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  • Il diritto al trattamento di fine rapporto (TFR) spetta al socio lavoratore di cooperativa con contratto di lavoro subordinato, in applicazione della disciplina generale prevista dall'art. 2120 c.c. e senza che la sua posizione di socio possa costituire un elemento ostativo. La legge n. 142/2001 ha delineato nel nostro ordinamento una nuova disciplina di tutela dei soci che lavorano in una cooperativa, riconoscendo l'esistenza di un "ulteriore rapporto di lavoro" rispetto al rapporto associativo, al quale si applicano in primo luogo le regole speciali previste dalla stessa legge n. 142/2001 e, in secondo luogo, le comuni regole previste dalle altre leggi di disciplina del lavoro, in quanto compatibili con la posizione di socio lavoratore. Nessuna incompatibilità sussiste, pertanto, ai fini del riconoscimento al socio lavoratore di cooperativa con contratto di lavoro subordinato del diritto al trattamento di fine rapporto di cui all'art. 2120 c.c., non essendo tale diritto escluso o limitato dalla legge n. 142/2001. Al contrario, l'art. 24 della legge n. 196/1997 aveva già previsto espressamente l'applicabilità del Fondo di garanzia per il pagamento del TFR anche ai soci lavoratori, confermando l'assenza di incompatibilità anche prima dell'entrata in vigore della legge n. 142/2001. La Corte di Cassazione ha quindi affermato il principio secondo cui ai soci lavoratori di cooperativa si applicano in primo luogo le regole speciali previste dalla legge n. 142/2001 ed in secondo luogo le comuni regole previste dalle altre leggi di disciplina del lavoro in quanto compatibili con la posizione di socio lavoratore per come delineata dalla legge medesima, senza che sussista alcuna incompatibilità ai fini del riconoscimento al socio lavoratore di cooperativa con contratto di lavoro subordinato del diritto al trattamento di fine rapporto di cui all'art. 2120 c.c.

  • Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) maturato dai lavoratori dipendenti del settore privato successivamente al 1° gennaio 2007 costituisce una prestazione previdenziale pubblica, erogata dal Fondo di Tesoreria istituito dalla legge n. 296 del 2006, e non una retribuzione differita di natura meramente retributiva. Tale prestazione previdenziale è modulata sui presupposti e sulla misura previsti dall'art. 2120 c.c., ma è sottoposta alla disciplina pubblicistica della contribuzione obbligatoria e delle relative regole di accertamento e riscossione. Il Fondo di Tesoreria è l'unico soggetto obbligato al pagamento del TFR, con la possibilità di recuperare i contributi non versati dal datore di lavoro, mentre il lavoratore non può vantare alcun credito diretto nei confronti del datore di lavoro per la quota di TFR non versata al Fondo. La natura previdenziale della prestazione comporta l'applicazione della disciplina prevista per le erogazioni previdenziali, con il divieto di cumulo tra rivalutazione monetaria e interessi in caso di ritardo nel pagamento. L'istituzione del Fondo di Tesoreria risponde all'esigenza di sottrarre il risparmio forzoso costituito dal TFR alla disponibilità diretta dei datori di lavoro privati, al fine di gestirlo secondo un sistema a ripartizione e impiegarlo, all'occorrenza, anche per fini di pubblica utilità, configurandosi come una prestazione patrimoniale imposta per fini di pubblica utilità.

  • Il trattamento di fine rapporto (TFR) deve essere calcolato sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per lo stesso anno divisa per 13,5, salvo diversa previsione dei contratti collettivi. La retribuzione annua da prendere in considerazione per il calcolo del TFR comprende tutte le somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale, con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese. Il contratto collettivo applicabile può indicare in modo tassativo gli elementi retributivi da includere nella base di calcolo del TFR, senza che il lavoratore possa pretendere l'inclusione di voci retributive non espressamente previste. Pertanto, il datore di lavoro che abbia quantificato il TFR in conformità alla disciplina contrattuale applicabile, senza includere elementi retributivi non espressamente indicati, non può essere ritenuto responsabile di un erroneo calcolo, in assenza di specifica allegazione e prova da parte del lavoratore circa le voci retributive che avrebbero dovuto essere considerate.

  • Il diritto al trattamento di fine rapporto (TFR) sorge con la cessazione del rapporto di lavoro subordinato e da tale momento decorre il termine di prescrizione quinquennale, non essendo di ostacolo a tal fine la sussistenza di una controversia tra le parti in ordine all'ammontare delle retribuzioni spettanti al lavoratore. La generica riserva di far valere ogni pretesa nei confronti del datore di lavoro, effettuata nell'ambito di un giudizio cautelare estraneo alla controversia sul TFR, non costituisce atto idoneo ad interrompere la prescrizione del diritto al TFR, che pertanto si estingue qualora non sia fatto valere entro il termine quinquennale dalla cessazione del rapporto di lavoro, salvo che non vi siano stati atti interruttivi tempestivamente posti in essere.

  • Il trattamento di fine rapporto (TFR) erogato dal "Fondo per l'erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all'articolo 2120 c.c." (c.d. "Fondo tesoreria"), istituito dalla L. n. 296 del 2006, ha natura previdenziale e non retributiva. Tale prestazione, finanziata da contributi obbligatori versati dai datori di lavoro con più di cinquanta dipendenti secondo il principio della ripartizione, è sottoposta alla disciplina propria delle gestioni previdenziali obbligatorie, con la conseguenza che gli accessori (interessi e rivalutazione monetaria) sono dovuti dal Fondo solo a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla comunicazione dell'incapienza del datore di lavoro, in applicazione della L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6, e non sin dalla risoluzione del rapporto di lavoro. La scelta legislativa di istituire un regime differenziato per le imprese di maggiori dimensioni, in ragione dell'importanza economica del risparmio forzoso a fini previdenziali, non contrasta con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., in quanto espressione di una ponderata valutazione degli interessi pubblici e privati coinvolti, volta a garantire un'efficace tutela dei lavoratori attraverso l'estensione delle garanzie proprie delle prestazioni previdenziali.

  • Il rapporto di lavoro subordinato si caratterizza per l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, a prescindere dalla formale instaurazione del rapporto. Pertanto, anche in assenza di un contratto di lavoro, qualora siano provati lo svolgimento di attività lavorative alle dipendenze del datore di lavoro e il suo esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare, deve riconoscersi l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato sin dall'inizio dell'attività prestata. In tal caso, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore le differenze retributive, la tredicesima mensilità e il trattamento di fine rapporto maturati nel periodo antecedente alla formale instaurazione del rapporto, salvo che non dimostri di aver adempiuto o di non aver potuto adempiere per causa a lui non imputabile. Al contrario, non può essere riconosciuto il diritto a compensi per lavoro straordinario e indennità per ferie non godute, ove non sia fornita una prova puntuale e specifica del loro effettivo svolgimento.

  • Il coniuge divorziato titolare di assegno divorzile, anche se il rapporto di lavoro dell'altro coniuge è iniziato dopo la separazione di fatto, ha diritto alla quota del 40% dell'indennità di fine rapporto (TFR) percepita dall'ex coniuge alla cessazione del rapporto di lavoro, in quanto il contributo personale ed economico dato durante il matrimonio alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune rileva ai fini dell'attribuzione di tale quota, a prescindere dalla data di inizio del rapporto di lavoro e dal fatto che tale data si collochi nel periodo di separazione tra i coniugi. Tale diritto trova fondamento nella ratio compensativa e solidaristica dell'art. 12-bis della legge n. 898/1970, che mira a riconoscere il contributo fornito dal coniuge più debole alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio, anche dopo la cessazione della convivenza, senza che assumano rilievo determinante le vicende meramente fattuali della separazione. Pertanto, il criterio della cessazione della convivenza, anziché della durata legale del matrimonio, risulterebbe incoerente con l'indirizzo seguito dal legislatore e inidoneo a cogliere adeguatamente il modo in cui si articolano, in concreto, il contributo personale e le esigenze di solidarietà. Inoltre, la quota del 40% del TFR spetta all'ex coniuge in proporzione agli anni di coincidenza tra il rapporto di lavoro e il matrimonio, senza che assumano rilievo eventuali anticipazioni del TFR precedentemente erogate, dovendo la quota essere calcolata sul TFR netto corrisposto all'ex coniuge. Diversamente, per quanto riguarda le somme destinate a fondi di previdenza complementare, esse non rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 12-bis, in quanto non costituiscono una liquidazione percepita alla cessazione del rapporto di lavoro, ma una pensione integrativa erogata successivamente al raggiungimento dei requisiti pensionistici. Infine, l'incentivo all'esodo, essendo finalizzato a sostituire un mancato reddito lavorativo futuro e non costituito da somme accantonate durante il pregresso periodo lavorativo coincidente con il matrimonio, non rientra nella previsione dell'art. 12-bis.

  • Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: La retribuzione da computare ai fini del trattamento di fine rapporto (TFR) deve essere omnicomprensiva, includendo tutte le somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale, salvo espressa e chiara deroga prevista dalla contrattazione collettiva successiva all'entrata in vigore della Legge n. 297/1982. Pertanto, devono essere computati nel calcolo del TFR, oltre alla retribuzione ordinaria, anche le seguenti voci retributive: l'indennità sostitutiva delle ferie, il compenso per la vendita di titoli, l'equivalente economico della massa vestiaria, l'indennità per il lavoro prestato in giorni festivi e festività nazionali, l'indennità di mancato riposo, nonché il compenso per il lavoro straordinario festivo e feriale a carattere non occasionale. Tali elementi retributivi, pur non espressamente previsti dalla contrattazione collettiva, devono essere inclusi nel calcolo del TFR in applicazione del principio di omnicomprensività della retribuzione stabilito dall'art. 2120 c.c., salvo che la contrattazione collettiva successiva alla Legge n. 297/1982 non abbia previsto in modo chiaro ed esplicito una deroga a tale principio. Inoltre, il lavoratore che abbia optato per l'investimento del TFR in un fondo pensione ha diritto alla rideterminazione dell'importo delle somme non investite a causa della minore somma accantonata a titolo di TFR, nonché alla differenza tra l'importo dell'accantonamento delle maggiori somme a seguito del ricalcolo e la somma minore erogata a titolo di anticipazione del TFR.

  • Il mancato versamento del contributo al Fondo per l'erogazione del trattamento di fine rapporto (TFR) di cui all'art. 1, comma 756, della legge n. 296/2006 è soggetto a prescrizione quinquennale, che decorre dal mese successivo alla consegna da parte del lavoratore del modello TFR1. L'onere di provare la tempestiva consegna dei modelli TFR1 e l'anteriorità di tale consegna rispetto al termine di prescrizione grava sul datore di lavoro che eccepisce la prescrizione, in quanto trattasi di fatti rientranti nella sua sfera di controllo. Il datore di lavoro che effettua pagamenti parziali non può imputarli unilateralmente a periodi diversi da quelli cui si riferiscono, in assenza di una specifica volontà manifestata all'atto del pagamento. Eventuali irregolarità formali del titolo esecutivo emesso dall'INPS non precludono l'accertamento della fondatezza della pretesa contributiva nel merito, in quanto l'opposizione all'esecuzione attiva un giudizio sul merito della pretesa che non può arrestarsi a vizi meramente formali.

  • Il principio di onnicomprensività della retribuzione da prendere a base di calcolo ai fini della determinazione dell'indennità di buonuscita e del trattamento di fine rapporto (TFR) comporta che debbano essere inclusi nella relativa base di calcolo tutti gli emolumenti percepiti dal lavoratore in maniera continuativa e non occasionale, come i compensi per lavoro straordinario prestato in modo continuativo, nonché le varie indennità contrattuali (di trasferta, di diaria, di lavoro notturno, di fuori nastro, di presenza, giornaliera e di produttività), indipendentemente dalla loro qualificazione come "retribuzione normale" ai sensi del contratto collettivo applicabile. Tale principio di onnicomprensività può essere derogato soltanto da contratti o accordi collettivi successivi all'entrata in vigore della legge n. 297 del 1982 e sempre che detti accordi o contratti prevedano espressamente tale deroga, ovvero, in caso di richiamo a clausole di contratti previgenti che prevedevano tale deroga, riformulino le clausole richiamate con l'esplicita menzione della conoscenza della preesistente nullità. In assenza di una siffatta deroga espressa e specifica, le clausole contrattuali che escludano la computabilità di indennità corrisposte in maniera continuativa o che adottino una nozione di retribuzione non comprensiva di emolumenti percepiti in maniera continuativa devono ritenersi nulle ai sensi dell'art. 2121 c.c. e dell'art. 1419 c.c. Inoltre, nel rito del lavoro, il convenuto ha l'onere di contestare specificamente i conteggi elaborati dall'attore ai fini della quantificazione del credito, con la conseguenza che la mancata o generica contestazione rende i conteggi accertati in via definitiva, vincolando il giudice.

  • Spetta al legislatore la previsione di discipline ragionevolmente differenziate delle singole figure di indennità di fine rapporto, in considerazione del complessivo contesto in cui esse vanno a inserirsi e dell'evoluzione normativa che punta ad armonizzarle, ferma restando, in una prospettiva più generale, la loro riconduzione a una comune matrice unitaria, di natura previdenziale; la discrezionalità del legislatore si apprezza particolarmente nel settore del lavoro pubblico, caratterizzato da un percorso di graduale passaggio dal precedente regime di TFS, che ancor oggi sopravvive, a quello del TFR. (Precedente: S. 244/2020). La comune matrice, di natura previdenziale, delle indennità di fine rapporto non implica necessariamente una totale uniformità di disciplina, in quanto ciascuna figura di indennità, ritagliata nel settore lavoristico cui accede, mantiene caratteristiche proprie e peculiari, legate a quel settore, con conseguente coesistenza di diverse regolamentazioni riguardanti i meccanismi di provvista, nonché i soggetti gravati dall'onere contributivo e quelli tenuti ad erogare il trattamento, senza che ciò naturalmente trasmodi nella negazione dei tratti fondamentali dell'istituto. (Precedente: S. 458/2005 - mass. 30030). (Nel caso di specie, sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate, dalla Corte d'appello di Roma, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., dell'art. 30, commi primo, lett. b, e secondo, del d.PR. n. 1032 del 1973, che disciplina, per il TFS, i tempi entro i quali l'INPS può procedere alla rettifica dell'originario assegno di liquidazione, nella parte in cui è applicabile all'errore di calcolo determinato da fatto imputabile all'amministrazione di appartenenza del pubblico dipendente. In ragione della non comparabilità del TFS del TFR quanto alla disciplina che, negli aspetti di dettaglio, regolamenta le modalità di calcolo e di erogazione dei relativi assegni preclude la valutazione comparativa prospettata dal rimettente, la disciplina censurata - pur differenziandosi da quella dettata per il TFR o altre figure affini di indennità - non intacca la funzione fondamentale dell'istituto e, anzi, risulta del tutto in linea con la funzione previdenziale dell'indennità; la stessa, infatti, è ispirata alla ratio della tutela dell'affidamento, meritevole di particolare attenzione nel settore delle prestazioni previdenziali e opera un ragionevole bilanciamento tra le ragioni dell'erario e l'interesse del beneficiario del trattamento. Inoltre, il termine decadenziale previsto - un anno dall'adozione dell'originario provvedimento di liquidazione -, lungi dal porsi in contrasto con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, rappresenta uno strumento volto, sia pure indirettamente, ad accrescere l'efficienza dell'azione amministrativa, senza incidere, in caso di errore non tempestivamente rettificato, su eventuali responsabilità individuali. Spetta al prudente apprezzamento del legislatore valutare se eliminare la disciplina censurata, per favorire il complessivo percorso di riavvicinamento del TFS alle regole attualmente dettate per il settore privato, ovvero mantenerla.) (Precedenti: S. 159/2019 - mass. 41048; S. 213/2018 - mass. 40853; S. 148/2017 - mass. 41098; S. 191/2005).

  • Il contratto di assicurazione stipulato dal datore di lavoro per l'accantonamento del trattamento di fine rapporto (TFR) dei dipendenti deve essere interpretato come contratto a favore del terzo lavoratore, il quale ha diritto di percepire il TFR maturato, maggiorato dei rendimenti di investimento, al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Ciò in quanto dalla struttura della provvista, dalle modalità di erogazione degli importi e dal comportamento complessivo delle parti, emerge che la disposizione contrattuale sia in favore dei lavoratori, senza alcuna previsione di decurtazioni a beneficio dell'azienda. La normativa sul TFR non preclude che possano essere corrisposte, alla cessazione del rapporto, erogazioni integrative aventi natura e funzioni diverse dal TFR, purché esse siano ricollegate al contratto di lavoro e non costituiscano una deroga alla disciplina legale. Pertanto, il datore di lavoro non può trattenere per sé i maggiori rendimenti ottenuti sull'accantonamento del TFR, ma deve riconoscerli integralmente al lavoratore al momento della liquidazione della sua posizione.

  • Il rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno, anche se formalmente inquadrato come part-time, comporta il diritto del lavoratore al riconoscimento della retribuzione e degli istituti contrattuali (ferie, permessi, malattia, maternità, tredicesima, TFR) in misura corrispondente all'effettivo orario di lavoro svolto, accertato in sede giudiziale attraverso l'esame di prove testimoniali e documentali. Il datore di lavoro è pertanto tenuto a corrispondere le differenze retributive e contributive maturate dal lavoratore per il maggior orario di lavoro effettivamente prestato rispetto a quello contrattuale, con decorrenza dal momento in cui il rapporto di lavoro è cessato, salvo il limite della prescrizione quinquennale per le voci retributive maturate in costanza di rapporto. La responsabilità solidale del datore di lavoro subentrante per effetto di un trasferimento d'azienda ex art. 2112 c.c. si estende anche alle differenze retributive e contributive maturate dal lavoratore durante il precedente rapporto di lavoro.

  • Il diritto del lavoratore di ottenere dall'INPS, in caso di insolvenza del datore di lavoro, il pagamento del trattamento di fine rapporto (TFR) a carico del Fondo di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2, presuppone che il rapporto di lavoro sia cessato e che il datore di lavoro insolvente sia tale al momento della domanda di insinuazione al passivo; pertanto, il fatto che il credito per TFR relativo al periodo di lavoro presso il datore di lavoro cedente, poi fallito, sia stato erroneamente ammesso al passivo fallimentare, non vincola l'INPS, estraneo alla procedura concorsuale, il quale può contestare l'esigibilità di tale credito, non essendo ancora intervenuta la cessazione del rapporto di lavoro per effetto del trasferimento d'azienda.

  • Il lavoro straordinario non occasionale svolto dal lavoratore deve essere computato ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto e del premio di anzianità, salvo diversa previsione contrattuale applicabile solo per il futuro e non con efficacia retroattiva. Il diritto del lavoratore a percepire la differenza tra quanto spettante e quanto effettivamente corrisposto a tali titoli sorge al momento della cessazione del rapporto di lavoro, decorrendo da tale data gli interessi e la rivalutazione monetaria. Il datore di lavoro soccombente è tenuto a rifondere le spese di lite al lavoratore.

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