Sentenze recenti imposte

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  • Il dolo specifico del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte sussiste quando gli atti di disposizione patrimoniale, pur formalmente leciti, siano finalizzati in modo fraudolento o simulato all'impedimento dell'azione di recupero del credito tributario da parte dell'Amministrazione finanziaria. La valutazione della natura fraudolenta o simulatoria degli atti dispositivi deve essere effettuata sulla base di un complessivo apprezzamento degli elementi di fatto, quali la tempestiva successione cronologica delle condotte dispositive rispetto alla notifica degli avvisi di accertamento, l'assenza di reale interesse del soggetto formalmente intestatario dei beni, la mancata effettiva disponibilità e utilizzo dei beni da parte di quest'ultimo, nonché la provenienza della provvista per l'acquisto da parte del soggetto sottoposto a procedimento. Tali elementi, nella loro convergenza logica, possono fondare il convincimento della finalità fraudolenta o simulatoria delle operazioni patrimoniali, a prescindere dalla dimostrazione di una formale interposizione fittizia di persona, essendo sufficiente l'idoneità oggettiva degli atti a rendere inefficace l'azione di recupero del credito tributario. Il dolo specifico del reato è quindi integrato quando risulti provata la preordinazione degli atti dispositivi all'ostacolo dell'esecuzione esattoriale sui beni del soggetto obbligato al pagamento di imposte, interessi o sanzioni amministrative.

  • Il reato di dichiarazione infedele di cui all'art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000 si configura quando il contribuente indica in dichiarazione componenti positivi di reddito in misura inferiore a quella effettiva, ovvero elementi passivi fittizi, con superamento della soglia di punibilità, anche dopo le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 158/2015, che hanno elevato tale soglia a 150.000 euro per ciascuna imposta evasa. L'accertamento della responsabilità penale può fondarsi sui dati ricavati dai bilanci, dalle dichiarazioni fiscali e dai questionari inviati ai clienti e fornitori, senza necessità di una determinazione in via induttiva dell'imposta evasa. Il reato di cui all'art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000, invece, richiede una condotta attiva e commissiva di distruzione o occultamento totale o parziale delle scritture contabili la cui tenuta è obbligatoria per legge, con il dolo specifico di evasione propria o di terzi e l'evento della sopravvenuta impossibilità di ricostruire i redditi o il volume d'affari ai fini IVA. Tale condotta non può sostanziarsi in un mero comportamento omissivo, ma deve concretizzarsi in atti di distruzione od occultamento della documentazione contabile, la cui prova può desumersi anche da denunce di danneggiamento presentate dal contribuente.

  • Il reato di appropriazione indebita aggravata si configura quando il soggetto, abusando della disponibilità di somme di denaro a lui consegnate dai clienti per il pagamento di imposte, versa all'Erario importi inferiori a quelli ricevuti, contraffa o altera i relativi modelli F24 attestanti il pagamento, approfittando della fiducia riposta in lui dai clienti e cagionando loro pesanti ripercussioni nei rapporti con il fisco. Tali condotte, caratterizzate da un elevato disvalore sociale, integrano il reato di appropriazione indebita aggravata, punibile con una pena sensibilmente superiore al minimo edittale, in considerazione della gravità della condotta e della personalità dell'agente, il quale per anni ha abusato della fiducia dei clienti dello studio professionale di cui era associato. La falsità materiale dei modelli F24 alterati, destinati ad essere esibiti ai clienti o all'amministrazione finanziaria per eventuali controlli, integra altresì il reato di falsità ideologica in atto pubblico, a prescindere dalla modalità di pagamento delle imposte attraverso l'istituto di credito delegato, atteso che le ricevute rilasciate hanno comunque valore probatorio anche nei confronti di terzi fino a quando non ne sia accertata la falsità. Il ritardo nell'iscrizione del nome dell'indagato nel registro delle notizie di reato, pur se abnorme, non determina l'inutilizzabilità degli atti di indagine successivamente compiuti, in assenza di una specifica previsione normativa che sancisca tale sanzione, né la mancata notifica al difensore dell'avviso di richiesta di proroga delle indagini preliminari, in quanto la legge prevede tale adempimento solo nei confronti dell'indagato. Infine, la recidiva reiterata specifica infraquinquennale può essere riconosciuta in sede di cognizione anche quando in precedenza non sia stata dichiarata giudizialmente la recidiva semplice.

  • Il provvedimento interdittivo antimafia può essere legittimamente adottato dall'autorità prefettizia sulla base di un quadro indiziario complessivo, anche in assenza di una prova certa di infiltrazione mafiosa, quando emergano elementi gravi, precisi e concordanti che facciano ritenere probabile il pericolo di contaminazione del tessuto imprenditoriale da parte della criminalità organizzata. A tal fine, rilevano non solo i legami familiari e personali con esponenti della criminalità mafiosa, ma anche condanne per reati strumentali alle attività delle organizzazioni criminali, anomalie nella gestione societaria, nonché il coinvolgimento di dipendenti o collaboratori in attività illecite, tali da delineare un contesto di forte condizionamento del tessuto economico-sociale da parte della malavita organizzata. Il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento interdittivo non si esaurisce in un mero controllo di legittimità formale, ma implica una valutazione complessiva degli elementi posti a fondamento dell'atto, secondo un giudizio di probabilità e non di mera possibilità, senza che sia necessario il raggiungimento della certezza tipica dell'accertamento penale. L'autorità amministrativa gode di un ampio margine di discrezionalità nella valutazione del pericolo di infiltrazione mafiosa, sindacabile in sede giurisdizionale solo per evidente violazione di legge o macroscopica irrazionalità.

  • L'informazione antimafia interdittiva può essere legittimamente adottata dal Prefetto sulla base di un quadro indiziario complessivo, anche in assenza di coinvolgimenti penali diretti del soggetto interessato, purché tale quadro sia idoneo a far ritenere "più probabile che non" il pericolo di infiltrazione mafiosa nell'attività dell'impresa. A tal fine, rilevano elementi quali: i) rapporti del legale rappresentante con esponenti di spicco della criminalità organizzata, anche in assenza di precedenti penali; ii) partecipazioni societarie in imprese ritenute strumentali ad attività mafiose; iii) vicinanza a famiglie di 'ndrangheta, anche se non direttamente coinvolte in procedimenti penali. Tali elementi, valutati complessivamente e secondo il canone inferenziale "quae singula non prosunt, collecta iuvant", possono fondare il giudizio di probabilità del pericolo di infiltrazione mafiosa, senza che assuma carattere esimente l'impegno sociale o l'assenza di pendenze penali del soggetto interessato. Il sindacato giurisdizionale sulla legittimità dell'informativa antimafia non può spingersi fino a sostituire le valutazioni discrezionali dell'Autorità amministrativa, ma deve limitarsi a verificare la ragionevolezza e proporzionalità della prognosi inferenziale effettuata dal Prefetto sulla base del quadro indiziario complessivo, secondo il criterio probabilistico proprio della natura preventiva e non sanzionatoria della misura.

  • Il provvedimento interdittivo antimafia può essere legittimamente adottato dalla Prefettura sulla base di un quadro indiziario grave, preciso e concordante, idoneo a far ritenere, secondo il criterio del "più probabile che non", l'esistenza di un concreto pericolo di infiltrazione e condizionamento mafioso dell'impresa, anche in assenza di una prova diretta dell'effettiva contaminazione. A tal fine, assumono rilievo non solo i precedenti penali e di polizia del titolare o di soggetti ad esso legati da vincoli familiari o societari, ma anche la sussistenza di stretti rapporti personali, economici e negoziali tra l'impresa e soggetti contigui alla criminalità organizzata, i quali, per la loro intensità e pervasività, possono far presumere una commistione delle attività imprenditoriali con gli interessi della consorteria criminale, tale da rendere l'impresa permeabile al condizionamento mafioso. Il giudice amministrativo, nel sindacare la legittimità dell'interdittiva, non può sostituire la propria valutazione a quella dell'autorità prefettizia, ma deve limitarsi a verificare la ragionevolezza e proporzionalità della prognosi inferenziale compiuta dall'Amministrazione sulla base del compendio indiziario, senza che assuma rilievo, ai fini della legittimità del provvedimento, l'eventuale successiva pronuncia assolutoria in sede penale, atteso che il giudizio di pericolosità sociale deve essere ancorato al momento dell'adozione dell'atto amministrativo, secondo il principio tempus regit actum.

  • Il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico di cui all'art. 483 c.p. non sussiste quando il dichiarante, in sede di dichiarazione sostitutiva, ometta di menzionare una precedente sentenza di applicazione della pena su richiesta, in quanto il dichiarante non è tenuto a riferire nulla di più di quanto risulti dal certificato penale. Ciò in ragione della peculiare natura e degli effetti della sentenza di patteggiamento, che non implica un accertamento della penale responsabilità dell'imputato, e della conseguente esclusione dell'elemento psicologico del dolo, essendo sufficiente a integrare il reato la mera inosservanza del dovere di migliore informazione giuridica sui precedenti penali. Pertanto, la condotta del dichiarante che, pur avendo riportato una condanna per reati commessi in passato, affermi di non aver riportato condanne penali, non integra gli estremi del delitto di falsità ideologica, in assenza della consapevolezza e volontà della falsità della dichiarazione, anche in considerazione del tempo trascorso dalla sentenza di patteggiamento e della sua natura peculiare.

  • Il legale rappresentante di una società che, al fine di evadere le imposte sui redditi e l'IVA, si avvale di fatture per operazioni inesistenti emesse da una società satellite, della quale egli è amministratore di fatto, commette il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, di cui all'art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000, in concorso con l'amministratore di fatto della società satellite che ha emesso le fatture inesistenti, ai sensi dell'art. 8 del medesimo decreto. Tuttavia, il mero dipendente della società che svolge mansioni contabili e amministrative, pur essendo a conoscenza delle irregolarità, non risponde del reato se non è emerso che abbia consapevolmente concorso nella commissione dello stesso. Inoltre, l'amministratore della società che, in conflitto di interesse, dispone di beni sociali a proprio vantaggio, realizzando un danno patrimoniale per la società, commette il reato di infedeltà patrimoniale di cui all'art. 2634 c.c., anche se successivamente ha restituito le somme alla società a titolo di finanziamento soci. Tuttavia, per tutti i reati contestati, può essere dichiarata la prescrizione, ove maturata.

  • Il tentativo di truffa mediante l'utilizzo di documenti di identità e titoli di riscossione fiscale contraffatti, integra gli elementi oggettivi e soggettivi del delitto di truffa tentata, punibile ai sensi dell'art. 640 c.p., anche quando l'azione criminosa sia stata interrotta da un fatto esterno, come il rifiuto di pagamento opposto dalla persona offesa. La condotta fraudolenta, consistente nell'esibizione di documenti apparentemente genuini ma in realtà falsificati, è idonea a trarre in inganno la vittima e a determinarne l'errore, elemento essenziale del reato di truffa. Sussiste altresì il reato di sostituzione di persona ex art. 494 c.p., in quanto l'agente ha assunto le generalità di altra persona al fine di realizzare uno scopo illecito. I reati di tentata truffa e sostituzione di persona, commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, devono ritenersi unificati dal vincolo della continuazione. Integra inoltre il reato di falsità materiale di cui agli artt. 476 e 482 c.p., aggravato dall'aver commesso il fatto a danno dello Stato o della P.A., la condotta di falsificazione dei documenti di identità utilizzati per legittimare la richiesta di riscossione dei rimborsi fiscali. È altresì configurabile il reato di ricettazione ex art. 648 c.p., aggravato per aver cagionato un danno all'Erario, in quanto l'agente si era preventivamente e illegittimamente procurato i moduli di riscossione fiscale, provento di furto o altro delitto, con la consapevolezza della loro provenienza illecita. Tutti i reati, commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, devono ritenersi unificati dal vincolo della continuazione, con applicazione del più favorevole cumulo giuridico delle pene.

  • La presentazione di documentazione falsa o contraffatta a sostegno della domanda di permesso di soggiorno per motivi di lavoro comporta automaticamente, oltre alle relative responsabilità penali, l'inammissibilità della domanda e la legittima revoca del titolo di soggiorno già rilasciato, indipendentemente dall'accertamento in sede penale della falsità e dalla dimostrazione della consapevolezza del lavoratore circa la natura fittizia del rapporto di lavoro allegato. Tuttavia, il lavoratore può essere ammesso a provare l'inconsapevolezza della natura fittizia del rapporto di lavoro e la sussistenza di altri rapporti lavorativi idonei a consentire il raggiungimento del reddito minimo previsto per il rilascio del permesso di soggiorno, circostanze che, se dimostrate, possono consentire di prescindere dalla natura fittizia del rapporto di lavoro originariamente allegato. In ogni caso, l'omessa comunicazione del preavviso di rigetto non comporta l'annullamento del provvedimento di revoca del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, trattandosi di atto vincolato, in quanto la presentazione di documentazione falsa o contraffatta costituisce di per sé giusta causa di diniego o revoca, indipendentemente da eventuali vizi procedimentali.

  • Il reato di truffa aggravata continuata si configura quando l'agente, con artifizi e raggiri consistenti nel presentarsi come professionista esperto in materia tributaria e contabile, induce in errore la persona offesa inducendola a consegnare denaro per prestazioni mai effettuate. L'elemento oggettivo del reato è integrato dalla condotta ingannatoria dell'agente, a prescindere dalla sua effettiva competenza in materia fiscale o dal fatto di aver trattenuto o meno parte del denaro per sé. Il termine per la proposizione della querela decorre dal momento in cui la persona offesa ha piena consapevolezza della consumazione del reato, ovvero quando non ottiene i rimborsi o i risultati prospettati dall'agente, anche se le dazioni di denaro siano avvenute in tempi diversi. L'aggravante della recidiva specifica infraquinquennale, se regolarmente contestata, deve essere valutata dal giudice ai fini della determinazione della pena, senza che la mancata notifica del relativo verbale all'imputato contumace possa inficiare la legittimità della contestazione.

  • Il rigetto della dichiarazione di emersione dal lavoro irregolare non può precludere il rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione, qualora il rapporto di lavoro pregresso sia effettivamente esistente e il lavoratore straniero sia presente in Italia alla data del 31 dicembre 2011, anche in presenza di irregolarità contributive o reddituali del datore di lavoro, purché siano stati comunque versati i contributi minimi previsti dalla legge. L'Amministrazione, in tali casi, è tenuta a verificare attentamente la sussistenza dei presupposti di legge per il rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione, senza poter fondare il diniego sulla mera presunzione di fittizietà del rapporto di lavoro sulla base di elementi indiziari, ma dovendo procedere ad un'istruttoria più approfondita prima di adottare il provvedimento finale.

  • Il rilascio di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato sulla base di false dichiarazioni e documentazioni relative all'esistenza di un rapporto di lavoro domestico, costituisce il reato di falsità ideologica in atto pubblico, in concorso con il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, anche quando il lavoratore straniero non abbia mai effettivamente svolto le mansioni di badante presso la residenza del datore di lavoro, essendo emerso che tale indicazione era stata inserita nella domanda di emersione al solo fine di consentire il rilascio del permesso di soggiorno, in cambio del pagamento di una somma di denaro. La circostanza che il lavoratore straniero si sia recato presso l'attività lavorativa del datore di lavoro, anziché presso la sua abitazione, non vale a dimostrare la veridicità del rapporto di lavoro dichiarato, in quanto tale condotta rientra nell'ambito del pactum sceleris finalizzato all'ottenimento fraudolento del permesso di soggiorno. L'interpretazione del linguaggio criptico o cifrato utilizzato nelle intercettazioni costituisce questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, la cui motivazione logica e coerente con le massime di esperienza utilizzate si sottrae al sindacato di legittimità. Il dubbio ragionevole, ai fini dell'assoluzione, deve essere ancorato a elementi concreti desumibili dalle risultanze processuali e non può fondarsi su mere ipotesi congetturali, ancorché astrattamente plausibili.

  • La massima giuridica che si può trarre dalla sentenza è la seguente: L'informazione antimafia interdittiva emessa dalla Prefettura è legittima quando, sulla base di un complesso di elementi indiziari, emerge un concreto e attuale rischio di infiltrazione mafiosa nell'attività d'impresa, anche in assenza di una prova diretta di collegamenti formali tra la società e la criminalità organizzata. Il giudice amministrativo deve valutare tali elementi indiziari in modo unitario e complessivo, senza richiedere una prova di tipo diretto o una dimostrazione certa del condizionamento mafioso, essendo sufficiente un giudizio di "ragionevole verosimiglianza" del pericolo di infiltrazione, secondo il canone inferenziale "quae singula non prosunt, collecta iuvant". Rientrano tra gli elementi indiziari rilevanti: la riconducibilità di quote societarie a soggetti già colpiti da interdittive antimafia, la continuità gestionale e operativa tra società collegate, la presenza di amministratori e figure apicali ritenute vicine ad ambienti mafiosi, nonché ogni altro elemento sintomatico di un condizionamento dell'attività d'impresa da parte della criminalità organizzata.

  • Il reato di omesso versamento di ritenute alla fonte, di cui all'art. 10-bis del D.Lgs. n. 74/2000, ha natura omissiva istantanea e si consuma alla scadenza del termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto d'imposta (30 settembre dell'anno successivo), indipendentemente dal momento in cui è avvenuto l'inadempimento degli obblighi fiscali. L'elemento psicologico richiesto dalla norma è il dolo generico, ovvero la consapevolezza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate, a prescindere dalla sussistenza di una provata dimenticanza o sola colpa. La figura del sostituto d'imposta, regolata dall'art. 64 del D.P.R. n. 600/73, ha una veste eminentemente strumentale, in quanto tende ad agevolare il prelievo tributario e a rendere l'esazione più sicura, essendo il sostituto chiamato a versare materialmente il tributo, di regola senza avere, a differenza del sostituito, interesse economico all'evasione. Pertanto, lo stato di crisi di liquidità della società, dovuto all'insolvenza delle ASL convenzionate, non giustifica l'omesso versamento delle ritenute IRPEF operate sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti e professionisti, in quanto l'obbligo del pagamento del tributo grava sul sostituto d'imposta a prescindere dalla sua relazione con i presupposti del pagamento stesso.

  • Il provvedimento di scioglimento di un consiglio comunale ai sensi dell'art. 143 del d.lgs. n. 267/2000 ha natura preventiva e cautelare, non sanzionatoria, e può essere adottato sulla base di elementi concreti, univoci e rilevanti che delineino un quadro complessivo di condizionamento dell'ente locale da parte della criminalità organizzata, idoneo a compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell'amministrazione comunale. Tali elementi sintomatici del condizionamento criminale non devono necessariamente integrare fattispecie penalmente rilevanti, essendo sufficiente che presentino un grado di significatività e concludenza tale da giustificare l'adozione della misura di rigore, anche in assenza di pronunce definitive della magistratura penale. In particolare, possono rilevare a tal fine i legami consolidati nel tempo tra amministratori locali e soggetti collegati alla criminalità organizzata, l'influenza diretta e decisiva esercitata da questi ultimi sulla composizione degli organi elettivi e amministrativi dell'ente, nonché la presenza di contatti e relazioni tra gli amministratori e personaggi appartenenti o contigui ad ambienti mafiosi, anche se non sfociati in condanne penali definitive. Pertanto, il provvedimento di scioglimento può essere legittimamente adottato sulla base di un quadro indiziario complessivo, desumibile da una pluralità di elementi sintomatici, senza che sia necessaria la prova di specifici reati o condotte illecite, essendo sufficiente che tali elementi risultino idonei a delineare un condizionamento dell'ente locale da parte della criminalità organizzata, tale da compromettere il regolare svolgimento delle funzioni amministrative.

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