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Il diritto al ricongiungimento familiare, quale espressione del diritto fondamentale alla vita familiare, è tutelato dall'ordinamento giuridico e trova riconoscimento sia a livello costituzionale che convenzionale. L'amministrazione è tenuta a dare esecuzione ai provvedimenti giurisdizionali definitivi che accertano tale diritto, senza possibilità di opporre ulteriori dinieghi o ritardi ingiustificati. Il mancato adempimento dell'obbligo di conformarsi al giudicato, che ha forza vincolante erga omnes, legittima il ricorso all'azione di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo al fine di ottenere l'adempimento coattivo dell'obbligo di provvedere. Il principio di effettività della tutela giurisdizionale impone all'amministrazione di dare piena e tempestiva esecuzione alle pronunce definitive del giudice ordinario, senza possibilità di opporre ulteriori impedimenti o eccezioni, salvo il caso di sopravvenuta impossibilità giuridica o materiale. Il diritto al ricongiungimento familiare, quale espressione del diritto fondamentale alla vita familiare, costituisce un diritto soggettivo perfetto, la cui tutela non può essere vanificata da comportamenti dilatori o omissivi della pubblica amministrazione. L'azione di ottemperanza rappresenta uno strumento essenziale per assicurare l'effettività della tutela giurisdizionale e impedire che il mancato adempimento dell'obbligo di conformarsi al giudicato possa pregiudicare irrimediabilmente la posizione giuridica del ricorrente. L'amministrazione è tenuta a dare esecuzione al giudicato senza possibilità di opporre ulteriori dinieghi o ritardi ingiustificati, salvo il caso di sopravvenuta impossibilità giuridica o materiale, dovendo in ogni caso assicurare il pieno e tempestivo adempimento dell'obbligo di provvedere.
Il diritto al ricongiungimento familiare, previsto dall'art. 29 del D.Lgs. n. 286/1998 (Testo Unico sull'Immigrazione), costituisce un diritto soggettivo perfetto, la cui titolarità può essere accertata dal giudice ordinario attraverso il procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c. L'ordinanza del giudice ordinario che riconosce tale diritto, una volta passata in giudicato, è vincolante per l'Amministrazione, la quale è tenuta a dare esecuzione alla stessa convocando il richiedente per la verifica dei requisiti necessari al rilascio dell'autorizzazione all'ingresso del familiare. In caso di inerzia dell'Amministrazione, il giudice amministrativo può nominare un commissario ad acta per l'adempimento dell'obbligo di esecuzione dell'ordinanza, condannando l'Amministrazione al pagamento delle spese di giudizio. Il diritto al ricongiungimento familiare, essendo espressione del diritto fondamentale alla vita familiare tutelato a livello costituzionale e convenzionale, deve essere garantito dall'Amministrazione con celerità e senza ingiustificati ritardi, nel rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa.
Il diritto al ricongiungimento familiare, previsto dall'art. 30, comma 6, del D.Lgs. n. 286/1998, deve essere riconosciuto anche in presenza di redditi di lavoro occasionale o discontinuo, purché complessivamente idonei a dimostrare la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti. La diminuzione temporanea del reddito non può essere di ostacolo al ricongiungimento, se vi è una valutazione prognostica positiva circa la possibilità di una futura ripresa lavorativa. Inoltre, il requisito alloggiativo può ritenersi soddisfatto anche in presenza di soluzioni abitative che consentano l'ospitalità temporanea del familiare da ricongiungere, come nel caso degli alloggi ALER. L'amministrazione competente è tenuta a rilasciare il nulla osta al ricongiungimento familiare, senza poter opporre un diniego per mancanza di tali requisiti, quando il giudice amministrativo ne abbia già accertato la sussistenza.
Il diritto al ricongiungimento familiare degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, costituzionalmente garantito e previsto da numerose convenzioni sui diritti fondamentali dell'uomo, si realizza attraverso un procedimento complesso a formazione progressiva, in cui lo Sportello Unico per l'Immigrazione verifica preliminarmente la sussistenza dei requisiti di disponibilità di alloggio e reddito, mentre l'Autorità consolare è competente ad accertare l'autenticità della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età o stato di salute del familiare per il quale è richiesto il ricongiungimento. Tali accertamenti, pur distinti, devono essere compiuti in modo coordinato e nel rispetto del diritto fondamentale all'unità familiare, il cui esercizio può essere limitato solo per ragioni di ordine pubblico, sicurezza pubblica o sanità pubblica, senza che possano rilevare considerazioni attinenti alla regolazione dei flussi migratori. Pertanto, il diniego del nulla osta al ricongiungimento non può fondarsi sulla mera incompletezza della documentazione prodotta dallo straniero, essendo necessario che l'Amministrazione verifichi, in collaborazione con l'Autorità consolare, la sussistenza di tutti i presupposti normativamente previsti per il riconoscimento di tale diritto.
Il diritto al ricongiungimento familiare, previsto dall'art. 29 del D.Lgs. 286/1998, è un diritto soggettivo perfetto dello straniero regolarmente soggiornante in Italia, il cui esercizio può essere limitato solo per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato. L'Amministrazione è tenuta a pronunciarsi espressamente sulla domanda di ricongiungimento entro un termine ragionevole, non potendo opporre un silenzio inadempiente che violi il diritto del richiedente ad ottenere una decisione nel merito. Tuttavia, l'adozione di un provvedimento esplicito di diniego, anche in corso di giudizio, rende improcedibile il ricorso avverso il silenzio, fermo restando la possibilità per l'interessato di impugnare il provvedimento ritenuto illegittimo con motivi aggiunti. Il giudice amministrativo, in sede di giudizio sul silenzio, non può pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa al ricongiungimento, essendo tale questione estranea al thema decidendum proprio di tale rito, volto unicamente ad ottenere una decisione espressa dell'Amministrazione.
Il diritto al ricongiungimento familiare, previsto dal Decreto Legislativo n. 286 del 1998, deve essere riconosciuto quando risultano adeguatamente comprovati i presupposti stabiliti dalla legge, senza che il giudice possa operare una valutazione discrezionale ulteriore rispetto a quella normativa. Il provvedimento amministrativo di diniego del visto di ingresso per ricongiungimento familiare deve pertanto essere annullato qualora il giudice accerti la sussistenza dei requisiti di legge, in quanto il diritto al ricongiungimento familiare costituisce espressione del principio di tutela della famiglia, quale valore costituzionalmente protetto. Il giudice, nel valutare la domanda di ricongiungimento, non può sostituire la propria valutazione discrezionale a quella dell'Amministrazione, essendo tenuto a verificare esclusivamente la conformità del provvedimento impugnato alla disciplina normativa applicabile, senza margini di apprezzamento ulteriori. L'annullamento del diniego di visto di ingresso per ricongiungimento familiare si impone, pertanto, ove risultino provati i presupposti di legge, in quanto il diritto al mantenimento dell'unità familiare rappresenta un diritto fondamentale della persona, tutelato a livello costituzionale ed internazionale, che non può essere compresso se non per ragioni di ordine pubblico o di sicurezza nazionale, da valutarsi in concreto.
Il diritto al ricongiungimento familiare costituisce un diritto fondamentale dell'individuo, tutelato dall'ordinamento giuridico, che impone all'amministrazione competente l'obbligo di provvedere tempestivamente sulla relativa istanza presentata dall'interessato. L'inerzia o il ritardo ingiustificato dell'amministrazione nel rilasciare il nulla osta richiesto integra un comportamento illegittimo e lesivo della posizione giuridica del richiedente, il quale può agire in giudizio per ottenere l'accertamento di tale obbligo e la condanna dell'amministrazione a provvedere, anche con la nomina di un commissario ad acta in caso di perdurante inadempimento. Il diritto al ricongiungimento familiare, quale espressione del diritto fondamentale alla vita familiare, deve essere garantito dall'amministrazione con celerità e senza ingiustificati ritardi, nel rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa. L'accertamento giurisdizionale dell'obbligo di provvedere e della conseguente illegittimità del comportamento omissivo dell'amministrazione competente consente al richiedente di ottenere il ristoro dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa del protrarsi dell'inerzia amministrativa.
Il provvedimento di espulsione dello straniero che si è trattenuto nel territorio nazionale oltre il termine di tre mesi dal rigetto della richiesta di riconoscimento della protezione internazionale è legittimo, in quanto atto dovuto ai sensi dell'art. 1, comma 3, della legge n. 68/2007, salvo che il ritardo non sia dipeso da causa di forza maggiore. Ai fini della valutazione della sussistenza di legami familiari che possano impedire l'espulsione, il giudice è tenuto a verificare l'effettività e la consistenza di tali vincoli, desumibili da elementi oggettivi quali l'esistenza di un rapporto di coniugio e la durata del matrimonio, la nascita di figli e la loro età, la convivenza, la dipendenza economica, le difficoltà che il coniuge o i figli rischierebbero di affrontare in caso di espulsione. La mera convivenza con un familiare in Italia non è di per sé sufficiente a escludere l'espulsione, qualora permangano forti legami del migrante con il Paese di origine.
Il giudice, nel valutare la legittimità di un provvedimento di espulsione dello straniero, è tenuto a esaminare in concreto l'effettività dei suoi legami familiari in Italia, anche se non formalmente titolare di un diritto al ricongiungimento familiare, in applicazione della tutela rafforzata prevista dall'art. 13, comma 2-bis, del D.Lgs. n. 286/1998, in coerenza con il diritto all'unità familiare sancito dall'art. 8 CEDU. Tale esame deve dare conto di tutti gli elementi qualificanti l'effettività di tali legami e delle difficoltà conseguenti all'espulsione, senza poter fare riferimento in via suppletiva a criteri generali quali la durata del soggiorno, l'integrazione sociale o i legami culturali con il Paese di origine. Il mancato compimento di tale approfondita valutazione da parte del giudice di merito comporta la nullità del provvedimento per vizio di motivazione.
Il diritto al ricongiungimento familiare dello straniero regolarmente soggiornante in Italia non è incondizionato, ma può essere legittimamente limitato dal legislatore al fine di bilanciare tale interesse con altri valori costituzionali, quali quelli sottesi alle norme in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri. Pertanto, la presenza irregolare dello straniero sul territorio nazionale, a maggior ragione se destinatario di un provvedimento di espulsione, costituisce un impedimento alla positiva conclusione del procedimento di ricongiungimento familiare, non essendo sufficiente, a tal fine, la mera esistenza di un appuntamento per l'ottenimento di un permesso di soggiorno in un altro Paese o la circostanza di avere un figlio minore, qualora non sia provato che quest'ultimo sia cittadino italiano residente in Italia. Il legislatore può, dunque, legittimamente subordinare il ricongiungimento familiare alla regolarità della posizione dello straniero, senza che ciò comporti una violazione dei principi costituzionali, atteso che il diritto alla vita familiare non è assoluto e può essere bilanciato con altri interessi di rilievo costituzionale.
La presentazione di documentazione falsa o attestazioni non veritiere a sostegno della domanda di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno comporta l'inammissibilità della domanda stessa, a prescindere dall'effettivo svolgimento di una regolare attività lavorativa successiva, in quanto la gravità della condotta posta in essere dall'interessato nell'intento di aggirare le norme sull'immigrazione è sufficiente a giustificare il diniego del titolo di soggiorno. Tuttavia, l'Amministrazione è tenuta a valutare eventuali sopravvenienze positive, come l'instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro, al fine di riesaminare la posizione dell'interessato in sede di una nuova richiesta di rinnovo. I legami familiari che possono comportare una tutela rafforzata sono quelli previsti dall'art. 29 del d.lgs. n. 286/1998 per il ricongiungimento familiare, mentre i rapporti tra parenti di altro grado, come il legame tra fratelli, non rientrano in tale ambito di protezione.
Il diritto alla vita privata e familiare dello straniero, tutelato dall'art. 8 CEDU e recepito nell'art. 19, comma 1.1, del d.lgs. n. 286/1998, costituisce causa ostativa all'espulsione, imponendo al giudice di valutare la natura e l'effettività dei suoi legami familiari nel territorio nazionale, la durata del suo soggiorno e l'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il Paese d'origine. Tale valutazione non è limitata ai soli casi di ricongiungimento familiare, ma si estende a qualsiasi forma di "legame familiare", anche di fatto, secondo un'interpretazione estensiva della nozione di "famiglia" accolta dalla giurisprudenza della Corte EDU e fatta propria dalla Corte di Cassazione. Il giudice, pertanto, è tenuto a esaminare e pronunciarsi sulla sussistenza di tali elementi ostativi all'espulsione, anche in assenza di una formale richiesta di ricongiungimento, in adempimento del suo obbligo di cooperazione istruttoria. Il bilanciamento tra il diritto alla vita privata e familiare e gli altri interessi pubblici tutelati dalla legge deve essere effettuato caso per caso, tenendo conto delle specifiche circostanze del singolo individuo.
Il provvedimento di espulsione dello straniero dal territorio nazionale può essere legittimamente adottato quando sussistano oggettivi e concreti indici di pericolosità sociale, desumibili da precedenti penali, segnalazioni di polizia e mancanza di documenti di identità, a prescindere dalla durata del soggiorno, dai legami familiari e lavorativi dello straniero nel territorio italiano. Tuttavia, il giudice è tenuto a valutare, caso per caso, l'effettività e la consistenza di tali legami familiari, al fine di bilanciare la pericolosità sociale con il diritto all'unità familiare tutelato dall'art. 8 CEDU, senza che sia sufficiente il mero riferimento a criteri generici come la durata del soggiorno o l'integrazione sociale. Inoltre, la nullità del decreto di espulsione per omessa traduzione può essere esclusa quando risulti accertata, anche in via presuntiva, la conoscenza della lingua italiana da parte dello straniero. Il giudizio di pericolosità sociale, quale presupposto del provvedimento di espulsione, costituisce un apprezzamento in fatto incensurabile in Cassazione, purché basato su plurimi accertamenti concreti e non irragionevoli.
Il provvedimento di revoca del permesso di soggiorno a tempo indeterminato per motivi di lavoro subordinato può essere legittimamente adottato dall'Amministrazione sulla base di una valutazione di pericolosità sociale dello straniero, fondata sulla gravità della condotta delittuosa accertata in sede penale, anche in assenza di specifici elementi di pericolosità attuali, qualora tale condotta risulti in contrasto insanabile con i valori fondamentali della convivenza civile e non sia bilanciabile con altri fattori favorevoli, come la prolungata permanenza nel territorio nazionale o l'esistenza di legami familiari. In tali ipotesi, l'omessa comunicazione del preavviso di rigetto non determina l'annullabilità del provvedimento, in quanto l'Amministrazione è tenuta a valutare esclusivamente la sussistenza dei presupposti per la revoca del titolo di soggiorno, senza che il contraddittorio possa incidere sul contenuto del provvedimento, stante la natura vincolata dello stesso. Pertanto, il giudizio di pericolosità sociale, fondato sulla gravità della condotta delittuosa accertata in sede penale, può prevalere sugli altri elementi favorevoli allo straniero, senza che ciò integri un vizio di eccesso di potere o di automatismo, quando risulti ragionevole e proporzionato rispetto alla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica.
Il diritto al ricongiungimento familiare, quale espressione del diritto fondamentale alla vita familiare, è tutelato dall'ordinamento giuridico e trova applicazione anche nei confronti di cittadini stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio nazionale. L'Amministrazione è tenuta a dare esecuzione al giudicato formatosi sull'annullamento del provvedimento di diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare, rilasciando tempestivamente i relativi visti di ingresso, senza che il ritardo nell'adempimento possa essere giustificato da meri disguidi d'ufficio, essendo l'Amministrazione onerata di un obbligo di sollecita ottemperanza. Il mancato tempestivo adempimento dell'obbligo di esecuzione del giudicato legittima il ricorso in ottemperanza, con conseguente condanna dell'Amministrazione al pagamento delle spese di giudizio.
Il diritto al ricongiungimento familiare costituisce una posizione di diritto soggettivo, la cui tutela è riservata alla giurisdizione del giudice ordinario. Pertanto, il ricorso avverso il silenzio-inadempimento della pubblica amministrazione sull'istanza di rilascio del nulla osta al ricongiungimento familiare è inammissibile dinanzi al giudice amministrativo, in quanto quest'ultimo non è munito di giurisdizione sulla materia. La tutela del diritto all'unità familiare, disciplinata dall'art. 30, comma 6, del d.lgs. n. 286/1998 e dall'art. 20 del d.lgs. n. 150/2011, spetta esclusivamente al giudice ordinario, il quale è competente a conoscere delle controversie relative ai provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare, ivi compresi i dinieghi del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari. Il giudice amministrativo, pertanto, non può pronunciarsi sulla legittimità dell'inerzia della pubblica amministrazione in relazione a tali istanze, in quanto difetta della relativa giurisdizione, la quale è attribuita in via esclusiva all'autorità giudiziaria ordinaria.
Il diritto al ricongiungimento familiare di cui all'art. 17 della legge n. 266/1999 spetta anche al personale dipendente pubblico vincitore di concorso interno per l'accesso a una diversa qualifica, in quanto l'assegnazione a una sede diversa da quella di originario servizio, pur a seguito di procedura concorsuale, si configura come un trasferimento di autorità, caratterizzato dalla prevalenza dell'interesse pubblico su quello del dipendente. Pertanto, il diniego di ricongiungimento familiare fondato sulla mera circostanza che il personale interessato sia stato assegnato a seguito di concorso pubblico è illegittimo. L'Amministrazione è tenuta a risarcire il danno patrimoniale subito dal dipendente per il periodo intercorrente tra l'assegnazione a sedi diverse e il successivo transito in altra Amministrazione, salvo che non dimostri l'esistenza di un errore scusabile derivante da un contrasto giurisprudenziale, onere che grava sulla stessa Amministrazione. Il diritto al ricongiungimento familiare, tuttavia, cessa di produrre effetti a decorrere dal momento in cui il dipendente transita in altra Amministrazione, essendo necessaria la presentazione di una nuova istanza alla nuova Amministrazione di appartenenza.
Il diritto al ricongiungimento familiare costituisce un diritto soggettivo, la cui tutela è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, sia per l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato dall'amministrazione sull'istanza di rilascio del nulla osta, sia per l'accertamento dell'illegittimità degli atti lesivi del diritto al ricongiungimento, sia per l'accertamento della fondatezza della pretesa avanzata con la suddetta istanza. Tuttavia, la domanda risarcitoria correlata al mancato rispetto dei termini procedimentali rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. a), del codice del processo amministrativo. Affinché tale domanda risarcitoria sia accolta, è necessario che il ricorrente specifichi il tipo di danno subito, il nesso di causalità tra il danno e il silenzio serbato dall'amministrazione, nonché gli elementi che consentano di qualificare il comportamento dell'amministrazione come doloso o colposo. In mancanza di tali elementi, la domanda risarcitoria deve essere respinta per genericità e mancanza di prova.
Il diritto al ricongiungimento familiare, previsto dall'art. 29 del Testo Unico sull'Immigrazione, si estende anche ai fratelli minori del richiedente, purché risultino affidati al richiedente stesso attraverso un atto formale, come una procura notarile, anche in assenza di un provvedimento giudiziale di adozione o tutela, ferma restando la permanenza della potestà genitoriale in capo ai genitori. Tale interpretazione estensiva della norma, volta a tutelare l'unità familiare, trova giustificazione nel superiore interesse del minore e nella necessità di garantire una protezione effettiva ai nuclei familiari, anche in assenza di vincoli di filiazione diretta, in linea con i principi costituzionali e sovranazionali a tutela della famiglia e dell'infanzia. Pertanto, il diniego del visto di ricongiungimento familiare per il fratello minore affidato al richiedente in base a procura notarile risulta illegittimo, dovendosi riconoscere in capo al richiedente il diritto al ricongiungimento ai sensi dell'art. 29 T.U. Imm., a prescindere dalla sussistenza di un provvedimento giudiziale di adozione o tutela.
La condanna definitiva per reati ostativi, come il reato di rapina aggravata di cui all'art. 628, comma 3, n. 1, c.p., comporta il rigetto dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, in applicazione del combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del D.Lgs. n. 286/1998, senza che l'Amministrazione debba procedere a un bilanciamento tra le esigenze di ordine pubblico e sicurezza e i diritti dello straniero, salvo il caso in cui lo straniero abbia i requisiti per il ricongiungimento familiare ai sensi dell'art. 29 del medesimo decreto legislativo. Infatti, la valutazione comparativa imposta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 202/2013 si applica solo agli stranieri che possiedono i requisiti per accedere al ricongiungimento familiare, anche se non lo hanno formalmente richiesto, e non anche agli stranieri che non siano in tale condizione. Pertanto, in presenza di una condanna definitiva per un reato ostativo, il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno è un provvedimento vincolato, che non richiede un'ulteriore valutazione discrezionale da parte dell'Amministrazione, salvo il caso in cui lo straniero dimostri di avere i requisiti per il ricongiungimento familiare.
Il diritto al ricongiungimento familiare di un cittadino dell'Unione europea, previsto dal d.lgs. n. 30 del 2007, presuppone l'esistenza di un effettivo legame familiare, plasticamente rappresentato dalla convivenza tra i coniugi. L'assenza di una reale e stabile convivenza, accertata dal giudice di merito, esclude l'applicabilità della disciplina sul ricongiungimento familiare, in quanto rivela il carattere abusivo del vincolo matrimoniale contratto al solo fine di eludere la normativa sull'immigrazione. Il diritto all'unità familiare, pur costituzionalmente garantito, non può essere invocato per legittimare comportamenti fraudolenti volti ad aggirare le regole sull'ingresso e il soggiorno degli stranieri nel territorio nazionale. Il giudice, nel valutare la sussistenza dei presupposti per il rilascio del titolo di soggiorno, deve pertanto accertare l'effettività del legame familiare, non limitandosi alla mera esistenza formale del vincolo matrimoniale, ma verificando la concreta realizzazione della comunione di vita tra i coniugi.
In materia di ricongiungimento familiare dello straniero al quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato, l'interpretazione coerente con l'articolo 8 CEDU e con i principi contenuti nella Direttiva 2003/86/CE postula che l'articolo 29, lettera d) T.U.I. in combinato disposto con l'articolo 29 bis, comma 1 T.U.I. venga interpretato nel senso che, ove la norma prevede che egli possa richiedere il ricongiungimento di "genitori a carico, qualora non abbiano altri figli nel paese di origine o di provenienza", debba intendersi che tali figli con loro conviventi siano in grado di provvedere al loro sostentamento economico, prevalendo, in mancanza di essi, ed in presenza della condizione di essere a carico del figlio rifugiato, il principio generale del diritto al ricongiungimento familiare. Tale interpretazione - che risulta coerente con la previsione della direttiva e con il principio di unità familiare e che può recedere soltanto ove ricorrano rischi per ordine pubblico o condizione di pericolosità dell'avente diritto - sovraintende l'esegesi della nuova formulazione dell'articolo 29, lettera d) TUI, introdotta dal Decreto Legislativo n. 160 del 2008, a modificazione di quella contenuta nel precedente Decreto Legislativo n. 5 del 2007 e non può essere formulata in termini restrittivi ma soltanto specificativi, dovendo comunque garantire la possibilità di ottenere, per gli ascendenti dello straniero al quale è stato riconosciuto "lo status di rifugiato", un visto di ingresso per il ricongiungimento al figlio in tutti i casi in cui i genitori non abbiano la possibilità di sostentamento nel paese di origine per mancanza di mezzi propri o forniti da altri eventuali familiari ivi presenti, a prescindere dall'età del genitore. È compito del giudice di merito accertare, sulla base delle allegazioni e prove fornite dal richiedente, la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto, con particolare riferimento alla assenza di pericolosità dell'ascendente ed alla condizione di "essere a carico" del rifugiato in termini di necessario sostentamento continuativo, e rendere una motivazione congrua e logica anche in relazione al diverso potere d'acquisto delle provvidenze a tale scopo erogate.
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