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Il reato di maltrattamenti in famiglia si configura quando l'agente, con una condotta abituale e sistematica di sopraffazione, infligge alla vittima sofferenze fisiche e morali tali da rendere particolarmente dolorosa la convivenza familiare, anche in assenza di violenze fisiche dirette, essendo sufficiente l'abituale compimento di atti lesivi della dignità e del decoro della persona offesa, come minacce, ingiurie, privazioni e umiliazioni. L'elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di mantenere abitualmente un comportamento causativo di tali sofferenze, senza che sia necessario il proposito specifico di infliggere alla vittima un regime di vita vessatorio. La condotta abituale può realizzarsi anche in un limitato arco temporale, purché connotata da ripetitività e unitarietà di intento. Il giudice, nel valutare l'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, deve effettuare un rigoroso esame della loro intrinseca consistenza, coerenza e genuinità, potendo esse costituire prova diretta del fatto anche in assenza di riscontri esterni, salvo situazioni che inducano a dubitarne. Il diniego delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente fondato sull'apprezzamento di un solo elemento negativo, oggettivo o soggettivo, ritenuto prevalente rispetto ad altri eventuali elementi positivi.
Il reato di maltrattamenti in famiglia si configura quando l'agente pone in essere, in modo abituale, una serie di atti di vessazione, prevaricazione, intimidazione e offesa della dignità della persona offesa, tali da creare in quest'ultima uno stato di prostrazione e sofferenza, anche in assenza di lesioni fisiche, e da rendere particolarmente dolorosa la convivenza. L'elemento soggettivo del reato è integrato dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo a tali sofferenze in modo continuo e abituale, senza che sia necessario il dolo specifico di infliggere intenzionalmente tali sofferenze. Il reato di estorsione si configura quando l'agente, mediante violenza o minaccia, costringe la persona offesa a compiere atti di disposizione patrimoniale a proprio vantaggio, limitandone in modo considerevole la libertà di autodeterminazione, anche quando utilizza mezzi leciti e azioni astrattamente consentite, purché lo scopo mediato sia quello di coartare l'altrui volontà. Tali reati, se commessi in modo abituale e con unità di intento, possono essere unificati dal vincolo della continuazione, con conseguente applicazione di un trattamento sanzionatorio unitario, salvo il riconoscimento di eventuali circostanze attenuanti, come la diminuita capacità di intendere e volere dell'imputato.
Il maltrattamento in famiglia è un reato abituale che si configura quando l'imputato sottopone la vittima, in modo reiterato, a una serie di condotte aggressive, violente e mortificanti, tali da cagionarle sofferenze fisiche e morali e da instaurare un regime di vita oggettivamente insostenibile, ispirato alla sopraffazione sistematica. L'elemento psicologico del reato consiste nella coscienza e volontà dell'imputato di sottoporre la vittima a tale sistema di afflizioni, anche qualora versi in stato di ebbrezza, che rappresenta un indice di maggior intensità del dolo e di gravità della condotta, in assenza di prova di una patologia che integri una causa di incapacità. La reiterazione e sistematicità delle condotte, che rendono manifesta l'esistenza di un programma criminoso animato da una volontà unitaria di vessare il soggetto passivo, costituiscono prova inequivocabile dell'elemento soggettivo. Tuttavia, il giudice può riconoscere all'imputato le circostanze attenuanti generiche, prevalenti sulle aggravanti, qualora abbia intrapreso un programma riabilitativo e di reinserimento sociale che lasci supporre l'astensione da ulteriori reati.
Il reato di maltrattamenti in famiglia si configura quando la condotta abituale dell'agente, caratterizzata da plurimi atti lesivi, anche non necessariamente fisici, realizzati in tempi successivi, offende in modo reiterato l'integrità fisica, morale e psichica della vittima, imponendole un sistema di vita connotato da sofferenze, afflizioni e umiliazioni che incidono negativamente sulla sua personalità e sulla sua dignità. Tale reato è applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma anche a qualsiasi relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l'insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale, come nel caso di una relazione stabile che abbia determinato la nascita di un figlio comune. Ai fini della sussistenza del reato, non è necessario che gli atti lesivi si protraggano per un periodo di tempo particolarmente prolungato, essendo sufficiente la ripetizione degli atti vessatori, anche se per un limitato periodo, purché unificati da un vincolo di abitualità e da un'unica intenzione criminosa. La recidiva infraquinquennale, prevista dall'art. 99, comma 2, n. 2, c.p., si applica quando il nuovo reato è commesso entro cinque anni dalla condanna precedente divenuta irrevocabile, a prescindere dal fatto che la condotta materiale del nuovo reato sia stata posta in essere in un periodo successivo. Nell'individuazione della pena, il giudice deve tenere conto della gravità della condotta, della sua reiterazione nel tempo e dell'eventuale presenza di precedenti penali, senza essere vincolato all'obbligo di specifica motivazione per gli aumenti di pena effettuati ai sensi dell'art. 81 c.p. in caso di reato continuato, essendo sufficiente il richiamo alle ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base.
Il maltrattamento in famiglia, quale condotta abituale e sistematica di violenza fisica e morale, anche psicologica, perpetrata in ambito domestico, integra il reato di cui all'art. 572 c.p. e sussiste anche in assenza di lesioni fisiche gravi, quando la condotta del reo sia idonea a cagionare sofferenze e umiliazioni tali da compromettere gravemente l'equilibrio psico-fisico della vittima. La responsabilità penale del maltrattante può essere esclusa solo in presenza di una totale incapacità di intendere e di volere, accertata in concreto sulla base di una perizia psichiatrica, mentre la mera difficoltà di adattamento sociale o la necessità di cure mediche non sono sufficienti a escludere la capacità di intendere e di volere. Il rapporto familiare, anche di fatto, tra il reo e la persona offesa è elemento costitutivo del reato, non essendo necessaria la convivenza stabile. Nell'individuazione della pena, il giudice deve tenere conto della personalità del colpevole, della gravità del fatto e delle sue conseguenze, nonché di ogni altra circostanza relativa alla commissione del reato, senza che ciò comporti un obbligo di specifica motivazione per ogni singolo elemento valutato.
Il delitto di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. richiede la prova di una pluralità di atti, anche non necessariamente delittuosi, realizzati in momenti successivi, che, nel loro insieme, determinino un regime di vita dolorosamente vessatorio per la vittima, tale da rendere abitualmente insostenibile la sua esistenza. L'elemento soggettivo del reato non implica l'intenzione di sottoporre la vittima a un continuo e abituale regime di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell'agente di persistere in un'attività vessatoria. La testimonianza della persona offesa, pur costituendo fonte di prova primaria, deve essere valutata criticamente dal giudice in relazione alla sua credibilità soggettiva e all'attendibilità intrinseca del racconto, senza poter automaticamente acquisire le sue precedenti dichiarazioni in caso di ritrattazione, a meno che non ricorrano le condizioni di cui all'art. 500 c.p.p. Ove la testimonianza della persona offesa non sia supportata da altri elementi probatori esterni idonei a confermare in modo univoco l'abitualità della condotta vessatoria, il giudice deve pronunciare sentenza assolutoria per insufficienza di prove. Analogamente, per il delitto di estorsione ex art. 629 c.p., la mancata conferma da parte della persona offesa delle pretese estorsive, in assenza di altri riscontri probatori, comporta l'assoluzione dell'imputato per non aver commesso il fatto.
Il maltrattamento in famiglia, anche nei confronti di persona con disabilità, costituisce un reato abituale caratterizzato da una condotta sistematica e programmata di sopraffazione fisica e morale, idonea a cagionare un perdurante stato di sofferenza e avvilimento nella vittima. Tale condotta, reiterata nel tempo, esprime la coscienza e volontà dell'agente di persistere in un'attività vessatoria lesiva della personalità della persona offesa, anche se non necessariamente accompagnata dalla rappresentazione di una pluralità di atti specifici. La gravità della condotta, la durata prolungata degli episodi di violenza, l'utilizzo di violenza fisica anche nei confronti di soggetti vulnerabili, nonché la recidiva dell'agente, sono elementi che aggravano la responsabilità penale e incidono sulla determinazione della pena, la quale deve comunque perseguire finalità rieducative. Il danno non patrimoniale subito dalle vittime, nella forma del danno morale, è provato e meritevole di immediato risarcimento, fermo restando la possibilità di un ulteriore accertamento di danni maggiori in sede civile.
Il reato di maltrattamenti in famiglia di cui all'art. 572 c.p. si configura quando la condotta abituale dell'agente, manifestatasi attraverso una pluralità di atti lesivi della integrità fisica e morale della vittima, determina un disagio continuo e incompatibile con normali condizioni di vita, indipendentemente dalla reciprocità degli episodi o dalla loro episodicità, essendo sufficiente che essi siano collegati da un nesso di abitualità e da un'unica intenzione criminosa di vessare il soggetto passivo. L'elemento unificatore dei singoli episodi è costituito da un dolo unitario e quasi programmatico, che abbraccia e fonde le diverse azioni, realizzandosi progressivamente nella reiterazione dei maltrattamenti, sicché il colpevole accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in un'attività illecita già posta in essere in precedenza. Ai fini dell'applicazione della misura cautelare, è sufficiente che il giudice motivi adeguatamente in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, anche attraverso il richiamo agli elementi oggettivi emersi nel corso delle indagini e segnalati dalla richiesta del pubblico ministero, purché ne espliciti il proprio esame critico e le ragioni per cui li ritenga idonei a supportare l'applicazione della misura, senza che sia necessaria una valutazione analitica di ogni singolo episodio o indagato.
Il maltrattamento in famiglia si configura quando la condotta dell'agente, caratterizzata da una sistematica e perdurante sopraffazione e vessazione, crea una situazione di grave disagio e sofferenza psicologica e fisica nella vittima, compromettendone gravemente la serenità e l'integrità morale. Ai fini della sussistenza del reato non è necessario che le violenze siano reciproche o che l'intensità delle stesse sia equivalente tra i coniugi, essendo sufficiente che emerga un rapporto di prevaricazione e di imposizione di un regime di vita persecutorio ed umiliante da parte di uno dei due soggetti nei confronti dell'altro. La valutazione della gravità e della reiterazione delle condotte deve essere effettuata complessivamente, tenendo conto di tutti gli elementi di prova acquisiti, tra cui le dichiarazioni della persona offesa, ritenute pienamente attendibili ove sorrette da riscontri esterni, nonché le testimonianze di familiari e le risultanze degli accertamenti di polizia giudiziaria. Il giudice di merito gode di ampia discrezionalità nella valutazione degli elementi probatori, il cui apprezzamento è sindacabile in sede di legittimità solo in caso di manifesta illogicità o travisamento dei fatti.
Il maltrattamento in famiglia, quale reato abituale, si configura quando l'agente pone in essere, con sistematica e reiterata violenza fisica e psicologica, una pluralità di condotte prevaricatrici e vessatorie nei confronti dei familiari conviventi, tali da cagionare in essi un perdurante stato di sofferenza e di assoggettamento. L'elemento oggettivo del reato è integrato dalla prova della serialità e continuità delle condotte, mentre quello soggettivo è integrato dalla consapevolezza e volontà dell'agente di sottoporre i congiunti a un regime di maltrattamento abituale, anche in assenza di un disegno criminoso unitario e di una pianificazione delle singole azioni. L'impossibilità di reperire il testimone all'estero, ove si sia volontariamente trasferito senza lasciare recapiti conosciuti, legittima l'acquisizione al fascicolo dibattimentale delle sue precedenti dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari, in applicazione dell'art. 512 c.p.p.
Il maltrattamento in famiglia, di cui all'art. 572 c.p., si configura quando la condotta violenta, offensiva e minacciosa dell'imputato, caratterizzata dalla reiterazione di atti lesivi dell'integrità fisica e psichica della vittima, impone a quest'ultima un regime di vita vessatorio e intollerabile, incidendo negativamente sulla sua personalità e dignità. Il dolo richiesto è di tipo generico, essendo sufficiente la coscienza e volontà di sottoporre la persona offesa alla propria condotta prevaricatrice, senza necessità di uno specifico fine di maltrattamento. Tuttavia, il numero non elevato di episodi violenti e l'incensuratezza dell'imputato possono giustificare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, al fine di adeguare la pena alla concreta gravità del fatto. La remissione di querela, debitamente accettata, determina invece l'estinzione del reato di lesioni personali, ai sensi dell'art. 152 c.p., purché non si tratti di fattispecie perseguibile d'ufficio.
Il maltrattamento in famiglia costituisce reato abituale, caratterizzato da una serie di condotte reiterate di vessazione, umiliazione e lesione fisica o psicologica, che integrano un comportamento sistematico e perdurante di sopraffazione e prevaricazione del reo nei confronti della vittima, a prescindere dalla reciproca conflittualità o dalla libertà di movimento di quest'ultima. Tali condotte, valutate complessivamente e non singolarmente, devono essere ritenute idonee a cagionare un perdurante stato di sofferenza e di assoggettamento della persona offesa, a prescindere dalla gravità delle singole lesioni e dalla sussistenza della querela per i reati di lesioni lievi. Il giudice, nel valutare la sussistenza del reato abituale, deve dare adeguata motivazione in ordine alla ricorrenza degli elementi costitutivi, quali la reiterazione delle condotte, la loro sistematicità e il conseguente stato di soggezione della vittima, senza che assumano rilievo eventuali profili di reciproca conflittualità o di libertà di movimento della stessa.
Il maltrattamento in famiglia, quale condotta abituale e reiterata di violenza fisica e morale, integra il reato di cui all'art. 572 c.p. anche in assenza di lesioni gravi o gravissime, purché sia accertata l'esistenza di un clima di umiliazioni, sofferenze morali e abbrutimento della vittima, derivante dall'atteggiamento arrogante e aggressivo del reo, che la costringe a vivere in uno stato di soggezione e di paura. L'omessa prestazione dei mezzi di sussistenza in favore del coniuge e dei figli minori, pur non essendo necessaria l'indicazione della data iniziale della condotta, deve essere contestata con precisione, in modo da consentire all'imputato di esercitare pienamente il diritto di difesa. Ai fini della valutazione della responsabilità, il giudice può fondare il proprio convincimento sulle dichiarazioni della persona offesa, ritenute attendibili e coerenti, anche in presenza di apparenti divergenze con altri elementi istruttori, purché adeguatamente motivate.
Il maltrattamento in famiglia è un reato abituale che richiede la prova di condotte reiterate e sistematiche, idonee a creare un regime di vita vessatorio e umiliante per la vittima, anche in presenza di episodi di reciproca aggressività. La credibilità della persona offesa e l'attendibilità del suo racconto devono essere valutate alla luce di tutti gli elementi di prova, senza che la mancanza di riscontri diretti o la presenza di versioni contrastanti possano di per sé escludere la configurabilità del reato. Inoltre, il reato di maltrattamenti in famiglia può essere integrato anche da un unico episodio di violenza fisica nei confronti del minore convivente, qualora tale condotta sia idonea a cagionare sofferenze fisiche e psichiche tali da compromettere gravemente le condizioni di vita del minore stesso. Infine, l'aggravante dei futili motivi è applicabile quando le condotte violente siano motivate da ragioni prive di qualsiasi giustificazione oggettiva e proporzionata, anche in assenza di una premeditazione o di un fine specifico.
Il maltrattamento di un familiare, caratterizzato da condotte reiterate di controllo, limitazione della libertà personale, offese verbali e violenza fisica, anche se motivato da un preteso intento di "protezione", integra il reato di maltrattamenti in famiglia, in quanto lesivo della dignità e dell'autonomia della vittima, la quale non può essere costretta a subire comportamenti improntati a possessività e prevaricazione, in spregio al suo diritto all'autodeterminazione. Tali condotte, anche se non dirette a cagionare lesioni, ma a limitare la libera determinazione della persona offesa, sono penalmente rilevanti, non potendo essere giustificate dalla pretesa condizione psichica della vittima o dalla convinzione del reo di agire "per il suo bene". L'imputato che, pur sottoposto a misure cautelari di allontanamento e divieto di avvicinamento, persiste nel violare tali prescrizioni, dimostra la mancanza di un adeguato senso di responsabilità e di rispetto per l'altrui sfera personale, precludendo così la concessione di benefici come la sospensione condizionale della pena.
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