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L'ordine di demolizione di opere edilizie abusive è un provvedimento vincolato e non discrezionale, che non richiede una specifica motivazione sulla preminenza dell'interesse pubblico, né una comparazione con gli interessi privati coinvolti, essendo sufficiente l'accertamento della difformità dell'intervento rispetto alla normativa urbanistica ed edilizia vigente. L'Amministrazione ha l'obbligo di intervenire con un atto repressivo, senza che su di esso possa influire alcuna valutazione di proporzionalità dell'azione amministrativa. Inoltre, in caso di opere realizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, l'ordine di demolizione è doveroso a prescindere dal titolo edilizio necessario per la loro realizzazione, essendo irrilevante la qualificazione dell'intervento come manutenzione straordinaria, ristrutturazione edilizia o altro. La presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) in sanatoria non determina l'inefficacia dell'ordine di demolizione, che rimane sospeso fino alla definizione del relativo procedimento, e il suo rigetto, anche tacito, comporta la ripresa di efficacia del provvedimento sanzionatorio.
Il Tribunale Amministrativo Regionale, nell'esaminare il ricorso proposto dalla Società autostrada ligure toscana p.a. avverso il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che aveva decurtato la somma richiesta per la messa a norma di talune gallerie, ha affermato i seguenti principi di diritto: 1. L'ammaloramento dei piedritti delle gallerie autostradali, che costituiscono elementi imprescindibili della costruzione, è da considerarsi conseguenza di una cattiva manutenzione da parte del gestore, salva la prova contraria che non risulta essere stata addotta. Pertanto, le spese per il ripristino dei piedritti non possono essere qualificate come manutenzione straordinaria, bensì rientrano nell'ordinaria manutenzione a carico del concessionario. 2. Le spese per la sostituzione di alcuni pannelli di rivestimento in lamiera metallica e per l'estensione alla volta della galleria del sistema di drenaggio dei giunti di costruzione, essendo riconducibili a lavori resi necessari a causa della carente manutenzione da parte del concessionario, non possono essere riconosciute come investimenti. 3. Le decurtazioni operate dall'amministrazione sulle voci di spesa richieste dal concessionario, in quanto fondate su asserti di apparente logicità e non adeguatamente confutate dal ricorrente, non possono essere considerate illegittime, né hanno inciso in modo illegittimo sul quadro economico complessivo. In conclusione, il Tribunale Amministrativo Regionale ha respinto il ricorso, ritenendo che le scelte dell'amministrazione fossero fondate e conformi ai principi di diritto applicabili, in particolare in materia di distinzione tra manutenzione ordinaria e straordinaria nell'ambito dei contratti di concessione autostradale.
Gli interventi di manutenzione straordinaria, consistenti nella rimozione e sostituzione di parti strutturali di un edificio senza alterare la volumetria complessiva e la destinazione d'uso, sono assentibili mediante semplice SCIA, senza necessità di permesso di costruire, in quanto non rientranti nella fattispecie della ristrutturazione edilizia. Il Comune non può inibire l'esecuzione di tali lavori qualificandoli erroneamente come ristrutturazione, in assenza di elementi che comprovino la trasformazione dell'organismo edilizio in un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente. La mancanza di una specifica scrittura privata a favore del soggetto che presenta la SCIA non è di per sé sufficiente a determinare l'inibizione dei lavori, ma può al più comportare una richiesta di integrazione documentale.
Gli interventi edilizi che eccedono la manutenzione ordinaria e straordinaria, il restauro e risanamento conservativo e la ristrutturazione interna, comportando la realizzazione di nuovi volumi o corpi edilizi, devono essere sottoposti a specifici programmi di riqualificazione o accordi di programma, ai sensi dell'art. 100, comma 3, delle NTA del PUC del Comune di Arbus in adeguamento al PPR e al PAI. Tali interventi, inoltre, sono vietati nelle zone H2 del PRG in adeguamento al PTP n. 10, ove è preclusa l'edificazione di qualsiasi costruzione, anche provvisoria. Il mero riassetto volumetrico interno, con traslazione di volumi esistenti, non può essere ricondotto alla manutenzione straordinaria ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001, in quanto comporta comunque la realizzazione di nuovi corpi edilizi. Il principio di diritto di cui sopra trova applicazione anche in caso di interventi finalizzati al recupero funzionale di volumetrie urbanisticamente asseverate e regolarmente condonate, qualora gli stessi determinino comunque un incremento della superficie e del volume complessivo dell'edificio. La disparità di trattamento rispetto ad altri interventi analoghi, ove non adeguatamente provata e motivata, non può costituire un vizio del provvedimento di diniego, in quanto un'eventuale illegittima estensione di posizioni giuridiche più favorevoli non può essere rimedio a un trattamento differenziato legittimamente applicato.
La tutela degli edifici di interesse storico-architettonico, culturale e testimoniale prevale sull'interesse privato alla realizzazione di opere edilizie finalizzate al miglioramento dell'accessibilità di autorimesse, anche se già legittimamente esistenti. Gli interventi su tali immobili sono ammessi solo se realizzati senza opere murarie, in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, al fine di preservare l'integrità e il valore storico-culturale del patrimonio edilizio tutelato. Il parere della Commissione per la qualità architettonica e del paesaggio è obbligatorio per gli interventi edilizi su edifici di interesse storico-architettonico, culturale e testimoniale individuati dagli strumenti urbanistici comunali, a prescindere dalla circostanza che l'immobile sia stato o meno specificamente classificato come tale. La normativa nazionale che consente la realizzazione di parcheggi in deroga agli strumenti urbanistici non trova applicazione quando l'intervento non sia direttamente funzionale all'unità immobiliare di proprietà e non vi sia un rapporto di pertinenzialità materiale tra l'immobile e l'area destinata a parcheggio. Gli interventi di manutenzione straordinaria, che consentono il rinnovo e la sostituzione di parti anche strutturali dell'edificio, sono distinti dagli interventi di restauro e risanamento conservativo, che mirano a conservare l'organismo edilizio nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali, e sono pertanto soggetti a diverse prescrizioni e limitazioni previste dalla disciplina urbanistico-edilizia.
Il cambio di destinazione d'uso di un locale accessorio, come un ripostiglio, in locale abitativo determina un aumento del carico urbanistico e deve essere considerato un intervento di ristrutturazione edilizia pesante, soggetto al regime del permesso di costruire o della SCIA alternativa al permesso di costruire. Tale mutamento non autorizzato integra una situazione di illiceità che legittima l'ordine di demolizione da parte dell'Amministrazione, indipendentemente dall'esecuzione di opere. Analogamente, la realizzazione di una tettoia di rilevanti dimensioni, che comporta una visibile alterazione dell'edificio, deve essere qualificata come intervento di ristrutturazione edilizia soggetto a permesso di costruire, la cui mancanza giustifica l'ordine di demolizione. La valutazione del possibile pregiudizio per le parti conformi dell'edificio non incide sulla legittimità dell'ordine di demolizione, ma rileva solo nella successiva fase di esecuzione, gravando sul destinatario dell'ordine l'onere di provare tale pregiudizio.
La massima giuridica che può essere estratta dalla sentenza è la seguente: La stazione appaltante può pubblicare chiarimenti ufficiali su aspetti incerti o contraddittori della disciplina di gara prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte, al fine di risolvere le antinomie presenti nella lex specialis e mettere tutti i concorrenti in condizione di attenervisi secondo i principi di buona fede e correttezza, senza che ciò costituisca una illegittima modifica delle regole di gara, purché i chiarimenti siano trasparenti, tempestivi, ispirati al favor partecipationis e resi pubblici. Tali chiarimenti operano a beneficio di tutti i partecipanti e non determinano alcun pregiudizio per gli aspiranti offerenti, tale da rendere preferibile l'autoannullamento del bando e la sua ripubblicazione, soprattutto quando ciò comporterebbe gravi ritardi per la fornitura di beni o servizi di rilevante interesse pubblico.
Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: La realizzazione di un manufatto in assenza di permesso di costruire, anche se qualificato dal proprietario come pertinenza del fabbricato principale, integra un intervento di nuova costruzione soggetto all'obbligo di preventivo titolo edilizio, qualora per le sue caratteristiche dimensionali, strutturali e funzionali non possa essere considerato mera pertinenza urbanistica. In tali casi, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, adottato ai sensi dell'art. 31 del D.P.R. 380/2001, è un provvedimento vincolato e sufficientemente motivato dalla mera descrizione dell'abuso, senza necessità di ulteriori argomentazioni, anche in presenza di vincoli paesaggistici e ambientali sull'area interessata. La sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione, prevista dagli artt. 33 e 34 del D.P.R. 380/2001, non è applicabile agli interventi realizzati in totale assenza di titolo edilizio, ai sensi dell'art. 31, essendo la demolizione la sanzione obbligatoria in tali casi, a prescindere dall'entità dell'abuso e dalla possibile compromissione della parte conforme.
La massima giuridica che si può trarre dalla sentenza è la seguente: La stazione appaltante può pubblicare chiarimenti ufficiali su aspetti incerti o contraddittori della disciplina di gara prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte, al fine di risolvere le antinomie presenti nella lex specialis e mettere tutti i concorrenti in condizione di attenervisi secondo i principi di buona fede e correttezza, senza che ciò integri un'illegittima modifica delle regole di gara, purché i chiarimenti siano trasparenti, tempestivi, ispirati al favor partecipationis e resi pubblici. Tali chiarimenti operano a beneficio di tutti i partecipanti e non determinano alcun pregiudizio per gli aspiranti offerenti, tale da rendere preferibile l'autoannullamento del bando e la sua ripubblicazione, soprattutto quando l'interesse pubblico alla tempestiva fornitura di beni o servizi essenziali (come nel caso di ambulanze per il servizio sanitario) prevale sull'esigenza di una rigorosa osservanza formale della lex specialis.
La manutenzione straordinaria di beni demaniali in concessione, che conferisce valore aggiunto al bene, può dar luogo a una riduzione del canone demaniale, in misura non superiore al 50% dell'investimento riconosciuto di interesse dell'Amministrazione, in conformità al regolamento concessioni e canoni demaniali. L'Autorità concedente, pur dotata di ampia discrezionalità tecnica nell'apprezzamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento degli investimenti, è tenuta a motivare adeguatamente le proprie valutazioni, in ossequio al principio di trasparenza e buon andamento dell'azione amministrativa. In particolare, ove l'Autorità abbia preliminarmente classificato taluni interventi come manutenzione straordinaria, non può successivamente disattendere tale qualificazione senza fornire una congrua e logica giustificazione. Inoltre, il parere del Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche, pur obbligatorio, non è vincolante per l'Autorità concedente ai fini del riconoscimento degli investimenti e della conseguente riduzione del canone demaniale. L'Autorità, pertanto, è tenuta a valutare compiutamente tutti gli interventi realizzati dal concessionario, motivando adeguatamente le proprie determinazioni, nel rispetto del giusto procedimento e dei principi di imparzialità e buona amministrazione.
La manutenzione ordinaria (programmata) di impianti e apparecchiature costituisce la prestazione necessaria e indefettibile richiesta dalla stazione appaltante nell'ambito di un contratto di appalto, per la quale è certa l'erogazione del corrispettivo pattuito. La manutenzione straordinaria (eventuale), invece, rappresenta un intervento non preventivabile a priori, la cui esecuzione può essere affidata al medesimo appaltatore della manutenzione ordinaria, ma la cui remunerazione è rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante. Pertanto, nell'ambito della valutazione di congruità dell'offerta, il costo stimato per la sola manutenzione ordinaria non può superare il canone manutentivo complessivo offerto, in quanto ciò determinerebbe l'incongruità e l'inaffidabilità dell'offerta stessa, non consentendo all'appaltatore di conseguire alcun margine di guadagno né di coprire i costi per l'esecuzione degli altri servizi e forniture previsti nell'appalto.
La massima giuridica che può essere estratta dalla sentenza è la seguente: La distinzione tra manutenzione ordinaria e straordinaria di un'infrastruttura autostradale, ai fini della determinazione degli investimenti ammissibili per l'incremento della tariffa, deve essere effettuata sulla base della natura e della finalità degli interventi, considerando se essi siano volti al semplice mantenimento dello stato e della funzionalità del bene (manutenzione ordinaria) oppure al suo rinnovamento, sostituzione di parti strutturali e adeguamento alle prescrizioni vigenti (manutenzione straordinaria). In particolare, gli interventi sui piedritti delle gallerie autostradali, finalizzati all'inserimento di nuovi impianti e dispositivi di sicurezza, senza comportare la sostituzione o il miglioramento strutturale degli stessi, devono essere qualificati come manutenzione straordinaria e, pertanto, computabili tra gli investimenti che danno luogo all'incremento tariffario, in quanto volti a mantenere l'efficienza e la funzionalità dell'infrastruttura in vista della probabile conclusione del rapporto concessorio.
Il proprietario di un immobile può realizzare opere interne di modesta entità, come la chiusura di un terrazzo con strutture precarie e facilmente rimovibili, senza necessità di alcun titolo abilitativo, ai sensi dell'art. 20 della L.R. n. 4/2003, purché tali opere non comportino modifiche alla sagoma, al volume o alla destinazione d'uso dell'edificio. Il mutamento di destinazione d'uso da abitazione ad ufficio, rientrando nella medesima categoria funzionale, non costituisce un cambio di destinazione d'uso urbanisticamente rilevante e non richiede il rilascio di un permesso di costruire. Gli interventi di manutenzione straordinaria "leggera", come l'apertura di porte interne o lo spostamento di pareti, non sono soggetti a permesso di costruire, ma solo a comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA), ai sensi dell'art. 6-bis del D.P.R. n. 380/2001. Pertanto, l'ordine di demolizione emesso dal Comune per tali opere interne è illegittimo, in quanto le stesse rientrano nelle previsioni normative che consentono la loro realizzazione senza titolo abilitativo.
Gli interventi di manutenzione straordinaria, consistenti nella ridisposizione dei tagli interni, nell'apertura di un accesso interno alla soffitta non abitabile, nel rifacimento dei pavimenti, rivestimenti ed impianti e nell'apertura di lucernari nel vano soffitta non abitabile, non sono soggetti al pagamento degli oneri di urbanizzazione e del contributo commisurato al costo di costruzione, in quanto tali opere non comportano l'aumento della superficie complessiva del fabbricato, né l'aumento di volumi, né il mutamento della destinazione d'uso dell'immobile, ma si risolvono in una semplice ridistribuzione degli spazi interni con diversa rimodulazione della superficie dei vani preesistenti. Pertanto, gli interventi di manutenzione straordinaria, non essendo soggetti a concessione edilizia ma solo ad autorizzazione gratuita del Sindaco, non danno luogo all'applicazione dell'oblazione prevista dall'art. 13 della legge n. 47/1985 né al pagamento del contributo commisurato al costo di costruzione, essendo espressamente esclusi dall'art. 9, lett. c), della legge n. 10/1977. La qualificazione dell'intervento come manutenzione straordinaria e non come ristrutturazione edilizia non muta neppure in presenza di un collegamento realizzato mediante scala interna tra il piano abitabile e la soffitta non abitabile, in quanto tale intervento non comporta l'alterazione della superficie complessiva dell'unità immobiliare né l'aumento del carico urbanistico.
La manutenzione straordinaria di un immobile, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001, comprende anche il frazionamento o l'accorpamento delle unità immobiliari, con esecuzione di opere che comportino la variazione delle superfici delle singole unità e del carico urbanistico, purché non sia modificata la volumetria complessiva dell'edificio e sia mantenuta l'originaria destinazione d'uso. Tale previsione normativa si applica in modo uniforme, senza distinzioni in ragione della regolarità urbanistica degli immobili, essendo sufficiente che le opere non incidano sulla volumetria e sulla destinazione d'uso complessiva dell'edificio. Pertanto, il diniego di autorizzazione per tali interventi di manutenzione straordinaria, fondato sulla circostanza che l'immobile sia oggetto di una pratica di condono edilizio non ancora definita, è illegittimo in quanto introduce una limitazione non prevista dalla legge. Inoltre, il provvedimento di diniego non può essere adottato in assenza della verifica della completezza della documentazione presentata a corredo della comunicazione di inizio lavori asseverata, come previsto dalla normativa comunale.
La realizzazione o l'abbattimento di tramezzi e divisori interni, purché non incidano sulle parti strutturali dell'edificio né determinino aumenti di volumetria o di superficie, configurano interventi di manutenzione straordinaria, soggetti al regime della comunicazione di inizio lavori asseverata, e non all'obbligo di permesso di costruire. Pertanto, l'ordine di demolizione di tali opere, emesso in assenza di una puntuale verifica della loro natura e conformità alla normativa urbanistica ed edilizia vigente, risulta illegittimo e suscettibile di annullamento. Analogamente, l'ordine di demolizione di opere edilizie assentite ma non realizzate, in assenza di una adeguata istruttoria e motivazione, è privo di valido fondamento e deve essere annullato.
Il mutamento della destinazione d'uso di un immobile da impianto di distribuzione di carburanti (servizi ad uso privato) a locale di esposizione e vendita (attività di tipo commerciale) non costituisce un cambio di destinazione d'uso rilevante ai fini urbanistici ed edilizi, in quanto l'immobile era già precedentemente destinato ad attività commerciale, come risulta dal rilascio di autorizzazioni comunali per l'esercizio di impianti carburanti e la vendita di accessori, nonché dalla successiva autorizzazione per l'apertura di un esercizio di vendita al dettaglio di calzature. Pertanto, gli interventi edilizi realizzati, consistenti in opere interne di diversa distribuzione degli spazi e in una parziale modifica di una finestra, rientrano nella categoria della manutenzione straordinaria, senza aumento del carico urbanistico, e non sono soggetti al pagamento di contributi di costruzione ai sensi dell'art. 38 della l.r. n. 16 del 2008. Di conseguenza, il Comune è tenuto a restituire agli interessati gli importi corrisposti a tale titolo.
Gli interventi di manutenzione straordinaria, consistenti nella semplice riorganizzazione funzionale interna di un'unità immobiliare senza alterazione di volumi e superfici, rientrano nella fattispecie di abuso edilizio sanabile mediante il pagamento della sola oblazione, senza che siano dovuti oneri di urbanizzazione o costi di costruzione. La disciplina sul condono edilizio, avente carattere eccezionale, prevale sulle disposizioni regolamentari comunali che qualifichino tali interventi come ristrutturazione edilizia, in contrasto con le definizioni di manutenzione straordinaria e ristrutturazione contenute nella normativa statale e regionale. Trascorso il termine di 36 mesi dal pagamento dell'oblazione, si prescrive il diritto del Comune a richiedere eventuali conguagli.
La qualificazione giuridica di un intervento edilizio come "manutenzione straordinaria" o "ristrutturazione edilizia" dipende dalla natura e dalla portata delle opere realizzate, non dalla loro rappresentazione o mancata rappresentazione negli atti catastali, essendo rilevante l'effettivo stato di fatto dell'immobile, anche se non pienamente coincidente con la documentazione formale. Pertanto, la semplice riorganizzazione interna di un'unità immobiliare, con la realizzazione di una scala di collegamento tra i piani preesistente, nonché la creazione di un nuovo bagno, senza modifiche volumetriche o della destinazione d'uso, devono essere qualificate come interventi di manutenzione straordinaria, e non di ristrutturazione edilizia, ai fini del calcolo dell'oblazione dovuta per il rilascio del permesso in sanatoria. L'amministrazione comunale è tenuta a motivare adeguatamente la qualificazione giuridica dell'intervento, senza poter integrare la motivazione in un momento successivo, e a valutare attentamente la documentazione prodotta dal privato a supporto della sua tesi, al fine di accertare correttamente la natura e la portata delle opere realizzate.
Il Tribunale, accertata la corresponsabilità colposa ex art. 1669 c.c. e art. 2043 c.c. degli originari convenuti e della società chiamata in causa per i gravi difetti costruttivi manifestatisi negli immobili di proprietà degli attori, condanna in solido i convenuti e la società al risarcimento dei danni, detratte le somme già sostenute dagli attori per interventi di ripristino, e riconoscendo il diritto di regresso della quota di corresponsabilità in capo ai condebitori solidali. Il Tribunale, inoltre, pone definitivamente a carico dei convenuti e della società chiamata in causa le spese di consulenza tecnica di ufficio, compensando le spese di lite nei rapporti tra convenuti e società chiamata in causa.
La manutenzione straordinaria di un edificio, ai sensi dell'art. 31, comma 1, lett. b) della legge n. 457/1978 (ora art. 3, comma 1, lett. b) del D.P.R. n. 380/2001), ricorre quando gli interventi edilizi, pur mirando alla conservazione della destinazione d'uso dell'immobile, sono diretti alla sostituzione o al rinnovo di parti dello stesso, senza alterarne i volumi e le superfici. Tale nozione impone pertanto un duplice limite, di carattere funzionale e strutturale: il primo richiede che i lavori siano volti alla mera sostituzione o al puro rinnovo di parti dell'edificio, mentre il secondo vieta la modifica dei volumi e delle superfici delle singole unità immobiliari. Pertanto, la sostituzione delle coperture di un complesso industriale, senza alterarne la volumetria complessiva, costituisce un intervento di manutenzione straordinaria, compatibile con la destinazione di zona prevista dal piano regolatore generale e, conseguentemente, assentibile dall'amministrazione comunale. L'onere di provare il rispetto di tali limiti grava sul privato richiedente l'autorizzazione edilizia, mentre l'amministrazione deve motivare adeguatamente il diniego, contestando specificamente la sussistenza dei presupposti per la qualificazione dell'intervento come manutenzione straordinaria. Inoltre, l'azione di risarcimento del danno conseguente al diniego illegittimo dell'autorizzazione edilizia richiede che il privato alleghi e dimostri l'effettiva sussistenza e l'entità del pregiudizio subito, non essendo sufficiente la mera affermazione del danno in re ipsa.
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