Sentenze recenti quota 100

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  • L'articolo 26 del CCNL per gli Addetti all'Industria dell'Energia e del Petrolio prevede l'erogazione di una "Indennità di uscita turno" ai lavoratori con almeno 20 anni di anzianità di attività prestata in turno, calcolata sulla media dei compensi complessivi percepiti per lavoro in turno nei 3 anni precedenti, a titolo di indennità e maggiorazioni delle quote orarie. Tale indennità è riconosciuta in caso di uscita dal turno per decisione aziendale o per sopravvenuta inidoneità fisica, al fine di garantire il parziale consolidamento del trattamento economico percepito nello svolgimento del lavoro in turno. La locuzione "compensi percepiti per lavoro in turno" ha una portata ampia, che comprende ogni somma, a titolo di indennità e maggiorazione delle quote orarie, percepita in correlazione alle peculiari modalità di prestazione del lavoro in regime di turnazione, incluse le indennità forfettarie di spostamento e di viaggio e turnazione, nonché le maggiorazioni per lavoro straordinario riconosciute ai soli lavoratori in turno. L'indennità cessa al momento della maturazione dei requisiti per la pensione anticipata o di vecchiaia, ma non anche in caso di pensione c.d. "quota 100", trattandosi di una forma straordinaria e transitoria di pensionamento non contemplata dalla contrattazione collettiva. L'anzianità di servizio utile ai fini del calcolo dell'indennità comprende anche i periodi di lavoro prestati presso società estere del medesimo gruppo, in virtù di una consolidata prassi aziendale di riconoscimento di tale anzianità.

  • È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Trento, in funzione di giudice del lavoro, in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost., dell'art. 14, comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come conv., che vieta il cumulo tra la pensione anticipata c.d. "quota 100" con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui. Il divieto di cumulo previsto dalla norma censurata risponde non irragionevolmente a più ampie esigenze di razionalità del sistema pensionistico, all'interno del quale il regime derogatorio introdotto dal legislatore del 2019 con una misura sperimentale e temporalmente limitata, risulta particolarmente vantaggioso per chi scelga di farvi ricorso. L'assenza di omogeneità fra le prestazioni di lavoro occasionale ei intermittente, infatti, porta alla conclusione che non è violato il principio di eguaglianza: mentre al lavoro intermittente, perché subordinato, si accompagna l'obbligo di contribuzione, così non accade per il lavoro autonomo occasionale produttivo di redditi entro la soglia massima dei 5.000 euro lordi annui. La scelta del legislatore non risulta costituzionalmente illegittima neppure considerando la sproporzione che può in concreto determinarsi fra l'entità dei redditi da lavoro percepiti dal pensionato che ha usufruito della c.d. "quota 100" e i ratei di pensione la cui erogazione è sospesa. Non si può infatti non considerare l'eccezionalità della misura pensionistica in esame, che ha consentito, per il triennio 2019-2021, il ritiro dal lavoro all'età di 62 anni, con un'anzianità contributiva di almeno 38 anni, senza penalizzazioni nel calcolo della rendita. In tale regime, la percezione da parte del pensionato di redditi da lavoro, qualunque ne sia l'entità, costituisce elemento fattuale che contraddice il presupposto richiesto dal legislatore per usufruire di tale favorevole trattamento pensionistico anticipato, e mette a rischio l'obiettivo occupazionale. (Precedenti: S. 104/2022 - mass. 44723; S. 127/2020 - mass. 43215; S. 32/2018 - mass. 39850; S. 241/2016 - mass. 39152; S. 416/1999 - mass. 25042; O. 346/2004 - mass. 28852).

  • La pensione conseguita ai sensi dell'art. 14 del D.L. n. 4 del 2019 (c.d. "Pensione Quota 100") non è cumulabile, a far data dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei requisiti per l'accesso alla pensione di vecchiaia, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui. Pertanto, il reddito da lavoro dipendente eventualmente percepito in un anno e sino a concorrenza del medesimo, non può essere cumulato con il trattamento pensionistico percepito nel medesimo anno e deve essere detratto da quest'ultimo, dando luogo ad un indebito di pari importo, soggetto al recupero da parte dell'INPS. La diversa interpretazione secondo cui la percezione di redditi da lavoro dipendente in un anno renderebbe indebito l'intero trattamento pensionistico in tale anno non trova fondamento normativo positivo e risulta eccedente rispetto alla sola previsione dell'incumulabilità, presentando altresì profili di frizione con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. in quanto, in difetto di espresse previsioni di carattere sanzionatorio, finisce per trattare in modo analogo situazioni differenti colpendo con l'integrale recupero del trattamento pensionistico dell'anno lavoratori che, in tale anno, abbiano percepito redditi di entità e per periodi diversi. Inoltre, la situazione di bisogno che fonda il diritto alla prestazione previdenziale si caratterizza diversamente in dipendenza dell'entità del reddito contestualmente percepito dal pensionato, con la conseguenza che appare ragionevole un'interpretazione della norma che limiti l'incumulabilità del trattamento pensionistico proprio all'entità del reddito percepito.

  • Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Milano e dalla Corte dei conti, sezz. giur. reg. per il Friuli-Venezia Giulia, per il Lazio, per la Sardegna e per la Toscana, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. - dell'art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018, che stabilisce una decurtazione percentuale crescente, per la durata di cinque anni (dal 2019 al 2023), dei trattamenti pensionistici di importo superiore a 100.000 euro lordi annui. Il prelievo disposto dalla norma censurata non implica una decurtazione patrimoniale definitiva del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo ammontare, bensì è mantenuto all'interno del circuito previdenziale, mediante accantonamento in appositi fondi. Di conseguenza, il prelievo resta inquadrato nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all'art. 23 Cost., e si sottrae al principio di universalità dell'imposizione tributaria, di cui all'art. 53 Cost., potendo trovare un'autonoma giustificazione nei principi solidaristici sanciti dall'art. 2 Cost. (Precedenti citati: sentenze n. 116 del 2013 e n. 241 del 2012; ordinanza n. 22 del 2003).

  • Sono dichiarate manifestamente inammissibili, per sopravvenuta carenza dell'oggetto della censura, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dalla Corte dei conti, sez. giur. reg. per il Lazio, in riferimento agli artt. 3, 23, 36, 38 e 53 Cost. - dell'art. 1, commi da 261 a 268, della legge n. 145 del 2018, nella parte in cui stabilisce la decurtazione percentuale crescente dei trattamenti pensionistici diretti di importo complessivo superiore a 100.000 euro lordi annui «per la durata di cinque anni», anziché «per la durata di tre anni». La sentenza n. 234 del 2020 ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione censurata in senso conforme al petitum del rimettente. (Precedenti: S. 234/2020 - mass. 43238; O. 102/2022 - mass. 44906; O. 206/2021 - mass. 44207; O. 93/2021 - mass. 43872; O. 125/2020 - mass. 42579; O. 105/2020 - mass. 43436; O. 71/2017 - mass. 39403).

  • Il canone di imparzialità consente di ricorrere allo scorrimento delle graduatorie, nel rigoroso rispetto dell'ordine di merito, solo quando vi sia un'integrale corrispondenza tra il profilo e la qualifica professionale del posto che si intende coprire, da un lato, e, dall'altro, il profilo e la categoria professionale per i quali si è bandito il concorso poi concluso con l'approvazione delle graduatorie. Non vi è invece scorrimento per posti di nuova istituzione o frutto di trasformazione, per evitare rimodulazioni dell'organico in potenziale contrasto con i princìpi di imparzialità prescritti dalla Costituzione. Il principio del buon andamento preclude inoltre di scorrere le graduatorie anche quando sia mutato il contenuto professionale delle mansioni tipiche del profilo che si intende acquisire o quando, per il tempo trascorso o per le modifiche sostanziali nel frattempo introdotte nelle prove di esame e nei requisiti di partecipazione dei concorrenti, la graduatoria già approvata cessi di rispecchiare una valutazione attendibile dell'idoneità dei concorrenti e della qualificazione professionale necessaria per ricoprire l'incarico. Spetta alle Regioni, nell'esercizio della propria competenza residuale in materia di organizzazione del personale - e nel rispetto, in particolare, dei princìpi di buon andamento e di imparzialità, che la stessa normativa statale può contribuire a enucleare - definire le regole di accesso all'impiego regionale e di utilizzo delle relative graduatorie concorsuali, compiendo le scelte discrezionali più appropriate. (Precedenti citati: sentenze n. 77 del 2020 e n. 380 del 2004). La regolamentazione dell'accesso ai pubblici impieghi mediante concorso è riferibile all'ambito della competenza esclusiva statale, sancita dall'art. 117, secondo comma, lett. g), Cost., solo per quanto riguarda i concorsi indetti dalle amministrazioni statali e dagli enti pubblici nazionali, mentre l'impiego pubblico regionale va ricondotto all'ordinamento civile, di competenza esclusiva statale, solo per i profili privatizzati del rapporto, attinenti al rapporto di lavoro già instaurato, laddove i profili "pubblicistico-organizzativi" - i quali, perché indissolubilmente connessi con l'attuazione dei princìpi enunciati dagli artt. 51 e 97 Cost., sono sottratti all'incidenza della privatizzazione del lavoro presso le pubbliche amministrazioni, che si riferisce alla disciplina del rapporto già instaurato -, tra cui le procedure concorsuali e la regolamentazione delle graduatorie, rientrano nell'ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, di competenza legislativa residuale della Regione. (Precedenti citati: sentenze n. 241 del 2018, n. 191 del 2017, n. 251 del 2016, n. 149 del 2012, n. 63 del 2012, n. 339 del 2011, n. 77 del 2011, n. 233 del 2006, n. 2 del 2004 e n. 380 del 2004).

  • Il divieto di cumulo tra trattamento pensionistico e redditi da lavoro dipendente, previsto dall'art. 14, comma 3, del D.L. n. 4/2019, comporta che il reddito da lavoro dipendente eventualmente percepito in un anno e sino a concorrenza dello stesso debba essere detratto dal trattamento pensionistico erogato nel medesimo anno, senza che ciò possa determinare la ripetizione dell'intero importo della pensione corrisposta, in assenza di una specifica previsione normativa in tal senso. Tale interpretazione, che valorizza il rilievo costituzionale della prestazione previdenziale ex art. 38 Cost. e il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., limita l'incumulabilità del trattamento pensionistico all'entità del reddito effettivamente percepito, evitando di trattare in modo analogo situazioni differenti.

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