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Il diritto a risiedere, quale diritto soggettivo pieno, è garantito a tutti i cittadini, italiani e stranieri regolarmente soggiornanti, in quanto espressione di un bene primario per l'individuo. L'iscrizione anagrafica, quale atto vincolato, costituisce la concreta attuazione di tale diritto, non potendo essere negata o ritardata in assenza di una ragionevole giustificazione. L'amministrazione, pertanto, è tenuta a compiere verifiche approfondite e non meramente formali circa l'effettiva dimora abituale del richiedente, anche in caso di variazioni di residenza, prima di adottare provvedimenti di diniego o improcedibilità di istanze di rinnovo del permesso di soggiorno. Il mancato rispetto di tali principi, comporta l'illegittimità del provvedimento adottato, con conseguente obbligo per l'amministrazione di riesaminare la posizione dell'interessato, tenendo conto di tutte le circostanze sopravvenute.
La nozione di residenza di una persona, rilevante ai fini dell'iscrizione nelle liste anagrafiche di un Comune, è determinata dalla abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, caratterizzata dalla permanenza per un periodo prolungato apprezzabile, anche se non necessariamente prevalente sotto un profilo quantitativo (elemento oggettivo), e dall'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali, familiari ed affettive (elemento soggettivo). Tale stabile permanenza sussiste anche quando una persona lavori o svolga altra attività fuori del Comune di residenza, purché torni presso la propria abitazione abitualmente, in modo sistematico, una volta assolti i propri impegni (lavorativi o di studio) e sempre che mantenga ivi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali. La verifica della sussistenza del requisito della dimora abituale in capo a chi richiede l'iscrizione anagrafica in un Comune deve avvenire, da parte degli organi a ciò preposti, con modalità concrete che, pur non previamente concordate, si concilino con l'esigenza di ogni cittadino di poter attendere quotidianamente alle proprie occupazioni, in virtù del principio di leale collaborazione tra soggetto pubblico e privato, con l'onere in capo al richiedente la residenza di indicare, fornendone adeguata motivazione, i periodi in cui sarà certa la sua assenza dalla propria abitazione, in modo tale da consentire al Comune di concentrare e programmare i propri controlli in quelli residui. Pertanto, il mancato assolvimento di tale onere probatorio da parte del richiedente la residenza, unitamente all'esito negativo degli accessi effettuati dalla polizia municipale in assenza di preventiva comunicazione dei periodi di assenza, legittima il rigetto della domanda di iscrizione anagrafica.
La nozione di residenza di una persona, ai sensi dell'art. 43 c.c., è determinata dall'abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, che si caratterizza per la permanenza in tale luogo per un periodo prolungato apprezzabile, anche se non necessariamente prevalente sotto un profilo quantitativo e dall'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali, familiari, affettive. Tale stabile permanenza sussiste anche quando una persona lavori o svolga altra attività fuori del Comune di residenza, purché torni presso la propria abitazione abitualmente, in modo sistematico, una volta assolti i propri impegni e sempre che mantenga ivi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali. (Leggi l'ordinanza estesa) La residenza della persona ex art. 43 c.c. è determinata dall'abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, caratterizzata dalla permanenza per un periodo apprezzabile e dall'intenzione di abitarvi in modo stabile, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali, familiari ed affettive. La verifica di tali requisiti, ai sensi dell'art. 19 d.P.R. n. 223 del 1989, deve avvenire da parte degli organi preposti con modalità che si concilino con l'esigenza di ogni cittadino di poter attendere alle proprie occupazioni, in virtù del principio di leale collaborazione, con l'onere a carico del richiedente di indicare, fornendone adeguata motivazione, i periodi in cui sarà certa la sua assenza dall'abitazione, sì da consentire al comune di concentrare e programmare i propri controlli in quelli restanti. (Leggi l'ordinanza estesa)
Il provvedimento di decadenza dall'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica deve essere espressione del giusto contemperamento degli interessi in gioco, sia quello pubblico alla destinazione dell'alloggio a chi sia bisognoso, sia quello privato alla piena e completa utilizzazione dello stesso da parte di chi ne sia legittimo assegnatario; di conseguenza esso impone l'espletamento di un'approfondita e adeguata istruttoria e deve fondarsi su una congrua motivazione da cui emergano in modo chiaro ed incontrovertibile gli elementi valutati e l'iter che ha giustificato la determinazione assunta, atteso che un'assenza breve e discontinua non può far venire meno la stabile occupazione dell'alloggio. L'autorità del giudicato amministrativo copre sia il dedotto sia il deducibile, dunque non solo le ragioni giuridiche fatte espressamente valere, in via di azione o in via di eccezione, nel giudizio intercorso tra le parti, ma anche tutte quelle che, anche se non specificamente dedotte o enunciate, costituiscano premesse necessarie della pretesa e dell'accertamento relativo; pertanto, qualora l'amministrazione intenda disporre il diniego di un'istanza di regolarizzazione per motivi diversi da quelli già esaminati e ritenuti illegittimi dal giudice, essa deve dedurre tali nuovi motivi nel provvedimento oggetto del primo giudizio, non potendo riservarli per un successivo provvedimento. La nozione di residenza di una persona è determinata dall'abituale e volontaria dimora, intesa come permanenza in tale luogo per un periodo prolungato apprezzabile, anche se non necessariamente prevalente sotto un profilo quantitativo, e dall'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali, familiari, affettive; la verifica della sussistenza del requisito della dimora abituale deve avvenire, da parte degli organi a ciò preposti, con modalità concrete che, pur non previamente concordate, si concilino con l'esigenza di ogni cittadino di poter attendere quotidianamente alle proprie occupazioni, in virtù del principio di leale collaborazione tra soggetto pubblico e privato, con l'onere in capo al richiedente la residenza di indicare, fornendone adeguata motivazione, i periodi in cui sarà certa la sua assenza dalla propria abitazione.
Il diritto a risiedere in un determinato luogo è un diritto soggettivo pieno, la cui concreta attuazione è demandata alla legge anagrafica e al relativo regolamento. L'iscrizione anagrafica, anche nella cosiddetta "via fittizia" o "via virtuale", è uno strumento di governo del territorio e di tutela della pubblica sicurezza, nonché di garanzia per l'accesso ai servizi pubblici essenziali che sono espressione di diritti fondamentali della persona. L'omessa comunicazione del preavviso di rigetto di un'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo, in violazione dell'art. 10-bis della L. n. 241/1990, comporta la caducazione dell'atto impugnato, salvo che l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il giudice amministrativo, nel valutare la legittimità del provvedimento, deve tenere conto anche degli elementi sopravvenuti nel corso del procedimento che incidono sulla situazione giuridica soggettiva del ricorrente, specie quando sono in gioco diritti fondamentali della persona.
La residenza è determinata dall'abituale volontaria dimora di una persona in un dato luogo, sicché concorrono a instaurare tale relazione, giuridicamente rilevante, sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo, sia l'elemento soggettivo della volontà di rimanervi, la quale, estrinsecandosi in fatti univoci evidenziati questa intenzione, è compenetrata normalmente nel primo elemento, mentre assume particolare rilievo in caso di trasferimento della residenza. Il domicilio, invece, individua il luogo in cui la persona ha stabilito il centro principale dei propri affari e interessi, sicché riguarda la generalità dei rapporti del soggetto - non solo economici, ma anche morali, sociali e familiari - e va desunta alla stregua di tutti quegli elementi di fatto che, direttamente o indirettamente, denuncino la presenza in un certo luogo di tale complesso di rapporti e il carattere principale che esso ha nella vita della persona.
La misura di prevenzione del foglio di via obbligatorio può essere legittimamente applicata, in assenza di pendenze penali a carico dell'interessato, sulla base di una valutazione di pericolosità sociale fondata su concreti comportamenti attuali del soggetto, i quali non devono necessariamente concretarsi in circostanze univoche ed episodi definiti, ma possono desumersi da una valutazione indiziaria basata su circostanze di portata generale e di significato tendenziale, o su contesti significativi nel loro complesso. Tuttavia, ai fini dell'applicazione di tale misura, è necessario accertare con precisione il comune di residenza o di dimora abituale del soggetto, in quanto la nozione di residenza, agli effetti della normativa in materia di prevenzione, va intesa come il luogo in cui la persona ha la dimora abituale, ai sensi dell'art. 43 c.c., e non necessariamente coincide con l'iscrizione anagrafica. Pertanto, ove emergano elementi indicativi di una dimora abituale del soggetto in un comune diverso da quello di iscrizione anagrafica, l'amministrazione è tenuta a svolgere un supplemento di istruttoria per accertare con precisione tale dato, prima di irrogare la misura di prevenzione.
La comunicazione di avvio del procedimento amministrativo di trasferimento di residenza dall'estero in Italia, con data certa di registrazione, costituisce titolo idoneo ai sensi dell'art. 6 del d.lgs. n. 286/1998 (Testo Unico sull'Immigrazione) per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, in quanto rappresenta un quid pluris rispetto alla sola dimora abituale richiesta dalla norma. L'Amministrazione, di fronte a interessi di rilievo costituzionale e internazionale attinenti ai diritti fondamentali della persona, ha il dovere di procedere a una verifica più approfondita della situazione abitativa dello straniero, non potendosi limitare a un unico accesso al domicilio dichiarato, in un'ottica di bilanciamento tra le esigenze di controllo e monitoraggio della popolazione residente e il diritto dello straniero regolarmente soggiornante di ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno. Pertanto, in assenza di un contrarius actus rispetto all'avvio del procedimento di iscrizione anagrafica, l'Amministrazione non può rigettare l'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato sulla base della mancata presentazione del certificato di residenza.
Il concetto di "residenza" ai fini della rifiutabilità della consegna di un cittadino comunitario in esecuzione di un mandato di arresto europeo, ai sensi della Legge n. 69 del 2005, art. 18, lett. r), richiede un radicamento reale e significativo dello straniero nel territorio italiano, caratterizzato da una stabile e duratura permanenza, con la presenza di legami sociali, familiari ed economici di una certa consistenza e continuità temporale. Non è sufficiente la mera residenza formale, la titolarità di un codice fiscale o la presenza occasionale nel territorio, essendo necessario che il soggetto abbia istituito in Italia la sede principale dei propri interessi affettivi e professionali, con una chiara volontà di stabile permanenza per un apprezzabile periodo di tempo. Solo tale radicamento effettivo e sostanziale può integrare i presupposti per il rifiuto della consegna in base alla citata disposizione normativa.
La residenza di una persona è determinata dalla sua abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, cioè dall'elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dall'elemento soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali. Questa stabile permanenza sussiste anche quando la persona si rechi a lavorare o a svolgere altra attività fuori del comune di residenza, sempre che conservi in esso l'abitazione, vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali.
Il dipendente pubblico è tenuto a comunicare tempestivamente all'amministrazione di appartenenza il proprio domicilio o residenza, al fine di consentire l'effettuazione delle visite di controllo medico-fiscali. La mancata comunicazione della variazione del domicilio o residenza, che impedisca l'espletamento della visita di controllo, integra una condotta negligente sanzionabile disciplinarmente, a prescindere dalla sussistenza di un intento ostruzionistico da parte del dipendente. La comunicazione di una mera "dimora" temporanea, invece che del domicilio o residenza, non è sufficiente a soddisfare tale obbligo informativo, in quanto il domicilio e la residenza, a differenza della dimora, sono caratterizzati da un elemento di stabilità e di concentrazione degli interessi della persona. Pertanto, la sanzione disciplinare del richiamo scritto irrogata al dipendente per la mancata comunicazione della variazione del proprio domicilio o residenza, che abbia impedito l'effettuazione della visita di controllo medico-fiscale, è legittima e proporzionata alla condotta negligente posta in essere, non essendo necessario che la contestazione disciplinare faccia riferimento alla specifica conseguenza della vanificazione della visita di controllo, atteso che ciò costituisce un mero posterius causalmente riconducibile all'omissione sanzionata.
Il rilascio del visto per residenza elettiva in Italia richiede la dimostrazione della reale intenzione del richiedente di stabilirsi stabilmente nel territorio nazionale, valutata sulla base di elementi oggettivi come la disponibilità di un'abitazione da eleggere a residenza, l'autonoma capacità economica e la mancanza di vincoli lavorativi o imprenditoriali prevalenti all'estero, che possano compromettere tale intento. L'amministrazione, nel valutare la sussistenza di tali requisiti, gode di un ampio margine di discrezionalità, sindacabile solo in caso di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, non essendo sufficiente la mera produzione di documentazione attestante la disponibilità di risorse economiche. Pertanto, il diniego del visto può essere legittimamente fondato sulla prevalenza degli interessi e dei legami del richiedente con un Paese estero rispetto all'effettiva volontà di stabilirsi in modo duraturo in Italia, anche in presenza di cospicue disponibilità patrimoniali e reddituali nel territorio nazionale.
La nozione di "residenza" rilevante ai fini dell'applicazione dei regimi di consegna previsti dalla legge n. 69 del 2005 presuppone un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero nello Stato, caratterizzato da una apprezzabile continuità temporale e stabilità della dimora, nonché dalla fissazione in Italia della sede principale, anche se non esclusiva, degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi. Il mero ottenimento della residenza anagrafica e la manifestata volontà di stabilirsi in Italia non sono sufficienti a integrare tale requisito, essendo necessario un effettivo e consolidato inserimento del consegnando nel nuovo tessuto sociale e lavorativo, che si sostanzi in un trascorso lasso di tempo di durata significativa. Le intenzioni del consegnando, anche ove espressive della serietà di una futura scelta di vita, non possono valere ad integrare il radicamento ostativo alla consegna, il quale deve risultare già realizzato al momento della decisione. Pertanto, il breve lasso di tempo trascorso dal trasferimento in Italia del consegnando non è idoneo a fondare la sua residenza ai sensi della legge n. 69 del 2005, con la conseguente legittimità dell'ordine di consegna all'autorità giudiziaria dello Stato richiedente.
Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: La nozione di "residenza" rilevante ai fini del rifiuto di consegna di un cittadino di altro Paese membro dell'Unione Europea nell'ambito di un mandato di arresto europeo, ai sensi della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, lett. r), presuppone un radicamento reale e non estemporaneo della persona nello Stato di esecuzione, desumibile dalla legalità della sua presenza in Italia, dall'apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, dalla distanza temporale tra quest'ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all'estero, dalla fissazione in Italia della sede principale (anche se non esclusiva) e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, dal pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali. La nozione di "dimora", rilevante ai medesimi fini, si identifica con un soggiorno nello Stato stabile e di una certa durata, idoneo a consentire l'acquisizione di legami con lo Stato pari a quelli che si instaurano in caso di residenza. Tuttavia, il giudice è tenuto a verificare anche l'esistenza di un concreto rischio di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti per il consegnando, in relazione alle condizioni di detenzione nello Stato di emissione, sulla base di una rigorosa analisi di tutti gli elementi rilevanti, richiedendo ove necessario informazioni specifiche all'autorità giudiziaria dello Stato di emissione.
La nozione di "residenza" rilevante ai fini dell'applicazione dei diversi regimi di consegna previsti dalla legge sul mandato di arresto europeo presuppone l'esistenza di un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero nello Stato, da valutarsi sulla base di indici concorrenti quali la legalità della sua presenza in Italia, l'apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest'ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all'estero, la fissazione in Italia della sede principale, anche se non esclusiva, e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali. Il mero trasferimento in Italia a ridosso della scarcerazione in sede cautelare, privo di tali elementi di radicamento, non è sufficiente a configurare una "residenza" idonea a far applicare il regime più favorevole previsto dalla legge per la consegna.
La nozione di "residenza" valorizzabile agli effetti dell'applicazione dei diversi regimi di consegna previsti dalla Legge 22 aprile 2005, n. 69, presuppone l'esistenza di un radicamento reale, non estemporaneo e consolidato, dello straniero nello Stato, con la dimostrazione che l'interessato non solo disponga in Italia di una sua dimora abituale, intesa come "abitudine della dimora", compatibile anche con frequenti allontanamenti, ma anche che egli intenda permanere nel territorio italiano in modo stabile e per un apprezzabile periodo di tempo, nonché l'ulteriore conclusiva evidenza che l'interessato abbia ragionevolmente istituito nel territorio dello Stato, con continuità temporale e sufficiente stabilità di legami con il territorio stesso, la sede principale, anche se non esclusiva, dei suoi interessi affettivi, lavorativi, professionali, economici e o culturali. Pertanto, la valutazione della sussistenza di tali requisiti non può essere effettuata in modo assertivo e apodittico, ma deve essere adeguatamente motivata sulla base di specifici elementi di fatto, al fine di verificare se la persona consegnanda possa ritenersi "residente" nel territorio dello Stato italiano.
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