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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La CORTE D'APPELLO di MILANO Sezione Lavoro in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott.ssa Silvia Marina Ravazzoni - Presidente Estensore dott.ssa Susanna Mantovani - Consigliera dott. Andrea Onesti - Consigliere all'esito dell'udienza del 04/10/2023, nel giudizio di rinvio dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 10826/2023, promosso da Ch.Gi. e Ma.Te. Con l'avv. An.PI. e l'avv. MA.LA., elettivamente domiciliati presso il loro studio in MILANO, Viale (...); Ricorrenti in riassunzione contro Eu. S.P.A. on l'avv. Ro.PE. e l'avv. Ra.FA., elettivamente domiciliata presso il loro studio in ROMA via (...); Resistente in riassunzione Ha emesso la seguente SENTENZA I procuratori delle parti, come sopra costituite, hanno precisato le seguenti MOTIVAZIONE In fatto e in diritto A seguito di sentenza di annullamento con rinvio emessa dalla Suprema Corte, Ch.Gi. e Ma.Te. hanno riassunto avanti a questo Ufficio il procedimento promosso nei confronti di Eu. spa ai sensi dell'art. 1 della L. n. 92 del 2012 per l'impugnazione dei licenziamenti loro intimati. La vicenda oggetto di causa può essere così sintetizzata. I ricorrenti sono stati assunti dalla convenuta con contratto di apprendistato professionalizzante della durata di 30 mesi in data 11/02/2011 con durata dal 16/02/2011 al 15/08/2013, con orario di lavoro part-time al 68,50% per il conseguimento della qualifica di operatore di assistenza livello c del CCNL per i dipendenti delle società di assicurazione assistenza e le aziende di servizi. La società convenuta ha comunicato il proprio recesso alla scadenza dei contratti di apprendistato. I ricorrenti hanno adito il Tribunale di Milano con ricorso ex articolo 1 comma 48 della L. n. 92 del 2012 chiedendo di accertare l'illegittimità dei contratti con conseguente riconoscimento di rapporti di lavoro a tempo indeterminato rappresentando di non avere sottoscritto il piano formativo, non aver avuto un tutor aziendale, non aver ricevuto formazione. Hanno eccepito altresì che la convenuta aveva violato le percentuali di trasformazione dei contratti di apprendistato giunti a scadenza nei 36 mesi antecedenti alla loro data di assunzione (febbraio 2011). Hanno impugnato quindi il licenziamento chiedendo l'applicazione delle tutele di cui all'articolo 18 in tutte le sue declinazioni e quindi: di ordinare in principalità di reintegrare i ricorrenti nel posto di lavoro, in subordine di dichiarare la illegittimità dei licenziamenti per mancanza di giustificato motivo e condannare la convenuta corrispondere l'indennità risarcitoria ai sensi del quinto comma, in via ulteriormente subordinata in applicazione del sesto comma di accertare la violazione del requisito di motivazione e condannare alle indennità risarcitoria di 12 mensilità. In primo grado con ordinanza all'esito della fase sommaria è stata accolta la domanda di applicazione dell'articolo 18 comma 4, avendo il giudice ritenuto che la società non avesse assolto all'onere probatorio in ordine al rispetto dei limiti percentuali di trasformazione a tempo indeterminato dei contratti di apprendistato scaduti, come stabilito dall'articolo 20 comma 4 del CCNL di settore 2011- 2014 che prevede: Sono autorizzate ad assumere con contratti di apprendistato tutte le aziende applicanti il presente contratto collettivo virgola che rispondano al requisito di legge di avere mantenuto in servizio con trasformazione del contratto di apprendistato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato almeno il 59% dei contratti scaduti nei 36 mesi precedenti. Il primo giudice ha invece respinto in quanto infondate l'eccezione di inesistenza del progetto formativo, rilevando che la convenuta aveva provato documentalmente (docc. da 3 a 6) l'esistenza di tali documenti. Ha altresì respinto l'eccezione di mancata formazione da parte della datrice di lavoro, osservando che la società aveva prodotto idonea attestazione delle ore di formazione effettivamente svolte, riportate tanto nei registri formativi individuali (docc. da 11 a 14) e nei piani formativi annuali di dettaglio (docc. da 7 a 10) . Oltre a ciò era emerso che vi fossero stato alcuni periodi cosiddetti di incubatrice con affiancamento e assistenza di tutor. Il Tribunale di Milano accogliendo l'opposizione proposta da Eu. con sentenza 922/2015 ha revocato l'ordinanza ritenendo rispettate le percentuali che consentivano l'assunzione dei ricorrenti con contratto di apprendistato. Ha osservato il Tribunale che il CCNL 2007- 2010 ai commi 4 e 5 prevede che sia consentita l'assunzione con contratti di apprendistato alla condizione di avere mantenuto in servizio con trasformazione del contratto da apprendistato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato almeno del 59% dei contratti scaduti nei 18 mesi precedenti sulla base dell'organico al 31 dicembre dell'anno precedente. Ha rilevato che: la società non aveva stipulato nessun contratto di apprendistato prima del 6 e 23 luglio 2009 che nessun contratto di apprendistato era venuto a scadenza prima del 28 Febbraio 2011 che pertanto vi era evidenza del rispetto della percentuale prevista per la stipulazione dei contratti. Per il resto il tribunale ha confermato l'ordinanza in punto di legittimità formale dei contratti di apprendistato avendo la resistente depositato i progetti formativi e provato l'avvenuto svolgimento di attività di formazione, essendo agli atti attestazione delle ore di formazione svolte riportate nei registri formativi individuali e nei piani formativi annuali di dettaglio Ha infine ritenuto che in ragione dell'applicabilità del CCNL 2009 2010 non appaiono condivisibili le deduzioni svolte dai lavoratori secondo cui profili di legittimità sostanziale dei rapporti emergerebbero dal mancato rispetto del Monte ore minimo parametrato in 120 ore annue emergendo elementi per concludere per l'assenza di un inadempimento da parte della opponente punto al Monte ore di formazione interna professionale comprovato dalla documentazione allegata occorreva infatti sommare la formazione base trasversale demandata all'ente regionale accreditato della Regione Lombardia capac e dall'analisi dei documenti da 7 a 10 emergeva che il complessivo Monte ore era stato rispettato tenendo conto della durata di 30 mesi del contratto di apprendistato e pertanto della necessità di svolgere 60 ore di formazione nel primo semestre del terzo anno La Corte d'Appello con sentenza n. 1246/ 2015 ha respinto il reclamo contro la sentenza del tribunale ritenendo che la società avesse dedotto in maniera chiara e precisa che una parte della formazione teorica avveniva presso l'ente esterno accreditato e che tale formazione ammontava nei termini previsti dal piano formativo. Ha respinto altresì il secondo motivo di reclamo rilevando che nel giudizio di opposizione Eu. non aveva allegato alcuna domanda nuova ma si era limitata a produrre documentazione più completa ed esauriente su uno dei punti già sollevati e trattati nella fase sommaria e confermando la sentenza anche in punto di rispetto della percentuale del 59% di stabilizzazione dei contratti di apprendistato scaduti. La Cassazione con sentenza n.15649/2018 ha cassato la sentenza della Corte d'Appello accogliendo il primo motivo di ricorso, con il quale G. e T. hanno censurato la decisione per avere la Corte di appello ritenuto raggiunta la prova della formazione professionale anche esterna sulla base di documenti acquisiti tardivamente e in ogni caso per avere ritenuto contestata da parte dei lavoratori la sola formazione professionale esterna e non anche quella interna laddove sin dal ricorso introduttivo avevano dedotto la mancata formazione professionale ovvero il fatto costitutivo dell'azione di impugnativa dei contratti di apprendistato che avrebbe imposto la parte datoriale le allegazione è la prova del fatto contrario la Suprema Corte ritenuti infondati gli altri 4 motivi di ricorso, ha accolto il primo rilevando : " La pronuncia in tal modo resa è errata laddove, da quanto è dato comprendere, sembra affermare che possa parlarsi di fatto incontroverso e non bisognevole di ulteriore prova in relazione al fatto dedotto dalla parte reclamata (id est convenuta )e non ulteriormente contestato ad opera della parte reclamante (id est parte originariamente ricorrente )quando invece il fatto (id est la mancata formazione interna ed esterna )era stato dedotto nell'atto introduttivo del giudizio " ha poi precisato "di non contestazione può parlarsi unicamente con riferimento ai fatti affermati negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti e che consentono alle parti medesime al giudice di verificare, immediatamente che siano i fatti pacifici e quelli ancora controversi, la statuizione sarebbe peraltro errata anche laddove avesse voluto sostenere la formazione di un giudicato in merito alla formazione professionale interna, per aver l'atto di reclamo censurato la pronuncia di primo grado esclusivamente in ordine all'accertamento dell'avvenuta formazione esterna e virgola il giudicato, infatti non si estende a qualunque asserzione contenuta nell'apparato descrittivo o argomentativo posta a corredo della sentenza ". Nella causa di rinvio la Corte d'appello di Milano con sentenza n. 681/2019 ha rigettato le domande proposte da G. e T. con il ricorso introduttivo del giudizio. Il giudice del rinvio ha ritenuto "rispettati in relazione ad entrambi i lavoratori i requisiti formali di validità del contratto di apprendistato e provato il rispetto degli obblighi formativi, sia interni che esterni; ha escluso che i rilievi dei ricorrenti in riassunzione circa il concreto atteggiarsi della formazione impartita configurassero un grave inadempimento tale da determinare la mancata formazione, teorica e pratica, ovvero un'attività formativa carente o inadeguata rispetto agli obiettivi prefissati." In particolare, per quel che in questa sede rileva, la Corte d'Appello ha precisato che nella fattispecie erano rispettati tutti i requisiti formali richiesti per la validità del contratto di apprendistato di cui è causa e che "La società ha infatti prodotto sia i contratti sia i piani formativisottoscritti dagli interessati e nessun rilievo ha il fatto che questi ultimi siano stati firmati non il giorno in cui era sottoscritto il contratto di assunzione." Avverso tale decisione hanno proposto ricorso in Cassazione G. e T. censurando la sentenza per 4 motivi, la società ha resistito con controricorso. La S.C. con sentenza n. 10826/2023 nella causa RG 14758/2019 ha accolto il primo motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti avevano censurato la decisione della Corte d'Appello nella parte in cui aveva ritenuto valido il contratto di apprendistato nonostante i piani formativi non fossero stati sottoscritti contestualmente al contratto medesimo. La Corte di Cassazione ha così motivato: "5.5. Pertanto, pur in assenza di specifica previsione sanzionatoria contenuta nell'art. 49. D.Lgs. n. 276 del 2003 cit., deve ritenersi che la forma scritta costituisca un requisito ad substantiam per la stipula di un valido contratto di apprendistato professionalizzante, il quale deve necessariamente contenere le indicazioni di cui alla lettera a) comma 4 dell'art. 49 D.Lgs. n. 276 del 2003, tra le quali il piano formativo individuale. 5.6. Tanto premesso, il tema specifico posto del primo motivo di ricorso è se il piano formativo, fermo il requisito della forma scritta nello specifico osservata, possa essere contenuto in un documento esterno al contratto e non temporalmente ad esso contestuale. 5.7 A tale quesito deve essere data risposta negativa, ostando ad una diversa soluzione sia il dato testuale dell'articolo 49 del D.Lgs. n. 276 del 2003 cit. (NDR 276/2003), che non sembra contemplare siffatta possibilità, sia la considerazione che l'elemento formativo qualifica la causa stessa del contratto di apprendistato professionalizzante e ciò rende particolarmente stringente la necessità che la volontà negoziale del lavoratore, nell'accedere al tipo contrattuale in questione, si formi sulla base della piena consapevolezza del percorso formativo proposto e della sua idoneità a consentire l'acquisizione della qualifica alla quale l'apprendistato è finalizzato; in concorrente profilo è da rilevare che la soluzione accolta è quella maggiormente idonea prevenire abusi della parte datoriale nella concreta configurazione del percorso formativo una volta che il piano formativo individuale risulti cristallizzato nel documento contrattuale e non in un documento interno al contratto ". Riassumendo il procedimento G. e T., dato atto di aver esercitato l'opzione prevista dall'art. 18 S.L. con comunicazione ricevuta il 21.05.2014, hanno chiesto l'accoglimento delle domande introdotte con il ricorso in primo grado, riaffermando, anche alla luce dei principi di diritto contenuti nella sentenza della Suprema Corte sopra trascritta, la illegittimità dei contratti di apprendistato. Hanno, in particolare, evidenziato che nella fattispecie i piani formativi individuali erano contenuti in documenti esterni ai contratti di apprendistato professionalizzante e per di più erano stati sottoscritti non contestualmente bensì successivamente alla firma dei contratti. Eu. spa si è costituita nel giudizio di rinvio eccependo in via preliminare l'inammissibilità del ricorso per avere i ricorrenti formulato domande e argomentazioni non conformi alla pronuncia della Corte di Cassazione 10826/2023e in ogni caso modificative di quelle già in atti. Nel merito hanno chiesto il rigetto del ricorso e la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Milano n 681/2019 e, in subordine, nella denegata ipotesi di accoglimento del ricorso avversario, di accertare e dichiarare il diritto della Società di scomputare dagli importi eventualmente dovuti a parte avversa quanto eventualmente percepito e/o percepibile a titolo di aliunde perceptum e/o percipiendum. Il ricorso è fondato e va accolto. Va innanzitutto ricordato che, in ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto , la pronuncia della Corte di Cassazione vincola il giudice del rinvio al principio affermato ed ai relativi presupposti di fatto; in altri termini questa Corte , in sede di rinvio, deve uniformarsi ex art. 384 c.p.c. sia alla regola di diritto enunciata sia alle premesse logico - giuridiche della decisione adottata , attenendosi agli accertamenti di fatto già compiuti nell'ambito della sua enunciazione. Ciò premesso, ritiene la Corte che il ricorso in riassunzione sia ammissibile nei limiti delle deduzioni svolte con riferimento ai principi di diritto affermati dalla Suprema Corte, inerenti quindi i vizi formali dei contratti di apprendistato, e così determinato l'oggetto del presente giudizio, alla luce dei principi di diritto esposti dalla Suprema Corte, che le censure mosse dai ricorrenti alla decisione della Corte d'Appello di Milano n 681/2019 siano fondate e meritino di essere accolte. La Cassazione, come si è sopra detto, ha esposto i seguenti principi di diritto: che la forma scritta costituisce un requisito ad substantiam per la stipula del contratto di apprendistato professionalizzante; che tale contratto deve contenere il progetto formativo individuale di cui alla lettera a) comma 4 dell'art. 49 D.Lgs. n. 276 del 2003; che il piano formativo non può essere contenuto in un documento esterno e non temporalmente contestuale. L'esame della documentazione di causa consente di affermare che nella fattispecie non sussistono i descritti requisiti di validità del contratto di apprendistato. I contratti risultano, infatti, stipulati in forma scritta (doc. 4 e 5 resistente in I grado: contratti di apprendistato in data 11 febbraio 2011) ma il piano formativo è contenuto in un atto separato in data 16.2.2011. Ciò posto le tesi delle due parti processuali sono antitetiche. Va infatti osservato che i ricorrenti già nel primo atto e cioè nel ricorso introduttivo della fase sommaria avevano allegato di non aver mai sottoscritto né ricevuto il piano formativo. Con la memoria di costituzione in opposizione hanno ribadito di non aver ricevuto il piano formativo e vista la produzione del documento da parte di Eu. hanno eccepito: che contiene la sottoscrizione solo nell'ultimo foglio; che è stato sottoscritto dopo la firma del contratto di apprendistato, che non contiene uno specifico programma formativo. Con il ricorso in riassunzione di cui al presente giudizio di rinvio hanno ribadito la non contestualità della sottoscrizione di due documenti e la violazione dell'art. 49 D.Lgs. n. 276 del 2003 Secondo la resistente, invece, la sottoscrizione di contratto e piano formativo è stata contestuale. Eu. spa giustifica la diversità di data dei due documenti sostenendo che la data dell'11.2.2011 è quella in cui il documento è stato predisposto dall'ufficio del personale e che la data di sottoscrizione è invece il 16.2.2011, come sarebbe comprovato dalla clausola del contratto che prevede che il piano formativo è allegato al contratto e ne forma parte integrante. Ritiene il Collegio di condividere la prima tesi sia in quanto più coerente con i documenti di causa, sia alla luce delle motivazioni della Corte di legittimità che ha sottolineato "che l'elemento formativo qualifica la causa stessa del contratto di apprendistato professionalizzante e ciò rende particolarmente stringente la necessità che la volontà negoziale del lavoratore, nell' accedere al tipo contrattuale in questione, si formi sulla base della piena consapevolezza del percorso formativo proposto e della sua idoneità a consentire l'acquisizione della qualifica alla quale l'apprendistato e finalizzato; in concorrente profilo è da rilevare che la soluzione accolta è quella maggiormente idonea a prevenire abusi della parte datoriale nella concreta configurazione del percorso formativo, una volta che il piano formativo individuale risulti cristallizzato nel documento contrattuale e non in un documento esterno al contratto." Deve ancora rilevarsi che la tesi di parte resistente non è provata e che le deduzioni di prova testimoniale formulate nella memoria di costituzione nel giudizio di rinvio sono inammissibili in quanto volte a introdurre in giudizio circostanze nuove, come puntualmente eccepito dalla difesa dei ricorrenti. Mai in precedenza la società resistente aveva dedotto che i contratti di apprendistato erano stati sottoscritti il 16 e non l'11 febbraio 2011, data indicata sul contratto e mai avevano chiesto prova testimoniale su tale circostanza. Non è poi certamente sufficiente a provare la contestuale sottoscrizione dei documenti la clausola inserita nei contratti di apprendistato al punto 11, ove si legge che il piano formativo allegato costituisce parte integrante dell'atto. La presenza del piano formativo individuale nel contratto di apprendistato e la contestuale sottoscrizione dei due documenti costituiscono dunque condizione per la stipulazione di validi contratti di apprendistato e l'assenza di prova al riguardo determina, conseguentemente, l'illegittimità dei contratti di apprendistato stipulati con gli odierni ricorrenti. I rapporti di lavoro in esame devono essere pertanto qualificati come ordinari rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dall'11.2.2011. Da tale qualificazione discende l'illegittimità dei licenziamenti intimati ai ricorrenti. Venuta meno la configurabilità dei contratti di apprendistato, infatti, viene meno la ragione giustificatrice posta a fondamento degli atti di recesso, essendo evidente che essa non può costituire valido motivo di licenziamento, al di fuori dello schema tipico del contratto di apprendistato. La Corte condivide le argomentazioni del giudice della fase sommaria, che ha evidenziato che fattispecie in esame è assimilabile all'ipotesi di "manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo", prevista dall'art. 18, comma 7, L. 20 maggio 1970, n. 300. "La decisione aziendale di non procedere alla conferma di lavoratori assunti con contratto di apprendistato è, infatti, una decisione che inerisce lato sensu all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. L'illegittimità dei contratti di apprendistato priva l'anzidetta decisione di ogni fondamento legittimante, sicché ricorre un caso di "manifesta insussistenza" della ragione addotta. Sotto il profilo sanzionatorio trova perciò applicazione l'art. 18, comma 4, L. 20 maggio 1970, n. 300. " (Trib. Milano ordinanza n.12932/2014) I licenziamenti devono essere conseguentemente annullati e, preso atto dell'esercizio di opzione da parte dei due ricorrenti con comunicazione ricevuta dalla resistente a maggio 2014, Eu. SPA va condannata a corrispondere agli stessi: - un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto, al tallone retributivo mensile di Euro 1.424,08. (Euro 1.220,64 x 14:12) risultante dai cedolini paga in atti (cfr. doc. 8 fascicolo di parte ricorrente) con interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data dei licenziamenti ( 8.07.2013 con cessazione del rapporto al 15.08.2013) a quella dell'esercizio del diritto di opzione (comunicazione del 29.04.2014 ricevuta il 21.05.2014), nonché a versare i contributi previdenziali e assistenziali a favore dei lavoratori per il medesimo periodo, l'importo pari a 15 mensilità globali di fatto per effetto dell'intervenuto esercizio del diritto di opzione Quanto alla eccezione della resistente di detrazione dell'aliunde perceptum e percipiendum, si osserva che è sì possibile la detrazione d'ufficio da parte del Giudice ma solo in presenza di specifica allegazione, ad opera della parte interessata, che nella fattispecie in esame manca del tutto. (CDA Milano sentenza n. 481/20202, Pres. Vi., est. Cu.) "Come più volte affermato in maniera costante dalla Corte di Cassazione "la deduzione - pur non integrando una eccezione in senso stretto ed essendo, pertanto rilevabile dal giudice anche in assenza di un'eccezione di parte - presuppone comunque l'allegazione da parte del datore di lavoro di circostanze di fatto specifiche" e il datore di lavoro, "onerato a provare l'aliunde perceptum da detrarre dall'ammontare del risarcimento del danno (...) non può esonerarsi chiedendo al giudice di voler disporre generiche informative o di attivare poteri istruttori con finalità meramente esplorative" (Cass. 31.1.17, n. 2499; conf. Cass. 04/12/2014, n. 25679; Cass. 11 marzo 2015 n. 4884, 29 dicembre 2014 n. 27424, 4 dicembre 2014, n. 25679). Lo stesso principio è stato affermato dalla Suprema Corte anche con riferimento all'aliunde percipiendum, laddove ha specificato che "In tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro che affermi la detraibilità dall'indennità risarcitoria prevista dal nuovo testo dell'art. 18, comma 4, st. lav., a titolo di "aliunde percipiendum", di quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi alla ricerca di una nuova occupazione, ha l'onere di allegare le circostanze specifiche riguardanti la situazione del mercato del lavoro in relazione alla professionalità del danneggiato, da cui desumere, anche con ragionamento presuntivo, l'utilizzabilità di tale professionalità per il conseguimento di nuovi guadagni e la riduzione del danno" (cfr. Cass. n. 17683/2018)." Nei limiti sopra precisati le domande meritano quindi accoglimento. Con riferimento alla liquidazione delle spese di lite, va poi ricordato che la Corte di Cassazione ha chiarito che costituisce principio acquisito in giurisprudenza quello secondo cui il giudice di rinvio è tenuto a provvedere sulle spese dell'intero giudizio di merito se riforma la sentenza di primo grado, ovvero sulle spese delle sole fasi d'impugnazione se rigetta l'appello ; che il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all'esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicchè non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all'esito finale della lite ( cfr. per l'affermazione di tali principi Cass.21626/2020; Cass.15506/2018 ; Cass. 20289/2015 ) (cfr. CDA Milano, Pres. est dr P., sentenza n. 788/2021). Applicando tali principi e il criterio della soccombenza le spese sono liquidate ex D.M. n. 55 del 2014 e D.M. n. 37 del 2018, nonché del D.M. n. 147 del 2023 per la presente fase, tenuto conto del numero di parti, del valore della causa e dell'attività svolta, in favore dei ricorrenti nella misura di complessivi 27.500,00 Euro oltre accessori di legge e spese forfettarie del 15%. P.Q.M. Decidendo in sede di rinvio, dichiarata la illegittimità degli impugnati licenziamenti intimati ai ricorrenti in data 8.07.2013: - condanna Eu. SPA a reintegrare i ricorrenti nel posto di lavoro; - preso atto dell'intervenuto esercizio del diritto di opzione con comunicazione del 24.04.2014 ricevuta il 21.05.2014, condanna Eu. spa: - a risarcire ai ricorrenti il danno determinato nella indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto al tallone mensile di Euro 1.424.08 da corrispondere dalla data del licenziamento a quella dell'esercizio del diritto di opzione, con interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo e a versare i contributi di legge per l'intero periodo, - al pagamento dell'indennità spettante a seguito dell'esercizio del diritto di opzione nella misura di 15 mensilità della retribuzione mensile globale di fatto, - oltre interessi legali e rivalutazione monetaria sulle somme sopraindicate dal dovuto al saldo. Condanna, infine, Eu. spa a rimborsare ai ricorrenti le spese di lite di tutti i gradi che si liquidano in complessivi Euro 27.500,00 oltre accessori di legge e spese forfettarie del 15%, di cui per la fase sommaria di I grado Euro 4.000,00, per la fase di opposizione di I grado Euro 3.600,00, per l'appello Euro 4.300,00, per il primo giudizio in Cassazione Euro 3.400,00, per primo il giudizio di rinvio Euro 4.300,00, per il secondo giudizio in Cassazione Euro 3.400,00, per il secondo giudizio di rinvio Euro4.500,00. Così deciso in Milano il 10 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria l'11 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8254 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Lu. Co. e Ge. Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ge. Ta. in Genova, via (...) contro -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via (...); Ministero dell'Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, e Università degli Studi -OMISSIS-, in persona del Rettore pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (...) per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, n. -OMISSIS-, resa tra le parti Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti l'atto di costituzione in giudizio e l'appello incidentale di -OMISSIS-; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Università degli Studi -OMISSIS- e del Ministero dell'Università e della Ricerca; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 marzo 2023 il Cons. Daniela Di Carlo; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con il ricorso proposto dinanzi al TAR della Liguria e recante il numero di registro generale -OMISSIS-, integrato da motivi aggiunti, la dottoressa -OMISSIS-, ha impugnato, chiedendone, l'annullamento: 1.1. per quanto riguarda il ricorso principale introduttivo: i) il decreto rettorale dell'Università degli Studi -OMISSIS- n. -OMISSIS- del 13 settembre 2021, n. -OMISSIS-, con cui è stata accertata la regolarità degli atti relativi alla procedura di selezione finalizzata al reclutamento di un ricercatore a tempo determinato, mediante conferimento di contratto di lavoro subordinato di durata triennale, ai sensi dell'art. 24, comma 3, lett. b) della legge n. 240/2010, presso il Dipartimento di Scienze della Formazione (DISFOR), per il settore scientifico-disciplinare BIO/08 - Antropologia, settore concorsuale 05/B1 - Zoologia e Antropologia ed è stata dichiarata vincitrice la dottoressa -OMISSIS-; ii) ogni altro atto presupposto, conseguente o connesso, ivi inclusi i verbali delle sedute della Commissione giudicatrice e la relazione riassuntiva dei lavori, nonché, per quanto possa occorrere, il D.R. n. -OMISSIS- del 9 dicembre 2020, recante il bando di concorso, e il D.R. n. -OMISSIS- dell'11 marzo 2021, recante la nomina della Commissione; 1.2. per quanto riguarda i motivi aggiunti al ricorso principale: i) gli atti già impugnati con il ricorso introduttivo; ii) il verbale del Consiglio di Dipartimento di Scienze della Formazione n. -OMISSIS- 2021, nella parte in cui ha deliberato la chiamata della dottoressa -OMISSIS-. 2. A sostegno del ricorso principale, la ricorrente, che ha conseguito il secondo miglior punteggio dopo quello della vincitrice, ha articolato i seguenti motivi: I) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. Eccesso di potere per errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, macroscopico travisamento e difetto di motivazione, illogicità manifesta. Con riferimento alla voce n. 3 della griglia di valutazione, relativa a formazione e ricerca, la commissione avrebbe pretermesso i titoli della dott.ssa -OMISSIS- di coordinatore del Centro di ricerca in Osteoarcheologia e Paleontologia dell'Università degli Studi dell'-OMISSIS-, di assegnataria di incarico di ricerca dell'Università di -OMISSIS- e di tutor dei tirocini in "Archeobiologia". II) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010 sotto altro profilo. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. Violazione del D.M. n. 855 del 30 ottobre 2015. Violazione e falsa applicazione dell'art. 4, comma 2, del d.p.r. n. 117/2000. Eccesso di potere per manifesto travisamento. Illogicità manifesta della motivazione. L'apprezzamento dei titoli e delle pubblicazioni della dott.ssa -OMISSIS- risulterebbe inficiata da errori macroscopici, perché l'attività didattica e scientifica della vincitrice non sarebbe congruente con il s.s.d. BIO/08 - Antropologia né con discipline affini, alla stregua dei decreti ministeriali recanti le declaratorie dei settori, ma afferirebbe alla Sociologia di cui al s.s.d. SPS/07 ed all'Antropologia della salute, costituente una branca dell'Antropologia culturale e, quindi, appartenente al s.s.d. M-DEA/01. Inoltre, quasi nessuna delle opere presentate dalla controinteressata risulterebbe censita nei canali indicizzati "Sc." e "We. of sc." e, in relazione a due lavori, l'organo giudicatore avrebbe travisato l'apporto dell'autrice. III) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010 sotto altro profilo. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. Violazione del D.M. n. 243 del 25 maggio 2011 e dell'art. 97 Cost. Violazione e falsa applicazione dell'art. 4, comma 2, del d.p.r. n. 117/2000. Falsa applicazione dei criteri di valutazione ed eccesso di potere per travisamento. Contraddittorietà con atti della stessa procedura e illogicità manifesta. Il collegio esaminatore avrebbe violato la griglia cui si era autovincolato, perché non avrebbe esplicitato i sotto-punteggi né per i titoli delle categorie nn. 3, 4 e 5, né per i parametri dell'originalità, congruenza, diffusione e apporto individuale delle singole pubblicazioni. IV) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010. Violazione del D.M. n. 243 del 25 maggio 2011 sotto altro profilo. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 anche in relazione all'art. 4, comma 2, del d.p.r. n. 117/2000. Eccesso di potere per difetto di presupposto essenziale. Carenza e illogicità di motivazione. I commissari non avrebbero redatto la relazione riassuntiva finale, con conseguente impossibilità di comprendere le ragioni della preferenza accordata ad una candidata priva di abilitazione scientifica nazionale per il s.s.d. BIO/08, con un profilo curriculare in settori diversi dalla materia oggetto di concorso e con il minor punteggio di tutti i partecipanti nella produzione scientifica. Inoltre, sarebbe stata omessa la verbalizzazione della prova di inglese. V) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010 e del D.M. n. 243 del 25 maggio 2011. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13, comma 2, del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. Difetto di istruttoria e travisamento. Sviamento e illogicità manifesta della motivazione. In subordine, si rivelerebbe viziata la valutazione preliminare, perché non sarebbe stata apprezzata la tesi di dottorato dei candidati, non sarebbe stato operato un giudizio analitico dei titoli e delle pubblicazioni secondo gli indicatori bibliometrici e sarebbe mancata la motivata sintesi comparativa prevista dall'art. 2 del D.M. n. 243/2011. 3. A sostegno dei motivi aggiunti, la ricorrente ha invece dedotto i seguenti ulteriori motivi: VI) Invalidità derivata del verbale del Consiglio di Dipartimento di Scienze della Formazione n. -OMISSIS- 2021 nella parte in cui ha deliberato la chiamata della dott.ssa -OMISSIS-. La delibera del Consiglio di Dipartimento di chiamata della vincitrice a ricoprire il posto di ricercatore risulterebbe affetta in via derivata dai vizi degli atti della selezione già censurati con il ricorso introduttivo. VII) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010, dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. Eccesso di potere per errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, macroscopico travisamento. Illogicità e ingiustizia manifeste. La commissione avrebbe obliterato la posizione di tecnico di laboratorio dell'esponente, che si sostanzierebbe in un incarico di ricerca antropologica. VIII) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010, dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. sotto altro profilo. Eccesso di potere per errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, macroscopico travisamento. Illogicità manifesta. Ad integrazione del primo mezzo del ricorso introduttivo, i titoli di coordinatore del Centro di ricerca in Osteoarcheologia e Paleontologia e di tutor dei tirocini in "Archeobiologia" avrebbero dovuto essere inseriti, perlomeno, fra le attività organizzative di gruppi di ricerca e fra i contratti di supporto alla didattica. Inoltre, ad integrazione del secondo motivo, a causa degli apprezzamenti generici e/o erronei dell'organo giudicatore dovrebbero essere decurtati i punti attribuiti alla controinteressata per i contratti per lezioni integrative, i congressi, i premi, le singole pubblicazioni con riferimento ai sotto-criteri della diffusione, congruenza e apporto del candidato, nonché per la duplice valutazione delle opere n. 1 e n. 7. IX) In subordine. Violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e 24 della legge n. 240/2010, dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e degli artt. 7 e 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. sotto altro profilo. Violazione e falsa applicazione del D.M. 4 ottobre 2000 e del D.M. n. 855 del 30 ottobre 2015. Intrinseca illogicità dei criteri di valutazione adottati con verbale del 6 maggio 2021. Sviamento e difetto assoluto di motivazione. Il criterio dell'attinenza a tematiche interdisciplinari correlate al s.s.d. BI0/08, adottato dai commissari nella prima seduta, violerebbe la normativa primaria e secondaria, nonché la lex specialis della procedura, perché il reclutamento dei ricercatori potrebbe avvenire con esclusivo riferimento ai settori scientifico-disciplinari predefiniti dal bando. In ogni caso, ove reputato ammissibile, il parametro dell'interdisciplinarietà dovrebbe essere inteso come affinità di settori ai sensi dell'allegato D al D.M. 4 ottobre 2000, sì che, risultando affine al s.s.d. BIO/08 unicamente il s.s.d. L-ANT/01 (Preistoria e Protostoria), l'incongruenza dei titoli e delle pubblicazioni della controinteressata permarrebbe. X) In ulteriore gradato subordine. Violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e 24 della legge n. 240/2010, dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. Violazione e falsa applicazione del D.M. 4 ottobre 2000 e del D.M. n. 855 del 30 ottobre 2015. Eccesso di potere per illogicità manifesta dei criteri di valutazione adottati con verbale del 6 maggio 2021 e conseguente sviamento. L'abilitazione scientifica nazionale a professore di seconda fascia nel s.s.d. BIO/08, non posseduta solamente dalla dott.ssa -OMISSIS- fra tutti i partecipanti alla selezione, sarebbe stata illogicamente svalutata con l'attribuzione di un solo punto rispetto al punteggio totale di cinquanta assegnabile per i titoli. XI) In ultimo e gradato subordine. Impugnazione in parte qua del bando emanato con D.R. n. -OMISSIS-/2020 per violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010, dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i., del D.M. 4 ottobre 2000, del D.M. n. 855 del 30 ottobre 2015 e dell'art. 15 della legge n. 240/2010. Intrinseca illogicità e sviamento. Lo stesso bando escluderebbe ogni finalità valutativa della prevista destinazione del vincitore allo svolgimento di ricerche nell'ambito dell'antropologia della salute, in collegamento con la Cattedra Un. (di cui la dott.ssa -OMISSIS- è cofondatrice) e con il Museo di Etnomedicina "-OMISSIS-" (di cui la dott.ssa -OMISSIS- è responsabile scientifico). In subordine, qualora si ritenesse che il bando abbia ricondotto la materia dell'antropologia della salute al s.s.d. BIO/08, lo stesso infrangerebbe le declaratorie del relativo settore disciplinare e concorsuale di cui ai DD.MM. 4 ottobre 2000 e 30 ottobre 2015 n. 855. 4. Con ricorso incidentale notificato in data 3 dicembre 2021 e depositato il successivo 15 dicembre, la dottoressa -OMISSIS- ha impugnato, a sua volta, gli atti della procedura, articolando i seguenti motivi: I) Violazione dei criteri stabiliti nel verbale n. 1. Difetto del presupposto e/o travisamento dei fatti. Violazione degli artt. 46, 47 e 75 del d.p.r. n. 445/2000. Con riferimento ai titoli della voce n. 4, il punteggio ottenuto dalla dott.ssa -OMISSIS- si rivelerebbe erroneo sotto vari aspetti: - sarebbe stata computata la responsabilità di due semplici borse di studio o, in subordine, stimata doppiamente l'attività concernente l'area della -OMISSIS-, sotto forma di responsabile di borsa e di progetto di ricerca; - le proposte progettuali relative ai bandi "Arte & Cultura" della Fondazione Comunitaria del -OMISSIS- avrebbero ricevuto i finanziamenti con mera procedura a sportello e non, come dichiarato dalla candidata, con selezione competitiva; - per tre progetti, aventi ad oggetto la chiesa di San Biagio in -OMISSIS- ed il sito di Sant'Agostino di -OMISSIS-, sarebbe stata responsabile la prof.ssa -OMISSIS-; per altri due progetti, riguardanti la cripta dei frati francescani di -OMISSIS-, la dott.ssa -OMISSIS- avrebbe svolto semplici ricerche; - gli studi presso la chiesa di San Biagio farebbero parte di una ricerca unitaria, onde le varie fasi non avrebbero potuto essere conteggiate più volte. II) Violazione dei criteri stabiliti nel verbale n. 1. Difetto del presupposto e/o travisamento dei fatti. In relazione alla categoria n. 2, la commissione avrebbe illegittimamente tralasciato, per la dott.ssa -OMISSIS-, i contratti di supporto alla didattica e il titolo di cultore della materia. III) Violazione dei criteri stabiliti nel verbale n. 1. Difetto del presupposto e/o travisamento dei fatti. I punteggi assegnati alla dott.ssa -OMISSIS- per le pubblicazioni risulterebbero viziati, in quanto: - l'opera "-OMISSIS-", premiata con il massimo di quattro punti, sarebbe sovrapponibile per circa il 40% alla tesi di dottorato, a sua volta valorizzata con due punti; - sarebbero state valutate come distinte ed autonome le due pubblicazioni "-OMISSIS-" e "-OMISSIS-", nonostante quest'ultima fosse già sostanzialmente contenuta nella prima, come riconosciuto dalla commissione di un'altra procedura di reclutamento. IV) Violazione dei criteri stabiliti nel verbale n. 1. Difetto del presupposto e/o travisamento dei fatti. Illogicità . In sede di apprezzamento della produzione scientifica complessiva, i dati bibliometrici delle citazioni e dell'indice H, tratti dalla banca dati "Sc.", non sarebbero stati depurati dalle autocitazioni: ne sarebbe derivata una sopravvalutazione della dott.ssa -OMISSIS-, per la quale si registrerebbe un tasso di autocitazioni (pari al 60% circa) molto superiore a quello medio del s.s.d. BIO/08 (inferiore al 12%). V) In subordine. Violazione dei criteri stabiliti nel verbale n. 1. Difetto del presupposto e/o travisamento dei fatti. Nell'ipotesi subordinata in cui si ritenesse precluso il vaglio di titoli e pubblicazioni congruenti con tematiche interdisciplinari connesse con il settore BIO/08, si rivelerebbe illegittima anche la valutazione della tesi di dottorato, di sette opere (le nn. 1, 2, 5, 6, 9, 10 e 11 dell'elenco) e di tre incarichi di insegnamento (in "Storia della Medicina" ed in "Archeobiologia") della dott.ssa -OMISSIS-, in quanto totalmente o parzialmente attinenti al s.s.d. MED/02 - Storia della medicina, secondo gli atti di un concorso per ricercatore nel prefato ambito in cui la candidata si è cimentata. 5. Il Tar della Liguria: - ha respinto i motivi I), VII) e VIII) dell'impugnativa principale, ritenendo infondate le doglianze circa la mancata obliterazione di quattro suoi titoli; - ha accolto, nei sensi di cui in motivazione, i motivi II), IX) e XI) sempre dell'impugnativa principale, con cui erano state censurate l'incongruenza dei titoli e delle pubblicazioni della dottoressa -OMISSIS- con il s.s.d. BIO/08 - Antropologia e la loro valutabilità sotto il profilo dell'interdisciplinarietà ; - ha accolto il I) motivo dell'impugnativa incidentale limitatamente al profilo concernente la illegittimità nella valutazione dei titoli della dottoressa -OMISSIS- di cui alla categoria n. 4 della griglia (si tratta del "Coordinamento di progetti di ricerca nazionali ammessi al finanziamento sulla base di un bando competitivo", e della "Organizzazione, direzione e coordinamento di gruppi di ricerca nel contesto di progetti di ricerca nazionali"), respingendo invece le contestazioni del punteggio assegnato in relazione a due borse di studio per l'analisi dei resti umani in -OMISSIS- e al coordinamento del progetto di creazione di un percorso archeologico in tale area del -OMISSIS-; - ha accolto sempre parzialmente il II) motivo dell'impugnativa incidentale, ovverossia limitatamente alla mancata considerazione del titolo di cultore nello specifico s.s.d. BIO/08 dall'a.a. 2018/19, ritenendo invece infondata quella relativa alla asserita pretermissione dei contratti di supporto alla didattica; - ha respinto il III) motivo del ricorso incidentale; - ha accolto integralmente il IV) motivo; - ha accolto il V) motivo del gravame incidentale nella sola parte in cui si era contestato il computo in favore della dottoressa -OMISSIS-, fra i titoli della voce n. 2, degli insegnamenti di "Storia della Medicina", nonché, fra le pubblicazioni, della n. 9 dell'elenco. 5.1. Infine, il Tar ha indicato all'Ateneo i principi conformativi in vista della nuova valutazione e attribuzione del punteggio (Pertanto, la commissione dovrà rinnovare la valutazione di tutti i titoli delle categorie nn. 2-3-4-5-6 e di tutte le pubblicazioni della dott.ssa -OMISSIS-, seguendo le coordinate illustrate ed esplicitando le ragioni dell'eventuale giudizio di congruità, piena o parziale, con il s.s.d. BIO/08, nonché emendando gli errori rilevati in parte motiva. Inoltre, dovrà apprezzare nuovamente i titoli delle categorie nn. 2-4 e la pubblicazione n. 9 della dott.ssa -OMISSIS-, secondo le direttrici sopra tracciate e con specificazione dei motivi dell'eventuale giudizio di congruità, piena o parziale, con il s.s.d. BIO/08; dovrà altresì tenere specificamente conto del possesso dell'A.S.N. per il s.s.d. BIO/08. Infine, per entrambe le candidate riesaminerà la produzione scientifica complessiva alla luce di quanto indicato, precisandosi che, nella stima dell'effetto delle autocitazioni, andranno estrapolati i soli dati presenti in "Sc." (ed eventualmente in "We. of sc.") alla data del concorso, eliminando le opere inserite e le citazioni registrate in epoca successiva") ed ha compensato le spese di lite. 6. La sentenza è stata impugnata, nei limiti del rispettivo interesse, in via principale dalla originaria controinteressata, e in via incidentale dalla originaria ricorrente, attraverso la riproposizione degli originari motivi di ricorso principale, di motivi aggiunti all'impugnativa principale e di ricorso incidentale, quali censure specifiche avverso la sentenza medesima. 7. L'Università degli Studi -OMISSIS- ha resistito al gravame. 8. Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive. 9. All'udienza pubblica del 7 marzo 2023, la causa è stata trattenuta in decisione. 10. L'appello principale e l'appello incidentale non sono fondati. 11. Più in particolare, non è fondato il primo motivo di appello principale con cui si censura la violazione del DM 243/2011, del DM 4 ottobre 2000 e del DM 855/2015, l'illogicità e la violazione del principio di proporzionalità e la violazione dei limiti del sindacato giurisdizionale amministrativo, sotto il profilo dell'eccesso di potere giurisdizionale e del difetto di giurisdizione. Il Tar ha compiutamente ricostruito il quadro normativo di riferimento: - sulla base dell'art. 24, comma 2, del d.lgs. n. 240/2010, nel testo vigente ratione temporis, è previsto che i ricercatori a tempo determinato sono scelti mediante procedure pubbliche di selezione disciplinate dalle Università con regolamento, nel rispetto di una serie di criteri, tra cui la "specificazione del settore concorsuale e di un eventuale profilo esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari"; - gli artt. 2 e 3, del D.M. n. 243 del 25 maggio 2011, recano i criteri e i parametri per la valutazione preliminare degli aspiranti, fra cui quello che le commissioni giudicatrici comparano il curriculum e i titoli dei candidati "facendo riferimento allo specifico settore concorsuale e all'eventuale profilo definito esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari, debitamente documentati", nonché le pubblicazioni "tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari, ovvero con tematiche interdisciplinari ad essi correlate"; - sulla base dell'art. 15 del d.lgs. n. 240/2010, i settori concorsuali e i relativi settori scientifico-disciplinari sono definiti, secondo criteri di affinità, con apposito decreto ministeriale. Sulla base delle suddette coordinate normative, il ragionamento del Tar ha preso le mosse dalla legittima e condivisa premessa secondo cui, per un verso, la congruenza dell'attività del candidato con i contenuti del settore scientifico-disciplinare per il quale è bandita la procedura rappresenta uno dei parametri specificatamente indicati dalla normativa per misurare il profilo scientifico dei partecipanti ad un concorso universitario a posti di docente o ricercatore, mentre, per un altro verso, l'individuazione del nesso di interdisciplinarietà non può essere rimesso alla scelta soggettiva dei commissari, ma deve invece basarsi su una preventiva tipizzazione operata a livello normativo. Sulla base di queste premesse, il Tar ha tratto delle considerazioni corrette, ovverossia che: i) dalla piana lettura delle declaratorie dei due settori scientifico-disciplinari BIO/08 - Antropologia e M-DEA/01 - Discipline demoetnoantropologiche, nonché dei relativi settori concorsuali 05/B1 - Zoologia e Antropologia e 11/A5 - Scienze demoetnoantropologiche, è possibile distinguere due diverse branche di antropologia: l'antropologia fisica o biologica (settore scientifico-disciplinare BIO/08 - Antropologia, settore concorsuale 05/B1 - Zoologia e Antropologia), che studia l'uomo come "fenomeno biologico" e, quindi, la storia naturale del genere umano, approfondendone l'origine, l'evoluzione sotto l'aspetto organico e naturalistico, nonché le caratteristiche biologiche, la variabilità genetica tra le popolazioni e le modalità di adattamento all'ambiente; e l'antropologia culturale o demoetnoantropologia (settore scientifico-disciplinare M-DEA/01 - Discipline demoetnoantropologiche, settore concorsuale 11/A5 - Scienze demoetnoantropologiche), che studia l'uomo come "fenomeno culturale" e, quindi, i processi socio-culturali delle civiltà umane, antiche e contemporanee; ii) dal curriculum prodotto dalla originaria controinteressata nella procedura in contestazione, emerge che il suo profilo scientifico e didattico, senza alcun dubbio pregevole, si è tuttavia sviluppato negli ambiti della sociologia, con particolare riferimento al campo educativo, e dell'antropologia della salute, nelle sue declinazioni culturali ed etnomediche (in particolare, la dottoressa -OMISSIS- è dottore di ricerca in "Valutazione dei processi e dei sistemi educativi", titolo conseguito presso la Scuola di dottorato in Scienze umane e sociali dell'Università degli Studi -OMISSIS-; è in possesso dell'abilitazione scientifica nazionale a professore di seconda fascia per i settori concorsuali 14/C1 - Sociologia generale e 14/C2 - Sociologia dei processi culturali e comunicativi; nella descrizione della propria attività di ricerca, la stessa candidata scrive che "Lavora sui temi della promozione della salute, della cura centrata sulla persona e dell'applicazione dell'antropologia nel contesto dell'assistenza sociosanitaria. I suoi interessi principali sono le interconnessioni tra migrazione, salute, vulnerabilità sociale e disuguaglianze nell'accesso ai servizi sanitari. Collabora stabilmente con centri di ricerca internazionali nella valorizzazione e promozione del patrimonio culturale materiale e immateriale legato alle pratiche tradizionali di cura dei popoli"; dall'a.a. 2014/2015, la dottoressa -OMISSIS- è professore a contratto degli insegnamenti di "Antropologia della Salute" e di "Approccio alle professioni sanitarie: uno sguardo antropologico" nei corsi di laurea delle Professioni Sanitarie presso l'Università -OMISSIS- afferenti al settore scientifico disciplinare M-DEA/01 - Discipline demoetnoantropologiche; i suoi progetti di ricerca concernono principalmente tematiche di carattere educativo e socio-culturale e non biologico-naturalistico). Infine, il Tar ha spiegato anche le ragioni per le quali non sono fondate le difese dell'Ateneo e della originaria controinteressata incentrate sull'assunto che la materia dell'antropologia della salute dovrebbe ritenersi pienamente congruente con il posto messo a concorso e che la commissione avrebbe stabilito di valutare la congruenza dei titoli e delle pubblicazioni non solo con il s.s.d. BIO/08, ma anche rispetto a "tematiche interdisciplinari correlate", fra le quali si collocherebbero quelle dell'antropologia della salute. Innanzitutto, sul piano formale e tassonomico, le declaratorie di cui ai DD.MM. 4 ottobre 2000 e 30 ottobre 2015 n. 855 distinguono nettamente l'antropologia fisica di cui al s.s.d. BIO/08 dall'antropologia culturale di cui al s.s.d. M-DEA/01. In secondo luogo, l'autonomia didattica e scientifica riconosciuta all'Università non può sortire l'effetto di dilatare il perimetro delle esperienze scientifiche e didattiche rilevanti ai fini della selezione pubblica di un ricercatore in Antropologia BIO/08, che deve rispettare il preciso e vincolante sistema ministeriale delle classificazioni per settori scientifico-disciplinari, al fine di evitare che si introducano elementi di giudizio che renderebbero relativistica, soggettivistica e, in definitiva, eccessivamente opinabile, la valutazione da esprimere. Inoltre, l'antropologia culturale e, all'interno di essa, quella della salute, non possono essere ricondotte nemmeno alle "tematiche interdisciplinari correlate" con il s.s.d. BIO/08, in quanto non è normativamente prevista un'affinità con il s.s.d. M-DEA/01 - Discipline demoetnoantropologiche, che appartiene alla differente area disciplinare 11 (Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche) e, all'interno di questa, al settore concorsuale delle scienze demoetnoantropologiche. 12. Pure infondato è il secondo motivo di appello principale, con cui si ripropone la censura concernente l'asserita violazione del DM 4 ottobre 2000 e la violazione dei limiti del sindacato giurisdizionale amministrativo, nonché l'eccesso di potere giurisdizionale e il difetto di giurisdizione. Ci si riporta, per ragioni di celerità e sinteticità degli atti processuali, a tutte le considerazioni illustrate nel punto precedente, in quanto il Tar ha correttamente ricostruito il quadro normativo di riferimento all'interno del quale si colloca la fattispecie concreta, e ne ha tratto ragionevoli conclusioni in punto di classificazione dei relativi settori scientifico-disciplinari, rimanendo all'interno del perimetro proprio dell'esegesi normativa e rappresentandone, anzi, la diretta ed immediata attuazione, a fronte di un operato amministrativo che aveva esondato dai propri limiti, superando le classificazioni tassonomiche disegnate dal legislatore. 13. Pure infondato è il terzo motivo dell'appello principale, con cui si reitera nuovamente la censura della violazione dei limiti del sindacato giurisdizionale amministrativo, dell'eccesso di potere giurisdizionale e del difetto di giurisdizione, sotto il profilo dell'erroneità dei principi conformativi dettati dal Tar in vista del riesercizio del potere valutativo. In realtà, i principi conformativi enunciati dal Tar rappresentano la diretta e necessitata conseguenza logico-giuridica della premessa distintiva fra i due settori dell'antropologia naturale e dell'antropologia culturale, sicché il ragionamento del Tar si appalesa del tutto corretto anche in tale parte e, di conseguenza, l'Ateneo dovrà valutare i titoli e le pubblicazioni della dottoressa -OMISSIS- per stabilire se gli stessi siano o meno congruenti con il settore BIO/08 e le tematiche interdisciplinari. 14. Alla luce delle suddette considerazioni, sono infondati pure il quarto e il quinto motivo di appello principale, con cui si contestano, più nello specifico, alcune argomentazioni poste dal Tar a supporto del proprio ragionamento logico-giuridico, che va dunque complessivamente confermato. 15. Anche il sesto motivo di appello principale, che deduce l'eccesso di potere giurisdizionale sotto il profilo della violazione e del travisamento dei criteri valutativi predeterminati dalla Commissione, non è fondato. La censura investe, in particolare, il capo di sentenza che ha riconosciuto la illogicità del giudizio di "ottima diffusione" assegnato a 7 pubblicazioni su 12 della originaria controinteressata, che non risultano indicizzate nelle principali banche dati dei settori scientifico bibliometrici, quali il settore di interesse BIO/08. A questo proposito, il Collegio rileva che il ragionamento seguito dal primo giudice, secondo cui il criterio della diffusione corrisponde nella sostanza a quello della rilevanza scientifica della collocazione editoriale, sia corretto, essendo del tutto logica e condivisibile la considerazione, oggettiva e dunque positivamente riscontrabile, che "essendo il s.s.d. BIO/08 un settore bibliometrico, è evidente che - per valutare la circolazione e l'impatto delle pubblicazioni - non può prescindersi (perlomeno, non completamente) dal censimento della fonte in "Sc." o in altre banche dati di comune riferimento". 16. Pure il settimo motivo di appello principale è infondato. Il Collegio, condividendo sul punto i rilievi mossi dal Tar dall'operato della Commissione, ritiene irragionevole che non sia dato risalto al possesso della specifica abilitazione a professore di seconda fascia (ASN) per il settore BIO/08 conseguita dalla originaria ricorrente, svilendosi, di fatto, un titolo di specifico rilievo per la selezione di un ricercatore di tipo B, nell'ampia e generica categoria dei "premi e riconoscimenti", alla quale è riconosciuto un solo punto massimo conseguibile. Correttamente, dunque, il Tar ha ritenuto che detta scelta della Commissione sia stata connotata da una irrazionalità di fondo, non potendosi porre sullo stesso piano una concorrente dotata di ASN e una del tutto sfornita, come l'odierna appellante. 17. Vanno ora esaminati congiuntamente i motivi VIII, IX e X dell'appello principale. Le doglianze sono tutte infondate in quanto: i) occorre fare riferimento alla dizione con cui l'originaria ricorrente figurava nelle pubblicazioni, ossia come primo o ultimo autore; ii) la Commissione ha il potere di non valutare i titoli che non presentano i requisiti previsti, venendo in rilievo una fattispecie di mancata attribuzione di punteggio piuttosto che di esclusione non tipizzata; iii) il bando non osta a che un'opera monografica origini da una rielaborazione e uno sviluppo di una precedente tesi di dottorato; iv) il giudizio di congruenza espresso dalla Commissione in quanto una pubblicazione è stata ritenuta come "appartenente principalmente al SSD BIO/08" riguarda il contenuto di quella specifica pubblicazione e non può costituire argomento per affermare la interdisciplinarietà con il settore MED/02. 18. Infine, sulla base delle succitate considerazioni, è pure infondato il decimo e ultimo motivo di appello principale, che si limita a contestare i precetti conformativi dettati dal Tar a conclusione del proprio ragionamento, i quali dunque vanno anch'essi pienamente confermati e ai quali si dovrà attenere l'Ateneo nel ripetere il giudizio valutativo. 19. Va ora esaminato l'appello incidentale. 20. È innanzitutto infondato il primo motivo con cui l'originaria ricorrente ripropone la censura dell'omessa decisiva valutazione nei propri confronti (nell'ambito delle categorie n. 3 e, in subordine, n. 4 della griglia di valutazione predisposta dalla Commissione) di quattro documentati titoli che le avrebbero permesso di sopravanzare in graduatoria la originaria controinteressata, e segnatamente: 1. l'essere stata Coordinatore del Centro di Ricerca universitario in Osteoarcheologia e Paleopatologia del Dipartimento di Biotecnologia e Scienze della Vita dell'Università dell'-OMISSIS-; 2. l'incarico di ricerca presso l'"Insitut fu r Assyriologie un Hethitologie" dell'Università di -OMISSIS-; 3. l'incarico di Tutor del tirocinio in Archeobiologia per i corsi di laurea in Biotecnologie e Scienze Biologiche presso l'Università dell'-OMISSIS-; 4. l'essere tecnico di laboratorio presso il Dipartimento di Biotecnologie e Scienze 22 della Vita dell'Università dell'-OMISSIS-. Il Collegio rileva che il ragionamento logico-giuridico seguito dal primo giudice sfugga alle critiche mosse in quanto: 1. le funzioni statutarie del Coordinatore della ricerca non consistono in attività di ricerca attiva o in attività di coordinamento degli studiosi, bensì in attività di coordinamento delle presenze in laboratorio, e quindi di assistenza alla ricerca; 2. l'attività di formazione e ricerca presso qualificati istituti italiani o stranieri doveva essere documentata, oltre che dichiarata nel curriculum; 3. i criteri valutativi stabiliti dalla Commissione contemplavano l'assegnazione di punteggi per la titolarità di contratti per lo svolgimento di attività di supporto alla didattica in corsi universitari, ma non anche per l'attività di tutorato, fra l'altro a supporto dei tirocini; 4. la conduzione del laboratorio menzionata nel contratto individuale non è attività corrispondente o equivalente alla direzione scientifica del laboratorio, trattandosi di attività materiale ed esecutiva finalizzata alla conduzione tecnica del medesimo (ad esempio, attraverso l'acquisto, la catalogazione, l'organizzazione, la dislocazione dei materiali e delle attrezzature, il periodico riordino). 21. È poi infondato il secondo motivo di appello incidentale con cui ci si duole del parziale accoglimento del ricorso incidentale della originaria controinteressata, per la semplice evidenza che: i) fra i titoli valutabili nel concorso vi era quello dei progetti assegnati con procedure competitive, per cui non possono essere annoverati in tale categoria i bandi a sportello che si risolvono nel finanziamento dei progetti nell'odine cronologico di presentazione "fino ad esaurimento disponibilità "; ii) il bando di concorso non richiedeva ai partecipanti di dimostrare il possesso dei titoli autodichiarati, quale quello di cultore della materia dichiarato dalla originaria controinteressata; iii) il dato relativo alle citazioni ha natura intrinsecamente oggettiva ed è finalizzato ad evidenziare l'interesse (terzo ed imparziale) che la comunità scientifica nutre verso un determinato elaborato, sicché è ragionevole che il suddetto dato sia epurato dalle autocitazioni, che sono di per sé espressione di un punto di vista personalistico ed interessato; iv) il giudizio della Commissione è insufficiente e non esplicita le argomentazioni oggettive sulla base delle quali talune produzioni della originaria ricorrente sarebbero congruenti con il s.s.d. BIO/08 o con un settore affine, sicché in tale parte il giudizio va ripetuto ed emendato del difetto istruttorio e motivazionale. 22. In definitiva, alla luce delle suddette considerazioni, vanno respinti sia l'appello principale, sia quello incidentale. 23. Di conseguenza, vanno assorbite tutte le restanti censure riproposte dalla odierna appellante incidentale in via subordinata, ovverossia per la sola ipotesi di accoglimento dell'appello principale. 24. Le spese del giudizio sono compensate in considerazione della reciproca soccombenza parziale. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello n. 8254/2022, come in epigrafe proposto, respinge l'appello principale e quello incidentale e compensa le spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Vista la richiesta dell'interessato e ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'appellante principale e l'appellante incidentale. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere, Estensore Sergio Zeuli - Consigliere Maurizio Antonio Pasquale Francola - Consigliere Marco Valentini - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BERGAMO Sezione Lavoro Il Tribunale, nella persona del Giudice del lavoro Elena Greco ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1896/2018 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. Ro.Tr., (...), RICORRENTE contro (...) XXIII (C.F. (...)), in persona del direttore generale pro tempore, con il patrocinio dell'avv. Gabriella Battaglioli e dell'avv. An.Av., elettivamente domiciliato presso lo Studio Legale Avolio e Associati in Milano, viale Gian Galeazzo n. 16 CONVENUTO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con il ricorso introduttivo del giudizio il ricorrente ha adito il Tribunale di Bergamo in funzione di giudice del lavoro chiedendo di "accertare e dichiarare che, per tutti i fatti meglio descritti nell'espositiva che precede, il ricorrente è stato illegittimamente fatto oggetto di una condotta integrante la fattispecie di straining e/o mobbing da parte della (...) XXIII nonché di whistelblowing (inteso come mancata protezione nei termini sopra precisati) e per l'effetto condannare la (...) medesima al risarcimento di tutti i danni subiti dal ricorrente in conseguenza dell'illegittimo comportamento datoriale, sia di natura patrimoniale che di natura extrapatrimoniale, ivi compresi i danni dal medesimo subiti in conseguenza dell'illegittima dequalificazione, demansionamento e perdita di professionalità (danno professionale, all'immagine, alla carriera, alla dignità personale etc.) nonché il danno alla salute, il danno biologico permanente e temporaneo e il danno da perdita di chances per lamancata crescita professionale (anche con riferimento alla mobilità tra enti) da liquidarsi come indicato e/o come risulterà dovuto in corso di causa o il Giudice riterrà di giustizia anche ex art. 1226 c.c.". A sostegno della propria domanda il ricorrente ha esposto di essere assunto presso l'(...) XXIII e di avervi rivestito la qualifica di infermiere coordinatore sin dal 1992 (dapprima presso gli Ospedali Riuniti, poi presso la convenuta), in particolare svolgendo tale attività dal settembre 2004 al 3.12.2017 presso l'unità operativa complessa (cosiddetta u.o.c.) di pediatria, di aver sempre eseguito con professionalità la propria prestazione lavorativa ottenendo valutazioni di rendimento di buon livello e non riportando mai sanzioni disciplinari, di essere divenuto nonostante ciò vittima di condotte mobbizzanti o "stressogene" per aver assunto in talune occasioni il ruolo di wistleblower e di aver subito tali condotte tanto da aver richiesto il trasferimento ad altro reparto per salvaguardare la propria salute psicofisica. Ha precisato che l'origine delle persecuzioni poste in essere in suo danno aveva trovato scaturigine in comportamenti tenuti da colleghi e superiori nell'ambito di un progetto di natura infermieristica di assistenza a domicilio denominato "quasi a casa" ed in relazione al quale era stato accusato di non adoperarsi per consentirne la buona riuscita a causa dell'erroneo impiego di una risorsa infermieristica; era proseguita con la richiesta della referente di dipartimento (...) di modificare la valutazione formulata in ordine al rendimento di due infermiere e con l'inutilità della segnalazione da lui effettuata per denunciare siffatte pressioni; si era aggravata in seguito a numerose segnalazioni da lui effettuate anche ai direttori dell'u.o.c. e della direzione sanitaria per rendere note situazioni in cui per disorganizzazione o mancanza di efficienza del reparto i pazienti non avevano potuto effettuare le cure programmate nei giorni prestabiliti o erano stati dimessi senza la previa valutazione dei reparti competenti, tanto che la sua persona in reparto era stata individuata come un "problema", che il direttore sanitario (...) lo aveva più volte e insistentemente invitato a trasferirsi ad altro incarico, che dal 17.10.2021 al 29.10.2017 era stato collocato dapprima in ferie, poi in recupero ore eccedenti (fino al 31.10.2017) senza aver mai presentato alcuna richiesta in tal senso. Ha dedotto che la situazione di forte ansia e stress sofferti a causa del trattamento ricevuto aveva comportato l'insorgere di uno stato di morbilità dal 18.10.2017 al 3.12.2017 e che aveva dovuto assumere psicofarmaci per farvi fronte. Ha riferito di aver richiesto in data 16.10.2017 il trasferimento ad altro reparto al precipuo fine di tutelarsi dagli atti persecutori posti in essere in suo danno e di aver contestualmente invocato la normativa sul whistleblowing, senza però richiedere un demansionamento e senza acconsentire ad un trasferimento comportante la retrocessione di posizione, laddove l'azienda convenuta procedette a modificare la sua posizione di coordinatore infermieristico e dal 4.12.2017, a decurtargli la retribuzione privandolo del titolo e del compenso per l'incarico di coordinatore. A tal proposito ha allegato che dal 4.12.2017 era rientrato in servizio e, in seguito al trasferimento, si era trovato a svolgere presso il centro di formazione universitaria mansioni di mera segreteria in un ambiente isolato, privo di finestre e illuminato solo con luce artificiale, senza possibilità di relazioni professionali, senza una postazione fissa poiché per un giorno a settimana doveva anche lasciare la propria scrivania ad una impiegata dell'università Bicocca; che dal febbraio 2018, in seguito alle rimostranze compiute, era stato trasferito in un locale sempre privo di finestre e ancor più angusto del precedente; che non gli erano state rese note tramite la casella e-mail aziendale i concorsi interni, tanto da averne avuto conoscenza solo attraverso alcuni colleghi. Ritualmente costituitasi in giudizio l'(...) XXIII ha contestato le domande attoree e ne ha chiesto il rigetto. In particolare, con riferimento agli aspetti organizzativi del reparto e gestionali del rapporto di lavoro controverso, la convenuta ha dedotto di aver puntualmente dato seguito alle segnalazioni circostanziate effettuate dal ricorrente onde comprendere le ragioni dei disguidi denunciati, da un lato coinvolgendo nelle attività istruttorie sul punto anche il ricorrente stesso, dall'altro sollecitando quest'ultimo a discutere di eventuali problematiche organizzative e relazionali con i diretti interessati; ha puntualizzato che la richiesta di destinare parte attorea a diverso reparto o servizio fu formulata dalla stessa sin da l 2014 e in tempi più recenti nel corso di un colloquio svoltosi con l'assistenza di due rappresentanti sindacali e a seguito del quale vennero assunte in via concordata anche le decisioni sulla organizzazione del reparti di pediatria e sulla fruizione del congedo (dapprima qualificato come ordinario e poi trasformato - su richiesta del lavoratore medesimo - in recupero ore); ha precisato che sul ricorrente non venne esercitata alcuna pressione per indurlo a modificare il giudizio espresso sul rendimento di due infermiere del reparto pediatria, ma che viceversa si aprì una procedura di confronto alla presenza di un soggetto terzo al precipuo fine di consentire alle lavoratrici interessate e al loro coordinatore di comprendere le rispettive posizioni e che il ricorrente acconsentì liberamente ad incrementare alcuni dei punteggi attribuiti a tali due infermiere; ha descritto le mansioni attribuite al ricorrente in seguito al trasferimento al nuovo incarico, evidenziando che esso ha gli ha consentito di avere una quotidiana interazione con docenti, studenti, con gli uffici formativi e direzionali e di ricevere l'incarico - dopo un percorso formativo durato circa quattro mesi - di svolgere attività tutoriale in quattro sedi e di definire gli obiettivi didattici; ha riferito che già dal dicembre 2017 il responsabile dell'unità organizzativa della formazione universitaria invitò il ricorrente a partecipare alla selezione per le posizioni organizzative. Istruita la causa con l'ammissione della prova testimoniale e disposta da ultimo la trattazione scritta della controversia ai sensi dell'art. 221, comma 4, L. n. 77 del 2020, all'udienza di discussione il Giudice ha assunto la causa in decisione, dando lettura del dispositivo e assumendo termine per il deposito delle motivazioni. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso non è fondato e non può pertanto essere accolto. Per una corretta disamina della questione oggetto del giudizio, appaiono necessarie alcune considerazioni di carattere generale sul concetto di mobbing e di straining e della relativa risarcibilità. Per mobbing (dall'inglese "to mob", cioè "attaccare", "aggredire") si intende, comunemente, una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio psicofisico e del complesso della sua personalità. Secondo i più consolidati approdi giurisprudenziali e dottrinali, ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio (cfr. Cass., n. 3785/2009). A metà strada tra il mobbing e il semplice stress occupazionale, si pone una condizione psicologica definita straining. Lo straining, dall'inglese "to strain", ha un significato molto simile a quello di "to stress", ossia "stringere, distorcere, mettere sotto pressione" e indica, infatti, una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima (il lavoratore), subisce da parte dell'aggressore (lo strainer, che solitamente è un superiore) almeno un'azione ostile e stressante, i cui effetti negativi sono di durata costante nel tempo. La vittima, inoltre, deve trovarsi in persistente inferiorità rispetto allo strainer, la cui azione viene diretta volontariamente contro una o più persone, sempre in maniera discriminante. Sul piano pratico lo straining si differenzia dal mobbing per il modo in cui è perpetrata l'azione vessatoria: per la configurazione di una fattispecie di mobbing è necessario che l'azione di molestia sia caratterizzata da una serie di condotte ostili, continue e frequenti nel tempo, che venga riscontrato un danno alla salute e, infine, che questo danno possa essere messo in relazione all'azione persecutoria svolta sul posto di lavoro; viceversa nello straining viene meno il carattere della continuità delle azioni vessatorie. Tale assunto è stato recentemente confermato dai giudici di legittimità, secondo i quali lo straining altro non è se non "una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie" (Cass. n. 3291/2016 e Cass. n. 3977/2018); azioni non necessariamente associate ad un intento persecutorio (Cass. n. 18927/2016), ma intenzionale che, peraltro, ove si rivelino produttive di danno all'integrità psico-fisica del lavoratore, giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull'art. 2087 c.c.. In altri termini, posto che la figura del mobbing e dello straining hanno rilevanza meramente descrittiva, il risarcimento del danno all'integrità psicofisica richiede l'accertamento della natura vessatoria anche di singoli comportamenti e pure in mancanza d'intento persecutorio. Nell'ipotesi in cui, come nella prospettazione del caso in esame, il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psicofisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro, di natura asseritamente vessatoria, onde valutare la ricorrenza di una fattispecie di straining si tratta di valutare se alcuni dei comportamenti denunciati - esaminati singolarmente ma sempre in sequenza causale, pur non essendo accomunati dal medesimo fine persecutorio - possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili a responsabilità del datore di lavoro, che possa essere chiamato a risponderne, nei limiti dei danni a lui imputabili (cfr. Cass. n.15159/2019; Cass. n. 16256/2018; Cass. n. 3977/2018). Conseguentemente la nozione di straining, espressamente invocata dal ricorrente, avendo natura medico-legale, non riveste autonoma rilevanza ai fini giuridici, ma è utilizzata per identificare comportamenti che si pongano in contrasto con l'art. 2087 c.c. e con la normativa in materia di tutela della salute negli ambienti di lavoro (cfr.: Cass. 29 marzo 2018 n. 7844). Secondo la Suprema Corte, infatti, lo straining è una forma attenuata di mobbing che è configurabile quando vi siano comportamenti "stressogeni", scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manca la pluralità delle azioni vessatorie o esse siano limitate nel numero, ma comunque realizzino effetti dannosi all'interessato (così: Cass. n. 15159/2019 cit.). La giurisprudenza di merito ha altresì sottolineato come lo straining, a differenza del mobbing, si caratterizza per la particolare aggressività del comportamento attuato dal datore di lavoro, manifestata attraverso la repentinità o la natura eclatante dell'azione o insita nelle specifiche circostanze del demansionamento, ovvero nel concomitante verificarsi di altri atti volti ad isolare, anche dal punto di vista umano, il lavoratore. Tuttavia al pari del mobbing anche lo straining provoca al dipendente problemi di autostima e salute, turbative professionali e di serenità familiare, incidenti sulla sua qualità della vita. Entrambe le fattispecie, nel persistente vuoto normativo, sono tutelabili in virtù di quanto disposto dall'art. 2087 c.c., che, quale norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro, rappresenta strumento sanzionatorio atto a punire tutte quelle condotte del datore di lavoro capaci di ledere la personalità e la dignità del lavoratore. Ed infatti, ai sensi dell'art. 2087 c.c., il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l'adozione di condizioni lavorative "stressogene" ed a tal fine occorre valutare se, dagli elementi dedotti - per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, o altre circostanze del caso concreto - possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell'esistenza di questo più tenue danno. Il lavoratore che subisce una condotta mobbizzante, comportamenti vessatori, lesivi e persecutori, sia pure nella forma meno intensa dello straining, ha dunque diritto al risarcimento del danno biologico, ma è onerato dell'allegazione probatoria dei fatti nei quali si è estrinsecata la condotta datoriale e del nesso causale tra il comportamento tenuto dal datore di lavoro (o dai colleghi) ed il pregiudizio alla propria salute. In tema di responsabilità del datore di lavoro per mobbing o per straining, infatti, il lavoratore non è certo tenuto a dimostrare materialmente la colpa del titolare, ma è comunque soggetto all'onere di allegare e dimostrare l'esistenza del fatto materiale e delle regole di condotta che assume essere state violate, della nocività dell'ambiente di lavoro nonché il nesso eziologico tra la condotta del datore ed il pregiudizio all'integrità psicofisica che lamenta di aver sofferto (Cass. n. 13693/2015). Analogo ragionamento vale anche per le condotte demansionanti, di cui pure il ricorrente assume di essere stato vittima: "Quando il lavoratore alleghi un demansionamento riconducibile ad inesatto adempimento dell'obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell'art. 2103 c.c., è su quest'ultimo che incombe l'onere di provare l'esatto adempimento del suo obbligo: o attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento, ovvero attraverso la prova che fosse giustificato dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari oppure, in base all'art. 1218 c.c., a causa di un'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile" (Cass. n. 17365/2018). Tenuto conto di quanto esposto, nel caso di specie gli esiti della istruttoria portano a ritenere non sussistente una responsabilità datoriale, risultando invece che il datore di lavoro - a fronte della situazione di difficoltà in cui si è trovato ad operare il ricorrente - abbia agito per tutelarne sia l'integrità psicofisica sia la professionalità, abbia cercato di attenuare le frizioni tra il ricorrente ed i colleghi ed abbia ricercato un diverso ambito di realizzazione professionale del proprio dipendente. Con riferimento alla asserito verificarsi nel reparto di pediatria di una situazione di ostracismo nei confronti del ricorrente, nato in concomitanza con l'elaborazione e la realizzazione del progetto "quasi a casa" e accresciutosi in seguito a varie denunce di disfunzioni organizzative e gestionali nell'ambito del reparto, le risultanze della istruttoria non hanno affatto confermato la tesi attorea, ma hanno viceversa delineato un ambiente in cui i vari operatori - pur rendendosi conto di una situazione di difficoltà personale del lavoratore - non ne hanno revocato in dubbio la professionalità, l'attitudine organizzativa e le capacità. In tal senso depongono innanzi tutto le dichiarazioni dei testi attorei, i quali - pur dando atto di aver riscontrato taluni problemi - hanno puntualizzato che essi non erano relativi "alla posizione del ricorrente" e che alcuno si era mai permesso di individuare la sua persona o il suo ruolo come problematico (cfr. dichiarazioni del teste (...) di cui al verbale di udienza del 5.4.2019), hanno confermato di non aver mai notato "in reparto alcuna ostilità nei confronti del ricorrente, non mi è parso che venisse escluso dal personale medico e che non fosse gradito, anzi" e, anche con riferimento al medico referente del progetto "qui a casa" hanno sottolineato che i rapporti con "la dott.ssa (...) erano normali rapporti di lavoro, non ho mai assistito a dispetti, non ho mai visto che si nascondevano le cose" (cfr. dichiarazioni del teste (...) di cui al verbale di udienza del 30.9.2020). Circa la percezione della figura del ricorrente nell'ambito del reparto di pediatria non giovano alla tesi attorea dell'avvenuta emarginazione, isolamento o quantomeno del diffondersi di un sentimento di disistima e di disprezzo neppure le dichiarazioni della teste (...), la quale - sebbene sia apparsa animata da un forte spirito di critica e di rivalsa nei confronti di taluni infermieri e responsabili amministrativi addetti al reparto o con esso operanti - non ha enucleato nelle proprie dichiarazioni alcun elemento di fatto idoneo a far emergere episodi di vessazione, di esclusione, di ghettizzazione, di sfiducia o di discredito del ricorrente. In particolare, sebbene la teste abbia confermato che nell'ambito del reparto pediatria si verificarono alcuni episodi di disorganizzazione a scapito dei pazienti, la stessa ha precisato che tali episodi riguardano da un canto l'avvenuta consegna di un farmaco ad una paziente e la richiesta di chiarimenti da parte dell'infermiera (...) e i dottori (...) e (...) circa la necessità di informare il coordinatore di tale consegna, dall'altro la mancata predisposizione della cartella di un paziente del day hospital e non ha enucleato però alcun episodio di discredito o di tentativo di isolamento del ricorrente (cfr. dichiarazioni di (...) di cui al verbale di udienza del 6.11.2019). Anche la tesi della imposizione delle ferie o del recupero delle ore eccedenti non trova invero riscontro negli esiti della istruttoria. Se da un lato il verbale dell'incontro del 9.10.2017, nel quale è attestato che parte attore assentì alla richiesta datoriale di fruire di ulteriori 15 giorni di ferie rispetto ai due già programmati, non costituisce piena prova poiché priva della sottoscrizione dei partecipanti alla riunione (cfr. doc. 3 fasc. conv.), in tal senso depongono le dichiarazioni dei testi (...) e (...), le quali illustrano le ragioni di tale richiesta evidenziando che, in accoglimento della richiesta di trasferimento ad altro reparto, l'ente datoriale avrebbe ricercato un altro incarico di coordinamento da attribuire al lavoratore (cfr. verbali di udienza del 5.4.2019 e del 6.11.2019). Ancora, risulta smentita anche la tesi secondo la quale lo svilimento della professionalità perpetrato dall'Azienda convenuta diverrebbe manifesto in considerazione delle mansioni attribuite a parte attorea presso la nuova unità organizzativa di assegnazione e della particolare collocazione del suo nuovo ufficio in seguito al trasferimento presso l'unità organizzativa della formazione. Dalle dichiarazioni della teste (...) è emerso che le strutture della formazione sono state "progettate" dopo la costruzione dell'ospedale e che i relativi spazi sono stati ricavati in modo da essere visibili, in prossimità del c.u.p., e sono situati nella parte interna del padiglione, cosicché anche la stessa teste aveva a sua disposizione solo un ufficio privo di finestre e di illuminazione naturale (cfr. verbale di udienza del 30.9.2020; nel senso prospettato depongono anche le circostanze riferite dal teste (...) di cui al medesimo verbale di udienza). Circa l'avvenuto demansionamento in seguito all'assegnazione presso l'unità operativa della formazione, invece, la medesima teste (...) ha illustrato le modalità attraverso le quali ha inteso utilizzare e sviluppare le competenze organizzative e tecniche già possedute dal ricorrente al momento dell'assegnazione al nuovo incarico e come si sia prodigata anche per garantirgli l'accrescimento professionale, mediante l'attribuzione del ruolo di tutor nell'ambito del corso di laurea in scienze infermieristiche e con l'assegnazione di compiti e mansioni di organizzazione e di controllo confacenti rispetto al livello D di inquadramento (in relazione al quale invero parte attorea non ha mai specificato le ragioni per cui le mansioni attribuite nell'ambito dell'unità operativa della formazione sarebbero inferiori rispetto a quelle in precedenza svolte presso la pediatria). Inoltre non si ravvisa alcun illegittimo esercizio del potere datoriale nella scelta della capo area (...) di procedere ad un confronto dialettico tra il ricorrente, nella sua veste di coordinatore del personale infermieristico, e due infermiere ((...) e (...)) in merito alla valutazione compiuta dal primo. Come emerso in sede istruttoria tale contraddittorio fu proposto dal capo area (...) in considerazione delle difficoltà relazionali che riguardavano parte del personale infermieristico e fu svolto senza esercizio di alcun tipo di pressione e senza imposizione di sorta sugli esiti della valutazione. Il teste (...) a tal proposito ha evidenziato che: "il momento della valutazione del personale infermieristico è un momento importante, perché in quel momento si restituisce il riscontro di un anno di lavoro; nel 2017 le infermiere (...) e (...) si lamentarono con me, la (...) perché la valutazione era stata data in tre minuti in modo molto spiccia e non chiara e senza capire cosa fosse stato detto; la (...) si lamentò del voto ottenuto e si lamentò del fatto che la valutazione gli era stata data solo l'ultimo giorno prima delle ferie ed era più bassa degli anni precedenti. Ricevute le segnalazioni delle infermiere, io ho convocato il ricorrente per chiarire gli aspetti delle valutazioni e, d'accordo con lui, abbiamo scelto di convocare anche le due infermiere e lui addirittura ne chiamò una per telefono. Insomma comparvero tutti e tre insieme davanti a me e lì condividemmo gli aspetti della valutazione, che spetta sempre e comunque al coordinatore e non a me. In quell'occasione, per aiutare le parti coinvolte a contestualizzare la valutazione e per essere neutrale, io aprii le valutazioni e le rilessi con il ricorrente e una infermiera per volta e, in relazione ai 4 item di valutazione contestati per ciascuna infermiere, ci fu un confronto tra le infermiere e il ricorrente, ma lui non in quell'occasione non disse molto, mentre le infermiere sottolineavano la loro condotta per conseguire un punteggio più alto; nel confronto dialettico con tutte le parti, decidemmo d'accordo con M. di alzare la valutazione di due item per le infermiere e di mantenere invariati gli altri due item, su un totale di 12 item; all'esito della riunione, per rendere più agevole il flusso di comunicazione, io inviai al ricorrente il file con la nuova valutazione e nel ricevere la mail, lui non manifestò alcuna contrarietà rispetto alle nuove valutazioni fatte in mia presenza. Preciso che in questa occasione io cercai di essere neutrale, appunto perché la valutazione non è di mia competenza e cercai solo di instaurare un confronto collaborativo tra il coordinatore e le infermiere valutate" (cfr. verbale di udienza del 6.11.2019). In definitiva, all'esito della istruttoria documentale e testimoniale, le tesi attoree non risultano affatto provate e i fatti enucleati in ricorso come sintomatici del mobbing o quantomeno dello straining non sono affatto emersi, considerato che tutti i testi hanno invero confermato che nel reparto di pediatria ove il ricorrente operava come coordinatore era diffuso e condiviso nei suoi confronti un sentimento di stima e di rispetto. La circostanza che il ricorrente abbia avuto uno screzio con l'infermiera (...) (confermata da tutti i testi e descritta più nel dettaglio dal teste attoreo (...), che ha dato atto di aver assistito ad un episodio in cui, pur non comprendendone le ragioni, vide "l'infermiera (...) che urlava" in un confronto con il ricorrente) e che in seguito ad esso abbia avvertito un generale mancato adeguato riconoscimento del suo lavoro, dell'impegno profusovi, della disponibilità sempre offerta non ha appunto trovato riscontro, tanto che gli stessi testi attorei hanno confermato che "Dopo l'episodio con l'infermiera (...) mi accorsi che il ricorrente stava male; lui in genere era molto presente e molto collaborante e in quel periodo invece era molto distrutto. Dopo il medesimo episodio si capiva in reparto che il ricorrente non poteva stare più al suo posto di lavoro, in reparto noi o.s.s. e gli infermieri lo avevamo percepito, ma nessuno diceva nulla e continuavamo a lavorare tranquilli. (...) svolgeva sempre la sua attività e non mancava mai, ma dopo l'episodio con la (...) in reparto tra il personale infermieristico, noi o.s.s. e il personale medico i rapporti continuarono normalmente con le stesse modalità con cui continuavano a lavorare in precedenza" (cfr. dichiarazioni di (...) di cui al verbale di udienza del 30.9.2020). Anche la dedotta ritorsione subita per effetto delle segnalazioni delle disfunzioni gestionali e organizzative verificatesi in reparto è rimasta priva di oggettiva prova, essendo invece emerso che in seguito ad esse parte attorea venne coinvolta nel procedimento per la rettifica di tali disfunzioni e vi si sottrasse: "Anche le denunce che lui presentò e che portarono ad ispezioni dei Nas e della Ats non portarono rilievi rispetto agli episodi denunciati. ... In relazione agli episodi organizzativi che avevano creato problemi, ricordo l'episodio di un agenda che aveva creato questioni su aspetti concernenti l' esecuzione di un non giusto programma, in quell'occasione io chiesi al ricorrente di fare un approfondimento per verificare se c'erano problemi tecnici ma alla fine ho dovuto organizzare io un incontro con la direzione medica per capire se questo tipo di agenda poteva essere gestita diversamente e i problemi sono stati risolti con l'introduzione di una nuova agenda tanto che non ne sono stati più segnalati" (cfr. dichiarazioni di (...) di cui al verbale di udienza del 5.4.2019). Alla luce di tutto quanto esposto, dunque, è evidente come non sia ravvisabile alcuno dei requisiti al quale la giurisprudenza di legittimità riconduce l'accertamento dello straining, posto che non sono stati minimamente dimostrati dal lavoratore (su cui incombe il relativo onere) né la valenza quale fonte di stress dei comportamenti posti in essere dal datore di lavoro, né che tali condotte siano state scientemente attuate nei suoi confronti. Il ricorso deve pertanto essere integralmente rigettato. Tenuto conto della particolarità della questione affrontata, le spese del giudizio vengono integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - Rigetta il ricorso; - Compensa integralmente tra le parti le spese di lite; - Fissa in sessanta giorni il termine per il deposito delle motivazioni. Così deciso in Bergamo il 29 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 05/04/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SCARCELLA ALESSIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BALDI FULVIO che, riportandosi alle conclusioni gia' depositate, ha chiesto che venga annullato con rinvio alla Corte di Appello di Firenze il provvedimento impugnato; uditi i difensori: a) Avv. (OMISSIS) in difesa della parte civile (OMISSIS), che si e' riportato alle conclusioni scritte, che deposita unitamente alla nota spese e al decreto di ammissione al gratuito patrocinio; b) Avv. (OMISSIS) in difesa della parte civile Comune di (OMISSIS), che si e' riportata alle conclusioni scritte che deposita unitamente alla nota spese; c) Avv. (OMISSIS), per l'Avvocatura Generale dello Stato in difesa della parte civile Ministero della Difesa - Comando Generale dell'Arma dei CARABINIERI, che si e' riportato alle conclusioni scritte, che deposita unitamente alla nota spese; d) Avv. (OMISSIS), nell'interesse del ricorrente, al termine del proprio intervento, ha insistito nell'accoglimento del ricorso; e) Avv. (OMISSIS), sempre nell'interesse del ricorrente, al termine del proprio intervento, ha insistito nell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza 5 aprile 2022 la Corte d'appello di Firenze, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Firenze in data 21 febbraio 2020, con cui l'imputato (OMISSIS) era stato condannato alla pena principale di anni cinque e mesi sei di reclusione, ha ridotto la pena finale ad anni quattro di reclusione, riconoscendo le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate, confermando le statuizioni civili, e revocato la pena dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici a suo carico sostituendola con l'interdizione temporanea per la durata di anni 5, con liquidazione del risarcimento in favore delle p.o. costituite. Il fatto per cui si e' proceduto e' per il quale e' intervenuta condanna e' relativo al seguente reato: del delitto p. e p. dall'articolo 609 bis c.p., comma 1 e comma 2, n. 1, articolo 61 c.p., n. 9, perche', approfittando delle condizioni psicofisiche di (OMISSIS), che si trovava in stato di ebbrezza alcolica - pari a 1,59 Hg/L, nella misurazione delle ore 06,51 - con violenza, consistita nel penetrarla in vagina agendo in modo repentino ed inaspettato mentre la baciava all'interno dell'androne e dell'ascensore del palazzo di (OMISSIS), nonostante il suo diniego, violenza che cagionava alla stessa anche lesioni personali come documentate nei referti ospedalieri - dopo averla ospitata illegittimamente a bordo della autovettura di servizio FIAT Bravo con i colori di Istituto tg. (OMISSIS) insieme a (OMISSIS) - costringeva (OMISSIS) a subire atti sessuali consistiti in penetrazione vaginale. Con l'aggravante di aver agito abusando della propria qualita' di Carabiniere scelto dei C.C. in servizi al Nucleo Radiomobile della Compagnia dei C.C. di (OMISSIS) e con violazione dei doveri connessi al suo servizio ed all'ordine di servizio impartitogli dai suoi superiori. Fatto commesso in (OMISSIS). L'imputazione e' stata cosi' modificata all'udienza preliminare del 12.07.2018, successivamente allo svolgimento dell'incidente probatorio. Prima di tale udienza, il PM aveva contestato al (OMISSIS) l'ipotesi di violenza sessuale "induttiva"; nel corso dell'udienza preliminare ha invece modificato il capo di imputazione passando alla violenza sessuale "costrittiva" a seguito delle dichiarazioni rese dalla p.o. per cui, all'epoca dei fatti, avrebbe manifestato il suo dissenso al compimento dell'atto sessuale. 2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il predetto propone ricorso per cassazione tramite i propri difensore di fiducia, deducendo complessivamente nove motivi, di seguito sommariamente indicati. 3. Ricorso Avv. (OMISSIS) ed Avv. (OMISSIS), con cui si articolano cinque motivi. 3.1. Deduce, con il primo motivo di ricorso, il vizio di manifesta illogicita' della motivazione, anche per travisamento della prova, con riferimento alle dichiarazioni testimoniali rese dalla PO in incidente probatorio ed aventi ad oggetto la mancata espressione del dissenso al rapporto sessuale. 3.1.1. In sintesi, premessa una breve ricostruzione dei fatti e richiamando la doglianza sollevata con l'atto di appello, la difesa evidenziava, anche in questa sede, come non sia apprezzabile la ricostruzione fornita dal Tribunale e condivisa dalla Corte d'appello, per cui nella prima fase, corrispondente al bacio, si affermava pacificamente la consensualita' dei fatti escludendo la condizione di inferiorita'-psicofisica che, invece, veniva ritenuta sussistente nella seconda fase della progressione criminosa, caratterizzata dai toccamenti sotto gli abiti e nelle parti intime ed infine, nella terza fase in cui invece, la persona offesa avrebbe manifestato apertamente il suo dissenso. La ricostruzione non sarebbe condivisibile poiche' omette di considerare le dichiarazioni in cui la vittima affermava di non aver mai parlato con l'imputato, tanto che alla domanda della difesa se avesse detto al (OMISSIS) di non voler fare sesso con lui, il giudice ha ritenuto inammissibile la richiesta in virtu' delle precedenti affermazioni per cui la ragazza non si ricordava di averci parlato. Nell'atto di appello era stata evidenziata la contraddittorieta' delle dichiarazioni laddove in un primo momento la (OMISSIS) affermava di essersi sentita indifesa e di non aver avuto la forza di dire o fare qualcosa ed invece, dopo, rispetto alla richiesta del rapporto orale avanzatale dal (OMISSIS), avrebbe affermato di aver detto di no. Tuttavia, le Corti di merito avrebbero scelto di considerare e valorizzare solo quest'ultime, ignorando invece le dichiarazioni con cui la stessa p.o. aveva affermato di non ricordare neppure di aver parlato con l'imputato e di non aver comunque espresso in alcun modo il proprio dissenso incorrendo quindi nel travisamento della prova per omissione. 3.1.2. Le dichiarazioni omesse sarebbero state decisive poiche' il Tribunale motivava la colpevolezza dell'imputato per il reato di violenza sessuale per costrizione proprio sulle affermazioni della p.o. con cui aveva detto di no alla richiesta del rapporto sessuale di tipo orale rilevando, invece, che la lieve disepitelizzazione rilevata in prossimita' della forchetta non potesse essere considerata quale prova della violenza sessuale, ma solo come una forma di riscontro alle dichiarazioni della p.o.. La Corte territoriale, invece, avrebbe confermato la condotta costrittiva sia sulla scorta delle dichiarazioni del dissenso della p.o. sia per la disepitelizzazione incorrendo, anche in questo secondo caso, in una motivazione illogica nonche' nel travisamento probatorio: la prima perche' la disepitalizzazione potrebbe anche non dipendere dalla violenza, il secondo per le conclusioni della CT ginecologica del PM per cui era solamente "ragionevole pensare", compatibilmente con il racconto della vittima, che la causa fosse la violenza. Analogamente, non sarebbe indice di costrizione nemmeno il sanguinamento della cervice poiche', per stessa ammissione della vittima, le capitava spesso anche dopo i rapporti con il proprio fidanzato. Quindi se la disepitelizzazione in prossimita' della forchetta e' compatibile con un rapporto non consensuale ma anche con un rapporto consensuale allora non sarebbe potuta considerare come traccia o come riscontro di alcunche', se non del rapporto sessuale consensuale fin dall'inizio descritto dall'imputato. 3.2. Con il secondo motivo di ricorso, deduce il vizio di manifesta illogicita' dell'impianto motivazionale, anche per violazione del divieto di doppia presunzione, laddove si sono considerate riscontrate tanto le dichiarazioni con cui la p.o. aveva affermato di aver espresso un dissenso alla richiesta di un rapporto sessuale di tipo orale e, piu' in generale, la costrizione di inferiorita' psichica della stessa p.o., anche tramite un procedimento inferenziale basato su congetture invece che su fatti ontologicamente certi che e' stato oggetto di impugnazione e sul quale vi e' stata carenza assoluta di motivazione. 3.2.1. Nelle sentenze del Tribunale e della Corte d'appello di Firenze si legge che la lieve disepitelizzazione rilevata rappresenterebbe rispettivamente il riscontro delle dichiarazioni della p.o. e la traccia di una costrizione al rapporto sessuale. Nell'atto di appello era stato gia' lamentato che i giudici, sebbene non sia stato riportato in sentenza, fossero pervenuti alle proprie conclusioni sulla base di un ragionamento logico induttivo che viola i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita' (Cass., Sez. 5 n. 28559 del 14/09/2020; Sez. 1, n. 4434 del 6/11/2013 dep. 2014, Rv. 259138.). Invero, muovendo dalla disepitelizzazione, per inferenza probabilistica, avrebbero indotto una mancanza di lubrificazione dell'organo genitale della stessa p.o. al momento del rapporto sessuale, un dato che in realta' sarebbe frutto solamente di una mera congettura dei giudicanti poiche' si potrebbe trattare di lesioni da attrito - peraltro come definite dalle CC.TT. ginecologiche e medico legali del PM - causate anche dai toccamenti delle parti intime con le mani avvenuti nella fase preliminare del rapporto. Dalla mancata lubrificazione, con un ulteriore ragionamento inferenziale, giungono poi ad affermare che la p.o. non fosse consenziente poiche' non lubrificata. In realta', la mancata lubrificazione, sebbene non sia un dato certo e per questo rende l'iter motivazionale manifestamente illogico e illegittimo per violazione della disposizione di cui all'articolo 192 c.p.p., potrebbe essere stata determinata da molte ragioni diverse dalla mancanza di desiderio o di consenso (umore, stanchezza, periodo del mese, produzione ormonale, l'assunzione di alcool etc..). L'unico fatto riscontrabile dalla disepitelizzazione sarebbe il rapporto sessuale consensuale avvenuto tra la (OMISSIS) e il (OMISSIS) e determinante, anche in questo caso, e' il travisamento probatorio delle dichiarazioni della p.o. lamentato con il motivo precedente. 3.2.2. La difesa prosegue nel segnalare un'altra violazione del divieto di doppia presunzione relativamente alla ricostruzione dello stato di ebbrezza e quindi della condizione di inferiorita' psicofisica della vittima alla quale si perviene ricostruendo a ritroso l'alcolemia della p.o. al momento dei fatti, partendo dall'alcolemia rilevata alle 7.00 del mattino ed applicando la curva di Widmark, per cui ogni essere umano elimina circa 0,2 grammi di alcool per litro di sangue ogni ora. Il dato ottenuto viene considerato come indizio certo. In realta', si sarebbe dovuto tener conto in primo luogo dell'influenza che le caratteristiche soggettive hanno sulla fase di assorbimento ed in secondo luogo della circostanza per cui tra la fase di assorbimento e la fase di eliminazione vi e' un'ulteriore fase, di durata variabile, di c.d. "distribuzione" in cui la concentrazione di alcool nel sangue resta ferma. La curva di Widmarck non sarebbe stata applicabile al caso di specie perche' non era possibile affermare con certezza che al momento del rapporto sessuale la p.o. fosse gia' in fase di eliminazione dell'alcool dall'organismo, certezza che si avrebbe avuta - come precisato dal CT farmacologo della difesa - solo se all'ora dei fatti, fossero trascorse almeno due ore dall'assunzione di alcool. Anche la C.T. tossicologica del P.M. avrebbe escluso l'applicabilita' della curva perche' rappresenta un valore teorico e contestualmente avrebbe riconosciuto validita' alla ricerca di Alan Wayne Jones che ha provato come l'arco temporale necessario per raggiungere il picco ematico, e cioe' il massimo livello di concentrazione di alcool nel sangue in quattro soggetti su nove utilizzati aveva impiegato almeno due ore; ha dimostrato altresi' come il tempo di assorbimento dell'alcool era inversamente proporzionale al quantitativo di alcool somministrato: a maggiore quantitativo di etanolo ingerito corrispondeva un tempo minore per il raggiungimento del picco. Ad ogni modo il problema si concentrerebbe sull'ora in cui sono stati fatti i due prelievi la cui determinazione temporale e' incerta nella sentenza di primo grado - tanto che si ipotizza che si possa trattare di un solo prelievo effettuato -, mentre nella sentenza di secondo grado si afferma che sono stati due i prelievi fatti e da qui il travisamento probatorio in cui incorre il Giudice perche', sebbene fatti in un due momenti diversi, conducono allo stesso risultato. La vittima, quindi, non era in fase di eliminazione dell'alcol gia' la mattina, quindi tantomeno poteva esserlo al momento di fatti. La curva di Widmarck quindi non sarebbe stata applicabile e conseguentemente la Corte violerebbe di nuovo il divieto di doppia presunzione perche' riconduce la condizione di inferiorita' psicofisica della persona offesa, partendo da un primo dato puramente incerto consistente nell'alcolemia delle prime ore del giorno. Al contrario, i giudici di merito avrebbero dovuto rilevare come, al momento dei fatti, la persona offesa non fosse in uno stato di significativa alterazione da alcool proprio dalla scansione temporale fornita dal tribunale perche', se il bacio era lecito perche' la (OMISSIS) e' stata ritenuta in condizioni di esprimere un valido consenso, non si comprende come immediatamente dopo perda questa lucidita', tanto che la Corte d'appello contraddice la sentenza di primo grado dicendo che il Tribunale si sarebbe pronunciato astraendosi dalla realta' fattuale. Una realta' fattuale che potrebbe solo suggerire, essendo il bacio perfettamente lecito, la consensualita' del rapporto sessuale che ne segui' senza soluzione di continuita'. 3.2.3. Continua ancora la difesa affermando che non puo' essere considerato indice dell'alterazione della p.o. la stanchezza lamentata perche' anche le sere precedenti era uscita, bevuto alcolici e fatto tardi e cio' nonostante la mattina si era comunque alzata presto per frequentare le lezioni. Deporrebbe ancora a favore della ricostruzione fornita dall'imputato il fatto che, non appena rientrata a casa dopo l'ipotetica violenza subita, la (OMISSIS) si sarebbe distesa sul divano prima di chiamare personalmente il 113 o ancora il fatto per cui la persona offesa riesce a salire al secondo piano dopo l'arrivo dei poliziotti insieme alle coinquiline. Verserebbe ancora in un travisamento probatorio la sentenza impugnata laddove trascura di considerare le testimonianze di alcuni medici del pronto soccorso che hanno riferito di non ricordare alcun comportamento della vittima quale indice dello stato di ebrezza e di aver diagnosticato l'etilismo acuto unicamente in base ai risultati dell'esame tossicologico e non deporrebbe nemmeno a favore dello stato di ebrezza il video della ragazza in discoteca perche' non e' stato visionato da nessuno dei consulenti tecnici dell'accusa ma solo dal consulente tecnico della difesa, il quale ha escluso che la (OMISSIS) fosse in uno stato di ebbrezza tale da veder compromesse le proprie facolta' di giudizio. Alla luce di tutte queste divergenti risultanze, appare manifestamente illogico oltreche' illegittimo il fatto che il Tribunale prima e la Corte d'appello poi, sostituendosi al consulente tecnico, siano giunti ad affermare l'ubriachezza della vittima al momento del rapporto sessuale e con quella la condizione di inferiorita' psicofisica della stessa. 3.3. Con il terzo motivo, si deduce il vizio di violazione delle norme processuali stabilite a pena di nullita' di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), con riferimento all'articolo 521 c.p.p. e articolo 6 CEDU. Il ricorrente lamenta che la Corte d'Appello di Firenze ha ritenuto legittima la condanna dell'imputato per il reato di violenza sessuale per induzione di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1, sebbene l'imputazione descrivesse unicamente un fatto di violenza sessuale per costrizione di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 1 a seguito della modifica operata da parte del Pubblico Ministero. Infatti, la rimozione nell'imputazione del verbo "induceva" e la presenza del solo riferimento all'approfittamento dello stato di ebbrezza, lasciano intendere che all'imputato sia stato contestato unicamente il fatto di violenza sessuale per costrizione aggravato dalla c.d. minorata difesa di cui all'articolo 61 c.p., n. 5. In tal senso, del tutto irrilevante risulta il fatto che nell'imputazione sia rimasto il riferimento all'articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1. A dire della difesa, infatti, qualora il Pubblico Ministero avesse voluto contestare all'imputato entrambe le fattispecie di reato, avrebbe dovuto utilizzare entrambi i verbi "induceva" e "costringeva" in modo da garantire un'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto. Ne consegue che, a differenza di quanto sostenuto dalla Corte Territoriale, l'imputato, a seguito della modifica dell'imputazione, non e' stato messo nella condizione di difendersi anche in relazione alla fattispecie induttiva. Infatti, il ricorrente evidenzia come sia possibile apprezzare sostanziali differenze tra le due fattispecie di reato, tali da condizionare l'azione difensiva stessa. Nel caso di violenza sessuale per costrizione aggravata ex articolo 61 c.p., n. 5, l'imputato ha l'onere di difendersi dall'accusa di aver costretto la vittima a subire un rapporto non consensuale, approfittando dell'ubriachezza di lei. Al contrario, nel diverso caso di violenza sessuale per induzione l'imputato e' accusato di aver indotto la persona offesa a compiere un atto sessuale consensuale, sebbene connotato da un consenso invalido in quanto indotto abusivamente. Da cio' discende che l'imputato e' chiamato a difendersi su profili diversi a seconda della fattispecie contestata. Orbene, nel caso di specie, si sottolinea come l'incidente probatorio e il dibattimento si siano celebrati in relazione ad imputazioni aventi ad oggetto reati diversi. Al momento dell'incidente probatorio all'imputato era addebitato unicamente il reato di violenza sessuale per induzione; successivamente, in fase dibattimentale, a seguito della modifica dell'imputazione, il reato ascritto all'imputato era quello di violenza sessuale per costrizione. Inoltre, la difesa ritiene di non condividere quanto affermato dalla Corte d'Appello di Firenze, la quale ha evidenziato come l'incidente probatorio e il dibattimento avrebbero parcellizzato tutte le fasi della condotta e che tutte le domande possibili fossero state poste proprio in sede di incidente probatorio. Alla luce di tali osservazioni, secondo il ricorrente sarebbe stato violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza. 3.4. Con il quarto motivo, si deduce vizio di mancata assunzione di prova decisiva e violazione delle norme processuali di cui agli articoli 190, 190-bis, 495 c.p.p. e articolo 6, par. 3 CEDU, in quanto la Corte d'Appello di Firenze ha ritenuto legittima l'ordinanza del Tribunale di Firenze emessa in data 2.10.2019 con cui era stata rigettata la richiesta di nuova audizione della persona offesa e della teste (OMISSIS), avanzata in considerazione dell'intervenuta modifica dell'imputazione rispetto all'incidente probatorio. A dire del ricorrente, tale diniego avrebbe determinato una lesione del diritto di difesa. Infatti, con la modifica dell'imputazione non e' intervenuta soltanto una riqualificazione giuridica del reato, bensi' e' stato contestato un fatto di reato i cui elementi costitutivi risultano diversi rispetto alla fattispecie induttiva. In tal senso, infatti, rileva che nel caso di specie opererebbe l'articolo 190-bis c.p.p. il quale consente l'esame dibattimentale della persona offesa in condizioni di particolare vulnerabilita' che abbia gia' reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio nel caso in cui riguardi fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze. In tal senso, a differenza di quanto sostenuto dai giudici di merito, l'esame avrebbe avuto ad oggetto elementi nuovi e diversi in ragione della diversita' degli elementi costitutivi della violenza sessuale per costrizione, contestata all'imputato successivamente alla celebrazione dell'incidente probatorio. Inoltre, il ricorrente evidenzia che non e' compito del giudice verificare se i richiamati elementi fattuali siano stati presi in considerazione nel corso dell'incidente probatorio e, in particolare, se essi abbiano costituito oggetto di specifiche domande da parte dell'imputato. Sul punto, richiamando anche la giurisprudenza sovranazionale, il ricorrente rileva che l'esercizio del diritto di difesa deve essere garantito concretamente ed effettivamente tramite un contraddittorio ed un diritto alla prova assicurati su ogni singolo aspetto dell'imputazione. In tal senso, i giudici di merito avrebbero dovuto limitarsi a ritenere verosimile che, a fronte della nuova contestazione, la difesa volesse chiarire elementi non ancora trattati e approfondire con ulteriori domande quelli gia' trattati. 3.5. Con il quinto e ultimo motivo, si deduce nuovamente il vizio di motivazione della pronuncia impugnata, anche per travisamento della prova, laddove la Corte d'appello ha ritenuto corretta la ricostruzione cronologica operata dal Tribunale malgrado l'insanabile contrasto con i dati temporali obiettivi a disposizione. 3.5.1. In sintesi, la difesa, richiamata la ricostruzione fornita dalla Corte d'appello sulla base dei quattro dati temporali noti (arrivo dell'auto dei Carabinieri in (OMISSIS) alle ore 3:15; registrazione del numero di telefono del (OMISSIS) sul cellulare della (OMISSIS) alle ore 3:21':27", realizzazione del brevissimo video ritraente il Carabiniere (OMISSIS) da parte della (OMISSIS) alle ore 3:23':55", ripresa della vettura dei Carabinieri inquadrata dalle telecamere comunali in Via (OMISSIS) a circa 200 mt da (OMISSIS) alle ore 3:31':46"), la stessa viene contestata poiche' il rapporto sessuale lascerebbe allo svolgimento del rapporto sessuale soli due minuti dovendo considerare che in quei sette minuti (tra le 3:24 e la 3:31) la (OMISSIS) sarebbe entrata in ascensore, vi sarebbe stata la violenza, con tanto di toccamenti preliminari, poi l'ascensore sarebbe risalito e i due carabinieri avrebbero sceso le scale per portarsi nuovamente al pian terreno per uscire e prendere la vettura ed essere ripresi alle 3:31 dalle telecamere comunali. Una simile ricostruzione sarebbe manifestamente illogica, anche per travisamento della prova, laddove sostiene che il rapporto tra l'imputato e la p.o. sarebbe durato 5 minuti (dalle 3:25 alle 3:30). L'unica ricostruzione possibile, alla luce delle risultanze probatorie, sarebbe stata pertanto quella offerta dal prevenuto ma disattesa dalle Corti di merito, per cui il rapporto sarebbe avvenuto prima delle 3:24 e quindi prima della realizzazione del video. Tesi che troverebbe riscontro, oltre che nella sua intrinseca tenuta logica alla luce dei dati temporali considerati, anche nell'annotazione di servizio, acquisita in atti, in cui e' emerso come il telefono della signora (OMISSIS) abbia agganciato la rete WI-FI del suo appartamento alle ore 3:18 - travisata anch'essa dai giudici di prime e seconde cure - che dimostrerebbe come la p.o. fosse, gia' a quell'ora, sul pianerottolo del secondo piano dello stabile o, al piu', al primo. 3.5.2. Infine, la difesa sottolinea la divergenza emersa nelle sentenze rispetto alle dichiarazioni rese dalla vittima sentita a SIT in cui affermava "di essere sicura di essere salita per le scale" per poi ritrattare in sede di incidente probatorio poiche', seppur confusa, le sembrava di aver preso l'ascensore. A fronte della contestazione sul punto della difesa, il GIP riteneva di non ammettere l'opposizione tenuto conto del fatto per cui la teste si sarebbe espressa in termini dubitativi sia in seno all'incidente probatorio che in sede di SIT. Ad ogni modo, queste affermazioni venivano comunque a conoscenza dei giudicanti i quali estrapolavano le effettive parole utilizzate fino a depurarle di quella profonda incertezza che le aveva caratterizzate, tanto che la Corte d'Appello avrebbe utilizzato il passaggio dell'incidente probatorio per rilevare un contrasto tra la versione dell'imputato e quella resa dalla persona offesa. Un contrasto effettivamente esistente ma che avrebbe dovuto essere risolto, secondo la difesa, a favore dell'imputato. In ultimo, la salita per le scale da parte della p.o. unitamente all'aver agganciato il suo telefono alla rete Wi-Fi della propria abitazione, dimostrerebbe che la (OMISSIS) e il Carabiniere (OMISSIS) siano saliti insieme, conferendo coerenza logica ai fatti. Diversamente, ove si ritenesse che il breve video precedesse il rapporto sessuale non si capirebbe cosa avrebbero fatto i quattro nei minuti compresi tra le 3:18 e le 3:24. 4. Ricorso Avv. (OMISSIS), con cui si deducono quattro motivi. 4.1. Con il primo motivo, si deduce il vizio di violazione di legge per erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, articolo 533 c.p.p. e articolo 609-bis c.p., commi 1 e 2, e correlato vizio di carenza ed illogicita' della motivazione desumibile dal testo stesso del provvedimento impugnato. In particolare, si rappresenta che gli elementi probatori che lo stesso provvedimento valorizza e che attesterebbero una ipotetica cesura (in particolare, "tra il voluto ed il subito che rappresenta il confine tra il lecito e l'illecito in un approccio sessuale", a pag. 19 sentenza Corte di appello di Firenze) risultassero invece del tutto inidonei a provarla, anche se "non ovviamente nel senso di una loro carenza di forza probante" (ibidem, ricorso per cassazione): in particolare, in una prospettiva di legittimita', la motivazione risulterebbe, al di la' del dato apparente, ed anche in violazione di quanto disposto dall'articolo 546 c.p.p., priva della indicazione di compiuti mezzi di prova idonei a rappresentare la sussistenza della violenza, che, inaspettatamente, subito dopo una comunione di intenti, il soggetto attivo del reato avrebbe posto in essere per pochi fatali momenti. Nello specifico, la Corte di appello di Firenze rappresentava come l'unica fonte di prova allora direttamente rappresentativa dei frangenti in cui (in ipotesi d'accusa) dalle effusioni sessuali la vicenda sarebbe degenerata in una consumata violenza sessuale, discenderebbe dal narrato, reso in interrogatorio in fase di indagine ed attraverso spontanee dichiarazioni nel corso del giudizio, proprio da parte dell'imputato (OMISSIS). Secondo la prospettazione difensiva, invece, le dichiarazioni dell'imputato (OMISSIS) sarebbero le "uniche emergenze probatorie che descrivono compiutamente quanto sarebbe accaduto" e che "rappresentano direttamente l'esistenza di un rapporto sessuale", limitandosi a sottolineare che tra l'imputato e la (OMISSIS) vi fosse stato un approccio, teso alla conoscenza tra i due, quantomeno, "se non cercato dalla donna, determinato da un interesse reciproco" (pag. 3 ricorso per cassazione). Quest'ultimo, cosi' come descritto nel provvedimento impugnato (pag. 5 sentenza Corte di appello Firenze), non avrebbe poi negato il rapporto vaginale, ritenendolo pero' del tutto consensuale e riferendo che egli stesso aveva deciso di interromperlo per ragioni personali connesse alla propria situazione sentimentale, lavorativa e per paura di malattie. Sul punto, la difesa rileva che, all'evidenza, il materiale probatorio a disposizione e' "meramente indiziario": la condotta integrante il fatto di reato non verrebbe direttamente rappresentata da alcun mezzo di prova, essendo presenti nel processo altri elementi di prova che provano circostanze diverse da quelle rappresentate nella imputazione, tecnicamente qualificabili come "indizi". Da tali rilievi, la difesa desume che la sentenza impugnata non si sia confrontata con le principali problematiche di un processo indiziario. Si tratterebbe, in definitiva, di verificare se la sentenza impugnata abbia fatto buon governo della regola sancita dall'articolo 192 c.p.p., comma 2, tenendo presente che "l'unico vero dato indiziario si rinviene nelle lesioni riportate dalla persona offesa refertate in sede di visita ginecologica" (pag. 5 ricorso per cassazione): peraltro, tale dato sarebbe "singolo" (nemmeno concordante con altri) e nemmeno denotato di precisione e gravita' (in quanto le lesioni riscontrate, ad avviso del consulente ginecologo (OMISSIS), reperibili a pag. 5 sentenza Corte di appello Firenze, "si possono riscontrare anche a seguito di masturbazione manuale o di petting e, comunque, se il rapporto fosse stato violento e non lubrificato, le lesioni da penetrazione sarebbero state all'introitus, quindi a livello di fossetta radicolare e sulle pareti vaginali e non superficialmente sulla forchetta" e che possono, in ogni caso, spiegarsi per secchezza vaginale determinata dall'assunzione di alcol e non perche' sintomatiche di penetrazione forzata (come riportato a pag. 15 sentenza Corte di appello Firenze). Peraltro, ulteriore elemento di illogicita' della motivazione sarebbe riscontrabile anche ove si trova affermato che sarebbe sostanzialmente irrilevante analizzare minuziosamente i dettagli relativi al primo periodo in cui si consumava l'approccio della studentessa nei confronti del carabiniere e da cui conseguivano i contatti fisici ritenuti leciti e consensuali dagli stessi Giudici del merito, mentre dovrebbero ritenersi indizi "seri ed inequivocabili" tutte quelle emergenze fattuali relative a quanto accaduto dopo il fatto (la chiamata al 113; il messaggio all'amico (OMISSIS); la telefonata della (OMISSIS) con il padre (OMISSIS); l'intervento della tutor) e cio' anche se la (OMISSIS) non ricordava l'accaduto, avendo invece capito di aver avuto un rapporto sessuale per un fastidio avvertito alle parti intime e, solo dopo, aver appreso della violenza invece subita dalla amica (OMISSIS). In proposito, tuttavia, la difesa rilevava come nessuno degli elementi di prova sopra indicati poteva, astrattamente, provare il fatto oggetto di contestazione, tanto piu' che contestualmente, esattamente in quel momento, presso l'abitazione delle ragazze, il ricorso all'Autorita' di pubblica sicurezza trovava fondamento nella violenza (accertata con sentenza passata in giudicato) subita dalla (OMISSIS). La decisione della Corte di Appello di Firenze risulterebbe allora affetta da violazione di legge per erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, per contrasto con il principio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" a cui presidio e' posto l'articolo 533 c.p.p., per erronea applicazione, al caso di specie, dell'articolo 609-bis c.p. e da carenza ed illogicita' della motivazione. 4.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce il vizio di violazione di legge per l'erronea applicazione al caso di specie dell'articolo 609-bis c.p., commi 1 e 2, e correlato vizio di carenza ed illogicita' della motivazione. Si censura la sentenza su due aspetti, ossia (1) lo stato di incoscienza della vittima per intossicazione alcolemica e (2) la manifestazione da parte della vittima del dissenso e la percezione di questo da parte dell'imputato. Secondo la ricostruzione proposta nella sentenza impugnata e contestata dalla difesa, l'imputato sarebbe responsabile del delitto di violenza sessuale per costrizione, essendosi peraltro approfittato dello stato di ebbrezza alcolica della vittima "apparsa piu' disponibile ed abbordabile in tale veste" (pag. 28 sentenza Corte di appello Firenze), illustrando poi in motivazione come l'assunzione di sostanze alcoliche in qualita' tali "esclude in nuce la possibilita' di un consenso valido" (pag. 29 sentenza Corte di appello Firenze). Sul punto, la difesa dell'imputato poneva attenzione su due elementi: (1) lo stato di incoscienza per intossicazione alcolemica della persona offesa. Quanto a questo profilo, la Corte di appello di Firenze si soffermava offrendo una motivazione illogica, che distorcerebbe le effettive risultanze probatorie e la loro capacita' dimostrativa (nello specifico, adducendo che "la reazione individuale della (OMISSIS) da una serie di elementi esterni meno scientifici e piu' fattuali e scarni che segnalano il suo stato confusionale e convincono della perdita di coscienza e lucidita' sin da quando la stessa rientrava con la (OMISSIS) presso il suo domicilio, accompagnata dai due Carabinieri", a pag. 25 sentenza Corte di appello Firenze). Simile segmento motivazionale sarebbe pero' meramente assertivo e non terrebbe conto di alcuni dati probatori in contrasto (quali: 1. il bacio condiviso, di cui a pag. 27 sentenza Corte di appello Firenze, che sarebbe espressione di un consenso valido; 2. le preoccupazioni della (OMISSIS), riportate a pag. 20 sentenza Corte di appello Firenze, per la (OMISSIS), che pero' risultava "non dover vomitare"; 3. il fatto che non si sarebbe trattato di una provocazione antecedente l'atto sessuale, ma di atti sessuali che iniziano con reciprocita' e consenso e poi, nell'ipotesi di accusa, proseguono con il volere del solo imputato, richiamandosi peraltro qualche pronuncia di legittimita' sul punto (Sez. 3, n. 3158 del 04/10/2019, dep. 2020, Rv. 278250 - 01; Sez. 3, n. 5768 del 16/01/2014, Rv. 258935 - 01) in ordine all'impossibilita' di ricostruire il momento nel quale la situazione in esame muta e dal consenso si passa al dissenso della (OMISSIS), percepibile dall'imputato, non come rivolto ad una specifica pratica sessuale (come il rapporto orale), ma come generalizzato al proseguimento; (2) la manifestazione da parte della stessa del dissenso e la percezione di questo da parte dell'imputato. L'unico dato probatorio relativo ad un manifesto dissenso - dunque percepibile dall'imputato - e' quello circa la pratica di un rapporto orale, il che "non escluderebbe implicitamente il consenso ad altri tipi di approcci, in un contesto di reciprocita' carnale" (sic, pag. 11 ricorso per cassazione). 4.3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce il vizio di violazione di legge per l'erronea applicazione al caso di specie dell'articolo 609-bis c.p. e quello di carenza della motivazione quanto alla prova dell'elemento psicologico e violazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio ex articolo 533 c.p.p.. In sostanza, si ribadisce la mancanza della prova del dissenso, trattandosi di rapporto sessuale avvenuto con reciprocita'. Partendo dall'assunto difensivo per cui vi era stato consenso da parte della (OMISSIS) al compimento di atti sessuali a suo carico, nel ricorso per cassazione si conclude che questi avvenissero con reciprocita', risultando del tutto evidente la plausibilita' di un dubbio sulla conoscenza del dissenso da parte dell'imputato alla prosecuzione naturale degli atti sessuali (in accordo a Sez. 3, n. 52835 del 19/06/2018), posto un dissenso esplicitato solo con riferimento ad un rapporto di tipo orale, che la (OMISSIS) avrebbe rifiutato e, infatti, non sarebbe avvenuto. Premessa ulteriore giurisprudenza di legittimita' in ordine all'errore sull'espressione di dissenso (in particolare, Sez. 3, n. 49597 del 09/03/2016), si sottolinea come, nel caso di specie, lo sviluppo della condotta, inizialmente lecita, in quanto coperta da consenso della donna, che avrebbe ricambiato il contatto sessuale, prima sul pianerottolo e poi in ascensore, ed in ragione del dissenso esplicito manifestato solo con riguardo alla richiesta di praticare un rapporto orale, avrebbe imposto di riconoscere sussistente un ragionevole dubbio, in capo all'imputato, sulla conoscenza del dissenso della donna. In questa prospettiva, la sentenza di appello risulterebbe carente nell'esaminare la ricorrenza dell'elemento psicologico in capo all'imputato. 4.4. Infine, con il quarto motivo del ricorso, si deduce il vizio di violazione di legge per l'omessa applicazione al caso di specie dell'articolo 56 c.p., comma 3, ed il correlato vizio di illogicita' della motivazione. In sostanza, i giudici avrebbero errato in fase di dosimetria della pena, quantomeno nel non applicare la diminuzione di pena per la desistenza volontaria manifestata dall'imputato. In particolare, la difesa del ricorrente dedurrebbe la diretta applicabilita' della fattispecie di cui all'articolo 56 c.p., comma 3, partendo dal dato assunto come pacifico che "il rapporto tra l'imputato e la (OMISSIS) iniziava consensualmente, con baci ricambiati" e che "il contatto fra i due proseguiva ed ad un certo punto vi era la richiesta del primo di ricevere un rapporto orale", cui la (OMISSIS) "manifestava il proprio dissenso" e lo stesso non avveniva (pag. 14 ricorso per Cassazione). Da questo specifico momento, come descriverebbe anche la sentenza della Corte di appello di Firenze, il ricordo della (OMISSIS) cessa; l'imputato poi, dalle risultanze agli atti di appello, avrebbe iniziato l'intercorso sessuale e, ricevuta la "pure flebile opposizione della vittima", "resosi evidentemente conto di aver forzato la volonta' della straniera", avrebbe interrotto il rapporto. Peraltro, i Giudici della Corte di appello di Firenze scrivevano anche che l'imputato "avrebbe desistito dal continuare la penetrazione" e, nel momento in cui l'imputato aveva percepito il flebile diniego, avrebbe interrotto il rapporto sessuale. La condotta, secondo la prospettiva difensiva, sarebbe lecita, perche' inizialmente coperta dal consenso della (OMISSIS), che avrebbe manifestato il proprio dissenso solo come condizionato al rapporto orale; quando diviene illecita, perche' il consenso e' frattanto mutato in dissenso, si sarebbe allora in presenza di desistenza volontaria. Peraltro, la motivazione della sentenza resa dalla Corte di appello di Firenze sarebbe illogica anche perche', pur accedendo ad una ricostruzione fattuale sfavorevole all'imputato, avrebbe omesso di trarre le dovute conseguenze in punto di operativita' dell'articolo 56 c.p., comma 3, (richiamando anche qualche pronuncia di legittimita' in materia, come Sez. 2, sentenza n. 18385 del 05/04/2013; Sez. 1, sentenza n. 11865 del 26/02/2009). 5. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato in data 24.01.2023 la propria requisitoria scritta con cui ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. In sintesi, quanto al primo motivo (ricorso Avv. (OMISSIS) ed Avv. (OMISSIS)), da ritenersi fondato, si sostiene che la sentenza impugnata non si sarebbe sufficientemente confrontata con l'elemento dello stato di debolezza della vittima (che non le avrebbe permesso di dire nulla, quindi nemmeno di manifestare il dissenso, tanto che il silenzio, successivo al no esplicitato, avrebbe potuto essere equivocato come consenso al rapporto). Si continuava poi, condividendo le deduzioni difensive, osservando che non poteva essere attribuita rilevanza sia alla mancata lubrificazione dell'organo genitale, sia al sanguinamento superficiale (in ogni caso abituale per la persona offesa durante i rapporti), posto che la prima puo' dipendere anche da altri fattori oltre che all'assenza dell'eccitazione sessuale, mentre il secondo non risulterebbe essere avvenuto all'interno della vagina sicche' non si puo' mettere in relazione detto sanguinamento con la mancanza di lubrificazione, anch'essa non certa, ne' con il dato, assolutamente dubbio, della mancanza di eccitazione sessuale. Con riferimento al secondo motivo (ricorso Avv. (OMISSIS) ed Avv. (OMISSIS)), la Procura Generale, riportandosi al ragionamento logico espresso nel ricorso, riterrebbe "francamente illogico che la vittima avesse una forte lucidita' al momento del bacio e, pochi istanti dopo, non l'avesse piu' tanto da non poter far altro che restare immobile senza riuscire ad esplicitare il proprio dissenso". Parimenti fondati venivano ritenuti anche il terzo e quarto motivo (ricorso Avv. (OMISSIS) ed Avv. (OMISSIS)) poiche' si ravvisava effettivamente una mancata correlazione tra capo di imputazione e sentenza di condanna laddove la contestazione atteneva all'induzione a compiere atti sessuali, mentre la motivazione di condanna attiene alla costrizione a compiere atti sessuali. Opportunamente il ricorso avrebbe dimostrato che una cosa e' avere indotto la persona offesa a subire atti sessuali; altra e' averla chiaramente costretta, visto che solo nella costrizione risiede senza dubbio la mancanza di consenso (mancante invece nell'induzione). Infine, anche l'ultimo motivo del ricorso dell'Avv. (OMISSIS), sarebbe da accogliere, atteso che la Corte non affronterebbe il tema della desistenza del (OMISSIS) durante il rapporto e ometterebbe altresi' di pronunciarsi sulla richiesta di riduzione della pena ai sensi dell'articolo 56 c.p., comma 3. I restanti motivi di ricorso dell'avvocato (OMISSIS) resterebbero assorbiti in quelli proposti dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS)). 6. In data 23.01.2023 gli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno fatto pervenire richiesta di trattazione orale: in data 13.02.2023, l'Avv. (OMISSIS), difensore della parte civile costituita (OMISSIS), ha fatto pervenire richiesta di trattazione orale. Dette istante sono state accolte con separati provvedimenti del Presidente titolare, il primo del 30.01.2023 ed, il secondo, in data 13.02.2023. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi, trattati in presenza a norma del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, e successive modifiche ed integrazioni, sono infondati. 2. Al fine di consentire una migliore intelligibilita' dell'approdo cui e' pervenuta questa Corte, e' necessaria una ricognizione estesa della vicenda processuale, anche a fronte delle plurime doglianze di vizio motivazionale poste con i ricorsi. 3. Il presente giudizio trae origine dai fatti accaduti nella notte del 7.09.2017 nello stabile sito in (OMISSIS) in Firenze, allorquando la persona offesa veniva riaccompagnata a casa dal locale (OMISSIS), in cui si trovava con un'amica e coinquilina, dall'autovettura dei carabinieri sulla quale prestava servizio l'imputato e il collega (OMISSIS). Le due ragazze, non appena rimaste sole, chiamavano la Questura, dove i funzionari, con non poche difficolta', apprendevano che le loro interlocutrici erano state vittime di violenza sessuale. All'esito delle necessarie indagini svolte, per lo piu' estrinsecatesi nelle visite mediche effettuate sulle ragazze, i rilievi sul luogo dei fatti, i due carabinieri, (OMISSIS) e (OMISSIS) venivano tratti a giudizio. Mentre la posizione del (OMISSIS) veniva decisa all'esito del giudizio abbreviato richiesto, conclusosi con la condanna definitiva ad anni 4 e mesi 4 di reclusione (Cass., n. 44449/2022), al (OMISSIS) veniva contestata prima l'ipotesi di violenza sessuale induttiva ai sensi dell'articolo 609 bis c.p., comma 2, n. 1; poi, all'udienza preliminare del 12.07.2018, dopo l'incidente probatorio in cui era stata sentita la persona offesa, veniva modificata l'imputazione come violenza in forma costrittiva ai sensi dell'articolo 609 bis c.p., commi 1 e 2. Il tribunale di Firenze ha ritenuto provata la penale responsabilita' valorizzando i dati temporali a sua disposizione (l'ora di arrivo e partenza dell'auto di servizio C.C. presso la casa delle ragazze, l'ora di memorizzazione del numero telefonico del (OMISSIS) da parte della (OMISSIS) e l'ora del video "involontario") per ricostruire la vicenda. Partendo da questi, infatti, ha messo a confronto le dichiarazioni dei protagonisti della vicenda ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) e le risultanze emerse dagli accertamenti medici alla quale la p.o. era stata sottoposta, fino ad escludere la plausibilita' della versione fornita dall'odierno imputato che, pertanto, condannava alla pena di anni 5 e mesi 6 di reclusione, previa applicazione dell'aggravante contestata per l'abuso della qualita' di Carabiniere in servizio e con violazione dei doveri connessi al suo servizio ed all'ordine di servizio impartitogli dai suoi superiori. Avverso la pronuncia proponeva appello il prevenuto deducendo numerose incongruenze che, a suo parere, sarebbero state riscontrabili nella sentenza di primo grado rispetto alle risultanze probatorie emerse all'esito del dibattimento. La Corte territoriale ha, invece, confermato l'impianto accusatorio su cui il giudice di prime cure aveva formulato il suo giudizio di responsabilita' penale perche' ha ritenuto che l'appello difensivo non fosse riuscito a destrutturare il ragionamento espresso, concentrandosi su circostanze del tutto marginali che la difesa ha enfatizzato ma che sono invece del tutto scevre dall'episodio in se'. Infine, riconosciute le circostanze generiche prevalenti rispetto all'aggravante contestata, rideterminava la pena in anni 4 di reclusione. 4. Per quanto riguarda lo svolgimento del processo, venivano esaminati diversi elementi da pag. 3 a pag. 58 della sentenza di primo grado, in particolare: (1) la necessita' della procura speciale per la costituzione di parte civile da parte delle Amministrazioni dello Stato (pag. 3 sentenza trib. Firenze), il Tribunale con ordinanza respingeva l'eccezione sollevata dalla difesa poiche' la costituzione di parte civile, per mezzo dell'Avvocatura dello Stato, non richiede il conferimento di una procura da parte dell'Amministrazione rappresentata in giudizio, derivando lo ius postulandi direttamente dalla legge, con l'ulteriore conseguenza che non e' neppure onerata della produzione della documentazione attestante la volonta' della stessa amministrazione di procedere giudizialmente (unico elemento necessario ai fini della regolare costituzione in giudizio e' l'esistenza e la produzione dell'autorizzazione da parte della Presidenza del Consiglio ai sensi della L. n. 3 del 1991, articolo 1, comma 4; atto depositato dall'Avvocatura dello Stato contestualmente all'atto di costituzione di parte civile; (2) l'ammissione delle prove (pagg. 3-10 sentenza trib. Firenze), in particolare: (a) il riesame delle persone offese, gia' esaminate in sede di incidente probatorio: la difesa dell'imputato osservava come, a seguito della modifica dell'imputazione intervenuta in sede di udienza preliminare, la diversa rappresentazione del fatto dovesse comportare (a tutela di un corretto esercizio del diritto di difesa) la necessita' di un nuovo esame delle persone offese, da svolgersi secondo modalita' ordinarie poiche' nessun criterio, tra quelli elencati dall'articolo 94-quater c.p.p., applicato al caso concreto consentirebbe di affermare che le persone offese in questo processo debbano essere considerate particolarmente vulnerabili. Sul punto il tribunale di Firenze si fa riferimento alle pag. 161 e segg. dell'esame della (OMISSIS) per stabilire che, a seguito di un bacio con il (OMISSIS), non intendeva avere in rapporto sessuale con lui, che nego' il suo consenso; (b) la consulenza criminodinamica, alla cui ammissione il PM si era opposto "circa l'analisi vittimologica (...) con riferimento alle signore (OMISSIS) e (OMISSIS) e con riferimento ai profili criminodinamici dei fatti oggetto dell'imputazione", tale mezzo di prova tendendo non gia' ad apprezzare le conseguenze traumatiche del fatto sulla vittima, ma al contrario il loro contributo causale nella verificazione dell'evento. Cio' significherebbe ammettere sul piano processuale una perizia/consulenza sulla personalita' delle persone offese vietata dall'articolo 220 c.p.p. (Cass. 32796/2011); (c) la richiesta di procedere a porte chiuse ai sensi dell'articolo 472 c.p.p., comma 3-bis con particolare riguardo all'istruttoria relativa all'atto sessuale, alle condizioni di ubriachezza della persona offesa ivi compresi i risvolti tecnici che periti e consulenti sono chiamati a valutare sugli aspetti medico-legali, ginecologici, chimici e biologici; (d) l'ordinanza ammissiva delle prove, allegata al verbale di udienza del 02.10.2019, che motiva in ordine ai punti da (a) a (c); (3) la prima udienza istruttoria dell'08.11.2019 (pagg. 11-21 sentenza trib. Firenze), relativa a (a) l'istanza di rinvio in attesa della pronuncia sulla ricusazione presentata in data 23.10.2019; (b) l'esame del Sov. Capo (OMISSIS); (c) l'esame dell'Ag. Scelto (OMISSIS); (d) l'esame del vice-ispettore della Polizia di Stato (OMISSIS); (e) la consulente del PM (OMISSIS), ordinario di tossicologia forense e Direttore della SODC di Tossicologia Forense di (OMISSIS); (f) l'esame dell'Ass. (OMISSIS) del Servizio di Polizia Scientifica; (g) l'esame dell'advisor presso la scuola (OMISSIS), (OMISSIS); (h) l'esame della ginecologa che visito' (OMISSIS) il mattino del (OMISSIS), (OMISSIS); (4) la seconda udienza istruttoria del 22.11.2019 (pagg. 21-30 sentenza trib. Firenze), relativa all'esame dei seguenti testi: (a) l'Agente in servizio presso la Polizia Postale e delle Comunicazioni di Firenze (OMISSIS), che ha svolto accertamenti tecnici sui cellulari nella disponibilita' delle persone offese (OMISSIS) e (OMISSIS); (b) il vice-questore (OMISSIS), che ha ricostruito tutte le attivita' di indagine sviluppare a partire dalla richiesta d'intervento ricevuta dal 113 fino al contatto diretto da lei avuto con le persone offese; (c) il Sovr.te (OMISSIS), che ha analizzato i sistemi della videosorveglianza della discoteca (OMISSIS) e della telecamera posta davanti all'abitazione delle persone offese; (d) il Sov.te (OMISSIS), che ha acquisito e analizzato i dati dei tabulati telefonici e fatto tre trascrizioni di telefonate; (e) il medico (OMISSIS) presso l'Ospedale (OMISSIS) quando la mattina del (OMISSIS) visito' (OMISSIS) documentando un "abuso sessuale in etilismo acuto" alla voce orientamento diagnostico; (f) il medico ginecologo (OMISSIS), che visito' (OMISSIS) il (OMISSIS); (g) la Dott.ssa (OMISSIS), consulente che ha visitato la (OMISSIS) assieme alla Dott.ssa (OMISSIS) il (OMISSIS); (h) il consulente della parte civile che ha esaminato la copia forense dei dispositivi elettronici sequestrati e in particolare della memoria dei telefoni delle persone offese; (i) il consulente della parte civile, (OMISSIS); (l) il consulente Beninato, dirigente medico presso l'azienda sanitaria AUSL (OMISSIS), consulente della parte civile; (m) la Dott.ssa (OMISSIS), interprete parlamentare di inglese e tedesco indicata dalla parte civile in sede di incidente probatorio; (5) la terza udienza istruttoria del 20.12.2019 (pagg. 30-37 sentenza trib. Firenze), relativa a (a) l'esame del consulente (OMISSIS), gia' sentito; (b) all'esame del medico legale per l'azienda ASL (OMISSIS) (OMISSIS); (c) rinuncia alle prove orali della difesa dell'imputato; (d) l'esame del consulente (OMISSIS), insegnante all'Universita' (OMISSIS) e consulente della difesa dell'imputato, che ha esaminato la memoria delle utenze cellulari della (OMISSIS) e della (OMISSIS) e i video del sistema di sorveglianza della discoteca (OMISSIS); (e) la rinuncia ai testi della difesa dell'imputato e l'opposizione delle altre parti; (f) l'esame del consulente della difesa dell'imputato, professore ordinario di farmacologia a (OMISSIS), (OMISSIS); (g) il consulente ginecologo della difesa dell'imputato, Dott. (OMISSIS); (6) la quarta udienza istruttoria del 18.02.2020 (pag. 37-42 sentenza trib. Firenze), relativa a (a) l'esame della Dott.ssa (OMISSIS), consulente linguista per la difesa dell'imputato; (b) le dichiarazioni spontanee dell'imputato; (c) la nullita' delle ordinanze pronunciate nel corso dell'udienza del 20.12.2019; (7) l'incidente probatorio e l'esame delle persone offese (pagg. 42-53 sentenza trib. Firenze), con particolare riguardo a: (a) testimonianza di (OMISSIS); (b) testimonianza di (OMISSIS); (8) la versione degli eventi intercorsi resa dall'imputato (pag. 53-56 sentenza trib. Firenze); (9) la perizia per le trascrizioni delle conversazioni intercettate (pag. 56 sentenza trib. Firenze); (10) la perizia genetico forense (pag. 56-57 sentenza trib. Firenze). 5. Successivamente allo svolgimento del processo, il tribunale di Firenze spiegava i motivi della decisione da pag. 58 a pag. 91 della sentenza di primo grado. In particolare, si aveva riguardo a: (1) la cronologia degli avvenimenti rilevanti fino alle 3:08 del (OMISSIS) (pag. 58-60 sentenza trib. Firenze); (2) la cronologia degli avvenimenti rilevanti dalle 3:08 del (OMISSIS) al primo accesso all'Ospedale (OMISSIS) (pag. 60-62 sentenza trib. Firenze); (3) le comunicazioni delle persone offese per quanto accaduto (pagg. 6263 sentenza trib. Firenze); (4) la possibile spiegazione degli avvenimenti tra le 3:16 e le 3:30 del (OMISSIS), corredata di tavola sinottica di eventi, soggetti e cronologia (pagg. 63-68 sentenza trib. Firenze); (5) il picco etilico (pagg. 68-71 sentenza trib. Firenze); (6) gli effetti dell'intossicazione (pagg. 71-72 sentenza trib. Firenze); (7) le lesioni simmetriche (pagg. 73-75 sentenza trib. Firenze); (8) la possibile spiegazione del messaggio "she's telling story" della (OMISSIS) (pagg. 75-78 sentenza trib. Firenze); (9) la tesi della difesa dell'imputato (pagg. 78-87 sentenza trib. Firenze), riguardo a: 1. La compressione dei diritti della difesa; 2. La prova dell'ebbrezza antefatto; 3. L'inconsistenza dell'accusa dell'induzione e il passaggio a quella del costringimento al rapporto sessuale; 4. Il silenzio della (OMISSIS) sulla violenza subita; 5. La sequenza dei fatti tra le 3:15 e le 3:30 del (OMISSIS); 6. L'osservanza del (OMISSIS) al rifiuto della (OMISSIS) al rapporto orale; (10) la ricostruzione della fattispecie concreta e i dubbi sulla sussistenza di un possibile reato a formazione progressiva (pagg. 87-90 sentenza trib. Firenze); (11) il trattamento sanzionatorio e il risarcimento del danno (pagg. 90-91 sentenza trib. Firenze). In conclusione, il tribunale di Firenze, in data 21.02.2020, riteneva (OMISSIS) colpevole del reato a lui contestato e lo condannava cosi' come descritto in epigrafe alla presente scheda alla pena di anni 5 e mesi 6 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, dei risarcimenti alle costituite parti civili e all'applicazione di ogni altra eventuale sanzione accessoria. 5. Avverso questa pronuncia, in data 30.06.2020 e con l'assistenza degli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), proponeva appello la difesa dell'imputato deducendo dieci motivi di impugnazione, chiedendo l'assoluzione dell'imputato dal reato contestatogli con l'imputazione, poiche' il fatto non sussiste o non costituisce reato; in subordine, parzialmente annullare la sentenza impugnata per violazione del principio di corrispondenza tra imputazione e sentenza con riferimento al reato di violenza sessuale per induzione di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1; in via ulteriormente subordinata, dichiarare l'illegittimita' e la nullita' dell'ordinanza emessa in data 02.10.2019 di rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e di consulenza vittimologica, nonche' delle ordinanze emesse in data 20.12.2019, di declaratoria di inammissibilita' della consulenza dell'Ing. (OMISSIS) sul quesito n. 5 della consulenza tecnica, e in data 21.02.2020, di declaratoria di non pertinenza e irrilevanza di tutti i documenti informatici contenuti nella copia forense dei telefoni in uso alle (OMISSIS) ed alla (OMISSIS) non riguardanti il periodo intercorrente e immediatamente precedente e successivo all'orario presunto dei fatti. In via ancora subordinata, si chiedeva di dichiarare l'insussistenza delle circostanze aggravanti contestate e, comunque, riconoscere all'imputato le circostanze attenuanti generiche prevalenti rispetto alle aggravanti riconosciute con conseguente nuova quantificazione della pena da irrogarsi in concreto in corrispondenza del minimo comminato dalla legge. Segnatamente: a) con il primo motivo di appello, nello specifico, si deduceva manifesta illogicita' della sentenza, anche per travisamento della prova, in relazione alla sintesi delle dichiarazioni dibattimentali effettuata nella parte della sentenza dedicata allo svolgimento del processo; b) con il secondo motivo di appello, la difesa dell'imputato si doleva per la sua mancata assoluzione perche' il fatto non sussiste o perche' non costituisce reato, per mancanza di prova circa la sussistenza del fatto contestato - e, in particolare, della non consensualita' del rapporto sessuale - oltre che per mancanza di prova in ordine allo stato di ebbrezza della (OMISSIS) al momento dei fatti e per l'avvenuta acquisizione della prova contraria, a discarico, circa la consensualita' del rapporto e la lucidita' della (OMISSIS) al momento dello stesso; c) con il terzo motivo di appello, veniva poi dedotta l'insussistenza della circostanza aggravante contestata e mancata concessione delle circostanze generiche; d) con il quarto motivo di appello, si deducevano l'illegittimita' e la nullita' dell'ordinanza istruttoria resa all'udienza del 02.10.2019 con cui era stata rigettata la richiesta dell'esame dibattimentale delle Sig.re Celeste (OMISSIS) e (OMISSIS); e) con il quinto motivo di appello, si deducevano l'illegittimita' e la nullita' dell'ordinanza istruttoria resa all'udienza del 02.10.2019 con cui e' stata dichiarata inammissibile la richiesta Consulenza Criminodinamica; f) con il sesto motivo di appello, si contestava il rigetto della richiesta di rinvio in seguito alla dichiarazione di ricusazione; g) con il settimo motivo di appello, si deducevano l'illegittimita' e nullita' delle ordinanze emesse in data 20.12.2019, con cui e' stata dichiarata l'inutilizzabilita' di tutta la copia forense acquisita in atti delle memorie dei cellulari delle testi (OMISSIS) e (OMISSIS) e del contenuto dei supporti informatici allegati alla consulenza tecnica dell'Ing. (OMISSIS) ad eccezione del materiale che riguardava il periodo intercorrente e immediatamente precedente e successivo all'orario presunto dei fatti; h) con l'ottavo motivo di appello, si deducevano anche l'illegittimita' e nullita' dell'ordinanza emessa in data 21.02.2020 con cui il Tribunale, a correzione della precedente ordinanza del 20.12.2019, dichiarava la irrilevanza della documentazione informatica presente sulla copia forense dei telefoni cellulari prodotta in atti ad esclusione della documentazione riguardante il periodo intercorrente e immediatamente precedente e successivo all'orario presunto dei fatti; i) con il nono motivo di appello, si denunciava violazione del principio di corrispondenza tra imputazione e sentenza; l) con il decimo motivo di appello, si faceva infine richiesta di riapertura dell'istruzione dibattimentale per assumere la testimonianza dei Carabinieri intervenuti presso la discoteca (OMISSIS) insieme all'imputato nella sera dei fatti e per assumere la testimonianza dei due addetti della discoteca stessa gia' indicati nella lista testi ed oggetto di rinuncia da parte dell'imputato. 6. La Corte di appello di Firenze, in data 05.04.2022, condivideva la versione offerta dall'impianto accusatorio su cui il tribunale di Firenze aveva formulato il giudizio di responsabilita' penale a carico di (OMISSIS) e riteneva che l'atto di appello non fosse riuscito a disarticolare il ragionamento espresso concentrandosi, invece, su circostanze del tutto marginali. Infine, riconosciute le circostanze generiche prevalenti rispetto all'aggravante contestata, rideterminava la pena in anni 4 di reclusione. 6.1. Con riguardo allo svolgimento del processo, in particolare, la Corte di appello di Firenze ripercorreva quanto sul punto riportato in sentenza del 21.02.2020 dal tribunale di Firenze (gia' esposto supra), riportando anche la griglia schematica con cui il tribunale aveva messo a confronto le versioni fornite dalle due ragazze e dal (OMISSIS) alle pagg. 9-10 della sentenza di appello (ossia le corrispettive pagg. 64-65 sentenza tribunale Firenze). Si ricordava come il collegio giudicante "optava a questo punto per la versione della (OMISSIS), piu' lineare e logica, anche (...) prima della violenza", mentre "la versione del (OMISSIS) appariva invece inattendibile" (pag. 11 sentenza di appello), concludendo che "quanto addotto dalla parte offesa risultava confermato dal riscontro oggettivo di tale referto, che ratificava la non consensualita' del rapporto (pag. 12 sentenza di appello). Per il tribunale di Firenze, si trattava di "un reato a formazione progressiva, compiutamente analizzando lo sviluppo della relazione tra i due, e partendo dal bacio, cui la (OMISSIS) non si era opposta, fino al consenso negato per il rapporto orale, ed ancora alla penetrazione imposta con la violenza, il tutto senza soluzione di continuita'", sottolineando come "lei era apparsa inizialmente arrendevole e senza difese a causa dello stato di ebbrezza, ma poi aveva chiaramente detto no" alla richiesta di rapporto orale: tutto il dipanarsi delle condotte, dal bacio consensuale al rapporto imposto, era stato ampiamente descritto nell'imputazione, per cui non vi era alcuna violazione del diritto di difesa e nemmeno della necessaria correlazione tra "chiesto" e "pronunciato". Sarebbe, quindi, configurabile quel reato a formazione progressiva a consumazione prolungata che viene a cessare con l'ultima delle operazioni poste in essere, che, secondo il tribunale di Firenze, la Corte di cassazione avrebbe riconosciuto per esempio nel delitto di corruzione, che rappresenta una fattispecie a duplice schema, perfezionandosi alternativamente con l'accettazione della promessa o con il ricevimento dell'utilita' da parte del pubblico ufficiale: "quando tali atti susseguono, il momento consumativo si cristallizza nell'ultimo atto, venendo a perdere di autonomia l'atto di accettazione precedente" (pag. 13 sentenza di appello). 6.2. Quanto ai motivi della decisione, la Corte di appello di Firenze sottolineava come "la conferma dell'ipotesi accusatoria a carico del (OMISSIS) si rinviene da una serie di elementi di fatto che l'appello difensivo non e' riuscito a smontare e (...) esclude un'altra serie di circostanze del tutto marginali che la difesa ha enfatizzato ma che sono invece del tutto scevre dall'episodio in se' che ha investito il lasso temporale davvero risicato di un quarto d'ora per entrambi i carabinieri" (pag. 18-19 sentenza di appello). Da pag. 19 a 21 della sentenza di appello, si riportava poi la cronologia degli eventi; da pag. 21, p. C), si includevano anche l'incidente probatorio e i riscontri (pagg. 21-23 sentenza di appello), le dichiarazioni della (OMISSIS) e della (OMISSIS) (pagg. 23-24 sentenza di appello), l'analisi dell'elemento dell'intossicazione alcolica della (OMISSIS) (pagg. 24-26 sentenza di appello), la versione del rapporto sessuale (pag. 26 sentenza di appello), alcune considerazioni sulla configurazione giuridica dei fatti (pagg. 27-31 sentenza di appello, richiamando anche giurisprudenza di legittimita' - come Sez. 3, n. 42977 dell'08/07/2015 e Sez. 3, n. 24598 del 03/07/2020, in tema di correlazione tra accusa e sentenza; Sez. 3, n. 8981 del 05/12/2019 e Sez. 3, n. 7873 del 19/01/2022, rispettivamente in tema di violenza sessuale su persona che si trova in stato di inferiorita' fisica o psichica e violenza sessuale di gruppo consumata in discoteca -, e riportando anche le pronunce di legittimita' richiamate dai giudici di primo grado - come Sez. 3, n. 38011 del 17/05/2019, Rv. 277834 - 01; Sez. 3, n. 22127 del 23/06/2016, Rv. 270500 - 01, in tema di violenza sessuale per induzione). In merito poi alla rinnovazione istruttoria (pagg. 31-32 sentenza di appello), la Corte di appello afferma che "appare del tutto fuorviante ed ultroneo citare nuovamente (...) le parti offese in incidente probatorio per nuovamente interrogarle su fatti che oltre ad essere ormai lontani nel tempo sono stati tutti sviscerati nel complesso ed articolato incidente probatorio" e che "altrettanto da escludere il recupero del materiale analizzato dal CT (OMISSIS) in relazione alla messaggistica della vittima atta a scavare nel pregresso rispetto al momento della violenza, materiale che e' vietato acquisire in quanto orientato a sondare la moralita' e le abitudini della vittima vuoi con riguardo ai rapporti sessuali vuoi con riguardo ad ulteriori private abitudini o eccessi nel bere", escludendo sia la rinnovazione dell'audizione dei testimoni che avrebbero confermato i contatti e l'intesa tra la (OMISSIS) ed il carabiniere appena conosciuto in discoteca, sia la richiesta della consulenza vittimologica, che si riverbererebbe in "un giudizio sull'attendibilita' e credibilita' della parte offesa, con cio' sovrapponendosi e svuotando il compito valutativo del Giudicante ed in violazione dei divieti ex articolo 234 c.p.p., comma 3, articolo 194 c.p.p., comma 2, e articolo 472 c.p.p., comma 3-bis". In conclusione, riguardo al trattamento sanzionatorio (pagg. 32-33 sentenza di appello), la sentenza impugnata affermava come "si stimano concedibili all'appellante le attenuanti generiche come prevalenti sull'aggravante contestata", per giungere infine alla condanna di 4 anni di reclusione, con la conferma delle statuizioni civili, revocando la pena dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici e sostituendola con l'interdizione perpetua per la durata di anni 5. 7. Tanto premesso, puo' quindi procedersi all'esame dei motivi di ricorso, muovendo da quelli proposti dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), occorrendo preliminarmente osservare che l'esame dei motivi di ricorso puo' essere effettuato prendendo in considerazione sia la motivazione della sentenza impugnata sia quella della sentenza di primo grado, e cio' in quanto i giudici di merito hanno adottato decisioni e percorsi motivazionali comuni che possono essere valutati congiuntamente ai fini di una efficace ricostruzione della vicenda processuale e di una migliore comprensione delle censure del ricorrente. E' infatti appena il caso di ricordare che qualora il giudice d'appello abbia accertato e valutato, come in specie, il materiale probatorio con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado, le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entita' logico-giuridica, alla quale occorre far riferimento per giudicare della congruita' della motivazione, integrando e completando quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella d'appello (Sez. 1, n. 1309 del 22/11/1993 Ud. (dep. 04/02/1994) Rv. 197250 - 01) Invero, allorche' le sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Rv. 216906 - 01). 7.1. Il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondato perche' omette di confrontarsi con la sentenza impugnata riproponendo le medesime questioni affrontate e risolte, in maniera tutt'altro che illogica, dai giudici di seconde cure. Infatti, il ricorrente non individua elementi idonei a destrutturare l'impianto probatorio a carico dell'imputato, limitandosi ad offrire una mera rilettura dei fatti rispetto a quella, del tutto logica, operata dal giudice di seconde cure. A tal proposito giova ricordare la preclusione per la Corte Suprema circa la possibilita' di una nuova valutazione delle risultanze acquisite nel processo da contrapporre a quella del giudice di merito attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilita' delle fonti di prova. (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217 - 01; Sez. n. 7380 del 11/01/2007, Rv 235716-01). Ed anche a seguito della modifica apportata all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimita' il travisamento del fatto, sempre stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. L'unica possibilita' per estendere l'indagine di legittimita' ad atti esterni al contenuto della decisione e' il caso di travisamento della prova. Invero, avere introdotto la possibilita' di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo" costituisce il riconoscimento normativo della possibilita' di dedurre in sede di legittimita' il suddetto vizio in forza del quale il giudice di legittimita', lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto e' stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all'interno della decisione. In altri termini, vi sara' stato "travisamento della prova" qualora il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste (ad esempio, un documento o un testimone che in realta' non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia e' risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell'imputato). Oppure dovra' essere valutato se c'erano altri elementi di prova inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma - occorrera' ancora ribadirlo - non spetta comunque alla Corte Suprema "rivalutare" il modo con cui quello specifico mezzo di prova e' stato apprezzato dal giudice di merito, attraverso la verifica del travisamento della prova. Il travisamento, dunque, consiste in un errore percettivo (e non valutativo) della prova stessa tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. Per esserci stato "travisamento della prova" occorre, quindi, che sia stata inserita nel processo un'informazione rilevante che invece non esiste agli atti e di verificare la correttezza della motivazione. A tal fine, va indicato specificamente nel ricorso per Cassazione quale sia l'atto che contiene la prova travisata o omessa. Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre avere carattere di decisivita', cioe' deve essere autonomamente dotato di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la rappresentazione risulti in grado di disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali incompatibilita', cosi' da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione. (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758 - 01). Diversamente, infatti, si chiederebbe al giudice di legittimita' una rivalutazione complessiva delle prove che, come piu' volte detto, sconfinerebbe nel merito. Il travisamento della prova, infatti, non costituisce il mezzo per valutare nel merito la prova, bensi' lo strumento per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento perche' la ricorrenza del vizio in esame rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento cosi' come illustrate nel provvedimento impugnato e risulta decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta e' irreparabile (Sez. Un., n. 18620 del 19/01/2017). 7.1.1. Se questa, dunque, e' la prospettiva ermeneutica cui e' tenuta la Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano chiaramente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d'Appello di Firenze alcuna illogicita' che ne vulneri la tenuta complessiva. Nel caso di specie, la difesa dell'imputato deduce un travisamento della prova in ordine all'insussistenza del consenso della persona offesa nel corso dei rapporti sessuali subiti. In via preliminare, si ritiene di dover correggere quanto dedotto dalla difesa nella parte in cui afferma che "le dichiarazioni (della persona offesa aventi ad oggetto la mancata espressione del dissenso al rapporto sessuale) non erano state neppure riportate nella parte della Sentenza dedicata all'elenco delle dichiarazioni rese dalla PO" atteso che a pagina 53 della pronuncia il Tribunale da atto della circostanza per cui "la (OMISSIS) si ricorda di essersi baciata con il Carabiniere giovane e di non avergli detto di smettere ma quello che pensava era di voler dormire anche perche' con il bacio non aveva nessunissima reazione". Inoltre, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericita', quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicita' o di contraddittorieta' della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedono ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte. (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014 - dep. 29/05/2015, Rv. 263601 - 01; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Rv. 265053 - 01). In ogni caso, dirimenti nell'escludere l'asserito travisamento di prova, sono le conclusioni a cui e' pervenuto il Tribunale di Firenze alla pagina 87 della sentenza: al paragrafo 21.6, rubricato "L'osservanza del (OMISSIS) al rifiuto della (OMISSIS) al rapporto orale" si legge "Sostiene la difesa che la (OMISSIS) avrebbe negato il proprio consenso unicamente al rapporto orale: "non sarebbe la prima volta, ognuno di noi ha le sue preferenze sessuali, dettate anche dalle ragioni culturali, per cui puo' capitare che uno dei partner del rapporto dica: no, questo particolare atto sessuale non lo voglio fare, ma questo non vuol dire che si deve interrompere il rapporto" (f. 82 ud. 21.2.20 conclusioni). Con questa tesi viene abbandonata dalla difesa la versione secondo cui la (OMISSIS) avrebbe prestato un pieno e lucido consenso a tutto il rapporto sessuale intrattenuto con il (OMISSIS), quella notte, e si ammette che un dissenso espresso vi sia stato. Tuttavia tale dissenso avrebbe riguardato unicamente il rapporto orale e i campioni boccali della (OMISSIS) starebbero li' a dimostrare che in essi non vi e' traccia biologica del (OMISSIS)". Tanto basta per contraddire quanto lamentato dalla difesa e soprattutto per dichiarare inammissibile la doglianza dedotta, poiche', ancorche' la Corte d'appello abbia taciuto sul punto, il motivo di appello sarebbe stato "ab origine" inammissibile per manifesta infondatezza (Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, Rv. 277281 01) 7.1.2. Ad abundantiam, la Corte di Appello ha comunque motivato adeguatamente il proprio convincimento in ordine ai fatti che occupano, sicche' l'asserito vizio dedotto dal prevenuto non risulta in grado di disarticolare l'intero ragionamento probatorio svolto dai giudici di seconde cure. In particolare, alla luce degli elementi probatori emersi nel corso del giudizio, non esclude la consensualita' del bacio, peraltro mai negata dalla stessa ragazza la quale, come sopra riportato, aggiunge di non essere stata partecipe all'atto stesso poiche' stanca e questo giustificherebbe l'inferiorita' psichica riconosciuta alla (OMISSIS) nel proseguo degli eventi. Per i giudici territoriali, in particolare, la condotta si concretizza nell'arco di pochi secondi, comincia con il bacio e continua in un crescendo insinuante che ha visto la ragazza in uno stato confuso per l'alcol assunto durante la fase dei toccamenti e poi trovare la forza di dire no, diverse volte. Ed e' proprio sui no ripetuti dalla vittima che la Corte non riconosce alcun fondamento alla tesi della difesa circa il "non manifesto consenso" (pag. 31) e su cui, pertanto, insiste al fine di ritenere provata la violenza sessuale, esclusa nella fase anteriore perche' - si ribadisce -, per espressa ammissione della vittima, non c'e' stata alcuna opposizione. E', in proposito, stato ripetutamente affermato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione il principio secondo il quale nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non sia tenuto a compiere un'esplicita analisi di tutte le deduzioni delle parti ne' a fornire espressa spiegazione in merito al valore probatorio di tutte le emergenze istruttorie, essendo necessario e sufficiente che spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dalle quali si dovranno ritenere implicitamente disattese le opposte deduzioni difensive ancorche' non apertamente confutate. In altre parole, non rappresenta vizio censurabile l'omesso esame critico di ogni questione sottoposta all'attenzione del giudice di merito qualora dal complessivo contesto argomentativo sia desumibile che alcune questioni siano state implicitamente rigettate o ritenute non decisive, essendo a tal fine sufficiente che la pronuncia enunci con adeguatezza e logicita' gli argomenti che si sono ritenuti determinanti per la formazione del convincimento del giudice (Sez. 2, n. 9242 del 8/02/2013, Reggio, Rv. 254988; Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muia', Rv. 254107; Sez. 4, n. 34747 del 17/05/2012, Parisi, Rv. 253512; Sez. 4, n. 45126 del 6/11/2008, Ghisellini, Rv. 241907). Infine, l'incertezza riscontrata nelle dichiarazioni della (OMISSIS) viene logicamente giustificata a causa dell'obnubilazione in cui sarebbe ricaduta la difesa per lo spiazzamento e lo stato di ebbrezza dopo l'accelerazione repentina degli eventi. 7.1.3. Ad ogni modo si ritiene di dover dare continuita', anche per questo caso, a quanto gia' affermato, con riferimento alla struttura del reato di violenza sessuale, nella sentenza passata in giudicato per l'altro dei protagonisti degli eventi della notte del (OMISSIS), il (OMISSIS), per cui non e' ammissibile, in conformita' con l'articolo 609-bis c.p., ritenere che la violenza sessuale possa ritenersi provata solo allorche' essa sia stata preceduta da una qualsiasi "resistenza", ancorche' minima, opposta dal soggetto passivo del reato. Rimarrebbero, infatti, escluse tutte le ipotesi in cui il delitto sia stato posto in essere in danno di soggetto che, non essendo in grado di apprezzare il significato del comportamento dell'agente, per fatti contingenti (si immagini l'individuo sedato), non sia stato in condizione di opporre alcuna resistenza all'altrui operato, ma anche tutte le numerose ipotesi in cui la assoluta estemporaneita' della condotta di reato ovvero la sua subitanea e repentina esecuzione abbiano impedito al soggetto passivo di esprimere, anche soltanto attraverso la espressione del dissenso, una qualche resistenza oppositiva ad essa (il reato risulta integrato non solamente in presenza di una manifestazione espressa di dissenso del soggetto passivo al compimento della altrui condotta invasiva della su sfera di liberta' sessuale, ma anche allorche' tale condotta sia stata posta in essere in assenza del consenso, non essendo stato questo espresso neppure in forma tacita dalla persona offesa come nel caso in cui la stessa non abbia consapevolezza della materialita' degli atti compiuti sulla sua persona: Sez. 3, Sentenza n. 22127 del 23/06/2016 - dep. 08/05/2017, Rv. 270500 - 01; ovvero nel caso in cui la condotta criminosa sia stata cosi' improvvisa da prevenire anche la manifestazione del dissenso della persona offesa: Sez. 3, n. 46170 del 18/07/2014, Rv. 260985 - 01). 7.2. Per ragioni espositive, si trattera' ora il quinto motivo di ricorso, inammissibile anch'esso, per i principi ricordati poc'anzi. Si tratta, in altri termini, di una ricostruzione alternativa fornita dal ricorrente e quindi non apprezzabile in sede di legittimita'. Che la (OMISSIS) alle ore 3.18 si trovasse gia' sul pianerottolo del secondo piano e' un postulato difficilmente dimostrabile ove piu' si consideri che aver il telefono della (OMISSIS) (la sentenza riporta che e' il telefono della (OMISSIS) ad aver agganciato il Wi-fi, la difesa quello della (OMISSIS), n.d.r.) agganciato il wi-fi di casa non implica, con assoluta certezza, che fosse sul pianerottolo (vd. osservazione del Tribunale pag. 86), potendo altresi' indicare esclusivamente la vicinanza della ragazza alla propria abitazione. Inoltre, il lasso di tempo in cui la difesa colloca la violenza non e' molto maggiore rispetto a quello riconosciuto dai giudici di merito, perche', avallando la ricostruzione difensiva, dalle 3:18 alle 3:24 (ora del video sul cellulare della (OMISSIS)), si tratterebbe di sei minuti in cui il Carabiniere e la (OMISSIS) sarebbero scesi al pian terreno, avrebbero consumato il rapporto e sarebbero risaliti. Rimarrebbero otto minuti dalle 3:24 alle 3:32 in cui pero' non e' chiaro che cosa avrebbero fatto i due carabinieri una volta saliti a bordo della loro vettura di servizio, sollecitazione operata dal Tribunale (pag. 86) a cui pero' non e' stata fornita risposta dalla difesa. Per le Corti di merito, la violenza si sarebbe consumata "nel giro di cinque minuti abbondanti", tra le 3:24 e le 3:32, dal momento che ha ritenuto piu' logico che, a seguito di uno scambio di battute e ringraziamenti, si fossero consumate le due congiunzioni carnali, atteso, inoltre, che, secondo quanto riportato, la (OMISSIS) avrebbe recuperato frettolosamente l'amica all'uscita dall'ascensore e portata in casa e contestualmente i militari si erano allontanati con l'auto. A tal proposito, non puo' non sottolinearsi come la ricostruzione della tempistica non si fondi esclusivamente sul ragionamento logico elaborato dal Tribunale, ma anche sulle dichiarazioni rese dalla (OMISSIS), teste nel presente procedimento e vittima nel correlato giudizio, discusso nelle forme del rito abbreviato, a carico del (OMISSIS), il capo pattuglia, per il quale e' intervenuta sentenza definitiva di condanna in cui si avalla la versione della (OMISSIS). Per tale ultima ragione, e' analogamente smentito l'ultimo punto su cui versa la critica della difesa, ovvero la salita al secondo piano con le scale della (OMISSIS) e del (OMISSIS) anziche' con l'ascensore come asserito dalla vittima e dalla coinquilina, sebbene la prima avesse reso tale dichiarazione in forma confusa a causa della sua condizione determinata dall'assunzione di alcool, circostanza confermata dall'amica, la quale, prima di entrare si accertava delle condizioni dell'amica per paura che stesse male, affermazione che ha indotto la Corte d'appello, logicamente, ad escludere che potesse essere stata la (OMISSIS) a trascinare per le scale il carabiniere (si veda pag. 20 sentenza della Corte d'appello). 7.3. Quanto al secondo motivo, per la difesa, le Corti avrebbero utilizzato un procedimento inferenziale due volte, in due momenti distinti della decisione, di cui il secondo quale conseguenza del primo. 7.3.1. In particolare, per un primo fenomeno induttivo, le lesioni riscontrate sarebbero state causate dalla mancata lubrificazione nella zona genitale. Successivamente, quindi sempre con un altro ragionamento induttivo, dalla mancata lubrificazione sarebbe stato possibile dedurre l'assenza di consenso all'attivita' sessuale da parte della (OMISSIS), conclusione a cui i giudici del merito non sarebbero potuti pervenire perche' il presupposto non e' un fatto certo ma una congettura. Se cosi' fosse, la Corte sarebbe incorsa nella c.d. praesumptio de praesumpto che pero' contrasta con la regola della certezza dell'indizio atteso che in tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice puo' partire da un fatto noto per risalire ad uno ignoto, ma non puo' utilizzare quest'ultimo come fonte di un'ulteriore presunzione sulla base della quale fondare la propria decisione (Sez. 6, n. 37108 del 02/12/2020, Rv. 280195 - 01; Sez. 1, n. 18149 del 11/11/2015 - dep. 02/05/2016, Rv. 266882 - 01; Sez. 1, n. 4434 del 06/11/2013 - dep. 30/01/2014, Rv. 259138 - 01). Costituisce principio acquisito, nell'elaborazione giurisprudenziale della Suprema Corte in tema di validazione della prova indiziaria, che l'operazione di lettura complessiva dell'intero compendio probatorio di natura indiretta, che non si esaurisce nella mera sommatoria degli indizi ma esige la loro valorizzazione in una prospettiva globale e unitaria tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo, deve essere preceduta dall'operazione propedeutica - da cui non puo' prescindersi - che consiste nella valutazione separata dei singoli elementi di prova indiziaria, che devono essere presi in esame e saggiati individualmente nella loro, intrinseca, valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravita' richiesto dalla legge, che ciascuno di essi deve possedere (Sez. Un. 33748 del 12/07/2005, Rv. 231678; Sez. 1 n. 30448 del 9/06/2010, Rv. 248384; Sez. 2 n. 42482 del 19/09/2013, Rv. 256967). La valutazione del peso probatorio degli indizi spetta al giudice di merito e nel giudizio di legittimita' puo' essere contestata solo per "mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione" (Sez. 1, n. 3017 del 17/05/1995, Rv. 201732; Sez. 5, n. 780 del 30/07/1991, Rv. 188100). Come per altri tipi di inferenza, anche per il ragionamento indiziario la tipologia delle illogicita' manifeste e' strettamente connessa alla struttura del ragionamento. 7.3.2. Nel caso in esame, la Corte d'appello annida la non consensualita' dei rapporti non solo nei "no" pronunciati dalla persona offesa ma anche nei risultati delle certificazioni mediche - e non nella mancata lubrificazione come attesta la difesa - mentre il Tribunale conferisce alle lesioni la qualifica di riscontro oggettivo della veridicita' del racconto della (OMISSIS). Se e' vero, come di fatto e', che le dichiarazioni della persona offesa, vittima del reato di violenza sessuale, possono essere assunte, anche da sole, come prova della responsabilita' dell'imputato, non necessitando le stesse di riscontri esterni (Sez. 3, n. 1818 del 03/12/2010 - dep. 20/01/2011, Rv. 249136 - 01) previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita' soggettiva del dichiarante e dell'attendibilita' intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere piu' penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214 - 01; Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014 - dep. 14/01/2015, Rv. 261730 01), la tesi della difesa e' priva di fondamento atteso che, la non consensualita' del rapporto e' stata provata attraverso le parole della vittima costituendo, gli ulteriori elementi emersi (le lesioni, il sanguinamento) come condivisibilmente osservato dal Tribunale, elementi di riscontro volti a confermare quanto dichiarato dalla vittima su cui, lo si ribadisce, si fonda la prova del mancato consenso al compimento dell'atto sessuale. Nessuna illogicita', quindi, si rinviene nel ragionamento seguito dai giudici, dovendo escludere che ricorra la violazione del divieto di c.d. doppia presunzione. Nemmeno puo' quindi ritenersi che siasi trattato del ricorso ad ipotesi od illazioni da parte dei giudici di merito, fermo restando, peraltro, che cio', in consimili ipotesi, sarebbe sicuramente consentito. Deve, infatti, essere riaffermato il principio secondo cui il ricorso, da parte del giudice, a ipotesi o illazioni, ai fini della formazione e della motivazione del proprio convincimento, e' da considerare certamente vietato quando, mediante dette ipotesi o illazioni, si voglia costruire una prova positiva di colpevolezza; non puo', invece, ritenersi vietato quando, in presenza di elementi di per se' idonei a dimostrare la colpevolezza, ne vengano dalla difesa prospettati altri di cui si assuma l'idoneita' a neutralizzare la valenza dei primi. In tal caso, infatti, il giudice (analogamente a quanto si verifica, in termini rovesciati, allorche' egli deve valutare gli indizi a carico), e' non solo facoltizzato, ma addirittura tenuto a prospettarsi quelle che possono apparire ragionevoli e plausibili ipotesi alternative atte ad escludere la detta idoneita'. Solo la irragionevolezza e la conseguente implausibilita' di tali ipotesi, quindi, e non il semplice fatto della loro prospettazione a sostegno dell'"iter motivazionale" seguito dal giudice, puo' dare luogo a censura in sede di legittimita' (Sez. 1, n. 3424 del 02/03/1992 - dep. 24/03/1992, Rv. 189683 - 01). 7.3.3. Analogamente, la ricostruzione dello stato di ebbrezza e, dunque, della condizione di inferiorita' psico-fisica della (OMISSIS) al momento del fatto come argomentata dalla Corte d'appello, non incorre nella violazione lamentata dal prevenuto, il quale ha, di fatto, omesso di confrontarsi con la pronuncia impugnata sul punto. Infatti, anche a voler criticare la c.d. curva di Widmark per individuare il picco alcolemico - afferma la Corte d'appello (pag. 25) - la reazione individuale all'alcol della (OMISSIS) e' individuabile attraverso una serie di elementi esterni, meno scientifici e piu' fattuali. Segnatamente, vengono richiamati: il fatto che la ragazza non si reggesse in piedi da sola all'arrivo a (OMISSIS); il semi svenimento una volta rientrata a casa dopo le violenze subite; la telefonata al 113, segnale di scarsa capacita' della (OMISSIS) di esprimere un concetto, non solo in italiano, ma anche in inglese o spagnolo; la descrizione della situazione della tutor (OMISSIS) non appena raggiunse l'abitazione, ovvero la (OMISSIS) che roteava gli occhi, pareva non seguire e non riusciva a stare seduta; la testimonianza del sovrintendete capo (OMISSIS) che descriveva la ragazza "in stato di shock, non parlava, smarrita e catatonica", era la sola ad essere stata fatta stendere sul lettino dell'ambulanza per il trasporto in ospedale. Continua la Corte: "e' evidente quindi che al di la' dei grafici e delle scuole di pensiero sui tempi di assorbimento dell'alcool, chi ha visto la (OMISSIS) dopo la violenza subita ha notato come lei non fosse in se' e si fosse affidata alla piu' lucida (OMISSIS) per il racconto su quanto era accaduto, a lei rimasto nebuloso. (...) Non si tratta a questo punto di apodittiche deduzioni, di diagrammi sullo stato teorico di chi assume alcol, fino a che ora ed in che quantita', ma di considerazioni logiche ed inevitabili che derivano dalla diretta osservazione della vittima cosi' come apprezzata da chi e' entrato in contatto con lei subito dopo la violenza subita, riportando poi in fase di dimissioni dall'ospedale (OMISSIS) quel referto di "abuso sessuale in etilismo acuto" delle ore 5.23 che certo non e' frutto dell'auto-diagnosi della vittima." (pagg. 25 e 26). Gli argomenti spesi della difesa sul punto, oltre alla violazione del divieto di doppia presunzione, che in questo caso risulta non essere integrata, costituiscono l'ennesimo tentativo di dedurre, in sede di legittimita', circostanze di fatto non altrimenti apprezzabili, se non attraverso il profilo della tenuta logica della motivazione - nella specie assolutamente solida - da parte della Corte di cassazione. In conclusione, anche il secondo motivo deduce vizi attinenti a valutazioni di merito, non ammesse in sede di legittimita', a cui consegue l'inammissibilita' del secondo motivo. 7.4. Venendo ora ai restanti motivi si osserva quanto segue. Il terzo motivo concerne la corrispondenza tra il contenuto dell'imputazione, cosi' come modificata da parte del PM, e i fatti accertati dalla sentenza, posti a fondamento della dichiarazione di responsabilita'. La difesa, riproponendo integralmente le medesime censure dedotte con il relativo motivo di appello, rileva che, mentre nella contestazione si fa riferimento alla sola ipotesi di violenza sessuale per costrizione di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 1 aggravata ex articolo 61 c.p., n. 5, in sentenza si fa riferimento anche alla fattispecie induttiva di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1. La denunciata violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, si fonda prevalentemente sull'assenza nella descrizione dell'imputazione del verbo "induceva", dal quale sarebbe automaticamente discesa la mancata contestazione dell'ipotesi induttiva. 7.4.1. In via preliminare, giova evidenziare che secondo la giurisprudenza di legittimita', per individuare l'eventuale violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui all'articolo 521 c.p.p., non e' sufficiente il mero raffronto letterale tra il fatto contestato e quello affermato in sentenza, ma si deve stabilire in concreto se la modificazione abbia inciso sul diritto di difesa. Affinche' possa ritenersi violato il principio de quo, e' necessario che venga posto alla base della decisione un fatto radicalmente diverso rispetto a quello contenuto nell'imputazione. Appare chiaro, dunque, come il principale presupposto applicativo dell'articolo 521 c.p.p. debba ravvisarsi nell'intervenuta modifica dell'imputazione stessa. Tuttavia, nel caso di specie il fatto oggetto di condanna non risulta affatto estraneo all'editto accusatorio, potendosi al contrario apprezzare la perfetta coincidenza dello stesso con il fatto descritto nel capo di imputazione. Infatti, inizialmente all'imputato veniva contestato il reato di violenza sessuale per induzione di cui all'articolo 609-bis c.p., alla luce del quale si celebrava l'incidente probatorio. Successivamente, in sede di udienza preliminare, il PM procedeva a modificare l'imputazione contemplandovi oltre alla fattispecie induttiva, gia' contestata, anche quella coercitiva. Infine, il giudice di prime cure affermava la penale responsabilita' dell'imputato sulla base dell'imputazione cosi' come riformulata da parte del PM, la quale, pertanto, e' rimasta inalterata. Alla luce di quanto illustrato, appare con tutta evidenza che il Tribunale di Firenze non abbia in alcun modo inciso sull'imputazione ne' attraverso una riqualificazione giuridica del fatto, ne' attraverso una modificazione dello stesso (Sez. 3, Sentenza n. 23873 del 08/04/2009 - dep. 10/06/2009, Rv. 244082 - 01). Le giustificazioni contenute a pag. 27 dell'impugnata sentenza (paragrafo sulla "configurazione giuridica dei fatti") sono pertanto assolutamente lineari e scevre da vizi di illogicita' manifeste o da cedimenti argomentativi, essendo infatti rimasto nel capo di imputazione il riferimento allo stato di ebbrezza alcolica come forma di approfittamento iniziale del soggetto agente, cui si e' aggiunta la sostituzione del verbo indurre con costringere, senza che tuttavia che cio' potesse comportare una violazione del principio di correlazione ex articolo 521 c.p.p., anche alla luce del principio consolidato secondo cui la violazione dell'articolo 521 c.p.p. non e' ravvisabile, neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell'articolo 111 Cost., comma 2, e dell'articolo 6 della Convenzione EDU come interpretato dalla Corte Europea, qualora la nuova definizione del reato fosse nota o comunque prevedibile per l'imputato e non determini in concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novita' che da quel mutamento scaturiscono (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015 - dep. 21/07/2015, Lucci, Rv. 264438 - 01), profili di novita' nella specie non ravvisabili posto che nella specie l'imputazione originaria era contestata in forma induttiva, quella modificata dal Pm era in forma costrittiva, e nell'imputazione e' stato mantenuto il riferimento allo stato di ebbrezza alcolica come forma di approfittamento iniziale del soggetto agente, riferimento che non avrebbe avuto ragione di essere mantenuto ove la scelta definitiva, al di la' della mera sostituzione del verbo (indurre - costringere), fosse stata quella di contestare unicamente l'ipotesi dell'articolo 609-bis c.p., comma 1, laddove, diversamente, sia per il riferimento letterale allo stato di ebbrezza alcolica come forma di approfittamento iniziale del soggetto agente, sia ancora, il permanere nell'imputazione del riferimento all'articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1, rendeva evidente la natura alternativa della contestazione. 7.4.2. In tal senso, la giurisprudenza di legittimita' richiamata dal ricorrente a sostegno della tesi difensiva mal si adatta dunque al caso di specie. Infatti, nelle pronunce citate, i giudici di legittimita' hanno riconosciuto la sussistenza della violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza in casi in cui l'imputato era stato condannato "a sorpresa" per violenza sessuale per induzione a fronte di un'iniziale imputazione per violenza sessuale per costrizione. Diversamente, la giurisprudenza di questa Sezione e' del tutto costante nell'affermare che non e' configurabile la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui la condanna, a fronte dell'originaria imputazione di violenza sessuale commessa con costrizione, sia pronunciata per violenza sessuale commessa con abuso delle condizioni d'inferiorita' psichica o fisica, quando la seconda condotta rappresenta la proiezione fattuale della prima e l'imputato abbia potuto difendersi con riferimento a tutti i fatti addebitatigli (Sez. 3, n. 24598 del 03/07/2020 - dep. 01/09/2020, Rv. 279710 - 01). Deve, pertanto, sotto tale profilo ribadirsi che il principio di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, fondato sulla salvaguardia del diritto di difesa, non deve essere interpretato in senso rigorosamente formale o meccanicistico ma, conformemente al suo scopo ed alla sua funzione, in senso realistico e sostanziale, dovendosene escludere, pertanto, la violazione ogniqualvolta l'imputato sia stato in concreto posto in condizioni di compiutamente difendersi e la puntualizzazione dell'originaria imputazione sia comunque avvenuta, pur se con atti diversi e successivi rispetto a quelli tipicamente preposti a tal fine (Conf. sez. 1, n. 982/95 del 12/09/95, Pres. Consoli, imp. Zara, non massimata; conf. Sez. 1, n. 979/95 del 12/09/95, Pres. Consoli, imp. Gannone, non massimata; Sez. 1, n. 10684 del 19/09/1995 -dep. 27/10/1995, Rv. 202535 - 01). 7.4.3. Parimenti priva di pregio risulta la doglianza difensiva relativa all'insufficiente chiarezza dell'imputazione. Sul punto, e' consolidato nella giurisprudenza di legittimita' l'indirizzo secondo cui, ai fini della verifica del rispetto del principio di correlazione tra accusa e sentenza, "si deve avere riguardo alla specificazione del fatto piu' che all'indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia precisato in modo puntuale, la mancata individuazione degli articoli di legge violati e' irrilevante e non determina nullita', salvo che non si traduca in una compressione dell'esercizio del diritto di difesa" (Sez. 3, n. 5469 del 05/12/2013, dep. 2014, Russo, Rv. 258920; Sez. 3, n. 22434 del 19/02/2013, Nappello, Rv. 255772). Nel caso di specie, il fatto addebitato risulta puntualmente e dettagliatamente esposto. Infatti, determinante per superare la censura de qua risulta proprio la lettura dell'imputazione, la quale nella sua struttura complessiva e attraverso il richiamo alle norme di legge, descrive con sufficiente chiarezza la condotta contestata all'imputato, il quale "approfittando delle condizioni psicofisiche di (OMISSIS), che si trovava in stato di ebbrezza alcolica, con violenza consistita nel penetrarla in vagina agendo in modo repentino ed inaspettato mentre la baciava all'interno dell'androne e dell'ascensore del palazzo di (OMISSIS), nonostante il suo diniego, violenza che cagionava alla stessa anche lesioni personali come documentate nei referti ospedalieri (...), costringeva (OMISSIS) a subire atti sessuali consistiti in penetrazione vaginale". Proprio dalla descrizione del fatto contestato emerge chiaramente ed esplicitamente il richiamo sia alla condotta induttiva che a quella costrittiva. Infatti, a differenza di quanto osservato dalla difesa, l'assenza nella contestazione del verbo "induceva" non puo' essere assunto quale elemento sintomatico della mancata contestazione della fattispecie induttiva. Al contrario, dalla descrizione del fatto ascritto all'imputato emerge chiaramente il riferimento all'approfittamento delle condizioni psicofisiche della persona offesa, come del resto chiaro e' il richiamo alle norme di legge violate, tra cui figura anche l'articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1. Si puo' allora affermare che la Corte d'Appello di Firenze, facendo buon governo dei principi precedentemente richiamati, ha giustamente osservato come "lo svolgimento della vicenda (...) ha subito un mutamento di contestazione da parte del PM che da una fattispecie di "induzione" al rapporto iniziale, dopo l'incidente probatorio ha valorizzato invece la "costrizione" e quindi la violenza in danno della vittima piuttosto che lo stato di ebbrezza alcolica, comunque rimasto nella contestazione come forma di approfittamento iniziale del soggetto agente, sostituendo l'azione finale a carico di costui da "induceva" a "costringeva" (pag. 27 sentenza appello). Ne consegue l'assenza di qualsiasi pregiudizio al diritto di difesa, in quanto l'imputazione, modificata in sede di udienza preliminare, e' rimasta inalterata per il prosieguo del processo, sicche' l'imputato ha potuto difendersi in relazione ad entrambe le fattispecie contestate nel corso di tutto il dibattimento. Peraltro, la censura inerente al mancato esercizio di difesa in ordine alla fattispecie induttiva perde ancor piu' di consistenza alla luce del fatto che lo stesso incidente probatorio, celebratosi anteriormente alla modifica dell'imputazione da parte del PM, ha avuto ad oggetto proprio l'iniziale addebito del fatto di violenza sessuale per induzione. Quanto alla illegittimita' sotto l'aspetto sostanziale di tale modifica della originaria imputazione, la censura del ricorrente non ha pregio, posto che la stessa non ha lasciato alcuna traccia nell'apparato sanzionatorio applicato al ricorrente. Infine, con riferimento alle osservazioni proposte dal PG deve evidenziarsi come nel caso di specie, questione dibattuta non sia l'iniziale modificazione dell'imputazione operata dal PM, attraverso la quale si e' segnato il passaggio dalla fattispecie induttiva a quella costrittiva, bensi' la reale portata dell'imputazione cosi' come formulata in sede di udienza preliminare. In particolare, il ricorrente ritiene contemplata nell'imputazione unicamente la fattispecie costrittiva, nonostante l'esplicito richiamo ad entrambe le norme di legge ex articolo 609-bis c.p., comma 1 e comma 2, n. 1. 7.5. Il quarto motivo e' parimenti infondato. Deve essere disattesa la doglianza avanzata dal ricorrente in ordine alla violazione di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d). In proposito, va anzitutto rilevato che il vizio evocato di mancata assunzione di una prova decisiva puo' essere dedotto solo in relazione a specifici mezzi di prova di cui sia stata chiesta l'ammissione a norma dell'articolo 495 c.p.p., comma 2, ed assume, peraltro, rilievo solo quando la presunta prova decisiva, confrontata con le argomentazioni addotte in motivazione a sostegno della decisione, risulti determinante per un esito diverso del processo e non si limiti ad incidere su aspetti secondari della motivazione. Invero, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimita', deve ritenersi "decisiva", secondo la previsione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante. Oltretutto, la prova decisiva deve avere ad oggetto un fatto certo nel suo accadimento e non puo' consistere in un mezzo di tipo dichiarativo, il cui risultato e' destinato ad essere vagliato per effettuare un confronto con gli altri elementi di prova acquisiti al fine di prospettare l'ipotesi di un astratto quadro storico valutativo favorevole al ricorrente. Sez. 5, n. 37195 del 11/07/2019, Rv. 277035 - 01; Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, Rv. 278670 - 01). 7.5.1. Tanto premesso, appare evidente che nel caso di specie non possa parlarsi di prova decisiva, in quanto l'elemento probatorio pretermesso non ha un contenuto tale da risolvere il thema decidendum, necessitando di essere comparato con gli altri elementi acquisiti nel processo. Infatti, non puo' considerarsi decisiva la prova che viene richiesta nella prospettiva meramente ipotetica che il risultato di essa possa introdurre elementi di contrasto, tali da modificare la ricostruzione dei fatti e la valutazione fattane in sede di merito. 7.5.2. Per quanto riguarda il vizio di violazione di legge processuale, pure dedotto con il quarto motivo, sembra necessario, al fine di comprendere compiutamente i termini della questione, riepilogare brevemente i fatti processualmente rilevanti: in previsione dell'incidente probatorio, all'imputato veniva inizialmente contestato il reato di violenza sessuale per induzione di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1; successivamente, nel corso dell'udienza preliminare, il PM modificava l'imputazione contestando "anche" (come visto) il reato di violenza sessuale per costrizione di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 1. Nelle more del dibattimento, il giudice ha ritenuto di non accogliere la richiesta di ripetizione dell'esame gia' reso in sede di incidente probatorio, ritendo che a seguito della modificazione dell'imputazione fosse intervenuta soltanto una riqualificazione giuridica del fatto e che comunque l'argomento era stato sviscerato a sufficienza. Tale sentenza, oggetto di gravame, veniva confermata dalla Corte di Appello di Firenze. Infatti, avendo la difesa dell'imputato dedotto, quale motivo di ricorso in appello, l'illegittimita' del diniego in ordine alla rinnovazione dell'esame testimoniale tanto della persona offesa quanto della teste (OMISSIS), la Corte territoriale, nel respingere la doglianza e condividendo le conclusioni del giudice di primo grado, ha osservato che sarebbe stato fuorviante e ultroneo citare nuovamente le persone offese per interrogarle su fatti che oltre ad essere ormai lontani nel tempo sono stati tutti adeguatamente approfonditi nell'articolato incidente probatorio. 7.5.3. Il ricorrente eccepisce che l'ordinanza del Tribunale di Firenze, resa all'udienza del 2.10.2019, violerebbe gli articoli 190, 190-bis, 495 c.p.p. e articolo 6 CEDU, in quanto avrebbe negato la ripetizione dell'esame testimoniale sebbene fosse intervenuta una modifica dell'imputazione. In primo luogo, preme rilevare come la mancata rinnovazione dell'esame della (OMISSIS) deve essere vagliata esclusivamente alla stregua dell'articolo 190 c.p.p., in quanto la stessa nel presente procedimento figura esclusivamente in qualita' di testimone e non anche di persona offesa, rendendosi di guisa inapplicabile l'articolo 190-bis c.p.p.. Con il disposto dell'articolo 495 c.p.p., comma 2, che riconosce all'imputato il diritto all'ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico, si e' recepita nel nostro ordinamento la norma contenuta nell'articolo 6, n. 3, lettera d) della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo. E' consolidato l'orientamento della giurisprudenza di legittimita', secondo cui il diritto alla prova contraria garantito all'imputato puo' essere denegato, con adeguata motivazione dal giudice solo quando le prove richieste siano manifestamente superflue o irrilevanti. Ne consegue che, il giudice deve decidere sull'ammissibilita' della prova secondo i parametri previsti dall'articolo 190 c.p.p.. Le Sezioni Unite, inoltre, hanno rilevato che il diritto alla prova riconosciuto alle parti dall'articolo 190 c.p.p., comma 1, implica la corrispondente attribuzione del potere di escludere le prove manifestamente superflue ed irrilevanti, secondo una verifica di esclusiva competenza del giudice di merito, che sfugge al sindacato di legittimita' quando abbia formato oggetto di apposita motivazione che abbia dato conto del provvedimento adottato attraverso una spiegazione immune da vizi logici o giuridici (Sez. U, Sentenza n. 15208 del 25/02/2010 - dep. 21/04/2010, Rv. 246585 - 01). 7.6. Tanto premesso in linea generale e passando al caso di specie, e' necessario evidenziare come la doglianza sollevata dal ricorrente sia priva di pregio. Invero, il diniego espresso da parte del Tribunale di Firenze e poi confermato dalla Corte Territoriale aveva ad oggetto la rinnovazione dell'esame testimoniale, il quale si era gia' celebrato in sede di incidente probatorio nel pieno contraddittorio delle parti. I giudici di merito, adeguatamente motivando sul punto, hanno ritenuto che i fatti fossero stati sufficientemente sviscerati in sede di incidente probatorio, rendendosi conseguentemente fuorviante ed ultronea la rinnovazione dello stesso. Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimita' l'anticipata acquisizione della prova realizzatasi con l'incidente probatorio comporta la sua utilizzazione in sede dibattimentale senza alcun bisogno di procedere alla sua rinnovazione a seguito di richiesta del difensore, avanzata in ragione della necessita' di provvedere ad integrazioni ovvero a contestazioni della stessa, risultando diversamente vanificata la funzione stessa dell'incidente probatorio. Infatti, ove la difesa ritenga necessario integrare la prova ovvero contestare nuove emergenze processuali, rientra nel potere discrezionale del giudice del dibattimento valutarne la completezza, salvo il diritto della parte di impugnare la relativa decisione (Sez. 4, n. 1832 del 23/10/2014 - dep. 15/01/2015, Rv. 261771 - 01). 7.6.1. Con riferimento alla persona offesa, poi, giova ricordare che l'articolo 190-bis c.p.p., come modificato dal Decreto Legislativo 15 dicembre 2015, n. 212, e' un istituto derogatorio rispetto alla disciplina generale di cui all'articolo 190 c.p.p., preordinato a tutelare la vittima vulnerabile, affinche' non subisca la c.d. "vittimizzazione secondaria" attraverso la ripetizione delle dichiarazioni. L'esigenza di protezione della persona offesa deve certo essere contemperata con la garanzia del diritto di difesa. In tal senso, il legislatore ha previsto che l'esame della persona offesa in condizione di particolare vulnerabilita' possa essere rinnovato solo in alcuni casi, tra cui quello del reato di violenza sessuale, qualora riguardi fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze. Secondo la giurisprudenza di legittimita', l'assunzione dell'esame di persone che abbiano gia' reso dichiarazioni nei casi previsti dall'articolo 190 bis c.p.p., non deve essere disposto solo perche' la parte interessata lo abbia richiesto, gravando su quest'ultima l'onere di prospettare le ragioni che rendano necessaria la reiterazione della prova e spettando comunque al giudice di apprezzarne il merito anche alla luce di elementi di fatto eventualmente sopravvenuti (Sez. 5, n. 11616 del 30/11/2011 - dep. 26/03/2012, Rv. 252299 - 01). 7.6.2. Orbene, nel caso di specie, il ricorrente ha si' motivato la richiesta di ripetizione dell'esame testimoniale, rilevando che, a seguito della modifica dell'imputazione in sede di udienza preliminare sarebbero mutati gli elementi costitutivi della condotta contestata. Conseguentemente, nell'ottica difensiva, si rendeva necessario escutere nuovamente la persona offesa su fatti e circostanze diversi rispetto a quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni. Ora, e' ben vero che l'articolo 609-bis c.p. prevede due diverse condotte criminose: quella della violenza sessuale mediante costrizione e quella della violenza sessuale mediante induzione. La prima, ossia quella mediante costrizione puo', a sua volta, attuarsi o mediante costrizione - fisica o morale - o mediante abuso d'autorita'. La seconda ipotesi ossia la violenza sessuale per induzione puo' estrinsecarsi o mediante l'abuso delle condizioni d'inferiorita' fisica o psichica della vittima (n. 1), ovvero mediante inganno con sostituzione di persona (n. 2). Secondo la giurisprudenza di legittimita', i reati di violenza sessuale per costrizione di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 1 e per induzione di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1, non sono equivalenti o sovrapponibili tra loro, ma configurano modalita' distinte di realizzazione del fatto. Infatti, le due fattispecie - stante la ontologica contrapposizione della condizione psicologica in cui versa il soggetto passivo, in un caso di rifiuto o comunque di mancata adesione rispetto agli altrui voleri, nell'altro caso di adesione, sia pur in esito ad un viziato processo di formazione della volonta', ad essi - sono fra loro incompatibili, in quanto effetto di due tipologie di condotte poste in essere dall'agente tra loro inconciliabili (Sez. 3, n. 3951 del 28/09/2021 - dep. 04/02/2022, Rv. 282830 - 01). 7.6.3. Fatta questa premessa, e' certo evidente come, nel caso di specie, attraverso la modificazione dell'imputazione intervenuta in sede di udienza preliminare, il PM non si e' limitato a conferire una diversa veste giuridica alla condotta contestata, bensi' ha valorizzato una modalita' materiale di esecuzione della condotta tipica diversa da quella originariamente oggetto di contestazione. Pur in presenza di una diversita' strutturale delle due ipotesi di reato, tuttavia, la pienezza del diritto di difesa e' stata garantita, per le ragioni supra specificate, non solo in relazione alla fattispecie induttiva, ma anche in relazione a quella costrittiva. Nel corso dell'incidente probatorio, infatti, proprio attraverso l'ampio e penetrante esame della (OMISSIS) protrattosi per diverse ore, l'imputato ha avuto modo di difendersi non solo dall'originaria accusa di violenza sessuale per induzione, ma ha esercitato un contraddittorio pieno anche sulle dichiarazioni rese dalla p.o. da cui emergeva progressivamente anche che di violenza sessuale per costrizione si era trattato, come del resto e' reso palese dal fatto che, all'esito dell'esame in sede di incidente probatorio della (OMISSIS), il PM aveva provveduto a riformulare l'imputazione. Alla luce di quanto affermato, seppure non possano integralmente condividersi le conclusioni della Corte Territoriale, la quale ha ritenuto che fosse intervenuta esclusivamente una riqualificazione giuridica del fatto, puo' tuttavia riconoscersi rilievo all'elemento, invece valorizzato dai giudici di merito, in ordine alla completezza e all'esaustivita' dell'incidente probatorio. Questi, infatti, hanno correttamente ritenuto che, comunque, nel corso dell'incidente probatorio siano stati presi in considerazione anche gli elementi fattuali che connotano il mutamento della contestazione, tra cui il diniego della vittima all'atto sessuale e la presenza di segni sintomatici di violenza. Non puo' quindi seguirsi la suggestiva prospettazione difensiva secondo la quale, al momento dell'incidente probatorio, l'accusa contestata al (OMISSIS) verteva unicamente sull'ipotesi induttiva, sicche' la difesa avrebbe affrontato solo "in via incidentale" i richiamati elementi afferenti alla fattispecie costrittiva, senza riconoscere loro il giusto valore, non considerandoli contemplati nell'accusa. L'imputato non si e' trovato di fronte ad una vera e propria trasformazione dell'addebito sulla quale in precedenza non aveva avuto la possibilita' d'interloquire, ma ha assistito, non come passivo spettatore, ma come legittimo e paritario interlocutore con il Pubblico Ministero, svolgendo un pieno contraddittorio su tutti i fatti su cui la (OMISSIS) veniva sentita, ivi inclusi quelli da cui e' poi scaturita anche l'imputazione di violenza sessuale per costrizione, modulando dunque l'esame della persona offesa non solo sui fatti ad origine imputati a titolo di violenza sessuale per induzione, ma anche su quelli, che stavano progressivamente emergendo dall'esame della (OMISSIS) in contraddittorio, afferenti alla violenza "costrittiva". In conclusione, i giudici di merito hanno fatto buon governo dei principi richiamati, non essendo loro imposto nel caso in esame il riesame della persona offesa, affinche' la difesa potesse nuovamente esaminarla anche in relazione al "costringimento" all'atto sessuale, ostandovi non solo la dinamica delle modalita' "a tutto campo" con cui l'esame della (OMISSIS) era stato svolto, ma soprattutto l'esigenza di rispettare il particolare stato di vulnerabilita' della teste, come del resto a piu' riprese richiesto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. 7.6.4. A tal proposito, merita, infatti, di essere qui ribadito che la Corte EDU ha piu' volte ribadito che e' compito dello Stato assicurare le necessarie misure di tutela della persona offesa, la quale, pur essendo in condizione di particolare vulnerabilita', poiche' vittima di reati di violenza sessuale, non deve essere sottoposta a prassi di vittimizzazione secondaria (da ultimo, Corte EDU, Sez. 3, 7 febbraio 2023, B. c. Russia, n. 36328/20). In precedenza, in un'altra fattispecie (Corte EDU, Y c. Slovenia, 28 maggio 2015, n. 41107/2010), la Corte ha in particolare aggiunto, tra gli obblighi gravanti sugli Stati membri ex articolo 8 CEDU, anche il rispetto di una serie di cautele durante il processo penale quando si tratta di audizione delle vittime di violenza sessuale. Per il tramite delle menzionate pronunce si giunge, dunque, a pretendere che il rispetto della vita privata, come interpretata dalla Corte EDU, venga garantito anche all'interno del processo penale, ancorche' con tutte le cautele derivanti dal dover rapportare tale diritto con uno altrettanto rilevante, vale a dire le garanzie di difesa dell'imputato. Nella prospettiva della Corte, da tale norma discende pero' l'obbligo, in capo alle autorita' nazionali, di trattare in maniera diversa soggetti che, in relazione alle particolari circostanze del caso di specie, si trovano in situazioni sensibilmente differenti. Obbligo che diviene ancora piu' rilevante con riguardo alle vittime di violenza di genere e violenza domestica, soggetti vulnerabili ed esposti ad un rischio maggiore per la propria incolumita', che necessitano di una particolare protezione da parte delle Autorita'. E' proprio la consapevolezza di dove proteggere la (OMISSIS), soggetto vulnerabile in quanto vittima di abusi sessuali da parte dell'imputato, scongiurando che la stessa sia esposta ad una vittimizzazione secondaria attraverso un nuovo esame della stessa ex articolo 190 bis c.p.p. giustifica il corretto approdo cui e' giunta la Corte gigliata, a fronte della gia' richiamata assenza di qualsiasi pregiudizio del diritto di difesa, derivante dall'aver l'imputato gia' potuto esaminare, nel piano contraddittorio, in sede di incidente probatorio la p.o., attraverso un controesame che aveva riguardato, come detto, non solo i fatti di violenza induttiva ma anche quelli di violenza sessuale costrittiva, tanto da convincere lo stesso PM a modificare l'imputazione all'esito del suo esame. 8. Puo' quindi procedersi all'esame dei motivi di ricorso proposti dall'Avv. (OMISSIS), che, come anticipato, non si sottraggono al giudizio di infondatezza. 8.1. Con il primo motivo di impugnazione, come dianzi illustrato, si denuncia violazione di legge per erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, articolo 533 c.p.p. e articolo 609-bis c.p., commi 1 e 2, e correlato vizio di carenza ed illogicita' della motivazione desumibile dal testo stesso del provvedimento impugnato (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e)). 8.1.1. Sul punto, il motivo di ricorso e' manifestamente infondato in quanto omette di confrontarsi con la sentenza impugnata riproponendo le medesime questioni affrontate dai giudici di appello. Infatti, il ricorrente manca di individuare elementi idonei a destrutturare l'impianto probatorio a carico dell'imputato, limitandosi ad offrire una rilettura dei fatti rispetto a quella operata dal giudice di appello. A tal proposito giova ricordare la preclusione per la Corte Suprema circa la possibilita' di una nuova valutazione delle risultanze acquisite nel processo da contrapporre a quella del giudice di merito attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilita' delle fonti di prova (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217 - 01; Sez. 3, n. 7380 del 11/01/2007, Rv 235716 01). Anche a seguito della modifica apportata all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), dalla L. n. 46 del 2006, resterebbe non deducibile nel giudizio di legittimita' il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. L'unica possibilita' per estendere l'indagine di legittimita' ad atti esterni al contenuto della decisione rimane il caso di travisamento della prova. Invero, l'introduzione della possibilita' di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo" costituisce il riconoscimento normativo della possibilita' di dedurre in sede di legittimita' il "travisamento della prova" che e' quel vizio in forza del quale il giudice di legittimita', lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto e' stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all'interno della decisione. In altri termini, vi puo' essere "travisamento della prova" qualora il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste (ad esempio, un documento o un testimone che in realta' non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, oppure dovra' essere valutato se c'erano altri elementi di prova inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi, non spettando in ogni caso alla Corte Suprema rivalutare il modo con cui quello specifico mezzo di prova e' stato apprezzato dal giudice di merito. A tal fine, andrebbe comunque indicato specificamente nel ricorso per Cassazione quale sia l'atto che contiene la prova travisata o omessa e il mezzo di prova, che si assume travisato od omesso, deve inoltre avere carattere di decisivita', cioe' deve essere autonomamente dotato di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la rappresentazione risulti in grado di disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali incompatibilita', cosi' da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (cosi' infatti Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758 - 01). Conseguentemente, non sarebbe consentito, in sede di legittimita', proporre un'interlocuzione diretta con la Suprema Corte in ordine al contenuto delle prove gia' esaurientemente scrutinate in sede di merito, risollecitandone l'esame senza positivi elementi di apprezzamento logico (anche se permane qualche dubbio nel caso in cui siano proposte quale criterio di valutazione dell'illogicita' manifesta della motivazione). 8.1.2. Se questa, dunque, e' la prospettiva ermeneutica cui e' tenuta questa Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si dimostrano infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d'appello di Firenze le denunciate illogicita'. E infatti: (1) le dichiarazioni dell'imputato (OMISSIS) non risultano essere "le uniche emergenze probatorie che descrivono compiutamente quanto sarebbe accaduto", e nemmeno "le uniche fonti di prova che rappresentano direttamente l'esistenza di un rapporto sessuale" (pag. 4 ricorso per cassazione (OMISSIS)); (2) il materiale probatorio a disposizione non rientra pienamente nella definizione di "meramente indiziario" offerta dalla difesa a pag. 5 del ricorso (stanti i molteplici esistenti riscontri, sia di natura dichiarativa che clinica) e non e' altrettanto vero che l'unico vero dato indiziario si rinvenga "nelle lesioni riportate dalla persona offesa refertate in sede di visita ginecologica", dunque tale dato non essendo singolo. In ogni caso, e' doveroso rammentare che l'elemento riportato inoltre dal consulente ginecologo (OMISSIS) (secondo cui tali lesioni possono essere riportate anche a seguito di masturbazione manuale, o petting, e che le stesse potevano in ogni caso spiegarsi per secchezza vaginale determinata dall'assunzione di alcol e non perche' sintomatiche di penetrazione forzata) andrebbe certamente valutato in una prospettiva di maggiore e piu' completa contestualita' nella ricostruzione degli eventi, apparentemente generando alcune possibili tensioni argomentative sul reale, ed ipotetico, decorso degli eventi e sulla effettiva consecuzione degli stadi di consumazione del reato di cui in imputazione; (3) la motivazione della sentenza non risulta nemmeno illogica, come afferma a pag. 6 il ricorso per cassazione, ove si afferma che sarebbero sostanzialmente irrilevanti i dettagli relativi al primo periodo in cui si consumava l'approccio della studentessa nei confronti del carabiniere, mentre dovrebbero ritenersi indizi "seri ed inequivocabili" tutte quelle emergenze fattuali relative a quanto accaduto dopo il fatto (come la chiamata al 113; il messaggio all'amico (OMISSIS); la telefonata alla (OMISSIS) con il padre (OMISSIS); l'intervento della tutor). Si sarebbe di fronte, in altri termini, ad una ricostruzione alternativa che e' stata fornita dal ricorrente, senza tuttavia dedurre elementi tali da disarticolare l'intera versione degli accadimenti, pur mettendo in evidenza determinati elementi di riflessione, ma percio' non apprezzabile in sede di legittimita'. 8.1.3. Non hanno, peraltro, rilievo le riscontrate fratture logiche e cronologiche nella versione offerta dai due giudici fiorentini, nonostante lo sforzo ricostruttivo particolarmente accurato della vicenda da parte dei giudici di merito. In particolare: (1) che la (OMISSIS) alle ore 3.18 si trovasse gia' sul pianerottolo del secondo piano risulta essere un postulato difficilmente dimostrabile ove piu' si consideri che il fatto che il telefono della (OMISSIS) abbia agganciato il Wi-Fi di casa non implica, con assoluta certezza e oltre ogni ragionevole dubbio, che fosse sul pianerottolo (si veda osservazione del Tribunale di Firenze, a pag. 86), potendo anche indicare esclusivamente la vicinanza della ragazza alla propria abitazione; (2) il lasso di tempo in cui la difesa colloca la violenza non e' molto maggiore rispetto a quello riconosciuto dai giudici di merito, perche', avallando la ricostruzione difensiva, dalle 3:18 alle 3:24 (ora del video sul cellulare della (OMISSIS)), si tratterebbe di sei minuti in cui il Carabiniere e la (OMISSIS) sarebbero scesi al pian terreno, consumato il rapporto e risaliti: rimarrebbero otto minuti dalle 3:24 alle 3:32, in cui pero' non e' chiaro che cosa avrebbero fatto i due carabinieri una volta saliti a bordo della loro vettura di servizio, sollecitazione operata dal Tribunale (pag. 86) a cui pero' non e' stata data risposta dalla difesa (si puo' rintracciare infatti una parvenza di ricostruzione di una versione alternativa, ma senza specificarne le coordinate crono-temporali, alle pagg. 179-180 atto di appello (OMISSIS)- (OMISSIS) del 30/06/2020, in cui si legge che, dopo che i quattro si erano salutati, "sembra lecito immaginare che i due Carabinieri, lasciato il pianerottolo delle ragazze intorno alle 3:25 abbiano sceso le scale a piedi per arrivare al pian terreno, attraversare la strada e salire in macchina alle ore 3:27", avviandosi infine per Via (OMISSIS) alle ore 3:31). Per le Corti di merito, la violenza si sarebbe dunque consumata "nel giro di cinque minuti", tra le 3:24 e le 3:32, e la ricostruzione della tempistica non si fonderebbe esclusivamente sul ragionamento logico elaborato dal Tribunale, ma anche sulle dichiarazioni rese dalla (OMISSIS), teste nel procedimento n. 12048/2017 R.G.N. R. e p.o. nel giudizio discusso nelle forme del rito abbreviato a carico di (OMISSIS) (per il quale e' intervenuta, come ricordato, sentenza definitiva di condanna in relazione agli eventi intercorsi con la (OMISSIS)). Per tale ultima ragione, risulta possibile smentire anche l'ultimo punto su cui si appunta la critica della difesa, ovvero la salita al secondo piano con le scale della (OMISSIS) e del (OMISSIS) anziche' con l'ascensore, come asserito dalla vittima e dalla coinquilina, sebbene la prima, in forma confusa a causa della sua condizione determinata dall'assunzione di alcol (circostanza peraltro confermata anche dall'amica, la quale, prima di entrare, si accertava delle sue condizioni per paura che stesse male, affermazione che ha poi indotto la Corte d'appello ad escludere che potesse essere stata la (OMISSIS) a trascinare per le scale il carabiniere: in proposito, si veda pag. 20 sentenza della Corte d'appello). 8.1.4. Infine, va ribadito non solo il principio secondo cui una sentenza puo' essere affetta da vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per mancato rispetto del canone di giudizio di "al di la' di ogni ragionevole dubbio", di cui all'articolo 533 c.p.p., comma 1, comporta riflettere anche sul concetto di decisivita' delle prove acquisite (valutazione che non risulta essere stata fatta nel caso in esame), ma anche, e soprattutto, che l'emersione di una criticita' su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non puo' comportare l'annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all'esito di una verifica sulla completezza e sulla globalita' del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l'impianto della decisione (tra le tante: Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017 - dep. 11/10/2017, Rv. 271227 - 01). 8.2. Con il secondo motivo di ricorso, in via ulteriore, la difesa deduce poi violazione di legge per erronea applicazione al caso di specie dell'articolo 609-bis c.p., commi 1 e 2, e correlato vizio di carenza ed illogicita' della motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e)). 8.2.1. Quanto all'elemento dell'ebbrezza alcolica in capo alla (OMISSIS), la ricostruzione dello stato di ebbrezza e, dunque, della condizione di inferiorita' psicofisica al momento del fatto, cosi' come argomentata dalla Corte d'appello di Firenze, non risulta incorrere nella violazione lamentata dalla difesa, che ha, sul punto, omesso di confrontarsi con la pronuncia impugnata. Infatti, "anche a voler criticare la c.d. curva di Widmark per individuare il picco alcolemico" - afferma la Corte d'appello (pag. 25) - "la reazione individuale all'alcol della (OMISSIS) e' individuabile attraverso una seria di elementi esterni, meno scientifici e piu' fattuali". Segnatamente, venivano richiamati: (1) il fatto che la ragazza si sentisse male gia' all'arrivo a (OMISSIS); (2) il semi-svenimento una volta rientrate a casa dopo le violenze subite; (3) la telefonata al 113, questo peraltro segnale di scarsa capacita' della (OMISSIS) di esprimere concetti, non solo in italiano, ma anche in inglese o spagnolo; (4) la descrizione della tutor (OMISSIS) della situazione non appena raggiunta l'abitazione, ovvero la (OMISSIS) che roteava gli occhi, pareva non seguire e non riusciva a stare seduta; (5) la testimonianza del sovrintendente capo (OMISSIS), che descriveva la ragazza "in stato di shock, non parlava, smarrita e catatonica", era la sola ad essere stata fatta stendere sul lettino dell'ambulanza per il trasporto in ospedale. La Corte di appello afferma poi che "e' evidente quindi che al di la' dei grafici e delle scuole di pensiero sui tempi di assorbimento dell'alcol, chi ha visto la (OMISSIS) dopo la violenza subita ha notato come lei non fosse in se' e si fosse affidata alla piu' lucida (OMISSIS) per il racconto su quanto era accaduto, a lei rimasto nebuloso. (...) Non si tratta a questo punto di apodittiche deduzioni, di diagrammi sullo stato teorico di chi assume alcol, fino a che ora ed in che quantita', ma di considerazioni logiche ed inevitabili che derivano dalla diretta osservazione della vittima cosi' come apprezzata da chi e' entrato in contatto con lei subito dopo la violenza subita, riportando poi in fase di dimissioni dall'ospedale (OMISSIS) quel referto di "abuso sessuale in etilismo acuto" delle ore 5.23 che certo non e' frutto dell'autodiagnosi della vittima" (pagg. 25 e 26 sentenza di appello). 8.2.2. Quanto poi all'elemento della manifestazione del dissenso al compimento dell'atto sessuale e la sua percezione da parte dell'imputato (peraltro, dirimente anche circa l'asserito travisamento di prova, di cui al primo motivo di ricorso), logiche sono anche le conclusioni cui era pervenuto il Tribunale di Firenze alla pagina 87 della sentenza, paragrafo 21.6, rubricato "L'osservanza del (OMISSIS) al rifiuto della (OMISSIS) al rapporto orale", in cui si puo' leggere come "sostiene la difesa che la (OMISSIS) avrebbe negato il proprio consenso unicamente al rapporto orale" ("non sarebbe la prima volta, ognuno di noi ha le sue preferenze sessuali, dettate anche dalle ragioni culturali, per cui puo' capitare che uno dei partner del rapporto dica: no, questo particolare atto sessuale non lo voglio fare, ma questo non vuol dire che si deve interrompere il rapporto", f. 82 ud. 21.02.2020 conclusioni). Con questa tesi sembrerebbe abbandonata la versione secondo cui la (OMISSIS) avrebbe prestato un pieno e lucido consenso a tutto il rapporto sessuale intrattenuto con il (OMISSIS) quella notte e si ammetterebbe, in definitiva, che un dissenso espresso comunque vi sarebbe stato. La Corte di Appello risulta aver infatti motivato adeguatamente il proprio convincimento in ordine alla vicenda in contestazione. In particolare, alla luce degli elementi probatori emersi nel corso del giudizio, non sarebbe possibile escludere, allo stato degli atti, la consensualita' nel bacio, mai negata nemmeno dalla stessa ragazza: per i giudici territoriali, in particolare, la condotta dell'imputato si sarebbe concretizzata nell'arco di pochi minuti, cominciando con il bacio e continuando con la ragazza in uno stato confusionale per l'alcol assunto durante la fase dei toccamenti e poi dire no plurime volte. Sui no ripetuti dalla vittima, la Corte di appello ha ritenuto provata la violenza sessuale, esclusa nella fase anteriore perche', per espressa ammissione della vittima, non vi era stata alcuna opposizione. Sembrerebbe, anche se con oscillazioni di eccessivo formalismo, dunque valere il principio secondo il quale, nella motivazione della sentenza, il giudice del gravame non sia tenuto a compiere un'esplicita analisi di tutte le deduzioni delle parti, ne' a fornire espressa spiegazione in merito al valore probatorio di tutte le emergenze istruttorie, essendo necessario e sufficiente che spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dalle quali si dovranno ritenere implicitamente disattese le opposte deduzioni difensive ancorche' non apertamente confutate. In altre parole, non rappresenta vizio censurabile l'omesso esame critico di ogni questione sottoposta all'attenzione del giudice di merito qualora dal complessivo contesto argomentativo sia desumibile che alcune questioni siano state implicitamente rigettate o ritenute non decisive, essendo a tal fine sufficiente che la pronuncia enunci con adeguatezza e logicita' gli argomenti che si sono ritenuti determinanti per la formazione del convincimento del giudice (ex multis: Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Rv. 254988 - 01; Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Rv. 254107 - 01; Sez. 4, n. 34747 del 17/05/2012, Rv. 253512 - 01; Sez. 4, n. 45126 del 06/11/2008, Rv. 241907 - 01). 8.2.3. Nel caso in esame, la Corte d'appello motivava la non consensualita' del rapporto non solo nei "no" pronunciati dalla persona offesa, ma anche sull'elemento dato dalla assenza di lubrificazione nelle zone genitali. Tuttavia, quest'ultimo assunto non risulta illogico atteso che, se la mancata lubrificazione puo' essere la causa (o una concausa, assieme alla possibile mancanza di eccitazione, stanchezza, et cetera) delle lesioni rinvenute sul corpo della vittima a cui si perviene attraverso un ragionamento di tipo inferenziale, lo stesso puo' dirsi per quanto concerne la tipologia di rapporto sessuale, in proposito superando il vaglio di logicita' gli elementi addotti dal tribunale di Firenze (quali l'eta', l'assenza di patologie giustificabili la condizione, per cui si veda da pag. 74 sentenza di primo grado). La Corte di appello ha infatti affermato che "(...) tutte le osservazioni difensive sulla spontaneita' di tale rapporto, negata dalla gravata sentenza, trovano un'ampia smentita non solo nei "no" ripetuti dalla (OMISSIS) e ribaditi in incidente probatorio, quando ha anche aggiunto che aveva solo voglia di dormire (e quindi le sue reazioni verbali sono state limitate e scarne) ma anche dai risultati delle certificazioni, dove oltre allo stato di ebbrezza viene ricavata la traccia di un rapporto forzato dalla disepitelizzazione ed abrasione della forchetta vaginale, che corrisponde all'introduzione del membro della vagina evidentemente non lubrificata". 8.2.4. Peraltro, in ordine alla ritenuta estensione di responsabilita' sulla base di condotte asseritamente non contestate, come gia' detto a proposito dell'identico motivo proposto nel ricorso proposti dagli Avv.ti (OMISSIS)- (OMISSIS), risulta utile ricordare il consolidato orientamento di legittimita' secondo cui non sussiste alcuna incertezza sull'imputazione, quando questa contenga con adeguata specificita' i tratti essenziali del fatto di reato contestato in modo da consentire un completo contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa; la contestazione, inoltre, non andrebbe riferita soltanto al capo di imputazione in senso stretto, ma anche a tutti quegli atti che, inseriti nel fascicolo processuale, pongono l'imputato in condizione di conoscere in modo ampio l'addebito (Sez. 2, n. 2741 del 11/12/2015, dep. 2016, Rv. 265825 - 01), sicche' e' anche legittimo il ricorso al rinvio ad atti del fascicolo processuale, purche' si tratti di atti intellegibili, non equivoci e conoscibili dall'imputato (Sez. 5, n. 10033 del 19/01/2017, Rv. 269455 01). Quanto affermato e' anche conforme ai principi di questa Corte secondo cui non vi e' incertezza sui fatti descritti nell'imputazione quando questa contenga, con adeguata specificita', i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da consentire all'imputato di difendersi (Sez. 5, n. 6335 del 18/10/2013, dep. 2014, Rv. 258948 - 01), tra l'altro fornendo coerente e completa risposto ad identica deduzione in quella sede di gravame prospettata (e gia' enunciata in primo grado), che in questa sede si reitera semplicemente attraverso una critica alla motivazione meramente apparente senza che si indichino in concreto quale parte delle argomentazioni non si condividono (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568 01). Tanto conduce, riportandosi al costante orientamento di legittimita', alla inammissibilita' del ricorso essendo i motivi tesi a lamentare genericamente l'omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna impugnata, senza l'indicazione di precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicita', idonee ad incidere negativamente sulla capacita' dimostrativa di quanto posto a fondamento della decisione di merito (Sez. 2, n. 30918 del 07/05/2015, Rv. 264441 - 01). 8.3. Con il terzo motivo di ricorso, la difesa dell'imputato censura l'erronea applicazione al caso di specie dell'articolo 609-bis c.p. e carenza della motivazione quanto alla prova dell'elemento psicologico e violazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio ex articolo 533 c.p.p.. In sostanza, ribadisce la mancanza della prova del dissenso, trattandosi di rapporto sessuale avvenuto con reciprocita'. 8.3.1. Si deve ricordare, in proposito, in tema di reati contro la liberta' sessuale, nei rapporti tra maggiorenni, il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell'intero rapporto senza soluzione di continuita', con la conseguenza che integra il reato di cui all'articolo 609-bis c.p. la prosecuzione del rapporto nel caso in cui, successivamente a un consenso originariamente prestato, intervenga "in itinere" una manifestazione di dissenso, anche non esplicita, ma per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volonta' (sul punto Sez. 3, n. 15010 del 11/12/2019, Rv. 275393 - 01; ulteriormente, anche se in tema ben differente, anche in caso di solo sopravvenuto dissenso della vittima al rapporto sessuale e' stato riconosciuto legittimo il diniego della circostanza attenuante del fatto di minore gravita', quando, per i mezzi, le modalita' esecutive della condotta, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, e le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'eta', si realizzi una significativa compromissione della liberta' sessuale, in Sez. 3, n. 16440 del 22/01/2020, Rv. 279386 - 01). Ad ulteriore supporto, la sussistenza del consenso all'atto, che esclude la configurabilita' del reato, deve essere verificata in relazione al momento del compimento dell'atto stesso, sicche' risulterebbe anche irrilevante l'antecedente condotta provocatoria tenuta dalla persona offesa (in particolare, Sez. 3, n. 7873 del 19/01/2022, Rv. 282834 - 01), non essendo sufficiente il consenso iniziale quando quest'ultimo si trasformi "in itinere", in atto violento, consumando il rapporto con forme e modalita' non volute dalla vittima (sul punto, Sez. 3, n. 39428 del 21/09/2007, Rv. 237930 - 01). Nel caso in esame, come gia' detto in precedenza, la non consensualita' dei rapporti era motivata non solo nei "no" pronunciati dalla persona offesa, ma anche dalle tracce clinicamente attestate di violenza, dunque del tutto priva di pregio si appalesa la prospettazione difensiva, che non tiene nemmeno conto del lucido e condivisibile passaggio argomentativo contenuto nella sentenza impugnata contenuto nelle pagg. 29/30, in cui viene richiamato un significativo stralcio della motivazione della sentenza di questa sezione (Sez. 3, n. 7873 del 19.01.2022), in cui si evidenzia, tra l'altro, (p. 5.4.) il condivisibile principio, da riaffermarsi in questa sede, secondo cui "La giustificazione di una violenza sessuale in base a comportamenti provocatori posti in essere dalla vittima prima di essere violentata non ha diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento e deve essere ripudiata in tutta la sua portata lesiva della dignita' della persona e della sua liberta' sessuale. Il momento che deve essere preso in considerazione, ai fini del reato di violenza sessuale, e' quello, oggettivo, del compimento dell'atto sessuale, l'unico in relazione al quale va verificata la sussistenza del consenso all'atto stesso, non rilevando, nemmeno sul piano causale, il comportamento "provocatorio" antecedente della vittima nemmeno se, nella mente del reo, esso opera come personalissima convinzione della liceita' del proprio agire. Nei confronti di persona totalmente incosciente ed incapace persino di esprimersi e di reagire il consenso all'atto non puo' essere "recuperato" valorizzando comportamenti precedenti e costituendo l'autore della violenza quale interprete autentico della volonta' della sua vittima". Principio, questo, che correttamente e' stato richiamato nel presente giudizio a fronte della prospettazione difensiva secondo cui, in sostanza, a fronte di un consenso all'atto iniziale (il gia' piu' volte richiamato bacio tra vittima ed imputato), sarebbe poi seguito, a fronte di un dissenso limitato "solo" al rapporto orale, una mancanza espressa di dissenso con riferimento alla fase successiva, cio' che avrebbe in un certo qual senso legittimato il ricorrente a proseguire nel suo proposito criminoso (poi interrottosi, ma quando ormai gli atti compiuti, come si vedra' a proposito dell'esame dell'ultimo motivo, avevano gia' "consumato" il reato di violenza sessuale). 8.3.2. Ne', del resto, puo' sostenersi che il (OMISSIS), nel momento in cui, dopo l'iniziale dissenso al rapporto orale, avesse proseguito ritenendo di essere legittimato a farlo, memore non solo dell'atteggiamento della vittima precedente al rapporto sessuale (il gia' citato bacio) ma soprattutto della asserita assenza di una manifestazione espressa di dissenso, possa essere giustificabile nella sua condotta. Piu' volte infatti questa Corte ha affermato che ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, e' sufficiente che l'agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico; ne consegue che e' irrilevante l'eventuale errore sull'espressione del dissenso anche ove questo non sia stato esplicitato, potendo semmai fondarsi il dubbio sulla ricorrenza di un valido elemento soggettivo solamente nel caso in cui l'errore si fondi sul contenuto espressivo, in ipotesi equivoco, di precise e positive manifestazioni di volonta' promananti dalla parte offesa (Sez. 3, n. 49597 del 09/03/2016 - dep. 22/11/2016, Rv. 268186 - 01). Si e', infine, aggiunto che l'esimente putativa del consenso dell'avente diritto non e' configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l'errore sul dissenso si sostanzia, pertanto, in un errore inescusabile sulla legge penale (Fattispecie in cui l'imputato aveva desunto dal ritorno del coniuge nella casa familiare anche la sua volonta' di riprendere le loro relazioni intime: Sez. 3, n. 2400 del 05/10/2017 - dep. 22/01/2018, Rv. 272074 - 01). 8.4. Infine, con il quarto motivo di ricorso, la difesa, come anticipato, deduce violazione di legge per omessa applicazione al caso di specie dell'articolo 56 c.p., comma 3, ed illogicita' della motivazione. In sostanza i giudici avrebbero errato nel non applicare la diminuzione di pena per la desistenza volontaria manifestata dall'imputato. 8.4.1. Sul punto due sono gli elementi da menzionare. Innanzitutto, deve rilevarsi che il motivo e' stato dedotto per la prima volta soltanto in sede di giudizio di legittimita' (non risultando infatti, tra i dieci motivi di ricorso, alcun motivo riferito alla supposta desistenza volontaria), dunque configurandosi come inammissibile proprio in quanto presentato per la prima volta in sede di ricorso per cassazione ex articolo 606 c.p.p., comma 3. In secondo luogo, risulta utile sottolineare che, in tema di desistenza dal delitto e di recesso attivo, la decisione, rispettivamente, di interrompere l'azione criminosa o di porre in essere una diversa condotta finalizzata a scongiurare l'evento deve essere il frutto di una scelta volontaria dell'agente, non riconducibile ad una causa indipendente dalla sua volonta' o necessitata da fattori esterni (si veda Sez. 3, n. 17518 del 28/11/2018, Rv. 275647 - 01, in una fattispecie in tema di violenza sessuale in cui la Corte ha ritenuto corretta l'esclusione della configurabilita' sia della desistenza volontaria, sia del recesso attivo, nella condotta dell'imputato che, dopo aver avvicinato la vittima all'interno dell'androne della abitazione ed averle tappato la bocca, interrompeva improvvisamente la sua azione intimorito dalla circostanza che la stessa, sino a quel momento, aveva conversato telefonicamente con altra persona). E, su questo tema, si deve anche ricordare come "in tema di desistenza dal delitto, la mancata consumazione del delitto deve dipendere dalla volontarieta' che non deve essere intesa come spontaneita', per cui la scelta di non proseguire nell'azione criminosa deve essere non necessitata, ma operata in una situazione di liberta' interiore, indipendente da circostanze esterne che rendono irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento dell'azione criminosa" (in particolare, Sez. 4, n. 12240 del 13/02/2018, Rv. 272535 - 01, in una fattispecie di tentato furto ai danni di una tabaccheria, nella quale la Suprema Corte ha escluso la configurabilita' della desistenza volontaria nella condotta degli imputati che dopo aver compiuto atti idonei e diretti a commettere il furto si allontanavano scoraggiati dalla presenza di una lastra di metallo che impediva lo sfondamento del muro e dal sopraggiungere degli agenti di polizia; conformi anche Sez. 2, n. 7036 del 29/01/2014, Rv. 258791 - 01; Sez. 2, n. 41484 del 29/09/2009, Rv. 245233 - 01). 8.4.2. Tuttavia, e' necessario ricordare come la desistenza volontaria, in generale, e' istituto applicabile soltanto ove come presupposto vi sia un tentativo incompiuto (tra le tante: Sez. 2, n. 16054 del 20/03/2018 - dep. 11/04/2018, Rv. 272677): nel caso in esame, come gia' detto, non e' possibile parlare di desistenza volontaria, atteso che le condotte attribuite al (OMISSIS) risultano de plano rientranti in una violenza sessuale consumata, e non soltanto tentata, in quanto gli atti posti in essere sino al momento nel quale il (OMISSIS) decise di non proseguire oltre integravano gli stremi del delitto di violenza sessuale. 9. I ricorsi devono, conclusivamente, essere rigettati, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e quelle relative all'azione civile, liquidate come da dispositivo in favore della parte civile (OMISSIS) ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Conformemente a quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di liquidazione, nel giudizio di legittimita', delle spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, compete alla Corte di cassazione, ai sensi dell'articolo 541 c.p.p. e Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 110, pronunciare condanna generica dell'imputato al pagamento di tali spese in favore dell'Erario, mentre e' rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi degli articoli 82 e 83 del citato Decreto del Presidente della Repubblica (Sez. U, ord. n. 5464 del 26/09/2019 - dep. 12/02/2020, De Falco, Rv. 277760 - 01). Quanto, invece, alle ulteriori parti civili (Comune di (OMISSIS); Ministero della Difesa - Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri), segue la condanna del ricorrente anche alla loro rifusione, come da dispositivo, conformemente alle richieste di parte. 10. Copia del dispositivo dev'essere, infine, comunicata ex articolo 154-ter disp. att. c.p.p. all'Amministrazione di appartenenza del (OMISSIS). P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS) ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla Corte di appello di Firenze con separato decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato, nonche' alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili COMUNE DI (OMISSIS) e MINISTERO DELLA DIFESA - COMANDO GENERALE ARMA CARABINIERI che liquida rispettivamente in Euro 3.686 oltre a spese generali ed oneri riflessi ed in Euro 3.485,50. Manda alla cancelleria di comunicare il presente dispositivo all'amministrazione di appartenenza dell'imputato. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto disposto d'ufficio e/o imposto dalla Legge.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROMA QUARTA SEZIONE LAVORO RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il 28.11.2020 (...) conveniva in giudizio, dinanzi l'intestato Tribunale, la (...) S.r.l., in persona dell'amministratrice unica, (...), al fine di vedere accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato esplicatosi, senza soluzione di continuità, alle dipendenze della resistente dal 18 Dicembre 2015 al 15 Aprile 2019 e, per l'effetto, ottenerne la condanna al pagamento delle differenze retributive maturate nel corso del periodo indicato e stimate in Euro 29.887,99; nonché, per conseguire la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato dalla società convenuta con la comunicazione inoltrata il giorno 11 gennaio 2019. In particolare, il ricorrente rappresentava di essere stato originariamente assunto, oralmente e senza alcuna regolarizzazione contrattuale, dalla legale rappresentante della società convenuta, la (...), a partire dal mese di dicembre del 2018 e di essere stato adibito alle mansioni di aiuto pizzaiolo presso la sede lavorativa di via (...) n. 17/19. Tale attività, segnatamente, era svolta sei giorni la settimana, per otto ore giornaliere, distribuite nella fascia oraria 07:00-15:00 o 15:30-23:30 ed in turnazione con altri colleghi, secondo rotazioni stabilite dalla resistente e per un totale, quindi, di 48 ore settimanali. A partire dal 06 febbraio del 2016 e sino al 05 febbraio 2017, poi, la controparte aveva provveduto ad inquadrarlo formalmente, mediante l'attivazione di un tirocinio per l'inserimento lavorativo da esplicarsi nell'intervallo temporale predetto ed attribuendogli la qualifica di "cuoco pizzaiolo". Tale inquadramento, però, aveva avuto un valore solo formale, poiché, in disparte della qualificazione ufficiale così assegnata alla relazione negoziale in parola, egli continuava ad essere adibito alle mansioni originarie, con la stessa articolazione oraria e, pertanto, in condizioni di autentica subordinazione (a tempo pieno ed indeterminato). Una volta terminato il periodo di tirocinio suddetto, poi, l'attività in commento proseguiva in modo sommerso, ma senza interruzioni, sino al 04 marzo 2017; ovvero, fino a quando procedeva alla sottoscrizione di un formale negozio di lavoro subordinato predisposto dalla (...), recante le condizioni sino ad allora osservate e per le mansioni già espletate dal 2015. Tuttavia, in data 10 aprile 2019, la (...) si recava presso la sede lavorativa del ricorrente e gli leggeva il contenuto di una lettera in cui gli intimava il licenziamento per giustificato motivo oggettivo; invitandolo, contestualmente, alla sottoscrizione della missiva per attestarne la ricezione. Egli però si rifiutava di ricevere la comunicazione predetta ed invitava, piuttosto, la resistente ad inoltrarla, regolarmente e per iscritto, presso il suo indirizzo di residenza. Successivamente, tale missiva era poi effettivamente spedita, unitamente alle dichiarazioni di due colleghi che confermavano il rifiuto del lavoratore espresso in sede e, successivamente, il ricorrente provvedeva tempestivamente a contestarne la legittimità con una propria comunicazione del 3 giugno 2019; invitando, altresì, la controparte a revocare il recesso unilaterale espresso ed a disporne, piuttosto, la reintegra nel luogo di lavoro. Fissata l'udienza di discussione, si costituiva in giudizio la società resistente, la quale, contestava integralmente la pretesa del ricorrente, sul rilievo che, contrariamente a quanto asserito dal (...), la collaborazione per cui è causa sarebbe iniziata (solo) nel febbraio del 2016 a titolo di tirocinio formativo, finalizzato a far acquisire al ricorrente le competenze professionali di cui era privo ed all'esito del quale, peraltro, il rapporto in parola sarebbe definitivamente cessato. Solo a far data dal 04 Marzo 2017, poi, sarebbe stata (ri)avviata una collaborazione da qualificarsi come rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed interminato, regolarmente contrattualizzato, e, peraltro, per effetto delle insistenti richieste di assunzione formulate da una conoscente comune che avevano spinto la resistente, pur in assenza di scoperture in organico, a procedere al reclutamento de qua. Nel mese di aprile del 2019, infine, per sopravvenute esigenze organizzative, la società convenuta si vedeva costretta a sopprimere la posizione di aiuto pizzaiolo, sino ad allora rivestita proprio dal (...), e, di conseguenza, ad intimargli il licenziamento oggetto di contestazione. Alla prima udienza del 12.10.2020, preso atto della comune volontà delle parti, si rinviava al successivo 21 ottobre per favorirne la richiesta conciliazione. In quella data, poi, non essendo intervenuta la composizione bonaria della lite, si provvedeva sulle richieste istruttorie formulate dalle parti e, per l'effetto, si disponeva l'escussione dei testi ammessi per il 21.04.21. All'udienza fissata, si procedeva all'audizione dei testimoni comparsi ed, all'esito dell'istruttoria, visto l'andamento della stessa, si invitavano nuovamente le parti ad una conciliazione che, però, aveva esito negativo. Per tale ragione, si disponeva un ulteriore rinvio in prosieguo per l'escussione dell'unico teste non comparso. In data 23.06.2021, poi, dopo l'audizione dell'ultimo testimone citato, preso atto della richiesta della società convenuta di utilizzare il documento recante l'indicazione del Progetto Formativo espletato dal resistente e di cui quest'ultimo aveva disconosciuto la sottoscrizione, si rinviava al 17.11.2021 per l'esibizione dell'originale dell'atto contestato. All'udienza fissata, la società convenuta procedeva alla dovuta allegazione ed il (...) insisteva sul disconoscimento della relativa sottoscrizione, presente in calce al documento in parola, chiedendo una perizia calligrafica. Preso atto delle istanze delle parti, si provvedeva alla nomina della dott.ssa (...) e si rinviava al 25.05.2022 per il giuramento del perito e per il deposito di scritture comparative. In quella data, poi, il consulente designato accettava formalmente l'incarico conferitogli e si assegnavano i termini richiesti per la redazione della dovuta relazione, rinviando per la discussione al 14.12.2022, con termine per note sino a 10 giorni prima. Tuttavia, il 06.07.2022, letta l'stanza del CTU nominato, si disponeva la comparizione personale delle parti, all'esito della quale si rilevava che il documento da periziare offerto dal resistente era diverso da quello depositato in atti e, pertanto, si disponeva di effettuare la perizia sull'originale corrispondente alla copia prodotta in giudizio, confermando il rinvio per discussione precedentemente concesso. All'udienza del 01.03.2023, poi, si invitava il resistente al deposito di conteggio subordinato (a far data dalla formale assunzione sino al 07.03.2023), rinviando nuovamente per la discussione al 13.03.2023. Infine, alla data concordata, preso atto delle conclusioni delle parti, la causa veniva decisa come da dispositivo pubblicamente letto. Sulla scorta delle risultanze processuali, della documentazione depositata in atti e delle circostanze pacifiche, la domanda deve essere parzialmente accolta, poiché risulta adeguatamente provata l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato, esplicatosi tra le parti, senza soluzione di continuità, ma (solo) dal mese di febbraio del 2016 all'aprile del 2019. In particolare, le deposizioni testimoniali rese dai testi di parte ricorrente hanno confermato che, contrariamente a quanto asserito dalla resistente nei propri atti difensivi, il rapporto intercorso tra le parti sia da qualificarsi alla stregua di lavoro subordinato e non come mero apprendistato e che tale relazione negoziale si sia svolta, senza soluzione di continuità, almeno a far data dalla sottoscrizione del contestato piano formativo, avvenuta il 06 febbraio 2016, e sino all'impugnato licenziamento. Difatti, la piena autonomia operativa del (...), su cui hanno riferito senza esitazioni entrambi i testi di parte ricorrente, impone di escludere la sussistenza di un percorso formativo professionalizzante. In merito, giova ricordare che il negozio di apprendistato, disciplinato dal D.Lgs. n. 81 del 2015 (artt. 41-47), si distingue dalla tradizionale subordinazione poiché, a differenza di quest'ultima, ha la propria finalità specifica nell'addestramento professionale e nell'immediata e diretta strumentalità dell'inserimento del dipendente al solo scopo dell'apprendimento che, peraltro, sul piano formale, è cristallizzata nel cd. piano formativo individuale; ovvero nel documento, redatto dall'istituzione competente con il coinvolgimento del datore di lavoro, nel quale viene specificato il percorso che l'apprendista è tenuto a realizzare presso l'impresa deputata al reclutamento. La qualificazione alla stregua di apprendistato, quindi, esige la ricorrenza dei due presupposti indicati e, perciò, dal punto di vista formale, è necessaria la redazione dell'atto suddetto; al contempo, sul piano sostanziale, deve riscontrarsi l'effettiva attuazione del progetto professionalizzante concordato. Pertanto, qualora dalla concreta modalità di esplicazione della relazione negoziale non dovesse emergere lo svolgimento di una reale attività di insegnamento e si rilevi, piuttosto, come nel caso di specie, solo la presenza di un assoggettamento ai poteri di organizzazione, etero direzione e controllo del datore di lavoro, la collaborazione svolta è da ricondursi nell'alveo della tradizionale subordinazione ex art. 2094 c.c. Nel caso di specie, come già rilevato, non sono state riscontrate le caratteristiche qualificatorie illustrate, in quanto, all'esito dell'istruttoria processuale condotta si è rilevata, piuttosto, la ricorrenza di un'autentica soggezione. Dalle indicazioni fornite dai testi predetti, infatti, si evince chiaramente che, contrariamente a quanto asserito dalla resistente, il (...) non ha mai svolto un (mero) percorso di formazione professionale; al contrario, si ribadisce, entrambi hanno posto l'accento sull'autosufficienza del ricorrente rispetto all'esplicazione delle mansioni cui era adibito. Segnatamente, il (...) ha reso una narrazione puntuale, dettagliata e priva di incongruenze degli orari di lavoro, del tipo di attività e dell'intervallo temporale entro il quale la collaborazione in esame è stata effettivamente esplicata e da tale descrizione è emerso che il ricorrente operava senza l'affiancamento di alcun tutor, come, invece, imporrebbe il tipo negoziale in contestazione. Allo stesso modo, anche l'altro teste di parte istante, il (...), oltre a confermare le condizioni di tempo e di luogo predette, ha chiarito con fermezza che il richiedente non era impegnato in un (mero) percorso di formazione professionale; ma, piuttosto, che svolgeva l'attività di pizzaiolo in totale autonomia, essendo già dotato delle necessarie competenze. Peraltro, giova precisare che non vi è motivo di dubitare dell'attendibilità e della veridicità delle dichiarazioni rese dai testimoni predetti, poiché si tratta di persone del tutto prive di interessi in causa e che, soprattutto, hanno avuto modo di percepire direttamente le circostanze di fatto narrate. Segnatamente, il (...) per effetto del rapporto personale intrattenuto con il ricorrente che, come da lui dichiarato, gli consentiva di sentirlo quasi quotidianamente e, soprattutto, di raggiungerlo sul luogo di lavoro almeno una volta a settimana; il (...), invece, proprio in ragione dell'attività lavorativa svolta, essendo stato un collega dell'istante. Al contrario, non appaiono credibili le attestazioni rese dai testi citati dalla resistente, poiché inverosimili, prive di riscontri oggettivi e, persino, esorbitanti rispetto a quanto sostenuto dalla stessa società nella relativa memoria difensiva. Segnatamente, sia il (...) che la (...), qualificatisi come colleghi del (...), hanno riferito che il ricorrente è stato impegnato solo in un tirocinio formativo presso l'azienda convenuta, poiché non ancora in grado di esplicare in autonomia le prestazioni oggetto del presunto apprendistato. La (...), in particolare, ha precisato che il ricorrente "all'inizio vedeva come si svolgeva l'attività, non aveva mansioni e non faceva niente", per poi concludere che solo dopo dieci mesi cominciava (finalmente) a svolgere dei compiti elementari, come il pulire e tagliare le verdure. Orbene, tali affermazioni, oltre ad essere smentite nei fatti dall'attestato professionale prodotto dal (...), appaiono in contrasto, addirittura, con quanto ammesso dalla stessa resistente nel relativo atto costitutivo. La (...), infatti, indica alcune delle attività esplicate dal ricorrente che, pertanto, non si limitava ad osservare il lavoro altrui, ma, piuttosto, si prodigava ad aiutare concretamente i pizzaioli. Come si legge nella memoria costitutiva e contrariamente a quanto asserito dalla teste suddetta, dunque, il (...), pur se sotto la supervisione di un tutor, riceveva i fornitori e provvedeva alla disposizione degli ingredienti e dei condimenti. Quanto sostenuto dalla (...), quindi, è smentito dalle stesse ammissioni della parte resistente e, pertanto, non può che qualificarsi come inattendibile, poiché, per l'appunto, eccentrico e contraddittorio. Per il vero, la versione dei fatti offerta dalla teste in parola, oltre ad essere discordante con quanto ammesso dalla resistente, risulta anche del tutto inverosimile; tant'è vero che, già in sede di deposizione, la testimone è stata prontamente ammonita circa l'obbligo di dire la verità. Non appare credibile, infatti, la circostanza di fatto per cui il (...) avrebbe svolto una mera attività di osservazione passiva per circa un anno e che, quindi, la (...) gli avrebbe corrisposto un compenso pur se "non faceva niente". Tali dichiarazioni, piuttosto, figurano come esorbitanti, contraddittorie e del tutto inverosimili; rendendo, di riflesso, inattendibile la prova dichiarativa de qua. Analogamente inattendibili sono poi da ritenersi le affermazioni del (...) che, pur avendo sostenuto che il ricorrente era "sempre" affiancato da uno dei pizzaioli (tra cui lui stesso) non ha poi saputo riferire nulla circa l'orario di lavoro del collega che avrebbe affiancato. Ancor più dirimente, però, ai fini della predetta qualificazione alla stregua di lavoro subordinato piuttosto che di apprendistato, è l'ulteriore circostanza di fatto che il (...) non abbia mai sottoscritto un valido piano individuale di formazione. La predisposizione di un progetto di inserimento occupazionale, infatti, si ribadisce, rappresenta quel requisito formale che, ancora prima del dato sostanziale dell'effettivo affiancamento di un tutor, pure carente nel caso de quo, impone di escludere del tutto la sussistenza della fattispecie in parola. Per il vero, la controparte, sin dalla sua costituzione, ha provveduto a depositare il documento in esame, ma tale atto è stato prontamente disconosciuto dal ricorrente che, piuttosto, ne ha rinnegato la relativa sottoscrizione. A fronte della contestazione suddetta e della contestuale istanza di verificazione formulata dal (...), poi, è stata disposta la dovuta perizia calligrafica ad opera del consulente designato; all'esito della quale, è emerso che la firma apposta sul documento esaminato, come rivendicato dal ricorrente, non è allo stesso attribuibile. Il perito, segnatamente, dopo aver posto a raffronto l'atto de quo con i documenti identificativi prodotti dallo stesso istante, ha concluso che: "La firma a nome (...), oggetto della verifica, apposta in calce al Progetto formativo sottoscritto in data 5 febbraio 2016 (...) non presenta elementi di comparabilità sostanziali rispetto al materiale comparativo del soggetto esaminato a disposizione di questo consulente e mostra segni coattivi che identificano una diversa personalità grafica rispetto a quella del Sig. (...). La firma apposta accanto alla dicitura "Il tirocinante" non è stata apposta dal Sig. (...), pertanto, la firma in contestazione è da ritenersi APOCRIFA". Giova precisare, peraltro, che non vi è motivo di dubitare dell'attendibilità dell'esame compiuto dal CTU designato che, innanzitutto, a tale scopo, si è avvalso dei documenti di riconoscimento del (...); ovvero, di atti che, vista la loro redazione ad opera di pubblici ufficiali, rappresentano certamente delle fonti attendibili. Al contempo, poi, la relazione tecnica de qua appare frutto di un lavoro accurato e, soprattutto, risultano puntualmente argomentate anche le repliche che il consulente ha dovuto svolgere, a fronte delle contestazioni sollevate dalla controparte (cfr. pagg. 50 e ss. relazione CTU). In particolare, rispetto alle osservazioni prodotte dalla dott.ssa (...), consulente della società convenuta, il CTU ha prontamente precisato che tali considerazioni non sono state frutto di un accertamento tecnico approfondito ed, anzi, denoterebbero piuttosto un'erronea interpretazione operata dal perito di parte rispetto alle valutazioni compiute dalla stessa D.. Per quanto concerne la paternità della firma oggetto di vaglio, infatti, la consulente di parte ritiene del tutto irrilevanti quei particolari, quali la presenza o meno di interruzioni nel tratteggio della sottoscrizione o la disomogeneità dell'energia pressoria impiegata, che, al contrario, la stessa scienza grafologica assume come dirimenti per l'esito positivo del vaglio compiuto. In altre parole, le obiezioni sollevate dalla dott.ssa (...) risultano del tutto prive di fondamento scientifico e rivelano, piuttosto, un'errata applicazione delle stesse regole tecniche alla base dell'esame in parola. Difatti, dopo averne evidenziato, punto per punto le contraddizioni, il CTU conclude che: "le osservazioni addotte dalla collega si rivelano "effimere" e non sufficientemente argomentate da risultare utili a modificare e quanto comprovato dalle dimostrazioni oggetto della relazione preliminare di questo CTU. Le argomentazioni esposte dalla Collega non scalfiscono le dimostrazioni esposte da questo consulente a sostegno dell'apocrifia, non considerano né approfondiscono i temi dell'artificio, e portano a sostegno dell'autografia elementi che non trovano preciso riscontro nelle autografe, non ci sono, infatti, elementi che possano senza alcun dubbio ricondurre la firma in verifica al Sig. (...). Ancora una volta si vuole veicolare l'attenzione del lettore sul fatto che un soggetto giovane come il Sig.(...) che firma e scrive sempre con una certa spigliatezza e velocità generando scritti robusti e discretamente fluidi in questa occasione avrebbe firmato controllando il gesto e generando un tracciato lento, incerto e ricongiunto. ll gesto nelle autografe è decisamente più fluido, omogeneo, personalizzato e vergato ricorrentemente con le medesime peculiarità grafiche che si ripetono costantemente in tutto il panorama comparativo e che sono foriere di spontaneità e di automatizzazione del gesto grafico. La somiglianza tra la verificanda e le autografe è stata minuziosamente sconfessata dai segni coattivi che caratterizzano le firme autografe ed "assenti" nella verificando". Ne consegue che la comprovata carenza di un valido piano di formazione, unitamente alle illustrate modalità di esplicazione dell'attività lavorativa per cui è causa, inducono a ritenere fondate le rivendicazioni avanzate in questa sede dal (...). Dall'escussione testimoniale, come già rilevato, è emersa la stabilità e la continuità dell'attività di pizzaiolo resa in modo del tutto autosufficiente, sempre nel medesimo luogo di lavoro e secondo turni stabiliti settimanalmente dalla rappresentante legale della società convenuta. Tali elementi dimostrano l'esistenza di quel vincolo di soggezione che, a norma del citato art. 2094 c.c., consente la qualificazione del rapporto in discussione come di lavoro subordinato (a tempo pieno ed indeterminato) e non di mero apprendistato. Per quanto concerne, invece, il profilo temporale, pure oggetto di contestazione, deve riconoscersi che le deposizioni rese dai testimoni di parte ricorrente non comprovano che l'inizio della collaborazione sia da farsi risalire al 2015, come rivendicato dall'istante nell'atto introduttivo del presente giudizio. In particolare, il (...), interrogato sul punto, ha riferito di ricordare solo che la relazione lavorativa descritta si sarebbe svolta per circa tre anni; mentre, il (...), essendo stato assunto successivamente, ha potuto confermare la presenza del (...) soltanto dal momento del proprio reclutamento, avvenuto nel novembre del 2018. Per le considerazioni sopra svolte, il ricorso deve essere (solo) parzialmente accolto, con conseguente riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato rivendicato dal ricorrente, ma limitatamente al periodo di cui è stata fornita una prova documentale e, quindi, a far data dal 05 febbraio 2016, momento di avvio dell'attività lavorativa confermato (indirettamente) anche dalla (...) S.r.l. proprio mediante il piano di formazione depositato, e sino al 10 aprile 2019; ovvero, fino all'impugnato licenziamento. Relativamente alla cessazione del rapporto di lavoro in parola, infine, parimenti, si ritengono fondate le doglianze del (...), poiché, alla luce della documentazione prodotta dal medesimo, della cui attendibilità non vi è ragione di dubitare, trattandosi di atti estratti da pubblici registri (cfr. visura camerale del 30.06.2019 depositata), emerge la sopravvenuta assunzione di altri due dipendenti nel trimestre successivo al suo allontanamento forzoso, in assoluta contraddizione con le presunte necessità riorganizzative che, a detta della resistente, avevano imposto la risoluzione del rapporto de quo. In merito, peraltro, giova ricordare che il recesso unilaterale del datore per giustificati motivi oggettivi, disciplinato dall'art. 3 della L. n. 604 del 1966, può essere intimato (solo) per fatti inerenti "all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa". In altre parole, all'ipotesi in esame si riconducono tutte quelle situazioni aziendali che possono comportare la soppressione di un posto di lavoro per fattori eccezionali contingenti ed imprevedibili (es. crisi di mercato) o per effetto di scelte imprenditoriali rispetto a precise strategie produttive da avviarsi (es. automazione di un processo produttivo); nonché per fatti attinenti alla sfera del dipendente ma, a differenza dell'altra forma prevista dall'art. 3 (il cd. giustificato motivo soggettivo), non imputabili allo stesso a titolo di colpa. Ebbene, nel caso di specie, come già anticipato, non si ritiene che ricorra nessuno dei presupposti illustrati; al contrario, la condotta della (...) S.r.l. si pone del tutto in contraddizione con gli intenti dalla stessa denunciati. Sebbene, infatti, la società resistente abbia dichiarato, sia all'atto del licenziamento che nel relativo scritto difensivo, che la decisione di interrompere la collaborazione con il (...) sia da ricondursi esclusivamente alla necessità organizzativa di sopprimere il posto dallo stesso rivestito, in seguito a tale iniziativa, però, come comprovano le visure camerali e gli scontrini prontamente esibiti dal ricorrente, ha reclutato altri due dipendenti adibiti proprio alle mansioni cui era (già) destinato il richiedente e, persino, a partire dal 13.11.2019, ha inaugurato due nuove sedi; scelte imprenditoriali, quelle riscontrate, del tutto incompatibili con le presunte difficoltà economiche che, a detta della resistente, l'avrebbero costretta all'allontanamento del P.. A ciò si aggiunga che, rivestendo in concreto il ricorrente la posizione di pizzaiolo, il medesimo ben avrebbe potuto essere adibito allo svolgimento delle relative mansioni presso gli esercizi di nuova apertura. Ne consegue che, non essendo stati osservati i predetti requisiti sostanziali, il licenziamento impugnato è da reputarsi illegittimo e la società convenuta, a norma dell'art. 8 della L. n. 604 del 1966, deve essere condannata alla corresponsione di un'indennità che, tenuto conto della condotta complessivamente assunta dalla medesima, non può che determinarsi nel valore massimo di legge; ovvero, nella somma corrispondente a sei mensilità della retribuzione globale di fatto concordata dalle parti che, a fronte di uno stipendio di 1.769,87 Euro, è da individuarsi nell'importo di 10.619,22 Euro. Per l'effetto, risultano certamente dovute le differenze retributive ed i compensi di cui il ricorrente esige in questa sede il riconoscimento; nonché la tredicesima mensilità ed il trattamento di fine rapporto maturate per le somme richieste sulla base del conteggio di cui, peraltro, si è disposta opportuna integrazione,per un totale di Euro 25.397,31. Su tutte le somme riconosciute al ricorrente sono altresì dovuti gli accessori dalle singole date di maturazione dei crediti fino all'effettivo soddisfo. Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, invece, seguono la consueta regola della soccombenza prescritta dall'art. 91 c.p.c. Inoltre, il comportamento processuale della resistente è rilevante anche ai sensi e per gli effetti dell'art. 96, co. 3 c.p.c., a norma del quale "in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'art. 91 c.p.c., il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata". Sul punto, giova ricordare che la misura suddetta, a differenza delle ipotesi di responsabilità extracontrattuale speciali (già) contemplate dai primi due commi della norma in esame, è stata introdotta nel 2009 (L. n. 69 del 2009) con il dichiarato intento di individuare un vero e proprio strumento punitivo che, oltre a rappresentare un indennizzo per la parte vittoriosa rispetto all'illecito processuale patito a seguito del contegno scorretto assunto dalla controparte, mira altresì a salvaguardare l'interesse pubblico all'impiego corretto e non distorto del procedimento civile. In altre parole, si tratta di un istituto a funzione mista, pensato (anche) per stigmatizzare tutte le condotte che integrino un abuso dello strumento processuale, poiché palesemente infondate, irragionevoli o meramente dilatorie (ex multis Corte Costituzionale n. 139/2019). L'eccentricità della fattispecie in parola rispetto alle due ipotesi risarcitorie già previste dai primi due commi dell'art. 96 c.p.c., peraltro, giustifica il differente regime normativamente previsto. Segnatamente, tale forma di condanna non richiede né la domanda di parte né la prova del danno, essendo necessaria, piuttosto, la sussistenza di un duplice presupposto: uno oggettivo, dato dalla soccombenza totale e concreta della parte, ovvero dalla sua integrale condanna alle spese di lite, ogni qual volta ciò sia dipeso da un abuso del processo quando il sistema di giustizia sia stato avviato o rallentato da una condotta abusiva o da una condotta apparentemente rientrante nella sfera di esercizio del diritto di difesa, ma in realtà priva di ragioni fondanti; uno soggettivo, rappresentato, secondo l'opinione maggioritaria, dalla mala fede o dalla colpa grave in capo alla parte soccombente nell'agire o resistere in giudizio (cfr. Cass. 9 dicembre 2019, n. 32090). Nel caso di specie, si ritengono integrati entrambi i requisiti illustrati. In particolare, sul versante oggettivo, ricorre la totale soccombenza della (...) S.r.l.; su quello soggettivo, parimenti, si riscontra la piena consapevolezza da parte della medesima dell'infondatezza delle relative rivendicazioni ed, anzi, dalla condotta processuale assunta emerge con evidenza la strumentalità delle obiezioni svolte rispetto al fine di sottrarsi alla corresponsione di quanto dovuto. La società convenuta, infatti, ha fondato la propria difesa sulla circostanza che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il rapporto intercorso con il medesimo si sarebbe svolto nelle forme dell'apprendistato. Per avvalorare tale ricostruzione, ha provveduto anche al deposito del (presunto) piano di formazione che il (...) avrebbe sottoscritto all'atto del reclutamento. Inoltre, sempre allo scopo di supportare la qualificazione giuridica in parola, ha indicato come testi due ex dipendenti che avrebbero assistito, almeno in parte, alla presunta formazione del resistente. Ebbene, le fonti di prova indicate, non solo si sono rivelate inadeguate a comprovare quanto sostenuto dalla controparte, ma, piuttosto, denotano la sussistenza di quella mala fede nel resistere in giudizio richiesta come presupposto soggettivo dal citato art. 96 co. 3 c.p.c.. Per quanto concerne il documento prodotto, infatti, a fronte del disconoscimento della relativa sottoscrizione eccepita dal ricorrente, è stato sottoposto ad un puntuale esame da parte del perito grafologico designato da cui è emersa l'effettiva falsità della firma apposta in calce al medesimo. Peraltro, sempre ai fini della sussistenza del requisito psicologico predetto, non è trascurabile neppure l'ulteriore circostanza di fatto che il documento originariamente offerto al consulente nominato per la conduzione dell'esame si sia rivelato difforme da quello depositato in giudizio e che, pertanto, si sia resa necessaria la fissazione di una nuova udienza tesa proprio a consentire (finalmente) l'acquisizione dell'atto in originale, con conseguente allungamento dei tempi di definizione del giudizio. Siamo dinanzi, quindi, ad un tentativo di modificare l'oggetto dell'esame peritale ed alla comprovata esibizione di un atto recante una sottoscrizione apocrifa. Tali condotte non possono essere ascrivibili ad una mera negligenza del resistente; piuttosto, ad una deliberata volontà di rallentare l'iter processuale e, soprattutto, di evitare la soccombenza. Parimenti, i due testimoni suddetti hanno reso dichiarazioni del tutto inattendibili e, in particolare, la (...) è stata ammonita sull'obbligo di dire la verità, proprio perché le circostanze di fatto dalla stessa narrate sono parse in contraddizione persino con le dichiarazioni rese dalla resistente. Quanto sopra illustrato, come già rilevato, si considera sufficiente per disporre in conformità all'art. 96, co. 3 c.p.c. Per quanto concerne la determinazione della somma equitativamente dovuta dalla (...) S.r.l. per l'abuso processuale perpetrato in danno del ricorrente, poi, giova ricordare che, come confermato anche dall'orientamento pretorio prevalente, siccome la norma non fornisce alcun criterio per la sua liquidazione, il giudice, nel rispetto del principio di ragionevolezza, può quantificare detta somma sulla base dell'importo delle spese processuali, ovvero di un loro multiplo o di una loro frazione, o anche tenuto conto del valore della controversia (in questo senso, cfr. Cass., III sez. civ., n. 26435/2020 e Cass., III sez. civ., n. 17902/2019). Pertanto, in conformità all'indirizzo predetto, si ritiene congruo stabilire che il risarcimento dei danni in parola sia correttamente individuato nella somma di Euro 6.000,00. P.Q.M. Come in dispositivo. Così deciso in Roma il 13 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 77 del 2017, proposto da Ro. Bu., rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Pi., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Fe. Sc. in Roma, via (...); contro Ia. In. Ap. La. S.r.l., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ma. e Ca. Va.; nei confronti Regione Autonoma della Sardegna, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda n. 556/2016, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ia. In. Ap. La. S.r.l., ed il ricorso incidentale da questa proposto; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2023 il Cons. Giovanni Tulumello e viste le conclusioni delle parti come in atti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza gravata il T.A.R. della Sardegna: a) ha accolto il ricorso introduttivo di primo grado, con cui si impugnava la graduatoria provvisoria degli ammessi al corso teorico/pratico per operatore socio sanitario, in relazione alla mancata attribuzione del punteggio previsto per il caso di valore del reddito ISEE compreso tra 0 e 7.500 euro; b) ha dichiarato improcedibile il primo ricorso per motivi aggiunti, rivolto contro il provvedimento di sospensione provvisoria dall'attività di tirocinio del 18 settembre 2015, perché superato dal successivo provvedimento n. 2119/15 del 19 ottobre 2015 dell'ISFORCOOP; c) ha rigettato nel merito - ritenendo infondate le due eccezioni di inammissibilità sollevate da IAL - il secondo ricorso per motivi aggiunti, proposto contro quest'ultimo provvedimento, adottato a seguito di "presunti comportamenti deontologicamente scorretti nei confronti dei pazienti, parenti e del personale del P.O. Marino designato alla sua formazione...", osservando che "i gravi fatti descritti in atti" non sono stati "nella sostanza neppure contestati ma solo giustificati dal sig. Bu."; d) ha rigettato il terzo ricorso per motivi aggiunti, con cui si impugnava "il verbale della riunione del Collegio docenti - Corso OSS - Pr. Ar. del 17/12/2015 trasmesso in allegato alla racc. a/r ISFORCOOP, prot. 289/15 del 18/12/2015, nella parte in cui non l'ha ammesso a valutazione finale per mancanza dei requisiti", per mancata "preventiva comunicazione del provvedimento di non ammissione alla valutazione finale", e per difetto di motivazione; e) ha dichiarato improcedibile il quarto ricorso per motivi aggiunti, con cui si era impugnato "sia l'inserimento con riserva nella graduatoria degli operatori socio sanitari qualificati, sia il diniego opposto alla richiesta di rilascio dell'attestato di qualifica di OSS", "per sopravvenuta carenza di interesse a seguito della sopra disposta reiezione dell'impugnazione proposta avverso la sospensione temporanea e la successiva decisione di non ammissione alle prove d'esame del ricorrente, giacché tale decisione comporterà, quale inevitabile conseguenza, l'esclusione del sig. Bu. dalla graduatoria nella quale finora egli è stato inserito in forza di provvedimenti di tutela cautelare". 2. La sentenza indicata è impugnata con appello principale dal ricorrente in primo grado. 2.1. Con il primo motivo contesta la declaratoria d'improcedibilità del primo ricorso per motivi aggiunti. Il mezzo è infondato: l'effetto del "superamento del tetto massimo di assenze per essere ammesso agli esami di qualifica" è stato correttamente riferito dal T.A.R. al successivo provvedimento impugnato con i secondi motivi aggiunti ("A causa dell'allontanamento temporaneo, che per quanto sopra deve ritenersi correttamente disposto, il sig. Bu. non ha frequentato neanche la metà delle ore del tirocinio sanitario, superando altresì il limite di assenze consentito dal regolamento di selezione ai fini del positivo superamento del corso"). L'interesse a coltivare il primo ricorso per motivi aggiunti è dunque venuto meno, in conseguenza degli effetti del provvedimento impugnato con il secondo ricorso per motivi aggiunti. 2.2. Con il secondo motivo contesta il rigetto del secondo ricorso per motivi aggiunti, con particolare riguardo alla dedotta illegittimità della previsione regolamentare concernente i presupposti per l'esercizio del potere disciplinare. In secondo luogo, si "eccepisce l'omessa pronuncia del TAR Sardegna sull'eccepita illegittimità derivata della sanzione definitiva dell'allontanamento dal corso, impugnata con il ricorso per secondi motivi aggiunti, per i vizi che affliggono la sospensione provvisoria, impugnata con i primi motivi aggiunti, da intendersi qui integralmente richiamati". Entrambi i profili di censura sono infondati. 2.2.1. Quanto al primo, il T.A.R. ha in proposito ritenuto che "il regolamento Corsi, all'art. 11, stabilisce che l'allievo verrà dimesso (e non sospeso) dal corso anche per motivi comportamentali tali da compromettere il regolare svolgimento dell'attività formativa, nonché per scarso o comunque negativo rendimento nelle attività didattiche, ma è anche vero che l'anzidetta prescrizione regolamentare sottende, seppur in termini generali, la necessità che i corsisti osservino un comportamento conforme a diligenza e correttezza soprattutto nello svolgimento del tirocinio sanitario e sociale. Sotto questo profilo la mancata espressa previsione della "sanzione" dell'allontanamento temporaneo dall'attività didattica per motivi disciplinari, lungi dal configurarsi come una inammissibile sanzione atipica, rappresenta esercizio della potestà discrezionale di vigilanza dell'istituto formatore finalizzata a garantire un corretto e proficuo svolgimento del corso, imprescindibile soprattutto allorché l'attività di apprendimento viene svolta presso strutture pubbliche che si rendono disponibili a partecipare a siffatti procedimenti formativi senza peraltro poter esercitare, in via diretta, alcun potere nei confronti dei corsisti che, ovviamente, non assumono un diretto rapporto con la struttura ospitante. Se questo è vero, resta evidente che i gravi fatti descritti in atti - nella sostanza neppure contestati ma solo giustificati dal sig. Bu. - dei quali quest'ultimo si è reso responsabile, ben giustificano la determinazione di allontanamento dall'attività adottata dall'istituto resistente. Ed invero in presenza di situazioni da lui non condivise verificatesi nel P.O. Marino si sarebbe dovuto limitare ad informare il suo tutor evitando di assumere iniziative personali, ponendosi in contrapposizione col personale di servizio e con i parenti dei pazienti e, addirittura, disattendendo le prescrizioni impartite in ordine alla dieta prescritta per i degenti. Sotto questo profilo la disposta sospensione per 24 giorni della frequenza del corso non solo appare legittimamente impartita ma si rivela anche congrua nella sua quantificazione". Tale motivazione non risulta superata dalle censure proposte con il mezzo in esame: le condotte risultanti dagli atti, se pur riferite a divergenze nella gestione ed organizzazione del servizio (ed anzi proprio per tale ragione), avrebbero dovuto comportare una reazione non di contrapposizione con il personale e con i parenti dei degenti, ma di adeguata segnalazione al tutor: tanto più in considerazione del fatto che l'appellante si trovava in fase di formazione, e che dunque agli ordinari doveri comportamentali connessi alla funzione si aggiungeva il relativo onere. Né risulta assistito da un idoneo principio di prova l'affermazione secondo la quale le condotte realmente poste in essere sarebbero state diverse da quelle accertate nei provvedimenti gravati. 2.2.2. Quanto al secondo, l'infondatezza discende automaticamente dall'infondatezza del primo motivo di appello, e comunque dell'autosufficienza del provvedimento portante la sanzione definitiva. 2.3. Con il terzo motivo contesta il rigetto del terzo ricorso per motivi aggiunti. Il mezzo censura il preteso difetto di motivazione della sentenza sull'eccepito sviamento: il T.A.R. "nulla motiva e nulla dice in ordine all'eccepito sviamento e all'effettiva finalità della non ammissione a valutazione finale, che purtroppo è stata quella ritorsiva e punitiva nei confronti dell'appellante, che tutt'ora gli impedisce di poter accedere alle occasioni lavorative come OSS". In realtà il T.A.R. ha giustamente ritenuto assorbente il profilo della mancata frequenza per un numero di ore sufficienti: rispetto al quale, trattandosi di causa che preclude in modo dirimente ed autosufficiente l'accesso al bene della vita, ogni ulteriore questione è priva d'interesse. 2.4. Con il quarto motivo l'appellante contesta la declaratoria di improcedibilità del quarto ricorso per motivi aggiunti. Il T.A.R. ha in proposito osservato che "Col 4° ricorso per motivi aggiunti il sig. Bu. ha quindi impugnato sia l'inserimento con riserva nella graduatoria degli operatori socio sanitari qualificati, sia il diniego opposto alla richiesta di rilascio dell'attestato di qualifica di OSS. Tale ricorso, tuttavia, dev'essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse a seguito della sopra disposta reiezione dell'impugnazione proposta avverso la sospensione temporanea e la successiva decisione di non ammissione alle prove d'esame del ricorrente, giacché tale decisione comporterà, quale inevitabile conseguenza, l'esclusione del sig. Bu. dalla graduatoria nella quale finora egli è stato inserito in forza di provvedimenti di tutela cautelare". In argomento l'appellante osserva che "La declaratoria di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso per i quarti motivi aggiunti merita di essere impugnata e, viceversa, sussiste l'interesse dell'appellante a vedere annullati, tanto, il verbale del 21/01/2016 e gli esiti degli esami di qualificazione professionale del Pr. Ar. corso Operatore Socio Sanitario, in parte qua, risulta qualificato con riserva, quanto, il rigetto della richiesta di rilascio dell'attestato di qualifica di OSS al ricorrente (fax 29.2.2016 a firma dell'Avv. Ma. Ma. e riferibile al RTI Pr. Ar.). Il mancato apprezzamento della legittimità o meno dell'atto impugnato da parte del Primo Giudice alla luce dei vizi d'invalidità derivata e vizi propri proposti in primo grado, giustificano in questa sede l'integrale rinvio ai medesimi vizi ed inficiano per omessa pronuncia anche questo capo della sentenza di primo grado". Il mezzo è inammissibile e comunque infondato. L'appellante, al di là dell'assertiva - e non altrimenti motivata - affermazione della perdurante sussistenza di un interesse rispetto all'esame di censure relative a provvedimenti i cui effetti sono superati dalle conseguenze della definitiva esclusione dalla graduatoria finale, non espone argomenti critici, tali da superare la contestata statuizione della sentenza di primo grado. 3. L'appellante incidentale ripropone le eccezioni in rito non accolte in primo grado: si tratta di un'impugnazione condizionata (qualificata in epigrafe come "subordinata"), come tale assorbita dal rigetto per infondatezza dell'appello principale (come del resto si ricava dalle conclusioni proposte in via principale dalla parte appellata). 4. L'appello principale è pertanto infondato e come tale va respinto; l'appello incidentale va dichiarato improcedibile. La peculiarità della vicenda giustifica la compensazione fra le parti delle spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, rigetta l'appello principale e dichiara improcedibile l'appello incidentale. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Michele Corradino - Presidente Pierfrancesco Ungari - Consigliere Stefania Santoleri - Consigliere Giovanni Pescatore - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9580 del 2021, proposto da Da. Pe., rappresentato e difeso dall'avvocato Eu. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Università della Calabria, non costituito in giudizio; Sa. Im., rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Sa., con domicilio digitale come da PEC (omissis); Università della Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ma. e Ad. Gr., con domicilio digitale come da PEC (omissis) e (omissis); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Prima n. 01538/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Sa. Im. e dell'Università della Calabria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 marzo 2023 il Cons. Marco Morgantini e uditi per le parti gli avvocati Eu. Ba. per l'appellante e Al. Sa. per parte controinteressata; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso introduttivo proposto per l'annullamento del decreto rettorale dell'Università della Calabria, con cui sono stati approvati gli atti della commissione giudicatrice nominata per la procedura di valutazione comparativa per la copertura di n. 1 posto di professore universitario di ruolo II fascia da coprire mediante chiamata ai sensi dell'art. 24, comma 6, Legge 240/2010, per il settore concorsuale 05/D1, settore scientifico disciplinare BIO/09 (fisiologia), presso il dipartimento di biologia, ecologia e scienze della terra dell'Università della Calabria (DIBEST). Alla luce degli esiti del ricorso principale il Tar ha dichiarato improcedibile il ricorso per motivi aggiunti, con il quale parte ricorrente impugnava la proposta di chiamata della controinteressata quale professore universitario di II Fascia. Tali atti venivano impugnati per illegittimità derivata dai medesimi vizi già denunciati con il ricorso principale. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze. La ricorrente contestava la legittimità dell'attività della commissione la quale, sia in punto di valutazione dell'attività didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti (art. 3 del D.M. 344 del 2011) sia in punto di valutazione dell'attività di ricerca scientifica (art. 4 del D.M.) sia ancora in punto di valutazione delle pubblicazioni scientifiche (art. 4, comma 3 del medesimo D.M.) - avrebbe a suo dire sistematicamente proceduto ad una capziosa ed illegittima (s)valutazione dei suoi titoli e dall'altro, ad una sopravalutazione dei titoli della candidata poi risultata vincitrice. In sintesi il Tar ha ritenuto che la ricorrente, analizzando singolarmente i singoli criteri e subcriteri, piuttosto che dimostrare un'evidente insostenibilità ed illogicità del giudizio complessivo posto in essere dalla Commissione tenda a rinnovare in sede giurisdizionale un'attività di valutazione comparativa già svolta in via amministrativa, rispetto alla quale, però, non è dato rinvenire, nel suo complesso ed in disparte l'opinabilità delle scelte (rientrante nel merito insindacabile), una situazione di evidente irragionevolezza come tale censurabile. 2.1 Si sono costituite in giudizio per resistere all'appello l'Università della Calabria e la controinteressata Sa. Im.. L'appello è infondato. Il collegio condivide l'osservazione generale, contenuta nella sentenza appellata, secondo cui la ricorrente, analizzando singolarmente i singoli criteri e subcriteri, piuttosto che dimostrare un'evidente insostenibilità ed illogicità del giudizio complessivo posto in essere dalla Commissione, vorrebbe rinnovare in sede giurisdizionale un'attività di valutazione comparativa già svolta in via amministrativa, rispetto alla quale, però, non è dato rinvenire, nel suo complesso ed in disparte l'opinabilità delle scelte (rientrante nel merito insindacabile), una situazione di evidente irragionevolezza come tale censurabile. 2.2 Secondo parte appellante la commissione una volta insediata, anziché specificare e dettagliare i criteri da utilizzare per la valutazione comparativa dei candidati, si sarebbe limitata a riportare pedissequamente le generiche previsioni di cui al DM 344/2011. 2.2 - bis La censura è infondata perché la commissione ha effettuato la valutazione non solo sulla base dei criteri e degli standard qualitativi di cui al d. m. n° 344 del 2011, ma anche sulla base degli ulteriori elementi di qualificazione didattica e scientifica previsti dal dipartimento e ritenuti necessari per il posto messo a concorso, così come riportati all'art. 1 del bando, come si desume dal verbale d'insediamento della commissione. Si tratta di criteri che nel loro insieme guidano la commissione a garantire imparzialità e trasparenza nell'esercizio dei poteri di discrezionalità tecnica. La commissione infatti individuava così i seguenti specifici criteri, come da d. m. n° 344/2011: a) valutazione dell'attività didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti, attraverso: -) numero dei corsi di insegnamento tenuti presso l'Università degli Studi della Calabria e presso altre Università e continuità della tenuta degli stessi con particolare riferimento agli insegnamenti del SSD BIO/09 ed ai corsi di cui gli stessi hanno assunto la titolarità ; -) esiti della valutazione da parte degli studenti, con gli strumenti predisposti dall'ateneo, dei moduli/corsi tenuti; -) partecipazione alle commissioni istituite per gli esami di profitto; -) quantità e qualità dell'attività di tipo seminariale, di quella mirata alle esercitazioni e al tutoraggio degli studenti, ivi inclusa quella relativa alla predisposizione delle tesi di laurea, di laurea magistrale e delle tesi di dottorato. b) valutazione dell'attività di ricerca scientifica, attraverso: -) organizzazione, direzione e coordinamento di gruppi di ricerca nazionali e internazionali, ovvero partecipazione agli stessi; -) conseguimento della titolarità di brevetti; -) partecipazione in qualità di relatore a congressi e convegni nazionali e internazionali; -) conseguimento di premi e riconoscimenti nazionali e internazionali per attività di ricerca. Inoltre, ai fini della valutazione dell'attività di ricerca scientifica, la Commissione prevedeva, sulla base di quanto stabilito dal predetto D.M. n. 344/2011: -) la valutazione ponderata delle pubblicazioni o dei testi accettati per la pubblicazione secondo le norme vigenti nonché di saggi inseriti in opere collettanee e di articoli editi su riviste in formato cartaceo o digitale con l'esclusione di note interne o rapporti dipartimentali; -) la valutazione in maniera ponderata della consistenza complessiva della produzione scientifica del candidato, l'intensità e la continuità temporale della stessa, fatti salvi i periodi, adeguatamente documentati, di allontanamento non volontario dall'attività di ricerca, con particolare riferimento alle funzioni genitoriali, sulla base degli ulteriori seguenti criteri: -) originalità, innovatività, rigore metodologico e rilevanza di ciascuna pubblicazione; -) congruenza di ciascuna pubblicazione con il profilo di professore universitario di seconda fascia da ricoprire oppure con tematiche interdisciplinari ad esso strettamente correlate; -) rilevanza scientifica della collocazione editoriale di ciascuna pubblicazione e sua diffusione all'interno della comunità scientifica; -) determinazione analitica, anche sulla base di criteri riconosciuti dalla comunità scientifica di riferimento dell'apporto individuale del ricercatore nel caso di partecipazione del medesimo a lavori in collaborazione. La commissione faceva altresì riferimento ai seguenti indicatori, riferiti alla data di inizio della valutazione: 1) numero totale delle citazioni; 2) numero medio di citazioni per pubblicazione; 3) "impact factor" totale; 4) impact factor" medio per pubblicazione; 5) combinazioni dei precedenti parametri atte a valorizzare l'impatto della produzione scientifica del candidato (indice di Hirsch o simili). 2.3 L'appellante lamenta che la commissione, relativamente al macrocriterio "valutazione dell'attività di ricerca" abbia di fatto omesso qualsiasi giudizio e si sia limitata, invece, a fotografare i due profili curriculari. La commissione avrebbe anche descritto l'attività di ricerca documentata da ciascun candidato in modo volutamente piatto ed acritico, tale da uniformare i candidati, così celando/mascherando la differenza esistente tra gli stessi. Tale descrizione non avrebbe consentito di ricostruire l'iter logico che ha portato la commissione a preferire un candidato rispetto all'altro. 2.3 - bis. La censura è infondata. Infatti, come si è correttamente espresso sul punto il Tar, la Commissione si è così espressa: - la candidata Pe. "ha ottenuto riconoscimenti per la sua attività scientifica, tra i quali è stata invited speaker a congressi, vincitrice di un award per comunicazione scientifica, componente dell'editorial board di una rivista ISI e Referee per diverse riviste internazionali. Ha ottenuto finanziamenti per progetti di ricerca scientifica inerenti al settore concorsuale. Molteplici sono le collaborazioni scientifiche nazionali e internazionali"; - la candidata Im. "ha ottenuto finanziamenti per progetti di ricerca scientifica inerenti al settore concorsuale ed ha partecipato a molte collaborazioni scientifiche a livello sia nazionale sia internazionale. Riconoscimenti della sua attività scientifica sono anche indicati da partecipazioni a congressi scientifici come invited speaker. La candidata svolge attività di Referee per diverse riviste scientifiche internazionali". Ne consegue che tanto per la appellante quanto per la controinteressata sono state evidenziate, e dunque valorizzate, l'attitudine alla ricerca e alla capacità di attrarre fondi per la ricerca, di modo che non si ritiene di pregio l'assunto di parte ricorrente sull'asserita situazione di svalutazione della sua posizione (nel senso di aver la Commissione abbia solo apparentemente "fotografato" i due profili curriculari), non essendo evincibili, sul punto, elementi specifici e pregnanti dai quali inferire una significativa illogicità o un travisamento dei presupposti di fatto, idonei a mettere in discussione - per quanto consentito in sede giurisdizionale - la correttezza delle valutazioni della Commissione, i cui apprezzamenti (in merito alla rilevanza, a fini valutativi, della temporalità e della numerosità di progetti, riconoscimenti o finanziamenti) sono comunque presenti nel giudizio. Inoltre la valutazione dell'attività di ricerca ha concorso insieme agli altri criteri di valutazione a determinare la preferenza dei candidati. 2.4 L'appellante lamenta che nella valutazione dell'attività di ricerca la commissione avrebbe omesso di rilevare i numerosi errori presenti nel CV della vincitrice. Ritiene che tra i progetti presentati dalla dr.ssa Im. sotto la voce finanziamenti per l'attività scientifica: i) il primo di cui risulta coordinatore (2017) non sarebbe un progetto, ma una convenzione con un ente; ii) il secondo di cui risulta partecipante non sarebbe stato finanziato dal MIUR ma solo in minima parte dall'ateneo; iii) il progetto POR Calabria 2007-2013 di cui risulta coordinatore non sarebbe un progetto ma il finanziamento di un assegno di ricerca; iv) il finanziamento della Provincia di Cosenza a favore del Master non sarebbe un progetto di ricerca ma un sostegno alla didattica; v) i progetti di ricerca dell'ateneo ex 60% non sarebbero bandi competitivi ma finanziamento ordinario a tutti i ricercatori. 2.4 -bis. La censura è infondata perché la commissione ha specificamente valutato nell'ambito di tali progetti la capacità di ottenere finanziamenti per progetti di ricerca scientifica. L'appellante non ha dimostrato il contrario. 2.5 L'appellante lamenta che con riferimento al sotto criterio della "organizzazione, direzione e coordinamento di gruppi di ricerca nazionali e internazionali, ovvero partecipazione agli stessi" la commissione avrebbe pure ignorato l'attività di direzione di laboratori di ricerca delle due candidate. 2.5 - bis. La censura è infondata. Resiste alla censura dell'appellante la motivazione della sentenza appellata, secondo cui l'appellante non ha prodotto alcun atto formale dal quale si possa evincere la sussistenza di tali titoli. Quanto sopra risulta confermato dalla memoria della controinteressata, che fa riferimento ai verbali dei Consigli di Senato Accademico cui spetta la ratifica dell'Istituzione dei laboratori dipartimentali e dei responsabili degli stessi, in cui i titoli cui fa riferimento l'appellante non risultano. 2.6 Anche con riferimento al macro-criterio della "valutazione dell'attività didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti l'appellante lamenta la commissione avrebbe omesso di esprimere un giudizio di valore e/o qualitativo dell'attività svolta dai singoli candidati, limitandosi ad una mera descrizione/fotografia dei loro profili curriculari. La commissione avrebbe così illegittimamente azzerato la portata selettiva di tali macro-criteri. 2.6 - bis. La censura è infondata. La commissione, con riferimento alla controinteressata, ha accertato l'avvenuto svolgimento della seguente attività didattica: "la candidata ha svolto attività didattica ininterrottamente dal 2003 quale titolare di molti Corsi di insegnamento, tutti interni al SSD BIO/09, e, dal 2005, in qualità di Componente del Collegio docente del Corso di Dottorato di Ricerca in Biologia Animale e, più recentemente, del Corso di Dottorato in Scienze della Vita. La Candidata, inoltre, svolge funzioni di docenza in Scuole dì Specializzazione e Master di I e di II livello, per quest'ultimo fungendo anche da Coordinatore scientifico. La Candidata ha svolto anche una cospicua attività didattica integrativa, organizzativa e di servizio agli studenti fra cui il tutoraggio di dottorandi, di specializzandi e di assegnista di ricerca ed è stata tutor per tirocini curricolari di formazione e orientamento per corsi di laurea triennali." Con riferimento all'appellante la commissione ha accertato l'avvenuto svolgimento della seguente attività didattica: la candidata ha svolto attività didattica continua quale titolare di Corsi di insegnamento tutti interni al SSD BIO/09 in diversi corsi di laurea con elevato grado di soddisfazione degli studenti ed in corsi post-laurea. La Candidata ha svolto anche attività didattica integrativa, organizzativa e di servizio agli studenti, in particolare seguendo gli studenti per tesi di laurea, di dottorato e Master di I livello. E' Presidente o Componente di numerose commissioni di esami di profitto. Dal 2003 al 2016 è stata membro del Collegio del dottorato di Ricerca in Biologia Animale prima e in Scienze della Vita presso Unical dopo. Attualmente, è membro aggregato del dottorato di Ricerca in Scienze della Vita presso Unical." Il collegio osserva che la commissione ha specificamente delineato il profilo di attività didattica svolta con ciò motivando congruamente le ragioni di preferenza. 2.7 L'appellante ritiene che, anche con riferimento al macro-criterio relativo alla "valutazione delle pubblicazioni scientifiche", non sia possibile comprendere l'iter logico che ha seguito la commissione per giungere alla propria decisione finale. Secondo l'appellante non corrisponderebbe al vero che tutte le pubblicazioni presentate dalla dr.ssa Im. sarebbero indicizzate ISI, ma solo 30 delle 32 pubblicazioni vantate. Con riferimento alle pubblicazioni della controinteressata ritiene quanto segue: - la pubblicazione 25 non sarebbe un lavoro in extenso come dichiarato, ma una semplice nota di sole due pagine pag 85-86; - la rivista su cui è pubblicata tale nota non solo non sarebbe indicizzata ISI, ma risulta presente sul database scopus con un indice di citazione di 0.04 e non 1.2 o 0.57 come dichiarato dalla Im.; - relativamente alla pubblicazione sub n. 5 la dr.ssa Im. avrebbe dichiarato che la stessa sarebbe pubblicata sulla rivista "Current Medicinal Chemistry" con IF attuale di 3.25, si tratterebbe però all'evidenza di un falso poiché tale lavoro risulta invece pubblicato sulla rivista "Current Medicinal Chemistry: Immunology, Endocrine and Metabolic Agents" che sarebbe una rivista priva di IF; - la dr.ssa Im. dichiara sulle 32 pubblicazioni un IF totale di 87.7 (IF medio su 30= 2.92) riferito all'anno di pubblicazione ed un IF totale di 97.56 (IF medio su 30= 3.25) come dato aggiornato, ciò mentre, dai dati ufficiali ISI risulterebbero questi differenti valori: IF totale di 82.957 (IF medio su 28= 2.96) riferito all'anno di pubblicazione ed un IF totale di 61.558 (IF medio su 26= 2.36) come dato aggiornato. Contesta la motivazione della sentenza appellata sul punto, secondo cui "non spetta alla Commissione effettuare le verifiche amministrative in ordine alla veridicità delle dichiarazioni sostitutive, circostanza da cui discende l'infondatezza della censura". Ritiene non motivato il "giudizio" della commissione sulla produzione scientifica, perché farebbe riferimento a due laconiche asserzioni secondo cui la produzione scientifica della Im. sarebbe di "qualità elevata", mentre quella della ricorrente sarebbe di soltanto di "buona qualità ". Al contrario di quanto ritenuto dalla commissione, il numero di citazioni e l'IF sarebbero superiori per l'appellante. L'appellante ritiene altresì non motivato il giudizio della collocazione editoriale delle pubblicazioni, ritenuta "buona o ottima" per la vincitrice e solamente "buona" per l'appellante. L'appellante avrebbe presentato all'interno delle 15 pubblicazioni molti più lavori in fascia alta (Q1 e Q2) rispetto alla dr.ssa Im.. Secondo l'appellante soltanto ad un osservatore distratto la produzione scientifica della dr.ssa Im. potrebbe risultare in sensibile aumento negli anni più recenti e ciò solo in quanto quest'ultima ha dichiarato dal 2012 ben 16 pubblicazioni su riviste internazionali e tre capitoli di libro. Senonché, ove la commissione avesse verificato la veridicità di quanto affermato/dichiarato dalla candidata, si sarebbe accorta, innanzitutto, che le pubblicazioni non sono 16 ma piuttosto 14: - una, infatti, sarebbe una mera nota (25 dell'elenco); - una sarebbe un capitolo di libro (31 dell'elenco); La commissione avrebbe dovuto rilevare che di queste 14 pubblicazioni solo 10 sono lavori scientifici mentre 4 sono reviews. Laddove per review si intende lo studio di un argomento attraverso una mera disamina critica dei lavori originali pubblicati fino a quel momento da soggetti terzi: non è pertanto un lavoro sperimentale. Ciò mentre per articolo scientifico si intende il resoconto di uno studio completo e originale, con struttura ben definita e costante (introduzione, materiali e metodi, risultati, discussione, conclusione, bibliografia). Peraltro, secondo l'appellante, anche con riferimento ai soli 10 lavori scientifici prodotti dal 2012 risulta che dr.ssa Im. avrebbe un ruolo prevalente (primo o ultimo nome) solo in 5 di essi (nn. 29, 28, 24, 22, 21), un ruolo paritetico in uno (n. 17), mentre, negli altri 4 (nn. 32, 30, 19,18), avrebbe un ruolo decisamente secondario. L'affermazione della commissione, secondo cui la produzione della dr.ssa Im. sarebbe negli ultimi anni in sensibile aumento, ove attentamente verificata, risulterebbe in realtà errata/sviata, visto che non terrebbe conto del reale numero delle pubblicazioni e neppure della natura oggettiva di tale produzione. Altrettanto sviata sarebbe la contestuale affermazione relativa alla leggera flessione della produzione scientifica della ricorrente relativamente all'ultimo periodo. 2.7 - bis. La censura è infondata. Il collegio osserva che, con riferimento alle pubblicazioni, la commissione ha fatto riferimento ai seguenti profili. Per la controinteressata: "la produzione scientifica complessiva della candidata consiste in 32 !avori in extenso, tutte in riviste indicizzate lSI, e 4 capitoli di libro dal 2001 ad ora. La produzione scientifica, di qualità elevata, è pienamente coerente con la tipologia dell'impegno scientifico richiesto dal bando dì selezione, risulta continua sia in termini temporali sia in termini di tematiche affrontate, è caratterizzata da una buona o ottima collocazione editoriale su riviste di rilievo internazionale e risulta in sensibile aumento negli anni più recenti. Nell'ambito delle 15 pubblicazioni presentate a valutazione, l'impact factor medio per pubblicazione e l'indice delle citazioni bibliografiche, opportunamente normalizzati in funzione dell'arco temporale della produzione e sulla base di criteri riconosciuti nella comunità scientifica internazionale di riferimento, complessivamente, risultano rispettivamente di buono e di ottimo livello e l'apporto individuale della candidata alle attività di ricerca e sviluppo eseguite in collaborazione risulta ben enucleabile ed è preminente in 5 pubblicazioni nelle quali è ultimo autore e 9 pubblicazioni nelle quali è primo autore. Inoltre, è correspondì ng author in 10 delle 15 pubblicazioni." Per l'appellante: "la produzione scientifica complessiva consiste in 33 lavori in extenso, 30 dei quali in riviste 151, e 6 capitoli di libro dal 1994 ad ora. Sono presenti inoltre numerosi contributi a congressi nazionali e internazionali. Tale produzione, di buona qualità, è pienamente coerente con la tipologia dell'impegno scientifico richiesto dal bando di selezione, risulta continua in termini temporali, anche se con una leggera flessione negli anni più recenti, e nelle tematiche affrontate, ed è caratterizzata da una buona collocazione editoriale su riviste di rilievo internazionale. Nell'ambito delle 15 pubblicazioni presentate a valutazione, l'impact factor medio per pubblicazione e l'indice delle citazioni bibliografiche, opportunamente normalizzati sia in funzione dell'arco temporale della produzione sia sulla base di criteri riconosciuti nella comunità scientifica internazionale di riferimento, risultano entrambi di buon livello e l'apporto individuale della candidata alle attività di ricerca e sviluppo eseguite in collaborazione è enucleabile e risulta preminente in 6 pubblicazioni nelle quali è ultimo autore, e in 4 nelle quali è primo autore." Con tale premessa il collegio ritiene di condividere la motivazione sul punto espressa dal Tar, secondo cui: - l'apprezzamento delle pubblicazioni indicate in curriculum, la formulazione di un giudizio con riferimento a numero, natura, collegialità, continuità e collocazione delle pubblicazioni in riviste internazionali, da considerarsi ai fini della complessiva formulazione del giudizio con riferimento ai singoli candidati, costituisce di norma attività riservata all'amministrazione e la sua contestazione sic et simpliciter si sostanzia in un'inammissibile ripetizione dell'apprezzamento di merito dell'Amministrazione; - nei concorsi a docente universitario l'impact factor (cioè il numero di citazioni che una certa pubblicazione ha avuto su riviste in un determinato arco temporale) non è criterio vincolante in via esclusiva per misurare l'originalità scientifica della pubblicazione che è rimessa alla diretta valutazione della commissione; - le censure di parte appellante finiscono, per un verso, con lo svolgere, di fatto, funzione di integrazione dell'istruttoria alla base del giudizio reso dalla commissione (attività di per sé non consentita in sede giurisdizionale), circostanza, peraltro, ancora più delicata per il fatto che, l'assenza di un vincolo a ricorrere ad una specifica banca dati, rende più marcatamente soggettivo l'apprezzamento della commissione, circostanza da cui si consegue che le deduzioni dell'appellante non possono essere considerate quale "indice rivelatore" di una "discriminazione" nei suoi confronti. Il collegio osserva che nel proprio giudizio la commissione per la controinteressata ha fatto riferimento ad un giudizio di "buono e ottimo livello", anche con riferimento alla "normalizzazione in funzione dell'arco temporale della produzione ossia la controinteressata ha dimostrato una maggiore produzione scientifica per anno. La commissione, con riferimento all'appellante, ha fatto riferimento ad un "buon" livello, anche tenuto conto dell'arco temporale della produzione e quindi della circostanza che l'appellante ha riscontrato una leggera flessione negli anni più recenti. Tale ultima circostanza non è stata in concreto smentita dall'appellante. Sotto tale profilo la controinteressata, nella memoria depositata in giudizio in data 9 febbraio 2023 (pagina 17,) ha invece evidenziato che "anche considerando che la prof.ssa Im. abbia 29 pubblicazioni, come contestato in ricorso (sempre infondatamente), normalizzando per età accademica, si perviene ad un valore superiore rispetto a quello della dott.ssa Pe., laddove nel mentre per la prof. Im. la media sarebbe di 1,7 lavori/anno (29 pubblicazioni/17anni), per la d.ssa Pe. di appena 1,25 lavori/anno (pari a 30 pubblicazioni/24anni)." 2.8 L'appellante lamenta che la controinteressata "abbia sistematicamente dichiarato il falso" (pagina 26 dell'appello). 2.8 - bis. Il collegio osserva trattasi di censura infondata perché non dimostrata, come risulta confermato dalla circostanza che sul punto l'appellante chiede al collegio di esercitare i propri poteri istruttori. 2.9 L'appellante lamenta che la preferenza accordata alla controinteressata non sarebbe correttamente motivata dalla commissione sulla base di un idoneo giudizio comparativo. 2.9 - bis. La censura è infondata. Il collegio ritiene che resista alle censure dell'appellante la motivazione della sentenza appellata, secondo cui dall'esame dei verbali di gara si apprezza la formulazione di un giudizio su ciascuno dei candidati, alla luce dei criteri di bando richiamati nel verbale n. 1 e la conseguente valutazione comparativa. In conclusione l'appello deve pertanto essere respinto. La condanna alle spese del giudizio d'appello segue la soccombenza in favore dell'amministrazione resistente e dell'avv. Al. Sa., difensore antistatario della controinteressata Im. Sa., liquidandole, per ciascuna delle parti, in complessivi euro 2.000,00, oltre rimborso forfettario spese legali, IVA e CPA come per legge. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante alle spese del giudizio d'appello in favore dell'amministrazione resistente e dell'avv. Al. Sa., difensore antistatario della controinteressata Im. Sa., liquidandole, per ciascuna delle parti, in complessivi euro 2.000,00, oltre rimborso forfettario spese legali, IVA e CPA come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Giovagnoli - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. DE GREGORIO Eduardo - Consigliere Dott. PEZZULLO Rosa - Consigliere Dott. SESSA Renata - rel. Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 26/11/2021 della CORTE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA; il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PASSAFIUME SABRINA ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso; il difensore della parte civile ha chiesto rigettarsi il ricorso; il difensore dell'imputato ha insistito nell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con sentenza del 26.11.2021 la Corte di Appello di Napoli ha confermato la pronuncia emessa in primo grado nei confronti di (OMISSIS), che lo aveva dichiarato colpevole del reato di atti persecutori e di lesione volontaria aggravata ai sensi dell'articolo 585 c.p. e articolo 576 c.p., n. 1 (articolo 61 c.p., n. 2). In particolare all'imputato al capo A) e' ascritto il reato p. e p. dall'articolo 612 bis c.p., commi 1 e 2, perche' con piu' condotte reiterate nel tempo, minacciava e molestava (OMISSIS), dopo che la stessa nell'aprile del 2013 aveva deciso di troncare la relazione sentimentale intrattenuta con lo stesso; in particolare, profferiva costantemente al suo indirizzo frasi ingiuriose del tipo "Puttana, zoccola", la seguiva ripetutamente nei suoi spostamenti a piedi e con la propria autovettura, si recava continuamente presso l'abitazione dove viveva con il proprio nucleo familiare, controllandone i movimenti (anche nella caserma ove gli stessi prestano servizio in qualita' di militari dell'Esercito Italiano) e le abitudini (controllandone persino il traffico telefonico) e pronunciando nei suoi confronti frasi fortemente minacciose, del tipo "ti ammazzo; ti levo dalla faccia della terra; se non stai con me ti uccido; hai passato i guai con me puttana ti faccio scomparire; ti faccio vedere lo chi sono; a tu non hai capito che nella merda stai e nella merda resterai; hai fatto pace con tuo marito eh- su questa terra... lo e te dobbiamo stare insieme... solo cosi' saremo felici lo nemmeno tra dieci anni ti posso vedere felice con un altro", minacciandola ripetutamente di rendere pubblica la loro relazione. La tempestava di telefonate e di sms pervenuti sulle utenze telefoniche in uso alla persona offesa, mediante i quali in maniera insistente ed ossessiva le chiedeva di instaurare nuovamente la relazione sentimentale. Assumeva nei suoi confronti atteggiamenti molesti e violenti consistiti anche in sputi in faccia, picchiandola ripetutamente con calci e pugni ed accusandola di avere diversi amanti. In un'occasione si poneva all'inseguimento del veicolo condotto dalla persona offesa che era in compagnia della sorella minore (OMISSIS), costringendola a fermarsi per profferire nei confronti delle due donne la seguente espressione: "vi faccio fare la fine dei brillantini". La seguiva e ne controllava ogni movimento anche presso il luogo di lavoro (Caserma "(OMISSIS)" di Avellino dell'Esercito Italiano) anche durante il periodo in cui la (OMISSIS) e' stata affiancata da un tutor, nella persona del Caporal Maggiore, (OMISSIS). Infine, sebbene sottoposto alla misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa, dopo aver notato la (OMISSIS) alla guida della propria autovettura, invertiva la marcia del proprio veicolo per inseguirla. Successivamente si appostava sotto l'abitazione del nonno della persona offesa e quando quest'ultima decideva di andare via continuava a seguirla fino ad affiancarla con la propria autovettura, profferendo la seguente espressione: "non ce la faccio piu', la colpa e' solo tua se stiamo cosi', vedi quello che devi fare", accompagnando tali frasi mimando l'invio di baci e mostrandole al contempo dei fazzoletti di carta monouso sui quali aveva scritto le seguenti espressioni: "nammurate' e' bella la canzone - ti manco". In tal modo cagionava nella persona offesa un perdurante e grave stato di ansia e di paura, un fondato timore per l'incolumita' propria e dei suoi prossimi congiunti e la costringeva ad alterare le proprie abitudini di vita, in particolare a non uscire di casa per il timore di incontrarlo e a spegnere il proprio cellulare per non essere contattata. Con l'aggravante del fatto commesso da persona che e' stata legata da relazione alla persona offesa; e al capo B) il reato p. e p. dagli articoli 582 - 585 c.p. (in relazione all'articolo 576 c.p., n. 1)) perche', agendo al fine di commettere il reato di cui al Capo A), colpendo con calci e pugni in diverse parti del corpo, cagionava ad (OMISSIS) lesioni personali giudicate guaribili in gg. 2 come da certificato in atti (In (OMISSIS)). 2.Ricorre per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo sei motivi. 2.1.Coi primi quattro motivi, trattati unitariamente in ricorso, si lamenta che non sia stata rispettata la regola della condanna "al di la' di ogni ragionevole dubbio"; il travisamento della prova, la mancanza e illogicita' di motivazione ovvero la motivazione apparente; l'erronea applicazione degli articoli 192 e 530 codice di rito, per l'incertezza e inconcludenza delle prove acquisite; la nullita' della sentenza in relazione all'articolo 187, articolo 192, commi 1 e 2, articoli 546 e 125 codice di rito. L'incongruenza e illogicita' della motivazione risiede cosmicamente ed emerge in tutta evidenza dallo stesso testo impugnato - cosi' testualmente in ricorso - laddove seppur citando sommariamente le dichiarazioni testimoniali e ponendole a confronto con l'affermata attendibilita' si realizza un'evidente incongruenza. Le testimonianze infatti collidono insanabilmente con il dichiarato della persona offesa, perche' emerge in tutta evidenza che lo stesso dato temporale riferito ovvero una conclusione della relazione a far data dall'aprile 2013 non trova riscontro nelle acquisizioni di foto e messaggi, che addirittura estendono tale relazione fino al 12 settembre 2013 (nei motivi e' riportato un messaggio del tutto concludente), proseguita fino alla data dell'arresto dell' (OMISSIS) nel 2014, e addirittura vi e' la ricerca da parte della persona offesa dell'imputato dopo averlo denunciato. In particolare il giudice di appello non tiene in alcun conto, nel valutare l'atteggiamento comunque ritenuto integrare la fattispecie criminosa in argomento, che mentre la persona offesa all'epoca dei fatti era gia' coniugata, madre di un figlio, dotata di attivita' lavorativa, invece l'imputato era un militare volontario in forma prefissata a termine, per cui sotto un profilo razionale e logico e' del tutto incongruente il giudizio espresso circa la capacita' di agire e le contraddizioni insite nel comportamento assunto in quanto esse denotano un quid diverso se correlato all'eta' e al grado di maturazione sociale della donna oltre che alla fisiologica intelligenza e praticita' di cui sono portatisi le donne, sicuramente piu' mature ed esperte degli uomini nell'affrontare la vita la quotidianita' e nel determinarsi in ogni problema della vita relazionale (cosi' testualmente in ricorso). Ne' e' stata fornita risposta esauriente in ordine alla deduzione difensiva che faceva rilevare come la donna si fosse recata solo dopo tre giorni dalla denuncia in ospedale a far refertare la lesione subita, circostanza imputata nella sentenza impugnata alla reticenza della persona offesa a denunciare la condotta laddove la relazione extraconiugale tra i due era gia' ampiamente di dominio pubblico. Indi si indicano ulteriori circostanze di fatto alla stregua delle quali ritenersi la inattendibilita' della versione della persona offesa e la incongruenza e sostanziale apparenza della motivazione della sentenza impugnata. 2.2.Col quinto motivo deduce la nullita' della sentenza impugnata in relazione agli articoli 187, 192, 546 e 125 c.p.p., evidenziando come il giudice di appello abbia confermato la credibilita' della persona offesa in contrasto con le evidenti prove citate, giustificando tra l'altro le discrasie con un giudizio di immaturita' che da tutti gli atti non emerge affatto. 2.3.Col sesto motivo deduce violazione di legge con riferimento agli articoli 62-bis, 132 e 133 c.p., in particolare si lamenta che nonostante la concessione delle attenuanti generiche, la pena e' stata determinata in maniera eccessiva e cio' nonostante non potesse trovare applicazione nel caso di specie, risalendo i fatti al 2013, la L. n. 69 del 2019. 3. Il ricorso e' stato trattato, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, senza l'intervento delle parti che hanno cosi' concluso per iscritto: il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso; il difensore della parte civile ha chiesto rigettarsi il ricorso, allegando nota spese; il difensore dell'imputato ha insistito nell'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile in quanto meramente reiterativo e comunque involgente vizi non rilevabili in sede di legittimita'. 1.1. I primi quattro motivi - gia' trattati congiuntamente in ricorso - pur nella loro diversa declinazione in relazione a ciascuno degli aspetti evidenziati, si risolvono nella confutazione delle risultanze processuali sull'assunto della mancata considerazione delle prospettazioni dalla difesa che avrebbero, nella prospettazione difensiva, dovuto condurre all'assoluzione dell'imputato ex articolo 530 c.p.p.. Al riguardo si impongono delle precisazioni preliminari. Innanzitutto, va ricordato che non e' consentito, in sede di legittimita', attraverso la deduzione del vizio di motivazione mirare alla rivalutazione del compendio probatorio, fornendosi una lettura alternativa delle risultanze processuali. Ed invero, nel giudizio presso la Corte di cassazione non e' possibile invocare una valutazione o rivalutazione degli elementi probatori al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimita' un giudizio di fatto che non le compete. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibe', Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260). Ne' la Suprema Corte puo' trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Invero, solo l'argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato puo' essere sottoposto al controllo del giudice di legittimita', al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all'esigenza della completezza espositiva (Sez. 6, n. 40609 del 01/10/2008, Ciavarella, Rv. 241214). Neanche ha rilievo, per forzare i tradizionali limiti del giudizio di legittimita', la regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio, a cui in buona sostanza fa capo l'impostazione difensava del ricorso. Ed invero, tale regola dell'"al di la' di ogni ragionevole dubbio", secondo cui il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se e' possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalita' e plausibilita', impone all'imputato che, deducendo il vizio di motivazione della decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimita', attraverso una diversa ricostruzione dei fatti, l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza, di fare riferimento ad elementi sostenibili, cioe' desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali (Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014 - dep. 08/05/2014, C e altro, Rv. 26040901). Detto principio, introdotto nell'articolo 533 c.p.p. dalla L. n. 46 del 2006, come pure ha gia' avuto modo di osservare questa Corte, non ha quindi mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza e non puo' essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicita' di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicita' sia stata oggetto - come nel caso di specie - di attenta disamina da parte del giudice dell'appello; rimane il fatto che la Corte e' chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito (Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata e altro, Rv. 270519; in termini Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600; Sez. 5, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579). Il ricorso in scrutinio, impostato proprio nei termini censori ritenuti vietati da questa Corte nelle pronunce suindicate, si risolve in un'inammissibile richiesta alla Corte di legittimita' di effettuare una nuova e diversa valutazione degli elementi probatori e delle corrette inferenze prospettate da entrambi i giudici di merito, nelle conformi pronunce di merito, in ordine alla responsabilita' di (OMISSIS) per i reati ascrittigli. Giova, in proposito, altresi', rammentare che la mancata rispondenza delle valutazioni del giudice di merito alle acquisizioni processuali puo' essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. "travisamento della prova" (consistente nell'utilizzazione di un'informazione inesistente o nell'omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessita' che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisivita' nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica), purche' siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessita' di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato, e soprattutto purche' non si instauri - come invece accaduto nel caso di specie in cui vi sono riferimenti diretti alle testimonianze peraltro genericamente indicate - un confronto diretto con il compendio probatorio (presentato come inidoneo a fondare il giudizio di colpevolezza); confronto che, all'evidenza, implica apprezzamenti di merito estranei al giudizio di legittimita'. Orbene, scorrendo il motivo di ricorso, ci si avvede, infatti, che - come gia' nei motivi di appello, di cui la presente impugnazione costituisce mera reiterazione (cio' che concreta un'ulteriore causa di inammissibilita') - la censura e' portata esclusivamente sulla diretta valutazione del compendio probatorio, non gia' evidenziando effettive illogicita' o contraddittorieta' del discorso giustificativo, ovvero prove specificamente travisate, ma semplicemente invocandone uno di segno diverso, alla luce della valorizzazione di taluni elementi fattuali - si pensi ad esempio ai passaggi argomentativi posti a sostegno dell'impugnazione che si appuntano sulla natura del rapporto di tipo extraconiugale intrattenuto dalla persona offesa ovvero sull'eta' delle parti o ancora sulle caratteristiche delle rispettive attivita' lavorative fino a valorizzare le implicazioni di tipo caratteriale derivanti dall'essere la vittima una donna (ovvero un essere per definizione piu' esperto e maturo di un uomo nell'affrontare la vita quotidiana e rapportarsi ad ogni problema) che nell'ottica difensiva pure avrebbero dovuto essere considerate nella valutazione della vicenda, contribuendo esse a sminuire la stessa valenza persecutoria della condotta e cio' pure a fronte della insistente reiterazione di atti persecutori da parte dell'imputato - e la svalutazione di altri, con evidenti sconfinamenti nel fatto (laddove, ad esempio, si adducono a giustificazione delle azioni del ricorrente i comportamenti della donna, che avrebbe irretito l'imputato inducendolo ad assumere atteggiamenti irrazionali). Cio' che appunto incontra il limite sopra visto: non senza considerare che l'assetto logico della ricostruzione difensiva e' stato perfettamente vagliato nella sentenza impugnata e fondatamente disatteso, avendo tra l'altro la Corte di appello gia' evidenziato che - come riportato nello stesso ricorso - pur essendo emerso un forte coinvolgimento tra i due giovani la (OMISSIS) venticinquenne l' (OMISSIS) ventunenne, che aveva dato luogo anche a dei ravvicinamenti tra i due e a dei tentennamenti da parte della (OMISSIS) anche nel perseguire nella denuncia, cio' non toglie che le reazioni dell' (OMISSIS) debbano essere ricondotte alla fattispecie del reato degli atti persecutori, non certo scriminato dall'incapacita' della agente di accettare le decisioni ed anche le contraddizioni della persona offesa. 1.2. Quanto al quinto motivo, si osserva che la corte territoriale, con motivazione puntuale e affatto illogica, ha in buona sostanza valutato l'attendibilita' della persona offesa, il cui narrato e' stato corroborato da molteplici riscontri. Sul punto, va evidenziato che l'attendibilita' della persona offesa dal reato e' questione di fatto, non censurabile in sede di legittimita', salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo "id quod plerumque accidit", ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilita'. In particolare, la Corte d'appello ha osservato come la ricostruzione delle condotte ascritte all'imputato dalla persona offesa abbia trovato riscontro nelle dichiarazioni degli altri testi escussi (la teste di P.G. (OMISSIS) che ha confermato la presenza dei segni delle percosse subite dalla persona offesa, la sorella dell' (OMISSIS) all'epoca dei fatti sedicenne, la tutor (OMISSIS), il marito della persona offesa), nei numerosi messaggi che confermano finanche l'episodio di danneggiamento, nel certificato medico in atti. E' stata dunque accertata una condotta persecutoria, idonea a cagionare nella vittima un grave e perdurante stato di ansia e paura nonche' un fondato timore per la propria incolumita'. Quanto all'elemento soggettivo del reato, va evidenziato che, per giurisprudenza consolidata, nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l'elemento soggettivo e' integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volonta' di porre in essere piu' condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneita' a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualita' del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicita' normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione (ex multis, Sez. 5, Sentenza n. 43085 del 24/09/2015 Cc. (dep. 26/10/2015) Rv. 265230 - 01). Nel caso in esame, la motivazione addotta dai giudici del gravame (che hanno condiviso le argomentazioni del primo giudice) si palesa dunque nel suo complesso adeguata e non affetta da manifesta illogicita', in ogni sua parte, sicche' in mancanza di un effettivo confronto con essa, i motivi sono da ritenere tutti manifestamente infondati oltre che aspecifici. 2. Il sesto motivo, volto a censurare la motivazione della sentenza impugnata in punto di dosimetria della pena, e' inammissibile in quanto generico e, comunque, anch'esso manifestamente infondato. Come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, il giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante non comporta automaticamente l'obbligo di applicare la pena nella misura minima edittale; ne', nel caso in esame, vi e' un riferimento nella sentenza di primo grado al piu' grave regime edittale introdotto con la L. n. 69 del 2019. Ne discende che l'applicazione della pena detentiva nella misura di un anno di reclusione (al di sotto della media edittale, avuto riguardo al trattamento sanzionatorio previsto prima dell'inasprimento introdotto con la L. n. 69 del 2019) e' estrinsecazione del potere discrezionale del giudice del merito che, in quanto sorretta da adeguata motivazione (come nella specie, stante l'esplicito riferimento alla gravita' della condotta) e' incensurabile in sede di legittimita'. Costituisce principio affermato da questa Corte che "La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita, cosi' come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione" (cfr. tra tante, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 Ud. (dep. 04/02/2014), Rv. 259142 - 01). 2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilita' del ricorso, cui consegue, per legge, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonche', trattandosi di causa di inammissibilita' determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00 in relazione alla entita' delle questioni trattate. Nulla per le spese di parte civile, non risultando esplicitate le ragioni poste a sostegno delle richieste conclusive rassegnate genericamente nella memoria in atti (cfr. Sez. U del 14.7.2022, Sacchettino, dep. il 12.1.2023, n. 877/2023, che in motivazione ha affermato che in relazione al giudizio di legittimita' celebrato con rito camerale non partecipato, la parte civile ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali purche' abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un'attivita' diretta a contrastare la avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile e risarcitoria fornendo un utile contributo alla decisione). In caso di diffusione del presente provvedimento devono essere omesse le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Nulla sulle spese della parte civile. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7607 del 2022, proposto dalla dott.ssa -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Au. Si. e Lo. Mi., con domicilio eletto presso lo studio dei medesimi in Roma, viale (…) e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro l’Università degli Studi Roma Tre, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n. 12 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti della dott.ssa -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Nu., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Lima, n. 7 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. -OMISSIS-, pubblicata in data -OMISSIS-. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi Roma Tre e della dott.ssa -OMISSIS-; Vista l’ordinanza di questa Sezione n. 5201 del 3 novembre 2022, di accoglimento della domanda cautelare; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2023 il Cons. Brunella Bruno e uditi l’avvocato Au. Si. per la parte appellante e l’avvocato Ma. Nu. per la controinteressata; Nessuno è comparso per l’Università appellata; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con decreto rettorale n. 1066/2020 del 15 luglio 2020, l’Università degli Studi Roma Tre ha indetto la procedura di selezione per il reclutamento di un ricercatore a tempo determinato presso il Dipartimento di studi umanistici, ai sensi dell’art. 24, comma 3, lett. a) della l. n. 240 del 2010, per il settore concorsuale 10/A1 – Archeologia, S.S.D. L-ANT/10 – Metodologie della Ricerca Archeologica. L’odierna appallante ha partecipato alla sopra indicata procedura, conclusasi con la nomina quale vincitrice della dott.ssa -OMISSIS-. 1.1. Avverso gli atti della procedura la dott.ssa -OMISSIS- ha proposto ricorso innanzi al competente TAR per il Lazio, deducendo vizi di illegittima composizione della commissione esaminatrice, in considerazione di circostanziati elementi che denoterebbero la sussistenza di conflitti di interesse, in specie – anche se non esclusivamente –, quanto ai rapporti tra la candidata risultata vincitrice e la prof.ssa -OMISSIS- componente e segretario dell’organo collegiale tecnico, nonché vizi inficianti, per plurimi profili, l’attività valutativa, con contestazioni riferite anche alla carenza di motivazione. 1.2. Con ordinanza n. 1977 del 2021, il primo giudice ha respinto la domanda cautelare, stante la ritenuta insussistenza dei relativi presupposti; tale ordinanza è stata, tuttavia riformata da questo Consiglio (Sezione VI) con ordinanza n. 4456 del 2021 che, accogliendo l’appello cautelare, ha individuato specifici profili necessitanti di congruo approfondimento nel merito da parte del giudice di primo grado. 1.3. L’adito TAR con la sentenza indicata in epigrafe ha respinto il ricorso, non ravvisando, nel complesso degli elementi allegati dall’originaria ricorrente, globalmente considerati, la sussistenza di una situazione di conflitto di interessi dei componenti della commissione esaminatrice, anche tenuto conto delle caratteristiche del settore disciplinare oggetto della procedura, connotato da un limitato numero di docenti allo stesso afferenti, nonché ritenendo infondate le ulteriori censure concernenti la valutazione di preminenza espressa dalla commissione nei confronti della controinteressata vincitrice della selezione. L’appellante critica, con articolate argomentazioni, la sentenza impugnata deducendo erroneità nelle quali sarebbe incorso il primo giudice sia nella valutazione degli elementi dai quali emergerebbe un evidente vulnus alle garanzie di imparzialità che avrebbero dovuto essere assicurate nello svolgimento della selezione, corroborati, peraltro, anche da accadimenti successivi alla proposizione del giudizio di primo grado ma antecedenti alla pubblicazione della sentenza impugnata, sia in relazione alle ulteriori contestazioni formulare con il ricorso originario ritenute infondate dal giudice di primo grado. L’Università appellata si è costituita solo formalmente in giudizio producendo documentazione. Si è costituita in giudizio anche la controinteressata, concludendo per il rigetto dell’appello e l’integrale conferma della sentenza impugnata. Con ordinanza di questa Sezione n. 5201 del 3 novembre 2022, in accoglimento della domanda cautelare, è stata disposta la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata. Successivamente le parti hanno prodotto ulteriori atti e memorie, anche in replica, insistendo per l’accoglimento delle rispettive deduzioni. All’udienza pubblica del 17 gennaio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. L’appello è fondato, rivestendo carattere assorbente la fondatezza delle deduzioni incentrate sulla illegittima composizione della commissione, stante la sussistenza di una situazione di conflitto di interessi, secondo quanto di seguito esposto. Come sottolineato anche nella sopra richiamata ordinanza di questo Consiglio n. 4456 del 2021 (con la quale, in riforma del provvedimento di primo grado, è stata accolta la domanda cautelare), sebbene debba riaffermarsi il principio giurisprudenziale per cui la semplice sussistenza di rapporti accademici o di ufficio tra commissario e candidato non è idonea ad integrare gli estremi delle cause d’incompatibilità normativamente previste, deve parimenti evidenziarsi che, nell’applicazione concreta di tale principio, questo Consiglio ha precisato la necessità di tenere conto dei caratteri specifici della collaborazione, al fine di valutarne l’intensità e la protrazione nel tempo e, dunque, l’idoneità a determinare “per il componente della commissione un effetto di incompatibilità a partecipare alla valutazione comparativa di candidati che, con il condizionamento del rapporto preesistente, difficilmente potrebbe restare pienamente imparziale” (Consiglio di Stato, sez. VI, 7 luglio 2020, n. 4356); la comunanza di interessi (altresì) di vita professionale potrebbe infatti connotarsi per un’intensità “tale da far sorgere il sospetto che la valutazione del candidato non sia oggettiva ma motivata dalla conoscenza personale” (Consiglio di Stato, sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 5865). 9.1. La verifica in ordine alla sussistenza di situazioni di conflitto di interesse deve essere svolta, in concreto, con il dovuto rigore, valorizzando i canoni di imparzialità, obiettività e trasparenza che devono informare l’attività valutativa delle commissioni di concorso, dovendosi anche precisare che, ad assumere rilievo, in forza delle generali previsioni dell’art. 6 bis della l. n. 241 del 1990, sono non solo i conflitti di interessi conclamati ma anche quelli potenziali, integrati dalla sussistenza di gravi ragioni di convenienza percepite come una minaccia alla imparzialità e indipendenza dei componenti dell’organo collegiale nel contesto della procedura concorsuale. 9.2. Contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice, nella fattispecie emergono plurimi elementi che, valutati non singolarmente ma complessivamente, convergono nel senso di ritenere integrata la violazione del principio di imparzialità dell’azione amministrativa, sia avuto riguardo ai rapporti di collaborazione intercorrenti tra la vincitrice della selezione e i commissari, tra i quali, in specie, la prof.ssa -OMISSIS- sia tenuto conto di ulteriori accadimenti occorsi nello svolgimento della selezione. 9.3. Dalla documentazione agli atti del presente giudizio e di quello di primo grado, infatti, constano evidenze in ordine alla sussistenza di rapporti accademici intensi tra la controinteressata e la prof.ssa -OMISSIS- come sopra esposto componente e segretario della commissione, oltre che responsabile del progetto per il quale è stata bandita la procedura –, con la quale la dott.ssa -OMISSIS- non ha semplicemente conseguito la laurea ma ha avviato una significativa collaborazione, figurando entrambe quali autrici di una delle due monografie della suddetta candidata valutate nella procedura in questione, avendo, peraltro, il capitolo riferibile alla dott.ssa -OMISSIS-ad oggetto la tematica trattata quale tesi di laurea specialistica della quale è stata relatrice proprio la prof.ssa -OMISSIS- nonché emergendo la non occasionalità di rapporti anche dai dati esposti nel curriculum della suddetta candidata quanto agli atti di convegni, alle attività di docenza svolte per periodi che non possono ritenersi esigui e ad ulteriori contributi scientifici. 9.4. Alle sopra indicate evidenze si associano altre circostanze idonee a radicare, secondo ragionevolezza, la compromissione delle imprescindibili garanzie di imparzialità. 9.5. Non può essere condivisa, infatti, la valutazione del primo giudice circa la sostanziale scarsa significatività dell’episodio verificatosi in occasione della discussione pubblica della controinteressata svoltasi in modalità telematica, il quale, anzi, ad avviso del Collegio è connotato da rilevanza e gravità. Non è in contestazione che nel corso del colloquio orale dei candidati, la dott.ssa -OMISSIS- ha dichiarato di essere esperta di archeologia pubblica avendo “fatto vent’anni di scout”. In disparte la scarsa plausibilità delle argomentazioni addotte dalla difesa della controinteressata a giustificazione di tale affermazione, all’evidenza singolare, si è verificato che uno dei componenti della commissione ha reso accidentalmente pubblico i messaggi whatsapp con altro membro (nonché Presidente della commissione) del seguente tenore: “Scout??”, con ciò manifestando una inequivoca perplessità; a tale messaggio ha fatto seguito quello dell’interlocutore, il quale rispondeva rappresentando: “-OMISSIS-”, con ulteriore seguito dell’altro componente che concludeva rispondendo “Mah, vedremo”. Deve in primo luogo escludersi che in relazione ai messaggi sopra riportati gli autori siano legittimati ad opporre la tutela della privacy, non pertinentemente invocata nella relazione dai medesimi predisposta, agli atti del giudizio di primo grado; ciò per l’evidente ragione che nel momento in cui, sia pure per proprio errore, quei messaggi sono stati divulgati pubblicamente attraverso la condivisione nel corso di svolgimento della procedura, hanno perso qualsiasi connotazione di riservatezza. Verosimilmente, il “-OMISSIS-” indicato nel suddetto messaggio deve identificarsi nel prof. --OMISSIS-, già professore ordinario della materia nella stessa Università, studioso autorevole del settore, il quale è stato tutor della controinteressata con riferimento alla tesi di dottorato di quest’ultima, costituente la seconda monografia presentata nella procedura in contestazione. A prescindere, però, dalla riferibilità a meno al suddetto docente dell’esternazione di un giudizio di valore favorevole per la candidata risultata vincitrice, l’interlocuzione riportata per tempi, modi e contenuti è sintomatica di una compromissione dei valori di imparzialità e indipendenza tutelati dall’ordinamento attraverso la disciplina in materia di incompatibilità e conflitto di interessi. 9.6. A quanto esposto va altresì soggiunto un ulteriore elemento e cioè che per la monografia da ultimo indicata – come documentato dall’appellante con l’allegazione del pertinente documento agli atti del giudizio di primo grado – la controinteressata ha conseguito un premio, indicato anche nel curriculum prodotto in sede di partecipazione alla selezione, in occasione di una manifestazione presentata dal prof. --OMISSIS-, la cui commissione di premiazione era presieduta proprio dal docente componente e presidente della commissione del concorso in argomento. Nel complesso, il Collegio ritiene, secondo il proprio prudente apprezzamento, che sussistono elementi significativi e concordanti, rimasti insuperati, che, nel complesso considerati, conducono alla fondatezza delle censure dell’appellante, denotando un gradiente di rischio tale da poter essere percepito come una minaccia concreta ed effettiva alla imparzialità e indipendenza dei componenti dell’organo valutativo tecnico nel contesto della procedura. Tali conclusioni prescindono dagli accadimenti medio tempore intervenuti, estranei al presente giudizio e alla base di un ulteriore ricorso proposto dall’appellante innanzi al TAR Lazio, concernenti la decisione della controinteressata, successivamente alla proposizione del giudizio di primo grado ma precedentemente alla pubblicazione della sentenza impugnata dall’appellante, di dimettersi dal posto di ricercatore ricoperto in esito alla selezione de qua, conseguendo un assegno di ricerca richiesto proprio dalla prof.ssa -OMISSIS- e finanziato con fondi PRIN – relativamente al quale l’appellante ha censurato, tra l’altro, la mancanza di pubblicità – salvo, poi, ottenere, successivamente alla sentenza impugnata, per lei favorevole, la “ripresa del contratto precedentemente in essere”. Deve, inoltre, escludersi, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, che la ristrettezza del numero di docenti afferenti allo specifico settore che viene in rilievo possa giustificare la violazione dei principi di imparzialità e indipendenza e, comunque, tale ristrettezza non precludeva né preclude la costituzione di una commissione diversamente composta, tenuto conto non solo del numero di professori di prima fascia ma anche di quelli di seconda fascia allo stesso afferenti, dovendo essere primariamente salvaguardate le ineludibili garanzie sopra indicate. Il riscontrato vizio riveste portata assorbente, riverberandosi con efficacia viziante sull’intera sequenza degli atti posti in essere dalla commissione, sino alla finale individuazione della candidata vincitrice, venendo in rilievo un collegio perfetto. In conclusione, per tutte le suesposte considerazioni, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto – assorbiti gli ulteriori motivi che risultano dequotati quanto all’interesse azionato – in riforma della sentenza impugnata va accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati. Ai sensi dell’art. 34, comma 1, lett. e) c.p.a. si dispone, per la corretta attuazione del giudicato, che l’Università degli Studi Roma Tre proceda alla rinnovazione della procedura, a partire dalla nomina della commissione, che dovrà essere diversamente composta, stante la riscontrata sussistenza di vizi di incompatibilità della commissione originaria. In considerazione delle peculiarità della fattispecie, come emergenti dalla documentazione in atti, si valutano, nondimeno, sussistenti i presupposti per disporre l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello (R.G. n. 7607 del 2022), come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, secondo quanto indicato in motivazione. Compensa le spese del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità delle parti e di tutti i soggetti menzionati in sentenza, nonché degli estremi della sentenza impugnata, dell’Università e del concorso di che trattasi. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Giovagnoli, Presidente Daniela Di Carlo, Consigliere Pietro De Berardinis, Consigliere Marco Morgantini, Consigliere Brunella Bruno, Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MANNA Felice - Presidente Dott. BERTUZZI Mario - Consigliere Dott. GIANNACCARI Rossana - Consigliere Dott. ROLFI Federico - rel. Consigliere Dott. CAPONI Remo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 35734-2019 R.G. proposto da: (OMISSIS) DI (OMISSIS) e C SNC, elettivamente domiciliata in ROMA VIA ISABELLA D'ESTE, 13, presso lo studio dell'avvocato ANNALISA CETRANO che la rappresenta e difende; - ricorrente - contro PREFETTURA PROVINCIA ROMA UTG ROMA; - intimata - avverso la SENTENZA del TRIBUNALE ROMA n. 18739-2019 depositata il 02/10/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 novembre 2022 dal Consigliere Federico Rolfi; lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Fulvio Troncone, che ha concluso per l'accoglimento del secondo motivo di ricorso con assorbimento dei restanti. FATTI DI CAUSA 1. Con sentenza del 2 ottobre 2019 il Tribunale di Roma, nella contumacia dell'appellata PREFETTURA DI ROMA, respinse l'appello proposto dalla (OMISSIS) DI (OMISSIS) e C. SNC avverso la sentenza del Giudice di Pace n. 4154-2018, la quale, a propria volta, aveva respinto l'opposizione avverso i verbali della Polizia Stradale di (OMISSIS) nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), entrambi elevati per la violazione dell'articolo 142, comma 8, C.d.S., rilevata con sistema "(OMISSIS) - Tutor". Il Tribunale capitolino, esaminando i motivi di gravame ritenne, in primo luogo, infondate le deduzioni concernenti la mancata omologazione dell'apparecchiatura utilizzata per contestare l'infrazione, osservando che tale profilo era estraneo alle ricadute della sentenza n. 113-2015 della Corte Costituzionale in tema di verifica periodica del corretto funzionamento delle apparecchiature, anche in virtu' delle caratteristiche del sistema di rilevazione, il quale non rileva una velocita' istantanea, bensi' una "media ponderale su un tratto strada costante", sottraendosi quindi a fenomeni di obsolescenza. Ulteriormente, il Tribunale: 1) escluse l'applicabilita' al sistema "(OMISSIS) - Tutor" delle disposizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, articolo 345, comma 3, in materia di diversi coefficienti di tolleranza, operando il solo coefficiente del 5%; 2) affermo' l'infondatezza delle contestazioni relative alla nullita' -per violazione dell'articolo 192, comma 5, C.d.S.- del trasferimento dell'omologazione rilasciata dal Ministero per le infrastrutture dalla societa' (OMISSIS) SPA e alla (OMISSIS) Spa, in quanto detto trasferimento era stato autorizzato con determinazione dirigenziale (OMISSIS) del 2010; 3) disattese le contestazioni relative all'assenza di autorizzazione all'uso del sistema "(OMISSIS) Tutor" in capo ad ANAS (ente che gestisce il tratto stradale ove era erano state rilevate entrambe le infrazioni), essendo (âEuro˜ANAS azienda pubblica soggetta alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture; 4) affermo' l'infondatezza del motivo di gravame connesso alla violazione del Decreto Ministeriale n. 3999/2004, articolo 1, comma 4, escludendo profili discriminatori derivanti dalla presenza di svincoli, osservando che ad essere sanzionata era la violazione del limite di velocita' media di percorrenza -in virtu' del pericolo derivante dalla percorrenza costante di un tratto stradale a velocita' elevata- violazione non configurabile in caso di uscita del veicolo da svincoli o di sosta in aree di servizio; 5) infine, disattese le doglianze con le quali era dedotta l'irregolarita' della segnalazione con cartelloni della rilevazione di velocita' per non essere specificato il sistema con cui tale rilevazione avveniva, non operando alcuna previsione normativa che imponesse tale segnalazione. 2. Per la cassazione della sentenza del Tribunale di Roma ha proposto ricorso la (OMISSIS) DI (OMISSIS) e C. SNC. E' rimasta intimata la PREFETTURA DI ROMA. A seguito della cancellazione dall'Albo dell'originario difensore, la (OMISSIS) DI (OMISSIS) e C. SNC si e' costituita con nuovo difensore in data 21 giugno 2021. 3. Il ricorso e' stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal Decreto Legge 28 ottobre 2020, articolo 23, comma 8-bis, n. 137, come inserito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, senza l'intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale. 4. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, concludendo per l'accoglimento del secondo motivo, con assorbimento dei restanti. 5. La ricorrente ha depositato memoria. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' affidato a cinque motivi. 1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 285 del 1992, articoli 45, comma 6, Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, 192, Decreto Legge n. 121 del 2002, comma 5, 4, comma 3. Il ricorso lamenta che la sentenza impugnata, sovrapponendo il profilo dell'omologazione con quello della "taratura", abbia escluso l'applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, articolo 192, comma 5, all'ANAS. Contesta, in primo luogo, che -come affermato nella decisione impugnata- il carattere di azienda sottoposta alla vigilanza del Ministero delle Infrastrutture valga a sottrarre l'ANAS all'applicazione del disposto della previsione teste' citata, rilevando che anche (OMISSIS) SPA -soggetto che ha ottenuto l'omologazione-e' parimenti azienda soggetta alla vigilanza del medesimo Ministero. Argomenta, in secondo luogo, che, ai sensi della medesima disposizione, l'omologazione dell'apparecchiatura non puo' essere trasferita a soggetti diversi dal richiedente. Deduce, infine, la illegittimita' del trasferimento dell'omologazione dalla societa' (OMISSIS) SPA e alla (OMISSIS) Spa, in quanto in contrasto ancora con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, articolo 192, comma 5, il cui precetto risulterebbe svuotato ove il divieto dalla norma enunciato venisse limitato ai trasferimenti iure privatorum. 1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione del Decreto Legislativo n. 285 del 1992, articolo 45, comma 6, come risultante dalla declaratoria di incostituzionalita' con sentenza della Corte Costituzionale n. 113-2015. Il ricorso lamenta che la decisione impugnata abbia escluso la necessita' di procedere alla verifica periodica ("taratura") dei sistemi di rilevazione della velocita' "(OMISSIS) - Tutor". Argomenta in senso opposto -richiamando precedenti di questa Corte- la necessita' di procedere alla verifica di tutte le apparecchiature per l'accertamento della violazione dei limiti di velocita', osservando, peraltro, che l'argomentazione seguita dal Tribunale di Roma non tiene conto del fatto che il sistema "(OMISSIS) - Tutor", pur rilevando una velocita' media e non istantanea, calcola detta velocita' sulla scorta dei dati forniti da un'apparecchiatura di misura del tempo che anch'essa e' esposta ad obsolescenza. 1.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 285 del 1992, articolo 142, comma 6-bis. Il ricorso reitera il profilo, gia' proposto come motivo di appello, in ordine alla irregolarita' della segnalazione del controllo di velocita', dal momento che i cartelloni non specificavano il sistema di rilevazione utilizzato. 1.4. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, la falsa applicazione del D.D. n. 3999 del 14 dicembre 2004, articolo 1, comma 4. Il ricorso critica la decisione del Tribunale di Roma nella parte in cui ha ritenuto irrilevante la presenza, nel tratto di strada ove sono avvenute le due rilevazioni, di svincoli stradali e stazioni di servizio, lamentando la iniquita' delle conclusioni cui perviene il ragionamento seguito dal Tribunale capitolino. Deduce, quindi, la contrarieta' del ragionamento seguito dal Tribunale rispetto alla ratio della previsione del Codice della Strada e la violazione della D.D. 3999-2004. 1.5. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, articolo 345, commi 1 e 3. Lamenta il ricorso che la decisione impugnata abbia ritenuto inapplicabili alla rilevazione mediante sistema "(OMISSIS) - Tutor" i coefficienti di tolleranza di previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, comma 3 dell'articolo 345, argomentando nel senso dell'operativita' della medesima ratio della norma citata anche al sistema di rilevazione della velocita' media. 2. Appare opportuno esaminare, in primo luogo, il secondo motivo di ricorso, atteso il carattere dirimente della questione da esso sollevata, come anche rilevato dal Pubblico Ministero nelle proprie conclusioni. Il motivo e' fondato. Questa Corte ha gia' in passato affermato, proprio con riferimento al sistema "(OMISSIS)-Tutor", il principio per cui, poiche', a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale del del Decreto Legislativo n. 285 del 1992, articolo 45, comma 6, (Corte Cost. 18 giugno 2015 n. 113), tutte le apparecchiature di misurazione della velocita' devono essere sottoposte a verifiche periodiche di funzionalita' e di taratura, in caso di contestazioni circa l'affidabilita' dell'apparecchio il giudice e' tenuto ad accertare se tali verifiche siano state o meno effettuate (Cass. Sez. 6 2, Ordinanza n. 533 del 11/01/2018 - Rv. 647218 - 01). Il principio e' stato ribadito anche di recente da Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 22015 del 2022, la quale ha, testualmente, osservato: "La giurisprudenza di questa Corte ha in effetti, ed in piu' occasioni, rilevato che, a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 285 del 1992, articolo 45, comma 6, (Corte Cost. 18 giugno 2015 n. 113), tutte le apparecchiature di misurazione della velocita' devono essere sottoposte a verifiche periodiche di funzionalita' e di taratura, e che in caso di contestazioni circa l'affidabilita' dell'apparecchio il giudice e' tenuto ad accertare se tali verifiche siano state o meno effettuate, ivi incluse quelle rientranti nella tipologia oggetto di causa (Cass. n. 533-2018), essendo irrilevante (cfr. Cass. n. 40627-2021) che l'apparecchiatura operi in presenza di operatori o in automatico, senza la presenza degli operatori ovvero, ancora, tramite sistemi di autodiagnosi - palesandosi la necessita' di dimostrare o attestare con apposite certificazioni di omologazione e conformita' il loro corretto funzionamento (conf. Cass. n. 24757-2019; Cass. n. 29093-2020)". La decisione del Tribunale Capitolino -nell'escludere che gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale n. 113-2015 trovino applicazione anche al sistema "(OMISSIS)-Tutor"- si e' discostata da tali principi, ritenendo sufficiente l'omologazione dell'apparecchiatura ma escludendo l'esigenza di verificare la prova della verifica periodica di funzionalita' e di taratura. Va, per contro, ribadito che anche il sistema "(OMISSIS)-Tutor" deve essere sottoposto a verifiche periodiche di funzionalita' e di taratura, e che in presenza di contestazioni da parte del soggetto sanzionato, spetta all'Amministrazione la prova positiva dell'iniziale omologazione e della periodica taratura dello strumento. Valgono sul punto i richiami gia' operati da questa Corte, nell'affermare che "e' stato precisato che (Cass. n. 14597-2021) detta prova non possa essere fornita con mezzi diversi dalle certificazioni di omologazione e conformita' (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9645 del 11/05/2016; cfr. anche Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 18022 del 09/07/2018, non massimata), aggiungendosi che la prova dell'esecuzione delle verifiche sulla funzionalita' ed affidabilita' dell'apparecchio non e' ricavabile dal verbale di contravvenzione, il quale "... non riveste fede privilegiata - e quindi non fa fede fino a querela di falso - in ordine all'attestazione, frutto di mera percezione sensoriale, degli agenti circa il corretto funzionamento dell'apparecchiatura, allorche' e nell'istante in cui l'eccesso di velocita' e' rilevato" (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 32369 del 13/12/2018). E' quindi a carico della Pubblica Amministrazione, in presenza di contestazione da parte del soggetto sanzionato, la prova positiva dell'omologazione iniziale e della taratura periodica dello strumento. In presenza di detti elementi, di per se' sufficienti a dimostrare il corretto funzionamento dell'apparato di rilevazione della velocita' - circostanza, quest'ultima, che costituisce elemento essenziale costitutivo della fattispecie sanzionatoria - spetta alla parte sanzionata l'onere della prova contraria (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 29093 del 18/12/2020, non massimata; anche Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 3538 dell'1 1/02/2021, non massimata, che ha confermato la sufficienza della produzione del certificato di taratura periodica, da parte della P.A., al fine di dimostrare la corretta verifica del funzionamento dell'apparato)." (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 22015 del 2022). In presenza di contestazioni sulla funzionalita' dell'apparecchio, quindi, non risulta sufficiente che il medesimo risulti omologato, dovendo il giudice di merito verificare l'esistenza della prova della successiva taratura periodica, prova che deve essere fornita dall'Amministrazione che ha contestato l'infrazione. 3. L'accoglimento del secondo motivo determina l'assorbimento dei restanti. 4. La sentenza impugnata, quindi, deve essere cassata con rinvio al Tribunale di Roma in persona di altro magistrato, il quale, nel decidere anche sulle spese del presente giudizio di legittimita', si conformera' al seguente principio: "L'obbligo, a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 285 del 1992, articolo 45, comma 6, (Corte Cost. 18 giugno 2015 n. 113), di sottoporre tutte le apparecchiature di misurazione della velocita' a verifiche periodiche di funzionalita' e di taratura opera anche per il sistema di rilevazione della velocita' "(OMISSIS)-Tutor". In caso di contestazioni circa l'affidabilita' dell'apparecchio spetta all'Amministrazione fornire la prova positiva dell'iniziale omologazione e della successiva periodica taratura dello strumento, producendo sia le certificazioni di omologazione e conformita' sia le certificazioni di taratura periodica, non potendosi fondare la prova dell'esecuzione delle verifiche sulla funzionalita' ed affidabilita' dell'apparecchio sulla mera attestazione contenuta nel verbale di contravvenzione, non rivestendo quest'ultima fede privilegiata". P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso, e per l'effetto cassa la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Roma, in persona di altro magistrato, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita'.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TERAMO GIUDICE DEL LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice del Lavoro dott. Marco Di Biase, all'udienza del 15/02/2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA Con motivazione contestuale pubblicata mediante lettura in udienza Nella causa promossa da: (...) S.P.A. (C.F. (...)), in persona del leg. Rapp. p. t., nonchè B.F. (C.F. (...)), con il patrocinio degli avv.ti CH.FR., Fa.Gi., Zu.Pa., elettivamente domiciliati presso lo Studio legale Tr. Avvocati, sito in Roma, Piazza (...) RICORRENTI contro ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO DI TERAMO (C.F. (...)), in persona del del leg. Rapp. p. t., con il patrocinio ex art. 417 bis c.p.c. del funzionario in servizio avv. PA.AL., elettivamente domiciliato presso la sede ITL in VIA (...) 64100, TERAMO RESISTENTE OGGETTO: Opposizione all'ordinanza-ingiunzione ex artt. 22 e ss. L. n. 689 del 1981, lavoro/prev.. MOTIVAZIONI DI FATTO E DI DIRITTO Con ricorso depositato in data 28.02.2019 ritualmente notificato, parte ricorrente proponeva opposizione avverso le ordinanze-ingiunzioni n.ri 447 1-/2018 alla società in relazione al punto vendita di Roseto degli Abruzzi in data 1 febbraio 2019 e al dott. (...) nella qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione pro tempore, la 447 0-/2018 in data 4 febbraio 2019 per il pagamento in via solidale della somma di Euro 1.975,50 per la contestata violazione, a seguito di visita ispettiva, le seguenti violazioni cui è tenuto il datore al momento della assunzio ne del lavoratore dipendente: omessa registrazione sul LUL (art. 22, c. 5 D.Lgs. 15 settembre 2015, n. 151), omessa consegna lettera di assunzione (art. 5, c. 3, lett. a. e b., L. n. 183 del 2010) e omessa comunicazione preventiva di assunzione (L. n. 44 del 2012) sul presupposto della non genuinità del rapporto di tirocinio extracurriculare di formazione e orientamento con il sig. (...) per la qualifica di addetto alle vendite e da ricondurre quindi alla figura del rapporto di lavoro subordinato dipendente. A fondamento dell'opposizione parte ricorrente ha contestato preliminarmente la presenza di vizi di forma ed in particolare per la carenza di motivazione degli atti impugnati e per omessa indicazione del responsabile del procedimento, per mancata/omessa notifica dei verbali di accertamento nei termini prescritti dall'art. 14 L. n. 689 del 1981, così pregiudicando le possibilità di difesa del destinatario della sanzione amministrativa e, più propriamente nel merito, la illegittimità e la fondatezza delle ordinanze opposte per la propria completa estraneità ai fatti; concludeva pertanto, previa sospensione dell'esecutività dell'ingiunzione ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. n. 150 del 2011, per il suo annullamento per i motivi tutti riportati in ricorso, nei seguenti termini: "In via preliminare, - sospendere immediatamente l'esecutività delle ordinanze ingiunzione 447 -0 e -1/2018 dell'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Teramo notificate il 1-4 febbraio 2019; - sospendere il presente giudizio in attesa della definizione del Giudizio (n. RG 1651/2017) pendente avanti il Tribunale del Lavoro di Teramo avente ad oggetto il verbale TE00000/2016/209 e susseguente ordinanza siccome opposti dalla Società. Nel merito 1) accertare e dichiarare la nullità e/o illegittimità e/o infondatezza, per le ragioni esposte in atti, del verbale unico di accertamento e notificazione n. (...) del 16/1/2017 dell'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Teramo; 2) sia per effetto dell'accoglimento della domanda sub (...)) sia, in ogni caso, a prescindere dall'accoglimento della domanda sub (...)), accertare e dichiarare la nullità e/o illegittimità e/o infondatezza, per le ragioni esposte in atti, delle qui opposte ordinanze ingiunzioni 447 -0 e -1/2018 notificate, rispettivamente, al dott. B. e alla Società e pertanto accertare e dichiara il loro annullamento e/o revoca; 3) in conseguenza dell'accoglimento delle domande sub (...)) e/o (...)) respingere in ogni caso le pretese creditorie avanzate con le ordinanze ingiunzione 447-0 e -1/2018 e accertare e dichiarare come non dovute le somme ivi richieste". L' Ispettorato Territoriale del Lavoro si costituiva in giudizio e resisteva alla opposizione, della quale chiedeva il rigetto, riportandosi agli accertamenti effettuati in sede ispettiva. Accolta l'istanza di sospensione per la ritenuta sussistenza di gravi motivi, istruita mediante produzione documentale ed escussione testimoniale, la causa è decisa alla presente udienza con lettura del dispositivo e relativa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della sentenza che si deposita. La suddetta ordinanza ingiunzione trova fondamento nell'accesso ispettivo nel corso del quale gli organi ispettivi hanno provveduto a sentire i lavoratori presenti ed hanno successivamente emesso verbale unico di accertamento e notificazione n. (...), del 16.1.2017 con il quale si contestava alla società opponente di avere stipulato un tirocinio extracurriculare con il lavoratore (...) occupato presso il punto vendita di Roseto Degli Abruzzi (TE) della (...) SpA che secondo gli ispettori non era legittimato ad attivare in quanto, oltre ad aver ricevuto sanzioni amministrative, avrebbe impiegato la stagista per rivestire un ruolo necessario e funzionale al normale svolgimento dell'attività d'impresa con turnazioni di lavoro come ed unitamente agli altri dipendenti e per coprire vuoti di organico; conseguentemente gli stessi ispettori hanno ritenuto di ricondurre il rapporto di lavoro nell'alveo del rapporto di lavoro subordinato, con l'irrogazione delle sanzioni amministrative di cui alle ordinanze impugnate. Inoltre veniva pure fatto espresso riferimento ad un precedentemente verbale n. (...) e susseguente ordinanza in materia di corretta registrazione sul LUL degli orari di lavoro d a parte dell'ITL di Teramo per violazioni della norma di cui all'art. 39 L. n. 133 del 2008 quale fatto ostativo per il soggetto ospitante ai fini di poter validamente procedere alla stipula dei tirocini come da Delib.G.R. del 4 novembre 2014, n. 704 nelle "Linee Guida per l'attuazione dei tirocini formativi". All'esito dell'istruttoria espletata, la domanda contenuta in ricorso si appalesa fondata. In ordine ai contestati motivi di carattere formale, valgano le seguenti argomentazioni suffragate da consolidata giurisprudenza atte a respingere le relative contestazioni. Va evidenziato che risulta soddisfatto l'obbligo di motivazione dell'atto amministrativo che influisce autoritativamente sulla sfera soggettiva del destinatario previsto dalla L. n. 241 del 1990 in presenza di motivazione per relationem prevista dal comma terzo dell'articolo terzo che attribuisce piena validità formale all'atto impugnato laddove le ragioni poste a suo fondamento si evincono attraverso il chiaro riferimento ad altri atti di cui l'interessato ha la conoscenza o la conoscibilità legale e quindi la potenziale disponibilità, senza alcuna violazione dei principi di legalità di buon andamento e imparzialità della PA e soddisfatto si palesa l'obbligo di motivazione di un atto amministrativo che come noto, non abbisogna di una motivazione paragonabile ad un atto giudiziario disciplinante le situazioni giuridiche dei soggetti coinvolti. Inoltre la ritenuta omessa motivazione del verbale di accertamento e la mancata indicazione del responsabile del procedimento, per i procedimenti di irrogazione delle sanzioni amministrative riguardanti violazioni in materia di lavoro, legislazione sociale e documentazione obbligatoria non è applicabile la L. 7 agosto 1990, n. 241, in ragione della specialità della L. n. 689 del 1981, la quale detta una disciplina specifica delle sanzioni amministrative e del relativo procedimento, prevedendo peraltro una peculiare scansione cronologica del procedimento sanzionatorio e delle sue diverse fasi. L'obbligo di motivazione di cui all'art. 18, c. 2, L. n. 689 del 1981 sulla sanzione amministrativa applicata va relazionato ed individuato in funzione dello scopo della motivazione atto a consentire all'ingiunto la tutela dei suoi diritti mediante l'opposizione e deve considerarsi soddisfatto quando risulti non solo la norma violata ma anche la natura e la portata della trasgressione, con la conseguenza che, come già evidenziato, è ammissibile anche la motivazione "per relationem" mediante il richiamo di altri atti del procedimento amministrativo e, in particolare, del verbale di accertamento, già noto al trasgressore in virtù della obbligatoria preventiva contestazione. Esso, peraltro, non si estende al verbale di accertamento e di contestazione della violazione ma può ritenersi sussistente in relazione al provvedimento che conclude il procedimento amministrativo nel contesto del quale il verbale si è formato. (Cass. Sent. N. 24263 del 30.12.2004). Il verbale di accertamento ispettivo qui impugnato unitamente alle pedisseque ordinanze è sufficientemente motivato, essendo in esso rinvenibili sia la normativa contestata, sia gli accadimenti fattuali oggetto di indagine ispettiva per come contestati. Ad ogni buon conto, l'eventuale presenza di censure sollevate in ordine a presunti vizi formali dell'atto amministrativo non possono precludere il giudizio sul merito della pretesa sanzionatoria oggetto dell'atto impugnato come disposto da giurisprudenza costante secondo cui tale vizio comporta soltanto l'impossibilità per l'Istituto di avvalersi del titolo esecutivo ma non lo fa decadere dal diritto di chiedere l'accertamento in sede giudiziaria dell'esistenza e dell'ammontare del proprio credito. (Cass. Civ., sez. lav., 23/02/2016, n. 3486). Insegna la Suprema Corte in una recente pronuncia che il provvedimento impositivo di una sanzione da parte della PA è censurabile sotto il profilo del vizio motivazionale nel solo caso in cui l'ordinanza risulti del tutto priva di motivazione ovvero corredata di motivazione soltanto apparente. (Cfr. Cass. civ. Sez. VI - 2, sent. n. 16316 del 30.07.2020). Per quanto riguarda l'eccepito superamento temporale dei limiti imposti dalla legge che sarebbe causativa dell'estinzione dell'obbligazione di pagamento equiparabile ad una mancata contestazione della violazione, va osservato e puntualizzato quanto segue: prevede l'art.14 della L. 24 novembre 1981, n. 689 che "la violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore quanto alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa" (comma 1). "Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni ?" (comma 2). Dal combinato disposto dell'art. 13 e 14 e dalla giurisprudenza concretizzatasi a riguardo, va precisato che per accertamento deve intendersi l'avvenuta conoscenza, diretta o riferita, del fatto illecito da parte della P.A. e consiste nelle sequenza di atti e attività previsti dall'art. 13 (ispezioni, rilievi, ecc.) non coincidendo con "la generica e approssimativa percezione del fatto, ma con il compimento di tutte le indagini necessarie al fine della piena conoscenza di esso e della congrua determinazione della pena pecuniaria". La Suprema Corte in varie pronunce ha avuto occasione di affermare che la durata della fase dell'accertamento va valutata dal "giudice di merito in relazione al caso concreto" secondo, cioè, il principio di "ragionevolezza"; in particolare, il detto principio deve essere contestualizzato, per la tempistica, alla struttura organizzativa dell'ente. (Cass. 8692/2004; Cass. 3254/2003). L'accertamento precede l'emissione dell'ordinanza - ingiunzione cioè il provvedimento sanzionatorio vero e proprio; solo con l'adozione di quest'ultimo le sanzioni sono concretamente irrogate al trasgressore il quale ha la possibilità di proporre opposizione a norma dell'art. 22, L. n. 689 del 1981, mentre l'atto di accertamento non è immediatamente lesivo e quindi non autonomamente impugnabile. Ne consegue che nella fase di accertamento va aggiunto il tempo necessario alla valutazione degli elementi acquisiti necessari per la verifica della violazione e il termine per la notifica "degli estremi della violazione", di cui all'art. 14, inizia solo quando chi ha effettivamente il potere giuridico di accertare il fatto lo ha effettivamente accertato. Rappresenta ius receptum le argomentazioni offerte dalla S.C. secondo le quali "la regola che impone di contestare l'infrazione - quando non è possibile farlo immediatamente - entro un preciso termine di decadenza decorrente dall'accertamento, ? non vale a superare il rilievo che la pura constatazione dei fatti nella loro materialità non coincide necessariamente con l'accertamento degli estremi della violazione", se occorre una ulteriore istruttoria e/o valutazione, mentre il momento dal quale decorrere il termine per la contestazione coincide con "il momento in cui ragionevolmente la constatazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento". (Cass. 5395/2007, Cass. 3043/2009). Va pertanto tenuto in debita considerazione, al cospetto delle argomentazioni giurisprudenziali sopra riportate, che i tempi tecnici necessari per le varie verifiche e valutazioni presso i registri pubblici ove sono registrati i lavoratori per gli opportuni controlli, l'esame della documentazione reperita in loco analizzata e valutata ai fini della comminazione delle singole sanzioni, possono indurre a considerare esaurita la fase di accertamento nel caso concreto entro un congruo p eriodo temporale anche in considerazione della plausibile mole di lavoro demandata agli organi accertativi dell'ente resistente in relazione alla effettiva capacità di gestione e definizione delle pratiche attraverso una proficua e puntuale indagine prima dell'emissione delle contestazioni e relative sanzioni. Nel merito va preliminarmente evidenziato e premesso che rappresenta principio ormai consolidato quello secondo il quale l'opposizione all'ordinanza ingiunzione ai sensi della L. n. 689 del 1981 non configura un'impugnazione dell'atto amministrativo, ma introduce un ordinario giudizio sul fondamento della pretesa dell'autorità amministrativa, nel quale le vesti sostanziali di attore e convenuto, anche ai fini della ripartizione dell'onere della prova, spettano rispettivamente alla P.A. ed all'opponente; in sostanza, la cognizione del giudice si estende, nell'ambito delle deduzioni delle parti, all'esame del merito della pretesa fatta valere con l'ingiunzione, per stabilire se sia fondata o meno. Ciò posto, ritiene il giudicante che la resistente non ha fornito sufficiente prova della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato in capo a (...). Sul riferimento fatto dagli ispettori per l'asserita esistenza di un precedente verbale accertativo di altra sanzione in capo alla società opponente che di per se impedirebbe l'adozione del contratto di tirocinio, va osservato a riguardo che con sentenza n. 132/19 (rgn. 1651/17) passata in giudicato, questo Tribunale ha annullato le ordinanze 455/2017 e 460/2017 emesse sulla base del verbale (...) e pertanto discende che le ordinanze qui opposte non possono trovare piu' fondamento su tale contestazione eccepita dalla resistente essendo venuto a mancare l'asserito presupposto che la ITL ha posto a base delle stesse. Inoltre, l'esito dell'istruttoria espletata induce a ritenere legittimo il rapporto di lavoro con il tirocinante ed insussistente l'equiparazione ad un rapporto di lavoro subordinato con la società ricorrente così come addotto dai verbalizzanti in sede ispettiva. Va premesso che la normativa speciale riguardante i lavoratori che operano come tirocinanti di natura extra-curriculare prevede il fine di agevolare le scelte professionali dei giovani attraverso la conoscenza del mondo del lavoro nella precipua fase di passaggio dall'ambito scolastico o dallo stato di disoccupato a quello lavorativo oppure di agevolare il reinserimento nel mercato del lavoro per quei soggetti che ne sono stati esclusi anche per ragioni riconducibili al loro stato di diversamente abili. Le Linee guida istituite nel 2013 per l'attuazione dei tirocini formativi extracurriculari della Regione Abruzzo approvate con D.G.R. 949/2013 prevedono alcuni parametri di affidabilità da parte dei soggetti ospitanti, sia pubblici che privati. Orbene sul piano dell'onere della prova, al cospetto dei consolidati principi giuridici che la disciplinano, il rapporto di tirocinio deve essere provato da colui che l'allega; l'ente previdenziale o chi per esso, come nel caso che occupa, l'Ispettorato, che reclama il rapporto di lavoro dipendente, deve provare la sussistenza dei rapporti di lavoro subordinato e il datore di lavoro che opponga che il rapporto lavorativo è inquadrabile nello schema dell'apprendistato ha l'onere di provare la sua esecuzione in concreto con le caratteristiche proprie del tirocinio e, in particolare, deve provare l'elemento dell'insegnamento tecnico-professionale che l'apprendista ha diritto di ricevere e che rappresenta l'elemento fondamentale per individuare la fattispecie del tirocinio formativo. Questa rappresenta una forma di inserimento temporaneo all'interno di un contesto lavorativo organizzato da un datore di lavoro con l'obiettivo di consentire ai soggetti coinvolti di conoscere e di sperimentare in modo concreto la realtà lavorativa attraverso una formazione professionale e un addestramento pratico direttamente sul luogo di lavoro. I tirocini formativi sono stati introdotti dall'art. 18 della L. n. 196 del 1997, rubricato "Tirocini formativi e di orientamento", prima disciplinati dal D.M. di attuazione n. 142 del 1998 e poi disciplinati a livello generale dal D.L. n. 138 del 2011 convertito il L. n. 148 del 2011 nonché dalle leggi regionali per le particolarità normative di rilievo o interesse particolare. La disciplina del tirocinio formativo è infatti pure demandata alla competenza legislativa delle singole Regioni, nel rispetto delle Linee Guida approvate in sede di Conferenza Stato-Regioni. Con D.G.R. n. 704 del 4 novembre 2014, la Regione Abruzzo ha introdotto le nuove "Linee Guida per l'attuazione dei tirocini extracurriculari in Abruzzo" e con la successiva D.G.R. n. 762 dell'11 settembre 2015, sono state apportate alcune modifiche e recepite le norme dell'Accordo sulle linee guida per i tirocini finalizzati all'inclusione sociale approvato dalla Conferenza Permanente nel 2015. Al cospetto della documentazione prodotta dalla resistente e della prova testimoniale espletata, la domanda contenuta in ricorso si appalesa fondata e va accolta. Invero la ricorrente opponente ha documentato che il rapporto di tirocinio attivato in base ad una apposita convenzione tra l'IFOA - Istituto Formazione Operatori Aziendali - società che certifica il percorso formativo ed effettua controlli periodici sull'avvenuta formazione e la ricorrente società quale soggetto ospitante, al quale è stato allegato il prescritto progetto formativo compiuto e dettagliato redatto sulla base delle Linee Guida per l'attivazione dei Tirocini nella Regione Abruzzo sopra richiamati nonché le prescritte comunicazioni obbligatorie di avvio e di cessazione del tirocinio di cui trattasi. (doc. n.ri 4, 5 e 6 fasc. di parte ric.). Allo stesso modo, è pacifico che, nella specie, sia stato designato un tutor con funzioni di inserimento sul luogo di lavoro e affiancamento alla tirocinante di cui trattasi per tutta la durata del tirocinio (dal 16.05 al 15.11.2016). Tutor, nella specie, individuato nella Signora (...), "assistente di filiale" del punto vendita della (...) S.p.A. di (...) degli (...), ove (...) ha svolto il tirocinio di cui trattasi. Il tutor, come richiesto dalla suddetta normativa regionale, è una dipendente della (...) S.p.A. in possesso di competenze professionali adeguate, esperienze e capacità coerenti con il sopra citato progetto formativo individuale, che, pertanto, quale tutor, era responsabile del suo inserimento ed affiancamento sul luogo di lavoro per tutta la durata del tirocinio, dotata di esperienza e capacità coerenti con l'attività del tirocinio prevista nel progetto formativo. Tali circostanze sono state, peraltro, confermate dai testi escussi di parte ricorrente. Sostiene parte resistente che (...) è intervenuto nel contesto produttivo dell'attività commerciale e sarebbe stato impiegato come lavoratore subordinato per ricoprire un ruolo essenziale all'organizzazione aziendale. Ma sul piano della concreta attuazione del rapporto, rileva il giudicante che parte resistente opposta, su cui gravava il relativo onere, nulla ha dedotto circa la sussistenza, in concreto, degli indici della "subordinazione" nell'attività svolta dal tirocinante in questione. Infatti, quanto al concreto atteggiarsi del rapporto, è noto che, ai fini della qualificazione giuridica di un rapporto di lavoro, la natura subordinata è desumibile dalle modalità e periodicità della retribuzione, dalla mancata precedente individuazione di un risultato, dall'assenza di rischio d'impresa in capo al lavoratore e dal suo stabile inserimento nell'organizzazione imprenditoriale. Per potersi configurare un rapporto di lavoro subordinato sono quindi necessari la persistenza nel tempo dell'obbligo giuridico di mettere a disposizione del datore le proprie energie lavorative ed il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro. Nulla di specifico che potesse indurre alla sussistenza di tali requisiti è emerso dall'istruttoria espletata e la constatazione che le attività del tirocinante fossero riconducibili ad un rapporto di subordinazione resta nell'alveo di mere valutazioni svolte dagli ispettori non associabili all'efficacia probatoria privilegiata del verbale redatto. Invero ai sensi degli artt. 2699-2700 c.c. gli stessi verbali fanno piena prova fino a querela di falso dei fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti alla sua presenza, nonchè della provenienza del documento dal pubblico ufficiale e della provenienza delle dichiarazioni dalle parti. Le dichiarazioni rese agli ispettori per come verbalizzate non assurgono a piena prova ove non confortate dall'esito dell'istruttoria. Dalle dichiarazioni testimoniali assunte si evince che (...) non rivestiva la qualifica di lavoratore dipendente. Dalla sua escussione quale teste di parte resistente lo stesso ha dichiarato di non essere mai stato impiegato per coprire sostituzioni di ruoli di organico. Nel corso dell'istruttoria i testi - tra cui anche quelli che hanno rilasciato le suddette dichiarazioni - hanno chiaramente confermato che il ricorrente ruotava su turni non per coprire asserite carenze di organico ma solo perché fosse così consentito il suo costante affiancamento dall'assistente di filiale o, quando questi assente, dal vice assistente di filiale. La teste (...) (Vice Assistente di Filiale) ha dichiarato "che se (...) lavorava in magazzino, lo stesso era affiancato da un altro dipendente"; La teste (...) (Assistente di Filiale) ha dichiarato che (...), come da progetto che sottoscriveva, ha ricevuto la formazione prevista per il tirocinio di inserimento per la durata di sei mesi dal 16 maggio al 15 novembre 2016 per la qualifica professionale di "aiuto commesso" ovvero "addetto alle vendite" con orario di 40 ore settimanali". (Cfr. Verb. d'ud. Del 3.03.2021). Il teste (...) (Capo Settore) ha dichiarato: "confermo, aveva il tutor (...) che era capo negozio", "Adr (...) lavorava quando c'era la tutor (...), quelle rare volte in cui non c'era la tutor era la vice assistente" ; ha pure confermato che il tirocinio di inserimento ha avuto i requisiti fissati dalla normativa e, cioè, è stato finalizzati a percorsi di inserimento nel mondo del lavoro della durata massima di 12 mesi a vantaggio di lavoratori disoccupati, in mobilità, sospesi in cassa integrazione. (Cfr. Verb. d'ud. Del 13.10.2021). Gli stessi testi hanno confermato che in favore del tirocinante è stata effettuata dalla Società la formazione pratica (c.d. on the job) che costituisce occasione di conoscenza del mondo del lavoro e al contempo di acquisizione di specifiche professionalità pratiche; la teste (...) ha dichiarato "confermo perché l'ho visto operare"; i testi hanno confermato inoltre che lo svolgimento del percorso formativo risulta descritto nel libretto formativo del tirocinante (...), ivi evidenziandosi i giorni di presenza, le attività ausiliarie alla vendita che sono state svolte sotto la guida del Tutor, l'orario di fatto osservato ma non prescritto in via vincolante. Lo stesso (...) all'udienza del 13 ottobre 2021 ha dichiarato: "confermo, ero affiancato dalla (...) che era il mio tutor, confermo tutto il capitolo"; a domanda il teste ha inoltre precisato "quando lavoravo c'era sempre il tutor o la vice assistente che mi affiancavano". E' pure emerso dai sopracitati testi e dallo stesso tirocinante che quest'ultimo era escluso da ogni controllo o verifica di tipo gerarchico o disciplinare e la sua attività svolta era sottoposta solo alla verifica del Tutor di rispetto del processo formativo rispetto agli obiettivi del progetto predisposto. La teste (...) (Assistente di Filiale) ha dichiarato "il tirocinante veniva seguito da me o dalla D.L. e provvedavamo a spiegargli quello che si doveva fare. Confermo il capitolo"; la teste (...) ha dichiarato "posso dire che il (...) non ha sostituito alcun collega ed era sempre affiancato da uno di noi. In caso di assenza, lo comunicava tramite una telefonata"; la teste (...) (Assistente di Filiale) ha dichiarato "confermo, mi risulta che il (...) osservava l'orario del libretto formativo. Per le autorizzazioni o eventuali giustificazioni venivo informata dal (...)." In definitiva tutti i testi escussi hanno confermato che il signor (...) è sempre stato regolarmente formato e affiancato da personale esperto e soprattutto che non è mai stato impiegato per sostituire personale assente o per far fronte a carenze di organico. Pertanto, sulla base dei motivi sopra esposti, ai sensi dell'art. 23 L. n. 689 del 1981, l'opposizione va accolta, non essendovi prove sufficienti della responsabilità delle parti opponenti, con conseguente annullamento delle ordinanze ingiunzioni opposte. Attesa la reiezione delle contestazioni ed eccezioni sollevate in via preliminare dalle parti opponenti quali motivi di impugnazione, considerato che non possono rinvenirsi comportamenti di natura colposa in capo alla resistente che ha agito sulla base di un accertamento compiuto dai verbalizzanti sulla base di dichiarazioni dello stesso lavoratore, ritiene questo giudicante che sussistano particolari ragioni affinchè le spese del giudizio possono essere interamente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale di Teramo, in persona del giudice onorario, dott. Marco Di Biase, in funzione di giudice del lavoro, definitivamente decidendo nella causa iscritta al n. 393/2019 R.G., contrariis reiectis, così statuisce: In accoglimento del ricorso, annulla le ordinanze ingiunzioni opposte n.ri 447 1-/2018 del febbraio 2019 e 4470/2018 emessa in data 4 febbraio 2019; compensa tra le parti le spese del giudizio. Così deciso in Teramo il 15 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 15 febbraio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Milano, sezione lavoro, composta da: Dott. Giovanni PICCIAU - Presidente Dott. Giovanni CASELLA - Consigliere rel. Avv. Maria DI PAOLO - Giudice Ausiliario ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado d'appello avverso la sentenza parziale n. 550/22 e definitiva n. 1452/22 del Tribunale di Milano, est. Dott. Lombardi, discussa all'udienza collegiale del 23-1-2023 e promossa DA (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti An.Ma., Ma.Ma. e Ca.De., ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Milano, Via (...) APPELLANTE CONTRO (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Do.Si., ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Milano, Viale (...) APPELLATA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza definitiva n. 1452/22 pubblicata il 03/06/22 il Tribunale Ordinario di Milano, Sezione Lavoro (Dott. Lombardi) nella causa promossa da (...) contro (...) Srl ha così disposto: "Condanna (...) s.r.l. al pagamento, in favore di (...), per i titoli di cui in narrativa, delle seguenti somme: Euro 19.066,78 a titolo di retribuzione; Euro 3.439,70 a titolo di ratei; Euro 1.571,32 a titolo di TFR, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo, e spese di lite, che liquida in Euro 4.200,00 per compensi di avvocato, oltre accessori di legge". Con ricorso depositato in data 09/04/21 la Sig.ra (...) dichiarava di aver stipulato, in data 14/3/2017, con la società (...) s.r.l. contratto di Apprendistato Professionalizzante, con inquadramento nel V livello CCNL Pubblici Esercizi durata 36 mesi, 40 ore settimanali, che il contratto era proseguito poi dall'1/10/2017 con la società (...) s.r.l., e, a seguito di cessione di ramo di azienda, ex art. 2112 c.c., era continuato, dapprima, con la società (...) s.r.l. e, infine, dal 12/12/2018, con la società resistente (...) s.r.l., poi, concluso in data 26/02/21 con comunicazione PEC della società. Lamentando che la prestazione svolta nel periodo 07/03/2017-28/02/2021 presentava tutti gli elementi tipici del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con diritto all'inquadramento al II livello contrattuale CCNL Turismo-Pubblici Esercizi, con differenze retributive pari ad Euro 44.509,37, nullità ed illegittimità dei contratti di apprendistato sottoposti negli anni alla stessa, in quanto mancanti del piano formativo, la Sig.ra (...) adiva il tribunale chiedendo la condanna della società all'inquadramento del rapporto in lavoro subordinato a tempo indeterminato. Il giudice di prime cure, con sentenza non definitiva n. 550/22, pronunciata in data 01/03/22, ha dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato tra la ricorrente e la (...) s.r.l., a decorrere dal 1/10/2017, in quanto "va rilevato come vi sia agli atti prova congrua in ordine alla circostanza che il contratto di apprendistato professionalizzante intercorso con la (...) s.r.l., proseguito con la (...) s.r.l. prima, e (...) s.r.l. dopo, non possa considerarsi, avuto riguardo ai suoi elementi formali e causali, ungenuino contratto di apprendistato, avuto riguardo al disposto dell'art. 53 D.Lgs. n. 276 del 2003, all'epoca vigente". Dichiarava, quindi, anche la conseguente nullità del recesso del 26/2/2021, ordinando la reintegrazione della ricorrente presso la società resistente con inquadramento II livello CCNL Turismo Pubblici Esercizi dal momento che era pacifico che la stessa aveva svolto mansioni di responsabile del punto vendita, disponendo la prosecuzione del giudizio al fine di determinare le differenze retributive dovute alla Sig.ra B.. Con sentenza definitiva n. 1452/2022, il Tribunale condannava la società, con riferimento al periodo dall'1/10/2017 al 28/02/2021, al pagamento delle seguenti somme: Euro.19.066,78 a titolo di retribuzione; Euro.3.439,70 a titolo di ratei; Euro.1.571,32 a titolo di TFR. Avverso tale sentenza (...) S.r.l., con atto depositato in data 17/10/22, ha proposto appello, per i seguenti motivi: - Sulla validità del verbale di conciliazione del 25.07.2018 L'appellante chiede che la sentenza appellata venga riformata nella parte in cui ha dichiarato la nullità del verbale di conciliazione, sottoscritto in data 25.07.2018 tra la lavoratrice e la (...) s.r.l., e chiede che, con il riconoscimento della piena validità del suddetto verbale, venga dichiarato che ogni rivendicazione della lavoratrice non possa essere precedente al 25.07.2018. - Sul rapporto di apprendistato professionalizzante Profili normativi Sul punto, l'appellante insiste per la revisione della sentenza (non definitiva) nella parte in cui dichiara nullo il contratto di lavoro di apprendistato professionalizzante, riconvertendolo in lavoro subordinato a tempo indeterminato, e chiede che venga accertato e dichiarato che il rapporto di lavoro tra le parti fosse a tutti gli effetti un apprendistato, o, in estremo subordine, che possa essere considerato come rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato, dal momento che, contrariamente a quanto affermato dal tribunale, la società aveva correttamente adempiuto al suo onere formativo. Contestava altresì che all'epoca del contratto di assunzione della lavoratrice con la società (...) s.r.l.(ottobre 2017) la normativa in vigore era quella prevista dal D.Lgs. n. 81 del 2015 e non quella relativa all'art. 53 del D.Lgs. n. 276 del 2003 che era stato abrogato dal D.Lgs. n. 167 del 2011. Parte appellante sostiene l'incongruenza tra quanto deciso dal tribunale e quanto dallo stesso affermato in un passo precedente della sentenza non definitiva, dal momento che, in un primo momento, acclarava che l'attività lavorativa dell'odierna appellata era quella di responsabile del punto vendita (per la quale la stessa avrebbe ricevuto una formazione ancora più professionalizzante rispetto a quanto riportato nel suo progetto formativo), inquadrandola quindi al secondo livello del contratto applicato, per poi dichiarare la nullità del rapporto di lavoro e la riconversione del medesimo in lavoro subordinato a tempo indeterminato dal momento che "dalle risultanze dell'escussione dei testi, ... emerge un quadro di assenza di attività di tutoraggio, di perdurante affiancamento in formazione in favore della ricorrente, fatta eccezione per sporadiche attività di controllo ed impartizione di istruzioni ed indicazioni, compatibili con l'esercizio della tipica attività direttiva datoriale ma non con la fattispecie contrattuale di cui è causa". Sui profili formali/sostanziali Parte appellante impugna la parte della sentenza non definitiva secondo cui "Sotto il profilo formale, i contratti versati in atti presentano diverse scadenze e l'assenza di un articolato progetto formativo, non consegnato alla lavoratrice né prodotto in atti", chiedendone la riforma in quanto i contratti di assunzione, nonché il piano formativo dell'apprendistato per l'attività di cameriera (per altro depositato dalla stessa controparte, in quanto consegnatole unitamente al contratto di assunzione presso la società (...)) sono formalmente ineccepibili o, al più, contengono dei refusi (dovuti ad errori di battitura dell'estensore del primo contratto che ha dichiarato il termine del contratto in un mese successivo a quello corretto) che non comportano alcuna conseguenza sul fronte della loro validità. Impugna anche la statuizione secondo cui "Dalle risultanze dell'esecuzione dei testi, di seguito integralmente riportata, emerge un quadro di assenza di attività di tutoraggio, di perdurante affiancamento in formazione in favore della ricorrente, fatta eccezione per sporadiche attività di controllo ed impartizioni di istruzioni ed indicazioni, compatibili con l'esercizio della tipica attività direttoriale datoriale ma non con la fattispecie contrattuale di cui è causa" dal momento che il rapporto di lavoro con (...) era stato l'ultimo in termini di tempo e quindi risultava fisiologico il fatto che la lavoratrice aveva avuto modo di effettuare la sua formazione pratica in massima parte nei periodi precedenti, quando aveva le altre società come datrici di lavoro. Durante il periodo in cui era dipendente di F., alla lavoratrice era stato concesso quel grado di autonomia necessario per addivenire ad una reale crescita professionale, mantenendo pur sempre su di lei uno sguardo vigile e attento da parte non solo della sua tutor, alla quale poteva sempre rivolgersi, come confermato nel corso dell'istruttoria. Sul punto, parte appellante inoltre deduce che alla lavoratrice era stato chiesto di seguire il corso di 80 ore avente ad oggetto la formazione trasversale e il modulo base di inglese: tale corso aveva al suo interno vari step, ciascuno dei quali con un breve test che avrebbe permesso di accedere a quello successivo, ed invece, la stessa, dopo essersi lamentata in ordine alla difficoltà delle domande dei test, in un mese (circa 160 ore) non era riuscita a completare le 80 ore previste, e successivamente non era più rientrata al lavoro dopo aver chiesto 6 mesi di congedo parentale e fatto 5 mesi di malattia. Chiede, quindi, la riforma della sentenza affinché venga dichiarato che (...) ha regolarmente adempiuto al suo dovere formativo nei confronti della lavoratrice. Da ultimo, impugna la parte della sentenza secondo cui "Esorbitante appare, poi, la durata complessiva del contratto rispetto ad un'attività di formazione ed acquisizione di professionalità, non compatibile con una durata ultra triennale (pur tenendo conto dei periodi di legittima sospensione del rapporto)", deducendo che, a causa dei periodi di sospensione dati dalla gravidanza, dal congedo e dalla malattia della lavoratrice, oltre che del minor numero di ore lavorative effettuate dalla medesima durante il primo anno di vita del bambino, il periodo di apprendistato (28 mesi) della lavoratrice è da ritenere del tutto congruo e per nulla esorbitante. - Sull'inquadramento contrattuale Sul punto, parte appellante contesta la parte della sentenza che ha affermato quanto segue: "Diverge infine sostanzialmente, sì da rendere evidente l'utilizzo dello strumento dell'Apprendistato Professionalizzante per far fronte a necessità di personale a costi inferiori rispetto a quelli derivanti dalla fisiologica contrattualizzazione in termini di ordinario lavoro subordinato, il livello di inquadramento (V livello, con mansioni di cameriera) e le mansioni in concreto svolte, dichiarate anche dai testi che evocano l'esistenza di una attività di formazione professionalizzante. Come si vedrà di seguito, difatti, la teste (...) dichiara che la (...) era "in formazione per diventare responsabile". Ad avviso dell'appellante, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, le testimonianze acquisite in istruttoria non sono univoche relativamente alle mansioni lavorative della signora (...). - Sul presunto licenziamento L'appellante denuncia la sentenza (non definitiva) nel punto in cui accoglie le richieste della lavoratrice relative al recesso attuato secondo le modalità di un vero e proprio licenziamento e che, essendo il medesimo senza motivazione, dovesse essere dichiarato nullo, con conseguente condanna alla reintegra della lavoratrice ed al pagamento della relativa indennità, oltre ai contributi previdenziali ed assistenziali. Sul punto, l'appellante torna a ribadire quanto precedentemente affermato in merito sia alla validità del percorso di apprendistato intrapreso dalla lavoratrice, sia in riferimento alla sanzione da applicare qualora risultasse che l'appellante non aveva rispettato a pieno gli obblighi derivanti da tale tipologia lavorativa, che però insiste, non può concretizzarsi in una nullità del contratto stesso con riconversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Nella denegata ipotesi in cui si dovesse ritenere di confermare le sentenze, parte appellante chiede che venga ordinata a controparte l'esibizione/produzione dei documenti fiscali atti a provare la non percezione di retribuzione ulteriore nel periodo intercorrente tra la cessazione del rapporto di lavoro e la dichiarazione di rinuncia della reintegra. - Sulla sentenza definitiva nr.1452/2022 Parte appellante ritiene ingiusta la decisione del giudice di prime cure di inquadrare la lavoratrice al secondo livello dal CCNL Turismo Pubblici Esercizi e di conseguenza contesta la condanna al pagamento degli importi derivanti da esso. In data 12/01/2023 si è costituita in giudizio la signora S.B. chiedendo il rigetto del ricorso avversario in quanto infondato e la conferma della sentenza impugnata. All'udienza di discussione la causa è stata decisa come da dispositivo in calce. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appellante censura la sentenza qui impugnata per distinti ordini di ragioni: in primo luogo, per aver il Tribunale dichiarato la nullità del verbale di conciliazione, sottoscritto in data 25.07.2018 tra la lavoratrice e la (...) s.r.l.; in secondo luogo, per avere il Giudice ingiustamente dichiarato nullo il contratto di lavoro di apprendistato professionalizzante, riconvertendolo in lavoro subordinato a tempo indeterminato; in terzo luogo, per avere il Tribunale inquadrato la sig.ra (...) nel II livello CCNL Turismo Pubblici Esercizi, nonostante le prove orali non avessero confermato tale superiore inquadramento; in quarto luogo, per avere il Giudice equiparato il recesso dal contratto di apprendistato ad un vero e proprio licenziamento ingiustificato; in quinto luogo, per avere il Tribunale riconosciuto, con la sentenza definitiva, differenze retributive in realtà non dovute stante la genuinità del contratto di apprendistato professionalizzante. L'appello è infondato. In merito al primo motivo d'appello, si osserva che, per costante giurisprudenza, per poter qualificare come atto di transazione l'accordo tra lavoratore e datore è necessario che contenga lo scambio di reciproche concessioni, sicché, ove manchi l'elemento dell'"aliquid datum, aliquid retentum", essenziale ad integrare lo schema della transazione, questa non è configurabile (Cass., 31/08/2022, n.25600; Cass., 09/06/2021, n.16154; Cass., 07/11/2018, n.28448). La Suprema Corte ha più volte rilevato che ai fini della qualificazione di una dichiarazione liberatoria sottoscritta dalla parte come quietanza o piuttosto come transazione, occorre considerare che la quietanza liberatoria rilasciata a saldo di ogni pretesa costituisce, di regola, una semplice manifestazione del convincimento soggettivo dell'interessato di essere soddisfatto di tutti i suoi diritti, e che pertanto concreta una dichiarazione di scienza priva di alcuna efficacia negoziale. Nella dichiarazione liberatoria sono ravvisabili invece gli estremi di un negozio di rinunzia o transazione in senso stretto soltanto quando per il concorso di particolari elementi di interpretazione contenuti nella stessa dichiarazione, o desumibili aliunde, risulti che la parte l'abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di abdicare o transigere su propri diritti. Nel caso in esame, la lavoratrice, a seguito della sua rinuncia a qualsiasi ulteriore pretesa derivante dal pregresso rapporto di lavoro, non ha ottenuto alcunché in cambio. Ciò premesso, nel caso in esame, si rileva che, sebbene le parti avessero siglato una transazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro di Milano e che l'accordo era stato siglato anche dal conciliatore sindacale, la lavoratrice si era limitata a dichiarare di non avere più nulla a pretendere dalla ditta senza, peraltro, esprimere alcuna volontà di volersi privare di diritti specifici e determinati o determinabili. Nel caso in esame, quindi, la lavoratrice a seguito della sua rinuncia a qualsiasi ulteriore pretesa derivante dal pregresso rapporto di lavoro, non ha ottenuto null'altro oltre a quanto dovutole già per legge e contratto. A nulla rileva, peraltro, che la transazione sia stata effettuata in sede sindacale atteso che, perché possa applicarsi l'art. 2113 c.c., comma 4, che esclude la possibilità di impugnativa delle conciliazioni sindacali, deve pur sempre trattarsi di un atto qualificabile come transazione e non di una mera quietanza liberatoria. Anche gli ulteriori motivi di censura, tra loro strettamente connessi, non sono meritevoli di accoglimento. In tema di contratto di apprendistato professionalizzante, questa Corte ha più volte ribadito che l'attività formativa non consiste in un generico addestramento o affiancamento (che caratterizza, di norma, tutti i lavoratori neo assunti nel periodo iniziale del rapporto), bensì in insegnamenti specifici funzionali al conseguimento della qualificazione professionale prevista nel piano di formazione. Il momento formativo assume un ruolo essenziale nel contratto di apprendistato professionalizzante, che è contratto a causa mista, caratterizzato, oltre che dallo svolgimento della prestazione lavorativa, dall'obbligo del datore di lavoro di garantire un'effettiva formazione finalizzata all'acquisizione, da parte dell'apprendista, di una qualificazione professionale, la quale rappresenta il dato essenziale della speciale figura contrattuale. L'onere della prova in ordine all'effettiva attività di insegnamento impartita all'apprendista grava sul datore di lavoro (così, ex plurimis, Corte appello Milano sez. lav., 02/05/2019, n.392 pres. Picciau, rel. D.). A ciò si aggiunga che l'insegnamento dev'essere coerente col piano formativo e con la qualificazione professionale che si vuole acquisire. Per consolidata giurisprudenza, in tema di contratto di apprendistato, l'inadempimento degli obblighi di formazione ne determina la trasformazione, fin dall'inizio, in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ove l'inadempimento abbia un'obiettiva rilevanza, concretizzandosi nella totale mancanza di formazione, teorica e pratica, ovvero in una attività formativa carente o inadeguata rispetto agii obiettivi indicati nel progetto di formazione e trasfusi nel contratto, ferma la necessità per il giudice, in tale ultima ipotesi, di valutare, in base ai principi generali, la gravità dell'inadempimento ai fini della declaratoria di trasformazione del rapporto in tutti i casi di inosservanza degli obblighi di formazione di non scarsa importanza (Cass., 08/06/2021, n.15949). Nella specie, manca qualsiasi prova certa che possa dimostrare che la sig.ra (...) abbia beneficiato di un costante insegnamento diretto all'acquisizione della qualifica di store manager. Tutti i testi hanno confermato che l'appellata, sin dall'inizio della sua assunzione, era destinata ad acquisire il II livello (svolgendo peraltro le mansioni corrispondenti) nonostante il contratto di apprendistato prevedesse il V livello (cameriera) ed il piano formativo allegato fosse calibrato su tale inferiore inquadramento. Il CCNL Turismo Pubblici Esercizi, espressamente richiamato nel contratto di apprendistato, impone la redazione di un "piano formativo individuale" (PFI) che definisca il percorso formativo del lavoratore in coerenza con il profilo formativo relativo, riportante "il nome e la qualifica del tutor" nonché "le modalità di erogazione della formazione professionalizzante (formazione d'aula, on the job, formazione a distanza (FAD) o strumenti di e-learning, ecc.)". Il CCNL impone inoltre al datore di lavoro di erogare almeno 80 ore annue di formazione (per il II livello) o 60 ore annue (per il V livello), nonché di registrare le competenze acquisite durante il periodo di apprendistato sul "libretto formativo". Il pacifico inadempimento di tali obblighi (indicazione del tutor, indicazione delle modalità di formazione, indicazione di tali attività formative sul libretto, incoerenza tra mansioni esercitate e formale inquadramento) fa già presumere una assente e/o carente attività formativa, confermata, peraltro, dall'istruttoria, in cui nessun testimone ha riferito l'avvenuta erogazione da parte dell'impresa delle ore di formazione imposte dal CCNL in ciascun anno. Tale carenza sostanziale non integra una mera irregolarità formale, ma fa venir meno l'elemento costitutivo del contratto di apprendistato professionalizzante. Nella sostanza, poi, i capitoli di prova, formulati da (...), se anche ammessi, stante la loro assoluta genericità, non descrivono nello specifico il contenuto e le modalità (anche quantitative) dell'insegnamento pratico e teorico impartito all'apprendista, non essendo quindi idonei a dimostrare l'effettivo adempimento da parte del datore di lavoro di tutti gli obblighi di formazione. Correttamente, quindi, il primo Giudice ha rilevato come dalle risultanze istruttorie sia emerso "un quadro di assenza di attività di tutoraggio, di perdurante affiancamento in formazione in favore della ricorrente, fatta eccezione per sporadiche attività di controllo ed impartizione di istruzioni ed indicazioni, compatibili con l'esercizio della tipica attività direttiva datoriale ma non con la fattispecie contrattuale di cui è causa". Il Collegio concorda con la sentenza impugnata nella parte in cui ha sostenuto che l'esecuzione del rapporto de quo diverga sostanzialmente dal contenuto del contratto "sì da rendere evidente l'utilizzo dello strumento dell'Apprendistato Professionalizzante per far fronte a necessità di personale a costi inferiori rispetto a quelli derivanti dalla fisiologica contrattualizzazione in termini di ordinario lavoro subordinato", considerato "il livello di formale inquadramento (V livello, con mansioni di cameriera) e le mansioni in concreto svolte, dichiarate anche dai testi che evocano l'esistenza di una attività di formazione professionalizzante". In particolare, la testimone (...) ha dichiarato espressamente che la (...) era "in formazione per diventare responsabile". L'unico testimone che ha accennato allo svolgimento di iniziali mansioni di cameriera è stato il sig. (...), il quale però - essendo stato anch'egli dipendente delle società che si sono succedute nella gestione del locale sin dal 2013 (vedi busta paga) - ha evidentemente fatto riferimento al periodo iniziale in cui era stata assunta l'appellata ("All'inizio la ricorrente faceva la cameriera, ma non saprei dire per quanto tempo abbiamo lavorato assieme nel locale H, ..., poi a un certo punto è diventata responsabile del ristorante, gestiva lei la situazione, quando non andava bene qualcosa in cucina lei veniva e diceva che non andava bene, si occupava anche della gestione della cassa, ci occupavamo anche insieme delle ordinazioni degli alimenti e delle materie prime che si utilizzavano al ristorante, provvedevo agli ordinativi anche io, ed anche lei se ne occupava, io ordinavo perché pensavo alla cucina, io mi occupavo degli ordini che riguardavano la cucina, ma anche lei si occupava delle materie prime che servivano in cucina, ad esempio mi chiedeva che quantitativi servivano di carne ed io glielo dicevo, avevamo tutti e due rapporti con i fornitori, degli ordini ci occupavamo assieme, lei pensava anche alla sala, quello di cui avevano bisogno loro per esempio le bevande, quello di cui avevano bisogno loro, per quanto riguarda i turni del personale lei si occupava di quelli della sala ed io mi occupavo di quelli della cucina"). In ogni caso, non si può escludere che la sig.ra (...), pur essendo destinata ad acquisire le competenze di store manager, all'inizio potesse anche svolgere le mansioni di cameriera, atteso che il teste non è stato in grado di precisare se in tale periodo iniziale il locale fosse gestito da una diversa responsabile. Peraltro, la prova dell'intenzionale sotto-inquadramento dei dipendenti da parte della società appellante è desumibile dal fatto che lo stesso testimone A., pur svolgendo mansioni di cuoco, risultava inquadrato e retribuito come un VI livello (vedi busta paga). Non stupisce, quindi, che la sig.ra (...), pur essendo stata assunta per lo svolgimento di mansioni di store manager, fosse stata fittiziamente inquadrata al V livello. Alla luce, quindi, di quanto esposto, devono ritenersi condivisibili le conclusioni assunte dal primo Giudice secondo cui dalle risultanze istruttorie "emerge, dunque, con tendenziale univocità, la circostanza che la ricorrente, nel periodo di cui è causa (fatto salvo un limitato periodo di alcune settimane, nelle quali la stessa ha svolto il ruolo di cameriera ...) abbia svolto le attività tipiche di store manager o responsabile del punto vendita nei locali (...) e (...), aprendo e chiudendo il locale con le chiavi in dotazione, gestendo in autonomia ordini e forniture, raccogliendo e versando gli incassi giornalieri, occupandosi della relativa contabilità, raccogliendo curricula ed effettuando colloqui orientativi con potenziali interessati a posizioni lavorative, organizzando orari e turni settimanali di reparti interni a punti vendita, inventariando trimestralmente la merce, partecipando a riunioni aziendali con altri store manager. Tali attività appaiono riconducibili, al di là di ragionevoli dubbi, al richiesto II livello di inquadramento contrattuale CCNL Turismo - Pubblici Esercizi, ed alle relative esemplificazioni. Appartengono infatti a questo livello i lavoratori che svolgono mansioni che comportano sia iniziativa che autonomia operativa nell'ambito ed in applicazione delle direttive generali ricevute, con funzioni di coordinamento e controllo o ispettive di impianti reparti e uffici, per le quali è richiesta una particolare competenza professionale". All'appellata competono, dunque, le differenze retributive quantificate - sulla base di conteggi concordati - nella sentenza definitiva. Poiché, nella specie, il contratto stipulato inter partes dev'essere considerato ab origine un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ne consegue che il recesso formalmente esercitato ex art. 2118 c.c. non è giustificato in quanto è insussistente il presupposto che legittima tale recesso ossia un valido ed efficace contratto di apprendistato professionalizzante. In assenza di tale presupposto, quindi, il recesso dal rapporto di lavoro ordinario, non essendo motivato da una giusta causa o un giustificato motivo, deve ritenersi illegittimo, determinando l'applicazione delle tutele stabilite per i licenziamenti invalidi così come correttamente disposto dal primo Giudice. Per tutte le argomentazioni sopra esposte, l'appello dev'essere rigettato con conseguente conferma della sentenza impugnata. Considerato che per mero errore materiale nel dispositivo della sentenza si è fatto riferimento alla sola sentenza definitiva del Tribunale di Milano senza fare cenno a quella (pure impugnata) parziale n. 550/2022, si procede - come consentito dalla giurisprudenza della Suprema Corte (vedi, da ultimo, Cass. 5894/12) - ad emendare tale errore materiale, disponendo che le parole "la sentenza n. 1452/22", vengano sostituite dalle parole "le sentenze nn. 550/2022 e 1452/22". Le spese del grado sono poste a carico della parte soccombente e liquidate come da dispositivo, in ragione della controversia e delle tabelle dei compensi professionali di cui al D.M. n. 55 del 10 marzo 2014, come modificato dal decreto 13-8-2022, n. 147. P.Q.M. Respinge l'appello avverso le sentenze nn. 550/2022 e 1452/22 del Tribunale di Milano; condanna l'appellante al pagamento delle spese del grado liquidate in Euro 3.500,00 oltre spese generali ed accessori di legge; dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui all'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002 così come modificato dall'art. 1 comma 17 della L. 24 dicembre 2012, n. 228. Così deciso in Milano il 23 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria l'1 febbraio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. CATENA Rossella - rel. Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Cagliari; avverso la sentenza della Corte di Appello di Cagliari emessa in data 10/02/2022; nel processo nei confronti di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Rossella Catena; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Odello Lucia, che ha chiesto il rigetto del ricorso; uditi i difensori di fiducia dell'imputato, avv.to (OMISSIS) e avv.to (OMISSIS), che hanno chiesto l'inammissibilita' o il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Cagliari, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Cagliari in data 26/09/2017, con cui (OMISSIS) era stato condannato a pena di giustizia in relazione al delitto di cui all'articolo 81 c.p., comma 2, articolo 476 c.p., comma 2, in (OMISSIS), assolveva l'imputato dal reato a lui ascritto perche' il fatto non sussiste. 2. Il Procuratore generale presso la Corte di Appello di Cagliari ricorre, in data 07/03/2022, deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 2.1 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), in quanto la motivazione della Corte territoriale afferisce unicamente alla contestazione di falsificazione relativa al diario operatorio stampato, ma non anche alla contestazione in riferimento alle integrazioni effettuate nel riquadro denominato "Gravidanza attuale", in cui erano state aggiunte le parole "come in precedenza lamentato" e "sospetta deiscenza", condotta rispetto alla quale la motivazione e' del tutto carente, ne' puo' essere integrata dalle considerazioni operate in riferimento alle altre condotte ascritte all'imputato. In particolare, risulta pacifico che il Dott. (OMISSIS) non fosse presente in reparto al momento del ricovero della paziente nella serata del 08/01/2013, ed e' altrettanto pacifico che, in sua assenza, la prima parte della cartella clinica fosse stata redatta da altro medico di turno in reparto, del quale non e' stata accertata l'identita'; inoltre, risulta chiaro, dal raffronto tra la cartella clinica sequestrata in originale e quella fotocopiata per l'invio all'ufficio competente per le sanzioni disciplinari, che nel momento in cui l'imputato intervenne sul quadro "Gravidanza attuale", la cartella clinica era stata gia' sottoscritta dal medico strutturato di turno o, al piu', dalla specializzanda, ma, comunque, sotto la supervisione e vigilanza di un tutor diverso dal Dott. (OMISSIS), assente e, quindi, certamente estraneo a tale attivita'; 2.2 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), avendo la sentenza impugnata, da un lato, affermato l'autonomia delle annotazioni effettuate in sede di anamnesi dalla specializzanda e, dall'altro, ritenuto tali annotazioni non definitive e, quindi, modificabili da parte di un medico di ruolo; 2.3 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), essendo accertato che l'imputato era intervenuto anche sulle annotazioni relative alla raccolta del dato anamnestico, dotate di propria autonomia, il che appare incongruo e contraddittorio rispetto all'assunto della Corte territoriale, secondo cui il Dott. (OMISSIS) si era limitato ad operare delle correzioni ed integrazioni cui era legittimato, sebbene adottando una forma non ortodossa; proprio inserendo la vicenda nel contesto dei rapporti conflittuali tra l'imputato ed il Dott. (OMISSIS), infatti, si comprende come le modifiche apportate in cartella dal Dott. (OMISSIS) fossero finalizzate a rappresentare una presunta situazione di urgenza sussistente gia' al momento del ricovero della paziente, tale da giustificare l'anticipazione del taglio cesareo rispetto alle linee guida, dal che emerge come nel caso di specie non sia ravvisabile alcun falso innocuo o grossolano. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso del Procuratore generale e' infondato e va, pertanto, rigettato. 1.Va premesso che, come risulta dal capo di imputazione, ad (OMISSIS), dirigente medico presso la Clinica Ostetrica e Ginecologica dell'Ospedale San Giovanni di Dio di Cagliari, sono state ascritte plurime condotte di falso, ai sensi dell'articolo 81 c.p., comma 2, articolo 476 c.p., comma 2, aventi ad oggetto la cartella clinica della paziente (OMISSIS), ricoverata presso detta struttura dal 08/01/2014 al 14/01/2014. In particolare, il (OMISSIS) aveva cancellato con correttore bianco alcune parole relative alla diagnosi di ingresso ed a quella contenuta nel quadro riepilogativo; aveva, inoltre, inserito alcune parole, alle pagg. 2 e 5 della cartella clinica (a pag. 2 le parole "come in precedenza lamentato" e "sospetta deiscenza", in relazione ai dati anamnestici sulla gravidanza e, alla pag. 5, la frase "T.C. cesareo elettivo in III gravida II para 38 sett. e 1 giorno con doppio pregresso T.C. e deiscenza della cicatrice uterina", in corrispondenza della diagnosi), nonche' nel foglio informatico del registro operatorio, dove aveva aggiunto a penna la parola "deiscente". La sentenza impugnata ha ritenuto che le dichiarazioni rese dal (OMISSIS) al pubblico ministero - ed acquisite agli atti del fascicolo dibattimentale - fossero del tutto coerenti con la risultanze dibattimentali e, quindi, ha ricordato come il medico avesse ammesso le condotte contestategli, spiegando che la (OMISSIS) era una sua paziente in stato interessante, che, alla fine del mese di dicembre 2012, era gia' stata ricoverata per perdite ematiche e dolori; il (OMISSIS) non aveva potuto visitarla, in quella occasione, perche' si trovava all'estero, ma aveva detto alla paziente che, al suo rientro, le avrebbe comunicato la data del taglio cesareo, mettendosi poi d'accordo in tal senso con il Dott. (OMISSIS), sostituto del Dott. (OMISSIS), quest'ultimo primario del reparto, al momento assente; era stata, quindi, fissata per l'intervento la data del 09/01/2013. Il Dott. (OMISSIS) aveva spiegato altresi' che, secondo le linee guida indicate dal primario, Dott. (OMISSIS), la paziente non avrebbe potuto essere sottoposta al taglio cesareo alla data indicata, in quanto non sarebbe giunta ancora alla trentanovesima settimana di gravidanza e che, tuttavia, nel caso di specie, alla luce delle risultanze della cartella clinica relativa al primo ricovero dal 27 al 30/12/2012, sussistevano delle specifiche ragioni di urgenza che consigliavano l'esecuzione dell'intervento anche prima della trentanovesima settimana. Il Dott. (OMISSIS) aveva anche chiarito come l'intera vicenda fosse da inquadrare in un contesto di rapporti estremamente conflittuali tra lui ed il primario del reparto, il Dott. (OMISSIS), il quale ha, a sua volta, confermato detta circostanza; non a caso, infatti, il (OMISSIS), subito prima di eseguire l'intervento di taglio cesareo in data 09/01/2013, aveva appreso dall'ostetrica che altri due medici avevano contestato detta sua decisione e che, successivamente, aveva saputo che il Dott. (OMISSIS) si stava interessando alla vicenda, avendo fatto acquisire copia della cartella clinica della paziente. In merito ai fatti oggetto di contestazione, il Dott. (OMISSIS) ha spiegato che, nel corso dell'intervento di taglio cesareo, egli aveva mostrato agli operatori presenti che la cicatrice della (OMISSIS), conseguenza di due precedenti tagli cesarei, presentava una condizione di deiscenza, il che aveva cagionato le perdite ematiche ed i dolori lamentati dalla paziente, che avevano determinato la necessita' di anticipare l'intervento; una volta eseguito il taglio cesareo, il diario clinico era stato redatto da una specializzanda presente all'intervento, la Dott.ssa Parasciolu, secondo una prassi incontestata. Successivamente, anche avendo appreso del diffondersi delle voci circa l'interesse del Dott. (OMISSIS) alla vicenda, alla luce dei rapporti pregressi, il Dott. (OMISSIS) aveva esaminato il diario operatorio e la cartella clinica della (OMISSIS), a cui egli aveva accesso in quanto la predetta era ancora ricoverata, e si era reso conto che la specializzanda aveva omesso di riportare la condizione di deiscenza della cicatrice da lui rilevata ed illustrata nel corso dell'intervento; contattata la Dott.ssa Parasciolu per integrare tale carenza, la stessa aveva suggerito al (OMISSIS) di modificare informaticamente il diario operatorio, inserendo la menzione omessa, cosa che il (OMISSIS) aveva escluso, in quanto, in tal modo, il nuovo documento informatico avrebbe avuto una data diversa da quella in cui l'intervento era stato eseguito, per cui aveva ritenuto di apportare l'integrazione a penna sul documento originale, inserendo di suo pugno la parola "deiscenza". Quanto alle ulteriori modifiche, il (OMISSIS) aveva ricordato di aver inserito alla pag. 1 le parole "perdite ematiche", in quanto la (OMISSIS) gli aveva riferito delle perdite che si erano verificate in occasione del viaggio in auto per recarsi a Cagliari, in occasione del secondo ricovero ospedaliero, verificatosi in orario serale; tuttavia, egli si era accorto che, alla pag. 2 della medesima cartella, la specializzanda presente all'atto del ricovero, che aveva redatto la cartella - e che non risulta identificata, non ricordandone il nome neanche il (OMISSIS) - aveva scritto che la paziente negava perdite ematiche, sicche' egli aveva cancellato con il bianchetto la relativa dicitura, annotata alla pagina precedente. La sentenza impugnata ha dato atto, quindi, come il Dott. (OMISSIS) avesse ammesso anche le successive integrazioni, ossia quelle alle pagg. 2 e 5, come in precedenza descritto, in coerenza con le specifiche circostanze della vicenda, avendo egli, in sostanza, l'interesse a far emergere le specifiche condizioni di salute della paziente, che lo avevano indotto a praticare il taglio cesareo in anticipo rispetto alla trentanovesima settimana di gravidanza e, quindi, in contrasto con le disposizioni impartite dal primario del reparto. Il Dott. (OMISSIS), a sua volta - come risulta a pag. 5 della sentenza impugnata - ha confermato tali circostanze, dichiarando che effettivamente la deiscenza della cicatrice avrebbe costituito condizione per intervenire prima della trentanovesima settimana, ricordando di aver realizzato le difformita' documentali dal raffronto tra l'originale della cartella e la copia da lui fatta acquisire nell'immediatezza dell'intervento e confermando, infine, la prassi di completare successivamente la cartella clinica di una paziente. 2. Tanto premesso in relazione all'inquadramento della vicenda, va rilevato come le doglianze poste a fondamento del primo e del secondo motivo - tra loro logicamente correlati - riguardino specificamente le annotazioni alla pag. 2 della cartella clinica, fondate sulla circostanza che pacificamente, all'atto del ricovero della paziente, nella tarda serata del 08/01/2013, il Dott. (OMISSIS) non era presente in reparto, avendo egli concordato telefonicamente con la (OMISSIS) la data del ricovero in funzione dell'intervento, con la conseguenza che il ragionamento seguito dalla Corte di merito per pervenire all'assoluzione dell'imputato in riferimento alle altre condotte, nel caso di specie non avrebbe potuto essere applicato. Ed infatti, la Corte territoriale ha rilevato come - tenuto conto della prassi di far compilare la cartella clinica dagli specializzandi, alla luce dell'inquadramento giuridico della figura del medico in formazione specialistica, ai sensi del Decreto Legislativo 17 luglio 1999, n. 268, articolo 38 -, in riferimento ai falsi materiali relativi alla fase dell'intervento chirurgico, le relative annotazioni concernevano mere integrazioni della documentazione clinica, non ancora uscita dalla sfera di disponibilita' del medico strutturato, che, in ogni caso, quale responsabile della prestazione sanitaria, aveva ogni potere di verifica e di integrazione delle annotazioni stesse, materialmente poste in essere da una specializzanda, ma riferite alla prestazione da lui eseguita (pagg. 15 e segg. della sentenza impugnata). In particolare, la sentenza impugnata ha ricordato come "In linea con lo spunto testuale fornito dal citato articolo 38, comma 3 la dottrina e la giurisprudenza, anche costituzionale, parlano della progressiva e graduale acquisizione da parte degli specializzandi di competenze e responsabilita' nell'ambito del programma di formazione, attraverso la partecipazione a tutte le attivita' mediche dell'unita' alla quale sono assegnati, come di una autonomia vincolata. La loro attivita', infatti, si svolge sempre sotto la vigilanza e il supporto formativo del tutor o comunque del medico strutturato col quale, di volta in volta, sono chiamati a collaborare". Al contrario - secondo il Procuratore generale - tale ragionamento non sarebbe riferibile all'annotazione relativa alla fase del ricovero, in quanto il Dott. (OMISSIS), in quel momento, pacificamente non era in reparto e, quindi, la cartella clinica era stata redatta da altro medico - strutturato o specializzando, non identificato -, il che escludeva la possibilita' per il (OMISSIS) di intervenire sull'annotazione, o perche' eseguita da altro medico strutturato o perche' eseguita da uno specializzando che, quindi, avrebbe dovuto riferire ad un tutor diverso dal (OMISSIS) che, pertanto, in entrambi i casi non aveva alcun titolo per intervenire sulle annotazioni relative all'anamnesi eseguita al momento del ricovero, fase alla quale egli non era presente, non avendo, pertanto, alcuna disponibilita' della cartella clinica. In realta', il ragionamento della parte pubblica ricorrente appare viziato in origine da una intrinseca contraddittorieta', basata su una evidente carenza istruttoria o, ancor prima, investigativa: il ricorso ammette che non sia stato identificato l'autore dell'annotazione in cartella all'atto del ricovero della paziente, optando, in maniera alternativa, per la possibilita' che tale medico fosse o uno specializzando o un medico strutturato, il che, in entrambi i casi - direttamente nel secondo caso, indirettamente nel primo, in quanto lo specializzando avrebbe dovuto fare riferimento ad un tutor - avrebbe escluso la riferibilita' al Dott. (OMISSIS) delle annotazioni. A parte che tale evidente lacuna - che, per la verita', in fase di indagini preliminari, ma anche attraverso un approfondimento dibattimentale avrebbe potuto essere colmata - involge un aspetto assolutamente fattuale della vicenda che, come tale, non puo' certo essere risolto in sede di giudizio di legittimita', le argomentazioni del ricorrente non sembrano aver adeguatamente approfondito la motivazione della sentenza impugnata. La Corte territoriale ha chiaramente evidenziato - ne' il Procuratore generale ricorrente contesta tali emergenze processuali - come la (OMISSIS) fosse una paziente del Dott. (OMISSIS), da questi seguita gia' in epoca precedente il ricovero nel gennaio 2013; che la donna non solo era gia' stata ricoverata presso la struttura nel precedente mese di dicembre per perdite ematiche e dolori, ma che la stessa aveva chiesto di essere visitata proprio dal Dott. (OMISSIS), cosa che non era stata possibile in dicembre, in quanto il suddetto medico non si trovava a Cagliari in quel periodo; che, tuttavia, in quel contesto, proprio il Dott. (OMISSIS) aveva riferito alla paziente che le avrebbe fatto sapere la data del ricovero dopo averla concordata con il responsabile del reparto, ossia il Dott. (OMISSIS) che sostituiva il Dott. (OMISSIS), cosa che era poi avvenuta, essendo stato programmato l'intervento per il giorno 09/01/2013, tanto e' vero che la (OMISSIS) si era ricoverata la sera precedente. Il Dott. (OMISSIS), infine, aveva ricordato come proprio la paziente gli avesse riferito - evidentemente nel corso della degenza - delle perdite ematiche che ella aveva avuto nel viaggio in auto, da Villacidro a Cagliari, nell'imminenza del ricovero; peraltro, come si evince dalla motivazione della sentenza impugnata, alla pag. 3, le perdite ematiche accompagnate da dolori erano state la ragione anche del precedente ricovero della paziente, alla fine del mese di dicembre, di cui pacificamente il Dott. (OMISSIS) era a conoscenza, tanto e' vero che, proprio avendo appreso cio' dalla (OMISSIS), sua paziente, egli ne aveva ritenuto indispensabile il ricovero per procedere all'intervento chirurgico, concordando poi la data dello stesso con il responsabile del reparto. Alla luce di tali circostanze appare, quindi, difficile sostenere come non fossero riferibili alla responsabilita' del Dott. (OMISSIS) le vicende relative al ricovero della (OMISSIS), la cui pianificazione era stata seguita personalmente dal predetto sanitario e la cui necessita' era stata dallo stesso valutata alla luce di quanto appreso dalla paziente, la cui storia clinica egli ben conosceva per averla gia' in precedenza seguita. In tal senso, quindi, la Corte territoriale ha evidenziato tutte le circostanze alla luce delle quali ritenere logicamente riferibili al Dott. (OMISSIS) l'anamnesi riportata in cartella ed eseguita al momento del ricovero, seppur non esplicitando tale riferibilita'. Se, quindi, al momento del ricovero della (OMISSIS) le annotazioni in cartella fossero state eseguite da una specializzanda - come affermato dal Dott. (OMISSIS) nelle sue dichiarazioni al pubblico ministero, benche' egli non ne ricordasse il nome - il medico al quale dette annotazioni erano riferibili, alla luce del ragionamento della Corte di merito, come illustrato, andava individuato sicuramente nel Dott. (OMISSIS), che, si ripete, aveva gia' predisposto il ricovero. Evidentemente, quindi, la Corte di merito ha ritenuto attendibile la ricostruzione della vicenda effettuata dal (OMISSIS) anche sotto tale aspetto, ascrivendo ad una specializzanda la effettuazione delle annotazioni in cartella all'atto di ricovero in reparto della paziente, come, peraltro, si evince dalla motivazione della sentenza impugnata, alla pag. 17, in cui si e' affermato che la raccolta dell'anamnesi della (OMISSIS) era stata effettuata da una specializzanda non identificata. La critica svolta dal ricorrente, al contrario, sarebbe stata plausibile se fosse stato dimostrato che la (OMISSIS), all'atto del ricovero, fosse stata visitata da un medico strutturato in servizio in reparto, essendo, in tal caso, a tale sanitario riferibili le annotazioni. Ma, come detto, tale circostanza non risulta in alcun modo provata, ma solo alternativamente ipotizzata dal Procuratore generale, che sembra dimenticare come le congetture non possono essere poste a fondamento di una sentenza di condanna. Ne', in ogni caso, sotto un profilo logico, puo' ritenersi che la riferibilita' delle citate annotazioni richiedessero la presenza fisica del Dott. (OMISSIS) al momento del ricovero, posto che egli ben conosceva le condizioni della sua paziente - ne' il ricorso opina diversamente sul punto -, tanto e' vero che ne aveva predisposto egli stesso il ricovero, funzionale al taglio cesareo da praticarsi il giorno dopo, ritenendo che tale intervento chirurgico fosse indispensabile proprio per le ravvisate condizioni di urgenza. Peraltro, proprio dalla documentazione clinica allegata al ricorso si evince inequivocabilmente che la cartella clinica indicasse, alla pag. 1 - annotazione che non e' oggetto di imputazione e, quindi, pacificamente non alterata - sia la tipologia di ricovero, "programmato", che il medico che avrebbe eseguito, in data 09/01/2013, il taglio cesareo, ossia il Dott. (OMISSIS). Anche da un punto di vista logico, quindi, risulta evidente come la motivazione della sentenza impugnata abbia indicato gli elementi alla stregua dei quali ritenere insussistente, pure in relazione alle circostanze indicate nell'anamnesi di ingresso, la contestata fattispecie di reato, posto che il ricovero della (OMISSIS) non si era verificato di urgenza - il che avrebbe, evidentemente, richiesto una diagnosi da parte di un medico strutturato, alla luce della vigente normativa ma era stato programmato in base ad emergenze cliniche gia' valutate dal medico curante, il Dott. (OMISSIS), la cui presenza fisica, in tale specifico contesto, quindi, non puo' essere ritenuta essenziale o dirimente per la riferibilita' al predetto sanitario delle annotazioni riportate in cartella da una specializzanda non identificata. 3. Il Collegio, peraltro, deve prendere atto della sussistenza, nell'ordito motivazionale della sentenza impugnata, di un passaggio incongruo che, tuttavia, non si risolve in un vizio di motivazione rilevante ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e). La Corte territoriale, come detto, ha dato rilievo alla formulazione del Decreto Legislativo 17 agosto 1999, n. 368, articolo 38, comma 3 secondo cui "La formazione del medico specialista implica la partecipazione guidata alla totalita' delle attivita' mediche dell'unita' operativa presso la quale e' assegnato dal Consiglio della scuola, nonche' la graduale assunzione di compiti assistenziali e l'esecuzione di interventi con autonomia vincolate alle direttive ricevute dal tutore, di intesa con la direzione sanitaria e con i dirigenti responsabili delle strutture delle aziende sanitarie presso cui si svolge la formazione. In nessun caso l'attivita' del medico in formazione specialistica e' sostituiva del personale di ruolo."; non a caso, nel passaggio motivazione alla pag. 16 della sentenza impugnata - in precedenza citato - la Corte territoriale ha sottolineato il concetto di "autonomia vincolata" contenuta nel testo normativo. In coerenza con tale inquadramento, quindi, la sentenza impugnata ha qualificato come compiti "di assistenza in autonomia quasi completa" la documentazione in cartella clinica, richiamando proprio la raccolta di anamnesi, verificatasi, nel caso di specie, da parte della specializzanda non identificata al momento del ricovero programmato della (OMISSIS). Sicuramente singolare, quindi, risulta l'affermazione che si legge nella successiva proposizione, secondo cui "In questi casi, in linea con il livello di autonomia quasi piena riconosciutogli per tali prestazioni, si puo' senz'altro ritenere che le annotazioni subito inserite nella cartella clinica assumano nell'immediato un valore definitivo e non modificabile". Tale snodo e', sicuramente, del tutto illogico e confligge palesemente non solo con il dato testuale delle norma dinanzi citata - secondo cui in nessun caso l'attivita' del medico in formazione specialistica e' sostitutiva del personale di ruolo -, ma anche con la giurisprudenza della Corte costituzionale citata e pienamente condivisa dalla stessa Corte territoriale. Non a caso, infatti, a pag. 16 della motivazione, si da' atto della pronuncia n. 249 del 05/12/2018 del giudice delle leggi, in riferimento ad una legge della regione Lombardia che, consentendo al medico in formazione specialistica di svolgere la propria attivita' autonomamente e limitando l'intervento del tutor ad un'eventuale consultazione o a un tempestivo intervento, era stata denunciata come contrastante con l'articolo 117 Cost., comma 3, in relazione ai principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute e delle professioni; in particolare, era stata denunciata la violazione proprio del Decreto Legislativo n. 368 del 1999, articolo 38, comma 3. Sul punto la Corte costituzionale ha ricordato che "La disciplina statale prefigura una progressiva autonomia operativa del medico in formazione, con la possibilita' di eseguire interventi assistenziali, purche' cio' avvenga con gradualita', in coerenza con il percorso formativo e comunque con la supervisione di un medico strutturato, preferibilmente il tutore (cosiddetta "autonomia vincolata"). D'altronde, pur volendo ritenere che non sia sempre necessaria la costante presenza fisica del tutor o di un medico di ruolo in ciascuna attivita' dello specializzando (cosa che neppure la legislazione statale prevede), l'autonomia di quest'ultimo non potrebbe comunque mai prescindere dalle direttive del tutore. In altri termini, il Decreto Legislativo n. 368 del 1999, articolo 38, comma 3, coniuga due principi: il principio dell'insostituibilita' del personale strutturato da parte dello specializzando e quello della sua graduale assunzione di responsabilita' e autonomia operativa". La sentenza impugnata ha chiaramente condiviso tale inquadramento ed i relativi principi ermeneutici, alla luce dei quali ha operato la ricostruzione della vicenda processuale, come poi dimostrato dall'analisi contenuta nelle pagg. 17 e segg., in cui, proprio in applicazione di tali snodi, ha riformato la sentenza di primo grado mandando assolto l'imputato perche' il fatto non sussiste. Il complesso argomentativo nella sua interezza, pertanto, appare del tutto coerente, non potendo essere messo in crisi da una singola - sicuramente infelice - affermazione e, soprattutto, appare del tutto logica l'applicazione degli illustrati principi, piu' volte ribaditi dalla Corte di merito, con le conclusioni raggiunte in tema di insussistenza del reato. Sotto tale aspetto, quindi, appare evidente come la frase, chiaramente incoerente rispetto al complessivo assetto motivazionale, appaia in sostanza ininfluente rispetto alla tenuta argomentativa del provvedimento, non contenendo affermazioni idonee a scardinare la complessiva tenuta dell'apparato logico e la coerenza con esso delle conclusioni raggiunte. Il che, in altri termini, significa che l'aporia lessicale indicata risulti del tutto limitata e non si traduca in un vizio motivazione rilevante nella presente sede processuale. Sotto altro aspetto, infine, non puo' che sottolinearsi come, anche alla luce del citato approdo della Corte costituzionale, sia ulteriormente confermato che, ai fini della riferibilita' al tutor delle attivita' svolte dallo specializzando, non risulti affatto necessaria la costante presenza fisica del medico strutturato, non essendo cio' previsto dalla legislazione statale, posto che l'autonomia dello specializzando non potrebbe comunque mai prescindere dalle direttive del tutore. Nel caso in esame, quindi, alla luce delle circostanze di fatto evidenziate in sentenza - e non contestate in ricorso - appare evidente come debba ritenersi ulteriormente dimostrato che la sola assenza fisica del (OMISSIS), al momento del ricovero programmato della sua paziente, risulti irrilevante ai fini di provare la non riferibilita' al predetto delle relative annotazioni in cartella, riferibilita' emersa, al contrario. alla stregua delle ulteriori emergenze processuali rinvenibili dalla motivazione. Sotto tale profilo, quindi, il percorso logico-motivazionale della sentenza impugnata appare del tutto coerente con le premesse fattuali, anche in relazione al falso contestato in relazione alle annotazioni in sede di ricovero, risultando la singola affermazione contenuta alla pag. 17 della sentenza una incoerenza argomentativa non rilevante ai fini della complessiva tenuta motivazionale. 4. Il Collegio, peraltro, ritiene necessario sottolineare come la premessa metodologica della sentenza impugnata risulti coerente con gli approdi della giurisprudenza di questa Corte regolatrice. La Corte territoriale ha esordito citando Sez. 5, n. 55385 del 22/10/2018, Passafiume Salvatore, Rv. 274607, secondo cui "Integra il reato di falso materiale in atto pubblico l'alterazione di una cartella clinica mediante l'aggiunta, in un momento successivo, di una annotazione, ancorche' vera, non rilevando, infatti, a tal fine, che il soggetto agisca per ristabilire la verita', in quanto la cartella clinica acquista carattere definitivo in relazione ad ogni singola annotazione ed esce dalla sfera di disponibilita' del suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata."; in tal senso si sono espresse anche: Sez. 5, n. 37314 del 29/05/2013, P., Rv. 257198; Sez. 5, n. 35167 del 11/07/2005, Pasquali, Rv. 232567. In realta', come si evince dalla lettura delle relative motivazioni, in tutti i casi esaminati dai precedenti citati, le annotazioni contenute in cartella erano state effettuate, e poi modificate, da un medico strutturato, ossia da un soggetto direttamente responsabile delle annotazioni medesime e, quindi, delle loro successive modifiche, immutazioni e alterazioni, costituenti, per i principi indicati dalla giurisprudenza citata, altrettante falsificazioni. A differenza di quanto verificatosi in tali vicende, quella in esame, come visto, presenta la peculiarita' dell'essere state le annotazioni modificate dal (OMISSIS) poste in essere da una specializzanda - non identificata in sede di ricovero ed individuata nella Dott.ssa Prasciolu nel caso del diario operatorio -, sicche' cio' che viene in rilievo non e' il profilo - del tutto incontestato - della irrilevanza del fine, volto a ristabilire la verita', in funzione del quale il soggetto agisce, bensi' la circostanza - chiaramente evidenziata dalla Corte di merito - che le specifiche modalita' redazionali dei documenti sanitari in esame non avessero acquisito alcuna connotazione di definitivita', in relazione alle singole annotazioni, nel momento in cui il (OMISSIS) vi aveva apportato le modifiche esaminate. In sostanza, come emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, a pag. 19, la cartella clinica contenente annotazioni materialmente redatte da uno specializzando - sia in riferimento ad attivita' operatorie cui abbia assistito, sia in riferimento ad attivita' svolte nell'ambito della limitata autonomia prevista dalla normativa di settore, su indicazione o seguendo le direttive del tutor - non possono mai ritenersi definitive ed immodificabili prima del controllo del medico responsabile, bensi' costituiscono un atto logicamente equiparabile ad una bozza, il cui autore formale puo' e deve essere ritenuto esclusivamente il medico strutturato che ha svolto l'attivita' o alle cui direttive ed indicazioni lo specializzando si e' attenuto; il medico, quindi, deve personalmente verificare la regolarita' e la correttezza delle annotazioni, proprio al fine di verificarne la conformita' non solo con il proprio operato, ma anche con le direttive impartite, a seconda delle tipologia delle annotazioni, e solo all'esito di tale verifica l'atto puo' essere ritenuto completo dal punto di vista del suo rilievo pubblicistico e solo a partire da tale fase ogni successiva alterazione puo' integrare, sussistendone gli ulteriori requisiti normativi, la fattispecie di falso materiale di cui all'articolo 476 c.p., comma 2. 5. Quanto al terzo motivo di ricorso, infine, va aggiunto alle argomentazioni sin qui illustrate che esso si fonda su di un'affermazione del tutto illogica, ossia che il Dott. (OMISSIS) avesse rappresentato una situazione di urgenza al solo fine di legittimare l'anticipazione del parto rispetto alle direttive impartite dal responsabile del reparto, poco rilevando che tale situazione di urgenza fosse effettiva o meno. Sembra, infatti, sfuggire al Procuratore generale che se il (OMISSIS) avesse rappresentato una situazione di urgenza non corrispondente ai dati clinici a sua conoscenza, egli avrebbe dovuto rispondere, oltre che di falso materiale, anche di falso ideologico, fattispecie che non risulta in contestazione, non essendo emerso alcun elemento da cui indurre tale circostanza. Al contrario, la sentenza impugnata da' atto, alla luce della documentazione sanitaria acquisita, di come anche il precedente ricovero della (OMISSIS), nel mese di dicembre, fosse stato causato da perdite ematiche e da dolori, e che lo stesso Dott. (OMISSIS), come gia' in precedenza ricordato, avesse convenuto sulla necessita' di procedere con urgenza al taglio cesareo, anche prima della trentanovesima settimana, in presenza di tali dati (pag. 5 della sentenza impugnata). Ne' risulta in alcun modo dimostrato che le condizioni della (OMISSIS) non fossero coerenti con le ragioni di urgenza ravvisate dal Dott. (OMISSIS), circostanza che - appare del tutto superfluo ricordarlo - avrebbe dovuto essere dimostrata dall'accusa all'esito delle indagini preliminari; la sentenza impugnata, al contrario, si fonda proprio sull'assunto - neanche messo in discussione in ricorso - della effettiva sussistenza delle condizioni cliniche che avevano indotto il (OMISSIS) ad anticipare il taglio cesareo. Impregiudicata, quindi, l'eventuale rilevanza della condotta del Dott. (OMISSIS) a livello disciplinare, l'impianto della sentenza impugnata - a prescindere dalla rilevata aporia argomentativa - appare del tutto coerente con i principi giurisprudenziali che questa Corte regolatrice ha pacificamente declinato in riferimento alla fattispecie in esame, nella sua peculiarita' fattuale e circostanziale, accuratamente e logicamente analizzata dalla Corte territoriale. Alla luce di quanto sin qui rappresentato, il ricorso del Procuratore generale va, pertanto, rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso del P.G.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BERGAMO Sezione Lavoro Il Tribunale, nella persona del Giudice del lavoro Elena Greco, all'esito dell'udienza del 18.1.2023 che si è svolta secondo le modalità di cui all'art. 127ter c.p.c., esaminate le note pervenute, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 217/2022 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. Ro.Tr., elettivamente domiciliato presso il suo studio in Bergamo, via (...) RICORRENTE contro UNIVERSITA' DEGLI STUDIO DI BERGAMO (C.F. (...)), in persona del rettore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura dello Stato sede distrettuale di Brescia con l'avv. dello Stato Lu.Pi., domiciliata presso l'Avvocatura della Stato in Brescia, via (...) CONVENUTO Oggetto: licenziamento in prova SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con il ricorso introduttivo del giudizio, depositato il 14 febbraio 2022, (...) ha adito il Tribunale di Bergamo, in funzione di giudice del lavoro, chiedendo al giudice adito di accertare e dichiarare l'avvenuto regolare decorso del periodo di prova relativo al contratto di lavoro subordinato stipulato con la convenuta con decorrenza dal 1.8.2021; di accertare e dichiarare l'infondatezza della motivazione contenuta nel decreto n. 185 emesso dal direttore generale il 9.11.2021 e la conseguente illegittimità del decreto stesso e del provvedimento di recesso; per l'effetto di dichiarare la validità ed efficacia del contratto di lavoro subordinato stipulato il 30.7.2021, con sua conferma in servizio e riconoscimento dell'anzianità di servizio maturata dal 31.7.2021; condannare l'Università convenuta a corrispondergli quanto spettante a titolo di retribuzione dal 1.11.2021 e a versare la relativa contribuzione; con vittoria delle spese di lite. A sostegno della propria domanda il ricorrente ha esposto di essere stato assunto presso la convenuta Università degli studi di Bergamo, previo superamento di apposito concorso, con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sottoscritto il 30.7.2021 e con decorrenza dal 1.8.2021, di essere stato inquadrato nel livello C1, area tecnico-scientifica ed elaborazione dati, di essere stato sottoposto ad un periodo di prova della durata di tre mesi (al decorso della cui metà ciascuna parte sarebbe stata libera di recedere dal contratto senza alcun obbligo di preavviso e senza relativa indennità), di dover svolgere una prestazione lavorativa di 36 ore settimanali e con maturazione delle ferie in proporzione del servizio prestato, di aver ricevuto in data 9.11.2021 provvedimento del direttore generale dell'Università degli studi di Bergamo di recesso dal contratto individuale di lavoro subordinato motivato dalla non soddisfazione della prestazione resa dal ricorrente, di aver contestato il provvedimento di recesso con messaggio p.e.c. del 19.11.2021 sia in ragione dell'avvenuto decorso del periodo di prova, sia per la infondatezza dei motivi in esso enucleati. Ritualmente costituitasi in giudizio, l'Università degli Studi di Bergamo ha confutato la domanda attorea e ne ha chiesto il rigetto, insistendo per il non avvenuto decorso del periodo di prova alla luce delle previsioni del c.c.n.l. dei comparti di istruzione e ricerca 2006/2009 e confermando la sussistenza delle ragioni poste a base del provvedimento di recesso. Istruita la causa con l'ammissione della prova testimoniale e disposta poi, ai fini della discussione, la trattazione scritta della causa ai sensi dell'art. 127ter c.p.c., all'udienza di discussione il Giudice, esaminate le conclusioni rassegnate dalle parti, ha trattenuto la causa in decisione ad ha poi provveduto al deposito del provvedimento decisorio nei termini di legge. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso non è fondato e non può pertanto essere accolto. Risultano pacifici tra le parti gli elementi di fatto riguardanti le modalità, le condizioni ed i tempi di costituzione e di cessazione del rapporto di lavoro oggetto di causa: - all'esito di una procedura concorsuale il ricorrente è stato assunto presso l'Università degli studi di Bergamo; - su espressa richiesta del lavoratore (che aveva chiesto di posticipare di un mese l'assunzione in servizio), le parti hanno sottoscritto un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in data 30.7.2021 con decorrenza dal 1.8.2021 (cfr. doc. 1 fasc. ric.); - al contratto di assunzione è stato apposto un patto di prova della durata di tre mesi, con espressa previsione relativa alla libera recedibiità dal rapporto senza preavviso e senza diritto alla relativa indennità una volta trascorsa la metà del periodo di prova (cfr, art. 3 del doc. 1 fasc. ric.); - nel corso del periodo di prova il ricorrente è rimasto assente 5 giorni tra il 9.8.2021 ed il 13.8.2021 per ferie programmate dall'ente datoriale e, quantunque non maturate, fruite dal lavoratore in ragione della chiusura degli uffici datoriali; - nel corso del periodo di prova il ricorrente è rimasto assente per ulteriori 5 giorni per congedo parentale dal 11.10.2021 al 15.10.2021; - con decreto del 9.11.2021 l'Università degli Studi di Bergamo, ritenendo ancora sussistente il periodo di prova, ha esercitato il proprio diritto di recesso dal rapporto di lavoro subordinato stipulato con il ricorrente (doc. 2 fasc. ric.). Così brevemente enucleati gli aspetti fondamentali, costituivi ed estintivi, del rapporto di lavoro oggetto del giudizio, rilevato che risulta documentalmente (ed è altresì incontestato tra le parti) che il periodo di prova ha avuto inizio il 1.8.2021 (ossia il primo giorno di decorrenza del contratto di lavoro subordinato), il primo nodo giuridico da sciogliere attiene alla individuazione del dies ad quem del periodo di prova. A tal riguardo parte attorea sostiene che nel computo del periodo di tre mesi di prova (espressamente previsti nell'art. 3 del contratto di assunzione) non debbano essere computati i cinque giorni di ferie fruiti dal lavoratore tra il 9.8.2021 ed il 13.8.2021 poiché imposti dall'ente datoriale e in ogni caso a quest'ultimo già noti allorché stabilì la durata del periodo di prova; parte convenuta dal suo canto ritiene che la fruizione di un periodo di ferie sospenda il decorso del periodo di prova e ne differisca la scadenza in ragione del fatto che solo l'effettivo svolgimento della prestazione lavorativa consente alle parti di compiere le valutazioni relative alla opportunità, convenienza, ragionevolezza della prosecuzione del rapporto di lavoro. Pleonastico rilevare che, ove si ritenesse che le ferie fruite per esigenze del datore di lavoro non sospendano il decorso del periodo di prova, il recesso del 9.11.2021 dell'ente datoriale sarebbe sopraggiunto in un momento in cui il periodo di prova era già terminato (essendo la relativa scadenza occorsa il 5.11.2021); ove si accedesse invece alla tesi contraria, ossia che la fruizione di un periodo di ferie in costanza di prova determini una sospensione della prova stessa ed un differimento della relativa scadenza, il recesso datoriale del 9.11.2021 oggetto del giudizio sarebbe avvenuto in costanza del periodo di prova, avente scadenza il 10.11.2021. Onde attribuire alla fruizione delle ferie in costanza del periodo di prova efficacia sospensiva o meno della prova, invero, non può prescindersi dalla disamina delle disposizioni contrattuali. Sul punto, il contratto di lavoro subordinato sottoscritto dalle parti non contiene alcuna indicazione, limitandosi l'art. 3 a prevedere un periodo di prova della durata di tre mesi e la libera recedibilità senza preavviso (e senza diritto alla relativa indennità) una volta decorso la metà del trimestre di prova (doc. 1 fasc. ric.). Uno spunto ermeneutico determinante viene invece fornito dalle disposizioni pattizie: l'art. 20, comma 2, del c.c.n.l. istruzione e ricerca 2006/2009 prevede espressamente che "ai fini del compimento del periodo di prova si tiene conto del solo servizio effettivamente prestato" (cfr. doc. 9 fasc. conv.). La norma pattizia enuncia dunque chiaramente che il periodo di prova, nell'ambito del comparto istruzione e ricerca, deve essere computato esclusivamente in ragione del "servizio effettivamente prestato"; e tanto è sufficiente per desumere che la fruizione di un periodo di ferie - comportando una sospensione della prestazione del servizio strictu senso intesa - assume efficacia sospensiva del decorso del periodo di prova e ne posticipa il termine. Ne consegue che, nel caso di specie, a fronte del pacifico inizio in data 1.8.2021, il periodo di prova sarebbe scaduto il 10.11.2021, giacché interrotto per cinque giorni in occasione delle ferie (fruite dal ricorrente dal 9.8.2021 al 13.8.2021) e per ulteriori cinque giorni dal godimento di cinque giorni di congedo parentale (dal 11.10.2021 al 15.10.2021); sicché l'esercizio, in data 9.11.2021, del diritto di recesso da parte dell'Università degli studi di Bergamo risulta tempestivamente esercitato in costanza del periodo di prova. In senso contrario rispetto a quanto evidenziato non depone la giurisprudenza richiamata dal lavoratore a sostegno delle proprie tesi, secondo il quale la prevedibilità dell'assenza per ferie (nota all'ente datoriale poiché relative a ferie da questi programmate e di fatto imposte in ragione della chiusura dei propri uffici, deliberata ben prima della stipulazione del contratto di lavoro individuale) costituirebbe ragione sufficiente a far venir meno l'effetto sospensivo del periodo di prova, poiché il datore di lavoro ben avrebbe potuto stabilire modalità di organizzazione del lavoro che tenessero conto delle della minor presenza sul luogo di lavoro in ragione dell'avvenuta programmazione delle ferie. Come già sinteticamente illustrato, la previsione del patto di prova ex art. 2096 c.c. è funzionale, da un lato, alla verifica da parte del datore di lavoro delle capacità professionali e della complessiva idoneità del lavoratore avuto riguardo alle obbligazioni tipiche del rapporto di lavoro subordinato, dall'altro a consentire ad entrambe le parti di vagliare la convenienza della possibile futura collaborazione senza vincolarsi da subito a un rapporto di lavoro di lunga durata. Come puntualmente evidenziato dalla giurisprudenza di merito, siffatta "duplice valutazione è possibile, evidentemente, solo in caso di effettivo svolgimento dell'attività lavorativa. Per questo motivo, nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto non venga resa - ad esempio, in ipotesi di godimento di ferie da parte del dipendente - il periodo di prova rimane sospeso e inizia nuovamente a decorrere soltanto con la ripresa dell'attività lavorativa. In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione con decisione, richiamata dalla stessa parte attrice in atti, con la quale si è affermato che "il decorso di un periodo di prova determinata nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso - considerata la funzione del periodo di prova concordato tra le parti, che è quello di consentire alle parti stesse di verificare la convenienza della collaborazione reciproca - in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l'infortunio, la gravidanza ed il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell'attività del datore di lavoro, e, in particolare, il godimento delle ferie annuali; ciò in quanto, data la funzione delle stesse di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività, nella normalità dei casi avviene dopo un certo periodo di prestazione - anche per la necessità che nel frattempo le ferie maturino - e perciò dopo la scadenza della prova sì che, come regola generale, le ferie interrompono la decorrenza del periodo di prova, che si prolunga per i giorni fruiti dal lavoratore" (Cass. Civ. Sez. La. 22 marzo 2012, n. 4373). Né a conclusioni differenti può giungersi facendo leva sulla necessità di operare un distinguo, ai fini della momentanea sospensione del periodo di prova, tra i giorni di ferie di fatto goduti e quelli formalmente maturati dal lavoratore: ciò che può rilevare infatti è esclusivamente il positivo e concreto esperimento della prova. Nemmeno la circostanza, valorizzata dal ricorrente, della "imposizione" di ferie in misura superiore a quelle maturate consente di concludere nel senso voluto da parte attrice, poiché la gestione delle ferie spettanti al lavoratore è una delle manifestazioni più tipiche del potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro, come si ricava dalla lettura combinata degli artt. 2109, co. 2, 2082 e 2086 c.c." (Tribunale di Milano, sentenza del 24.4.2017, estensore C.). Peraltro anche nel caso in disamina, così come nel caso esaminato dalla citata giurisprudenza di merito, il ricorrente non ha neppure allegato di aver mai contestato la scelta datoriale di riconoscergli, nello stesso mese di decorrenza del contratto di assunzione a tempo indeterminato, un periodo di ferie superiore a quello spettante. In considerazione di tutto quanto esposto, dunque, deve ritenersi che tutti i dieci giorni di ferie e di congedo parentale goduti dal ricorrente tra il 9.8.2021 ed il 15.10.2021 debbano essere computati ai fini della sospensione del periodo di prova e che, conseguentemente, il termine dello stesso vada individuato nel 10.11.2021, sì da risultare tempestivo il recesso datoriale del 9.11.2021. Ne discende la tempestività del recesso oggetto di causa. Con segnato riferimento alla contestazione delle ragioni di fondatezza del licenziamento, deve rilevarsi che per costante giurisprudenza il rapporto di lavoro costituito con patto di prova è come tale sottratto, per il periodo previsto, alla disciplina dei licenziamenti individuali ed è invece caratterizzato dal potere di recesso da parte del datore di lavoro senza obbligo di fornire al lavoratore alcuna motivazione, neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento professionale del lavoratore stesso; grava sul lavoratore, che deduca in sede giurisdizionale la nullità di tale recesso, l'onere di provare sia il positivo superamento dell'esperimento, sia l'imputabilità del recesso ad un motivo, unico e determinante, che sia estraneo alla funzione del suddetto patto e sia perciò illecito. Secondo il consolidato insegnamento della Corte di Cassazione tale riparto dell'onere della prova vale altresì in relazione al rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, nonostante la previsione espressa dell' obbligo di motivazione. A tal proposito, con la sentenza n. 26679/2018 la Corte di legittimità ha evidenziato che "in tema di impugnazione del recesso motivato dal mancato superamento della prova, anche il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione deve allegare e provare l'inadeguatezza delle modalità dell'esperimento oppure il positivo esperimento della prova ovvero, ancora, la sussistenza di un motivo illecito o estraneo all'esperimento stesso, restando escluso che l'obbligo di motivazione contrattualmente previsto possa far gravare l'onere della prova sul datore di lavoro e che la valutazione discrezionale dell'amministrazione possa essere oggetto di un sindacato tale da omologare il mancato superamento della prova alla giustificazione del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo". Inoltre, "in tema di pubblico impiego privatizzato, l'obbligo - imposto dalle parti collettive alle amministrazioni - di motivare il recesso intimato durante il periodo di prova, in quanto finalizzato a consentire la verificabilità giudiziale della coerenza delle ragioni del recesso rispetto alla finalità della prova e all'effettivo andamento della prova stessa, non porta ad omologare il predetto recesso al licenziamento disciplinare, anche ove fondato sull'assenza didiligenza nell'esecuzione della prestazione, poiché tale mancanza ben può essere valorizzata al solo fine di giustificare il giudizio negativo sull'esperimento; nè l'obbligo in parola incide sulla ripartizione degli oneri probatori, spettando comunque al lavoratore dimostrare il perseguimento di finalità discriminatorie o altrimenti illecite o la contraddizione tra recesso e funzione dell'esperimento medesimo" (Cass., n. 22396/2018; in senso conforme Cass., n. 22679/2019). Infine, più apoditticamente, la Corte di legittimità chiarisce che la funzione della motivazione è dimostrare che il licenziamento non è dovuto a ragioni estranee all'esito dell'esperimento, e come tale può essere sintetica e non richiede la specificità necessaria per un licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo (Cass., n. 15638/2018). Correlativamente, secondo la giurisprudenza di legittimità, qualora l'obbligo di motivazione sia contrattualmente previsto, è ammessa la verificabilità giudiziale della coerenza delle ragioni del recesso rispetto da un lato alla finalità della prova e, dall'altro, all'effettivo andamento della prova stessa, ma senza che resti escluso il potere di valutazione discrezionale dell'amministrazione datrice di lavoro, non potendo omologarsi la giustificazione del recesso per mancato superamento della prova a quella della giustificazione del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo (Cass. n. 22679/2019; n. 23061/2007; Cass. n. 143/2008). La previsione della motivazione del recesso durante il periodo di prova non comporta dunque né equiparazione al licenziamento disciplinare, né un diverso riparto dell'onere della prova, che rimane a carico del lavoratore. Ciò posto il ricorso deve essere rigettato anche in relazione alla eccepita infondatezza dei motivi del recesso. Come appena visto, la Cassazione esclude espressamente che nel pubblico impiego la previsione della motivazione comporti un'equiparazione della valutazione negativa del periodo di prova al licenziamento disciplinare o un diverso riparto dell'onere della prova, che rimane a carico del lavoratore. Rimane in particolare a carico del lavoratore dimostrare il perseguimento di finalità discriminatorie o altrimenti illecite o la contraddizione tra recesso e funzione dell'esperimento medesimo. Tale onere non è stato in alcun modo assolto dal ricorrente, il quale non ha neppure allegato quali siano state o come si siano estrinsecate le finalità discriminatorie o comuque illecite dell'ente datoriale, ma - come contestando un licenziamento per giusta causa - si è limitato ad eccepire l'infondatezza dei fatti rappresentati nel decreto di recesso per mancato superamento della prova. Di contro la documentazione dimessa dall'Università convenuta e le risultanze dell'istruttoria testimoniale comprovano che nel periodo di prova il ricorrente è stato affiancato da un tutor ((...)) e da un formatore (D.I.), laddove le ravvisate lacune tecniche, operative e relazionali - oggetto di giudizio del tutor - sono state, nel provvedimento di valutazione negativa, puntualmente descritte e coerentemente ponderate, con pieno rispetto del requisito motivazionale ed hanno trovato riscontro in sede istruttoria. Così, ad esempio, con riferimento alla avvenuta abilitazione del ricorrente ad operare sulla piattaforma di ticketing degli studenti, la documentazione depositata in atti e le dichiarazioni della collega D.I. rendono manifesto come il ricorrente abbia avuto (o quanto meno abbia potuto avere) conoscenza della circostanza di dover visionare anche i ticket degli studenti, essendo stato destinatario della corrispondenza e-mail con la quale era stata richiesta la sua abilitazione al relativo servizio (cfr. doc. 15 fasc. conv. e dichiarazioni di D.I. di cui al verbale di udienza del 16.6.2022). Ancora, sempre in via esemplificativa, la documentazione prodotta dal convenuto e le dichiarazioni testimoniali comprovano una certa riluttanza del lavoratore a conformarsi alle indicazioni datoriali per favorire il lavoro in team, tanto che le iniziali indicazioni dal medesimo fornite per accedere allo smartworking non risultano rispettose dei requisiti di presenza in ufficio e di reperibilità richieste dall'ente datoriale (cfr. doc. 14 fasc. conv. e dichiarazioni di (...) di cui al verbale di udienza del 16.6.2022). In definitiva, il ricorrente non ha dimostrato (ed invero non ha neppure allegato) né che il recesso operato dall'Università convenuta trovi ragion d'essere in finalità discriminatorie o comunque illecite, né che sussista contraddizione tra recesso e funzione dell'esperimento della prova. L'Università convenuta dal suo canto, pur non essendone direttamente onerata, ha fornito prova documentale e testimoniale delle ragioni poste a fondamento del recesso del 9.11.2021; tanto è sufficiente per accertare, oltre alla già enunciata legittimità, anche la fondatezza del provvedimento di recesso impugnato, in senso contrario non deponendo l'asserita generica indicazione delle mansioni assegnate al lavoratore e la conseguente non individuabilità dei compiti assegnatigli, avendo parte attorea elevato la relativa contestazione del tutto tardivamente solo con il deposito delle note conclusionali del 28.10.2022. In considerazione di tutto quanto esposto, il ricorso deve essere integralmente rigettato; Le spese di lite vengono integralmente compensate tra le parti, tenuto conto delle natura e della particolarità delle questioni dibattute e dell'ampio dibattito giurisprudenziale sul tema della efficacia sospensiva (o meno) delle ferie sul periodo di prova. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - Rigetta il ricorso; - Compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Così deciso in Bergamo il 24 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Venezia sezione PRIMA Penale composta dai Magistrati: 1. Dott. Francesco Giuliano - Presidente 2. Dott. Alberta Beccaro - Consigliere 3. Dott. David Calabria - Consigliere Udita la relazione della causa fatta alla udienza pubblica/camerale, odierna dai Dott.ri Beccaro e Calabria Inteso il P.G. dott. appellant (...) difensor come da verbale, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: GI.EM. Nato a Roma il 03.06.1969 Elettivamente domiciliato presso Avv. Or.Do. del Foro di Milano Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Or.Do. del Foro di Difensore di fiducia Avv. Co.Mi. del Foro di Milano MA.PA. Nato a (...) Domiciliato presso l'Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza PE.MA. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna PI.AN. Nato (...) Domiciliato presso Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Difeso di fiducia dall'Avv. Gi.To. del Foro di Milano ZI.GI. Nato a (...) Residente a (...) Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza ZO.GI. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. En.Am. del Foro dì Vicenza Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. En.Am. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Tu.Pa. del Foro di Pisa RESPONSABILE AMMINISTRATIVO BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona del legale rappresentante pro tempore Difensore Avv. Fr.Mu. del Foro di Milano - non presente, sostituito dall'Avv. Ro.Bo. del Foro di Padova per delega orale PRESENTE RESPONSABILE CIVILE - ESTROMESSO con ordinanza depositata all'udienza del 22/04/2022. BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona dei legali rappresentanti pro tempore Di.Gi., Fe.Cl. e Vi.Fa. Parti civili: + 229 (omissis) IMPUTATI: Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. stralciato ad altro procedimento, Zi.Gi. e Zo.Gi., a.1) in ordine al reato previsto e punito dagli arti 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., e 2637 c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amava), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie di seguito descritta, attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della. Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta piassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., stralciato ad altro procedimento in qualità di direttore generale delia medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione. Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuatone della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, della segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; in tempi diversi, diffondevano notizie false e ponevano in essere operazioni simulate ed altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni B. (deliberato annualmente - ai sensi dell'art. 6 dello Statuto sociale e dell'art 2528 c.c. -dall'assemblea dei soci su proposta del consiglio di amministrazione, formulata sulla scorta di una perizia di stima del valore del relativo soprapprezzo elaborata da un esperto indipendente appositamente incaricato), e ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della medesima Banca (...) e dell'omonimo Groppo bancario. Operazioni simulate ed altri artifici consistite (condotte poste in essere da ciascuna delle persone indagate, secondo il rispettivo ruolo): i) nella ripetuta concessione di finanziamenti a favore di terzi soggetti finalizzati all'acquisto (nel mercato secondario) ed alla sottoscrizione (in occasione delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014) di azioni B., per un controvalore complessivo di circa Euro 963 mln (di cui circa Euro 545 mln sino al 31.122012, circa Euro 155 nel 2013, circa Euro 255 nel 2014 e circa Euro 8 mln nel primo trimestre 2015), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito (per talune operazioni formalizzato per iscritto, per un complessivo controvalore azionario di circa Euro 160 mln), cosi determinando una apparenza di liquidità del titolo sul mercato secondario e, al contempo, cosi consentendo la riduzione contabile del controvalore delle azioni proprie detenute; ii) nella omessa iscrizione al passivo dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014 di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., pari all'importo complessivo delle operazioni di finanziamento finalizzate all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. sopra indicato; iii) nella mancata comunicazione all'esperto incaricato della stima del valore del soprapprezzo dell'azione B., dell'esistenza e dell'entità della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come sopra descritta. Diffusione di notizie false compiuta mediante la pubblicazione di comunicati stampa, di comunicazioni al pubblico, anche ex art. 114, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, di comunicazioni ai soci e dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014, contenenti mendaci indicazioni circa (condotte materiali poste in essere da Zo.Gi., Zi.Gi., So.Sa. (Stralciato ad altro procedimento) e Pe.Ma., con il contributo di GI.Em., Pi.An. e Ma.Pa., che partecipavano alla attuazione della prassi dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. sopra descritta): - la reale entità del patrimonio (nei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014), a causa della mancata iscrizione di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., per un importo corrispondente all'ammontare dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. (pari a circa Euro 545 mln al 31.12.2012, circa Euro700 mln al 31.12.2013 e circa Euro 955 mln al 31.12.2014); - la solidità patrimoniale della Banca (comunicati stampa e comunicazioni ai soci del 30/3/2012; 8/8/2012; 3/9/2012; 19/3/2013; 27/4/2013; 27/4/2013; 10/9/2013; 2/4/2014; 9/9/2014; 26/10/2014; 4/12/2014; 19/3/2014) enfatizzata a dispetto della reale situazione derivante dal sopra descritto fenomeno di concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizioni di azioni B. e di lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle medesime e/o di garanzia del rendimento dell'investimento; - la crescita progressiva della compagine sociale (comunicati 27/8/2013; 18/3/2014; 29/8/2014; 26/10/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), lasciando intendere che essa derivasse dalla progressiva maggiore appetibilità dell'azione B. quale strumento di investimento, omettendo di rappresentare resistenza e l'entità della prassi della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie sopra descritta; - il buon esito delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014 (comunicati 9/8/2013; 27/8/2013; 18/3/2014; 8/8/2014; 29/8/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), tacendo la circostanza relativa al massiccio ricorso al finanziamento per la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione nell'ambito dei c.d. Aucap; Con raggravante di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone. In (...), nel corso degli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014. Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) a.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. r) D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - ZO.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società a capo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenite reati della stessa specie, commettevano il reato sub a.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nel mantenimento del valore dell'azione e dell'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto, realizzati anche attraverso un artificioso funzionamento del mercato secondario delle azioni B. e mediante una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca. In (...), nel corso degli anni (...), alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa., (stralciato ed altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., b1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 81, co. II 110, 112, n. 1, c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a., in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1), e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale e traendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti, e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalatone e comunicazioni air Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, durante l'attività ispettiva compiuta dalla stessa Autorità presso la sede sociale, occultavano con mezzi fraudolenti - l'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario, per un controvalore complessivo di circa Euro 250 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di oltre Euro 300 mln, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - l'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. c/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; e, comunque, omettevano di dare comunicazione di tali circostanze, cosi determinando effettivamente, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, che, conseguentemente, non dava luogo ad approfondimenti conoscitivi in sede ispettiva ed alla quale, di fatto, era impedito di accertare l'esistenza della suddetta prassi. Mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale sia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58. In (...) dal (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) b.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub b.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. c.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81 co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.6.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.9.2012) contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 268 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2012), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 280 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia medesima, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2012, stabiliva, con Lettera di intervento datata 5.3.2013, un obiettivo patrimoniale (c.d. Target ratio, in termini di Core Tier 1 capital ratio pari o superiore all'8%) non coerente con la situazione patrimoniale della stessa B. e, comunque, ometteva di assumere ulteriori misure ed iniziative di vigilanza coerenti rispetto alla reale situazione patrimoniale della B., Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.pa, in liquidazione coatta amm.va (già Sc.p.a.) c.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett., a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub al), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad atro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. d.1) reato previsto e punito dagli artt. 61 n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., 2638, co. II e III, c.., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 5.3.2013 - n. 228149, di fornire "dettagliate informazioni in ordine alle motivazioni sottostanti l'incremento, sia a livello individuale che consolidato, delle azioni o quote proprie ricomprese tra gli elementi negativi del patrimonio di base, passate da Euro 30,48 mln a Euro 239,85 mln" nel periodo 30.6/30.9.2012), nella Comunicazione 20.3.2013, con la quale era rappresentato falsamente che "L'incremento ... registrato al 30 settembre 2012 rispetto al 30 giugno 2012 è da ascrivere principalmente a fenomeni di ciclicità legati alle procedure di gestione delle azioni proprie. Le domande di acquisto di azioni della banca si sono invece concentrate nel IV trimestre, anche in relazione alla consueta maggiore propensione e convenienza sotto il profilo finanziario di procedere, da parte dei soci, all'acquisto nell'ultimo periodo dell'anno... I dati al 31 dicembre 2012 evidenziano un Core Tier 1 ratio e un Total Capital ratio rispettivamente all'8,37% e all'11,40%, ipotizzando l'integrale capitalizzazione dell'utile. Nell'ipotesi di distribuire un dividendo pari al 50% dell'utile distribuibile, il Tier 1 ratio si posizionerebbe all'8,23% comunque al di sopra del target minimo". - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.12.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.3.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 545 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistato da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 544 mln; ed inoltre, - nella Informativa preventiva 23.4.2013 relativa alla imminente operazione dì aumento di capitale (mediante emissione di azioni ordinarie e contestuale emissione di prestito obbligazionario convertibile, per l'importo complessivo di Euro 506 mln), nella quale non era indicato che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione di finanziamenti correlati alla sottoscrizione medesima ed era rappresentato, pertanto contrariamente al vero, che il relativo "impatto... sul Tier 1 ratio " era stimato in un incremento complessivo di 175 punti base; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della B., adottava la Lettera di intervento datata 24.6.2013 con la quale (rilevato che "alla data del 30 settembre 2012" B. deteneva azioni proprie per un controvalore complessivo superiore al limite del "5% del capitale" in assenza della necessaria autorizzazione) prescriveva a B. l'adozione di "ogni Iniziativa sul piano procedurale e dei controlli alfine di assicurare uno scrupoloso rispetto dei limiti previsti per il riacquisto o rimborso di proprie azioni" e di richiedere "la prescritta autorizzazione, laddove ne ricorrano i presupposti" senza assumere ulteriori misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, DI L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.p.a.) d.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub d. 1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. e.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, il 2,81, co. II, 110 e 112, n. 1, cp., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione delia medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30-6-2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.9.2013), contraente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 555 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca, anteriore e prossima al 25.10.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 626 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.3.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 700 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e dì garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) e.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di prendente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sube.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. f.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. n. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai scasi della L. 1 settembre 1993, a 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; -- So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delie operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella Informativa preventiva datata 5.3.2014 relativa alla imminente operazione di aumento di capitale mediante emissione di azioni ordinarie per l'importo complessivo massimo di Euro 700 min, tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima e rappresentando, pertanto falsamente, die "nell'ipotesi di effettuazione dell'importo massimo", l'Aucap determinerebbe un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma" del 10,89% (rispetto a quello esistente dell'8,50%) e del ''Total Capital ratio" del 13,85% (rispetto a quello esistente dell'11,41%) con un incremento "quantificabile in circa 239" punti base; - nella Informativa integrativa datata 11.4.2014 relativa alla operazione di aumento di capitale sopra indicata (contenente la precisazione che la stessa sarebbe stata compiuta per un importo massimo di Euro 683,754 mln), tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima ed attestando, pertanto falsamente, che le azioni di nuova emissione soddisfano "tutte le condizioni previste dagli artt. 28 e 29 della CRR" e rappresentando, pertanto ancora falsamente, che la relativa "stima dell'impatto patrimoniale" evidenziava un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma post aucap" del'11,65% (rispetto a quello esistente del 9,21%) e del "Total Capital ratio pro-forma post aucap" del 14,25 (rispetto a quello esistente dell'11,81%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, a seguito della "istanza di autorizzazione a classificare gli strumenti di capitale come strumenti di capitale primario di classe 1 ai sensi dell'art 26 par. 3, del Regolamento (UE) n. 575/2013" (contenuta nella Informativa integrativa suddetta), sulla scorta della mendaci informazioni ricevute, adottava il provvedimento autorizzato richiesto con atto del 15.4.2014, in difetto dei prescritti presupposti (trattandosi, in parte, di c.d. azioni finanziate). Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) BANCA (...) S.p.a. in liquidatone coatta amm.va (già S.c.p.a.) f.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s) D. L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub f1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nella autorizzata classificazione delle azioni di nuova emissione sottoscritte come strumenti di capitale primario di classe 1". In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. g.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co, II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi die precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella Use di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione dì vigilanza periodica al 31.3.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 728 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica ai 30.6.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in data 11.8.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra, indicata, per un importo complessivo di circa Euro 718 mln; - nella Comunicazione 1.9.2014, nella quale era rappresentato falsamente che "con riferimento alla segnalazione di vigilanza prudenziale al 30 giugno 2014... si è ravvisato il mancato soddisfacimento a livello consolidato del requisito combinato di riserva di capitale... con un deficit di euro 85 milioni rispetto al livello minimo previsto.... l'aumento dì capitale di euro 607,8 milioni - già in corso alla data del 30 giugno, completato lo scorso 8 agosto con l'integrale sottoscrizione dello stesso... consentiva di coprire ampiamente il deficit registrato... tenendo conto dell'aumento di capitale già regolato, la posizione patrimoniale del Gruppo risulta in surplus di euro 550,8 milioni..." ed era attestato falsamente il livello dei "Fondi Propri" (indicato in Euro 2,989 mld e, quelli "pro-forma" in Euro 3,635 mld) e dei ratios patrimoniali (ovverosia, 8,55% CET1 Ratio e 10,67% CET1 Ratio pro-forma; 8,55% Tier 1 Ratio e 10,67% Tier 1 Ratio pro-forma; 10,21% Total Capitai Ratio e 12,38% Total Capital Ratio pro-fonna); - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 886 mln; - (a seguito della richiesta di Banca d'Italia, formulata con Nota datata 25.10.2014 - n. 1053731/14 nella quale, dato atto che "Banca (...) ha eseguito dall'inizio del 2014 operazioni di riacquisto di azioni proprie (buybacks) per un ammontare complessivo netto di Euro 195 mln. Le segnalazioni prudenziali di codesta banca confermano il progressivo aumento delle deduzioni per azioni proprie in portafoglio dal common equity tier 1: Euro 32,3 mln a dicembre 2013; Euro 91,7 mln a marzo 2014; Euro 178,2 mln, di cui 52,4 mln detenute indirettamente, a giugno 2014.... (la B.) ha altresì proceduto al rimborso e successivo annullamento di azioni proprie per complessivi Euro 61,7 mln, a motivo di successioni ed escussioni per recupero crediti", era domandata "la puntuale verifica della correttezza dei dati segnalati tempistica e modalità di esecuzione dei buybacks; ... le informazioni necessarie alla comprensione delle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie, precisando le controparti (società veicolo/OICR) presso le quali ì titoli sono depositati; chiarimenti circa la coerenza dei riacquisti effettuati con le disposizioni della Capital Requirement Regulation e delle successive norme tecniche di attuazione") nella Comunicazione datata 4.11.2014, ove era rappresentato falsamente che "La Banca... ha proceduto ai riacquisti da Soci e agli annullamenti delle azioni proprie nella consapevolezza che la riduzione di capitale connessa ai medesimi era più che compensata dalla sottoscrizione degli aumenti di capitale in corso.... le predette operazioni di riacquisto e annullamento di azioni proprie eseguite dalla banca dall'inizio del 2014... sono comunque avvenute nell'ambito dì un complessivo rafforzamento patrimoniale del Gruppo Bancario, che ha visto il proprio Common Equity Tier 1 Ratio incrementarsi dal 1° gennaio 2014 di circa 141 bps"; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) g2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità, di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub g.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., h1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a, in liquidatone cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposte alla vigilanza della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a. 1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente fa predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberatone degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca Centrale Europea, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2014 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 15.3.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2015 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 25.4.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 963 mln; - nella Informativa al Pubblico al 31.12.2014, contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa delia mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln e, di conseguenza, l'indicazione falsata dei requisiti patrimoniali prudenziali (CET 1 ratio pari al 10,44% e Total Capital ratio pari all'11,55%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca Centrale Europea che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a., in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) h.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001. n. 231, perché, in concorso tra loro. - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di (fingente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub h1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. i) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a-1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente si processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinalo ed attuato concretamente la predetta prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alte proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Dividerne Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili relativa alle operazioni di aumento di capitale realizzate nel corso del 2013 (c.d. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2012 e nel primo quadrimestre 2013 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a.1), ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo (felle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo, la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancate evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sui prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In Vicenza, in data 10 giugno 2013 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. 1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a.1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predette prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predispostone dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalatone e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di adoni di nuova emissione relativa alle operazioni di aumento di capitate realizzate nel corso del 2014 (c.c. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2013 e nel primo quadrimestre 2014 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a1) ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo delle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo" la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancata evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sin prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., m.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110, 112, n. 1, c.p. e 2638 co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche in riferimento alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 RGNR - Mod. 21, (allegata al presente Avviso) in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione Della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, e della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di numerosi finanziamenti finalizzati air acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie (operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito, per talune operazioni formalizzato per iscritto), attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallalo la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. Srl, operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attualo concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase dì istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazioni e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea, nell'ambito dello svolgimento dell'esercizio di valutazione approfondita (c.d. "Comprehensive Assessment") previsto dall'art. 33, par. 4, del Regolamento (UE) n. 1024/2013 cit. ed oggetto della Decisione della Banca centrale Europea del 4 febbraio 2014 i) durante l'attività ispettiva compiuta dalla Banca d'Italia presso la sede sociale nel periodo marzo/agosto 2014 (consistita nel c.d. "Asset Quality Rewiev") occultavano con mezzi fraudolenti e, comunque, omettevano di dare comunicazione, - dell'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario e/o alla sottoscrizione delle medesime azioni in sede di operazioni di aumento di capitale, per un controvalore complessivo di circa Euro 728 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di circa 6 886 min, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - dell'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale aia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate; ii) esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 9.6.2014 - il 590133/14 di compilare un "questionario... (Preliminary Capital Plan)" contenente "informazioni idonee a valutare, distintamente per i vari annali di raccolta (interni ed esterni) l'ammontare aggiuntivo di capitale e di strumenti di ATI che potrebbero essere ottenuti in tempi rapidi (6 o 9 mesi) per fronteggiare eventuali shortfall" precisando "sia le operazioni già pianificate o in corso di attuazione, sia le misure aggiuntive che potrebbero essere perfezionate in caso di necessità entro i termini sopra indicati") nella Comunicazione datata 20.6.2014 ove erano indicati, quali interventi di rafforzamento patrimoniale realizzabili celermente, il "rimborso anticipato in azioni del prestito obbligazionario 2013-2018 convertibile di tipo soft mandatory... per un importo di euro 253 milioni e "l'incremento di CET" per effetto degli aumenti di capitale attualmente in corso per un importo totale di euro 673 milioni, di cui euro 608 milioni di aumento in opzione ai soci", omettendo di rappresentare che la sottoscrizione del suddetto prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni dì nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra descritta; - nelle comunicazioni trasmesse alle Autorità di vigilanza nell'ambito dell'esercizio di "stress test", contenenti l'indicazione, contrariamente al vero, di ratios patrimoniali e dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quelli reali, a causa della mancata considerazione, quale cimento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln; - nel Capital Plan comunicato in data 10.11.2014, relativo alle misure programmate per la copertura del deficit di capitale emerso all'esito dell'esercizio di "stress test" (nello scenario avverso, pari a Euro 223 mln), contenente l'indicazione, contrariamente al vero, dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln, ed omettendo di precisare che la sottoscrizione del prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni di nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea medesime, le quali, conseguentemente, non davano luogo, neppure in sede ispettiva, ad approfondimenti conoscitivi, e la BCE valutava idonee le misure di rafforzamento patrimoniale indicate da B. per fare fronte alla deficienza emersa all'esito del c.d. "Comprehensive Assessment" ed all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2014 stabiliva (con la relativa decisione SREP) requisiti prudenziali non coerenti con la reale situazione patrimoniale della stessa B. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richieda di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), dal marzo ad agosto 2014 (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) m.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n, 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em. in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub m.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) SO.SA. (stralciato ad altro procedimento) e GI.EM. n.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso rispetto al capo che precede ed alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 (allegata al presente Avviso), - SO.SA. in qualità di direttore generale, - GI.EM., in qualità di vice direttore generale responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), società sottoposta alla vigilanza della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa ai sensi del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, con riferimento alla operazione di aumento di capitale compiuta nel periodo 12.5/8.8.2014, avente in oggetto una offerta in opzione agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili di azioni ordinarie di nuova emissione e di obbligazioni nominative (e anche una offerta al pubblico indistinto dell'eventuale inoptato), a seguito della richiesta di dati e notizie di CONSOB datata 16.5.2014, nella successiva interlocuzione con la medesima Autorità di Vigilanza, comunicavano, contrariamente al vero (condotta materiale di So.Sa., quale firmatario delle missive, compiuta d'intesa con Gi.Em.), i) nella Nota datata 23.5.2014, - la decisione assunta dalla Banca "di astenersi, con riferimento all'Offerta in opzione, dalla prestazione di raccomandazioni personalizzate all'investimento" e, pertanto, del "divieto di prestare qualsivoglia attività consulenziale a favore dei titolari del diritto di opzione"; - l'adozione da parte della Banca "allo scopo di dare effettività alla menzionata prescrizione interna ed evitare forme surrettizie di raccomandazione personalizzata all'investimento... " di "modalità specifiche di adesione all'offerta idonee a contenere occasioni di contatto diretto tra gli addetti alla rete ed i titolari del diritto di opzione" (costituite, "a seguito della comunicazione informativa" neutra da parte della Banca contenente indicazione delle "caratteristiche principali dell'operazione e le modalità richieste per l'adesione", dalla preventiva manifestatone di interesse alla sottoscrizione da parte degli interessati "accedendo ad una apposita sezione del sito internet della Banca" oppure tramite l'invio per posta di un modulo prestampato, preventivamente trasmesso agli aventi diritto in allegato alla suddetta comunicazione informativa preliminare); - che la Banca si sarebbe astenuta dalla erogazione di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione di azioni B., essendo questa possibilità limitata all'operazione di aumento di capitale riservato a nuovi soci e finalizzato all'ampliamento della base sociale (c.d. "mini Aucap"); ii) nella Nota datata 4.7.2014, che - erano "immutate le modalità di offerta in opzione, agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili... " e, nel fornire i dati relativi all'andamento della operazione, che l'offerta in opzione aveva registrato adesioni da parte di 20.448 clienti, tutte perfezionate ad "iniziativa cliente", con valutazione positiva della appropriatezza nella misura del 83,9%; iii) nella Nota 15.10.2014, - che l'unica operatività effettuata nell'ambito dell'Offerta in opzione, era quella ad "iniziativa cliente"; - che tutti i 29,364 sottoscrittori "aventi diritto" avevano aderito all'offerta previa valutazione di appropriatezza, il cui esito era stato positivo nella misura del 82% circa; - che (nella unita Nota di osservazioni della funzione di Compliance), "la Banca ha inteso presidiare il rischio di consulenze surrettizie prevedendo un meccanismo volto a fare in modo che il contatto tra banca e clienti titolari del diritto di opzione si stabilisse solo in seguito ad una comunicazione preliminare"; e omettevano dunque, di rappresentare alla Commissione medesima, la realizzazione da parte della Banca, sino dal febbraio 2014 (e, dunque, prima dell'approvazione del prospetto previsto dall'art. 94, D.L.vo n. 58/98 cit.), di una strutturata azione commerciale finalizzata alla promozione della partecipazione all'aumento di capitale e concretizzatasi in consigli personalizzati di investimento, cosi ostacolando consapevolmente le funzioni di vigilanza della CONSOB, cui era conseguentemente impedita l'emanazione degli opportuni provvedimenti e l'adozione delle pertinenti iniziative di Vigilanza. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell'art. 116, D.L.vo n. 58/98 cit. ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) n. 2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e punito dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato indicato sub e.l) commesso da - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale, responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), in concorso tra loro, in difetto di un modello di organizzazione idoneo (comunque non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi, e nell'interesse ed a vantaggio della stessa BANCA (...) S.c.p.a., consistiti nel rafforzamento patrimoniale dell'ente perseguito ed attuato con l'operazione dì aumento di capitale compiuta nel corso dell'anno 2014. In (...), in data (...) CONCLUSIONI PEL PROCURATORE GENERALE: Con riferimento agli appelli proposti dagli imputati ZO., MA. e PI. chiede dichiararsi l'improcedibilità con riguardo alle fattispecie medio tempore prescritte, con conseguente rideterminazione della pena, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, Per il resto chiede confermarsi la sentenza. Con riferimento all'appello proposto dall'imputato GI. chiede affermarsi la penale responsabilità del predetto, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando la pena richiesta come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. Con riferimento all'appello proposto da B. in L.c.a. chiede ridursi l'entità della sanzione ex art. 12 comma 2 lett. a) D.Lgs. 231/2001 nella misura massima della metà, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, con irrogazione, per l'effetto, della sanzione pecuniaria nella misura di euro 324.000,00= e conferma nel resto. Con riferimento, infine, agli appelli proposti dal Pubblico Ministero nei confronti degli imputati PE. e ZI. chiede affermarsi la penale responsabilità dei predetti, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando le pene richieste come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di equivalenza. CONCLUSIONI PELLE PARTI CIVILI: Il difensore della parte civile Banca d'Italia, Avv. St.Ce., conclude chiedendo che la Corte rigetti gli appelli degli imputati Gi., Ma., Pi. e Zo. e confermi la sentenza per quanto riguarda le statuizioni civili a favore delta Banca d'Italia, inclusa la conferma della condanna in solido alla provvisionale. In accoglimento degli appelli della Pubblica Accusa, proposti contro gli imputati Pe. e Zi., chiede estendersi ai medesimi le statuizioni civili in favore della Banca d'Italia e per l'effetto la loro condanna in solido al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da liquidarsi in separato giudizio, con condanna a una provvisionale pari a quella stabilita in primo grado. Per il resto conclude come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022. Il difensore della parte civile CONSOB, Avv. Va.Ci., in sostituzione dell'Avv. Deborah Spedicati, chiede la conferma dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato Gi. per il reato di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza svolte da CONSOB, contestato nel capo d'imputazione NI, e la conferma delle statuizioni civili pronunciate in favore della stessa CONSOB, con condanna al pagamento delle spese per questo grado dì giudizio. Si richiama per il resto alla memoria depositata all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Pa.Ci. (67), chiede l'accoglimento delle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Re.Be. (24), si associa alle conclusioni della Procura Generale e si riporta alle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9,2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca. (55), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca., in sostituzione dell'Avv. Br.Ba. (16), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce. (62), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ca.Sp. (205), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimene deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ro.Pa. (163), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ca.Ma. (140), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delie parti civili, Avv. Ca.Ma., in sostituzione dell'Avv. Ni.D'A. (80), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co. (72), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. An.Bu. (42), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. Na.De. (84), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Si.Ba. (13), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ve.Bo. (40), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. An.Ca. (44), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ma.Ma. (139), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Gi.Vi. (219), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa. (160), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa., in sostituzione dell'Avv. Da.Tr. (211), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Pi.Ce. (63), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. St.An. (7), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Lu.Be. (22), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Al.Le. (127), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23,9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Mo. (156), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Sa., in sostituzione dell'Avv. Pi.Lu. (136), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ra.Di. (92), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Si dà altresì atto che all'udienza del 23.9.2022 le parti civili sotto elencate, su invito del Presidente e con l'accordo delle parti, hanno depositano le rispettive conclusioni scritte con allegate note spese, alle quali si riportano integralmente chiedendone l'accoglimento: (omissis) Il difensore delle parti civili, Avv. Fr.Ra., in sostituzione dell'Avv. An.Fi. (105), dichiara di non presentare conclusioni scritte dei propri assistiti e di riportarsi alle conclusioni già depositate in primo grado, chiedendone l'accoglimento, senza ulteriore deposito, CONCLUSIONI DELLE DIFESE MA., PI. e ZO.: Chiedono in principalità l'assoluzione dei rispettivi assistiti, avanzando richieste subordinate come da rispettivi atti di appello e motivi nuovi successivamente depositati, giusta conclusioni rispettivamente rassegnate alle udienze del 28.9.2022 (ZO.), del 30.9.2022 (MA.) e del 5.10.2022 (PI.), alle quali si riportano. CONCLUSIONI DELLA DIFESA GI.: Dichiara di rinunciare espressamente a tutti i motivi enunciati nell'atto di appello tranne che ai motivi nn. II, III, XIII, XX (quest'ultimo peraltro reso oggetto di rinuncia implicita, come da verbale d'udienza 23.9.2022, quanto alla svolta eccezione di nullità della sentenza), XXI, XXII e XXIII. Quanto al trattamento sanzionatorio invoca la rideterminazione in senso più favorevole come da verbale d'udienza 23.9.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA ZI.: Conclude per l'accoglimento del proprio appello e per il rigetto di quello del Pubblico Ministero, come da verbale d'udienza 5.10.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA PE.: Conclude chiedendo il rigetto dell'appello del Pubblico Ministero e la conferma della sentenza di assoluzione, come da verbale d'udienza 30.9.2022. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. La sentenza Con sentenza 19.3.2021, il Tribunale di Vicenza: - dichiarava Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. responsabili, nelle qualità dai predetti rispettivamente rivestite all'interno della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in LCA.), dei reati, siccome loro rispettivamente ascritti in rubrica (il capo NI era ascritto, fra essi, al solo GI.), di aggiotaggio ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 2637 c.c. (reato di cui al capo A1, commesso in Vicenza nel periodo successivo al 27.4,2013 e sino al 2015, in occasione della pubblicazione dei bilanci di esercizio degli anni 2013 e 2014), di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr 1 c.p., 2638 co. II, III c.c., aggravato dalla natura di società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116 D.L.vo 58/98 (capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1, posti in essere in Vicenza, dal maggio del 2012 all'anno 2015, nelle date di cui ai rispettivi capi di imputazione), di falso in prospetto, ex artt. 61 nr. 2, 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 173 bis D.L.vo 58/98 (capi I ed L, posti in essere, in Vicenza, rispettivamente, il 10 giugno del 2013 ed il 9 maggio del 2014) e, esclusa l'aggravante di cui all'art. 112 nr. 1 c.p., riconosciute a tutti gli imputati le attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alle residue aggravanti contestate ed unificati detti reati sotto il vincolo della continuazione, ritenuto più grave il delitto di cui al capo H1, condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione; - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno; - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Dichiarava i predetti imputati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Disponeva nei confronti dei medesimi la confisca per equivalente sino a concorrenza dell'importo di euro 963.000.000. - Dichiarava non doversi procedere nei confronti degli stessi imputati, con riferimento ai reati di aggiotaggio di cui al capo A1 (limitatamente alle condotte contestate fino alla data del 27.4.2013), perché estinti per prescrizione. - Condannava i suddetti imputati, nei termini seguenti, al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili: - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili private di cui all'elenco allegato alla sentenza (con esclusione, relativamente agli imputati GI. e MA., del risarcimento in favore delle parti private Al.Br., Lo.Al., Lo.Da., Lo.Tr., Pi.So. e To.La.), con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute da dette parti; - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile Banca d'Italia, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore della medesima parte, pari ad euro 601,017,39 oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte civile; - Gi.Em. era condannato al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile CONSOB, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore di detta parte nella misura dì euro 186.570,00, oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte avite. - Assolveva Pe.Ma. e Zi.Gi. dai reati loro ascritti perché il fatto non costituisce reato. - Dichiarava, inoltre, Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) e, riconosciuta l'attenuante ex art. 12, co. II, lett. a) D.L.vo 231/01 ed applicata la disciplina della pluralità di illeciti ex art. 21 D.L.vo cit., condannava detto ente al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 364.000,00, oltre al pagamento delle spese processuali, disponendo inoltre, nei confronti del medesimo ente, la confisca della somma di euro 74.212.687,50. - Disponeva, con riferimento alla posizione di Zo.Gi., la trasmissione degli atti al P.M. in relazione all'ipotesi di reato contestata sub capo N1; - Dichiarava improcedibile la domanda risarcitoria avanzata nei confronti del responsabile civile Banca (...) in L.C.A. 1.1 Gli addebiti L'affermazione di penale responsabilità attiene alle vicende emerse a seguito dell'ispezione avviata dalla squadra inviata presso l'istituto di credito vicentino dalla BCE nel febbraio del 2015 in relazione a irregolarità emerse nella gestione dell'attività d'impresa bancaria, irregolarità rappresentate: - dal sistematico ricorso della banca al sostegno finanziario concesso ai clienti/soci per l'acquisto di azioni proprie sul mercato primario e su quello secondario; - dal rilascio, in favore dei soci, di lettere con le quali l'istituto assumeva l'impegno al riacquisto delle azioni ovvero forniva garanzie di rendimento dei titoli; - dagli "storni" di interessi, autorizzati dagli organi di vertice dell'istituto onde neutralizzare i costi dei finanziamenti all'uopo erogati dalla Banca; - dagli investimenti di consistenti risorse in fondi esteri poi utilizzati, almeno in parte, per la detenzione indiretta dì azioni proprie. Tali anomalie operative, per effetto dei provvedimenti adottati all'esito dell'ispezione BCE del febbraio del 2015, avevano generato un impatto negativo sotto il profilo patrimoniale, stimato in circa un miliardo di euro di deduzioni dal patrimonio di vigilanza, come confermato dalla stessa banca verificata nella relazione semestrale del 30.6.2015 e, quindi, nel bilancio d'esercizio 2015. Ne era seguita anche l'iscrizione di rettifiche relative a crediti deteriorati per circa 1,3 miliardi di euro. Quindi, nel 2016, la banca aveva deliberato un piano di rafforzamento patrimoniale che tuttavia non era andato a buon fine (con particolare riferimento all'aumento di capitale, previsto nella consistente misura di 1,5 miliardi, tanto che il Fondo (...) aveva rilevato la proprietà dell'istituto sottoscrivendo aumenti di capitale per complessivi 2,3 miliardi). Di qui la dichiarazione, da parte della BCE, dello stato di dissesto o di rischio di dissesto e, successivamente, ravvio della procedura di LCA, decisa con decreto del Ministro dell'Economia del 25.6.2017. Con sentenza 21.12.2018, poi, il tribunale di Vicenza aveva dichiarato lo stato di insolvenza dell'istituto di credito. E' in questo contesto di crisi - successivamente sfociato, come appena precisato, nella dichiarazione dello stato di insolvenza - che si inscrivono le condotte di aggiotaggio manipolativo ed informativo, di ostacolo alla vigilanza della Banca d'Italia, della BCE e (quanto al solo imputato GI.) della CONSOB, nonché di falso in prospetto, condotte che costituiscono (oltre agli illeciti amministrativi contestati all'ente Banca (...) in L.C.A.) gli addebiti ritenuti provati nella pronunzia del tribunale di Vicenza. In particolare gli imputati, nelle loro rispettive qualità di esponenti di vertice dell'istituto bancario, avrebbero posto in essere una serie di azioni coordinate finalizzate alla manipolazione del mercato, attraverso una artificiosa rappresentazione di una solidità patrimoniale della banca in realtà inesistente e della liquidità del titolo azionario, mediante la sistematica concessione di assistenza finanziaria ai clienti per l'acquisto di azioni della banca, l'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo del valore delle azioni finanziate ed il mantenimento di un valore sovradimensionato del suddetto titolo (aggiotaggio manipolativo). Avrebbero, altresì, diffuso informazioni mendaci (prevalentemente attraverso la emissione di comunicati stampa indirizzati al mercato ed ai soci) inerenti alla situazione della banca, alla liquidità del titolo azionario e al pieno successo delle operazioni di aumento di capitale effettuate negli anni 2013 e 2014 (aggiotaggio informativo). Inoltre avrebbero posto in essere condotte di ostacolo alla vigilanza ai danni della Banca d'Italia e della BCE occultando la sistematica attività di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie e in tal guisa impedendo l'adozione di tempestivi piani di vigilanza coerenti con la reale situazione della banca, conseguendo, inoltre, l'autorizzazione alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale primario di classe 1 e superando positivamente, infine, il Camprehensive Assessment (ovverosia l'esercizio di valutazione approfondita con il quale la BCE aveva verificato lo stato di salute delle principali banche europee) con l'effetto di accedere al Meccanismo Unico di Vigilanza. Il solo GI., poi, avrebbe ostacolato la vigilanza della CONSOB in relazione all'aumento di capitale 2014, omettendo la rappresentazione delle operazioni commerciali finalizzate alla promozione dell'aumento di capitale in questione. Ulteriori condotte delittuose poste in essere dagli imputati, infine, sarebbero state quelle di falso in prospetto in relazione alla predisposizione e diffusione dei prospetti informativi inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni all'atto degli aumenti di capitale degli anni 2013 e 2014. Nell'occasione, infatti, per un verso, sarebbero state occultate le informazioni inerenti al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie; e, per altro verso, sarebbero state comunicate informazioni fuorvianti in merito all'andamento del mercato secondario delle azioni stesse. Nel complesso si sarebbe trattato di condotte tutte avvinte da un evidente nesso di strumentalità in quanto sistematicamente ispirate dalla medesima intenzione, da un lato, di creare un'apparenza di liquidità del titolo azionario e, dall'altro, di accreditare la solidità patrimoniale dell'istituto di credito. Solo in quest'ottica, del resto, nella prospettiva d'accusa, sarebbero interpretabili le condotte dei singoli imputati, altrimenti del tutto prive di senso, posto che le corrette attività di appostazione della riserva di bilancio e di scomputo del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza avrebbero reso prive di ogni effetto le operazioni correlate. Di qui la contestazione della responsabilità concorsuale degli imputati. 1.2 Il compendio probatorio Il giudizio di penale responsabilità scaturiva dalla valutazione coordinata di un panorama probatorio assai vasto e composito, segnatamente costituito da elementi di natura testimoniale (deposizioni degli agenti operanti, di ex dirigenti dell'istituto di credito, nonché di funzionari e dipendenti della banca, di clienti, ecc.) e documentale (e-mail, documenti contabili, verbali del CdA, piani industriali, ecc.), dagli esiti di operazioni di intercettazione telefonica, nonché dalle conclusioni cui erano pervenute approfondite attività di ispezione; conclusioni, queste ultime, che erano state dapprima documentate attraverso l'acquisizione delle relative relazioni e, quindi, confermate e precisate in sede di escussione dibattimentale degli ispettori e dei funzionari di vigilanza. Inoltre un rilievo significativo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato anche all'approdo cui era pervenuta la meticolosa attività di ricostruzione di quegli aspetti della gestione aziendale rilevanti ai fini della compiuta comprensione delle reali dinamiche e della esatta portata del fenomeno delle operazioni di capitale finanziato siccome effettuata dai consulenti tecnici del P.M.. Costoro, in effetti, avevano ripercorso, attraverso uno scrupoloso vaglio della notevole mole della documentazione disponibile, tutte le singole operazioni giungendo ad una precisa quantificazione del fenomeno; quantificazione, peraltro, sostanzialmente allineata, seppure per difetto, ai dati indicati dalla stessa banca nella Relazione sulla Gestione dei bilanci 2015-2016 (euro 1086,9 mln). Le indagini della GdF, poi, avevano consentito di riscontrare le evidenze ispettive e di delineare compiutamente il contributo fornito dai singoli imputati. Infine, anche la relazione ex art 33 L.f. - nella quale erano stati compendiati gli esiti di un accurato esame dei bilanci e degli indici di redditività, efficienza e solidità patrimoniale, nonché dei margini di struttura essenziale dell'istituto di credito - aveva rappresentato un prezioso contributo (peraltro convergente con le ulteriori risultanze processuali) per l'esatta comprensione del fenomeno del capitale finanziato. 1.3 La competenza Il tribunale, dopo avere premesso che la questione della competenza territoriale avrebbe dovuto essere valutata alla stregua delle indicazioni contenute nell'imputazione nonché delle allegazioni delle parti unicamente relative al fatto storico siccome stigmatizzato nell'imputazione medesima (fatta salva l'ipotesi - espressamente esclusa dal primo giudice - che dal capo di incolpazione emergessero macroscopici errori, immediatamente rilevabili come tali), ribadiva la competenza territoriale dell'a.g. vicentina, siccome già affermata (in sede di udienza preliminare e, quindi, negli atti preliminari al dibattimento), ritenendo le eccezioni difensive inammissibili e, comunque, infondate. Sotto il primo profilo il tribunale di Vicenza, per un verso, richiamava il contenuto della decisione della Corte di Cassazione (Cass. Sez. I, nr. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018) che - già investita della questione a seguito di conflitto negativo sollevato dal GIP di Milano - aveva in tal senso deliberato, la trama argomentativa della quale veniva dal primo giudice puntualmente ripercorsa; per altro verso evidenziava il difetto di fatti nuovi idonei a superare tale decisione (posto che il capo di incolpazione, medio tempore, non aveva subito sostanziali modifiche), concludendo, quindi, per la vincolatività della decisione medesima. In ogni caso, sotto il secondo profilo (quello dell'infondatezza delle eccezioni di incompetenza), il tribunale respingeva le ricostruzioni difensive che individuavano in Roma il luogo di commissione del più grave reato contestato sub B1, trattandosi del luogo nel quale aveva sede la Banca d'Italia e ove, pertanto, detto istituto aveva ricevuto il rendiconto ICAAP (Internal Capital Adequacy Assessment Process), al momento della ricezione (ovvero della valutazione) del quale - sempre secondo le prospettazioni difensive -, atteso il contenuto asseritamente decettivo del documento in questione, si sarebbe verificato l'evento di ostacolo. Ciò in ragione del fatto che la falsa informazione - sub specie di "occultamento fraudolento" - contenuta in tale documento non rientrava affatto nel perimetro dell'imputazione di riferimento; imputazione che - precisava il primo giudice - circoscriveva al periodo ricompreso tra l'inizio e la fine dell'ispezione il momento di commissione delle attività di intralcio alla vigilanza. Assegnare rilievo, sul punto, all'invio del citato documento da parte del coimputato So.Sa. (posizione stralciata e giudicata separatamente), infatti, avrebbe significato modificare indebitamente il capo di imputazione (peraltro inserendovi una condotta che, nella sua materialità, sarebbe stata espressione di una differente modalità di aggressione al bene giuridico presidiato dalla fattispecie incriminatrice), con conseguente contestazione di un fatto nuovo. Più nel dettaglio il tribunale non condivideva le osservazioni difensive, le quali: - da un lato evidenziavano come il capo di imputazione sub B1, là dove faceva riferimento all'occultamento o, comunque, alla mancata comunicazione di informazioni, necessariamente ricomprendesse, tra le comunicazioni "fuorvianti", anche la suddetta comunicazione ICAAP (sulla base della quale, del resto, l'ente incaricato della vigilanza aveva determinato l'oggetto dell'attività ispettiva che di lì a poco avrebbe svolto presso la sede dell'istituto vigilato); - dall'altro lato contestavano che dall'indicazione del tempus commissi delicti siccome precisato in imputazione potessero desumersi effetti decisivi in ordine alla delimitazione del perimetro dell'imputazione, trattandosi di indicazione - espressione dell'avvenuta, censurabile selezione, da parte del P.M., di una sorta di "finestra temporale" non corrispondente alle evidenze disponibili - non certo prevalente, sempre secondo le difese, rispetto alla descrizione del fatto siccome esposto nel capo di imputazione medesimo. Ad avviso del primo giudice, invero, la prospettazione d'accusa era chiara nell'individuare l'oggetto dell'addebito nelle condotte poste in essere nel corso dell'attività ispettiva, condotte rispetto alle quali l'invio della citata comunicazione ICAAP costituiva un fatto autonomo, estraneo a quello contestato sub B1 e neppure preso in considerazione come antecedente causale delle medesime condotte incriminate. Conclusivamente, l'eccezione di incompetenza territoriale, avanzata in relazione all'asserito rilievo da assegnarsi, sul punto, alla citata comunicazione ICAAP, oltre ad essere inammissibile per difetto di sopravvenienze rilevanti ex art, 25 c.p.p. (l'addebito di riferimento essendo rimasto inalterato rispetto all'imputazione provvisoria valutata dalla citata Cass. 15537/2018), era comunque infondata. Infine, neanche poteva sostenersi la competenza territoriale dell'a.g. milanese, pure prospettata da talune difese facendo leva sulle contestazioni di falso in prospetto di cui ai capi I ed L della rubrica. Si era in presenza, infatti, di reati puniti con pena edittale inferiore rispetto a quella prevista per il reato ex art. 2638 c.c., siccome nella specie aggravato ai sensi del comma terzo. In effetti, il raddoppio delle pene previsto dall'art. 39 co. 1 L. 262/05 non poteva ritenersi applicabile alla fattispecie in esame, in quanto modificata, anche in punto di trattamento sanzionatorio, dal medesimo intervento legislativo, come arguibile dalla ratio di detto intervento, quale ricavabile tanto dal tenore della disposizione ex art. 39, co. 3 L. cit., quanto dai relativi lavori preparatori. In ogni caso - e fermo, comunque, il principio di irretrattabilità del foro commissorio sancito dall'art. 25 c.p.p., - anche i reati di cui ai predetti capi I ed L erano stati commessi in Vicenza, presso la sede della banca vicentina, all'atto della pubblicazione dei prospetti informativi, tale essendo il momento consumativo del reato (e non già in Milano, sede della CONSOB, presso la quale detti prospetti erano stati depositati per l'approvazione). Donde la conferma della competenza del tribunale berico. 1.4 Il patrimonio di vigilanza e l'acquisto di azioni proprie: quadro normativo di riferimento Il tribunale, dopo avere esplicitamente richiamato il quadro normativo in ordine alla vigilanza informativa, regolamentare ed ispettiva sul settore bancario ed avere puntualmente delineato nozione e caratteristiche del "patrimonio di vigilanza" (nella sua accezione più ampia rispetto al semplice "patrimonio aziendale", in quanto ricomprendente, oltre al capitale sociale e alle riserve, anche gli strumenti di natura non strettamente patrimoniale ma rappresentanti "canali di patrimonializzazione"), precisava come, alia stregua delle disposizioni in materia, il "patrimonio di vigilanza" dovesse necessariamente corrispondere quantomeno all'ammontare del patrimonio interno assorbito dalle attività bancarie, in ragione della funzione assegnatagli di copertura dei rischi di mercato, operativo e di credito. Quindi, richiamati gli indici di riferimento per la valutazione delia capacità degli istituti di credito di sostenere le proprie attività in presenza dei rischi tipici ed evocata, altresì, la più recente disciplina di riferimento, il primo giudice precisava come il patrimonio di vigilanza complessivo dovesse intendersi costituito dalla somma algebrica tra il "patrimonio di base o capitale di classe 1" (Tier 1) e il "patrimonio supplementare o capitale di classe 2" (Tier 2), intesi come insieme di risorse capaci di assorbire le perdite, rispettivamente, in condizioni di continuità di impresa, ovvero di stato di crisi-In un siffatto contesto - proseguiva il tribunale - l'attività di vigilanza della Banca d'Italia assolveva, tra l'altro, alla funzione di valutare se gli strumenti finanziari emessi dagli istituti di credito fossero o meno computabili come strumenti di capitale primario, con la precisazione che, tra gli strumenti destinati ad essere integralmente dedotti dal capitale primario, rientravano certamente gli investimenti in azioni proprie (ivi comprese quelle che la banca fosse stata contrattualmente obbligata ad acquistare), e questo all'evidente fine di evitare il doppio computo del capitale. Con specifico riferimento al periodo interessato dalle imputazioni (2012-2015), poi, il giudice di prime cure puntualizzava come la composizione del patrimonio di vigilanza fosse disciplinata dalle Circolari della Banca d'Italia n. 263 del 27.12.2006 e n. 155 del 18.12.1991, circolari che, identificando il patrimonio di vigilanza come la somma algebrica tra il patrimonio di base (Tier 1) e il patrimonio supplementare (Tier 2), al netto delle deduzioni, esigevano che il rapporto tra il Tier 1 ed il totale delle esposizioni creditizie ponderate non dovesse essere inferiore al 4,00% e che il patrimonio di vigilanza, inteso come la somma di patrimonio di base Ver 1 e patrimonio supplementare Tier 2, dovesse essere almeno pari all'8% delle attività ponderate per il rischio. La Circolare n. 263/2006, poi, non prevedeva alcuna autorizzazione della Banca d'Italia per la computabilità delle azioni proprie nel patrimonio di vigilanza. Inoltre, a decorrere dal 2014, la disciplina di riferimento era costituita dal regolamento UE n. 575/2013 (Capital Requirements Regulation - CRR) e dalla Circolare della Banca d'Italia n. 286 del 17 dicembre 2013, con l'effetto che alla nozione di patrimonio di vigilanza era subentrata quella di "fondi propri" (costituiti dalle tre componenti: CET1, Additional Tier 1 e Tier 2), Secondo il CRR le banche avrebbero dovuto disporre di un requisito di capitale primario di classe 1 (CET) pari al 4,5% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio, di un requisito di capitale di classe 1 (Tier 1) pari al 6% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio e, infine, di un patrimonio di vigilanza totale (patrimonio di base più patrimonio supplementare) pari all'8% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio. Ciò posto, il primo giudice, con riferimento al tema dell'acquisto delle azioni proprie da parte di un istituto di credito, richiamava i limiti progressivamente sempre più stringenti introdotti sul punto, oltre alle specifiche condizioni legittimanti le autorizzazioni in materia da parte dell'autorità di vigilanza, sottolineando come il principio dell'obbligatoria deduzione dal patrimonio di vigilanza delle azioni riacquistate fosse rimasto immutato nel tempo, trattandosi di principio (nel periodo 2006-2013 previsto dalle citate circolari della Banca d'Italia, come progressivamente aggiornate) essenziale per la tutela dei terzi, posto che, nel momento in cui la banca finanziava l'acquisto di azioni proprie, l'apporto patrimoniale era destinato ad assumere carattere fittizio, inidoneo a incrementare il patrimonio destinato alla copertura di rischi e perdite aziendali. E, in proposito, il primo giudice delineava puntualmente il regime prudenziale previsto successivamente all'1.1.2014, regime nel cui ambito rilevava anche il processo interno di autodeterminazione dell'adeguatezza patrimoniale che gli istituti di credito erano chiamati ad effettuare e di cui avrebbero dovuto comunicare gli esiti alfa Banca d'Italia attraverso una apposita comunicazione (ICAAP) - la responsabilità della quale era rimessa agli organi societari di amministrazione e di controllo - destinata ad illustrare le caratteristiche di tale processo. Era proprio il resoconto ICAAP - proseguiva il tribunale - a consentire all'organo di vigilanza di effettuare una valutazione completa (destinata a concludersi con l'attribuzione di un punteggio ricompreso tra 1 e 5) delle caratteristiche qualitative fondamentali (attraverso un'attività di supervisione denominata SREP/Supervisory Review Evaluation Process, caratterizzata anche da un confronto diretto tra organo di vigilanza ed istituto vigilato). 1.5 La ricostruzione dei fatti. 1.5.1 L'ispezione della BCE del febbraio 2015 ed i riscontri all'analisi BCE. In ordine all'ispezione BCE del febbraio 2015 - avviata dopo che una serie di evidenze (ivi compresa la pubblicazione, a ottobre del 2014, di un articolo sul quotidiano "Il Sole 24 Ore", a firma Cl.Ga., nel quale si era fatto espresso riferimento proprio al tema del finanziamento delle azioni) avevano fatto emergere come la B. avesse riacquistato azioni proprie in difetto della previa autorizzazione alla vigilanza - il Tribunale precisava che detta ispezione, svoltasi dal febbraio al luglio del 2015, aveva effettivamente dimostrato il diffuso ricorso da parte dell'istituto di credito ad operazioni di assistenza finanziaria ai soci per l'acquisto di azioni proprie; azioni che, proprio in quanto acquistate con finanziamenti concessi dall'emittente, non avrebbero dovuto essere conteggiate nel patrimonio di vigilanza (ovverosia nei "fondi propri", secondo la terminologia adottata dall'art. 28, par. 1, lett. B, CRR). Sulla base, in particolare, della puntuale deposizione dell'ispettore Em.Ga. (responsabile del team della vigilanza), il primo giudice ricostruiva dettagliatamente natura, svolgimento ed esiti dell'ispezione in questione. Ebbene, si era trattato di una ispezione sul rischio di mercato, finalizzata, nell'ordine: - a verificare eventuali fenomeni di assistenza finanziaria relativi alle operazioni di aumento di capitale; - a controllare la corretta valutazione del prezzo delle azioni; s ad analizzare, infine, le operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi sottoscritti alla fine del 2012 dalla banca vigilata. L'arco temporale di riferimento assunto dagli ispettori era stato quello tra il 1.1.2014 ed il 28.2.2015. Il c.d. "mini aucap", poi, non era stato incluso nell'accertamento perché, in tale occasione, la banca aveva effettuato operazioni dì taglio piccolo (6250 euro/100 azioni) per le quali aveva espressamente previsto la possibilità di finanziamento da parte dello stesso istituto di credito, con corretta deduzione delle azioni acquistate dal patrimonio di vigilanza. Per il mercato secondario, poi, erano state analizzate tutte le operazioni per un controvalore superiore ai 250.000 euro. Quanto alla metodologia operativa seguita per intercettare le operazioni di capitale finanziato erano stati adottati criteri dì tipo quantitativo e qualitativo. Sotto il primo profilo erano state tracciate le operazioni caratterizzate da "una relazione forte" tra ammontare finanziato e sottoscritto (nel senso che il "finanziato" avrebbe dovuto essere superiore al "sottoscritto", sia con riferimento alle operazioni "full", ovverosia quelle in cui l'intero finanziamento era stato utilizzato per l'acquisto delle azioni; sia a quelle cc.dd. "fifty-fifty", ovverosia nelle quali solo una parte del finanziamento era stato impiegato per l'acquisto dei titoli). In ordine al dato temporale erano stati analizzati, in relazione al mercato primario, solo i finanziamenti concessi nel "periodo sospetto", ricompreso tra la data di inizio del collocamento e il giorno della consegna del titolo al cliente (c.d. delivery date), pari a circa tre mesi. Diversamente, in ordine al mercato secondario, erano state analizzate tutte le operazioni di acquisto in cui i finanziamenti erano stati erogati nei tre mesi antecedenti (posto che dai colloqui avuti con Se.Ro., addetto all'ufficio soci, gli ispettori avevano appreso che la tempistica media seguita dalla banca per evadere un ordine di acquisto di azioni non superava, per t'appunto, ì 90 giorni circa). In ogni caso - precisava il tribunale - gli ispettori avevano verificato che, generalmente, ì finanziamenti erano risultati concessi pochi giorni prima dell'esecuzione dell'ordine di acquisto. Altri elementi considerati ai fini ispettivi erano stati l'analisi dei conti, quasi tutti caratterizzati da bassissima operatività, nonché la valutazione delle P.E.F., (ovverosia le pratiche elettroniche di fido), risultate costantemente connotate dall'indicazione di causali estremamente generiche e ripetitive e, pertanto, ritenute sintomatiche di "operazioni eccentriche". Inoltre, anche la circostanza che le operazioni fossero "operazioni in bianco" (ovverosia prive di garanzia) costituiva una prassi anomala rispetto ai normali standard creditizi di sana e prudente gestione del portafogli creditizio di una banca. Quindi, con specifico riferimento agli esiti dell'ispezione, il tribunale illustrava le seguenti evidenze: a) l'esistenza di capitale finanziato per un importo complessivo di 506 milioni, capitale che, proprio in quanto oggetto di finanziamento, avrebbe dovuto essere detratto dal patrimonio di vigilanza; b) il rilascio di lettere di impegno collegate ad acquisti sul mercato secondario (peraltro non registrate nella contabilità aziendale né rappresentate nei documenti di bilancio) con le quali l'istituto si era vincolato al rimborso del capitale investito dagli azionisti nella banca, A fine ispezione, in relazione a tali lettere di impegno (la scoperta delle quali - precisava il tribunale sulla scorta della deposizione del teste Em.Ga. - aveva rappresentato un vero e proprio punto di svolta nell'ispezione, trattandosi della prova documentale della consapevolezza, da parte del management, del carattere finanziato dell'acquisto delle azioni), l'istituto era stato costretto a dedurre dal CET 1 circa 21 milioni di euro; c) il fenomeno degli storni di interessi alla clientela fonde tenerla indenne dei costi derivanti dal finanziamento correlato all'acquisto delle azioni). In alcuni casi si era trattato di storni non "baciati" da finanziamenti e, pertanto, sintomatici di un comportamento concludente dell'azienda finalizzato a riconoscere al cliente un corrispettivo per il possesso delle azioni, con conseguente accrescimento dei rischi legale e reputazionale a carico dell'azienda medesima. Peraltro la pratica degli "storni" aveva generato un vincolo sul rendimento delle azioni tale da precluderne la computabilità nel patrimonio di vigilanza; d) la sopravvalutazione del valore dell'azione, valore deciso a monte dal CdA senza considerare i dati fondamentali dell'azienda sotto il profilo economico-patrimoniale; profilo, in effetti, caratterizzato da risultati economici modesti; e) lo squilibrio del mercato secondario delle azioni, in quanto connotato da una marcata asimmetria tra ordini di acquisto e ordini di vendita (572,5 milioni contro 1.000.000,000, nel periodo gennaio 2013 - dicembre 2014); asimmetria, peraltro, risultata all'origine proprio del ricorso al capitale finanziato, quale strumento per contrastare l'illiquidità del titolo; f) l'investimento per euro 350,000.000 nei fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" ad esposizione sconosciuta, effettuato in modo non prudente né trasparente. Si trattava, in effetti, di fondi ad esposizione non comunicata, dei quali, sostanzialmente, B. era sottoscrittore unico (sicché, più che di fondi, si era in presenza di una gestione patrimoniale delle risorse dell'istituto di credito). Né i dirigenti della banca avevano fornito delucidazioni agli ispettori sulla natura degli investimenti in detti fondi se non a seguito della comunicazione che la mancata disclosure avrebbe comportato lo scomputo dell'intero importo di 350 milioni di euro dal patrimonio di vigilanza. Solo a quel punto, infatti, erano stati comunicati gli investimenti sottostanti ed era così emerso non solo che detti fondi avevano investito in asset in buona parte legati allo stesso istituto di credito ma, soprattutto, che i fondi medesimi erano stati lo strumento utilizzato per l'acquisto di azioni proprie, nel 2012, per un importo di 60 milioni di euro (in luogo di quello dichiarato di 54 milioni circa), titoli poi dismessi al 31 dicembre del 2014; g) l'esistenza della società di diritto irlandese B.Fi., utilizzata anche per alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato (operazioni relative, segnatamente: a) alla campagna "svuota fondo" 2012, tradottasi nell'acquisto dì azioni proprie, per il valore complessivo di 30 milioni di euro, per il tramite delie società italiane denominate Pe., Gi. e Lu., all'uopo provviste del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate da B.Fi.; b) alla dismissione delle azioni proprie detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" ed "(...)" ed acquistate, per una rilevante percentuale, dalla società So. Ltd. a mezzo di un finanziamento erogatole dalla predetta società di diritto irlandese B.Fi.). In definitiva - precisava il primo giudice - gli esiti cui era pervenuta l'attività ispettiva avevano generato un impatto deflagrante sul patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito, comportandone la riduzione per un valore di 607 milioni di euro (come da tabella riassuntiva riportata a pag. 288 della sentenza impugnata). Ne era seguita la predisposizione di un radicale piano di rafforzamento del capitale, onde consentire alla banca di rientrare immediatamente nei parametri richiesti dalla BCE. Nondimeno, nel prosieguo, la verificata impraticabilità degli interventi necessari a ripristinare la corretta operatività dell'istituto ne aveva imposto la liquidazione coatta amministrativa. Quindi, in ordine alla capacità probatoria da riconoscersi, nei limiti delineati dalla giurisprudenza di legittimità, agli accertamenti ispettivi, il tribunale precisava che tale capacità derivava, segnatamente, dalla competenza del personale dell'organo di vigilanza; dalla imparzialità propria dì tale organo (le cui valutazioni, del resto, avevano determinato un nuovo assetto di governance dell'istituto di credito); dalla coerenza, infine, tra gli esiti dell'ispezione e quanto verificato dai consulenti del P.M.. Peraltro anche il dott. Fe.Pa., consulente della difesa dell'imputato PE., aveva rimarcato il carattere "profondamente innovativo" e metodologicamente "ineccepibile" dei criteri seguiti dal team ispettivo nel corso della vigilanza, sottolineando anche la natura prudenziale dell'accertamento (sottostimato) che ne era derivato in punto di quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre - precisava il tribunale - numerosi erano stati i riscontri all'analisi della BCE. Trattavasi: a) dello squilibrio del mercato secondario, siccome manifestatosi a partire dal 2011 (squilibrio che, in difetto del ricorso al finanziamento delle azioni, avrebbe portato al "blocco della liquidità" già dal secondo trimestre del 2012; b) delle dichiarazioni di numerosi esponenti del management aziendale (segnatamente: i testi Fi.Ro., responsabile dell'Ufficio Soci, e Se.Ro., addetto allo stesso Ufficio Soci, i quali avevano rievocato l'incremento della richiesta di vendita delle azioni a partire dagli anni 2011/2012 e l'abbandono del relativo criterio cronologico a decorrere dallo stesso 2011; il teste Co.Tu., il quale aveva riferito che già dal 2009 erano state effettuate "operazioni svuota fondo" - rivolte cioè ad azzerare il fondo acquisto azioni proprie della banca - a ridosso della fine dell'anno per abbellire il bilancio; il teste Ma.Ba., il quale aveva dichiarato che dalla metà del 2011 aveva iniziato a sentire parlare di "operazioni K", finanziamenti correlati e operazioni c.d. "baciate" nel corso delle riunioni della Divisione Mercati con i capi area; l'ex direttore generale dal 2001 al 2005 e dal 2008 all'ottobre 2011, Di.Gr., il quale aveva confermato le tensioni sul mercato a causa della scarsità di domande di acquisto delle azioni, tensioni da lui fronteggiate rivolgendosi a investitori istituzionali che avevano comprato azioni B. con intesa verbale di riacquisto); c) degli appunti del segretario generale Ma.So. relativi alle operazioni c.d. "baciate", dal medesimo teste definite come operazioni sulle quali, dietro indicazione dei vertici aziendali, occorreva "spingere" per aumentare il capitale; d) degli ulteriori riscontri documentali in ordine all'andamento asimmetrico del mercato secondario (in particolare la e-mail di cui al documento nr. 166 e l'appunto di cui al documento 881 prodotti dal P.M. - cfr. pag. 304 della sentenza impugnata); e) delle attività "svuota fondo", attuate anche attraverso le operazioni c.d. "baciate" (per un importo stimato dai CCTT del P.M., con riferimento all'anno 2012, pari a 287 milioni di euro), delle quali avevano complessivamente riferito svariati testi (segnatamente i testi Fi.Ro., En.Da., Gi.Ca., Ma.Ba., Co.Tu. e Fr.Pi.); f) delle stesse dichiarazioni rese, nel corso del suo esame, dall'imputato Gi.Zi. (il quale aveva riferito che alla fine del 2012, attraverso la sua società Ze. s.r.l. aveva acquistato azioni dell'istituto di credito per "dare una mano alla banca" e consentire lo sblocco di richieste di vendita inevase); g) della ricostruzione del fenomeno del capitale finanziato siccome effettuata dall'Internal audit (e compendiata nel documento nr. 22 prodotto dal P.M.); h) delle dichiarazioni dibattimentali del teste Ro.Ri., gestore private di Contrà Porti (il quale aveva riferito delle modalità di attuazione delle operazioni più consistenti di capitale finanziato - i cc.dd. "big ticket" -caratterizzate da un arco temporale ristretto di 6/12 mesi e dalla corresponsione di un compenso variabile tra lo 0,50% e il 2%); i) delle articolate modalità di occultamento delle operazioni correlate, costituite, segnatamente: dal divieto di comunicazioni scritte (come riferito dai testi Co.Tu., Al.Cu. e Gi.Gi.; il teste Fr.Te., dal canto suo, aveva parlato di un eccesso di riservatezza al riguardo); dall'utilizzo di formule generiche nelle causali degli affidamenti (in particolare "cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare e/o immobiliare") tali da occultare all'esterno - ma, al contempo, da rendere immediatamente riconoscibili all'interno - le operazioni correlate; dal distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni; dalla cura prestata nell'evitare l'assoluta coincidenza di importo tra finanziamento ed azioni acquistate; e, infine, dall'inserimento nel portafoglio titoli dei clienti anche di azioni diverse; j) dell'esistenza delle lettere di impegno (l'Internal audit ne aveva censite in numero di 65); k) degli "storni" di interessi, siccome verificati anche dalle attività di audit (il documento richiamato era quello nr. 18 della produzione del P.M.) e oggetto di deposizione testimoniale (segnatamente, le deposizioni di Da.Es., funzionario addetto al "Risk Management", nonché quelle di Co.Tu., di Gi.Ca. e di Lu.Ve.); l) delle modalità seguite per il collocamento delle azioni quali evidenziate, ancora, dalla relazione di audit (modalità costituite: dall'acquisto con mezzi propri a fronte della promessa di una remunerazione proveniente dal pagamento dei dividendi, associata all'eventuale plusvalenza del prezzo dell'azione con eventuali scostamenti compensati attraverso storni di competenze non giustificati; dall'acquisto con mezzi propri di azioni B. per circa il 50% dell'importo disponibile e sottoscrizione per la parte rimanente di un time deposit a tasso di favore, in linea di massima del 4%, acquisto, questo, proposto a partire dal 2013; da finanziamenti "baciati" con storno competenze/spese e rendimento garantito, con durata, in genere, di 6/12 mesi; da fidi per "operazioni K" concessi a clienti cui era proposto un affidamento per ragioni proprie del cliente e con erogazione condizionata alla sottoscrizione di almeno il 10% dell'operazione per acquisto di azioni proprie; operazione, questa, poi estesa anche alle posizioni con fidi a revoca da revisionare su clienti individuati in tabulati forniti dalla Divisione Mercati; dall'acquisto di azioni proprie proposto in occasione di affidamenti su clientela con rating compreso tra 1 e 5 per il retati (ovverosia per i singoli clienti) e tra 1 e 6 per il corporate (ovverosia per le imprese); m) dei riscontri dibattimentali in ordine alla prassi adottata dai vertici dell'istituto per dare attuazione alle operazioni correlate con l'obiettivo di raggiungere, sia in occasione dei nuovi finanziamenti che nelle procedure di rinnovo, il rapporto del 10% tra il capitale sottoscritto e l'importo erogato. Dalle dichiarazioni dei testi, invero, era emersa la forte pressione praticata sulla rete aziendale per la conclusione delle operazioni "baciate" (deposizioni Al.Ba., Gi.Gi., Co.Tu., Ma.Ni., Di.Ip., Al.Cu.) al punto tale che alcuni collaboratori, come i private banker An.Vi. e Fr.Te., avevano rassegnato le dimissioni (il Te. proprio sul rilievo della contrarietà etica rispetto alle operazioni di capitale finanziato). Il verbale di conciliazione successivo alle dimissioni del Te., peraltro, aveva previsto l'inserimento di una clausola di riservatezza. Anche i bollettini sindacali acquisti nel corso del dibattimento, infine, avevano comprovato, così come le e-mail parimenti acquisite, le pressioni per il raggiungimento degli obiettivi di capitale assegnati (cfr. pagg. 317-318 della sentenza); n) delle dichiarazioni dibattimentali rese da clienti di rilievo (cfr. dep. Lo., Fe., Mo., Ro., To., Ti., Ma., Ca., Ma., Br., Ca., Gi. e Si.Ra.) che avevano concluso le operazioni aventi ad oggetto i "big ticket', là dove costoro avevano concordemente delineato lo schema operativo di riferimento (operazione a termine/apertura conto corrente dedicato/remunerazione variabile tra lo 0,5% e l'1%); o) delle dichiarazioni rese dall'ispettore Gi.Ma. (confermate dalla testimonianza del direttore regionale B. della Lombardia, della Liguria e del Piemonte, Gi.Gi. e dal direttore di B.Fi. Pi.Ra.) con specifico riferimento alle modalità operative seguite per realizzare lo "svuota fondo" del 2012 attraverso la società controllata irlandese B.Fi. per il tramite delle tre società italiane Pe., Lu. e Gi., all'uopo provviste -come detto sopra - del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate, per l'appunto, da B.Fi.; p) dell'operazione di acquisto di un'importante frazione delle azioni B. già detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", effettuata dalla società So. Ltd. per l'importo di 25 milioni di euro, secondo quanto emerso dalle stesse risultanze delle attività di revisione interna nonché dal contenuto delle deposizioni dibattimentali, ivi compresa quella di Iorio Francesco, amministratore delegato e d.g. di B. dal 1.6.2015 al 4,12,2016; questi aveva confermato come, di fatto, i suddetti fondi esteri fossero stati utilizzati sia per acquistare in origine azioni della banca sia per effettuare investimenti in società riconducibili a soggetti già finanziati dall'istituto (investimenti, questi ultimi, che, generando un rischio aggiuntivo, avrebbero imposto che fosse seguito un iter autorizzativo ben diverso, con competenza al rilascio del benestare da parte del CdA - cfr. pagine 325-329 della sentenza); q) delle dimissioni del private banker An.Vi., generate dalle pressioni ricevute per concludere le operazioni "baciate" e dall'atteggiamento dilatorio assunto dal d.g. Sa.So. a seguito delle conseguenti richieste di approfondimento della vicenda provenienti dal responsabile dell'audit Ma.Bo. (cfr. deposizione Vi. e documentazione di riferimento); r) della denunzia del fenomeno degli acquisti correlati effettuata, nel corso dell'assemblea del 26 Aprile 2014, dal socio Ma.Da. e della conseguente inerzia degli organi societari; s) delle anomalie riscontrate in occasione della revisione legale del bilancio della banca da parte della società K. in punto di adeguatezza patrimoniale con particolare riferimento alle operazioni fatte in contestualità, anomalie che avevano indotto la responsabile dell'ufficio legale interno a sollecitare l'esecuzione di un apposito audit ottenendo, tuttavia, un fermo diniego da parte del d.g. So. e di Pi.An., responsabile della Divisione Finanza (il quale ultimo aveva replicato: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa" - cfr. deposizione An.Pa., responsabile dell'ufficio legale interno); t) del contenuto del file audio (ritenuto dal tribunale utilizzabile, trattandosi di documento registrato dagli addetti informatici a ciò deputati e non già di abusiva registrazione effettuata da ignoti, donde il rigetto della relativa eccezione avanzata dal difensore dell'imputato MA.) inerente allo svolgimento dei lavori del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Tale registrazione aveva inequivocabilmente documentato tanto l'esistenza del fenomeno delle operazioni "baciate" quanto l'approntamento di strategie per occultare tale fenomeno alla vigilanza (cfr. pagg. 335-336 della sentenza); u) dell'allestimento della "Task Force gestione soci" che, nelle intenzioni dei vertici della banca, avrebbe dovuto approntare, in extremis, una strategia difensiva in relazione ai diversi profili di irregolarità emersi nel corso degli accertamenti ispettivi e favorire l'assunzione di una posizione comune a fronte delle sempre più pressanti richieste da parte dei clienti, dei reclami relativi al deprezzamento delle azioni e del rischio di fuga dei correntisti. Era stata proprio la questione, emersa sin dalle prime interlocuzioni, del fenomeno del capitale finanziato, peraltro di dimensioni notevolissime (pari a un miliardo di euro, secondo il teste Ma.Li.) che, di fatto, aveva impedito alla Task Force di esplicare qualsivoglia concreta attività (cfr. deposizione del teste Gi.Am.; e-mail di cui ai documenti nn.ri 525, 528 del P.M:); v) della quantificazione del capitale finanziato chef determinata dall'audit interno, su incarico BCE, nella misura di euro 941.335.883 e riferita a nr. 917 posizioni correlate, era poi stata fissata dalla società Er. (all'esito di una accurata ricostruzione del fenomeno, a partire dall'anno 2008, che aveva visto coinvolti il personale della Divisione Mercati ed i singoli capi area, questi ultimi richiesti di confermare/integrare i dati che andavano emergendo) nella misura di euro 1.086.892.062; w) della relazione redatta ex art. 33 l.f. dai commissari giudiziali che avevano individuato le cause del dissesto dell'istituto di credito, segnatamente: nella fissazione di un prezzo delle azioni sovrastimato (anche a causa della predisposizione di piani economico-finanziari mirabolanti, se non addirittura fantasiosi e per l'effetto dell'ausilio di professionisti incuranti dei dati utilizzati per le loro stime e valutazioni); nel massiccio ricorso alle operazioni correlate; nell'effettuazione di operazioni non strettamente riconducibili all'attività di erogazione del credito alla clientela bensì consistenti in investimenti in altre società, partecipazioni, ovvero in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) quali i fondi lussemburghesi (che avevano anche agito da "società veicolo" per operazioni "back to back") e, quindi, in definitiva, in operazioni eccessivamente speculative, rischiose o addirittura illecite; nella continua pratica di sollecitare il mercato azionario stimolando gli acquisti di azioni proprie grazie ai finanziamenti correlati, occultando le perdite e sovrastimando i titoli; e, infine, nella decisione di celare il continuo peggioramento della qualità del credito attraverso la sottostima delle rettifiche e l'occultamento delle perdite a bilancio. 1.5.2 La consulenza tecnica dei P.M. Assoluto rilievo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato agli esiti della consulenza tecnica disposta - nel corso delle indagini - dagli inquirenti. In particolare i consulenti dott.ssa La.Ca. e prof. Ro.Ta., all'esito di una valutazione analitica della documentazione a disposizione riferibile a ciascuno dei 965 clienti che erano stati segnatati per avere operato tramite finanziamento - valutazione, peraltro, fondata sull'adozione di un approccio prudenziale (caratterizzato, per evitare duplicazioni nel caso di finanziamenti indiretti, dall'attribuzione all'organo deliberante il finanziamento del controvalore di uno solo degli acquisti) - avevano evidenziato: con riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati (quesito nr. 1): - che dei 965 clienti segnalati solamente 91 non erano stati finanziati da B., sicché le posizioni finanziate erano pari a nr. 874; - che l'ammontare degli acquisti finanziati era pari a complessivi 1.031,6 milioni di euro (per un totale di azioni B. acquistate tramite finanziamento pari a 15.426.391), di cui euro 963 milioni riferiti ad acquisti di azioni B. ed euro 68 milioni riferiti a sottoscrizioni di prestito obbligazionario convertibile; - che la quota prevalente degli acquisti era riferibile a operazioni finanziate da B. (essendo imputabili alle controllate B.Fi. e Ba.Nu., rispettivamente, acquisti per euro 55,4 milioni e per euro 5,2 milioni); - che, quanto all'aumento di 506 milioni di euro di capitale effettuato nel 2013, la banca aveva finanziato il 28% dell'operazione, per un valore complessivo di euro 143 milioni; - che, quanto all'aumento di capitale nell'anno 2014 per euro 607,8 milioni, l'ammontare finanziato era stato di 136 milioni (pari al 22%); - che nel 64% degli acquisti il rapporto tra finanziamento e acquisto delle azioni era risultato pari o superiore al 90%; - che, quanto all'ammontare del valore dei titoli suddiviso per ciascun organo deliberante in relazione al periodo oggetto di indagine (30.6.2012-31-3.2015), al CdA andava "attribuito" un valore di euro 414.193.319 (pari al 35% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al Comitato Crediti un valore di euro 160-029.069 (pari al 13% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile Divisione Crediti, Ma.Pa., un valore di euro 108.418.754 (pari al 9% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile della Divisione Mercati, Gi.Em., un valore di euro 32.941.194; al Comitato Esecutivo un valore di euro 63.196.606; al Comitato Centrale Fidi, infine, un valore di euro 49.936.575; con riferimento al fenomeno della vendita delle azioni con patto di riacquisto (quesito nr. 2): - che tale fenomeno si era concretizzato nel rilascio di lettere in favore di 14 azionisti, trattandosi dei soggetti nei confronti dei quali la banca si era incontrovertibilmente impegnata al riacquisto delle azioni, il tutto per un valore complessivo di 46,6 milioni di euro (le restanti lettere non erano state prudenzialmente considerate in quanto contenenti un impegno "più debole", ovvero perché mai consegnate agli azionisti); con riferimento alla determinazione del patrimonio di vigilanza e del livello dei coefficienti patrimoniali prudenziali (quesito nr. 3) : - che, doverosamente detratti dall'ammontare del patrimonio di vigilanza (ovvero dall'ammontare dei "fondi propri", secondo la terminologia introdotta dal CRR), quale comunicato dalla Banca all'organo di vigilanza, tanto l'importo complessivo degli acquisti di azioni B. effettuati dai clienti considerati finanziati, quanto l'ammontare degli impegni al riacquisto di azioni ritenuti effettivamente vincolanti e prudenzialmente diminuite anche le attività ponderate per il rischio (RWA) del medesimo ammontare (sul rilievo che le operazioni di finanziamento non sarebbero state ragionevolmente poste in essere se non per il raggiungimento dello scopo in questione), la differenza tra il Total Capital Ratio comunicato e quello rettificato andava da un minimo di 1,16% a un massimo del 3,4% (31.3.2015). Inoltre: il CET 1 ratio rettificato al 31.3.2014 (6,63%) ed al 30.6.2014 (6,24%) si attestava a un livello inferiore alla soglia minima regolamentare del 7%; il Tier 1 Ratio rettificato si attestava ad un livello inferiore rispetto alla soglia target comunicata alla Banca d'Italia, pari all'8%, per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013 (valore minimo 6,32%, valore massimo 7,34%); per il Total Capital Ratio, infine, il dato rettificato al 31.3.2014 (8,51%), al 30.6.2014 (7,94%), al 30.9.2014 (9,57%), al 31,12.2014 (8,47%) e, infine, al 31,3,2015 (8,51%), si posizionava costantemente sotto la soglia minima regolamentare del 10,5%. con riferimento all'effetto distorsivo del fenomeno di assistenza finanziaria all'acquisto di azioni sul funzionamento ed andamento del mercato secondario (quesito nr. 5): - che il fenomeno del ricorso al capitale finanziato - risultato massiccio in coincidenza della fine dell'anno, con conseguenti, repentine diminuzioni del fondo acquisto azioni proprie - aveva comportato una profonda distorsione del mercato. In effetti la dettagliata ricostruzione delle dinamiche di acquisto dei titoli sul mercato secondario aveva reso evidente come il ricorso ai finanziamenti degli acquisti di azioni avesse consentito alla banca di mantenere il funzionamento del mercato secondario solo fino al 2012, A partire dall'anno successivo, infatti, l'istituto non era più stato in grado di garantire la liquidità del titolo; con riferimento alla stima del valore dell'azione (quesito nr. 4): - che il prof. Ma.Bi. (l'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) aveva basato il suo giudizio sui criteri, rispettivamente, reddituale (c.d. Income Approach), di mercato (c.d. Market Approach) e del costo (c.d. Cost Approach). Il CdA dell'istituto, dal canto suo, nel determinare il valore del titolo aveva assegnato rilievo pressoché esclusivo al criterio reddituale (Income Approach). Peraltro, l'assemblea, nel triennio di riferimento, aveva approvato il valore dell'azione allineandosi al valore massimo calcolato dal predetto professionista con riferimento al parametro in questione. Ebbene, l'approccio del prof. Bi. non era condivisibile in quanto non conforme alle raccomandazioni della dottrina e della prassi professionale, avendo comportato una sopravvalutazione del capitale economico di B. nel periodo 31.12.2012 - 31.12.2013. Quanto all'anno successivo, sebbene il professionista avesse preso atto di una riduzione del valore del titolo, si era comunque in presenza di una sovrastima dell'azione, in considerazione degli effettivi risultati economici consuntivi dell'attività dell'istituto e del marcato disallineamento con le quotazioni di borsa delle principali banche italiane. Pertanto, doverosamente considerato il fenomeno del capitale finanziato, era stato necessario procedere ad effettuare una nuova stima del capitale economico della banca e, quindi, del valore delle azioni, sia non rettificando gli RWA sia operando tale rettifica (ricostruzione, quest'ultima, più favorevole agli imputati). Il risultato era stato, in entrambi i casi, quello di una significativa riduzione di valore del titolo, stimato nei seguenti termini: al 31.12.2012 tra euro 21,94 e euro 22,49 (a fronte dì un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 55,77 euro e 56,31 euro); al 31.12.2013 tra euro 26,78 ed euro 27,45 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 54,40 e 55,05 euro); al 31.12.2014 tra euro 23,87 ed euro 24,94 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 41,68 euro e 42,70 euro). In definitiva, secondo il tribunale, i consulenti del P.M., avevano compiuto una ricostruzione dei fenomeni analizzati esaustiva e affidabile in quanto espressione di metodologia ispirata a prudenza; ricostruzione, peraltro, significativamente coerente con il perimetro già tracciato dagli ispettori BCE. In particolare ì consulenti avevano verificato che gli acquisti di azioni e obbligazioni fossero avvenuti attingendo, in tutto o in parte, a risorse fornite dalla banca mediante un nuovo affidamento concesso prima dell'operazione, ovvero mediante l'impiego di eventuali preesistenti erogazioni non ancora utilizzate. Inoltre avevano rispettato la normativa prudenziale in materia. In particolare la riprova dello scrupolo che aveva guidato l'azione dei consulenti era costituita dal fatto che i predetti avessero espunto ben 91 posizioni rispetto al numero di operazioni finanziate originariamente individuati dall'Internai audit. La diversa quantificazione del capitale finanziato compiuta dagli ispettori BCE, poi, era essenzialmente dipesa dal differente arco temporale oggetto di verifica (sul punto il tribunale, a pagina 380 della sentenza, riportava una tabella sinottica). Gli esiti di consulenza, inoltre, erano risultati coerenti con il materiale probatorio acquisito, non solo di tipo testimoniale ma anche documentale (davvero inequivoco, sul punto, ad avviso del primo giudice, era il contenuto della registrazione audio della seduta del Comitato di Direzione del 10 novembre 2014, là dove il d.g. So. aveva affermato espressamente "...abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare..."). Né, del resto, i consulenti delle difese avevano proposto una quantificazione alternativa del fenomeno del capitale finanziato in esame, sostanzialmente essendosi limitati a sostenere come i cc.tt. del P.M. avessero effettuato una stima in eccesso. Per converso emergevano dati inequivoci del fatto che si fosse trattato di una stima prudenziale, attuata per difetto. A riscontro di ciò il Tribunale richiamava la vicenda dell'operazione finanziata conclusa con la El. (operazione avente un valore, ad avviso dei consulenti, di 17 milioni di euro ma ammontante, secondo il teste Pi.Ca., a ben 20 milioni di euro). Infine, neppure le ulteriori censure difensive erano fondate ad avviso del primo giudice. In particolare, nella prospettiva del tribunale, era errata la tesi secondo la quale l'obbligo di detrazione dal capitale di vigilanza avrebbe presupposto l'esistenza di un "nesso teleologico" tra il finanziamento erogato e l'acquisto delle azioni (tesi che i consulenti delle difese ZO. e ZI. ancoravano alla circolare n. 263/2006 della Banca d'Italia). In effetti la ratio della normativa prudenziale - precisava il primo giudice - era quella di tutelare l'effettiva integrità del patrimonio aziendale, sicché non era affatto sostenibile un'interpretazione tale da rimettere alla volontà dei contraenti l'individuazione delie operazioni di finanziamento destinate all'acquisto delle azioni, esponendo a scontate elusioni le regole poste a presidio dell'integrità del patrimonio dì vigilanza. In realtà tutta la normativa di riferimento (a partire dalla circolare di Banca d'Italia n. 155/91 fino al Regolamento UE 575/13 e, ancora, al Regolamento UE 241/14) assegnava rilievo unicamente al dato oggettivo dell'utilizzo del finanziamento per l'acquisto delle azioni. Parimenti oggettivi, del resto, erano i criteri di cui alla circolare n. 263/2006 evocata dalle difese (contenente, sul punto, disposizioni che suggerivano di porre a confronto elementi meramente oggettivi, quali il dato temporale dell'erogazione del finanziamento e quello dell'acquisto delle azioni, nonché i relativi importi, senza assegnare rilievo alcuno alla finalità perseguita dalle parti). Anche l'ulteriore prospettazione difensiva secondo cui la deduzione del valore del finanziamento dal patrimonio di vigilanza non si sarebbe dovuta effettuare con riferimento all'acquisto di azioni sul mercato secondario (in quanto, in tal caso, la banca, avendo finanziato un cliente dotato di merito creditizio, non si sarebbe esposta al rischio di impresa) era destituita di fondamento. Questo non solo per l'assenza di un regime differenziato (tanto nella normativa comunitaria quanto in quella nazionale) con riferimento agli acquisti sul mercato primario, ovvero secondario, ma, soprattutto, per ragioni logiche. Anche in caso di acquisto di azioni proprie sul mercato secondario, infatti, l'omessa decurtazione del valore delle azioni dal patrimonio di vigilanza avrebbe determinato l'effetto distorsivo di annacquamento di tale presidio di garanzia. Senza considerare, poi, che subordinare alla ponderazione del merito creditizio la computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza avrebbe significato, in ultima analisi, rimettere a valutazioni discrezionali l'effettiva entità del patrimonio di vigilanza medesimo. Infine, nella prospettiva del primo giudice, neppure la censura relativa alla mancata specifica considerazione - nel valutare l'esistenza di operazioni correlate - del fattore temporale coglieva nel segno. Questo, solo a considerare il fatto che larghissima parte (circa l'86%) degli acquisti di azioni che, secondo i consulenti del P.M., erano stati finanziati aveva avuto luogo entro novanta giorni dal finanziamento. Conclusivamente, le stime effettuate dai predetti consulenti erano affidabili e semmai peccavano per difetto piuttosto che per eccesso nella quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. 1.6 Il reato di aggiotaggio Il tribunale di Vicenza riteneva provata la commissione di una pluralità di reati di aggiotaggio, posti in essere tra l'anno 2012 e l'anno 2015 e concretizzatisi: - nella sistematica concessione di assistenza finanziaria per l'acquisto e la sottoscrizione di azioni della banca onde determinare l'apparenza di liquidità del titolo; nell'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo delle azioni finanziate; e, infine, nella mancata comunicazione all'esperto incaricato di stimare il sovrapprezzo delle azioni B. dell'esistenza della prassi del capitale finanziato (aggiotaggio manipolativo): - nella diffusione di mendaci informazioni relative all'entità del patrimonio societario, alla solidità patrimoniale della banca, alla crescita della compagine sociale e al buon esito delle operazioni di aumento di capitale (aggiotaggio informativo. In particolare, dopo una accurata ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, il tribunale, quanto all'ipotesi di "aggiotaggio manipolativo", indicava come simulate le sistematiche operazioni di capitale finanziato effettuate, trattandosi di operazioni, per l'appunto, di natura simulata o, comunque, artificiosa. Simulata, più precisamente, doveva ritenersi tale natura con riferimento alle operazioni di finanziamento per importi corrispondenti al valore delle azioni e caratterizzate non già dal rimborso del finanziamento da parte del cliente bensì dall'impegno (orale, ovvero assunto per iscritto) al riacquisto delle azioni stesse da parte della banca, senza costi per il cliente (e talvolta con un rendimento garantito), essendosi in presenza, in tal caso, di un mutamento solo apparente della titolarità delle azioni, in realtà sempre rimaste nella proprietà della banca (con conseguente rischio derivante dalla fluttuazione del valore del titolo non già in capo al cliente, ma all'istituto di credito), donde una radicale estraneità di siffatte operazioni rispetto all'ipotesi ex art. 2358 c.c.. Analogamente simulate erano anche le operazioni di acquisto di azioni proprie effettuate tramite i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", trattandosi - di fatto - di una gestione patrimoniale di risorse interne, attuata al solo fine di svuotare il "fondo acquisto azioni proprie". Artificiosa, con riferimento alle altre operazioni di capitale finanziato, doveva ritenersi la loro natura sia quanto allo scopo (costituito, al solito, dal finanziamento dell'acquisto con risorse della banca) sia quanto alle modalità di gestione del trattamento contabile (in ragione dell'omessa appostazione a riserva del controvalore, dell'omessa decurtazione del patrimonio di vigilanza ed anche dell'occultamento al mercato), il tutto al fine di fare apparire tali acquisti come espressione della dinamica fisiologica di un attivo mercato secondario. Peraltro - precisava il tribunale - era emersa la mancata comunicazione al prof. Bi. (ovverosia all'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie, con l'effetto che detta stima (come, del resto, precisato dallo stesso Bi.) ne era risultata pesantemente condizionata (cfr. pagg. 419-422 della sentenza). Quanto, poi, agli addebiti di "aggiotaggio informativo" costituiti dalla diffusione di notizie false, si trattava - secondo la valutazione del primo giudice, pienamente adesiva, anche sul punto, rispetto all'impostazione d'accusa - di informazioni comunicate con una pluralità di mezzi che, per diffusività e platea dei destinatari di riferimento, erano obiettivamente risultate idonee a raggiungere praticamente tutte le tipologie di operatori. Più nel dettaglio, la falsità era risultata effettivamente attinente: - ai bilanci d'esercizio al 31.12.2012, al 31.12.2013 ed al 31.12.2014, stante la mancata iscrizione di una quota di riserva pari al valore delle azioni proprie; -ai comunicati stampa (taluni dei quali - quelli emessi ex art. 114 TUF - valevoli anche come comunicazioni al pubblico) dell'8.8.2012 diffuso ex art. 114 D.L.vo 58/98 (ove si evidenziavano, in particolare, valori falsati quanto alla solidità patrimoniale del gruppo e al miglioramento della liquidità strutturale, il tutto in un contesto nel quale si rimarcavano l'espansione della rete di vendita, l'incremento della clientela e l'aumento della compagine sociale); del 19.3.2013 (nel quale, comunicandosi i risultati del bilancio di esercizio e consolidato al 31.12.2012, si evidenziavano "Il rafforzamento della posizione di liquidità" e "l'ulteriore incremento della solidità patrimoniale" e si riportava l'entusiastico messaggio del presidente ZO.); del 27.4.2013 (di comunicazione del risultato del bilancio al 31.12.2012, nel quale si sottolineava la stabilità del valore dell'azione a 62,50 euro sulla base di un'approfondita perizia formulata da un autorevole consulente esterno", si riportava l'apprezzamento dell'assemblea per i risultati positivi conseguiti dalla banca e, ancora, si citava il giudizio lusinghiero del presidente ZO.); del 27.8.2013 (significativamente dedicato alla comunicazione del "miglioramento della gestione operativa" e del significativo rafforzamento patrimoniale", per effetto della positiva conclusione dell'operazione di raccolta di ingenti risorse, in ragione di un consistente aumento di capitale e di una altrettanto consistente raccolta di ben 253 milioni di prestito convertibile, comunicandosi che l'istituto poteva vantare un Core Tier al 30 giugno pari al 9%; anche in tal caso la comunicazione riportava il consueto messaggio positivo dei presidente ZO.); deH'8.8.2014, effettuato ai sensi dell'art. 114 D.L.vo 58/98 (con il quale si comunicavano i risultati dell'aumento di capitale 2014, conclusosi con "pieno successo", e si riferiva il giudizio del presidente ZO. in ordine al fatto che l'istituto potesse vantare "coefficienti patrimoniali particolarmente elevati"); del 29,8,2014 (nel quale si illustravano ì risultati della semestrale del 2014, ribadendosi il successo dell'aumento di capitale di tale anno, segnalandosi l'accrescimento della base sociale e della clientela e l'incremento "significativo" dei proventi derivanti dall'attività bancaria tradizionale e, complessivamente, si enfatizzavano gli elementi di crescita); del 26.10.2014 (nel quale si comunicava il positivo superamento del Comprehensive Assessment si evidenziavano, altresì, gli effetti positivi delle iniziative di patrimonializzazione esperite nel 2013 e nel 2014 e, infine, si informavano i destinatari che tali iniziative avevano portato l'istituto di credito a poter vantare una *eccedenza di CET1 pari a circa 30 milioni di euro"); del 10.2.2015 (avente ad oggetto i risultati preliminari del bilancio al 31.12.2014, nel quale si evidenziava la politica particolarmente prudenziale adottata dal CdA su indicazione della BCE, con aumento degli accantonamenti su crediti e rettifica degli avviamenti; si precisava che il risultato negativo era conseguente proprio all'adozione di una politica improntata a misura e all'origine, secondo il presidente ZO., di scelte al contempo *coraggiose e prudenziali"; si ribadiva il successo delle iniziative di rafforzamento patrimoniale; si sottolineava, infine, la crescita dei proventi derivanti dall'attività tradizionale in favore di una clientela ulteriormente aumentata); del 3.3.2015 (avente ad oggetto i risultati definitivi al 31.12.2014, nel quale, pur dandosi atto dei rilievi della BCE in ordine alla possibile riduzione del requisito minimo di CET 1, si rassicuravano gli interlocutori con la precisazione che i requisiti minimi erano stati ripristinati e, anzi, superati "già prima della citata riduzione del requisito di Cet1 Ratio"); - alle comunicazioni ai soci (tutte confezionate sulla base di un apposito format e sottoscritte dal presidente ZO.) in data 30.3.2012, 3.9.2012, 19.3.2013, 10.9.2013, 2.4.2014, 9.9.2014, 4.12.2014 e 19.3.2015, tutte costantemente caratterizzate da informazioni rassicuranti in punto di patrimonializzazione dell'istituto, di sicurezza dell'investimento azionario, di enfatizzazione della stabilità del titolo e nelle quali, inoltre, si minimizzava il profilo dell'allungamento dei tempi di vendita dell'azione. Ebbene, tutte le citate condotte manipolative e informative avevano avuto l'effetto di alterare sensibilmente il prezzo delle azioni B.. Se ciò, in effetti, era di immediata percezione per le condotte manipolative (l'investitore essendo stato evidentemente influenzato dalla vivacità degli scambi del titolo sul mercato secondario e dalle valutazioni conseguentemente alterate del valore del titolo medesimo siccome assegnato dall'esperto prof. Bi., la stima del quale aveva prodotto effetti anche sul mercato primario, sollecitato artificiosamente), altrettanto doveva dirsi per quanto riguardava le condotte di alterazione informativa. Questo, in ragione della marcata influenza della comunicazione di dati falsati inerenti a profili di assoluto rilievo nell'economia della scelta di un soggetto interessato all'investimento azionario, in particolare con riferimento ai dati inerenti alla patrimonializzazione dell'emittente (prospettata come particolarmente solida) e alla liquidità del titolo (presentato come appetibile, tanto sul mercato primario quanto su quello secondario). Di qui la conclusione, alla quale coerentemente perveniva il tribunale, in ordine all'efficacia decettiva delle comunicazioni effettuate, nelle occasioni sopra indicate, dall'istituto dì credito. Del resto gli effetti concreti prodotti da tali comportamenti manipolativi e di falsa informazione erano agevolmente riscontrabili - proseguiva il tribunale -analizzando le vicende societarie dell'epoca: - da un lato, infatti, gli investitori avevano perseverato nel riporre fiducia nell'istituto di credito, continuando a investire, ovvero astenendosi dal disinvestimento; - dall'altro, gli aumenti di capitale confluiti senza assistenza finanziaria erano stati comunque consistenti (nell'aucap 2013, su un totale di 506 milioni, 363 milioni erano confluiti senza finanziamenti; nel mini aucap 2013, su 100 milioni, 44 erano confluiti senza assistenza finanziaria; nell'aucap 2014 il rapporto era stato di 471,8 milioni confluiti senza assistenza su un totale di 607,8 milioni; nel mini aucap 2014, infine, il rapporto era stato di 60 milioni su 102 milioni). Inoltre la movimentazione sul mercato secondario, depurata dalle azioni finanziate, sì era attestata sul significativo valore di 900 milioni di euro. Tutto ciò aveva consentito di mantenere il valore del titolo artificiosamente alto. In effetti, a fronte dei valori stimati dal prof. Bi., erano emersi - all'esito di una rinnovata valutazione, posta in essere con criteri prudenziali - valori decisamente inferiori. In particolare: - nel 2012 l'azione era stata sovrastimata di un valore tra 6,73 euro e 6,19 euro rispetto al valore reale, da ridursi, rispettivamente, di una percentuale tra il 10,8% e il 9%; - al 31.12.2013 la sovrastima era stata ricompresa tra 8,10 e 7,20 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 13% alni,9%; - al 31.12.2014 la sovrastima era stata ricompresa tra 6,32 e 5,30 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 18,9% al 16,9%. Inoltre le condotte di aggiotaggio informativo avevano contribuito a rafforzare l'affidamento sulla stabilità patrimoniale dell'istituto di credito. Infatti i dati rettificati avevano evidenziato, anche nell'ipotesi più favorevole, un CET 1 ratio al 31.3.2014 del 6,63% e, al 30.6.2014, del 6,24% (valori, entrambi, al di sotto della soglia regolamentare del 7%); un Tier 1 Ratio dal 6,32% al 7,345% per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013, inferiore, pertanto, rispetto alla soglia-target comunicata alla Banca d'Italia pari all'8%; un Total Capital Ratio al 31.3.2014 dell'8,51%, al 30,6,2014 del 7,94%, al 30.9.2014 del 9,57%, al 31.12.2014 dell'8,47%, al 31.3.2015 dell'8,51% (ovverosia sempre inferiore rispetto alla soglia regolamentare dei 10,5%), Analogamente, le condotte di aggiotaggio manipolativo avevano contribuito ad accreditare l'immagine della banca come credibile e sostenuta del mercato, secondo quanto puntualmente evidenziato dai consulenti del P.M.. Con riferimento, poi, al profilo del concorso dei reati, il tribunale precisava come l'art. 2637 c.c prevedesse tre diverse modalità di esplicazione della condotta delittuosa, all'origine, rispettivamente, delle ipotesi di aggiotaggio informativo e aggiotaggio manipolativo o operativo. Di qui la natura della disposizione in esame quale disposizione contenente "norme penali miste cumulative", ovverosia inerenti a condotte non equipollenti o alternative, bensì costituenti differenti elementi materiali di altrettanti reati, con la conseguenza, nel caso di realizzazione di tali diverse condotte, della sussistenza di una pluralità di reati. Questo con la doverosa precisazione che, mentre tra aggiotaggio manipolativo e informativo era ravvisabile unicamente il concorso materiale di reati, nel caso di pluralità di condotte omogenee, per concludere nel senso dell'unicità ovvero della pluralità di reati, sarebbe stato necessario verificarne l'appartenenza o meno ad un'unica manovra manipolativa, ovvero informativa. E, a tale fine, il tribunale precisava come il momento consumativo del reato dovesse individuarsi nel tempo e nel luogo in cui si fossero verificate la sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario e la destabilizzazione del sistema bancario. In applicazione di tali criteri il primo giudice concludeva nel senso della ravvisabilità di ben 16 reati, posti in essere nel periodo tra il 2012 ed il 2015 e, segnatamente: -di 4 reati di aggiotaggio finanziario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio finanziario operativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario operativo (2012, 2013, 2014, 2015) traendone, peraltro, la conseguenza che le condotte poste in essere sino al 27.4.2013 (data di approvazione del bilancio 2012) dovessero ritenersi prescritte. Infine, quanto alle posizioni soggettive degli imputati - successivamente oggetto di separata, dettagliata analisi - il tribunale precisava che dovevano ritenersi responsabili dei reati di aggiotaggio: - Zo.Gi., per avere egli sostenuto e condiviso l'operatività del capitale finanziato; per avere sottoscritto personalmente i comunicati ai soci rappresentativi dì uno stato patrimoniale, finanziario ed economico, totalmente contrario a quello effettivo; nonché per avere approvato, in qualità di presidente del CdA, il bilancio privo dell'appostazione delle riserve previste per legge, oltre ai comunicati che contenevano le mendaci informazioni della situazione della banca e degli esiti degli aucap, in tal guisa rafforzando con le proprie dichiarazioni, l'apparenza di solidità dell'istituto di credito; - Gi.Em., Ma.Pa. e Pi.An., in ragione del totale coinvolgimento dei predetti nell'operatività dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie, e ciò nella piena, effettiva consapevolezza (stanti le modalità di occultamento) della finalizzazione di tale operatività ad alterare gli equilibri del mercato, ad annacquare il capitale e, infine, ad ingannare il pubblico. 1.7 I reati di ostacolo alla vigilanza Dopo avere effettuato una ricostruzione degli esiti delle attività di vigilanza della Banca d'Italia poste in essere, nei confronti dell'istituto di credito, nel periodo 2007-2012 - esiti che avevano evidenziato delle criticità, poi parzialmente superate dall'istituto - il tribunale collocava le condotte di ostacolo alla vigilanza ravvisabili nella vicenda sub iudice nel periodo che aveva avuto inizio con le ispezioni poste in essere a decorrere dal 2012. Al riguardo il primo giudice premetteva come la fattispecie di reato in esame consistesse, per un verso, nell'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero nonché nell'occultamento, con mezzi fraudolenti, di fatti che avrebbero dovuto essere comunicati all'autorità di vigilanza (2638 co. 1 c.c.); e, per altro verso, nella frapposizione di ostacoli alla vigilanza, posti in essere in qualsiasi forma, anche omissiva (2638, co. 2 c.c.). Segnatamente, la fattispecie di cui al primo comma della disposizione in esame prevedeva un reato di mera condotta, integrato, in via alternativa, da taluni specifici comportamenti; il secondo comma, invece, delineava un reato a forma libera, di danno (consistente nell'evento naturalistico dell'ostacolo). Ciò posto, nell'ipotesi di condotta di omessa comunicazione con mezzi fraudolenti che avesse creato ostacoli rilevanti all'autorità di vigilanza, il tribunale riteneva sussistente unicamente l'ipotesi di reato ex art. 2638, co. 2, c.c., dovendo farsi applicazione, in tal caso, dei principi di sussidiarietà e consunzione (valorizzati anche dalla Corte EDU e riconosciuti nell'art. 4 protocollo 7 CEDU e nell'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea), posto che emergeva con evidenza come l'evento di ostacolo previsto dalla fattispecie di cui all'art. 2638 co. 2 c.p. esaurisse l'intero disvalore della condotta. Nel pervenire a siffatta conclusione, peraltro, il tribunale si discostava motivatamente dalla ricostruzione effettuata, in fattispecie analoga, dalla giurisprudenza di legittimità, là dove la corte regolatrice (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, n. 42778 del 26/05/2017, Consoli e altro) aveva invece ravvisato, tra le due fattispecie in esame, un rapporto riconducibile al concorso formale. Tanto premesso, il primo giudice precisava come la contestazione sub B1 avesse ad oggetto la vigilanza ispettiva a differenza delle condotte stigmatizzate ai successivi capi C1, D1, E1, F1, G1 ed H1, dal primo giudice indicate come inerenti alla vigilanza informativa. Ebbene, nel caso dell'addebito sub B1 si era in presenza sia di attività di occultamento, con mezzi fraudolenti, delle operazioni di capitale finanziato e delle lettere di impegno al riacquisto, al fine di ostacolare l'autorità di vigilanza (attraverso, segnatamente, l'indicazione di una causale generica, la mancata contabilizzazione delle operazioni finanziate e il materiale occultamento delle lettere), sia dell'omessa comunicazione delle suddette operazioni alla squadra ispettiva. Diversamente - proseguiva il tribunale - gli addebiti di cui ai capi C1, D1, G1, H1 avevano ad oggetto l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in relazione alle segnalazioni ed alle interlocuzioni con le autorità di vigilanza (Banca d'Italia e BCE) intercorse negli anni 2012, 2013, 2014, 2015 e, quanto all'addebito di cui al capo F1, l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in occasione dell'aumento di capitale del 2014. Ciò posto, il tribunale: - esclusa, con riferimento alle condotte predette, la ravvisabilità dell'esimente fondata sul principio del nemo tenetur se detegere in relazione al precedente delitto di aggiotaggio (trattandosi di principio unicamente disciplinato nell'art. 384 c.p., ovverosia in una disposizione contenente una norma eccezionale derogatoria rispetto a quella di cui all'art. 61 nr. 2 c.p. e, in ogni caso, di esimente avente valore eminentemente processuale); s escluso, del pari, che quelli oggetto di contestazione fossero addebiti frutto di u una sorta di "replicazione" di contestazioni in realtà aventi ad oggetto una unitaria condotta di ostacolo alla vigilanza, protrattasi per un triennio (essendosi piuttosto in presenza di condotte che erano state realizzate nel corso di plurime attività di vigilanza, ciascuna compiutamente esauritasi), ricostruiva i singoli fatti di reato nei termini di seguito esposti. 1.7.1 L'ostacolo alla vigilanza durante l'ispezione di Banca d'Italia 2012 (capo B1) Nel corso dell'anno 2012 (segnatamente tra il 28 maggio e il 12 ottobre 2012) era stata effettuata una attività di ispezione avente ad oggetto la governance dell'istituto, gli standard creditizi, i meccanismi di sorveglianza e di controllo delle singole posizioni, la correttezza dei criteri di classificazione all'interno delle regole di vigilanza e l'osservanza delle regole di provisioning (attività, questa, di correzione del valore dei crediti con impatto sul conto economico della banca e sul bilancio), ispezione che si era conclusa con un giudizio parzialmente sfavorevole fondato sulla constatazione di un complessivo degrado del portafoglio accompagnato da inefficienze nei processi allocativi e di gestione dell'erogato. Ebbene, alla stregua delle testimonianze degli ispettori (e, segnatamente, di quanto riferito dal teste Gi.Sc., responsabile della squadra ispettiva), poteva dirsi pacifico che ove agli ispettori fossero state esibite le lettere di impegno al riacquisto e fosse stata comunicata l'esistenza del capitale finanziato - come sarebbe stato doveroso, peraltro, nell'ottica di una leale collaborazione tra vigilato e autorità vigilante - sarebbe effettivamente emersa l'irrealizzabilità del piano industriale approntato dall'istituto per migliorare la gestione del credito. La prassi del ricorso al capitale finanziato (e, nell'ambito di tale prassi, quella del rilascio delle lettere di impegno), infatti, era già consolidata nel 2012, come pure documentalmente provato. Né, d'altro canto, poteva sostenersi che tale fenomeno fosse comunque emerso nel corso dell'ispezione, in quanto le dichiarazioni rese, sul punto, dal teste Cl.Am. della Divisione Crediti - là dove questi aveva sostenuto di avere riferito in proposito all'ispettore Ge.Sa. - erano - state decisamente smentite tanto dal predetto Sa. quanto dai restanti componenti della squadra ispettiva. Peraltro - puntualizzava il tribunale - la versione dell'Am., finalizzata a ridimensionare il coinvolgimento della Divisione Crediti nell'operatività illecita della banca sul capitale finanziato, scontava plurimi profili di incertezza e contraddittorietà (segnatamente in relazione al ricorso alla formula generica "cogliere opportunità mobiliari o immobiliari" quale causale dei finanziamenti, nonché in ordine alle motivazioni per le quali il predetto Am. non avrebbe comunicato al collega Bo., responsabile dell'audit, le rivelazioni asseritamente fatte all'ispettore Sa.), Era certamente vero che anche la deposizione del Sa. si presentava scandita da contestazioni e da incertezze circa la corretta individuazione dei documenti esibiti, nel corso dell'ispezione, con riferimento alle posizioni finanziate. Nondimeno, mentre le dichiarazioni dell'Ambrosino in ordine alla presunta rivelazione agli ispettori delle operazioni finanziate non avevano trovato riscontro alcuno, neppure nelle dichiarazioni del collega De. (il quale aveva riferito che l'Am. gli aveva confidato di avere consegnato agli ispettori medesimi documenti che avrebbero potuto loro consentire di verificare l'esistenza di operazioni "baciate", negando, tuttavia, detto teste che l'Am. gli avesse rivelato di avere esplicitamente palesato tale prassi agli ispettori), le stesse erano anzi state smentite dai testi Lu.Br., Fr.Fe. e Sa. Re., dei quali i primi due erano appartenenti alla squadra ispettiva; quanto riferito dal Sa. era stato del resto confermato dalla narrazione dei fatti proposta tanto dal responsabile delia squadra ispettiva, Gi.Sc., quanto dagli altri componenti del team oltre che dal responsabile del servizio di vigilanza ispettiva, Ca.Ba.. Pertanto il tribunale, valorizzando altresì la puntuale deposizione del teste ispettore Gi.Ma., traeva la conclusione che la prassi del capitale finanziato non fosse stata "intercettata" nel corso dell'ispezione del 2012 poiché si era trattato di fenomeno che aveva essenzialmente interessato clienti affidabili sotto il profilo del rischio creditizio, rispetto ai quali, quindi, non emergeva alcuna anomalia (sicché, tenuto conto del perimetro del mandato ricevuto dagli ispettori, non v'era stata ragione di effettuare, con riferimento a costoro, alcun approfondimento ispettivo). Del resto, sul piano logico, la circostanza che nessun dirigente dell'istituto di credito (né il menzionato Cl.Am., né l'imputato Pa.Ma. e neppure l'imputato Em.Gi.) avesse fatto cenno alcuno, in occasione delle successive verifiche ispettive (compresa quella, decisiva, effettuata dalla BCE nel 2015), al fenomeno in esame, nonché il fatto che tutti i predetti dirigenti avessero pervicacemente negato, interloquendo con l'ispettore Ma., la natura finanziata delle operazioni in questione, costituivano formidabili riscontri dell'infondatezza delle dichiarazioni rese dal predetto teste Am.; infondatezza, del resto - soggiungeva il tribunale - ulteriormente avvalorata dal rinvenimento, negli appunti contenuti nell'agenda sequestrata al teste Al.Ba., dell'inequivoca ed assai significativa annotazione, redatta in prossimità del 23.4.2015: "evitare di fare ammissioni. Giustificare creditiziamente le operazioni". Di qui la conclusione della sussistenza dei presupposti tutti del reato di ostacolo contestato, essendosi in presenza, per un verso, del fraudolento occultamento dell'illecita operatività realizzata nel contesto temporale in cui si era svolta l'ispezione del 2012; e, per altro verso, della sistematica omissione della comunicazione agli ispettori tanto delle operazioni di finanziamento correlato quanto delle lettere di impegno al riacquisto delle azioni. 1.7.2 Le condotte di ostacolo successive all'ispezione del 2012 Quindi il tribunale evidenziava come, con riferimento ai periodo successivo all'ispezione del 2012 (e, segnatamente, all'arco temporale ricompreso tra il 30.6,2012 ed il 31.3.2015), fosse stato effettivamente possibile ricostruire documentalmente il dipanarsi del dialogo tra l'istituto bancario vicentino e l'autorità di vigilanza attraverso l'acquisizione dei flussi informativi inviati da B.. A tale riguardo era costantemente emerso l'occultamento della reale situazione patrimoniale del gruppo, in particolare con riferimento all'incidenza del fenomeno del capitale finanziato sui coefficienti del patrimonio di vigilanza in tale ampio periodo. Sul punto le conclusioni cui erano pervenuti i consulenti del P.M. - peraltro, precisava il primo giudice, all'esito di una valutazione particolarmente prudente (in quanto caratterizzata dallo scomputo dal CET 1 anche dell'ammontare degli RWA) - non consentivano davvero di nutrire perplessità. Si era in presenza, in effetti, di violazioni costanti dei requisiti patrimoniali, peraltro mai comunicate nelle informazioni rese all'autorità di vigilanza (comunicazioni, tutte, puntualmente riportate nella tabella riassuntiva di cui al documento nr. 485 prodotto dal P.M. all'udienza del 21.11.2019). Più nel dettaglio: - con riferimento all'anno 2012 (capo CI) si trattava della comunicazione del 17.9,2012, riferita al 30.6.2012, e di quella del 21.11.2012, riferita al 30.9.2012, nelle quali venivano indicati, rispettivamente, valori delle azioni proprie nella misura di 30 milioni e di 240 milioni. In entrambi i casi, infatti, era stata omessa la comunicazione delle operazioni di capitale finanziato per i significativi valori di 268 milioni a giugno e di 280 milioni a fine settembre. L'effetto distorsivo che ne era derivato era evidente, posto che il Tier Ratio, tenuto conto dei valori non comunicati, si sarebbe abbassato al 30 giugno dall'8,20% ai 7,34% nonché, al 30 settembre, dal 7,38% al 6,48%. Analogamente il TCR (Total Capital Ratio) si sarebbe ridotto dall'I 1,33% al 10,50% e dal 10,46% al 9,59%. La falsa comunicazione, poi, era stata all'origine del target patrimoniale deciso dalla Banca d'Italia, come precisato dal teste Ma.Pa.. In effetti, qualora i dati omessi fossero stati comunicati, ciò avrebbe comportato un immediato innalzamento del livello di monitoraggio e l'adozione di provvedimenti restrittivi concernenti operatività dell'istituto, distribuzione degli utili e fissazione di limiti all'importo totale della parte variabile delle remunerazioni della banca. Di assoluta evidenza, quindi, era l'ostacolo frapposto alla vigilanza; con riferimento al primo semestre dell'anno 2013 (capo DI) si trattava: - della falsa rappresentazione dei dati patrimoniali contenuta nelle segnalazioni relative al 31.12.2012 ed al 31.3.2013 (in effetti, con riferimento alia segnalazione relativa al 31.12.2012, la comunicazione del capitale finanziato per 545 milioni, ove effettuata, avrebbe comportato la flessione del Tier 1 Ratio dall'8,23% al 6,46% e del Total Capital Ratio dall'll,26% al 9,55%; nella comunicazione del 31.3.2013, poi, non erano state segnalate azioni proprie); - della falsità della comunicazione inoltrata il 20.3.2013 e relativa al superamento del limite del 5% degli acquisti (comunicazione con la quale, nel rispondere al rilievo critico della Banca d'Italia risalente al 5.3.2013, l'istituto di credito aveva rassicurato la vigilanza sostenendo che l'incremento del valore del fondo acquisto azioni proprie fosse imputabile a una mera contingenza, legata alla gestione delle attività dì compravendita delle azioni proprie con i soci e sostenendo, in particolare, che vi era stata una vendita di azioni da parte di pochi clienti con successivo ricollocamento dei titoli presso clienti soci). Inoltre l'istituto aveva inserito un ulteriore elemento di rassicurazione, là dove aveva dichiarato che era in corso la valutazione di un rafforzamento patrimoniale il quale avrebbe portato il Core Tier 1 al 9% già entro la fine del 2013; aveva prospettato, infine, il raggiungimento del 10% nel biennio successivo. Ne era seguita la lettera di richiamo del 24.6.2013, lettera nella quale era stato stigmatizzato il superamento, a causa dell'acquisto di azioni proprie, del limite del 5% del capitale sociale. A seguito dell'ispezione del 2015, poi, era emersa la falsità delle circostanze esposte nella missiva a firma Sa.So. del 20.3.2013 e, segnatamente, si era compreso come l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie non fosse stato affatto la conseguenza contingente di un'impennata nelle richieste di acquisto di azioni concentrate nel quarto trimestre, bensì l'effetto dell'illiquidità del titolo azionario; illiquidità che, infatti, proprio a partire dal 2012, aveva indotto l'istituto di credito a fare massiccio ricorso alle operazioni di capitale finanziato onde azzerare il fondo acquisto azioni proprie che impattava negativamente sul capitale di vigilanza; - della falsità, infine, dell'informativa preventiva del 23 aprile 2013 relativa al programmato aumento di capitale (informativa, a firma Sa.So., nella quale erano stati illustrati gli effetti del rafforzamento patrimoniale, segnalandosi che dopo tale operazione il Tier Ratio 1 sarebbe passato dall'8,23% al 9,1% e, quindi, al 9,98%, a seguito della conversione del soft mandatory). Peraltro neppure a seguito delle successive interlocuzioni dì Banca d'Italia, inerenti anche al profilo della liquidabilità del titolo, erano stati effettuati riferimenti, da parte dei rappresentanti di B., al fenomeno del capitale correlato. Infatti sì era sempre sostenuto, da parte dell'istituto di credito, che l'operazione di aumento di capitale si sarebbe presto conclusa con pieno successo. Sul punto - precisava il tribunale - il teste Ma.Pa. aveva chiarito che se la prassi delle operazioni di capitale finanziato fosse stata riferita, come doveroso, la Banca d'Italia sarebbe certamente intervenuta esercitando i poteri di controllo derivanti dalla legge. In particolare l'ente di vigilanza avrebbe imposto sia lo scomputo dell'ammontare del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza sia l'adozione di misure di risanamento. Invece, tacendo queste informazioni, l'istituto di credito aveva lucrato effetti favorevoli immediati: la Banca d'Italia aveva deciso di non avviare un procedimento sanzionatorio e neppure aveva adottato interventi che avrebbero precluso la distribuzione dei dividendi ed imposto il decremento della parte variabile della remunerazione dei dirigenti come previsto dalla normativa della stessa Banca d'Italia. La stessa operazione di aumento di capitale, poi, sarebbe stata valutata diversamente; ° con riferimento al secondo semestre dell'anno 2013 (capo E1) si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza relative al 30.6.2013, al 30.9.2013 e al 31.12.2013 (nelle quali mai era stato ricompreso l'ammontare delle operazioni di capitale finanziato per gli importi calcolati dai consulenti tecnici nella misura di 555 milioni a fine giugno, di 626 milioni a fine settembre e di 700 milioni a fine dicembre del 2013). Conseguentemente, senza l'effetto distorsivo prodotto dall'omessa rappresentazione della corretta quantificazione dei coefficienti patrimoniali, il T1 Ratio sarebbe passato a fine giugno dall'8,1% al 6,32%; al 30.9.2013 dall'8,50% al 6,50%; al 31.12.2013 dal 9,1% al 6,89%. Analogamente il TCR si sarebbe ridotto dall'I 1,06% al 9,32% al 30 giugno; dall'11,41% al 9,48% nel settembre; dall'11,8% al 9,55% al 31 dicembre. In definitiva in tutto il periodo in esame il Tier 1 Ratio sarebbe stato ben inferiore alla soglia-target dell'8%, siccome fissata dall'autorità di vigilanza; con riferimento all'aumento di capitale 2014 (capo F1) si trattava: - dell'informativa preventiva del 5.3.2014 e dell'informativa integrativa dell'11.4.2014. In entrambi i casi era stata omessa l'indicazione che l'operazione di aumento di capitale sarebbe stata portata a termine anche mediante la concessione di forme di assistenza finanziaria ai clienti, con conseguente indicazione di ratios patrimoniali post-aucap del tutto falsati. Quanto al c.d. miniaucap (ovverosia ad un aumento di capitale destinato a nuovi soci), previsto anche nel 2014, si era precisato che le quote di capitale finanziato non sarebbero state computate nel patrimonio di vigilanza. Vi era stato anche, in data 9.4.2014, un incontro tra i vertici dell'istituto di credito e la vigilanza. All'esito delle interlocuzioni la Banca d'Italia aveva autorizzato la classificazione patrimoniale richiesta. Solo a seguito dell'ispezione BCE e CONSOB del 2015, infatti, era emerso come l'operazione di aumento di capitale fosse stata pianificata con erogazione di finanziamenti correlati, per un importo accertato di euro 136.314.287 (pari al 22% dell'operazione). I dati dell'aumento di capitale erano stati, pertanto, gravemente falsati. Di qui la conclusione che il provvedimento autorizzativo della Banca d'Italia fosse stato ottenuto a seguito dello sviamento della funzione di vigilanza. Il teste Ma.Pa., del resto, aveva anche in tal caso precisato come, se la Banca d'Italia avesse avuto contezza dei dati occultati, non avrebbe di certo autorizzato l'operazione nei termini in cui ciò era avvenuto. Per contro, sarebbe palesemente emersa la grave difficoltà della banca di collocare i propri titoli sul mercato; - con riferimento alla vigilanza prudenziale della banca d'Italia nel 2014 (capo G1), si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza alla data del 31.3.2014, del 30.6.2014, del 30.9.2014 (per l'omessa indicazione tra gli elementi negativi delle quote di capitale finanziato, pari a 728 milioni alla data del 31 marzo, a 718 milioni alla data del 30 giugno e a 886 milioni alla data del 30 settembre. Conseguentemente il CET 1 ratio era passato, a fine marzo, dall'8,99% al 6,63%; a fine giugno dall'8,55% al 6,24%; a fine settembre dal 10,8% all'8,01%); - della falsità della comunicazione 1.9.2014 nella parte in cui si era attestato il raggiungimento degli obiettivi di raccolta aucap 2014 per l'importo di 607,8 milioni e, di conseguenza, il livello dei fondi propri e dei ratios patrimoniali. In particolare la comunicazione dell'istituto di credito di avere già riassorbito, attraverso la chiusura dell'aumento di capitale, il temporaneo mancato rispetto del "buffer" - ovverosia della riserva obbligatoria di conservazione del capitale pari al 2,5% - aveva indotto l'autorità di vigilanza a non assumere iniziative in ordine a tale violazione (dovuta ai riacquisti di azioni proprie che, dì fatto, avevano neutralizzato, per il valore corrispondente, l'aumento di capitale, come precisato dal teste En.Se.) perché, per l'appunto, immediatamente "riassorbita"; - nonché della falsità della comunicazione 4.11.2014, relativa alle giustificazioni fornite all'organo di vigilanza in relazione al fenomeno di riacquisto delle azioni proprie (per l'ammontare di 194 milioni nel primo semestre del 2014) nonché in relazione ai 52,4 milioni di euro di azioni detenuti indirettamente attraverso i fondi lussemburghesi "(...)" e, "(...)". In particolare la banca, da un lato, aveva ribadito che sì era trattato di riacquisti imposti dalla necessità di evadere (e domande di investimento dei clienti nella consapevolezza che il disavanzo sarebbe stato coperto dall'aumento di capitale in corso; aumento di capitale che, peraltro, aveva portato ad un incremento proprio del CET Ratio di circa 141 bps (punti base). Dall'altro lato la banca aveva confermato la correttezza dei dati contenuti nelle segnalazioni di vigilanza sulle operazioni svolte attraverso i fondi esteri. Diversamente, ove la Banca d'Italia avesse avuto contezza di quanto occultatole (e cioè, complessivamente, delle operazioni di capitale finanziato e dell'impegno al riacquisto delle azioni), avrebbe preso atto di una situazione patrimoniale radicalmente differente. La falsità della comunicazione, quindi, aveva prodotto l'effetto di impedire interventi dì vigilanza coerenti con l'effettiva situazione patrimoniale dell'istituto di credito. 1.7.3 Le condotte di ostacolo alfa vigilanza BCE (capo H1) Al riguardo il tribunale, premesso che a seguito dell'entrata in vigore, in data 4.11.2014, del Sistema di Vigilanza Unico, talune competenze primarie in materia di vigilanza erano state trasferite alla BCE, con conseguente ricomprensione anche della predetta Banca Centrale tra i soggetti destinatari della tutela ex art. 2638 c.c., individuava, alla stregua dell'imputazione, le condotte di ostacolo rispettivamente: - nella segnalazione di vigilanza al 31.12.2014 (in ragione della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dall'11,73% all'8,04%) e nella segnalazione di vigilanza al 31.3.2015 (in ragione, anche in tal caso, della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dal 10,67% al 7,49%). Tali condotte decettive, in entrambi i casi, avevano impedito alla vigilanza l'adozione di tempestivi provvedimenti; - nonché nella informativa al pubblico al 31.12.2014; 1.7.4 Le condotte di ostacolo relative al Comprehensive Assessment (capo M1) Con riferimento alle condotte di ostacolo poste in essere in danno di Banca d'Italia e BCE impegnate nella vigilanza in fase di valutazione approfondita (Comprehensive Assessment), svoltasi nel periodo tra il febbraio e l'agosto del 2014, il tribunale riteneva provate condotte di ostacolo tradottesi tanto nell'omessa comunicazione di informazioni essenziali (inerenti al fenomeno dell'assistenza finanziaria e al rilascio della lettere di impegno al riacquisto) quanto nell'esposizione di fatti non veritieri sulla situazione patrimoniale del gruppo come descritta nella nota 20,6.2014 e nel capital pian inviato in data 10.11.2014. In particolare nel corso della Asset Quality Review - AQR (ovverosia della Revisione della Qualità degli Attivi di bilancio), dopo che erano stati formulati rilievi molto critici per la banca da parte delle autorità di vigilanza (con l'ispettore Vi.Ca. che aveva esposto forti perplessità in ordine alla patrimonializzazione dell'istituto di credito, evidenziando come il progettato aumento di capitale sarebbe sostanzialmente servito solo a colmare il deficit; e aveva anche avanzato seri dubbi sulla stessa concreta possibilità di portare a compimento l'operazione di aumento di capitale), i vertici dell'istituto avevano rassicurato la vigilanza stessa sotto tutti i profili. Nel corso dell'ispezione, tuttavia, non era emerso in alcun modo il fenomeno del capitale finanziato né era venuta alla luce l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto; elementi che, se conosciuti, avrebbero portato ad esiti del Comprehensive Assessment ben diversi. Anche il Preliminary Capital Plan - predisposto dall'istituto di credito su richiesta della Banca d'Italia in data 9.6.2014, in previsione dell'entrata in vigore del meccanismo unico di vigilanza, e inviato all'autorità di vigilanza il 20.6.2014 - era stato caratterizzato dalla prospettazione di un obiettivo di patrimonializzazione rassicurante (euro 608 milioni per effetto dell'aumento di capitale); prospettazione, tuttavia, radicalmente falsata dalla mancata precisazione che anche tale risultato era dovuto al massiccio ricorso al capitale finanziato. Quindi, con il Capital Pian elaborato il 10.11.2014 (e, pertanto, successivamente agli esiti del Comprehensive Assessment che, pubblicati il 26.10.2014, avevano evidenziato la necessità dell'adozione di misure di implementazione del capitale, posto che gli Stress Test avevano rivelato un deficit da scenario avverso di 223 milioni), l'istituto di credito vicentino aveva adottato delle contromisure (segnatamente: l'utilizzo dell'aumento di capitale già collocato e la conversione del soft mandatory per 223 milioni) che avevano portato la BCE ad adottare una decisione SREP (ovverosia una decisione inerente al processo di revisione e valutazione prudenziale, consistente nell'analisi dei profili di rischio delle banche) con la quale veniva fissato un requisito minimo di CET1 ratio pari ad almeno il 10,25% ed erano stati richiesti l'adozione di un piano di capitale, da realizzarsi entro l'aprile del 2016, nonché il rafforzamento delle strutture organizzative dei processi e delle strategie di controllo interno. Al solito, la mancata comunicazione delle essenziali informazioni in ordine al massiccio ricorso al capitale finanziato, anche in occasione dell'aumento di capitale, aveva avuto lo scopo - effettivamente raggiunto - di procrastinare l'emersione delle situazioni di illiquidità del titolo e di sotto-patrimonializzazione dell'istituto di credito, di fatto seriamente ostacolando le funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della BCE, tenute all'oscuro delia esatta situazione patrimoniale e finanziaria del gruppo. Di qui l'adozione da parte degli organi di vigilanza di provvedimenti (la citata decisione SREP del febbraio 2015) incoerenti con tale situazione e, per contro, la mancata adozione di contromisure impellenti e indifferibili (come precisato dal teste ispettore En.Se.). Solo in occasione dell'ispezione BCE del 2015 - concludeva il tribunale - sarebbe effettivamente emersa la macroscopica divergenza tra i flussi informativi indirizzati alla vigilanza nel triennio 2012-2015 e la reale situazione patrimoniale della banca. 1.7.5 L'ostacolo alla vigilanza nei confronti di CONSOB (capo N1 - posizione G1) Il tribunale riteneva provato anche l'addebito stigmatizzato sub N1), inerente alle condotte di ostacolo alla vigilanza poste in essere, nei confronti di CONSOB, in relazione all'operazione di aumento di capitale 2014. In estrema sintesi, dopo avere dettagliatamente illustrato - in relazione tanto alla disciplina generale quanto al modello concretamente adottato da B. - il quadro normativo delle attività di intermediazione finanziaria (con particolare riguardo agli obblighi incombenti sugli intermediari nella relazione con la clientela sia nella fase precontrattuale, sia in quella di conclusione del contratto, sia nel corso dell'esecuzione del rapporto in un'ottica di tutela dell'investitore al fine di agevolarlo nella comprensione delle caratteristiche, dei rischi e dei costi dei prodotti finanziari offerti in un mercato di libera concorrenza), il primo giudice ricostruiva puntualmente l'episodio in questione. Nel caso di specie B. aveva pianificato una operazione che prevedeva un'offerta a pagamento mediante emissione di azioni ordinarie in opzione ai soci per un importo massimo di euro 700.000.000, nonché un aumento di capitale ordinario a pagamento mediante emissioni di azioni ordinarie finalizzata all'ampliamento della base sociale da offrire ai non soci per un importo massimo di 300.000.000 di euro. Nel corso della seduta del CdA 15.4.2014, poi, era stata definitivamente approvata l'operazione in questione, con l'individuazione dell'ammontare definitivo dell'aumento di capitale (aumento di capitale scindibile fino al controvalore massimo di 608.000,000 dì euro), la definizione del rapporto di opzione (una nuova azione ogni nove possedute con definizione del rapporto di attribuzione del premio fedeltà nella misura di un'azione ogni quattro) e la decisione che le azioni eventualmente inoptate sarebbero state offerte al pubblico indistinto e assegnate a coloro che ne avessero fatto richiesta durante il perìodo di offerta. Le azioni erano state emesse al prezzo di 62,5 euro, determinato sulla base della relazione di stima dell'esperto indipendente. Solo con riferimento al mini aucap, poi, era stato previsto che potessero essere concessi ai nuovi soci finanziamenti correlati alla sottoscrizione dell'aumento di capitale. In relazione a tale operazione l'istituto di credito aveva rappresentato, nelle relative comunicazioni inviate alla CONSOB, siccome specificamente richiamate in imputazione (trattasi della comunicazione formale 23.5.2014 in risposta alla richiesta di dati e notizie del 16.5.2014; della nota 4.7.2014; dell'ulteriore nota 15.10.2014), l'adozione di un modello operativo fondato su un atteggiamento neutro in ordine alla collocazione dei propri titoli nei confronti dei titolari dei diritti di opzione, attestando di avere predisposto modelli procedurali tesi a garantire la genuinità dell'iniziativa del cliente e sottolineando altresì che, come deciso, eventuali operazioni dì finanziamento sarebbero state previste solo con riferimento all'operazione di mini aucap. Tali modelli prevedevano, per i soci titolari del diritto di opzione: - da un lato l'esclusione dell'applicabilità della valutazione di adeguatezza, onde non interferire con l'esercizio del predetto diritto di opzione; - dall'altro lato l'astensione dalla prestazione di raccomandazioni all'investimento e di consulenza per i medesimi titolari del diritto di opzione e della connessa prelazione, i quali, infatti, onde contenere le occasioni di contatto diretto tra costoro e gli addetti di rete, avrebbero potuto aderire autonomamente all'aumento di capitale inviando richieste via internet, inserendo il proprio codice fiscale in una apposita pagina web, ovvero a mezzo raccomandata. In altri termini l'istituto di credito aveva rappresentato, nella comunicazione formale 23.5.2014, che avrebbe compensato il "sacrificio" della valutazione di adeguatezza (sacrificio resosi necessario per evitare che tale "filtro", posto a presidio dell'investitore, potesse pregiudicare il libero esercizio del diritto di opzione - e della connessa prelazione - nel caso di soggetto che, già socio e interessato ad avvalersi dell'opzione, non avesse superato detto vaglio) con l'assicurazione che i titolari di opzione sarebbero stati messi al riparo da influenze di sorta da parte della rete dell'istituto di credito, onde scongiurare qualsivoglia rischio che le determinazioni dei clienti potessero essere influenzate da consigli dì investimento fomiti dalla rete della banca in una situazione di conflitto di interesse. La CONSOB aveva approvato il prospetto relativo all'aucap 2014 in data 8.5.2014 e il successivo 9.5.2014 la banca aveva comunicato agli azionisti i dettagli delle operazioni informandoli della facoltà di esercitare i! diritto di opzione. In linea con l'originaria comunicazione alla CONSOB, por, si collocavano le successive comunicazioni dell'istituto all'ente di vigilanza rese nelle date del 4.7.2014 e del 15.10.2014. Ebbene, precisava il primo giudice, contrariamente a quanto comunicato a COIMSOB ed alla stregua di inequivoche prove tanto testimoniali (oltre alla deposizione del dirigente CONSOB, Francesco Adria, il tribunale valorizzava quelle dei dirigenti B. Al.Mo. e Gi.Am.) quanto documentali (tra le quali plurime, assai significative, comunicazioni via e-mail intercorse tra dirigenti B.), era emersa la natura meramente formale dei presidi organizzativi adottati dall'istituto di credito, peraltro sistematicamente aggirati nella pratica commerciale in attuazione di un'attività di pianificazione che si era caratterizzata per una fortissima pressione commerciale sulla rete (come precisato da numerosi dirigenti B. e, segnatamente, dai testi Gi.Ca., Ma.Ni., Lu.Ve., Ro.Pr. e Fu.Bo.), posto che: a) ben lungi dall'essere riconducibili alla spontanea iniziativa dei clienti, gli acquisti erano stati sollecitati dalla rete commerciale dell'istituto, appositamente istruita e sistematicamente resa oggetto di forti pressioni per la collocazione dei titoli; b) circa il 60% delle richieste di acquisto di azioni inviate via internet (modalità che, come detto, secondo il modello predisposto, unitamente all'invio della richiesta in modalità cartacea attraverso la spedizione di lettera raccomandata, avrebbe dovuto essere seguita dalla clientela interessata alla sottoscrizione di azioni onde evitare contatti inappropriati con la rete dell'istituto) erano risultate inviate da indirizzi IP di computer in uso a dipendenti della banca. Inoltre era emersa la prassi della presentazione brevi manu delle missive, in luogo dell'invio per raccomandata; c) contrariamente a quanto esposto all'autorità di vigilanza, in larghissima parte le adesioni all'offerta da parte degli opzionisti (26.000 su 29.000) si erano concretizzate al di fuori del sistema nella preventiva raccolta delle manifestazioni di interesse; d) mediante le modalità predisposte dalla banca, infatti, avevano aderito solo 2778 del 29.360 titolari del diritto di opzione, inviando 1695 lettere e 1083 manifestazioni di interesse via web; e) erano state create vere e proprie liste di clienti da contattare per supportare° la rete di vendita, nell'ambito di un'accurata pianificazione commerciale volta a favorire al massimo la collocazione delle azioni (ben 7434 soci che avevano aderito all'iniziativa, infatti, erano risultati inseriti nelle liste predisposte dalla banca); f) il 32% degli aderenti all'aucap censiti nel database delle manifestazioni di interesse aveva richiesto al momento dell'adesione un quantitativo di azioni esattamente corrispondente a quanto registrato nell'applicativo predisposto dalla banca nella fase di preadesione; g) era emersa la prassi di aggirare il test di adeguatezza (previsto per le adesioni del pubblico indistinto sino al 9.7.2014) facendo acquistare sul mercato secondario al cliente 100 azioni prima dell'aucap, in modo che il medesimo cliente potesse rientrare tra i soci e, quindi, potesse partecipare all'aumento di capitale senza effettuare le valutazioni di adeguatezza. Più nel dettaglio, i casi di consulenza surrettizia accertati - come precisato dall'ispettore An.Me. - erano risultati corrispondenti ad operazioni di acquisto per un valore pari a 143,17 milioni di euro su 497,98 milioni di euro complessivi. Secondo gli esiti della replica del test di adeguatezza standard effettuato in sede ispettiva (test che, infatti, sarebbe stato doveroso effettuare in caso di consulenza) era poi emerso che in almeno il 72% dei casi per un controvalore di 83 milioni di euro si sarebbe trattato di operazioni non adeguate, in quanto tali destinate ad essere bloccate dalla procedura. Inoltre si era acquisita contezza di agevolazioni (segnatamente, time deposit a tassi vantaggiosi) e anche di massicci finanziamenti concessi per l'acquisto di azioni proprie, non solo per garantire l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie ma anche per conseguire gli obiettivi di aumento di capitale, peraltro nell'ambito di iniziative commerciali che erano state taciute alla CONSOB e che avevano portato alla conclusione di operazioni di vendita di titoli in assenza delle doverose informazioni circa la natura e le caratteristiche delle operazioni medesime. Pertanto l'incremento di rischio per la clientela era stato del tutto privo di presidi nei sistemi di verifica di adeguatezza degli investimenti. In definitiva - concludeva il primo giudice - B. aveva fornito alla CONSOB, con riferimento alla predetta operazione di aumento di capitale, un quadro informativo falso e gravemente fuorviante, tanto in ordine al modello di servizio adottato per rapportarsi alla clientela quanto in punto di erogazione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie. La rilevanza decettiva di tali condotte era stata indubbia: ove la CONSOB fosse stata informata della pianificazione commerciale all'origine del collocamento delle azioni, infatti, avrebbe sicuramente esercitato in modo più pervasivo i propri poteri, sia di controllo che istruttori ex art. 94 TUF, e avrebbe imposto un più rigoroso modello di operatività fondato sulla consulenza e sull'obbligo di somministrazione di test di adeguatezza bloccante. Né, ad avviso del giudice di prime cure, poteva aderirsi alla tesi difensiva proposta dall'imputato Em.Gi.. Costui - risultato il dirigente che aveva maggiormente supportato e coadiuvato il direttore generale Sa.So. nell'iniziativa commerciale tesa a garantire il buon esito dell'aumento di capitale - aveva sostenuto, infatti, di avere agito nella convinzione dell'esistenza di una pregressa pianificazione commerciale concordata dall'istituto di credito con l'autorità di vigilanza. Tale tesi difensiva, tuttavia, era stata nettamente smentita dalle emergenze istruttorie. Da un lato, infatti, la banca aveva sempre attestato alla vigilanza che le operazioni di sottoscrizione erano avvenute ad iniziativa dei clienti; dall'altro lato era emersa un'operatività volta alla pianificazione commerciale dell'operazione non verbalizzata e, quindi, evidentemente elaborata e attuata nella piena consapevolezza di agire al di fuori del perimetro di regolarità tracciato dalla normativa Mifid. Né - proseguiva il tribunale - poteva accedersi alla tesi difensiva dell'imputato GI. secondo cui questi non era responsabile del reato in esame essendosi limitato a dare attuazione alle direttive impartitegli; in contrario deponevano la sua veste di dirigente apicale (responsabile della Divisione Mercati e vice direttore generale) nonché la prova - da considerarsi raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio - dell'incondizionato allineamento del GI. all'illecita politica gestoria ideata dal direttore generale So., cui il GI. medesimo aveva contribuito materialmente offrendo un fondamentale apporto partecipativo. Peraltro - concludeva, sul punto, il primo giudice - lo stesso presidente Zo.Gi. aveva preso parte tanto alla riunione del 3 aprile 2014, nel corso della quale il d.g. So. aveva illustrato alla rete le modalità operative pianificate per l'aucap e la campagna di contatto della clientela (al riguardo il riferimento era alla e-mail di cui al doc. 241 del P.M. in cui si esplicitava chiaramente la "campagna di contatto" all'uopo programmata), quanto alla precedente seduta del CdA del 4 marzo, in occasione della quale aveva fatto esplicito riferimento alla necessità dì "fare formazione sulla rete", chiarendo che "non devono parlare", ovverosia all'esigenza di stimolare i clienti ad aderire all'aumento di capitale e alla congiunta necessità di occultare tale prassi operativa. Donde la trasmissione degli atti al P.M. con riferimento alla posizione di tale imputato. 1.8. I reati di falso in prospetto In proposito va premesso che oggetto dei capì di imputazione sub I) ed L) sono i prospetti informativi redatti dall'istituto dì credito e depositati presso la CONSOB relativi agli aumenti di capitale realizzati negli anni 2013 e 2014 ed inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni La condotta di falso, secondo le suddette imputazioni, sarebbe consistita nell'occultamento di informazioni rilevanti in merito all'esistenza, all'entità e agli effetti del fenomeno degli investimenti correlati all'acquisto di azioni B., nonché nella comunicazione dì informazioni fuorvianti in ordine all'andamento del mercato secondario delle stesse azioni. Sul punto il tribunale, dopo avere richiamato il quadro normativo di riferimento (artt. 94, 94 bis, 173 bis D.Lvo 58/98 - TUF), evidenziava gli elementi costituivi della fattispecie delittuosa in esame precisando trattarsi di "reato comune", finalizzato ad approntare tutela al risparmio nella sua accezione "dinamica" e caratterizzato da una condotta reticente o fuorviante idonea a trarre in inganno l'investitore (senza peraltro la necessità della causazione di danno, come invece previsto dalla previgente fattispecie ex art. 2623 c.c.). In siffatta prospettiva la falsità non avrebbe dovuto necessariamente avere a oggetto dati materiali necessari ma anche notizie e valutazioni fondanti l'offerta (con l'ovvia precisazione che, in tal caso, più che di falsità delle predette valutazioni si sarebbe trattato di un difetto di genuinità e di imparzialità delle stesse). Anche l'occultamento di informazioni, poi, avrebbe potuto integrare la condotta materiale della fattispecie in questione, qualora inerente a dati o informazioni parimenti rilevanti. In ogni caso, essendosi in presenza dì reato di pericolo concreto, requisito essenziale della condotta decettiva era l'idoneità a trarre in inganno il destinatario; quest'ultimo, nella concretezza del caso sub iudice, non si sarebbe dovuto identificare nell'investitore professionale e neppure - ed a fortiori - in quello istituzionale, bensì nel piccolo/medio risparmiatore, ovverosia in quel soggetto che, generalmente, si limita alla lettura della sola "nota di sintesi", decisamente più breve e predisposta proprio al fine di renderlo edotto del contenuto "concreto" della proposta di investimento. Sotto il profilo soggettivo, poi, la norma era caratterizzata dalla combinazione del dolo specifico e di quello intenzionale: alla volontà e rappresentazione del fatto tipico commesso con l'intenzione di ingannare i destinatari del prodotto finanziario, infatti, si accompagnava lo scopo di conseguire un ingiusto profitto, per sé ovvero per altri. Tanto premesso - proseguiva il tribunale - negli anni 2013 e 2014 la banca vicentina aveva realizzato due aumenti di capitale, il primo deliberato il 16.4.2013 ed il secondo, caratterizzato da due offerte, il 15.4.2014. In entrambi i casi i prospetti comunicati dalla banca erano risultati caratterizzati dall'occultamento dell'esistenza, dell'entità e degli effetti del fenomeno della concessione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. e, quindi, dall'occultamento di informazioni essenziali perché l'investitore potesse determinarsi correttamente. Questo benché la prassi della concessione di siffatta tipologia di finanziamenti risalisse al 2009 (quando l'istituto aveva iniziato a proporre a clienti "amici" acquisto dì azioni proprie in grandi quantità - i c.d. "big ticket" - nell'ambito di operazioni "baciate", ovvero caratterizzate dalla tendenziale corrispondenza tra importo del finanziamento concesso e controvalore delle azioni acquistate, al fine di procedere allo svuotamento periodico del fondo acquisto azioni proprie) e benché detto fenomeno, che aveva interessato tanto il mercato primario quanto quello secondario, avesse raggiunto dimensioni consistenti già a partire dal 2012 (nel quarto trimestre de) 2012, infatti, il numero dì azioni finanziate era risultato corrispondere ad un controvalore di euro 545.520.996). Ora, con riferimento al mercato primario, nell'ambito degli aumenti di capitale finalizzati all'ampliamento della base sociale (mini aucap 2013 e 2014), l'istituto di credito aveva previsto espressamente l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie. Analoga informativa, invece, non era stata inserita nei prospetti relativi agli aumenti di capitale destinati ai titolari del diritto di opzione, ovvero al pubblico indistinto, sebbene, poi, in concreto, gli accertamenti ispettivi BCE e CONSOB avessero dimostrato come gli aumenti di capitale 2013 e 2014 fossero stati in larga parte realizzati proprio ricorrendo al massiccio finanziamento degli investitori che sottoscrivevano azioni di nuova emissione (nel 2013, su un controvalore totale di euro 506 milioni, le operazioni finanziate erano ammontate a 136.034,044,00 euro; nel 2014, poi, i finanziamenti concessi dall'istituto avevano riguardato azioni per un controvalore di 146,451.259 euro). Solo a seguito dell'ispezione BCE del 2015, infatti, l'istituto aveva ammesso l'esistenza delle operazioni di finanziamento correlato, per un valore complessivo determinato, in sede di internai audit, di 1.086 milioni di euro alla data del 31.10.2015, informazione che, come inevitabile, aveva provocato effetti dirompenti. Di qui la conclusione cui perveniva il primo giudice circa la penale responsabilità derivante dalla radicale assenza, nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento di capitale, dell'esistenza e dell'entità del fenomeno delle operazioni finanziate, trattandosi di informazioni che, ove conosciute, avrebbero evidentemente indotto un investitore ragionevole ad una ben maggiore ponderazione nella decisione di sottoscrivere gli aumenti di capitale. L'occultamento di tali informazioni, poi, aveva ovviamente alterato anche i dati di bilancio e, di conseguenza, le informazioni ad essi inerenti che erano state riportate nei prospetti relativi agli aumenti di capitale in questione. L'effetto che ne era derivato era stato, anche in tal caso, quello di distorcere gravemente la conoscenza degli investitori circa la rappresentazione dei livelli patrimoniali della società. Per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2012, infatti, il Tier 1 Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia dell'8% quale prescritta dalla Banca d'Italia nella lettera di intervento del 2.3.2012. Anche nel 2013, poi, si era registrata analoga violazione di detto requisito target. Così come durante il successivo esercizio 2014, quando il CET Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia regolamentare del 7% e il Total Capital Ratio aveva parimenti raggiunto un livello inferiore a quello minimo regolamentare del 10,5%. I dati di bilancio richiamati nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento del capitale, quindi, avevano indotto i risparmiatori a confidare in un livello di solidità patrimoniale dell'istituto di credito in realtà ben inferiore a quello prescritto. Donde l'idoneità decettiva delle informazioni fornite sul punto. Infine, anche le informazioni inerenti ai volumi delle azioni scambiate nell'ambito del mercato secondario erano risultate del tutto inattendibili per effetto della mancata comunicazione del fenomeno delle operazioni finanziate (fenomeno al quale la banca aveva fatto ricorso massicciamente, a partire dal 2012, proprio allo scopo di assicurare la negoziabilità del titolo, provocando, tuttavia, in tal guisa, una grave alterazione della dinamica del mercato secondario) e avevano ingenerato nei terzi la convinzione di una solo apparente liquidità delle azioni. In questo contesto era stata occultata al mercato - sostenendosi, nei prospetti, che le richieste di cessioni delle azioni sarebbero state sottoposte appena possibile al CdA - la persistente situazione di grave ritardo nell'evasione delle richieste di vendita di azioni provenienti dai soci (nel corso del 2013, in effetti, il time to sell era passato dai 28 giorni del mese di gennaio ai 311 giorni della fine dell'anno); richieste, peraltro, neppure sempre evase in ordine cronologico. In definitiva la mancata comunicazione di tali informazioni aveva ingenerato l'apparenza di un'appetibilità del titolo in realtà inesistente. Donde, anche sotto tale profilo, la sussistenza della condotta di reato di falso in prospetto. Quanto, poi, alle singole posizioni soggettive, il tribunale evidenziava come Zo.Gi., presidente del CdA dal 1996 al 2015, fosse certamente responsabile delle operazioni di aumento di capitale del 2013 e anche della redazione dei relativi prospetti, per avere egli, su incarico del CdA, conferito al d.g. So. e al vice d.g. PI. i poteri all'uopo necessari, nonché per avere egli sottoscritto il documento di registrazione e la dichiarazione di responsabilità. Analogamente, con riferimento all'aumento di capitale 2014, i poteri conferiti allo ZO. dal CdA in ordine all'operazione di aumento di capitale rendevano evidente la responsabilità del predetto nella falsificazione dei prospetti illustrativi di detta operazione Considerazioni del medesimo tenore, poi, venivano dal tribunale svolte con riferimento alla posizione del PI., trattandosi di un vice direttore B. nonché del responsabile della Divisione Finanza, ovverosia di una divisione alla quale, secondo l'organigramma dell'istituto di credito, competeva proprio l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi. Infine anche gli imputati GI. e MA. venivano giudicati responsabili del reato in questione, avendo i predetti, sebbene non coinvolti - secondo il primo giudice - nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, partecipato attivamente ad assicurare, conoscendone perfettamente le esigenze sottostanti, l'operatività del meccanismo dei finanziamenti correlati all'acquisto delle azioni B. mediante massiccio ricorso al capitale finanziato; meccanismo del quale avevano contribuito a occultare l'esistenza e l'entità. 1.9. Le singole posizioni processuali. 1.9.1 Zo.Gi. Il tribunale, dopo avere richiamato la normativa di dettaglio emanata da Banca d'Italia per disciplinare gli assetti del governo societario dell'impresa bancaria (assetti che attribuivano al presidente del CdA il ruolo di garanzia in ordine al corretto funzionamento dell'organo, precisando come costui non dovesse essere un componente esecutivo e non dovesse svolgere, neppure di fatto, funzioni gestionali) e dopo avere ricostruito la composizione, all'epoca dei fatti, del CdA di B., precisava che Zo.Gi. era stato presidente dell'istituto di credito dal 1996 al novembre del 2015 nonché presidente del comitato esecutivo. Tutti gli elementi disponibili, poi, convergevano nel delineare il ruolo dominante e pervasivo svolto dall'imputato nell'organizzazione dell'attività della banca, tanto che l'attenzione degli organi di vigilanza, sin dal 2007, aveva evidenziato tale criticità, stigmatizzando l'autoreferenzialità dei meccanismi di governance instaurati dall'imputato. Peraltro era stata proprio la strategia di crescita (aumento degli sportelli; continua espansione dimensionale) imposta alla banca dal Presidente a porsi all'origine delle problematiche degli aspetti patrimoniali del gruppo che, infatti, proprio per fare fronte alla progressiva crescita dei costi di gestione, era stato costretto a ricorrere sistematicamente ad aumenti di capitale. Inoltre i meccanismi di governo societario - e, in particolare, il ruolo predominante rivestito, nel consiglio di amministrazione, dall'imputato nonché la visione maturata e attuata dallo stesso dì un successo imprenditoriale commisurato alla continua espansione dimensionale dell'istituto - erano stati sistematicamente censurati dall'autorità di vigilanza (in particolare: in occasione del rapporto ispettivo del 2008; dell'ispezione di follow up del 2009; dell'ispezione sul credito del 2012; della vigilanza in relazione all'aumento di capitale del 2013). Del resto la struttura verticistica del governo aziendale era emersa da tutte le risultanze probatorie disponibili. In effetti - precisava il primo giudice - l'imputato esercitava una forma pervasiva di controllo sulle dinamiche del consiglio, nel cui seno le decisioni assunte non erano mai state oggetto di discussione o dibattito, il tutto mentre il controllo assicurato dal collegio sindacale era risultato meramente formale, come verificato da Banca d'Italia nell'ispezione 2008. Di fatto era lo ZO., con riferimento tanto al consiglio di amministrazione, quanto al collegio sindacale, a selezionare i candidati (dep. Zi., Gr., Lo.), scegliendoli, per cooptazione, tra esponenti dell'imprenditoria locale (individuando, peraltro, soggetti inesperti dei complessi meccanismi dell'impresa bancaria) e ad affiancare loro professionisti già legati alla persona dello stesso presidente da pregresse esperienze professionali. In particolare il tribunale, sulla base di puntuali deposizioni al riguardo (trattasi, segnatamente, della deposizione resa dal teste Da.Lo.), ricostruiva una situazione caratterizzata dall'assenza di obiezioni di sorta alle proposte presidenziali, da un clima dì effettiva intimidazione - se non di vero e proprio terrore - che rendeva difficile manifestare qualsiasi dissenso, nonché da modalità di votazione, in assemblea, che rendevano identificabili le singole manifestazioni di voto. In effetti il CdA si era costantemente limitato ad approvare le proposte del presidente e tutte le decisioni erano state sempre unanimi, sicché lo stesso ruolo del consiglio era stato, di fatto, svuotato di ogni profilo sostanziale. Emblematica di ciò - ad avviso del tribunale - era stata la vicenda dell'acquisizione di un immobile da adibire a sportello bancario nella località turistica di Cortina, operazione fortemente voluta dallo ZO. (in particolare per il ritorno di immagine che, a suo giudizio, ne sarebbe derivato) e che era stata conseguentemente accettata dal d.g. So. contro ogni logica dì convenienza economica, tanto che aveva portato all'esito fallimentare di una perdita di oltre venti milioni di euro (come peraltro comprovato dal contenuto della conversazione telefonica intercettata riportata a pag. 589 della sentenza impugnata e come confermato dalla relazione ex art. 33 l.f.). Altrettanto significativa del ruolo predominante dell'imputato in seno al CdA, poi, era la vicenda - la cui ricostruzione esatta era stata resa possibile dalla documentazione costituita dal relativo file audio - inerente alla determinazione del prezzo dell'azione in deroga alle stesse regole procedurali dell'istituto deliberata in occasione della seduta 1.4.2014. Connotato da analoga "impronta padronale", inoltre, era anche il rapporto tra l'imputato, da un lato, ed il management e le strutture aziendali, dall'altro. Infatti, ripetutamente, gli incarichi di vertice erano stati assegnati a soggetti indicati dal presidente (era il caso dei d.g. Gr. e So., di Ro., di Fa., consulente nel settore degli affari internazionali; di Ra., al quale era stato affidato l'incarico di presidente della società Mo. che gestiva il patrimonio immobiliare della banca), con il CdA che si era limitato a ratificarne le decisioni. Era lo ZO. a decidere su tutto: retribuzioni, posizioni, crediti, affidamenti, parco automobili (si veda la deposizione di Um.Se., direttore della controllata siciliana Ba.Nu. dal 2012), L'imputato si era occupato anche delle campagne pubblicitarie (cfr. la deposizione del teste Ma.Pa.) e addirittura della concessione, agli amici, di tassi di interesse fuori mercato ed in perdita per la banca (come nel caso dell'imprenditore amico Re.Ca., secondo la deposizione del teste Gi.Am.). Più nel dettaglio, il coinvolgimento dello ZO. nell'attività gestionale era stato confermato da numerose, convergenti deposizioni. Era il caso, in particolare, delle testimonianze di Al.Sa., Iv.Me. e Gi.Am., quest'ultima relativa anche alla riunione tenutasi l'il.11.2014 a seguito della pubblicazione dell'articolo del Sole 24 Ore che aveva messo in discussione il valore del titolo. In detta riunione ZO. aveva esplicitamente affermato, tra l'altro, che ì soci che avessero voluto vendere i titoli avrebbero potuto essere sostenuti con finanziamenti e la trascrizione della già menzionata seduta del Comitato di Direzione 10.11.2014 (doc. P.M. nr. 110) riscontra tali indicazioni del presidente. Le e-mail acquisite al fascicolo del dibattimento (docc. P.M. nr. 298, 299, 322, 320, 521), al pari degli appunti di Ma.So. contenuti nel "maxi quaderno giallo", poi, confermavano il ruolo operativo del presidente. Il teste Se.Ro., inoltre, aveva riferito al teste Ma.Pa. - cfr. la deposizione di quest'ultimo - che le decisioni di vendita delle azioni andavano ricondotte allo ZO. e, sul punto, non mancavano conferme documentali: la e-mail del 16.6.2014 (allegato 31 relazione CONSOB), avente ad oggetto il sollecito rivolto dalla segreteria del presidente ZO. al Ro. circa un reclamo - indirizzato direttamente al medesimo presidente ZO. -riguardante i ritardi nella vendita di azioni della sig.ra Ro.Sa.; il documento del P.M. nr. 321 (relativo a una corrispondenza e-mail tra Fi.Ro. e Da.Fa. del 20.1.2014); gli appunti del So.; infine le stesse dichiarazioni ammissive rese dall'imputato nel corso dell'interrogatorio del 24.3.2017. Lo strettissimo rapporto tra lo ZO. ed il d.g. So. (quest'ultimo, peraltro, proposto dallo stesso ZO. come consigliere delegato nel 2015, ovverosia poco prima dell'ispezione BCE, quando oramai la banca versava in condizioni di forte criticità ed aveva superato solo per il "rotto della cuffia" il Comprehensive Assessment tramite la conversione del prestito obbligazionario deliberata d'urgenza dal CdA nella seduta del 26.10.2014, convocata presso la tenuta toscana del presidente sita in (...) era stato delineato da numerosi testi escussi (Di.Gr., Se.Ro., Ad.Ca., Pa.An., Vi.Do., Ma.So.) e confermato dallo stralcio della conversazione intercettata tra Gi.Zi. e il suo interlocutore Pa.Ba. nello del 26.8.2015 (riportata a pag. 599 della gravata sentenza), dove si affermava che i due erano sostanzialmente inscindibili e "viaggiavano a braccetto". Lo stesso So. del resto, in occasione di talune conversazioni intercettate, si era riferito spesso al diretto coinvolgimento del Presidente nelle vicende gestorie della banca (il richiamo era ai progressivi 459, 300, 610, 845, 1570, 1587, nonché agli SMS di cui ai documenti nn.ri 653, 654, 655 - pagg. 600-603 della gravata sentenza). Con riferimento all'aucap del 2014, poi, la scheda file audio della seduta del CdA del 4.3-2014 aveva documentato il diretto coinvolgimento del presidente nella pianificazione dell'operazione in questione, mentre le dichiarazioni del coimputato GI. avevano ribadito tale coinvolgimento, peraltro confermato anche dalla documentazione disponibile (era il caso della e-mail costituente l'allegato nr. 75 alla relazione CONSOB). Lo ZO., inoltre, aveva avuto un ruolo attivo anche durante il comitato di direzione "allargato" del 20.4.2015 nel quale erano state affrontate, tra gli altri temi, le questioni dei soci finanziati e della creazione di una task force che avrebbe dovuto gestire il problema dei soci che chiedevano di vendere le proprie azioni. In tal senso deponeva il documento nr. 362 del P.M. costituito dagli appunti di Gi.Am., siccome "interpretati" dallo stesso Am. durante la propria deposizione. Nel corso di tale comitato di direzione, infatti, si era discusso anche del problema costituito dall'impossibilità di ricorrere all'impiego del fondo acquisto azioni proprie, ovvero allo strumento che, ad avviso del Presidente, doveva servire - secondo quanto riferito dal teste Am. - "a rendere più liquido l'investimento in azioni della (...)". Del resto le modalità della risoluzione del rapporto con il d.g. So. (risoluzione intervenuta solo quando, nel corso dell'ispezione BCE, la situazione era divenuta insostenibile a seguito dell'emersione della vicenda dei fondi lussemburghesi, della prassi delle lettere di impegno e dei finanziamenti correlati) dovevano ritenersi sintomatiche - nella ricostruzione dell'episodio fattane dal primo giudice - delle modalità gestorie dello ZO. e della volontà di assicurare al So. un commodus discessus. L'imputato, infatti, aveva fulmineamente risolto il contratto con il direttore generale (al quale, nondimeno, era stato riconosciuto di avere operato "con diligenza e correttezza nell'interesse della banca" e, soprattutto, era stata attribuita una buonuscita di ben 4 milioni di euro); questo era avvenuto nonostante il contrario parere del consigliere Gi.Zi. (documentato dal file audio della seduta del CdA) il quale aveva chiesto di valutare il licenziamento, al posto della risoluzione consensuale, al fine di salvaguardare la posizione dello stesso CdA. Peraltro dell'intervento dello ZI. il verbale consiliare non recava traccia alcuna (e questo nonostante la esplicita richiesta avanzata, in tal senso, dal menzionato consigliere). Si era trattato, quindi, di una decisione unilaterale di ZO., non preceduta da alcun dibattito in seno asl CdA (come riferito dallo stesso ZI. e come, del resto, confermato dalla deposizione del teste Ad.Ca.). Nell'occasione la finalità perseguita dallo ZO. - ad avviso del tribunale - era stata evidentemente quella di assicurarsi, "attraverso il fulmineo e ben retribuito congedo del direttore generale infedele", "un salvacondotto a fronte delle condotte illecite in fase di accertamento da parte della squadra ispettiva" (così si legge a pagina 611 della sentenza impugnata). Solo in quest'ottica, pertanto, poteva essere ragionevolmente interpretato quanto avvenuto in occasione delle successive sedute del CdA del 15 maggio, 27 maggio, 9 giugno e 11 giugno 2015, allorché sì era discusso della possibilità di intraprendere azioni legali nei confronti del So. per poi alla fine decidere, su proposta dello stesso ZO., di non procedere in alcun modo nei confronti dell'ex direttore generale. In definitiva l'accordo per la risoluzione del contratto con il manager con riconoscimento di una buonuscita multimilionaria - accordo deciso e repentinamente attuato dallo ZO. non solo in contrasto con le previsioni statutarie (che attribuivano al CdA la competenza in materia) e con la normativa di vigilanza in materia di remunerazione dei dirigenti, ma anche in radicale conflitto con l'interesse dell'istituto di credito - costituiva un elemento di prova della corresponsabilità dell'imputato. Sintomatiche dell'interesse (a proteggere il So.) perseguito, con detto accordo, dallo ZO. - significativamente definito, in un colloquio captato dagli investigatori, uno che ha governato come un monarca assoluto" e che, quindi, non era certo all'oscuro di quanto andava emergendo nel corso dell'ispezione - erano proprio alcune conversazioni intercettate (cfr. stralci riportati alle pagg. 611-613 della sentenza). Quindi il primo giudice, ad ulteriore sostegno della conclusione cui perveniva in ordine alla piena responsabilità dello ZO. nella gestione dell'istituto di credito con riferimento specifico alle condotte oggetto di imputazione, richiamava specificamente le operazioni correlate effettuate da taluni imprenditori. Trattasi, segnatamente: - di Se.Pi. (presidente del CdA della società It.). Costui, nel corso della deposizione resa in dibattimento, aveva ricostruito gli acquisti "baciati" dì azioni B. effettuati, originariamente su proposta dello ZO., con il ricorso ad affidamenti da parte dell'istituito di credito (il tutto per un'operatività di euro 4.400.000). Secondo detto teste lo ZO. era a conoscenza dell'esistenza dei finanziamenti correlati a lui concessi, iniziati nel 2005. Nel 2013, quando il teste era stato ospite dell'imputato a Castello di Albola, lo ZO. si era dimostrato soddisfatto dell'aumento di capitale e nell'occasione avevano parlato, tra l'altro, delle operazioni finanziate effettuate dal Pitacco, facendo anche specifico riferimento all'importo complessivo; - di Al.Be., imprenditore del settore dell'editoria legato da risalente rapporto di amicizia con l'imputato. Anche tale dichiarante (cfr. verbale di s.i.t. acquisito ex art. 493, co, 3, c.p,p.) aveva ricostruito le operazioni finanziate effettuate al fine di acquistare le azioni di B., per un valore complessivo di euro 1,25 milioni a fronte di un finanziamento di pari importo. Sebbene detto teste avesse riferito di non avere mai parlato con lo ZO. di tali operazioni "baciate", le relative dichiarazioni - sul punto - erano state smentite dai testi Gi.Gi. (direttore regionale della Lombardia) e Al.Ba. (responsabile della Divisione Crediti di B. dal gennaio 2015). Il primo, dopo avere ricostruito le operazioni "baciate" effettuate da detto imprenditore in condizioni di neutralità economica (donde i relativi storni che gli avevano garantito il totale rimborso degli interessi maturati), aveva precisato che il Be. gli aveva riferito di avere parlato con lo ZO. di una di tali operazioni (quella effettuata tramite la B.Me.), Il teste Al.Ba., dal canto suo, aveva dichiarato di avere discusso con l'imputato ZO. della posizione del Be., ragguagliandolo circa gli acquisiti di azioni tramite finanziamenti "baciati" effettuati in precedenza dallo stesso Be. per "Vare una cortesia alla banca". Ciò era avvenuto nel corso di un incontro cui aveva partecipato lo stesso imprenditore, il quale, nell'occasione, aveva espressamente chiesto che l'operazione "fosse smontata"; - di Do.Ir.. presidente di C., società del settore delle costruzioni e amica di famiglia dello ZO.. In questo caso le azioni B. erano state acquistate, per un valore di 1 milione di euro, impiegando parte di un più consistente finanziamento (5 milioni) concesso dall'istituto. A detta della Ir. la proposta iniziale le era stata avanzata, con riferimento all'aumento di capitale allora in fieri, proprio dallo ZO. il quale, poi, l'aveva "dirottata" sul d.g. So.. Dal canto suo il figlio della Ir., Ha.Mi. (vicepresidente e amministratore delegato di C.), il quale aveva poi portato avanti la trattativa, escusso in dibattimento non aveva ricordato con chi avesse effettivamente trattato (sebbene in sede di indagini, come emerso dalla contestazione del P.M., avesse riferito di avere interloquito, in proposito, con lo ZO. oppure con il manager Al.Cu.; soggetto, quest'ultimo, che - parimenti escusso in dibattimento - aveva smentito di essersi personalmente occupato della questione); - dei fratelli Ra.. In particolare Ra.Si., imprenditore del settore abbigliamento e cliente storico di B., aveva riferito di avere aderito, unitamente ad alcuni suoi familiari, alla proposta di operazioni "baciate". Più volte costui (al pari dei fratelli) aveva chiesto rassicurazioni al riguardo allo ZO. ed era stato sempre tranquillizzato. Nel 2013 i Ra. avevano iniziato a sollecitare la chiusura delle operazioni, al che Fu.Bo. ed Em.Gi. avevano tentato di dissuaderli. Dichiarazioni di analogo tenore, poi, erano state rese da Ra.Gi., sebbene costui avesse riferito, diversamente dal fratello, che le discussioni con lo ZO. avevano riguardato la solidità della banca e non già le operazioni "baciate" in corso. Nondimeno - precisava il tribunale - la conversazione nr. 560 intercettata sull'utenza in uso al So., nella quale costui, esprimendo disappunto sull'atteggiamento negazionista dello ZO., riferiva in termini coincidenti con la narrazione di Ra. Silvano, confermava la tesi di quest'ultimo in ordine al contenuto dei colloqui - aventi ad oggetto proprio il tema dell'acquisto delle azioni della banca - intercorsi tra i fratelli Ra. e il presidente ZO.; - di Fr.Zu. e Fe.Ri.. Il primo, cognato di ZO., aveva riferito di un fido concessogli per partecipare, a titolo di amicizia e senza alcun rischio, all'aucap 2014, operazione della quale, tuttavia, non aveva parlato con lo ZO.. Nondimeno dalle schede di analisi dei consulenti del P.M. erano emersi, complessivamente, acquisti di azioni effettuati dalla famiglia Zu. per 984 mila euro con risorse erogate all'uopo dall'istituto. Quanto al Ri., amico dell'imputato da decenni, ex direttore di musei e consulente della banca per la stima delle opere d'arte, aveva effettuato operazioni per gli aucap 2013 (300 mila euro) e 2014 (200 mila euro) e aveva riferito che lo ZO., quando aveva appreso di una di tali operazioni, aveva espresso il proprio compiacimento, sebbene il teste avesse pure precisato che con l'imputato aveva interloquito solo in relazione alla sua sottoscrizione dell'aucap, non già circa le modalità di acquisto delle azioni. Quando poi, nel 2015, aveva manifestato allo ZO. le proprie preoccupazioni per gli acquisti finanziati, l'imputato aveva ribattuto in modo brusco ("Ma chi ti ha detto di farli?"), lasciandolo perplesso; s di Gi.Ro., noto imprenditore del settore della valigeria. In tal caso le operazioni finanziate erano state molteplici (la prima per l'ammontare di 700,000 euro; successivamente anche per l'importo di 5 milioni). Ripetutamente aveva incontrato lo ZO. in occasione di cene e pranzi e, quando gli aveva chiesto rassicurazioni, era stato costantemente tranquillizzato. Richiesto di precisare se l'imputato fosse a conoscenza delle modalità seguite per l'acquisto delle azioni, il teste aveva risposto affermativamente sulla base di considerazioni di tipo logico (basate, per un verso, sulla posizione di vertice rivestita dall'interlocutore, definita dal teste quella del "capo", del "padre-padrone della banca" e, per altro verso, sull'importanza di dette operazioni nell'ambito della gestione dell'istituto di credito). Peraltro, precisava il tribunale, la registrazione del file audio del 18.6,2013 relativo alla breve conversazione intercorsa tra lo ZO. ed il coimputato GI. poco prima dell'inizio della seduta del CdA - conversazione della quale lo stesso GI. aveva poi chiarito il significato (inerente all'interesse manifestato da un imprenditore catanese, tale Riccardo Coffa, per una operazione "baciata") - dimostrava la piena consapevolezza, in capo allo ZO., della prassi esistente in relazione a tale tipologia di operazioni. Altro significativo elemento a carico dello ZO. era rappresentato, nella prospettiva del tribunale, dall'elevatissima concentrazione di operazioni correlate presso il "gestore private" Ro.Ri. nella filiale di Contrà Porti, la stessa ove l'imputato aveva acceso i propri conti correnti. In effetti lo strettissimo rapporto tra i due (ulteriormente comprovato dalla riassunzione de) "gestore" dopo che questi si era dimesso a seguito del trasferimento ad altra filiale; riassunzione, con immediata ricollocazione presso la filiale di Contrà Porti, conseguente a una semplice visita dello stesso Ri. presso l'abitazione dell'imputato) avrebbe avvalorato la conclusione circa la piena consapevolezza, in capo al presidente, della prassi delle operazioni "baciate" che il predetto Ri. effettuava in favore di una selezionatissima cliente, peraltro per importi estremamente ingenti. Questo benché il medesimo Ri. avesse negato di avere parlato di tali operazioni con l'imputato e, a maggior ragione, di avere da questi ricevuto, al riguardo, autorizzazioni di sorta. Del resto - precisava il tribunale - il teste Da.Ti. aveva dichiarato di essere stato rassicurato dallo stesso presidente ZO. - all'uopo interpellato dal "gestore private" Ri. che aveva sostanzialmente fatto da tramite - circa ii fato che le operazioni "baciate" di sua pertinenza sarebbero state chiuse. Anche l'inerzia dell'imputato a seguito della segnalazione di anomalie inerenti ad operazioni correlate ricevuta nella primavera-estate del 2014 deponeva nel senso della fondatezza dell'impostazione d'accusa, al pari, del resto, delle dimissioni del consulente private banker An.Vi., dimessosi in conseguenza delle insostenibili pressioni che riceveva dai superiori (a loro volta in tal senso istruiti dai vertici aziendali) proprio con riferimento alla conclusione di operazioni "baciate". Peraltro, una pec contenente l'esposizione delle ragioni delle dimissioni era stata trasmessa dal Vi., su consiglio del proprio avvocato, sia al CdA che allo stesso ZO., il quale ultimo l'aveva letta in data 7.7.2014 senza, tuttavia, sollecitare approfondimenti al riguardo. Del resto era significativo che la vicenda si fosse poi definita con un accordo transattivo e con l'impegno alla riservatezza. Di spiccato rilievo probatorio, poi, erano tanto l'inerzia manifestata dallo ZO. a seguito della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 26.4.2014, dal socio B. Da. con riferimento alla prassi degli acquisti finanziati, quanto l'atteggiamento, altrettanto inerte, assunto dallo stesso imputato a seguito della ricezione di due lettere anonime che denunziavano il fenomeno della pressione della rete commerciale per favorire la sottoscrizione di operazioni correlate. Conclusivamente, a fronte di tali convergenti elementi, le dichiarazioni rese dall'imputato in occasione degli interrogatori resi in fase di indagine e, successivamente, nel corso dell'esame dibattimentale svoltosi alle udienze - 23,6.2020 e 26.11.2020 - là dove questi aveva sostenuto di essere stato tenuto all'oscuro dell'esistenza del fenomeno delle operazioni correlate, di essersi fidato della valutazione di un esperto di indiscusso prestigio con riferimento al valore assegnato al titolo azionario e, infine, di avere avviato le operazioni di aumento di capitale facendo affidamento sul giudizio della Banca d'Italia in ordine alla solidità dell'istituto di credito - venivano dal tribunale giudicate come destituite di fondamento e scopertamente difensive. I fenomeni del capitale finanziato, delle lettere di impegno e degli investimenti effettuati tramite fondi esteri, infatti, erano stati espressione di prassi note, avallate e, anzi, incentivate dal presidente, vero e proprio dominus assoluto dell'istituto di credito. Egli aveva ricoperto, per circa un ventennio, una posizione di dominio incontrastato, aveva selezionato e fidelizzato il management, anche con trattamenti economici più che generosi (cfr. sul punto, la deposizione del teste Ma.Ma.), aveva imposto la regola dell'approvazione unanime delle sue proposte in CdA ed aveva sistematicamente agito (in forza di una asimmetria di poteri che, peraltro, trovava plastico riscontro anche nell'ammontare delle rispettive retribuzioni, quella dell'imputato risultando quasi dieci volte superiore a quelle degli altri consiglieri) in modo tale da indirizzare l'espansione territoriale dell'istituto nelle aree del Paese ove egli aveva i suoi insediamenti imprenditoriali (Toscana, Friuli, Sicilia), ovvero nelle località di vacanza da lui frequentate (Cortina). In definitiva tutte le dinamiche inerenti alla vita dell'istituto di credito erano state determinate dallo ZO., a partire dalle più importanti strategie d'impresa e fino alle attività più spicciole (posto che era emerso che all'imputato veniva sottoposta, per approvazione, finanche la lista degli invitati alle cene "istituzionali" periodicamente organizzate a casa Lo.), In siffatta prospettiva le conversazioni telefoniche intercettate nelle quali il d.g. Sa.So. evidenziava la piena riconducibilità delle scelte operative al Presidente, ben lungi dall'essere interpretabili come attuazione di una callida determinazione del predetto So., ispirata da logica autodifensiva (come invece sostenuto dalla difesa dello ZO.), costituivano coerente riscontro del pieno coinvolgimelo dell'imputato nell'attività delittuosa. Del resto talune conversazioni significative erano state effettuate impiegando utenze riconducibili a terzi (trattasi dell'utenza 3311650993 intestata a De.Mi.), donde, anche sotto tale profilo, l'insostenibilità della tesi della artificiosità di tali colloqui, il tenore dei quali, peraltro, era del tutto coerente con le richiamate acquisizioni probatorie testimoniali e documentali. Inoltre le affermazioni fatte dal So. in ordine al coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni dì capitale finanziato avevano trovato conforto anche negli SMS inviati dai coimputati MA. e GI. al predetto So., messaggi attraverso i quali costoro sollecitavano il benestare del presidenti su alcune operazioni correlate (trattasi dei documenti nn.ri 653 "ricordati di messaggiare il presidente per le pratiche di oggi in CdA - quelle su acquisto, valori mobiliari... Fe. 11 milioni, Mo. 14 milioni, Fe. 20 milioni"; 654: "il presidente sta arrivando bisogna parlargli di Da. e Ca."; 655: "Ti ricordo Zi. da parlarne al pres per il fido da farsi alla sua finanziaria". Di qui la conclusione in ordine alla sussistenza dei presupposti tutti per affermare il coinvolgimento dell'imputato, a titolo di concorso, in tutti i reati ascrittigli. 1.9.2 Gi.Em. Con riferimento a Gi.Em. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Mercati (della quale egli, a far tempo dalla fine del 2007, era stato il responsabile -spettandogli in tale veste, fino alla cessazione del rapporto avvenuta nel giugno 2015, la direzione e il coordinamento dell'attività commerciale della banca - oltre a rivestire in B. il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma di cui ai docc. nr. 262-267 del Pubblico Ministero. Evidenziava poi come il GI. fosse anche membro del Comitato Soci, ossia dell'organo endoconsiliare deputato alla disamina preventiva delle richieste di acquisto e cessione delle azioni B. prima che le stesse fossero sottoposte al CdA. Ciò premesso il tribunale, nel rinviare al cap. X della sentenza quanto alla disamina della penale responsabilità del GI. per il reato di cui al capo N1, affermava che l'istruttoria dibattimentale consentiva di ritenere "emerso in modo univoco" il diretto coinvolgimento del GI. "in tutti gli aspetti della illecita operatività della Banca", elencando al riguardo le seguenti condotte dal predetto poste in essere: - aveva significativamente contribuito alla definizione e all'attuazione delle prassi operative in tema di capitale finanziato: - aveva partecipato direttamente alle più rilevanti operazioni di capitale finanziato (c.d. "big ticket"); - aveva personalmente sottoscritto alcune lettere di impegno di B. al riacquisto delle azioni precedentemente vendute ai clienti cui esse erano indirizzate, autorizzando altresì in via preventiva la sottoscrizione di analoghe lettere da parte dei funzionari a lui sottoposti; - aveva co-organizzato e programmato una capillare attività di monitoraggio della produttività della rete commerciale, esercitando forti pressioni sui dipendenti della stessa al fine di stimolare il raggiungimento degli obiettivi di raccolta del capitale; - aveva personalmente autorizzato storni di interessi come forma di remunerazione dell'investimento in azioni B.; - aveva, in molteplici occasioni, ostacolato l'accertamento dell'illecita operatività della banca non soltanto nei confronti delle autorità di vigilanza esterna ma altresì nei confronti delle società di revisione (cfr. in particolare l'episodio che aveva coinvolto la società di revisione K.) e della vigilanza interna (audit). Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il primo giudice anzitutto illustrava i contenuti - evidenziati in particolar modo negli appunti manoscritti redatti dal segretario generale Ma.So. (doc. nr. 389 del P.M.), il quale ne aveva riferito nel suo esame dibattimentale - della riunione del Comitato di Direzione tenutasi l'8.11.2011, cui avevano partecipato fra gli altri, oltre al GI., il direttore generale Sa.So., il presidente Zo.Gi., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. (dirigente altresì preposto alla redazione dei documenti contabili), il responsabile della Divisione Finanza An.Pi., il direttore generale della controllata toscana Ca. Fr.To., il vicedirettore generale della controllata siciliana Ba.Nu. Um.Se.. In quella sede, dopo che il PE. aveva evidenziato la necessità di collocare più di 100 milioni di azioni, il To. e il Se. (secondo quanto ricostruito nel suo esame dibattimentale dal teste assistito To., il quale peraltro evidenziava come all'epoca si ritenesse in generale inapplicabile l'art. 2358 c.c. alle banche popolari in quanto cooperative) avevano prospettato espressamente la necessità di ricorrere ad operazioni c.d. "baciate" - benché "non facili da proporre come nell'occasione riconosciuto dal To. - al fine di aumentare il collocamento delle azioni, tenuto conto anche del fatto che mancavano ormai solo poco più di 30 giorni alla chiusura natalizia. Indi il primo giudice evidenziava come al GI. fosse ben nota -quantomeno dal giugno 2011 - la situazione, documentata in atti e altresì, riferita da vari testi, di crescente disallineamento tra le domande di acquisto di azioni e le richieste di vendita delle stesse (le quali sopravanzavano le domande di acquisto in maniera sempre più accentuata ed evidente), il che aveva determinato sin dal 2011 un incremento progressivo ed esponenziale del ricorso al capitale finanziato, secondo un "cambio di passo" riscontrabile proprio all'indomani della menzionata riunione del comitato di direzione tenutasi l'8.11.2011. In tale contesto - proseguiva il tribunale - Em.Gi. si era distinto in modo particolare per l'attivo ruolo svolto nell'organizzazione e nel coordinamento delle iniziative c.d. "svuota fondo", rivolte cioè ad attuare il sistematico svuotamento del fondo acquisto azioni proprie di B. (portato infatti a zero tanto alla fine del 2012 quanto alla fine del 2013) nonché per le pressioni - sempre più accentuate specie a partire dalla fine dell'anno 2012 - da lui esercitate sulla rete commerciale affinché fosse incrementato il collocamento delle azioni. Ampio spazio veniva dato al riguardo, in sentenza, alla deposizione dei testi Fi.Ro. (responsabile dell'Ufficio Soci) e Co.Tu. (funzionario in staff alla Divisione Mercati), secondo i quali il direttore generale So. e il GI. - che veicolava le direttive del So. all'intera rete - monitoravano congiuntamente l'andamento delle domande di acquisto e cessione delle azioni e prendevano le decisioni su quante azioni la banca potesse riacquistare, al che conseguiva il sorgere di un'esigenza di occultamento del capitale finanziato. Indi il primo giudice illustrava gli elementi probatori (fra cui le deposizioni dei testi Co.Tu., Gi.Gi., Ma.Ni., Al.Ba., Al.Cu., En.Da., Lu.Ve., Se.Ro., Ro.Ri. e altri) in base ai quali emergeva il ruolo del GI. nell'organizzazione delle attività di occultamento del capitale finanziato, segnatamente: - mediante il divieto, imposto alla rete, di comunicare per iscritto informazioni sul capitale finanziato; - mediante l'utilizzo nelle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) di una formula - estremamente generica ("necessità per investimenti immobiliari e mobiliari"); - mediante la raccomandazione di attuare un distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni e/o di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche azioni diverse da quelle di B.. La promozione e sollecitazione da parte del GI. dell'occultamento del capitale finanziato, posta in essere nei modi sopra indicati, ad avviso del primo Giudice si traduceva in un rilevante contributo dato dall'imputato all'alterazione della veridicità dei flussi informativi indirizzati all'autorità di vigilanza. In particolare tre episodi, secondo il tribunale, evidenziavano quella che in sentenza (cfr. pag. 647) veniva definita come la * pervicace condotta di Em.Gi. tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delle autorità di vigilanza ovvero della società di revisione": - la vicenda del private banker An.Vi., oggetto di una segnalazione da parte dell'avv. Es. che aveva a sua volta dato luogo ad accertamenti effettuati dall'audit, il cui responsabile Ma.Bo. (sentito come teste in dibattimento) aveva consegnato il 4.9.2014 il relativo report al direttore generale So., che dapprima assumeva un atteggiamento dilatorio salvo poi, pressato dal Bo., convocare il GI. nel gennaio 2015 e consegnargli il report dell'audit; di quest'ultimo, secondo il teste Co.Tu., il GI. aveva detto allo stesso Tu. - il quale pure aveva avuto in visione il report - che non avrebbe dovuto parlare con nessuno; s l'episodio della società di revisione K. (ricostruito all'udienza del 19.12.2019 dal teste Vi.An., partner di detta società; allo stesso episodio aveva altresì fatto riferimento l'avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., ricordando di essere stata zittita in malo modo tanto dal direttore generale So. quanto dal responsabile della Divisione Finanza PI. quando aveva cercato di sollecitare un audit su ciò che era stato riscontrato dalla società di revisione); per la precisione K. aveva, nel corso del suo controllo, individuato 17 posizioni a suo avviso sospette a causa della sostanziale coincidenza tra il valore delle azioni sottoscritte e l'utilizzo dei fidi concessi nonché a causa della vicinanza temporale tra la concessione del finanziamento e la data di acquisto delle azioni; il teste An. aveva dapprima informato il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio, Ma.Pe., e il collegio sindacale; indi, unitamente al PE., aveva presentato l'elenco delle 17 posizioni al direttore generale So. che lo aveva indirizzato al GI.; questi aveva rassicurato l'An. di K. circa la regolarità delle operazioni, l'assenza di criticità, il' rispetto del merito creditizio, l'assenza di correlazioni tra gli acquisti delle azioni e le erogazioni dei finanziamenti; tuttavia K. aveva insistito per ottenere un parere favorevole della direzione affari legali della banca (parere che l'avv. Pa. non riteneva di poter rilasciare), sicché si era giunti a un compromesso - secondo quanto riferito dalla stessa teste Pa. - basato sull'invio a K. di una lettera interlocutoria (elaborata con il contributo anche del GI. che aveva insistito per evidenziare in essa il rispetto del requisito del merito creditizio) contenente l'impegno a svolgere le operazioni necessarie per chiarire le operazioni segnalate; - le modalità di interlocuzione tenute dal GI. con la squadra ispettiva della BCE nel 2015, allorquando l'ispettore Gi.Ma., sentito come teste, aveva cercato di instaurare un contraddittorio preliminare con i vertici aziendali su poco meno di una cinquantina di posizioni già emerse, durante l'ispezione, come connotate dal compimento di operazioni correlate. Secondo quanto riferito dal teste Ma. il GI., nell'incontro con lui avuto il 12.5.2015 (presente anche il teste Al.Ba., la cui agenda conteneva al riguardo appunti idonei a riscontrare appieno il teste Ma.) aveva escluso trattarsi di operazioni correlate, ribadendo all'ispettore che tutti i finanziamenti erano giustificati dal merito creditizio; il GI. aveva anche preso parte alla predisposizione, sempre in relazione a quella cinquantina di posizioni emerse come critiche, di schede da consegnare all'ispettore Ma., il quale però le aveva giudicate inadeguate e insufficienti (analoga valutazione delle schede era stata previamente compiuta dal teste Ma.Bo., responsabile dell'audit). Indi il tribunale passava in rassegna le risultanze istruttorie - indicate in sentenza come plurime e convergenti (fra esse si citavano le deposizioni dei testi Gi.Ca., capo area; Gi.Gi., direttore regionale; Ma.Ni., capo area, Al.Cu., capo area, ed altri ancora) - circa il ruolo svolto dai GI. nell'azione di coordinamento e impulso della rete commerciale tesa a promuovere la stipula, a ritmi sempre più incalzanti, di operazioni correlate. Il primo Giudice evidenziava altresì come il GI. risultasse avere personalmente sottoscritto 16 - per un totale di 80 milioni di euro - fra le 65 lettere B. di impegno al riacquisto delle proprie azioni (tali lettere - in alcuni casi particolarmente impegnative per la banca - avevano l'evidente funzione di rassicurare i soci) consegnate alla squadra ispettiva BCE nella primavera del 2015. Sul punto la sentenza dava ampio risalto, in particolare, alla deposizione del teste Co.Tu. e a quella del teste Lo.Be., capo area. Sempre sul tema delle lettere di impegno il primo giudice indicava come particolarmente significativa, riportandone il contenuto (leggibile a pag. 95 della relativa perizia), la trascrizione della conversazione telefonica n. progr. 359 dell'1.9.2015 intercorsa tra il GI. e il sindaco La.Pi.. Sulle lettere di impegno il tribunale citava altresì - più avanti nel tessuto motivazionale della sentenza: cfr. sue pagg. 671-672 - il contenuto della deposizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'Internal audit, nella parte in cui riferiva di un incontro tenutosi con l'avv. An.Ge. - col quale il d.g. So. voleva concordare una linea difensiva - il 24.4,2015 a Vicenza (presenti, oltre allo stesso Bo. e al So., l'imputato GI. per la Divisione Mercati nonché An.Pi. per la Divisione Finanza, Ma.Pe. per la Divisione Pianificazione e Bilancio, l'avv. An.Pa. dell'ufficio legale e altri ancora); in tale occasione era stato proprio il GI. a parlare espressamente delle lettere di impegno dicendo che erano una ventina (in realtà, come detto, ne emersero oltre il triplo di cui 16 sottoscritte dallo stesso GI.), ammettendo di averne sottoscritte alcune e precisando che la situazione era grave, avendo ormai il fenomeno dei finanziamenti correlati raggiunto dimensioni rilevanti che avrebbero messo in crisi la banca. Il collegio vicentino passava indi ad esaminare le risultanze istruttorie (in particolare le deposizioni dei testi Gi.Ca., Co.Tu., Lu.Ve., nonché la e-mail - doc. 755 del P.M. - inviata il 29.9.2014 da Vi.Ga. al GI.) inerenti al ruolo concretamente svolto dallo stesso GI. nell'attuazione degli storni di interessi. Il primo giudice evidenziava poi come talune fra le operazioni correlate - soprattutto le c.d. big ticket, ossia quelle più importanti per rilevanza ed entità - vedessero un diretto coinvolgimento del GI. in prima persona nella loro conduzione (unitamente al direttore generale So.: i due si recavano appositamente in visita congiunta ai clienti - per lo più imprenditori - maggiormente patrimonializzati), menzionando le evidenze probatorie raccolte al riguardo e in particolare le deposizioni rese dai testi, fra cui Ro.Ri. (gestore private della filiale di Contrà Porti), Tr.Lo. (cliente), Gi.Ra. (cliente), Luca Fe.ni (cliente), Sa.Bu. (cliente), Lu.Mo. (cliente), Gi.Ro. (cliente), Pi.Ca. (cliente) e altri. Indi il tribunale passava in rassegna le deposizioni rese da parecchi testi (Di.Ip., Ma.Ni., Lu.Ve., Fu.Bo.) - fra i quali molti capi area ma anche due private banker come An.Vi. e Fr.Te., dimessisi entrambi, a loro dire, proprio a causa delle pressioni ricevute - dalle quali emergevano, a suo avviso, le sistematiche pressioni esercitate non soltanto dal direttore generale So. ma anche dall'imputato GI. sulla rete commerciale - a partire dal 2012 - affinché fossero raggiunti gli obiettivi di raccolta del capitale prefissati. L'effettivo esercizio di tali pressioni - proseguivano i giudici vicentini - trovava comunque plurimi riscontri documentali, in particolare nelle produzioni di cui ai docc. nn. 22, 91-95, 298, 657, 660 del P.M.. Altro elemento probatorio di pregnante rilevanza a carico del GI., secondo il primo giudice, era rappresentato dalla trascrizione del file audio corrispondente alla registrazione dì quanto detto nell'ambito del Comitato di Direzione tenutosi il 10.11.2014, al quale il GI. aveva preso parte unitamente al direttore generale So. e agli altri immediati suoi sottoposti. Ampi stralci di tale trascrizione sono riportati alle pagg. 666-667 della gravata sentenza. In particolare il direttore generale So., alla pag. 34 della trascrizione, dichiarava fra l'altro agli astanti che la banca aveva "fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare ... Noi dobbiamo selezionare molto di più i nostri impieghi (...). Non possiamo smontarli perché ci sono azioni dietro, ma non possiamo neanche tenerci questo popò di problema. Quindi dobbiamo risolvere il problema delle azioni appiccicate a questi e poi andiamo a vedere nominativo per nominativo (...)". Alla pag. 27 della trascrizione il responsabile della Divisione Finanza, An.Pi., parlava della necessità di collocare 27 milioni residui di azioni detenute dai fondi esteri trovando qualcuno che le compra a sconto"; il GI. gli replicava prospettando un possibile scambio con (...) (già (...)) che deteneva a sua volta titoli di (...) Banca. Alla pag. 67 della trascrizione il GI. si rivolgeva al So. nei seguenti termini: "Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? (...)". Al riguardo il tribunale vicentino affermava che, a differenza di quanto sostenuto dagli imputati in dibattimento, non emergeva dalla trascrizione (e ancor meno dall'ascolto diretto del file audio) alcun disallineamento degli astanti rispetto alla posizione espressa dal direttore generale So., né era dato cogliere, per converso, alcuna supina subordinazione dei predetti alla volontà dello stesso So., trattandosi piuttosto di un dialogo ove ognuno dei presenti prospettava - alla pari - problemi e ipotesi di soluzione. Il primo giudice passava quindi a valutare il complesso delle affermazioni rese dall'imputato GI. in sede di esame dibattimentale, sostenendo che l'assunto di questi circa la sua non consapevolezza delle reali dimensioni quantitative del capitale finanziato era ampiamente smentito da varie convergenti emergenze probatorie fra le quali spiccavano, oltre al tenore della trascrizione del menzionato file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014, alcune produzioni documentali (segnatamente le tabelle di rendicontazione sub docc. nn. 272, 273, 274, 275 del Pubblico Ministero) e varie deposizioni testimoniali (tra cui quelle dei testi Ma.So., Co.Tu., Cl.Gi. e Ro.Pr., quest'ultimo responsabile della direzione private dall'ottobre 2014, ma anche le deposizioni dei testi Gi.Am. e Ma.Li.); veniva riportato al riguardo in sentenza anche il tenore della già sopra menzionata deposizione del teste Ma.Bo. - responsabile dell'Internal audit - in ordine ai contenuti dell'incontro con l'avv. An.Ge. tenutosi in data 24.4.2015. Il tribunale - dopo avere illustrato alle pagg. 672-676 la versione resa dall'imputato GI. su vari argomenti (oltre al tema delle lettere di impegno anche quello degli storni di interessi, quello dell'episodio della società di revisione K., quello dei propri rapporti con il d.g. So. del quale eseguiva le direttive, quello delle pesanti pressioni provenienti a suo dire dallo stesso So. e dal CdA della banca e rivolte a sé come a tutti gli altri manager, sempre a suo dire tutti coinvolti, senza esclusione di alcuno, nella vicenda delle operazioni correlate) - riteneva tale versione smentita, tanto sulla piena consapevolezza dell'illegittimità delle svolte operazioni correlate (che il GI. - a suo dire - pensava fossero invece legittime, specie dopo che l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 non aveva mosso rilievi circa l'operatività dell'art. 2358 c.c.) quanto sul loro occultamento al mercato e alla vigilanza, da una serie di risultanze probatorie di segno contrario, così sunteggiate dai giudici vicentini: - il divieto di dare indicazioni scritte, l'utilizzo della P.E.F. generica, lo scostamento temporale tra delibera di fido e acquisto delle azioni; le indicazioni date di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche titoli diversi dalle azioni di B.; - l'inserimento nelle delibere autorizzale e nei documenti di offerta - in occasione dei miniaucap 2013 e 2014 - del richiamo al rispetto dei limiti di cui all'art 2358 c.c.; - l'omesso riferimento, nel corso dei colloqui con gli ispettori Vi.Ca. (AQR - Asset Quality Review) e Gi.Ma. (BCE), tanto al capitale finanziato quanto, in alternativa, agli esiti - di presunta rassicurazione circa l'inapplicabilità a B. dell'art. 2358 c.c. - dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012; - la valenza dei tre episodi relativi alle vicende del private banker An.Vi., della società di revisione K. e delle schede consegnate all'ispettore Ma.. Il primo giudice escludeva altresì la fondatezza dell'assunto del GI. circa il suo essere convinto che lo scorporo delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza avesse avuto luogo, definendolo come una "tesi (...) assolutamente inverosimile; è evidente che lo scopo delle operazioni finanziate era quello di dissimulare riliquidità del titolo, in ipotesi di corretta appostazione delle stesse esse sarebbero state inutili" (cfr. pag. 677 sentenza gravata). Non poteva avere infine alcuna valenza scriminante, secondo il tribunale, la necessità, dedotta dal GI., di dare esecuzione a direttive impartitegli dal CdA e/o dal direttore generale So., tenuto conto della sua veste di dirigente apicale membro della struttura esecutiva e investito ex lege di dirette responsabilità di gestione. 1.9.3 Ma.Pa. Con riferimento a Ma.Pa. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Crediti (della quale egli era stato il responsabile dal giugno 2010 sino al dicembre 2014, il che lo rendeva membro di diritto del Comitato Centrale Fidi e del Comitato Crediti) oltre a rivestire in B., a far tempo dal 18 ottobre 2011, anche il ruolo di vice direttore generale; citava a tal proposito la relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia nonché (con apparente riguardo alla sola gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati) il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale n. 262 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Crediti erano così descritte dal tribunale: - assicurare, in materia di erogazione del credito, il rispetto delle norme e disposizioni dell'Organo di Vigilanza, dello statuto nonché delle delibere degli organi superiori; - garantire l'analisi e la valutazione degli affidamenti secondo quanto previsto dalla normativa interna, nonché il loro perfezionamento e quello delle relative garanzie; - verificare la regolarità dell'iter di delibera delle concessioni di credito, nei limiti delle facoltà delegate, avvalendosi dell'attività delle strutture preposte che dipendevano dalla Divisione Crediti stessa; - presentare le proposte di finanziamento di competenza degli organi superiori, avvalendosi dell'attività della UO Analisi, anche alla luce dell'andamento del Gruppo e del settore economico di appartenenza; s garantire alla rete delle filiali un adeguato supporto di consulenza sulle tematiche di competenza, in particolare attraverso le strutture delle UO crediti di area e della U.O. Analisi; s assicurare la gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati. Nel far ciò il collegio vicentino affermava più in generale che "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito, compreso il rispetto della normativa in materia, sia di fonte "esterna" (norme e disposizioni delie Autorità di vigilanza) sia di fonte "interna"(statuto e delibere degli organi sovraordinati). In particolare, oltre a curare, per quanto di competenza, la fase di analisi e valutazione degli affidamenti, la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (e delle relative garanzie) e di gestione dell'anagrafe generale (...). In ogni caso la Divisione Crediti era chiamata a stabilire - sulla base degli indirizzi dei CdA e della Direzione Generale e per quanto di competenza - le politiche di gestione del credito" (cfr. pagg. 678-679 sentenza gravata). Nondimeno - proseguiva il tribunale - nel suo esame dibattimentale del "13.6.2013" (rectius 13.6.2019) il teste Cl.Gi., indicato in tale passo della sentenza impugnata come capo area di Vicenza, aveva dettagliatamente spiegato che la struttura dei Crediti era articolata su base territoriale: vi erano una funzione crediti dedicata in capo a ogni singolo capo area e una funzione crediti in capo alla direzione regionale; ciascuna direzione regionale a sua volta coordinava le proprie quattro aree di riferimento; entro certi limiti tali strutture decentrate godevano anche di una potestà deliberativa autonoma, di talché il processo di elaborazione del credito era definito in autonomia quanto agli aspetti relativi all'analisi e alla definizione della delibera; solo se esso eccedeva la potestà deliberativa si faceva luogo a una mera verifica di adeguatezza della proposta che la struttura decentrata inviava alla Divisione Crediti, deputata in quel caso a valutare in autonomia la relativa pratica. Ciò premesso il tribunale affermava che la svolta istruttoria dibattimentale consentiva dì ritenere univocamente provata la penale responsabilità dell'imputato, dimostratosi pienamente consapevole di tutte le condotte di reato ascrittegli. Premetteva al riguardo il collegio che, a detta del teste Em.Ga. (responsabile del team ispettivo che aveva operato nei confronti di B. nell'anno 2015), l'analisi delle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) condotta in sede ispettiva ne aveva subito evidenziato l'assenza di garanzie nonché l'estrema genericità e ripetitività delle causali indicate (le quali per lo più utilizzavano espressioni come cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare o immobiliare), il che era indice di sospettosità dal momento che in genere una banca, in caso di erogazione di fidi destinati ad acquisti di strumenti finanziari, era ben informata su quale tipologia di strumento finanziario il cliente desiderasse acquistare, su quali ne fossero le caratteristiche principali di rischio e su quali beni fossero costituiti in garanzia (essi corrispondevano per lo più agli stessi strumenti finanziari acquistati o ad altri di valore equivalente). Affermava il primo giudice che la svolta istruttoria aveva evidenziato in capo a Pa.Ma. un ruolo di centralità nel garantire che la rete si uniformasse all'istruzione operativa di utilizzare, nelle P.E.F. aventi ad oggetto capitale finanziato, la sopra evidenziata causale improntata a una formula generica e di stile (dal tribunale indicata come "causale sentinella" proprio in quanto consentiva di rendere immediatamente riconoscibile ai diversi addetti l'effettiva finalità dell'operazione di finanziamento). Il collegio giudicante citava al riguardo le deposizioni rese da vari testi. Quanto alla genesi della ed. "causale generica sentinella" il primo giudice evidenziava quanto segue: il capo area Gi.Ca. affermava che l'uso della causale generica gli era stato consigliato dai suoi superiori Ro.Pr., Lu.Ve. e Gi.Gi.; il capo area Lu.Ve. affermava che l'uso della causale generica era stato raccomandato da una direttiva di area illustrata nelle riunioni, probabilmente ad opera del responsabile della Divisione Mercati Em.Gi., ma che la Direzione Crediti ne era a sua volta a conoscenza tanto che in un'occasione egli aveva parlato direttamente con Pa.Ma. - e in maniera esplicita - dell'effettiva natura di un'operazione di finanziamento che andava a perfezionarsi con il titolare di un noto pastificio; il capo area Ma.Ni. indicava Cl.Gi. ed Em.Gi. come i soggetti dai quali proveniva l'indicazione di usare la causale generica aggiungendo che comunque la Divisione Crediti sapeva che un'operazione connotata da siffatta causale era un'operazione correlata all'acquisto di azioni della banca (in alcuni casi gli analisti della Divisione Crediti avevano anche chiesto al capo area di confermare che l'operazione fosse "baciata"); il capo area En.Da. ricordava che in alcune occasioni il direttore di filiale non aveva inserito la causale indicata (al che - a suo dire - l'Ufficio Crediti aveva restituito la pratica per il cambio della causale); il capo area e indi direttore regionale Cl.Gi. affermava di avere parlato - in alcune occasioni - di finanziamenti correlati con la Divisione Crediti e precisamente con il suo responsabile Pa.Ma. (la formula generica era stata a suo dire suggerita forse da Em.Gi. o forse da Co.Tu., funzionario in staff alla Divisione Mercati), fermo restando che - sempre a detta del Gi. - in alcune occasioni lo stesso Comitato Crediti, al quale partecipavano i direttori regionali, aveva deliberato operazioni di finanziamento in tutto o in parte correlate; il capo area e indi direttore regionale Al.Ca. (escusso ex art 210 c.p.p.) aveva attribuito - a seguito di contestazione - al MA. l'indicazione, data nel corso di alcune riunioni operative, di utilizzare la causale generica; anche secondo il teste Co.Tu. l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data dal MA., e ciò ancora alla fine dell'anno 2012 (secondo il teste Tu. il MA. aveva dato tale consiglio "perché questo tipo di operazioni era borderline e poteva destare l'attenzione della CONSOB e della Banca d'Italia"); il teste Gi.Am., responsabile nel periodo 2013-2014 della divisione retail, affermava che l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data da Em.Gi. ma era stata ripresa e ribadita anche da Pa.Ma., il quale - sempre a detta del teste Am. - aveva altresì respinto alcune pratiche in cui era indicata in modo esplicito la destinazione del finanziamento all'acquisto delle azioni di B.. Quanto poi all'altro espediente emerso durante l'istruttoria dibattimentale, ossia la precauzione di mantenere - per prevenire eventuali sospetti - una qual certa sfasatura temporale tra l'erogazione del fido e l'acquisto delle azioni B., il teste Co.Tu. affermava che il consiglio di far intercorrere un lasso di tempo alquanto lungo tra la delibera di affidamento, la sottoscrizione delle azioni e l'addebito sul conto era venuto da Ma.Pa. (peraltro nel corso del controesame il teste Tu. aveva dichiarato che lo scopo dell'indicazione di mantenere una sfasatura temporale non era quello di occultare l'effettiva finalità del finanziamento bensì, "principalmente", quello di evitare sconfinamenti sul c/c); il teste Lu.Ve. ricordava che la raccomandazione di far rispettare la sfasatura temporale era stata del GI., il quale aveva comunque precisato trattarsi di una linea operativa concordata con la Divisione Crediti. A memoria del teste En.Da. il consiglio di osservare la sfasatura temporale era venuto - benché di fatto i fidi non venissero gestiti dalla loro divisione di appartenenza che era la Divisione Mercati - da Em.Gi. e Co.Tu., i quali a loro volta dissero che ciò era stato specificamente concordato con la Divisione Crediti; sempre il teste capo area Da. ricordava che il MA. in una o due occasioni lo aveva contattato per operazioni correlate ove il teste stesso aveva mandato contestualmente alla Divisione Crediti sia la pratica di finanziamento sia il modulo già compilato di acquisto delle azioni, restituendogli tali pratiche con il seguente rimprovero: "non voglio vedere queste cose qua, mandi la pratica in maniera corretta e le azioni le acquisti quando la pratica è stata deliberata". Il teste Se.Ro., dell'Ufficio Soci, affermava che, a seguito dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012, il direttore generale So. e i vicedirettori GI. e MA. avevano raccomandato alla rete di fare in modo che la data di acquisto delle azioni fosse successiva alla data di delibera dei finanziamenti, ma ciò solo per evitare - a suo dire - sconfinamenti sul c/c. Il primo giudice affermava che vi era anche una prova documentale -rappresentata dal sopra illustrato file audio della registrazione dello svolgimento del Comitato di Direzione dd. 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.) - del fatto che la linea di indirizzo in tema di rispetto della sfasatura temporale nelle operazioni "baciate" fosse stata concordata con la Divisione Crediti diretta da Pa.Ma.; ne riportava al riguardo (cfr. pagg. 685-686 sentenza gravata) un lungo stralcio - a suo dire particolarmente eloquente - relativo a un dialogo tra lo stesso MA. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.. Il tribunale procedeva quindi a illustrare la ed. "campagna riqualificazione impieghi", deliberata dal CdA il 21.10.2014 (giusta doc. nr. 102 del P.M.) e presentata al Consiglio proprio da Pa.Ma.; trattavasi di un'iniziativa finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate - in sede di rinnovo o di revisione degli affidamenti - in base al peso percentuale delle azioni B. detenute dal cliente. Il primo giudice, sempre al fine dì illustrare il ritenuto protagonismo della posizione rivestita da Pa.Ma. nell'attuazione delle operazioni correlate, ricordava un episodio narrato da Um.Se., già direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu.: dalla capogruppo B. era giunta (su indicazione di Em.Gi. e Co.Tu. della Divisione Mercati, condivisa dalla Divisione Crediti nella persona di Pa.Ma.) una lista di nominativi ai quali la stessa Ba.Nu. avrebbe dovuto concedere affidamenti accompagnati dall'acquisto di azioni B. per un controvalore pari al 10-15-20% dell'intero affidamento; il teste Se., notando che alcuni dei nomi compresi nell'elenco corrispondevano a società sottoposte a procedura concorsuale, aveva parlato con Cl.Am. - della Divisione Crediti di B., subalterno del MA. - per chiedere spiegazioni; l'Am., dopo aver conferito con il suo superiore Pa.Ma., aveva replicato che Ba.Nu. doveva limitarsi a eseguire le direttive senza discuterle e che un tanto gli era stato detto dal MA.: "Guarda, il dottor Ma. mi ha urlato e mi ha detto che questa cosa la dovete fare. Punto e basta". Il collegio vicentino passava quindi ad illustrare gli estremi di una operazione correlata di finanziamento proposta personalmente nell'ottobre 2012 da Pa.Ma. a un imprenditore da lui conosciuto nel 2007 (quindi tre anni prima di entrare in B.), ossia Ez.Ci. del gruppo (...), del quale veniva acquisito in dibattimento ex art. 493 comma 3 c.p.p. il verbale delle s.i.t. rese il 24.10.2016. Il Ci. aveva dichiarato a s.i.t. che nell'occasione il MA. si era presentato a lui proponendogli di sottoscrivere azioni B. per complessivi 5 milioni di euro; alle perplessità del Ci., che aveva risposto di non disporre delle risorse a ciò necessarie. Il MA. aveva a sua volta replicato che B. avrebbe erogato un finanziamento di pari importo, a termine con scadenza di un anno, destinato ad essere garantito dalle stesse azioni B. che poi sarebbero state tenute in custodia dalla banca. Il Ci. si era risolto ad accettare la proposta dopo che MA. lo aveva rassicurato dicendogli che operazioni analoghe erano del tutto lecite ed erano state proposte anche ad altri imprenditori (da lui non nominati trattandosi a suo dire di notizia riservata); a ottobre 2013 detta operazione era stata rinnovata annualmente e così pure l'anno seguente. Nel maggio-giugno del 2013 B. aveva proposto al Ci. di partecipare all'aumento di capitale di quell'anno, il che anche in tal caso era avvenuto grazie a un finanziamento concessogli dalla stessa B.. Un pieno riscontro alle s.i.t. del Ci. era rappresentato - ad avviso del tribunale - dalla deposizione del teste Fr.Pi., capo area del distretto Veneto occidentale (indicato al Ci., nel racconto di questi, dal MA. come colui che avrebbe seguito la sua pratica, e così era stato). Il primo giudice individuava ulteriori elementi probatori del coinvolgimento a pieno titolo di Pa.Ma. nelle operazioni correlate effettuate da B. mediante c.d. "baciate" nelle deposizioni dei testi Gi.Gi., in B. con il ruolo di direttore regionale di Lombardia, Liguria e Piemonte (secondo il quale le pratiche di fido relative a operazioni "baciate" erano preannunciate alla Divisione Crediti e condivìse con i componenti di essa incluso il suo vertice MA., il quale partecipava altresì al comitato crediti ove pure veniva sempre evidenziata - dai componenti la Divisione Crediti che vi partecipavano - l'eventuale natura "baciata" delle pratiche di fido ivi presentate), e Fu.Bo., capo area (che rendeva sul punto dichiarazioni di analogo tenore), nonché in alcuni messaggi sms (in particolare il doc. nr, 653 del Pubblico Ministero, relativo a un sms del 27.9.2011, e il suo doc. nr. 655, relativo a un sms del 26.10.2012) nei quali il MA. ricordava al direttore generale So. di riferire al Presidente circa alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato, indicandogli nominativamente i soggetti suscettibili di essere finanziati - effettivamente risultati tali in seguito - nonché, in molti casi, il relativo importo). Ulteriore elemento probatorio indicato dal primo giudice a carico del MA. erano le risultanze degli accertamenti interni svolti dall'audit di B. sul capitale finanziato, in particolare la nota 7.5.2015 dell'Internaf audit (doc. nr. 23 del Pubblico Ministero) nella quale si evidenziava tra l'altro come la maggior parte delle numerose posizioni correlate rinvenute nel portafoglio di Ro.Ri., gestore private della filiale di Contrà Porti, fossero state deliberate da organi collegiali su presentazione proprio di Pa.Ma. (87%) oppure fossero state deliberate dallo stesso responsabile della Divisione Crediti. Il collegio vicentino passava quindi a ricostruire le interlocuzioni avute dal MA. con la vigilanza, rinviando - quanto a quelle inerenti all'ispezione della Banca d'Italia del 2012 - all'apposito cap. IX della sentenza, interamente dedicato a tale ispezione. In particolare tanto il teste Ma.Pa. (nel riferire di due incontri interlocutori da lui condotti cui aveva partecipato il MA. nel luglio 2013, il primo assieme al segretario generale Ma.So. e il secondo assieme al direttore generale Sa.So.) quar°z(il teste Vi.Ca. (nel riferire dell'accesso da lui condotto da febbraio ad agosto 2014 nell'ambito dell'AQR - Asset Quality Review, ove si era stabilmente relazionato con il MA.) precisavano che in tali occasioni nessuno aveva fatto il benché minimo riferimento al ricorso all'assistenza finanziaria per il collocamento delle azioni. Il primo giudice indi illustrava la versione dell'imputato, resa in occasione dell'esame dibattimentale tenutosi nelle udienze dell'11 e del 16 giugno 2020, evidenziando come essa da un lato fosse difforme dalle stesse dichiarazioni rese dal MA. in sede di indagini preliminari (interrogatori del 28 aprile e del 2 maggio 2017) e dall'altro lato configgesse in più punti - ad esempio nella parte in cui egli affermava che la causale generica "acquisto valori mobiliari e immobiliari", in uso almeno dal 2006, fosse un mero espediente tecnico per garantire il perfezionamento del fido in quanto, a suo dire, non esisteva il prodotto "finanziamento per acquisto azioni", o nella parte in cui egli affermava di non essere mai stato informato del fatto che i finanziamenti fossero destinati all'acquisto delle azioni - con il sopra delineato quadro probatorio. Il primo giudice evidenziava come l'esame dibattimentale del MA. divergesse radicalmente dai suoi interrogatori resi in sede dì indagine preliminare, in particolare dall'interrogatorio del 28.4,2017 in relazione alla vicenda dell'Operazione Sorgente (in tesi accusatoria si trattava di un'operazione "baciata" attraverso la quale la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato un finanziamento di 25 milioni di euro alla società So. Ltd., facente parte del gruppo Mainetti, che era stato utilizzato per acquisto di azioni B. al fine di consentirne la dismissione dal fondo estero "(...)"). In sede di esame dibattimentale il MA. negava trattarsi di operazione correlata mentre durante le indagini preliminari l'aveva definita "un'operazione baciata imposta da PI. al So. (...) Sono venuto a conoscenza di questa operazione con la proposta di affidamento giunta in Divisione Crediti. Ho compreso che si trattava di un'operazione baciata in quanto la causale dell'affidamento era indicata con la generica dicitura di cui ho detto prima, "cogliere opportunità di mercato" o analoghe, e inoltre vi era l'impegno al deposito dei titoli presso B.". Che la versione rispondente al vero fosse quella resa dal MA. in sede di indagini preliminari - proseguiva il tribunale - lo si evinceva da due elementi di prova rappresentati dal più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014 (nella trascrizione prodotta dal Pubblico Ministero quale suo doc. nr. 110, cfr. ieri particolare sua pag. 43) e da una conversazione intercettata Io.-Ma. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. Il tribunale evidenziava altresì come un ulteriore assunto del MA. - secondo cui egli e il suo sottoposto Cl.Am. avevano disvelato agli ispettori della Banca d'Italia nel 2012 il carattere correlato delle operazioni effettuate da almeno una quindicina circa dei clienti dì cui alla lista dei primi trenta soci di B. - fosse stato smentito dalle deposizioni dei predetti ispettori (che avevano concordemente negato la circostanza) e non avesse trovato il benché minimo riscontro in atti. Né - significativamente, secondo il collegio vicentino - il MA., soggetto da ritenersi nel complesso del tutto inattendibile, aveva mai accennato a tale preteso disvelamento neppure nei suoi atti giudiziari relativi alle cause di lavoro e all'azione di responsabilità dinanzi al tribunale delle imprese. Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono il primo giudice riteneva indubitabili il rilevante apporto causale concorsuale del MA. a tutti i reati ascrittigli (in base alla tabella n. 1 allegata al supplemento di consulenza tecnica del Pubblico Ministero dd. 14.11.2019 egli risultava avere partecipato consapevolmente alla fase deliberativa di finanziamenti correlati per un importo di circa 800 milioni di euro, di cui 414 milioni deliberati dal CdA su pratiche presentate dall'imputato, 160 milioni deliberati dal Comitato Crediti di cui il MA. era membro, 108 milioni deliberati dallo stesso MA. quale organo monocratico dotato di autonoma potestà deliberativa, 63 e 49 milioni rispettivamente deliberati dal Comitato esecutivo e dal Comitato Centrale fidi, anche in tal caso sulla base della presentazione di pratiche effettuata dal MA.) e il pieno ricorrere dell'elemento soggettivo del reato. 1.9.4 Pi.An. Con riferimento all'imputato Pi.An. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Finanza (nella quale egli operava con tale qualifica dal 2009 oltre a rivestire in B. anche il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale nr. 261 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Finanza erano così descritte dal tribunale: - partecipare al coordinamento e allo sviluppo delle attività del mercato primario e secondario su comparti azionari e obbligazionari: - curare l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi e l'emissione dei prestiti obbligazionari del gruppo, coordinandosi con le Unità competenti; - collaborare con la Divisione Mercati nell'adeguare i prodotti e i servizi finanziari da offrire alla clientela, sulla base delle esigenze/opportunità rilevate, tenendo conto delle linee guida definite dal Comitato Prodotti e Wealth Management; s all'interno della Divisione Finanza poi il nucleo "Documentation" si occupava di valutare l'adeguatezza e l'allineamento degli strumenti finanziari e dei processi alla normativa primaria (TUF, TUB, Regolamenti CONSOB e Banca d'Italia) e secondaria nonché alla normativa interna nella prestazione dei servizi d'investimento o comunque nello svolgimento dell'attività della Divisione Finanza, con precipuo riferimento alla materia dei servizi di investimento, supportando la divisione nei rapporti con le funzioni di compliance, legale, auditing e organizzativa; - l'Unità svolgeva inoltre un ruolo di supporto alle funzioni responsabili del processo di gestione delle informative da fornire alla clientela prima della negoziazione di strumenti finanziari, in conformità al dettato dell'art, 31 del Regolamento intermediari, nelle fasi di aggiornamento delle stesse; - partecipazione, per la parte di competenza della Divisione Finanza, alla redazione della relazione per le Autorità di vigilanza sulle procedure di svolgimento dei servizi di investimento; s assicurare l'informativa e le segnalazioni istituzionali di propria competenza, coordinandosi con le Unità competenti. Il primo giudice affermava (cfr. pag. 703 sentenza gravata) che dall'istruttoria dibattimentale era emersa "la prova del ruolo svolto da An.Pi. in alcune operazioni di capitale finanziato di rilevante importo effettuate attraverso la controllata irlandese B.Fi. e nella sottoscrizione dei fondi lussemburghesi utilizzati come strumento di detenzione indiretta delle azioni proprie da parte della banca vicentina, in particolare - attraverso i fondi esteri - nell'ambito dell'iniziativa svuota fondo 2012 furono collocati 60 milioni di euro di azioni B.". Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il collegio vicentino individuava plurime condotte ritenute penalmente rilevanti a carico del PI. e in particolare: - operazioni di capitale finanziato effettuate, estero su estero, dalle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" - tre società denominate Ma., Ju. e Br. - tanto nel 2012 (in occasione della relativa campagna svuota fondo) quanto nel 2013 (in occasione dell'aumento di capitale di quell'anno). Per la precisione - in base alla ricostruzione effettuata in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma., riscontrato dalle deposizioni rese dai testi Gi.Gi. (in B., come detto, con la veste di direttore regionale per Lombardia-Liguria-Piemonte) e Pi.Ra. (d.g. di B.Fi.) - nel novembre/dicembre 2012 la controllata irlandese B.Fi., il cui direttore era il teste Pi.Ra., risultava avere erogato tre fidi c.d. "bullet", di 10 milioni di euro l'uno, alle suddette società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali a loro volta avevano girato la liquidità cosi ricevuta a tre società italiane neocostituite e denominate Pe. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime (facenti capo al gruppo Fi., il cui direttore finanza era Ma.Sb.) avevano provveduto ad acquistare azioni B. per importi corrispondenti ai finanziamenti erogati. Indi, nel luglio 2013, la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato nuovi finanziamenti per 3 milioni di euro alle tre società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali anche in tale occasione avevano girato la liquidità così ricevuta alle tre società italiane denominate Pe.In. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime a loro volta avevano sottoscritto azioni e obbligazioni convertibili per un ammontare equivalente; i testi Gi. e Ra. avevano delineato il ruolo attivo dell'imputato PI. in entrambe le operazioni (la cui istruttoria era stata seguita dalla Divisione Crediti della capogruppo B.) e in particolare il teste Ra., direttore della controllata irlandese B.Fi., aveva indicato il PI. come colui che gli aveva richiesto di impostare i suddetti finanziamenti, affermando altresì essersi trattato di operazioni atipiche per B.Fi., la quale generalmente finanziava aziende produttrici dì beni e non concludeva operazioni strettamente finanziarie (cosa questa obiettata dal Ra. al PI., il quale tuttavia gli aveva replicato - nella prima delle due occasioni - che occorreva fare l'operazione "per aiutare la banca a comprare le proprie azioni" e riuscire così a svuotare il fondo acquisto azioni proprie entro la fine dell'anno 2012). Un altro teste, Gi.Fe., direttore della Divisione Compliance, ricordava che, nel corso di un'attività ispettiva svolta dalla Compliance a Dublino nel 2013 nei confronti di B.Fi., i finanziamenti concessi alle "tre sorelle" lussemburghesi erano emersi, il che lo aveva indotto a rivolgersi al direttore generale So. che a sua volta lo aveva indirizzato al PI.; questi aveva rassicurato il Fe. dicendogli che in quel periodo B. stava acquistando molte azioni (...) e che in contropartita la Save stava comprando azioni B.; s investimento della somma complessiva di 350 milioni di euro (di cui 200 milioni investiti dalla capogruppo B., 100 per ciascun fondo, e i restanti 150 milioni investiti dalla controllata irlandese B.Fi. in due fondi lussemburghesi denominati "(...)" e "(...)" (sotto-fondi (...) Multistrateqy I e II). utilizzati quale strumento di detenzione indiretta delle azioni di B. (per tale tramite nel 2012 erano state concluse operazioni c,d. "svuota fondo" - atte cioè ad alleggerire il fondo acquisto azioni proprie di B. - del valore di 60 milioni di euro). La delibera di investimento nei fondi in oggetto, adottata dal CdA di B. in data 21.2.2012 (in atti quale doc. n. 325 del Pubblico Ministero), era stata sottoscritta dal PI. quale responsabile della Divisione Finanza dopo che lo stesso aveva illustrato al CdA i termini dell'operazione, a sua volta in precedenza pianificata nel corso di una riunione tenutasi il 5.12,2011 tra Ma.So., Fi.Ro. e An.Pi. per B. e la coppia di rappresentanti del fondo "(...)" formata da Al.Ma. - sentito quale teste ex art, 507 c.p.p. su richiesta della difesa del PI. - e Gi.Ma.. Ciò risultava dalle deposizioni del teste ispettore Gi.Ma., dei testi Ma.So. e - soprattutto - Fi.Ro. nonché dai messaggi sms (in atti quale doc. nr. 311 del P.M.) intercorsi nel novembre 2012 - pochi giorni prima della sottoscrizione dei contratti con i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" avvenuta il 28.11.2012 - fra An.Pi. e i gestori dei fondi stessi. Subito dopo aver ricevuto tali capitali i due fondi "(...)" e "(...)" avevano comprato azioni B.. Secondo il tribunale vicentino il fatto che tale investimento di B. nei fondi lussemburghesi - lungi dall'indicare un interesse di questi ultimi a diventare soci della banca, come ammesso, secondo il teste Fi.Ro., anche dal direttore generale So. durante il comitato soci del 18.12.2012 - fosse stato puramente strumentale all'esigenza della stessa banca dì svuotare il proprio fondo acquisto azioni emergeva non soltanto dalla stretta consequenzialità temporale fra tutte le operazioni come sopra descritte ma altresì dalla deposizione dello stesso teste Fi.Ro. (facente parte dell'Ufficio Soci di B.), che ricordava di avere assistito al riguardo - nel novembre 2012 -a un breve incontro sul tema tra il direttore generale Sa.So., il responsabile della Divisione Mercati Em.Gi. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi. (nell'occasione il So., secondo la ricostruzione del teste Ro., aveva esposto la necessità di svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B. per un ammontare di 100 milioni di euro; il PI. si era Impegnato a effettuare operazioni "svuota fondo" per 60 milioni di euro e il GI. aveva assicurato che avrebbe fatto altrettanto per un valore di 40 milioni di euro). Sempre il teste Ro. affermava che, come preannunciatogli dall'imputato PI., egli era stato contattato poco prima della fine del 2012 dagli intermediari dei fondi (per il fondo "(...)" trattavasi del broker inglese Ma.Sp.; l'operazione sul piano amministrativo era stata gestita per Ma.Sp. da Ti.Ch., anch'egli sentito come teste); - di questi, gli investimenti nel sotto-fondo (...) Multistrategy II erano stati posti in essere, come sopra accennato, dalla controllata irlandese B.Fi.. Nel luglio 2013 il CdA della capogruppo B. aveva infatti ampliato il portafoglio di investimento della controllata irlandese B.Fi. portandolo dalla somma di 35 milioni a quella di 300 milioni di euro, dei quali 150 milioni erano stati dalla stessa controllata investiti, nei due mesi seguenti, nel sotto-fondo (...) Multistrategy II in due tranche rispettivamente da 100 e da 50 milioni di euro; tale investimento era avvenuto - in base alla deposizione del teste Pietro Ra., direttore di B.Fi. - su precisa indicazione di An.Pi., il quale, sempre a detta del Ra. (che evidenziava altresì l'anomalia dell'ingente importo degli investimenti in un singolo fondo rispetto a quanto era usuale per B.Fi. nonché l'anomalia relativa alla non visibilità dei sottostanti), aveva messo quest'ultimo in contatto con Gi.St. (membro del CdA di (...) Evolution Fund SIF e funzionario senior di (...) Asset Management), soggetto che - citato a deporre quale teste dalla difesa del PI. nel presente procedimento con le garanzie ex art. 210 c.p.p. in quanto indagato per reato connesso di bancarotta fraudolenta a seguito della dichiarazione di insolvenza di B. - si era avvalso della facoltà di non rispondere. Dal canto suo il teste Pi.Ra. - che aveva evidenziato una progressivamente crescente ingerenza di B. nell'autonomia gestionale di B.Fi. - affermava di essere stato rassicurato dal PI. circa le sue perplessità e preoccupazioni derivanti dalle anomalie come sopra illustrate. Le articolate modalità della successiva dismissione (avvenuta nel corso del 2014, in parte mediante operazione di equity swap in compenso tra azioni B. e azioni Veneto Banca) delle azioni B. detenute dai fondi esteri in oggetto venivano illustrate dal collegio vicentino alle pagg. 712-713 della gravata sentenza (la dismissione, accertata in sede ispettiva, era riscontrata - al pari del ruolo svolto in essa da An.Pi. - anche dalle dichiarazioni del teste Ro.Ri., gestore private della filiale B. di Contrà Porti); s operazione correlata di finanziamento effettuata in favore della società So. Ltd. (appartenente al gruppo MainettO attraverso la controllata irlandese B.Fi., che le aveva erogato un fido c.d. "bullet" per un importo di circa 25 milioni di euro. Con tale liquidità la So. Ltd. a sua volta aveva acquistato, nel dicembre 2014, 13,5 milioni dì euro di azioni B. dal fondo "(...)" di milioni di euro di azioni B. dal fondo "(...)". Il tutto emergeva dall'ispezione BCE del 2015 e anche in questo caso - osservava il primo giudice - il ruolo centrale nell'organizzazione della relativa operazione era stato rivestito da An.Pi., secondo quanto dichiarato in sede dibattimentale dai testi Pi.Ra. - direttore della controllata irlandese B.Fi. - e Wa.Ma., amministratore delegato del gruppo So. (quest'ultimo precisava che era stato il PI. a proporgli un finanziamento di 25 milioni di euro "siccome dobbiamo collocare un po' delle nostre azioni" e affermava che, vinta la propria iniziale perplessità, alla fine aveva accettato); un solido riscontro a tali deposizioni - e non solo ad esse ma altresì, ad esempio, al coinvolgimento del PI. nella decisione della banca di ricorrere alle lettere di impegno nonché al suo attivarsi per reperire una soluzione atta a consentire la dismissione delle azioni B. detenute dai fondi - era individuato dal primo giudice nel più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione tenutosi in data 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.); un ulteriore riscontro veniva individuato nella conversazione intercettata Io./MA. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. A tutto ciò si aggiungeva la deposizione resa da Al.Ma. - fondatore di (...) Asset Management - il quale, sentito come teste ex art, 507 c.p.p., su richiesta della difesa del PI., confermava che i fondi (...) Multistrategy I e II erano stati costituiti nell'interesse esclusivo di B. quale unico investitore del fondo. Il tribunale vicentino proseguiva la propria disamina indicando come dimostrati anche gli investimenti, operati dai fondi esteri in questione, su indicazione del PI., in obbligazioni emesse da società legate ai gruppi imprenditoriali Ma., Fu. e De., già fortemente esposti nei confronti di B.; contestualmente anche gli impieghi in equity risultavano essere stati indirizzati, su indicazione dello stesso PI., nei confronti di società illiquide clienti di B.: la Me.Ca. SpA (legata ad Al.Ma.) e la Ital-Finance SpA (riconducibile al gruppo De Gennaro). Inoltre - notava il primo giudice - il PI. risultava coinvolto più in generale nell'intera illecita operatività di B., risultando egli essere stato fra l'altro presente (giusta appunti manoscritti redatti dal teste Ma.So., in atti quale doc. nr. 389 del P.M.) al Comitato di Direzione tenutosi l'8.11.2011 nel quale erano stati effettuati inequivoci riferimenti alle c.d. operazioni "baciate" quale strumento da adottare per svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B.. Allo stesso modo, sempre secondo la ricostruzione operata dal primo giudice, il PI. doveva ritenersi coinvolto anche nel rilascio delle lettere di impegno da parte di B. oltre che in altre operazioni di capitale finanziato, come riferito dai testi An.Fa. (imprenditore del settore tessile) ed Ed.Ta. (altro imprenditore). Ancora, il teste Ma.So. aveva riferito di avere presenziato a un colloquio tra il direttore generale So. e il PI. su come strutturare "operazioni volte ad acquisire capitale" con l'imprenditore Luca Fe.ni (sentito a sua volta quale teste) e con il Fondo Ag. (in quest'ultimo caso l'operazione - ricostruita in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma. -in sede ispettiva non era stata considerata finanziata pur essendo assistita da una lettera di impegno). Il collegio vicentino richiamava altresì l'episodio della società di revisione K. (già esaminato sopra in relazione alla posizione dell'imputato GI.) evidenziando come, in base alla deposizione resa dalla teste avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., risultasse essere stato presente anche il PI. - assieme al direttore generale So. e al responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. - a una riunione convocata a seguito delle richieste dì delucidazioni rivolte alla banca da K.; nell'occasione, come già detto, l'avv. Pa. si era rifiutata di fornire il parere legale richiestole, suggerendo invece al So. (che aveva reagito in malo modo) di fare subito un audit, al che il PI. - come già evidenziato supra - aveva, a suo dire, ribattuto: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa". L'imputato PI. risultava aver fatto parte anche della già citata "Task Force Gestione Soci" costituita e attivata - ufficialmente - a seguito dell'entrata in vigore del Regolamento UE n. 575/2013 (c.d. CRR) e del Regolamento Delegato UE n. 241/2014 nonché del D.L. n. 3/2015; la costituzione di tale Task Force trasversale alle varie Divisioni, che avrebbe dovuto reperire e adottare misure atte a ripristinare l'interazione con la base sociale attraversata da crescente disorientamento e scontento, era stata preceduta da una documentata riunione operativa tenutasi il 24.4.2015 (il relativo resoconto è in atti quale doc. nn. 525 del P.M.). In realtà - proseguiva il primo giudice - la partecipazione e il coinvolgimento del PI., responsabile della Divisione Finanze, nella Task Force in questione apparivano funzionalmente eccentrici rispetto agli scopi di essa e si spiegavano solo "in ragione dei suo coinvolgimento in tutti gli aspetti relativi all'anomala operatività della banca" (cfr. pag 724 sentenza gravata). Il primo giudice si diffondeva altresì sulle occasioni nelle quali il PI. aveva avuto interlocuzioni con la vigilanza. Per la precisione si trattava di due riunioni interlocutorie tenutesi nel 2013 (durante la fase preparatoria dell'aumento di capitale di quell'anno) e nell'autunno del 2014 (allorquando erano emerse le problematiche relative ai riacquisti effettuati da B. nonché al deficit patrimoniale a seguito del Comprehensive Assessment). Il tribunale affermava che in ambedue le occasioni il PI. aveva fornito alla vigilanza indicazioni false e fuorvianti circa i livelli di patrimonializzazione di B.; era stato altresì omesso in tali occasioni qualsiasi accenno agli squilibri del capitale azionario e al fenomeno del capitale finanziato. Sulla prima riunione interlocutoria, tenutasi il 27 marzo 2013 su richiesta j della stessa B. (e alla quale avevano partecipato per la banca il direttore° generale Sa.So., il segretario generale Ma.So., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. e per l'appunto il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.), il teste Ma.Pa. - nel precisare che si trattava dì una riunione finalizzata a fornire, da parte della banca, aggiornamenti circa gli interventi pianificati per rafforzare il livello di patrimonializzazione del gruppo - aveva affermato che gli esponenti di B. gli avevano illustrato le caratteristiche principali dell'operazione programmata; queste ultime corrispondevano a quelle dell'aucap 2013 poi effettivamente realizzato, compresa la "campagna soci volta all'ampliamento della base azionaria (Euro 100 mln)", con "associata l'erogazione di finanziamenti, ai sensi dell'art. 2358 c.c. riservata ai nuovi soci. Sempre secondo il teste Pa., inoltre, tanto il PI. quanto il PE. avevano dimostrato di essere già a conoscenza del fatto che il capitale sottoscritto mediante finanziamenti concessi dalla banca non potesse essere computato ai fini del patrimonio di vigilanza se non nella quota del finanziamento nel frattempo oggetto di rimborso. A null'altro di quanto fino a quel momento accaduto si era fatto cenno, da parte dei predetti, in tale prima riunione come pure nella seconda riunione, tenutasi il 20.10.2014 tra Banca d'Italia e B. (in rappresentanza di quest'ultima erano stati presenti if PI. e il PE.). In base alla deposizione del teste ispettore Em.Ga., poi, risultava un contegno estremamente reticente del PI. in relazione alla sua conoscenza di quali investimenti fossero sottostanti ai fondi esteri dei quali sopra si è detto. Interpellato al riguardo dal team ispettivo il PI. si era limitato a giustificare tale assenza di informazioni con la reticenza dei gestori. Era stato allora rappresentato al direttore generale So., da parte della vigilanza, che in caso di mancata disclosure degli investimenti sottostanti si sarebbe scomputato l'intero importo di Euro 350 milioni dal patrimonio di vigilanza, al che le informazioni richieste erano prontamente pervenute. Il tribunale vicentino, dopo aver illustrato i contenuti della deposizione resa dal teste Massimo Castelluccio - all'epoca dei fatti in forza alla Divisione Finanza e dunque subalterno del PI. - circa le modalità della predisposizione dei documenti di offerta, passava in rassegna i contenuti di alcune conversazioni telefoniche e messaggi sms oggetto di intercettazione, contenenti, a suo avviso, significative ammissioni dello stesso PI. in ordine al proprio pieno coinvolgimento nei fatti per i quali qui si procede: conversazione progr. n. 360 dell'1.9.2015 tra il PI. e Mo.An.di UBS; messaggi sms scambiati il 3 maggio 2015 dal PI. con Em.Gi. (il primo scriveva ivi al secondo: "Deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori"). Indi il primo giudice illustrava i contenuti della versione dei fatti resa dall'imputato PI. - in sede di esame dibattimentale dd. 3.3.2020 - sui vari temi sopra ampiamente passati in rassegna (fra questi: prassi gestionale dei finanziamenti correlati, a suo dire appresa solo a seguito dell'ispezione BCE; lettera di impegno al riacquisto rilasciata all'imprenditore tessile Fa., in relazione alla quale il PI. sosteneva di avere detto all'imprenditore - che la pretendeva - di non poter fare nulla e di essersi limitato per parte sua a metterlo in contatto con il direttore generale So., che in effetti risultava essere il sottoscrittore della lettera di impegno poi concretamente emessa; operazione "So.", in relazione alla quale il PI. sosteneva non trattarsi di una operazione correlata; triangolazione coinvolgente le società c.d. "tre sorelle lussemburghesi", in relazione alla quale il PI. sosteneva di non aver mai saputo che alle anzidette società fosse stato erogato un finanziamento correlato per l'acquisto di azioni, scoprendolo solo dopo l'erogazione, allorquando si era avveduto che nel portafoglio titoli delle società stesse vi erano azioni B.; episodio, già più volte citato, dello scontro con l'avv. Pa. dell'ufficio legale di B. riguardo alla vicenda della società di revisione K., in relazione alla quale il PI. sosteneva di essersi limitato a dire alla Pa. che, come dirigente dell'ufficio legale alla quale era stato richiesto di redigere un parere, si sarebbe dovuta assumere le sue responsabilità; vicenda fondi "(...)" e "(...)", in relazione alla quale il PI. affermava che si era trattato di un'idea del direttore generale So. in vista dell'aucap 2013, che comunque i fondi erano stati sottoscritti dal So. sulla base del parere favorevole tanto dell'ufficio legale quanto della compliancet che in relazione alla seconda delle due operazioni egli si era limitato a presentare Gi.St. di (...) Asset Management al direttore generale della controllata irlandese B.Fi., Pi.Ra. e che, - in ogni caso - egli non era stato mai coinvolto dai fondi nella scelta degli investimenti sottostanti). Secondo il collegio vicentino tutte le anzidette affermazioni di esclusione della propria responsabilità rese dal PI. in sede di esame trovavano smentita nel complesso delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale come sopra passate in rassegna nel ricostruire i vari episodi ritenuti dallo stesso primo giudice idonei a rivestire rilevanza penale a carico dell'imputato. Quanto poi alla linea difensiva del PI. riguardo a numerosi fra i testi a suo carico (in particolare i testi Pi.Ra. e Fi.Ro.), ossia che si sarebbe trattato di testi del tutto inattendibili perché interessati a incolpare lo stesso PI. pur di allontanare ogni sospetto nei loro confronti, il tribunale ribatteva che le loro deposizioni risultavano munite di plurimi riscontri, indicati nel dettaglio alle pagg. 730-732 della gravata sentenza, 1.9.5 Pe.Ma. Con riferimento a Pe.Ma. il primo giudice - dopo avere richiamato l'ipotesi d'accusa, secondo la quale costui avrebbe concorso nei reati di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza nella sua qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili rilevanti nella prassi aziendale della concessione dì finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. ed avrebbe, altresì, fornito un concreto contributo alla realizzazione dei reati di falso in prospetto in ragione della sua responsabilità nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazioni all'autorità di vigilanza - evidenziava come l'imputato, nel periodo d'interesse 2011-2014, avesse ricoperto l'incarico di responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione nonché quello di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, donde la sua estraneità alla esecuzione delle operazioni di capitale finanziato. La responsabilità del PE., pertanto, avrebbe richiesto la verifica, per un verso, "a monte", della consapevolezza, in capo al predetto, dell'esistenza e della consistenza del fenomeno in esame; e, per altro verso, "a valle", dell'apporto da questi fornito alla realizzazione delle attività delittuose attraverso la predisposizione di documenti, diretti al mercato ed alle autorità di vigilanza, contenenti informazioni caratterizzate dall'occultamento di detto fenomeno. Sotto il primo profilo il tribunale premetteva una analitica individuazione del ruolo concretamente svolto dall'imputato all'interno delia compagine bancaria, sottolineando come il PE., nella sua qualità di direttore della suddetta Divisione, dipendesse gerarchicamente dal solo d.g. So.. Nella sua qualifica di dirigente preposto, poi, il predetto riferiva direttamente al CdA per il tramite del comitato di controllo. Più nel dettaglio, l'imputato costituiva il vertice di una divisione che comprendeva due uffici di staff (l'ufficio studi e lo staff del dirigente preposto), disponeva di ben 75 unità e che, attraverso le sue articolazioni (segnatamente attraverso la Direzione Pianificazione Strategica, diretta da An.Fa.), svolgeva una pluralità di attività che andavano dal supporto alla direzione generale nella redazione dei piani economici pluriennali e dei budget annuali di tutte le strutture della banca, alla gestione dei rapporti con le società di consulenza e con la struttura dell'esperto indipendente incaricato annualmente di effettuare la valutazione dell'azione; dal monitoraggio teso a verificare il rispetto dei ratios patrimoniali della banca in relazione agli attivi ponderati (RWA) e all'andamento del fondo acquisto azioni proprie, al controllo costante dell'andamento della rete commerciale (verificato attraverso l'attività dell'ufficio CRM). Per il tramite della Direzione Ragioneria Generale - diretta da Lu.Tr. e facente parte anch'essa della Divisione Bilancio - poi, venivano curati gli adempimenti fiscali, gestita la contabilità, predisposto il bilancio di esercizio e quello consolidato e, infine, redatte le segnalazioni all'autorità di vigilanza. Ebbene, in un contesto tanto articolato era giocoforza che il PE. svolgesse un ruolo di coordinamento, occupandosi anche di assicurare una garanzia di coerenza fra i dati gestionali e quelli contabili, mentre la gestione dei dati di dettaglio e le attività correnti erano necessariamente demandate alla struttura nel suo complesso, adeguatamente dotata di risorse umane (numerose unità; plurimi dirigenti) e materiali. Quanto, poi, alle funzioni attribuite al dirigente preposto (figura prevista e disciplinata dall'art. 154 bis TUF), tale soggetto si occupava non già della redazione materiale dei documenti contabili societari, bensì della "predisposizione di adeguate procedure amministrative e contabili per la formazione del bilancio di esercizio e, ove previsto, del bilancio consolidato, nonché di ogni altra comunicazione di carattere finanziario" (art. 154 bis co. 3). Inoltre a costui competeva attestare la corrispondenza degli atti e delle comunicazioni "alle risultanze documentali ai libri e alle scritture contabili", come previsto dall'art. 154 bis TUF. Nello specifico, all'interno di B., in linea con la normativa di riferimento, la figura del dirigente preposto era disciplinata dal "Modello del Dirigente Preposto alla redazione dei documenti contabili societari"; modello che prevedeva che ciascuna funzione aziendale di controllo trasmettesse al dirigente preposto i risultati delle verifiche di propria competenza. Di qui la necessità, affinché il dirigente preposto potesse svolgere correttamente il proprio ruolo, della correttezza e veridicità delle informazioni che ciascuna struttura aziendale trasmetteva al suddetto dirigente. Tanto premesso, nessuno degli organi di controllo (collegio sindacale, audit, organismo di vigilanza, compliance) - precisava il primo giudice - aveva segnalato al PE. l'esistenza dì prassi scorrette nell'operatività del mercato interno delle azioni proprie. Quando il responsabile dell'Internal audit Ma.Bo. aveva tentato di portare a compimento la prima attività ispettiva sui finanziamenti correlati, infatti, era stato bloccato dal d.g. Sa.So., il quale gli aveva impedito di divulgare il relativo report. Il collegio sindacale, dal canto suo, pur avendo ricevuto vari segnali (sul punto il riferimento specifico del tribunale era al caso del socio Dalla Grana), non aveva effettuato alcuna comunicazione in proposito. Altrettanto doveva dirsi per la funzione di compliance che, chiamata a gestire la vicenda Vi., non aveva segnalato nulla al riguardo. In definitiva, nessuna informazione in ordine al fenomeno delle operazioni correlate era pervenuta al PE. attraverso i canali istituzionali. Né tale fenomeno era stato percepito nell'ambito dell'attività - parimenti di competenza della Divisione facente capo all'imputato - di gestione della contabilità adottata dalla banca. Il teste Lu.Tr., infatti, aveva dichiarato di avere appreso per la prima volta del fenomeno del capitale finanziato nel marzo del 2015, nel corso di una riunione tra le società di revisione e il collegio sindacale in vista della redazione della relazione al bilancio 2014. Prima di allora, infatti, secondo tale teste, il suddetto fenomeno non era rappresentato nei sistemi contabili, né era comunque noto alla struttura, né, infine, vi erano possibilità che potesse essere rilevato dalla Ragioneria Generale attraverso l'analisi dei dati disponibili. Inoltre, neppure erano emersi elementi che consentissero di concludere che il PE. avesse acquisito aliunde (rispetto ai canali istituzionali) la consapevolezza circa l'operatività dei finanziamenti correlati. Anzi, in senso opposto orientavano le deposizioni dei testi An.Fa., Lu.Tr. e Al.Mo.. Del teste Tr. si è già detto. Il teste Fa., dal canto suo, aveva riferito di avere appreso delle operazioni correlate solo nel corso della ispezione BCE del 2015, precisando che anche il PE., fino ad allora, si trovava nella medesima situazione di ignoranza del fenomeno in questione. Il teste Mo., infine, aveva sostenuto che prima dell'ispezione vi fosse consapevolezza delle "baciate" ma non della loro diffusività e, con riferimento al PE., aveva precisato che costui era a conoscenza solo dello slogan del d.g, Sa.So. secondo il quale ogni cliente affidato avrebbe dovuto possedere azioni B. pari almeno al 10% del finanziamento. Aggiungasi che anche il teste Ma.Li. - all'epoca vicedirettore di Ba.Nu. ed in rapporto di wbuona colleganza" con l'imputato durante la precedente esperienza in B. - aveva dichiarato di avere avuto con costui un colloquio confidenziale nel mese di aprile 2015 (ovverosia in piena ispezione BCE e poco prima dell'avvio della Task Force voluta dal d.g. So.) traendone la convinzione che l'imputato non fosse a conoscenza "di questa rilevanza del problema". Anche la vicenda della comunicazione delle 17 posizioni sospette da parte di K. e la deposizione dell'avvocato Pa. (vicenda oggetto di puntuale ricostruzione da parte del primo giudice alle pagg. 746-748 della sentenza) deponevano tanto per la mancata consapevolezza, in capo al PE., dell'entità del problema del capitale finanziato (problema del quale lo stesso imputato, apprendendone in occasione della qui più volte menzionata riunione nell'ufficio del So., si era poi dimostrato seriamente preoccupato, al pari della suddetta Pa.), quanto per l'estraneità del medesimo PE. rispetto alle macchinazioni tese ad occultarlo. Analoghe conclusioni dovevano trarsi, ad avviso del tribunale, con riferimento alla disclosure sui fondi "(...)" e "(...)". In proposito era stato dall'ufficio del PE. che era partita la richiesta di disclosure sui sottostanti dei fondi (richiesta, peraltro, più volte ripetuta, come precisato dal teste Lu.Tr.). Quindi, in presenza di una risposta solo parziale, l'ufficio ricompreso nella Divisione diretta dall'imputato aveva applicato il trattamento previsto dalla normativa, segnalando l'intera esposizione verso quei fondi come una "esposizione sconosciuta". Peraltro, quando, successivamente, era entrato in vigore il CRR che imponeva alla banca di avere piena conoscenza anche degli investimenti sottostanti, era stato proprio l'imputato a segnalare che, in difetto di disclosure, l'istituto avrebbe dovuto detrarre integralmente l'intero investimento dal CET 1 e solo per effetto di tale segnalazione era stato finalmente comunicato l'investimento in azioni B., come segnalato dal teste ispettore Em.Ga.. Anche l'intervento effettuato dal PE. nel corso della seduta del CdA 1.4.2014 - allorché questi non si era affatto allineato alle valutazioni del prof. Bi. in ordine al valore da assegnare all'azione, ma, al contrario, aveva mosso delle critiche al riguardo - deponeva in senso favorevole all'imputato. Ove costui fosse stato coinvolto nell'illecita operatività del capitale finanziato, infatti, sarebbe stato lecito attendersi che non dissentisse rispetto alla metodologia applicata nella stima del valore del titolo. Né, a fronte di tali plurime emergenze probatorie favorevoli, gli elementi valorizzati in senso contrario dal P.M. potevano legittimare differenti conclusioni circa la consapevolezza, da parte del PE., del fenomeno in esame. Non l'episodio del Comitato di Direzione dell'8 novembre 2011, nel quale pure v'era prova che si fosse parlato delle "operazioni baciate" in presenza del PE., poiché l'affermazione fatta, nell'occasione, da costui, secondo quanto riportato negli appunti del teste Ma.So. ("Avrei bisogno di 110 milioni andare a 8 con capitalizzazione dell'utile trimestrale") e, più in generale, ciò che era stato sostenuto nel corso della riunione, anche dal d.g. So. ("dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. abbiamo degli impegni nei confronti di Banca d'Italia e del Consiglio di Amministrazione"), non consentivano di concludere che il medesimo PE. fosse consapevole delle specifiche caratteristiche di quella tipologia di operazioni, né della diffusività del fenomeno e, quindi, della sua incidenza sul patrimonio della banca. Tutt'altro che inverosimile, infatti, appariva quanto sostenuto, al riguardo, dallo stesso imputato, là dove il predetto aveva precisato di non avere dato adeguato peso agli interventi effettuati, in tale occasione, dal Se. e dal Tonato in quanto, all'epoca, neppure conosceva il significato della parola "baciata". Peraltro - precisava il primo giudice - a tale riunione era stata presente anche l'avv. An.Pa., la quale tuttavia aveva dichiarato di essere venuta a conoscenza del fenomeno solo nel 2015, in occasione della citata comunicazione della società di revisione K.. Non le dichiarazioni rese dal teste So. - sebbene costui avesse narrato di colloqui con figure apicali dell'istituto nei quali si era fatto ripetutamente riferimento alle "baciate" a partire dagli anni 2010-2011 - in quanto detto teste non aveva riferito di colloqui intercorsi, a tale specifico riguardo, con il PE.. E neppure le deposizioni - sostanzialmente analoghe e, comunque, assolutamente vaghe ed incerte - rese dei testi Gi.Am., Al.Ba. e Co.Tu.. Quanto, poi, al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (del quale nel corso dell'istruttoria dibattimentale era stata ascoltata la registrazione audio), il primo giudice precisava, per un verso, che si era trattato di riunione alla quale il PE. non aveva partecipato (in quanto si trovava a Francoforte) e, per altro verso, che il riferimento alla necessità di confrontarsi con il predetto, nell'occasione chiamato in causa da GI. ("... però dobbiamo confrontarci con Ma..."), costituiva un elemento insuscettibile di univoca lettura. Era lecito ipotizzare, infatti, che il predetto GI. - come, peraltro, da questi sostenuto - intendesse riferirsi alla necessità di "tagliare gli attivi", donde, in questa prospettiva, la regolarità del coinvolgimento del PE., in quanto titolare della Divisione "competente in materia". Inoltre, con riferimento alla deposizione rese dal teste Co.Tu. in relazione alla riunione del 7 gennaio 2015 (deposizione nel corso della quale detto testimone, dapprima, aveva riferito che si era trattato della prima occasione nella quale sì era parlato di "baciate" anche in presenza di PE. e successivamente, in sede di controesame, aveva smentito le precedenti dichiarazioni, negando che nel corso di questo incontro fosse stato affrontato tale argomento), si era evidentemente in presenza, ad avviso del primo giudice, di un contributo dichiarativo del tutto inattendibile. Infine il tribunale esaminava la tesi del coimputato GI. (tesi secondo la quale: il fenomeno del capitale finanziato era noto a tutti all'interno della banca; lo stesso GI. ne ignorava la dimensione; il medesimo dichiarante aveva confidato nella regolare appostazione a bilancio dei dati relativi a detto fenomeno) evidenziandone: - per un verso, il contrasto con gli elementi probatori in precedenza citati; ° per altro verso, la intrinseca contraddittorietà (posto che non era dato comprendere cosa avrebbe dovuto appostare a bilancio la ragioneria se neppure il GI. era a conoscenza di dati precisi al riguardo e se difettavano flussi informativi interni sul punto); - e, peraltro verso ancora, la palese illogicità (in quanto la contabilizzazione di tale fenomeno avrebbe vanificato la finalità di evitare la decurtazione del valore delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza). In definitiva - concludeva il primo giudice - il compendio probatorio non consentiva di giungere all'affermazione di responsabilità del PE.. Non solo l'imputato era del tutto estraneo alla strutturazione dell'operatività delle c.d. "baciate", ma neppure era provato che fosse consapevole di tale fenomeno. Al più erano emerse una vaga e generica conoscenza, da parte del predetto, della tematica in esame e la conseguente sottovalutazione della serietà delle relative implicazioni sul patrimonio di vigilanza, non già la consapevolezza delle caratteristiche e della diffusività della illecita operatività in esame, necessarie per fondare l'elemento psicologico dei reati oggetto di addebito. Di qui l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato 1.9.6 Zi.Gi. Con riferimento alla posizione processuale di Zi.Gi., al quale era addebitato il concorso nei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto (concorso estrinsecatosi nell'avere egli avallato la prassi aziendale del capitale finanziato, avendo compiuto per il tramite di Ze. s.r.l. operazioni di tale natura), il tribunale premetteva, alla stregua della deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma., la seguente ricostruzione delie operazioni riferibili all'imputato: - il 13 novembre 2012 il CdA aveva deliberato ex art. 136 TUB un affidamento di 12,5 milioni di euro in favore di Ze. s.r.l.. La causale era: "cogliere eventuali opportunità sia nel settore industriale che nel settore finanziario, nello specifico è in fase di avanzata trattativa l'acquisizione di un rilevante pacchetto di quote di Ar.Li. s.p.a. sono inoltre nell'intenzione degli imprenditori ulteriori significativi investimenti che al momento non sono ancora nel complesso definiti". Il fido era stato accreditato il 21 novembre e, lo stesso giorno, era stato effettuato un giroconto di 10 milioni di euro utilizzati per l'acquisto di azioni B. per un pari importo; - quindi, nel luglio del 2013, la Ze. S.r.l. aveva beneficiato di un finanziamento di 1.5 milioni di euro, fido erogato il 2.9.2013 sul conto corrente (...), intestato alla predetta società. Si trattava di un incremento del fido già concesso nel 2012. In data 2 settembre 2013 - data di regolamento dell'aucap 2013 - risultava poi un'erogazione di 1,13 milioni di euro su altro conto corrente intestato alla medesima società con l'impiego di detta somma per l'acquisto di azioni B. di pari valore; - ancora, il 4.12.2014, Zi.Gi. aveva ricevuto un affidamento di 5.200.000,00 euro. La P.E.F. indicava, quale causale: "finalizzato ad intercettare alcune opportunità immobiliari e di partecipazione". Non appena ricevuta l'erogazione, il relativo importo era stato bonificato su un conto U.It. s.p.a., filiale di Padova; - il 16.2.2015, infine, Ze. s.r.l. aveva venduto 5,5 milioni di azioni sul secondario e, con il ricavato, aveva ridotto parte del debito relativo al finanziamento di 15 milioni di euro. Tale ricostruzione - precisava il tribunale - coincideva con le conclusioni dei cc.tt. del P.M. dove sì attestava che l'importo delle azioni acquistate dalla società Ze. s.r.l. tramite finanziamenti era pari a 10 milioni di euro dal 31.12.2012 al 30.6.2013, ad euro 10.565.250 dal 30.9.2013 al 30.6.2014, ad euro 10.355.250 dal 30.9.2014 al 31.12.2014 e, infine, ad euro 4.855.250 al 31.3.2015. Così ricostruite le evidenze contabili, il primo giudice concludeva per la natura "correlata" delle operazioni effettuate dalla Ze. s.r.l. sulla scorta, in particolare, delle dichiarazioni rese dai testi Ma.Ba. e An.Cr.. Il primo, infatti, aveva rievocato (peraltro coerentemente con gli / esiti della consulenza dei cc.tt. del P.M.) l'operazione (da lui stesso curata su input di Em.Gi. ovvero di Al.Ba.) effettuata alla fine del 2012 e relativa al fido da 12,5 milioni di euro, parte dei quali (2,5 milioni), destinata all'acquisto della partecipazione in Ar.Li., la restante parte riservata a investimenti in azioni della banca. La pratica, poi, era stata materialmente seguita dal Criscuolo. L'operazione avrebbe dovuto avere carattere temporaneo, la liquidità essendo stata "parcheggiata" in azioni B. in attesa di un differente impiego, da effettuare previa liquidazione delle azioni. Nel 2013, poi, in occasione dell'aumento di capitale, il fido era stato esteso di ulteriori 1,5 milioni e con la relativa provvista Ze. s.r.l. aveva aderito all'iniziativa in questione. Il secondo teste (Cr.), poi, aveva sostanzialmente confermato la versione del collega Ba.. Infine anche il teste Al.Ba., responsabile della divisione "Corporate", aveva rievocato l'operazione posta in essere dallo ZI., operazione della quale, in parte, si era anche personalmente occupato allorquando, nel 2012, vi era stato un apposito incontro con lo stesso ZI. e con GI. per discuterne l'impostazione. Il teste Ba. ha precisato che vi era urgenza di effettuare l'operazione con rapidità in quanto si avvicinava la fine dell'anno 2012; che era impellente l'esigenza di liberare il fondo acquisto azioni; che, nell'occasione, ZI. aveva acconsentito ad effettuare l'operazione purché la cosa fosse gradita allo ZO.. Successivamente lo stesso ZI. gli aveva confidato di essersi prestato ad effettuare l'operazione a richiesta dì So. e GI., i quali "in sostanza gli avevano chiesto un favore e che lui si era messo a disposizione della banca". Dal canto suo lo stesso ZI. aveva ricordato di avere agito aderendo alla proposta di GI. e solo dopo avere ricevuto esplicite rassicurazioni in ordine al fatto che l'operazione non fosse intesa dal presidente ZO. come una iniziativa ostile. Il messaggio SMS inviato da MA. a So. il 26.10.2012 (doc. nr. 665 del P.M.) "ti ricordo Zi. di parlarne con il presidente per il fido da farsi sulla sua finanziaria", nonché il precedente' messaggio trasmesso, il 17.10.2012, dal GI. allo stesso So. "faccio anche ZI., Ma. d'accordo. Vedi problemi?" "il fratello ha già in atto l'operazione" costituivano, poi, significativi riscontri documentali dell'operazione in questione. Quindi il tribunale precisava, sulla scorta della deposizione del Criscuolo, che, con rifermento al finanziamento concesso allo ZI., erano stati applicati tassi differenziati per l'importo destinato all'acquisto di Ar. e per la parte destinata all'acquisto delle azioni e che i tassi erano stati "sistemati" con il consueto sistema dello storno. Alcuni documenti disponibili, peraltro, confermavano tale circostanza. Trattasi, segnatamente: - della richiesta di storno di cui al documento nr. 103 del P.M.; - dell'annotazione redatta da Zi.Gi. (doc nr. 730 del P.M.), contenente l'elenco delle azioni acquistate tramite finanziamento con l'indicazione di importi e tasse non deducibili "che avanziamo dalla banca" e con l'indicazione finale rimane da risolvere la vendita delle altre 80.000 azioni"; - del prospetto riassuntivo dell'applicazione del tasso di interesse (doc, nr. 737 del P.M.), estratto dal computer della segretaria della Ze. S.r.l., Ca.Ro., la quale aveva riferito di averlo redatto probabilmente su incarico di Gi.ZI. (questi, tuttavia, non aveva confermato la circostanza). In detto documento veniva riportato il tasso di interesse del 4,5% con riferimento al finanziamento di 2,5 milioni di euro relativo all'acquisizione di Ar.Li. e in esso si leggeva "calcolo eseguito non considerando il milione di aumento di capitale che si riferisce ai 10 milioni". Quanto, poi, al finanziamento di 10 milioni destinati all'acquisto delle azioni, nel consuntivo finale, alle competenze addebitate, comprensive di interessi ed imposte, venivano sottratti gli interessi "effettivamente dovuti" in ordine al finanziamento di 2,5 milioni destinato ad Ar.Li. e la differenza tra queste due somme era indicata come "differenza da rimb"; - della e-mail 15.7.2014 inviata dalla Ca. alla filiale B. in cui si precisava che le imposte di bollo andranno a confluire nel famoso rimborso concordato a suo tempo", così confermandosi l'esistenza dell'accordo per rimborsare a Ze. s.r.l. tutte le spese. La natura correlata delle operazioni effettuate dagli ZI. del resto emergeva, ad avviso del tribunale, anche da un appunto (doc. nr. 731 del P.M.) redatto dallo stesso imputato per ricostruire le operazioni effettuate con la banca. In detto appunto si legge che in data 8 maggio, a colloquio con ZO., Br. e l'avv. Am., ZI. aveva affermato essergli stato chiesto "in due occasioni di comprare azioni (2011 e 2012) con finanziamenti dove non ho percepito utili ma ho anticipato interessi passivi. La prima si è chiusa nel 2014 e la seconda per il 50% nel 2015". "Attualmente ci perdo 280.000 più oltre un milione di calo di valore: quindi la banca non è danneggiata ma ci ha guadagnato. Operazioni proposte da E. ma definite in ufficio da SS che mi ringraziava per l'aiuto. Ho sempre messo due condizioni, di non guadagnarci e che il Presidente fosse informato". Lo stesso imputato, poi, nel corso dell'esame, ha ricordato che il finanziamento era stato strutturato per l'acquisto di azioni dell'istituto e che egli lo aveva effettuato, sollecitato da GI., "per dare una mano alla banca". Del resto, nel corso della conversazione telefonica nr. 153 del 25.8.2015 intercorsa tra l'imputato e Lu.Bo., il primo aveva ammesso di essere stato finanziato dalla banca per l'acquisto delle azioni. Sicché la natura correlata dell'operazione di acquisto finanziato di azioni per 10 milioni di euro non poteva essere fondatamente revocata in dubbio. Altra operazione correlata era stata quella effettuata, per l'importo di 5 milioni di euro, da Zi.Gi. (finanziamento del 27.12.2011 ed acquisto delle azioni effettuato due giorni dopo). Con analoghe modalità, poi, lo stesso Zi.Gi. aveva partecipato all'aumento di capitale del 2013 per l'importo di 500.000 euro. La prima operazione era stata chiusa il 29.5.2014 con rimborso e annullamento delle azioni, ovverosia con un ricorso surrettizio - come emerso anche dalla deposizione del teste Ro. il quale aveva confermato che l'annullamento era un espediente al quale si ricorreva in casi eccezionali per chiudere operazioni correlate - ad uno strumento (quello dell'annullamento) previsto in caso di "inadempienza grave" del socio, inadempienza che, nel caso dì specie, non si era affatto verificata. Quindi il tribunale richiamava il finanziamento di 5 milioni di euro concesso da B. a Ze. s.r.l. e girato sul conto UBS il 5.12.2014. Nell'occasione al dipendente UBS Visentin, il quale si era relazionato con So., PI. e GI., l'imputato aveva riferito che aveva un "credito nei loro confronti" e che questa operazione "gli era dovuta" in quanto "aveva fatto molti favori alla banca". Infine il primo giudice evocava la e-mail inviata dallo ZI. a Em.Gi. e a Cl.Gi. con, in calce, l'analoga missiva inviatagli da Mi.Ga., il quale si lamentava del fatto che un dipendente B. gli avesse comunicato che il rinnovo di un secondo fido era stato anch'esso subordinato, al pari del primo, alla sottoscrizione di 50.000 azioni dell'istituto di credito. Nell'occasione l'imputato si era limitato a spiegare che "B. non opera con questa politica e che forse o hanno capito male o il funzionario si è espresso male". Ebbene, in presenza di tali evidenze probatorie lo ZI., come detto, aveva bensì ammesso di avere effettuato operazioni correlate per dare una mano alla banca ma aveva negato di essere stato consapevole delle problematiche connesse al capitale finanziato e, meno che mai, delle sue dimensioni, protestando altresì la propria totale inconsapevolezza circa la necessità dello scomputo delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza. Pertanto il tribunale riteneva certamente provato che l'imputato, attraverso Ze. s.r.l., avesse posto in essere operazioni correlate. Nondimeno, sempre secondo il tribunale, non soltanto lo ZI. non aveva minimamente preso parte alla concertazione - intercorsa, ai massimi livelli, tra il management della banca ed il presidente ZO. - che aveva reso possibile la manipolazione del mercato e le condotte di false informazioni alla vigilanza, ma neppure vi era prova affidabile circa la consapevolezza, in capo ai membri del CdA (e, quindi, allo stesso ZI.), in ordine alla diffusività dell'operatività illecita in questione. Il teste ispettore Em.Ga., invero, aveva puntualmente evidenziato la difficoltà di percepire se una operazione fosse o meno correlata da parte del CdA. Dal canto suo lo stesso coimputato MA., in sede di esame, aveva ammesso che, quando presentava le pratiche di acquisti correlati in Consiglio, era solito non esplicitare mai la natura delle operazioni, limitandosi a riportare sinteticamente i dati della P.E.F.. In buona sostanza - secondo il tribunale - la valutazione circa la sussumibilità o meno delia condotta dello ZI. nell'alveo della penale responsabilità implicava, necessariamente, la esatta comprensione dei termini della questione inerente al complesso tema della responsabilità dei componenti del CdA non esecutivi, estranei a qualsivoglia funzione gestoria dell'impresa bancaria, questione che, nel caso sub iudice, andava poi "calata" in un contesto obiettivamente peculiare in quanto caratterizzato, per un verso, dalla concreta fisionomia di un organo collegiale - il CdA di B. - sottoposto alla direzione di un presidente "assolutamente operativo"; e, per altro verso, dall'assenza, in capo ai consiglieri, della effettiva conoscenza della situazione di reale illiquidità del titolo azionario. In effetti, solo in presenza di segnali di allarme effettivamente percepibili (e realmente percepiti) come tali dai consiglieri sarebbe stato possibile ritenere costoro - e, quindi, tra essi, lo ZI., il quale non si trovava affatto in una situazione dissimile rispetto a quella dei "colleghi" che avevano posto in essere anch'essi operazioni correlate - responsabili, ex art. 40 c.p., per non avere impedito attività delittuose in itinere, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità. Nel caso di specie, tuttavia, nulla consentiva di affermare che l'imputato avesse volontariamente omesso di intervenire per scongiurare la consumazione dei reati, all'uopo non potendosi ritenere sufficiente la partecipazione, da parte del predetto, ad operazioni di capitale finanziato; operazioni, peraltro, da costui poste in essere su sollecitazione dei vertici dell'istituto e senza alcun tornaconto personale. In definitiva difettavano prove univocamente sintomatiche di un consapevole concorso materiale di Zi.Gi. nei reati ascrittigli, in difetto di adeguati riscontri circa la consapevolezza, in capo al predetto, delle condotte manipolatorie e decettive poste in essere dalle figure apicali dell'istituto di credito e, ancor meno, circa la dimensione del fenomeno del capitale finanziato. Donde l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non costituisce reato 1.10 La responsabilità amministrativa di B. in L.C.A. Il tribunale, inoltre, riteneva Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) in relazione ai reati dì aggiotaggio ex art, 2637 c.c. e di ostacolo alla vigilanza ex art. 2638 c.c. (ovverosia con riferimento a fattispecie incluse nell'art. 25 ter lett. R ed S del D.L.vo 231/01) posti in essere da soggetti sia di vertice che sottoposti alla direzione e vigilanza di posizioni apicali. In proposito, dopo avere richiamato, in ordine alla sussistenza delle ipotesi delittuose di riferimento, quanto già in precedenze esposto al riguardo, il tribunale in primo luogo evidenziava come, ai fini della responsabilità dell'ente, non rivestisse rilievo alcuno la sottoposizione della banca a procedura concorsuale, trattandosi di evento non ricompreso tra le cause dì estinzione dell'illecito da reato previste dalla disciplina in materia (come del resto era evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, che assegnava rilievo, al riguardo, unicamente al decorso del termine di legge, ovvero all'improcedibilità in caso di amnistia in relazione al reato presupposto). Fino alla cancellazione conseguente all'esito della procedura concorsuale, infatti, la società avrebbe dovuto ritenersi esistente. Né, d'altro canto, era possibile opinare diversamente sulla base di una sorta di giudizio prognostico fondato sul prevedibile esito della procedura fallimentare. Tanto premesso, neppure poteva dubitarsi che gli imputati avessero agito nell'interesse e a vantaggio dell'ente. Al riguardo il tribunale premetteva che l'interesse (da valutarsi, ex ante, secondo criteri "soggettivi" che, sebbene non coincidenti con l'elemento psicologico della fattispecie delittuosa di riferimento, dovevano comunque essere tali da esprimere la tensione finalistica dell'operato dell'autore del reato presupposto) avrebbe dovuto individuarsi nella prefigurabilità di un risultato positivo per la società. Quanto poi al vantaggio (da apprezzarsi, ex post, secondo criteri oggettivi), tale requisito si sarebbe dovuto identificare negli effetti favorevoli derivati dalla realizzazione degli illeciti. Questo con la precisazione, per un verso, che la mancata considerazione del criterio del vantaggio secondo la formulazione della disposizione vigente all'epoca dei fatti (art. 25 ter D.L.vo cit.) era circostanza di ben scarso rilievo, posto che, nel caso di specie, tutti i reati perpetrati erano caratterizzati dal correlativo interesse dell'istituto di credito; per altro verso, che l'antieconomicità a posteriori dell'operazione era ininfluente; e, peraltro verso ancora, che l'interesse dell'ente avrebbe potuto essere anche parziale o marginale, dovendosi escludere la responsabilità della società solo nel caso di interesse esclusivo dell'autore del reato (in ragione, in tal caso, della rottura "dello schema di immedesimazione organica" che costituiva il fondamento teorico dell'istituto in questione). Ebbene, nella vicenda sub iudice, le condotte delittuose erano state pacificamente poste in essere nell'interesse (anche) dell'istituto di credito. In effetti la contraria tesi difensiva (secondo la quale dette condotte si sarebbero poste in conflitto con il reale interesse della banca, in quanto, da un lato, avrebbero precluso l'effettuazione di ulteriori operazioni e in tal guisa avrebbero cagionato, fin dal momento genetico, un grave nocumento all'istituto di credito, mentre, dall'altro lato, sarebbero state realizzate nell'esclusivo interesse degli imputati, al di fuori di una politica di impresa e per finalità di mantenimento del potere gestionale da parte dei vertici amministrativi) non poteva affatto essere accolta. Ciò avrebbe infatti rappresentato l'espressione di un'interpretazione atomistica, fuorviante e retrospettiva del fenomeno delittuoso in esame e non già di una doverosa visione prospettica delle azioni criminose. Le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, infatti, erano state funzionali a far conseguire all'ente un beneficio, occultando le operazioni di capitale finanziato e così consentendo all'istituto di credito di mantenere standard elevati nell'esercizio dell'attività bancaria e di acquisire nuovo capitale o mantenere quello esistente. Si era trattato, quindi, di condotte che, a tutto discapito del mercato, avevano generato indubbi benefici per la banca, assicurandone la continuità e garantendone la competitività nel mercato del credito, sia pure in modo rivelatosi non sufficiente, nel lungo termine, a risolvere le carenze di un'errata politica di impresa (peraltro preesistente alle operazioni di capitale finanziato) che aveva portato ad un progressivo, inesorabile, deterioramento della situazione patrimoniale (con i relativi coefficienti che, già dal 2012, erano inferiori alla soglia target, come evidenziato dai consulenti del P.M.). Le ricadute positive per l'ente delle attività delittuose, del resto, erano state convincentemente delineate dalla deposizione del teste ispettore Em.Ga.. In assenza delle condotte delittuose, in effetti, la banca si sarebbe trovata nella necessità di impegnare le risorse disponibili per reintegrare i requisiti patrimoniali, oppure di disvelare una situazione di crisi che avrebbe inevitabilmente impattato negativamente, al contempo, tanto sul capitale (trattandosi di banca cooperativa), quanto sull'operatività (trattandosi di banca commerciale). In definitiva - precisava il primo giudice - occorreva distinguere tra le singole condotte operative di capitale finanziato (che costituivano solo una parte della politica imprenditoriale e non erano indicative della proiezione finalistica del reato) e le soprastanti condotte delittuose delle false prospettazioni al mercato e alla vigilanza, nelle quali si sostanziavano i reati presupposto che erano stati funzionali a favorire l'ente, consentendo alla società di conseguire un vantaggio economico. Ponendosi in questa prospettiva, diveniva allora evidente l'interesse (se non esclusivo, quantomeno prevalente) della banca alla commissione dei delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, in quanto espressione di una politica d'impresa funzionale a garantire la prosecuzione dell'attività dell'istituto, assicurando, per un verso, l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, il mantenimento di quello esistente. D'altronde, il peggioramento delle condizioni economiche dell'ente non era stato certo effetto della commissione dei reati, bensì del ricorso dissennato al capitale finanziato nell'ambito di un meccanismo divenuto progressivamente ingovernabile, il tutto mentre le condotte delittuose (che si ponevano a valle di tale fenomeno) avevano per un certo periodo di tempo consentito di contenere, limitare e ritardare gli ulteriori effetti negativi per l'ente che dal disvelamento di una siffatta realtà sarebbero inevitabilmente derivati. Quanto poi al criterio soggettivo di imputazione dell'illecito, costituito dalla colpa di organizzazione, il primo giudice ne ravvisava il ricorrere in ragione del fatto che l'ente non si fosse strutturato in modo idoneo a prevenire le condotte in questione. Nel caso di specie, infatti, non solo il modello organizzativo, nella versione aggiornata a febbraio del 2012 (documento nr. 269 del P.M.), non era stato predisposto in modo adeguato (essendo prevalentemente strutturato ai fini di anti-riciclaggio), ma neppure era stato applicato ed implementato convenientemente. Nulla era stato previsto in relazione alle modalità di predisposizione dei bilanci, al computo dei requisiti patrimoniali, anche ai fini del patrimonio di vigilanza, all'attività di erogazione del credito, ovvero alla gestione operativa, contabile e patrimoniale delle azioni (proprie e non) che, pure, costituiva l'attività su cui si focalizzava l'operatività della banca. Nessuna procedimentalizzazione delle attività di acquisto e vendita delle azioni, inoltre, era stata programmata nel modello. Né detto modello era mai stato implementato in tal senso. Si aggiunga che erano risultate assenti modalità operative per garantire la tracciabilità dei finanziamenti per l'acquisto dì azioni proprie e che neppure era stato previsto alcunché per assicurare la corretta registrazione dei collegamenti tra affidamenti e acquisto/sottoscrizione di azioni, ovvero per disciplinare le comunicazioni all'esterno, ovvero ancora per regolamentare gli aspetti afferenti al patrimonio di vigilanza. Inoltre il modello aveva previsto un Organismo dì Vigilanza collegiale composto da tre soggetti e, segnatamente, da due avvocati esterni all'istituto di credito, nonché dal responsabile interno dell'audit, soggetto, quest'ultimo, dipendente gerarchicamente dal d.g. e funzionalmente dal CdA, ovverosia proprio da coloro che egli avrebbe dovuto controllare. Donde un evidente deficit di autonomia di tale organismo. Quanto, poi, al Collegio sindacale, era risultato composto da soggetti alcuni dei quali (Za., Za., Ca.) legati personalmente allo ZO., ovvero a società riconducibili a tale imputato. Le stesse relazioni ispettive di Banca d'Italia, del resto, avevano censurato la logica di cooptazione alla base della composizione dell'organo in questione, stigmatizzandone l'attività di mero controllore formale. Di qui il giudizio di complessiva grave inadeguatezza dei presidi organizzativi predisposti da B. per fronteggiare i rischi operativi assunti e la conseguente affermazione della responsabilità dell'ente. Quindi, passando alla quantificazione della sanzione, il primo giudice stabiliva, quanto al più grave delitto di aggiotaggio, il numero di 600 quote (a fronte di una forbice di riferimento tra le 400 e le 1000 quote), ridotte a 400 in ragione dell'attenuante ex art. 12, co, 2, D.L.vo 231/01, essendosi l'ente adoperato (con una proposta di transazione rivolta agli azionisti ed avente ad oggetto l'offerta di una somma a titolo di indennizzo) per ridurre le conseguenze dannose dell'illecito. Considerata, poi, la pluralità di illeciti, il tribunale determinava nella misura di 150 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter R ed in 360 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter S, Conseguentemente, precisato che la prescrizione di talune condotte delittuose non poteva rivestire alcun rilievo in relazione all'illecito amministrativo dell'ente, quantificava le quote complessive nella misura di 910 quote e, determinato il valore di ciascuna quota in euro 400, fissava la sanzione pecuniaria complessiva nella misura di euro 364.000,00. Infine, evidenziato che il profitto del reato andava identificato nel vantaggio economico (inteso come benefìcio aggiunto di tipo patrimoniale) causalmente derivato dal reato presupposto, e sottolineato, inoltre, come una stima in tal senso fosse stata unicamente effettuata con riferimento al reato di cui al capo N2, all'origine del sequestro, disposto dal GIP del tribunale di Vicenza in data 18.5.2017, con riferimento al valore di euro 106.012.687,50 (corrispondente all'ammontare delle sottoscrizioni di capitale versate alla banca, a seguito dell'aucap, dai soci il cui acquisto era stato sollecitato dalla banca stessa e che non avrebbero potuto sottoscriverlo ove fosse stato applicato il "test di adeguatezza bloccante"), il tribunale disponeva la confisca in tal senso, detraendo tuttavia l'importo di euro 31,8 milioni, oggetto di restituzione effettuata a titolo transattivo, e fissando, quindi, l'ammontare della confisca nella misura di euro 74.212.687,50 (con conseguente parziale revoca del sequestro). 1.11 Il trattamento sanzionatorio Con riferimento ai reati commessi dagli imputati ZO., PI., MA. e GI., dei quali andava ad affermare la penale responsabilità, il tribunale ravvisava la sussistenza del vincolo della continuazione, trattandosi di reati espressione di un'unitaria determinazione criminosa. Quindi: - esclusa quanto ai reati di cui ai capi A1, B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1 l'aggravante ex art. 112 nr. 1 c.p., in ragione del numero inferiore a cinque degli autori delle relative condotte; - riconosciuta, quanto ai reati di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1 l'aggravante ad effetto speciale ex art. 2638 co. 3, c.c., essendosi in presenza di istituto di credito emittente strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ex art. 116 D.L.vo 58/98; - riconosciuta, altresì, in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1, N1, l'aggravante di cui all'art. 61 nr. 2 c.p., trattandosi di condotte di ostacolo, susseguitesi nel tempo, al fine di occultare l'illecita manipolazione del prezzo sia di nascondere la falsità dei precedenti flussi informativi; - riconosciute, inoltre, a tutti gli imputati le attenuanti generiche, trattandosi di soggetti incensurati che avevano anche tenuto corrette condotte processuali (in effetti, presenti a tutte le udienze, costoro si erano anche sottoposti ad esame, eccezion fatta per ZO. il quale, peraltro, aveva reso dichiarazioni spontanee); - valutate le predette attenuanti in regime di mera equivalenza rispetto alle ravvisate aggravanti, in considerazione della notevole entità dei danni cagionati con le condotte delittuose; - ritenuto più grave il reato di cui al capo H1, in ragione della pena edittale di riferimento e del tempo significativo di protrazione della relativa condotta (esauritasi solo nell'aprile del 2015); - considerati, infine, i criteri tutti di cui agli art. 132, 133 c.p. (e, segnatamente: il ruolo apicale rivestito dagli imputati; il numero e la varietà delle condotte delittuose, protrattesi per anni; l'intensità del dolo all'origine delle medesime condotte e, in particolare, la pervicacia e l'ostinazione che avevano orientato l'azione di occultamento al mercato e alla vigilanza della reale situazione dell'istituto di credito), condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di anni due in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 ed N1 (essendo evidentemente un errore materiale la quantificazione sintetica di tale aumento nella misura di anni uno, in ragione della specifica indicazione, nella misura di mesi tre, dell'aumento di pena irrogato per ciascuno di detti reati), con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia; aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, infine, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre e mesi sei di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati). Gli imputati, infine, erano dichiarati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. 1.12 La confisca per equivalente. Il tribunale, premesso che la disposizione di cui all'art. 2641 c.c., prevedeva, in relazione ai reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c,, la confisca (diretta, ovvero, in via sussidiaria, per equivalente) non solo del prodotto/profitto dei reati, ma anche dei beni utilizzati per commetterlo, precisava, a tale ultimo riguardo (richiamando sul punto la sentenza della Corte Costituzionale nr. 112/2019 e la giurisprudenza di legittimità espressasi in fattispecie analoga), come in tale categoria di beni non rientrassero unicamente i tradizionali "instrumenta sceleris", ovverosia le cose intrinsecamente pericolose (il grimaldello, la stampante utilizzata per la produzione di cartamoneta falsa, ecc..) bensì qualsivoglia res l'impiego della quale avesse reso possibile la commissione del reato e, pertanto, con riferimento alla vicenda sub iudice, anche le risorse finanziarie concesse dall'istituto a titolo di finanziamento ed impiegate per l'acquisto delle azioni dell'istituto medesimo; risorse che, nella specie, erano state convincentemente quantificate dai consulenti del P.M. nella misura di euro 963,000,000,00. Nella prospettiva del primo giudice, infatti, erano proprio i finanziamenti concessi per le operazioni di capitale finanziato che avevano reso possibili i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, trattandosi di reati che erano stati commessi comunicando un patrimonio di vigilanza non veritiero, in quanto non corrispondentemente decurtato. Erano detti finanziamenti, quindi, che, nel caso in esame, costituivano "i beni utilizzati per commettere i reati". A legittimare, poi, la confisca per equivalente nei confronti degli imputati era il mancato rinvenimento della somma oggetto dì confisca diretta e, quindi, l'impossibilità (peraltro da ritenersi all'uopo rilevante anche ove soltanto transitoria) di tale ablazione diretta. Nel caso di specie la confisca diretta era impedita dall'assoggettamento dell'istituto di credito, al momento della pronuncia, a liquidazione coatta amministrativa, trattandosi di procedura per effetto della quale era venuta meno in capo all'ente la disponibilità del patrimonio societario, destinato esclusivamente ad essere gestito, evitandone il depauperamento, in vista delle finalità della procedura medesima. Di qui la confisca disposta, per il valore di euro 963.000.000, nei confronti degli imputati ZO., PI., GI. e MA., con la precisazione che il principio solidaristico posto a fondamento della disciplina del concorso di persone, da un lato, e la natura eminentemente sanzionatoria della confisca per equivalente, dall'altro, implicavano che il provvedimento ablatorio fosse pronunziato, a carico di ciascuno di costoro, con riferimento all'intero importo. 1.13 Le questioni civilistiche Quindi, con riferimento alla posizione della Banca (...), citata da numerose parti civili in qualità di responsabile civile e in questa veste costituitasi in udienza preliminare, il tribunale riteneva la validità delle argomentazioni poste dall'istituto di credito a fondamento della relativa richiesta di esclusione (originariamente respinta per tardività) ex art. 83 TUB. In effetti la circostanza che l'istituto di credito fosse stato sottoposto a procedura di liquidazione coatta amministrativa con decreto ministeriale nr. 185 del 25 giugno 2017, ove debitamente valutata alla luce delle disposizioni di legge in materia, rispettivamente, di estensione alla procedura in esame delle disposizioni in materia di fallimento (art. 201), di disciplina dell'opposizione allo stato passivo (art. 83 TUB) e di improseguibilità delle pretese creditorie avanzate innanzi al tribunale ordinario (52 TUB), comportava la improcedibilità delle domande avanzate nei confronti della banca. Tutte le ragioni di credito, infatti, avrebbero dovuto essere fatte valere in sede concorsuale e, segnatamente, nell'ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, nel solco, peraltro, di quanto affermato ripetutamente dal giudice di legittimità. Di qui la declaratoria di improcedibilità della domanda avanzata dalle parti civili nei confronti del responsabile civile. Evidenziava infine il tribunale come esulassero dai poteri di ius dicere del giudice penale le domande (in taluni casi affiancate alle richieste risarcitone) volte a ottenere pronunce di accertamento della nullità e/o inefficacia dei contratti di finanziamento sottoscritti per l'acquisto di azioni. Quanto, poi, alle domande risarcitone da talune parti riproposte, in sede di conclusioni, nei confronti dell'Istituto di credito in qualità di ente incolpato ex D.L.vo 231/01, il Tribunale, richiamando i provvedimenti che non avevano ammesso la relativa costituzione di parte civile (sul rilievo della non esperibilità dì azioni civili volte ad ottenere il risarcimento del danno nei confronti degli enti in qualità di responsabili degli illeciti amministrativi), in tal senso espressamente motivava le ragioni che avevano indotto il collegio a non esaminare le relative richieste. Infine, con riferimento alle domande risarcitorie avanzate nei confronti degli imputati, il primo giudice pronunziava sentenza di condanna generica di questi ultimi in favore delle parti civili istituzionali (Banca d'Italia e CONSOB) e di quelle private (azionisti e obbligazionisti di B., siccome indicati negli elenchi, allegati al dispositivo, depurati delle parti le cui costituzioni erano state espressamente revocate, ovvero dovevano intendersi revocate per mancata presentazione delle conclusioni). In ordine ai primi, precisato che il pregiudizio patrimoniale consisteva negli esborsi e nel complessivo dispendio di risorse che le autorità di vigilanza avevano dovuto sostenere per ottenere quelle informazioni che erano state loro occultate, mentre il pregiudizio non patrimoniale doveva identificarsi nella compromissione delle finalità istituzionali delle suddette autorità e nella lesione dell'immagine che ne era derivata, il tribunale evidenziava la necessità di rimessione, per la quantificazione di dette voci dì danno, innanzi al giudice civile, in difetto di concreti elementi probatori idonei ad orientare la relativa determinazione. Nondimeno riconosceva una provvisionale nella misura di euro 601.017,39 in favore di Banca d'Italia e di euro 186.570 in favore di CONSOB, in entrambi i casi parametrandone l'entità ai costi (siccome quantificati dagli uffici interni di detti enti) sostenuti per l'aggravio di attività strettamente conseguenti alle condotte delittuose. Con riferimento, poi, alle parti civili private, osservato come il D.L. 99/17 che aveva posto in liquidazione coatta amministrativa l'istituto di credito avesse conservato i diritti dei titolari di obbligazioni subordinate nella liquidazione, sicché i predetti avrebbero potuto trovare soddisfazione solo una volta soddisfatti gli altri creditori, il primo giudice sottolineava che tutti gli investitori avevano subito un danno dalle condotte manipolative, in quanto indotti all'investimento sul presupposto di una situazione patrimoniale dell'istituto artatamente presentata come positiva e, quindi, senza essere stati posti nelle condizioni dì valutare la rischiosità dell'investimento stesso e la solvibilità della banca nell'estinguere il credito e nell'effettuare il rimborso. Segnatamente, con riferimento al delitto di aggiotaggio, il pregiudizio andava individuato nell'avere acquistato o conservato gli strumenti finanziari a prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, ovvero nell'avere effettuato un investimento che, senza le condotte manipolative, non sarebbe stato posto in essere. Analogamente, con riferimento al reato di falso in prospetto, gli investitori erano stati pregiudicati da condotte delittuose che avevano avuto l'effetto di mantenere artificiosamente alto il valore delle azioni, al contempo rappresentando una solidità patrimoniale dell'istituto in realtà insussistente. Più nel dettaglio, ad essere stati danneggiati - precisava il tribunale - non erano solo coloro che, nel periodo di commissione delle condotte delittuose, avevano acquistato azioni ad un prezzo superiore al reale valore dei titoli, ma anche gli investitori che, già in possesso di detti strumenti finanziari, si erano astenuti dal disinvestimento per effetto delle richiamate condotte manipolative. Di maggiore complessità, poi, era la questione inerente a coloro (peraltro una minima parte degli investitori, prevalentemente acquirenti di obbligazioni subordinate) che avevano acquistato le azioni successivamente alle condotte delittuose, sebbene anche con riferimento a tale categoria di investitori fosse effettivamente prospettabile un pregiudizio derivante dai reati, tenuto conto del periodo apprezzabile intercorso tra la cessazione delle condotte delittuose ed il disvelamento di quanto avvenuto (trattandosi di circostanza che aveva determinato il protrarsi di effetti di errata rappresentazione al mercato della reale situazione dell'istituto di credito, con indubbio svantaggio informativo). Infine vi erano i clienti dell'istituto che avevano effettuato gli acquisti con il denaro erogato dalla banca. Costoro non avevano subito una lesione diretta, non avendo impiegato risorse proprie nell'investimento (se non nel caso di investimento solo parzialmente finanziato); nondimeno, al di là della sussistenza o meno dell'obbligazione restitutoria, l'esposizione debitoria segnalata alla centrale rischi che ne era seguita e l'addebito dei costi di finanziamento costituivano pur sempre un pregiudizio effettivo. Conclusivamente, con riferimento alle parti civili private, emergeva un quadro composito, caratterizzato da posizioni eterogenee. Ebbene - precisava il tribunale - dette parti avevano quantificato: - il pregiudizio patrimoniale nel controvalore del pacchetto azionario calcolato sul valore dell'azione pari a 62,50 euro, ovvero all'ammontare della somma investita nelle operazioni di investimento (e, quindi, sostanzialmente, nella perdita dell'investimento); - ed il danno non patrimoniale in una quota parte di quello patrimoniale. Nondimeno tali parametri non potevano ritenersi appaganti, posto, per un verso, che il danno non si poteva meccanicamente identificare nella perdita del valore dell'azione in quanto i reati di aggiotaggio e falso in prospetto presentavano profili peculiari che non consentivano di determinare il relativo pregiudizio facendo ricorso a siffatto automatismo; e, per altro verso, che le parti civili si erano limitate a documentare i titoli sottoscritti (ovvero acquistati) e il prezzo pagato, senza fornire ulteriori elementi utili per la esatta quantificazione del pregiudizio. Peraltro, nulla era dato conoscere in ordine all'indennizzo corrisposto agli investitori dal FIR (Fondo Indennizzo Risparmiatori). Di qui la condanna generica al risarcimento ed il riconoscimento di una provvisionale nella misura del 5% dell'importo nominale del valore delle azioni od obbligazioni acquistate risultante dagli atti di costituzione di parte civile e, in ogni caso, onde evitare sperequazioni (tenuto conto del fatto che le cifre più consistenti erano quelle inerenti alle operazioni di capitale finanziato), non superiore ad euro 20.000,00 per ciascuna parte (importo dal primo giudice ritenuto tale da coprire almeno il danno non patrimoniale). Infine il primo giudice respingeva la domanda risarcitoria avanzata dagli enti esponenziali (Confconsumatori, Federconsumatori Friuli Venezia Giulia, Federconsumatorì Veneto, Codacons, Cittadinanza Onlus) per difetto di prova alcuna in ordine al pregiudizio non patrimoniale asseritamente subito a seguito delle condotte delittuose. 2. GLI APPELLI DEGLI IMPUTATI 2.1. Appello proposto da Gi.Em. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello la difesa di Gi.Em.. 2.1.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al capitolo I della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari), l'appellante - anteponendogli una premessa nella quale ha censurato in via generale il metodo argomentativo assertivo seguito nella sentenza impugnata, carente nell'enunciazione degli specifici "motivi di fatto e di diritto" attributiva delia responsabilità all'imputato GI. e tendente all'esposizione solo di alcune risultanze processuali senza nel contempo citarne molte altre, pur decisive su aspetti imprescindibili - ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018 del 7.12.2017 dep. 6.4.2018, emessa in sede cautelare, che aveva risolto in favore del foro vicentino il conflitto di competenza; conflitto sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore rispetto all'attuale e oltretutto connotato da una formulazione del capo B1 frattanto considerevolmente modificatasi). Le argomentazioni esposte in questo primo motivo d'appello dalla difesa del GI. a fondamento della dedotta competenza territoriale del Tribunale di Roma sono di tenore sostanzialmente analogo a quelle dell'appello ZO. (v. infra), cui si rinvia per il resto, fermo restando che dalla difesa dell'appellante GI. vengono particolarmente sviluppati i seguenti due argomenti: - il capo B1 contempla in sé, in realtà, sia il delitto di false informazioni (art. 2638 comma 1 c.c.) che quello di ostacolo (art. 2638 comma 2 c.c.) e i suddetti due delitti non si sono realizzati nel medesimo contesto temporale in quanto l'ispezione maggio-ottobre 2012 è stata per l'appunto preceduta dall'invio, in data 26.4.2012, della comunicazione di vigilanza (a firma del d.g. Sa.So.) avente ad oggetto il rendimento ICAAP sulla determinazione del patrimonio di vigilanza della banca al 31.12.2011; - nel decidere la questione di competenza la verifica del giudice non può essere limitata - diversamente da quanto ritenuto dal tribunale vicentino - alla mera enunciazione così come testualmente prospettata nel capo di imputazione, dovendo invece estendersi alla perimetrazione del fatto così come risultante dall'insieme di tutti gli atti allegati dalle parti (la comunicazione ICAAP inviata a Banca d'Italia il 26.4,2012 rientrerebbe per l'appunto fra gli atti di indagine specificamente relativi all'imputazione contestata sub capo B1 trattandosi di atti depositati dal Pubblico Ministero - segnatamente nel faldone n. 7 - e messi a disposizione del giudice con la richiesta di rinvio a giudizio); al riguardo vengono citati arresti giurisprudenziali di legittimità. L'appellante ha ribadito altresì - dopo averla prospettata già in primo grado nelle note d'udienza 2.4.2019 alle quali ha rinviato per tutti gli approfondimenti del caso - la possibilità di individuare in alternativa come territorialmente competente il Tribunale di Milano in quanto sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (ciò solo qualora i sia ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge n. 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile, trattandosi di questione tuttora dibattuta). 2.1.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione al capitolo II della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari) l'appellante ha dedotto la violazione degli art. 185 c.p. e 74 c.p.p. ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p. pronunciata dal tribunale in data 21.3.2019 (parzialmente reiettiva della richiesta di esclusione delle parti civili) e di tutte le parti della sentenza che la richiamano. L'impugnazione dell'anzidetta ordinanza si riferisce, per la precisione, ai suoi paragrafi 1.5, 1-6 e 1.7: s quanto al paragrafo 1.5 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile in capo agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti di causa. Essendo costoro divenuti azionisti od obbligazionisti (puri, subordinati o convertibili) in epoca successiva ai fatti che qui occupano non possono - conseguentemente - lamentare di avere subito un danno immediato e diretto (alcuni di essi, anzi, appaiono piuttosto avere messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti); quanto al paragrafo 1.6 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle c.d. operazioni "baciate"; tali soggetti non possono infatti che definirsi carenti di legitimatio ad causam essendo consapevoli di partecipare a un'operazione asseritamente illecita nella prospettazione d'accusa, a differenza di quanto affermato dal tribunale; al riguardo l'appellante ha ricordato come nella stessa costruzione generale dell'impianto accusatorio si dia indicazione della sottoscrizione, da parte dei clienti/soci/finanziati, di lettere di impegno - dal tenore chiaro ed esplicito - contenenti, per l'appunto, l'impegno da parte della banca al riacquisto delle azioni B. e/o contenenti la garanzia di un determinato rendimento; s quanto al paragrafo 1.7 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno messo in vendita le loro azioni. Nei confronti di tali soggetti si è infatti verificata l'interruzione - a seguito delia vendita - del nesso causale, con il conseguente carattere solo indiretto del danno da reato (commisurato al deprezzamento fra il momento di acquisto dell'azione e la realizzazione effettiva). Ebbene, lo stesso tribunale vicentino più volte ha fatto riferimento, nel contesto dell'ordinanza impugnata, proprio alla consequenzialità immediata fra reato e danno (enunciata negli artt. 1223 e 1227 comma 2 c.c.) dalla quale far discendere la sussistenza della legittimazione. Consequenzialità immediata che, nel caso di danno indiretto, per l'appunto non ricorre. - conseguentemente si è richiesta l'esclusione di tutte le parti civili rientranti nell'una o nell'altra delle suindicate tre categorie. 2.1.3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al capitolo III della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erronea ricostruzione -all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - della posizione del GI. nell'organigramma di B., dovuta tanto a un'erronea valutazione degli elementi ritenuti a carico quanto alla mancata valutazione di molti altri elementi pur esistenti a discarico. Segnatamente: la sentenza impugnata, nel sostenere che il GI. avrebbe svolto un ruolo primario agendo congiuntamente al direttore generale Sa.So. (l'operatività era gestita dal direttore generale So. e dal suo vice Gi."), contrasterebbe con un dato conclamato alla luce dell'intera vasta istruttoria dibattimentale e in particolare testimoniale, ossia il fatto che Sa.So. fosse in realtà da lungo tempo portatore, nei confronti del GI., di un sentimento - da lui apertamente manifestato - di sfiducia, contrarietà e desiderio di causarne l'emarginazione, come riferito - fra gli altri - dai testi Di.Gr., Co.Tu., Cl.Gi., Da.Es., Pa.An. (quest'ultimo in particolare, nell'evidenziare come tale connotazione del rapporto fra i due fosse evidente anche per i componenti del CdA, aveva dichiarato: Sostenere che So. facesse tandem con Gi. anche se poi il fenomeno delle baciate potrebbe anche farlo pensare, è un qualcosa che era assolutamente irreale per chi un minimo respirava la banca, anche perché era notorio che So. non amasse la professionalità di Gi..."). Tutt'altre invero erano le persone che all'interno di B. frequentavano abitualmente l'ufficio del So., menzionate nominativamente - ad esempio - dal teste Esposito in sede dibattimentale; da tale "salotto buono" (cfr, pag. 31 atto di appello) ovvero "cerchio magico" (Ibidem) il GI., in altri termini, era rigorosamente escluso; - la stessa elencazione delle funzioni e competenze tanto della Divisione Mercati quanto del suo responsabile Em.Gi., così come sunteggiata alla pag. 639 della sentenza impugnata, non risponde al vero poiché ignora il fatto che gli organigrammi e i funzionigrammi di B. hanno subito nel tempo, proprio per volere del So., accentuati cambiamenti il cui scopo era esattamente quello di emarginare il GI. coinvolgendo, nel contempo, personale fedele al direttore generale; sono state citate al riguardo tanto l'analisi condotta dal consulente tecnico della difesa prof. Pe. quanto le deposizioni rese da vari testimoni (Al.Mo., Co.Tu., Ma.Ba., Gi.Am., Cl.Am., Cl.Gi., Fi.Ro.); - sempre l'istruttoria dibattimentale, in particolare testimoniale (cfr le deposizioni dei testi Al.Ba., Co.Tu., Cl.Gi., Ma.Ni., Se.Ro., Lu.Ve., En.Da., Di.Ip., Al.Cu.), ha consentito di appurare che le scelte riguardanti le operazioni qui in discussione e le loro modalità erano decise in piena autonomia dal solo So., il quale impartiva alle strutture della banca le conseguenti direttive o in prima persona oppure avvalendosi, a guisa però di mero tramite, del GI. e/o del direttore commerciale Gi.Am.; - sempre l'istruttoria dibattimentale (cfr. le deposizioni dei testi Cl.Gi., En.Da., Co.Tu.) ha evidenziato come anche lo stesso GI. - tratteggiato nella gravata sentenza come l'autore in prima persona di pressioni estreme sulla rete commerciale - fosse in realtà destinatario di minacce e pressioni provenienti direttamente dal So.. Quanto alle fonti di prova citate in sentenza con riguardo alle pretese pressioni esercitate dal GI. (cfr. in particolare le dichiarazioni dei testi Di.Ip. e Ma.Ni.) la difesa ha argomentato nel senso del loro fraintendimento e/o vaglio solo parziale e decontestualizzato da parte del tribunale; - la sentenza gravata ha completamente omesso di considerare i seguenti due episodi - definiti gravi e inquietanti dalla difesa - in danno del GI., i y quali ben evidenziano quanto egli fosse "estraneo al milieu compatto e ristretto di gestione reale della Banca" (cfr. pag. 34 atto di appello): a) riguardo alla questione degli storni è emerso che - in seno alla Divisione Mercati diretta dal GI. - era stato ordinato da Gi.Am. al suo subalterno Al.Fe. di correggere le lettere di storno sottoscritte dallo stesso Am. obliterando la firma di questi e lasciando inalterate solo le lettere firmate dal GI., quando per converso l'estraneità di questi alla procedura degli storni deve ritenersi dimostrata anche dal rigetto, nei suoi confronti, della domanda cautelare presentata in sede civile dalla banca (cfr. documento n. 668 prodotto dallo stesso Pubblico Ministero, corrispondente al provvedimento n. 4414/2015 del Giudice del lavoro presso il Tribunale di Vicenza); b) a detta del teste Co.Tu. il collega Ad.Ca. - uno dei componenti la ristretta cerchia di frequentatori abituali dell'ufficio del d.g. Sa.So. - all'inizio del mese di maggio 2015 aveva minacciato lo stesso Tu. di licenziamento perché si era rifiutato di scrivere una relazione nella quale si dicesse falsamente che il GI. era il responsabile di tutta l'operatività illecita; - l'ostilità nei confronti del GI. si era finanche acuita dopo l'inizio dell'attività ispettiva, essendo sorta - per effetto di quanto andava ivi emergendo - l'esigenza di catalizzare sul predetto ogni responsabilità. 2.1.4 Con il quarto, il quinto e il sesto motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IV, V e VI della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erroneità dell'attribuzione al GI. - all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - dell'ideazione e attuazione delle operazioni di finanziamento correlato, rivendicando altresì in capo al predetto la genuina convinzione che tali operazioni non solo fossero lecite ma altresì che venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. Si è evidenziato in particolare al riguardo quanto segue: - il GI. era entrato in B. nel novembre 2007 allorquando la prassi delle operazioni correlate già era in essere (circostanza riferita non solo dall'imputato nel suo esame dibattimentale ma altresì dai testi Di.Gr. e Alessandro Ba. fra gli altri); - il GI. inizialmente era perplesso, e del resto si trattava di perplessità diffusa all'interno di B., circa l'applicabilità dell'art. 2358 cc. alle banche popolari come società cooperative e ciò quantomeno fino all'anno 2012, anno in cui aveva avuto luogo l'ispezione della Banca d'Italia; in tal senso del resto si era espresso anche un parere legale esterno acquisito dalla stessa B.; - la sentenza impugnata ha comunque errato nel ritenere non credibile il teste Cl.Am. circa l'andamento del suo colloquio con l'ispettore Ge.Sa. (del quale va tenuta in considerazione, in particolare, una conversazione captata - la n. 281 progn del 19.3.2017 - con il consulente tecnico del Pubblico Ministero, Pa., ove il primo diceva al suo interlocutore: "Poi, vedendo le carte, effettivamente alcune operazioni baciate c'erano", il che dimostrerebbe l'effettività dei disvelamento affermato dal teste Am.); né il tribunale ha valutato con adeguato rigore i plurimi elementi istruttori che depongono nel senso di un rapporto istituzionale "non esemplare" intrattenuto dalla Banca d'Italia, nella specifica occasione, con il So.; - plurime sono le evidenze testimoniali - citate nominativamente nell'atto di appello - di una "piana e pacifica conoscenza dell'esistenza delle operazioni correlate in capo a tutti i settori di B., incluso il settore legale nella persona dell'avv. An.Pa. (diversamente da quanto costei ha sostenuto in sede dibattimentale) e incluso soprattutto il settore bilancio e pianificazione di cui era responsabile il coimputato Ma.Pe., che oltretutto faceva parte - circostanza ben nota al Gi. - del milieu ristretto di dirigenti che avevano un rapporto esclusivo con il So. (al riguardo l'appellante ha lamentato il fatto che il PE. sia stato mandato assolto dal tribunale sull'assunto che in capo allo stesso PE. fosse insufficiente la prova dell'elemento soggettivo del reato); - il GI., atteso tutto quanto sopra (in particolare quanto osservato in relazione alla posizione del PE. e al contegno da questi tenuto), non poteva che maturare la convinzione che le operazioni correlate - a tutti note in B. - venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza; - non può condividersi per converso l'argomento, svolto a pag. 216 dalla sentenza impugnata, secondo cui è evidente che le operazioni correlate in oggetto non venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza in quanto, in caso contrario, sarebbero state del tutto inutili; tale argomento prova troppo, giacché, se davvero così fosse stato, tutti coloro che si erano occupati di operazioni correlate in B. (inclusi tutti gli esponenti dell'alta e media dirigenza, ivi compresi quelli più vicini al So.) sarebbero stati raggiunti dalle medesime imputazioni; ciò non è invece avvenuto proprio perché la Procura della Repubblica vicentina ha ritenuto mancante in capo a costoro la consapevolezza dell'intero disegno strategico intessuto al riguardi dal So. (e, con ogni probabilità, da questi tenuto riservato entro la ristretta cerchia delle persone per lui fidate, la quale non comprendeva - come detto - l'imputato GI., tenuto lontano dalle "strategie decisionali" del direttore generale stante il rapporto di emarginazione, sfiducia e contrarietà del quale egli era reso oggetto); - esistono inoltre ragioni prettamente tecniche, illustrate anche dal c.t, della difesa prof, Pe. (e passate in rassegna alle pagg. 50-51 dell'atto di appello), che rafforzano ulteriormente la conclusione da trarsi circa la genuina convinzione, in capo al GI., che le note operazioni correlate venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. 2.1.5 Con il settimo e l'ottavo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli VII e VIII della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha passato dettagliatamente in rassegna le numerose emergenze processuali già evidenziate in prime cure dalla difesa - ma ignorate dalla sentenza impugnata - che a suo avviso depongono nel senso della non consapevolezza, in capo al GI., dell'entità del fenomeno, censurando simmetricamente l'erronea valutazione, da parte del primo giudice, di quegli ulteriori elementi probatori che lo stesso tribunale ha ritenuto pesare a carico dell'imputato. In particolare si è evidenziato che: quanto al contenuto del file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, le frasi ivi pronunciate dal GI. e da altri partecipanti non sono state adeguatamente contestualizzate (a quell'epoca era ormai diffusa in B. una sensazione di "quasi defaul" manifesta e recepita da tutti con ovvie preoccupazioni); in alcuni altri casi invece - come ad esempio è a dirsi per la quantificazione da parte del So. dei "finanziamenti" in oltre un miliardo di euro - sono state travisate nel significato (in realtà sarebbe chiaro, a detta dell'appellante, che il So. non si riferiva al capitale finanziato bensì alla campagna pre-affidamenti, il che emergerebbe da vari elementi della svolta istruttoria); - del tutto neutro è il fatto che il So. prima del 2013 avesse fatto fare un report a Co.Tu. (circostanza evidenziata a pag. 668 della sentenza gravata), dato che la stessa sentenza ha ricordato come tale report - al pari delle tabelle di monitoraggio mensili diffuse nel corso delle riunioni della Divisione Mercati - riguardasse tutti i soci, anche quelli non finanziati; - anche la deposizione del teste Ro.Pr., valorizzata in sentenza quale dato significativo a carico del GI., non sarebbe stata letta ed esaminata nella sua interezza dai giudici vicentini; - le prove a discarico in punto "consapevolezza" del GI. sono state completamente ignorate dal primo giudice, pur provenendo esse a volte finanche da testi altrimenti rivelatisi alquanto "ostili" nei suoi confronti come Lu.Ve., Gi.Ca., En.Da., Se.Ro., Pa.An. (dei quali l'appellante ha riportato gli stralci di deposizione favorevoli al GI.); - quanto agli elementi probatori indicati in sentenza come "a carico" dell'imputato, invece, ivi non si è specificato neppure a quali fra i plurimi distinti reati contestatigli essi si riferiscano; - attesa la sopra ben evidenziata conoscenza diffusa a tutti i livelli, in B., del ricorso a operazioni di capitale finanziato, si svuotano di valenza probatoria "a carico" elementi come gli appunti del teste Ma.So. circa i contenuti del Comitato di Direzione 8.11.2011 e come l'incontestato ruolo di coordinamento della rete che il GI. esercitava in quanto direttamente afferente alla sua qualifica di responsabile della Divisione Mercati; - vari testi, ancora una volta ignorati dalla sentenza gravata, hanno riferito circa il reiterato attivarsi del GI. per favorire l'informatizzazione della procedura (il che avrebbe reso impossibile la prassi contestata), incontrando però sempre la ferma resistenza della Divisione Risorse; - non sono minimamente risolutivi gli asseriti indici di consapevolezza evidenziati in sentenza (il divieto alla rete di comunicare informazioni per iscritto; il ricorso alla ed. "clausola sentinella" generica nelle P.E.F.; l'invito a rispettare un distanziamento temporale tra fido e acquisto delle azioni), posto che, a tacer d'altro, la formula generica - preesistente all'ingresso di GI. in B. - è risultata non essere stata utilizzata in una cospicua percentuale delle stesse operazioni correlate (circa il 35,50%) e che pure la prassi del distanziamento temporale non era stata certo introdotta, come dimostrato dalla svolta istruttoria, dal GI., in capo al quale - diversamente da quanto ritenuto in sentenza - non può affatto di dimostrata una "pervicace condotta tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delie autorità di vigilanza" (cfr. pag. 647 sentenza gravata); - la sentenza impugnata, nell'indicare come elementi a carico significativi la vicenda Vi. (e relativo report Bo.), la richiesta di chiarimenti da parte della società di revisione KP. e le schede consegnate all'ispettore Gi.Ma., ha riportato solo alcuni aspetti della relativa vicenda ignorando le risultanze processuali utili a contestualizzarli e a inquadrarli; aspetti che l'appellante ha illustrato e analizzato alle pagg. 62-66 dell'atto di impugnazione. 2.1.6. Con il nono, decimo, undicesimo e dodicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IX, X, XI e XII della parte III dell'impugnazione) l'appellante ha illustrato quelli che a suo avviso sono fondamentali errori metodologici commessi dal primo giudice nella ricostruzione probatoria dei fatti, con particolare riguardo: - a una visibile confusione fatta tra gli elementi costitutivi della fattispecie legale dell'operazione correlata e l'individuazione dei mezzi probatori atti a verificarne l'effettiva realizzazione in una determinata situazione; all'utilizzo di "criteri" (nomenclatura estranea al diritto delle prove penali) non identificabili con le circostanze indiziarie disciplinate quali mezzi di prova dall'art. 192 comma 2 c.p.p., di talché si sarebbe persa di vista, in sentenza, la necessità che il quadro indiziario risulti connotato dai necessari requisiti di gravità, precisione, concordanza e necessità di adeguati riscontri; in altri termini la sentenza gravata non ha rispettato il citato canone processual-penalistico (cui era tenuta ad attenersi) bensì ha, piuttosto, utilizzato il metodo amministrativistico di cui alla circolare n. 263 della Banca d'Italia, e ciò benché le finalità perseguite dai vari metodi e dai differenti criteri in gioco (BCE, consulenti tecnici del P.M., CONSOB) si differenzino considerevolmente fra loro; - all'utilizzo in particolare, da parte della sentenza gravata, dei criteri impiegati dapprima da BCE e indi dai consulenti tecnici del P.M., che tuttavia sono estranei alla metodologia del processo penale di cui al citato art. 192 comma 2 c.p.p. in tema di valutazione critica delle prove indiziarie; metodologia che, se utilizzata, avrebbe dato esiti finali ben diversi e favorevoli all'imputato. 2.1.7 Con il tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo e sedicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XIII, XIV, XV e XVI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha censurato la sentenza impugnata laddove ha ritenuto di ravvisare una responsabilità concorsuale del GI. ex art, 110 c.p.p., anzitutto, nei reati di aggiotaggio manipolativo-operativo (articolato in una prima condotta relativa alla concessione del capitale finanziato, in una seconda condotta relativa alla mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014 e in una terza condotta relativa alla mancata comunicazione all'esperto prof. Ma.Bi. della prassi aziendale in tema di operazioni correlate), non prima peraltro di avere stigmatizzato l'illegittima "moltiplicazione", operata in sentenza, dei reati di aggiotaggio di cui al capo Al, da ritenersi attuata in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale. Ha evidenziato come l'apoditticità dell'argomentare dei giudici vicentini circa il ravvisato apporto concorsuale del GI. emerga a più riprese dalla lettura della sentenza, fermo restando che, ad applicare uguale metodologia argomentativa a svariati fra i soggetti escussi come testi in dibattimento, gli stessi sarebbero a loro volta dovuti figurare quali coimputati in ragione della loro conoscenza diretta del "fenomeno" del capitale finanziato e della loro altrettanto diretta operatività all'interno del fenomeno medesimo. Ha indicato come profondamente errata, alla stregua di tali considerazioni e della necessità di rispettare i principi generali in tema di concorso nel reato, l'attribuzione generalizzata al GI. (del tutto disancorata dalle prove acquisite al processo, anche per quanto riguarda i dati numerici) della penale responsabilità con riguardo a tutte le 874 operazioni emerse, pur frammentate negli anni oggetto di contestazione. In realtà - ha proseguito l'appellante - sarebbe stato necessario dimostrare, per ciascuna singola operazione correlata, che il GI. ne aveva deliberato il finanziamento per essa specificamente utilizzato; che ne aveva seguito l'intera evoluzione; che infine aveva avuto consapevolezza della non deduzione di tale finanziamento dal patrimonio di vigilanza. L'appellante ha escluso che le generiche affermazioni contenute in sentenza riescano a evidenziare in capo al GI. la prova della sua ravvisata penale responsabilità anche per la condotta di mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014; per converso il primo giudice ha completamente ignorato, ad avviso dell'appellante, una serie di prove a discarico (documentali e testimoniali) che, conducono a non poter ascrivere al GI. tale condotta, per vero del tutto estranea alle competenze della Divisione Mercati. Né - ha proseguito l'appellante - può ritenersi soddisfacente il generico e indistinto ricorso, da parte del primo giudice in aderenza alla formulazione dell'imputazione, alla nozione di "agevolazione", essendo noto che, nella interpretazione giurisprudenziale dell'art. 110 c.p., la c.d. "agevolazione" o il "rafforzamento del convincimento" (dato dal concorrente nel reato a colui che materialmente pone in essere la condotta) deve comunque estrinsecarsi in una condotta individuata nei suoi tratti essenziali. Indi l'appellante ha censurato come ancora una volta apodittico, e anzi in aperto contrasto con le risultanze dell'istruttoria dibattimentale, l'argomentare della sentenza impugnata circa l'asserito apporto concorsuale del GI. al reato di aggiotaggio manipolativo quanto alla condotta di mancata comunicazione all'esperto stimatore esterno incaricato da B. nel 2010, prof. Ma.Bi., della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie. Ha comunque evidenziato che in base alla stessa relazione dei cc.tt del P.M. - pur ampiamente citata e utilizzata in sentenza sotto altri profili e viceversa pressoché ignorata su questo specifico punto - emerge come l'erronea stima del sovrapprezzo dell'azione B. da parte del prof. Bi., lungi dal dipendere esclusivamente dall'omessa comunicazione al predetto esperto circa l'esistenza del capitale finanziato così come adombrato in sentenza, fosse conseguita anche, e soprattutto, a una serie di errori metodologici commessi dallo stesso prof. Bi., il cui operato è in effetti ampiamente stato criticato anche dai cc.tt. del P.M. senza che il primo giudice si sia tuttavia soffermato adeguatamente su tale pur fondamentale parte della relazione di consulenza tecnica dell'accusa. Ad avviso dell'appellante la suddetta omissione del tribunale si è riverberata in maniera determinante sulla valutazione circa l'esistenza o meno di un nesso causale tra la contestata condotta di asserito nascondimento al prof. Bi. del fenomeno delle operazioni correlate e la sovrastima del valore dell'azione da parte dell'esperto, fermo restando che nessun elemento depone nel senso di un qualsivoglia apporto causale, da parte del GI., al suddetto nascondimento (lo stesso prof. Bi., nel suo esame dibattimentale, ha escluso di essersi interfacciato con il predetto). 2.1.8 Con il diciassettesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XVII della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'estraneità del GI. anche al reato di aggiotaggio informativo, posto che il primo giudice, ancora una volta mantenendosi su di un piano di assoluta indeterminata genericità, non ha dato alcuna indicazione (né tantomeno ha indicato elementi probatori a carico) su quale possa essere stato il "contributo" dell'imputato - non meglio specificato nel capo di imputazione - alla materiale diffusione di notizie false nei vari canali informativi. Né certo la prova e la determinazione del preteso "contributo" del GI. a tale specifica condotta possono trarsi, secondo l'appellante, dalla pur data per scontata - ma a sua volta contestata - "consapevolezza", in capo al predetto, delle modalità di occultamento delle operazioni correlate (consapevolezza che in ogni caso attiene al piano dell'elemento soggettivo e non già a quello - ben distinto - dell'individuazione dell'apporto causale), ferma restando l'esatta distinzione giurisprudenziale tra connivenza non punibile e concorso manifestabile nella sua forma minima, ossia appunto nella agevolazione. Ancora una volta difetta totalmente, in tesi difensiva, il rispetto dell'esigenza di individuare in termini ben delineati quale sia stata in concreto la condotta del GI. inteso quale asserito concorrente "agevolatore". 2.1.9 Con il diciottesimo e il diciannovesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XVIII e XIX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'insussistenza di una condotta concorsuale del GI. nei reati di ostacolo alle funzioni di vigilanza di Banca d'Italia e BCE (capi da B1 a MI), evidenziandone in particolare l'obiettiva estraneità alla produzione dei flussi di informazione decettivi destinati alla vigilanza e a nulla potendo valere la sistematica trasposizione reiterata - di stile - operata, in ciascun capo di imputazione, di quello che altro non è se non il criterio di imputazione soggettiva della distinta condotta di aggiotaggio manipolativo di cui al capo A1. Anche in questo caso difetta totalmente in sentenza, secondo l'appellante, l'individuazione per il GI. di una specifica condotta, dotata di tipicità, atta a individuare in capo al predetto la meramente dedotta condotta agevolativa, tanto più ponendo mente al fatto che in questo specifico caso il GI. si pone quale extraneus rispetto a un reato proprio e che pertanto andrebbero semmai applicate le stringenti regole in tema di responsabilità dell'estraneo nel reato proprio. In ogni caso - ha proseguito la difesa concludendo con una disamina analitica, capo per capo dal B1 fino al MI, del compendio istruttorio acquisito in sede dibattimentale - il tribunale ha fatto malgoverno delle prove ignorando, anche per i suddetti reati di ostacolo, i pur esistenti elementi a discarico. 2.1.10 Con il ventesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il tribunale condannato il GI., in relazione al capo N1, per un fatto totalmente nuovo, naturalisticamente autonomo e non enunciato in alcun modo nel decreto che dispone il giudizio: non gli è infatti più stata ascritta una intesa, al riguardo, con il d.g. Sa.So. ma un contegno attuativo di condotte decisionali esclusive e autonome del So. stesso. In altri termini - ha proseguito la difesa - la condotta per la quale il GI. ha riportato condanna non è sovrapponibile a quella originariamente descritta nel decreto che dispone il giudizio. Di qui l'eccepita nullità. 2.1.11 Con il ventunesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p. avendo il tribunale condannato il GI., in relazione ai capi I e L (reati di falso in prospetto), per un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio. In quest'ultimo infatti gli si contestava di avere preso parte alla materiale predisposizione dei testi dei due prospetti. La sentenza gravata, invece, pur dando atto (perché un tanto emerge dalla svolta istruttoria) che il contenuto dei prospetti è direttamente riconducibile alla condotta dolosa degli imputati ZO. e PI., e pur dando atto che il GI. - come pure l'altro imputato MA. - non era direttamente coinvolto nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, ancora una volta ne ha fondato erroneamente la penale responsabilità (come già aveva fatto in relazione ai reati di ostacolo) sulla mera asserita consapevolezza dell'occultamento delle operazioni finanziate. 2.1.12 Con il ventiduesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXII della parte V dell'impugnazione) l'appellante in subordine ha censurato il trattamento sanzionatorio sotto i seguenti profili: non corretta individuazione del reato più grave (ravvisato nel capo H1 quando viceversa, al momento di determinare la competenza territoriale dell'autorità giudiziaria vicentina, esso era stato identificato con il capo B1); mancata determinazione della pena base nei limiti di legge; mancata determinazione degli aumenti per la continuazione nel minimo di legge; mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. Illegittima deve ritenersi infine - e se ne è chiesta la revoca - la disposta confisca per equivalente non avendo il tribunale indicato le ragioni per le quali il GI. sia stato ritenuto responsabile dell'erogazione di tutti i finanziamenti strumentali alla formazione del capitale finanziato de quo. 2.1.13 Con il ventitreesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXIII della parte VI dell'impugnazione) l'appellante, in relazione alle statuizioni civili, ha chiesto la revoca delle stesse; in ogni caso, e in subordine, ha chiesto sospendersi - sussistendo gravi motivi ex art. 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le partì civili. Riassuntivamente l'appellante GI. ha rassegnato le seguenti conclusioni: 1) In via preliminare principale di rito, riconosciuta l'incompetenza per territorio del Tribunale di Vicenza, pronunciarsi sentenza di annullamento ex art. 24 comma 1 c.p.p., della sentenza impugnata ordinando la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ovvero, in subordine, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano. 2) In via preliminare subordinata di rito annullarsi la sentenza impugnata ex art. 603 comma 4 c.p.p. sia in relazione al capo N1 che in relazione ai capi I e L per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il Tribunale di Vicenza condannato per fatti nuovi non enunciati nel decreto che dispone il giudizio. 3) In via principale di merito assolvere l'imputato GI. da tutti i reati a lui ascritti per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato o con altra formula ritenuta di giustizia. 4) In via subordinata di merito quanto al trattamento sanzionatorio, previa individuazione del reato più grave fra quelli ascritti nel capo B1, riduzione ai minimi di legge della pena base nonché di tutti gli aumenti operati per la continuazione interna con riconoscimento del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle residue aggravanti contestate. 5) In via subordinata quanto alle statuizioni civili, escludere quelli - fra soggetti costituitisi parti civili - da valutarsi come carenti di legittimazione attiva nei termini illustrati nel relativo motivo di gravame. In ogni caso revocare tutte le statuizioni civili e sospendere - sussistendo gravi motivi ex art 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le parti civili. 2.2 Appello proposto da Ma.Pa. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Ma.Pa.. 2.2.1 In particolare con il primo motivo, assai articolato, l'appellante ha censurato l'affermazione di responsabilità del MA. in relazione a tutti i reati contestati nel capo di imputazione sotto più profili che vengono qui di seguito illustrati. 2.2.1.1 Preliminarmente l'appellante ha eccepito la nullità della richiesta di rinvio a giudizio reiterando la già sollevata eccezione, respinta dal tribunale vicentino, di nullità delle notifiche dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p. e dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare effettuate - nel domicilio da lui eletto in data 28.4.2017 nell'ambito del solo procedimento n. 5628/2015 RGNR, allora unico procedimento pendente a suo carico - con riguardo afte imputazioni relative alle condotte criminose che lo stesso MA., in tesi d'accusa, avrebbe posto in essere nell'anno 2015 (condotte che dapprima avevano costituito l'oggetto di un distinto procedimento recante il n. 5851/2017 RGNR, iscritto dalla Procura della Repubblica vicentina - a seguito del deposito dell'informativa finale 6.7,2017 della GdF di Vicenza estesa per la prima volta alle condotte commesse nell'anno 2015 - mediante stralcio dal già pendente procedimento n. 5628/2015 RGNR; indi riunito al suddetto procedimento n, 5628/2015 RGNR solo in occasione dell'udienza preliminare tenutasi nell'aprile 2018) per violazione dell'art. 157 c.p.p.. Ciò in applicazione del principio secondo cui l'elezione di domicilio effettuata dall'imputato ha validità unicamente nell'ambito del procedimento in relazione al quale essa viene effettuata, con divieto quindi di una sua ultrattività anche nei procedimenti connessi. 2.2.1.2 Indi l'appellante ha formulato richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, comprensiva in particolare del confronto tra il teste Cl.Am. (già responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B.) e il teste Ge.Sa. (componente del tea/77 ispettivo di Banca d'Italia che aveva operato nel 2012); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, sul file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (ciò solo per il caso di rigetto dell'eccezione di sua inutilizzabilità sulla quale v. infra); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, atta a valutare l'importo complessivo del capitale ritenuto finanziato, a individuare l'effettiva disciplina della sua deducibilità dal patrimonio di vigilanza e - prima ancora - a individuare i criteri che debbono essere utilizzati al fine di stabilire se un'operazione di finanziamento possa o meno dirsi correlata/finalizzata all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni. A tale ultimo proposito la difesa ha affermato di richiamarsi anzitutto alle articolate argomentazioni svolte dalla difesa ZO. (v. infra); ha evidenziato in ogni caso come emblematico, in ordine alla necessità di disporre perizia, il fatto che, mentre il tribunale ha avallato acriticamente il criterio temporale dei tre mesi (criterio basato su una indicazione del teste Ro. nonché adottato dall'ispettore Ma. e indi dai consulenti tecnici del P.M.), nondimeno l'espletata istruttoria dibattimentale ha in realtà consentito di appurare come il concretamente riscontrato intervallo temporale - a detta dello stesso teste Ma. - si fosse di fatto attestato attorno a un massimo di un mese circa. 2.2.1.3 L'appellante ha poi rinnovato la già svolta eccezione di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014; nel caso di specie, infatti, l'autore materiale della registrazione (uno o forse più tecnici all'uopo incaricati, a suo dire, dal segretario generale Ma.So.) era un soggetto - estraneo alla conversazione tra presenti in questione - che aveva operato da una consolle di registrazione sita all'esterno dell'aula consiliare e non vi era neppure stato ammesso ad assistere da alcuno se non eventualmente dal solo So. a insaputa di tutti gli altri partecipanti. 2.2.1.4 L'appellante ha lamentato un malgoverno delle prove in quanto la gravata sentenza, nonostante la mole ponderosa, si caratterizzerebbe: a) per una costante sottrazione di elementi, pur presenti all'interno dell'istruttoria dibattimentale ma nemmeno considerati nella motivazione; b) per una elusione delle questioni di fondo poste dalla difesa dell'imputato. In primo luogo, comunque, non è dato comprendere perché tutta una serie di soggetti (si sono indicati esemplificativamente i testi Cl.Gi., Co.Tu., Gi.Am. e altri), pacificamente resisi autori materiali delle medesime condotte contestate all'imputato, non siano mai stati nemmeno indagati in relazione a tali loro condotte. La suddetta considerazione è prodromica all'ulteriore doglianza difensiva concernente la totale assenza, nella gravata sentenza, di ogni e qualsiasi valutazione in ordine alla componente psicologica dei reati contestati. A tale ultimo proposito la difesa ha evidenziato in particolare come il MA. mai abbia sostenuto di ignorare l'esistenza in B. di operazioni di finanziamento correlato; egli in effetti ha costantemente dichiarato ben altro, ossia di essere sempre stato genuinamente convinto della piena liceità delle operazioni stesse: non solo tale tipologia di operazione veniva eseguito in B. già prima del 2009, anno di assunzione del MA., ma altresì egli, da neoarrivato, aveva ricevuto assicurazioni da vari colleghi, tra cui il GI., il Co. e il Se. (all'epoca responsabile della Divisione Crediti), sul fatto che - trattandosi di una banca cooperativa - non trovasse ad essa applicazione l'art. 2358 c.c.; in tale ultimo senso anzi la banca aveva a suo tempo richiesto e acquisito pure un parere legale formulato da uno studio incaricato ad hoc (trattavasi dello studio Erede-Bonelli; il parere, redatto da uno dei massimi esperti nella materia, era stato favorevole alla tesi della inapplicabilità dell'art. 2358 c.c. alle banche cooperative); in effetti la dottrina e la stessa giurisprudenza fino ad epoca assai recente si erano dimostrate tutt'altro che univoche sul punto. A ciò si aggiunge la circostanza che l'effettuazione di operazioni correlate fosse emersa, alla luce della svolta istruttoria dibattimentale, quale dato pienamente noto anche all'interna audit della banca (il che renderebbe assai precaria, sotto il profilo dell'attendibilità, la posizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'audit) nonché al suo ufficio legale (considerazioni analoghe a quelle relative al teste Bo. andrebbero dunque svolte anche con riguardo alla sua responsabile, l'altra teste avv. An.Pa.): né l'una né l'altra struttura avevano mar avvisato alcuno in B. circa il fatto che si stesse con ciò ponendo in essere un'attività illecita. Anzi la teste Pa. in sede dibattimentale si era trovata costretta ad ammettere che aveva effettivamente potuto visionare la pratica (pacificamente correlata) Ca.-Lu. ma che, essendosi essa positivamente conclusa, non aveva ritenuto di fare nulla. 2.2.1.5 L'appellante ha indi lamentato l'errata ricostruzione operata dal tribunale - alla pag. 678 della gravata sentenza - delle competenze della Divisione Crediti, affermando che i giudici vicentini si sono basati, al riguardo, essenzialmente su quanto affermato dal teste Gi.Sc. nella relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia (laddove lo stesso Sc. in sede dibattimentale ha ammesso di non conoscere le facoltà deliberative autonome riconosciute alla rete), mentre sarebbe stata obliterata la delibera del CdA 7.2.2012 (pur acquisita al fascicolo del dibattimento) la quale aveva ridisegnato le competenze e le funzioni della Divisione Crediti istituendo le Direzioni Regionali. In particolare non risponde affatto al vero - ha proseguito l'appellante - l'assunto del primo giudice secondo cui "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito (...) la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (affida menti) (e delle relative garanzie)". In rea Ita i I perfezionamento e l'erogazione degli affidamenti, come pure l'acquisizione delle eventuali garanzie ad essi relative, erano - nel periodo in esame - demandati a una società controllata da B. e denominata Servizi Bancari, come riferito concordemente in sede dibattimentale dai testi Cl.Am. e Sa.R. oltre che dallo stesso imputato MA.. La difesa del MA. ha affermato altresì che, sempre in tale passo dell'impugnata sentenza, i giudici vicentini hanno equivocato anche sul ruolo svolto dal teste Cl.Gi. indicandolo come "capo area di Vicenza" Al di là del refuso "13.6.2013" in luogo di "13.6.2019" riguardo alla data dell'esame testimoniale del Gi. (che pure - a detta dell'appellante - non depone a favore della precisione ricostruttiva complessivamente impiegata dal collegio giudicante), io stesso Gi. nel corso del suo esame testimoniale aveva chiaramente detto di avere assunto la carica di Direttore regionale Ve.Oc. all'indomani della modifica dell'organizzazione commerciale della banca, disposta nell'aprile - maggio 2012 con l'istituzione delle direzioni territoriali. Infine, e più gravemente, il passo in oggetto della gravata sentenza avrebbe totalmente travisato la stessa spiegazione, in sé completa ed esatta, fornita dal teste Gi.. Dalla parafrasi del tribunale pare che ad essere articolata su base territoriale decentrata fosse la Divisione Crediti ma ciò è difforme da quanto riferito dal teste Gi. (nonché da altri testi come ad esempio il teste Ma.Ba., il teste Lu.Ve. e il teste Gi.Am.): gli Uffici Crediti articolati su base territoriale erano infatti alle dipendenze delle Direzioni Regionali, le quali a loro volta erano gerarchicamente inquadrate all'interno della Divisione Mercati. In altri termini nel periodo 2012-2015 successivo all'ispezione della Banca d'Italia la situazione era la seguente: a) la Divisione Crediti non era coinvolta in alcun modo nell'erogazione e perfezionamento dei finanziamenti; b) ciò che al riguardo veniva deliberato -in piena autonomia - dalle Direzioni Regionali era completamente estraneo al perimetro conoscitivo della Divisione Crediti. Soltanto nel 2015, come riferito con chiarezza dal teste Cl.Am., l'assetto organizzativo di B. era variato nuovamente con il ritorno alla Divisione Crediti della competenza gerarchica sui crediti in rete. Nel periodo 2012-2015, viceversa, alla stregua delle suesposte considerazioni, essendo il processo del credito non accentrato, diversamente da quanto sostenuto nella gravata sentenza, la Divisione Crediti (il cui ruolo e la cui funzione erano circoscritti alla necessità di assicurare la qualità del credito e il recupero di esso) non aveva - né poteva avere - contezza della complessiva entità del capitale finanziato. 2.2.1.6 L'appellante ha poi evidenziato come nessun rilievo fosse stato sollevato dalla vigilanza nei confronti della Divisione Crediti, tanto all'esito dell'ispezione del 2012 quanto all'esito di quella del 2015, mentre per converso erano stati formulati i seguenti rilievi per omissioni e carenze a vario titolo: contro i consiglieri di amministrazione in carica all'epoca dei fatti; contro i sindaci in carica all'epoca dei fatti; contro il direttore generale (Sa.So.) in carica all'epoca dei fatti; contro i vice direttori generali in carica all'epoca dei fatti An.Pi. (Divisione Finanza) ed Em.Gi. (Divisione Mercati); contro le funzioni aziendali di controllo - ossia contro i responsabili della funzione Internai Audit (Ma.Bo.) e della funzione Compliance (Gi.Fe.) - in carica all'epoca dei fatti. 2.2.1.7 L'appellante, con riguardo alla questione della c.d. "causale sentinella" connotata da estrema genericità, ha sollevato forti dubbi sulla valenza sintomatica attribuita in tesi d'accusa - e fatta propria dal tribunale vicentino - alla causale stessa, posto che: s lo stesso teste Gi.Sc., capo team dell'ispezione 2012, aveva affermato che 'le carenze nella causale non erano un fatto sistematico, perché altrimenti lo avremmo registrato nel rapporto o, perlomeno, non mi è stato restituito come un fatto sistematico, poi non posso evidentemente immaginare che tutte le PEF siano state esaustive (...)"; - anche il teste Ge.Sa., altro membro del team dell'ispezione 2012, aveva manifestato, sotto altro profilo, considerevoli dubbi sulla natura effettiva di "sentinella" in capo alla suddetta causale generica; - l'assoluta mancanza di rilievi in merito alla presunta genericità di tale, proposta di fido contenuta nella P.E.F. era stata confermata anche dal teste Ma.D.Bo. (all'epoca direttore dei Crediti Anomali nonché uno dei diretti interlocutori con il team ispettivo); - nemmeno l'ispettore Em.Ga. nel 2015, benché le regole da seguire e applicare fossero frattanto divenute più stringenti (in quanto non più di, matrice nazionale bensì europea), aveva proposto sanzioni al riguardo nemmeno aveva invitato la banca a modificare modulistica, procedura e altro in tema di credito; - la formula generica "cogliere opportunità di investimenti mobiliari e immobiliari", lungi dall'essere stata introdotta dal MA. come poteva sembrare leggendo la sentenza impugnata, preesisteva al suo arrivo in B. e d'altra parte non era applicata unicamente ad operazioni c.d. "baciate" (lo stesso teste Fr.Io., ossia il nuovo direttore generale succeduto a Sa.So., lo aveva confermato in sede dibattimentale al pari del teste Co.Tu.); - in relazione a tutte le operazioni finanziate, così come individuate dalla consulenza tecnica Ta.-Pa.-Ca., l'esame delle P.E.F. faceva emergere il dato statistico secondo cui circa il 40% dell'importo finanziato (esattamente il 41,44%) portava causali diverse da quella sopra indicata. 2.2.1.8 L'appellante ha confutato come non rispondente al contenuto complessivo dell'espletata istruttoria dibattimentale anche l'ulteriore assunto - di cui alle pagg. 680 e ss. della sentenza impugnata - secondo il quale le pratiche riguardanti le operazioni correlate dovevano necessariamente essere predisposte su un format fornito dalla Divisione Crediti, e ciò a pena di essere rifiutate, su disposizione apparentemente impartita dal MA., in caso contrario. In realtà tutti i testi sentiti al riguardo si erano espressi de relato riportando asserite affermazioni rese loro in tal senso dall'uno o dall'altro esponente della Divisione Mercati; non a caso l'espressione utilizzata al riguardo in sentenza - "Inoltre, si disse che tale dicitura era condivisa con la Divisione Crediti e avrebbe consentito l'approvazione della pratica" (cfr. pag. 680 cit.) - era quanto mai generica e impersonale. Anche quanto all'altro preteso indicatore univoco della natura correlata dell'operazione, oltre alla c.d. "clausola sentinella", ossia la c.d. "sfasatura temporale" tra l'erogazione del fido e l'acquisto di azioni, la difesa ha osservato che la sentenza impugnata pare volutamente confondere i piani intersecando l'unica disposizione data dal MA. al riguardo (ossia che il denaro del finanziamento erogato dovesse risultare già accreditato nel c/c prima di poter procedere all'acquisto delle azioni) con il fenomeno - del quale il MA. non era in alcun modo partecipe - dell'occultamento di tale procedura agli occhi dell'eventuale controllore. In altri termini il monito in questione, rivolto dal MA. al personale a seguito della reiterata disinvoltura dimostrata in passato da B. sull'argomento (cfr. ad esempio l'operazione Lu.-Ca.), disinvoltura che come tale era stata censurata dal team ispettivo del 2012, aveva il solo fine di evitare eventuali sconfinamenti in c/c come aveva ad esempio ben spiegato fra gli altri il teste Co.Tu.. Le stesse deposizioni che sul punto vanno apparentemente in senso sfavorevole al MA., segnatamente quelle rese dai testi En.Da., Gi.Am. e Al.Cu., sarebbero state riportate in sentenza dal tribunale vicentino solo per brevi stralci completamente decontestualizzati, sì da stravolgerne il senso. 2.2.1.9 L'appellante indi ha affrontato un altro tema (svolto dalla sentenza impugnata alle pagg. 686-687), quello della "campagna riqualificazione impieghi" - intendendosi per impieghi i prestiti - anche detta "pre-deliberato", connotata semplicemente dallo stanziamento, ad opera di B., di una rilevante somma finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate (ossia più vantaggiose) in sede di rinnovo o revisione degli affidamenti di clienti meritevoli di un particolare rating creditizio. Il compito della Divisione Crediti, a detta dell'appellante, era esclusivamente tecnico e riguardava solo l'individuazione dei criteri di rating da utilizzare per selezionare i clienti ai quali riqualificare il prestito, formare apposite liste e inviarle alla rete per la definitiva verifica. Il tutto - ha proseguito la difesa del MA. - è stato esaustivamente spiegato in dibattimento dai testi Cl.Am. e Ma.Ba. mentre l'appellante, contrariamente a quanto parrebbe desumersi dalla sentenza gravata, non aveva nulla a che vedere con le modalità, più o meno corrette, attraverso cui tale iniziativa era poi stata presentata dalla rete commerciale ai propri clienti, non potendo ascriversi all'imputato le eventuali pressioni esercitate dalla rete medesima ° nei confronti della clientela per accompagnare l'iniziativa con inviti ad acquistare azioni B.. Al riguardo, ad esempio, la sentenza impugnata valorizzerebbe al massimo grado la deposizione del teste Um.Se. ma da un lato trattasi di soggetto che risulta avere deliberato, egli sì, numerosi finanziamenti destinati all'acquisto di azioni (sia come predecessore del MA. alla Divisione Crediti - anteriormente all'introduzione delle Direzioni Regionali - e sia in seguito come direttore generale della controllata Ba.Nu.) mentre dall'altro lato la reale natura dell'iniziativa (di per sé priva di qualsivoglia rilievo nell'alveo del problema del capitale finanziato) risulterebbe assai meglio illustrata nella relativa delibera acquisita al fascicolo del dibattimento. Anche in tal caso comunque - secondo quanto ha lamentato la difesa - il tribunale avrebbe selezionato gli elementi istruttori omettendo di menzionare quelli favorevoli all'imputato. 2.2.1.10 L'appellante ha censurato altresì il grande rilievo attribuito dalla sentenza impugnata a una serie di note e di approfondimenti provenienti dall'audit nella persona del suo responsabile Ma.Bo., posto che - come già sopra accennato - questi, al pari dell'ufficio legale della banca, era perfettamente al corrente dell'esistenza della prassi delle operazioni di finanziamento correlato e che mai tali strutture avevano segnalato alcunché, fermo restando quanto già detto in ordine al convincimento del MA. circa la liceità di tali operazioni ed esulando dall'ambito delle sue competenze quella di controllare se poi il capitale finanziato con tali operazioni venisse correttamente scomputato dal patrimonio di vigilanza. Analogamente - ha proseguito l'appellante - si sarebbe dovuto considerare l'atteggiamento di fuga dalla responsabilità tenuto dal CdA (composto non già da persone digiune della materia ma da docenti universitari, da imprenditori di primo piano e finanche da un ex Ragioniere Generale dello Stato), il quale, sottoscrivendo ogni delibera, aveva a sua volta scelto di abdicare al proprio compito di vigilare sul rispetto degli adempimenti e sulla corretta deduzione del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza. Oltretutto - ha notato la difesa - diversi altri componenti del CdA, e non solo l'imputato Gi.ZI., avevano sottoscritto essi stessi dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni B. 2.2.1.11 L'appellante si è diffuso a lungo sulle due ispezioni (Banca d'Italia 2012; BCE 2015) - in particolare sulla prima - evidenziando la necessità di un confronto tra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. che avevano reso deposizioni tra loro inconciliabili ed erano stati entrambi definiti "debolmente attendibili" dal tribunale (il primo aveva sostenuto che l'effettuazione delle operazioni correlate di finanziamento non fosse stata affatto taciuta al team ispettivo del 2012, con i quali egli aveva avuto una diretta interlocuzione; il secondo - incorso peraltro in pesantissime contraddizioni nelle diverse occasioni in cui era stato sentito durante le indagini preliminari e finanche sottoposto a intercettazione telefonica dagli inquirenti - era tornato, in sede dibattimentale, ad affermare il contrario, ritrattando quanto aveva detto da ultimo agli stessi inquirenti). Ad avviso dell'appellante, comunque, l'Am., responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B. nonché vice - assieme a Ma.D.Bo. - del MA., sarebbe assai più credibile del Sa. e più in generale dell'intero team ispettivo della stessa Banca d'Italia, la quale, dopo avere incentivato la crescita di B., non potrebbe, secondo la difesa, "permettere che qualcuno o qualcosa possa accusarla di essere stata omissiva of peggio, connivente" (cfr. pag. 103 atto di appello). Sul punto la difesa dell'appellante MA. ha menzionato l'esistenza nel web, quale fonte aperta, della registrazione di un colloquio intercorso nei primi mesi del 2014 fra il presidente di B. Zo.Gi., l'allora presidente di Ve.Ba. e l'allora capo della vigilanza della Banca d'Italia da cui si evinceva che quest'ultimo, nel ricordare ai suoi interlocutori che dal 4 novembre di quello stesso anno Banca d'Italia avrebbe dovuto passare ex lege la mano al SSM (Single Supervisory Mechanism) e che dunque i controlli sarebbero stati più severi, stava cercando di convincere Ve.Ba. ad unirsi con B.. 2.2.1.12 L'appellante ha evidenziato altresì come il tribunale non abbia riferito, nell'occuparsi della successiva ispezione del 2015, che in realtà il MA. non vi aveva nemmeno preso parte in quanto trasferito dal 18.12.2014 alla controllata siciliana Ba.Nu.. 2.2.1.13 L'appellante è poi passato a confutare con argomentazione particolarmente articolata (cfr. pagg. 126-149 atto di appello) l'assunto del collegio vicentino in ordine alla pretesa non credibilità e contraddittorietà del MA., sostenendo: a) che il contenuto dell'esame di questi sarebbe viceversa stato equivocato e travisato in più punti dal primo giudice; b) che tra i testi particolarmente valorizzati dal tribunale contro il MA. vi è ad esempio il teste Fu.Bo., non rientrante, così come vari altri, nel novero degli imputati solo a causa di una scelta operativa, definita "discutibile" degli inquirenti. Un soggetto, il Bo., che, in base al complesso dell'espletata istruttoria, emergerebbe viceversa come contraddittorio e poco credibile e del quale, in ogni caso, il tribunale (seguendo invero una tecnica redazionale spesso utilizzata nella gravata sentenza) avrebbe estrapolato solo alcuni frammenti di esame dibattimentale per lo più sfavorevoli al MA., senza porli a confronto con le rettifiche operate dallo stesso teste in sede di controesame. 2.2.1.14 L'appellante, con riguardo al capo MI relativo alle condotte di ostacolo contestate all'imputato MA. durante l'effettuazione del Comprehensive Assessment e dell'AQR (Asset Quality Review), ha escluso anzitutto che l'AQR possa paragonarsi in tutto e per tutto a una normale ispezione, indicandone le ragioni (fra l'altro nel corso di essa, in relazione alle posizioni esaminate, nemmeno era prevista l'interlocuzione tra ispettori e funzionari dell'istituto) ed evidenziando fra l'altro, in tale contesto, come finanche la Banca d'Italia, una volta diffusi i risultati dell'AQR e dello stress test, avesse affermato che il Comprehensive Assessment era stato un esercizio di natura prevalentemente prudenziale e non contabile, ove si era fatto ricorso a metodi di tipo statistico non contemplati dai criteri contabili. Indi la difesa ha ricordato come, per costante giurisprudenza, in tema di ostacolo alla vigilanza assumano rilevanza penale solo quelle false informazioni - ovvero l'omissione o il nascondimento di informazioni - capaci di entrare in conflitto con l'esercizio della funzione concretamente svolta, presupposto a suo avviso non ricorrente nel caso in esame (fermo restando che al MA. non potrebbe contestarsi di avere taciuto al team l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto e degli storni, dal momento che egli era venuto a sapere di tali procedure, come altri in banca, solo all'esito dell'ispezione BCE del 2015; né in atti vi sarebbero elementi idonei a dimostrare il contrario, anzi tutti i testi escussi hanno concordemente dichiarato che le lettere di impegno al riacquisto non erano inserite nelle P.E.F., bensì venivano conservate in cartaceo presso le filiali ove il cliente aveva il c/c di riferimento; in nessun modo era segnalata l'eventuale presenza di tale impegno, che restava una pattuizione riservata tra il responsabile della rete di riferimento e la controparte). 2.2.1.15 L'appellante è passato quindi a contestare (cfr. pagg. 154-172 atto di appello) la configurabilità in capo al MA. di un apporto concorsuale rilevante ai sensi dell'art. 110 c.p., censurando anzitutto la struttura del capo d'imputazione, configurato nel senso di una piena e totale condivisione di tutti gli imputati in relazione alle condotte contestate, a prescindere dal ruolo rivestito e dalle funzioni esercitate, sul presupposto che "tutti avessero fatto tutto" e dunque sulla base di una sorta di automatismo presuntivo, A sua volta la motivazione sui punto della sentenza impugnata - circoscritta alla sua pag. 216 - è stata censurata dall'appellante come sbrigativa e insoddisfacente in quanto basata su un'asserita "consequenzialità" ("In questo contesto operativo, è consequenziale concludere che gli imputati - che nei diversi ruoli hanno posto in essere le singole condotte di manipolazione del mercato - avessero piena ed assoluta consapevolezza dell'occultamento di questa operatività al mercato e alla vigilanza") che non avrebbe invece fondamento alcuno. A parere della difesa nel dibattimento di primo grado non è stata fornita la prova che tutti gli imputati indistintamente, e l'appellante MA. in particolare, sapessero che le c.d. operazioni "baciate" non venivano scomputate dal capitale di vigilanza e che inoltre esse erano finalizzate - oltre che all'esigenza, a tutti nota, di svuotamento del fondo acquisto azioni proprie (soprattutto in coincidenza con il fine anno) nonché a creare liquidità per il mercato secondario - anche a fornire "una distorta immagine di solidità del mercato azionario ferma restando la forte differenza tra il flusso informativo che giungeva alla Divisione Crediti e quello, ben più intenso, diretto e pregnante, che invece perveniva alla Divisione Mercati e ne animava le riunioni. Al riguardo desta forte perplessità nell'appellante il fatto che una similare differenza di flussi informativi tra diverse Divisioni fosse invece stata valorizzata dal tribunale per assolvere il coimputato Ma.PE.. 2.2.1.16 L'appellante ha lamentato altresì come al MA. sia contestato di avere "avallato una prassi" senza tuttavia che - sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato - risulti provato che egli, divenuto a un certo punto consapevole che la prassi da tempo seguita era in realtà illecita, l'avesse ciononostante pervicacemente reiterata. Ha censurato altresì l'operato dell'Accusa la quale, pur dopo l'emersione di un fenomeno - nell'ambito di B. - di autonome potestà deliberative diffuse e non già accentrate, e pur avendo conferito la stessa Accusa a seguito di ciò ai propri consulenti tecnici il compito di redigere una relazione integrativa (atta a identificare, sulla scorta delle delibere esaminate, quale fosse l'organo deliberativo di volta in volta interessato), non vi ha tuttavia dato realmente seguito, astenendosi dal ripartire fra gli autori in concreto delle varie delibere le somme contestate nel capo di imputazione quale importo complessivo del capitale finanziato. D'altra parte - ha proseguito l'appellante - qualora gli inquirenti avessero effettivamente seguito tale ultima via si sarebbero necessariamente dovuti iscrivere nel registro degli indagati alcuni fra i testimoni dell'Accusa quali concorrenti materiali nel reato. Nondimeno, difettando il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso imputabile del maggiore capitale finanziato complessivo, non sarebbe possibile nemmeno valutare la reale offensività di ciascuna condotta. Il tutto comunque - ha precisato la difesa - vale, in relazione alla posizione del MA., per le sole contestazioni di fatti commessi fino al 18 dicembre 2014 dal momento che in tale data egli veniva rimosso dalla Divisione Crediti di B. e trasferito alla controllata Ba.Nu., Viceversa in sentenza il MA. è stato condannato - senza alcuna giustificazione - finanche per i fatti occorsi nell'anno 2015 (l'appellante ha osservato al riguardo che il responsabile della Divisione Crediti in carica per quegli importi è perfettamente identificabile trattandosi del teste non assistito, in quanto mai iscritto nel registro degli indagati, Al.Ba.). In via di mero subordine la difesa ha chiesto quindi che, nel caso di ravvisata penale responsabilità del MA., la stessa sia comunque ritenuta sussistente solo fino al 18 dicembre 2014. 2.2.2 Con il secondo motivo l'appellante ha censurato in via subordinata l'eccessività della pena inflitta, e ciò sia con riferimento alla pena base sia con riguardo agli aumenti operati per la ritenuta continuazione. 2.2.3 Quindi, con il terzo motivo, l'appellante - in via di ulteriore subordine - ha chiesto valutarsi le già riconosciute attenuanti generiche come prevalenti sulle contestate aggravanti nell'ambito del giudizio di bilanciamento. Conclusivamente, l'appellante ha chiesto: 1) assoluzione dell'imputato Ma.Pa. per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato; 2) in subordine, riduzione della pena inflitta (sia attraverso una diminuzione della pena base, quantificata nei minimi edittali, sia attraverso una riduzione dell'aumento operato per la continuazione); 3) in ulteriore subordine, riduzione della pena inflitta per effetto del richiesto giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. 2.2.4 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa ha ulteriormente argomentato in ordine alla già chiesta riapertura dell'istruttoria dibattimentale, insistendo in maniera particolare nella richiesta di confronto fra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. e chiedendo altresì, trattandosi di sopravvenienze: a) l'acquisizione dei verbali relativi alle dichiarazioni testimoniali rese dai predetti (Am. all'udienza 8.3.2022; Sa. all'udienza 18.3.2022) nel distinto procedimento rubricato al n. 1031/2020 pendente dinanzi al Tribunale di Vicenza in composizione collegiale a carico di So.Sa.; b) disporsi, sotto forma di perizia, l'estrazione dei dati contenuti nel server di SEC Servizi corrente in Padova, e ciò al fine di accertare la concreta attività svolta dall'ispettore Ge.Sa. nel corso dell'ispezione 2012 della Banca d'Italia, con particolare riguardo a quanto da lui visionato nei giorni dall'1 al 7 luglio 2012. 2.3. Appello proposto da Pi.An. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Pi.An.. 2.3.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 1 dell'impugnazione), l'appellante ha dedotto, richiamando alcuni arresti della giurisprudenza di legittimità, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p. dovuta alla totalmente omessa considerazione non soltanto di tutti i cospicui contributi orali e documentali forniti dalla difesa nel corso dell'intero dibattimento (inclusi i controesami difensivi - talora viceversa rivelatisi decisivi - dei testi a carico) ma altresì delle argomentazioni difensive esposte in una specifica ampia e dettagliata memoria depositata, nelle forme delle note d'udienza, in data 19 gennaio 2021. 2.3.2 Quindi, con il secondo motivo, l'appellante ha eccepito la violazione dell'art. 210 c.p.p. e dell'art. 192 comma 3 c.p.p., nonché una carenza assoluta di motivazione, in ordine alla valutazione - operata dal tribunale - di coerenza intrinseca ed estrinseca delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri., sulle quali si fonda - a suo avviso in via esclusiva - la ricostruzione dei fatti operata nella sentenza impugnata, e ciò benché la difesa avesse evidenziato, tanto in sede di discussione quanto nelle anzidette note d'udienza depositate il 19.1.2021, evidenti profili di inattendibilità e inutilizzabilità delle rispettive deposizioni. L'appellante ha evidenziato al riguardo i seguenti elementi: - i testi in questione sono soggetti che avevano contribuito in prima persona -loro sì materialmente - a quelle stesse condotte formanti l'oggetto della "prassi" contestata agli imputati, e in particolare al PI., nei capi d'imputazione, il che avrebbe quanto meno imposto un vaglio particolarmente stringente in ordine alla loro credibilità soggettiva e all'attendibilità di quanto da loro dichiarato; - oltre a ciò la pendenza del procedimento penale n. 2147/2019 RGNR (relativo alle asserite condotte di bancarotta connesse alla messa in L.C.A. di B. ha posto i predetti testi nella condizione di dover salvaguardare se stessi dal concreto rischio di essere incriminati in quel procedimento (nel cui ambito il Pubblico Ministero non aveva ancora cristallizzato l'imputazione né aveva ancora definito tutti i coindagati); - gli stessi testi, benché fossero stati sentiti a s.i.t. nel procedimento penale n. 2147/2019 RGNR proprio a ridosso della data del loro esame dibattimentale nel presente procedimento, in quest'ultimo hanno manifestato incertezze e lacune tali da rendere necessarie continue contestazioni, quando non addirittura letture diffuse - "in aiuto alla memoria" - dei verbali delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari quanto ai fatti che qui occupano (ciò varrebbe in particolare per i testi Ma.So. e Fi.Ro.); - più d'uno fra i suddetti testi si ritiene versi, in realtà, addirittura (come già eccepito in primo grado) in una condizione che ne avrebbe reso necessario l'esame nelle forme di cui all'art. 210 c.p.p. dal momento che a loro carico ricorrono obiettivi indizi di reità, quanto meno secondo i canoni del concorso di persone del reato, e ciò in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, prescindendo da indici formali quali l'avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, con la conseguente necessaria escussione non già come testimone bensì quale imputato di reato connesso ai sensi dell'art. 210 c.p.p.. Viceversa sul punto la sentenza impugnata non contiene considerazioni di sorta; - a ciò conseguirebbe la vera e propria inutilizzabilità delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri.; - ancor più peculiare sarebbe in realtà la posizione del teste Al.Ma. (sentito in qualità di testimone ex art. 194 c.p.p. all'udienza del 26.11.2020) posto che, successivamente al deposito della sentenza impugnata, è entrato nella disponibilità della difesa dell'imputato PI. (che lo ha allegato all'atto di appello e che ne ha chiesto - formulando istanza di rinnovazione probatoria ex art. 603 c.p.p. - l'acquisizione) un atto di esecuzione di perquisizione e sequestro a carico del Ma., eseguito per rogatoria dall'A.G, lussemburghese e datato 9.10.2020 (antecedente quindi all'esame dibattimentale del teste nel presente procedimento), dal quale si evincerebbe che anche il predetto Ma. - così come il teste pacificamente ex art. 210 c.p.p. Gi.St., avvalsosi in dibattimento della facoltà di non rispondere - all'epoca della sua deposizione già era iscritto (addirittura a far tempo dal 29 luglio 2020, in tesi difensiva) nel registro degli indagati del procedimento connesso n. 2147/2019 RGNR; - la vicenda relativa al teste Ma. viene indicata come di evidente gravità (la Procura della Repubblica vicentina non aveva, all'evidenza, mai reso noto che il teste, ben prima della sua ammissione ex art. 507 c.p.p., si trovasse già indagato in un procedimento fortemente connesso) ma l'unica sanzione di tale grave violazione delle garanzie difensive risiederebbe - in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità - nell'inutilizzabilità della relativa deposizione. 2.3.3 Quindi, con il terzo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 3 dell'impugnazione, a sua volta articolato in più sotto-paragrafi che vanno dal 3.1 al 3.10), l'appellante ha eccepito il malgoverno delle prove da parte dell'impugnata sentenza, la quale a suo avviso ha ricostruito i fatti in modo incompleto e unilaterale, omettendo di considerare prove decisive in favore dell'imputato. E' stata altresì eccepita la violazione degli artt. 43 e 110 c.p. per essere del tutto carente la motivazione in merito alla prova del concorso del PI. ex art. 110 c.p. nelle condotte contestate, come pure in merito alla prova del dolo che tali condotte dovrebbe sorreggere. Più in particolare l'appellante ha osservato quanto segue; - il ragionamento probatorio del tribunale muove da un'adesione tanto incondizionata quanto infondata dello stesso alla tesi accusatoria circa la strumentali delle condotte di aggiotaggio rispetto a quelle di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza; strumentalità da cui deriverebbe quale consequenziale conclusione il concorso ex art. 110 c.p. di tutti gli imputati aventi posto in essere singole operazioni correlate (e dunque singole condotte di manipolazione del mercato) in tutte le ipotesi di reato contestate nei numerosi capi d'imputazione, e ciò indipendentemente dall'acquisizione di qualsivoglia prova in ordine alla conoscenza, rappresentazione e volontà del fenomeno e della vicenda intesi nella loro complessità; trattasi però di motivazione basata, come tale, su meri sillogismi e asserite prove logiche aventi invece dignità di mera congettura. A ciò si aggiungono, in più passi della gravata sentenza, il vero e proprio travisamento delle prove e/o l'attribuzione di rilevanza a elementi che ne sono del tutto privi (come ad esempio l'assunto - in realtà nemmeno dimostrato - che il PI. fosse uno dei più stretti collaboratori del direttore generale Sa.So.); s per il PI. era impossibile avere conoscenza della "prassi" della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. dal momento che la Divisione Finanza da lui guidata non era, né poteva essere, destinataria dei relativi flussi informativi e ferma restando l'assoluta segretezza con cui la Divisione Mercati, la Divisione Crediti e il Comitato Soci gestivano il fenomeno in oggetto (da soli sotto il controllo del direttore generale Sa.So.); oltretutto la presenza del PI. presso la sede di Vicenza di B. si limitava a una cadenza settimanale (ogni martedi, giorno in cui - pressoché settimanalmente - si teneva il CdA); - in prime cure è stata attribuita una grande rilevanza al fatto che il PI. avesse partecipato al comitato di direzione dell'8.11.2011 ma in realtà il teste Ma.So., assai valorizzato al riguardo, nel deporre non ha riferito un suo ricordo bensì una interpretazione di un suo appunto senza riuscire a ben rammentare cosa fosse effettivamente successo nell'occasione; in altri termini dal materiale probatorio in atti non riesce ad evincersi se davvero i presenti avessero ivi toccato il tema delle operazioni di finanziamento correlate all'acquisto di azioni B., considerando anche la ben scarsa attendibilità complessiva del teste assistito Fr.To., che aveva deposto nella veste di imputato di reato connesso ex art. 210 c.p.p. e che, anteriormente alla sua iscrizione nel registro degli indagati, aveva reso dinanzi agli inquirenti dichiarazioni di tenore tutt'affatto differente; v la motivazione della sentenza impugnata è in ogni caso illogica laddove ha mandato assolto, viceversa, l'imputato Ma.Pe. -responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione - che pure aveva partecipato anch'egli a quello stesso Comitato di Direzione dell'8.11.2011 (assurto invece a "pietra miliare delta responsabilità addebitata al Dott. i Pi.": cfr. pag. 42 atto di appello), ritenendolo attendibile allorquando egli aveva sostenuto di non aver dato peso adeguato, in quell'occasione, agli interventi di Fr.To. e Um.Se. (rispettivamente facenti capo alle controllate Ca. e Ba.Nu.), che si erano riferiti - peraltro in maniera molto superficiale - alla possibile adozione di operazioni "baciate", posto che all'epoca egli nemmeno conosceva la parola "baciata". Non si comprende - prosegue la difesa - perché le analoghe dichiarazioni rese, su tale specifico punto, dal PI. non siano invece state valutate in senso a lui favorevole; - considerazioni analoghe valgono circa l'asserita rilevanza della partecipazione del PI. a ulteriori comitati e/o riunioni successivi all'8.11.2011, fermo restando che né l'appellante né alcun suo sottoposto constano aver preso mai parte alle riunioni della Divisione Mercati diretta da Em.Gi.; - vengono evidenziate le deposizioni rese dal teste Gi.Am., il quale ha espressamente escluso (dopo aver riferito di avere partecipato a 3-4 riunioni del Comitato di Direzione nel 2014) che nel corso di quegli incontri si fosse fatto riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto o sottoscrizione delle azioni B., e dal teste Ad.Ca., espressosi in senso analogo; - il lamentato malgoverno delle prove (e in particolare la totale pretermissione di elementi di prova favorevoli all'imputato PI., inclusi gli esiti del controesame del teste Tagliabue) avrebbe indotto il tribunale vicentino a ritenere - a torto - che il PI. abbia avuto un ruolo nel rilascio di lettere di impegno; quanto poi alla vicenda del teste Fa. l'appellante ha evidenziato come quest'ultimo avesse investito nell'acquisto di azioni B. non già capitale finanziato dalla stessa banca bensì capitale proprio; in ogni caso la lettera di impegno rilasciata al Fa., e a questi esibita in primo grado, risulta sottoscritta - su richiesta dello stesso Fa. - dal direttore generale So. proprio in quanto il PI. aveva rifiutato - come confermato sempre dal teste Fa. - ogni diretto coinvolgimento in un ambito chiaramente esulante dalle competenze della Direzione Finanze di sua pertinenza; infine la lettera rilasciata al Fa. non potrebbe nemmeno definirsi d'impegno, da essa derivando al più una mera disponibilità non vincolante; - quanto all'episodio della società di revisione K. va escluso - secondo la difesa - che il PI. abbia apostrofato l'avv. An.Pa., dell'uffici" legale, con l'icastica e colorita espressione da costei attribuitagli, dato che il parimenti presente dott. Ma.Pe. ha affermato, nel corso del suo esame dibattimentale, di non serbarne ricordo; - quanto alla vicenda delle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" la difesa ha evidenziato come la svolta istruttoria abbia fatto emergere, quale unico autore delle relative operazioni di finanziamento correlato, proprio il dott. Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese B. Fi., la cui deposizione testimoniale - perno della tesi accusatoria sul punto - deve quindi ritenersi inattendibile (se non inutilizzabile per i motivi già visti supra), oltre che basata su mere congetture e ricca di inesattezze e lacune; per giunta la deposizione dell'altro teste Gi.Gi. (appartenente alla Divisione Mercati), ritenuta in sentenza un riscontro a quella del teste Ra., secondo l'appellante è stata travisata giacché in realtà sarebbe, nel suo complesso, di tenore esattamente opposto (anche se il primo giudice ha omesso di considerarne la parte contenente elementi di discolpa per il PI.); lo stesso è a dirsi per la deposizione del teste Gi.Fe. della Co. (che, secondo la difesa, lungi dal riscontrare la deposizione del RA., l'avrebbe confutata). In ultima analisi la deposizione del teste Ra. deve ritenersi priva di riscontri, s quanto alla partecipazione del PI. al Comitato di Direzione del 10.11.2014, il relativo file audio non sarebbe acquisibile ex art. 234 c.p.p., e comunque andrebbe dichiarato inutilizzabile; sul punto l'appellante si è associato, come già in prime cure, alla relativa eccezione svolta dalla difesa del coimputato MA., svolgendo argomentazioni analoghe. Ad ogni modo, anche a voler ritenere acquisibile e/o utilizzabile quel file audio (e la relativa trascrizione), la sentenza ugualmente risulterebbe viziata da un'erronea valutazione degli interventi del PI. in quella sede, il cui tenore testuale (a ben guardare finanche contrario alle proposte fatte dal direttore generale So.) sarebbe stato travisato. Inoltre si è sottolineato (cfr. pag. 93 atto di appello) come il lamentato mancato espletamento di una perizia al riguardo impedisca oltretutto l'individuazione dei partecipanti al comitato e la corretta attribuzione dei singoli passaggi ai rispettivi loro autori. 2.3.4 Quindi, con il quarto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 4 dell'impugnazione), l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. giacché il fatto ritenuto in sentenza - con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B. - non risulta indicato in alcuno dei capi d'imputazione così come formulati dall'Accusa nei confronti dell'imputato PI., In alcun modo tali condotte, ritenute in sentenza commesse dal PI. nonché penalmente rilevanti, potrebbero rientrare nella contestatagli "prassi aziendale" avente ad oggetto "finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario. E d'altra parte, con ogni evidenza, l'investimento in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) non ha alcuna attinenza con l'erogazione del credito né alcuna connessione con le prassi decettive in seno a tale erogazione effettuate da altri. 2.3.5 Quindi, con il quinto motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi 5, 6, 7 e 8 dell'impugnazione), l'appellante ha contestato anche nel merito la fondatezza dell'accusa con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B.. Trattasi a suo dire di contegno non addebitabile al PI., pur non avendo questi mai negato di avere avuto un ruolo nella sottoscrizione dei fondi in questione. L'appellante ha evidenziato al riguardo quanto segue: s la unknown exposure non è sinonimo di decettività (in base alla deposizione del teste Da.Es., del Risk Management, il Comitato Finanza, a differenza di quanto ritenuto in sentenza, era correttamente informato di tutti i dati trasmessi dai fondi senza che alcun suo componente avesse mai lamentato profili di irregolarità); - il ricorso a fondi dedicati (che la gravata sentenza impropriamente definisce "gestione patrimoniale") era prassi diffusa tra gli istituti di credito, non solo italiani, come riferito anche dallo stesso teste Al.Ma., che pure per altri versi - ma non per questa parte della sua deposizione - risulta essere stato assai valorizzato, benché in realtà già indagato in procedimento connesso, dal giudice di prime cure; - le finalità per le quali tale investimento era stato autorizzato (vale a dire il reperimento di liquidità) erano state correttamente perseguite dal PI.; - irrilevante deve ritenersi, a fronte di altre emergenze istruttorie purtuttavia pretermesse dal tribunale, il da esso valorizzato doc. n. 350 delle produzioni del Pubblico Ministero (invero mai pervenuto nella sfera di conoscenza del PI.; né il suo invio aveva avuto alcun seguito); - la sentenza gravata ha travisato il contenuto delle deposizioni rese dai testi Fi.Ro., An.Su. (quest'ultimo peraltro connotato da evidenti profili di inattendibilità), Pi.Ra. e Al.Ma.; s più in generale (come dimostrato anche dalla vicenda dell'acceso confronto tra il teste avv. An.Su. e il teste Pa.Al., quest'ultimo responsabile della direzione Gl.Ma. all'interno della Divisione Finanza di B.; vicenda riferita nel suo esame dibattimentale dallo stesso teste Al.) si è evidenziata l'inattendibilità della ricostruzione della situazione offerta dagli esponenti di "Op." (testi Ma. e Su.), in quanto connotata da un chiaro tentativo di addossare agli esponenti di B., e segnatamente della sua Divisione Finanza, responsabilità eventualmente proprie del suddetto fondo; - peraltro - ha osservato l'appellante - l'attività istruttoria dibattimentale risulta essersi concentrata tutta su "Op." rimanendo carente sul conto di "At."; - la detenzione indiretta di azioni B. mediante i fondi "Op." e "At." in ogni caso non conduce alla prova del concorso del PI. nelle contestate condotte di aggiotaggio manipolativo sicché la sentenza presenta un vizio di motivazione sul punto, ferma restando in proposito la totale inattendibilità del teste Fi.Ro. (reso destinatario di corpose e continue contestazioni operate in dibattimento dal P.M., il Ro. era stato, fra l'altro, platealmente smentito dal teste Ti.Ch. - esponente del broker Ma.Sp. - circa la da lui asserita conoscenza tra questi e il PI., negata dal Ch.); - la condotta ascritta al PI. in relazione ai fondi "Op." e "At." neppure potrebbe condurre alla prova di un concorso dell'appellante nelle contestate condotte di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza, sicché la sentenza risulta erroneamente motivata sul punto con violazione degli artt. 43 e 110 c.p., tanto più che, con il mutare della normativa di settore a seguito dell'introduzione del CRR (Capital Requirements Regulation), Regolamento UE n. 575/2013, le strutture incaricate della tenuta delle comunicazioni avevano tempestivamente adottato le richieste da indirizzare ai fondi, come chiaramente illustrato dal teste Lu.Tr.; - la motivazione della sentenza è illogica nella parte in cui, con riferimento alla posizione personale di altro imputato e segnatamente di Pe.Ma., ha ritenuto sufficiente ad escluderne la responsabilità -mandandolo così assolto - il fatto che avesse formulato una richiesta di informazioni circa i sottostanti ai fondi de quibus. Il PI. infatti, dal canto suo, non solo non aveva avuto conoscenza dell'investimento operato dai fondi stessi in azioni B. ma neppure aveva inteso in alcun modo ostacolare la conoscenza dei sottostanti dei fondi medesimi da parte delle altre funzioni dell'istituto di credito, in particolare da parte delle funzioni di controllo; di fatto, anzi, il PI. aveva delegato i rapporti con i fondi ad altre strutture di B. diverse dalla Divisione Finanza, senza mai avere anche solo azzardato la minima ingerenza nelle loro funzioni; - l'assunto del primo giudice secondo cui anche la fase di dismissione delle azioni B. da parte di "Op." sarebbe stata eterodiretta dal PI. in veste di "regista" non risponde al vero e risulta anzi smentito - sempre secondo l'appellante - dalla deposizione del teste Ti.Ch., esponente del broker Ma.Sp., che evidenzierebbe altresì l'assoluta inattendibilità sul punto del teste Ro.Ri. (appartenente alla rete commerciale e per parte sua artefice di numerosissime operazioni correlate); il Ri. era infatti giunto ad affermare che il PI. lo aveva messo in contatto con il Ch. il quale invece come già detto sopra, negava di conoscere l'imputato. 2.3.6 Quindi, con il sesto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 9 dell'impugnazione), l'appellante ha argomentato in ordine alla dedotta insussistenza di un concorso ex art. 110 c.p., del PI. nella asserita Op." posta alla base di tutti i capi di imputazione, della quale viceversa egli non era consapevole né tantomeno ad essa aveva aderito. Né certo un siffatto apporto concorsuale poteva desumersi dall'assunto che, in quanto vicedirettore generale in B., egli fosse necessariamente vincolato alle scelte del direttore generale Sa.So.. In realtà, essendo concepita l'imputazione come una contestazione complessiva di tutte le condotte in essa descritte nei confronti di tutti gli imputati, ipotizzandosi ivi un concorso di reati riuniti sotto la disciplina della continuazione, la gravata sentenza, ad avviso dell'appellante, non ha assolto al suo onere che era quello di dimostrare - sulla base però di elementi di prova certi e non di mere congetture - che l'imputato: a) fosse consapevole delle condotte poste in essere da tutti o parte degli altri pretesi concorrenti; b) avesse agito con la volontà di portare a compimento il reato. Non è in altri termini condivisibile, per la difesa, l'argomentare di una sentenza la quale, di fatto, finisce con il ricondurre vicende di enorme complessità, articolatesi nel corso di un non trascurabile lasso temporale -nonché coinvolgenti decisioni, valutazioni e specifiche azioni di controllo ascrivibili a una pluralità estremamente variegata di soggetti - a un unico semplicistico schema interpretativo che ripropone il parimenti semplicistico approccio dello spunto investigativo iniziale. Secondo l'appellante va poi considerato quanto segue: - con riguardo alla pretesa manipolazione informativa ogni concorso del PI. deve essere escluso, non avendo egli mai preso parte in alcuna misura alla definizione del contenuto dei comunicati stampa oggetto di contestazione; - con riguardo alla pretesa manipolazione operativa e al preteso ostacolo alla vigilanza la sentenza pretermette diversi fattori di elevata importanza: a) nessuna delle operazioni attribuite in ottica di accusa al PI. risultava essere stata ancora attuata all'epoca della conclusione dell'ispezione 2012 della Banca d'Italia (peraltro mirata unicamente alla verifica del rischio di credito di B.): al 12 ottobre 2012, infatti, Sa.So. e Pi.Ra. non avevano ancora sottoscritto la partecipazione ai fondi lussemburghesi "Op." e "At." né tantomeno la controllata irlandese B. Fi., della quale il Ra. era il direttore generale, aveva erogato i finanziamenti alle società lussemburghesi Br.; c) nel caso dell'ispezione BCE, iniziata il 26 febbraio 2015, B. aveva già comunicato al Regolatore le informazioni frattanto ricevute dai gestori dei suddetti fondi in ordine al preciso ammontare di azioni B. detenute dai comparti di "Op." e "At.", e ciò a far data dal luglio 2014, in perfetta ottemperanza agli obblighi informativi imposti dal CRR (Regolamento UE 575/2013); che la stessa BCE fosse stata portata a conoscenza di un tanto emergeva altresì dal suo stesso rapporto ispettivo del 2015; - manca, in ogni caso, totalmente la prova del dolo; anzi le conversazioni captate del PI. evidenzierebbero un tenore chiaramente incompatibile con la consapevolezza tipica del partecipe. 2.3.7 Quindi, con il settimo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 10 dell'impugnazione), l'appellante in subordine, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio ne ha lamentato il carattere sproporzionato. Ha chiesto altresì che le già riconosciute attenuanti generiche siano valutate prevalenti sulle contestate aggravanti in sede di giudizio di bilanciamento. Ha ribadito inoltre le argomentazioni - già svolte in sede di discussione dinanzi al tribunale - circa la necessità di ricondurre a un'unica fattispecie di ostacolo alla vigilanza le plurime condotte configurate, in tesi d'accusa e in sentenza, come altrettanti reati distinti, fra loro unificati nel vincolo della continuazione. Ha richiamato al riguardo la giurisprudenza di legittimità che costruisce il reato ex art. 2638 comma 2 c.c., come suscettibile di assumere carattere eventualmente permanente. In tal caso, indipendentemente dalla reiterazione dell'invio di comunicazioni mendaci, la prima condotta deve intendersi assorbire le successive. Ha aggiunto che la strumentalità della fattispecie di ostacolo rispetto a quella di aggiotaggio fa sì che il disvalore della condotta decettiva si esaurisca tutto nell'evento del delitto di aggiotaggio. Ritenere diversamente si tradurrebbe altresì in una violazione del principio nemo tenetur se detegere, recentemente meglio delineato da Corte Cost. n. 84 del 2021. 2.3.8 Quindi, con l'ottavo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 11 dell'impugnazione), l'appellante ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018, che aveva risolto in favore del foro vicentino un conflitto di competenza sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore), e ciò sulla base di argomentazioni analoghe a quelle dell'appello ZO. (v. infra) - al quale qui si rinvia per il resto - ovvero in favore del Tribunale di Milano, sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (se ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile). 2.3.9 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa dell'imputato PI. ha ulteriormente argomentato in ordine: a) all'incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza; b) alla violazione dell'art. 210 c.p.p. e dell'art. 192 comma 3 c.p.p. in relazione all'escussione di vari testi; c) alla violazione del principio nemo teneturse detegere. Conclusivamente, quindi, l'appellante ha chiesto l'annullamento o la riforma della sentenza e dell'ordinanza di rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale contestualmente impugnate, instando per l'assoluzione dell'imputato Pi.An. con la formula più ampia. 2.4 Appello proposto da Zo.Gi. Avverso detta sentenza (e con contestuale riferimento alle ordinanze del GUP e del tribunale emesse rispettivamente nelle date del 19.5.2018 e del 7.5.2019, entrambe di rigetto della già proposta eccezione di incompetenza territoriale) ha interposto appello il difensore di Zo.Gi. con impugnazione che ha devoluto alla cognizione della Corte i punti ed i capi della sentenza relativi, nell'ordine, alla competenza territoriale, alla affermazione di penale responsabilità, alla condanna risarcitoria ed alle spese processuali, al trattamento sanzionatorio, al mancato riconoscimento del concorso apparente tra le fattispecie contestate, alla confisca per equivalente e, infine, alla mancata assunzione di perizia. 2.4.1 In particolare, dopo una "introduzione" (oggetto di trattazione al paragrafo 1 dell'impugnazione) finalizzata ad evidenziare gli effetti, ritenuti pregiudizievoli per la serenità del giudizio, della "pressione" esercitata, nel contesto locale, dagli organi di informazione (argomenti già posti a fondamento della richiesta di remissione del giudizio ex art. 45 c.p.p., pure disattesa dalla Corte di Cassazione) il difensore, con il primo motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi da 2.1 a 2.8 dell'impugnazione), ha censurato il rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale. In effetti, premesso: - che la sentenza della Corte di Cassazione n. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018 era stata motivata sul rilievo della connessione per continuazione tra i reati, rispettivamente, di cui ai capi E1 e B1, con la precisazione che il più risalente reato di ostacolo alla vigilanza oggetto di tale ultimo capo di imputazione doveva intendersi verificato in Vicenza, in quanto luogo nel quale "vengono assunte le determinazioni degli organi sociali"; - che, in sede di udienza preliminare, era stata ribadita la competenza del Tribunale di Vicenza in ragione della ritenuta infondatezza della contraria tesi difensiva che sollecitava l'individuazione presso la sede, in Roma, della Banca d'Italia, destinataria della comunicazione ICAAP, del luogo di commissione di tale reato (infondatezza argomentata sul rilievo della necessità di valutare la competenza alla stregua del perimetro dell'imputazione, rispetto al quale dovevano ritenersi estranee le vicende relative all'invio della predetta comunicazione); - che il Tribunale, con ordinanza 7,5.2019, aveva nuovamente confermato tali conclusioni, dichiarando inammissibile l'eccezione difensiva (riproposta nei medesimi termini) in ragione della preclusione derivante dalla vincolatività della citata pronunzia della Corte di Cassazione e, in ogni caso, ne aveva sostenuto l'infondatezza in considerazione della necessità di ancorare il giudizio in materia di incompetenza alla prospettazione accusatoria che, nella specie, non contemplava la contestazione dell'invio della comunicazione ICAAP; - che, infine, nella sentenza impugnata, erano state ancora una volta ribadite le argomentazioni (vincolatività della sentenza della Corte di cassazione, non superata da fatti nuovi; estraneità al perimetro dell'imputazione di riferimento della condotta dell'invio alla Banca d'Italia della comunicazione ICAAP) esposte nella precedente ordinanza 7.5.2019, il difensore ha contestato le conclusioni cui era pervenuto, sul punto, il primo giudice. Quanto al primo profilo, era errato sostenere la vincolatività della decisione della Corte di Cassazione. Si era in presenza, infatti, di pronunzia attinente ad uno specifico thema decidendum (quello della necessità di dirimere il contrasto inerente all'attribuzione della competenza - rispetto a reati oggetto di provvedimento cautelare - all'autorità giudiziaria vicentina, ovvero milanese) in ordine al quale era rimasta del tutto estranea la questione della eventuale competenza del Tribunale di Roma, in quanto non ricompresa nel perimetro del devolutum (come desumibile dalla stessa lettura della citata sentenza n. 15537/2018, sentenza dalla quale emergeva chiaramente che la Corte di cassazione, ai fini della decisione del conflitto, non aveva preso in considerazione la circostanza, pure nota al giudice di legittimità, della sopravvenuta iscrizione per il reato di falso in prospetto e come, del resto, confermato dallo stesso tribunale di Vicenza, a pag. 240 della sentenza impugnata). In ogni caso la diversità delle parti dei procedimenti attinenti, rispettivamente, alla cautela ed al merito impediva che potesse legittimamente evocarsi, sul punto, qualsivoglia preclusione processuale. Quanto al secondo profilo, por, ha contestato l'estraneità dell'invio della comunicazione ICAAP alla Banca d'Italia rispetto al perimetro dell'imputazione di cui al predetto capo B1. A ben vedere, infatti, il riferimento alle comunicazioni ed alle segnalazioni all'autorità di vigilanza, siccome contenuto nel medesimo capo di incolpazione, avrebbe dovuto ritenersi, all'uopo, del tutto sufficiente, trattandosi di riferimento effettuato in modo generico (e, quindi, necessariamente tale da ricomprendere anche l'invio della citata comunicazione). Ciò posto, l'appellante: - evidenziato il difetto di vincolatività della decisione della Corte di Cassazione n. 15537/2018; - sottolineato che l'invio della comunicazione ICAAP (pacificamente costituente, per l'importanza di tale adempimento, il primo degli atti di sviamento della funzione di vigilanza) doveva ritenersi ricompreso nel perimetro dell'imputazione; - precisato, in ogni caso, che il tribunale ben avrebbe potuto attribuire a tale comunicazione il doveroso rilievo, senza affatto indebitamente anticipare un sindacato di merito sulla falsità della comunicazione medesima (donde, anche sotto tale profilo, l'infondatezza delle argomentazioni poste dal primo giudice a fondamento del rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale); - osservato, ancora, che l'indicazione del luogo di consumazione del reato siccome indicato in imputazione Vicenza") non poteva ritenersi vincolante, allorché, come nella specie, un diverso focus commissi delicti ("Roma", sede della Banca d'Italia) fosse ricavabile dagli atti posti a disposizione dei giudicante (il GUP, prima; il tribunale, poi); s e rimarcato, infine, che il primo giudice nell'esercizio del potere/dovere di correggere l'errore nel quale era incorso il P,M. nell'individuazione del luogo di consumazione del reato non avrebbe affatto incontrato i limiti costituiti, rispettivamente, dal carattere macroscopico dello sbaglio e dalle circostanze di fatto siccome descritte in imputazione, purché queste ultime fossero, come nella specie, risultanti ex actis (pena la violazione dei principi in materia di obbligatorietà dell'azione penale e di rispetto del giudice naturale precostituito per legge), ha ribadito l'incompetenza del tribunale di Vicenza per essere competente il tribunale di Roma e, pertanto, ha sollecitato la declaratoria di nullità delle impugnate ordinanze e, quindi, della sentenza che le aveva confermate. 2.4.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi da 3.1 a 3.6 dell'impugnazione), poi, ha contestato l'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, affermazione basata su una motivazione, al contempo, carente e contraddittoria rispetto a specifiche emergenze processuali. Per un verso, infatti, il tribunale aveva omesso di considerare molteplici elementi probatori, in primo luogo in relazione al tema, per vero decisivo, della mancata attivazione di "campanelli d'allarme", da parte degli organismi deputati alla vigilanza interna (e, segnatamente, dell'ufficio di In.) circa il fenomeno del capitale finanziato, ma anche ai profili della vicenda costituiti, nell'ordine, dalle caratteristiche del fenomeno in esame, dal ruolo svolto dall'imputato in relazione a tale fenomeno e, più in generale, dalla posizione rivestita dallo ZO. all'interno dell'istituto di credito. Per altro verso, poi, il percorso argomentativo della decisione appariva viziato, quanto alla posizione processuale del medesimo ZO., da marcati profili di contrasto cori le risultanze probatorie, oltre che di vera e propria illogicità con particolare riferimento alla presunta conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno delle "operazioni baciate". Sotto il primo profilo (quello della mancata valutazione di emergenze probatorie favorevoli) il difensore ha sostenuto che l'imputato non era stato affatto portato a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato da parte degli organismi di vigilanza interna e, in particolare, dai responsabili dell'In., i quali avevano dolosamente sottaciuto, sul punto, circostanze ed esiti ispettivi di assoluto rilievo. Deponevano in tal senso le dichiarazioni, in ordine all'assenza di flussi informativi interni relativi agli esiti delle verifiche compiute dall'Au. e dal Ri., dei testi Do. (membro del CdA dal 2009 e, successivamente, Presidente del Comitato Controlli, poi Comitato Rischi) e Za. (dal 2014 membro del Collegio Sindacale che, dallo stesso anno, aveva assunto la funzione di Organismo di Vigilanza). Peraltro, anche le deposizioni degli ispettori BCE Ga. e Ma. avevano evidenziato le carenze dell'In.. Inoltre, lo stesso teste Bo. aveva dichiarato di essere stato a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato perlomeno dal 2012 ma di averne parlato solo nel corso dell'ispezione, rivolgendosi all'ispettore Ga., ed aveva soggiunto di non averne mai riferito al Collegio Sindacale né all'Organismo di Vigilanza, in quanto rassicurato dal successo dell'operazione di aumento di capitale del 2014. Il teste Es. (responsabile della funzione di Ri.), dal canto suo, con riferimento alle operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi, aveva parimenti dichiarato di non avere effettuato segnalazioni di criticità, precedentemente a quella del 2014 inerente all'incremento degli storni. Infine, anche dalla deposizione del teste Ferrante (responsabile della Co.) era emerso che il Bo. aveva ignorato qualsivoglia segnale di allarme ed aveva omesso di portare a conoscenza di tali criticità il CdA, il Collegio Sindacale e l'Organismo di vigilanza. E, in effetti, la stessa intercettazione telefonica del colloquio intercorso il 28.8.2015 tra tale teste ed il predetto Bo. confermava che mai quest'ultimo aveva riferito alcunché allo ZO.. Così delineato il contesto di omissioni informative imputabili all'ufficio di In., il difensore ha richiamato una serie di episodi specifici ulteriormente dimostrativi delle gravi carenze ed omissioni in ordine al flusso interno di informazioni inerenti al fenomeno delle operazioni "baciate". Trattasi, segnatamente: dell'"insabbiamento" degli esiti delle verifiche di audit relative ad operazioni baciate poste in essere presso le filiali di Padova e di Manzano; - della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 2014, dal socio Da.Gr., "nemico storico" dello ZO., denunzia cui non erano poi seguite attività di controllo di sorta da parte del Collegio Sindacale, al quale, del resto, il responsabile dell'au. aveva negato l'esistenza di fenomeni di capitale finanziato; - delle dimissioni del private banker Vi., dimissioni delle quali l'imputato ZO. non aveva ricevuto informazioni esaurienti, come emerso dai testi escussi e, in particolare, come dichiarato dallo stesso Bo., per effetto di una determinazione ascrivibile al d.g. So.; - della vicenda delle tre lettere anonime inviate a B. negli anni 2013 e 2014, la prima (quella del 7.10.2013), priva di riferimenti al fenomeno del capitale finanziato, le altre non portate a conoscenza del presidente ZO. o, comunque, non seguite da precise informazioni indirizzate all'imputato inerenti al fenomeno del capitale finanziato; - dell'articolo del Sole 24 Ore a firma Cl.Ga. (articolo, peraltro, bensì contenente accuse in ordine alle pressioni rivolte alla struttura per l'acquisto delle azioni, ma non anche la descrizione del fenomeno del capitale finanziato), mai seguito da attività di riscontro da parte della Direzione Generale, ovvero della Funzione di Controllo, ed in relazione al quale, in ogni caso, non era stata predisposta e portata a conoscenza del Presidente una relazione ispettiva. In definitiva, nessun serio segnale d'allarme era stato mai rappresentato allo ZO., la posizione del quale, pertanto, sul punto, non poteva ritenersi differente da quella del coimputato ZI., pure dal tribunale assolto, ovvero da quella degli altri componenti del CdA e del Collegio Sindacale. Tutti costoro, infatti, erano stati tenuti all'oscuro, per volontà del d.g. So., di quanto emerso in relazione al fenomeno del capitale finanziato nel corso delle attività di audit. Di seguito, l'appello ha evidenziato convergenti elementi probatori che avevano delineato il profilo dello ZO. non già nei termini di uno scaltro "padre padrone" dell'istituto di credito, come pure ripetutamente affermato dal primo giudice, bensì come quello di un presidente, certamente energico ma niente affatto autoritario, il quale aveva investito ingenti risorse personali e familiari nella banca, confidando nella solidità dell'istituto (dal miliardo di lire nel 1995 ai 25 milioni di euro del 2015), a riprova della buona fede che ne aveva sempre ispirato la condotta. In particolare, il difensore ha richiamato plurime deposizioni testimoniali dalle quali era emerso che l'imputato: non era affatto aduso imporre le proprie decisioni; era presente raramente presso la sede dell'istituto; si occupava solo di questioni strategiche e non tecniche; non interveniva nelle pratiche di fido e non aveva avuto rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia; pur comprensibilmente aspirando all'incremento del valore delle azioni non aveva fatto pressioni in tal senso; non aveva un ruolo determinante nella gestione del personale; si limitava a firmare i comunicati B. che, quanto alla parte riferibile allo stesso presidente, erano predisposti dal dipendente Ca. Del resto - ha precisato l'appellante - le stesse deposizioni dei testi Se. e Ro., prima facie pregiudizievoli per la posizione dell'imputato, ad una più attenta lettura deponevano in senso contrario, posto che evidenziavano come lo ZO. non avesse mai avuto un ruolo tecnico all'interno dell'istituto e, comunque, non interferisse affatto nelle decisioni di tale natura. D'altronde, a smentire il ruolo di "monarca assoluto" dell'istituto di credito attribuito allo ZO. dal primo giudice concorreva anche la circostanza che mai l'imputato avesse presieduto alcun comitato esecutivo dal 2012 al 2015 (nonostante, secondo le previsioni statutarie, ne costituisse il vertice) e che, quanto ai Comitati di Direzione/Riunioni svoltisi dal 2011 al 2015, lo stesso ZO. (anche in tal caso diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale che, infatti, aveva escluso la presenza dell'imputato al solo incontro del 10 novembre del 2014, peraltro II più importante) si era limitato a presenziare, solo per un breve saluto, a quello dell'8 novembre 2011. In tal senso, infatti, deponeva l'accurata analisi dei dati documentali disponibili e delle deposizioni assunte in dibattimento. Inoltre, nessun ruolo l'imputato aveva mai svolto con riferimento all'erogazione del credito nella consapevolezza della destinazione dei finanziamenti all'effettuazione di operazioni "baciate". In effetti la posizione dello ZO., al riguardo, non differiva da quella degli altri componenti del CdA che lo stesso primo giudice aveva ritenuto fossero rimasti all'oscuro del fenomeno del capitale finanziato (ivi compreso il coimputato ZI., assolto nonostante avesse compiuto, con la propria finanziaria, un paio di operazioni "baciate"). Sul punto, l'appellante ha richiamato plurime deposizioni testimoniali dalle quali emergeva il difetto di tale consapevolezza da parte dei componenti del consiglio, oltre alla importante conversazione telefonica del 28.8.2015, intercorsa tra il coimputato MA. e il responsabile audit Bo., nel corso della quale, al tentativo di quest'ultimo di indurre l'interlocutore a formulare un "atto di accusa" a carico dello ZO., all'evidente scopo di farne una sorta di capro espiatorio di quanto, oramai, andava inequivocabilmente emergendo, il MA. aveva ribattuto sostenendo di non avere fatto il nome del presidente in quanto il direttore generale So. non glielo aveva indicato espressamente come soggetto a conoscenza del fenomeno (ma si era limitato, come suo solito, a sostenere che aveva informato "chi di dovere") e, inoltre, aveva ribadito più volte che mai si era parlato "di baciate", alla sua presenza, con il presidente. Quanto, poi, alla svalutazione del titolo B. nell'aprile del 2015 da 62,50 a 48 euro, si era trattato, come palesato dal tenore di specifiche deposizioni testimoniali, di una decisione in relazione alla quale l'imputato aveva operato nel rispetto delle indicazioni fornitegli dagli organi preposti alla valutazione del titolo e, segnatamente, dall'esperto indipendente prof. Bi. (e, questo, nonostante lo stesso imputato ed i membri della sua famiglia fossero tra i principali azionisti della banca), mentre era stato il So. ad esprimere contrarietà alla svalutazione. In ordine alla predisposizione della "task-force", istituita con delibera del CdA del 28.4.2015, destinata a fronteggiare i problemi sorti con gli azionisti per effetto della svalutazione del titolo e ad affrontare la questione dei finanziamenti correlati, l'imputato era rimasto del tutto estraneo alla relativa iniziativa, in quanto, a partire dal mese di aprile, era stato di fatto esautorato da ogni ruolo nella banca, mentre l'unico dominus delle scelte gestionali ed imprenditoriali era l'amministratore delegato So., tanto che l'incontro dello stesso ZO. con il professionista esterno, avv. Ge., era stato solo fugace e formale. La prima conversazione telefonica intercorsa tra i due, del resto, aveva avuto luogo solo il 7 maggio 2015, al momento della cessazione dell'incarico, quando oramai le risultanze BCE erano emerse. Inoltre, con specifico riferimento alla scoperta delle lettere di garanzia, alla criticità dei fondi lussemburghesi ed alle risposte alle richieste degli ispettori BCE, l'appellante ha evidenziato che ZO., appena venuto a conoscenza dei primi esiti dell'ispezione, non aveva frapposto alcun ostacolo, ma si era attivato affinché la dirigenza fornisse piena collaborazione agli ispettori medesimi, tanto che a costoro erano state consegnate le lettere di impegno solo a seguito dell'intervento dell'imputato. Illuminanti, sul punto, erano le deposizioni degli ispettori Ga. e Ma., là dove il primo aveva riferito che l'imputato aveva dichiarato che la reazione dello ZO. era stata quella di sorpresa per l'entità del fenomeno in esame ed il secondo aveva precisato che le lettere di impegno erano state consegnate solo dopo l'intervento dello ZO. (il quale, peraltro, ad avviso del teste, non aveva colto appieno l'importanza del fenomeno del capitale finanziato, avendo manifestato preoccupazione soprattutto con riferimento al tema dei fondi di investimento e delle lettere di garanzia). Anche le deposizioni dei testi An., So., Co. e Fa., del resto, andavano nella medesima direzione, ovverosia deponevano nel senso della mancata consapevolezza, da parte del presidente, dei fenomeni illeciti (capitale finanziato/lettere di garanzia/fondi lussemburghesi). In relazione alle dimissioni dell'amministratore delegato So. poi, non si era affatto trattato di decisione adottata dal presidente per assicurare un commodus discessus al predetto onde garantirsi un "salvacondotto" a fronte dell'attività di accertamento della squadra ispettiva BCE. In effetti, non solo il tribunale non aveva considerato che i soli soggetti che avevano ottenuto dalla BCE tale "salvacondotto", tanto da essere rimasti estranei al procedimento, erano stati i veri responsabili delle irregolarità emerse (e, segnatamente, da un lato, i preposti ai controlli interni, i quali avevano violato tutti i doveri loro imposti dal ruolo ricoperto, nonché, dall'altro lato, i dirigenti/funzionari che avevano compiuto le "operazioni baciate"), ma aveva anche di fatto ignorato che ZO. mai aveva fatto ricorso ad un finanziamento per l'acquisto di azioni dell'istituto. In ogni caso, la velocità della "sostituzione" del So. era stata imposta dalla BCE che aveva sollecitato una immediata discontinuità nella gestione dell'istituto di credito, come puntualmente dichiarato dallo stesso ZO. in sede di dichiarazioni spontanee (udienza 25.6.2020) e come confermato da specifiche deposizioni testimoniali, in primis quella dell'ispettore Ma., il quale aveva riferito che la scelta di allontanare l'amministratore delegato era ascrivibile proprio alla BCE. Quanto, poi, al compenso milionario riconosciuto al So., le condizioni economiche assicurate a quest'ultimo nell'accordo - condizioni delle quali, peraltro, si erano esclusivamente occupati i dirigenti Ca. e Va. - erano state regolarmente comunicate alla BCE senza che ne derivassero obiezioni di sorta (se non la precisazione che il compenso avrebbe dovuto essere pagato in parte in azioni e, comunque, differito nel tempo). Del resto, la riferibilità alla BCE dell'avvicendamento dei vertici operativi era stata confermata, nel corso del proprio esame, anche dal coimputato GI. (sia pure con riferimento alla posizione del medesimo dichiarante). Infine, il tribunale neppure aveva considerato adeguatamente, per un verso, che ZO., prima di definire l'accordo di risoluzione del rapporto con il So., aveva contattato tutti i membri del CdA, in taluni casi incontrandoli personalmente (tanto che proprio lo ZI. - unico tra i consiglieri - aveva potuto manifestare le proprie perplessità, orientandosi nel senso del licenziamento); e, per altro verso, che la velocità e la spontaneità dell'avvicendamento erano funzionali a limitare il danno reputazionale per la banca. Anzi, lo ZO. non si era successivamente opposto all'iniziativa adottata dall'amministratore Io. di presentare un'istanza di sequestro delle somme pagate al So. ed aveva finanche promosso una azione giudiziaria verso quest'ultimo, obiettivamente incompatibile con l'intenzione di "comprarne il silenzio". Quanto, infine, alla condotta tenuta, negli ultimi mesi di presidenza, dall'imputato, quest'ultimo - il quale, peraltro, unitamente al CdA, già nei primi giorni di agosto 2015 (e, quindi, un anno prima dell'analoga iniziativa di Banca d'Italia) aveva dato incarico di presentare una denunzia presso la Procura della Repubblica di Vicenza - non aveva minimamente ostacolato gli accertamenti interni, lasciando al nuovo amministratore Iorio ogni compito inerente alle verifiche ed alle segnalazioni all'aut