Sentenze recenti violazione privacy

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  • La responsabilità civile diretta della pubblica amministrazione per il fatto illecito del proprio dipendente sussiste quando la condotta dannosa, pur essendo posta in essere per finalità personali e non istituzionali, sia comunque legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o i poteri di cui il dipendente è titolare, nel senso che il fatto dannoso non sarebbe stato possibile senza l'esercizio di tali funzioni o poteri, anche se in modo deviato o abusivo. Tale responsabilità diretta non esclude quella indiretta o per fatto altrui ai sensi dell'art. 2049 c.c., la cui applicazione non è confinata ai soli rapporti privatistici ma ha valenza generale. Ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale per lesione del diritto alla riservatezza e all'immagine, la mera pubblicazione di informazioni ritenute lesive non è di per sé sufficiente, essendo necessario che il danneggiato fornisca la prova della gravità della lesione e della serietà del danno effettivamente subito, non potendo il danno ritenersi in re ipsa. Inoltre, il danno alla reputazione e all'identità sociale deve essere adeguatamente provato, non potendo desumersi automaticamente dal fatto in sé.

  • Il diritto di cronaca e di critica non può essere esercitato in modo da ledere ingiustamente l'onore e la reputazione altrui, attraverso l'utilizzo di espressioni gratuitamente offensive e volgari, anche se riferite a fatti giudiziari pubblici. La pubblicazione di una sentenza penale, con commenti e aggiunte denigratorie sulla vita privata e affettiva della persona offesa, costituisce un abuso del diritto di cronaca e di critica, integrando il reato di diffamazione aggravata. Il carattere diffamatorio della pubblicazione non viene meno per il solo fatto che la notizia riportata sia vera, essendo necessario che le modalità di divulgazione rispettino il limite della continenza espressiva e della pertinenza rispetto all'interesse pubblico alla conoscenza del fatto. Pertanto, l'utilizzo di espressioni volgari, gratuite e lesive della reputazione altrui, anche se riferite a vicende giudiziarie, non può essere giustificato dal diritto di cronaca o di critica, configurando un abuso di tali diritti e integrando il reato di diffamazione aggravata. La determinazione della pena deve tenere conto della particolare gravità della condotta, della risonanza pubblica della diffamazione e dell'assenza di circostanze attenuanti, essendo esclusa l'applicabilità della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. in ragione della rilevante offesa alla reputazione della vittima.

  • Il mancato adempimento dell'obbligo di informativa sulla privacy, previsto dall'art. 13 del D.Lgs. n. 196 del 2003, integra una violazione sanzionabile ai sensi dell'art. 161 del medesimo decreto, anche in caso di semplice raccolta di dati personali attraverso form online, senza che sia necessario il successivo trattamento degli stessi. Tuttavia, la sanzione amministrativa pecuniaria deve essere commisurata alla lievità della violazione, tenendo conto del numero esiguo di accessi in cui è stata rilevata l'omissione, dell'assenza di dolo nell'inadempimento, dovuto a mera imperfetta impostazione della pagina web da parte del webmaster incaricato, nonché della tempestiva rimozione e correzione del form da parte del titolare del trattamento a seguito della contestazione. In tali ipotesi, la sanzione deve essere rideterminata nel minimo edittale previsto dalla legge, pari a Euro 6.000,00, in luogo dell'importo originariamente irrogato. Il procedimento sanzionatorio, pendente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 101 del 2018, è regolato dalle disposizioni di tale decreto, che prevedono la conversione automatica del verbale di contestazione in ordinanza-ingiunzione, senza necessità di ulteriore notifica, purché il trasgressore non abbia aderito alla definizione agevolata o presentato nuove memorie difensive, in quanto tale meccanismo non viola i principi del giusto processo e del diritto di difesa, essendo volto a semplificare e deflazionare il contenzioso in materia di protezione dei dati personali.

  • Il diritto alla riservatezza, quale aspetto del più ampio diritto alla privacy, è tutelato dall'ordinamento giuridico e trova fondamento nei principi costituzionali di libertà personale e di inviolabilità della sfera privata. Tuttavia, perché tale diritto possa ritenersi leso in modo risarcibile, è necessario che la violazione abbia cagionato un pregiudizio di grave entità e una seria lesione della sfera personale del soggetto, non essendo sufficiente la mera violazione formale delle prescrizioni normative. Pertanto, il mero fatto di aver affisso in una bacheca condominiale un avviso relativo a una controversia amministrativa riguardante i condòmini, senza che tale affissione abbia concretamente comportato un danno significativo alla loro riservatezza, non integra gli estremi per il risarcimento del danno non patrimoniale. Ciò in quanto il diritto alla riservatezza, pur essendo un diritto della personalità, non determina un automatico risarcimento del danno in caso di sua violazione, ma richiede la prova di un effettivo e serio pregiudizio alla sfera personale del soggetto leso.

  • Il diritto alla riservatezza, quale aspetto del più ampio diritto alla privacy, tutela la libertà personale dell'individuo, intesa come facoltà di mostrarsi agli altri solo quando si abbia interesse a farlo, nonché il diritto all'identità personale, quale proiezione sociale della personalità. Pertanto, l'installazione di un sistema di videosorveglianza non integra di per sé una lesione del diritto alla riservatezza, a meno che non sia dimostrato l'effettivo spostamento del puntamento delle telecamere in modo da inquadrare indebitamente spazi di proprietà altrui. Ove il sistema di videosorveglianza sia installato in modo da non riprendere aree di proprietà di terzi, salvo la possibilità di una modifica manuale del puntamento, non sussiste violazione del diritto alla riservatezza, atteso che l'astratta possibilità di spostare l'inquadratura non è sufficiente a integrare la lesione del diritto, in assenza di prova dell'effettivo mutamento del puntamento delle telecamere. Inoltre, la scarsa qualità delle immagini registrate e le frequenti interruzioni della registrazione concorrono a escludere la lesione del diritto alla riservatezza.

  • La violazione del diritto alla riservatezza, derivante dalla notifica di provvedimenti giudiziari in modo non conforme alle disposizioni di legge sulla privacy, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario e non di quello amministrativo. Il giudice amministrativo, infatti, è privo di competenza per conoscere di controversie relative all'applicazione della normativa sulla tutela dei dati personali, le quali devono essere devolute alla cognizione del giudice ordinario, in quanto la legge attribuisce espressamente a quest'ultimo la competenza per tutte le controversie riguardanti comunque l'applicazione della disciplina sulla protezione dei dati personali. Pertanto, il ricorso proposto dinanzi al giudice amministrativo per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla violazione del diritto alla riservatezza deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

  • La pubblicazione integrale di una delibera contenente dati sensibili relativi allo stato di salute e alla vita privata di un soggetto, senza alcuna necessità o rilevante interesse pubblico, integra una violazione del diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali, tutelati dagli artt. 2 Cost., 8 CEDU e 4 del Codice Privacy. Tale condotta illecita, che genera uno stato di profonda sofferenza e stress incidente sulle relazioni sociali e sulle abitudini di vita, dà luogo a un danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 2059 c.c., da liquidarsi in via equitativa in considerazione dell'intensità e della durata del pregiudizio subito. Il danno alla privacy deve essere inteso in termini unitari, comprendendo sia la lesione del diritto alla riservatezza della persona che le ripercussioni negative sulla vita di coppia e di relazione. L'Amministrazione pubblica che abbia proceduto all'indebita divulgazione di informazioni riservate è tenuta al risarcimento del danno non patrimoniale, anche nei confronti del coniuge o del convivente del soggetto direttamente leso, in ragione del vincolo di comunanza di vita familiare, sessuale e domestica.

  • Il trattamento non autorizzato di dati personali altrui, anche se effettuato in via ritorsiva o punitiva, integra il reato di violazione della normativa sulla privacy, a prescindere dalla finalità di profitto o danno, essendo sufficiente la mera divulgazione non consensuale di informazioni riservate, come il numero di telefono cellulare, che comporti la lesione del diritto alla riservatezza dell'interessato. La norma incriminatrice, infatti, si riferisce non solo al trattamento in senso proprio dei dati, ma anche alla loro comunicazione e diffusione senza il consenso dell'interessato, a tutela del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali, che ricomprende anche i recapiti telefonici. Pertanto, il privato cittadino che occasionalmente venga a conoscenza di dati personali altrui non può divulgarli senza il consenso dell'interessato, essendo tale condotta penalmente rilevante ai sensi della disciplina sulla privacy, a prescindere dalla finalità di profitto o danno, essendo sufficiente l'effettiva lesione del diritto alla riservatezza.

  • Il diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali costituisce un interesse fondamentale della persona, tutelato dall'ordinamento giuridico, la cui lesione determina un danno non patrimoniale risarcibile anche in assenza di specifiche manifestazioni di esibizionismo o intromissione in ambiti estranei alla sfera professionale del soggetto interessato. Infatti, il rispetto della riservatezza e della privacy rappresenta un valore essenziale per la generalità dei consociati, la cui violazione, accertata in concreto, è idonea a cagionare una sofferenza morale meritevole di tutela risarcitoria, indipendentemente dalla prova di ulteriori conseguenze dannose. Pertanto, l'onere probatorio del danneggiato si ritiene assolto attraverso la dimostrazione dell'illecita diffusione non autorizzata di dati personali, senza la necessità di allegare e provare specifici comportamenti o atteggiamenti del soggetto leso volti a rendere manifesta la propria sfera di riservatezza. La valutazione del danno non patrimoniale derivante dalla lesione del diritto alla privacy deve essere effettuata dal giudice di merito in modo equitativo, tenendo conto della gravità dell'offesa e dell'intensità della sofferenza morale patita dalla vittima, senza che sia necessaria la prova puntuale di tutte le singole componenti del pregiudizio subito.

  • La violazione degli obblighi di informativa e di limitazione della conservazione dei dati personali acquisiti mediante videosorveglianza è sanzionabile solo a seguito di un procedimento istruttorio che abbia accertato l'inadempimento di specifiche prescrizioni impartite al titolare del trattamento. La responsabilità amministrativa per tali violazioni può essere esclusa solo in presenza di un errore inevitabile e incolpevole, dimostrando che il titolare ha fatto tutto il possibile per osservare la legge, senza che possa essergli mosso alcun rimprovero per negligenza omissiva.

  • Il trattamento di dati personali da parte di istituti bancari e società di informazioni creditizie, anche senza il consenso espresso dell'interessato, è legittimo quando rientra nell'ambito delle finalità gestionali, statistiche e di tutela del credito previste dalla legge, purché l'interessato sia stato adeguatamente informato ai sensi degli articoli 10 e 11 della Legge n. 675/1996 (ora art. 13 del D.Lgs. n. 196/2003). La mera segnalazione di ritardi nei pagamenti delle rate di un finanziamento, di cui l'interessato era a conoscenza, non integra di per sé una lesione del diritto alla riservatezza e all'immagine, in assenza di prova di un concreto e apprezzabile danno patrimoniale o non patrimoniale. Il risarcimento del danno non patrimoniale, anche in caso di violazione della normativa sulla privacy, non può essere riconosciuto in re ipsa, ma richiede la specifica allegazione e prova di un pregiudizio effettivo e apprezzabile, non potendosi far riferimento a una generica categoria di "danno esistenziale" dai confini incerti.

  • La diffusione di notizie che, pur senza menzionare esplicitamente il nome di una persona, consentano di identificarla con ragionevole certezza sulla base di tutti gli elementi della fattispecie concreta, integra un illecito civile risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c., a prescindere dal carattere veritiero o meno delle informazioni divulgate. Ai fini della valutazione della riconoscibilità della persona, il giudice deve tenere conto di tutti i dati oggettivi e soggettivi desumibili anche da fonti informative diverse da quella della cui illiceità si tratta, purché pubblicamente accessibili al momento della diffusione, come il numero limitato di soggetti cui la notizia potrebbe riferirsi o il contestuale riferimento ad altri elementi identificativi. Inoltre, la condotta del diffusore deve essere valutata non solo sotto il profilo del dolo, ma anche della colpa, in relazione all'obbligo di diligenza nell'accertamento della riconoscibilità della persona. Infine, la domanda di risarcimento del danno per lesione della riservatezza e violazione della disciplina sul trattamento dei dati personali deve essere autonomamente esaminata dal giudice, a prescindere dalla fondatezza della domanda di risarcimento per diffamazione.

  • Il diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali, in particolare di quelli sensibili relativi allo stato di salute, costituisce un diritto fondamentale della persona, costituzionalmente tutelato, che deve essere bilanciato con l'esigenza di pubblicità e informazione giuridica. Pertanto, la diffusione di dati personali e sanitari in provvedimenti giurisdizionali, anche da parte di pubbliche amministrazioni, è ammissibile solo se strettamente necessaria e indispensabile per le finalità informative, con l'obbligo di oscurare le generalità e gli altri elementi identificativi dell'interessato, salvo espressa richiesta di quest'ultimo. La violazione di tale principio comporta la responsabilità del titolare del trattamento dei dati per il risarcimento del danno, che deve essere però specificamente provato e quantificato dal richiedente.

  • Il danno non patrimoniale derivante dalla violazione del diritto alla riservatezza è risarcibile solo se la lesione è grave e il danno è serio, non meramente futile o bagatellare, in quanto il diritto alla privacy deve essere bilanciato con il principio di tolleranza e solidarietà sociale. L'accertamento della gravità della lesione e della serietà del danno è rimesso al giudice di merito, il quale deve valutare la concretezza della vicenda materiale e il contesto temporale e sociale in cui è maturata, tenendo conto degli elementi fattuali allegati dalle parti e delle presunzioni. Il risarcimento del danno non patrimoniale non ha una funzione punitiva, ma è subordinato al superamento della soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale, sicché pregiudizi connotati da futilità devono essere accettati in virtù del dovere di tolleranza che la convivenza impone. Pertanto, il mero disagio patito dall'interessato per la consegna non anonima di prodotti sanitari in prossimità della sua abitazione, in assenza di adeguate iniziative da parte sua per evitare tale evenienza, non integra una grave lesione del diritto alla riservatezza né una seria perdita di utilità risarcibile.

  • Il potere di disporre di strumenti informatici volti al compimento di operazioni finanziarie presso un istituto bancario non legittima l'accesso indiscriminato a banche dati da parte del dipendente. Il datore di lavoro ha l'obbligo di tutelare l'integrità psicofisica dei lavoratori, adottando misure idonee a prevenire e contrastare comportamenti lesivi del clima aziendale, anche attraverso il controllo e la verifica della correttezza degli accessi ai sistemi informatici. Tuttavia, l'accertamento di un numero elevato di accessi non giustificati da ragioni di servizio, pur integrando una violazione della normativa sulla privacy e dei doveri di fedeltà e lealtà del dipendente, non costituisce di per sé un fatto di gravità tale da giustificare il licenziamento disciplinare, in assenza di danni concreti e di un complessivo quadro di comportamenti gravemente lesivi del vincolo fiduciario. In tali ipotesi, il datore di lavoro è tenuto a comminare una sanzione conservativa, proporzionata alla condotta accertata.

  • Il reato di trattamento illecito di dati personali di cui all'art. 167 del D.Lgs. n. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali) è configurabile solo quando la condotta di violazione delle disposizioni in materia di trattamento dei dati personali sia posta in essere con il dolo specifico di trarre profitto per sé o per altri ovvero di arrecare danno all'interessato e abbia cagionato un effettivo nocumento all'interessato stesso. La mera violazione delle regole di condotta in materia di trattamento dei dati personali, in assenza di tali ulteriori elementi, integra solo un illecito amministrativo ai sensi dell'art. 166 del medesimo Codice. In particolare, la violazione dei limiti del consenso o dell'autorizzazione al trattamento dei dati personali, se posta in essere nell'ambito dello svolgimento di investigazioni difensive o per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, non integra il reato di cui all'art. 167 del D.Lgs. n. 196/2003, in quanto tale attività è espressamente esclusa dalla necessità del consenso dell'interessato ai sensi della normativa previgente (art. 24, lett. f, D.Lgs. n. 196/2003) e non rientra più tra le modalità esecutive tipiche della fattispecie delittuosa a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 101/2018. Pertanto, in assenza di un effettivo nocumento all'interessato e del dolo specifico richiesto dalla norma, la condotta non integra il reato di trattamento illecito di dati personali, ma al più un illecito amministrativo.

  • Il trattamento illecito di dati personali, anche se motivato da finalità di trasparenza e pubblicità di una procedura concorsuale pubblica, integra una violazione della normativa sulla protezione dei dati personali che comporta l'irrogazione di una sanzione amministrativa. L'amministrazione pubblica, pur essendo tenuta a garantire la pubblicità degli atti, ha l'obbligo di adottare le necessarie cautele per evitare la diffusione di informazioni riservate, in particolare di dati sensibili relativi allo stato di salute dei candidati. L'ignoranza della disciplina sulla protezione dei dati personali non costituisce causa di esclusione della responsabilità amministrativa, in quanto l'amministrazione ha il dovere di conoscere e applicare correttamente la normativa che regola la propria attività. La sanzione amministrativa irrogata dal Garante per la protezione dei dati personali può essere aumentata fino al doppio del minimo edittale quando il trattamento illecito riguardi i dati di più soggetti interessati, a prescindere dal numero effettivo di segnalazioni ricevute. Il giudice di merito gode di ampia discrezionalità nella valutazione della gravità della violazione e della congruità della sanzione, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi logici o giuridici della motivazione.

  • Il trattamento abusivo di dati personali idonei a rivelare lo stato di salute di un soggetto, effettuato da un operatore sanitario al di fuori dei limiti dell'incarico conferitogli dall'azienda e in assenza del consenso dell'interessato, integra una violazione del Codice della Privacy sanzionabile sia in sede amministrativa che penale, in quanto lesiva non solo dell'interesse individuale alla riservatezza, ma anche dell'interesse generale al corretto funzionamento del sistema di tutela dei dati personali. Tuttavia, la sanzione amministrativa deve essere commisurata alla gravità della condotta, tenendo conto della buona fede dell'operatore, della limitata diffusione dei dati e della collaborazione prestata, nonché delle carenze organizzative e tecnologiche dell'azienda sanitaria che hanno agevolato l'accesso abusivo. Il cumulo di sanzioni amministrative e penali per il medesimo fatto non viola il principio del ne bis in idem, in quanto le due tipologie di sanzione perseguono finalità complementari di tutela dell'interesse individuale e dell'interesse generale.

  • Il reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale di cui all'art. 684 c.p. è un reato monoffensivo, che tutela esclusivamente l'amministrazione della giustizia e non anche la reputazione e la riservatezza del soggetto sottoposto a procedimento penale. Pertanto, la mera violazione di tale disposizione non dà luogo a un autonomo diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, salvo che dal fatto non sia derivata la lesione di beni della persona autonomamente tutelabili in base ad altre norme dell'ordinamento. Inoltre, la valutazione della portata della violazione, sotto il profilo della limitatezza e della marginalità della riproduzione testuale di atti processuali, rientra nell'apprezzamento del giudice di merito, il quale deve applicare il principio di necessaria offensività della condotta concreta e quello dell'irrisarcibilità del danno non patrimoniale di lieve entità, espressione del principio di solidarietà di cui all'art. 2 Cost. e di tolleranza della lesione minima. Quanto al diritto di cronaca e di critica, il fatto presupposto ed oggetto della critica deve corrispondere a verità, sia pure non assoluta ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze oggettive, mentre i limiti dell'esimente sono costituiti dalla rilevanza sociale dell'argomento e dalla correttezza formale di espressione.

  • Il diritto di cronaca giornalistica, esercitato nel rispetto dei limiti di verità, rilevanza sociale e continenza formale, prevale sulla tutela dell'onore e della reputazione, salvo che la pubblicazione di notizie, pur corrispondenti al contenuto di atti giudiziari, non sia accompagnata da commenti, integrazioni o modalità espressive tali da travisare i fatti o indurre il lettore a trarre erronee conclusioni sulla posizione della persona coinvolta, la quale ha comunque diritto di ottenere la rettifica della notizia diffamatoria, purché nei limiti di spazio previsti dalla legge, senza che l'eventuale violazione di tale diritto comporti di per sé un autonomo risarcimento del danno, in assenza di una prova adeguata del nesso causale tra la mancata rettifica e il pregiudizio effettivamente subito.

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