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Massima giuridica: Il lavoratore inquadrato come infermiere professionale, in possesso di specifiche competenze e titoli abilitanti, non può essere stabilmente adibito a svolgere in via prevalente mansioni di assistenza diretta e di carattere meramente manuale, proprie di figure professionali di livello inferiore, come gli operatori socio-sanitari, salvo che tali attività non siano strettamente accessorie e marginali rispetto alle mansioni tipiche della sua qualifica. L'assegnazione sistematica e continuativa di mansioni dequalificanti, che impediscono all'infermiere di svolgere in modo adeguato le proprie funzioni professionali, integra un inadempimento datoriale che comporta il diritto del lavoratore al risarcimento del danno alla dignità e all'immagine professionale, da quantificarsi equitativamente in una quota della retribuzione mensile, tenuto conto della durata e delle modalità della dequalificazione. Il datore di lavoro pubblico è tenuto ad organizzare il servizio in modo da garantire che ciascun lavoratore possa svolgere in via prevalente le mansioni corrispondenti alla propria qualifica, avvalendosi di personale di livello inferiore per le attività di mero supporto, salvo i casi di necessità ed urgenza in cui l'infermiere possa intervenire direttamente per esigenze di tutela del paziente.
Il dovere di custodia e cura degli operatori sociosanitari nei confronti di persone anziane e disabili ricoverate in strutture assistenziali comporta l'obbligo di garantire la loro incolumità e di impedire condotte di maltrattamento, abbandono e abuso professionale, anche attraverso la corretta somministrazione di terapie e farmaci. La violazione di tali doveri, mediante condotte attive e omissive, integra i reati di maltrattamenti in famiglia, abbandono di incapace ed esercizio abusivo della professione infermieristica, senza che tali condotte possano essere assorbite in un reato più grave o riqualificate in fattispecie meno gravi. Il consenso della persona offesa, se affetta da disturbi mentali, non esclude la responsabilità penale dell'agente, salvo che non sia dimostrato che il consenso non sia stato viziato dalla condizione di inferiorità psichica della vittima. Il giudice, nel valutare la sussistenza di circostanze attenuanti generiche, deve considerare la gravità oggettiva del fatto, la capacità a delinquere dell'imputato e gli altri elementi indicati dall'art. 133 c.p., senza essere vincolato dalla scelta del rito alternativo o dalla mancata richiesta di revoca della misura cautelare. La condanna penale comporta l'obbligo di risarcimento del danno in favore delle parti civili, con liquidazione di una provvisionale, senza che tale statuizione sia autonomamente impugnabile.
Il lavoratore inquadrato con qualifica di infermiere professionale, pur svolgendo in misura prevalente le mansioni proprie del suo profilo, può essere legittimamente adibito dal datore di lavoro pubblico anche a compiti di natura inferiore, accessoria e non prevalente, purché tali mansioni non siano del tutto estranee alla sua professionalità e rispondano a obiettive esigenze organizzative o di sicurezza. Qualora l'assegnazione di tali mansioni inferiori non abbia carattere marginale e occasionale, ma risulti abituale e continuativa per un lungo periodo di tempo, ciò integra una condotta di demansionamento che determina un danno non patrimoniale in capo al lavoratore, liquidabile in via equitativa in misura pari al 10% della retribuzione media netta percepita, tenuto conto della prevalenza quantitativa delle mansioni proprie della qualifica. Il danno non patrimoniale da demansionamento può essere presunto in ragione della durata e della sistematicità dello svolgimento di mansioni inferiori, senza necessità di specifica allegazione e prova da parte del lavoratore, quando risulti accertato che le stesse non erano marginali né occasionali.
Il demansionamento dell'infermiere professionale, consistente nello svolgimento abituale e prevalente di mansioni proprie del personale ausiliario (OTA e OSS), quali l'igiene dei pazienti, il cambio delle lenzuola, il rifacimento dei letti, l'alimentazione dei pazienti non autosufficienti, il trasporto dei pazienti, a causa della carenza cronica di tali figure professionali, integra un inadempimento datoriale che comporta il diritto del lavoratore al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, da liquidarsi equitativamente in una percentuale della retribuzione normale netta percepita, in considerazione della durata pluriennale del demansionamento.
Il reato di esercizio abusivo della professione sanitaria, nella specie di infermiere, non è configurabile quando l'attività concretamente svolta, pur consistente nella somministrazione di farmaci prescritti dai medici curanti agli ospiti di una struttura residenziale per anziani, non sia stata realizzata con modalità tali, per continuità, onerosità e organizzazione, da creare l'oggettiva apparenza dell'esercizio di un'attività infermieristica. Infatti, l'attività di assistenza all'assunzione di farmaci rientra nelle competenze dell'operatore socio-sanitario, figura distinta da quella dell'infermiere professionale, e non integra gli estremi dell'esercizio abusivo della professione sanitaria, salvo che non sia svolta con le caratteristiche di abitualità, remunerazione e organizzazione proprie dell'attività professionale. Pertanto, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 348 c.p., è necessario accertare non solo la natura dell'attività concretamente svolta, ma anche le modalità con cui essa è stata realizzata, al fine di verificare se abbia assunto le connotazioni tipiche dell'esercizio di una professione sanitaria in assenza del relativo titolo abilitativo.
Il lavoratore pubblico inquadrato nella categoria professionale superiore può essere adibito in via accessoria e marginale a mansioni inferiori, purché sia garantito lo svolgimento prevalente e assorbente delle mansioni proprie della categoria di appartenenza, le mansioni accessorie non siano completamente estranee alla sua professionalità e ricorra una obiettiva esigenza organizzativa o di sicurezza del datore di lavoro pubblico, nel rispetto del dovere di leale collaborazione del lavoratore nella tutela dell'interesse pubblico, anche in caso di mancata copertura degli organici per il profilo inferiore, atteso che il lavoratore pubblico è tenuto ad ispirare la propria condotta al rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà e imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico.
Il datore di lavoro è tenuto ad adibire i lavoratori esclusivamente alle mansioni corrispondenti alla categoria e al profilo professionale di appartenenza, nel rispetto del principio di equivalenza delle mansioni. Il demansionamento, ovvero l'assegnazione a mansioni inferiori, lede il diritto del lavoratore all'espressione e alla valorizzazione della propria professionalità, tutelato dall'art. 35 Cost., e integra una condotta inadempiente del datore di lavoro, fonte di responsabilità contrattuale. Tale condotta illecita può cagionare un danno non patrimoniale al lavoratore, consistente nella lesione della sua immagine professionale e della sua dignità personale, da risarcire in via equitativa. Il datore di lavoro è inoltre tenuto a garantire al lavoratore il diritto al riposo settimanale e il riposo compensativo in caso di prestazione lavorativa in regime di pronta disponibilità in giorno festivo, il cui mancato riconoscimento integra un ulteriore inadempimento contrattuale fonte di danno da usura psicofisica, anch'esso risarcibile in via equitativa. Infine, il tempo necessario per indossare e svestire la divisa di lavoro, quando imposto dal datore di lavoro per ragioni di sicurezza e igiene, costituisce tempo di lavoro retribuibile.
Gli infermieri professionali, in quanto incaricati di pubblico servizio, hanno il dovere di vigilare sul decorso clinico dei pazienti ricoverati e di segnalare tempestivamente al medico di turno ogni situazione di dubbio o di potenziale pericolo per la salute del paziente, anche in assenza di una specifica richiesta di intervento da parte dello stesso. Il rifiuto ingiustificato di chiamare il medico di guardia in presenza di sintomi che possono indicare un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, come nel caso di forte emicrania accompagnata da vomito e perdita di equilibrio con conseguente caduta, integra il reato di omissione di atti d'ufficio, a prescindere dal fatto che tale condotta abbia o meno cagionato un danno effettivo al paziente. Infatti, il delitto di omissione di atti d'ufficio è un reato di pericolo, la cui consumazione non richiede la verificazione di un concreto pregiudizio, essendo sufficiente il mancato compimento di un atto dovuto che deve essere eseguito senza ritardo, in modo da tutelare tempestivamente il bene giuridico protetto, ossia il corretto funzionamento della pubblica amministrazione e la salvaguardia della salute del paziente. La qualifica di incaricato di pubblico servizio è riconosciuta agli infermieri professionali, in quanto il loro ruolo di assistenza e controllo del decorso clinico dei pazienti ricoverati, svolto in modo diretto e personale, è inserito nell'attività di natura pubblica del servizio sanitario, indipendentemente dal fatto che il loro rapporto di lavoro sia regolato dalle norme del codice civile.
In tema di colpa professionale, l'infermiere è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, gravando sullo stesso un obbligo di assistenza effettiva e continuativa del soggetto ricoverato, atta a fornire tempestivamente al medico di guardia un quadro preciso delle condizioni cliniche ed orientarlo verso le più adeguate scelte terapeutiche. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la affermazione di responsabilità dei due infermieri di turno in reparto per la morte del paziente, con evidenti sintomi di edema, conseguente all'omessa attività di monitoraggio dei parametri vitali nella immediata fase post-operatoria).
L'infermiere, nell'esercizio della propria attività professionale, ha il dovere di collaborare in modo critico e attento con il personale medico, al fine di richiamare la loro attenzione su eventuali errori o dubbi circa la congruità e pertinenza della terapia prescritta, senza tuttavia sindacare l'operato del medico. Pertanto, l'infermiere che, a fronte del persistere di sintomi preoccupanti in un paziente, si limiti a informare il medico responsabile senza sollecitare ulteriori accertamenti e interventi, non può essere ritenuto responsabile per le eventuali omissioni diagnostiche e terapeutiche, le quali ricadono invece sulla responsabilità del personale medico preposto alle cure. Ciò in quanto l'infermiere, pur essendo tenuto a un dovere di vigilanza e segnalazione, non ha il potere decisionale in merito alle scelte diagnostiche e terapeutiche, le quali spettano esclusivamente al medico. Pertanto, la condotta omissiva dell'infermiere non può essere considerata penalmente rilevante, salvo che non emerga una sua specifica e autonoma responsabilità per negligenza o imperizia nell'esecuzione delle prestazioni infermieristiche di sua competenza.
Il medico del pronto soccorso e il personale sanitario che hanno in cura un paziente con trauma cranico commotivo sono tenuti a effettuare tempestivamente gli accertamenti diagnostici necessari, in particolare la TAC cranio, al fine di individuare prontamente l'eventuale presenza di lesioni intracraniche e predisporre il conseguente adeguato trattamento terapeutico. L'omissione di tali accertamenti e il mancato monitoraggio delle condizioni cliniche del paziente, nonostante la segnalazione di sintomi indicativi di un peggioramento del quadro neurologico, integrano una condotta colposa che può essere causalmente collegata all'evento infausto, ove si dimostri che un più tempestivo intervento diagnostico e terapeutico avrebbe potuto evitare o quantomeno ritardare l'exitus. Gli infermieri, in ragione della loro posizione di garanzia, sono tenuti a vigilare sul decorso post-operatorio del paziente e a segnalare prontamente al personale medico l'insorgenza di sintomi che possano far presumere un aggravamento delle condizioni cliniche, al fine di consentire l'adozione delle opportune misure diagnostiche e terapeutiche. L'omissione di tale attività di controllo e segnalazione, ove abbia concausalmente contribuito all'evento infausto, integra una condotta colposa ascrivibile agli infermieri.
Il titolo di ostetrica non consente l'esercizio continuativo e generalizzato della professione infermieristica, essendo le due figure professionali disciplinate da distinti decreti ministeriali che ne definiscono ambiti e competenze specifiche. L'articolo 7 del D.P.R. n. 163 del 1975, nel consentire all'ostetrica di "praticare tutto quanto è consentito agli infermieri professionali", si riferisce esclusivamente alle attività infermieristiche strettamente connesse e strumentali all'assistenza delle gestanti, partorienti e puerpere, e non legittima l'assunzione di mansioni infermieristiche generali e continuative. Tuttavia, la presenza di precedenti giurisprudenziali apparentemente favorevoli, l'instaurazione di un regolare rapporto di lavoro come infermiera e la formulazione apparentemente onnicomprensiva della norma di cui al citato articolo 7 possono integrare elementi idonei a escludere la consapevolezza e volontarietà dell'esercizio abusivo della professione infermieristica, con conseguente necessità di una doverosa rivalutazione dell'elemento soggettivo del reato, preclusa tuttavia dalla sopravvenuta prescrizione.
Il personale infermieristico, in virtù della propria autonoma professionalità e posizione di garanzia nei confronti del paziente, è tenuto a vigilare attentamente sul decorso post-operatorio e a segnalare tempestivamente al medico qualsiasi anomalia o sintomo che possa far sospettare il manifestarsi di complicanze, al fine di consentire l'immediato intervento del personale medico. L'omissione di tale dovere di vigilanza e di segnalazione, qualora cagioni l'aggravamento delle condizioni del paziente o il suo decesso, integra una condotta penalmente rilevante a titolo di colpa. Pertanto, gli infermieri che, nonostante la presenza di chiari segnali di allarme come crisi ipotensive, episodi di ipotensione e riacutizzazione di sintomi emorragici, non provvedano tempestivamente a chiamare il medico di guardia, violano la loro posizione di garanzia e possono essere ritenuti responsabili, sotto il profilo della colpa, dell'evento lesivo o letale verificatosi in danno del paziente. Tale responsabilità sussiste in modo autonomo rispetto a quella eventualmente ascrivibile al personale medico, in quanto l'infermiere è tenuto a svolgere un ruolo cautelare essenziale nella salvaguardia della salute del paziente, indipendentemente dalle valutazioni e dalle decisioni del medico curante.
Il mero possesso del titolo abilitativo all'esercizio della professione infermieristica non implica automaticamente l'inquadramento nel ruolo degli ufficiali, in quanto il ruolo da riconnettersi alla qualifica di ufficiale non può essere attribuito in base al solo titolo di studio, richiedendo imprescindibilmente ulteriori e molteplici fattori quali la funzione svolta nonché la posizione assunta nell'ambito dell'organizzazione militare. L'ordinamento distingue espressamente la figura del medico - definito come ufficiale - dalle ulteriori professioni sanitarie, tra le quali quella infermieristica, per le quali non sussiste un generale obbligo dell'Amministrazione di inquadrarli nel ruolo degli ufficiali. Ciò in quanto le differenze in termini di qualificazione, responsabilità e posizione che distinguono la professione di infermiere da quella di medico non consentono di estendere ai primi il trattamento di privilegio riconosciuto ai secondi, come il maggiore margine di libertà nello svolgimento di attività extraprofessionale. Il transito dal ruolo dei sottoufficiali a quello degli ufficiali, inoltre, assume la valenza di passaggio a un inquadramento superiore, tale da implicare la costituzione novativa di un nuovo rapporto lavorativo, il cui conferimento deve avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, in ossequio al principio di tendenziale inderogabilità del reclutamento mediante concorso sancito dall'art. 97 della Costituzione.
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