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  • La concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione è un provvedimento di alta amministrazione che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa caratterizzata da un ampio margine di discrezionalità in capo all'Amministrazione. L'interesse dell'istante all'acquisizione della cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale, verificando che il richiedente possieda le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l'assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile. La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello sul piano giuridico di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di "cittadinanza sostanziale" che giustifica l'attribuzione dello status giuridico. Pertanto, l'Amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, potendo anche tenere conto, ai fini di tale valutazione, di condotte pregresse, anche se non sfociate in condanne penali, che siano comunque espressive di una particolare "indole" dello straniero, rivelatrice di tendenze caratteriali non compatibili con i principi di una ordinata e pacifica convivenza civile all'interno dello Stato. Il sindacato giurisdizionale su tale valutazione deve essere contenuto entro i ristretti argini del controllo estrinseco e formale, esaurendosi nello scrutinio del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell'inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, con preclusione di un'autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità richiesto per l'acquisizione dello status di cittadino.

  • Il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana, adottato in esito a un procedimento amministrativo viziato da gravi irregolarità e manipolazioni illecite accertate in sede penale, può essere legittimamente annullato in autotutela dall'amministrazione, anche in assenza di un diretto coinvolgimento del beneficiario, in quanto l'interesse pubblico alla tutela dell'integrità e dell'affidabilità del procedimento di acquisizione della cittadinanza, quale massimo status giuridico nazionale, prevale sull'interesse del privato al mantenimento di un provvedimento illegittimamente adottato. L'annullamento d'ufficio non richiede la sussistenza di un termine "ragionevole" ai sensi dell'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, essendo incompatibile con i valori fondamentali dell'ordinamento costituzionale, in quanto la concessione della cittadinanza incide sull'elemento costitutivo dello Stato (Popolo) e implica l'attribuzione di diritti e doveri di carattere politico-amministrativo, la cui legittimità deve essere assicurata in modo rigoroso e imparziale. L'amministrazione, pertanto, può procedere all'annullamento d'ufficio del provvedimento di concessione della cittadinanza, anche in assenza di un diretto coinvolgimento del beneficiario, qualora emerga che il procedimento amministrativo sia stato viziato da gravi irregolarità e manipolazioni illecite accertate in sede penale, al fine di tutelare l'integrità e l'affidabilità del procedimento di acquisizione della cittadinanza, quale massimo status giuridico nazionale, a prescindere dalla sussistenza dei requisiti sostanziali in capo all'interessato.

  • Il conferimento della cittadinanza italiana per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione che presuppone l'esplicarsi di un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione, la quale è tenuta a valutare se l'interesse del richiedente all'acquisizione dello status di cittadino sia conciliabile con l'interesse pubblico a tutelare la sicurezza, la stabilità economico-sociale e l'identità nazionale. L'Amministrazione, nell'esercizio di tale potere valutativo, deve accertare che il richiedente possieda tutti i requisiti necessari per un inserimento stabile e duraturo nella comunità nazionale, tra cui l'assenza di precedenti penali e una condotta di vita conforme ai valori di convivenza civile. Il giudizio prognostico sull'idoneità del richiedente deve essere formulato in modo globale, tenendo conto di tutti gli elementi emersi nel corso dell'istruttoria, senza limitarsi a una valutazione atomistica dei singoli precedenti. Il sindacato giurisdizionale su tale valutazione discrezionale è circoscritto al controllo estrinseco e formale, essendo preclusa un'autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità. Pertanto, il diniego della cittadinanza può essere legittimamente fondato su precedenti penali, anche se non sfociati in una condanna definitiva, qualora siano espressivi di una condotta contraria ai valori di convivenza civile e idonei a far dubitare della piena integrazione del richiedente nella comunità nazionale. L'inserimento sociale ed economico del richiedente, pur rappresentando un prerequisito per la presentazione della domanda, non costituisce di per sé un elemento sufficiente a imporre l'accoglimento della stessa, essendo necessario che il richiedente dimostri anche una convinta adesione ai valori fondamentali dell'ordinamento di cui chiede di far parte.

  • Il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana, adottato in favore di un soggetto, può essere legittimamente annullato in autotutela dall'Amministrazione quando emerga che la pratica è stata illecitamente trattata e definita positivamente, in assenza dei necessari requisiti, a seguito di condotte penalmente rilevanti poste in essere da un dipendente infedele dell'ufficio competente, anche in assenza di un diretto coinvolgimento del beneficiario. In tali casi, l'interesse pubblico alla tutela dell'integrità e dell'affidabilità del procedimento di acquisizione della cittadinanza, quale status giuridico che comporta diritti e doveri di particolare rilievo, prevale sull'interesse del privato al mantenimento del provvedimento favorevole, non potendosi ritenere sussistente un affidamento tutelabile in capo a coloro che hanno ottenuto la cittadinanza in conseguenza di comportamenti penalmente rilevanti. L'Amministrazione, pertanto, è legittimata ad annullare d'ufficio il provvedimento di concessione della cittadinanza, anche in assenza di un termine ragionevole, in quanto l'incompatibilità di tale termine con i valori fondamentali dell'ordinamento costituzionale è ormai consolidata in giurisprudenza.

  • Il principio di irrilevanza delle sopravvenienze, stabilito dall'art. 5 c.p.c., essendo diretto a favorire la perpetuatio iurisdictionis e non ad impedirla, non trova applicazione ove il fatto sopravvenuto abbia attribuito la giurisdizione al giudice italiano adito, che, al momento della proposizione della domanda, ne era privo, rimanendo così dinanzi a lui incardinato il giudizio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, con riferimento a due domande connesse, aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano sull'intero giudizio, non avvedendosi che la rinuncia della domanda rientrante nella giurisdizione del giudice straniero aveva fatto venir meno la forza attrattiva sulla domanda connessa, non oggetto di rinuncia, sulla quale tornava ad espandersi la giurisdizione del giudice italiano).

  • Il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana, essendo un atto che incide sul rapporto individuo-Stato-Comunità conferendo il massimo status giuridico nazionale, è caratterizzato da un altissimo grado di discrezionalità amministrativa nella valutazione dei requisiti e dell'opportunità di inserire il richiedente a pieno titolo nella comunità nazionale. Tale valutazione deve necessariamente coniugare l'interesse dell'istante con l'interesse pubblico alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale e del rispetto dell'identità nazionale. Pertanto, il riscontro di gravi irregolarità nell'istruttoria procedimentale, riconducibili a condotte penalmente rilevanti di un funzionario infedele, che hanno determinato l'attribuzione indebita della cittadinanza a soggetti privi dei requisiti o comunque in violazione dell'ordine cronologico di trattazione delle domande, legittima l'Amministrazione all'esercizio del potere di autotutela, anche a distanza di anni, attraverso l'annullamento d'ufficio del precedente provvedimento di concessione, in quanto il difetto assoluto di istruttoria connesso a tali vicende penali non risulta altrimenti sanabile. In tale contesto, l'interesse del privato alla conservazione dello status civitatis acquisito deve necessariamente soccombere di fronte all'imprescindibile esigenza di tutelare la trasparenza, l'imparzialità e la credibilità dell'azione amministrativa, principi cardine della vita amministrativa e della vita sociale, non potendosi ammettere che l'incorporazione di un nuovo membro nella comunità nazionale avvenga secondo modalità o procedure criminose, in modo del tutto incompatibile con i valori fondamentali del nostro ordinamento costituzionale.

  • Il conferimento della cittadinanza italiana è un atto di alta amministrazione che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa caratterizzata da un elevato grado di discrezionalità, in quanto incide sul rapporto individuo-Stato-Comunità e comporta l'attribuzione di diritti e doveri di particolare rilevanza costituzionale. Pertanto, l'Amministrazione può legittimamente esercitare il potere di annullamento d'ufficio del precedente decreto di concessione della cittadinanza, anche in assenza di un diretto coinvolgimento del beneficiario, qualora emerga che il provvedimento concessorio sia stato adottato in esito a un procedimento viziato da gravi irregolarità, quali l'alterazione fraudolenta della relativa istruttoria da parte di un pubblico ufficiale infedele, accertata in sede penale. In tali ipotesi, l'interesse pubblico alla rimozione dell'atto illegittimo, a tutela dei valori fondamentali dell'ordinamento costituzionale, prevale sull'affidamento del privato, non potendo quest'ultimo consolidarsi in presenza di una concessione radicalmente illegittima, in quanto frutto di condotte penalmente rilevanti. Inoltre, il termine ragionevole di 18 mesi per l'esercizio del potere di autotutela, previsto dall'art. 21-nonies della legge n. 241/1990, non trova applicazione nel caso di annullamento di provvedimenti di concessione della cittadinanza, in quanto tale fattispecie non rientra tra quelle di autorizzazione o attribuzione di vantaggi economici cui la norma si riferisce, essendo il conferimento dello status di cittadino un atto che incide sulla sfera giuridica del soggetto in modo duraturo e incompatibile con i valori fondamentali dell'ordinamento.

  • Il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana, essendo un atto di alta amministrazione che incide sulla composizione della comunità nazionale, è soggetto a un particolare regime di tutela dell'interesse pubblico, il quale prevale sull'interesse del privato alla conservazione dello status acquisito, anche in presenza di un legittimo affidamento, qualora emerga che il provvedimento concessorio sia stato adottato in esito a un procedimento viziato da gravi irregolarità, come l'alterazione fraudolenta della relativa istruttoria, accertata in sede penale. In tali casi, l'amministrazione è tenuta ad annullare d'ufficio il provvedimento di concessione della cittadinanza, in quanto la tutela della legalità e dell'integrità dell'ordinamento costituzionale prevalgono sull'interesse del privato alla conservazione dello status acquisito, non essendo compatibile con i valori fondamentali del nostro sistema giuridico l'incorporazione di un nuovo membro nella comunità nazionale secondo modalità o procedure criminose. L'annullamento d'ufficio del provvedimento di concessione della cittadinanza, in presenza di tali gravi vizi, non è soggetto al termine ragionevole di cui all'art. 21-nonies della legge n. 241/1990, in quanto tale limite temporale non trova applicazione per gli atti che incidono sulla composizione della comunità nazionale, essendo l'interesse pubblico alla rimozione di tali provvedimenti illegittimi privo di scadenza.

  • Il conferimento della cittadinanza italiana per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione che presuppone l'esplicarsi di un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione, volta a valutare l'effettiva e compiuta integrazione del richiedente nella comunità nazionale. Tale valutazione discrezionale deve tener conto di diversi elementi, quali l'assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile, al fine di accertare che il richiedente possieda le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza e che il suo inserimento nella comunità nazionale non possa creare problemi all'ordine e alla sicurezza pubblica, né comportare il mancato rispetto delle regole di civile convivenza o la violazione dei valori identitari dello Stato. Il sindacato giurisdizionale su tale valutazione discrezionale è contenuto entro i ristretti argini del controllo estrinseco e formale, essendo preclusa un'autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità. In particolare, la presenza di una condanna per un reato automaticamente ostativo ai sensi dell'art. 6, comma 2, lett. b) della legge n. 91/1992, come la violazione delle norme sul diritto d'autore punita con pena edittale non inferiore nel massimo a tre anni, costituisce un valido motivo di diniego della cittadinanza, anche in assenza della riabilitazione al momento dell'adozione del provvedimento, in quanto l'Amministrazione è tenuta a concludere tempestivamente il procedimento senza attendere l'esito di un eventuale successivo procedimento di riabilitazione. Ciò in quanto la norma in questione, dettata in materia di cittadinanza "iure matrimonii", si estende necessariamente anche alla fattispecie meno tutelata della cittadinanza per naturalizzazione, in nome dei principi di sicurezza pubblica e civile convivenza sottesi alla stessa. Il diniego di cittadinanza, pertanto, non preclude la possibilità di ripresentare l'istanza in futuro, rappresentando solo uno svantaggio temporaneo giustificato dalla rilevanza degli interessi pubblici in gioco e dall'irreversibilità degli effetti connessi alla concessione dello status di cittadino.

  • Il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana, essendo un atto di alta amministrazione che incide sul rapporto individuo-Stato-Comunità, è caratterizzato da un elevato grado di discrezionalità e di valutazione di opportunità politico-amministrativa da parte dell'Amministrazione. Pertanto, qualora emerga che il provvedimento concessorio sia stato adottato in esito a un procedimento viziato da gravi irregolarità, quali l'alterazione abusiva della relativa pratica da parte di un pubblico ufficiale infedele, l'Amministrazione è legittimata ad annullare d'ufficio il provvedimento in autotutela, anche in assenza di un termine ragionevole, in quanto l'incorporazione di un nuovo membro nella comunità nazionale non può consolidarsi per il solo decorso del tempo, in modo incompatibile con i valori fondamentali dell'ordinamento costituzionale. In tali casi, l'interesse pubblico alla rimozione dell'atto illegittimo prevale sull'affidamento del privato, non potendo quest'ultimo vantare una posizione tutelabile quando il provvedimento favorevole sia stato ottenuto in conseguenza di comportamenti penalmente rilevanti.

  • Il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana, adottato in esito a un procedimento amministrativo viziato da gravi irregolarità e manipolazioni di natura penalmente rilevante, può essere legittimamente annullato in autotutela dall'amministrazione, anche in assenza di un diretto coinvolgimento del beneficiario, in quanto l'interesse pubblico alla tutela dell'integrità e dell'affidabilità del procedimento concessorio della cittadinanza, quale atto di alta amministrazione incidente sulla composizione della comunità nazionale, prevale sull'interesse del privato al mantenimento dello status acquisito. L'annullamento d'ufficio è giustificato dalla gravità delle condotte illecite accertate in sede penale, che hanno determinato la deviazione del provvedimento dalla sua funzione tipica di corretta e imparziale composizione degli interessi pubblici e privati coinvolti, senza che rilevi la sussistenza in capo al beneficiario dei requisiti di legge per l'ottenimento della cittadinanza o il suo grado di integrazione sociale, atteso che l'incorporazione di un nuovo membro nella comunità nazionale non può avvenire secondo modalità o procedure incompatibili con i valori fondamentali dell'ordinamento costituzionale. L'amministrazione, pertanto, è tenuta a rimuovere con tempestività il provvedimento di concessione della cittadinanza, illegittimamente adottato, anche in assenza di un termine "ragionevole" per l'esercizio del potere di autotutela, in ragione dell'incompatibilità di tale termine con i valori fondamentali del nostro ordinamento costituzionale.

  • Il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana, essendo un atto di alta amministrazione che comporta l'inserimento stabile di un nuovo soggetto nella comunità nazionale, è soggetto a un particolare regime di discrezionalità e di tutela dell'interesse pubblico, il quale prevale sull'interesse del privato quando l'atto risulti viziato da gravi irregolarità, come l'alterazione abusiva del procedimento istruttorio da parte di un pubblico ufficiale infedele, accertata in sede penale. In tali casi, l'amministrazione può legittimamente esercitare il potere di autotutela per annullare d'ufficio il precedente provvedimento concessorio, senza che ciò comporti la violazione del principio di ragionevolezza, correttezza, imparzialità e buon andamento, né la lesione del legittimo affidamento del privato, in quanto la tutela della legalità e dell'integrità dell'ordinamento giuridico costituisce un interesse pubblico prevalente e imprescindibile, incompatibile con il mero decorso del tempo. Pertanto, il termine "ragionevole" di cui all'art. 21-nonies della legge n. 241/1990 non trova applicazione in relazione alla concessione dello status di cittadino, in quanto tale provvedimento, a differenza di quelli meramente autorizzatori o attributivi di vantaggi economici, incide sulla stessa composizione della comunità nazionale, la cui integrità non può essere compromessa dal mero trascorrere del tempo.

  • La concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione è un provvedimento di natura discrezionale, in cui l'Amministrazione esercita un ampio potere valutativo finalizzato a verificare l'effettiva e compiuta integrazione del richiedente nella comunità nazionale. Tale valutazione deve contemperare l'interesse pubblico alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale e del rispetto dell'identità nazionale, con l'interesse del richiedente all'acquisizione dello status civitatis. L'Amministrazione, pertanto, è tenuta a valutare la sussistenza di tutti i requisiti necessari per assicurare un inserimento duraturo e stabile del richiedente nella comunità, escludendo che egli possa successivamente creare problemi all'ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza o violare i valori identitari dello Stato. Il sindacato giurisdizionale su tale valutazione discrezionale è limitato al controllo estrinseco e formale, senza poter sostituire la propria valutazione a quella dell'Amministrazione. Pertanto, il provvedimento di diniego della cittadinanza può essere legittimamente adottato anche in assenza di condanne penali definitive, qualora emergano elementi sintomatici di una personalità non incline al rispetto delle norme e delle regole di convivenza civile, tali da far ritenere non compiuta l'integrazione del richiedente nella comunità nazionale.

  • L'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione che presuppone l'esplicarsi di un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione, la quale è chiamata a valutare l'effettiva e compiuta integrazione del richiedente nella comunità nazionale, contemperando l'interesse pubblico alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale e del rispetto dell'identità nazionale con l'interesse del privato all'ottenimento della cittadinanza. Il sindacato giurisdizionale su tale valutazione discrezionale è limitato al controllo estrinseco e formale, essendo precluso un riesame autonomo del merito della scelta amministrativa. Pertanto, il provvedimento di diniego può essere annullato solo in presenza di vizi quali eccesso di potere, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, irragionevolezza o contraddittorietà. Nell'ambito di tale valutazione discrezionale, l'Amministrazione può legittimamente attribuire rilievo a precedenti penali del richiedente, anche di modesta entità, ove siano indicativi di una mancata adesione ai valori fondamentali della comunità nazionale e di un'insufficiente integrazione sociale, come nel caso del reato di guida in stato di ebbrezza, che denota una insensibilità al rispetto delle norme sulla sicurezza stradale e un disvalore rispetto ai principi di solidarietà e tutela della pubblica incolumità. Tuttavia, il diniego non comporta conseguenze definitive, potendo l'interessato riproporre l'istanza di naturalizzazione una volta superati i fattori ostativi, senza che ciò determini una lesione sproporzionata della sua vita privata e familiare.

  • La concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione è un provvedimento di natura discrezionale, in cui l'amministrazione valuta l'opportunità di inserire lo straniero a pieno titolo nella comunità nazionale, bilanciando l'interesse dell'istante con l'interesse pubblico. Tale valutazione discrezionale si estende non solo alla condotta dell'istante, ma anche al suo nucleo familiare, in particolare ai familiari conviventi, in quanto espressione dell'ambiente in cui si forma e si manifesta la personalità dell'aspirante cittadino. Pertanto, la rilevanza di precedenti penali, anche di carattere non grave, ascrivibili ai familiari conviventi dell'istante, può legittimare il diniego della cittadinanza, in quanto sintomatici di una mancata integrazione del nucleo familiare nella comunità nazionale e di un potenziale rischio per l'ordine e la sicurezza pubblica, valori preminenti rispetto all'interesse individuale all'acquisizione della cittadinanza. Il sindacato giurisdizionale su tale valutazione discrezionale è limitato al controllo estrinseco di eventuali vizi di eccesso di potere, senza possibilità di una autonoma valutazione di merito.

  • Il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana, in quanto atto di alta amministrazione che incide sul rapporto individuo-Stato-Comunità, è caratterizzato da un elevato grado di discrezionalità nella valutazione dei requisiti e dei presupposti di fatto, in quanto l'interesse dell'istante all'ottenimento della cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico all'inserimento dello stesso a pieno titolo nella comunità nazionale. Pertanto, l'Amministrazione è legittimata a procedere all'annullamento d'ufficio di un precedente provvedimento di concessione della cittadinanza, anche a distanza di anni, qualora emerga un vizio assoluto di istruttoria connesso a gravi irregolarità procedimentali, come l'utilizzo illecito di credenziali di accesso, la mancata verifica dei requisiti e l'attribuzione della cittadinanza a soggetti privi dei relativi presupposti, in quanto tali condotte fraudolente mettono in pericolo gli interessi pubblici di sicurezza, stabilità economico-sociale e rispetto dell'identità nazionale, che costituiscono il fondamento del potere concessorio. In tali ipotesi, l'interesse del privato alla conservazione dello status civitatis acquisito deve necessariamente cedere di fronte all'imprescindibile esigenza di tutela della trasparenza e credibilità dell'azione amministrativa, nonché dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all'art. 97 Cost., che rendono ineludibile l'intervento demolitorio sui procedimenti viziati, anche in assenza di un termine decadenziale espressamente previsto dalla legge per l'esercizio del potere di autotutela.

  • Il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana, essendo un atto di alta amministrazione che incide sul rapporto individuo-Stato-Comunità, è caratterizzato da un elevato grado di discrezionalità nella valutazione dei requisiti e dei presupposti di fatto, in quanto l'interesse dell'istante deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico all'inserimento dello stesso a pieno titolo nella comunità nazionale. Pertanto, il riscontro di gravi irregolarità nell'istruttoria procedimentale, riconducibili a condotte illecite di un funzionario infedele, che hanno determinato l'attribuzione indebita della cittadinanza a soggetti privi dei requisiti o comunque in assenza di una rigorosa verifica, legittima l'Amministrazione a disporre l'annullamento d'ufficio del provvedimento di concessione, in quanto il difetto assoluto di istruttoria connesso a tali vicende penali non risulta altrimenti sanabile, prevalendo l'imprescindibile esigenza di trasparenza e credibilità dell'azione amministrativa, nonché di salvaguardia dei principi di imparzialità e buona amministrazione, sull'interesse del privato alla conservazione dello status civitatis. In tale contesto, l'Amministrazione non è tenuta al rispetto di stringenti termini procedimentali, atteso che il potere di autotutela non è assoggettato a limiti temporali preclusivi, in ragione della notevole rilevanza dell'interesse pubblico connesso alla concessione della cittadinanza.

  • Il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana, adottato in esito a un procedimento amministrativo viziato da gravi irregolarità e manipolazioni, può essere legittimamente annullato d'ufficio dall'amministrazione competente, anche in assenza di un diretto coinvolgimento del beneficiario nel procedimento penale che ha accertato tali irregolarità, in quanto l'interesse pubblico alla tutela della legalità e dell'imparzialità dell'azione amministrativa prevale sull'affidamento del privato nel mantenimento dello status acquisito. L'annullamento d'ufficio non è soggetto a termini di decadenza, trattandosi di un provvedimento di concessione dello status di cittadino, che incide sulla composizione della comunità nazionale e non può consolidarsi col mero decorso del tempo, essendo incompatibile con i valori fondamentali dell'ordinamento costituzionale.

  • Il giudizio di non idoneità per condizioni fisiche accertate in sede concorsuale, come la perforazione timpanica marginale posteriore sinistra con retrazione della membrana timpanica residua, è legittimo in quanto tale patologia è espressamente contemplata tra le cause di inidoneità al servizio militare dalla normativa vigente. Tuttavia, ove la perdita uditiva monolaterale riscontrata risulti di grado inferiore a quello inizialmente accertato, tale da rientrare in un coefficiente di idoneità più elevato, il candidato deve essere ritenuto idoneo, in applicazione del principio di favor partecipationis che impone di interpretare in senso favorevole le condizioni di ammissione ai pubblici concorsi. L'Amministrazione, pertanto, è tenuta a rivalutare la posizione del candidato sulla base degli esiti degli accertamenti sanitari definitivi, al fine di verificarne l'effettiva idoneità, in ossequio ai canoni di imparzialità e buon andamento che devono informare l'azione amministrativa.

  • Il difetto di giurisdizione del giudice a quo determina l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale per difetto di rilevanza, quando sia palese e rilevabile ictu oculi. Qualora sussista l'evidenza del vizio di giurisdizione, o nel giudizio a quo siano state sollevate specifiche eccezioni a riguardo, è richiesta al giudice rimettente una motivazione esplicita, rispetto alla quale spetta alla Corte costituzionale una verifica esterna e strumentale al riscontro della rilevanza delle questioni. La giurisdizione in materia di rapporti di impiego pubblico contrattualizzato spetta, in via generale, al giudice ordinario, in particolare qualora la domanda del dipendente pubblico, individuata sulla base del petitum sostanziale in funzione della causa petendi, miri alla tutela di posizioni giuridiche soggettive afferenti al rapporto di lavoro, asseritamente violate da atti illegittimi, tra cui un atto di sospensione dal servizio. Pertanto, il giudice rimettente deve verificare attentamente la sussistenza della propria giurisdizione, motivando in modo esplicito e non implausibile, al fine di consentire alla Corte costituzionale di valutare la rilevanza delle questioni sollevate. La Corte, infatti, nell'esercizio del proprio sindacato esterno e strumentale, è chiamata a verificare la correttezza della valutazione giurisdizionale operata dal giudice a quo, in quanto la sussistenza della giurisdizione costituisce un presupposto imprescindibile per la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale.

  • Il difetto di giurisdizione del giudice a quo determina l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale per irrilevanza, quando sia palese e rilevabile ictu oculi. Qualora sussista l'evidenza del vizio di giurisdizione, o nel processo a quo siano state sollevate specifiche eccezioni a riguardo, è richiesta al giudice rimettente una motivazione esplicita, rispetto alla quale spetta alla Corte costituzionale una verifica esterna e strumentale al riscontro della rilevanza delle questioni. Secondo la giurisprudenza consolidata, appartiene alla cognizione del giudice ordinario la controversia in cui viene in rilievo un diritto soggettivo, come il diritto ad esercitare una determinata professione, non intermediato dall'esercizio del potere amministrativo. In tali casi, il difetto di giurisdizione del giudice a quo comporta l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, in quanto prive di rilevanza per la definizione del giudizio principale. La Corte costituzionale, nel verificare la rilevanza delle questioni, deve effettuare una valutazione esterna e strumentale rispetto alla motivazione fornita dal giudice rimettente circa l'evidenza del vizio di giurisdizione. Tale principio, affermato in numerose pronunce della Corte, mira a garantire il corretto riparto di competenze tra giudice ordinario e giudice costituzionale, evitando che quest'ultimo si pronunci su questioni prive di effettiva incidenza sulla definizione della controversia principale.

  • Il requisito della rilevanza è segnato dal nesso di pregiudizialità che correla il giudizio incidentale a quello principale di merito, che implica necessariamente che la sollevata questione di legittimità costituzionale abbia nel procedimento a quo un'incidenza attuale e non meramente eventuale. Il postulato della pregiudizialità della questione richiede infatti che questa si concreti solo quando il dubbio di contrasto con la Costituzione investa una norma dalla cui applicazione, ai fini della definizione del giudizio dinanzi a lui pendente, il giudice a quo dimostri di non poter prescindere. In particolare, il rimettente è chiamato a valutare, sia pure in via delibativa e prognostica, allo stato degli atti e dell'iter decisionale, la questione di legittimità costituzionale con riguardo ai requisiti di attualità e rilevanza che sono, del pari, oggetto del controllo in sede di giudizio di legittimità costituzionale, destinato tuttavia quest'ultimo a fermarsi alla non implausibilità delle motivazioni addotte, ossia che il giudizio a quo possieda un proprio oggetto, vale a dire un petitum, separato e distinto dalla questione di legittimità costituzionale, sul quale il remittente sia chiamato a decidere. (Precedenti: S. 35/2017 - mass. 39594; S. 110/2015 - mass. 38411; S. 270/2010 - mass. 34881).

  • La quota sociale acquistata in costanza di matrimonio, optando per il regime patrimoniale della comunione dei beni, costituisce un bene che cade immediatamente in comunione legale tra i coniugi. Al momento dello scioglimento della comunione legale, la quota sociale diviene oggetto di comunione ordinaria tra i coniugi, con conseguente diritto di ciascuno di essi di richiedere la liquidazione della propria quota parte. Il socio che abbia percepito utili o effettuato prelevamenti in misura eccedente la propria quota parte è tenuto a restituire all'altro coniuge comproprietario la metà di quanto indebitamente incassato, senza che rilevi l'assenza di una formale delibera di distribuzione degli utili, essendo sufficiente l'accertamento della maturazione degli stessi in capo alla società. Il diritto alla restituzione della quota parte degli utili spettanti al coniuge comproprietario sorge al momento dello scioglimento della comunione legale e non può essere compensato con eventuali assegni di mantenimento corrisposti nel corso della separazione, trattandosi di obbligazioni distinte e autonome. Il debito di restituzione degli utili indebitamente percepiti costituisce un'obbligazione di valuta, con conseguente applicazione del principio nominalistico e decorrenza degli interessi dalla domanda, senza diritto alla rivalutazione monetaria.

  • La speciale competenza stabilita dall'art. 11 cod. proc. pen. ha natura funzionale e deve essere valutata nel momento in cui è emesso il decreto che dispone il giudizio, sicché, ove legittimamente ritenuta, eventuali successive modifiche delle condizioni che la determinano non influiscono su di essa, in ossequio al principio di economia processuale della "perpetuatio iurisdictionis".

  • Il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana, essendo un atto di alta amministrazione che incide sull'elemento costitutivo dello Stato (Popolo), è caratterizzato da un elevato grado di discrezionalità e di valutazione di opportunità politico-amministrativa da parte dell'Amministrazione, la quale è tenuta a verificare rigorosamente la sussistenza di tutti i requisiti di legge e l'assenza di irregolarità procedimentali, al fine di tutelare gli interessi pubblici fondamentali di sicurezza, stabilità economico-sociale e rispetto dell'identità nazionale. Pertanto, qualora emerga che il provvedimento concessorio sia stato adottato in violazione di tali principi, a causa di gravi irregolarità istruttorie e di condotte fraudolente di funzionari infedeli e di intermediari, l'Amministrazione è legittimata ad annullare d'ufficio il decreto di concessione, anche in assenza di un diretto coinvolgimento del beneficiario, al fine di ripristinare la legalità e la correttezza dell'azione amministrativa, prevalendo tale interesse pubblico sul legittimo affidamento del privato. In tali casi, il mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'art. 21-nonies della legge n. 241/1990 non inficia la legittimità dell'annullamento, in quanto l'interesse pubblico al ripristino della legalità non conosce scadenza.

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