvenuta in data 20.4.2011), la società ha presentato domanda di accesso alle tariffe incentivanti di cui al II Conto ai sensi dell'art. 1 septies del c.d. Salva Alcoa; iv) con nota del 26.9.2011, il GSE ha comunicato il preavviso di rigetto dell'istanza evidenziando, inter alia, che "le fotografie trasmesse non forniscono una visione completa dell'impianto (...) non consentendo di verificare l'effettiva conclusione dei lavori dell'impianto In particolare: non è presente almeno una fotografia del trasformatore bt/MT" (doc. 8, fascicolo di primo grado); v) all'esito dell'esame delle controdeduzioni della società, il GSE ha ammesso l'impianto alle tariffe incentivanti previste dal Salva Alcoa, procedendo in data 27.10.2011 alla sottoscrizione della relativa convenzione (doc. n. ri 9-10, fascicolo di primo grado); vi) con nota del 6.06.2017 il GSE comunicava che, a seguito dell'avvio del procedimento di verifica, era stata rilevata una difformità tra la foto della cabina inverter/trasformatore scattata in sede di sopralluogo del 16 novembre 2016 e quella caricata sul portale che mostra sullo sfondo una porzione di schiere prive dei moduli, presenti, invece, al momento della verifica in loco (doc. 4 fascicolo di primo grado); vii) la società forniva riscontro a quanto osservato dal gestore, precisando che la documentazione fotografica della cabina di trasformazione era stata effettuata durante i lavori di cantiere al momento della consegna della cabina BT/MT avvenuta in data 23/11/2010, mentre buona parte dei moduli fotovoltaici erano stati consegnati in cantiere in data successiva, come dimostrato dagli allegati DDT n° 1 del 21/12/2010 e che "pertanto è del tutto normale che tale immagine non contempli sia la cabina BT/MT che i moduli fotovoltaici" (doc. 11, 13 e 14); viii) con provvedimento del 30 novembre 2018 il GSE, ritenendo che la società non avesse fornito elementi per nuove e diverse valutazioni in ordine alle difformità riscontrate, ha disposto la decadenza dell'impianto dai benefici del c.d. Salva Alcoa, ammettendola ai benefici di cui al d.m. 6 agosto 2010, sussistendone i requisiti. In particolare, il provvedimento impugnato precisa che il caricamento di fotografie errate o comunque non attestanti il completamento dei lavori non ha posto il GSE in condizioni di valutare in modo inequivocabile la sussistenza delle condizioni per l'accesso ai benefici della legge 129/2010. 9.1 Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso introduttivo in quanto "lo stato di fatto rilevato in sede di sopralluogo unito alla mancanza di una completa e idonea documentazione fotografica che attesti quanto dichiarato costituisce una base motivazionale idonea a giustificare la decadenza disposta dal Gestore". 10. Ad avviso del Collegio, la rilevata discordanza tra la fotografia della cabina inverter/trasformatore caricata sul portale e quella scattata in sede di sopralluogo non costituisce, di per sé sola, elemento idoneo a provare la mancata conclusione dei lavori al 31 dicembre 2010, smentendo le plurime evidenze di segno contrario derivanti non solo dai chiarimenti e dai documenti integrativi trasmessi dalla società nell'ambito del procedimento di verifica, ma dallo stesso dossier fotografico caricato sul portate che raffigura l'impianto completo di tutte le schiere di moduli installati. 10.1 Fermo restando che- come osservato da questa Sezione (Cons. Stato, sez. II n. 10817 e 10819 del 14/12/2023; id n. 7105 del 20/07/2023) e contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente- la trasmissione della documentazione fotografica relativa all'impianto fotovoltaico ultimato in tutte le sue parti, sia strutturali che elettriche, costituisce un adempimento obbligatorio per legge (art. 1 septies l. 129/2010 che rinvia al d.m. 19 febbraio 2007, il cui allegato 4 impone la trasmissione di almeno cinque fotografie su supporto informatico volte a fornire, attraverso diverse inquadrature, una visione completa dell'impianto, dei suoi particolari e del quadro di insieme in cui si inserisce), la documentazione fotografica trasmessa dalla ricorrente raffigura sia il completamento delle varie componenti (cabina inverter/trasformatore e moduli fotovoltaici) sia, nel suo complesso, la visione di insieme dell'impianto ultimato. 10.2 D'altra parte, l'affermata contraddittorietà tra la foto della cabina, che sullo sfondo reca schiere prive di moduli, e la dichiarata conclusione dei lavori al 31.12.2010 era già evincibile dal dossier fotografico, la cui idoneità a comprovare la fine dei lavori è stata, peraltro, oggetto di specifica istruttoria conclusa con l'ammissione all'incentivo da parte del gestore. 10.3 La foto scattata in sede di sopralluogo del 16 novembre 2016 non pare fornire alcuna informazione aggiuntiva rispetto a quelle già in possesso del gestore sin dal momento della presentazione della domanda, salvo quella di rappresentare le schiere di moduli montati dal medesimo angolo di visuale (sullo sfondo) della foto contestata, mentre nel dossier trasmesso i moduli sono fotografati in primo piano, in ragione della finalità assolta che è quella di rappresentare il completamento della specifica componente raffigurata. 11. La società ha, peraltro, fornito ulteriori elementi a comprova dell'avvenuto completamento dei lavori alla data del 31 dicembre 2010, al fine di dissipare i dubbi determinati dal confronto tra le due foto della cabina inverter - quella contestata e quella scattata in sede di sopralluogo-e dalle rimanenti foto del dossier (in particolare, la terza, la quarta e la quinta) che raffiguravano le schiere complete dei moduli. 11.1 Sotto tale profilo rilevano: i) la dichiarazione del tecnico incaricato del montaggio che puntualizza che le fotografie della cabina di trasformazione sono state fatte il 23/11/2010 durante i lavori di ultimazione della stessa, mentre mancano i pannelli solari perché i moduli sono stati consegnati 30 giorni dopo (doc. 13): ii) il documento di consegna dei moduli datato 21 dicembre 2010 (doc. 14); iii) la documentazione di fine lavori al gestore di rete e al comune (doc. n. ri 15,16 e 28), comprensiva delle fotografie allegate che recano una visione frontale e aerea dell'impianto ultimato. 12. Nonostante i chiarimenti forniti dalla società, il GSE non ha proceduto ad alcun supplemento istruttorio, eventualmente finalizzato all'acquisizione della documentazione sub ii) e sub iii) presso il gestore di rete e il Comune, né ha chiarito le ragioni per cui l'unica discrasia inerente ad un particolare di sfondo in una delle cinque foto trasmesse fosse idonea a provare l'assenza dei requisiti di incentivazione. In particolare, non risulta chiaro perché, come si legge nel provvedimento impugnato, il caricamento delle fotografie "non ha posto in condizioni il GSE di valutare in modo inequivocabile la sussistenza di tutte le condizioni per l'accesso ai benefici di cui alla legge 129/2010", vieppiù alla luce delle diverse conclusioni a cui il medesimo gestore era pervenuto, proprio con riguardo allo specifico punto in contestazione, in sede di domanda di ammissione. 13. Questa Sezione ha chiarito che, in sede di sindacato giurisdizionale sulla congruità e adeguatezza dell'apparato motivazionale del provvedimento di decadenza impugnato nonché di verifica della correttezza dell'istruttoria amministrativa sui relativi presupposti e della ragionevolezza della misura decadenziale, l'onere di dimostrare l'effettività degli elementi fondativi della decadenza incomba, ai sensi dell'art. 2967 c.c., sul G.S.E. Una volta esaurita la fase dell'ammissione agli incentivi della società istante ed effettuati (con esito positivo) i previsti controlli, infatti, la decadenza, che si fonda sull'accertamento della violazione rilevante, deve essere sorretta da elementi effettivi, solidi e verificati, non essendo certo sufficiente connotare di inverosimiglianza la (peraltro plausibile, sul piano tecnico) spiegazione alternativa fornita da controparte. Il GSE, infatti, può legittimamente avanzare dubbi e richieste di chiarimenti, la confutazione dei quali, tuttavia, spetta allo stesso e non può nuovamente gravare sull'azienda, peraltro costretta a motivare scelte che reputava legittime a distanza di molti anni dalla loro effettuazione (Cons. Stato, sez. II 3 gennaio 2024 n. 125; sez. II, 1 marzo 2023, n. 2144; 2 maggio 2023 n. 4349). 14. Non può, pertanto, essere condiviso quanto osservato dal giudice di primo grado secondo cui la mancata conclusione dei lavori entro il termine di legge emergerebbe inequivocabilmente dalla foto contestata. Al contrario, la circostanza che la foto contestata sia stata scattata in epoca antecedente all'installazione dei moduli non è incompatibile con l'ultimazione dell'impianto (cabina + moduli) alla data del 31 dicembre 2010, come emerge dalle foto del dossier relative ai pannelli installati nonché dall'ulteriore documentazione prodotta dalla ricorrente nel corso del procedimento e in sede giudiziale. 15. Sotto distinto e concorrente profilo, giova osservare che l'effettiva ultimazione dei lavori entro i termini di legge è stata oggetto di specifica istruttoria in sede procedimentale, all'esito della quale la società è stata ammessa all'incentivo. 15.1 Il provvedimento impugnato, nel procedere ad un riesame dei medesimi requisiti già oggetto di istruttoria in sede di ammissione della domanda, costituisce espressione non del potere di decadenza, come ritenuto dal giudice di primo grado, bensì di quello di autotutela esercitato in assenza dei presupposti previsti dall'art 21 nonies, l. n. 241/1990, in primis il termine ragionevole e l'affidamento ingenerato nell'operatore economico dall'esito positivo dell'istruttoria svolta proprio riguardo allo specifico requisito ritenuto mancante a distanza di sette anni dall'ammissione (il provvedimento di ammissione è del 2011e il provvedimento impugnato è del 2018). Come chiarito da questa Sezione, infatti, la titolarità del potere di verifica e controllo non consente l'indiscriminata rimessa in discussione dei presupposti iniziali, senza il rispetto delle necessarie garanzie e degli affidamenti in capo alle imprese direttamente coinvolte, in quanto una volta che il procedimento si è concluso con il vaglio positivo degli elementi forniti dal privato, il riesame dei medesimi elementi deve seguire i canoni ed i presupposti del potere di autotutela, sotto tutti i punti di vista (Cons. Stato sez. II 17/06/2022 n. 4983). 16. Per le ragioni sopra indicate, l'appello deve essere accolto e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso di primo grado con conseguente annullamento dell'atto impugnato per difetto di istruttoria e di motivazione e per violazione dell'art 21 nonies l. n. 241/1990. 17. Rimangono assorbite le ulteriori censure relative all'illegittimità del diniego di dilazione. 18. Sussistono giustificati motivi, in ragione della peculiarità della controversia, per compensare tra le parti le spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado. Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Oberdan Forlenza - Presidente Giovanni Sabbato - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere, Estensore Maria Stella Boscarino - Consigliere Ugo De Carlo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3375 del 2021, proposto da Av. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato St. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di (...); contro Gse - Gestore dei Servizi Energetici S.P.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Pu. e Fa. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Fa. Ga. in Roma, via (...); nei confronti En. S.r.l., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione terza ter n. 00946/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Gse - Gestore dei Servizi Energetici S.P.A; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 maggio 2024 il Cons. Carmelina Addesso e uditi per le parti gli avvocati Fr. Ro. Fe. per St. Ga. e Fa. Ga.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Av. S.r.l. (d'ora innanzi, Av.) impugna la sentenza in epigrafe indicata che ha respinto il ricorso per l'annullamento del provvedimento del 12 marzo 2014 di diniego di riconoscimento delle tariffe incentivanti per l'impianto fotovoltaico di potenza pari a 997,44 kW, sito nel Comune di (omissis). 1.1 Deduce in fatto l'appellante di aver presentato la domanda di iscrizione al primo registro del Quinto Conto Energia (d.m. 5 luglio 2012), indicando, quale criterio di priorità per la formazione della graduatoria, che l'impianto era installato su "edificio" e che i quattro edifici sui quali l'impianto era collocato erano dotati di attestato di certificazione energetica di Classe D. 1.2 L'impianto veniva, quindi, inserito nella graduatoria per un costo annuo incentivabile pari a euro 110.382,00. Ai fini dell'ingresso nella graduatoria, tuttavia, non operavano i requisiti di priorità indicati dal GSE poiché le domande di partecipazione erano inferiori al valore di potenza incentivabile messo a bando, sicché il possesso o meno del requisito evidenziato si è rivelato irrilevante. 1.3 A seguito della trasmissione della richiesta di riconoscimento della tariffa incentivante, a cui venivano allegati gli attestati di certificazione energetica per ciascuno dei quattro capannoni sui quali è installato l'impianto, il GSE avviava il procedimento di verifica, all'esito del quale, nonostante le osservazioni trasmesse dalla società in riscontro al preavviso di diniego, negava l'incentivo per difetto del requisito di maggiorazione di cui all'art. 5, comma 2, lett. a) d.m. 5 luglio 2012, perché l'impianto era stato installato su un edificio in classe energetica inferiore a D. 1.4 Avverso il provvedimento di diniego Av. proponeva ricorso al TAR che lo respingeva ritenendo, in sintesi, che: i) il valore di prestazione energetica totale dei capannoni doveva essere determinato, come rilevato dal GSE, sulla base tabella n. 1 dell'Allegato 4 (allegato A, par. 7.2.) del DM 26 giugno 2009, e non, come sostenuto dalla ricorrente, sulla base della tabella 3 che riguarda solo gli edifici residenziali; ii) la dichiarazione all'atto della domanda di ammissione di un requisito di priorità inesistente preclude l'accesso agli incentivi, conformemente a quanto sancito dal quadro normativo e regolatorio in materia (artt. 23 e 42 d.lgs 28/2011, art. 12 d.m. 5 luglio 2012, par. 2.4 e 2.5 delle Regole applicative) e in applicazione del principio di autoresponsabilità ; iii) non poteva essere disposta un'ammissione parziale all'incentivo con riguardo all'unico capannone di classe energetica D, attesa la natura unitaria della domanda presentata; iv) non poteva assegnarsi alcuna rilevanza al mancato raggiungimento del limite di costo previsto nel bando poiché le risorse non utilizzate nel primo registro confluiscono, aumentandolo, nel tetto degli incentivi previsto per il secondo registro, ampliando le possibilità di erogazione in favore di altri soggetti. 1.5 Il TAR respingeva, infine, la domanda risarcitoria per l'inconfigurabilità del requisito dell'ingiustizia del danno ex art. 2043 cc. 2. Av. appella la sentenza per i seguenti motivi: I. Error in iudicando: Ingiustizia manifesta della sentenza per illogicità, contraddittorietà, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto - Falsa applicazione dell'art. 42 del d.lgs. 28/2011, nonché dei principi di cui al D.M. 5 luglio 2012 e delle sue regole applicative - Violazione del principio di proporzionalità e più in generale dei principi dell'azione amministrativa. II. Error in iudicando: Erroneità ed ingiustizia manifesta della sentenza per violazione del principio di proporzionalità - Violazione del principio della par condicio - Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità manifesta, contraddittorietà, travisamento dei presupposti. III. Error in iudicando: Erroneità ed ingiustizia manifesta della sentenza per violazione del principio di proporzionalità e del principio di buon andamento - Violazione del principio della par condicio e del favor partecipationis - Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità manifesta, contraddittorietà, travisamento dei presupposti. IV. Error in iudicando: erroneità ed ingiustizia manifesta della sentenza nella parte in cui non ha accolto l'istanza risarcitoria 3. Si è costituito in giudizio il GSE che ha insistito per la reiezione del gravame. 4. In vista dell'udienza di trattazione entrambe le parti hanno presentato memorie, insistendo nelle rispettive difese. 5. All'udienza del 14 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 6. L'appello è infondato. 7. Con il primo motivo di appello la ricorrente lamenta l'erroneità dell'assunto, sostenuto dal GSE e dal giudice di primo grado, secondo cui la tabella n. 3 dell'allegato 4 delle Linee Guida contenute nel D.M. 26 giugno 2009 sarebbe stata erroneamente utilizzata nel caso di specie. Espone che tale ricostruzione non è coerente con il dato normativo costituito dalle Regole Applicative del Quinto Conto Energia e dal D.M. 26 giugno 2009 (Linee Guida per la certificazione energetica), da cui emerge che: i) la classe energetica, rilevante ai fini dell'applicazione dei criteri di priorità di cui all'art. 4, comma 4, del d.m. 5 luglio 2012 (Quinto Conto), è la classe energetica globale dell'edificio, espressa come somma dei singoli servizi energetici certificati, ovvero la prestazione energetica per la climatizzazione invernale e la prestazione energetica per la produzione dell'acqua calda sanitaria, ove presente (art. 4.7 delle Regole Applicative); ii) la classe energetica di un edificio è determinata avendo riguardo alla prestazione energetica globale dell'edificio (EPgl), espressa come somma degli indici EPi e EPacs (allegato A paragrafo 3 delle Linee guida per la certificazione energetica) anche nel caso in cui l'edificio non sia dotato di impianto di produzione di acqua calda sanitaria (come nel caso che interessa). In simili ipotesi, infatti, per determinare l'EPacs, deve farsi ricorso al metodo di calcolo di cui all'Allegato 1, il quale consente di stabilire la prestazione energetica per la produzione di acqua calda sanitaria di un edificio, indipendentemente dalla presenza di un impianto per la produzione di acqua calda sanitaria; iii) il fabbisogno energetico per la produzione di acqua calda sanitaria (EPacs), ai sensi del Linee Guida, non è mai "pari a 0" ma va sempre calcolato ai fini della prestazione energetica globale e, quindi, della determinazione della classe energetica dell'edificio. Così per calcolare l'EPgl dell'edificio non residenziale si deve considerare l'Epacs e convertire i valori dalla misura "kWh/m2" alla misura "kWh/m3", riconducendo il tutto ai parametri di cui alla Tabella 1 ai sensi del paragrafo 3 dell'Allegato A. Deduce, altresì, la contraddittorietà, non colta dal giudice di primo grado, delle richieste del Gestore che, dapprima, ha contestato la conformità degli attestati di certificazione energetica prodotti, chiedendo di calcolare il valore della cd. Prestazione Energetica Globale dell'edificio e, successivamente, ha contestato che il valore fosse stato calcolato sulla base della tabella 3 dell'Allegato 4 (Allegato A, par. 7.2) del DM 26 giugno 2009. Il GSE non ha considerato che, anche in assenza di un impianto di produzione di acqua calda, il legislatore ha previsto un meccanismo alternativo di determinazione dell'indice EPacs che consente di calcolare in ogni caso la prestazione energetica globale degli edifici quale somma degli indici parziali EPi e EPacs. In nessun caso, invece, ai sensi della normativa vigente, la prestazione energetica di un edificio potrebbe essere determinata con riguardo al solo indice per la climatizzazione invernale. Lamenta un ulteriore travisamento di fatto e di diritto laddove il GSE, prima, e il TAR, poi, hanno ritenuto utilizzabile la sola tabella n. 1 del D.M. 26 giugno 2009 "in quanto unica tabella applicabile anche agli edifici non residenziali, non contenendo alcuna costante dimensionale (né kWh/m3 anno, né kWh/m2 anno)". Invero, nel D.M. 26 giugno 2009 non è previsto in nessun punto che per gli edifici non residenziali e, in particolare, per quelli industriali E.8, debba essere utilizzata esclusivamente la tabella 1 dell'allegato 4, essendo piuttosto importante che "per residenze collettive o edifici non residenziali, i medesimi indici siano espressi in kWh/m3 anno". A dimostrazione dell'erroneità della tesi avallata dal TAR, deve evidenziarsi che la società, a mezzo del proprio tecnico, ha effettuato i calcoli anche ai sensi dell'unica norma tecnica ufficiale europea utilizzabile, ovvero la normativa UNI TS 11300-2. Sebbene tale normativa non menzioni espressamente la categoria di edifici E8 (come quella che ci occupa, trattando solo edifici non residenziali ma abitati), essa di fatto rappresenta l'unico strumento di calcolo ufficiale per computare il fabbisogno di ACS anche per dette utenze (ossia quelle diverse da abitazioni e residenze diverse dalle abitazioni), circostanza che sconfessa la tesi della semplicistica riduzione a zero del relativo fabbisogno sostenuta dal giudice di primo grado. 8. Il motivo è infondato. 9. Con riguardo al calcolo del valore della cd. Prestazione Energetica Globale degli edifici appartenenti alla classe E8 non residenziale, come i capannoni per cui è causa, ai fini del riconoscimento del criterio di priorità previsto dall'art. 4 comma 5 lett. a) e b) del D.M. 5 luglio 2012 (Quinto Conto Energia), questo Consiglio di Stato ha in più occasioni ribadito che occorre fare riferimento al sistema di classificazione riportato nella Tabella 1 dell'Allegato 4 (Allegato A, par. 7.2) del DM 26 giugno 2009 in quanto l'unica compatibile con gli indici espressi in kWh/m3 per gli edifici non residenziali, mentre il sistema indicato nella Tabella 3 fa riferimento a valori espressi in kWh/m2 anno e, per tale ragione, riguarda solo gli edifici residenziali. Ai sensi della Tabella 1 la prestazione energetica globale dell'edificio (EPgl) coincide con l'indice parziale EPi relativo alla prestazione energetica per la climatizzazione invernale. 9.1 In particolare, è stato osservato che: a) ai sensi dell'allegato A paragrafo 3 d.m. 26.06.2009 (Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici) la prestazione energetica complessiva di un edificio è espressa attraverso l'indice di prestazione energetica globale EPgl. Tale indice viene calcolato, ai fini che qui interessano (cfr. paragrafo 3 d.m. citato), come somma dell'indice EPi di prestazione energetica per la climatizzazione invernale e dell'indice EPacs di prestazione energetica per la produzione dell'acqua calda sanitaria (EPgl=EPi + EPacs); b) se non vi è produzione di acqua calda, non risulta determinabile l'indice EPacs; c) ciò comporta che l'EPgl è uguale all'EPi, indice quest'ultimo che deve essere calcolato in base alla tab. 1; d) il concetto di indice di Prestazione Energetica Globale non può essere invocato strumentalmente al fine di usufruire di un criterio di calcolo, quale quello previso dalla tab. 3 dell'all. 4 (All. A, par. 7.2), effettivamente utilizzato dalla ricorrente, la cui applicazione postula la necessaria compresenza di prestazioni per climatizzazione invernale e produzione di acqua calda, effettivamente esistenti e comportanti un utilizzo di energia primaria. E ciò in quanto "l'edificio non produce acqua sanitaria come si evince dall'attestato di certificazione energetica presentato dalla ricorrente ai fini della richiesta di incentivi" (Cons. Stato sez. IV, 17/04/2019 n. 2502); e) l'inapplicabilità della invocata tab. 3 all'edificio non residenziale risulta anche dal fatto che i valori ivi richiamati sono costantemente espressi in Kwh/mq, indice che, ai sensi dell'art. 3, all. A al D.M. 26 giugno 2009, si riferisce ai calcoli per gli edifici residenziali, essendo il diverso indice Kwh/mc applicabile agli altri edifici (residenze collettive, terziario, industria) (sent. 2502/2019 cit.); f) il rinvio all'Allegato 4 contenuto nel paragrafo 4.7 delle Regole applicative implica che si tenga conto dei criteri fissati per gli edifici non residenziali dai punti 3 e 7.3. dell'Allegato A del d.m. 26 giugno 2009. Il che significa che si deve fare riferimento agli algoritmi che non esprimono valori in kWh/m² e, dunque, solo a quelli di cui alla tabella 1, essendo l'unica che non contiene alcun riferimento ad unità di misura (proprio perché è utilizzabile sia per determinare i kWh/m2 anno, sia i kWh/m3 anno) (Cons. Stato, sez. II 03/11/2022 n. 9612); g) poiché, infatti, gli indici espressi in kWh/mq anno per gli edifici residenziali non sono tecnicamente relazionabili con gli indici di prestazione energetica, espressi in kWh/mc anno, degli edifici non residenziali e tenuto conto che le Tabelle 2 e 3 recano indici espressi in kWh/mq anno, l'unica interpretazione del suddetto art. 4.7 delle Regole Applicative compatibile con il restante corpo normativo regolamentare appare essere quella di richiamo alla sola Tabella 1, la sola delle tre Tabelle recante la scala di classi energetiche espressione della prestazione energetica per la climatizzazione invernale avente portata generale, perché non limitata agli indici espressi in kWh/mq anno (Cons. Stato, sez. II 08/03/2023 n. 02447 e 17/05/2023 n. 4913); 10. Le sopra richiamate coordinate giurisprudenziali smentiscono l'assunto di parte ricorrente secondo cui l'indice di prestazione energetica deve sempre essere calcolato come somma degli indici del fabbisogno di energia primaria per i) la climatizzazione invernale (EPi), e ii) la produzione di acqua calda sanitaria (EPacs), anche nel caso in cui l'edificio non sia dotato di impianto di produzione di acqua calda sanitaria. 11. Nella relazione trasmessa dalla società in riscontro alla richiesta di integrazione documentale del GSE (doc. 4 fascicolo primo grado GSE) si precisa che i capannoni sono privi di impianto di acqua calda sanitaria, non essendo necessaria ai fini dell'attività svolta negli stessi, e che il valore dell'indice EPacs (kWh/m3 anno) è pari a zero. 11.1 Alla luce di quanto dichiarato dalla stessa società, l'indice di prestazione energetica globale EPgl coincide con l'indice parziale EPi di prestazione energetica per la climatizzazione invernale (EPgl=EPi), da calcolarsi, trattandosi di edifici non residenziali, secondo il sistema indicato nella Tabella 1 dell'Allegato 4. 12. A diverse conclusioni non conducono le ulteriori deduzioni difensive della ricorrente in relazione alle quali è sufficiente rilevare che: i) non è ravvisabile alcuna contraddittorietà dell'azione del GSE che, una volta esaminata la documentazione trasmessa, con richiesta di istruttoria del 26/09/2013 (doc. 3 fascicolo primo grado GSE) comunicava che "l'identificazione della classe energetica globale dell'edificio deve essere effettuata secondo le modalità previste al paragrafo 4.7 delle "Regole Applicative per l'iscrizione ai registri e per l'accesso alla tariffe incentivanti DM 5 luglio 2012", in particolare occorre (...) determinare la classe energetica globale dell'edificio verificando l'intervallo di appartenenza sulla base degli algoritmi riportati nell'Allegato 4 al DM 26 giugno 2009". Trattandosi di edificio non residenziale l'unico algoritmo applicabile era quello della Tabella 1; ii) per gli edifici non residenziali i consumi di acqua calda sanitaria, anche ove diversi da zero, sono considerati dal legislatore poco significativi e, quindi, trascurabili ai fini della determinazione del valore di prestazione energetica globale, sicché l'indice EPacs non viene valorizzato, rimanendo valida l'equazione EPgl=EPi anche in caso di consumo diverso da zero; iii) l'allegato 1 delle Linee Guida non è invocabile a sostegno dell'assunto per cui l'indice EPacs dovrebbe essere comunque calcolato anche per gli edifici non residenziali poiché esso si limita a stabilire che, in assenza di un impianto di produzione di acqua calda e in mancanza di specifiche indicazioni, il superamento di determinati valori dell'indice di prestazione energetica dell'edificio fa presumere che il servizio sia fornito mediante apparecchi alimentati dalla rete elettrica; iv) la norma UNI/TS 11300 - 2 riguarda, come emerge dal prospetto n. 13 (doc. 10 deposito primo grado GSE) e come riconosciuto dallo stesso appellante, la quantificazione del fabbisogno di produzione di acqua calda sanitaria di edifici destinati alla ricezione di persone e clienti (hotel, scuole, ospedali...), sicché la sua applicazione anche per computare il fabbisogno degli edifici E8 appare arbitraria e priva di base positiva. Per tale ragione, non possono essere condivise le conclusioni illustrate nella perizia di parte depositata in data 23 aprile 2021, in disparte i profili di ammissibilità della medesima per violazione dell'art. 104 c.p.a. (cfr. ex multis, Cons. Stato sez. II, 20/05/2022, n. 4006) v) del pari arbitraria è la conversione degli indici calcolati dai tecnici di parte sulla base della Tabella 3 da KWh/mq anno in KWh/mc anno, operazione che non è prevista né dalle linee guida né dalle Regole Applicative (punto 4.7). Queste ultime si limitano a rinviare, per la determinazione della prestazione energetica globale dell'edificio in ragione della tipologia di impianto, all'Allegato 4, (Allegato A, paragrafo 7.2) al DM 26 giugno 2009. 13. Per le sopra esposte ragioni, il Collegio condivide le conclusioni cui è pervenuto il giudice di primo grado secondo cui "del tutto correttamente, quindi, nella fattispecie odierna, il GSE ha indicato la necessaria applicazione della tabella n. 1 (anziché della tabella n. 3), non venendo in rilievo, a motivo della tipologia di edificio, l'aspetto della produzione di acqua calda sanitaria". Correttamente il Gestore ha, infatti, escluso il criterio di priorità dichiarato dalla società in sede di richiesta di iscrizione al registro, ossia che "l'impianto sarà installato su un edificio dotato di un attestato di certificazione energetica in classe D con i moduli che saranno installati in sostituzione di coperture su cui sarà operata la completa rimozione dell'eternit o dell'amianto" (doc. 1 deposito primo grado GSE). 14. Il primo motivo di appello deve, quindi, essere respinto. 15. Con il secondo motivo di appello la ricorrente censura il capo della sentenza che ha respinto il secondo motivo di ricorso relativo alla mancata ammissione all'incentivo almeno con riguardo all'unico dei quattro capannoni che il Gestore ha riconosciuto rientrare effettivamente in classe energetica D. Sul punto, il TAR avrebbe laconicamente motivato che l'istanza di ammissione agli incentivi ha natura unitaria, non essendo scindibile negli effetti, del tutto obliterando i principi di proporzionalità ed adeguatezza della sanzione che oggi sono stati formalmente recepiti dall'art. 42 comma 3 d.lgs 28/2011, introdotto dalla legge n. 205/17, ma anche di recente confermati dalla L. n. 120/2020, che contempla la decurtazione dell'incentivo. La richiesta di ammissione alle tariffe incentivanti in cui si vanti anche il diritto a maggiorazioni tariffarie ha, inoltre, un oggetto plurimo ad effetti scindibili, come riconosciuto dall'Adunanza Plenaria n. 18/2020. 16. Il motivo è infondato. 17. La domanda di incentivazione presentata dalla ricorrente riguarda un unico impianto, sebbene installato su quattro capannoni, sicché il Gestore, una volta verificata l'insussistenza del requisito costituito dalla Classe Energetica D degli immobili ove l'impianto è ubicato, non poteva che negare l'accesso al beneficio ai sensi degli artt. 23 e 42 d.lgs 28/2011 e dell'art. 13 DM 5 luglio 2012. 17.1 La disposizione da ultimo richiamata sancisce, in particolare, che "Il GSE effettua controlli sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive rese dai soggetti responsabili con le modalità di cui all'articolo 71 del DPR n. 445 del 2000. Fatte salve le sanzioni penali di cui all'articolo 76 del medesimo decreto, qualora dal controllo emerga la non veridicità del contenuto delle dichiarazioni, si applica l'articolo 23, comma 3, del decreto legislativo n. 28 del 2011". 17.2 Una volta accertata l'assenza del requisito di priorità dichiarato, che costituisce, come meglio chiarito infra, un elemento costitutivo dell'offerta che il soggetto responsabile è tenuto a dichiarare in maniera diligente e veritiera, il provvedimento di diniego di ammissione è espressione del potere di verifica, accertamento e controllo, di natura doverosa ed esito vincolato (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. II 9 gennaio 2023 n. 228; sez. IV, 24 gennaio 2022, n. 462 e 20 gennaio 2021, n. 594; sez. VI, 3 gennaio 2022, n. 9 e 28 settembre 2022, n. 6516; Corte cost., 13 novembre 2020, n. 237). 17.3 Non colgono, quindi, nel segno le censure di difetto di proporzionalità attesa la natura vincolata e non sanzionatoria del provvedimento e in ragione dell'inapplicabilità ratione temporis del potere di decurtazione previsto dall'art. 42 comma 3, come da ultimo modificato dall'art. 13 bis d.l. 101/2019 conv. in l. 128/2019 (che peraltro ne prevede l'applicazione ai procedimenti definiti con provvedimento del GSE solo su richiesta dell'interessato, richiesta che equivale ad acquiescenza alla violazione contestata e a rinuncia all'azione) e dall'art. 56 comma 7 d.l. 76/2020 conv. dalla l. 120/2020. 17.4 Inconferente è, infine, il richiamo a quanto sancito dall'Adunanza Plenaria n. 18/2020 in ordine alla decadenza della maggiorazione del 10% di cui all'art. 14, comma 1, lett. d), del D.M. 5 maggio 2011 poiché, ai sensi del già richiamato art. 13 del d.m. 5 luglio 2012, la non veridicità delle dichiarazioni rese determina l'applicazione dell'art. 23 comma 3 d.lgs 28/2011 (che dispone "Non hanno titolo a percepire gli incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, da qualsiasi fonte normativa previsti, i soggetti per i quali le autorità e gli enti competenti abbiano accertato che, in relazione alla richiesta di qualifica degli impianti o di erogazione degli incentivi, hanno fornito dati o documenti non veritieri, ovvero hanno reso dichiarazioni false o mendaci"). 17.5. Il motivo deve, pertanto, essere respinto. 18. Con il terzo motivo di appello la ricorrente deduce l'erroneità del capo della sentenza che ha respinto il terzo motivo di ricorso sull'assunto che i criteri di priorità previsti ai fini del riconoscimento del beneficio confermerebbero l'importanza delle attestazioni rese dal Soggetto Responsabile circa la sussistenza delle relative condizioni, le quali, pur se denominate "criteri di priorità ", costituirebbero piuttosto "condizione per l'accesso agli incentivi". Ad avviso dell'appellante, la conclusione è erronea in quanto il GSE non ha utilizzato alcuno dei criteri di priorità per la formazione della graduatoria, non essendo stato raggiunto l'ammontare incentivabile di 140 milioni di euro di cui al relativo bando. Espone che l'impianto, pur in assenza del requisito di classe D, era comunque incentivabile in quanto costituito con moduli installati in sostituzione di coperture su cui è stata operata la completa rimozione dell'eternit o dell'amianto. La società possedeva, inoltre, un ulteriore requisito di priorità : quello inerente alla realizzazione con componenti UE, che il GSE ha disconosciuto con motivazioni inconferenti. Ne deriva che anche senza il requisito predetto, l'impianto aveva (come ha) diritto a essere incentivato ai sensi del Quinto Conto Energia, essendo stato inserito in una graduatoria che si è rivelata capiente a prescindere dalle priorità pur dichiarate dagli iscritti. La violazione contestata sarebbe, in ultima analisi, irrilevante sia perché il requisito contestato dal GSE è di mera preferenza e dà luogo a una maggiorazione tariffaria sia perché la circostanza è stata del tutto ininfluente, non avendo prodotto alcun vantaggio in relazione alla posizione in graduatoria. 19. La censura è priva di pregio. 20. Il sistema di incentivazione dell'energia è basato sul principio di autoresponsabilità che impone all'interessato l'onere di fornire tutti gli elementi idonei a dar prova della sussistenza delle condizioni per l'ammissione ai benefici, con conseguente valenza preclusiva delle eventuali carenze che incidano sul perfezionamento della fattispecie agevolativa. Ne discende che la produzione di documentazione non conforme, lungi dal configurare una violazione meramente formale, integra una violazione rilevante, che osta all'erogazione degli incentivi, impedendo al Gestore di accertare l'effettiva ricorrenza dei requisiti indispensabili per il riconoscimento del beneficio, a prescindere dal dolo o colpa della società interessata ed escludendosi la possibilità di soccorso istruttorio in relazione a procedure di massa scandite da termini perentori (cfr. Cons. Stato, sez. II, 17 maggio 2023, n. 4913; sezione IV, 12 gennaio 2017, n. 50). 20.1 Priva di rilievo è la circostanza che la dichiarazione non veritiera si sia rivelata in concreto innocua o priva di effettivi vantaggi concreti, poiché la normativa di riferimento, ispirata ad un rigore giustificato dalla peculiare materia (si tratta di incentivi pubblici di rilevante entità che comportano l'esborso di risorse finanziarie pubbliche per loro natura limitate), pone particolare enfasi sulle difformità circa le informazioni rilevanti ai fini della ammissione al beneficio (cfr. Cons. Stato, sez. IV 12 dicembre 2019, n. 8442). 20.2 Per consolidato orientamento giurisprudenziale, inoltre, nelle procedure selettive, anche ai fini del riconoscimento dei benefici economici, il c.d. falso innocuo è istituto insussistente in quanto la veridicità e completezza delle dichiarazioni è un valore da perseguire perché consente, anche in ossequio ai principi di buon andamento e di imparzialità, la celere decisione in ordine all'ammissibilità della domanda; pertanto, una dichiarazione che è inaffidabile perché, al di là dell'elemento soggettivo sottostante, è falsa o incompleta, deve ritenersi già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma, a prescindere dal fatto che l'impresa meriti sostanzialmente di partecipare (cfr., Cons. Stato sez. III 4913 del 17/05/2023 e la giurisprudenza ivi richiamata). 20.3 Come osservato da questa Sezione in una fattispecie analoga (sent. 4913/2023 cit., in senso conforme sez. II 8/03/2023 n. 2447), il provvedimento di decadenza o non ammissione del Gestore si configura come atto dovuto nel caso di una non veritiera e/o errata dichiarazione resa dal soggetto responsabile, sia in sede di domanda di iscrizione al primo registro che nella domanda di accesso agli incentivi, considerato che la dichiarazione del possesso di un requisito - che in realtà non è posseduto - integra l'ipotesi di decadenza per dichiarazioni non veritiere, che rilevano sotto un profilo oggettivo (cfr. sez. VI 28 giugno 2016, n. 2847). In detto contesto non residua in capo al Gestore alcun margine di discrezionalità, non potendosi quindi predicare alcuna violazione del principio di proporzionalità, la quale è da escludere anche in ragione del fatto che il provvedimento di decadenza è privo di alcuna connotazione sanzionatoria (cfr. Ad. Plen. 11 settembre 2020, n. 18). 20.4 Del pari irrilevante è la mancata formazione della graduatoria da parte del Gestore, in quanto la non veridicità delle dichiarazioni rese dal soggetto responsabile inficia in radice la complessiva domanda di ammissione ai benefici, la cui ammissibilità non può che essere valutata in una prospettiva ex ante propria delle procedure selettive. 20.5 Tutto il meccanismo di riconoscimento degli incentivi postula, infatti, una corretta autodichiarazione da parte degli interessati dei requisiti tecnici necessari per ottenere il beneficio richiesto, in quanto, qualora si consentisse l'uso in materia di criteri difformi da quanto stabilito dal Gestore, la possibilità di abusi aumenterebbe fino a pregiudicare l'esistenza del sistema. 21. Per le medesime ragioni non può assumere alcun rilievo l'asserito possesso da parte della ricorrente dei criteri di priorità di cui alle lett. c) e d) dell'art. 4 comma 5 del quinto conto energia, poiché non indicati in sede di richiesta di iscrizione nel registro e, quindi, non esaminati ai fini dell'ammissibilità della domanda. In sede di domanda il ricorrente ha dichiarato, sotto la propria responsabilità, di aver verificato la correttezza di tutte le informazioni e dei dati inseriti nel sistema informatico, sulla cui base il gestore avrebbe formato la graduatoria, confermandoli espressamente (cfr. punto e) e punto v) della domanda del 13.09.2012: doc 1 fascicolo primo grado GSE). 21.1 Al riguardo il par. 2.4 delle Regole applicative precisa che "(n)essuna responsabilità può essere attribuita al GSE in ordine a asseriti errori commessi all'atto della richiesta di iscrizione al Registro dal Soggetto Responsabile, non potendosi invocare, data la natura della procedura e i principi stabiliti dal Decreto all'art. 4 comma 3, il principio del "soccorso amministrativo", specificando che la graduatoria è formata sulla base delle dichiarazioni dei Soggetti Responsabili "nella consapevolezza delle sanzioni penali e amministrative previste anche dall'art. 23 del D.lgs. 28/11, in caso di dichiarazioni false o mendaci e di invio di dati o documenti non veritieri, ciò anche in riferimento all'attestazione del ricorrere delle condizioni costituenti criteri di priorità ". (cfr. sul punto, ex multis, Cons. Stato sez. II 08/01/2024 n. 280). 21.2 La disciplina regolatoria (cfr. in particolare par. 2.4 e 2.5 delle Regole applicative) conferma, dunque, l'importanza delle attestazioni rese dal Soggetto Responsabile circa la sussistenza delle condizioni costituenti criteri di priorità che, costituiscono comunque elementi dell'offerta e, quindi, "condizione per l'accesso agli incentivi", come osservato dal giudice di primo grado. 22. Per tali ragioni, il terzo motivo di appello deve essere respinto, circostanza che determina la reiezione anche del quarto motivo con cui l'appellante ripropone l'istanza risarcitoria respinta dal TAR. 23. In conclusione, l'appello deve essere respinto. 24. Sussistono giustificati motivi, in ragione della complessità delle questioni trattate, per compensare tra le parti le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Oberdan Forlenza - Presidente Giovanni Sabbato - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere, Estensore Maria Stella Boscarino - Consigliere Ugo De Carlo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1095 del 2021, proposto dalla ditta Id. En. di Sa. Sa., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. St. Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Gestore dei Servizi Energetici - GSE s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ar. Ca., Fr. Va. e An. Pu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio Sezione Terza n. 08500/2020, resa tra le parti. Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del G.S.E.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 marzo 2024 la consigliera Silvia Martino; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con il ricorso di primo grado la società odierna appellante esponeva di essere risultata aggiudicataria della gara indetta dal gestore del servizio idrico nel territorio del (omissis) (Co. In. s.p.a.) per la progettazione, esecuzione, costruzione e gestione della centrale idroelettrica da ubicarsi in località (omissis) (SA) ai sensi dell'art. 153 del d.lgs. 163 del 2006 e di avere successivamente stipulato il contratto di concessione con il suddetto gestore. 1.1. In data in data 14 giugno 2014 la società aveva inoltrato al GSE richiesta di accesso ai meccanismi di incentivazione degli impianti da fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico ai sensi del titolo VI del D.M. 6 luglio 2012 dando atto, tra l'altro, di essere in possesso dei titoli necessari, tra i quali il titolo concessorio rilasciato dalla Provincia di Salerno in data 4 luglio 2012. 1.2. Con nota del 9 settembre 2014 il GSE, ai sensi dell'art. 10 bis della legge 241 del 1990, aveva comunicato il preavviso di rigetto per le seguenti ragioni: a) mancanza di titolo concessorio in capo alla Id. En.; b) erronea dichiarazione che l'impianto era su acqua fluente e non su acquedotto; c) omessa dimostrazione dell'osservanza del divieto di cumulo degli incentivi; d) inserimento sul portale informatico, con riferimento alla potenza dell'impianto, di un valore non corrispondente alla documentazione trasmessa. 1.3. In riscontro a tale nota la Id. aveva dichiarato che effettivamente l'impianto era su acquedotto e non su acqua fluente; che era stato realizzato con capitale interamente privato; che la potenza dell'impianto era pari a quella di concessione (0,013 MW) e che l'inserimento di un diverso valore di potenza era frutto di un mero errore materiale. 1.4. Con provvedimento in data 18 dicembre 2014, prot. n. 20140052572, il GSE rigettava la richiesta di ammissione agli incentivi, sulla base delle seguenti motivazioni: a) assenza di titolarità in capo alla richiedente del "pertinente titolo concessorio che risulta invece nella titolarità della società Co."; b) erronea dichiarazione che l'impianto è su acqua fluente, anziché su acquedotto; c) omessa dimostrazione di non incorrere nel divieto di cumulo degli incentivi; d) discordanza tra il valore potenza dell'impianto inserito sul portale (0,03 MW) e quello riportato nel titolo concessorio (0,013 mw); e) mancato invio di copia conforme del progetto riferito al Disciplinare allegato alla concessione di derivazione. 1.5. Il ricorso di primo grado era affidato a quattro mezzi di gravame (da pag. 8 a pag. 14). 2. Nella resistenza del GSE il T.a.r. ha respinto il ricorso e condannato la ricorrente alla rifusione delle spese di lite. 3. In sede di gravame, la società ha richiamato anzitutto i contenuti del contratto di concessione, secondo cui: (i) la concessione avrebbe avuto ad oggetto la realizzazione della micro - centrale idroelettrica e la relativa gestione da parte dell'impresa, che avrebbe dato esecuzione all'oggetto della gara con capitale interamente privato (art. 2); (ii) il concedente Co. avrebbe avuto diritto all'incameramento del 22% dell'incentivo che sarebbe stato riconosciuto dal GSE per la produzione di energia elettrica e il restante 78% sarebbe stato versato al concessionario in forza di specifico atto di cessione del credito (art. 3); (iii) l'espletamento delle pratiche connesse alla richiesta di incentivazione al G.S.E. sarebbe avvenuto a cura del concessionario, "che produrrà l'istanza a nome e per conto del Concedente (...)" (art. 3); (iv) la durata del rapporto concessorio sarebbe stata pari a 15 anni a decorrere dalla data di entrata in esercizio dell'impianto; Co., alla scadenza, sarebbe rientrata nel pieno possesso dell'Impianto. 3.1. Nello specifico, la società ha dedotto: I. Error in iudicando. Sulla illegittimità della Sentenza nella parte in cui ha rigettato il primo motivo del ricorso introduttivo. Sulla illegittimità del Provvedimento per indebito sindacato del GSE sui titoli abilitativi e per insussistenza della violazione contestata. Viene anzitutto censurato il capo di sentenza secondo cui "alla data della domanda di accesso agli incentivi e nel corso del contraddittorio procedimentale la ricorrente non allegava né il disciplinare di concessione stipulato con Co. né il provvedimento di concessione in proprio favore". L'appellante sostiene che la normativa di riferimento non richiederebbe affatto che il soggetto responsabile sia anche diretto intestatario del titolo concessorio. Nel caso in esame, comunque, la ditta è titolare della PAS relativa all'impianto. Il T.a.r. non avrebbe considerato che, in base a quanto previsto dal contratto di concessione, la ditta avrebbe presentato la domanda di ammissione agli incentivi in nome e per conto di Co. (proprietaria dell'Impianto). Il provvedimento del GSE si risolverebbe in un indebito sindacato della procedura a evidenza pubblica posta in essere da Co. e dei titoli abilitativi rilasciati dalle Amministrazioni competenti. Il diniego sarebbe illegittimo anche per violazione del principio di proporzionalità, tenuto conto dell'aggravio procedimentale imposto in ordine alla voltura del titolo concessorio. La finalità del Decreto del 6 luglio 2012 sarebbe quella di corrispondere l'incentivo al soggetto che produca energia elettrica da fonte rinnovabile (approccio sostanzialista), indipendentemente dalla titolarità dei titoli abilitativi. Secondo l'appellante, il Decreto si limiterebbe a stabilire il possesso del titolo concessorio per gli impianti idroelettrici, e non la relativa titolarità in capo al soggetto che richiede gli incentivi (cfr. artt. 10 e 13). La nozione di titolarità dovrebbe intendersi quale mera esistenza del titolo abilitativo ai fini dell'erogazione degli incentivi e non quale "requisito soggettivo imprescindibile in capo al soggetto richiedente", come invece erroneamente affermato dal giudice di prime cure. Nella fattispecie in esame, la ricorrente ha presentato domanda di ammissione agli incentivi dichiarandosi in possesso dei pertinenti titoli abilitativi. Ciò corrisponde al vero in quanto essa è titolare del titolo abilitativo per la realizzazione dell'impianto (PAS) e, con riferimento al titolo concessorio, ha comunque agito in nome e per conto di Co. come previsto dal contratto di concessione. La contestazione del GSE si risolverebbe pertanto in un mero formalismo. In ogni caso, in omaggio al principio di proporzionalità dell'azione amministrativa, il GSE avrebbe dovuto riconoscere gli incentivi quantomeno a far data dalla prova dell'avvenuta voltura del titolo concessorio. L'appellante ha poi invocato la giurisprudenza della Sezione secondo cui il GSE non ha il potere di sindacare la legittimità dei titoli abilitativi inerenti all'impianto oggetto di domanda di incentivazione (cfr., Cons. St., sez. IV, sent. n. 2859/2018, n. 2085/2019; cfr., da ultimo, Cons. St., IV, sentenza n. 225/2020). In tale ottica il provvedimento impugnato si configurerebbe indebitamente quale atto di secondo grado rispetto alla procedura a evidenza pubblica sul presupposto che quanto previsto non fosse in linea con le previsioni delle Procedure applicative (redatte dal medesimo GSE). Erroneamente il primo giudice avrebbe poi ritenuto non rilevante l'avvenuto conseguimento della voltura del titolo concessorio da parte della ditta essendo, a dire dell'appellante, irrilevante il principio tempus regit actum a fronte della violazione del principio di proporzionalità . Parimenti inconferente sarebbe il principio di autoresponsabilità atteso che la correttezza dell'operato della ditta troverebbe conferma nelle dichiarazioni rese da Co. e nell'avallo dell'iter amministrativo seguito da parte della Provincia di Salerno e della conseguente insindacabilità delle scelte operate dalle altre Amministrazioni coinvolte nella realizzazione dell'Impianto. Gli ulteriori vizi rilevati dal GSE costituirebbero delle mere irregolarità . II. Error in iudicando. Omessa pronuncia. Sulla illegittimità della Sentenza in relazione ai motivi II-III e IV del ricorso introduttivo. Anche le ulteriori irregolarità rilevate dal Gestore sarebbero, comunque, insussistenti. Inoltre, ai sensi dell'art. 42 del d.lgs. n. 28/2011 il GSE può negare l'accesso agli incentivi soltanto laddove le violazioni riscontrate in sede di controllo siano "rilevanti". 4. Si è costituito per resistere il GSE. 5. Le parti hanno depositato memorie conclusionali e di replica, in vista della pubblica udienza del 14 marzo 2024 alla quale l'appello è stato trattenuto per la decisione. 6. Si può prescindere dalle eccezioni di inammissibilità proposte dal GSE in quanto l'appello è infondato nel merito e deve essere respinto. Al riguardo, si osserva quanto segue. 7. Ai sensi dell'art. 4.1.1 delle regole applicative del Decreto ministeriale del 6 luglio 2012 (in materia di "incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diversi dai fotovoltaici"), possono presentare richiesta di accesso diretto ai meccanismi di incentivazione "i soggetti responsabili titolari del titolo autorizzativo/abilitativo conseguito per la costruzione e l'esercizio dell'impianto e, in caso di impianti idroelettrici, geotermoelettrici ed eolici off- shore, anche del titolo concessorio". 7.1. Alla luce di tale disposizione, il primo giudice ha correttamente rilevato che la titolarità della concessione di derivazione d'acqua costituisce un requisito soggettivo imprescindibile in capo al soggetto richiedente gli incentivi. 7.2. L'affermazione della ricorrente di avere agito, con la domanda di accesso agli incentivi, "in nome e per conto" di Co., non ha alcun riscontro probatorio. L'esame della domanda consente infatti di apprezzare che la stessa è stata presentata dalla Id. En. in nome proprio, dichiarando, tra l'altro, di essere "titolare, anche a seguito di voltura, del pertinente titolo concessorio del 04/07/2012 in corso di validità ". Tuttavia detta voltura è intervenuta solo dopo la proposizione del ricorso di primo grado, in data 23 settembre 2015. 7.3. Al riguardo, giova ricordare che - secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa - il sistema di incentivazione in esame è basato sul principio di autoresponsabilità che impone all'interessato l'onere di fornire tutti gli elementi idonei a dar prova della sussistenza delle condizioni per l'ammissione ai benefici, con conseguente valenza preclusiva delle eventuali carenze che incidano sul perfezionamento della fattispecie agevolativa. Ne consegue che "la produzione di documentazione non conforme, lungi dal configurare una violazione meramente formale, integra una violazione rilevante, che osta all'erogazione degli incentivi, impedendo, infatti, al Gestore di riscontrare la presenza dei requisiti indispensabili per il riconoscimento del beneficio, a prescindere dal dolo o la colpa della società interessata ed escludendosi la possibilità di soccorso istruttorio in relazione a procedure di massa scandite da termini perentori" (Cons. Stato, sez. II, 7 marzo 2024, n. 2254). 7.4. A ciò si aggiunga che, nel caso di specie, il contratto di concessione di costruzione e gestione dell'impianto (dal quale avrebbe dovuto ricavarsi, in thesi, la legittimazione di Id. En. a presentare la domanda, secondo gli accordi interventi con il concedente Co.) è stato esibito soltanto in occasione dell'istanza di riesame del 20 gennaio 2015. Va altresì evidenziato che il "disciplinare di concessione" prodotto dalla società in risposta al preavviso di rigetto (documento n. 9 allegato al ricorso di primo grado) non è il contratto stipulato con Co. bensì il contratto accessivo al provvedimento di concessione di derivazione di acque pubbliche n. 2/2012 rilasciato allo stesso Co. dalla Provincia di Salerno. Allo stesso modo, sia nella richiesta di accesso agli incentivi, sia in sede di osservazioni al preavviso di rigetto, l'unico elemento addotto dalla Id. En. a sostegno della imputabilità di siffatta richiesta alla Co. riguarda l'avvenuta realizzazione dell'impianto in regime di project financing. Si è già rilevato però che, secondo le disposizioni applicative dettate dal Gestore (non impugnate), è necessaria la titolarità in capo al richiedente non solo del provvedimento che lo abilita a realizzare e gestire l'impianto ma anche della concessione di derivazione. 7.5. Non è poi chiara la distinzione che l'appellante tenta di operare tra una situazione di "possesso" e la "titolarità " del provvedimento di concessione. Il "possesso" è definito nel diritto civile come il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale (art. 1140, comma 1, c.c.). Si tratta cioè di una relazione di fatto che produce gli effetti tipizzati dall'ordinamento e che non può essere estesa alle autorizzazioni amministrative. Queste ultime vengono rilasciate "ad personam" e la Pubblica Amministrazione ha il potere - dovere di accertare la sussistenza dei presupposti idonei al trasferimento ad un soggetto diverso dall'originario titolare, non essendo l'effetto pubblicistico ricollegabile automaticamente ad eventuali pattuizioni intercorse tra i privati. La tesi della società ricorrente - come fatto osservare dal GSE - si pone in aperto contrasto con i principi di ordine pubblico (anche economico) atteso che, seguendo tale ragionamento, gli incentivi potrebbero ed esempio essere attribuiti a un soggetto che occupi abusivamente un impianto e disponga materialmente di una copia del titolo concessorio. 7.6. Risulta poi inconferente, nel caso in esame, la giurisprudenza della Sezione secondo cui il GSE non ha il potere di sindacare la legittimità ovvero l'efficacia dei titoli abilitativi inerenti all'impianto oggetto di domanda di incentivazione. Nel caso in esame, il Gestore si è infatti limitato ad accertare che il richiedente non era il soggetto titolare della concessione di derivazione. 7.7. Quanto poi, al rilievo che la ricorrente attribuisce alla voltura della concessione, successivamente intervenuta, va ribadito che - sul piano logico, prima ancora che giuridico - la legittimità di un atto deve essere scrutinata alla luce del contesto fattuale e giuridico esistente al momento della sua adozione, salvo il caso - che qui non ricorre - di invalidità sopravvenuta (ad esempio per effetto della declaratoria di incostituzionalità della norma alla base del potere esercitato dalla p.a.). In questo senso il GSE ha correttamente fatto osservare che, con l'istanza di riesame, la società abbia in realtà inteso formulare una nuova domanda, assumendo - questa volta correttamente - la titolarità della suddetta concessione n. 2/2012. 7.8. Né può seriamente ipotizzarsi che il diniego impugnato sia affetto da "difetto di proporzionalità ", atteso che esso è scaturito non già dall'esercizio di un potere discrezionale da parte del GSE, ma dal mero accertamento dell'assenza in capo alla ditta di uno dei requisiti soggettivi necessari per l'accesso agli incentivi. 7.9. Va infine confermata anche la declaratoria di inammissibilità delle censure formulate avverso le ulteriori ragioni ostative comunicate dal Gestore. Il T.a.r. ha infatti correttamente rilevato che in caso di provvedimento plurimotivato il rigetto della doglianza diretta a contestare una delle ragioni giustificatrici dell'atto lesivo comporta la carenza di interesse della parte ricorrente all'esame delle censure ulteriori volte a contestare le altre ragioni giustificatrici dell'atto medesimo, atteso che, seppur tali ulteriori censure si rivelassero fondate, il loro accoglimento non sarebbe comunque idoneo a soddisfare l'interesse del ricorrente a ottenere l'annullamento del provvedimento lesivo, che resterebbe supportato dall'autonomo motivo riconosciuto sussistente e legittimo. 8. In definitiva, per quanto sopra argomentato, l'appello deve essere respinto. 9. Le spese del grado seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, n. 1095 del 2021, lo respinge. Condanna l'appellante alla rifusione delle spese del grado in favore del G.S.E. s.p.a., che liquida, complessivamente, in euro 8.000,00 (ottomila/00), oltre agli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Luca Lamberti - Presidente FF Silvia Martino - Consigliere, Estensore Luca Monteferrante - Consigliere Rosario Carrano - Consigliere Eugenio Tagliasacchi - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7668 del 2022, proposto dal CORAP- Consorzio Regionale per lo sviluppo delle Attività Produttive in liquidazione coatta amministrativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Sp., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; contro la società En. Gr. Po. So. En. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del difensore in Roma, via (...); nei confronti della Regione Calabria e del Comune di (omissis), non costituiti in giudizio; per l'annullamento ovvero la riforma previa sospensione della sentenza del T.a.r. Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, sez. I, 9 agosto 2022 n. 587, che ha accolto il ricorso n. 508/2021 R.G. proposto per l'annullamento: a) del verbale 6 luglio 2021 n. 6, conosciuto in data imprecisata, recante la determinazione conclusiva della conferenza di servizi indetta dalla Regione Calabria, Dipartimento tutela dell'ambiente, settore 4 "Economia circolare - Valutazioni ed autorizzazioni ambientali - Sviluppo sostenibile" nel senso di negare il rilascio del provvedimento autorizzativo unico regionale- PAUR relativo all'istanza presentata dalla EG. - En. Gr. Po. So. En. S.r.l. con domanda 16 aprile 2019 prot. n. 155468 per realizzare un impianto fotovoltaico denominato "FV (omissis)" da 6,2 MW di potenza; b) dei verbali 9 aprile, 6 maggio, 3 giugno, 22 giugno e 30 giugno 2021 della predetta conferenza di servizi; c) del parere 9 aprile 2021 prot. n. 24498 del Comune di (omissis); d) della nota 5 marzo 2021 prot. n. 21836 dello stesso Comune; e) del parere 21 agosto 2019 prot. n. 6940 del CORAP- Consorzio regionale sviluppo attività produttive; f) della nota 25 novembre 2019 prot. n. 0009500 del 25/11/2019 dello stesso CORAP; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della En. Gr. Po. So. En. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2024 il Cons. Francesco Gambato Spisani e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La ricorrente appellata, nota impresa attiva nel settore delle energie rinnovabili, con domanda 16 aprile 2009 prot.n. 155468 alla Regione Calabria ha chiesto il rilascio del provvedimento autorizzativo unico regionale - PAUR di cui all'art. 27 bis del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 allo scopo di realizzare un impianto fotovoltaico denominato "FV (omissis)" da 6,2 MW di potenza, appunto nella piana di (omissis), contrada Cicerna, in area prossima al relativo porto e compresa nel territorio di competenza del CORAP- Consorzio regionale sviluppo attività produttive, che com'è noto ha poteri di pianificazione sulle aree di sviluppo industriale (v. allegato 3 appellante, verbale 9 aprile 2021 conferenza di servizi, con il link al sito ufficiale della Regione ove sono pubblicizzate la relazione tecnica e la corografia della zona). 2. L'area pertanto, così come si evidenzia per chiarezza, è disciplinata da due strumenti urbanistici generali, ovvero lo strumento urbanistico generale del Comune di (omissis) e il piano d'area sovracomunale del CORAP. 3. Con atto 31 marzo 2021 prot. n. 149525, la Regione ha quindi convocato la conferenza di servizi che ai sensi degli artt. 27 bis d.lgs. 152/2006 citato e degli artt. 14 e ss. della l. 7 agosto 1990 n. 241 è competente a decidere sulle istanze di questo tipo. 4. La conferenza ha tenuto la sua seduta finale, come da relativo verbale, il giorno 6 luglio 2021. In quell'occasione, l'attuale appellante CORAP e il Comune di (omissis) hanno ritenuto, a conclusione di tutto il procedimento, di esprimere posizioni negative. In dettaglio, infatti, la conferenza ha preso atto "che gli Enti competenti (CORAP e Comune) non hanno ritenuto di valutare il progetto... in variante alla strumentazione urbanistica (PRT (piano regolatore territoriale)) e nel rispetto delle normative vigenti, in particolare la l. ur (banistica) n. 19/2002 e smi (art. 65, comma 2 lettera b), il QTRP (quadro territoriale di riferimento paesaggistico) ed il PTCP (piano territoriale di coordinamento provinciale)". 5. Come si precisa ancora per chiarezza, l'art. 65 comma 2 lettera b) della l.r. Calabria 16 aprile 2002 n. 19 non consente, in linea di principio, varianti agli strumenti urbanistici generali, salvo che si tratti di realizzare opere come quella per cui è causa, richiedendo in questa ipotesi che la variante stessa sia adottata e approvata secondo il procedimento suo proprio. 6. Di conseguenza, la conferenza di servizi si è chiusa con esito negativo, il che ai sensi dell'art. 27 bis comma 7 d.lgs. 152/2006 vale provvedimento negativo, appunto impugnabile (all. 11 appellante, verbale 6 luglio 2021). 7. Contro questo esito negativo, l'impresa ha proposto il ricorso di I grado, nel quale ha dedotto due motivi, riassumibili così come segue. 7.1 Con il primo di essi, ha dedotto violazione dell'art. 27 bis del d.lgs. 152/2006 e in particolare del comma 7 ter di esso, e sostenuto che in base a queste norme il provvedimento finale della conferenza sostituisce anche le varianti agli strumenti urbanistici, anche sovracomunali dato che la norma non distingue, che fossero necessarie per realizzare il progetto. 7.2 Con il secondo di essi, ha dedotto sostanzialmente eccesso di potere per falso presupposto, e sostenuto che la variante urbanistica nemmeno sarebbe stata necessaria, dato che in base al certificato di destinazione rilasciatole dal Comune di (omissis) e alle norme di piano vigenti (all. ti 12-14 appellante) l'impianto in progetto sarebbe perfettamente compatibile con la destinazione dei suoli sui quali deve sorgere. 8. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il T.a.r. ha accolto il ricorso quanto ad entrambi i motivi e annullato il diniego. 9. Contro questa sentenza, ha proposto impugnazione il CORAP, con appello che contiene due motivi. 9.1 Con il primo di essi, deduce violazione dell'art. 41 c.p.a. e quindi inammissibilità del ricorso originario perché non notificato nei termini ad uno almeno dei controinteressati, che sarebbero in quest'ordine di idee i Comuni limitrofi di (omissis) e di (omissis) e l'Autorità portuale di (omissis). 9.2 Con il secondo motivo, deduce falsa applicazione dell'art. 27 bis del d.lgs. 152/2006, e sostiene che la ragione del diniego, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di I grado, non sarebbe procedurale, ma di merito, in quanto, come a suo dire rappresentato alla seduta del 22 giugno 2021 della conferenza (all. 6 appellante), l'opportunità di accordare la variante sarebbe stata esaminata ed esclusa, per una presunta incompatibilità del progetto per cui è causa con la realizzazione in zona di una "piastra del freddo" e di un rigassificatore. 10. L'impresa, con atto 21 ottobre e memoria 24 ottobre 2022, ha resistito e chiesto che l'appello sia respinto. 11. All'esito della camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2022, la Sezione, con ordinanza 31 ottobre 2022 n. 5190, ha respinto la domanda cautelare. 12. Con successiva memoria 26 febbraio 2024, il Consorzio ha tuttavia chiesto che l'appello (cfr. la memoria stessa, testualmente, a p. 1 terzultima riga e a p. 6 prima riga delle conclusioni) sia dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto la conferenza di servizi, riconvocata a seguito dell'annullamento disposto dalla sentenza di I grado, si è conclusa ancora una volta con un provvedimento negativo, come da verbale conclusivo 27 novembre 2023, trasmesso con nota 8 gennaio 2024 prot. n. 11510 della Regione Calabria, recante la comunicazione di conclusione del procedimento (cfr. deposito appellante 6 febbraio 2024). In subordine, il Consorzio ha insistito per l'accoglimento dell'appello nel merito. Il successivo 9 aprile 2024, il CORAP ha poi prodotto, per completezza, il provvedimento regionale 8 aprile 2024 n. 4729, che recepisce il verbale della conferenza e conferma il diniego. 13. Alla pubblica udienza del giorno 11 aprile 2024, su rinvio d'ufficio della precedente del giorno 14 marzo 2024, infine, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione. 14. All'esito, la Sezione ritiene effettivamente che l'appello, come da richiesta, vada dichiarato improcedibile. Il sopravvenire di un nuovo diniego alla realizzazione del medesimo impianto, che ovviamente l'interessata potrà nei termini impugnare in sede propria, significa infatti che dall'eventuale accoglimento del ricorso per cui ora è processo la parte appellante non ricaverebbe comunque utilità alcuna. In primo luogo, il diniego annullato è stato sostituito da un nuovo provvedimento dello stesso tipo, con identico effetto. In secondo luogo, come si ricava a semplice lettura sia del verbale della conferenza di servizi 27 novembre 2023, sia del provvedimento 8 aprile 2024 citati, la nuova decisione di diniego non è stata in alcun modo conformata dalla sentenza di annullamento di I grado qui impugnata. Resta quindi confermato che è venuto meno l'interesse alla decisione dell'appello, ancorché ciò produca il consolidarsi della sentenza di annullamento di I grado impugnata, che però è divenuta ormai giuridicamente irrilevante. Si deve decidere come in dispositivo, sussistendo giusto motivo per compensare le spese. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 7668/2022), lo dichiara improcedibile. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere, Estensore Silvia Martino - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Luca Monteferrante - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5790 del 2023, proposto dal Comune di Latina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Società Agricola Ap. So. 2 S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mi. Ma. Gi., Gi. Bi. e Lu. Ma. Gi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina Sezione Prima n. 00203/2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Società Agricola Ap. So. 2 S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 febbraio 2024 il Cons. Rosario Carrano e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO La società Ap. So. 2 s.r.l., in data 27 ottobre 2020, ha presentato al Comune di Latina un'istanza di procedura abilitativa semplificata (P.A.S.) per la realizzazione di un impianto fotovoltaico a terra denominato "Ga.", ai sensi dell'art. 6 del d.lgs. n. 28/2011 e dell'art. 3 della legge regionale del Lazio n. 16/2011. Inoltre, ha presentato anche domanda per un permesso di costruire per la realizzazione di due cabine prefabbricate per la connessione dell'impianto fotovoltaico alla rete elettrica nazionale. Nell'ambito di quest'ultimo procedimento, il Comune di Latina, nel gennaio 2022, ha comunicato che, in data 11 agosto 2021, era stato modificato l'art. 3.1 della L.R. 16/2011. Pertanto, è stata disposta la sospensione della PAS nelle more del completamento dell'avviata procedura da parte del Comune di Latina di individuazione delle aree "non idonee" all'installazione di impianti fotovoltaici a terra, a cui ha fatto seguito il provvedimento impugnato, con il quale è stato comunicato il divieto a dare inizio e/o continuità ai lavori di cui alla PAS, ordinando il ripristino dello stato dei luoghi, ove necessario. Con la medesima nota, il Comune di Latina ha altresì comunicato alla società ricorrente il rigetto dell'istanza di permesso di costruire. Con il ricorso di primo grado, la società ha proposto nove motivi di impugnazione: 1) violazione dell'art. 6 del d.lgs. 28/2011, dal momento che i provvedimenti impugnati sarebbero intervenuti in epoca successiva al definitivo spirare del termine di 30 giorni per l'esercizio del potere inibitorio da parte del Comune; 2) violazione degli artt. 20, comma 3, 21-quinquies e 21-nonies della L. 241/1990, nonché degli artt. 7 e 8 della L. 241/1990 per mancata comunicazione di avvio del procedimento: dopo il decorso dei 30 giorni, in capo all'Amministrazione residuava solo il potere di agire in autotutela per annullare la PAS formatasi a seguito di silenzio-assenso e il provvedimento impugnato non poteva essere qualificato come tale. Inoltre, anche considerando il provvedimento impugnato alla stregua di un atto di autotutela, lo stesso sarebbe stato comunque viziato poiché emesso in assenza dei presupposti di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della L. 241/1990 e non preceduto da alcuna comunicazione di avvio del relativo procedimento; 3) violazione del legittimo affidamento riposto dalla società ricorrente nell'avvenuto perfezionamento della PAS. Inoltre, il comportamento contraddittorio, arbitrario ed irragionevole del Comune sarebbe stato dimostrato dal fatto che il Comune aveva dapprima fatto in modo che la PAS si consolidasse (in maniera tacita), per poi adottare, a distanza di oltre un anno, un atto volto a bloccare i lavori di realizzazione dell'impianto; 4) difetto di sufficiente motivazione e carenza di istruttoria; 5) il Comune di Latina non avrebbe tenuto conto delle risultanze documentali degli atti formanti la PAS, da cui risultava che la ricorrente era titolare di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi per realizzare il progetto, secondo quanto disposto dalla normativa sugli imprenditori agricoli e dalla normativa concernente la realizzazione di impianti fotovoltaici su aree aventi destinazione agricola; 6) carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità e incongruenza delle valutazioni finali espresse dal Comune di Latina; 7) violazione del principio del tempus regit actum e di irretroattività della legge; 8) la qualificazione dell'area di progetto come "non idonea" sarebbe stata del tutto errata, fuorviante e frutto della insufficiente istruttoria del Comune di Latina, posto che il P.T.P.R. non individuava le aree inidonee (essendo tale processo ancora in corso alla data di presentazione e perfezionamento della PAS) e considerato che, in ogni caso, il "layout" di impianto non ricadeva su beni paesaggisticamente tutelati, nei soli confronti dei quali il P.T.P.R. aveva valenza prescrittiva. A differenza di quanto ritenuto dall'Amministrazione, gli impianti fotovoltaici sarebbero compatibili con la destinazione agricola delle aree, così come stabilito dalla normativa nazionale e dallo stesso Comune di Latina, il quale aveva disciplinato con proprio regolamento la realizzazione di impianti fotovoltaici in zone rurali; 9) contrasto con la normativa nazionale ed eurounitaria volta alla tutela dell'interesse pubblico alla massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili. Con la sentenza impugnata, il T.a.r. ha accolto il ricorso. In particolare, sui primi tre motivi di ricorso, trattati congiuntamente, il TAR ha ritenuto formato il silenzio-assenso: "non risulta che il Comune, nei trenta giorni successivi al 27 ottobre 2020 abbia dato luogo ad alcuna attività istruttoria relativa al riscontro dell'assenza di una o più condizioni di cui al comma 2 o di false dichiarazioni del progettista, con la evidente conseguenza che, alla scadenza, si era formato il "silenzio assenso" (pag. 14 della sentenza impugnata). Inoltre, ha aggiunto che "Né può dirsi che la pratica relativa alla PAS non fosse completa nei trenta giorni successivi al 27 ottobre 2020, avendo la ricorrente inviato altra documentazione in riferimento solo ai diversi procedimenti relativi al PUA e al permesso di costruire. In sostanza, il Comune avrebbe dovuto intervenire mediante un procedimento in autotutela e non disporre direttamente dapprima la sospensione e poi l'inibizione alla realizzazione dell'impianto. Inoltre, l'intervenuta modifica alla normativa regionale in data 11 agosto 2021 (art. 3.1, comma 5 quater) faceva esplicito riferimento alle "autorizzazioni non ancora rilasciate alla data di entrata in vigore della presente disposizione", mentre - come detto - alla data dell'11 agosto 2021 l'autorizzazione via PAS doveva considerarsi rilasciata per silenzio assenso. Sul punto, inoltre, non può tacersi dell'intervento della Corte Costituzionale, la quale, con la sentenza n. 221/2022, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, tra altre disposizioni, proprio dell'art. 75, comma 1, lett. b), numero 5), della l. r. Lazio n. 14/2021 che aveva introdotto i nuovi commi 5-quater e 5-quinquies dell'art. 3.1. della l.r. n. 16/2011, e dell'art. 6 della l.r. Lazio n. 20/2021, nella parte in cui aveva sostituito il richiamato comma 5-quater. Come noto, le pronunce di incostituzionalità della Corte operano "ex tunc", per cui la normativa richiamata dal Comune non era comunque efficace. Sotto i profili ora dedotti, pertanto, i primi tre motivi del ricorso introduttivo sono connotati di fondatezza e sono assorbenti rispetto ai motivi dal quarto al settimo, che lamentavano carenza di motivazione e prospettavano l'incostituzionalità della norma suddetta, poi in effetti dichiarata nelle more" (pag. 17 della sentenza impugnata). Con atto di appello, il Comune di Latina ha impugnato la suddetta sentenza deducendo i seguenti motivi: 1) trattandosi di semplificazione amministrativa e non di liberalizzazione, il silenzio assenso non si sarebbe formato in difetto dei relativi presupposti, come la carenza documentale relativa, in particolare, alla disponibilità dell'area e al pagamento degli oneri istruttori, allegando sul punto che: a) al momento dell'invio della comunicazione la società non era titolata a proporre l'istanza ai sensi del comma 2 dell'art. 6 D.lgs 28/2011, in quanto avrebbe acquistato il diritto di superficie sul terreno interessato dal progetto di realizzazione dell'impianto soltanto il 12 novembre 2021 e nessun titolo di disponibilità sarebbe mai stato allegato prima del 10 marzo 2022; b) la più significativa ed esplicita integrazione documentale sarebbe stata apportata con la nota del 10 marzo 2022, con la quale la società ha prodotto: la perizia giurata sulla stima dei costi necessari alla demolizione e dismissione dell'impianto e delle relative opere connesse, l'atto di disponibilità del terreno, la relazione dettagliata vegetazionale, l'atto di trasformazione sociale; c) la società ha trasmesso il Piano di Utilizzazione Aziendale per attività multimprenditoriali ai sensi dell'art. 57 bis L.R. 38/99, in linea con il Regolamento impianti fotovoltaici del Comune di Latina onde svolgere la produzione di energia elettrica in regime di connessione con l'attività agricola, documentando, attraverso l'atto di trasformazione, il possesso del requisito della imprenditorialità nel settore; d) mancherebbe l'atto di assenso che avrebbe dovuto essere necessariamente allegato, vertendosi nelle materie di cui al comma 4 dell'art. 20 della legge 241/1990 (art. 6, commi 2 e 5, D.lgs. 28/2011); e) il 14 maggio sarebbe stata presentata dalla società una variante tecnologica al progetto, riservandosi di produrre i relativi elaborati progettuali; 2) il comportamento della società si configurerebbe come acquiescenza al provvedimento amministrativo, in quanto, mediante l'integrazione della procedura nel senso indicato dall'ufficio, avrebbe posto in essere una implicita rinuncia ad avvalersi dell'eventuale silenzio assenso, ove maturato, nella concomitante persistenza del mancato avvio dei lavori; la mancata impugnazione del provvedimento presupposto determinerebbe, inoltre, la preclusione della impugnazione del successivo provvedimento di conferma del 31 maggio 2022; 3) il T.a.r. avrebbe valutato la questione esclusivamente alla stregua del procedimento dettato dall'art. 6 del D.Lgs 28/2011 senza tener conto del pertinente quadro normativo di riferimento regionale e senza tener conto della specificità del concreto procedimento posto in essere che si prefigurava come una procedura sostanzialmente aggravata/integrata di autorizzazione. Con apposita memoria, si è costituita la società resistente, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso. All'odierna udienza pubblica, la causa è stata trattenuta per la decisione. L'appello è infondato. Con il primo motivo di appello, il Comune ha dedotto che, trattandosi di semplificazione amministrativa e non di liberalizzazione, il silenzio assenso non si sarebbe formato in difetto dei relativi presupposti, come la carenza documentale relativa, in particolare, alla disponibilità dell'area, al pagamento degli oneri istruttori, alla mancanza dell'atto di assenso e alla successiva presentazione di una variante progettuale. Il motivo è infondato. A tal riguardo, occorre innanzitutto richiamare l'orientamento espresso da questo Consiglio di Stato in ordine alla materia in esame. In particolare, questa Sezione ha già ribadito (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 gennaio 2023, n. 130; Cons. Stato, IV, 5 ottobre 2018, n. 5715) che la procedura abilitativa semplificata di cui all'articolo 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 è ascrivibile al genus della DIA, ora SCIA, e conseguentemente va qualificato quale atto soggettivamente ed oggettivamente privato (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 29 luglio 2011, n. 15). Al decorso del termine di legge di trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione, non si determina infatti il perfezionamento di una fattispecie legale tipica che, sul piano della produzione degli effetti, rende l'inerzia equivalente ad un vero e proprio provvedimento di accoglimento, come avviene per la fattispecie del silenzio assenso, bensì, più semplicemente, si determina l'effetto di rendere una determinata attività privata lecita, secondo il meccanismo proprio della Scia; ciò in linea con la diversa natura dei due istituti, laddove il primo risponde ad una ratio di semplificazione amministrativa, mentre il secondo di vera e propria liberalizzazione, con conseguente fuoriuscita dell'attività privata dal regime amministrato a controllo preventivo. La ricostruzione che precede è stata confermata dalla Corte costituzionale che con sentenza n. 45 del 2019 ha ritenuto, in generale con riguardo alla Scia, che: "Il dato di fondo è che si deve dare per acquisita la scelta del legislatore nel senso della liberalizzazione dell'attività oggetto di segnalazione, cosicché la fase amministrativa che ad essa accede costituisce una - sia pur importante - parentesi puntualmente delimitata nei modi e nei tempi. Una dilatazione temporale dei poteri di verifica, per di più con modalità indeterminate, comporterebbe, invece, quel recupero dell'istituto all'area amministrativa tradizionale, che il legislatore ha inteso inequivocabilmente escludere". Inoltre, il comma 2 del menzionato articolo 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, indica in modo puntuale, tra gli altri requisiti da accertare, i soggetti legittimati a presentare la dichiarazione asseverata, individuandoli nel "proprietario dell'immobile o chi abbia la disponibilità sugli immobili interessati dall'impianto e dalle opere connesse", sicché allorquando, al successivo comma 4, la disposizione in esame prevede che il Comune notifichi all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento "ove entro il termine indicato al comma 2 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite al medesimo comma" onera il Comune di accertare specificamente anche le condizioni di legittimazione alla presentazione della dichiarazione nel predetto termine decadenziale, pena il perfezionamento della fattispecie legittimante l'intervento (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 gennaio 2023, n. 130). Nel caso di specie, peraltro, la società aveva dichiarato la disponibilità dell'area in questione, mediante autocertificazione allegata all'istanza, oltre ad aver assolto i relativi oneri istruttori come emerge dalla documentazione in atti. Con specifico riferimento, invece, alla censura del Comune (sempre nell'ambito del primo motivo di appello relativo alla asserita carenza documentale) secondo cui mancherebbe l'atto di assenso che avrebbe dovuto essere necessariamente allegato, vertendosi nelle materie di cui al comma 4 dell'art. 20 della legge 241/1990 (art. 6, commi 2 e 5, D.lgs. 28/2011), si osserva quanto segue. Se da un lato è vero che dal certificato di destinazione urbanistica (doc. 4B del fascicolo di primo grado della società ) risulta che delle 3 particelle in questione (2, 32 e 47), la n. 2 ricade in parte in zona "H rurale", in parte in area di "rispetto stradale" con vincolo di inedificabilità, in parte in area di "Servitù di elettrodotto" e in parte tra i beni paesaggistici (aree boscate) del Piano Territoriale Paesistico Regionale (P.T.P.R.), tuttavia, dall'altro lato, è anche vero che, dalla documentazione in atti, non si evince l'incidenza dell'intervento in questione su tale ultima area protetta, con la prospettata necessità di conseguire uno specifico atto di assenso. Peraltro, lo stesso Comune di Latina nulla specifica al riguardo nelle proprie difese pur a fronte di una autodichiarazione del tecnico della società con la quale si afferma che per il suddetto intervento non occorrono nulla osta. Per quanto riguarda, invece, la censura relativa alla variante tecnologica al progetto, con riserva da parte della società di produrre i relativi elaborati progettuali (che dimostrerebbe l'asserita carenza documentale: cfr. pag. 12 dell'atto di appello), si osserva come si tratti di una variante non sostanziale che indice solo sulla parte esecutiva e non su quella autorizzativa. Si prevede, infatti, l'installazione di moduli fotovoltaici più performanti, con diminuzione del numero degli stessi rispetto al progetto originario (da 2016 moduli a 1820 moduli) restando quindi invariato l'impatto urbanistico e addirittura migliorato quello ambientale (doc. 11 del fascicolo di primo grado della società ). Tali censure, pertanto, sono infondate. In secondo luogo, in ordine alle modalità di esercizio del potere di autotutela, giova rammentare, in via generale, che la Corte costituzionale con la richiamata sentenza n. 45 del 2019 ha chiarito che "Le verifiche cui è chiamata l'amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono (...) quelle già puntualmente disciplinate dall'art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all'art. 21-novies) (ora dodici mesi). Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell'amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all'esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dia con il corrispondente potere, anche l'interesse si estingue.". E' dunque pacificamente configurabile una forma di autotutela, anche in presenza di un atto soggettivamente ed oggettivamente privato, sebbene la peculiare natura dell'atto valga tuttavia a connotarla in termini di autotutela atipica e soprattutto di doverosità, in deroga alla regola generale della natura discrezionale del potere, con specifico riferimento all'obbligo di provvedere (cfr. in termini Cons. Stato, IV, 11 marzo 2022, n. 1737). Pertanto, alla luce delle suddette considerazioni, ne deriva che nel caso di specie, una volta decorso pacificamente il termine di 30 giorni dalla presentazione della dichiarazione asseverata, senza che il Comune avesse notificato l'ordine di non effettuare l'intervento, a motivo della riscontrata carenza di una o più delle condizioni stabilite dall'articolo in questione, l'attività di costruzione dell'impianto doveva intendersi definitivamente assentita. Concludendo sul punto, quindi, il primo motivo di appello deve ritenersi infondato. Con il secondo motivo di appello, il Comune ha censurato il comportamento della società il quale andrebbe configurato, secondo la prospettazione attorea, in termini di acquiescenza al provvedimento amministrativo, dal momento che, mediante l'integrazione della procedura nel senso indicato dall'ufficio, avrebbe posto in essere una implicita rinuncia ad avvalersi dell'eventuale silenzio assenso, ove maturato, nella concomitante persistenza del mancato avvio dei lavori. Il motivo è inammissibile. Si tratta infatti di un motivo nuovo, proposto per la prima volta in appello, come si evince da un piano confronto tra la memoria di primo grado e il ricorso di appello. Dato che tale censura non è mai stata sottoposta al contraddittorio con le altre parti in prime cure e all'esame del giudice del Tar, la stessa è inammissibile, stante il divieto dei nova in appello (art. 104 c.p.a.). In ogni caso, il motivo è anche infondato, in quanto la produzione della documentazione integrativa, che secondo l'appellante dimostrerebbe una condotta acquiescente da parte della società, non può essere sintomatica di un atto di acquiescenza trattandosi di documentazione relativa ad un diverso procedimento amministrativo. Ad ogni modo, risulta che tale documentazione sia stata inviata a conferma di quanto già risultante dall'istanza. Con il terzo motivo di appello, il Comune ha censurato la sentenza in quanto il T.a.r. avrebbe valutato la questione esclusivamente alla stregua del procedimento dettato dall'art. 6 del D.Lgs. n. 28/2011 senza tener conto del pertinente quadro normativo di riferimento regionale e senza tener conto della specificità del concreto procedimento posto in essere che si prefigurava come una procedura sostanzialmente aggravata/integrata di autorizzazione. Il motivo è inammissibile. Invero, con tale censura, il Comune appellante si è sostanzialmente limitato a ribadire la propria tesi, secondo cui il perfezionamento della PAS necessiterebbe dell'approvazione del PUA, già respinta dal giudice di primo grado, omettendo però di prendere in esame la motivazione di rigetto e sottoporla a relativa critica. Secondo il costante insegnamento giurisprudenziale, infatti, è inammissibile per genericità il motivo di appello che si limita a riproporre il motivo già dedotto in primo grado e disatteso dal T.a.r. in mancanza delle specifiche ragioni che inducono a ritenere erronea la decisione del giudice di prime cure (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2023, n. 276). Ciò in quanto "Il principio di specificità dei motivi di impugnazione, posto dall'art. 101, comma 1, c.p.a., impone che sia rivolta una critica puntuale alle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, non essendo sufficiente la mera riproposizione dei motivi contenuti nel ricorso introduttivo; il giudizio di appello dinanzi al giudice amministrativo, infatti, si presenta come revisio prioris instantiae i cui limiti oggettivi sono segnati dai motivi di impugnazione" (così, ex multiis, Consiglio di Stato, sez. II, 19 luglio 2022, n. 6285). In conclusione, quindi, l'appello deve essere rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese di lite che si liquidano in Euro 5.000,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Luigi Carbone - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Silvia Martino - Consigliere Luca Monteferrante - Consigliere Rosario Carrano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIRILLO Ettore - Presidente Dott. NAPOLITANO Lucio - Consigliere rel. Dott. CRUCITTI Roberta - Consigliere Dott. DI MARZIO Paolo - Consigliere Dott. CRIVELLI Alberto - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. R.G. 7479/2019, proposto da AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato. - ricorrente - contro (...) Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Lo.Am. (PEC ...), elettivamente domiciliata in Roma, alla Via (...), presso lo studio Fa. - Pl., giusta procura speciale a margine del controricorso - controricorrente - Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, n. 3564/4/2018, pronunciata il 5 dicembre 2018 e depositata il 12 dicembre 2018, non notificata. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 ottobre 2023 dal Consigliere dott. Lucio Napolitano; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Tommaso Basile, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udita, per l'Avvocatura Generale dello Stato l'avv. Al.Ne.; udito l'avv. Lo.Am. per la controricorrente; FATTI DI CAUSA La (...) Srl (di seguito società o contribuente) presentò il 26 giugno 2015 alla Direzione provinciale di Bari dell'Agenzia delle entrate domanda di rimborso IRES per il complessivo importo di Euro 214.436,00 per gli anni d'imposta 2011, 2012, 2013, ai sensi dell'art. 6 della l. n. 388/2000 (c.d. "Tremonti ambiente") per avere operato un investimento relativo ad intervento di riqualificazione energetica. La società - che negli anni d'imposta indicati aveva omesso d'indicare, nelle relative dichiarazioni dei redditi, la deduzione per fruire dell'agevolazione in oggetto - fondò la domanda sulla base di dichiarazioni integrative del 12 giugno 2015, supportate da perizia di stima del 23 aprile dello stesso anno, in tal modo rideterminando la maggiore IRES ritenuta versata per gli anni di riferimento, di cui chiedeva il rimborso. L'Agenzia delle entrate emise provvedimento di diniego espresso sull'istanza di rimborso, ritenendo decorsi i termini di cui all'art. 2, comma 8 - bis, del D.P.R. 22 luglio 1988, n. 322 e dell'art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. Detto provvedimento fu impugnato dalla contribuente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Bari, che accolse il ricorso, respingendo, tra l'altro, l'eccezione dell'Amministrazione ivi resistente che ne aveva eccepito il difetto di legittimazione attiva alla proposizione dell'impugnazione, essendo la società compartecipe di "consolidato fiscale nazionale" costituito dalla (...) Spa, sì che, a giudizio dell'Amministrazione stessa, solo in capo a quest'ultima doveva ritenersi sussistente la relativa legittimazione. La sentenza di primo grado fu appellata dall'Agenzia delle entrate dinanzi alla Commissione tributaria regionale (CTR) della Puglia, che, con sentenza n. 3564/4/2018, depositata il 12 dicembre 2018, non notificata, respinse il gravame, ritenendo altresì irrilevante che la contribuente non avesse dichiarato l'agevolazione interamente nell'anno 2011 ed avesse riportato le eccedenze nei due esercizi successivi. Avverso detta sentenza l'Agenzia delle entrate ricorre per cassazione in forza di tre motivi. La contribuente resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 378 cod. proc. civ. Il Procuratore Generale ha ugualmente depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ., concludendo per il rigetto del ricorso erariale. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 6 della l. 23 dicembre 2000, n. 388, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata, così come quella di primo grado confermata dalla CTR, non aveva colto l'errore in cui era incorsa la società laddove aveva provveduto a "spalmare" l'ammontare della detrazione richiesta negli anni (2012 e 2013) successivi al 2011, invece d'indicare in toto nell'anno 2011, anno di ultimazione dell'investimento, l'ammontare complessivo dell'agevolazione. 2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 118 e 124 del D.P.R. n. 917/1986 (TUIR) e dell'art. 100 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la pronuncia impugnata ha confermato quella di primo grado nella reiezione dell'eccezione sollevata dall'Amministrazione finanziaria di carenza di legittimazione attiva in capo alla società alla proposizione dell'impugnazione avverso il provvedimento di diniego espresso sull'istanza di rimborso, la cui sussistenza, secondo l'assunto dell'Agenzia delle entrate, avrebbe dovuto ravvisarsi unicamente in capo alla consolidante (...) Spa 3. Con il terzo motivo, infine, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2, comma 8 - bis del D.P.R. n. 322 del 1988, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata aveva respinto l'eccezione dell'Amministrazione quanto alla presentazione tardiva delle dichiarazioni integrative. 4. Vanno esaminati in ordine logico dapprima il secondo e terzo motivo. Essi sono entrambi infondati. 5. Con riferimento al secondo motivo, con il quale l'Amministrazione finanziaria denuncia l'errore di diritto nel quale sarebbe incorsa la sentenza impugnata nel respingere l'eccezione di carenza della legittimazione attiva dell'odierna controricorrente alla proposizione della domanda di rimborso, va ribadito quanto affermato da questa Corte in materia, secondo cui, in tema di consolidato fiscale nazionale, al gruppo non è riconosciuta la soggettività tributaria, che permane in capo alle singole società (cfr. Cass. sez. 5, 21 novembre 2018, n. 30014; si veda anche Cass. sez. 5, 20 febbraio 2020, n. 4415, in motivazione par. 1.3.), con la conseguenza che legittimata alla proposizione dell'istanza di rimborso è la consolidata che ha chiesto il rimborso IRES in relazione all'investimento ambientale effettuato secondo l'agevolazione prevista dall'art. 6 della L. n. 388/2000 (c.d. Tremonti ambiente). 6. Del pari è infondato il terzo motivo di ricorso, alla stregua del principio ormai consolidato espresso da questa Corte in materia, anche in tema di dichiarazione integrativa tardiva con riferimento ai benefici derivanti dalla norma succitata, secondo cui il contribuente può emendare comunque la propria dichiarazione, quando abbia omesso di dichiarare l'investimento nell'anno di realizzazione per ragioni riferite all'incertezza normativa, facendo valere in sede giurisdizionale il proprio diritto al rimborso, se sussistente (cfr., tra le altre, Cass. sez. 6-5, ord. 31 gennaio 2023, n. 2931; Cass. sez. 6-5, ord. 20 dicembre 2021, n. 40862). 7. Risulta invece fondato il primo motivo. 7.1. Premesso che non appare pertinente la giurisprudenza indicata dal Procuratore Generale, con riferimento alla tecnica redazionale del presente ricorso, quanto alla pretesa inammissibilità del primo motivo, si deve ritenere la fondatezza del mezzo d'impugnazione in esame. 7.2. Chiarito altresì che non è qui in discussione in alcun modo la problematica relativa all'ammortamento dei beni che costituiscono l'investimento ambientale (su cui, invece, cfr. Cass. sez. trib., ord. 28 luglio 2023, n. 23054), è fondata la censura erariale che lamenta l'erroneità della decisione impugnata laddove, in assenza di alcuna norma di legge che lo autorizzi, ha ritenuto legittima la cosiddetta spalmatura del costo di realizzazione dell'impianto su un triennio, anziché sull'anno di realizzazione dell'investimento medesimo (nella fattispecie il 2011). Deve ritenersi che tale conclusione sia legittimata, in assenza di alcuna norma che autorizzi la menzionata spalmatura, in forza del principio di derivazione contabile che è pur sempre alla base dell'art. 6, comma 15, della citata l. n. 388/2000 nella sua formulazione applicabile ratione temporis, secondo cui "(p)er investimento ambientale si intende il costo delle immobilizzazioni materiali di cui all'articolo 2424, primo comma, lettera B), n. II, del codice civile, necessarie per prevenire, ridurre e riparare danni causati all'ambiente. Sono in ogni caso esclusi gli investimenti realizzati in attuazione degli obblighi di legge. Gli investimenti ambientali vanno calcolati con l'approccio incrementale". 7.3. Ritiene la Corte che il riferimento al metodo del c.d. "approccio incrementale", che, per quanto attiene al periodo di realizzazione dell'impianto fotovoltaico di cui si discute nel presente giudizio, va inquadrato nella normativa Europea di riferimento del regolamento n. 800/2008/CE (cfr., in particolare, gli artt. 18 e 23), diversamente da quanto dedotto in memoria, stia solo ad individuare il quantum incentivabile, consistente nella differenza tra il valore dell'investimento ambientale con riferimento alla realizzazione di detto impianto ed il valore di un impianto equivalente alimentato ad energia fossile, senza valorizzazione di altri elementi (come ad esempio altri incentivi, canoni di leasing o simili), non già andando ad incidere, come invece testualmente indicato in memoria, "sull'entità del reddito fiscale dichiarato per ciascun anno d'imposta, decurtandone via via il valore fino al suo completo annullamento", in assenza di una precisa disposizione di legge che ne consenta, a fronte del disposto dell'art. 6, comma 15 della L. n. 388/2000, quale applicabile ratione temporis, l'utilizzo per diversi anni d'imposta successivi a quello che ha visto la realizzazione dell'investimento. 7.4. Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso va pertanto accolto in relazione al primo motivo, con conseguente cassazione, in parte qua, della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, che procederà a nuovo esame, uniformandosi al principio di diritto secondo cui: "In assenza di diversa disposizione di legge, l'agevolazione della c.d. Tremonti ambiente (art. 6, commi 13 - 19 L. n. 388/2000), quale applicabile ratione temporis, va richiesta per l'intero importo dell'investimento suscettibile di agevolazione secondo il metodo di calcolo dell'approccio incrementale con riferimento all'anno in cui il costo d'acquisto delle relative immobilizzazioni materiali necessarie a prevenire, ridurre e riparare danni causati all'ambiente è iscritto nel contenuto dello stato patrimoniale". Resta altresì demandata al giudice di rinvio la disciplina delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il ricorso in relazione al primo motivo, rigettati gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, cui demanda altresì di provvedere in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5788 del 2023, proposto dal Comune di Latina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Società Agricola Ap. So. 2 S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mi. Ma. Gi., Gi. Bi. e Lu. Ma. Gi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina Sezione Prima n. 00202/2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Società Agricola Ap. So. 2 S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 febbraio 2024 il Cons. Rosario Carrano e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO La società Ap. So. 2 s.r.l., in data 7 maggio 2021, ha presentato al Comune di Latina un'istanza di procedura abilitativa semplificata (P.A.S.) per la realizzazione di un impianto fotovoltaico a terra denominato "Fo.", ai sensi dell'art. 6 del d.lgs. n. 28/2011 e dell'art. 3 della legge regionale del Lazio n. 16/2011. Inoltre, ha presentato anche domanda per un permesso di costruire per la realizzazione di due cabine prefabbricate per la connessione dell'impianto fotovoltaico alla rete elettrica nazionale. Nell'ambito di quest'ultimo procedimento, il Comune di Latina, nel gennaio 2022, ha comunicato che, in data 11 agosto 2021, era stato modificato l'art. 3.1 della L.R. 16/2011. Pertanto, è stata disposta la sospensione della PAS nelle more del completamento dell'avviata procedura da parte del Comune di Latina di individuazione delle aree "non idonee" all'installazione di impianti fotovoltaici a terra, a cui ha fatto seguito il provvedimento impugnato, con il quale è stato comunicato il divieto a dare inizio e/o continuità ai lavori di cui alla PAS, ordinando il ripristino dello stato dei luoghi, ove necessario. Con la medesima nota, il Comune di Latina ha altresì comunicato alla società ricorrente il rigetto dell'istanza di permesso di costruire. Con il ricorso di primo grado, la società ha proposto nove motivi di impugnazione: 1) violazione dell'art. 6 del d.lgs. 28/2011, dal momento che i provvedimenti impugnati sarebbero intervenuti in epoca successiva al definitivo spirare del termine di 30 giorni per l'esercizio del potere inibitorio da parte del Comune; 2) violazione degli artt. 20, comma 3, 21-quinquies e 21-nonies della L. 241/1990, nonché degli artt. 7 e 8 della L. 241/1990 per mancata comunicazione di avvio del procedimento: dopo il decorso dei 30 giorni, in capo all'Amministrazione residuava solo il potere di agire in autotutela per annullare la PAS formatasi a seguito di silenzio-assenso e il provvedimento impugnato non poteva essere qualificato come tale. Inoltre, anche considerando il provvedimento impugnato alla stregua di un atto di autotutela, lo stesso sarebbe stato comunque viziato poiché emesso in assenza dei presupposti di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della L. 241/1990 e non preceduto da alcuna comunicazione di avvio del relativo procedimento; 3) violazione del legittimo affidamento riposto dalla società ricorrente nell'avvenuto perfezionamento della PAS. Inoltre, il comportamento contraddittorio, arbitrario ed irragionevole del Comune sarebbe stato dimostrato dal fatto che il Comune aveva dapprima fatto in modo che la PAS si consolidasse (in maniera tacita), per poi adottare, a distanza di oltre un anno, un atto volto a bloccare i lavori di realizzazione dell'impianto; 4) difetto di sufficiente motivazione e carenza di istruttoria; 5) il Comune di Latina non avrebbe tenuto conto delle risultanze documentali degli atti formanti la PAS, da cui risultava che la ricorrente era titolare di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi per realizzare il progetto, secondo quanto disposto dalla normativa sugli imprenditori agricoli e dalla normativa concernente la realizzazione di impianti fotovoltaici su aree aventi destinazione agricola; 6) carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità e incongruenza delle valutazioni finali espresse dal Comune di Latina; 7) violazione del principio del tempus regit actum e di irretroattività della legge; 8) la qualificazione dell'area di progetto come "non idonea" sarebbe stata del tutto errata, fuorviante e frutto della insufficiente istruttoria del Comune di Latina, posto che il P.T.P.R. non individuava le aree inidonee (essendo tale processo ancora in corso alla data di presentazione e perfezionamento della PAS) e considerato che, in ogni caso, il "layout" di impianto non ricadeva su beni paesaggisticamente tutelati, nei soli confronti dei quali il P.T.P.R. aveva valenza prescrittiva. A differenza di quanto ritenuto dall'Amministrazione, gli impianti fotovoltaici sarebbero compatibili con la destinazione agricola delle aree, così come stabilito dalla normativa nazionale e dallo stesso Comune di Latina, il quale aveva disciplinato con proprio regolamento la realizzazione di impianti fotovoltaici in zone rurali; 9) contrasto con la normativa nazionale ed eurounitaria volta alla tutela dell'interesse pubblico alla massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili. Con la sentenza impugnata, il T.a.r. ha accolto il ricorso. In particolare, sui primi tre motivi di ricorso, trattati congiuntamente, il TAR ha ritenuto formato il silenzio-assenso: "non risulta che il Comune, nei trenta giorni successivi al 7 maggio 2021 abbia dato luogo ad alcuna attività istruttoria relativa al riscontro dell'assenza di una o più condizioni di cui al comma 2 o di false dichiarazioni del progettista, con la evidente conseguenza che, alla scadenza, si era formato il "silenzio assenso" (pag. 14 della sentenza impugnata). Inoltre, ha aggiunto che "Né può dirsi che la pratica relativa alla PAS non fosse completa nei trenta giorni successivi al 7 maggio 2021, avendo la ricorrente inviato altra documentazione in riferimento solo ai diversi procedimenti relativi al PUA e al permesso di costruire. In sostanza, il Comune avrebbe dovuto intervenire mediante un procedimento in autotutela e non disporre direttamente dapprima la sospensione e poi l'inibizione alla realizzazione dell'impianto. Inoltre, l'intervenuta modifica alla normativa regionale in data 11 agosto 2021 (art. 3.1, comma 5 quater) faceva esplicito riferimento alle "autorizzazioni non ancora rilasciate alla data di entrata in vigore della presente disposizione", mentre - come detto - alla data dell'11 agosto 2021 l'autorizzazione via PAS doveva considerarsi rilasciata per silenzio assenso. Sul punto, inoltre, non può tacersi dell'intervento della Corte Costituzionale, la quale, con la sentenza n. 221/2022, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, tra altre disposizioni, proprio dell'art. 75, comma 1, lett. b), numero 5), della l. r. Lazio n. 14/2021 che aveva introdotto i nuovi commi 5-quater e 5-quinquies dell'art. 3.1. della l.r. n. 16/2011, e dell'art. 6 della l.r. Lazio n. 20/2021, nella parte in cui aveva sostituito il richiamato comma 5-quater. Come noto, le pronunce di incostituzionalità della Corte operano "ex tunc", per cui la normativa richiamata dal Comune non era comunque efficace. Sotto i profili ora dedotti, pertanto, i primi tre motivi del ricorso introduttivo sono connotati di fondatezza e sono assorbenti rispetto ai motivi dal quarto al settimo, che lamentavano carenza di motivazione e prospettavano l'incostituzionalità della norma suddetta, poi in effetti dichiarata nelle more" (pag. 16-17 della sentenza impugnata). Con atto di appello, il Comune di Latina ha impugnato la suddetta sentenza deducendo i seguenti motivi: 1) trattandosi di semplificazione amministrativa e non di liberalizzazione, il silenzio assenso non si sarebbe formato in difetto dei relativi presupposti, come la carenza documentale relativa, in particolare, alla disponibilità dell'area e al pagamento degli oneri istruttori, allegando sul punto che: a) al momento dell'invio della comunicazione la società non era titolata a proporre l'istanza ai sensi del comma 2 dell'art. 6 D.lgs 28/2011, in quanto avrebbe acquistato il diritto di superficie sul terreno interessato dal progetto di realizzazione dell'impianto soltanto il 12 novembre 2021 e nessun titolo di disponibilità sarebbe mai stato allegato prima del 10 marzo 2022; b) la più significativa ed esplicita integrazione documentale sarebbe stata apportata con la nota del 10 marzo 2022, con la quale la società ha prodotto: la perizia giurata sulla stima dei costi necessari alla demolizione e dismissione dell'impianto e delle relative opere connesse, l'atto di disponibilità del terreno, la relazione dettagliata vegetazionale, l'atto di trasformazione sociale; c) la società ha trasmesso il Piano di Utilizzazione Aziendale per attività multimprenditoriali ai sensi dell'art. 57 bis L.R. 38/99, in linea con il Regolamento impianti fotovoltaici del Comune di Latina onde svolgere la produzione di energia elettrica in regime di connessione con l'attività agricola, documentando, attraverso l'atto di trasformazione, il possesso del requisito della imprenditorialità nel settore; 2) il comportamento della società si configurerebbe come acquiescenza al provvedimento amministrativo, in quanto, mediante l'integrazione della procedura nel senso indicato dall'ufficio, avrebbe posto in essere una implicita rinuncia ad avvalersi dell'eventuale silenzio assenso, ove maturato, nella concomitante persistenza del mancato avvio dei lavori; la mancata impugnazione del provvedimento presupposto determinerebbe, inoltre, la preclusione della impugnazione del successivo provvedimento di conferma del 31 maggio 2022; 3) il T.a.r. avrebbe valutato la questione esclusivamente alla stregua del procedimento dettato dall'art. 6 del D.Lgs 28/2011 senza tener conto del pertinente quadro normativo di riferimento regionale e senza tener conto della specificità del concreto procedimento posto in essere che si prefigurava come una procedura sostanzialmente aggravata/integrata di autorizzazione. Con apposita memoria, si è costituita la società resistente, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso. All'odierna udienza pubblica, la causa è stata trattenuta per la decisione. L'appello è infondato. Con il primo motivo, il Comune ha dedotto che, trattandosi di semplificazione amministrativa e non di liberalizzazione, il silenzio assenso non si sarebbe formato in difetto dei relativi presupposti, come la carenza documentale relativa, in particolare, alla disponibilità dell'area e al pagamento degli oneri istruttori. Il motivo è infondato. A tal riguardo, occorre innanzitutto richiamare l'orientamento espresso da questo Consiglio di Stato in ordine alla materia in esame. In particolare, questa Sezione ha già ribadito (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 gennaio 2023, n. 130; Cons. Stato, IV, 5 ottobre 2018, n. 5715) che la procedura abilitativa semplificata di cui all'articolo 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 è ascrivibile al genus della DIA, ora SCIA, e conseguentemente va qualificato quale atto soggettivamente ed oggettivamente privato (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 29 luglio 2011, n. 15). Al decorso del termine di legge di trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione, non si determina infatti il perfezionamento di una fattispecie legale tipica che, sul piano della produzione degli effetti, rende l'inerzia equivalente ad un vero e proprio provvedimento di accoglimento, come avviene per la fattispecie del silenzio assenso, bensì, più semplicemente, si determina l'effetto di rendere una determinata attività privata lecita, secondo il meccanismo proprio della Scia; ciò in linea con la diversa natura dei due istituti, laddove il primo risponde ad una ratio di semplificazione amministrativa, mentre il secondo di vera e propria liberalizzazione, con conseguente fuoriuscita dell'attività privata dal regime amministrato a controllo preventivo. La ricostruzione che precede è stata confermata dalla Corte costituzionale che con sentenza n. 45 del 2019 ha ritenuto, in generale con riguardo alla Scia, che: "Il dato di fondo è che si deve dare per acquisita la scelta del legislatore nel senso della liberalizzazione dell'attività oggetto di segnalazione, cosicché la fase amministrativa che ad essa accede costituisce una - sia pur importante - parentesi puntualmente delimitata nei modi e nei tempi. Una dilatazione temporale dei poteri di verifica, per di più con modalità indeterminate, comporterebbe, invece, quel recupero dell'istituto all'area amministrativa tradizionale, che il legislatore ha inteso inequivocabilmente escludere". Inoltre, il comma 2 del menzionato articolo 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, indica in modo puntuale, tra gli altri requisiti da accertare, i soggetti legittimati a presentare la dichiarazione asseverata, individuandoli nel "proprietario dell'immobile o chi abbia la disponibilità sugli immobili interessati dall'impianto e dalle opere connesse", sicché allorquando, al successivo comma 4, la disposizione in esame prevede che il Comune notifichi all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento "ove entro il termine indicato al comma 2 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite al medesimo comma" onera il Comune di accertare specificamente anche le condizioni di legittimazione alla presentazione della dichiarazione nel predetto termine decadenziale, pena il perfezionamento della fattispecie legittimante l'intervento (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 gennaio 2023, n. 130). Nel caso di specie, peraltro, la società aveva dichiarato la disponibilità dell'area in questione, mediante autocertificazione allegata all'istanza, oltre ad aver assolto i relativi oneri istruttori come emerge dalla documentazione in atti. In secondo luogo, in ordine alle modalità di esercizio del potere di autotutela, giova rammentare, in via generale, che la Corte costituzionale con la richiamata sentenza n. 45 del 2019 ha chiarito che "Le verifiche cui è chiamata l'amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono (...) quelle già puntualmente disciplinate dall'art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all'art. 21-novies) [ora dodici mesi]. Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell'amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all'esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dia con il corrispondente potere, anche l'interesse si estingue.". E' dunque pacificamente configurabile una forma di autotutela, anche in presenza di un atto soggettivamente ed oggettivamente privato, sebbene la peculiare natura dell'atto valga tuttavia a connotarla in termini di autotutela atipica e soprattutto di doverosità, in deroga alla regola generale della natura discrezionale del potere, con specifico riferimento all'obbligo di provvedere (cfr. in termini Cons. Stato, IV, 11 marzo 2022, n. 1737). Pertanto, alla luce delle suddette considerazioni, ne deriva che nel caso di specie, una volta decorso pacificamente il termine di 30 giorni dalla presentazione della dichiarazione asseverata, senza che il Comune avesse notificato l'ordine di non effettuare l'intervento, a motivo della riscontrata carenza di una o più delle condizioni stabilite dall'articolo in questione, l'attività di costruzione dell'impianto doveva intendersi definitivamente assentita. Concludendo sul punto, quindi, il primo motivo di appello deve ritenersi infondato. Con il secondo motivo di appello, il Comune ha censurato il comportamento della società il quale andrebbe configurato, secondo la prospettazione attorea, in termini di acquiescenza al provvedimento amministrativo, dal momento che, mediante l'integrazione della procedura nel senso indicato dall'ufficio, avrebbe posto in essere una implicita rinuncia ad avvalersi dell'eventuale silenzio assenso, ove maturato, nella concomitante persistenza del mancato avvio dei lavori. Il motivo è inammissibile. Si tratta infatti di un motivo nuovo, proposto per la prima volta in appello, come si evince da un piano confronto tra la memoria di primo grado e il ricorso di appello. Dato che tale censura non è mai stata sottoposta al contraddittorio con le altre parti in prime cure e all'esame del giudice del Tar, la stessa è inammissibile, stante il divieto dei nova in appello (art. 104 c.p.a.). In ogni caso, il motivo è anche infondato, in quanto la produzione della documentazione integrativa, che secondo l'appellante dimostrerebbe una condotta acquiescente da parte della società, non può essere sintomatica di un atto di acquiescenza trattandosi di documentazione relativa ad un diverso procedimento amministrativo. Ad ogni modo, risulta che tale documentazione sia stata inviata a conferma di quanto già risultante dall'istanza. Con il terzo motivo di appello, il Comune ha censurato la sentenza in quanto il T.a.r. avrebbe valutato la questione esclusivamente alla stregua del procedimento dettato dall'art. 6 del D.Lgs. n. 28/2011 senza tener conto del pertinente quadro normativo di riferimento regionale e senza tener conto della specificità del concreto procedimento posto in essere che si prefigurava come una procedura sostanzialmente aggravata/integrata di autorizzazione. Il motivo è inammissibile. Invero, con tale censura, il Comune appellante si è sostanzialmente limitato a ribadire la propria tesi, secondo cui il perfezionamento della PAS necessiterebbe dell'approvazione del PUA, già respinta dal giudice di primo grado, omettendo però di prendere in esame la motivazione di rigetto e sottoporla a relativa critica. Secondo il costante insegnamento giurisprudenziale, infatti, è inammissibile per genericità il motivo di appello che si limita a riproporre il motivo già dedotto in primo grado e disatteso dal T.a.r. in mancanza delle specifiche ragioni che inducono a ritenere erronea la decisione del giudice di prime cure (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2023, n. 276). Ciò in quanto "Il principio di specificità dei motivi di impugnazione, posto dall'art. 101, comma 1, c.p.a., impone che sia rivolta una critica puntuale alle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, non essendo sufficiente la mera riproposizione dei motivi contenuti nel ricorso introduttivo; il giudizio di appello dinanzi al giudice amministrativo, infatti, si presenta come revisio prioris instantiae i cui limiti oggettivi sono segnati dai motivi di impugnazione" (così, ex multiis, Consiglio di Stato, sez. II, 19 luglio 2022, n. 6285). In conclusione, quindi, l'appello deve essere rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese di lite che si liquidano in Euro 5.000,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Luigi Carbone - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Silvia Martino - Consigliere Luca Monteferrante - Consigliere Rosario Carrano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: FEDERICO SORRENTINOPresidente ORONZO DE MASIConsigliere ANGELO MATTEO SOCCIConsigliere LIBERATO PAOLITTOConsigliere FRANCESCA PICARDIConsigliere-Rel. Oggetto: *REGISTRO INVIM RISCOSSIONE Ud.12/04/2024 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 35388/2018 R.G. proposto da: AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587), che la rappresenta e difende -ricorrente- contro ME UNO SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI BRAGOZZI N. 30, presso lo studio dell’avvocato BONFIGLIOLI LAURA MARIA CATERINA (BNFLMR67D44C003U) e rappresentata e difesa dagli avvocati PASCUCCI CARMINE (PSCCMN40B12D998W) e PASCUCCI ANTONIO (PSCNTN66S08F205L) -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 1812/2018 depositata il 19/04/2018, udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/04/2024 dal Consigliere FRANCESCA PICARDI. FATTI DI CAUSA 1.M.E. Uno s.r.l. ha impugnato l’avviso di accertamento, con cui l’Agenzia delle Entrate ha riqualificato l’atto del 27 dicembre 2012 (di vendita di proprietà superficiaria venticinquennale di impianto fotovoltaico) come cessione di azienda, in considerazione del trasferimento non solo dell’impianto e delle attrezzature, ma anche dei diritti e degli interessi legittimi conseguenti alla convenzione con G.S.E. 2. Il ricorso è stato accolto in primo grado, con sentenza confermata in appello. La Commissione tributaria regionale ha escluso la configurabilità di una cessione di azienda, sottolineando il difetto dell’elemento dell’organizzazione («per quanto possa essere vero che, nel caso portato all’attenzione di questa Commissione, al bene oggetto di cessione si accompagnassero attrezzature, rapporti contrattuali e intese connesse al suo sfruttamento commerciale, esso non può che essere riguardato come un mero macchinario, certamente sofisticato e complesso, ma pur sempre uno strumento per la produzione della energia elettrica e per il suo successivo incalanamento nell’unica direzione possibile…il servizio energetico nazionale»). 3. Avverso tale sentenza della Commissione tributaria regionale ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate. 4.Si è costituita con controricorso la M.E. Uno s.r.l., che ha depositato anche successiva memoria ed ha concluso per l’inammissibilità o infondatezza del ricorso. 4.Il ricorso, originariamente fissato ad adunanza camerale presso la Sesta Sezione, è stato successivamente rinviato alla pubblica udienza. 5. La Procura Generale presso la Corte di cassazione ha depositato nota di conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. 6. La causa è stata trattata e decisa all’udienza pubblica del 12 aprile 2024. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.L’Agenzia delle Entrate ha dedotto, con un unico motivo, l’erronea applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ., dell’art. 2555 cod.civ., atteso che il requisito funzionale dell’organizzazione, necessario ai fini della configurabilità dell’azienda, sussiste nel caso di specie, in cui si è in presenza di una fattispecie unica, caratterizzata dal collegamento all’immobile del cd. conto energia, che consente di sfruttare economicamente, tramite gli incentivi, la produzione di energia elettrica. 2. Il motivo è inammissibile, in quanto, pur denunciando la violazione di una norma di legge, tende in realtà a contestare l’accertamento in fatto compiuto dai giudici di merito, con sentenze conformi sul punto e, dunque, non censurabili neppure ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ. Si tratta, dunque, di un motivo non riconducibile a quelli previsti dall’art. 360 cod.proc.civ. Del resto, i giudici di merito hanno correttamente escluso la configurabilità di un’azienda, non potendo ravvisarsi il requisito funzionale dell’organizzazione nell’aggregazione ad un bene immobile di un rapporto giuridico, che non è diretto alla produzione o commercializzazione di beni e servizi, ma esclusivamente alla fruizione di incentivi economici e di determinate condizioni di commercializzazione. Difatti, l’azienda è il complesso di beni organizzato per l’esercizio di un’impresa ed esige, dunque, un’organizzazione da sola sufficiente all’esercizio dell’attività imprenditoriale e, cioè, alla produzione o commercializzazione di beni o servizi, sicché non può reputarsi sufficiente, ai fini della sua configurabilità, la mera aggregazione di un bene ad un rapporto giuridico strumentale alla fruizione di agevolazioni fiscali ed altri vantaggi economici. 3.In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. P.Q.M. La Corte: dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro7.000,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi ed oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge. Così deciso in Roma, il 12/04/2024. Il Consigliere estensore Il Presidente FRANCESCA PICARDI FEDERICO SORRENTINO

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6811 del 2023, proposto da Ot. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 8523067164, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Br., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro En. So. S.r.l. in proprio e Nq di Mandataria Rti con Bo. E& S In. It. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Lo Pi., Fa. Ci., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Bo. E& S In. It. S.p.A. in proprio ed in Qualità di Mandante Rti, non costituito in giudizio; nei confronti Provincia di Savona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Pr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); Comune di (omissis), Comune di (omissis), Comune di (omissis), Comune di (omissis), So. S.r.l., non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 607/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di En. So. S.r.l. in proprio e Nq di Mandataria Rti con Bo. E& S In. It. Spa e di Provincia di Savona; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2023 il Cons. Diana Caminiti e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.Ot. S.r.l. (d'ora in poi per brevità Ot.) ha interposto appello avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 607/2023, con cui si è accolto il ricorso proposto da En. So. S.r.l. (d'ora in poi En. So.) avverso la Determinazione della Provincia di Savona, Settore - Gestione viabilità edilizia ed ambiente, Servizio - Energia e coordinamento ambientale, n. 232 del 10 febbraio 2023, avente ad oggetto "Appalto 2031 - Procedura aperta per la selezione di un operatore qualificato per l'affidamento in concessione di servizi di prestazione energetica, inclusi la riqualificazione energetica e la gestione dell'impianto di pubblica illuminazione di proprietà dei Comuni di (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e Provincia di Savona (gallerie e tratti stradali). Esclusione del costituendo RTI GI ON. S.p.A. (ora So. S.p.A.) e Ot. S.r.l. Provvedimento di aggiudicazione" recante l'aggiudicazione in favore di Ot.. 2. Dagli atti di causa risulta quanto di seguito specificato. 2.1. La Provincia di Savona ha indetto la procedura per la selezione del concessionario dei servizi di prestazione energetica, con riqualificazione energetica e gestione dell'impianto di pubblica illuminazione di proprietà di cinque soggetti pubblici (i comuni di (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e la Provincia di Savona per le gallerie e i tratti stradali di competenza). 2.2. Il contratto oggetto della gara rientra nel genus del partenariato pubblico-privato con finanziamento privato degli interventi e trasferimento del rischio operativo (il conseguimento del risparmio energetico) in capo al concessionario, concernendo l'affidamento di un contratto per l'efficientamento energetico ("Energy Performance Contract": EPC) previsto tra i contratti di PPP dall'art. 180 del Codice. 2.3. La procedura aperta è finalizzata all'individuazione del soggetto con cui la Provincia dovrà stipulare il "Contratto Quadro" a valle del quale dovranno poi essere stipulati i "Contratti Attuativi" con riferimento alla Provincia di Savona e ai Comuni di (omissis), (omissis), (omissis), (omissis). 2.4. Il disciplinare di gara prevede all'art. 1.5. "Il valore minimo complessivo dell'investimento, soggetto ad aumento in fase di offerta economica, è pari a Euro 2.590.586,78 (iva esclusa), di cui il valore minimo dell'investimento per ciascun Comune e per la Provincia di Savona (Gallerie e tratti stradali) per l'efficientamento dell'Impianto di Pubblica Illuminazione, soggetto ad aumento nell'offerta di gara, è pari a: - Euro 825.954,68 al netto dell'IVA, di cui gli oneri sicurezza sono stimabili nel 2%, pari a Euro 16.519,09 per (omissis); - Euro 887.219,68 al netto dell'IVA, di cui gli oneri sicurezza sono stimabili nel 2%, pari a Euro 17.744,39 per (omissis); - Euro 438.148,20 al netto dell'IVA, di cui gli oneri sicurezza sono stimabili nel 2%, pari a Euro 8.762,96 Per (omissis); - Euro 157.575,47 al netto dell'IVA, di cui gli oneri sicurezza sono stimabili nel 2%, pari a Euro 3.151,51 per (omissis); - Euro 281.688,75 al netto dell'IVA, di cui gli oneri sicurezza sono stimabili nel 2%, pari a Euro 5.633,78 per la Provincia di Savona (Gallerie e tratti stradali)". 2.5. Al successivo art. 1.6. quanto all'importo dell'affidamento il disciplinare precisa che "Ai fini della presente procedura di gara, il valore complessivo dell'affidamento è pari a Euro 6.420.949,50 (IVA esclusa), calcolato moltiplicando il canone annuo complessivo riconosciuto all'aggiudicatario, stimato in Euro 1.639.399,50 (I.V.A. esclusa) per il Comune di (omissis), Euro 1.992.990,75 (I.V.A. esclusa) per il Comune di (omissis), Euro 1.076.361,00 (I.V.A. esclusa) per il Comune di (omissis), Euro 475.020,75 (I.V.A. esclusa) per il Comune di (omissis), Euro 1.237.177,50 (I.V.A. esclusa) per la Provincia di Savona (Gallerie e tratti stradali), per tutta la durata della concessione, pari a un periodo di 180 (centottanta) mesi, il tutto come meglio di seguito specificato". 2.5.1. L'affidamento della concessione è stato fissato infatti in 180 mesi, decorrenti dalla data di presa in gestione (art. 2 del disciplinare). 2.6. Tra i requisiti di capacità tecnica e organizzativa la lex specialis di gara richiede per i concorrenti il possesso di attestazione SOA in categoria OG 10 e classifica pari o superiore all'importo per lavori degli interventi di riqualificazione energetica che ciascun concorrente avrebbe offerto: "Essere in possesso di idonea qualificazione per l'esecuzione di lavori per la categoria OG10 e rispettiva classifica, ai sensi dell'art. 84 del d.lgs. 50/2016 (Sistema unico di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici), in corrispondenza alla tipologia e all'importo per lavori degli interventi di riqualificazione energetica cui l'aggiudicatario dovrà procedere in correlazione all'offerta tecnica ed economica" (art. 7.1.2.2, lett. E, pag. 17). 2.7. Ot., in fase di partecipazione, ha speso un'attestazione SOA in categoria OG 10 per classifica V, pari ad Euro 5.165,000,00 (incrementata di un quinto fino ad Euro 6.198.000), tarata sui singoli autonomi interventi che sarebbero stati resi in favore dei singoli Enti concedenti. 2.8. In seguito allo svolgimento della gara, la graduatoria è stata più volte modificata, fino a quella che ha visto posizionato: - al primo posto il costituendo RTI composto da GI ON. S.p.a. (mandataria) e Ot. S.r.l. (mandante); - al secondo posto il RTI En. So. S.r.l. (mandataria) e Bo. E& S In. It. S.p.a. (mandante). Nel corso delle verifiche di rito sono emerse, in capo alla mandataria GI ON. S.p.a., plurime cause di esclusione, sicché, in difetto di una rimodulazione riduttiva del raggruppamento, la stazione appaltante ne ha disposto l'esclusione. 2.9. Successivamente Ot. S.r.l. (originaria mandante del RTI escluso) ha chiesto di essere riammessa alla gara, affermando di possedere in proprio, anche senza apporto della mandataria, tutti i requisiti per poter partecipare alla selezione e eseguire il contratto. 2.10. La stazione appaltante ha, quindi, riammesso singolarmente la società Ot. S.r.l con il provvedimento del 10.2.2023 n. 232 e, contestualmente, le ha aggiudicato la gara. 2.11. En. So. S.r.l. ha impugnato tale atto con il ricorso di prime cure, chiedendo l'annullamento dello stesso, nonché la condanna in forma specifica dell'amministrazione intimata a disporre l'aggiudicazione in suo favore, se del caso con declaratoria di inefficacia del contratto e subentro nel medesimo ove stipulato. 3. Il giudice di prime cure con la sentenza oggetto dell'odierno appello, disattendendo quanto allegato da parte di Ot. e dalla Provincia di Savona circa l'interpretazione della lex specialis di gara, ha accolto il primo motivo di ricorso, a carattere escludente, assorbendo conseguentemente gli ulteriori motivi. 3.1. Con tale motivo la ricorrente En. So. lamentava che l'aggiudicataria Ot. sarebbe stata priva del requisito di capacità tecnica previsto dal Disciplinare, consistente nella "idonea qualificazione per l'esecuzione dei lavori per la categoria OG10 e rispettiva classifica... in corrispondenza alla tipologia e all'importo per i lavori cui l'aggiudicatario dovrà procedere in correlazione all'offerta tecnica ed economica", perché tale qualificazione doveva essere valutata sull'importo complessivo dell'accordo-quadro e non sugli importi relativi ai singoli contratti esecutivi, da stipulare con i vari enti beneficiari; ciò in quanto: - il Disciplinare al punto 7.1.2.2.E) richiede il "possesso di idonea qualificazione per l'esecuzione di lavori per la categoria OG10 e rispettiva classifica... in corrispondenza alla tipologia e all'importo per lavori degli interventi di riqualificazione energetica cui l'aggiudicatario dovrà procedere in correlazione all'offerta tecnica ed economica", senza alcun riferimento ai singoli contratti con i singoli enti; - la concessione prevede l'ipotesi fisiologica - o quantomeno l'eventualità - che l'aggiudicatario debba eseguire contemporaneamente tutti i contratti attuativi con i vari Comuni, dovendo quindi essere dotato di capacità tecnica adeguata a far fronte ai lavori per l'intero importo dell'accordo-quadro. Nel caso di specie, invece, la controinteressata, secondo quanto dedotto da En. So., era titolare di una qualificazione OG10 con classifica V che, pur elevata di 1/5, abilitava ad interventi fino ad un importo di euro 6.198.000, mentre i lavori oggetto dell'accordo quadro hanno un valore dichiarato di euro 6.841.110,3 (importo da cui sono già state detratte le spese per i servizi che ammontano ad euro 314.877). 4. Avverso la sentenza appellata Ot. ha formulato, in due motivi, le seguenti censure: Errores in iudicando. Sulla infondatezza della censura di primo grado relativa alla asserita carenza del requisito di capacità tecnica ed organizzativa prescritto dal disciplinare di gara - Eccesso di potere giurisdizionale, criticando la statuizione di prime cure sia nel punto in cui, ai fini della qualificazione per la categoria OG 10, aveva fatto riferimento all'offerta complessivamente considerata, e non agli importi relativi alle offerte per i singoli enti pubblici beneficiari, sia nella parte in cui, ai fini di detta qualificazione, non aveva condiviso la tesi di Ot. e della Provincia di Savona circa la scorporabilità degli importi delle forniture, nonché degli importi considerati dal Rup come afferenti ad interventi, di lavori e forniture, non necessitanti della suddetta qualificazione OG 10. 5. En. So., nel resistere all'appello, ha riproposto, ex art. 101 comma 2 c.p.a., i motivi di ricorso di prime cure, dichiarati assorbiti dal Tar nei seguenti termini: II. Violazione del principio di segretezza dell'offerta economica; Violazione dell'art. 3, sezione "Offerta Tecnica", paragrafo 1.C, u.c. del Disciplinare; Violazione della par condicio fra i concorrenti; Eccesso di potere per difetto di istruttoria e contraddittorietà ; Violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.). III. Illegittima attribuzione dei punteggi dell'offerta economica. Violazione e/ o falsa applicazione dell'art. 3, Sezione "Offerta Economica", paragrafi 1 e 4 del Disciplinare in punto di criteri di valutazione dell'offerta economica. Eccesso di potere per illogicità manifesta, contraddittorietà, carenza di istruttoria, difetto di motivazione, ingiustizia manifesta. Violazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa ex art. 97 Cost.. IV. Violazione dell'art. 97 del d.l.gs. n. 50/2016. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e di motivazione. 6. Si è costituita la Provincia di Savona, aderendo alla tesi di parte appellante circa la necessità di riforma della sentenza di prime cure, stante la correttezza del proprio operato nell'espletamento della procedura di gara. 7. Ot. ha contrastato i motivi di ricorso, dichiarati assorbiti dal giudice di prime cure e riproposti da En. So. ex art. 101 comma 2 c.p.a, depositando articolata memoria difensiva in vista dell'udienza camerale fissata per la trattazione dell'incidente cautelare, all'esito della quale, su concorde assenso delle parti, la causa è stata rinviata all'udienza pubblica per la trattazione nel merito. 7.1. Nelle more della celebrazione dell'udienza pubblica, le parti hanno depositato memorie difensive e di replica, ex art. 73 comma 1 c.p.a., insistendo nei rispettivi assunti. 8. La causa è stata trattenuta in decisione all'esito dell'udienza pubblica del 19 dicembre 2024. DIRITTO 9. La presente controversia ha ad oggetto l'aggiudicazione della procedura aperta per la selezione di un operatore qualificato per l'affidamento in concessione di servizi di prestazione energetica, inclusi i servizi di riqualificazione energetica e di gestione dell'impianto di pubblica illuminazione di proprietà dei Comuni di (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e Provincia di Savona (gallerie e tratti stradali). 9.1. Trattasi di appalto finanziato con fondi della BE. - Banca Eu. per gli In. come da Programma Europeo "Elena", nell'ambito del progetto provinciale volto all'efficientamento energetico degli impianti della Provincia e degli altri Comuni savonesi. 9.2. Il primo giudice ha accolto il primo motivo del ricorso proposto dalla seconda graduata, En. So., a carattere escludente, ritenendo che l'aggiudicataria Ot., odierna appellante, fosse priva del requisiti di capacità tecnica e organizzativa che la lex specialis di gara richiedeva per i concorrenti circa il possesso di attestazione SOA in categoria OG 10 e classifica pari o superiore all'importo per lavori degli interventi di riqualificazione energetica che ciascun concorrente avrebbe offerto. 9.3. En. So. infatti aveva sostenuto che tale qualificazione doveva essere valutata sull'importo complessivo dell'accordo-quadro e non sugli importi relativi ai singoli contratti esecutivi da stipulare con i vari enti beneficiari. 10. Il giudice di prime cure ha accolto tale motivo, osservando che la qualificazione dovesse essere valutata sulla base dell'offerta complessivamente considerata, ossia sul totale dei lavori proposti. A favore di tale conclusione secondo il Tar deporrebbero le seguenti plurime considerazioni. "In primo luogo sussiste un'argomentazione letterale giacché la citata norma del Disciplinare n. 7.1.2.2.E): - richiede il possesso di una "idonea qualificazione per l'esecuzione di lavori per la categoria OG10 e rispettiva classifica" senza alcun riferimento agli importi relativi alle offerte per i singoli enti pubblici beneficiari; - inoltre prevede che la qualifica sia correlata "all'offerta tecnica ed economica" declinata al singolare, e non alle plurime (e atomisticamente considerate) offerte per gli interventi a favore dei singoli enti". Né, secondo il giudice di prime cure, avrebbe rilievo la mancata previsione della sanzione espulsiva da parte della lex specialis, in quanto i requisiti tecnici minimi di partecipazione previsti dal bando hanno natura escludente ex lege, ai sensi dell'art. 83 comma 8 del Codice. Inoltre il Tar ha ritenuto che a detta interpretazione dovesse giungersi anche in un'ottica finalistica, mantenendo la gara una rilevanza unitaria e dovendosi valutare la capacità del candidato di eseguire tutti i lavori anche in parallelo. Parimenti è stata disattesa l'argomentazione invocata dalla controinteressata ed odierna appellante secondo la quale non vi sarebbe alcuna interdipendenza tra i singoli contratti esecutivi, sulla base del rilievo che la stessa, lungi dal deporre nel senso della valutabilità frazionata della qualificazione, confermerebbe che la capacità tecnica ed organizzativa richiesta al concessionario è particolarmente elevata anche per il fatto che lo stesso è obbligato ad eseguire prestazioni tra loro non collegate che lo impegnano su più fronti contemporaneamente e senza possibilità di un utilizzo sinergico delle risorse. 10.1. Il Tar ha disatteso anche le ulteriori difese della Provincia e della controinteressata ed odierna appellante, volte a dimostrare che l'importo previsto per i lavori, anche se considerato nel suo complesso, rientrerebbe comunque entro la soglia della classifica posseduta. In particolare le controparti avevano sostenuto che, dall'importo complessivo per i lavori, dovessero detrarsi: - il costo di euro 3.767.276,26 perché riferito a forniture e non a lavori; - l'ulteriore costo di euro 1.424.295,38 (6.841.110,3-5.416,814,92) in quanto "il RUP ha accertato che non tutte le prestazioni che Ot. ha dichiarato come lavori rientrano nella categoria OG10". Il Tar ha al riguardo osservato che "a) In primo luogo l'All. A al D.p.r. 207/2010, nella parte in cui disciplina la categoria OG10, dispone espressamente che essa "comprende... la fornitura... (de)gli impianti di pubblica illuminazione" e quindi prevede una disciplina speciale per le opere illuminotecniche che unifica la qualificazione per i lavori e per talune forniture, con la conseguenza che i relativi importi (di lavori e forniture) devono essere sommati e non scorporati. b) In secondo luogo è infondata l'argomentazione sollevata dalla controinteressata in sede di replica per cui l'art. 28, comma 1, ultimo periodo, imporrebbe per i contratti "misti" di valutare distintamente la qualificazione per opere e forniture. Tale norma stabilisce invero che "L'operatore economico che concorre alla procedura di affidamento di un contratto misto deve possedere i requisiti di qualificazione e le capacità prescritte dal presente codice per ciascuna prestazione di lavori, servizi, forniture prevista dal contratto", ma nel caso di specie tale regola deve essere coordinata con quella speciale dettata dalla citata normativa in materia di qualifiche che, nel caso eccezionale della categoria OG10, prevede espressamente che la qualificazione per i lavori di costruzione e manutenzione di impianti di pubblica illuminazione "comprende" anche le forniture dei relativi materiali. Per tale categoria, dunque, è lo stesso Codice (mediante rinvio al sistema delle qualificazioni SOA) che prevede che la qualificazione OG10 comprenda sia lavori che le forniture ivi specificate. Pertanto gli importi per le forniture nel campo illuminotecnico rientrano nell'ambito della qualificazione per i lavori in questione e i relativi importi non possono essere sottratti. c) Infine è infondata la tesi per cui dall'importo dell'investimento dovrebbe essere sottratto il costo di euro 1.424.295,38 che la controinteressata avrebbe erroneamente dichiarato nella categoria dei lavori mentre si tratterebbe di forniture, secondo quanto affermato nella citata relazione interna redatta dal RUP. La citata argomentazione è infondata perché, invece di dimostrare la sussistenza del requisito tecnico in capo alla controinteressata, pone in dubbio la correttezza dell'operato di questa sia per quanto attiene alle dichiarazioni rese in sede di gara, sia per quanto concerne la redazione dell'offerta. Ed infatti, se fosse dimostrata l'attendibilità delle affermazioni del RUP, ne discenderebbe: - che la controinteressata avrebbe reso in sede di gara delle dichiarazioni non veritiere (con le conseguenze sanzionatorie previste dal Codice degli appalti all'art 80, comma 12, e dall'art. 75 del D.p.r. n. 445/2000); - o, comunque, che l'offerta risulterebbe macroscopicamente errata avendo qualificato oltre il 20% degli importi come lavori invece che come forniture, con evidenti conseguenze sull'idoneità ed attendibilità dell'offerta e sulla permanenza in gara della controinteressata". 11. Con il primo motivo di appello Ot. critica la sentenza di prime cure, ritenendo che la stessa abbia erroneamente interpretato il disciplinare di gara, parametrando il requisito prescritto in merito al possesso della SOA per la categoria 0G 10 all'importo totale dei lavori in favore di tutti gli enti pubblici beneficiari, laddove, in tesi diparte appellante, dovrebbe aversi riguardo ai singoli interventi presso i singoli enti, come palesato dalla circostanza che l'offerta tecnica doveva essere redatta con riferimento specifico agli interventi presso tali enti, stante l'assoluta autonomia dei singoli affidamenti. Ciò anche sulla base del rilievo che secondo la lex specialis di gara l'offerta economica doveva essere distinta per ciascun ente concedente, con investimenti per riqualificazione energetica da offrire in aumento rispetto ai valori minimi degli investimenti previsti per ciascuno di essi. In tale ottica sarebbero pertanto i singoli contratti attuativi a dar vita ai (distinti) rapporti concessori, atti a disciplinare puntualmente, ciascuno in modo indipendente rispetto agli altri, diritti ed obblighi tra concedenti e concessionario; onde, la qualificazione doveva necessariamente essere riferita ai singoli affidamenti. Qualora la Stazione appaltante avesse ritenuto che si trattasse di un unico e complessivo affidamento e avesse voluto riferire il possesso della SOA al totale dei lavori, in tesi di parte appellante, ben avrebbe potuto (rectius: dovuto) usare il singolare ("intervento") in luogo del plurale ("interventi"). Peraltro, venendo al più in rilievo una clausola della lex specialis di gara non chiara, la stessa non poteva che essere interpretata in coerenza con il principio di massima partecipazione, come da costante giurisprudenza in materia, dovendo peraltro procedersi ad una interpretazione complessiva della lex specialis di gara. La circostanza per cui si sarebbe al cospetto di tanti affidamenti per quanti sono gli enti concedenti, in tesi di parte appellante, si evincerebbe agevolmente anche da una combinata lettura dell'intero disciplinare, da cui emergeva come i singoli enti erano sempre tenuti ben distinti (cfr. quanto ai consumi dei singoli enti e all'obiettivo da raggiungere, artt. 1.3. e 1.4; quanto al valore minimo dell'investimento, art. 1.5). La Provincia si era invero fatta promotrice e coordinatrice, per conto di alcuni Comuni ricompresi nella propria circoscrizione e per sé stessa, per l'ottenimento dei finanziamenti europei per attuare misure di efficientamento energetico; una volta ottenuti, la Stazione Unica appaltante aveva bandito la relativa gara per conto di essi e della stessa Provincia di Savona, al fine di individuare l'operatore privato a cui affidare i relativi autonomi interventi. L'aggiudicazione non darebbe inoltre luogo ad un unico contratto di concessione con la Provincia di Savona ma, diversamente, a cinque contratti con altrettanti Comuni concedenti e cinque distinti ed autonomi interventi. L'aggiudicatario, a valle della firma di un contratto quadro con la Stazione Unica Appaltante pertanto sarebbe chiamata a sottoscrivere cinque distinti contratti di concessione, uno per ciascun ente concedente per conto del quale la S.U.A. aveva esperito la gara. Né sarebbe convincente, a dire di parte appellante, l'argomentazione del giudice di prime cure, secondo cui gli interventi potrebbero essere eseguiti in contemporanea presso i singoli enti concedenti, donde la necessità del riferimento all'importo complessivo degli interventi, trattandosi di una mera eventualità, stante l'autonomia degli affidamenti presso i singoli enti concedenti. In tesi attorea peraltro, accedendo alla tesi del Tar, si richiederebbe agli operatori economici il possesso di una SOA con categoria sproporzionata rispetto al valore degli interventi presso i singoli enti con cui andava stipulato l'accordo attuativo. 12. Con il secondo motivo Ot. critica la statuizione di prime cure nella parte in cui non aveva condiviso gli assunti avanzati dalla stazione appaltante e dalla medesima controinteressata ed odierna appellante, relativi alla non riferibilità della qualificazione SOA all'importo delle forniture, richiedendo la lex specialis di gara la SOA per i soli lavori e alla scorporabilità dall'investimento dell'importo di euro 1.424.295,38, afferente a prestazioni per cui non si renderebbe necessario il possesso della SOA nella categoria OG10. In tesi di parte appellante il Tar non avrebbe esattamente inteso la portata dell'assunto difensivo in quanto Ot. non avrebbe inteso sostituire oltre il venti per cento dei lavori contenuti nell'offerta con forniture, ma avrebbe specificato che l'importo di Euro 1.424.295,38 aveva ad oggetto forniture e lavorazioni per le quali non era necessario il possesso della SOA OG10 in quanto - come chiarito in primo grado dall'Amministrazione appellata - afferivano, ad esempio, alla fornitura e installazione di sistemi di tele gestione e telecamere di videosorveglianza, di sensore antiallagamento per gallerie, di pannelli a messaggio variabile (doc. 15 - nota Rup depositata in primo grado dalla Provincia di Savona). Peraltro, secondo l'appellante, non sarebbe corretta la tesi del Tar della ravvisabilità in ordine a tale secondo profilo di una dichiarazione falsa, ex art. 80 comma 5 lett f) bis, comportante l'automatismo espulsivo, venendo al più in rilievo l'art. 80 comma 5 lett. c) bis, secondo i noti princì pi di cui alla sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 16 del 2020. 13. Prima di passare alla disamina di tali motivi, giova richiamare la giurisprudenza in materia di interpretazione delle clausole della lex specialis di gara. 13.1. Occorre al riguardo ricordare che, come già ritenuto da questa Sezione (ex multis Cons. Stato Sez. V, 31 ottobre 2022, n. 9386; Cons. Stato, Sez. V, 31 marzo 2021, n. 2710), nelle gare pubbliche, nell'interpretazione della lex specialis di gara, devono trovare applicazione le norme in materia di contratti, e dunque anzitutto i criteri letterale e sistematico previsti dagli artt. 1362 e 1363 cod. civ.. 13.2. Ciò significa che, ai fini dell'interpretazione della lex specialis, devono essere applicate anche le regole di cui all'art. 1363 cod. civ., con la conseguenza che le clausole previste si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo ad esse il senso che risulta dal complesso dell'atto. Pertanto se un'aporia tra i vari documenti costituenti la lex specialis impedisce l'interpretazione in termini strettamente letterali, è proprio la tutela dei principi dell'affidamento e della parità di trattamento tra i concorrenti che conduce all'interpretazione complessiva o sistematica delle varie clausole. 13.3. Le preminenti esigenze di certezza, connesse allo svolgimento delle procedure concorsuali di selezione dei partecipanti, impongono pertanto in primo luogo di ritenere di stretta interpretazione le clausole del bando di gara: ne va perciò preclusa qualsiasi lettura che non sia in sé giustificata da un'obiettiva incertezza del loro significato letterale. Secondo la stessa logica, sono comunque preferibili, a garanzia dell'affidamento dei destinatari, le espressioni letterali delle varie previsioni, affinché la via del procedimento ermeneutico non conduca a un effetto, indebito, di integrazione delle regole di gara, aggiungendo significati del bando in realtà non chiaramente e sicuramente rintracciabili nella sua espressione testuale (cfr. Cons. Stato, IV, 5 ottobre 2005, n. 5367; V, 15 aprile 2004, n. 2162)" (Cons. Stato, sez. V, 12 settembre 2017 n. 4307). 13.4. Deve pertanto reputarsi preferibile, a tutela dell'affidamento dei destinatari e dei canoni di trasparenza e di "par condicio", l'interpretazione letterale delle previsioni contenute nella legge di gara, evitando che in sede interpretativa si possano integrare le regole di gara, palesando significati del bando non chiaramente desumibili dalla sua lettura testuale (Consiglio di Stato sez. V, 17/06/2014, n. 3093). 13.5. In tale ottica, solo se il dato testuale presenti evidenti ambiguità, l'interprete, in forza del principio di favor partecipationis, deve prescegliere il significato più favorevole al concorrente (ex multis, Cons, Stato, sez. V, 20 luglio 2023 n. 7113; 29 novembre 2022, n. 10491; 4 ottobre 2022, n. 8481; 2 marzo 2022 n. 1486; 6 agosto 2021, n. 5781; 8 aprile 2021, n. 2844; 8 gennaio 2021, n. 298; III, 24 novembre 2020, n. 7345; 15 febbraio 2021, n. 1322; VI, 6 marzo 2018, n. 1447; V, 27 maggio 2014, n. 2709). 14. Alla stregua di tali coordinate ermeneutiche la prospettazione di parte appellante va disattesa in quanto tanto il dato letterale della lex specialis di gara - avuto altresì riguardo all'interpretazione complessiva del disciplinare di gara relativa ai requisiti di partecipazione - quanto l'interpretazione in chiave teleologica, depongono per la correttezza dell'interpretazione operata dal primo giudice. 14.1. Ed invero va in primo luogo osservato che l'art. 7.1.2.2. del disciplinare di gara fa riferimento "all'idonea qualificazione per l'esecuzione di lavori per la categoria OG10 e rispettiva classifica, ai sensi dell'art. 84 del d.lgs. 50/2016 in corrispondenza alla tipologia e all'importo per lavori degli interventi di riqualificazione energetica cui l'aggiudicatario dovrà procedere in correlazione all'offerta tecnica ed economica". La circostanza che si faccia riferimento all'importo al singolare depone pertanto ex se nel senso che debba aversi riguardo all'importo totale degli interventi complessivi previsti in relazione all'intera procedura di gara e non dei singoli interventi, relativi all'offerta tecnica ed economica formulata in relazione a ciascun ente concedente, con il quale avrebbe poi dovuto essere sottoscritto l'accordo attuativo. 14.2. La "parcellizzazione" operata da parte appellante stride peraltro con il carattere unitario della procedura risultante dalla lex specialis, in coerenza con la scelta di ricorrere alla formula dell'accordo quadro. Gli interventi, come sostenuto dal giudice di prime cure, andavano pertanto visti nella loro unitarietà e pertanto tutti i requisiti dovevano essere valutati avendo riguardo al valore complessivo dell'appalto. 14.3. Ciò si evince, in aggiunta rispetto a quanto osservato dal giudice di prime cure, anche dalle ulteriori previsioni contenuti nella lex specialis di gara relative agli altri requisiti di partecipazione. 14.3.1. Ed invero l'art. 7.1.2. del disciplinare di gara, riferito ai requisiti di capacità economica e finanziaria richiede: "A. Fatturato globale minimo complessivo degli ultimi 3 (tre) anni antecedenti la data di pubblicazione del presente bando di gara pari ad almeno Euro 2.590.586,78= (pari al valore dell'investimento minimo)" (che ha riguardo all'appalto complessivo); "B. Fatturato specifico minimo complessivo degli ultimi 3 (tre) anni antecedenti la data di pubblicazione del presente bando di gara per interventi di efficientamento energetico di Impianti di Illuminazione Pubblica, cosi come definito dalla direttiva 2012/27/UE, di importo non inferiore a Euro 856.066,60= (pari al doppio del valore del canone complessivo annuale del presente affidamento)." 14.3.2. L'art. 7.1.2.2. riferito ai requisiti di capacità tecnica e organizzativa, oltre a richiedere tra gli altri requisiti, il possesso della qualificazione per la categoria OG 10 in contestazione, richiede "ai sensi dell'art. 83 comma 1 lett. c) e comma 6 d.lgs. n. 50/2016, di aver eseguito con buon esito nel triennio antecedente alla data di pubblicazione del presente bando (2016-2017-2018), contratti per servizi di riqualificazione energetica di impianti di illuminazione analoghi a quelli del presente bando, per soggetti pubblici o privati, per un numero di punti luce complessivo almeno pari a 8079", che è esattamente il totale dei centri luminosi di proprietà di tutti gli enti pubblici beneficiari della procedura. 14.3.3. Le medesime conclusioni pertanto non possono non valere quanto al requisito di capacità tecnica ed organizzativa riferito al possesso di idonea qualificazione per l'esecuzione di lavori per la categoria OG10 e rispettiva classifica, ai sensi dell'art. 84 del d.lgs. 50/2016, in corrispondenza alla tipologia e all'importo per lavori degli interventi di riqualificazione energetica cui l'aggiudicatario dovrà procedere in correlazione all'offerta tecnica ed economica, da ritenersi riferito all'importo complessivo degli interventi offerti. 14.3.4. Né appare convincente quanto addotto nelle difese di Ot. secondo la quale "a differenza di quanto fatto per i requisiti di fatturato e servizi analoghi, riguardo al possesso della SOA, il disciplinare non specificava che esso dovesse riguardare il totale degli interventi né, tantomeno, riportava l'importo totale degli interventi". L'obiezione non coglie nel segno in quanto disciplinare prevedeva che la valutazione dell'offerta economica avesse ad oggetto, tra i vari elementi, il valore dell'investimento e, in tale ottica, richiedeva ai concorrenti di rappresentarlo in modo esplicito in un'apposita sezione dell'offerta economica. In altri termini, la quantificazione dell'importo complessivo di tutti i lavori proposti era rimessa alla libera scelta dei partecipanti alla gara; in tale ottica pertanto il disciplinare non specificava - e non avrebbe potuto farlo - in modo predeterminato la "classifica" minima della SOA per la categoria OG10, essendo la stessa da correlare al valore dell'investimento complessivo offerto dall'operatore economico, in linea con il comprovato carattere inscindibile della procedura concorrenziale in questione, quale evincibile anche dalle altre previsioni della lex specialis di gara innanzi indicate. 14.4. Peraltro l'interpretazione letterale è confortata anche dall'interpretazione in chiave teleologica, riferita alla ratio dell'indicata previsione della lex specialis di gara, in quanto, come correttamente evidenziato dal primo giudice, dovendo i contratti attuativi essere eseguiti in parallelo nel medesimo lasso temporale, e trovando gli stessi la loro fonte in un unico accordo quadro, il concorrente doveva essere in grado di dimostrare di avere i prescritti requisiti di capacità economica finanziaria e tecnica organizzativa per far fronte al complesso delle prestazioni da essi complessivamente discendenti. 14.5. Né la predetta opzione ermeneutica, del tutto coerente con il dato letterale della lex specialis di gara e con l'interpretazione teologica, stride con il principio di proporzionalità dei requisiti di capacità rispetto all'oggetto dell'appalto, quale codificato nell'art. 83 comma 2 d.lgs. 50 del 2016, invocato da parte appellante, dovendo nella fattispecie de qua l'oggetto dell'appalto essere correlato alla procedura unitaria e non ai singoli contratti attuativi. 14.5.1. Né avuto riguardo all'oggetto della procedura, quale innanzi ricostruita in termini unitari, può soccorrere in chiave meramente interpretativa il richiamo operato da parte appellante al principio di proporzionalità contenuto nel nuovo codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 36 del 2023 e segnatamente nell'art. 10 comma 3 "Principi di tassatività delle cause di esclusione e di massima partecipazione" secondo cui "Fermi i necessari requisiti di abilitazione all'esercizio dell'attività professionale, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti possono introdurre requisiti speciali, di carattere economico-finanziario e tecnico-professionale, attinenti e proporzionati all'oggetto del contratto, tenendo presente l'interesse pubblico al più ampio numero di potenziali concorrenti e favorendo, purché sia compatibile con le prestazioni da acquisire e con l'esigenza di realizzare economie di scala funzionali alla riduzione della spesa pubblica, l'accesso al mercato e la possibilità di crescita delle micro, piccole e medie imprese". Ed invero detto disposto, come evidenziato nella relazione al Codice, introduce certamente un favor per l'accesso al mercato ma compatibilmente con l'oggetto del contratto e con l'esigenza di realizzare economie di scala funzionali alla riduzione della spesa pubblica. 15. Stante l'infondatezza del primo motivo di appello, si rende necessaria la disamina del secondo motivo. 15.1. Il motivo è infondato nella parte in cui critica la statuizione di prime cure laddove aveva disatteso la tesi difensiva dell'odierna appellante secondo la quale, ai fini della valutazione del requisito de quo, avrebbe dovuto scomputarsi l'importo delle forniture, posto che la lex specialis di gara faceva riferimento all'importo dei soli lavori. 15.1.1 Infatti, come correttamente evidenziato dal primo giudice, il disciplinare di gara in parte qua, non può che intendersi eterointegrato con la normativa in materia, in quanto l'All. A al D.p.r. 207/2010, nella parte in cui disciplina la categoria OG10, dispone espressamente che essa "Riguarda la costruzione, la manutenzione o la ristrutturazione degli interventi a rete che sono necessari per la distribuzione ad alta e media tensione e per la trasformazione e distribuzione a bassa tensione all'utente finale di energia elettrica, completi di ogni connessa opera muraria, complementare o accessoria, puntuale o a rete e la costruzione, la manutenzione e la ristrutturazione degli impianti di pubblica illuminazione, da realizzare all'esterno degli edifici. Comprende in via esemplificativa le centrali e le cabine di trasformazione, i tralicci necessari per il trasporto e la distribuzione di qualsiasi tensione, la fornitura e posa in opera di cavi elettrici per qualsiasi numero di fasi su tralicci o interrati, la fornitura e posa in opera di canali attrezzati e dei cavi di tensione e gli impianti di pubblica illuminazione su porti, viadotti, gallerie, strade, autostrade ed aree di parcheggio". Il principio di eterointegrazione della lex specialis di gara richiamato anche nella Relazione all'art. 10 del d.l.gs. 36 del 2023, redatta da questo Consiglio di Stato, impone infatti che, come indicato in detta Relazione "i requisiti indicati e previsti dalle norme imperative siano osservati dal concorrente a prescindere da una espressa previsione contenuta nel bando di gara, poiché essi hanno la funzione fondamentale di soddisfare l'interesse pubblico a che le prestazioni siano rese da soggetti adeguatamente qualificati". 15.2. Peraltro, proprio la disamina dell'All. A al D.p.r. 207/2010, depone per la fondatezza della seconda parte del secondo motivo di appello, volta a contestare la sentenza di prime cure laddove aveva ritenuto che, ai fini della disamina della qualificazione OG 10 posseduta da Ot. non dovesse essere scorporato, al contrario di quanto ritenuto da Ot. e confermato con nota del Rup, l'importo di euro di Euro 1.424.295,38 in quanto afferente a prestazioni per cui non si rendeva necessario il possesso della SOA nella categoria OG10. 15.2.1. Ed invero, come sostenuto dall'appellante e supportato dalla nota del Rup, depositata in primo grado dalla Provincia di Savona (doc. 15), detto importo afferisce alla fornitura e installazione di sistemi di telegestione e telecamere di videosorveglianza, di sensore antiallagamento per gallerie, di pannelli a messaggio variabile, che non rientrano negli impianti di pubblica illuminazione per i quali è necessario il possesso della categoria OG 10. Pertanto sottraendo tale importo, residuerebbe un totale di Euro 5.416.814,92 di interventi per cui è richiesta la SOA OG 10; importo che trova copertura nella Classe V in possesso di Ot.. 15.2.2. Né appare condivisibile la prospettazione del giudice di prime cure secondo cui al riguardo si sarebbe in presenza di una falsa dichiarazione, idonea ex se a determinare l'esclusione della concorrente, in quanto il primo giudice, come lamentato da parte appellante, non ha esattamente inteso la portata dell'assunto difensivo, in quanto Ot. non ha inteso sostituire oltre il venti per cento dei lavori contenuti nell'offerta con forniture, ma ha specificato che l'importo di Euro 1.424.295,38 ha ad oggetto forniture e lavorazioni per cui non è necessario il possesso della SOA OG10, assunto che, come innanzi indicato, deve ritenersi condivisibile ed è supportato anche dalla richiamata nota del Rup. 15.2.3. Ed invero il Rup, analizzando al riguardo le giustificazioni rese nel sub procedimento di anomalia dell'offerta ha precisato che "Dall'analisi dell'Allegato 1 (Schede analisi prezzi) alle giustificazioni in merito all'anomalia, prodotte dal concorrente, Prot. 62829 del 22/12/2021, risulta che non tutte le lavorazioni proposte e analizzate in tale scheda sono ascrivibili alla Cat. OG10, e nello specifico quelle da me evidenziate in giallo nella scheda di analisi prezzi citata, che allego. Da quanto sopra risulta che, sull'investimento totale di 6.841.110,30 Euro le lavorazioni ascrivibili alla Cat. OG10 ammontano a 5.416.814,92 Euro, per cui sono compatibili con la Classe V della Cat OG10, la cui SOA è posseduta dal concorrente". 15.2.4. Inconferente si rileva pertanto il richiamo operato dal primo giudice alla dichiarazione falsa ex se idonea a determinare l'esclusione della procedura di gara, non venendo in rilievo una dichiarazione falsa, ma una specifica degli interventi, quale indicata nel subprocedimento di valutazione dell'anomalia dell'offerta. 15.2.5. Ciò senza mancare di rilevare peraltro che, come correttamente allegato da parte appellante, le dichiarazioni non veritiere o reticenti idonee ad influire sulla selezione dei partecipanti non rientrano nell'automatismo espulsivo di cui all'art. 80 comma 5 lett f) bis del d.l.gs. n. 50 del 2016, venendo in rilievo al riguardo l'art. 80 comma 5 lett. c) bis del medesimo d.lgs., secondo i noti princì pi di cui alla sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 16 del 2020. Infatti come chiarito dall'Adunanza Plenaria in tale noto arresto giurisprudenziale "a) la falsità di informazioni rese dall'operatore economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e finalizzata all'adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l'ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l'aggiudicazione, è riconducibile all'ipotesi prevista dalla lettera c) (ora c-bis)) dell'art. 80, comma 5, del codice dei contratti di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50; b) in conseguenza di ciò la stazione appaltante è tenuta a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della medesima disposizione, senza alcun automatismo espulsivo; c) alle conseguenze ora esposte conduce anche l'omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, nell'ambito della quale rilevano, oltre ai casi oggetto di obblighi dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara, solo quelle evidentemente incidenti sull'integrità ed affidabilità dell'operatore economico; d) la lettera f-bis) dell'art. 80, comma 5, del codice dei contratti pubblici ha carattere residuale e si applica in tutte le ipotesi di falso non rientranti in quelle previste dalla lettera c) (ora c-bis)) della medesima disposizione". Improprio peraltro si rileva il richiamo operato dal primo giudice all'art. 80 comma 12 d.lgs. 50 del 2016 che attiene all'esclusione da successive procedure di gara fino a massimo due anni, avuto riguardo alla rilevanza e gravità dei fatti valutata dall'Anac, a seguito della presentazione di false dichiarazioni e falsi documenti, di segnalazione all'Anac da parte della stazione appaltante, di successiva iscrizione nel casellario informatico da parte dell'Anac, qualora le stesse siano rese con dolo o colpa grave. 16. L'appello pertanto va accolto stante la fondatezza del secondo motivo ex se idoneo a determinare la conferma dell'aggiudicazione in capo a parte appellante, per le ragioni innanzi evidenziate. 17. Stante la fondatezza dell'appello, nel senso innanzi precisato, si impone pertanto la disamina dei motivi del ricorso di prime cure, assorbiti nella sentenza appellata, e riproposti in questa sede da En. So. ai sensi dell'art. 101 comma 2 c.p.a.. 18. Con il secondo motivo di tale ricorso En. So. lamenta la violazione del principio di segretezza delle offerte economiche e delle regole di gara per avere Ot. inserito alcuni elementi dell'offerta economica nell'offerta tecnica. Nella parte dedicata al "progetto illuminotecnico preliminare" e, in particolare, nell'allegato recante "Schede materiale - adeguamento normativo (codice elaborato SM_AN)", l'aggiudicataria aveva infatti proposto, per la Provincia di Savona e per tutti i Comuni interessati dalla procedura, l'utilizzo di "tubo corrugato doppia parete in pe norma cei en 61386-24 - tubo flessibile corrugato doppia parete in pe per protezione cavi" e di "plinti portapalo illuminazione" di cui aveva, tuttavia, indicato espressamente il valore del prezzo in euro. Secondo la prospettazione di En. So. detti elementi economici consentirebbero, evidentemente, di risalire al valore dell'investimento, valore appunto da dichiarare in busta economica e premiato con l'attribuzione di massimo 12 punti. Ciò in quanto la presenza dei prezzi per alcuni materiali permetterebbe di conoscere preventivamente l'eventuale ribasso applicato ad un certo prezzario di riferimento. Sarebbe così possibile, in tesi di parte ricorrente, addivenire alla determinazione del valore complessivo dell'investimento, moltiplicando le quantità dichiarate in offerta tecnica tramite il computo metrico non estimativo con i relativi prezzi indicati nel prezzario di riferimento. En. So., a fondamento del motivo, richiama, oltre che il principio relativo alla separazione dell'offerta tecnica da quella economica, a garanzia della segretezza dell'offerta economica, la violazione dell'art. 3, sezione "Offerta Tecnica", paragrafo 1.C, u.c. del disciplinare secondo cui "nell'offerta tecnica non dovranno essere contenuti riferimenti ai valori dell'investimento oggetto dell'offerta economica (a pena di esclusione)". 18.1. Ai fini della disamina di tale motivo, giova un richiamo al principio di segretezza delle offerte economiche e di separazione tra offerta tecnica ed offerta economica, quale elaborato dalla giurisprudenza in materia, alla luce del quale deve evidentemente essere interpretata la prescrizione del disciplinare invocata da En. So.. 18.2. Detto principio, che impone che le offerte economiche debbano restare segrete per tutta la fase procedimentale in cui la Commissione compie le sue valutazioni sugli aspetti tecnici della proposta negoziale, trae fondamento dall'obiettivo di evitare che elementi di valutazione di carattere automatico possano influenzare la valutazione degli elementi discrezionali: costituisce, con ciò, presidio all'attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, per garantire il lineare e libero svolgimento dell'iter che si conclude con il giudizio sull'offerta tecnica e l'attribuzione dei punteggi ai singoli criteri di valutazione. 18.2.1. Il principio si declina in una triplice regola, per cui: a) la componente tecnica dell'offerta e la componente economica della stessa devono essere necessariamente inserite in buste separate e idoneamente sigillate, proprio al fine di evitare la ridetta commistione; b) è precluso ai concorrenti l'inserimento di elementi economico-quantitativi all'interno della documentazione che compone l'offerta tecnica (qualitativa); c) l'apertura della busta contenente l'offerta economica deve necessariamente seguire la valutazione dell'offerta tecnica. Invero, la conoscenza di elementi economici da parte della Commissione di gara, nella fase della valutazione dell'offerta tecnica, che precede quella di valutazione dell'offerta economica, appare di per sé idonea a determinare anche solo in astratto un condizionamento dell'operato della Commissione medesima, alterando o perlomeno rischiando potenzialmente di alterare la serenità e l'imparzialità dell'attività valutativa della Commissione stessa. 18.2.2.Nondimeno, per consolidato orientamento giurisprudenziale, il principio e le relative regole operative trovano applicazione, propter tenorem rationis, nei soli in casi in cui sussista effettivamente il pericolo di compromissione della garanzia di imparzialità della valutazione, il che accade, appunto, solo laddove concorrano elementi di giudizio a carattere discrezionale (inerenti l'apprezzamento dei profili tecnici e qualitativi della proposta negoziale articolata dagli operatori economici in concorrenza) ed elementi di giudizio a rilevanza obiettiva ed automatica (quali sono quelli della componente economica dell'offerta) e, dunque, soltanto allorché il criterio di aggiudicazione (che ingloba entrambi i profili) sia quello della "offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità /prezzo" (art. 95, 2° comma, d.lgs. n. 50 del 2016): la peculiarità del bene giuridico protetto dal principio di segretezza dell'offerta economica impone, in effetti, che la tutela si estenda a coprire non solo l'effettiva lesione del bene, ma anche il semplice rischio di pregiudizio al medesimo, perché anche la sola possibilità di conoscenza dell'entità dell'offerta economica, prima di quella tecnica, è idonea a compromettere la garanzia di imparzialità dell'operato dell'organo valutativo. Il divieto in parola, peraltro, non può essere interpretato in maniera indiscriminata, al punto da eliminare ogni possibilità di obiettiva interferenza tra l'aspetto tecnico e quello economico dell'appalto posto a gara; in particolare, possono essere inseriti nell'offerta tecnica voci a connotazione (anche) economica o elementi tecnici declinabili in termini economici se rappresentativi di soluzioni realizzative dell'opera o del servizio oggetto di gara (cfr. Cons. Stato, III, 9 gennaio 2020, n. 167): è, perciò, ammessa l'indicazione nell'offerta tecnica di alcuni elementi economici, resi necessari dagli elementi qualitativi da fornire, purché tali elementi economici non consentano di ricostruire la complessiva offerta economica o purché non venga anticipatamente reso noto il "prezzo" dell'appalto. Con ciò, in definitiva, il divieto di commistione non va inteso né in senso assoluto, né in senso formalistico, ben potendo nell'offerta tecnica essere contenuti "elementi economici che non fanno parte dell'offerta economica, quali i prezzi a base di gara, i prezzi di listini ufficiali, i costi o prezzi di mercato, ovvero siano elementi isolati e del tutto marginali dell'offerta economica che non consentano in alcun modo di ricostruire la complessiva offerta economica" (Cons. Stato, V, 29 aprile 2020, n. 273; Id., V, 11 giugno 2018, n. 3609; Id., V, 11 giugno 2018, n. 3609; Id., III, 12 luglio 2018, n. 4284; Id., III, 3 aprile 2017 n. 1530). In tali termini si è espressa questa sezione, con sentenza 2 agosto 2021, n. 5645, rigettando la censura riferita a fattispecie in cui il valore riportato nel computo metrico non estimativo delle migliorie non rappresentava il costo realmente sostenuto dall'appellante per la miglioria considerata ("impianto fotovoltaico"), ma solo il "Prezzo Unitario rif. Listino OO.PP. Puglia 2019 = 5400/3 = 1800 euro", cioè a dire la mera descrizione della "voce EA.002.031", riportata nel prezziario della Regione Puglia. 18.3. Applicando tali coordinate ermeneutiche la doglianza va disattesa, non avendo parte appellante allegato in maniera sufficiente come l'indicazione del prezzo del tubo corrugato doppia parete in pe norma cei en 61386-24 - tubo flessibile corrugato doppia parete in pe per protezione cavi" e di "plinti portapalo illuminazione" possa consentire di risalire alla totalità dell'offerta economica. Peraltro i dati al riguardo allegati nell'offerta tecnica si risolvono in meri estratti da cataloghi di produttori; della St. S.p.a. per i tubi corrugati e della EM. S.r.l. per i plinti porta palo, come già documentato in prime cure da Ot. (allegati n. 18 e 19 depositati in data 5 aprile 2023 e nuovamente depositati nel presente grado di appello, sub doc. 17 e 18). Tali valori, ricavabili dalla consultazione dei cataloghi e listini di tali fornitori, in quanto meri prezzi di listino, non sono in alcun modo suscettibili di anticipare il valore dell'investimento offerto dal concorrente. 19. Con il terzo motivo di ricorso En. So. assume che sarebbe illegittima l'attribuzione dei punteggi relativi all'offerta economica di Ot. per macroscopici errori di valutazione compiuti dalla stazione appaltante con particolare riferimento ai criteri del "volume degli investimenti" e della "durata della realizzazione degli interventi". 19.1. Il disciplinare prevedeva infatti che la valutazione dell'offerta economica avesse ad oggetto, tra i vari elementi, il valore dell'investimento, sicché era richiesto ai concorrenti di indicare "il valore economico in euro di investimento per gli interventi previsti di efficientamento energetico, messa a norma e sicurezza, in aumento rispetto al valore posto a base di gara. Tale valore economico dovrà essere coerente con quanto dichiarato nel Piano Economico Finanziario che prevarrà in ogni caso in caso di discordanza". L'aggiudicataria Ot. aveva indicato un valore di investimento pari a 6.841.110 euro; la ricorrente un valore di investimento pari a 6.196.654 euro. La Commissione, rispetto a tale voce dell'offerta economica, aveva dunque attribuito all'aggiudicataria il punteggio massimo previsto di 12 punti e ad En. So. 11,39 punti. Tuttavia, tale valutazione, in tesi di En. So., sarebbe illogica in quanto il valore dell'investimento proposto da Ot. non risulterebbe proporzionato e coerente rispetto alla mole di interventi di efficientamento energetico, messa a norma e sicurezza contemplati nella propria offerta tecnica. Dall'analisi della busta tecnica, risulterebbe infatti che gli interventi proposti da Ot. per i comuni di (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis) sono in numero di molto inferiore rispetto a quelli indicati dalla ricorrente. A fronte di un numero di interventi minore rispetto a quello indicato da En. So., la controinteressata aveva pertanto enfatizzato, senza alcuna plausibile giustificazione, i relativi costi per massimizzare l'importo dell'investimento ed ottenere, quindi, un maggiore punteggio. 19.2. Parimenti ingiustificati, secondo En. So., sarebbero i 2 punti attribuiti con riferimento al criterio di valutazione n. 4 dell'offerta economica, riguardante la durata dei lavori. Ed infatti, la durata dei lavori indicata nell'offerta della controinteressata (pari a due mesi) non sarebbe coerente con i lavori proposti e l'organizzazione necessaria per realizzarli, che l'ex mandataria So. S.p.A. (già GI ON. S.p.A.) aveva dichiarato di possedere nei propri giustificativi. 20. Prima di passare alla disamina di tale motivo, giova in primo luogo richiamare la giurisprudenza in materia secondo la quale la valutazione delle offerte, nonché l'attribuzione dei punteggi da parte della commissione giudicatrice attengono al sindacato-discrezionale dell'amministrazione, sicché, fatto salvo il limite della abnormità della scelta tecnica, di norma sono inammissibili le censure che si sostanziano in un tentativo di sostituzione del punteggio attribuito dalla commissione giudicatrice, perché sollecitano il giudice amministrativo ad esercitare un sindacato sostitutorio, al di fuori dei tassativi casi sanciti dall'art. 134 c.p.a.. (ex multis Cons. Stato, sez. III, 5.11.2020, n. 6820). 20.1. Pertanto già il richiamo a tale principio evidenzia un profilo di inammissibilità della censura, posto che dalle generiche allegazioni contenute nella memoria di costituzione di riproposizione dei motivi assorbiti in prime cure, non emergono profili di evidente illogicità della valutazione dell'offerta tecnica di Ot., mirando piuttosto En. So. ad un sindacato sostitutorio. 20.2. Ed invero nella disamina di tale motivo non può annettersi alcun rilievo a quanto specificato dalla parte nella sola memoria difensiva ex art. 73 comma 1 c.p.a., avuto riguardo all'onere di specificità dei motivi di ricorso, che non può che presidiare anche i motivi assorbiti in prime cure e riproposti con la memoria da depositarsi a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio, che devono peraltro essere del tutto corrispondenti a quelli formulati in primo grado, con la conseguente impossibilità di una integrazione successiva. 20.3. Peraltro il motivo, poste queste precisazioni circa i limiti della sua disamina, si appalesa inammissibile ed infondato anche sotto altri profili, dovendosi aderire al riguardo alle prospettazioni difensive di Ot. e della Provincia di Savona. 20.3.1. In primo luogo la prima censura, riferita all'attribuzione del punteggio per il "Volume dell'investimento" è inammissibile per genericità, posto che En. So. si è limitata al riguardo a sostenere che Ot. avrebbe enfatizzato i costi, senza alcuna allegazione e senza fornire il benché minimo principio di prova, se non una soggettiva comparazione tra il numero di interventi offerti da En. So. e quelli offerti da Ot., del tutto priva di significatività con riferimento alla valutazione del volume di investimenti. 20.3.2. Peraltro detta doglianza si profila infondata anche nel merito, in considerazione del rilievo che il punteggio attribuito al valore economico dell'investimento offerto da Ot. rispetta le previsioni del disciplinare; in particolare risulta coerente con quanto dichiarato da Ot. nel proprio Piano Economico Finanziario. Peraltro le allegazioni di En. So. circa un presunto maggior numero di interventi da essa offerti sono prive di qualsiasi concludenza, in quanto non contemplano - e non potrebbe essere altrimenti - una ponderazione "qualitativa", che si traduce chiaramente in un differente valore economico degli interventi offerti dai concorrenti. Ciò senza mancare di considerare che la stazione appaltante con la clausola della lex specialis non contestate dall'appellata, si è autovincolata a valutare il criterio "volume degli investimenti" con un parametro oggettivo, rinviando all'uopo a quanto indicato nel Piano Economico Finanziario. Come richiesto dallo stesso disciplinare, il PEF deve garantire l'equilibrio finanziario anche con riferimento al ribasso offerto sul canone annuale, attraverso il quale viene recuperato l'investimento, e deve essere asseverato da soggetto abilitato per legge (da uno dei soggetti indicati dall'art. 183, comma 9 del D.lgs. n. 50/2016). Pertanto, la censura mossa all'attribuzione del punteggio - al limite- avrebbe dovuto essere proposta, secondo quanto rilevato dalla Provincia di Savona, avverso il Piano Economico Finanziario, con riferimento al quale invece non è stata formulata alcuna censura, né è stato dimostrato il sovradimensionamento del valore dell'investimento e il relativo disequilibrio con il canone annuo offerto da Ot.. 20.3.3. Avuto riguardo all'inammissibilità e comunque all'infondatezza della censura riferita al "Volume degli investimenti" il motivo è inammissibile con riferimento al criterio riguardante la durata dei lavori, in quanto anche in ipotesi di decurtazione dei due punti al riguardo assegnati ad Ot., En. So. non riuscirebbe a vincere la prova di resistenza, in quanto il suo accoglimento non colmerebbe il divario (superiore a 2 punti) tra il punteggio attribuito a Ot. (95,42) e quello attribuito a En. So. (93,35). 21. Con il quarto motivo di ricorso En. So. En. lamenta che l'aggiudicazione sarebbe illegittima in ragione dell'anomalia dell'offerta presentata da Ot. e, prima ancora, per la mancata riedizione del subprocedimento di anomalia nei confronti dell'aggiudicataria, condotto invece solo nei confronti del raggruppamento con So., poi esclusa. 21.1. Nella prospettazione della ricorrente era doveroso per l'Amministrazione, a seguito riduzione consentita in favore di Ot., procedere ad una nuova verifica di congruità dell'offerta per valutarne la sostenibilità alla luce dei mezzi e delle risorse possedute dall'aggiudicataria. In ogni caso En. critica i giustificativi prodotti da So. nell'ambito del subprocedimento di anomalia. 22. Detto motivo è meritevole di accoglimento, in relazione all'assorbente profilo riferito alla necessità di reiterazione del subprocedimento di anomalia dell'offerta a seguito della riduzione del RTI consentita dalla stazione appaltante. Appare infatti evidente che la circostanza che l'offerta sia risultata congrua perché presentata da un raggruppamento non può ex se portare a ritenere che la stessa sia parimenti attendibile nel caso in cui il contratto venga eseguito da uno solo dei membri del raggruppamento. Alla stregua di tali rilievi è necessario che il subprocedimento di anomalia condotto nei confronti dell'offerta presentata da un raggruppamento venga nuovamente esperito, nel caso di recesso di uno dei membri del raggruppamento. Tale considerazione di carattere generale, riferita alla necessità che il subprocedimento di valutazione dell'anomalia dell'offerta sia esperito con riferimento al singolo operatore economico - evidentemente diverso nell'ipotesi in cui sia consentita la riduzione del RTI - nell'ipotesi di specie è altresì supportata dal rilievo che, come dedotto da En. So., i giustificativi resi dalla ex mandataria So. avevano come principale riferimento l'organizzazione, la struttura, il personale e i costi di tale operatore. Né è dirimente la circostanza, evidenziata nella memoria difensiva di Ot., di essere oltreché mandataria del raggruppamento, anche ausiliaria di So.: infatti, i giustificativi resi da So. potranno aver tenuto in considerazione i costi delle risorse di Ot. non già complessivamente ma solo e nei limiti dei requisiti messi a disposizione con il contratto di avvalimento. Stante la necessità di riedizione del subprocedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta non era n onere di En. So. dimostrare l'incongruità dell'offerta presentata originariamente dal RTI. 23. Avuto riguardo alla fondatezza del quarto motivo del ricorso di prime cure, il ricorso medesimo va pertanto accolto, con conseguente annullamento del provvedimento di aggiudicazione in favore di Ot., ai soli fini delle reiterazione del subprocedimento di valutazione dell'anomalia dell'offerta. 24. In conclusione l'appello va accolto, ma va del pari accolto il ricorso di prime cure con riferimento al motivo innanzi indicato, riproposto in questa sede, e per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, il ricorso di prime cure va accolto per motivi diversi, dovendo essere ripetuto il subprocedimento di valutazione dell'anomalia dell'offerta dell'aggiudicataria. 25. Le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione Civile, Sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione Civile, Sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663 e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 settembre 2021 n. 6209, 13 settembre 2022 n. 7949 e 18 luglio 2016 n. 3176). 26. Sussistono eccezionali e gravi ragioni, avuto riguardo alla soccombenza reciproca per compensare interamente le spese di lite del presente grado, ferma restando la liquidazione delle spese di lite operata dal primo giudice, avuto riguardo in ogni caso all'accoglimento del ricorso di prime cure, sia pure per motivi diversi. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l''appello ed accoglie altresì il motivo di ricorso assorbito in primo grado e riproposto in questa sede, ex art. 101 comma 2 c.p.a., e per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado per motivi diversi ed annulla la Determinazione della Provincia di Savona, Settore - Gestione viabilità edilizia ed ambiente, Servizio - Energia e coordinamento ambientale, n. 232 del 10 febbraio 2023. Compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Diego Sabatino - Presidente Stefano Fantini - Consigliere Sara Raffaella Molinaro - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere Diana Caminiti - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: FEDERICO SORRENTINOPresidente ORONZO DE MASIConsigliere-Rel. ANGELO MATTEO SOCCIConsigliere LIBERATO PAOLITTOConsigliere FRANCESCA PICARDIConsigliere Oggetto: *IPOTECARIA CATASTALE Ud.12/04/2024 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 5217/2018 R.G. proposto da: PROSOLAR 10 SRL, MEDIOCREDITO ITALIANO SPA, elettivamente domiciliate in ROMA VIA DEL POZZETTO 122, presso lo studio dell’avvocato CARBONE PAOLO (-) rappresentati e difesi dall'avvocato GENTILE UMBERTO (GNTMRT66P11H501W). -ricorrenti- contro AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che ex lege la rappresenta e difende. -controricorrente- nonché AGENZIA DELLE ENTRATE VIA CRISTOFORO COLOMBO 426 C/D 00145 ROMA, AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI CASERTA -intimate- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 5572/2017, depositata il 19/06/2017. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12/04/2024 dal Consigliere Oronzo De Masi. Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giuseppe Locatelli, che ha concluso per la declaratoria di estinzione del giudizio. Udito il difensore dell’Agenzia delle Entrate. FATTI DI CAUSA L'Agenzia delle Entrate notificò a Prosolar 10 s.r.l., nonché a Intesa San Paolo s.p.a. (già Centro Leasing s.p.a. ed ora Medicredito Italiano s.p.a.), avviso di rettifica e liquidazione per il recupero delle imposte ipotecaria e catastale, oltre interessi e sanzioni, dovute in relazione all’atto di cessione della proprietà superficiaria, per anni ventuno, di un impianto fotovoltaico sito in Comune di Dragoni (CE), stipulato al solo scopo di concedere quanto oggetto del contratto in locazione finanziaria alla medesima società Prosolar 10, per il prezzo di € 2.261.000,00, oltre IVA, come per legge. Il maggior valore venne accertato dall’Ufficio con criterio comparativo, ai sensi degli artt. 51 e 52 d.p.r. n. 131 del 1986, sulla base di atti similari nell’oggetto, anteriori di non oltre tre anni e riferibili al medesimo Comune. Le società contribuenti impugnarono il predetto avviso innanzi alla CTP di Caserta che respinse il ricorso, con decisione confermata dalla CTR della Campania, in forza della sentenza indicata in epigrafe, sul rilievo che la qualificazione giuridica del contratto derivante dall’utilizzo della forma negoziale del c.d. «sale and lease back cambia la parte fiscale e finanziaria dell’operazione, ma non ne muta la costituzione del diritto di superficie finalizzato all’impianto fotovoltaico e poi alla successiva cessione in leasing, cosa che non influisce sul tema del presente giudizio.» Sulla base di tale qualificazione giuridica del rapporto contrattuale, peraltro, di lunga durata, la CTR ha concluso che «le contribuenti non hanno fornito alcuna prova relativa ad un eventuale diverso valore del bene oggetto del giudizio(…).» Le società Prosolar 10 e Medicredito Italiano propongono ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a tre motivi, cui l'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso. E’ stata depositata memoria con allegata documentazione. RAGIONI DELLA DECISIONE Con il primo motivo le ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 52 d.p.r. n. 131 del 1986, per non aver la CTR considerato che il contratto de quo non può essere ricondotto alla compravendita, né tantomeno alla cessione di un diritto reale di godimento, bensì alla categoria del contratto di finanziamento, cui non sono applicabili le disposizioni richiamate, le quali presuppongono un trasferimento di diritti immobiliari da tassare. Deducono, altresì, che il contratto di sale and lease back che, sotto il profilo civilistico (art. 2425-bis cod. civ.) è un contratto complesso di durata, non è scomponibile in due parti negoziali distinte, essendo la cessione priva di autonomia causale e sottolineano che il bene continua ad essere goduto dall’utilizzatore-cedente, a riprova della natura unitaria dell’operazione e della causa concreta del contratto che lo rendono sostanzialmente riconducibile al finanziamento, per cui la somma ricevuta dal concedente giammai può essere assimilata al corrispettivo ricevuto dall’acquirente di un bene. Con il secondo motivo denunciano, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., omessa pronuncia della sentenza impugnata sul motivo di gravame incentrato sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 7 l. n. 212 del 2000, 52, co. 2 bis, d.p.r. n. 131 del 1986, 3 l. n. 241 del 1990, per non aver la CTR considerato che l’Agenzia delle entrate non aveva allegato all’avviso, come richiesto dalla legge, gli atti presi a riferimento per l’accertamento, in via comparativa, del maggior valore del bene, e neppure ne aveva riprodotto il contenuto essenziale, con conseguente violazione del diritto di difesa. Con il terzo motivo denunciano, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 52, d.P.R. n. 131 del 1986, per non aver la CTR considerato che l’atto utilizzato in comparazione (Leasint s.p.a./Prosolar 2) non è, per tipologia e contenuti, confrontabile con quello oggetto di tassazione. Deducono, altresì, di aver all’uopo depositato la perizia a firma dell’ing. Rossolino, la quale evidenzia le ragioni della congruità del prezzo corrisposto dall’allora Centro Leasing s.p.a. a Prosolar 10 s.r.l. atteso, tra l’altro, il costo dell’investimento rapportato ai Kwp (kilo watt picco) installati, essendosi il giudice appello limitato ad affermare che le contribuenti non avrebbero fornito prova di un valore venale diverso da quello accertato in via comparativa dall’Ufficio, senza null’altro dire circa la correttezza della predetta valutazione operata sulla scorta di dati estimativi affatto omogenei. Dalla documentazione prodotta dalle ricorrenti si desume l’accesso alla definizione agevolata prevista dal d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, art. 6, conv. in l. 17 dicembre 2018, n. 136; 2.2 – il d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, art. 6, per quel che qui rileva, dispone nei seguenti termini: - « La definizione si perfeziona con la presentazione della domanda di cui al comma 8 e con il pagamento degli importi dovuti ai sensi del presente articolo o della prima rata entro il 31 maggio 2019» (comma 6); - «L'eventuale diniego della definizione va notificato entro il 31 luglio 2020 con le modalità previste per la notificazione degli atti processuali» (comma 12); - «In mancanza di istanza di trattazione presentata entro il 31 dicembre 2020 dalla parte interessata, il processo è dichiarato estinto, con decreto del Presidente» (comma 13). Le ricorrenti hanno, altresì, documentato l’intervenuto pagamento, in unica soluzione, dell’importo dovuto (Mod. F24 - Prosolar 10 s.r.l.). L’Agenzia delle Entrate non ha depositato istanza di trattazione del ricorso e nemmeno risulta che sia stato notificato provvedimento di diniego della definizione agevolata della controversia. Le spese del giudizio estinto rimangono a carico delle parti che le hanno anticipate (d.lgs. n. 546/1992, art. 46, comma 3). Non ricorrono i presupposti di un ulteriore versamento a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, venendo in considerazione causa estintiva del giudizio correlata all’iniziativa di parte controricorrente, nei riguardi della ricorrente rilevando, peraltro, l’istituto della prenotazione a debito. P.Q.M. La Corte dichiara estinto il giudizio. Spese a carico delle parti che le hanno anticipate. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 212 aprile 2024. Il Consigliere rel. Il Presidente (Oronozo De Masi ) (Federico Sorrentino)

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2443 del 2020, proposto da: Lu. Pe., rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Ve., con domicilio digitale pec in registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via (...); contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione seconda n. 4030/2019. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4 bis, c.p.a.; Relatore il Cons. Laura Marzano; Udito, all'udienza straordinaria del giorno 10 aprile 2024, l'avv. Vergara, in collegamento da remoto; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'appellante ha impugnato la sentenza del Tar Campania, sez. II, n. 4030 del 23 luglio 2019, con cui è stato respinto il ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto per ottenere la condanna del Comune di (omissis) al risarcimento del danno derivante dal ritardo nel provvedere su istanze di rilascio di titoli edilizi. Il Comune appellato non si è costituito nel presente grado di giudizio. In assenza di ulteriori scritti difensivi la causa è stata trattenuta in decisione all'udienza straordinaria del 10 aprile 2024, celebrata in collegamento da remoto. 2. Oggetto del giudizio è la richiesta di risarcimento del danno asseritamente derivante dal ritardo per l'inosservanza del termine di conclusione del procedimento per la variante di permesso di costruire, rilasciata in data 21 dicembre 2010 n. 194, a fronte di un'istanza presentata il 2 dicembre 2008. In particolare, il permesso di costruire n. 245/2006 del 27 giugno 2007, con cui era stata autorizzata originariamente la costruzione del sottotetto in sopraelevazione e sul quale il ricorrente aveva richiesto la "variante" di cui lamenta il tardivo accoglimento, prevedeva un'altezza minima alla gronda di 1.40, una massima al colmo di 3,30 mt e un'altezza media interna di 2,35 mt, con copertura a falde inclinate al 22% di pendenza. Il suddetto è stato annullato in autotutela dal Comune, con atto prot. 945 del 10 gennaio 2017, per riscontrate difformità rispetto al progetto allegato all'istanza (il predetto provvedimento 945/2017 è stato poi impugnato con ricorso RG 1681/2017). Il permesso di costruire in variante prot. 194 del 2 dicembre 2010, con cui erano state autorizzate le modifiche concernenti le altezze del sottotetto (minima di 1,80, invece di 1.40; massima di 3,00 invece dell'originaria altezza di 3,30 ed interna media di 2,40 invece dell'originaria altezza di 2,35) e la pendenza dell'inclinazione della copertura a falde (pari al 15%) è stato a sua volta sua volta annullato con atto prot. 952 del 10 gennaio 2017 (impugnato nel medesimo giudizio RG 1681/2017). L'istanza per una ulteriore variante, prot. 7119 dell'11 marzo 2013 concernente una diversa conformazione di parte dell'aggetto di copertura del sottotetto prospettante Corso (omissis) e lo spostamento di uno dei due abbaini insistenti sul lato sud del medesimo sottotetto è stata rigettata dal Comune (in pendenza del giudizio di ottemperanza del giudicato di annullamento per difetto di motivazione formatosi sulla sentenza 6504/2014) con atto prot. 952 del 10 gennaio 2017 (anch'esso impugnato con ricorso RG 1681/2017). Con permesso di costruire in variante n. 41 del 20 aprile del 2017 tale istanza è stata accolta dal commissario ad acta nominato ex art. 114 comma 4 lett. d), con la sentenza del Tar Campania 20 settembre 2016, n. 4355, di ottemperanza alla sentenza n. 6504/14. 3. Petrone Ludovico ha adito il Tar Campania per ottenere la condanna del Comune al risarcimento del danno ex art. 30 c.p.a. comma 4 per l'inosservanza del termine di conclusione del procedimento avviato con istanza dell'interessato del 2 dicembre 2008, di variante al permesso di costruire n 245/06 del 27 giugno 2007 relativa alla modifica delle originarie altezze (minima, media e massima) del sottotetto in sopraelevazione. La variante era stata richiesta per le sopravvenute modifiche, in senso ampliativo per l'interessato, al regolamento edilizio comunale, di cui alla delibera del Consiglio Comunale n. 66 del 27 giugno 2008. Con motivi aggiunti è stata, altresì, proposta domanda di risarcimento del danno cagionato dalla adozione di provvedimenti illegittimi e dalla ritardata conclusione di procedimenti intesi all'ampliamento della sua posizione giuridica depositato in pendenza del processo. Il ricorrente lamentava l'illegittimità dell'attività amministrativa confluita nell'adozione di provvedimenti lesivi - poi giudizialmente annullati - e il ritardo della medesima amministrazione nell'adempiere agli obblighi conformativi derivanti dalla sentenza n. 6504/2014 con cui tali provvedimenti erano stati annullati (parte ricorrente riferisce infatti che "il Responsabile comunale del VII Settore non ha dato alcuna esecuzione alla sentenza di codesto T.A.R. n. 6504/14 del 10/12/2014, passata in giudicato, non essendosi ancora pronunciato né sull'istanza di accertamento di conformità urbanistica dell'11/3/2013 né sull'istanza di "autorizzazione sismica" del 25/9/2013"). 4. Il Tar ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti sia per l'assenza del presupposto della spettanza del bene sia per la mancata prova in ordine ai danni subiti. Il Tar ha rilevato in particolare che, con gli atti prot. 945 e 951 del 10 gennaio 2017, erano stati nuovamente annullati i permessi di costruire 245/2006 e 194/2008 (per quest'ultimo è stata anche accertata la tardività dell'inizio dei lavori ex art. 15 d.P.R. 380/2001); con provvedimento n. 952 del 10 gennaio 2017 è stata nuovamente rigettata l'istanza 7119/2013 che peraltro costituiva una seconda richiesta di variante dell'originario permesso di costruire n. 245/2006. Pertanto il primo giudice ha osservato che il Comune resta titolare del potere "sanzionatorio" ex art. 31 d.P.R. 380/2001, già precedentemente esercitato con le ordinanze di demolizione n. 8 n. 53 del 2013 (la prima delle quali impugnata con ricorso straordinario al Capo dello Stato, rispetto al quale il ricorrente non ha allegato l'esito; la seconda, impugnata ex art. 29 c.p.a. con ricorso per motivi aggiunti nel giudizio RG 3463/2013, è stata annullata per difetto di motivazione con la sentenza 6504/2014, ma con salvezza degli ulteriori provvedimenti amministrativi). In ordine al quantum il Tar ha rilevato che il danno derivante dal ritardo di tali provvedimenti non era stato provato ne nell'an né nel quantum, essendo emerso che per entrambe le tipologie di intervento edilizio (realizzazione del vano ascensore e installazione dell'impianto fotovoltaico) erano stati comunque già conclusi i relativi lavori. 5. Non condividendo la sentenza l'appellante l'ha impugnata deducendo "Errores in procedendo ed in judicando. Mancanza di contradittorio, violazione del diritto di difesa, difetto assoluto di motivazione, violazione dell'art. 73, comma 2 c.p.a. e richiesta di annullamento con rinvio ai sensi dell'art. 105 c.p.a. Violazione dell'art. 30 c.p.a., dell'art. 295 c.p.c., dell'art. 64 c.pa. e dei principi in materia di prova. Violazione del principio di effettività della tutela. Omesso ed erroneo esame delle risultanze processuali". L'appellante ritiene errata la sentenza nella parte in cui ha ritenuto non dimostrata in giudizio la spettanza effettiva del bene della vita, osservando che simile prova emergerebbe dalle seguenti circostanze: - rilascio del permesso in variante n. 194 del 2 dicembre 2010 per il sottotetto; - giudicato formatosi sulla sentenza del Tar n. 6504/14, che ha annullato il provvedimento comunale di annullamento in autotutela dei permessi di costruire n. 245 del 27 giugno 2007 e n. 194 del 2 dicembre 2010 (prot. 19118 del 9 luglio 2013); - rilascio da parte dal commissario ad acta nominato dal Tar, in sede di ottemperanza alla sentenza n. 6504/14, del permesso di costruire n. 41 del 20 aprile 2017, ai sensi dell'art. 22, comma 7 del d.P.R. 380/2001, in accoglimento dell'istanza di variante in corso d'opera del sottotetto prot. 7119 dell'11 marzo 2013. Secondo l'appellante il Tar non avrebbe potuto fondare la sua decisione sic et simpliciter sugli atti comunali prot. 945/17, 951/2017 e 952/17 prescindendo dalla pendenza innanzi a sé del ricorso R.G. 1681/17 (di impugnazione dei medesimi atti), ma avrebbe dovuto quanto meno sospendere il giudizio per pregiudizialità, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., fino alla definizione del giudizio presupposto R.G. 1681/17, anche per evitare il contrasto di giudicati. L'appellante sostiene altresì di aver fornito puntuale prova della quantificazione dei danni subiti e della loro riconducibilità eziologica al ritardo ed alle ripetute condotte illegittime, commissive ed omissive, del Comune (memoria del 18/5/2019 e documentazione prodotta in giudizio in data l'8-10/5/2019). Quindi l'appellante chiede le seguenti voci di danno. A) Danno emergente: - incremento dei costi di costruzione del sottotetto (la differenza in aumento tra i costi complessivi di costruzione del sottotetto pari ad Euro19.580,00); - maggiori costi dell'intervento a seguito dell'entrata in vigore, in data 30 dicembre 2009, della nuova normativa regionale sul controllo delle costruzioni in zona antisismica; - maggiori costi per installazione e nolo ponteggi, smontaggio copertura e annesse operazioni. Sostiene che, confidando nel rilascio della variante per maggiore altezza del sottotetto richiesta il 2 dicembre 2008, ha interrotto i lavori al sottotetto di cui al permesso di costruire n. 245 del 27 giugno 2007, lasciando i ponteggi installati, le opere in corso ed il fabbricato privo di copertura definitiva. Tuttavia, dilatandosi in modo abnorme i tempi di attesa per il rilascio del titolo ed essendo il fabbricato rimasto privo di copertura ed esposto direttamente agli eventi atmosferici, sarebbe stato costretto a rimontare in modo provvisorio la copertura ed a smontare i ponteggi, per costi pari a Euro 21.900,00). B) Lucro cessante: - mancata possibilità di richiedere ed ottenere il "recupero abitativo" del sottotetto, ai sensi dell'art. 8, comma 2 L.R. n. 19/2009; - mancata disponibilità e godimento del fabbricato munito di "sottotetto termico praticabile e non abitabile con funzioni anche termo-acustiche" (la misura del danno è calcolata in misura pari al minor canone mensile virtuale di locazione di Euro 500,00 x 34 mesi, da aprile 2009 a febbraio 2012, ossia in Euro 17.000,00); - mancati incassi per l'installazione di impianto fotovoltaico sulla copertura del sottotetto, nell'arco di 20 anni; - mancato rendimento per reinvestimento degli importi non incassati. C) Danno non patrimoniale per aggravamento dello stato di salute e conseguente infarto derivante dallo stress (il ricorrente ha subito una sofferenza tanto intensa che gli avrebbe provocato un aggravamento della patologia cardiaca per aritmia per la quale è già stato riconosciuto invalido civile con decreto del 22 novembre 2004). 6. L'appello è infondato. Il punto centrale della controversia investe, come rilevato dal Tar, il giudizio sulla spettanza del bene della vita. Per giurisprudenza granitica, infatti, il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, non è legato al mero ritardo ma è subordinato alla dimostrazione che l'aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e quindi alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene della vita collegato a tale interesse (cfr. Cons. Stato, sez. III, 15 gennaio 2024, n. 514). Nel caso di specie, facendo ordine fra i vari provvedimenti e successivi annullamenti (amministrativi e giurisdizionali) che si sono succeduti, emerge quanto segue. Il commissario ad acta, nominato con sentenza n. 4355/2016, è stato chiamato a rideterminarsi, in sostituzione del Comune inerte, sulla istanza prot. n. 7119 dell'11 marzo 2013 di accertamento di conformità, sostanzialmente respinto dal Comune con provvedimento prot. n. 19120 del 9 luglio 2013 a seguito del provvedimento n. 19118 del 9 luglio 2013 di annullamento in autotutela dei due permessi di costruire (n. 245/2006 del 27 giugno 2007 con cui è stata autorizzata originariamente la costruzione del sottotetto in sopraelevazione, e n. 194/2008 del 2 dicembre 2010 in variante, con cui erano state autorizzate le modifiche concernenti le altezze del sottotetto e la pendenza dell'inclinazione della copertura a falde): provvedimento di annullamento che è stato annullato dal Tar, unitamente alla conseguente ordinanza di demolizione n. 53/Urb. del 26 settembre 2013, e al diniego di accertamento di conformità, con sentenza n. 6504 del 2014. Con il provvedimento n. 41/2017 del 20 aprile 2017 il commissario ad acta ha rilasciato il permesso di costruire in variante al permesso di costruire n. 194/2008 al sottotetto del fabbricato ad uso residenziale-commerciale sito in Comune di (omissis) al Corso (omissis), foglio (omissis) part. (omissis), così presupponendone la piena validità . Ciò posto risulta, tuttavia, dirimente, che sono tuttora validi ed efficaci: a) l'atto prot. 945 del 10 gennaio 2017 con cui è stato nuovamente annullato il permesso di costruire n. 245/2006 del 27 giugno 2007 (di autorizzazione alla costruzione del sottotetto in sopraelevazione) per riscontrate difformità rispetto al progetto allegato all'istanza; b) l'atto prot. 952 del 10 gennaio 2017 con cui è stato nuovamente annullato il permesso di costruire in variante prot. 194/2008 del 2 dicembre 2010 (con cui erano state autorizzate le modifiche concernenti le altezze del sottotetto e la pendenza dell'inclinazione della copertura a falde); c) l'atto prot. 952 del 10 gennaio 2017 con cui è stata rigettata l'istanza per una ulteriore variante, prot. 7119 dell'11 marzo 2013 concernente una diversa conformazione di parte dell'aggetto di copertura del sottotetto prospettante Corso (omissis) e lo spostamento di uno dei due abbaini insistenti sul lato sud del medesimo sottotetto. Tali tre atti, infatti, sono stati impugnati con ricorso RG 1681/2017, il quale si è però concluso con la sentenza del 23 maggio 2022, n. 3505 con cui il Tar Campania ha dichiarato improcedibile il ricorso, a domanda della parte interessata, che ha motivato la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione in ragione dell'avvenuto rilascio del permesso di costruire in variante n. 41 del 20 aprile del 2017. In sostanza: - il provvedimento del commissario ad acta non ha tenuto conto del fatto che, immediatamente prima del suo insediamento (avvenuto il 31 gennaio 2017), i suddetti titoli edilizi erano stati nuovamente annullati dal Comune; - il ricorrente, dichiarando di non avere più interesse alla decisione sul ricorso proposto per l'annullamento dei nuovi provvedimenti di annullamento dei citati permessi di costruire e di reiezione dell'ulteriore istanza di variante, ne ha determinato il definitivo consolidamento. Ad oggi, pertanto, i suddetti titoli edilizi risultano definitivamente annullati, né tale annullamento può ritenersi eliso dal permesso di costruire in variante n. 41 del 20 aprile 2017, in quanto lo stesso si basa su un presupposto, quello della validità dei permessi di costruire, non più sussistente alla data di adozione dello stesso. Ne discende che è documentata la non spettanza del bene della vita per cui è causa. A ciò consegue, assorbite tutte le ulteriori censure che in nessun modo possono superare l'inequivoco dato innanzi rilevato, l'appello deve essere respinto, non sussistendo i presupposti far dare ingresso al risarcimento del danno da ritardo. Per giurisprudenza costante, infatti, in caso di ritardo che abbia comportato il mancato rilascio del permesso di costruire, può sussistere un danno da "mero ritardo" ovvero da "affidamento procedimentale mero", nella particolare configurazione per la quale l'inerzia amministrativa, protrattasi oltre i tempi normativamente previsti (e nonostante un contegno complessivamente affidante in precedenza serbato dall'amministrazione), ha fatto sì che il richiedente non possa più beneficiare in concreto del bene della vita cui ambiva a causa di sopravvenienze di fatto o di diritto contrastanti con la soddisfazione in forma specifica del suo interesse. Occorre cioè valutare se sia imputabile all'amministrazione la violazione dell'affidamento riposto dal privato nella correttezza dell'azione amministrativa avviata a seguito dell'instaurazione di un'contattò di carattere qualificato. In tale ottica, il contatto tra privato e pubblica amministrazione va inteso quale fatto idoneo a produrre obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico (art. 1173 c.c.), con conseguente emersione di reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione (artt. 1175, 1176 e 1337 c.c.). Il ritardo, cioè, non assume rilievo risarcitorio autonomo, ma in quanto elemento indicativo e, in qualche misura, costitutivo del comportamento affidante che ne è conseguito (cfr. Cons. Stato, sez. II, 17 febbraio 2021, n. 1448). Nel caso di specie, come visto, non è ravvisabile né la spettanza del bene della vita né alcun affidamento qualificato, sicchè non sussistono i presupposti per l'invocato risarcimento del danno. 7. Nulla deve disporsi per le spese, non essendo il Comune costituito. P.Q.M. Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione stralcio, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Nulla per le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in collegamento da remoto, nella camera di consiglio del giorno 10 aprile 2024, con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF Davide Ponte - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore Roberta Ravasio - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE (artt. 544 e ss. c.p.p.) Il Tribunale in composizione collegiale, composto dai magistrati - Dott.ssa Cinzia Apicella - Presidente estensore - Dott. Federico Noschese - Giudice - Dott. Giuseppe Palumbo - Giudice alla pubblica udienza del 27.03.2024, con l'intervento del P.M., rappresentato dal Sostituto Procuratore della Repubblica, dott. Michele Migliardi - e con l'assistenza del Cancelliere, M.V. ha pronunciato e pubblicato la seguente SENTENZA nei confronti di: Si.Fr. nato a Si. (S.) il (...), ivi domiciliato alla via P. n.65, libero presente Difeso di fiducia dagli avv.to G.M. del Foro di Nocera Inferiore IMPUTATO A)del delitto p. e p. ex artt. 219 co. 2 n. 1 e 223 in relazione all'art. 216 n. 1 L. n. 267 del 1942, perché in qualità di liquidatore della società "Mg. s.r.l. in Liquidazione", dichiarata fallita con sentenza n. 18/2018 del 23.08.2018, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, distraeva il patrimonio della predetta società tramite assegni circolari e versamenti di denaro effettuati in suo favore dal c/c della Mg. s.r.l. nel periodo ricompreso tra il 27/07/2015 e il 07/02/2017 per un totale di Euro 70.000,00 e prelievi in contanti effettuati nello stesso periodo per un totale di Euro 39.800,00. Con l'aggravante di aver commesso più fatti di bancarotta. In Nocera Inferiore il 23.03.2018 modifica imputazione udienza del 23.11.2023) ) B) del delitto p. e p. ex artt. 219 co. 2 n. 1 e 223 in relazione all'art. 216 n. 2 L. n. 267 del 1942, perché in qualità di liquidatore della società "Mg. s.r.l. in. Liquidazione", dichiarata fallita con sentenza n. 18/2018 del 23.08.2018, con lo scopo di procurare a sé un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, sottraeva i libri e le scritture contabili della predetta società rendendo impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. Con l'aggravante di aver commesso più fatti di bancarotta. In Nocera Inferiore il 23.03.2018 modifica imputazione udienza del 23.11.2023) P.O. Dr. Gi.Fr., Curatore Fallimentare con studio in Nocera Inferiore alla Via (...). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto emesso ai sensi dell'art. 429 c.p.p. in data 24.02.2022, era disposto il giudizio in sede collegiale nei confronti di Si.Fr. per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale distruttiva e documentale meglio descritti in rubrica. Alla prima udienza del 27.04.2022, rilevata l'errata indicazione nel decreto che dispone il giudizio dell'avv.to N.A. quale difensore di fiducia dell'imputato, veniva acquisita la nomina del difensore dell'imputato, avv.to N.P.; in conseguenza, il Collegio disponeva la notifica del decreto e verbale alla P.O. e rinviava l'udienza, onerando il PM alla citazione del teste. Alla successiva udienza del 19.10.2022, veniva depositato atto di rinuncia del precedente difensore e nomina di nuovo difensore di fiducia dell'imputato, Avv. A.P., la quale chiedeva termine a difesa, termine accolto dal Tribunale e pertanto si rinviava ad altra udienza del 26.04.2023, onerando il PM alla citazione del Curatore Fallimentare Dr. G.F. In tale udienza veniva depositata ulteriore nomina di difensore di fiducia da parte dell'imputato, peraltro assente, in favore dell'avv.to G.M. e di seguito, verificata la regolarità della costituzione delle parti, si dichiarava aperto il dibattimento, invitando le Parti a formulare le proprie istanze istruttorie. L'Accusa produceva sentenza dichiarativa di fallimento della Società Mg. s.r.l. in Liquidazione datata 23.03.2018, nonché chiedeva di produrre all'esito della escussione del curatore fallimentare la relazione ex art. 33 L.F.con relativa integrazione, mentre la Difesa produceva un verbale di deposito di documentazione a firma del cancelliere della Sezione Fallimentare del Tribunale di Nocera Inferiore. All'esito veniva escusso il curatore fallimentare dr. G.F., unico teste di lista dell'Accusa, e all'esito veniva acquisita la relazione da lui redatta ex art. 33 legge fall.; di seguito si rinviava all'udienza del 23.11.2023 per l'eventuale esame dell'imputato se fosse comparso e per la discussione. Nell'udienza del 23.11.2023, tuttavia il P.M. chiedeva la correzione della data di commissione del reato, indicando al posto del 23.08.2013 la data corretta di emissione della sentenza di fallimento datata 23.03.2013 e pertanto si rinviava il processo per la discussione all'udienza successiva del 07.02.2024, udienza che subiva tuttavia ulteriore rinvio al 27.03.2024, attesa l'adesione del difensore all'astensione indetta dall'Unione Camere Penali. Nell'odierna udienza, presente l'imputato, questi rendeva spontanee dichiarazioni ed all'esito, dichiarato chiuso il dibattimento e utilizzabili tutti gli atti acquisiti al fascicolo dibattimentale, le Parti formulavano le conclusioni come riportate in epigrafe. All'esito della camera di consiglio, il Tribunale decideva con separato dispositivo, pubblicato in udienza mediante lettura. Si.Fr., nella qualità di amministratore unico e poi di liquidatore della società "Mg. s.r.l. in Liquidazione", dichiarata fallita con sentenza n. 18/2018 del 23.08.2018 con sede sociale in Si. via P. n. 65 ed avente oggetto sociale attività di acquisto, vendita, permuta e locazione di terreni agricoli ed immobili, nonché installazione, manutenzione e riparazione di impianti di energia elettrica e fotovoltaico, è imputato del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale di cui comma 1 con le modalità di cui alle imputazioni riportata in rubrica. Il procedimento trae origine dai rilievi formulati dal curatore fallimentare, dr. G.F., di cui è stata acquisita la relazione ex art. 33 L.Fall, nel corso nella procedura concorsuale seguita alla dichiarazione di fallimento della citata società con sentenza n. 18/2018 emessa il 23.03.2018 dal Tribunale di Nocera Inferiore ed acquisita agli atti. Infatti, dalla relazione redatta dal curatore dr. F. ai sensi dell'art. 33 Legge fall. è emerso che la società fallita ovvero la "Mg. S.r.l. in Liquidazione" è stata costituita in data 20.11.2009 in Sarno con un capitale sociale deliberato di Euro 10.000, mentre quello versato effettivamente risultava pari ad Euro 2.500; detto capitale all'atto della dichiarazione di fallimento risultava ripartito in quote di Euro 9.800 (Euro 2.450 effettivamente versate) detenuta dal socio L.G. e la quota di Euro 200 (Euro50 effettivamente versate) detenuta dalla società "G.A. s.r.l.", a seguito del pignoramento di quota societaria dell'odierno imputato S.P.F., il quale oltre che socio era anche amministratore unico della società decotta. Il curatore nella relazione dava anche atto che dal fascicolo della CCIAA di Salerno non risultavano bilanci presentati dalla società fallita e che in data 29.02.2016 la società Mg. Srl veniva posta in scioglimento anticipato, con la nomina del liquidatore nella persona del Si.Fr.. Questi, si era anche presentato presso il suo studio in data 8.05.2018 per l'audizione prevista dalla normativa e di cui è stato anche redatto apposito verbale. Da tale escussione del Si. era emerso che le cause che avevano causato il dissesto della suddetta società erano da attribuirsi - secondo il liquidatore - alla scarsità di attività lavorativa, riconducibile alle difficoltà da parte dei clienti ad ottenere i finanziamenti per l'installazione di nuovi impianti soprattutto fotovoltaici. Il curatore nella propria relazione dava atto del deposito presso la Cancelleria del Tribunale di Nocera Inferiore di parte della documentazione contabile e fiscale relativa alla società Mg. srl ma che la stessa non risultava esaustiva, non consentendo di ricostruire le posizioni sia creditorie che debitorie della fallita, mancando peraltro l'elenco dei creditori ed anche dei debitori nonché tutti i Bilanci di esercizio ed i registri Iva ed il Libro Giornale. Il curatore si era anche recato in data 30.03.2018 presso la sede legale della società fallita, ove alcun elemento riconducibile alla società era stato rinvenuto ed anzi presso il locale ove era indicata la sede sociale risultante, aveva riscontrato P esistenza di altra attività commerciale con insegna di altra società ovvero la "I.M.G. S.r.l.s.", ove peraltro, al momento del sopralluogo, si trovava svolgere attività proprio il liquidatore della fallita ovvero l'odierno imputato Si.Fr.. A riprova di ciò, lo stesso dr. F. aveva effettuato un acquisto al fine di acquisire uno scontrino fiscale della società ivi operante e poi anche la visura camerale di tale diversa società. Sempre dalla relazione ex art. 33 legge fallimentare poi emergeva che dalle ispezioni ipotecarie, il curatore aveva rilevato che la fallita aveva alienato in data 29.07.2015 alla "A2M" ( società consortile a responsabilità limitata) una consistenza immobiliare sita nel Comune di Nocera Inferiore alla via A. n. 233, mentre dal Pubblico Registro Automobilistico non risultavano beni mobili registrati intestati alla fallita né sussistevano segnalazioni dalla C.R. e C.A.I.. A seguito delle richieste di informativa sia all'Agenzia delle Entrate che alla Guardia di Finanza di Scafati, erano emersi invece rapporti di natura finanziaria con la B.M.P., documentazione che, a seguito di integrazione della citata relazione ex art. 33, una volta acquisita, attestava movimentazioni non anomale fino a giugno 2015 ma, a decorrere dal luglio 2015, emergeva che da un saldo negativo del conto societario, si giungeva ad un saldo positivo di circa 108.000 Euro, derivante dal versamento di assegni circolari per un valore di Euro 145.000, incassati per l'alienazione di un immobile ( per il quale poi il curatore ha avanzato azione revocatoria). A seguito dello scioglimento anticipato e della messa in liquidazione della società avvenuto ad inizio 2016 e fino al giugno 2017 si notava la variazione sul conto della società fallita che da un saldo positivo di Euro 145,000 passata in meno di un armo e mezzo ad un saldo di nuovo negativo di Euro 200,00. Pertanto, nel periodo compreso tra luglio 2015 e febbraio 2017, veniva rilevate movimentazioni bancarie anomale in uscita a titolo di prelevamenti continui per Euro 39.800, poi con emissione di assegni circolari per Euro 40.000 e anche con bonifici per Euro 31.400 circa, tutti disposti sempre a favore del Si.Fr. quale liquidatore. Invece dalle movimentazioni bancarie in entrata, si rilevavano versamenti in contanti per Euro 26.560, versamenti con assegni circolari per l'alienazione dell'immobile per Euro 140.000 e versamenti di altri assegni circolari per Euro 14.000 circa. In sintesi, si evincono uscite di oltre Euro 70.000 dal conto corrente della fallita in favore del sig. Si. mediante assegni circolari e bonifici bancari (questi ultimi per circa 31.400 Euro), nonché ulteriori prelievi in contanti effettuati dal conto corrente della società per una somma complessiva di Euro 145.000,00. Va anche aggiunto che dalla relazione ex art. 33 L F. emergeva che dalla consultazione del cassetto fiscale della fallita come depositario delle scritture contabili il Dott. A.M., il quale aveva trasmesso le dichiarazioni fiscali per gli anni fra il 2009 ed il 2016, ad eccezione dell'anno 2013 per il quale non risultava depositata alcuna dichiarazione fiscale; mentre nell'anno 2017 risultava presentata solo la dichiarazione IVA con un credito IVA pari ad Euro 12.300, disconosciuto dalla Agenzia delle Entrate e successivamente ripresentato comunque dalla fallita. L'attivo fallimentare rinvenuto dal curatore consisteva in due immobili, composte da n. 2 posti auto scoperti siti in N. I. mentre risultava al passivo fallimentare l'insinuazione di n. 2 domande da parte dell'avv. Cuomo e della Si. S.p.A.; inoltre risultava anche una posizione debitoria della fallita nei confronti della sig.ra V.A., quale creditore istante il fallimento, per la somma di Euro 56.291,00 derivante da una sentenza di condanna. In sede di dibattimento il curatore dr. F. ha confermato sostanzialmente il contenuto della sua relazione ex art. 33 L F. precisando che la declaratoria di fallimento della società risaliva al mese di marzo 2018 e nell'ambito dell'attività svolta, è stata acquisita prima dalla Guardia di Finanza l'informativa in ordine ai rapporti finanziari riconducibili alla fallita ed al legale rappresentante ed anche quale liquidatore della società (poi identificato in S.) e successivamente la copia degli estratti di conto corrente bancario della società ad opera della filiale di Si. della B.M.P., da cui sono stati riscontrati movimenti in uscita a titolo di prelievi in contanti senza giustificazione per circa 39.000,00 Euro, assegni circolari emessi per 40.000,00 Euro, nonché bonifici per 31.400,00 Euro tutti in favore sempre del Si. ovvero del liquidatore, peraltro unico che poteva gestire e movimentare il conto corrente. In ordine poi alla documentazione depositata presso la Sezione Fallimentare dall'imputato, il dr. F. specificava che la Curatela non aveva potuto ricostruire la situazione creditoria e debitoria della fallita in quanto era stata riscontrata solo una situazione contabile relativa all'anno 2014, senza l'indicazione di un elenco dei creditori e né tantomeno dei debitori: in particolare mancava la situazione contabile aggiornata alla data del fallimento del 2018, nonché, oltre ai suddetti elenchi analitici dei creditori e dei debitori, non risultavano mai stati depositati presso il Registro delle imprese i Bilanci di Esercizio, i registri Iva ed i libri giornali. Il teste poi, su domanda della Difesa, precisava che il fallimento veniva introdotto da V.A., quale dipendente della società, sulla base di un decreto ingiuntivo ottenuto per mancata riscossione di emolumenti lavorativi per l'importo di circa 50.000 Euro e che vi erano stati altri interventi di insinuazione ed il passivo fallimentare ammontava a circa 100.000 Euro, di cui circa la metà nei confronti della suddetta dipendente ed altri debiti tributari per cui si insinuava al passivo anche la Agenzia Entrate nonché vi erano anche poche migliaia di euro nei confronti di qualche fornitore della fallita. Nella relazione ex art. 33 L.F. risultavano solo due soggetti insinuati in quanto, alla data di deposito della stessa, solo due creditori erano insinuati al passivo, ma successivamente se ne sono insinuati altri come indicato nella relazione integrativa. Inoltre, da verifiche svolte, è emerso poi che la fallita aveva posizioni creditorie di insinuazione al passivo in altre procedure concorsuali che sono state però tutte chiuse per assenza di attivo e che tale posizione creditoria non poteva essere vantata dal liquidatore in quanto tale, ma dalla società fallita giacché il Si. non avrebbe mai potuto riscuotere il credito personalmente; in ordine poi a tali procedure creditorie, precisava il curatore, non vi erano state più notizie, per cui è stata fatta anche un'azione revocatoria autorizzata dal Giudice delegato che è stata respinta in sede civile per mancanza del presupposto di fraudolenza nell'atto di compravendita impugnato. A seguito delle domande poste dal Presidente del Collegio, il teste specificava che il Si.Fr., prima di divenire liquidatore della società ne era il legale rappresentante e successivamente, nel 2015 la società veniva posta in stato di scioglimento e messa in liquidazione; che quindi dal 2015 alla data di dichiarazione di fallimento nel 2018, l'imputato risultava liquidatore della società. Inoltre riferiva che l'oggetto sociale della fallita riguardava inizialmente la costruzione, vendita e pennuta di terreni e immobili per poi però specializzarsi nella realizzazione e l'installazione di impianti di energia elettrica e fotovoltaico e che l'imputato, in sede di audizione, aveva attribuito la causa scatenante del fallimento all'eccessiva difficoltà da parte dei potenziali clienti ad avere fonti di finanziamento per sopportare gli esborsi per gli impianti. Il curatore dichiarava altresì che effettivamente all'atto della liquidazione veniva posta in vendita una consistenza immobiliare, oggetto poi di revocatoria, anche se solo dopo sono state riscontrate ulteriori consistenze immobiliari in capo alla fallita, ovvero due posti auto siti ih N. I. però alienati in fase di liquidazione per circa Euro 35.000,00. In ordine poi alle attività svolte sul conto corrente della società fallita, il teste chiariva che nel 2015 quando la società ha incassato la somma di Euro 145.000,00 per la vendita del bene immobiliare la somma è confluita sul c/c della società, conto gestito solo dal liquidatore in quanto non vi erano altri soggetti deputati ad operarvi: tale somma è stata poi oggetto di continui movimenti bancari fino a svuotate il c/c della società nel luglio 2017 con un saldo negativo di 200,00 Euro, peraltro le finalità di tali movimenti non sono mai state accertate, in quanto il Si. in sede di audizione dinanzi a lui non ha mai fornito alcuna significativa giustificazione. La situazione descritta in definitiva, secondo il curatore, anche per la poca documentazione prodotta, non ha consentito una corretta ricostruzione degli affari della società, giacché si era potuto rilevare documentalmente solo l'esistenza di alcuni crediti non incassati e la vendita di beni immobiliari, i cui ricavi erano stati sottratti al patrimonio societario in epoca di poco precedente il fallimento. Infine, va rilevato che nell'ultima udienza, l'imputato ha reso spontanee dichiarazioni in cui lo stesso sostanzialmente ha ammesso di avere prelevato di volta in volta la somma di Euro 145.00,00 dai c/c della società fallita, ritenendo che la stessa fosse di sua spettanza giacché "provento" della vendita un immobile di sua proprietà e che dunque non incorresse in alcun illecito. La breve esposizione che precede, consente al Collegio di pervenire ad una conclusione certa in ordine ai fatti oggetto dell'imputazione ed alla certa attribuzione all'odierno imputato, così come desumibile dalla attività istruttoria espletata sulla base delle indagini effettuate dagli organi inquirenti: il curatore ha evidenziato, in base alla documentazione acquisita nel corso della procedura fallimentare, i dati probatori che hanno individuato in capo al Si., quale liquidatore, ima condotta "distrattiva" di somme della società fallita nonché, dalla documentazione contabile prodotta dallo stesso imputato, la estrema difficoltà nel procedere ad una effettiva ricostruzione del patrimonio aziendale e del volume di affari della fallita e ciò a causa proprio della incompleta tenuta delle scritture contabili obbligatorie. Alla luce di tali verifiche e dalla documentazione in atti, emergono in capo al Si. concreti e certi profili di responsabilità penale in qualità di liquidatore, derivanti dal fatto che dal conto corrente intestato alla società fallita sono uscite somme in favore dello stesso senza una apparente e ragionevole motivazione, anche in considerazione delle esposizioni debitorie, peraltro inadempiute, ed oggetto di ammissione al passivo fallimentare della procedura in esame e dunque la suddetta condotta va a configurare l'ipotesi di bancarotta fraudolenta per distrazione da parte del liquidatore della società cosi come contestata al capo A) all'imputato. A sostegno di tale valutazione, si pone la documentazione probatoria prodotta dal P.M., contenente la sentenza dichiarativa di fallimento e la relazione ex art. 33 l. fall. con relativa integrazione, che ha trovato ampia conferma nella deposizione resa dal curatore dr. G.F. dinanzi al Collegio all'udienza del 26.04.2023. Sul punto va osservato che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità a cui questo Collegio si riporta, in tema di responsabilità del liquidatore per la condotta di bancarotta fraudolenta : "la "vendita, da parte del liquidatore della società poi fallita, di beni sociali, con modalità tali da configurarsi quale operazione priva, ex ante, di qualunque grado di ragionevolezza rispetto al raggiungimento dello scopo liquidatorio, con la consapevolezza da parte dell'autore di diminuire il patrimonio per scopi estranei al mandato liquidatorio, costituisce condotta dissipativa integrante il suddetto reato, (cfr. Cass. Penale Sez. V, sentenza n. 34812 del 20.05.2019). Nella vicenda in esame assume dunque particolare rilievo la circostanza evidenziata dal curatore in ordine alle attività svolte sul conto corrente a decorrere dall'anno 2015, allorquando la società ha venduto una consistenza immobiliare, incassando la somma di Euro 145.000,00, somma che è confluita sul conto corrente della società gestito peraltro dal solo liquidatore ovvero dal S.. In particolare, fino a luglio 2017, il conto corrente è stato oggetto di continue movimentazioni ( in sostanza prelievi), sino a presentare un saldo negativo mediante il compimento di diverse operazioni bancarie, le cui finalità non sono mai state accertate, in quanto il Si. non ha mai fornito alcuna significativa giustificazione né al curatore né in concreto dinnanzi a questo Collegio in sede di dichiarazioni spontanee giacché l'affermazione di ritenere la somma in questione come "di esclusiva pertinenza" perché provento di un " proprio" bene immobile, appare non credibile e peraltro in contrasto con le esposizioni debitorie della società dal Si. gestita, debiti di cui lo stesso imputato irragionevolmente ha smentito l'esistenza sempre in sede di dichiarazioni spontanee ( " ragion per cui non ritenevo di fare danni ad alcuno e non è stato fatto danno ad alcuno...... Perché tutte le persone che hanno avuto rapporti con la Mg. , la società, sono stati soddisfatti..." cfr. verbale del 27.03.2024) Va in ogni caso osservato che tali operazioni di " svuotamento" del c/c societario da parte dell'imputato, risultano essere assolutamente anomale ed, in ogni caso, hanno ridotto sensibilmente la consistenza patrimoniale della società e le garanzie dovute verso i creditori. In materia di bancarotta patrimoniale la giurisprudenza di legittimità ha anche evidenziato che: "Una volta accertato che il fallito ha avuto nella sua diponibilità determinati beni, nel caso in cui non renda conto del loro mancato reperimento, né sappia giustificare la destinazione, si deve dedurre che essi Si. stati dolosamente distratti, in quanto il fallito ha l'obbligo di dimostrare la destinazione dei beni acquisiti al suo patrimonio" (cfr. ex multis Cass, penale - sentenza n. 12833 del 11.11.1999 e Cassazione Penale - sentenza n. 13118 del 18.12.2010). Dagli atti processuali sussiste in capo all'imputato anche la condotta di cui al capo B). Infatti anche in relazione al mancato deposito regolare da parte del Si. delle scritture contabili e dei libri sociali obbligatori, il curatore ha evidenziato che la documentazione contabile e fiscale prodotta dall'imputato non è risultata esaustiva per la mancanza delle scritture obbligatorie per legge ed in tal modo non ha potuto ricostruire la situazione creditoria e debitoria, in quanto è stata riscontrata solo una situazione contabile relativa all'anno 2014, senza l'indicazione di un elenco dei creditori e debitori; in particolare, mancava la situazione contabile aggiornata alla data del fallimento del 2018, nonché oltre ai suddetti elenchi analitici dei creditori e debitori, non sono mai stati depositati presso il Registro delle imprese i bilanci di esercizio, i registri Iva ed i libri giornali. Il quadro probatorio descritto risulta sufficiente ad integrare gli elementi costitutivi richiesti per la configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta documentale contestato dal P.M., il quale si configura allorquando la mancanza delle scritture contabili obbligatorie non dipenda da un'omissione dell'imprenditore, che non abbia provveduto ad istituire i libri e le scritture prescritte dalla legge, ma abbia anche con condotta attiva operato per distruggere, sottrarre o falsificare le scritture esistenti, allo scopo preciso di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori. In sintesi, affinché possa configurarsi il reato di bancarotta fraudolenta documentale è necessario l'elemento soggettivo del dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori e tale elemento nel caso di specie risulta provato dalle attività istruttorie espletate. In virtù di tanto risulta dimostrata la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale nei suoi elementi oggettivi e soggettivi, giacché è incontestabile che si sia verificata una non trascurabile e duratura omissione nella redazione delle scritture contabili obbligatorie finalizzata ad impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società fallita atteso che anche la data del deposito dell'ultimo bilancio presso la Camera di Commercio risale all'anno 2014. Tale dato a contrario risulta provare la presenza fino a tale data di scritture contabili obbligatorie occultate o distrutte subito dopo tale data. Va osservato che, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta documentale " l'interesse tutelato non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili della impresa, ma concerne una loro conoscenza documentata e giuridicamente utile, sicché il delitto sussiste, non solo quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, Si. stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza. (Fattispecie in cui per la ricostruzione delle vicende patrimoniali dell'impresa era stato necessario fare capo a fonti di documentazione esterne, nonché ad appunti del fallito, costituenti di fatto una contabilità "in nero", che avrebbero dovuto restare celati al fine di coprire il sistema di evasione di imposta e il drenaggio di risorse finanziarie verso conti correnti personali). ( cfr. Cass Sez. V -, Sentenza n. 1925 del 26/09/2018 ). Appare evidente che in relazione proprio alla condotta di cui al capo A) il dolo specifico emerge in re ipsa: l'elemento psicologico del reato di cui all'art. 216 n. 2) l. fall. richiede che lo scopo perseguito dall'agente sia finalizzato specificamente a rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. Dagli esiti istruttori appare evidente che l'odierno imputato ha consapevolmente tenuto in modo incompleto ed irregolare le scritture contabili, in modo tale da rendere impossibile ricostruire con chiarezza l'entità del volume di affari della società fallita proprio per occultare la distrazione fraudolenta dei beni del fallimento come formulata nell'imputazione di cui al capo A). Passando alla pena, il Collegio ritiene, ai sensi dei criteri valutativi ai dell'art. 133 c.p. appaia congrua la pena anni due e mesi due di reclusione ( pena base anni tre, ridotta perle circostanze ex art. 62 bis c.p. ad anni due, aumentata per l'art. 219 L.Fall alla pena sopra indicata), pena superiore di poco rispetto al minimo edittale per la gravità delle condotte in relazione alla attività di impresa in concreto desumibile dagli atti dibattimentali. Si ritiene che possano essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche, atteso che l'imputato, pur non avendo inteso rendere interrogatorio, ha cercato, mediante dichiarazioni spontanee, di chiarire le concrete attività societarie e le cause della decozione. Sul punto va osservato che la meritevolezza delle circostanze attenuanti generiche, la cui la ragion d'essere è anche quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto dell'autore dello stesso, non può mai essere data per scontata o per presunta. ( ex multis Cass penale Sez. I sentenza n.29679 del 13.06.2011). Va riconosciuta poi la continuazione ex art. 219 comma 2 R.D. n. 267 del 1942 come contestata trattandosi di più condotte di bancarotta fraudolenta. Sul punto ormai per acclarata giurisprudenza di legittimità: "nel caso di consumazione di una pluralità di condotte tipiche di bancarotta nell'ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall'art. 219 comma 2, n. 1, legge fall., disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all'art. 81 c.p." (cfr. S.U. Sentenza n. 21039 del 27/01/2011 ). Va altresì applicata ex lege ai sensi dell'art. 216 comma 3 L. Fall. all'imputato la pena accessoria della inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa che si quantifica come congrua, sulla base delle modalità esecutive dei reati in contestazione, in base alla pena detentiva inflitta nella durata di anni tre, di poco superiore alla pena inflitta. P.Q.M. Letti gli artt. 533- 535 c.p.p. dichiara Si.Fr. colpevole dei reati a lui ascritti ai capi A) e B) e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, ritenuto l'aumento per l'art. 219 comma 2 R.D. n. 267 del 1942, lo condanna alla pena di anni due e mesi due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Letto l'art. 216 comma 3 L.Fall. dichiara l'inabilitazione dell'imputato all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di anni tre. Letto l'art. 545 bis c.p.p. avvisa l'imputato della possibilità di accedere, previa manifestazione del consenso, alle pene sostitutive previste dall'art. 20 bis c.p. diverse dalla pena pecuniaria. Preso atto della mancata espressione del consenso alla possibile sostituzione della pena detentiva inflitta con pena sostitutiva diversa da quella pecuniaria, conferma il dispositivo di condanna. Motivazione riservata a giorni 60. Così deciso in Nocera Inferiore il 27 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta da: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. DI PAOLA Sergio - Consigliere Dott. FLORIT Francesco - consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere Dott. MARRA Giuseppe - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PESCARA nei confronti di: Ma.Ca. Ma.Si. Ma.Ir. Ma.Gi. Ma.Ca. Sas (...) Srl (...) Srl (...) Srl avverso l'ordinanza del 19/10/2023 del TRIB. LIBERTA' di PESCARA udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE MARRA; lette le conclusioni del PG ETTORE PEDICINI Si dà atto che il ricorso è stato trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. n.137/2020. RITENUTO IN FATTP 1. Con ordinanza del 19 ottobre 2023 il Tribunale del riesame di Pescara, accogliendo la richiesta di riesame formulata nell'interesse di Ma.Ca., Ma.Si., Ma.Ir., Ma.Gi., Ma.Ca. Sas di Ma.Ca. e Ma.Ni., (...) 1 Srl, (...) 2 Srl, (...) 3 Srl, indagati i primi del delitto di cui all'articolo 640 bis cod. pen., e le società dell'illecito amministrativo di cui agli articoli 5- 24 D.Lgs. n.231/2001, annullava il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. di Pescara riguardante 10 impianti fotovoltaici appartenenti a società riconducibili agli indagati nonché la somma liquida fino alla concorrenza di euro 24. 037.988,59, disponendo la restituzione degli impianti fotovoltaici e del denaro ai ricorrenti. 2. Avverso la citata ordinanza il pubblico ministero presso il Tribunale di Pescara ricorre per cassazione formulando, a tal fine, un unico motivo con cui chiede l'annullamento dell'impugnato provvedimento, rilevando che il Tribunale erroneamente avrebbe ritenuto insussistente la gravità indiziaria, in particolare sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato contestato. 2.1 In particolare, eccepisce la violazione e/o erronea applicazione della legge penale e, precisamente degli artt. 321, 324 cod. proc. pen., 640 bis cod. pen., 5 -24 D.Lgs. 231/2001, nonché mancanza, mera apparenza e/o contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Secondo il ricorrente il Tribunale di Pescara avrebbe trascurato di valutare che il fine perseguito dagli indagati, sarebbe stato quello di realizzare un parco fotovoltaico di potenza nominale di gran lunga superiore al 1 MW, facendo artatamente figurare la differente volontà di realizzare singoli e autonomi impianti sotto la soglia di 1 MW. Tale conclusione emergerebbe, quindi, da una valutazione unitaria e congiunta degli elementi probatori in atti e, in particolare, dalle circostanze temporali (ossia le dichiarazioni sostitutive per più impianti dell'atto di notorietà presentate addirittura lo stesso giorno), dalla contiguità dei terreni, dal titolarità di questi ultimi in capo alla medesima società, nella specie la Ma.Ca. Sas, dalla coincidenza della data di costituzione delle tre società denominate (...), tutte aventi come unico socio la Ma.Ca. Sas, ognuna delle quali avrebbe poi presentato autonoma dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, così da potersi avvalere della procedura regionale semplificata prevista per impianti al di sotto di 1 MW. La realizzazione dell'unico impianto sarebbe stata quindi dolosamente frazionata in 10 impianti più piccoli, ciascuno di potenza inferiore ad 1 MW, dotati di singole cabine elettriche, tutto al mero fine di rientrare formalmente nella procedura semplificata ai sensi delle disposizioni della Delibera di Giunta Regionale n.246 del 31 maggio 2010 ed evitare, quindi, la procedura autorizzatoria più complessa, nonché al fine di beneficiare di una cifra rilevante di incentivi economici. L'omessa analisi e valutazione di aspetti essenziali per l'accertamento dei fatti, contenuti nel fascicolo del P.M. e richiamati nel decreto di sequestro preventivo del G.I.P. di Pescara, avrebbe condotto il Tribunale del riesame ad assumere un provvedimento caratterizzato da una motivazione apparente, nonché viziata da una manifesta contraddittorietà, laddove, pur rilevando l'esistenza di "un unico centro di interessi" alla base della realizzazione dei distinti impianti fotovoltaici, non avrebbe poi tratto le dovute conclusioni in termini di gravità indiziaria. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile perché proposto in carenza di interesse. 1.1 Come risulta dall'esposizione che precede, il ricorso del P.M. ha ad oggetto esclusivamente il profilo della sussistenza del fumus dei reati oggetto dell'addebito elevato nel corso delle indagini; manca, invece, alcun cenno al profilo del periculum in mora. 1.2 Secondo i principi più volte ribaditi dalla giurisprudenza della Corte, anche nella materia delle impugnazioni relative ai procedimenti incidentali in materia cautelare, vige il principio generale, previsto a pena di inammissibilità (artt. 568, comma 4, e 591, comma 1, lett. A), cod. proc. pen.), del necessario interesse della parte che propone l'impugnazione; nozione che, nel sistema processuale penale, "non può essere basata sul concetto di soccombenza - a differenza delle impugnazioni civili (...) - ma va piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un'utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo" (Sez. Unite, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Marinaj, Rv. 251693 -01); siffatto interesse "non può essere meramente astratto o teorico, ma deve essere concreto, effettivo", cioè diretto "al conseguimento di un diritto o alla rimozione di effetti pregiudizievoli per la sfera dei diritti della medesima parte che l'invoca" (Sez. 2, n.6027 del 10.01.2024, PMT c/ Mazza, Rv.285867-01; Sez. 1, n. 2362 del 20/05/1991, Cazzola, Rv. 187488 - 01). Nelle ipotesi in cui la parte che intende proporre impugnazione sia il P.M., l'interesse non potrà coincidere esclusivamente con l'astratto interesse all'esatta applicazione della legge (Sez. 2, n. 37876 del 12/09/2023, Gagliardi, Rv. 285026-01), ma dovrà essere parametrato anch'esso all'obiettivo del raggiungimento di un risultato concreto; risultato che, nella materia cautelare, è rappresentato dall'emissione del provvedimento che assicuri la realizzazione delle finalità proprie dell'intervento volto a soddisfare le specifiche esigenze di tutela (dell'accertamento dei fatti di reato; della garanzia per la collettività dall'impedire nuove manifestazioni delittuose; della sottrazione dei profitti e delle cose intrinsecamente illecite alla disponibilità del reo). Il precipitato del principio così espresso nell'ambito delle impugnazioni della parte pubblica, proposte avverso i provvedimenti di annullamento delle ordinanze applicative di misure cautelari personali, è condensato nelle affermazioni della giurisprudenza di legittimità secondo le quali il pubblico ministero impugnante, anche quando l'annullamento sia stato pronunciato per difetto del requisito della gravità indiziaria (ritenendo per tale ragione assorbito l'esame del profilo delle esigenze cautelari), assume l'onere di indicare, a pena di inammissibilità del ricorso in sede di legittimità per carenza di interesse, le ragioni a sostegno dell'attualità e concretezza delle esigenze cautelari; e ciò in quanto l'interesse del Pubblico Ministero è correlato alla possibilità dell'adozione (o del ripristino) della misura originariamente richiesta, sicché egli deve fornire gli elementi idonei a suffragarne l'attualità in relazione a tutti i presupposti per l'applicazione della misura, e quindi anche a quello della sussistenza di attuali e concrete esigenze cautelari, pur se il provvedimento impugnato non le abbia esaminate (Sez. 3, n. 13284 del 25/02/2021, Acanfora, Rv. 281010-01; Sez. 6, n. 12228 del 30/10/2018, dep. 2019, De Gasperis, Rv. 276375-01). È evidente, infatti, che il profilo delle esigenze cautelari è strutturalmente correlato al carattere contingente, e soggetto a eventuali mutamenti, delle condizioni determinanti il sorgere e il permanere delle esigenze stesse (ciò che ne impone il controllo costante nel corso del tempo - ai sensi dell'art. 299 cod. proc. pen. - circa il permanere delle condizioni che giustificano l'applicazione delle misure: Sez. Unite, n. 16085 del 31/03/2011, Khalil, Rv. 249324 - 01; Sez. 2, n. 10383 del 18/02/2022, Gallo, Rv. 282758 - 01). Per queste ragioni, si è puntualizzato che il ricorso della parte pubblica avverso il provvedimento che abbia annullato l'originaria misura genetica, ove si limiti a censurare gli aspetti relativi alla gravità indiziaria risulterà ammissibile - quanto al requisito dell'interesse - laddove la misura riguardi reati per i quali opera la presunzione di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., potendosi in tal caso ritenersi implicitamente sussistenti le esigenze di cautela (Sez. 6, n. 43948 del 21/09/2023, Manna, Rv. 285400 - 01; Sez. 6, n. 46129 del 25/11/2021, Marcus, Rv. 282355 - 01). 1.3 I principi enunciati, ad avviso del Collegio, trovano applicazione anche con riguardo alle impugnazioni proposte avversi provvedimenti emessi nella materia della cautela reale, come di recente affermato anche dalla già citata sentenza Sez. 2, n.6027 del 10.01.2024, PMT c/ Mazza, Rv.285867-01. Nel caso di specie, il Tribunale del riesame di Pescara, accogliendo la richiesta della parte privata, annullava il provvedimento genetico di sequestro rilevando il difetto del requisito del fumus di illiceità con riguardo al delitto di cui all'art. 640 bis cod. pen., e disponeva la restituzione dei beni sottoposti a vincolo; non svolgeva, invece, alcuna argomentazione in ordine alla contestata sussistenza del periculum in mora, ritenendo, implicitamente, che la relativa eccezione fosse assorbita dalla decisione sulla mancanza del fumus delieti. Di conseguenza, in forza dei principi di diritto sopra esposti, l'interesse del P.M. all'impugnazione si identifica nella rimozione dell'ordinanza del Tribunale pescarese, con la necessità della contestuale rappresentazione nel ricorso dei motivi inerenti alla sussistenza di entrambi i presupposti (fumus delieti e periculum in mora) richiesti per l'adozione del sequestro preventivo; diversamente, non si conseguirebbe il risultato pratico cui deve tendere l'impugnazione. Del resto, anche in relazione all'adozione delle misure cautelari reali, il profilo che riguarda il pericolo della tardività dell'intervento, volto al fine di scongiurare la loro sottrazione che possa agevolare la commissione di ulteriori reati o possa consentire la loro futura confisca, è soggetto a modifiche nel corso del tempo conseguenti al mutare delle condizioni fattuali che riguardano sia la persona del soggetto titolare dei beni (anche in relazione alle condizioni economiche e patrimoniali), sia gli stessi beni. Diventa perciò indispensabile che tale profilo sia adeguatamente rappresentato dal ricorrente, in quanto la Corte, in difetto di siffatta rappresentazione, non è posta in grado di valutare la sussistenza dell'interesse ad impugnare. 2. Dalle statuizioni che precedono discende la declaratoria di inammissibilità del ricorso. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso in Roma il 24 gennaio 2024. Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2024.

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