Sto cercando nella banca dati...
Risultati di ricerca:
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1163 del 2022, proposto da An. Gh., titolare della ditta individuale Pu. di Gh. An., rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Regione Puglia, in nome del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Pa. Ca., con domicilio eletto presso lo studio delegazione Regione Puglia in Roma, via (...); per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce Sezione Terza n. 00913/2021, resa tra le parti, per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia: - della determina dirigenziale della Regione Puglia Dipartimento Agricoltura, Sviluppo Rurale ed Ambientale-Sezione Competitività delle Filiere Agroalimentari avente n° di protocollo r.puglia/AOO_155/PROT/09/12/2020/0015019 del 9/12/2020, notificata a mezzo p.e.c. in data 9/12/2020, con la quale la Regione Puglia non concede al ricorrente il contributo finanziario richiesto e previsto N. 00276/2021 REG.RIC. dall'Avviso pubblico per la presentazione delle domande di aiuto in favore degli operatori del settore florovivaistico DDS 156/2020; - della determinazione del Dirigente Sezione Competitività delle Filiere Agroalimentari della Regione Puglia 4.11.2020 n° 243 (SIAN CARI-19269.Codice CUP n. B34I20000670001.Aiuti in favore degli operatori del settore florovivaistico. Approvazione degli elenchi degli aventi diritto e non aventi diritto al contributo), pubblicata in data 26.11.2020 sul B.U.R. Puglia, n° 160, con la quale vengono fatte proprie le determinazioni richiamate con l'approvazione dell'elenco degli aventi diritto e non aventi diritto al contributo di che trattasi e viene escluso il ricorrente dal contributo finanziario richiesto; - nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale ancorché non conosciuto; e per la declaratoria del diritto del ricorrente ad ottenere gli aiuti finanziari previsti dall'Avviso pubblico nella misura richiesta Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Puglia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo; udita, per parte appellata, l'avv. Ca. Pa. Ca.; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Lecce Sezione Terza, n. 00913/2021, di reiezione del ricorso proposto dal sig. An. Gh. avverso il diniego (del 9/12/2020) opposto dalla Regione Puglia-Dipartimento Agricoltura, Sviluppo Rurale ed Ambientale-Sezione Competitività delle Filiere all'istanza di contributo finanziario di cui dall'Avviso pubblico di aiuto in favore degli operatori del settore florovivaistico DDS 156/2020. 1.1. Cumulativamente, il ricorrente ha impugnato gli atti connessi del procedimento di sovvenzione. 2. L'appellante, proprietario d'azienda florovivaistica, rientrante nel codice ATECO A001192 (coltivazione di fiori in colture protette), ha presentato domanda di aiuti ai sensi dell'avviso pubblico per la presentazione delle domande di aiuto in favore degli operatori del settore florovivaistico ai sensi del d.l. 19.05.2020 n. 34 (c.d. Decreto Rilancio). L'art. 3 del suddetto avviso individua i soggetti beneficiari tra "gli operatori economici ovvero a PMI del settore primario, comparto florovivaistico, aventi sede legale ed operativa all'interno del territorio regionale pugliese, che hanno distrutto i materiali vegetali per effetto delle misure per il contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica nel periodo compreso tra il 9 marzo (DPCM 8.3.2020) e il 18 maggio 2020 (DPCM 15.5.2020) e la cui attività è contraddistinta dai codici ATECO: A0119 Floricoltura e coltivazione di altre colture non permanenti; A01191 Coltivazione di fiori in piena aria; A01192 Coltivazione di fiori in colture protette; A0128 Coltivazione di spezie, piante aromatiche e farmaceutiche; A0130 riproduzione di piante". Al successivo art. 4, con riferimento ai requisiti per l'accesso agli aiuti regionali veniva richiesto, tra l'altro, di "aver inviato regolare comunicazione di distruzione dei beni all'Agenzia Entrate territoriale e Comando Guardia di Finanza competente per territorio almeno 5 giorni prima della data prevista di distruzione della merce ai sensi art. 53 DPR 633/72 e s.m.i. nonché del dpr 10.11.1997 n. 441, completa di specie distrutte, quantità e costi, al netto di imposte, nel periodo compreso tra il 9/3/2020 e il 18/5/2020". 3. La Regione ha opposto il diniego impugnato poiché, dall'esame della documentazione trasmessa, ha riscontrato delle discrasie tra quanto dichiarato nel verbale della Guardia di Finanza e quanto dichiarato all'Agenzia delle Entrate, sia con riferimento alla specie vegetale distrutta che alla quantificazione del costo della distruzione. 4. Con ordinanza istruttoria il Tar ha ordinato alla Guardia di Finanza di Lecce, Compagnia di Gallipoli, "l'esibizione di una relazione di chiarimenti che precisi se l'espressione "Bulbi Lilium" riportata sub "Descrizione Merce" nei prospetti riepilogativi contenuti nel "processo verbale di operazioni compiute" del 17/04/2020 e del 05/05/2020 redatti dalla medesima Guardia di Finanza, Compagnia di Gallipoli". All'esito del deposito della relazione, previa comunicazione alle parti ex art. 73 c.p.a., richiamando quanto dedotto dalla Regione resistente sulla eventuale decurtazione "finanziaria in misura proporzionale al contributo spettante a ciascun beneficiario", il Tar ha dichiarato il ricorso inammissibile per omessa notifica ad almeno uno dei controinteressati. 5. Appella la sentenza il sig. An. Gh.. Resiste la Regione Puglia. 7. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 8. Con il primo motivo l'appellante censura la pronuncia gravata nel punto in cui il ha dichiarato inammissibile il ricorso. L'appellante sottolinea che il ricorso di primo grado cumula una molteplicità di domande: d'annullamento della determinazione dirigenziale espressamente riferita alla sua posizione; d'annullamento del provvedimento dirigenziale di approvazione dell'elenco degli ammessi; e, da ultimo, d'accertamento e/o declaratoria del diritto al beneficio richiesto. Sicché la declaratoria d'inammissibile il ricorso, ex art. 41 c.p.a., della domanda d'annullamento - per difetto di regolarità del contraddittorio stante l'omessa notifica ad almeno ad almeno un controinteressato per l'appellante - non s'estenderebbe alla domanda d'accertamento del diritto al contributo. Né, ad avviso del ricorrente, i beneficiari del contributo, collocati in posizione utile della graduatoria finale, possiederebbero la qualifica di controinteressati sostanziali. In aggiunta, l'appellante censura l'affermazione contenuta nella sentenza appellata che già in sede di avviso sussistevano tutti gli elementi per poter valutare la sussistenza dell'obbligo di notifica ai controinteressati. Secondo la censura in esame nella determinazione n. 243/2020 l'unico aspetto chiarito dalla Regione sarebbe consistito nel fatto che l'ammontare complessivo del contributo liquidabile corrisponde a euro 3.731.411,42 che si procederà a ripartire in misura proporzionale al contributo spettante a ciascun beneficiario ai sensi del paragrafo 9 dell'Avviso pubblico approvato con DDS 156/2020 8.1 Il motivo è infondato. Va precisato che le ditte ammesse a contributo sono tutte nominativamente indicate nel decreto dirigenziale di approvazione dell'elenco degli ammessi e, in caso d'accoglimento del gravame, ai sensi del par. 9 dell'Avviso Pubblico, si sarebbe dovuto procedere ad un'ulteriore decurtazione finanziaria di quanto ad essi spettante. Raggiunta la dotazione finanziaria prevista, l'accoglimento del ricorso in esame avrebbe comportato, quale atto dovuto, la decurtazione a discapito dei soggetti ammessi al contributo, che, di conseguenza, assumono la veste di controinteressati. Va data continuità all'indirizzo giurisprudenziale a mente del quale nel processo amministrativo la nozione di controinteressato al ricorso si fonda sulla simultanea sussistenza di due elementi: a) quello formale, rappresentato dalla contemplazione nominativa del soggetto nel provvedimento impugnato, tale da consentirne alla parte ricorrente l'agevole individuazione; b) quello sostanziale, derivante dall'esistenza in capo a tale soggetto di un interesse legittimo uguale e contrario a quello fatto valere attraverso l'azione impugnatoria, vale a dire di un interesse al mantenimento della situazione esistente (cfr., Cons. Stato, sez. V, 15 giugno 2022, n. 4891 Sicché, come ritenuto dai giudici di prime cure, il ricorso di primo grado avrebbe dovuto essere notificato ad almeno uno dei soggetti controinteressati, individuati nel provvedimento impugnato. Da cui la declaratoria, ai sensi dell'art. 41 c.p.a., d'inammissibilità del gravame, senza che residui, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la cognizione della domanda d'accertamento del diritto al contributo cumulativamente proposta. Con gli atti impugnati è irritrattabilmente definita la schiera di coloro cui spetta il contributo nella quantificazione ivi stabilita: la tutela di mero accertamento, invocata dal ricorrente, sarebbe inutiliter data, o meglio non sarebbe corredata dal necessario presupposto processuale dell'interesse ad agire. 9. Con il secondo motivo l'appellante censura la pronuncia gravata nel punto in cui ha ritenuto insussistente l'errore scusabile e la rimessione in termini, sul rilievo che "non si verteva in materia di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto". Al contrario, secondo l'appellante, al momento della proposizione del ricorso e del successivo giudizio sussisterebbero condotte della p.a. riconducibili al concetto di ambiguità della condotta amministrativa. 9.1 Il motivo è infondato. Il rimedio dell'errore scusabile va riconosciuto e concesso con estremo rigore, entro limiti ben ristretti poiché il processo amministrativo, alla stregua dei criteri desumibili dagli artt. 3 e 24 Cost., è improntato al principio di perfetta simmetria delle posizioni delle parti in causa. In giurisprudenza è ribadito che "l'art. 37, c.p.a., va considerato norma di stretta interpretazione e la concessione del beneficio dell'errore scusabile è istituto eccezionale da applicarsi limitatamente alle ipotesi di: non intellegibilità delle norme di riferimento, orientamenti giurisprudenziali non univoci, attività macroscopicamente equivoche o contraddittore poste in essere dalla stessa amministrazione, caso fortuito e forza maggiore" (cfr., Cons. Stato, sez. III, 14 gennaio 2019, n. 345; Id., sez. II, 15 ottobre 2019, n. 7029; Id., sez. VII, 16 agosto 2023, n. 7767). Nel caso di specie non si ravvisano gli estremi per concedere il beneficio dell'errore scusabile, in quanto le ditte nei confronti delle quali il ricorso di primo grado andava notificato risultavano elencate nominativamente nel decreto d'approvazione della graduatoria, espressamente impugnato dal ricorrente. 10. Conclusivamente l'appello deve essere respinto. 11. Le spese del grado di giudizio, come liquidate in dispositivo seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il sig. An. Gh. alla rifusione delle spese in favore della Regione Puglia liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1198 del 2024, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mi. Gr. e Vl. Pe., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Mi. Gr. in Padova, Piazzale (...); contro El. Sa., rappresentata e difesa dall'avvocato An. Re. D'A., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); nei confronti della Regione Veneto e dell'Ente Parco Regionale dei Colli Euganei, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza n. 1564 del 2023 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione Seconda. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di El. Sa.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Eugenio Tagliasacchi e uditi per le parti gli avvocati presenti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in epigrafe il Comune di (omissis) ha impugnato la sentenza del T.a.r. Veneto n. 1564 del 2023 che ha accolto il ricorso proposto dalla signora El. Sa. avverso il silenzio serbato dall'anzidetto Comune in relazione all'istanza dalla medesima presentata in data 29 dicembre 2022 intesa a ottenere l'avvio del procedimento diretto all'approvazione della variante al Piano Ambientale del Parco dei Colli Euganei, necessaria per la prosecuzione dell'iter di approvazione dell'accordo di programma relativo al "progetto strategico turistico" ai sensi dell'art. 26 della l.r. Veneto n. 11 del 2004, proposto dalla ricorrente in primo grado e odierna appellata. 2. Più precisamente, l'originaria istanza della signora Sa. - presentata in data 28 dicembre 2015 prot. n. 19701 e poi successivamente integrata e specificata nel maggio 2016 - riguardava un "progetto strategico turistico" per la realizzazione di un'area adibita a servizi nell'ambito dell'anello ciclo-turistico dei Colli Euganei, con completamento della pista ciclabile lungo la S.P. n. 89 e lungo via (omissis). In estrema sintesi, tale istanza dapprima fu positivamente valutata dall'amministrazione comunale e il Sindaco del Comune di (omissis), nel maggio 2016, promosse un incontro con le associazioni di categoria al cui esito venne redatto un apposito verbale per la valutazione del progetto strategico turistico, come previsto dalla D.G.R.V. n. 450 del 2015. Successivamente, il Comune dispose la trasmissione degli atti alla Regione e, con Deliberazione n. 1770 del 2 novembre 2016, la Giunta Regionale riconobbe le caratteristiche di progetto strategico ai sensi dell'art. 15 della l.r. n. 32 del 2013, al fine avviare il procedimento relativo alla stipula di un Accordo di Programma. Poi, con decreto n. 11770/2016/1109 dell'1 febbraio 2017, l'Ente Parco dei Colli Euganei ha rilevato l'incompatibilità del progetto turistico rispetto alle previsioni del Piano ambientale, dichiarata anche nel successivo parere reso nella seduta del 3 marzo 2021 e con la successiva nota prot. 24141 del 14 dicembre 2021 l'Ente Parco dei Colli Euganei ha precisato che la procedura di variante del Piano ambientale avrebbe dovuto essere preceduta dall'adozione di una variante allo strumento urbanistico comunale. Infine con la nota prot. n. 21361 del 4 novembre 2022, il Sindaco del Comune di (omissis) ha segnalato alla signora Sa. la difformità del progetto rispetto alle previsioni del Piano di Assetto del Territorito (P.A.T.) e del Piano degli Interventi (P.I.) sostenendo di non poter "approvare una variante" al P.I. in difformità rispetto al P.A.T., che non prevede il Progetto Strategico Turistico in quanto in contrasto con il Piano ambientale; sotto diverso profilo ha rilevato che una eventuale variante al P.A.T. non solo sarebbe di competenza della Provincia, ma non sarebbe neppure attuabile poiché sarebbe, per l'appunto, in contrasto con il Piano Ambientale. 3. Dalle considerazioni che precedono risulta quindi che il procedimento relativo al progetto, in sostanza, non è stato proseguito a causa della divergenza emersa tra le amministrazioni con riferimento all'individuazione dell'iter da seguire per pervenire all'adozione delle modifiche al Piano Ambientale. 4. La signora Sa. - pertanto - ha presentato l'ulteriore e già menzionata diffida del 29 dicembre 2022 attraverso la quale ha chiesto che il Comune di (omissis) e l'Ente Parco dei Colli Euganei avviassero entro il termine di trenta giorni il procedimento volto all'adozione della variante al Piano Ambientale, necessaria per proseguire l'iter dell'accordo strategico turistico e, a fronte del silenzio del Comune, ha introdotto il presente giudizio avverso il silenzio. 5. Il T.a.r. Veneto, con la sentenza impugnata, ha accolto il ricorso rilevando che, nel caso di specie, l'obbligo di concludere il procedimento dipendeva dall'affidamento ingenerato in capo alla ricorrente. Ad avviso del giudice di prime cure, infatti, per la particolarità del caso di specie e per la specificità della posizione della ricorrente, sarebbe consentito discostarsi dal principio generale, secondo cui non è configurabile alcun obbligo di provvedere rispetto agli atti di pianificazione urbanistica, che risultano connotati da ampia discrezionalità nell'an e nel quomodo, con la conseguenza che sarebbe ravvisabile in capo all'amministrazione comunale uno specifico obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, eventualmente anche attraverso un rigetto nel merito della richiesta di avvio dell'iter di adozione delle varianti agli strumenti urbanistici comunali prodromiche alla variante generale al Piano Ambientale del Parco, dal momento che l'amministrazione comunale fino a quel momento non si era espressa nel merito limitandosi ad osservazioni definite "procedurali" (come quella di cui alla nota sindacale del 4 novembre 2022). 6. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Comune di (omissis), prospettando anzitutto - nella parte in fatto - una diversa ricostruzione della vicenda procedimentale volta a porre in evidenza il difetto di competenza del Comune rispetto all'adozione degli atti propedeutici alla prosecuzione dell'iter, osservando, in proposito, che il Comune non sarebbe "l'Ente capofila" nel procedimento volto all'adozione dell'Accordo di Programma, né sarebbe titolare di un "autonomo onere di variante dello strumento urbanistico", né, ancora, sarebbe competente a variare il Piano Ambientale. In altri termini, il Comune appellante ritiene che l'arresto del procedimento debba essere imputato agli altri enti coinvolti e, sul punto, osserva, infatti, che: "gli Enti che avrebbero potuto/dovuto portare avanti il procedimento, in realtà, si arrestavano, sembrando pretendere che il Comune, seppur incompetente, facesse le loro veci". In questa prospettiva, pertanto, ad avviso dell'Ente locale, l'adozione della variante comunale integrava un adempimento non previsto dal procedimento di Accordo di Programma, che, al contrario, assorbirebbe di per sé la variante stessa rendendone così superflua l'adozione da parte del Comune e, inoltre, non si tratterebbe neppure di un adempimento richiesto per la Variante Generale al Piano Ambientale, che, secondo il Comune, l'Ente Parco avrebbe potuto avviare autonomamente. L'appellante sostiene, inoltre, di aver puntualmente rappresentato i predetti profili critici mediante la nota del 4 novembre 2022 nella quale il Sindaco di (omissis) ha indicato alla signora Sa. le ragioni per le quali il Comune non avrebbe potuto adottare la variante allo strumento urbanistico e, a fronte dell'ulteriore diffida del 29 dicembre 2022, l'amministrazione ha ritenuto di non dover dare ulteriori riscontri avendo, a suo dire, già indicato puntualmente le ragioni per le quali non sarebbe stato possibile dar seguito al procedimento, spettando la prosecuzione dell'iter alla Regione e all'Ente Parco. 6.1. Con il primo motivo di gravame, il Comune appellante sostiene che il ricorso di primo grado sia irricevibile o inammissibile in quanto proposto oltre il termine annuale previsto dall'art. 31, comma 2, c.p.a. dal momento che il procedimento ha avuto avvio nel dicembre 2015 con la presentazione dell'originaria istanza, mentre il ricorso è stato depositato solo nel 2023. Nella prospettazione del Comune, pertanto, la diffida del 29 dicembre 2022 non sarebbe una nuova istanza ma un mero sollecito per la prosecuzione del procedimento. Il Comune osserva inoltre che considerando l'anzidetta diffida alla stregua di un'istanza presentata ex novo nel 2022 non avrebbe potuto trovare applicazione l'art. 26, comma 2-ter, della l.r. Veneto n. 11 del 2004, che era stato medio tempore abrogato; mentre qualificandola come mera richiesta di variante urbanistica non sarebbe stato possibile configurare alcun obbligo di provvedere in capo al Comune. 6.2. Con il secondo motivo di gravame, il Comune contesta la sentenza sostenendo che il primo giudice abbia omesso di rilevare un ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, in quanto l'istanza del 29 dicembre 2022 era da ritenersi la mera reiterazione di una precedente richiesta formulata dalla stessa ricorrente alla quale il Comune - con il già richiamato provvedimento del Sindaco del 4 novembre 2022 - aveva dato riscontro, indicando le ragioni ostative alla prosecuzione del procedimento attraverso l'adozione, da parte del Comune medesimo, di una variante urbanistica. Tale provvedimento - che non è stato impugnato - aveva indicato le ragioni poste a fondamento dell'incompetenza del Comune di (omissis) e della conseguente impossibilità di adottare una variante. Conseguentemente, il giudice avrebbe errato a qualificare la nota sindacale del 4 novembre 2022 quale atto "meramente interlocutorio" nonché "proveniente da Organo non competente alla pianificazione". 6.3. Con il terzo motivo di gravame, insiste nel sostenere che in capo al Comune non sussista alcun obbligo di adottare la variante urbanistica in considerazione di quanto previsto dall'art. 26, comma 2-ter, della l.r. Veneto n. 11 del 2004 e dalla D.G.R.V. n. 450/2015. 7. Si è costituita in giudizio El. Sa. eccependo l'inammissibilità dell'appello per difetto di interesse poiché a seguito della sentenza del T.a.r., con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 68 del 27 dicembre 2023, comunicata con nota del 28 febbraio 2024, il Comune ha rigettato l'istanza della Sa. ritenendo di non poter accogliere la proposta di accordo di programma. La delibera dispone testualmente di rigettare "l'istanza presentata in data 29.12.22 dalla ditta Sa. Elisa volta all'introduzione di una Variante al Piano di Assetto del Territorio (P.A.T.) e di una Variante al Piano degli Interventi e per l'effetto di rigettare anche l'istanza volta all'adozione delle determinazioni necessarie a dare impulso all'approvazione di una Variante al Piano Ambientale del Parco Colli Euganei". Ad avviso della signora Sa. si tratta, dunque, di un provvedimento espresso adottato successivamente alla pubblicazione della sentenza appellata e già impugnato, a sua volta, davanti al T.a.r., con la conseguenza che l'appello dovrebbe a suo dire essere dichiarato inammissibile. Ferma restando l'eccezione che precede, la parte appellata ha replicato nel merito alle censure del Comune. 8. Con la memoria di replica del 3 maggio 2024, il Comune di (omissis) insiste nel sostenere che la variante dello strumento urbanistico non è riconducibile alla sfera decisionale del Comune, trattandosi di una conseguenza diretta e immediata della procedura di approvazione dell'accordo di programma avente ad oggetto un intervento di interesse regionale. Con riferimento all'eccezione di inammissibilità dell'appello a seguito della delibera n. 68 del 27 dicembre 2023, il Comune di (omissis) eccepisce la tardività del deposito della delibera medesima e sostiene che l'eccezione sia comunque infondata dal momento che l'anzidetta delibera è stata adottata solo per ottemperare alla sentenza immediatamente esecutiva, sicché "l'Amministrazione comunale ha un interesse attuale e concreto ad ottenere una pronuncia della presente impugnazione, posto che l'accertamento dell'insussistenza, in capo alla medesima, di un obbligo di provvedere renderebbe inutiliter data la stessa Delibera consiliare n. 68/2023". 9. Tanto premesso, il Collegio - trattenuta la causa in decisione alla camera di consiglio del 16 maggio 2024 - reputa che l'appello non sia fondato. 10. Preliminarmente, va esaminate l'eccezione di inammissibilità dell'appello per difetto di interesse, in considerazione dell'adozione del provvedimento espresso mediante la delibera n. 68 del 27 dicembre 2023. Si deve, infatti, escludere che con l'anzidetta delibera il Comune abbia inteso fare acquiescenza alla sentenza, dal momento che nella delibera stessa si legge espressamente quanto segue: "il presente provvedimento viene assunto in forza di quanto disposto dalla sentenza T.A.R. Veneto n. 1564 del 6.11.2023, esecutiva, al fine di ottemperare a un obbligo giudiziale, senza che, però, il Comune intenda fare acquiescenza alla predetta pronuncia e, quindi, con riserva di proporre avverso la stessa impugnazione". Sul punto, il Collegio intende dare continuità al consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, secondo cui dall'esecuzione della sentenza di primo grado non si può desumere l'acquiescenza alla sentenza stessa, dal momento che l'esecuzione della pronuncia, in assenza di misure cautelari del giudice d'appello, è un dovere dell'amministrazione soccombente, salvo il caso in cui l'amministrazione abbia dichiarato espressamente di accettare la decisione o che comunque tale accettazione sia evincibile dal complessivo comportamento tenuto; in questo senso, ex multis, cfr. Cons. Stato, Sez. II, 20 novembre 2023, n. 9909; Cons. Stato, Sez. II, 2 ottobre 2023, n. 8614; Cons. Stato, Sez. V, 1 dicembre 2022, n. 10565. L'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità dell'appello consente di prescindere dall'esame dell'ulteriore eccezione, sollevata dal Comune, concernente la tardività del deposito della delibera n. 68 del 27 dicembre 2023, fermo restando comunque che il contenuto della delibera non è stato contestato dal Comune. 11. Passando all'esame dei motivi di gravame, il Collegio rileva che la prima censura, concernente l'inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio per decorso del termine annuale previsto dall'art. 117 c.p.a., è infondato poiché occorre avere riguardo non già, come sostenuto dal Comune appellante, al procedimento avviato con l'istanza presentata in data 28 dicembre 2015 prot. n. 19701, bensì al diverso procedimento di cui all'istanza del 29 dicembre 2022, concernente la variante urbanistica che, come già affermato dal T.a.r., di regola non fa sorgere alcun obbligo di provvedere in capo al Comune. Tuttavia, nel caso di specie, sussistono una pluralità di elementi che impongono all'amministrazione, per fondamentali esigenze di tutela dell'affidamento del privato, di riscontrare espressamente la predetta istanza. In primo luogo, assume rilievo la circostanza che, nella prospettiva della signora Sa. si trattasse di un adempimento da considerare non già in sé e per sé, bensì da inserire nel contesto della prosecuzione dell'iter procedimentale per la realizzazione del progetto strategico turistico dalla medesima proposto. In secondo luogo, assume rilievo anche la circostanza che la signora Sa. si sia trovata di fronte a una situazione del tutto peculiare connotata da una disciplina regionale senza dubbio di per sé caratterizzata da profili di una certa complessità e ulteriormente complicata dall'evidente contrapposizione venutasi a creare tra le amministrazioni coinvolte nel procedimento con riferimento ai successivi passaggi necessari per la prosecuzione dell'iter, come chiaramente si desume dai documenti versati in atti e, in particolare, dalla già menzionata nota del 4 novembre 2022 del Sindaco di (omissis) nonché dalla nota dell'Ente Parco dei Colli Euganei del 14 dicembre 2021 che aveva fatto presente la necessità della preventiva adozione della variante urbanistica da parte del Consiglio Comunale. Oltre a ciò, come già osservato dal T.a.r., non può essere ritenuta priva di rilevanza neppure la circostanza che il Comune medesimo aveva assunto un ruolo non secondario nell'ambito dell'iter per l'approvazione dell'accordo di programma, come dimostrato dal fatto che aveva dapprima promosso un incontro con le associazioni di categoria per la valutazione del progetto e aveva poi trasmesso alla Regione, in data 1 giugno 2016, l'istanza di attivazione del progetto stesso, chiedendo la prosecuzione dell'iter. Inoltre, già con la D.G.R. n. 1770 del 2015, la Regione aveva deliberato "di confermare che il progetto per la realizzazione di un'area adibita a servizio dell'anello ciclo - turistico dei Colli Euganei, con completamento della pista ciclabile lungo la SP n. 89 e via (omissis), e l'urbanizzazione e realizzazione di una nuova zona residenziale denominata "Al frutteto" in Comune di (omissis) (PD), riveste le caratteristiche di progetto strategico". Conseguentemente, il primo motivo di appello è infondato, non potendosi condividere la prospettazione di parte appellante né con riferimento all'eccezione di tardività del ricorso introduttivo, né avuto riguardo all'assenza di un obbligo di provvedere in capo al Comune, che, al contrario, è desumibile dalle caratteristiche del tutto peculiari del procedimento e dalla necessità di tutelare l'affidamento del privato a fronte di divergenti indicazioni delle amministrazioni coinvolte. 12. Anche il secondo motivo di appello, con cui il Comune ha sostenuto che il T.a.r. dovesse rilevare l'inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, avendo l'amministrazione già risposto con la nota del 4 novembre 2022, è infondato. Sul punto è dirimente la circostanza che l'anzidetta nota risulta essere meramente interlocutoria come è agevole desumere dalla precisazione con cui il Sindaco di (omissis) comunica letteralmente quanto segue: "sperando di aver contribuito ad un approfondimento dello stato dell'arte sul Progetto Strategico Turistico". Si tratta, infatti, di un contenuto di carattere non già provvedimentale, bensì solo interlocutorio, che per l'appunto offre un mero contributo di approfondimento con l'essenziale finalità di pervenire alla corretta interpretazione delle disposizioni, in conformità con il dovere di leale collaborazione. 13. Con riferimento, infine, al terzo motivo di gravame per il cui tramite il Comune sostiene che non sussista alcun suo obbligo di adottare la variante urbanistica in considerazione di quanto previsto dall'art. 26, comma 2-ter, della l.r. Veneto n. 11 del 2004, si deve rilevare come tale osservazione sia sostanzialmente inconferente rispetto alla ratio decidendi della sentenza del T.a.r., la quale, per le ragioni già illustrate, ha correttamente affermato la sussistenza dell'obbligo di provvedere in capo al Comune, precisando espressamente che l'amministrazione comunale ben avrebbe potuto respingere l'istanza (eventualmente anche alla luce delle ragioni indicate nell'ambito del terzo motivo di gravame). 14. Dalle considerazioni che precedono discende, dunque, il rigetto dell'appello. 15. Le spese processuali del presente grado sono integralmente compensate in ragione della complessità e della peculiarità della fattispecie. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Paolo Marotta - Consigliere Eugenio Tagliasacchi - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9178 del 2023, proposto da Ma. Or. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ba., Si. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Condominio Vi. Bo., rappresentato e difeso dagli avvocati Ri. Mo., An. In., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ro. De Mu. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Gi. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 703/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis), del Condominio Vi. Bo. e di Ro. De Mu. e altri come sopra individuati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini e uditi per le parti gli avvocati Ma. Al.; Ma. Si.; Ga. Gi.; In. An.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza n. 77 in data 1 giugno 2022, assunta dal Segretario del Comune di (omissis), avente ad oggetto la sospensione dei lavori di ricostruzione di un muro di sostegno di area retrostante comprendente la linea ferroviaria (omissis) - (omissis) nonché un edificio residenziale. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze. I ricorrenti sono proprietari di un compendio immobiliare nel Comune di (omissis), frazione (omissis), costituito da un antico edificio residenziale ("villa del Ve.") e un'area pertinenziale che si estende fino al litorale. Con provvedimento del 27 novembre 2019, il Comandante della Capitaneria di porto di Imperia autorizzava uno dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 55 cod. nav. e fatto salvo il necessario titolo edilizio, ad effettuare i lavori di ricostruzione di un muro di protezione dal mare; secondo le risultanze catastali, il manufatto da erigere rientrava nel perimetro della proprietà privata. Previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, gli interessati presentavano al Comune di (omissis), in data 18 febbraio 2020, una s.c.i.a. per la ricostruzione del muro in cemento armato, qualificando l'intervento come manutenzione straordinaria. Con nota del 11 maggio 2022, considerato che i lavori non erano stati ancora realizzati e che lo stato dei luoghi poteva aver subito mutamenti nel periodo trascorso dal rilascio dell'autorizzazione, il Comandante della Capitaneria di porto sospendeva l'efficacia del titolo medesimo, diffidando gli interessati a non realizzare l'intervento. Con successiva nota del 16 maggio 2022, la stessa Autorità comunicava che, alla luce delle risultanze emerse in apposita riunione cui avevano partecipato i rappresentanti del Provveditorato alle opere pubbliche e dell'Agenzia del demanio, la diffida era stata revocata. I lavori sono stati avviati nello stesso mese di maggio del 2022. Tuttavia, essendo emersi elementi di incertezza in ordine alla titolarità dell'area di intervento (che, secondo alcuni esposti pervenuti all'Ente locale, sarebbe appartenuta al demanio marittimo), il Comune di (omissis) disponeva l'immediata sospensione dei lavori con ordinanza del 1 giugno 2022. In pari data, il Comune presentava alla Capitaneria di porto un'istanza urgente per la rideterminazione della dividente demaniale ex art. 32 cod. nav. Il Comandante della Capitaneria di porto riscontrava l'istanza con nota del 14 giugno 2022, significando che la questione inerente alla persistente attualità dell'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. rilasciata ai ricorrenti era già stata affrontata e positivamente definita nella menzionata riunione cui il Comune non aveva ritenuto di partecipare. A questo punto, preso atto che i solleciti volti all'esercizio del potere di autotutela erano rimasti privi di riscontro, gli interessati hanno impugnato l'ordine di sospensione dei lavori con ricorso notificato e depositato in data 8 luglio 2022. In via preliminare il Tar ha fatto riferimento all'affermazione di parte ricorrente secondo cui, essendo decorso il termine di 45 giorni stabilito dall'art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, l'impugnata ordinanza di sospensione dei lavori sarebbe divenuta inefficace nel corso del giudizio e, in conseguenza, dovrebbe essere dichiarata l'improcedibilità del ricorso. È evidente che, in questa prospettiva, l'invocata declaratoria di improcedibilità risulterebbe sostanzialmente satisfattiva della pretesa azionata in giudizio, poiché implica l'accertamento della sopravvenuta inefficacia del provvedimento che impedisce la ripresa dei lavori avviati dai ricorrenti. Il Tar ha condiviso, a tale riguardo, la stigmatizzazione operata dai primi intervenienti, non essendo plausibile che il ricorso, cui accedeva la domanda di tutela cautelare anche monocratica, fosse stato proposto avverso un provvedimento la cui efficacia, in tesi, sarebbe venuta meno appena otto giorni dopo: l'atto introduttivo del presente giudizio, infatti, è stato notificato e depositato in data 8 luglio 2022, laddove il preteso termine di efficacia del provvedimento impugnato sarebbe scaduto il successivo 16 luglio. In ogni caso, anche volendo ammettere che i pochi giorni residui di "paralisi del cantiere" fossero forieri di gravi pregiudizi per i ricorrenti, la tardiva segnalazione di una circostanza potenzialmente idonea a consentire la sollecita definizione del giudizio già in sede cautelare configura un abuso dello strumento processuale. Il Tar ha poi evidenziato l'infondatezza della tesi inerente alla sopravvenuta inefficacia dell'impugnata ordinanza. Nel caso in esame, infatti, l'Amministrazione ha disposto la sospensione dei lavori "fino al provvedimento di delimitazione ex articolo 32 cod. nav. richiesto, in via di urgenza, con nota prot. n. 23171 del 1 giugno 2022". La scadenza dell'efficacia dell'atto dipendeva, quindi, da un evento futuro e incerto nel quando, ma non nell'an, poiché il Comune di (omissis) non aveva ragioni per dubitare, anche in un'ottica di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni, che la propria istanza di rideterminazione della dividente demaniale avrebbe dato impulso ad un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento espresso. Non risulta, d'altronde, che l'istanza predetta sia stata formalmente rigettata, atteso che la nota del 14 giugno 2022 della Capitaneria di porto si pronunciava in merito alla diversa questione concernente l'invarianza dei presupposti sottesi all'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. già rilasciata ai ricorrenti. Alla luce di tali precisazioni, può farsi questione della legittimità di un termine diverso da quello previsto dalla fonte primaria, ma non dubitare della sua esistenza e, dunque, della perdurante efficacia del provvedimento impugnato, con conseguente insussistenza delle condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso. Il Tar ha fatto riferimento all'indagine relativa all'effettivo stato dei luoghi interessati dall'attività edificatoria, in funzione dell'accertamento incidentale della demanialità dell'area di intervento. Trattasi di accertamento sicuramente non eccedente l'ambito della competenza del giudice amministrativo, poiché l'ipotizzato carattere demaniale del bene costituisce presupposto del provvedimento impugnato. Il Tar ha ricordato che ai sensi dell'art. 822, primo comma, cod. civ., il lido del mare e la spiaggia "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico". I beni che assumono i connotati naturali di "lido del mare" o di "spiaggia" sono acquisiti al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della pubblica amministrazione. Per univoco orientamento giurisprudenziale, il lido del mare è la porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, mentre la spiaggia comprende i tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26877). Rientra nel demanio marittimo necessario anche l'arenile, vale a dire quel tratto di terraferma relitto dal naturale ritirarsi delle acque che resti idoneo ai pubblici usi del mare (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2020, n. 22567). Il verificatore pur non avendo risposto espressamente al quesito che chiedeva di accertare se il muro da erigere insista, in tutto o in parte, sul lido del mare o sulla spiaggia, ha fornito informazioni che consentono di ravvisare gli elementi costitutivi della demanialità con riguardo al terreno interessato dall'intervento edilizio, rimanendo irrilevante la sua iscrizione in catasto come proprietà privata. Riferisce innanzitutto il verificatore che il muro dovrebbe sorgere sull'appezzamento di terreno identificato a catasto al foglio (omissis), mappali (omissis), "posto fronte mare al di sotto della linea ferroviaria" (pag. 6). Le fotografie interfogliate nella relazione rivelano che il terreno in questione è privo di scogli e coperto da ciottoli fino al terrapieno posto a monte; si nota "la presenza sulla linea di battigia di blocchi di cemento e numerosi tondini di ferro installati lungo una linea che rappresenterebbe il tracciato dove far sorgere il muro" (pag. 8). Tale tratto di litorale "è caratterizzato da fenomeni di mareggiate particolarmente intense e saltuarie" (pag. 15), come dimostrato anche dall'erosione del terrapieno predetto cagionata dal "frangersi del moto ondoso durante le mareggiate" (pag. 28). Infine, per quanto concerne l'esatta ubicazione del muro, il verificatore precisa che esso si collocherebbe a circa 11 metri dalla linea di battigia nella parte più distante e ad un paio di metri in quella più prossima al mare (pag. 28). Tali elementi dimostrano che la porzione di riva sulla quale dovrebbe sorgere il muro, restando coperta nella sua interezza da mareggiate non eccezionali, non consente altro uso che non sia quello marittimo e, in conseguenza, ha qualità intrinseca di "lido del mare" o di "spiaggia", comunque riconducibile alle categorie indicate dall'art. 822, primo comma, cod. civ. Anzi, considerando che le operazioni peritali sono state effettuate in condizioni di mare calmo, vento assente e bassa marea (pag. 28), è verosimile che la parte di muro più vicina al mare sorga direttamente sulla battigia, ossia sulla fascia costiera interessata dal movimento ordinario di flusso e riflusso delle onde, come dimostra chiaramente anche la fotografia inserita alla pag. 8 della relazione peritale. La sicura qualificazione dell'area come bene appartenente al demanio marittimo necessario rende irrilevanti le ulteriori questioni afferenti la sua potenziale attitudine a realizzare i pubblici usi del mare. Discende da tali considerazioni la diagnosi di fondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso espressamente sollevata dai primi intervenienti (ma insita anche nelle argomentazioni difensive delle altre parti resistenti). In assenza di concessione, infatti, i ricorrenti non avevano alcun titolo di legittimazione per realizzare l'opera su un bene del demanio marittimo, sicché la s.c.i.a. edilizia, di per sé inidonea ad esplicare effetti sul piano del governo dei diritti demaniali, deve considerarsi tamquam non esset. Ne consegue che, non disponendo del bene della vita, i ricorrenti non possono vantare un interesse astrattamente meritevole di tutela o, più precisamente, un interesse legittimo oppositivo nei confronti del provvedimento adottato dal Comune di (omissis) che, inibendo la prosecuzione dei lavori (a prescindere dalla natura del potere concretamente esercitato), non determina alcun effetto restrittivo della sfera giuridica dei soggetti privi dello ius aedificandi. 2. Si sono costituiti in giudizio per resistere all'appello il Comune di (omissis), Ro. De Mu. ed altri e il Condominio "Vi. Bo.". 3. Parte appellante fa presente che nel corso del giudizio di primo grado i ricorrenti odierni appellanti hanno chiesto che il ricorso venisse dichiarato improcedibile per sopravvenuta inefficacia dell'ordine di sospensione lavori, essendo decorso il termine di 45 giorni stabilito dall'art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001. Contesta la tesi del Tar secondo cui, stante la perdurante efficacia del provvedimento impugnato di sospensione lavori, difetterebbero le condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso. Ritiene che: - la dichiarazione di improcedibilità del ricorso avverso l'ordine di sospensione non sia in alcun modo satisfattiva delle ragioni dei ricorrenti in quanto se è vero che ciò avrebbe consentito di riprendere i lavori è altrettanto vero che gli stessi sarebbero rimasti pur sempre esposti alla vigilanza del Comune e alla emissione di atti repressivi di eventuali illeciti; - la proposizione del ricorso in questione non sarebbe abuso del processo, ma invece normale esercizio del diritto di difesa al fine di ottenere l'annullamento nel merito dell'ordinanza di sospensione lavori o quantomeno la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta inefficacia dell'atto per decorso del termine stabilito dalla legge anche in funzione della proponenda azione risarcitoria dei danni causati dall'arbitraria sospensione lavori. Ritiene che il giudice di prime cure abbia ignorato che la stessa ordinanza ha esplicitamente riconosciuto la propria natura cautelare e ha richiamato le disposizioni del D.P.R. n. 380/2001. Sulla base di ciò non potrebbero sussistere dubbi sull'applicabilità nel caso di specie dell'art. 27 del D.P.R. n. 380/2001 (il cui contenuto è trasfuso anche nella Legge Regionale sull'edilizia n. 16 del 2008 all'art. 40) ed in particolare del termine di efficacia di 45 giorni per la sospensione lavori. Il provvedimento del Comune di (omissis) non sarebbe semplicemente illegittimo per violazione delle norme che stabiliscono il termine di efficacia dell'ordinanza di sospensione, ma diverrebbe addirittura nullo per difetto assoluto di attribuzione. Parte appellante ribadisce pertanto l'improcedibilità del ricorso originario per sopravvenuta inefficacia del provvedimento di sospensione lavori atteso che nel termine perentorio di 45 giorni - ma neppure successivamente - non è stato adottato alcun provvedimento definitivo comunale. 3 - bis. L'appello è infondato e pertanto il collegio può prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari. Le censure sono infondate. Infatti, l'Amministrazione ha disposto la sospensione dei lavori "fino al provvedimento di delimitazione ex articolo 32 cod. nav. richiesto, in via di urgenza, con nota prot. n. 23171 del 1 giugno 2022". La scadenza dell'efficacia dell'atto dipendeva, quindi, da un evento futuro e incerto nel quando, ma non nell'an, poiché il Comune di (omissis) non aveva ragioni per dubitare, anche in un'ottica di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni, che la propria istanza di rideterminazione della dividente demaniale avrebbe dato impulso ad un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento espresso. Non risulta, d'altronde, che l'istanza predetta sia stata formalmente rigettata, atteso che la nota del 14 giugno 2022 della Capitaneria di porto si pronunciava in merito alla diversa questione concernente l'invarianza dei presupposti sottesi all'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. già rilasciata ai ricorrenti. Alla luce di tali precisazioni, come affermato dal Tar, può farsi questione della legittimità di un termine diverso (ossia fino alla data di adozione del provvedimento di delimitazione) da quello previsto dalla fonte primaria, ma non dubitare della sua esistenza e, dunque, della perdurante efficacia del provvedimento impugnato, con conseguente insussistenza delle condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso o la cessata materia del contendere. 4. Parte appellante lamenta poi l'illegittimità dell'accertamento incidentale sulla proprietà contenuto nella sentenza appellata. Infatti la natura stessa dell'ordinanza di sospensione lavori non presuppone alcun accertamento definitivo sulla titolarità dell'area oggetto di intervento edilizio impedendo che si possa instaurare un rapporto di pregiudizialità tra esame del ricorso giurisdizionale attinente la legittimità del provvedimento e l'accertamento in via incidentale del diritto di proprietà sul terreno in questione. L'impossibilità di un accertamento incidentale sarebbe reso ancor più evidente dal fatto che parte ricorrente all'udienza del 24 maggio 2023 ha concentrato la subordinata azione di annullamento insistendo solo sulla violazione del termine finale della sospensione lavori legato nel suo termine finale ad un evento incertus an et quando. 4 - bis. Le censure sono infondate. Il Tar ha fatto riferimento all'indagine relativa all'effettivo stato dei luoghi interessati dall'attività edificatoria, in funzione dell'accertamento incidentale della demanialità dell'area di intervento. Trattasi di accertamento sicuramente non eccedente l'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, poiché l'ipotizzato carattere demaniale del bene costituisce presupposto del provvedimento impugnato e non questione principale. Infatti sul punto l'ordinanza impugnata in primo grado fa specifico riferimento alla descrizione dei luoghi e alla conseguente possibilità che le opere sono state previste ed eseguite sul demanio marittimo. Nel caso di specie oggetto principale della contestazione è proprio l'ordine di sospensione dei lavori e la connessa sopra richiamata motivazione. L'accertamento della proprietà demaniale costituisce questione incidentale scrutinabile dal giudice amministrativo ai sensi del primo comma dell'art. 8 del cod. del proc. amm. secondo cui il giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale (così Cons. di Stato, Sez. VII, 23 settembre 2022, n. 8225). 5. Parte appellante ritiene che la sentenza appellata sia illegittima perché il giudice di prime cure si sarebbe discostato dalle determinazioni in materia di confine demaniale delle Amministrazioni competenti. Fa riferimento alla circostanza che: - la Capitaneria di Porto, dopo aver esaminato la questione con nota del 16 maggio 2022 prot. n. 9424 aveva esplicitamente consentito la prosecuzione dei lavori; - l'Agenzia del Demanio ha avuto modo di chiarire che il muro in corso di realizzazione, una volta completato, avrebbe rappresentato "il confine demaniale aggiornato". Il giudice di prime cure, pur in presenza di queste valutazioni delle competenti Amministrazioni sul profilo della demanialità, se ne sarebbe inopinatamente discostato e avrebbe provveduto in autonomia ad individuare di fatto un nuovo confine tra proprietà privata e demanio marittimo, quando la legge assegna tale compito all'Amministrazione nella figura del Capitaneria di Porto competente o al giudice ordinario. Secondo parte appellante la controversia in esame riguarderebbe un'ordinanza di sospensione lavori che non comporta alcun accertamento sulla regolarità o meno dell'opera edilizia con conseguente impossibilità da parte del giudice di prime cure di esaminare la legittimità ovvero l'esistenza della SCIA edilizia che ha assentito il muro di protezione dagli eventi meteo-marini. 5 - bis. Le censure sono infondate. La sentenza appellata è congruamente motivata sul punto anche con riferimento agli esiti della verificazione espletata nel giudizio di primo grado. Infatti il Tar ha premesso che ai sensi dell'art. 822, primo comma, cod. civ., il lido del mare e la spiaggia "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico". I beni che assumono i connotati naturali di "lido del mare" o di "spiaggia" sono acquisiti al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della pubblica amministrazione. Per univoco orientamento giurisprudenziale, il lido del mare è la porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, mentre la spiaggia comprende i tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26877). Rientra nel demanio marittimo necessario anche l'arenile, vale a dire quel tratto di terraferma relitto dal naturale ritirarsi delle acque che resti idoneo ai pubblici usi del mare (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2020, n. 22567). Il verificatore pur non avendo risposto espressamente al quesito che chiedeva di accertare se il muro da erigere insista, in tutto o in parte, sul lido del mare o sulla spiaggia, ha fornito informazioni che consentono di ravvisare gli elementi costitutivi della demanialità con riguardo al terreno interessato dall'intervento edilizio, rimanendo irrilevante la sua iscrizione in catasto come proprietà privata. Riferisce innanzitutto il verificatore che il muro dovrebbe sorgere sull'appezzamento di terreno identificato a catasto al foglio (omissis), mappali (omissis), "posto fronte mare al di sotto della linea ferroviaria" (pag. 6). Le fotografie interfogliate nella relazione rivelano che il terreno in questione è privo di scogli e coperto da ciottoli fino al terrapieno posto a monte; si nota "la presenza sulla linea di battigia di blocchi di cemento e numerosi tondini di ferro installati lungo una linea che rappresenterebbe il tracciato dove far sorgere il muro" (pag. 8). Tale tratto di litorale "è caratterizzato da fenomeni di mareggiate particolarmente intense e saltuarie" (pag. 15), come dimostrato anche dall'erosione del terrapieno predetto cagionata dal "frangersi del moto ondoso durante le mareggiate" (pag. 28). Infine, per quanto concerne l'esatta ubicazione del muro, il verificatore precisa che esso si collocherebbe a circa 11 metri dalla linea di battigia nella parte più distante e ad un paio di metri in quella più prossima al mare (pag. 28). Tali elementi dimostrano che la porzione di riva sulla quale dovrebbe sorgere il muro, restando coperta nella sua interezza da mareggiate non eccezionali, non consente altro uso che non sia quello marittimo e, in conseguenza, ha qualità intrinseca di "lido del mare" o di "spiaggia", comunque riconducibile alle categorie indicate dall'art. 822, primo comma, cod. civ. Anzi, considerando che le operazioni peritali sono state effettuate in condizioni di mare calmo, vento assente e bassa marea (pag. 28), è verosimile che la parte di muro più vicina al mare sorga direttamente sulla battigia, ossia sulla fascia costiera interessata dal movimento ordinario di flusso e riflusso delle onde, come dimostra chiaramente anche la fotografia inserita alla pag. 8 della relazione peritale. La sicura qualificazione dell'area come bene appartenente al demanio marittimo necessario rende irrilevanti le ulteriori questioni afferenti la sua potenziale attitudine a realizzare i pubblici usi del mare. Discende da tali considerazioni la diagnosi di fondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso espressamente sollevata dai primi intervenienti (ma insita anche nelle argomentazioni difensive delle altre parti resistenti). In assenza di concessione, infatti, i ricorrenti non avevano alcun titolo di legittimazione per realizzare l'opera su un bene del demanio marittimo, sicché la s.c.i.a. edilizia, di per sé inidonea ad esplicare effetti sul piano del governo dei diritti demaniali, deve considerarsi tamquam non esset. Ne consegue che, non disponendo del bene della vita, i ricorrenti non possono vantare un interesse astrattamente meritevole di tutela o, più precisamente, un interesse legittimo oppositivo nei confronti del provvedimento adottato dal Comune di (omissis) che, inibendo la prosecuzione dei lavori (a prescindere dalla natura del potere concretamente esercitato), non determina alcun effetto restrittivo della sfera giuridica dei soggetti privi dello ius aedificandi. Contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, l'accertato difetto di legittimazione ad eseguire le opere comporta necessariamente la non regolarità delle opere edilizie di cui alla Scia. In conclusione l'appello deve essere respinto. La condanna alle spese dell'appello segue la soccombenza con liquidazione nella misura di: - Euro 2.000 a favore del Comune di (omissis); - Euro 2.000 per i seguenti intervenienti costituitisi in appello con unico atto: Ro. De Mu.ed altri; - Euro 2.000 a favore del Condominio "Vi. Bo.". P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante al pagamento delle spese dell'appello nella misura di: Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Comune di (omissis); Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore dei seguenti intervenienti costituitisi in appello con unico atto: Ro. De Mu. ed altri; Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Condominio "Vi. Bo.". Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1692 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da Gi. Sp. ed a, rappresentati e difesi dall'avv.to Um. Il., con domicilio digitale corrispondente alla PEC indicata negli scritti difensivi, e domicilio fisico eletto presso lo studio dell'avv.to Ni. Bu. in Palermo, Via (...); contro Presidente Regione Siciliana, Regione Sicilia - Assessorato Agricoltura, Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea - Dipartimento Sviluppo Rurale e Territoriale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distr.le dello Stato, con domicilio digitale corrispondente alla PEC come da registri di giustizia, e domicilio fisico ex lege presso la sua sede in Palermo, Via (...); nei confronti Ag. Societa Agricola Semplice, Ma. Xi. Societa Agricola Semplice, Et. Ir. Ma., Ma. Gr. La Ba., Ca. Ro. Me., non costituitisi in giudizio; per l'annullamento Ricorso introduttivo - DEL D.D.G. DELL'ASSESSORATO AGRICOLTURA, SVILUPPO RURALE E PESCA MEDITERRANEA, DIPARTIMENTO AGRICOLTURA DEL 30/4/2019 N. 766, DI APPROVAZIONE DEGLI ELENCHI E DEI PUNTEGGI DEFINITIVI DELLE ISTANZE DI SOSTEGNO AMMISSIBILI E NON, SUL PSR SICILIA 2014-20, SOTTO-MISURA 6.1 "AIUTI ALL'AVVIAMENTO DI IMPRESE PER GIOVANI AGRICOLTORI", E IN PARTICOLARE DELL'ART. 5; - OVE OCCORRA, DEL D.D.G. 10/8/2018 N. 1916 E 20/8/2018 N. 1920, DI APPROVAZIONE DEGLI ELENCHI PROVVISORI E DEGLI ELENCHI PROVVISORI RETTIFICATI; - DEL D.D.G. 1/4/2019 N. 489; - OVE OCCORRA, DEL D.D.G. 30/5/2019 N. 1098 E DEL D.D.G. 31/5/2019 N. 1111; - DI OGNI ALTRO ATTO ANNESSO, CONNESSO, PRESUPPOSTO E/O CONSEQUENZIALE, COMPRESI IL BANDO DELLA SOTTO-MISURA 6.1 E DI QUELLE COLLEGATE, NONCHÉ LE DISPOSIZIONI SPECIFICHE ATTUATIVE. Motivi aggiunti depositati il 9/11/2019 - DEL. D.D.G. 3/10/2019 N. 2473, RECANTE LA VERSIONE AGGIORNATA DEGLI ELENCHI DEFINITIVI DELLE ISTANZE AMMISSIBILI E NON, CONFERMANDO LA SUDDIVISIONE DELLE DOTAZIONI FINANZIARIE; - DELL'AVVISO PUBBLICO 3/10/2019, DI INDIVIDUAZIONE DELLE ISTANZE AMMISSIBILI; - DELLA NOTA DIRIGENZIALE 30/9/2019, DI CORREZIONE DI ALCUNI ERRORI NEL POSIZIONAMENTO DI ALCUNI BENEFICIARI E ALTRE RETTIFICHE; - DEL D.D.G. 31/7/2019 N. 1606, DI APPROVAZIONE DEGLI ELENCHI DEFINITIVI DELLA SOTTO-MSURA 6.1, CON CONFERMA DELLA RIPARTIZIONE TRA DOTAZIONI; - DEL D.D.G. 9/8/2019 N. 1739, DI CONFERMA DELLA SUDDIVISIONE PER LA SOTTO-MISURA 6.1; - DELL'AVVISO PUBBLICO 9/8/2019; - DEL VERBALE DEL GRUPPO DI RIESAME 30/7/2019 PER LA SOTTO-MISURA 6.1; - OVE OCCORRA DELL'AVVISO PUBBLICO 4/9/2019 PUBBLICATO IL GIORNO SUCCESSIVO; - DELLA NOTA DIRIGENZIALE 25/9/2019; - DELL'AVVISO PUBBLICO 27/9/2019 PUBBLICATO IN PARI DATA; - DEGLI ELENCHI PROVINCIALI NOMINATIVI DEI BENEFICIARI; - DI OGNI ALTRO ATTO ANNESSO, CONNESSO, PRESUPPOSTO E/O CONSEQUENZIALE. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Presidente Regione Siciliana e di Regione Sicilia - Assessorato Agricoltura, Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea - Dip.To Sviluppo Rurale e Territoriale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 17 maggio 2024 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO A. Espongono i ricorrenti che il 29/5/2017 l'Assessorato intimato pubblicava un bando relativo alla sotto-misura 6.1 "Aiuti all'avviamento di imprese per i giovani agricoltori", attraverso un premio forfettario di insediamento per promuovere il ricambio generazionale nel settore primario siciliano. B. L'art. 3 del bando individuava la dotazione finanziaria complessiva in 235.000.000 Euro, di cui 40.000.000 Euro per la sotto-misura 6.1 e gli ulteriori importi ripartiti tra 4.1 "Sostegno a investimenti nelle aziende agricole" (160.000.000 Euro), 6.4.a "Investimenti per creazione e sviluppo di attività extra-agricole..." (25.000.000 Euro) e 8.1 "Sostegno alla forestazione e/o rimboschimento" (10.000.000 Euro). Il termine ultimo di presentazione delle istanze era fissato nel 18/10/2017 (art. 6 della lex specialis) poi prorogato al 13/1/2018 per quelle cartacee. C. Rappresentano gli esponenti che, in data 15/9/2017, il Dirigente Generale divulgava un avviso nel quale, dopo aver richiamato le dotazioni del "Pacchetto giovani" e il complessivo stanziamento - nonché la quota per la sotto-misura 6.1 - puntualizzava testualmente che "... la dotazione finanziaria complessiva, assegnata alle sottomisure collegate (4.1, 6.4.a, 8.1), pari a Euro 195.000.000,00, sarà utilizzata indistintamente per il finanziamento delle pratiche relative a dette sottomisure sino al raggiungimento dei 1.000 insediamenti previsti dal bando. Le dotazioni finanziarie riportate nel bando per singola sottomisura e operazioni, come già precisato nello stesso bando, sono da considerare, pertanto, come previsionali". D. Secondo la prospettazione di parte ricorrente detta rettifica, nel rideterminare un'unica e indistinta provvista finanziaria, sarebbe coerente con la finalità del bando, che è quella di favorire l'insediamento di giovani agricoltori e il ricambio generazionale (fabbisogno F05, Focus Area 2b), e di incidere sul tema trasversale dell'innovazione. Ciò che conta sarebbe l'ingresso e l'insediamento dei giovani nel settore e nelle zone rurali, a prescindere dalla specifica attività posta in essere. E. Sostengono i ricorrenti che l'avviso è stato divulgato in pendenza del termine di inoltro delle domande, così da condizionare l'elaborazione dei progetti sulla base delle nuove regole del gioco: in particolare, essi avrebbero optato per la sotto-misura 6.4.a malgrado fosse meno conveniente sotto il profilo dei vantaggi economici (75% di contributo a fondo perduto con un massimo di 200.000 Euro, diversamente dalla 4.1 con un tetto del 70% con un massimo di 450.000 Euro), per il punteggio più elevato conseguibile agevolmente in base ai criteri introdotti. La riprova si rinverrebbe nelle numerose domande presentate dagli aspiranti per la 6.4.a accanto alla 6.1, finalizzate ad accettare un ammontare inferiore ma con una migliore collocazione in graduatoria e maggiori chance di ottenere il finanziamento. F. I successivi D.D.G. di approvazione degli elenchi provvisori delle istanze ammissibili (n. 1916 del 10/8/2018, n. 1920 del 20/8/2018, n. 489 dell'1/4/2019 (quest'ultimo di implementazione di 25.000.000 Euro per la voce 6.1), non si diffondevano sulla suddivisione della dotazione finanziaria, per cui gli istanti confidavano nella clausola riportata nell'avviso 15/9/2017 (ripartizione unitaria). Il D.D.G. 30/4/2019 n. 766 pubblicato il 2/5 successivo disponeva viceversa all'art. 5 che "al finanziamento delle domande di aiuto ammissibili... si farà fronte con le risorse pubbliche in dotazione al bando, pari ad euro 65.000.000 per la Sottomisura 6.1 e con le risorse pubbliche per le sottomisure attivabili con il pacchetto giovani pari ad euro 160.000.000 per la Sottomisura 4.1., ad euro 25.000.000 per la Sottomisura 6.4.a e ad euro 10.000.000 per la Sottomisura 8.1". In tal modo è stata re-inserita (ad avviso degli esponenti in modo illegittimo) la clausola di ripartizione degli stanziamenti tra le diverse iniziative pur correlate. G. Lamentano i ricorrenti che, nella graduatoria unica, i progetti dei giovani che hanno presentato domanda per la sottomisura 6.4.a. si collocano tra i primi 1.000 in posizione utile per ottenere l'aiuto laddove, per converso, la suddivisione delle risorse operata col D.D.G. n. 766 preclude di ottenere il finanziamento vista la riduzione del plafond a soli 25.000.000 Euro con conseguente delimitazione a 136 della platea degli aventi diritto per progetti della sottomisura 6.4.a. Malgrado gli effetti del D.D.G. 31/5/2019 n. 1111 che ha sospeso i provvedimenti di approvazione degli elenchi definitivi in attesa delle decisioni sulle istanze di riesame, parte ricorrente impugna la D.D.G. n. 766/2019, deducendo in diritto la violazione del programma di sviluppo rurale della Regione Sicilia 2014-2020 approvato dalla Commissione Europea con decisione 8403/2015 e successiva decisione 20/12/2016 n. 8969, la violazione degli obiettivi del fabbisogno F05 e della Focus Area 2B, l'inosservanza dell'Avviso del 15/9/2017, l'eccesso di potere sotto plurimi profili (sviamento, deficit istruttorio, illogicità, contraddittorietà, lesione par condicio, correttezza, buona fede e affidamento, buon andamento e imparzialità, efficienza e trasparenza) dato che: - l'avviso 15/9/2017, a procedura concorsuale aperta, ha indicato con precisione che le somme complessivamente stanziate sarebbero state accorpate in un'unica dotazione per finanziare i progetti delle sotto-misure fino a raggiungere 1.000 insediamenti nella graduatoria unitaria; - gli interessati sono stati indotti a formulare istanza per la misura 6.4.a, pur meno appetibile economicamente ma con più facili riconoscimenti in termini di punteggio e maggiore probabilità di collocarsi in posizione utile nell'elenco finale; - è contrario alla par condicio modificare i criteri (ben definiti dall'Avviso 15/9/2017) in un momento successivo alla presentazione e valutazione delle domande, con penalizzazione di chi ha confidato nell'utilizzo indistinto delle risorse (lo stravolgimento postumo è contrario a buona fede); - la trasfusione in un unico collettore risponde alla logica ragione, già indicata in fatto, di favorire l'ingresso e l'insediamento di giovani in agricoltura e nelle zone rurali, a prescindere alla sotto-misura; - inoltre, la separazione postuma dei plafond e delle graduatorie pone il problema della dotazione alla quale concorre chi ha inoltrato domanda per più sotto-misure (che otterrà il contributo per una sola sotto-misura, mettendo a rischio l'intero programma d'investimento), mentre con la graduatoria e con l'ammontare unico i progetti sono plasticamente premiati in base al punteggio e al posto progressivo in elenco; - anche se fosse legittima la scelta postuma, l'Assessorato avrebbe dovuto prevedere diverse graduatorie e non una soltanto. G.1 Parte ricorrente chiede l'autorizzazione alla notifica mediante pubblici proclami. H. L'amministrazione intimata si è costituita in giudizio. I. Nel seguito si sono susseguiti atti amministrativi di verifica delle domande di riesame (cfr. verbale 30/7/2019), conferma e rettifica delle precedenti determinazioni. Con D.D.G. 3/10/2019 n. 2473, pubblicato in pari data, veniva approvata la versione aggiornata degli elenchi definitivi delle istanze ammissibili e non per la sotto-misura 6.1, con conferma della suddivisione delle dotazioni finanziarie già disposta con D.D.G. 766/2019 (gravato con l'atto introduttivo del giudizio). Con Avviso 3/10/2019 sono state individuate le domande finanziabili. I.1 Chiariscono i ricorrenti che, dopo le modifiche intervenute, potrebbero beneficiare degli assestamenti della graduatoria, ma prudenzialmente insorgono tutti quanti perché la situazione è fluida con altri ricorsi pendenti e i punteggi potrebbero essere ancora rivisti. L'accoglimento del presente gravame soddisferebbe tutti gli esponenti, o perché migliorerebbero la posizione o perché la "blinderebbero". L. Con motivi aggiunti depositati il 9/11/2019 parte ricorrente impugna gli atti in epigrafe, deducendo in diritto la stessa articolata doglianza dedotta nell'atto introduttivo. M. Nelle proprie difese, l'amministrazione sottolinea che la nota dirigenziale del 15/9/2017 (consistente in un avviso non protocollato) contiene una mera indicazione del Dirigente Generale pro tempore di una possibile ripartizione delle risorse finanziarie, che non si è mai concretizzata attraverso l'adozione di un successivo provvedimento amministrativo di annullamento o modifica di quanto previsto nel bando: le prescrizioni stabilite nella lex specialis vincolerebbero sia i concorrenti che la stessa amministrazione, la quale non conserva alcun margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione e applicazione. Osserva che l'uso indistinto delle risorse sarebbe in contrasto con le linee di priorità, le strategie di intervento, gli obiettivi specifici stabiliti nel Programma Sviluppo Rurale Sicilia 2014-2020 approvato dalla Commissione Europea (decisione 8403/2015, adottata con DGR 27/2/2018 n. 96 allegato D). La decisione sul ricorso straordinario del CGA avrebbe erroneamente attribuito all'avviso del 15/9/2017 la funzione di bando concorsuale, quando era privo di forma e requisiti, e soprattutto non era stato sottoposto all'approvazione del Comitato di Sorveglianza ex regolamento UE 1305/2013. Non sarebbe un caso che la somma di gran lunga maggiore sia stata stanziata per la misura 4.1 di sostegno a investimenti nelle aziende agricole, perché questo era l'obbiettivo più importante, concordato con la Commissione Europea e dalla stessa approvato. N. All'udienza straordinaria del 17/5/2024 il gravame introduttivo e i motivi aggiunti sono stati chiamati per la discussione e trattenuti in decisione. DIRITTO Con il gravame epigrafe, gli esponenti lamentano l'illegittimità degli atti della procedura comparativa concorsuale, nella parte in cui sono stati modificati i criteri definiti dall'Avviso 15/9/2017 in un momento successivo alla presentazione e valutazione delle domande, con indebita penalizzazione di chi ha confidato nell'utilizzo indistinto delle risorse. Il gravame introduttivo e i motivi aggiunti sono infondati e devono essere rigettati, per le ragioni di seguito precisate (potendosi prescindere dal profilo in rito della pienezza del contraddittorio). 1. La questione centrale che si pone investe la natura giuridica dell'Avviso del 15/9/2017, che "in base al noto principio del contrarius actus, il bando non poteva essere modificato con una mera comunicazione, cosicché legittimamente, nell'attribuzione dei benefici, l'Amministrazione regionale, come esplicitato negli avvisi del 4 e del 27 settembre 2019, ha tenuto conto della ripartizione della dotazione finanziaria complessiva di cui all'art. 3 del bando, la quale non era previsionale, ma vincolante". La predetta statuizione, che il Collegio ritiene condivisibile, è racchiusa nell'ordinanza della sez. I di questo T.A.R. - 4/12/2019 n. 1287 resa nel gravame r.g. 1690/2019, confermata in appello dal CGA (17/1/2020 n. 66). È stata altresì recepita nella recente sentenza della sez. V - 19/2/2024 n. 603. 2. Le suddette pronunce hanno evidenziato come, coerentemente con il bando, con avviso del 4/9/2019, l'Autorità di gestione del PSR Sicilia 2014/2020 ha chiarito che, al fine di beneficiare del premio previsto dalla sottomisura 6.1, era necessario che l'istanza rientrasse nella copertura finanziaria prevista dal bando e che almeno una delle sotto-misure collegate fosse oggetto di finanziamento; con avviso del 27/9/2019, l'Autorità medesima ha precisato che, sulla base delle risorse finanziarie disponibili per ciascuna sottomisura collegata a quella 6.1, erano indicativamente finanziabili tutti i progetti che prevedevano investimenti da realizzare solo con la sottomisura 8.1, mentre quelli collegati alla sottomisura 4.1 e all'operazione 6.4a erano finanziabili nei limiti della relativa disponibilità finanziaria. 3. Il Collegio conosce il parere reso su ricorso straordinario dal C.G.A. Sicilia 20/1/2023 n. 31. In base all'art. 5 del bando (e dell'Avviso del 15/9/2017) la graduatoria avrebbe dovuto essere unica e non era prevista la redazione di diverse graduatorie relative, ciascuna, ad una sottomisura (o ad una tipologia di progetto correlato ad una sottomisura). L'Avviso del 9/8/2019 avrebbe "modificato tale regola (della procedura selettiva); e ciò ha fatto stabilendo (innovativamente) che fra i progetti astrattamente finanziabili inclusi in graduatoria dal 154° posto in poi, sarebbero stati ammessi a finanziamento esclusivamente quelli correlati con le "sottomisure" 4/1 e 8/1". In tal modo l'amministrazione avrebbe ""scisso" la graduatoria, facendole perdere la omogeneità ed unitarietà prevista - in origine - dal bando" e, soprattutto, "inopinatamente (e illegittimamente) pregiudicato i concorrenti che, avendo fatto affidamento sulle regole del bando originario, avevano presentato progetti correlati con la sottomisura 6/4". 4. Il Collegio è, viceversa, dell'opinione che l'Assessorato non abbia violato i principi di par condicio e imparzialità, in quanto l'Avviso del 15/9/2017 non era in grado di modificare le regole di gara. 4.1 In proposito, quest'ultimo è privo di protocollo, non assume la forma rituale del decreto né indica le modalità di pubblicazione (il bando originario era apparso sul sito dell'Assessorato Regionale dell'Agricoltura dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea e del PSR Sicilia 2014/2020, e per estratto sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana). Inoltre, risulta emesso senza la preventiva acquisizione del parere obbligatorio del Comitato di Sorveglianza chiamato ad attestare la coerenza con il Programma di Sviluppo Rurale come previsto dai regolamenti UE 1305/2013 (artt. 49 e 74) e 1303/2013 (art. 47) e dallo stesso P.S.R. in atti (doc. 4 amm.ne, produzione dell'11/8/2019): a pagina 900 statuisce che "Il Comitato di sorveglianza (articoli 72 e 74 del Reg.(UE) n. 1305/2013) allo scopo di accertarsi delle prestazioni e dell'effettiva attuazione del Programma, oltre a svolgere le funzioni sopradescritte: - monitora la qualità di attuazione del Programma; - monitora il Programma mediante indicatori finanziari, di prodotti e di obiettivi; - è consultato ed emette un parere, entro quattro mesi dall'approvazione del programma, in merito ai criteri di selezione degli interventi finanziati, i quali sono riesaminati secondo le esigenze della programmazione; - esamina le attività e i prodotti relativi ai progressi nell'attuazione del piano di valutazione del programma; - esamina, in particolare, le azioni del Programma relative all'adempimento delle condizionalità ex ante nell'ambito delle responsabilità dell'Autorità di Gestione e riceve informazioni in merito alle azioni relative all'adempimento di altre condizionalità ex ante...". L'intervento del Comitato è fondamentale, dato che il finanziamento interferisce con la normativa che vieta in via tendenziale gli aiuti di Stato. In buona sostanza, traspare l'inosservanza del rituale iter previsto per l'adozione del bando originario. 4.2 La giurisprudenza ha evidenziato che la modifica della legge di gara contenuta nei "chiarimenti" adottati dall'Ente "non solo non è consentita, trattandosi di variazione della lex specialis con modalità difformi da quelle proprie della riformulazione del bando e del disciplinare (che richiederebbero l'adozione di omologhe forme pubblicitarie e la ri-apertura dei termini di partecipazione); ma può -e deve- essere disapplicata, in considerazione della natura non provvedimentale dei "chiarimenti" (che esclude l'onere di impugnazione e consente, per ciò, la disapplicazione degli stessi, senza violare il divieto generale di disapplicazione degli atti amministrativi)" (T.A.R. Puglia Bari, sez. I - 6/3/2024 n. 284). Infatti, i chiarimenti della stazione appaltante sono ammissibili solo se contribuiscono, con un'operazione di interpretazione del testo, a renderne chiaro e comprensibile il significato, ma non quando attribuiscano a una disposizione della lex specialis un significato ed una portata diversa o maggiore di quella che risulta dal legge di gara, cioè dal provvedimento che disciplina le regole di attuazione del principio di concorrenza: i chiarimenti infatti "non possono modificare gli atti di gara, pena l'illegittima disapplicazione della lex specialis (Cons. St., sez. III, 27 dicembre 2019 n. 8873). Ciò in quanto non è consentito nemmeno all'Amministrazione disapplicare il regolamento imperativo della procedura di affidamento da essa stessa predisposto, e al quale la stessa, e tutti i partecipanti, deve comunque sottostare (Ad. plen., 25 febbraio 2014 n. 9), pena la violazione delle regole di trasparenza e imparzialità che costituiscono il fondamento dei principi concorrenziali e dello stesso principio di buon andamento di cui all'art. 97 Cost." (Consiglio di Stato, sez. V - 26/10/2023 n. 9274; sez. V - 24/10/2023 n. 9210). 4.3 Posta la modifica sostanziale della lex specialis con la rettifica del 15/9/2017 (per cui le somme stanziate sarebbero state accorpate in un'unica dotazione per finanziare i progetti delle sotto-misure), può essere utilmente richiamato il principio del contrarius actus evocato nell'ordinanza cautelare del ricorso r.g. 1690/2019 (sia in primo che in secondo grado), ai sensi del quale il bando non poteva essere modificato con una mera comunicazione. 4.4 Da ultimo, l'amministrazione ha precisato di non avere formato diverse graduatorie ma una sola in ossequio al bando originario, finanziando secondo l'ordine fino all'esaurimento delle dotazioni previste per ciascuna sottomisura collegata (circa 1700 imprese per la sottomisura 4.1, avente maggiore capienza in quanto obiettivo strategico primario del P.S.R., e circa 300 imprese per la sottomisura 6.4a. 5. In conclusione, l'introdotto gravame, integrato da motivi aggiunti, non merita positivo apprezzamento. 6. Le spese di lite possono essere compensate, alla luce delle oscillazioni giurisprudenziali sul tema controverso. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Quinta definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, integrato da motivi aggiunti, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2024, tenutasi mediante collegamento da remoto in video-conferenza, con l'intervento dei magistrati: Stefano Tenca - Presidente, Estensore Roberto Valenti - Consigliere Silvana Bini - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9394 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Ma. Fu., Fl. De Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ministero della Difesa, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata Sezione Prima n. -OMISSIS- resa tra le parti; Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2024 il Cons. Raffaello Scarpato e uditi per le parti gli avvocati; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. -OMISSIS-, già titolare di porto d'armi n. -OMISSIS- rilasciato dalla Questura di Potenza e di una distinta licenza permanente per collezione di armi antiche, artistiche e rare, rilasciata dalla Questura di Potenza nell'anno 2001, è stata attinta da un decreto penale di condanna, in ragione della detenzione abusiva di 95 munizioni e dell'omessa denuncia del trasferimento di una pistola Beretta, legalmente detenuta in forza del suddetto porto d'armi, presso un diverso indirizzo di residenza. 2. Interposta opposizione avverso il suddetto decreto penale di condanna, il conseguente procedimento penale si è concluso con l'estinzione del reato contestato per avvenuta oblazione. 3. A seguito di tali accadimenti, la ricorrente è stata attinta, in via amministrativa, dal provvedimento di divieto di detenzione di armi, munizioni o materiali esplodenti, emesso dalla Prefettura di Potenza in data 1.2.2023 ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del R.D. n. 773/1931 (T.U.L.P.S.), non esplicitamente limitato alla pistola Beretta ed alle cartucce già oggetto della vicenda penale e, quindi, esteso a tutte le armi detenute, ivi comprese quelle facenti parte della collezione storica, con obbligo di cessione, ovvero di disattivazione, pena la successiva confisca e distruzione ai sensi dell'art. 6 comma 5 della L. n. 152/1975. 4. La ricorrente ha impugnato il divieto, in quanto illegittimo e carente dei presupposti, sia nella parte in cui è stato applicato alle armi comuni (pistola Beretta e munizioni), sia nella parte in cui l'Amministrazione ne ha esteso lo spettro applicativo anche alle armi storiche, facenti parte della Collezione autorizzata con il decreto questorile sopracitato. 5. Quanto al primo profilo, la ricorrente ha dedotto che il trasferimento della pistola Beretta dalla vecchia alla nuova residenza, risalente all'anno 2000, non era stato comunicato all'Amministrazione in buona fede, senza intenti fraudolenti; in relazione alla mancata denuncia delle cartucce, acquistate nel 1991, la ricorrente ha giustificato il proprio comportamento sotto il profilo dell'errore scusabile, avendo ritenuto che al di sotto delle 200 munizione non vi fossero obblighi di denuncia. 6. Quanto al secondo profilo, la ricorrente, premesso che il riferimento a "qualsiasi arma o munizione" contenuto nel provvedimento fosse idoneo ad estendere il divieto anche alla Collezione di armi storiche, ha eccepito che la licenza relativa a queste ultime non era mai stata formalmente ritirata dal Questore, non risultando il Prefetto competente a disporne il ritiro e non potendo in nessun caso le armi storiche essere passibili di distruzione, in caso di mancata cessione volontaria o disattivazione da parte del titolare, ai sensi dell'art. 32 commi 9 e 10 della L. n. 110/1975. 7. Il Tribunale amministrativo regionale della Basilicata, con la sentenza in epigrafe, ha respinto il ricorso, ritenendo il divieto giustificato dalla condizione di inaffidabilità della ricorrente, siccome emergente dalla vicenda penale, e correttamente esteso anche alle armi facenti parte della Collezione storica, dovendosi ogni ulteriore valutazione relativa all'eventuale distruzione delle stesse ritenere riservata all'Autorità competente per la fase esecutiva. 8. Con atto d'appello ritualmente notificato e depositato, la ricorrente ha impugnato la sentenza, deducendo, quanto al primo profilo, che erroneamente la Prefettura ed il T.a.r. avevano ritenuto la risalente ed isolata condotta penalmente rilevante indice di inaffidabilità, violando i limiti della ragionevolezza e della proporzionalità . Quanto al secondo profilo, l'appellante ha censurato il provvedimento impugnato e la decisione del primo giudice riproponendo i motivi già posti a fondamento del ricorso di primo grado, deducendo che la Collezione relativa alle armi storiche ha carattere permanente, potendo essere revocata solo mediante un provvedimento espresso, di competenza del solo Questore e non del Prefetto. 9. Il Ministero dell'interno si è costituito in giudizio, depositando la pertinente documentazione. 10. Con ordinanza n. 2023/5166 la Sezione ha sospeso l'efficacia esecutiva della sentenza, nelle more della definizione del giudizio nel merito. 11. All'udienza pubblica del 21 marzo 2024 l'appello è stato introitato per la decisione. 12. L'appello è parzialmente fondato, in relazione alla illegittima estensione del divieto anche alla Collezione di armi storiche, artistiche e rare, mentre la sentenza impugnata merita conferma limitatamente alle statuizioni relative alle armi comuni (pistola Beretta e munizioni), legittimamente colpite dal divieto di detenzione (capo n. 5.1 della decisione impugnata). 13. Deve richiamarsi, preliminarmente, il granitico orientamento della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, in relazione alla discrezionalità amministrativa che connota i provvedimenti relativi alla detenzione delle armi ed al conseguente sindacato del giudice amministrativo. La oramai univoca giurisprudenza ha infatti accertato l'insussistenza di una posizione di diritto soggettivo assoluto in relazione all'ottenimento ed alla conservazione del permesso di detenzione e porto di armi in deroga al generale divieto di cui all'art. 699 c.p. e di cui all'art. 4, comma 1, l. 18 aprile 1970, n. 110 (Corte cost. n. 440 del 1993; Cons. Stato, sez. III, n. 2974 del 2018; n. 3502 del 2018). Pertanto, ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del TULPS, l'Amministrazione può legittimamente fondare il giudizio di "non affidabilità " del titolare del porto d'armi valorizzando il verificarsi di situazioni genericamente non ascrivibili alla "buona condotta" dell'interessato, non rendendosi necessario al riguardo né un giudizio di pericolosità sociale del soggetto né un comprovato abuso nell'utilizzo delle armi (Cons. Stato, sez. III, n. 2987 del 2014; n. 4121 del 2014; n. 4518 del 2016; sez. VI, n. 107 del 2017; sez. III, n. 2404 del 2017; n. 4955 del 2018; n. 6812 del 2018) in quanto, ai fini della revoca della licenza, l'Autorità di pubblica sicurezza può apprezzare discrezionalmente, quali indici rivelatori della possibilità d'abuso delle armi, fatti o episodi anche privi di rilievo penale, indipendentemente dalla riconducibilità degli stessi alla responsabilità dell'interessato, purché l'apprezzamento non sia irrazionale e sia motivato in modo congruo (Cons. Stato, sez. VI, n. 107 del 2017; sez. III, n. 2974 del 2018; n. 3502 del 2018), trattandosi di un provvedimento, privo di intento sanzionatorio o punitivo, avente natura cautelare al fine di prevenire possibili abusi nell'uso delle armi a tutela delle esigenze di incolumità di tutti i consociati (Cons. Stato, sez. III, n. 2974 del 2018). Proprio la natura cautelare del provvedimento fa sì che lo stesso si fondi su considerazioni probabilistiche, basate su circostanze di fatto assistite da sufficiente fumus al momento della loro adozione (Cons. Stato, sez. III, n. 3979 del 2013; n. 5398 del 2014; n. 2404 del 2017; n. 6812 del 2018). In materia di autorizzazioni di polizia inerenti il porto e l'uso delle armi, infatti, l'autorità di pubblica sicurezza dispone, ai sensi degli artt. 10,11, 42 e 43 del T.U.L.P.S., di una lata discrezionalità nell'apprezzare se la persona richiedente sia meritevole del titolo, per le evidenti ricadute che tali atti abilitativi possono avere ai fini di una efficace protezione di due beni giuridici di primario interesse pubblico, quali l'ordine e la sicurezza pubblica (ex plurimis, Con. St., Sez. VI, 06.04.2010, n. 1925). La legislazione affida all'autorità di pubblica sicurezza il compito di valutare con il massimo rigore le eccezioni al divieto di circolare armati e, dunque, qualsiasi circostanza che consigli l'adozione del provvedimento di rigetto della domanda di porto d'armi, onde prevenire la commissione di reati e, in genere, di fatti lesivi della pubblica sicurezza. Infatti, ai sensi dell'art. 39, comma 1, T.U.L.P.S., "Il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne". Pertanto, la revoca o il diniego dell'autorizzazione possono essere adottate sulla base di un giudizio ampiamente discrezionale circa la prevedibilità dell'abuso dell'autorizzazione stessa, potendo assumere rilevanza anche fatti isolati, ma significativi (cfr. Cons. Stato, III, n. 5398/2014), e potendo l'Amministrazione valorizzare nella loro oggettività sia fatti di reato diversi, sia vicende e situazioni personali del soggetto che non assumano rilevanza penale, concretamente avvenuti, anche non attinenti alla materia delle armi, da cui si possa desumere la non completa "affidabilità " all'uso delle stesse (cfr. Cons. Stato, III, n. 3979/2013; n. 4121/2014). Conseguentemente, il divieto non richiede una particolare motivazione e il successivo vaglio del giudice amministrativo deve limitarsi alla sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o arbitrarie (Consiglio di Stato sez. III, 18 aprile 2016, n. 1536). Alla luce di tali premesse, deve ritenersi che nel caso di specie il divieto risulti sufficientemente motivato rispetto alla mancata denuncia di acquisto di n. 95 cartucce ed alla mancata comunicazione di trasferimento della pistola presso la nuova residenza, che integrano circostanze indicative di una scarsa affidabilità e diligenza nella tenuta delle armi, violando il generale dovere informativo - che incombe su tutti coloro che posseggono armi - nei confronti degli organi di pubblica sicurezza. Proprio a tale riguardo, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare la sufficienza del mutamento del luogo di custodia delle armi, omettendone la comunicazione all'Autorità, a sostenere sotto il profilo motivazionale il divieto di detenzione. È, infatti, pacifico che "l'omessa denuncia del trasferimento delle armi, di per sé, evidenzia un comportamento superficiale indicativo di scarsa affidabilità nella custodia delle stesse, come tale sufficiente a legittimare l'imposizione del divieto ex art. 39 del TULPS" (Cons. Stato, sentenze nn. 4621/2018, 4334/2017). Non risultano pertanto fondate le censure relative al carattere non attuale ed isolato delle condotte, ovvero all'erroneo convincimento della titolare circa l'insussistenza dell'obbligo di comunicare all'autorità di pubblica sicurezza lo spostamento dell'arma, ovvero l'acquisto delle munizioni; così come l'esito del procedimento penale, culminato con l'estinzione del reato per avvenuta oblazione, non può privare di rilevanza il comportamento non diligente posto a fondamento del diniego impugnato. 14. Differenti considerazioni devono invece essere riferite all'estensione del divieto anche alla Collezione delle armi storiche. 14.1 Il divieto sub iudice, pur non recando alcuno specifico riferimento alla suddetta Collezione, si riferisce "a qualsiasi specie di armi, munizioni o materiali esplodenti", con lata estensione applicativa anche alle armi storiche, detenute dalla ricorrente in forza di un differente titolo, costituito dall'autorizzazione questorile datata 9.11.2001. Tale estensione non risulta legittima, per le seguenti ragioni. Le armi storiche sono sottoposte ad un regime giuridico parzialmente diverso rispetto a quello delle armi comuni e seguono un differente canale di autorizzazione alla detenzione e di revoca, come emerge: - dall'art. 47 del R.D. 6 maggio 1940, n. 635 e dall'art. 11 del D.M. 14.4.1982, che prevedono il carattere permanente della licenza; - dall'art. 32 della legge n. 110 del 1975, che vieta la distruzione delle armi antiche e artistiche comunque versate all'autorità di pubblica sicurezza o alle direzioni di artiglieria senza il preventivo consenso di un esperto nominato dal sovrintendente per le gallerie competente per territorio, prevedendo che le armi riconosciute di interesse storico e artistico debbano essere destinate alle raccolte pubbliche indicate dalla sovrintendenza; - dall'art. 8 del D.M. 14.4.1982, che disciplina un procedimento ad hoc per l'ottenimento della licenza di "Collezione"; - dall'art. 12 del medesimo D.M. 14.4.1982 "Collezioni - Revoca della licenza", il quale, nel richiamare l'art. 11 ultimo comma del R.D. n. 773/1931 ("Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego dell'autorizzazione"), affida la revoca alla competenza del Questore, che ha l'obbligo di riferire al Sovraintendente per i beni artistici e storici ed al Prefetto, il quale deve invitare l'interessato a trasferire le armi a persone od enti legittimati, ovvero a depositarle presso un ente di diritto pubblico abilitato, indicato dalla competente sovraintendenza. Tale particolareggiato quadro normativo consente di affermare che, in relazione alle Collezioni di armi storiche, non si applica l'obbligo di cessione a terzi o disattivazione, ovvero in mancanza la confisca con successivo versamento alla competente Direzione di artiglieria per la distruzione. Tali conseguenze, infatti, determinerebbero la compromissione dell'interesse alla conservazione del bene, in ragione del suo intrinseco valore storico artistico, oggetto di specifica tutela da parte del legislatore mediante la soprarichiamata specifica disciplina legislativa e regolamentare. Del resto, com'è stato correttamente evidenziato dall'appellante, il divieto di detenzione impugnato è stato adottato in dichiarata applicazione dell'art. 39 R.D. n. 773/1931, il quale attribuisce al Prefetto il potere di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, "denunciate ai termini dell'articolo precedente", ovverossia dell'art. art. 38, il quale esenta dall'obbligo di denuncia "i possessori di raccolte autorizzate di armi artistiche, rare o antiche" (cfr. comma 2). Ciò conferma che, indubbiamente, il divieto di detenzione impugnato può concernere esclusivamente le armi e munizioni per le quali sussiste l'obbligo di denuncia di detenzione ex art. 38 cit. (nella specie la Beretta e le sue cartucce) ma non anche la collezione di armi artistiche, rare o antiche di proprietà dell'appellante. Per tali ragioni, non può essere condivisa la decisione impugnata nella parte in cui, non considerando il sopradelineato quadro normativo, ha accomunato le armi artistiche, rare o antiche costituenti Collezione alle armi comuni da sparo, estendendo ad esse il divieto di detenzione e relegando ad una fase meramente esecutiva il compimento delle verifiche prescritte dall'art. 32, co. 9 e 10, della L. n. 110/1975. 14.2 A differenti conclusioni non potrebbe peraltro giungersi nemmeno attribuendo al provvedimento impugnato valore e sostanza di provvedimento di revoca implicita della licenza di raccolta e detenzione emessa dal Questore della Provincia di Potenza in data 9.11.2001. Ed infatti, nel tratteggiare i connotati ed i limiti di ammissibilità del cd. "provvedimento implicito", la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha chiarito che: "a) deve esistere, a monte, una manifestazione espressa di volontà della pubblica amministrazione (sub specie comportamento concludente o altro atto amministrativo); b) tale atto o comportamento deve provenire da un organo amministrativo competente e nell'esercizio delle sue attribuzioni; c) l'atto implicito deve, a sua volta, rientrare nella sfera di competenza dell'autorità amministrativa che ha emanato l'atto presupposto; d) per l'atto implicito la legge non deve richiedere una forma determinata a pena di nullità, dovendosi, comunque, rispettare le forme procedimentali previste per l'emanazione dell'atto; e) deve sussistere un collegamento esclusivo e bilaterale tra l'atto implicito e l'atto presupponente, il primo dovendo costituire l'unica conseguenza possibile dell'atto a monte espresso f) che in ogni caso, emergano e factis (avuto riguardo al concreto andamento dell'iter procedimentale e alle effettiva acquisizioni istruttorie) gli elementi necessari alla ricostruzione del potere esercitato" (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 1034/2018; Cons. Stato, sez. V, n. 5822/2019). Nel caso oggetto del presente giudizio, difettano i presupposti previsti dalla lettera "c", stante la competenza del Questore, normativamente prevista, per la revoca della licenza, e dalla lettera "e", dovendosi escludere, per le già indicate distinzioni di disciplina e di ratio giustificatrice, che la revoca della licenza della Collezione possa considerarsi l'unica conseguenza possibile dell'atto a monte, concernente le armi comuni detenute dall'appellante e soggiacenti alla disciplina propria delle stesse, non automaticamente estendibile anche alle Collezioni. 15. Per tali ragioni, in parziale riforma della decisione impugnata, l'originario ricorso deve essere accolto ed il provvedimento impugnato deve essere riformato, limitatamente alla parte in cui il divieto è stato esteso anche alla Collezione delle armi antiche, artistiche e rare, autorizzata con la licenza rilasciata dal Questore della Provincia di Potenza in data 9.11.2001. Il divieto rimane pertanto valido ed efficace in relazione alle rimanenti armi comuni e munizioni. 16. Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate, in ragione delle motivazioni poste a fondamento della decisione e della peculiarità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'appellante; Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Giovanni Pescatore - Presidente FF Ezio Fedullo - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Raffaello Scarpato - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA 1. sul ricorso numero di registro generale 1017 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro - Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, anche domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); - Questura di Perugia, non costituita in giudizio; 2. sul ricorso numero di registro generale 30 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Fo., El. Ma. e An. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, Questura di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, anche domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); nei confronti -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per l'annullamento 1. quanto al ricorso n. 1017 del 2023: per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - del decreto della Prefettura di Perugia - Ufficio Territoriale del Governo prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, Area I - Ordine e Sicurezza Pubblica e Tutela della Legalità Territoriale, notificato il -OMISSIS-, con il quale "è fatto divieto (al ricorrente) di detenere le armi e le munizioni in suo possesso, che dovranno essere ritirate dal Comando Stazione Carabinieri di -OMISSIS-, unitamente alla licenza di porto di fucile di cui il predetto è titolare, all'atto della notifica del presente decreto. Si ingiunge al predetto di cedere le stesse a persona non convivente entro e non oltre il termine di 150 giorni dalla data di notifica del presente decreto, ammonendolo che, scaduto tale termine, se inadempiente, le armi e le munizioni si intenderanno confiscate e saranno versate, a cura della Stazione Carabinieri di -OMISSIS- e in assenza di ulteriori comunicazioni da parte di questa Prefettura, alla competente Direzione Artiglieria, ai sensi e per gli effetti dell'art. 6 della Legge 22.5.1975, n. 152", con ogni riconnessa sanzione e/o conseguenza pregiudizievole; - nonché di ogni altro atto o provvedimento connesso, presupposto e/o consequenziale, anche allo stato non conosciuto ove lesivo degli interessi del ricorrente, ivi inclusa la nota della Stazione Carabinieri di -OMISSIS- n. -OMISSIS--1 del -OMISSIS-; per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 16/2/2024: - del decreto prot. n. -OMISSIS-, emesso in data -OMISSIS-, notificato il -OMISSIS-, con il quale il Questore di Perugia ha revocato al ricorrente il porto d'armi ad uso venatorio n. -OMISSIS- per quanto riguarda gli ulteriori motivi aggiunti presentati il 19/4/2024: del decreto della Prefettura di Perugia n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, notificato il -OMISSIS-, con il quale è stato definito il procedimento amministrativo avviato in esecuzione dell'Ordinanza del TAR Umbria n. -OMISSIS- e confermato il precedente provvedimento n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, con il quale è stato fatto divieto al ricorrente di detenere armi e munizioni. 2. quanto al ricorso n. 30 del 2024: - del decreto nr. -OMISSIS- del -OMISSIS- della Prefettura di Perugia - Ufficio Territoriale del Governo, notificato in pari data, con il quale è stato "fatto divieto al (ricorrente) di detenere le armi e le munizioni in suo possesso"; - del decreto prot. nr. -OMISSIS- emesso in data -OMISSIS- dal Questore della Provincia di Perugia e notificato il -OMISSIS-, con il quale è stata revocata la licenza di porto d'armi uso venatorio n. -OMISSIS-, rilasciata al (ricorrente) il -OMISSIS- dal Commissariato di P.S. di -OMISSIS-; di ogni altro atto presupposto, connesso, consequenziale o comunque collegato. Visti i ricorsi i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Perugia e Questura di Perugia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024 il dott. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. All'origine delle cause in esame vi è la conflittualità esistente tra gli odierni ricorrenti, padre e figlio, residenti in appartamenti ubicati in piani diversi dello stesso stabile. 1.1. In particolare, in data -OMISSIS-, si è verificata tra i due un'accesa lite (con minacce da parte del figlio) all'interno della stazione dei Carabinieri di -OMISSIS-; venti giorni prima, a dire del padre, il figlio lo aveva aggredito fisicamente, causandogli un ematoma all'addome. 1.2. Secondo quanto riferito nel rapporto redatto dai Carabinieri in quell'occasione (e non confutato, sotto il profilo fattuale, dagli interessati, salvo quanto appresso specificato), il figlio rimprovera al padre di intrattenere una relazione sentimentale, di aver trascurato ed offeso la madre, da cui è separato, malgrado sia affetta da una grave malattia che richiede assistenza quotidiana, e di aver sperperato il patrimonio di famiglia; mentre il padre, lamenta che il figlio non perda occasione per insultarlo ed abbia un carattere aggressivo. 1.3. Ciò ha indotto l'UTG di Perugia a disporre, nei loro confronti, mediante distinti provvedimenti in data -OMISSIS-, il divieto di detenzione di armi e munizioni, in applicazione dell'art. 39, del TULPS; e, conseguentemente, il Questore di Perugia a revocare, mediante distinti provvedimenti in data -OMISSIS-, le licenze di porto d'armi ad uso venatorio da essi possedute. 1.4. Nei provvedimenti di divieto si sottolinea che le armi di entrambi sono custodite all'interno di un caveau, ubicato nel sottoscala dell'edificio; e si afferma, in sintesi, che "La richiamata situazione di conflittualità famigliare, tenuto conto della sua attualità e gravità, risulta del tutto incompatibile con una sicura detenzione delle armi da parte di tutti i soggetti coinvolti" (nel provvedimento riguardante il figlio, viene sottolineata anche "un'insufficiente capacità di controllo dei propri impulsi ed emozioni"). 2. Il primo dei ricorsi in esame (NRG -OMISSIS-) è stato proposto dal padre nei confronti del provvedimento di divieto. 2.1. Il ricorrente ha lamentato, in sostanza: la mancanza dei presupposti richiesti dall'art. 39, in combinato disposto con l'art. 11, del TULPS, in ragione dell'omessa considerazione della sua situazione personale complessiva (ha la licenza di caccia da cinquant'anni e non ha mai dato adito a rilievi negativi); il travisamento dei fatti (essendo l'accaduto, ed in particolare l'atteggiamento violento, interamente addebitabili al figlio, abitando i due in diverse unità immobiliari ed essendo le armi custodite in un caveau di cui il ricorrente ha la esclusiva disponibilità ); l'ingiustificata omissione della partecipazione procedimentale. In conclusione, i provvedimenti risulterebbero sproporzionati, impedendo al ricorrente di svolgere la propria attività lavorativa (è -OMISSIS- di un'azienda agrituristico-venatoria). 2.2. Questo Tribunale ha esaminato il ricorso in sede cautelare, accogliendo con ordinanza n. -OMISSIS- la domanda di sospensiva, ai soli fini del riesame. 2.3. Con motivi aggiunti, il ricorrente ha poi impugnato il provvedimento di revoca, riproponendo, oltre a censure di invalidità derivata, quelle dedotte con il ricorso introduttivo. 2.4. L'UTG di Perugia ha eseguito il riesame, adottando in data -OMISSIS- un provvedimento che conferma il divieto di detenzione, sulla base di una motivazione più argomentata, che prende in considerazione (oltre all'esistenza di alcune denunce pregresse nei confronti del ricorrente, laddove nel primo divieto risultava indicata solo la pendenza di un procedimento penale per -OMISSIS-): - la situazione di conflittualità famigliare, e sottolinea, in particolare, come "la circostanza di risiedere nel medesimo immobile favorisce di per sé la possibilità di frequenti incontri tra i predetti, che potrebbero costituire occasione di ulteriori, gravi alterchi; (...) pur non risultando imputabili al (ricorrente per motivi aggiunti) i comportamenti aggressivi verificatisi in ambito familiare, la detenzione di armi da parte del predetto appare comunque inopportuna. Non può, infatti, escludersi, sulla base di un giudizio prognostico, il pericolo di abuso delle stesse, sia da parte del medesimo (...) a seguito di reazioni inconsulte che potrebbero derivare da ulteriori accesi alterchi con il figlio (...), sia da parte di quest'ultimo, il quale potrebbe impossessarsi delle armi del genitore custodite nel caveau (ad uso promiscuo) di famiglia"; - l'incidenza del divieto sull'attività lavorativa, sottolineando che non preclude il mantenimento dell'incarico di -OMISSIS- dell'azienda agrituristica venatoria, potendo la vigilanza durante le battute di caccia essere delegata a guardiacaccia, di cui l'azienda dispone. 2.5. Il ricorrente lo ha impugnato mediante ulteriori motivi aggiunti, sostenendo il carattere meramente confermativo del provvedimento, e comunque riproponendo, con argomentazioni più articolate, le censure sostanzialmente già dedotte. In particolare, ha stigmatizzato che non sia stata adeguatamente considerata la motivazione del remand, in cui era stata sottolineata la possibilità "che la doverosa cautela nel rilascio (mantenimento) dei titoli autorizzativi relativi alle armi venga assicurata mediante strumenti diversi dal divieto di detenzione nei confronti del ricorrente", ed ha ribadito le caratteristiche di sicurezza ed accesso controllato del caveau dove sono custodite le armi. 3. Il secondo ricorso (NRG n. -OMISSIS-) è stato proposto dal figlio avverso entrambi i provvedimenti che lo riguardano, il quale ha lamentato, in sostanza, l'ingiustificata omissione della partecipazione procedimentale, la mancanza dei presupposti richiesti dagli artt. 11, 39 e 43 del TULPS, il travisamento dei fatti. 3.1. Il giudizio di inaffidabilità non sarebbe supportato da un'adeguata istruttoria e motivazione, anche considerato che si è trattato di uno semplice "sfogo tra padre e figlio", senza alcun episodio di violenza (l'episodio dell'aggressione riferito dal padre sarebbe "del tutto indimostrato e privo di qualsiasi riscontro oggettivo") e senza che sia stata presa in esame la complessiva personalità e condotta di vita del ricorrente. 3.2. Il divieto difetta comunque di proporzionalità ; l'accaduto avrebbe ben potuto ed anzi dovuto indurre l'Amministrazione a disporre, in via cautelativa, la sospensione temporanea della licenza, in applicazione dell'art. 10 del TULPS, in considerazione dei rilevanti profili di incertezza e indeterminatezza che connotano la vicenda, tali da non permettere un'attendibile valutazione sulla pericolosità e non affidabilità del ricorrente. 3.3. Anche il secondo ricorrente sottolinea il pregiudizio alla propria attività lavorativa di -OMISSIS- di sistemi di sicurezza, compresi quelli di puntamento delle armi. 4. In entrambi i giudizi, l'Amministrazione si è costituita ed ha controdedotto puntualmente, ribadendo che la condotta dei ricorrenti e la situazione in cui si trovano giustificava l'adozione del divieto, e chiedendo il rigetto dei ricorsi. 5. Le parti hanno depositato memorie e repliche, puntualizzando le rispettive difese. 6. I ricorsi possono essere riuniti, risultando evidente la loro connessione oggettiva e soggettiva. 7. Occorre anzitutto precisare che il provvedimento adottato in esecuzione della misura cautelare di riesame (NRG -OMISSIS-) non ha carattere meramente confermativo, come sostiene il ricorrente, bensì confermativo in senso proprio, risultando l'esito di un approfondimento degli elementi rilevanti, supportato da una più estesa motivazione. 8. Il Collegio sottolinea poi che, a seguito dei depositi documentali in corso di giudizio, non è più in discussione l'incidenza negativa concreta del divieto sullo svolgimento delle attività lavorative dei ricorrenti. Peraltro, risulta anche accertato che tale incidenza investe solo una parte delle attività potenzialmente ricomprese nei rispettivi incarichi professionali, e sarebbe in qualche modo ovviabile (anche se, è presumibile, ciò comporterebbe oneri o svantaggi). 9. Le acquisizioni processuali hanno anche consentito di accertare che le armi erano e sono custodite in un caveau situato al piano terra dell'immobile in cui entrambi i ricorrenti (ancorché in distinte unità immobiliari) risiedono, le cui chiavi sono attualmente detenute da un altro figlio, estraneo (così come un terzo figlio) alla conflittualità in questione. 10. Occorre a questo punto ricordare, sul piano dei principi, che, secondo la giurisprudenza consolidata (cfr., di recente e riassuntivamente, Cons. Stato, III, n. 358-OMISSIS- e n. 923/2023; TAR Umbria, n. 655/2023; vedi anche, idem, n. -OMISSIS-): - il potere di rilasciare le licenze in materia di armi costituisce una deroga al divieto sancito dall'art. 699 c.p. e dall'art. 4, comma 1, legge 110/1975; la regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l'autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell'Autorità di pubblica sicurezza prevenire; - infatti, la Corte Costituzionale ha sottolineato, sin dalla sentenza n. 440/1993, che "il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, una eccezione al normale divieto di portare le armi, che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse" e che "dalla eccezionale permissività del porto d'armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell'autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli e situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti"; cosicché "deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell'ambito di bilanciamenti che - entro il limite della non manifesta irragionevolezza - mirino a contemperare l'interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d'armi per motivi giudicati leciti dall'ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l'incolumità pubblica: beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi" (sent. n. 109/2019); - la giurisprudenza amministrativa, nel solco dei principi affermati dalla Corte Costituzionale, è consolidata nel ritenere che il porto d'armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un'eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l'ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività (cfr., ex multis, Cons. Stato, III, n. 1972/2019 e n. 3435/2018); - ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del TULPS, l'Amministrazione può legittimamente fondare il giudizio di "non affidabilità " del titolare del porto d'armi valorizzando il verificarsi di situazioni genericamente non ascrivibili alla "buona condotta" dell'interessato, non rendendosi necessario al riguardo né un giudizio di pericolosità sociale del soggetto né un comprovato abuso nell'utilizzo delle armi (Cons. Stato, III, nn. 6812/2018, 4955/2018, 2404/2017, 4518/2016, 2987/2014, 4121/2014; VI, n. 107/2017) in quanto, ai fini della revoca della licenza, l'Autorità di pubblica sicurezza può apprezzare discrezionalmente, quali indici rivelatori della possibilità di abuso delle armi, fatti o episodi anche privi di rilievo penale, indipendentemente dalla riconducibilità degli stessi alla responsabilità dell'interessato, purché l'apprezzamento non sia irrazionale e sia motivato in modo congruo (Cons. Stato, VI, n. 107/2017; III, nn. 3502/2018, 2974 del 2018), trattandosi di un provvedimento, privo di intento sanzionatorio o punitivo, avente natura cautelare al fine di prevenire possibili abusi nell'uso delle armi a tutela delle esigenze di incolumità di tutti i consociati (Cons. Stato, III, n. 2974/2018); - il giudizio che riguardo a detti profili compie l'Autorità di pubblica sicurezza è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, che presuppone una analisi comparativa dell'interesse pubblico primario, degli interessi pubblici secondari, nonché degli interessi dei privati, oltre che un giudizio di completa affidabilità del soggetto istante basato su rigorosi parametri tecnici; nello specifico settore delle armi, tale valutazione comparativa si connota in modo peculiare rispetto al giudizio che tradizionalmente l'Amministrazione compie nell'adottare provvedimenti permissivi di tipo diverso; la peculiarità deriva dal fatto che, stante la ricordata assenza di un diritto assoluto al porto d'armi, nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell'Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all'incolumità delle persone, rispetto a quello del privato; - l'apprezzamento discrezionale rimesso all'Autorità di pubblica sicurezza involge soprattutto il giudizio di affidabilità del soggetto che detiene le armi o aspira ad ottenerne il porto; a tal fine, l'Amministrazione è chiamata a compiere una valutazione in ordine al pericolo di abuso delle armi, secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico; - tale esegesi è peraltro confermata sul piano legislativo dalla formulazione dell'art. 39 del TULPS, laddove, nel prevedere che "il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne", considera sufficiente l'esistenza di elementi che fondino solo una ragionevole previsione di un uso inappropriato. 11. Con specifico riferimento a vicende analoghe a quella in esame, è stato ritenuto, condivisibilmente, che una situazione di conflittualità familiare nella sua oggettività è valido motivo per l'emanazione di provvedimenti interdittivi in tema di armi, a prescindere dalla responsabilità della sua causazione (cfr. TAR Toscana, II, n. 1305/2022). In tali situazioni, infatti, ciò che l'amministrazione è chiamata a valutare è il pericolo che la situazione di conflitto familiare in atto, nella sua oggettività ed a prescindere da chi ne sia responsabile, possa degenerare in fatti antigiuridici, le cui conseguenze potrebbero essere ulteriormente aggravate dalla disponibilità delle armi (cfr. TAR Umbria, n. 303/2023). 12. Ciò stante, la conflittualità tra i ricorrenti - che, secondo quanto emerge dagli atti, è dovuta a vicende personali, ha radici profonde e non è venuta meno - la vicinanza delle abitazioni dei ricorrenti e l'ubicazione del luogo di custodia delle armi (ancorché il caveau sia sottoposto a sistemi di videosorveglianza) fanno sì che risulti tutt'altro che illogico il giudizio di inaffidabilità nella detenzione delle stesse formulato dall'Amministrazione nei confronti di entrambi, quali che possano ritenersi le responsabilità di ciascuno di essi nell'aver determinato tale situazione. 13. In altri termini, la situazione fattuale è stata presa in esame dall'Amministrazione e ritenuta, con valutazione che risulta immune dalle censure formulate dai ricorrenti, sufficiente a giustificare il divieto di detenzione delle armi e la revoca dei titoli autorizzatori di p.s. conseguenti (che del primo costituisce una conseguenza naturale e praticamente vincolata - cfr. Cons. Stato, III, nn. 3583/2024, 1292/2013). Detta situazione, si ripete, a prescindere da ogni ulteriore considerazione in ordine alle condotte dei ricorrenti, è stata reputata suscettibile di costituire il sostrato di fatti antigiuridici ben più gravi ed una simile valutazione non risulta irragionevole, tenuto conto che lo scopo del potere attribuito in materia alla pubblica amministrazione è proprio quello di evitare che tali fatti abbiano a verificarsi. Pertanto, non può nemmeno ritenersi sproporzionata l'utilizzazione dello strumento cautelare del divieto (con correlata sottrazione della disponibilità materiale delle stesse), non essendo sufficiente a conseguire lo scopo la mera sospensione della licenza di uso delle armi. 14. In conclusione, i ricorsi sono infondati e devono pertanto essere respinti. 15. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, previa riunione, li respinge. Condanna i ricorrenti al pagamento in favore dell'Amministrazione, della somma di euro 1.000,00 (mille/00), oltre agli oneri ed accessori di legge, ciascuno, per spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i ricorrenti. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente, Estensore Daniela Carrarelli - Primo Referendario Davide De Grazia - Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2357 del 2024, proposto da: Co. Consorzio Ge. In., in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ce., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; contro Comune di Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ma., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; nei confronti Sa. - Se. per l'a. S.r.l., in liquidazione, non costituita in giudizio; per l'annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione sesta, n. 1272/2024. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Caserta; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 105, comma 2 e 87, comma 3, cod. proc. amm.; Relatore il Cons. Laura Marzano; Uditi, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, l'avvocato Pa. Ce. e l'avvocato Ma. Me. in sostituzione dell'avvocato Pa. Ma.; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Co., Consorzio Ge. In. in liquidazione (per brevità "Consorzio"), ha impugnato la sentenza n. 1272 del 26 febbraio 2024 con cui il Tar Campania, sezione VIII, ha dichiarato il difetto di giurisdizione sul ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto per l'annullamento dell'ordinanza del comune di Caserta n. 54542 del 3 maggio 2023 di sgombero e rilascio del compendio immobiliare denominato "parcheggio interrato di Piazza (omissis)" ubicato in Caserta, al Viale (omissis) e della nota n. 61752 del 19 maggio 2023 a firma del dirigente ing. Lu. Vi.. Il Comune appellato si è costituito nel presente grado di giudizio eccependo l'inammissibilità dell'appello. Alla camera di consiglio del 28 maggio 2024, sentiti i difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione. Devono essere tratteggiati i fatti di causa. 2. Il Consorzio, costituito nel 1990, a seguito di procedura ad evidenza pubblica si è aggiudicato il servizio di progettazione, costruzione e successiva gestione - in regime di concessione - dell'infrastruttura di parcheggio sotterraneo attualmente ubicata sotto il piazzale del museo Reggia di Caserta. Il comune di Caserta, nella qualità di ente procedente, avendo adottato i provvedimenti volti a regolare i rapporti e le obbligazioni tra le parti, affermava di avere disponibilità dei luoghi e di essere titolare del potere di definirne la destinazione e l'utilizzo. L'amministrazione comunale, infatti, promuoveva e ratificava ogni iniziativa relativa all'utilizzo e alla destinazione ad uso pubblico del bene. In virtù di tanto, la società realizzava l'infrastruttura e ne avviava la gestione, proseguita negli anni fino ad oggi. Nello specifico, la vicenda ha avuto il seguente svolgimento. Con delibere CIPE del 3 agosto 1988 e 29 marzo 1990 venivano stanziati i fondi relativi alla realizzazione dei progetti per due parcheggi sotterranei da ubicare in via (omissis) ed in piazza (omissis) a Caserta. Con successiva delibera del Consiglio comunale n. 106 del 18 ottobre 1990, integrata con delibera di Giunta n. 807 del 21 giugno 1991, l'amministrazione decideva di unificare i due parcheggi e deliberava di affidare la realizzazione del Piano parcheggi e viabilità connessa all'Associazione te. d'I. costituita dalla società It. spa (subentrata all'I. spa, entrambi soggetti interamente pubblici) e dal Consorzio CO.: in esecuzione delle menzionate delibere il comune di Caserta, con atto notarile n. 76636 del 10 ottobre 1991, stipulava apposita convenzione con la suddetta ATI. Con convenzione n. 197/90, stipulata il 13 marzo 1992 tra il comune di Caserta e l'Agenzia per la promozione dello sviluppo del mezzogiorno, veniva finanziato il progetto per la realizzazione del parcheggio sotterraneo sito in Caserta, alla piazza (omissis). In particolare, in tale atto il comune di Caserta assicurava, sotto la propria responsabilità, che "per l'esecuzione dell'opera come risultante dal progetto esecutivo non sussistevano impedimenti di sorta per l'espletamento di tutti gli adempimenti di legge e regolamentari per consensi, autorizzazioni, permessi, pareri di qualunque Autorità, di Enti o di terzi comunque in causa per le opere di che trattasi". Nella stessa convenzione era previsto, all'art. 2, che "il Concessionario provvederà in primo luogo alla realizzazione ed alla successiva gestione del parcheggio ubicato in Piazza (omissis), quale risulta dall'unificazione dei precedenti progetti di due distinti parcheggi in Piazza (omissis) e Via (omissis) ai sensi della predetta delibera consiliare del 18 ottobre 1990, n. 106". Ancora prima del completamento delle opere il comune aveva richiesto al Consorzio di avviare le attività di gestione del parcheggio ed aveva riconosciuto in favore di quest'ultimo il diritto al rimborso di alcuni oneri conseguenti alla gestione in perdita dello stesso. Nell'attesa della sottoscrizione degli atti aggiuntivi alla convenzione di concessione, su espressa richiesta del comune, nel 2001, veniva avviata la gestione provvisoria del parcheggio. L'amministrazione comunale, tuttavia, non provvedeva a stipulare gli atti aggiuntivi previsti dall'atto di concessione, né si adoperava per costituire il diritto di superficie previsto in convenzione, talché il Consorzio - viste le difficoltà finanziarie causate dai ritardati pagamenti da parte del comune - era costretto a sospendere la gestione del parcheggio. Il comune di Caserta richiedeva però immediatamente la riattivazione del servizio, ritenendo "assolutamente necessario che tutte le attività connesse alla gestione del parcheggio non vengano interrotte". In particolare, con nota del 28 aprile 2008, il comune rappresentava al consorzio appellante che "data la complessità del rapporto e le notevoli implicazioni che la gestione del parcheggio comporta nel sistema della mobilità cittadina appare non opportuno prevedere la sua chiusura". A seguito di numerosi solleciti volti a compulsare la costituzione del diritto di superficie, con Protocollo di intesa del 21 luglio 2009, il comune di Caserta e il Demanio si impegnavano ad effettuare una permuta di edifici ed aree delle loro rispettive proprietà : tra i beni oggetto dell'accordo figuravano anche cui l'area denominata "campetti antistanti la Reggia" e il "sottostante parcheggio interrato a due piani", che venivano inclusi tra i beni demaniali da trasferire all'ente locale. Solo in quel momento emergeva, dunque, che il comune di Caserta, fin dagli anni '90, aveva compiuto atti di disposizione di un suolo di proprietà del demanio statale e che, in assenza di un trasferimento da parte dello Stato, il comune mai avrebbe potuto legittimamente costituire il diritto di superficie in favore del concessionario, né adottare una serie di provvedimenti relativi alla definizione dei rapporti con il concessionario. In data 5 giugno 2012, il comune di Caserta trasmetteva al concessionario una nota con cui l'Agenzia del demanio aveva richiesto al comune "la riconsegna del menzionato complesso demaniale libero di persone e cose". Con successivo provvedimento prot. n. 61463 del 31 luglio 2012, il comune di Caserta disponeva "di annullare l'atto di concessione della gestione del parcheggio; di dichiarare che tale atto è comunque nullo per le ragioni sopra indicate; di dichiarare risolta e comunque priva di validità e di effetti, per le ragioni di cui in premessa, la convenzione del 1991; in ogni caso, per le ragioni indicate nel paragrafo sugli inadempimenti e sulle violazioni del Consorzio Co., di dichiarare la decadenza della concessione di gestione e della convenzione accessiva; di ordinare al Consorzio Co. di liberare il parcheggio sotterraneo di piazza (omissis) e di restituirlo al Comune di Caserta entro 60 giorni dalla notifica e comunicazione del presente provvedimento; di riservarsi ogni determinazione in ordine ai rapporti patrimoniali con il Consorzio Co. all'esito di una più approfondita verifica anche in ordine allo stato del parcheggio al momento della sua restituzione". In sintesi, l'Agenzia del demanio, in qualità di proprietaria dei suoli, chiedeva la riconsegna dell'immobile; viceversa, il comune ne chiedeva la restituzione in proprio favore. Di fatto, nella vigenza del rapporto concessorio con il comune di Caserta e stante la confusione circa la proprietà del bene alla luce del Protocollo di intesa del 2009, il concessionario non avrebbe potuto retrocedere l'infrastruttura ad un ente terzo, pena la violazione degli obblighi contrattualmente assunti con la convenzione stipulata nel 1991. La situazione restava invariata sino al 2017, allorquando - nella pendenza di alcuni giudizi - l'Agenzia del demanio dava parere favorevole al trasferimento della proprietà in favore del comune di Caserta, che dava atto dell'acquisizione del bene al proprio patrimonio con delibera consiliare del 12 luglio 2017, n. 71. Poco dopo, con delibera del Consiglio comunale n. 24 del 17 aprile 2018, il comune di Caserta approvava il "Piano delle Alienazioni e delle Valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali", inserendo tra gli immobili suscettibili di alienazione l'infrastruttura adibita a parcheggio ed oggetto del provvedimento per cui è causa. La pendenza del contezioso in ordine alla legittimità dell'annullamento in autotutela dell'atto di concessione - conclusosi solo nell'anno 2021 - e l'incertezza sulla validità o meno degli impegni contrattuali assunti, hanno impedito al concessionario (ma anche al comune) di assumere determinazioni in ordine al rilascio dell'infrastruttura, perdurando la vigenza degli impegni contrattuali - la cui nullità è stata accertata in via definitiva solo nel 2021 - che imponevano la prosecuzione nella gestione per ragioni di interesse pubblico. Il comune, peraltro, dall'avvenuta adozione del menzionato provvedimento di annullamento in autotutela del 2012 fino alla notifica dell'ordinanza di sgombero oggetto del presente giudizio - dunque per oltre 10 anni - ha consentito la prosecuzione della gestione dell'infrastruttura, pur avendo annullato l'atto concessorio. Il provvedimento di annullamento in autotutela veniva impugnato innanzi al Tar Campania il quale accertava che l'amministrazione comunale di Caserta non aveva titolo per disporre delle aree in questione e che pertanto tali beni erano insuscettibili di formare oggetto di atti di disposizione materiale e giuridica da parte del comune stesso: pertanto con sentenza n. 2661 del 14 maggio 2014, il Tar respingeva il ricorso e affermava, tra l'altro che "le obbligazioni assunte dal Comune concedente in ordine alla costituzione di un diritto di superficie, indispensabile per la costruzione e la successiva gestione del parcheggio, hanno geneticamente un oggetto giuridicamente impossibile, attesa la natura demaniale dell'immobile, non rientrante nella disponibilità dell'ente comunale. Pertanto, la relativa convenzione risulta affetta da nullità per impossibilità dell'oggetto, in base agli artt. 1418 e 1346 c.c." e osservava che "il comportamento delle amministrazioni dello Stato nel corso degli anni, pur manifestando la conoscenza dell'iniziativa fin dalla sua origine, palesa una tollerante inerzia per le iniziative del Comune e, tutt'al più, la disponibilità ad esplorare possibili soluzioni, senza tuttavia mai pervenire all'adozione di atti definitivi dai quali sia possibile evincere una manifestazione espressa di volontà equipollente ad una cessione o concessione dell'area in questione". In sintesi, il Tar Campania affermava la legittimità del provvedimento di annullamento in autotutela stante la indisponibilità del bene oggetto di convenzione e accertava che tale circostanza era ben nota a tutte le amministrazioni resistenti fin dal momento della stipula della convenzione con il concessionario. La sentenza veniva sostanzialmente confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 5231 del 24 luglio 2019, ancorché con motivazione parzialmente diversa da quella del primo giudice. Ulteriore conferma della statuizione avveniva a seguito di ricorso per cassazione, concluso con ordinanza di rigetto n. 36595/2021. In definitiva, all'esito dell'intero contenzioso, veniva accertato che il comune non aveva disponibilità delle aree oggetto di affidamento in concessione e che pertanto la progettazione, costruzione e gestione del parcheggio era avvenuta, ab origine, sine titulo. A seguito della cessazione del rapporto concessorio e fino all'adozione dell'ordinanza impugnata nel primo grado di giudizio, il comune di Caserta non ha assunto determinazioni chiare in ordine alla natura e all'uso cui intende destinare il bene. Il parcheggio, infatti, è stato inserito tra gli immobili suscettibili di alienazione e facenti parte del patrimonio disponibile non strumentale all'esercizio di funzioni istituzionali. Il nuovo Piano delle alienazioni e valorizzazioni adottato nel mese di gennaio 2022 e relativo al triennio 2022-2024 ha poi qualificato il bene come suscettibile di valorizzazione. L'infrastruttura, in seguito, è stata sottoposta a procedura esecutiva da parte della società Sa. in liquidazione, che vantava crediti nei confronti del comune per un ammontare complessivo di circa 43 milioni di euro ed aveva pertanto individuato nell'area in questione il bene da sottoporre ad esecuzione forzata. Il relativo pignoramento immobiliare veniva regolarmente trascritto nel mese di gennaio 2023, per poi cessare i propri effetti in conseguenza dell'adempimento parziale da parte Comune. Tali essendo gli antefatti, con ordinanza dirigenziale n. 5454 del 3 maggio 2023 il comune di Caserta premesso che "è interesse dell'ente comunale rientrare nel possesso e nella disponibilità del parcheggio interrato nell'area sottostante Piazza (omissis), bene immobile che il Comune intende valorizzare mantenendone in ogni caso l'uso pubblico" ed osservato che "l'articolo 283 comma 2 del codice civile, nel disciplinare la condizione giuridica del demanio pubblico stabilisce che spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del patrimonio dello stesso, e che essa alla facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso" ed ancora che "l'autotutela patrimoniale delle amministrazioni pubbliche è esercitabile nei confronti dei beni appartenenti anche al demanio e al patrimonio indisponibile dell'ente comunale per effetto del combinato disposto degli articoli 826 comma 3 e 828 (...) la facoltà di autotutela esecutiva amministrativa per rientrare nel possesso della disponibilità del bene", ha ordinato al Consorzio il rilascio dell'area denominata "Parcheggio interrato di piazza Carlo 12 III", ubicato in Caserta, viale (omissis) intimando "di lasciare entro 15 giorni il compendio immobiliare libero da cose e/o persone al fine di consentirne il pieno e libero utilizzo da parte del Comune di Caserta per le proprie finalità pubbliche". Infine avvertiva che, decorso inutilmente il termine di 15 giorni dalla data della notifica del provvedimento, l'amministrazione avrebbe proceduto all'esecuzione forzata con l'ausilio della forza pubblica. Ancora, in data 8 maggio 2023, la società Sa., stante il perdurante inadempimento del comune di Caserta, provvedeva a notificare un nuovo pignoramento per la parte residua del credito: la procedura esecutiva veniva poi rinnovata con notifica del precetto e pignoramento del 29 febbraio 2024. 3. Con il ricorso introduttivo del giudizio incardinato innanzi al Tar Campania l'appellante, nella qualità di gestore di fatto del parcheggio interrato sito in Caserta, alla piazza (omissis) di Borbone, ha impugnato l'ordinanza dirigenziale di sgombero adottata dal comune di Caserta in data 3 maggio 2023, n. 5454, chiedendone l'annullamento. Tra i motivi di ricorso deduceva l'illegittimità del provvedimento in quanto, a suo dire, il potere di polizia demaniale sarebbe stato esercitato su un bene immobile facente parte del patrimonio disponibile dell'amministrazione: sarebbe mancato pertanto il presupposto per l'esercizio del potere autoritativo. Osservava che la natura disponibile del bene si evincerebbe dagli atti di pianificazione delle risorse, adottati dall'amministrazione comunale, che ha inserito il cespite nel Piano delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare, sicché sarebbe provato che l'immobile in questione ha natura di bene disponibile e non strumentale all'esercizio delle funzioni. Con ordinanza n. 902 del 25 maggio 2023, il Tar accoglieva la domanda cautelare rilevando che, "ad un primo sommario esame, sembra sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo, non essendo in contestazione il difetto di attribuzione in capo al Comune quanto, piuttosto, il non corretto esercizio, in relazione ai presupposti di fatto, del potere in concreto esercitato"; e che "sembra fondata la censura con la quale parte ricorrente lamenta che, a fronte di un bene appartenente al patrimonio disponibile del Comune (come sembrerebbe evincersi dall'inclusione dello stesso nel Piano delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile di cui alla delibera di G.C. n. 14 del 28 gennaio 2022 e, prima ancora, alla delibera di C.C. n. 24/2018 - cfr. art. 58, comma 2 del d.l. n. 112/2008), l'attivazione del potere di autotutela esecutiva ex art. 823, comma 2 c.c. non era consentita". Il comune di Caserta, nel costituirsi in giudizio in primo grado, ha depositato l'atto, adottato il 19 maggio 2023 dal dirigente dell'ente locale ing. Vi., in cui si afferma che "da verifiche effettuate è emerso che l'impianto denominato Piazza (omissis) è inserito nell'inventario come beni immobili di uso pubblico per natura o destinazione e pertanto lo stesso non ricade nei beni immobili patrimoniali disponibili". L'atto richiama, sul punto, la delibera di Giunta comunale n. 183/2019, successivamente impugnata con ricorso per motivi aggiunti. Con la sentenza n. 1272 del 26 febbraio 2024 il Tar ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, individuando quale giudice munito di giurisdizione quello ordinario: la motivazione si fonda sul richiamo dell'ordinanza regolatoria delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 255 del 4 gennaio 2024. 4. L'appello è affidato a due motivi. Con il primo motivo si deduce error in iudicando in relazione alla declinatoria di giurisdizione. In sintesi l'appellante fa presente che uno dei motivi di ricorso investiva l'illegittimità del provvedimento impugnato per carenza dei presupposti per l'esercizio del potere: si trattava, infatti, di un provvedimento emanato dall'amministrazione comunale nell'esercizio del potere autoritativo di polizia demaniale su un bene facente parte del patrimonio disponibile e che a fronte di un siffatto provvedimento, il destinatario dell'atto non può che assumere una posizione giuridica di interesse legittimo. Quindi lamenta che, nella sentenza, il Tar avrebbe declinato la giurisdizione richiamando un precedente delle sezioni unite della Corte di Cassazione, che avrebbe deciso una fattispecie del tutto diversa da quella in esame. Nel caso di specie infatti non sarebbe possibile affermare che il provvedimento impugnato sia stato adottato dall'amministrazione nella gestione di un rapporto iure privatorum, né potrebbe esservi ricondotto in via esegetica qualificandolo, a posteriori, come mera "diffida". In definitiva ritiene che il provvedimento impugnato in primo grado si configuri come atto autoritativo illegittimo, in quanto viziato per carenza di potere in concreto, con conseguente radicamento della giurisdizione amministrativa. Con il secondo motivo sono riproposti i motivi formulati in primo grado. 5. L'appello è fondato. La narrazione dei fatti di causa si è resa necessaria per perimetrare l'oggetto del presente giudizio e per chiarire quale sia l'origine del provvedimento impugnato in primo grado. L'ordinanza dell'11 maggio 2023, adottata dal dirigente del comune di Caserta, rappresenta l'atto conclusivo di un rapporto concessorio che, essendo stato dichiarato nullo dal giudice amministrativo, impone al comune di rientrare nella disponibilità del bene concesso. Osserva il Collegio che, nel caso di specie, il comune non ha agito in posizione paritetica con il concessionario bensì esercitando poteri chiaramente autoritativi: la differenza tra la vicenda esaminata dalle sezioni unite e la fattispecie in esame è, peraltro, agevolmente ricavabile proprio dall'ordinanza richiamata dal Tar, di cui si dirà nel prosieguo. Dal provvedimento impugnato in primo grado risulta testualmente che lo stesso è stato adottato ai sensi dell'art. 823, comma 2, del codice civile, il quale nel disciplinare la condizione giuridica del demanio pubblico stabilisce che "spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che ne fanno parte del demanio pubblico. Essa ha la facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso, regolati dal presente codice". Richiamata e trascritta la suddetta norma il dirigente prosegue ricordando: "che l'autotutela patrimoniale delle Amministrazioni pubbliche è esercitabile nei confronti di beni appartenenti anche al patrimonio indisponibile dell'ente comunale per effetto del combinato disposto degli artt. 826, comma 3, e 828 c.c."; che "nella fattispecie, ricorre la facoltà di autotutela esecutiva amministrativa per rientrare nel possesso della disponibilità del bene sopra citato"; che "l'art. 21ter, comma 1, della legge n. 241/90, prevede che "nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l'adempimento degli obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l'interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all'esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge"". Dunque il dirigente ha inteso spendere il potere di autotutela esecutiva sul presupposto, affermato nel provvedimento, che il bene di cui è ordinato lo sgombero appartenga al patrimonio indisponibile del comune. La ricorrente, invece, già in primo grado sosteneva che il bene in questione apparterrebbe al patrimonio disponibile del comune, ricavando tale qualificazione dal "Piano delle Alienazioni e delle Valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali", approvato con delibera del Consiglio comunale n. 24 del 17 aprile 2018, in cui l'infrastruttura adibita a parcheggio ed oggetto del provvedimento per cui è causa risulta inserita tra gli immobili suscettibili di alienazione (detta circostanza è, peraltro, contestata dal comune nelle sue difese, richiamando la delibera di Giunta comunale n. 183 dell'11 novembre 2019 che riporterebbe una diversa collocazione del bene in questione nell'elenco dei beni comunali appartenenti al patrimonio disponibile ed indisponibile dell'Ente), con la necessaria conseguenza dell'impossibilità per il comune di avvalersi dell'autotutela esecutiva, dovendo viceversa, a suo dire, procedere con gli ordinari rimedi civilistici a tutela della proprietà e del possesso. Dunque l'oggetto del giudizio postula un duplice accertamento: quello riguardante la legittimità del potere esercitato in concreto e quello riguardante la natura del bene di che trattasi: se appartenente al patrimonio disponibile, l'autotutela non poteva essere esercitata, se appartenente al patrimonio indisponibile, come affermato nel provvedimento dal dirigente, l'autotutela era ammissibile. Osserva il Collegio che il principio affermato dalle sezioni unite della Corte di cassazione nell'ordinanza n. 255/2024, richiamata dal Tar, è pienamente condiviso dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. tra le tante, sez. VII, 16 aprile 2024, n. 3449; id., 30 aprile 2024, n. 2980), tanto che l'incipit del principio affermato dalle sezioni unite, non riportato dal Tar nel virgolettato, è il seguente: "Costituisce principio acquisito, tanto nella giurisprudenza della Suprema Corte, quanto nella giurisprudenza amministrativa, che il potere di autotutela....". É infatti pacifico, come afferma la citata ordinanza, che il potere di autotutela, attribuito all'amministrazione in relazione ai beni demaniali, è esteso, in virtù del combinato disposto degli artt. 823 e 825 c.c., ai beni del patrimonio indisponibile, mentre resta escluso per la tutela dei beni del patrimonio disponibile, rispetto ai quali l'amministrazione potrà avvalersi solo delle ordinarie azioni a tutela della proprietà e del possesso. Pertanto, in presenza di beni del patrimonio disponibile di proprietà del comune, occupati sine titulo, gli atti posti in essere dall'amministrazione comunale non possono ritenersi riconducibili all'esercizio di un potere autoritativo a tutela di un bene pubblico, quale è quello attribuito dall'art. 823 con riferimento ai beni demaniali e ai beni patrimoniali indisponibili, quanto piuttosto all'esercizio di un potere di autotutela del patrimonio immobiliare, posto in essere iure privatorum. L'affermazione consequenziale contenuta nell'ordinanza in rassegna, secondo cui "Si tratta, in altre parole, di atti di diffida di natura paritetica volti alla tutela della proprietà comunale, a fronte dei quali sussistono posizioni di diritto soggettivo, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario sulle relative controversie", sulla quale il Tar ha fatto acriticamente leva per declinare la giurisdizione, è tuttavia correlata alla fattispecie concreta ivi dedotta in giudizio che, come risulta dalla parte in fatto della stessa ordinanza, riguardava una "azione di manutenzione nel possesso di un fabbricato e di terreni", in relazione ai quali il comune proprietario aveva ordinato "di rimuovere dalle dette particelle... qualsiasi oggetto e bene di proprietà entro 10 giorni dal ricevimento; con avvertenza che decaduto tale termine il Comune di... provvederà a rimuovere la recinzione della particella sopra citata nonché il manufatto esistente" aggiungendo che, in riferimento a tale missiva, il ricorrente aveva dedotto "che l'ordine con essa rivolto non trovava giustificazione nell'esercizio di un potere autoritativo dell'ente, costituendo, pertanto, una molestia al proprio possesso, nel quale chiese di essere mantenuto". Nel caso di specie, invece, è del tutto evidente che non si tratti di azione possessoria bensì di ordinanza di sgombero di un immobile di proprietà pubblica, adottato nell'esercizio di poteri autoritativi. Ciò posto, premesso che l'autorità amministrativa è titolare, in astratto, dei poteri di autotutela esecutiva, come ricordato anche dalle sezioni unite, ciò che discrimina la legittimità dell'uso di tale potere in concreto, è la natura del bene a tutela del quale esso viene esercitato. Nel declinare la giurisdizione il Tar ha compiuto un salto logico, omettendo di accertare proprio la natura del bene di cui è stato ordinato lo sgombero, al fine di verificare "se" quel potere concretamente esercitato, potesse essere esercitato oppure no. In altri termini il primo giudice, che sembrerebbe essersi orientato nel senso di ritenere l'ordinanza impugnata come riferibile ad un bene del patrimonio disponibile, quindi emessa in carenza di potere in concreto, anziché rispondere alla domanda di giustizia formulata dalla parte ricorrente, che sosteneva appunto tale tesi, erroneamente si è spogliato della giurisdizione. Osserva il Collegio che la risposta che, in questo caso, il giudice amministrativo deve dare è se il comune, nel caso di specie, possa esercitare i poteri autoritativi. Se la risposta dovesse essere positiva perché il bene viene fatto rientrare nel patrimonio indisponibile dell'ente, il ricorso (salvo l'esame delle ulteriori censure non scrutinate) andrebbe respinto in quanto, una volta verificato che l'area continua ad essere abusivamente adibita ad uso privato, legittimamente e doverosamente il comune deve attivare il proprio potere di autotutela esecutiva di cui all'art. 823 del codice civile, esercitabile anche a tutela dei beni del patrimonio indisponibile (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 2015, n. 4554). Siffatto provvedimento avrebbe natura doverosa e vincolata e non necessiterebbe né della preventiva comparazione con gli interessi del privato occupante, non potendosi giammai ingenerare un affidamento "legittimo" in presenza di una situazione connotata da evidente abusività, né di specifica motivazione, se non quella necessaria a dare atto dell'accertamento dell'abusiva occupazione e nei confronti del quale non è configurabile il vizio di eccesso di potere, perché l'esercizio del potere di autotutela esecutiva si giustifica unicamente in ragione della perdurante occupazione sine titulo del bene pubblico (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 29 gennaio 2024, n. 862). Né, in tal caso, rileverebbe una eventuale iniziale tolleranza in merito all'occupazione del bene (tolleranza tutt'altro che sussistente nel caso di specie) non radicando un simile contegno dell'amministrazione alcuna posizione di diritto o di interesse legittimo in capo all'occupante sine titulo (cfr., per il principio, Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2013, n. 4775). Se, viceversa, la risposta dovesse essere negativa, l'atto impugnato non potrebbe che essere annullato. Soltanto sulla successiva attività che il comune dovesse porre in essere affidandosi (questa volta correttamente) agli ordinari rimedi civilistici, mediante azioni petitorie o possessorie, si radicherebbe correttamente la giurisdizione del giudice ordinario: si tratta, tuttavia, di attività che, nel caso di specie, non risulta ancora posta in essere e che, esula, quindi dal thema decidendum. A maggior chiarimento di quale sia l'accertamento che il giudice deve compiere, valga richiamare una recente pronuncia (Cons. Stato, sez. V, 9 febbraio 2024, n. 1337), che ha affrontato il tema della corretta qualificazione del potere esercitato dal comune, in una fattispecie in cui era stato ingiunto lo sgombero di un immobile acquisito al patrimonio pubblico. Nella fattispecie ivi esaminata il Tar aveva accolto il ricorso sull'assorbente rilevo dell'illegittimo ricorso all'autotutela esecutiva con riferimento a un bene del patrimonio disponibile, sicché il comune non avrebbe potuto esercitare poteri autoritativi, ma avrebbe dovuto agire innanzi al giudice ordinario, ricorrendo agli strumenti previsti dalla legge per la tutela della proprietà e del possesso. Il Consiglio di Stato ha innanzitutto sciolto il dubbio sulla giurisdizione con le seguenti argomentazioni: - il provvedimento con il quale l'amministrazione comunale ordina lo sgombero di un immobile abusivamente realizzato, acquisito al patrimonio pubblico a seguito di inottemperanza all'ordine di demolizione, "costituisce esercizio di poteri pubblicistici di repressione dell'abusivismo e conseguentemente la giurisdizione appartiene al Giudice amministrativo" (C.g.a., sez. giur., 20 marzo 2020 n. 194); - l'atto di sgombero dell'immobile abusivo che sia stato acquisito al patrimonio comunale per inottemperanza all'ordine di demolizione notificato al privato - che si inserisce nell'ambito dei provvedimenti repressivi dell'abusivismo ordinariamente di competenza dirigenziale - ha dunque natura provvedimentale e autoritativa, essendo riconducibile all'esercizio di poteri pubblicistici dell'ente locale, il che dà luogo alla potestas iudicandi del giudice amministrativo sulle relative controversie; - a tal riguardo le sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 19889 del 22 settembre 2014, hanno chiarito che: "la giurisdizione in relazione al provvedimento di demolizione (e, per quel che concerne la fattispecie in esame, in relazione a quello "propedeutico" di sgombero) adottato dalla P.A. spetta al giudice amministrativo, e ciò a prescindere dalle ragioni addotte in tale provvedimento - che saranno eventualmente sindacate dinanzi a quel giudice - onde ogni eventuale contestazione circa la spettanza del relativo potere in capo alla Amministrazione che ha adottato il provvedimento ovvero circa le modalità con cui esso è stato esercitato (...) configura questione devoluta al giudice amministrativo"; - la giurisprudenza (cfr. C.g.a., sez. giur. 3 aprile 2018, n. 178), muovendo dalla considerazione per cui l'art. 823 c.c. ammette il ricorso dell'amministrazione all'esercizio dei poteri amministrativi al solo fine di tutelare i beni del demanio pubblico e del patrimonio indisponibile, ha affermato che il potere di autotutela esecutiva presuppone il previo accertamento della natura del compendio immobiliare oggetto di tutela recuperatoria, sicchè "l'Amministrazione può, ove richiesto, adottare solo i rimedi di carattere ordinario. Ipotesi che ricorre nella controversia oggetto dell'appello, non avendo l'immobile di cui si discute i requisiti che ne consentirebbero la qualificazione come bene appartenente al patrimonio indisponibile. Con la conseguenza che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia in ordine all'ordinanza di sgombero di un immobile che si colloca nell'alveo del patrimonio disponibile del comune, essendo stata tale ordinanza emessa in carenza assoluta di potere e, pertanto nulla, con conseguente lesione di diritti soggettivi tutelabili innanzi al giudice ordinario" (C.g.a., 3 aprile 2018, n. 178; anche Cons. Stato, sez. VII, 19 maggio 2023, n. 4987; Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5934); - non sembra dubitabile che ogni qualvolta in cui l'atto di sgombero costituisca "nient'altro che il terminale esecutivo dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale dell'opera abusiva, di per sé dotati, in quanto estrinsecazioni dei poteri di vigilanza e di repressione urbanistico-edilizia sul territorio (cfr. art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001), del connotato dell'esecutorietà, ossia della possibilità di essere portati ad esecuzione coattivamente ad opera della stessa amministrazione e senza l'intermediazione dell'autorità giudiziaria" (Cons. Stato, sez. VI, 26 gennaio 2015 n. 316), esso viene a configurarsi a guisa di vero e proprio provvedimento amministrativo, esecutivo di precedenti misure repressive di opere abusive, attratto, come tale, al sistema tipizzato delle sanzioni in materia edilizia, vertendosi in un'ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti in materia urbanistica ed edilizia ai sensi dell'art. 133, lett. f), c.p.a. (cfr. C.g.a., n. 194 del 2020 cit.). Ciò posto, la sentenza ha confermato la decisione del Tar attraverso i seguenti snodi argomentativi: - sebbene, come detto, l'amministrazione possa legittimamente agire seguendo le regole proprie dell'esercizio dei poteri autoritativi di sgombero nell'ambito del procedimento repressivo-ripristinatorio degli abusi edilizi così come tratteggiato dalla disciplina del d.P.R. n. 380 del 2001 al fine di ottenere il rilascio dell'immobile occupato da soggetti privati (il più delle volte gli ex proprietari), onde eseguire concretamente l'immissione in possesso finalizzata alla successiva demolizione dello stesso oppure, a determinate condizioni, al suo utilizzo per fini pubblici, di tanto, però, non vi è alcuna evidenza nell'ordinanza di sgombero impugnata; - se è vero che l'atto di sgombero è certamente strumento idoneo a perseguire il mancato rilascio dei beni, spesso occupati, anche dopo l'acquisizione, dagli stessi soggetti che hanno perpetrato l'illecito edilizio, deve, tuttavia, rilevarsi come il provvedimento impugnato non contenga alcun riferimento all'esercizio dei poteri repressivi in materia edilizia ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. 380 del 2001, né cenno alcuno all'abusività dei manufatti o a eventuali ordinanze di demolizione che non risultano nel frattempo neanche adottate (né la difesa dell'amministrazione ha dato prova contraria), avendo il comune soltanto disposto che l'ufficio tecnico avesse cura di provvedere alla loro adozione; - l'ordinanza di sgombero si limita, infatti, a enunciare che sui lotti occupati senza titolo dei ricorrenti in cui è suddiviso il terreno "vi sono dei manufatti edili diversi tra loro per tipologia, forma e utilizzo di materiali costruttivi con annessa strada interpoderale delimitata da due cancelli metallici, uno posizionato in corrispondenza della complanare, l'altra a delimitazione della spiaggia" e a richiamare succintamente alcune risalenti ordinanze con le quali, rispettivamente, si vietò di disporre con atto tra vivi dell'immobile, se ne dispose l'acquisizione di diritto al patrimonio del comune e si ordinò, a suo tempo, lo sgombero dell'area già occupata; ma non contiene il benché minimo riferimento alla commissione di abusi edilizi o indicazione sulla loro concreta consistenza; - solo in sede di giudizio, con le deduzioni processuali contenute negli atti di causa, il comune ha sostenuto che l'impugnata ordinanza di sgombero sia riconducibile ad attività esecutiva del procedimento repressivo e sanzionatorio di illeciti edilizi avviato nel 1992 con l'acquisizione del bene al patrimonio disponibile a seguito del contestato frazionamento per finalità edificatorie, viceversa il provvedimento non contiene alcun riferimento che consenta di ricondurlo all'esercizio dei poteri pubblicistici afferenti alle funzioni di controllo e sanzione in materia edilizia, avendo soltanto ordinato il rilascio del bene disponibile di sua proprietà occupato sine titulo, dichiarando espressamente di agire con lo strumento in parola per far fronte alla "occupazione di immobile di proprietà comunale"; - in assenza di elementi che consentano di configurare l'ordinanza in questione come il terminale esecutivo dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale dell'opera abusiva, di per sé dotati, in quanto estrinsecazioni dei poteri di vigilanza e di repressione urbanistico-edilizia sul territorio (cfr. art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001), del connotato dell'esecutorietà, "non resta che ricondurre l'azione intrapresa dal comune, per come concretamente esercitata, ai poteri di autotutela disciplinati dall'art. 823 comma 2 del codice civile"; - "in tal caso, tuttavia, al cospetto di un bene al patrimonio disponibile del comune - quale pacificamente è il terreno oggetto della presente controversia acquisito gratuitamente al patrimonio dell'ente a seguito dell'illegittimo frazionamento per pretese finalità edificatorie contestato ai ricorrenti - il comune non avrebbe potuto esercitare l'autotutela amministrativa per le ragioni correttamente indicate dal primo giudice ma il recupero del bene avrebbe dovuto seguire, invece, le vie contrassegnate dagli strumenti giurisdizionali ordinari, a mezzo delle azioni possessorie o della rei vindicatio civilistica (Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5934)"; - "i poteri di tutela esecutoria dell'amministrazione in presenza di occupazioni da terzi sono da ritenersi sine titulo quando la pubblica amministrazione agisca in area appartenente al patrimonio disponibile, dove l'esercizio di tale potere autoritativo non trova fondamento: l'autotutela demaniale si collega, infatti, al regime dominicale del bene pubblico, in coerenza con le funzioni amministrative di disciplina, ordinata gestione e uso del bene medesimo e con l'esigenza di "reagire" rispetto a condotte appropriative o usurpative di carattere privato". Quindi la sentenza ha concluso che sussiste una effettiva e comprovata divergenza, nei sensi sopra indicati, fra l'atto di sgombero e la sua funzione tipica, essendo stato il potere esercitato per finalità diverse da quelle enunciate dalla norma di cui all'art. 823 c.c., attributiva dello stesso. Come si evince (anche) dalla decisione innanzi riportata, l'accertamento del giudice, ove si controverta di esercizio dei poteri di autotutela esecutiva, va svolto "in concreto", avendo riguardo alla fattispecie dedotta in giudizio e alle caratteristiche degli atti adottati. In conclusione l'appello è fondato e va accolto. Come noto, laddove sussista la giurisdizione del giudice amministrativo, declinata in primo grado dal Tar, il giudice di secondo grado non può che annullare la sentenza impugnata, senza ulteriore trattazione della causa (cfr. tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7510), poiché, nel caso di erronea declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nella sentenza di primo grado, la causa deve essere rimessa al Tar e da questi decisa, ai sensi dell'art. 105 c.p.a. (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 dicembre 2011, n. 6492). Pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al giudice di primo grado, secondo le modalità di cui all'art. 105, comma 3, del codice del processo amministrativo, non potendo il Consiglio di Stato pronunciarsi nel merito (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 847). 5. In ragione della particolarità della questione di giurisdizione esaminata, si può disporre l'integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo e annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tar della Campania, dinanzi al quale il giudizio dovrà essere riassunto entro il termine di novanta giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della presente sentenza. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 218 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. Lo. e Gi. Li. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Difesa (Brigata Alpina "Julia" - 8° Reggimento Alpini), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste, domiciliataria ex lege in Trieste, piazza (...); Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: per l'annullamento dell'ALLEGATO "B" - foglio prot.-OMISSIS- a firma del Comandante del Reggimento Col. -OMISSIS- notificato al ricorrente a mani in data 04/04/2022; per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del provvedimento sopra citato nonché dell'allegato "D" (a firma del Comandante del Reggimento Col. -OMISSIS- alla comunicazione -OMISSIS- dd. 21/12/2021; ivi compreso l'invito a produrre la documentazione relativa all'obbligo vaccinale; di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ove lesivo o allo stato non conosciuto; nonché per l'accertamento del diritto del ricorrente a percepire la retribuzione ed ogni altro compenso o emolumento, comunque denominati, relativamente al periodo di sospensione o, in via gradata, del diritto a percepire la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo secondo le disposizioni del Codice dell'Ordinamento Militare e per la relativa condanna dell'Amministrazione a corrispondere tali somme quale risarcimento del danno subito dal ricorrente in conseguenza dei provvedimenti sopra citati; nonché per l'accertamento del diritto del ricorrente a vedersi riconosciuti, per il periodo di sospensione, la maturazione di classi e scatti economici, la maturazione della licenza ordinaria, gli effetti pensionistici, gli accantonamenti contributivi, i trattamenti fissi e continuativi, gli assegni accessori, i compensi indennitari e l'accertamento della validità del periodo di sospensione ai fini dello svolgimento delle attribuzioni specifiche/periodi di comando richiesti per l'avanzamento; nonché per la condanna dell'Amministrazione, ex art. 30 c.p.a., al risarcimento in forma specifica del danno ingiusto subito dal ricorrente derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa in via equitativa ritenuta di giustizia; previa, ove necessario, disapplicazione dell'art. 2 del Decreto Legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in Legge n. 3 del 21.01.2022, recante "Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali"; previa, ove necessario, remissione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in legge n. 3 del 21.01.2022; Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati dal signor -OMISSIS- il 21/6/2023: per l'annullamento - del decreto di detrazione dell'anzianità di grado -OMISSIS-, notificato l'11/04/2023, emesso dal Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare, a firma del Dirigente dott. -OMISSIS-; - di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ove lesivo o allo stato non conosciuto; nonché per la condanna dell'Amministrazione al pagamento della perdita economica subita dal ricorrente a seguito della detrazione di anzianità decretata e degli effetti derivanti dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa in via equitativa ritenuta di giustizia; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2024 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso introduttivo notificato il 19 aprile 2022 e depositato il successivo giorno 18 maggio 2022, il ricorrente, C.le Magg. C.a. dell'Esercito italiano effettivo alla Compagnia Comando Supporto Logistico - 8° Reggimento Alpini di Venzone (UD), ha impugnato l'atto in epigrafe compiutamente indicato, con cui è stata disposta nei suoi confronti la sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa per inosservanza dell'obbligo vaccinale e, conseguentemente, decurtata la sua retribuzione nel periodo di sospensione. Il ricorrente ha dedotto le seguenti censure: 1) Violazione ed errata applicazione degli artt. 885 - 877 - 878 - 893 - 914 -915 - 916 - 917 - 920 - 922 - 936 e 1352 del Codice dell'Ordinamento militare, decreto legislativo n. 66 del 15.03.2010 - incompetenza - violazione ed errata applicazione dell'art. 4 della legge n. 17 del 25.01.1982 e dell'art. 4 della legge n. 97 del 27.03.2001 - violazione del decreto legge 127/2021 - violazione del decreto legge n. 44/2021 - violazione della legge n. 76/2021 - violazione della legge n. 106/2021 - violazione dei principi di imparzialità e proporzionalità - illogicità ed ingiustizia manifesta; 2) Illegittimità costituzionale del decreto legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in legge n. 3 del 21.01.2022, per violazione degli artt. 2 - 3 - 4 - 13 - 32 - 35 - 36 - 117 della Costituzione - violazione degli artt. 3, 21 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - violazione dell'art. 14 della Convenzione dei diritti dell'uomo - violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale n. 12 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali - violazione dell'art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - violazione del regolamento UE 953/2021 - violazione della dichiarazione di Helsinki - violazione art. 500 del d.lgs. n. 297/1994 (T.U. della scuola) e dell'art. 82 del d.P.R. n. 3/1957. Ha indi chiesto: a) l'annullamento del provvedimento impugnato, previa eventuale rimessione alla Corte Costituzionale delle questioni di legittimità costituzionale prospettate; b) l'accertamento del diritto a percepire la retribuzione ed ogni altro compenso o emolumento relativamente al periodo di sospensione; c) in via gradata, l'accertamento del diritto a percepire la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo secondo le disposizioni del d.lgs. n. 66/2010; d) in ogni caso, la condanna dell'Amministrazione al risarcimento in forma specifica del danno ingiusto. 2. L'Amministrazione si è costituita in giudizio in resistenza al ricorso. 3. Con l'ordinanza -OMISSIS-del 23 marzo 2023 questo T.A.R. ha sospeso il giudizio nell'attesa della pronuncia della Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella causa C-765/2021 su questione pregiudiziale. 4. Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 9 giugno 2023 e depositato il successivo 21 giugno 2023, il ricorrente ha gravato, chiedendone l'annullamento, il decreto di detrazione dell'anzianità di grado nel frattempo emesso dall'Amministrazione, denunciandone l'illegittimità per: 1) Violazione dell'art. 4 ter del decreto legge n. 44/2021 convertito in legge n. 76 del 28.05.2021 - eccesso di potere per errore nei presupposti - violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa; 2) Violazione delle disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate - violazione degli articoli 2251 bis, 2251 ter, 2251 quater, 2251 sexies, 2252, 2252 bis, 2252 ter, 2253, 2253 bis, 2253 ter, 2253 quater, 2253 quinquies, 2253 sexsies, 2253 septies, 2254 bis, 2254 ter, 2254 quater, 2255, 2255 bis, 2255 ter, 2256 del d.lgs. n. 66/2010 - violazione del decreto legislativo n. 94 del 29.05.2017 - violazione del decreto legislativo n. 173 del 27.12.2019 - eccesso di potere per errore nei presupposti - violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa. 5. Il 5 settembre 2023 ha presentato apposita istanza di fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio e, poi, con atto in data 18 marzo 2024 ha chiesto il passaggio della causa in decisione senza discussione. 6. All'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2024 la causa è passata in decisione. 7. Il ricorso è fondato solo in minima parte. Per il resto è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato. 8. Le censure relative all'illegittimità della disposta sospensione dal servizio sono inammissibili. Dall'esame degli atti risulta infatti che con atto -OMISSIS- del 21 dicembre 2021, spedito per la notifica al ricorrente in data 23 dicembre 2021 e da questi ricevuto il successivo 30 dicembre 2021 (doc. 007 - fascicolo Ministero in data 31/05/2024), è stato accertato l'inadempimento dell'obbligo vaccinale ed è stata disposta a carico del medesimo la sospensione dall'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari, con i correlati effetti di legge. Come da preliminare rilievo formulato con l'ordinanza collegiale n. -OMISSIS- e ribadito all'odierna udienza ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a., l'effetto lesivo della sfera giuridica del ricorrente, in ragione della sospensione dal servizio, si era già manifestato il 21 dicembre 2021 (rectius il 30 dicembre 2021); sicché era quell'atto a dover essere immediatamente impugnato, cosa che invece non è avvenuta. Con l'atto del 31 marzo 2022, impugnato con il presente ricorso, l'Amministrazione ha solamente operato una ricognizione del periodo di sospensione, quantificando l'effettiva durata della sospensione dal servizio già in precedenza disposta. Per la parte in cui si ribadisce la già disposta sospensione ed i suoi effetti, l'atto ricognitorio impugnato non presenta alcuna novità ; ne consegue la natura meramente confermativa dell'atto in parte qua (cfr. T.A.R. Piemonte, n. 196/2024). Le censure che in questa sede contestano in sé l'istituto della sospensione sono quindi inammissibili per carenza d'interesse. 9. Quanto alle restanti questioni di merito, in buona parte infondate, questo Collegio condivide in toto le argomentazioni sviluppate dal T.A.R. Lombardia, Brescia, nella sentenza n. 940/2023 che devono qui intendersi richiamate. 9.1. Nello specifico del primo motivo di ricorso, quanto alla censura d'incompetenza del Comandante di Corpo ad adottare l'atto ricognitivo del periodo di sospensione, è sufficiente ribadire che l'art. 4-ter, comma 2, del d.l. 44/2021, prevede che il rispetto dell'obbligo vaccinale sia assicurato, per il personale del comparto difesa e sicurezza, da "i responsabili delle strutture in cui presta servizio il personale", nel senso chiarito dal T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 940/2023 ("La competenza di cui alla disposizione appena citata si riferisce ad " assicurare il rispetto dell'obbligo" di vaccinazione: questo significa, con tutta evidenza, non solo accertare i casi di inosservanza di tale obbligo, ma anche applicare la sospensione dal lavoro che la legge prevede come conseguenza di tale inosservanza, perché il rispetto di un qualsivoglia obbligo viene assicurato anche applicando le conseguenze sfavorevoli che l'ordinamento prevede per il caso di inosservanza. Peraltro la legge prevede che la sospensione sia automatica e contestuale all'accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale: il 3° comma dell'art. 4 ter cit. dispone infatti che " L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro" . Pertanto il titolare del potere di accertamento può senza dubbio dichiarare l'avvenuta sospensione dal lavoro del pubblico dipendente, con un atto che è meramente ricognitivo dell'effetto prodotto ex lege, e non costitutivo"). 9.2. L'ulteriore censura relativa alla violazione dell'art. 893, comma 2, del d.lgs. n. 66/2010 ("Il rapporto di impiego può essere interrotto, sospeso o cessare solo in base alle disposizioni del presente codice") è inammissibile, perché essa attiene, a ben vedere, ad un vizio che doveva essere dedotto con la tempestiva impugnativa del presupposto decreto di sospensione dal servizio. La censura è comunque manifestamente infondata "perché è nozione istituzionale che un atto avente forza di legge, quale il decreto legge che ha introdotto l'obbligo di vaccinazione anti-Covid per alcune categorie di lavoratori, ben può derogare a una fonte di pari rango, qual è il codice dell'ordinamento militare. Che poi la norma derogatoria, giustificata dall'emergenza pandemica, sia collocata all'interno del medesimo codice oppure in un corpus normativo distinto, non ha nessuna incidenza sulla legittimità e sull'efficacia della norma medesima. Peraltro la scelta di non collocare la norma all'interno del c.o.m. risulta del tutto ragionevole, considerando sia il carattere temporaneo della stessa, collegata alla durata della pandemia, sia il fatto che l'obbligo vaccinale è stato previsto con identica disciplina, in un corpus normativo unitario, anche per altre categorie di dipendenti pubblici estranei all'ordinamento militare" (T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 940/2023). 9.3. La censura relativa alla violazione dell'art. 920 del d.lgs. n. 66/2010 ("Al militare durante la sospensione dall'impiego compete la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo. Agli effetti della pensione, il tempo trascorso in sospensione dal servizio è computato per metà ") è fuori fuoco atteso che essa non tiene conto né si confronta con quanto previsto dalla norma speciale derogatoria. L'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, introdotto dall'art. 2 del d.l. n. 172 del 2021, come convertito, dettava precise disposizioni sulle modalità di accertamento della violazione dell'obbligo vaccinale e sulle sue esatte conseguenze, prevedendo al riguardo che "... L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati". Si osserva, peraltro, che le ipotesi in cui è prevista la corresponsione di emolumenti al personale sospeso dall'impiego (art. 82 del d.P.R. 3/1957, art. 920 del d.lgs. 66/2010) si correlano a vicende (procedimenti penali o disciplinari pendenti) che "procedono in modo autonomo ed insensibile, rispetto alla volontà dell'incolpato o dell'imputato di poterne bloccare lo svolgimento (per l'effetto, dimostrandosi giustificata l'erogazione di alcune provvidenze, quali la corresponsione di parte degli assegni a carattere fisso e continuativo e dell'assegno alimentare); laddove la persistenza della sospensione dal diritto all'erogazione della prestazione lavorativa (e della percezione degli emolumenti a fronte di essa spettanti) consegue a fatto "proprio", volontariamente posto in essere dal dipendente (obbligato a vaccinarsi) e dal medesimo liberamente rimuovibile, in ogni momento, per effetto del mero assolvimento del comportamento doveroso di cui trattasi" (cfr. T.A.R. Lazio, n. 4914/2022). Come ha chiarito la Corte costituzionale nella sentenza n. 14/2023 (al paragrafo 13.2) a proposito della norma analoga valevole per il personale sanitario, la sospensione dal lavoro prevista dall'art. 4 ter del d.l. 44/2021 non è una sanzione, ma è "una conseguenza calibrata, in termini di sacrificio dei diritti dell'operatore sanitario, che sia strettamente funzionale rispetto alla finalità perseguita di riduzione della circolazione del virus. E ciò tanto in termini di durata, posto che... il legislatore ha introdotto, sin dall'inizio, una durata predeterminata dell'obbligo vaccinale, modificandola, costantemente, in base all'andamento della situazione sanitaria, giungendo ad anticiparla appena la situazione epidemiologica lo ha consentito; quanto in termini di intensità, trattandosi di una sospensione del rapporto lavorativo, senza alcuna conseguenza di tipo disciplinare, e non di una sua risoluzione". Del tutto generica è poi la deduzione che "alle categorie di soggetti obbligati per legge alla somministrazione del vaccino in oggetto avrebbe dovuto essere rilasciata una apposita prescrizione medica che, invece, come noto, non viene rilasciata da alcun medico curante derivandone anche da tale circostanza l'illegittimità del provvedimento di sospensione oggi impugnato", atteso che l'obbligo di vaccinazione discendeva direttamente dalla legge, senza necessità di ulteriori intermediazioni. In ogni caso il vizio attiene all'originario provvedimento sospensivo. 10. Il secondo motivo è in buona parte inammissibile e precisamente nella parte in cui con esso la parte ricorrente ha dedotto l'illegittimità della disposta sospensione per la violazione di parametri costituzionali e internazionali; censure che, tuttavia, andavano rivolte al provvedimento col quale la sospensione era stata disposta. 10.1. Quanto alle conseguenze patrimoniali, connesse in effetti agli specifici provvedimenti qui gravati, si rileva quanto segue. 10.1.1. Quanto agli aspetti concernenti il riconoscimento di un assegno alimentare, sotto il profilo della legittimità costituzionale dell'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, la Corte Costituzionale ha già esaminato la questione, ritenendola infondata, anche sotto il profilo della proporzionalità e ragionevolezza (cfr. par. 14 della sentenza n. 15/2023). 10.1.2. Fatto salvo quanto si osserverà in seguito (pt. 10.1.4), anche la dedotta violazione dell'art. 36 Cost. risulta manifestamente infondata atteso che "la situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa in cui si viene a trovare il dipendente che non abbia adempiuto all'obbligo vaccinale deriva pur sempre da una scelta individuale di quest'ultimo e non da un fatto oggettivo. Nondimeno il legislatore, proprio nel rispetto della eventuale scelta del lavoratore di non attenersi all'obbligo vaccinale, si è limitato a prevedere la sospensione del rapporto di lavoro, disciplinando la fattispecie alla stregua di una impossibilità temporanea non imputabile. Di conseguenza, poiché la prestazione offerta dal lavoratore che non si è sottoposto all'obbligo vaccinale non è conforme al contratto, come integrato dalla legge, è certamente giustificato il rifiuto della stessa da parte del datore di lavoro e lo stato di quiescenza in cui entra l'intero rapporto è semplicemente un mezzo per la conservazione dell'equilibrio giuridico-economico del contratto" (così la richiamata sentenza n. 15/2023). 10.1.3. Le altre censure proposte (violazione dell'obbligo vaccinale in oggetto rispetto all'art. 32 della Costituzione e le questioni relative al consenso libero e informato della persona interessata) erano da dedursi con l'impugnativa del provvedimento del dicembre 2021, ormai consolidatosi. Non giova alla ricorrente nemmeno il richiamo alla sentenza della Corte di Giustizia C-765/2021 che ha giudicato irricevibile il rinvio pregiudiziale sottopostole dal Tribunale di Padova. La ricorrente, nella sua memoria depositata in giudizio il 16 febbraio 2024, enfatizza un unico passaggio motivazionale della pronuncia del giudice europeo ("il rilascio di dette autorizzazioni condizionate non comporta, in quanto tale, alcun obbligo, in capo ai destinatari potenziali di tali vaccini, di farsi somministrare questi ultimi, tanto più che il giudice del rinvio non ha esplicitamente posto l'interrogativo se le persone assoggettate all'obbligo vaccinale previsto all'articolo 4 del decreto-legge n. 44/2021 fossero obbligate ad assumere unicamente i vaccini oggetto delle suddette autorizzazioni condizionate" (punto 36) senza cogliere che l'argomento è stato speso per rilevare che non era stata adeguatamente chiarita dal giudice rimettente la rilevanza del parametro del diritto Ue invocato. D'altra parte la stessa pronuncia sul punto chiarisce senza equivoci che "Di conseguenza, in assenza di qualsiasi spiegazione da parte del giudice del rinvio circa i motivi per cui esso mette in discussione la validità delle autorizzazioni all'immissione in commercio condizionate nonché circa quelli relativi all'eventuale nesso tra, da un lato, la validità di tali autorizzazioni e, dall'altro, l'obbligo vaccinale contro la COVID-19 previsto all'articolo 4 del decreto legge n. 44/2021, si deve giudicare che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale non soddisfa i requisiti ricordati al punto 31 della presente sentenza per quanto riguarda la prima questione" (punto 37). 10.1.4. L'impugnazione merita, invece, di essere accolta, laddove rivolta alle conseguenze pregiudizievoli ulteriori rispetto alla privazione della retribuzione o di altro compenso o emolumento, fatte derivare dal Ministero intimato e compendiate nel provvedimento del 31 marzo 2022 e, poi, in quello del 22 giugno 2022, gravato col ricorso per motivi aggiunti. L'art. 4-ter, comma 3, del d.l. 1 aprile 2021, n. 44 legittima, invero, durante la sospensione dal servizio, unicamente la privazione della retribuzione o compenso o emolumento (in termini T.A.R. Lombardia - Milano, sez. I, 2 gennaio 2023, n. 16; T.A.R. FVG, sez. I, 27 febbraio 2023, n. 74; T.A.R. Sicilia - Palermo, sez. III, 6 giugno 2023, n. 1877; T.A.R. Lombardia - Milano, sez. V, 21 novembre 2023, n. 2750). Depone, invero, in tal senso, oltre al pacifico dato testuale, la circostanza, correttamente evidenziata dal ricorrente, che il legislatore, con riguardo ai casi di sospensione dal servizio per motivi penali e disciplinari, si è preoccupato di disciplinare specificamente le conseguenze che ne derivano sotto il profilo economico e giuridico, nel mentre, nel caso specifico, nulla ha disposto sul punto, essendosi limitato a stabilire che "L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati". In parte qua, il ricorso va, pertanto, accolto e, per l'effetto, annullati i provvedimenti gravati laddove viziati. Ne deriva l'obbligo per l'Amministrazione intimata di conformarsi sul punto alla presente decisione e di disporre in merito, adottando ogni necessario atto e/o provvedimento. 11. Le domande di accertamento (i trattamenti fissi e continuativi, gli assegni accessori, i compensi indennitari) e di condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno sono del tutto generiche e, pur proposte, non sono state adeguatamente e analiticamente dedotte nel corpo del ricorso. 12. In conclusione, alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso e il ricorso per motivi aggiunti vanno accolti nei sensi e limiti dianzi evidenziati. Il ricorso introduttivo, per il resto, deve essere, in parte, dichiarato inammissibile e, in parte, rigettato. 13. Le spese di lite, per la novità di alcune delle questioni esaminate, possono essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso e sul ricorso per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie nei sensi e limiti evidenziati in motivazione e, per l'effetto, annulla il provvedimento prot.-OMISSIS- (in parte qua) e il provvedimento n. -OMISSIS- 22/06/2022. Per il resto, dichiara il ricorso introduttivo in parte inammissibile e in parte lo respinge. Compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 20 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Carlo Modica de Mohac - Presidente Manuela Sinigoi - Consigliere, Estensore Daniele Busico - Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 198 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ma. De. e Sa. Po., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Azienda Ospedaliero Un. di Ca., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Cagliari, domiciliata in Cagliari presso gli uffici della medesima, via (...); Regione Autonoma della Sardegna, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Pa. e Fl. Is., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - della determinazione dell'Assessorato degli Affari Generali, Personale e Riforma della Regione n. -OMISSIS-, avente ad oggetto l'accertamento dei requisiti psico-fisici, approvazione elenco ammessi al corso di formazione degli agenti del corpo forestale, nella parte in cui non ricomprende il nome del ricorrente nel relativo elenco e lo include in quello - non conosciuto - degli inidonei, nonché, ove adottato, del provvedimento di esclusione del ricorrente; - del giudizio finale della Commissione medica dell'Azienda Ospedaliera Un. di Ca. del -OMISSIS-, recante giudizio di inidoneità alla prova medica; - nonché di tutti gli altri atti presupposti, inerenti e consequenziali, anche se non conosciuti, compresi gli eventuali verbali della Commissione Medica e il giudizio analitico; e per la condanna ex art. 30 c.p.a. dell'Amministrazione al risarcimento in forma specifica del danno subito dal ricorrente ordinando l'ammissione con riserva dello stesso al corso di formazione, avente una durata di 3 mesi o, in subordine, ordinando la verificazione ex artt. 19 e 66 c.p.a., ovvero consulenza tecnica d'ufficio ex art. 67 c.p.a, nonché, ove occorra e, comunque in via subordinata, al risarcimento del danno per perdita di chance e delle relative somme, con interessi e rivalutazione, come per legge. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Azienda Ospedaliero Un. di Ca. e della Regione Autonoma della Sardegna; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 maggio 2024 il dott. Tito Aru e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Il ricorrente ha partecipato al Concorso pubblico per esami per il reclutamento a tempo pieno e indeterminato n. 78 unità di personale da inquadrare nell'area A - Livello retributivo A1 - Agente del Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione Autonoma della Sardegna, indetto con Determinazione n. 1894, prot. n. 34817, del 19 ottobre 2021. Dopo aver superato le prove di selezione (scritta e orale/pratica), ai sensi dell'art. 2 del bando, lett. m) disciplinante l'accertamento dei requisiti psico-fisici previsti dall'art. 12, comma 3, della L.R. 5 novembre 1985, n. 26, veniva sottoposto, ai fini dell'accertamento dei requisiti psico-fisici, ad un esame clinico generale e a prove strumentali e di laboratorio presso l'Azienda Ospedaliero Un. di Ca. (S.C. di Medicina del Lavoro), all'esito della quale, in data -OMISSIS-, veniva giudicato non idoneo dalla Commissione Medica, con la seguente motivazione: "ipotiroidismo e pancolite in trattamento Ministero dell'Interno D.M. 30/06/2003 n° 198 Capo II Tabella 1 punto 12 e 13b e punto 6.b.". Il ricorrente produceva in giudizio apposita documentazione medica attestante la totale assenza di pregiudizio sulla sua idoneità al lavoro a causa della riscontrata patologia. La relazione integrativa prodotta dall'Amministrazione confermava, invece, il giudizio di inidoneità del ricorrente in ragione esclusiva dell'accertata sussistenza di una condizione clinica riconducibile a diverse cause di esclusione previste dalla lex specialis. In particolare: - quanto all'ipotiroidismo alle "Sindromi dipendenti da alterata funzione delle ghiandole endocrine. Ministero dell'interno DM 30/06/2003 n. 198. Capo II Tabella 1 punto 12"; - quanto alla pregressa tiroidectomia per carcinoma papillare alla tiroide al punto 13.b, Tabella 1, del DM 30/06/2003 n. 198; - quanto al quadro di Pancolite ulcerosa al punto 6.b, Tabella 1, del DM 30/06/2003 n. 198. Con decreto presidenziale n. 57 del 17 marzo 2023, confermato con ordinanza collegiale n. 85 del 13 aprile 2023, l'istanza cautelare è stata accolta ai fini dell'ammissione con riserva del ricorrente al corso di formazione di cui all'art. 13 del bando di concorso, nonché agli esami tecnico-pratici da sostenere al termine del corso di formazione. Poiché nella documentazione medica versata in giudizio dal ricorrente - come detto - veniva certificata l'assenza di alcuna conseguenza di tali patologie sulla sua idoneità lavorativa, sicché le stesse non potrebbero rappresentare causa ostativa e di inidoneità psico-fisica all'impiego nel profilo oggetto della procedura concorsuale in questione, il Tribunale - con ordinanza n. 912 del 4 dicembre 2023 - riteneva opportuno disporre apposita verificazione, ai sensi degli art. 19 e 66 cod. proc. amm., finalizzata ad accertare: -- se la riscontrata alterata funzione delle ghiandole endocrine sia, alla luce della condizione clinica del ricorrente, riconducibile alle sindromi declinate al Capo II Tabella 1 punto 12 del D.M. 30.6.2003, n. 198; - se sussistano i presupposti per qualificare la neoplasia benigna dotata delle caratteristiche di cui al punto 13 b della predetta Tabella I; -se le riscontrate infermità all'apparato digerente del ricorrente siano idonee a produrre disturbi funzionali ai sensi della lett. 6.b della predetta Tabella. - se, nel complesso, tale riscontrata condizione possa comportare limitazioni allo svolgimento delle ordinarie attività di servizio afferenti al profilo di Agente Corpo Forestale oppure rischi per la salute del candidato. Riteneva, a tal fine, di avvalersi della collaborazione delle Autorità sanitarie operanti presso il Dipartimento Militare di Medicina Legale dell'Ospedale Mi. di Ca. e, in particolare, di un Collegio composto da due ufficiali medici, uno dei quali specialista della materia (rispettivamente Gastroentero ed Endocrino), che, previa acquisizione del giudizio reso dalla commissione medico legale, dei test strumentali sostenuti da parte ricorrente e delle connesse regole tecniche previste dall'Amministrazione intimata, accertasse la sussistenza e la consistenza della ragione di non idoneità ritenuta dalla predetta Amministrazione a fondamento del provvedimento impugnato. Con nota dell'11 dicembre 2023 il Direttore del Dipartimento Militare di Medicina Legale dell'Ospedale Mi. di Ca. comunicava di non poter assolvere all'incombente istruttorio "a causa dell'assenza di un Medico Specialista in Endocrinologia e Gastroenterologia". Alla luce di tale comunicazione, ai fini dello svolgimento del predetto accertamento sanitario, si rendeva dunque necessario integrare l'incaricato Collegio Medico Legale con un Medico Specialista in Endocrinologia e in Gastroenterologia. Per quanto sopra il Collegio con ordinanza n. 26 del 19 gennaio 2024, disponeva di individuare nel Direttore del Dipartimento di Endocrinologia e di Gastroenterologia dell'Azienda Ospedaliera Br. gli specialisti ritenuti idoneo all'espletamento dell'incarico descritto nella predetta ordinanza. Con nota -OMISSIS-2024 del Direttore Sanitario dell'ARNAS G. Brotzu veniva nominato il dott. Pa. Us., Medico Specialista in Gastroenterologia. Non veniva invece nominato lo specialista in Endocrinologia. Il giorno 8 marzo 2024, alla presenza dello Specialista in Gastroenterologia incaricato, si svolgeva la valutazione medico legale del ricorrente. All'esito, quanto alla malattia infiammatoria cronica intestinale (Pancolite ulcerosa Mayo 3) si affermava che la stessa "è in totale remissione bioumorale e clinica, grazie al trattamento farmacologico e allo stato attuale NON produce disturbi funzionali. Tale riscontrata condizione NON comporta, allo stato attuale, limitazioni allo svolgimento delle ordinarie attività di servizio afferenti al profilo di Agente Corpo Forestale oppure rischi per la salute del candidato, ma potrebbe determinare in futuro assenza dal servizio per malattie e/o limitarne l'impiego con riqualificazione a lavoro d'ufficio". Le riscontrate infermità all'apparato digerente del ricorrente sono state dunque ritenute inidonee a produrre disturbi funzionali ai sensi della lett. 6.b della predetta Tabella, restando dunque superato uno dei motivi che aveva condotto al giudizio di inidoneità della Commissione Medica concorsuale. Quanto alla patologia tiroidea il Collegio rilevava che la valutazione era stata espressa senza la presenza di un Medico Specialista in Endocrinologia, come richiesto dal Tribunale col menzionato provvedimento ordinatorio n. 912/2023. Il Collegio riteneva quindi di individuare nel Direttore del Dipartimento di Endocrinologia dell'Azienda Ospedaliera Br. lo specialista ritenuto idoneo all'espletamento dell'incarico descritto nella predetta ordinanza, demandando al Direttore Generale dell'Azienda Ospedaliera Br. l'adozione dei provvedimenti di competenza; Con nota n. -OMISSIS- 2024 (depositata in relazione ad ana ricorso, RG n. 152/2023) il Direttore Sanitario dell'ARNAS G. Brotzu comunicava che presso detta Azienda non era presente alcun Medico Specialista in Endocrinologia che potesse far parte del Collegio Medico Legale di cui sopra. La causa veniva quindi iscritta nuovamente al ruolo dell'udienza camerale per l'adozione di un provvedimento integrativo del precedente ordine istruttorio. In relazione a quanto sopra il Collegio, con ordinanza n. 338 del 26 aprile 2024, individuava nel Direttore del Servizio di Endocrinologia dell'Azienda Ospedaliera Universitaria di Sa. lo specialista ritenuto idoneo all'espletamento dell'incarico sopra descritto. Con nota del 6 maggio 2024 il Direttore Generale dell'AOU di Sa. nominava il Dott. Ma. Ca. Pa., Direttore della SC Endocrinologia e malattie della nutrizione e del ricambio dell'Azienda Ospedaliero Universitaria di Sa., quale verificatore per l'espletamento dell'incarico in questione. All'esito della visita collegiale in data 23 maggio 2024 veniva depositata agli atti la relazione di verificazione. Alla pubblica udienza del 29 maggio 2024, sentiti i difensori delle parti, la causa è stata posta in decisione. DIRITTO Il ricorso merita accoglimento. Il quadro clinico del ricorrente, quanto alla patologia tiroidea, è descritto nella Relazione Endocrino-Oncologica a firma del dott. Gi. Pi. resa in data 8 marzo 2023: "Si certifica, su richiesta dell'interessato, che il paziente è sotto la mia cura dal 2011, per una diagnosi inziale di Ipotiroidismo da Tiroidite Autoimmune con piccolo nodulo di 7 mm del lobo tiroideo destro. Nel 2018, a seguito di una modifica morfologica e dimensionale (11 mm), tale lesione veniva sottoposta ad agobiopsia ecoguidata con riscontro di Carcinoma Papillare della Tiroide (C1607/2018). Per tale ragione veniva indirizzato ad intervento di Tiroidectomia Totale con istologico (n. 9911/2018) compatibile per carcinoma papillare multicentrico, variante a cellule alte, con nodulo prevalente del lobo destro (BRAF V600E positivo) in tiroidite cronica linfocitaria (TNM: pT1b(m), N0). Come da protocollo in questi casi eseguiva successiva terapia radioablativa c/o centro di Medicina Nucleare. Nel 2020 eseguiva controllo di follow-up con riscontro di indosabilità dei marcatori tumorali ematici, ecografia del collo negativa e scintigrafia totale corporea negativa per persistenza di malattia tumorale tiroidea. Anche i controlli ematochimici ed ecografici del collo nel 2021 e 2022 sono risultati negativi. Al momento il paziente risulta pertanto libero da malattia ed è definibile come soggetto curato radicalmente. Assume regolarmente la terapia ormonale sostitutiva. Sulla base di quanto in mio possesso il paziente non mostra alcuna controindicazione endocrino-oncologica a qualsivoglia attività lavorativa". Quanto sopra ha trovato pieno riscontro nelle conclusioni della Commissione Medica incaricata dal Tribunale della verificazione istruttoria. Quest'ultima ha infatti precisato che "La riscontrata Tiroidectomia totale per Carcinoma Papillare della Tiroide è SI ascrivibile al novero delle Sindromi dipendenti da alterata funzione delle ghiandole endocrine" sottolineando tuttavia che "il buon compenso metabolico-bioumorale degli ormoni tiroidei è ottenuto grazie all'assunzione di terapia farmacologica sostitutiva (levotiroxina) che il candidato dovrà necessariamnete assumere a vita". Nel caso di specie, dunque, la patologia è stata trattata con adeguate terapie e la stessa deve ritenersi ormai sostanzialmente superata consentendo senz'altro al ricorrente, grazie all'assunzione regolare della terapia ormonale sostitutiva, il suo inserimento nel mondo del lavoro. Sul punto il dott. Gi. Pi., Specialista in Endocrinologia, precisa nel suo certificato dell'8 marzo 2023 che "Al momento il paziente risulta pertanto libero da malattia ed è definibile come soggetto curato radicalmente" e che "il paziente non mostra alcuna controindicazione endocrino-oncologica a qualsivoglia attività lavorativa". La stessa Commissione Medica di verificazione, nella relazione da ultimo depositata, precisa che "La riscontrata funzionalità tiroidea NON comporta, allo stato attuale, limitazioni allo svolgimento delle ordinarie attività di servizio afferenti al profilo di Agente del Corpo Forestale oppure rischi per la salute del candidato, stante la necessaria assunzione continuativa della terapia ormonale sostitutiva prescritta". Pertanto, seppur astrattamente riconducibile alle sindromi declinate al Capo II Tabella 1 punto 12 del D.M. 30.6.2003, n. 198, la patologia sofferta dal ricorrente non conduce ex se al giudizio di inidoneità adottato dalla Commissione concorsuale, dovendosi secondo il Collegio privilegiare l'interpretazione del quadro normativo vigente in termini funzionali, ossia nel senso che solo laddove sussista una possibile incidenza negativa sul servizio da svolgere o sulla salute dell'interessato le patologie menzionate nel decreto ministeriale possano assumere un automatico rilievo escludente nelle procedure concorsuali cui si riferiscono, non essendo cioè a tal fine sufficiente una mera alterazione della funzione delle ghiandole endocrine. Vi è un ulteriore profilo da esaminare. La Commissione Medica concorsuale ha richiamato, a fondamento del giudizio di inidoneità, anche il punto 13.b della Tabella 1 del DM 198/2003. Recita testualmente il punto 13 citato: "13. Neoplasie: a) i tumori maligni (ad evoluzione incerta o sfavorevole); b) i tumori benigni ed i loro esiti quando per sede, volume, estensione o numero siano deturpanti o producano alterazioni strutturali o funzionali". Orbene, la Commissione Medica di verificazione ha precisato che "La riscontrata tiroidectomia totale per Carcinoma Papillare della Tiroide NON è in pieno ascrivibile al novero dei "tumori benigni ed i loro esiti quando per sede, volume, estensione o numero siano deturpanti o producano alterazioni strutturali o funzionali" in quanto trattasi di neoplasia maligna (DTC) completamente eradicata chirurgicamente con completa asportazione della ghiandola tiroidea". Ha dunque ricondotto la classificazione della patologia in questione, escludendo il riferimento al punto 13 a della Tabella 1 (tumori maligni ad evoluzione incerta o sfavorevole, cui non è riconducibile il tumore alla tiroide), al pertinente punto 12 della Tabella 1 del DM 198/2003, in quanto patologia determinante alterazione funzionale dell'apparato endocrino. Si è però già rilevato sul punto che l'alterazione funzionale dell'apparato endocrino assume rilievo escludente dalle procedure concorsuali solo laddove connotata da un'incidenza negativa sul servizio da svolgere o sulla salute dell'interessato, circostanza neppure adombrata - ed anzi specificamente esclusa - dai verificatori. Quanto alla malattia infiammatoria cronica intestinale (Pancolite ulcerosa Mayo 3) la relazione conclusiva ha confermato che la stessa "è in totale remissione bioumorale e clinica, grazie al trattamento farmacologico e allo stato attuale NON produce disturbi funzionali" come già valutato nella visita dell'8 marzo 2024 alla presenza dello specialista in Gastroenterologia dott. Pa. Us.). Resta dunque confermato il giudizio per il quale "Tale riscontrata condizione NON comporta, allo stato attuale, limitazioni allo svolgimento delle ordinarie attività di servizio afferenti al profilo di Agente Corpo Forestale oppure rischi per la salute del candidato, ma potrebbe determinare in futuro assenza dal servizio per malattie e/o limitarne l'impiego con riqualificazione a lavoro d'ufficio". Resta dunque superato l'altro motivo che aveva condotto al giudizio di inidoneità della Commissione Medica concorsuale. Pertanto, per quanto emerso in sede di verificazione, il giudizio della Commissione originariamente preposta all'accertamento dei requisiti di idoneità deve ritenersi viziato per erroneità . Il Tribunale, invero, ben conosce - e condivide - il consolidato indirizzo giurisprudenziale circa la tendenziale irripetibilità dei giudizi medico - legali espressi dalle commissioni mediche concorsuali, sia in omaggio al principio della par condicio dei concorrenti e sia in considerazione del fatto notorio che il tempo trascorso tra l'esame medico in sede di concorso e la rivalutazione fatta in altra sede, ivi compresa quella giurisdizionale, può comportare una modifica della situazione oggetto di valutazione. Ciò non toglie tuttavia che, fermo restando il principio della discrezionalità tecnica che caratterizza le valutazioni medico - legali, il che le sottrae al sindacato di legittimità, salve le ipotesi di manifesta arbitrarietà e illogicità, non possono esistere atti o valutazioni dell'amministrazione che, come tali, siano sottratte al controllo giurisdizionale, pena la violazione del principio fondamentale posto dall'art. 113 Cost. Deve pertanto ammettersi che anche nel caso delle valutazioni medico - legali svolte dalle commissioni mediche dell'amministrazione possano esistere ambiti di sindacabilità soprattutto in alcuni - sia pur limitati - casi in cui ciò che viene contestato è la stessa sussistenza o il carattere più o meno rilevante, in relazione alle prescrizioni della procedura concorsuale, della patologia riscontrata dalla competente commissione: in questi casi non dare ingresso al mezzo istruttorio della verificazione significherebbe escludere in radice la sindacabilità dell'atto o della valutazione, il che, come si è detto, non è ammissibile. Nel caso di specie il Tribunale ha deciso di dover ricorrere alla verificazione non già per una mera rivalutazione del giudizio medico formulato dalla commissione, quanto piuttosto per accertare l'effettiva rilevanza della patologia riscontrata sulla prestazione del servizio cui il concorso era finalizzata, questa essendo in definitiva la contestazione fatta dal ricorrente, contestazione affidata ad una non irrilevante documentazione medica. Infatti la Tabella 1, punto 12, D.M. 30 giugno 2003 richiede che "Le sindromi dipendenti da alterata funzione delle ghiandole endocrine", come inteso nell'interpretazione del Tribunale, abbia conseguenze sul piano della funzionalità e l'accertamento disposto con la verificazione era teso ad accertare se sussistesse la limitazione funzionale, aspetto che non era stato valutato dalla commissione medica concorsuale. Ne deriva che, come rilevato da parte ricorrente, l'atto di esclusione gravato risulta inficiato da difetto dei presupposti e, dunque, dev'essere annullato. In definitiva non resta al Collegio che accogliere il ricorso principale disponendo per l'effetto, nei limiti di interesse, l'annullamento degli atti impugnati, con conseguente definitiva ammissione del ricorrente alle ulteriori fasi della procedura. Le spese di giudizio possono essere compensate sussistendo giusti motivi. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla per quanto di interesse gli atti di esclusione impugnati e il presupposto giudizio di inidoneità . Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Tito Aru - Presidente, Estensore Antonio Plaisant - Consigliere Jessica Bonetto - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5319 del 2022, proposto da Ge. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Co., Gi. Co. e Al. Cr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Co. in Roma, via (...); contro Ivass, Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ni. Ge., Da. Ad. Ma. Za. e El. Gi. Mu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ni. Ge. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 03221/2022, resa tra le parti, per l'annullamento, in parte qua, dell'ordinanza-ingiunzione emessa da IVASS con prot. n. 0122245/17 del 21.06.2017, successivamente notificata e ricevuta da Ge. S.p.A. il 27.06.2017, con la quale sono state irrogate alla ricorrente le sanzioni amministrative pecuniarie di cui agli artt. 318, c. 1 e 319, c. 1, d.lgs. 209/2005 complessivamente quantificate in Euro 41.000 (doc. 1); nonché di ogni atto presupposto, connesso e/o consequenziale, quali in particolare: l'atto di contestazione adottato da IVASS prot. n. 0095142/2016 dell'11.05.2016 ed il rapporto ispettivo formato dal Servizio Ispettorato - IVASS (doc. 2). con conseguente condanna di IVASS alla restituzione delle somme già versate ovvero, in via subordinata, per la rideterminazione dell'importo della sanzione in misura più favorevole alla ricorrente, con conseguente condanna di IVASS alla restituzione delle somme già versate. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ivass, Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati Gi. Co., Ni. Ge. e Da. Ad. Ma. Za.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma Sezione Seconda Ter, n. 01433/2021, di reiezione del ricorso proposto Ge. S.p.A., per l'annullamento in parte qua dell'ordinanza-ingiunzione emessa da IVASS con prot. n. 0122245/17 del 21.06.2017, d'irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui agli artt. 318, c. 1 e 319, c. 1, d.lgs. 209/2005 complessivamente quantificate in Euro 41.000. Cumulativamente, oltre ad estendere il gravame all'atto di contestazione adottato da IVASS prot. n. 0095142/2016 dell'11.05.2016 ed al rapporto ispettivo formato dal Servizio Ispettorato - IVASS; la società ricorrente ha chiesto la condanna di IVASS alla restituzione delle somme già versate ovvero, in via subordinata, per la rideterminazione dell'importo della sanzione in misura più favorevole all'appellante, con conseguente condanna di IVASS alla restituzione delle somme già versate. 2. La sanzione consegue all'accertamento di cinque distinte ipotesi di violazione del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (artt. 182 e 183) e di diverse norme regolamentari poste in essere dalla Società appellante con riferimento alla commercializzazione di "BG Stile Libero", prodotto che combina assicurazioni di ramo I con assicurazioni di ramo III di cui all'articolo 2, c. 1, del d.lgs. 209/2005 ("Codice delle Assicurazioni Private"). Gli illeciti ritenuti sussistenti sono i seguenti: - utilizzo di materiale pubblicitario contenente espressioni che non consentono una chiara comprensione dei rischi finanziari che caratterizzano il prodotto (illecito a); - illustrazione fuorviante del regime fiscale relativo alle componenti esenti da tassazione (illecito b); - mancata consegna del "Progetto esemplificativo rielaborato in forma personalizzata" (illecito c); - non piena attendibilità dell'indicatore "Costo Percentuale Medio Annuo" riportato nella scheda sintetica ("CPMA") (illecito e); - carenti istruzioni alla rete distributiva in tema di raccolta delle informazioni necessarie alla valutazione di adeguatezza dei contratti offerti alle esigenze assicurative dei contraenti (illecito f). 3. Con i primi quattro motivi (da I a IV) del ricorso di primo grado la società appellante lamentava "I vizi del provvedimento sanzionatorio"; nei restanti cinque motivi (da V a IX) denunciava l'"Insussistenza delle violazioni"; con il decimo motivo (X) chiedeva in subordine la rideterminazione della sanzione in caso di mancato accoglimento della domanda di annullamento. 4. Il Tar ha respinto il ricorso. Il Giudice di prime cure ha confermato la violazione rubricata sub a) nel testo dell'ordinanza gravata con la quale Ivass ha contestato l'utilizzo di materiale pubblicitario contenente espressioni che non consentivano una chiara comprensione dei rischi finanziari che caratterizzavano il prodotto. Sul punto, il Tar osserva che la broucher del prodotto si presentava inequivocabilmente omissiva sia in ordine alle percentuali con le quali la componente assicurativa e quella finanziaria andavano a comporre il prodotto, sia in ordine alla tipologia di rischio che è sicuramente difforme dal canone di chiarezza indicato dalla disposizione regolamentare, e da quello di correttezza richiamato anche dalla disposizione legislativa. Infatti, sebbene la società ha utilizzato dato atto della natura composita del prodotto, nulla s'è chiarito in ordine all'effettiva composizione del prodotto stesso che presentava una spiccata componente finanziaria e significativi rischi di mercato a carico dei contraenti i quali, per una parte compresa tra 70% e il 95% del premio versato, non avevano alcuna garanzia di capitale né tantomeno di rendimento minimo, così che il prodotto nel suo insieme risultava oggettivamente connotato da un cospicuo rischio di perdita del capitale, non percepibile dalla lettura della brochure. In merito alla violazione rubricata sub b) con la quale Ivass ha ritenuto che la ricorrente abbia illustrato in maniera fuorviante il regime fiscale relativo alle componenti esenti da tassazione, il giudice di prime cure osserva che le espressioni utilizzate non erano chiare e comprensibili in punto di informazione fiscale, atteso che le stesse non rendevano agevolmente percepibile quali somme fossero esenti da imposta di successione e quali da Irpef. Il Tar conferma anche la violazione rubricata sub c) con la quale Ivass sanzionava la Società appellante per non avere consegnato ai clienti il "progetto esemplificativo rielaborato in forma personalizzata" come prescritto dalla normativa. Dalle risultanze istruttorie acquisite in sede ispettiva emerge che il progetto esemplificativo è stato solo mostrato per presa visione. Analogamente, la violazione rubricata sub e) con la quale Ivass ha ritenuto che Geneterllife non abbia riportato, nella scheda sintetica, l'indicatore Costo Percentuale Medio annuo (CPM) in maniera attendibile, trova conferma, secondo il Tar, nel modo in cui l'indice è stato redato senza che emergano, in maniera chiara, i livelli di onerosità del prodotto "BG Stile Libero". Infine il giudice di prime cure riscontra positivamente anche la violazione rubricata sub f) per aver fornito alla rete distributiva informazioni carenti in tema di raccolta delle informazioni necessarie alla valutazione di adeguatezza dei contratti offerti alle esigenze assicurative dei contraenti. Nel respingere i vari motivi di ricorso, il Tar aggiunge che le conclusioni raggiunte dall'Ivass risultano supportate da riscontri documentali acquisiti in sede di visita ispettiva e correttamente inquadrate in fattispecie di illecito sufficientemente specificate. In merito alla quantificazione della sanzione, il Tar richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di motivazione del quantum delle sanzioni amministrative pecuniarie, la scelta tra il minimo ed il massimo di pena pecuniaria risponde allo scopo di rimettere al potere dell'amministrazione la commisurazione della sanzione alla concreta gravità del fatto illecito, senza necessità che sia specificato il criterio seguito. La quantificazione della sanzione costituisce espressione di discrezionalità amministrativa non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che in ipotesi di eccesso di potere nelle sue varie forme sintomatiche. 5. Appella la sentenza Ge. S.p.A. 6. Si è costituito in giudizio l'Ivass. 7. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 8. Con il primo motivo di appello l'appellante censura l'ordine con cui il Giudice di prime cure ha esaminato i motivi di ricorso, anteponendo l'esame delle censure relative all'insussistenza delle violazioni (motivi da V a IX) rispetto alla disamina delle doglianze sui vizi del provvedimento sanzionatorio (motivi da I a IX). In particolar modo l'appellante censura il fatto che il Tar abbia postergato l'esame e respinto il primo motivo di ricorso, incentrato sulla violazione del principio di legalità, determinatezza e tassatività delle fattispecie sanzionabili, dei principi di certezza del diritto e degli artt. 1 l. n. 689/1981 e 182 e 183 del c.a.p. Contrariamente a quanto sostenuto in sentenza, nel caso in esame, non si riscontrerebbero fattispecie sanzionatorie astratte, ricostruibili in chiari termini precettivi perfettamente comprensibili da un primario operatore del settore assicurativo. L'appellante, in particolare, in merito alla possibilità di ricostruire gli illeciti sanzionati riconducendoli alle fattispecie sanzionatorie astratte in chiari termini precettivi, osserva che la sentenza (p. 15) ammette che gli artt. 182 e 183 CAP, per la determinazione del loro contenuto, necessitano di una eterointegrazione mediante il rinvio ad una norma diversa da quella "incriminatrice". Nondimeno, alla pagina successiva (p. 16), ad avviso dell'appellante, la pronuncia in maniera criptica e tautologica, afferma che "con riferimento alle cinque figure di illecito ritenute ricorrenti da Ivass, vengono, di volta in volta, in rilievo violazioni di obblighi fondamentali gravanti sull'impresa assicuratrice quali quello di chiarezza, trasparenza e correttezza... la cui violazione - oltre a rilevare su un piano civilistico, ai sensi degli artt. 1337,1366 e 1375 c.c. - integra pure gli illeciti amministrativi delineati dagli artt. 182 e 183 del d,lgs. 209/2005". L'appellante sostiene che il giudice di prime cure avrebbe omesso di esaminare la necessità di eterointegrazione dei precetti normativi; le fonti integrative richiamate non sarebbero dotati di quei caratteri di determinatezza e di tassatività che controparte stessa ritiene indispensabili a suffragare il rispetto della riserva di legge. Sul punto, il Tar avrebbe fatto mal governo dei precedenti giurisprudenziali citati nella sentenza poiché gli addebiti, contrariamente a quanto precisato nelle decisioni, sarebbero formulati facendo sostanzialmente rinvio a clausole generali (diligenza, correttezza, trasparenza) che non sono ancorate ad alcun concreto parametro oggettivo. Pertanto, nemmeno si realizzerebbe un effettivo meccanismo di eterointegrazione della norma sanzionatoria primaria attraverso norme secondarie. In merito all'illecito sub a) (utilizzo di materiale pubblicitario con espressioni fuorvianti), richiamando le norme che l'Ivass assume violate (art. 182 c. 1 CAP; art. 39 c. 1 Reg. 35/2010), l'appellante osserva che le norme impongano il rispetto dei principi generali (correttezza e chiarezza) senza precisarne il contenuto. Il Tar si limiterebbe a rilevare che chiarezza e correttezza impongono che il messaggio pubblicitario sia tale da far comprendere le caratteristiche principali del prodotto, tuttavia non risulterebbe alcun obbligo di precisare nel messaggio pubblicitario le proporzioni tra la componente assicurativa e la componente finanziaria del prodotto. In merito all'illecito sub b) (Illustrazione fuorviante del regime fiscale relativo alle componenti esenti da tassazione) l'appellante osserva, da un lato, come il Tar si sofferma sull'eccesiva tecnicalità delle espressioni utilizzate dall'appellante (che il provvedimento gravato sanziona), dall'altro lato, come le norme che si assumono violate si caratterizzano per l'elevato tecnicismo delle regole. In secondo luogo la norma che si assume violata (All. 3 punto 8 Reg. 35/2010) stabilisce che deve essere "indicato" il trattamento fiscale applicabile al contratto; al contrario l'illecito è rubricato "illustrazione". I due concetti non sarebbero sovrapponibili: "indicare" significherebbe fornire informazioni; "illustrare" significherebbe chiarire nei particolari. In merito all'illecito sub c) (Mancata consegna del progetto esemplificativo rielaborato in forma personalizzata), l'appellante lamenta che la tesi del Tar, secondo cui a norma del regolamento sarebbe necessario che il cliente riceva in consegna il documento in quanto la presa visione non sarebbe sufficiente a rispettare il precetto normativo, è formalistica. La messa a disposizione del progetto, comprovata dall'attestazione di presa visione, indicherebbe che il documento è stato sottoposto al cliente prima di concludere il contratto. In merito all'illecito sub e) (Non piena attendibilità dell'indicatore Costo Percentuale Medio Annuo riportato nella scheda sintetica) l'appellante osserva che non verrebbe indicata quale previsione specifica della normativa regolamentare sia stata violata, di conseguenza resterebbe indeterminato il criterio concretamente prescritto dall'all. 2 Reg. 35/2010 e concretamente disatteso. In merito all'illecito f) (Carenti istruzioni alla rete distributiva in tema di raccolta delle informazioni necessarie alla valutazione di adeguatezza dei contratti offerti alle esigenze assicurative dei contraenti) l'appellante sostiene che il Tar si limita a riportare i profili di criticità rappresentati nel provvedimento sanzionatorio, tanto da essere indefinito il quadro delle regole che avrebbe violato. Il giudice di prime cure non affronterebbe la questione relativa alla mancanza di parametri oggettivi che guidino nell'applicazione della normativa alle polizze multi-ramo. 8.1 Il motivo è infondato. Quanto all'ordine d'esame delle censure, va ribadito che non è prescritto da parte del Giudice un ordine preciso di esame dei vari motivi proposti qualora essi non siano stati graduati dal ricorrente o, come nel caso di specie, non siano eccepiti il vizio di incompetenza o il difetto di legittimazione. Viceversa, nell'economia della decisione, il riscontro analitico delle singole violazioni ha evidenziato in modo puntuale, riferito al caso concreto, la sostanziale determinatezza dei precetti sanzionatori applicati. Sul piano generale, quanto alla denunciata violazione della necessaria determinatezza e tassatività delle fattispecie sanzionabili si può osservare che la riserva di legge prevista dall'art. 1 l. 689/81 è precettiva solo per quanto attiene alla determinazione della sanzione, esigendo la norma che la stessa sia comminata sulla base di norma primaria, ma consentendo il rinvio (cfr., Corte Cost. 11 luglio 1961, n. 48) "a provvedimenti amministrativi della determinazione di elementi o di presupposti espressione di discrezionalità tecnica". La riserva di legge - sul presupposto che la sanzione sia comminata direttamente dalla legge -consente l'integrazione meramente tecnica del precetto da parte di fonti non legislative. Le norme di settore contenenti i precetti non possono materialmente declinare tutte le fattispecie di violazione dei princì pi stessi perché ne risulterebbero norme pletoriche e comunque non esaustive di tutte le possibilità . Le norme in esame richiamano princì pi generali, individuabili senza incertezze, in cui il fatto viene accertato e sussunto nella fattispecie normativa per effetto dei rilievi in fatto contenuti nel rapporto ispettivo o azione di vigilanza "off site". In definitiva la contestazione d'addebiti e il provvedimento finale, s'integrano vicendevolmente e la portata lesiva dei fatti ed il loro disvalore nell'ordinamento di settore valutati nella motivazione del provvedimento impugnato.. La portata semantica degli elementi normativi evocati dai ridetti princì pi generali deriva dall'attività interpretativa tecnico-discrezionale dell'autorità procedente di cui il provvedimento e, prima ancora, gli atti prodromici - assunti in regì me di piena trasparenza e di contraddittorio - danno conto in motivazione. 9. Con il secondo motivo di appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha respinto il secondo motivo di ricorso relativo alla mancata prova dei supposti illeciti. Il Tar ha sostenuto che le conclusioni di Ivass sarebbero supportate da riscontri documentali e inquadrate in fattispecie sufficientemente specificate, pertanto sarebbero soddisfatti gli oneri istruttori e motivazionali. Il giudizio espresso dal Tar sarebbe sostanzialmente apodittico, in quanto non sorretto da una effettiva dimostrazione. Sul secondo punto rinvia a quanto sostenuto nel primo motivo di appello. 9.1 Il motivo è infondato. Gli atti acquisiti in sede ispettiva e gli atti del procedimento, quali l'atto di contestazione e l'ordinanza gravata, circoscrivono i fatti contestati richiamando le disposizioni violate, anche tramite rinvio al rapporto ispettivo. La prova degli illeciti è stata offerta in concreto, consentendo all'ingiunta di percepire le contestazioni e di controdedurre nel corso del procedimento e corrisponde al paradigma probatorio tipico degli illeciti omissivi. Vale a dire che la prova della condotta positiva di adempimento degli obblighi derivanti dalla collocazione del prodotto finanziario-assicurativo, ai fini del rispetto dei princì pi di tutela in argomento, gravava - a fronte della contestata omissione - sull'impresa (cfr., Cass., Sez. Un., 30/9/2009, n. 20930, cit., anche in richiamo di Cass. Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533). 10. Con il terzo motivo di appello, l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha rigettato il terzo motivo di ricorso con cui aveva lamentato la "Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 326 c. 1, CAP e dell'art. 5, Reg. IVASS 1/2013, nonché dell'art. 11, l. 689/1981. Violazione e/o falsa applicazione del principio di proporzionalità ...". Il Tar ha ritenuto che le fattispecie violate sarebbero ascrivibili a fattispecie di pericolo e che i richiami giurisprudenziali addotti dall'appellante a sostegno delle sue tesi non siano pertinenti. L'appellante censura la ricostruzione delle violazioni in termini di "fattispecie di pericolo" che si porrebbe in contrasto con la normativa di settore. Muovendo dall'analisi del dato normativo, l'appellante sostiene che le sanzioni sono configurate dalla normativa di riferimento come strumento che, oltre a punire, interviene per rimediare alla lesione, pertanto non potrebbero essere disgiunte dalla concreta lesività della condotta. La sentenza sarebbe erronea per aver trascurato la violazione del principio di proporzionalità ; per non aver tenuto conto che la società ha palesato la propria condotta collaborativa nei confronti della Vigilanza, tanto da essere intervenuta con azioni concrete per allinearsi ai rilievi critici prospettati nel rapporto ispettivo. Gli interventi migliorativi attuati dalla società appellante, e valutati positivamente dal Servizio Ispettorato, sarebbero stati travisati dall'Autorità che vi avrebbe ravvisato una sorta di "confessione" implicita o, almeno, di ammissione di responsabilità da cui far scaturire i presupposti per irrogare la sanzione. 10.1 Il motivo è infondato. In contrario a quanto dedotto dall'appellante, in continuità all'indirizzo giurisprudenziale qui condiviso, s'è chiarito che gli illeciti in materia assicurativa - proprio in quanto ritenuti di pericolo - sono perseguiti dall'ordinamento senza richiedere, quali elementi costitutivi, il pregiudizio della clientela o il conseguimento di concreto vantaggio economico (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2020, n. 5444; Id.., sez. VI, 26 marzo 2020, n. 2125; Id., sez. VI, 5 agosto 2019, n. 5566; ) Anche il pregiudizio (o, a fortiori, il mero reclamo) dei clienti costituisce dato ultroneo ed estraneo rispetto agli elementi costitutivi dell'illecito, il quale è integrato dalla mera violazione di regole di comportamento che delineano la diligenza professionale esigibile, peraltro espressamente codificate sia a livello primario che regolamentare. La sanzione amministrativa, infatti, "non ha una funzione compensativa (risarcitoria) del danno patrimoniale subito dall'impresa assicuratrice, bensì intende garantire l'effetto di deterrenza a tutela della trasparenza del sistema assicurativo generale" (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2020, n. 5444). Né è ravvisabile la violazione del principio di proporzionalità poiché la condotta cautelativa della società è meritevole d'apprezzamento nella graduazione della sanzione, e non nell'adozione della sanzione che non è (affatto) alternativa ai rimedi spontanei adottati dall'incolpata. 11. Con il quarto motivo di appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha rigettato il quarto motivo del ricorso di primo grado. Il Tar si limita a negare che gli elementi prospettati dall'appellante - vale a dire la circostanza che la Società sia stata sanzionata nonostante abbia assunto misure più cautelative per la clientela; ed abbia applicato la normativa in modo più restrittivo di quanto previsto - possano inficiare il provvedimento sanzionatorio. Sicché le presunte violazione in materia di tutela del contribuente non sussisterebbero in ragione della condotta della società sarebbe improntata alla massima protezione della clientela e non risulterebbe in contrasto con le disposizioni di riferimento. 11.1 Il motivo è infondato In contrario a quanto dedotto dall'appellante, in continuità all'indirizzo giurisprudenziale qui condiviso, s'è chiarito che gli illeciti in materia assicurativa - proprio in quanto ritenuti di pericolo - sono perseguiti dall'ordinamento senza richiedere, quali elementi costitutivi, il pregiudizio della clientela o il conseguimento di concreto vantaggio economico (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2020, n. 5444; Id.., sez. VI, 26 marzo 2020, n. 2125; Id., sez. VI, 5 agosto 2019, n. 5566; ) Anche il pregiudizio (o, a fortiori, il mero reclamo) dei clienti costituisce dato ultroneo ed estraneo rispetto agli elementi costitutivi dell'illecito, il quale è integrato dalla mera violazione di regole di comportamento che delineano la diligenza professionale esigibile, peraltro espressamente codificate sia a livello primario che regolamentare. La sanzione amministrativa, infatti, "non ha una funzione compensativa (risarcitoria) del danno patrimoniale subito dall'impresa assicuratrice, bensì intende garantire l'effetto di deterrenza a tutela della trasparenza del sistema assicurativo generale" (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2020, n. 5444). Né è ravvisabile la violazione del principio di proporzionalità poiché la condotta cautelativa della società è meritevole d'apprezzamento nella graduazione della sanzione, e non nell'adozione della sanzione che non è affatto alternativa ai rimedi spontanei adottati dall'incolpata 12. Con il quinto motivo di appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha respinto il quinto motivo di ricorso relativo alle pretese carenze del materiale pubblicitario e al preteso carattere ingannevole del messaggio pubblicitario (illecito sub a). Il Tar ha ritenuto che: la brochure rappresentava la natura composita della polizza, ma non precisava l'effettiva composizione; il prodotto presentava un cospicuo rischio di perdita di capitale non percepibile dalla brochure; la brochure era omissiva con riguardo alle informazioni sulle percentuali di composizione assicurativa e finanziaria e sulla rischiosità del prodotto; il supposto deficit informativo non poteva essere colmato dai contenuti della brochure con i riferimenti alla natura ibrida e con il richiamo al fascicolo informativo; sarebbero irrilevanti le considerazioni difensive sul target dei destinatari. Sulla destinazione del messaggio alla clientela e non ai venditori, la sentenza traviserebbe la funzione della brochure di "BG Stile Libero" che, all'opposto, avrebbe dovuto essere valutata in rapporto alle peculiarità del sistema distributivo del prodotto. La sentenza riconosce che dal materiale pubblicitario risultava la natura anche finanziaria del prodotto, ma censura la presunta omissione in ordine alle percentuali assicurativa e finanziaria e in ordine alla tipologia di rischio. Tali criticità non sarebbero indicate nel provvedimento sanzionatorio e dunque la sentenza sarebbe erronea per aver travalicato i limiti derivanti dal contenuto dei provvedimenti impugnati. 12.1. Il motivo è infondato. Né sussiste il denunciato travisamento della funzione della brochure di "BG Stile Libero", da valutare, secondo la censura, "in rapporto alle peculiarità del sistema distributivo del prodotto", visto che era impiegata dai promotori di Banca Generali, quali unici canali di collocamento. La natura ontologicamente e teleologicamente pubblicitaria del documento, congegnato e destinato al pubblico, non muta con riguardo al canale distributivo adottato. Come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, non è sufficiente che, dal materiale pubblicitario, risultasse la natura finanziaria del prodotto. Posto che il prodotto presenta "spiccata componente finanziaria e significativi rischi di mercato a carico dei contraenti i quali, per una parte compresa tra 70% e il 95% del premio versato, non avevano alcuna garanzia di capitale né tantomeno di rendimento minimo, così che il prodotto nel suo insieme risultava oggettivamente connotato da un cospicuo rischio di perdita del capitale, non percepibile dalla lettura della brochure". Al di là dell'indicazione delle percentuali della componente assicurativa e di quella finanziaria del prodotto, è stata omessa l'indicazione, perspicua ed inequivoca, della tipologia di rischio, in difformità dal canone di chiarezza indicato dalla disposizione regolamentare e da quello di correttezza, richiamato anche dalla norma primaria di riferimento (art. 182 CAP). La presenza sul mercato d'una gamma vastissima di prodotti c.d. "ibridi" che combinano la componente assicurativa ed quella finanziaria, con gradi di esposizione a rischio assai differenti tra loro in ragione di vari fattori, avrebbe dovuto indurre la ricorrente, nel presentare il prodotto, a rendere edotto il potenziale contraente del rischio affrontato, in ossequio ai principi di chiara e corretta l'informazione, di cui artt. 182, c. 1, CAP e 39, c. 1, Reg. ISVAP n. 35/2010. 13. Con il sesto motivo l'appellante censura il capo di sentenza di reiezione del sesto motivo del ricorso di primo grado relativo all'illecito b) concernente l'illustrazione del regime fiscale relativo alle componenti esenti da tassazione. La sanzione sarebbe stata irrogata per la pretesa non chiarezza di una parte delle informazioni sul regime fiscale riportate nella Nota Informativa. Il Tar avrebbe omesso di considerare che la descrizione del regime fiscale non si sarebbe esaurita nelle due espressioni oggetto dei rilievi dell'Autorità . I rilievi critici dell'Autorità riguardavano queste due formulazioni: "somme corrisposte in caso di morte" e "capitali percepiti in caso di decesso". Dalla lettura della motivazione del provvedimento sanzionatorio emerge che l'addebito è di aver usato locuzioni che genererebbero equivoci in quanto la prima espressione si riferisce all'intera prestazione assicurativa e la seconda alla copertura in caso di morte. Invece, secondo il Tar le espressioni non renderebbero "agevolmente percepibile quali somme fossero esenti da imposta di successione e quali da Irpef". 13.1. Il motivo è infondato. In merito al trattamento fiscale come rilevato dal giudice di prime cure la prescrizione relativa al trattamento fiscale (All. 3, sezione C, punto 8 Reg. 35/2010 e All. 8, sezione D, punto 13 Circ. ISVAP 551/2005) "va interpretata, proprio in forza del richiamo all'art. 183, nel senso che l'informazione fornita sia conforme a criteri di diligenza e trasparenza, alla quale sono inequivocabilmente contrari l'utilizzo di espressioni, anche parzialmente, omissive o di eccessivo tecnicismo giuridico":.. non è quindi sufficiente l'indicazione, perché "Diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente...la prescrizione secondo cui la nota informativa deve contenere le informazioni necessarie affinché il contraente e l'assicurato possano pervenire ad un fondato giudizio sui diritti e gli obblighi contrattuali anche con riferimento al trattamento fiscale". Prosegue la sentenza "Dalla mera lettura delle espressioni, appare evidente come la compiuta ermeneutica delle stesse richiedesse una particolare competenza tecnica in materia di tassazione o di esenzione dalla stessa o, in alternativa, un intervento interpretativo esterno". Le informazioni in parola paiono effettivamente inadeguate e fuorvianti, tali da non consentire al contraente comune di pervenire ad un fondato giudizio sui diritti e gli obblighi connessi alla stipulazione del contratto, anzi ne alterano la percezione. Il trattamento fiscale "agevolato" costituisce incentivo all'acquisto, da cui il conseguente obbligo d'informazione trasparente, facilmente comprensibile che, nel caso in esame, non è osservato. 14. Con il settimo motivo di appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha respinto il settimo motivo del ricorso di primo grado relativo all'attendibilità del CPMA riportato nella scheda tecnica (illecito sub e). Il Tar ha ritenuto che: l'indicatore sintetico CPMA risulterebbe "... dettagliatamente disciplinato, quanto ai criteri di calcolo..."; alla società sarebbe imputato, oltre alla violazione dei criteri di calcolo pure la prospettazione di un costo significativamente inferiore; gli argomenti difensivi sulla indeterminatezza dei criteri e sul valore solo tendenziale del CPMA sarebbero irrilevanti; come ritenuto da Ivass la condotta di Genertellife sarebbe difforme dai canoni di diligenza, correttezza e trasparenza. Secondo la censura in esame, il convincimento del Tar sulla presunta esaustività della normativa sui criteri di calcolo articolata nell'All. 2 Reg. 35/2010 sarebbe eooroneo. Nel provvedimento sanzionatorio l'Autorità, proprio sul presupposto che mancherebbero criteri specifici di determinazione del CPMA per le polizze multi-ramo, ha giustificato l'addebito sostenendo che non investiva le peculiarità del calcolo dell'indicatore ma la struttura dei costi. Tale rappresentazione sarebbe contraddetta dal fatto che nello stesso provvedimento sanzionatorio le contestazioni riguarderebbero - non genericamente la struttura dei costi bensì specificamente - la percentuale di premio investita nella gestione separata e la percentuale di caricamento iniziale sul premio, giudicate "non coerenti con le medie di portafoglio". L'appellante evidenzia che la pronuncia gravata gli imputa di non aver contestato la non corrispondenza dei costi prospettati rispetto a quelli realmente attendibili, come se la Società avesse riconosciuto di aver calcolato il CPMA in modo non attendibile. Per l'appellante il Tar sembrerebbe aver equivocato il dato di partenza, ossia che il CPMA non avrebbe la funzione di fornire un'informativa completa sui costi. La sentenza incorrerebbe, poi, in errore nel sostenere che il calcolo del CPMA effettuato dalla Società abbia avuto "come risultato pratico, la prospettazione al contraente di un costo significativamente (e non tendenzialmente) inferiore a quello effettivamente rispondente alle caratteristiche del prodotto". Per l'appellante l'assunto è vago, perché ometterebbe di indicare la misura della pretesa discrasia concretamente riscontrata tra i costi effettivi e quelli prospettati, e soprattutto non quanto affermato non sarebbe provato. 14.1. Il motivo è infondato. I criteri generali per il calcolo del CPMA sono definiti dalla normativa (art. 183, c. 1, CAP e allegato 2, Reg. ISVAP n. 35/2010, che richiama all'art. 1 come fonte normativa l'art. 183). A fronte dello sviluppo di prodotto multiramo, che presenta variabilità dell'incidenza percentuale di ogni ramo, con una di "struttura di costi", diversificata in base all'investimento effettuato, la società appellante ha assunto solo le ipotesi estreme e più idonee a far apparire il CPMA quanto più basso possibile. Le allegazioni fornite in proposto dalla resistente sono dirimenti: - la massima possibile aliquota di investimento nella gestione separata prevista dal contratto (il 30%), contenendo al 70% la componente d'investimento con rischio del capitale per l'assicurato, anche se i dati di portafoglio - al momento dell'ispezione - mostravano che tale opzione, in media, riguardava solo il 18% della raccolta, percentuale per nulla corrispondente al segmento più significativo; - il caricamento minimo previsto dal contratto (lo 0% quando lo stesso può giungere fino al 3% e, in ogni caso, come affermato dalla società, quando la media di portafoglio - al momento dell'ispezione - risultava assestata su un valore dello 0,18%, dato che la società ritiene ancor oggi - sorprendentemente - indifferente, per quanto abbia un valore sostanziale diverso da quello comunque assunto). In definitiva, la società ha adottato le percentuali estreme, esclusivamente dirette a far apparire il prodotto con un CPMA più basso rispetto a quello mediamente attendibile 15. Con l'ottavo motivo di appello l'appellante censura il capo di reiezione del settimo motivo di ricorso relativo alla mancata consegna del progetto esemplificativo personalizzato (illecito sub c). Il Tar ha ritenuto che: le disposizioni pongono in maniera assolutamente chiara e inequivoca un obbligo di predisposizione e un successivo e distinto obbligo di consegna; le risultanze istruttorie farebbero emergere che il progetto esemplificativo è stato solo mostrato per presa visione; sarebbe irrilevante la mancanza di un obbligo di conservazione stante la distinzione tra presa visione e consegna; l'adozione da parte della Compagnia della circolare n. 12/2005 non avrebbe valenza scriminante. La pronuncia gravata, lamenta l'appellante, muove dall'erronea premessa chela normativa configurerebbe un obbligo di consegna del Progetto Esemplificativo Personalizzato; e che, non essendo stata trovata la copia del documento nel campione di fascicoli esaminati in sede ispettiva, non vi sarebbe la prova che la società appellante, oltre alla presa visione, abbia provveduto anche alla consegna del Progetto. Ma, aggiunge l'appellante, le norme richiamate nella motivazione dal Tar non prescrivono l'obbligo di consegna in termini tali da far apparire la condotta della società non satisfattiva di una qualche prescrizione. L'art. 9 c. 2 Reg. 35/2010 stabilisce che il progetto sia "da consegnare" al contraente e indica quale termine per adempiere il momento in cui il cliente "è informato che il contratto è concluso". La norma ammette la consegna in un momento successivo alla stipula contrattuale, pare non rispondente al dato normativo la tesi che pretende di penalizzare l'impresa che ha garantito la presa visione prima della stipula. Né si dovrebbe fare leva sulla distinzione fra "consegna" e "presa visione". Sicché, conclude sul punto la società, non è condivisibile l'affermazione del Tar che priva di efficacia l'aver garantito l'effettiva conoscenza del documento prima della sottoscrizione invece che al momento successivo del perfezionamento del contratto. Del pari non è corretto affermare che non ha valenza scriminante la condotta della società appellante che ha fornito le necessarie istruzioni operative alla rete distributiva. 15.1 Il motivo è infondato. Predisporre il progetto esemplificativo in un momento anteriore rispetto a quanto previsto dall'art. 9 Reg. n. 35/2010, ossia all'atto della firma della polizza in luogo che "al momento in cui il cliente è informato che il contratto è concluso"", non soddisfa il precetto d'effettiva tutela del cliente se, come nel caso in esame, il documento stesso non viene consegnato come prescritto dal regolamento. Sottoporre significa presentare qualcosa al giudizio di altri, mentre consegnare significa dare qualcosa in custodia o in possesso a qualcuno perché possa mantenerne disponibilità . Dunque la consegna presuppone la materiale disponibilità del documento al fine di consentirne anche successive consultazioni e analisi, il tutto nel contesto dell'obbligo di conservazione per almeno 5 anni (pro tempore vigente ex art. 57 Reg. ISVAP n. 5/2006), per tutti i contratti conclusi e per la documentazione relativa. 16. Con il nono motivo d'appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha rigettato il nono motivo del ricorso di primo grado con cui lamentava l'insussistenza dell'illecito sub) f, relativo alla completezza degli adempimenti funzionali alla valutazione di adeguatezza. Il Tar: ha illustrato la contestazione di Ivass in termini di carenze nella struttura organizzativa in ordine alle procedure volte a garantire l'adeguatezza dei contratti alle esigenze dei contraenti, con la distinzione tra condotte fino a luglio 2015 e condotte successive; ritiene inefficace la scelta di utilizzare il questionario MIFID; rileva che non vi sarebbe una discrasia tra contestazione degli addebiti e provvedimento sanzionatorio finale; rappresenta che (i) fino a luglio 2015 l'alta percentuale di rifiuti al rilascio delle informazioni sarebbe sintomatica dell'illecito contestato e (ii) nel periodo successivo rileverebbe la casistica relativa ai prodotti con orizzonti temporali estesi proposti a clienti anziani. Nel respingere la tesi dell'appellante il giudice di prime cure si sarebbe limitato a fare riferimento ai contenuti della contestazione. Quanto alle contestazioni inerenti alle procedure di verifica dell'adeguatezza per il periodo fino al 30 giugno 2015, il Tar non avrebbe tenuto conto della normativa applicabile ratione temporis. L'art. 52 c. 4 Reg. 5/2006 avrebbe consentito di procedere alla stipulazione della polizza anche in caso di rifiuto del cliente di fornire le informazioni richieste, purché lo stesso cliente fosse reso edotto della conseguente impossibilità di valutare compiutamente l'adeguatezza del prodotto. Fin da marzo 2014, Genertellife avrebbe avviato, unitamente al distributore Banca Generali, una serie di azioni finalizzate ad elevare il livello di tutela del cliente e a contenere i casi di rifiuto; dal luglio 2015 sarebbe stata adottata una soluzione "integrata" di valutazione dell'adeguatezza, basata sull'utilizzo del Questionario MIFID e del Questionario IVASS; e si sarebbe introdotto il sistema della c.d. non-adeguatezza bloccante, in virtù del quale la Società appellante si è auto imposta un divieto di collocare il prodotto nel caso di mancata acquisizione o di rifiuto di fornire le informazioni necessarie per l'effettuazione della valutazione di adeguatezza. periodo. 16.1 Il motivo è infondato. A prescindere dal regime normativo che non muta sostanzialmente il contenuto delle prescrizioni contestate, sono dirimenti le risultanze della visita ispettiva effettuate dall'organo di vigilanza che hanno evidenziava, come scorrettamente sottolineato dal Tar, la scelta dell'impresa di utilizzare il questionario MIDIF non si fosse rivelata efficace nel predisporre presidi idonei e prevenire a una congrua valutazione di adeguatezza. Il questionario utilizzato restringeva il novero delle informazioni richieste e utilizzabili in materia di valutazione di adeguatezza, inficiando la correttezza della valutazione. Pertanto, rilievi documentali acquisiti in fase istruttoria smentiscono in fatto la censurata discrasia tra contestazione degli addebiti e provvedimento sanzionatorio finale. Né è censurabile il percorso argomentativo seguito dai giudici di prime cure laddove, con riferimento al primo periodo analizzato fino a luglio 2015, stante l'alta percentuale di soggetti che hanno rifiutato di rilasciare le informazioni presenti nel questionario distribuito dai collocatori del prodotto, da inferire "una indiscutibile valenza sintomatica in ordine alla ricorrenza dell'illecito ravvisato, risultando, in conclusione, dimostrato che non era stata, in concreto, posta in essere la necessaria verifica di adeguatezza su un numero molto alto di contratti". E, con riferimento al periodo successivo, la violazione contestata trova riscontro, come rilevato dal Tar, nella casistica riportata nel verbale ispettivo e dalla quale emerge che, in un significativo numero di casi, a clienti particolarmente avanti negli anni venivano proposti, senza che scattassero alert di adeguatezza, prodotti con orizzonti temporali non compatibili con l'età anagrafica del sottoscrittore. Senza che la violazione venga meno per il fatto che il prodotto "BG Stile Libero", disciplinava espressamente il caso morte, indipendentemente dall'orizzonte temporale assunto con riguardo agli investimenti sottostanti. L'obbligo di chiarezza impone comunque l'adozione delle misure adeguate di tutela del tipo del potenziale sottoscrittore. 17. Con il decimo motivo di appello l'appellante censura la pronuncia per aver respinto il decimo motivo del ricorso di primo grado con cui, in subordine, aveva richiesto la rideterminazione della sanzione tenuto conto degli interventi effettuati e della tenuità dei fatti contestati. La pronuncia gravata sosterrebbe erroneamente che dalla motivazione del provvedimento impugnato emergono le ragioni del giudizio di gravità delle condotte, al contrario, denuncia la società, tale gravità non sarebbe dimostrata. Nel dettaglio l'appellante ripropone in merito alla quantificazione dei singoli illeciti le argomentazioni già proposte in primo grado. 17.1 Il motivo è infondato. Costituisce orientamento consolidato, da cui non sussistono giustificati motivi per qui discostarsi, che la scelta tra il minimo ed il massimo di pena pecuniaria risponde allo scopo di rimettere al potere dell'amministrazione la commisurazione della sanzione alla concreta gravità del fatto illecito, senza necessità che sia specificato il criterio seguito (cfr., Cassazione civile, sez. I, 10 dicembre 1996, n. 10976; Cassazione Civile, Sez. I, 24 marzo 2004, n. 5877 e Cass. Civile I, 4 novembre 998, n. 11054). La gravità delle condotte emerge dalla motivazione del provvedimento che, nel riflesso giuridico della quantificazione della sanzione, è espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che, in ipotesi - qui non ricorrenti - di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento. Come condivisibilmente rilevato dal Tar, in ragione della pluralità dei rilevi, è stato adottato un criterio composito: al minimo edittale, moltiplicato per due perché tale era il numero delle violazioni, s'è aggiunto il criterio di valore medio, in sé non irragionevole e, in concreto, proporzionato alla descrizione dei fatti e degli interessi pubblici alla cui tutela sono finalizzate le norme violate. 18. Conclusivamente l'appello deve essere respinto. 19. Le spese del grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna Ge. S.p.A. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore di Ivass -Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni liquidate complessivamente in 5000,00 (cinquemila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7033 del 2023, proposto da Ii. Ca. in proprio e quale legale Rappresentante della ditta Individuale Ja. Vi. di Ii. Ca., rappresentate e difese dagli avvocati St. Zu., e Vi. Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Vi. Ce. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Sm. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Reggio Calabria, via (...); Regione Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero della Cultura - Soprintendenza per Belle Arti e Paesaggio della Calabria, Agenzia del Demanio, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Capitaneria di Porto di Reggio Calabria, Autorità di Bacino Distrettuale dell'Appennino Meridionale, Ente Parco Nazionale dell'Aspromonte, Città Metropolitana di Reggio Calabria, Regione Calabria - Servizio Tecnico Regionale Vigilanza e Controllo Oo.Pp. Norme Sismiche, Sc. Fr., non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria sezione staccata di Reggio Calabria n. 41/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della Regione Calabria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini e uditi per la parte appellante l'Avv. Vi. Ce.; Viste le conclusioni delle parti appellate come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso proposto avverso la determinazione dirigenziale del Comune di (omissis) in data 19 maggio 2021, avente ad oggetto l'annullamento del provvedimento di aggiudicazione di area demaniale marittima. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze in fatto 1. Con determina del 27 gennaio 2020 il Comune di (omissis) approvata il bando di gara per la concessione dei lotti individuati nel Piano Comunale di Spiaggia approvato con determina dirigenziale n. 62 del 9 aprile 2019 della città Metropolitana di Reggio Calabria. La ricorrente partecipava alla procedura presentando la propria offerta per il lotto C1 (area attrezzata per la sostanza di camper e/o roulotte). Il progetto presentato prevedeva la realizzazione di un'area da adibire ad attività di pubblico interesse, ovvero: Area giochi per bambini, con l'installazione di giochi gonfiabili e giochi smontabili; Area piscina, con ombrelloni, realizzata in vetroresina già prefabbricata, facilmente amovibile; Punto attività collettive, mediante l'installazione di un chiosco/gazebo; Area barbecue, mediante l'installazione di un barbecue; Aree di parcheggio camper, con pavimentazione di tipo permeabile, ombreggiata, con pergolato in legno amovibile di dimensioni pari a circa m 6,00 x,8,00; Punto di bar/ritrovo, con il posizionamento di sedie e tavolini; Punto lavanderia; Punto postazione del guardiano e/o punto informazione turistica, attrezzature antincendio e attrezzatura sanitaria; Servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia. All'esito della valutazione delle proposte progettuali secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa la ditta risultava aggiudicataria. Con determinazione n. 28 del 17 aprile 2020 il responsabile dell'Area Tecnica e Territorio - Servizio II, approvava i verbali di gara nonché l'elenco dei soggetti provvisoriamente aggiudicatari, dando atto che la procedura di rilascio delle concessioni demaniali si sarebbe perfezionata solamente dopo la verifica dei requisiti di cui all'art. 80 del D. Lgs. 50/2016 nonché al perfezionamento delle pratiche edilizie e produttive relative col rilascio dei necessari titoli abilitativi. Così come previsto dall'art. 14 del bando di gara la ricorrente presentava apposita richiesta presso lo Sportello Unico Attività Produttive del Comune di (omissis) preordinata al rilascio delle necessarie autorizzazioni. Con nota prot. 14914 del 23 dicembre 2020 il Comune indiceva apposita conferenza di servizi ex art. 14 e ss. della legge n. 241/90 per l'acquisizione dei pareri, intese, nulla osta o altri atti d'assenso assegnando alle amministrazioni coinvolte i relativi termini per richiedere integrazioni (7 gennaio 2021), esprimere pareri, assensi o nulla osta (22 febbraio 2021), nonché per l'eventuale riunione di conferenza in modalità sincrona (5 marzo 2021). Con successiva nota prot. n. 1929 dell'11 febbraio 2021, resosi necessario reiterare l'invio della documentazione necessaria, veniva disposta la riapertura dei termini per la produzione dei pareri. Con nota prot. n. 4511 del 31 marzo 2021 veniva comunicato alla ricorrente l'avvio del procedimento di annullamento in autotutela del provvedimento di aggiudicazione avendo il Comune preso atto della non conformità del progetto proposto con la disciplina che norma l'area di cui trattasi. Come rilevato, invero, dalla Regione Calabria, con nota del Dipartimento Tutela dell'Ambiente del 17 marzo 2021, l'art. 11 - Area attrezzata per la sosta di camper e/o roulotte delle Norme Tecniche del Piano Comunale di Spiaggia stabilisce al punto 10 che: "11.10 E' consentita la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove possono essere collocati la postazione del guardiano, punto di informazione turistica e servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia" - "i manufatti previsti nel progetto superano la superficie assentibile prevista dall'art. 11 punto 10 delle NTA del PCS che prevede esclusivamente la possibilità di realizzare un manufatto di dimensioni massime pari a mq. 30 come sopra specificato - L'art. 11 delle NTA non prevede la possibilità di realizzare manufatti da destinare a lavanderia, alloggio per il custode, bar e piscina. Il Comune prendeva, pertanto, atto della non conformità del progetto proposto con la disciplina che norma l'area di cui trattasi, in ragione della quale non possono essere inserite le strutture previste, che superano le dimensioni massime consentite in termini di superfici e possiedono destinazioni di utilizzo non contemplate nella norma del piano attuativo vigente, comunicando l'avvio del procedimento finalizzato all'annullamento in autotutela dell'aggiudicazione del lotto C1 alla ditta Ii. Ca., alla quale veniva assegnato un termine di quindici giorni per presentare eventuali osservazioni. Entro i termini assegnati la ditta presentava le proprie osservazioni rilevando che il richiamato articolo 11 delle NTA prevede nei punti 7 e 4 la possibilità di realizzare manufatti da adibire a servizi in aggiunta alla possibilità di realizzare il manufatto di cui al successivo punto 10 con dimensioni massime di 30 mq. Rilevava, peraltro che, anche nell'ottica di una interpretazione più rigorosa dell'art. 11 delle NTA, l'annullamento in autotutela non si giustificherebbe dovendo, invece, attivarsi il soccorso istruttorio consentendo alla ditta di apportare le dovute modifiche al progetto. L'avvio del procedimento di annullamento si fonderebbe, inoltre, su un parere della Regione che nessuna competenza ha in materia. Tuttavia, con determinazione dell'Area Tecnica e Territorio, n. 30 del 19 maggio 2021, il Comune, viste le osservazioni presentate in data 12 aprile 2021, disponeva l'annullamento dell'aggiudicazione del lotto C1 - Area attrezzata per la sosta di camper e/o roulotte (Art. 11 N.T.A.) di cui al Bando per il rilascio di concessione di aree demaniali marittime per finalità turistico-ricreative del 27.01.2020 e contestuale archiviazione della pratica SUAP n. 63 del 30/04/2020 presentata dalla ditta Ii. Ca., avente ad oggetto "richiesta concessione demaniale marittima annuale per attrezzature e sosta camper e/o roulotte - lotto C1" attesa l'illegittimità dell'aggiudicazione in violazione delle norme del piano comunale di spiaggia. La motivazione del sopra richiamato provvedimento di annullamento faceva tra l'altro riferimento alle seguenti circostanze: - la superficie complessivamente occupata dalle strutture (pur non indicata nelle osservazioni) è pari a mq 172,00 a fronte dei 30 previsti dall'art. 11 delle NTA, in evidente contrasto con tale disposizione che, invero, è chiara nel prevedere che tali sono le dimensioni massime delle strutture, comprensive di postazione del guardiano, punto di informazione turistica e servizi igienici. - l'avvio del procedimento non si fonda sul parere della Regione bensì sulla consapevolezza dell'illegittimità che viziava l'aggiudicazione; - non è poi invocabile il soccorso istruttorio non potendosi consentire alla ditta di apportare correzioni al progetto, trattandosi di progetto definitivo e, come tale, non suscettibile di rilevanti stravolgimenti in fase esecutiva. 3. Parte appellante lamenta: - erroneità della sentenza appellata nella parte in cui respinge il ricorso sul presupposto che il parere della Regione non fosse tardivo e considerato atto proprio de Comune nel provvedimento di annullamento della concessione; - error in iudicando: erroneità della sentenza per intrinseca illogicità e contraddittorietà della motivazione, per cui il progetto presentato dalla Ditta contrasterebbe le norme tecniche del piano spiaggia; - errore sui presupposti; - violazione e/o falsa applicazione dell'artt. 1362 e ss. cod. civ in materia di interpretazione delle norme tecniche di attuazione del Piano spiaggia; - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 6-bis del T.U. edilizia; - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Secondo parte appellante: - la Regione Calabria aveva reso un parere che aveva operato una sorta di "interpretazione autentica", non consentita, dell'art. 11 delle N.T.A del PSC; - il provvedimento del Comune sarebbe astrattamente riferibile ad un illegittimo provvedimento di revoca ex art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. I rilievi formulati dall'Amministrazione regionale sarebbero in parte affetti da un vizio di incompetenza, in ordine alla destinazione funzionale degli spazi, in parte da una lettura in malam partem ed estensiva delle N.T.A. L'art. 11 della norma tecnica applicata visto nel suo articolato consentirebbe al suo punto 7 e 4 la realizzazione di manufatti da adibire a servizi (non identificati con un numero chiuso) con caratteristiche costruttive tali da non nuocere al decoro dell'ambiente che non turbino l'estetica e non ostruiscano la visuale al mare, utilizzando materiali costruttivi aventi caratteristiche di precarietà e facile rimozione; Il suo successivo punto 10, secondo una interpretazione teologicamente orientata, coerente sia con l'oggetto sia con la vocazione turistica del territorio, oltre a contemplare i manufatti necessari per svolgere i servizi collegati alla concessione, prevederebbe la facoltà di realizzare un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove poter collocare la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap. I restanti manufatti sarebbero da intendersi come servizi primari per l'intero progetto, le norme nta non citerebbero in nessun punto altri manufatti. Per quanto concerne la piscina, la stessa sarebbe da ritenersi parte integrante delle aree di svago, essendo tra le altre cose una struttura di facile rimozione. Parte appellante fa altresì riferimento all'art. 6 - bis del T.U. edilizia considerata, per la modestia ed irrilevanza urbanistica ed edilizia degli interventi di cui si tratta. Parte appellante ritiene che le determinazioni adottate dal Comune di (omissis) sarebbero affette da un palese difetto di motivazione in quanto nelle stesse non viene specificato, nel disporre l'annullamento in autotutela, quali siano i giudizi valutativi espressi dall'Amministrazione in ordine all'impossibilità di procedere alla stipula del contratto di concessione di cui si tratta pur a fronte della pluralità dei pareri favorevoli espressi dagli enti effettivamente preposti alla tutela dei singoli vincoli individuati sull'area. 4. Parte appellante lamenta erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui respinge il motivo relativo all'azione di annullamento in asserita autotutela del provvedimento di aggiudicazione del lotto C1. Ingiustizia manifesta. Eccesso di potere per violazione dell'art. 14 del bando. Violazione dei principi dell'imparzialità e del buon andamento. Abuso del diritto. Error in iudicando: erroneità della sentenza per intrinseca illogicità e contraddittorietà della motivazione. Errore sui presupposti. Difetto di istruttoria e di motivazione. Violazione o falsa applicazione dell'art. 14 e 14 bis della l.n. 241/1990. Il provvedimento del Comune, sarebbe in realtà astrattamente riferibile ad un illegittimo provvedimento di revoca ex art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Parte appellante fa riferimento ai pareri favorevoli espressi dalle amministrazioni interessate. La Regione Calabria, con decreto dirigenziale n. 4929 del 12 maggio 2021, relativamente alla procedura di incidenza ai sensi della DGR 749/2009 e s.m.i. - direttiva habitat 92 43 CEE Direttiva Uccelli 79 409 CEE DPR 357 97 - ha espresso parere favorevole di valutazione di incidenza con prescrizioni. Parte appellante fa poi riferimento al parere favorevole espresso dalla Città Metropolitana di Reggio Calabria con nota prot. 3558 del 18 gennaio 2021 in ordine al vincolo paesaggistico insistente sull'area interessata dall'intervento. Parte appellante richiama il parere favorevole dell'Ufficio delle Dogane di Reggio Calabria, secondo cui "dall'esame degli elaborati forniti risulta la presenza di una strada pubblica tra il demanio marittimo e l'opera oggetto di richiesta di autorizzazione. Tale circostanza consente di poter annoverare l'opera di che trattasi al di fuori della zona di vigilanza doganale e perciò non soggetta al rilascio dell'autorizzazione ex art. 19 D.lgs. 374/90". Parte appellante richiama altresì il parere favorevole dell'ASL di Reggio Calabria con riferimento all'idoneità igienico-sanitaria del progetto. Secondo parte appellante la sentenza impugnata non affronterebbe il rapporto tra i suddetti pareri e le risultanze della conferenza di servizi. Anche in presenza di pareri negativi l'Amministrazione procedente potrebbe, sulla scorta di una valutazione discrezionale delle posizioni prevalenti, addivenire ad una determinazione conclusiva dell'iter autorizzativo di segno positivo, rimanendo la stessa libera di recepire o meno quanto espresso dalle Amministrazioni in sede di conferenza di servizi. In questo senso, pertanto, il parere negativo espresso dalla Regione non avrebbe potuto impedire l'adozione del provvedimento di autorizzazione, laddove la stessa amministrazione procedente abbia compiuto in sede urbanistica e preliminare del bando una valutazione discrezionale favorevole all'approvazione del progetto. L'amministrazione procedente, al fine di negare la richiesta autorizzazione non potrebbe limitarsi a richiamare acriticamente il contenuto del parere negativo espresso dalla Regione, dovendo invece comporre gli interessi in concorso e adottare un provvedimento finale che sia esito di una autonoma valutazione. Secondo parte appellante assume carattere assorbente la violazione del termine perentorio del 22.02.2021 indicato dall'A.C. per l'acquisizione dei pareri degli enti interessati. Il parere sfavorevole della Regione è giunto solo il 5 marzo del 2021 e quindi avrebbe dovuto essere ritenuto inutiliter dato o quantomeno valutato nel complesso dei pareri di opposto segno resi dagli enti interessati. Fa riferimento al difetto di istruttoria assieme a quello di motivazione atteso che nel provvedimento conclusivo del procedimento si afferma che l'area totale occupata è pari a 170,00 mq a fronte dei 30 mq massimi previsti dall'art. 11 delle N.T.A. Invero nel computo delle opere di cui all'art. 11 delle N.T.A. non potrebbero essere ricomprese, anche alla luce dei chiari pareri degli enti interessati (che anzi hanno condizionato l'espressione di un giudizio favorevole all'adeguata capacità ricettiva in sicurezza dell'area attrezzata), le strutture serventi, secondo un nesso di collegamento e di proporzionalità, il bene concesso tanto più che si tratta di opere relative all'igiene dei luoghi; alla sicurezza; al ristoro delle persone. Opere di tale ininfluente impatto da non rilevare e incidere su alcuno degli interessi oggetto di tutela nell'area interessata. 5. Parte appellante lamenta erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha valutato il motivo inerente l'azione di risarcimento del danno derivante da annullamento (rectius revoca) dell'aggiudicazione conseguente all'impugnazione delle determinazioni amministrative di caducazione dell'aggiudicazione e di indizione di una nuova gara. Azione risarcitoria ex art. 30, co. III, del c.p.a. Violazione del principio di proporzionalità . Sproporzione. Ingiustizia manifesta. Violazione del principio di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa. Violazione dell'art. 97 della Costituzione. Parte appellante chiede la restituzione (a titolo risarcitorio) delle spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla procedura di gara e per la finalizzazione delle attività susseguenti l'aggiudicazione. In subordine chiede il risarcimento per via equitativa in misura non inferiore al 10% del valore della concessione perduta. 6. L'appello è infondato. Il provvedimento di annullamento dell'aggiudicazione non è stato adottato, come ritiene parte appellante, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, ma a causa della riscontrata illegittimità del provvedimento di aggiudicazione, ritenuto in contrasto con le vigenti NTA del piano comunale di spiaggia. Tale provvedimento è stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento e le osservazioni presentate da parte appellante sono state oggetto di specifico esame. Non sussiste il lamentato difetto di motivazione. Il provvedimento di annullamento, così come la precedente nota di comunicazione di avvio del procedimento, individua nella non conformità del progetto presentato dalla ricorrente con il punto 10 dell'art. 11 delle NTA del Piano Comunale di Spiaggia le ragioni di illegittimità dell'aggiudicazione. Il progetto, invero, in quanto non compatibile con le suddette norme tecniche non avrebbe potuto essere oggetto di valutazione né, conseguentemente, di aggiudicazione, anche considerando la necessaria tutela della par condicio tra i concorrenti. Con il provvedimento reso in autotutela il Comune ha specificamente motivato riguardo la sussistenza di un interesse pubblico rispetto al mero ripristino della legalità . Infatti trattasi dell'interesse alla tutela del territorio e dell'interesse della parità di trattamento dei concorrenti a che sia preso in considerazione un progetto conforme alla normativa vigente. Risulta adeguatamente comparato il sacrificio di parte appellante, considerando che l'intervento non è stato oggetto di rilascio dei permessi abilitativi e dunque non è stato realizzato. Parimenti la tutela della parità dei concorrenti non avrebbe consentito al Comune di richiedere a parte appellante la presentazione di un nuovo progetto, dopo la scadenza del termine di presentazione delle offerte. Correttamente il Tar ha ritenuto infondata la censura secondo cui il provvedimento sarebbe stato adottato sulla base di un parere sfavorevole della Regione attinente ad aspetti (la compatibilità del progetto con le NTA) che non rientrano tra le competenze dell'amministrazione regionale. L'amministrazione comunale, infatti, non si è limitata a richiamare il parere del Settore 3 del Dipartimento Tutela dell'Ambiente della Regione Calabria, ma ha dato atto nel provvedimento impugnato del contrasto del progetto presentato dalla ricorrente in sede di partecipazione alla procedura indetta per il rilascio di concessione di area/e demaniali marittime per finalità turistico-ricreative con l'art. 11, punto 10, delle Norme Tecniche del piano comunale di spiaggia. L'annullamento in autotutela è dunque espressione di autonoma valutazione dell'Amministrazione comunale. Correttamente il Tar ha ritenuto non rilevante la circostanza che le altre amministrazioni coinvolte nella conferenza di servizi abbiano espresso parere favorevole al rilascio della concessione riguardando i suddetti pareri aspetti del tutto diversi ed ulteriori rispetto a quelli afferenti alla incompatibilità del progetto con le norme tecniche di attuazione che ha portato all'annullamento. Ed infatti: - il parere della Città Metropolitana prot. n. 3558 del 18 gennaio 2021, concerne esclusivamente la compatibilità paesaggistica dell'intervento e non costituisce presunzione di legittimità del progetto sotto ogni altro profilo; - il parere dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria prot. n. 86 del 27 gennaio 2021 riguarda esclusivamente l'idoneità igienico sanitaria delle strutture da realizzare; - il decreto n. 4929 del 12 maggio 2021 del Settore 4 del Dipartimento Tutela dell'Ambiente della Regione Calabria riguarda la Valutazione di Incidenza ai sensi del DPR 357/97 e DGR 749/2009 che tiene conto degli impatti potenziali sulla flora, sulla fauna ed avifauna selvatica e più in generale sul complessivo sistema ambientale del sito sensibile. È parimenti infondata la censura di parte appellante, secondo cui l'amministrazione comunale avrebbe erroneamente ritenuto superato il limite di mq 30 previsto dall'articolo 11 delle NTA non potendo ritenersi ricomprese in tale prescrizione le strutture serventi. Il punto 11.10 delle NTA del piano comunale di spiaggia consente, infatti, la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, che ricomprenda la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia. Nel caso in esame il progetto presentato dall'appellante prevedeva, invece, la realizzazione di più manufatti con estensione complessiva ben superiore ai 30 metri quadrati previsti dalla disposizione richiamata (punto di bar/ritrovo di superficie pari a mq. 37,80; punto lavanderia di mq 44,00; punto postazione del guardiano e/o punto informazione turistica, attrezzature antincendio e attrezzature sanitarie di complessivi mq 62; servizi igienici di mq 28,20). Essendo superato il limite di 30 metri quadrati previsto dalle n. t.a., è priva di fondamento la tesi di parte appellante, secondo cui si tratterebbe di interventi minori soggetti ad edificazione libera. Si tratta di intervento non consentito dalle n. t.a. e dunque il Comune non avrebbe in ogni caso potuto determinarsi diversamente. Sebbene - ciò va riconosciuto - di non piana lettura, la norma di riferimento ("11.10 E' consentita la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove possono essere collocati la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia."), non si presta (cfr l'inciso "dove") alla lettura dell'appellante, secondo cui i 30 mq sarebbero implementabili con gli altri manufatti ivi citati, sino ad una possibile cubatura complessiva di mq 170. Correttamente il Tar ha osservato che nessun legittimo affidamento può dirsi ingenerato dall'aggiudicazione poi annullata atteso che il bando di gara subordinava espressamente il rilascio della concessione demaniale marittima all'acquisizione dei necessari pareri, autorizzazioni e nulla osta (art. 14) e che, coerentemente con tale previsione, la determina n. 28 del 17 aprile 2020, di approvazione dei verbali di gara e dell'elenco dei soggetti provvisoriamente aggiudicatari, dava atto che la procedura di rilascio di concessioni demaniali... si perfezionerà solamente dopo la verifica dei requisiti di cui all'art. 80 del D.lgs. n. 50/2016 nonché al perfezionamento delle pratiche edilizie e produttive relative con rilascio dei necessari titoli abilitativi. Proprio per effetto dell'impugnato provvedimento di annullamento dell'aggiudicazione (impugnato in primo grado) i titoli abilitativi non potevano essere rilasciati. Ne consegue l'infondatezza della censura di tardività proposta dall'appellante, anche considerando che sono stati rispettati i termini per l'esercizio dell'autotutela previsti dall'art. 21 - nonies della legge n° 241 del 1990. La responsabilità per avere presentato un progetto difforme dalla normativa vigente grava sul soggetto che ha partecipato alla procedura e dunque su parte appellante. Pertanto non può essere accolta la domanda di risarcitoria in relazione alla lesione dell'affidamento. Né può essere accolta la domanda risarcitoria connessa all'azione impugnatoria, essendo quest'ultima infondata per quanto sopra precisato. Essendo sufficiente il quadro probatorio ai fini della decisione, non può essere accolta l'istanza di consulenza tecnica d'ufficio proposta dall'appellante L'appello deve pertanto essere respinto. La condanna alle spese dell'appello segue la soccombenza, come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante al pagamento delle spese dell'appello nella misura di Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Comune di (omissis) e di Euro 2.000/00 (duemila/00) a favore della Regione Calabria. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO L A C O R T E S U P R E M A D I C A S S A Z I O N E SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Milena FALASCHI - Presidente Aldo CARRATO - Consigliere Rel. Antonio SCARPA - Consigliere Chiara BESSO MARCHEIS - Consigliere Remo CAPONI - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso (iscritto al N.R.G. 31743/2018) proposto da: BANFI LORENZO MAURO e REALI DAVID, rappresentati e difesi, in virtù di distinte procure speciali allegate al ricorso, dagli Avv.ti Claudio Bonora, Roberto Ferretti e Federico Sorrentino, elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, Lungotevere delle Navi, n. 30; - ricorrenti - contro BANCA D’ITALIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura rilasciata su separato foglio allegato materialmente al controricorso, dagli Avv.ti Stefani Ceci, Monica Marcucci e Nicola De Giorgi, elettivamente domiciliata presso i medesimi, in Roma, v. Nazionale, n. 91; - controricorrente - avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 4459/2018 (pubblicata il 2 luglio 2018); udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11 aprile 2024 dal Consigliere relatore Aldo Carrato; R.G.N. 31743/2018 P.U. 11/04/2024 SANZIONI AMMINISTRATIVE udito il P.M., in persona del Sostituto P.G. Alberto Cardino, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso; udito l’Avv. Claudio Bonora, per i ricorrenti, e l’Avv. Nicola De Giorgi, per la controricorrente. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con provvedimento del 23 ottobre 2012 n. 890349, approvato con deliberazione del Direttorio n. 689/2012, la Banca d’Italia definitiva il procedimento sanzionatorio instaurato, tra gli altri, contro Lorenzo Mauro Banfi e David Reali, quali componenti del collegio sindacale della Banca Network Investimenti spa, a seguito degli accertamenti ispettivi di vigilanza eseguiti dal 30 maggio al 30 settembre 2012, all’esito dei quali veniva irrogata, nei riguardi di ciascuno degli stessi, la sanzione pecuniaria di euro 15.000,00. Ai citati sanzionati era stato contestato l’illecito riconducibile alle carenze nei controlli imposti dall’art. 53, comma 1, lett. b) e d) del d. lgs. n. 385/1993, nonché delle norme contenute nel tit. IV cap. 11 delle Istruzioni di vigilanza delle banche – circ. 229/1999, nonché nel tit. I cap. I, parte IV, delle nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, circ. 263/2006 – disposizioni di vigilanza del 4 marzo 2008 in materia di organizzazione e governo societario delle banche. Il Banfi e il Reali proponevano opposizione avverso la suddetta delibera sanzionatoria dinanzi al TAR Lazio, il quale – con sentenza del 25 febbraio 2015 – dichiarava il proprio difetto di giurisdizione. A seguito della riassunzione avanti alla Corte di appello di Roma, nella resistenza della Banca d’Italia e con l’intervento del PG presso la stessa Corte laziale, le opposizioni venivano integralmente respinte con sentenza n. 4459/2018, ravvisandosi l’insussistenza: a) della dedotta violazione dell’art. 14 della legge n. 689/1981, avuto riguardo all’asserita tardività della contestazione dell’addebito, avvenuta oltre il novantesimo giorno dall’accertamento del 30 settembre 2011; b) della denunciata violazione della mancata corrispondenza tra contestazione e condotta sanzionata; c) della prospettata carenza, erroneità e motivazione dell’impugnata delibera sanzionatoria; d) dell’erroneità dell’accertamento di condotte illecite ascrivibili a componenti del collegio sindacale della Banca Network Investimenti; e) della sproporzione ed incongruità della misura delle sanzioni irrogate. 2. Contro la suddetta sentenza di rigetto della Corte di appello di Roma hanno formulato un congiunto ricorso per cassazione Banfi Lorenzo Mauro e Reali David, affidato a otto motivi (di cui il primo riferibile, in via esclusiva, al solo Reali). Ha resistito con controricorso la Banca d’Italia. Il PG e i difensori di entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo David Reali denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 140 c.p.c., per aver la Corte di appello ritenuto – con la sentenza impugnata - tempestiva la notifica del verbale di avvio del procedimento sanzionatorio, da considerarsi, invece, affetta da nullità. In particolare, il Reali lamenta che la procedura notificatoria di cui all’art. 140 c.p.c. non era stata correttamente eseguita, in quanto esso ricorrente non aveva reperito l’avviso del deposito presso la Casa comunale, che avrebbe dovuto essere affisso sulla porta della sua casa di abitazione. Per contro, si evidenzia che la Corte di appello aveva preso in esame la questione della scissione degli effetti della notificazione fra mittente e destinatario, la quale, tuttavia, non era stata dallo stesso sollevata in giudizio con l’atto di opposizione. 1.1. Il motivo non coglie nel segno e va disatteso. Diversamente da quanto con esso prospettato, la Corte di appello non è incorsa nella dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., dal momento che ha posto riferimento alla richiamata rilevata distinzione relativa alla scissione degli effetti della notificazione fra notificante e notificatario proprio per desumerne che, nella fattispecie, non si era venuta a verificare la supposta violazione dell’art. 140 c.p.c. La Corte laziale, proprio sulla base di questo ormai pacifico presupposto giuridico (che trova applicazione anche nell’ambito dei procedimenti sanzionatori amministrativi: cfr. Cass. SU n. 12332/2017, Cass. n. 28388/2017 e Cass. n. 20515/2020), ha ritenuto legittima e tempestiva la notificazione dell’atto di contestazione dell’addebito nei confronti del Reali, rilevando che, a fronte della definizione dell’accertamento avvenuto il 30 settembre 2011, si era provveduto all’invio del suddetto atto di contestazione, da parte della Banca d’Italia, con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario il 21 dicembre 2011 e, quindi, entro il termine decadenziale di legge. A tal proposito la Corte di appello ha opportunamente richiamato, considerandolo applicabile, quanto statuito dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 12332/2017, con cui è stato affermato che il principio della scissione degli effetti della notificazione tra il notificante ed il destinatario dell'atto trova applicazione anche per gli atti del procedimento amministrativo sanzionatorio - non ostandovi la loro natura recettizia – tutte le volte in cui dalla conoscenza dell'atto stesso decorrano i termini per l'esercizio del diritto di difesa dell'incolpato e, ad un tempo, si verifichi la decadenza dalla facoltà di proseguire nel procedimento sanzionatorio in caso di omessa comunicazione delle condotte censurate entro un certo termine, dovendo bilanciarsi l'interesse del notificante a non vedersi imputare conseguenze negative per il mancato perfezionamento della fattispecie "comunicativa" a causa del fatto di terzi che intervengano nella fase di trasmissione del contenuto dell'atto e quello del destinatario a non essere impedito nell'esercizio di propri diritti, compiutamente esercitabili solo a seguito dell'acquisita conoscenza del contenuto dell'atto medesimo. Pertanto, a questi fini, non rileva che l’esecuzione della notificazione sia avvenuta ai sensi dell’art. 140 c.p.c., senza trascurare il dato che lo stesso ricorrente ha attestato di aver ricevuto il plico, con effetto perciò sanante e tale da consentirgli il pieno dispiegamento delle sue attività difensive (cfr. Cass. n. 11713/2011 e Cass. n. 19522/2016). Oltretutto, per quanto evincibile dagli atti acquisiti in causa (esaminabili anche nella presente sede, vertendosi in un caso di denuncia di un vizio processuale), è emerso che il timbro apposto dall’ufficiale giudiziario che aveva proceduto alla notificazione dell’atto di contestazione degli addebiti ai sensi dell’art. 140 c.p.c. reca la data del 28 dicembre 2011 e nella stessa data il medesimo aveva compiuto le attestazioni relative all’affissione dell’avviso di deposito alla porta del destinatario e all’invio di altro avviso R.R. con spedizione presso il domicilio dello stesso Reali comunicandogli l’avvenuto deposito, così risultando completata la procedura notificatoria prevista dal citato art. 140 del codice di rito (peraltro, per vincere tali attestazioni effettuate dall’ufficiale giudiziario, occorreva proporre – rimedio che non risulta, invece, essere stato esperito dal Reali - querela di falso, stante la natura fidefaciente della relazione di notificazione: v., ad es., Cass. n. 1699/2019 e, già, Cass. n. 1125/1998). Pertanto, deve ritenersi che, ai fini del rispetto del termine di cui all’art. 14 della legge n. 689/1981, non costituisce elemento integrante della notificazione l’effettiva conoscenza acquisita dal destinatario in una data successiva, la quale – semmai – esercita la sua efficacia sulle attività di cui costui ha diritto di avvalersi, quali la presentazione delle proprie controdeduzioni, il cui termine di 30 giorni previsto dal TUB viene a decorrere dalla data di ricezione del plico, avvenuta, nel caso di specie, il 10 gennaio 2012 (come dallo stesso ricorrente ammesso: cfr. pag. 8 del ricorso). 2. Con il secondo motivo di ricorso sia il Banfi che il Reali deducono la violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990 e dell'art. 97 Cost., sul presupposto che la Corte di appello avrebbe, erroneamente, ritenuto corretta la motivazione del provvedimento sanzionatorio. La censura è priva di pregio. A tale proposito, occorre rilevare che l’atto sanzionatorio, pur se sostanzialmente riproduttivo degli esiti delle operazioni ispettive, non può certo, per tale motivo soltanto, essere considerato insufficientemente motivato (v., ad es., Cass. n. 10745/2015), rispondendo, pertanto, per quanto in modo essenziale, alle doglianze mosse dai ricorrenti, non risultando, perciò, integrata la violazione del diritto di difesa ed al contraddittorio degli stessi. Va, oltretutto, ricordato che – sul piano generale – il provvedimento sanzionatorio con cui la P.A., disattendendone le deduzioni difensive, irroga al trasgressore una sanzione amministrativa è censurabile dal giudice dell'opposizione, sotto il profilo del vizio motivazionale, unicamente nel caso in cui sia del tutto privo di motivazione (ovvero quando questa sia solo apparente) e non anche se la stessa risulti insufficiente, atteso che l'eventuale giudizio di inadeguatezza motivazionale involge una valutazione di merito che non compete al giudice ordinario, concernendo il giudizio di opposizione non l'atto della P.A., ma il rapporto sottostante (Cass. SU n. 1786/2010, Cass. n. 2959/2016 e Cass. n. 12503/2018). Nel caso di specie, oltretutto, vengono in rilievo sanzioni amministrative irrogate ex art. 144 TUB, le quali non sono comparabili a quelle di cui all’art. 187-ter TUB, e quindi non possono considerarsi del tutto soggette al regime di garanzie proprio del processo penale (Cass. n. 3656/2016 e Cass. n. 16517/2020). 3. Con il terzo motivo i due ricorrenti denunciano la nullità della sentenza o del procedimento per omessa pronuncia sull’eccezione di violazione dei principi di colpevolezza e personalità, previsti dagli artt. 3 e 6 della legge n. 689/1981, stante l’uniformità degli addebiti mossi indistintamente a tutti i membri degli organi amministrativi e di controllo della BANCA NETWORK INVESTIMENTI – BNI S.p.a. Diversamente da quanto denunciato, il Collegio rileva che – per come chiaramente emergente dallo sviluppo motivazionale contenuto nelle pagg. 10-11 della sentenza impugnata - risultano essere stati evidenziati i puntuali doveri incombenti sugli organi di controllo societari e, in particolare, le carenze concretamente rilevate nello svolgimento di tale specifica attività rispetto agli organi di amministrazione. Da ciò consegue l’insussistenza del dedotto vizio di omessa pronuncia. 4. Con il quarto motivo i ricorrenti prospettano la violazione e falsa applicazione dell'art. 2403 c.c., dell'art. 53, comma 1, lett. b) e d), TUB, nonché delle norme contenute nel Titolo IV, Capitolo 1 delle Istruzioni di vigilanza per le Banche di cui alla Circolare n. 229/99 della Banca d'Italia; nel Titolo I, Capitolo 1, parte quarta delle Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le Banche, di cui alla circolare n. 263/06 della Banca d'Italia e, infine, nelle Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche, adottate dalla Banca d'Italia con provvedimento del 4 marzo 2008, in ordine al contenuto degli obblighi di controllo del Collegio sindacale. In sostanza, con tale censura, i ricorrenti denunciano, nel ripercorrere le motivazioni del provvedimento sanzionatorio, che la Corte di appello avrebbe avvalorato l’attribuzione ai sindaci della citata banca (qualità rivestita dal Banfi e dal Reali) della funzione di valutare nel merito la convenienza ed opportunità delle scelte gestorie societarie, obliterando, però, di considerare che al collegio sindacale non compete l’organizzazione delle funzioni di controllo interno, spettanti alla governance bancaria. La censura è priva di fondamento. La sentenza impugnata si è, infatti, uniformata alla giurisprudenza – ormai costante – di questa Corte, alla stregua della quale sono stati enunciati i seguenti principi: - in tema di sanzioni amministrative pecuniarie applicabili ai sensi degli artt. 144 e 145 TUB, il componente del collegio sindacale è imputabile a titolo di dolo o di colpa per l'omesso o il difettoso compimento, cosciente e volontario, dei doveri di controllo e di ispezione di cui all'art. 2403, terzo comma, c.c., non diversamente da quanto previsto dalla disciplina generale dell'illecito amministrativo di cui alla legge n. 689 del 1981 che esclude forme di responsabilità oggettiva; - in materia di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia bancaria, i componenti del collegio sindacale, i quali, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo "quoad functione", gravando sui sindaci, da un lato, l'obbligo di vigilanza in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti di atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche della verifica dell'adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno della società, secondo i parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare di vigilanza e, dall'altro lato, l'obbligo legale di denuncia immediata alla Banca d'Italia. In altri termini, diversamente da quanto prospettato con il motivo in esame, non si tratta di imputare ai sindaci una responsabilità per il compimento di operazioni irregolari o illecite da parte di altri, né di sottoporre gli organi amministrativi ad un controllo sul merito delle scelte gestionali, ma di esigere l’esercizio tempestivo dei poteri ispettivi che la legge pone a carico dei sindaci, esercizio che, nella specie, la Corte di appello di Roma ha accertato essere mancato con una motivazione del tutto logica e sufficiente, perciò insindacabile nella presente sede di legittimità. Al riguardo, la citata Corte (v., soprattutto, pagg. 13-14 della motivazione della sentenza qui impugnata) ha adeguatamente evidenziato l’assenza di iniziative volte a far emergere e a rimuovere le anomalie e le irregolarità rilevate (sul punto, v. Cass. SU n. 20934/2009 e, già con specifico riferimento alle sanzioni ex art. 144 TUB, Cass. n. 5239/2008), non essendosi i medesimi attivati per far emergere gli indici di criticità correlati all’attività gestoria bancaria (tra i quali la larga diffusione di condotte scorrette dei promotori, la vendita di prodotti rischiosi senza adeguate cautele, il ritardo nella segnalazione dell’applicazione della normativa antiriciclaggio). 5. Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione della disciplina normativa regolatrice del riparto dell’onere probatorio, di cui all’art. 2697 c.c. ed all'art. 3 della legge n. 689/1981 (in rapporto all’art. 115 c.p.c.), sostenendosi che la Corte di appello avrebbe conferito rilevanza unicamente alle risultanze degli accertamenti ispettivi, senza considerare le controdeduzioni documentali degli stessi ricorrenti, fra le quali il rapporto della BANCA D’ITALIA 18.10.2012 prot. 0873007/12, che aveva escluso qualsivoglia responsabilità, e degli organi gestori e degli organi di controllo, per le perdite patrimoniali subite da BNI. Contrariamente a quanto sostenuto con la formulata censura, deve evidenziarsi che la Corte di appello non si è limitata a recepire acriticamente e pedissequamente le risultanze degli accertamenti ispettivi, ma ha provveduto a vagliare autonomamente e in modo tra loro coordinato varie circostanze fattuali, fra cui: il significativo contenzioso sviluppatosi a seguito della offerta di prodotti finanziari non adeguati, nel periodo di operatività dell’organo sindacale di controllo; il non aver impedito, quindi, un’estesa diffusione di vendita incauta di prodotti ad elevata rischiosità per la clientela (oltretutto riferita ad una banca di piccole dimensioni) e – come già evidenziato - il ritardo nell’adozione della normativa antiriciclaggio. Peraltro, è appena il caso di aggiungere che il riferimento al su citato rapporto della Banca d’Italia concerne unicamente lo specifico problema della diminuzione della patrimonialità della BNI, ma non esclude in alcun modo che all’organo di controllo fossero addebitabili specifiche omissioni nelle loro funzioni. 6. Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, con riferimento all’arco temporale degli accertamenti ispettivi. Si deduce che tali accertamenti avrebbero posto riferimento unicamente a fatti occorsi fra il maggio 2010 e il settembre 2011, senza considerare quelli anteriori, sui quali la stessa Banca d’Italia aveva condotto un accertamento ispettivo diverso da quello oggetto della presente causa, riferibile sino alla data del 17.10.2008, conclusosi senza la contestazione di addebiti. Diversamente da quanto opinato dai ricorrenti, la Corte di appello ha adeguatamente chiarito che l’esclusione della responsabilità del sindaco Favalesi era giustificata dal fatto che egli aveva cominciato a svolgere il suo incarico dal 27 aprile 2010, nel mentre il Banfi e il Reali lo avevano assunto a far data dal 26.9.2007 e che le loro omissioni di vigilanza - nel corso del periodo in cui essi avevano rivestito tale qualità - erano state verificate con gli accertamenti ispettivi che erano stati poi posti a fondamento della impugnata delibera sanzionatoria. La circostanza della contestata “perimetrazione temporale” risulta, dunque, essere stata esaminata. 7. Con il settimo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 53, 144 e 145 TUB in relazione al rilievo ispettivo n. 11), con il quale si contestava la mancata osservanza delle prescrizioni antiriciclaggio, di cui all’art. 7, d.lgs. 231/2007, fattispecie estranea al potere di controllo degli Istituti di credito e di normazione secondaria della Banca d’Italia, di cui al citato art. 53 TUB. A tal proposito va rilevato che l’area applicativa dell’art. 53 TUB concerne il controllo interno (comma 1, lett. d) e il contenimento del rischio (comma 1, lett. b) e la violazione della relativa normativa secondaria trova la disciplina sanzionatoria nell’art. 144 TUB. Nel caso, non risulta essere stato applicato il procedimento sanzionatorio previsto dall’art. 56 del d.lgs. 231/2007, che pertanto non viene in rilievo nella vicenda dedotta in causa. 8. Con l’ottavo ed ultimo motivo i ricorrenti denunciano l’omessa pronuncia sulla dedotta incompetenza della Banca d’Italia all’irrogazione di sanzioni concernenti la prestazione di servizi di investimento, da intendersi, invece, devoluta alla competenza CONSOB dal TUF. La doglianza è priva di fondamento, dal momento che la Corte di appello ha preso specifica posizione sulla questione (v. ultima parte di pag. 11 e la prima della successiva pag. 12), rilevando che le sanzioni irrogate al Banfi e al Reali attenevano alla violazione della disciplina dell’attività di controllo interno e non invadevano, pertanto, la sfera di attribuzioni propria della CONSOB. Più specificamente nella sentenza impugnata è stato correttamente posto in risalto che non aveva rilievo che la contestata carenza nei controlli interni concernesse anche l’attività di collocamento tra i clienti della banca di prodotti finanziari soggetta a vigilanza della CONSOB, poiché la contestazione e la conseguente sanzione applicata avevano riguardato i controlli interni della banca e l’adeguatezza dell’attività di controllo da esercitarsi sulle funzioni societarie e non esorbitavano, quindi, dai compiti di vigilanza sulle banche assegnati alla Banca d’Italia. È da escludersi, quindi, la sussistenza della dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. 9. In definitiva, il ricorso va integralmente respinto, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo. Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 3.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte di cassazione, in data 11 aprile 2024. Il Consigliere estensore La Presidente Aldo Carrato Milena Falaschi
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5839 del 2023, proposto da St. Ou. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Di Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Bari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ro. Ci., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Fa. Ca. in Roma, via (...); nei confronti Er. It. S.r.l. e Cl. Ch. It. S.p.A., non costituite in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Terza n. 1776/2022 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bari; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 marzo 2024 il Cons. Daniela Di Carlo e uditi per le parti gli avvocati Ca. Di Gi. e Ro. Ci.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società ricorrente ha appellato la sentenza di cui in epigrafe con la quale il Tar per la Puglia, Bari, ha respinto il suo ricorso per l'annullamento dell'ordinanza datata 25 ottobre 2021, n. 2021/03412, con cui le è stata ingiunta la rimozione degli impianti pubblicitari installati sul suolo comunale. In particolare, il provvedimento comunale è stato motivato con il riferimento al fatto che "è spirato alla data del 22 settembre 2021 il termine per la presentazione delle offerte nell'ambito della procedura selettiva cod. S21010 bandita con avviso pubblico del 14.05.2021 relativa a "affidamento in concessione degli spazi comunali per l'installazione dei gruppi omogenei di mezzi pubblicitari sul suolo pubblico di cui all'art. 9 del regolamento sulla Pubblicità, suddiviso in venti lotti" e che, per l'effetto e ai sensi della D.G.C. n. 40/2021, è consentita la permanenza sul territorio ai soli operatori, titolari di impianti e proponenti offerta, limitatamente agli impianti oggetto della relativa dichiarazione di permanenza; la permanenza sul territorio comunale oltre il termine di cui alla D.G.C. n. 40 del 22.01.2021 è consentita ai soli operatori economici che hanno presentato dichiarazione di permanenza e risultano aver formulato l'offerta di gara, in linea con le risultanze della prima fase di controllo di regolarità formale della documentazione amministrativa dichiarate da ultimo con la determina n. 1442 del 01.10.2021 da parte della Ripartizione Stazione Unica Appaltante, Contratti e Gestione LL.PP; l'amministrazione comunale può agire in autotutela ai sensi dell'art. 823, co. 2 del codice civile al fine della tutela dei beni sottoposti al regime del demanio pubblico di cui all'art. 822, co. 2 c.c.; l'art. 1, co. 822, della legge n. 160/2019 attinente al Bilancio di previsione dello Stato per l'anno 2020 prevede la "rimozione delle occupazioni e dei mezzi pubblicitari privi della prescritta concessione o autorizzazione o effettuati in difformità dalle stesse". In merito alla situazione specifica della società ricorrente, veniva infatti rilevato che l'operatore economico "è presente sul territorio comunale con impianti su suolo pubblico, ha presentato dichiarazione di permanenza ai sensi della D.G.C. 40/2021, ricevuta dalla scrivente ripartizione con nota prot. 027868 del 03.02.2021, ha presentato offerta nei termini indicati dagli atti della procedura ad evidenza pubblica S21010 ma è stata esclusa per mancata regolarizzazione della documentazione amministrativa ai sensi dell'art. 83, co. 9 del d.lgs. 50/2016". Senonché, è poi accaduto che la società abbia impugnato la suddetta esclusione dalla procedura con ricorso n. 1148/2021, riportando vittoria nel giudizio. Riammessa quindi alla procedura, ne ha conseguito anche la definitiva aggiudicazione. Reclama pertanto ora, con il ricorso in oggetto, la illegittimità dell'ordine di rimuovere gli impianti pubblicitari, essendo stato definitivamente acclarato in via giudiziale, seppure in via postuma rispetto all'adozione dell'atto impugnato, il suo diritto a partecipare alla procedura di aggiudicazione, finanche poi vinta. 2. Il Tar adito ha prescisso dall'esame delle preliminari eccezioni di inammissibilità sollevate dal Comune intimato e ha respinto il ricorso, tuttavia compensando le spese del giudizio. 3. La società ricorrente ha riproposto le originarie censure, articolate quali ragioni di critica specifica avverso la sentenza impugnata, così nella sostanza devolvendo alla odierna cognizione tutta l'originaria materia del contendere. In particolare, la stessa ha dedotto: 1) la violazione e falsa applicazione della delibera di Giunta comunale n. 40 del 22 gennaio 2021 e degli atti deliberativi presupposti, pregressi, successivi o comunque collegati, ivi compreso il regolamento comunale, delibera di c.c. n. 114/2017 - violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3, legge n. 241/1990, art. 97 Cost. - eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità manifesta, contraddittorietà ; 2) sotto diverso profilo, la violazione e falsa applicazione della succitata delibera n. 40/2021 e di quella, a essa presupposta, n. 963 del 4 dicembre 2020, unitamente agli ulteriori atti, a essa pure connessi e presupposti - violazione e falsa applicazione dell'art. 41 Cost., dell'art. 10, d.lgs. n. 59/2010, nonché dell'art. 48, commi 1 e 2, del regolamento sulla pubblicità, approvato con delibera di c.c. n. 114/2017 - violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3, legge n. 241/1990 - violazione del principio di proporzionalità e contrasto con i principi di cui all'art. 97 Cost. - eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità manifesta, contraddittorietà, sviamento di potere - violazione e falsa applicazione dell'art. 42 del T.u.e.l. - violazione dei principii di libera concorrenza. 4. Il Comune di Bari ha resistito al gravame e ne ha chiesto la reiezione. 5. Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive. 6. Alla udienza pubblica del 12 marzo 2024, la causa è passata in decisione. 7. Anzitutto va respinta l'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado riproposta dal Comune appellato in quanto la rimozione degli impianti, contrariamente a quanto si afferma nel corpo dell'ordinanza di rimozione impugnata, non rappresenta una misura applicativa della delibera giuntale n. 40/2021, di talché non può condividersi l'eccezione di tardività della sua impugnazione e di quella della presupposta delibera giuntale n. 963/2020. L'applicazione dei precetti promananti dalla delibera in parola, infatti, inerenti all'obbligo di rimozione degli impianti esistenti, deve ritenersi riferibile solo agli operatori che non avevano partecipato alla procedura per l'assegnazione dei lotti, e non anche a quelli che, come la società ricorrente, vi avevano preso parte, indipendentemente dalle vicende che poi ne sono seguite (esclusione, impugnativa dell'esclusione, riammissione alla gara per effetto dell'accoglimento del ricorso, finanche l'aggiudicazione definitiva). 8. Nel merito, l'appello è fondato. La questione giuridica sottesa alla materia del contendere può così sintetizzarsi. Se, come motivato dal Comune di Bari e ritenuto dal Tar, la permanenza degli impianti di affissione deve essere fatta dipendere dalla ammissione della società alla gara, allora l'atto di rimozione impugnato va ritenuto legittimo, in quanto il vaglio di legittimità va necessariamente ancorato alla situazione di fatto e di diritto esistente al tempo della sua emanazione, quando cioè la società era stata dichiarata esclusa dalla procedura. Secondo questa ricostruzione esegetica, in particolare, il fatto che poi la società abbia impugnato la propria esclusione, abbia riportato vittoria nel giudizio e sia stata di conseguenza riammessa alla gara, addirittura aggiudicandosela, rappresenterebbero, tutti, nella sostanza, dei postfatti irrilevanti ai fini dell'adozione dell'atto, che resterebbe così insensibile alle sopravvenienze di fatto e giuridiche poi effettivamente verificatesi. Se invece, come propugnato dalla società ricorrente, la permanenza degli impianti di affissione va fatta dipendere dalla propria effettiva partecipazione alla gara, allora l'atto impugnato deve di conseguenza reputarsi illegittimo in quanto lo stesso non ha considerato che l'esclusione dalla gara era sub iudice e quindi, nelle more, l'Amministrazione non avrebbe potuto provvedere o, se già lo avesse fatto, l'atto avrebbe poi dovuto essere rimosso, rappresentando il sopravvenuto accertamento giurisdizionale del diritto a partecipare alla gara, in conseguenza della avvenuta caducazione dell'atto di illegittima esclusione, il necessario antefatto logico-giuridico rispetto all'ordine di rimozione degli impianti pubblicitari. 9. Ad avviso del Collegio, la ricostruzione esegetica corretta è la seconda. Deve anzitutto precisarsi che non è qui in discussione, e va anzi condivisa, la parte della sentenza in cui il primo giudice con articolata motivazione ricostruisce il quadro giuridico di riferimento alla base della riorganizzazione del sistema pubblicitario nel Comune di Bari, quale atto generale di programmazione e indirizzo nel trapasso dal sistema autorizzatorio a quello concessorio ai fini di programmazione e controllo, di attuazione dei principi costituzionali in materia di concorrenza e libertà economica di impresa e di quelli dell'evidenza pubblica, europea e nazionale. In particolare, è corretto affermare che il riordino di questo specifico settore di mercato è stato graduale ed è stato posto in essere attraverso la proroga del mantenimento degli impianti pubblicitari esistenti alla condizione che l'operatore economico interessato a continuare ad esercitare la propria attività imprenditoriale abbia manifestato in tal senso il proprio perdurante interesse attraverso l'apposita presentazione di domanda di partecipazione alla gara per le nuove assegnazioni degli spazi. In linea, infatti, con l'esigenza di ripensare il previgente regime basato su autorizzazione ad un sistema competitivo incentrato su rilascio di titolo concessorio, l'Amministrazione comunale ha programmato l'indizione di procedure di evidenza pubblica per l'assegnazione dei suoli pubblici sui quali consentire ai privati imprenditori di installare o mantenere i propri cartelloni pubblicitari. Senonché, rispetto a tale condivisibile premessa generale, ciò che però non può essere condiviso è l'esito decisionale al quale è giunto il primo giudice, sulla base del ragionamento logico-giuridico incentrato sul concetto di ammissione alla gara, piuttosto che di effettiva partecipazione alla stessa, che lo ha portato a valutare la legittimità dell'atto impugnato considerando unicamente l'avvenuta esclusione della società ricorrente dalla gara, ma non anche le conseguenze giuridiche che ne sono poi derivate. In particolare, non è condivisibile la parte della sentenza in cui si motiva "(c)he poi la fine del regime transitorio sia stata individuata nella scadenza del termine per la presentazione delle offerte di partecipazione alla gara e sia coincisa, per la società ricorrente, nel momento in cui ne è stata decretata l'esclusione per mancata produzione di documentazione ritenuta necessaria, riflette coerentemente l'impostazione generale del Comune, ed è conseguenza ragionevole di un programma attraverso il quale, lo si ripete, il regime concessorio soppianta definitivamente le autorizzazioni ad installare i cartelloni pubblicitari" e che "(l)a decisione di rimuovere gli impianti della ricorrente, contrariamente a quanto sottolineato dalla difesa della stessa, è del tutto adeguata e proporzionata al fine pubblico perseguito, che è quello di ampliare il mercato degli operatori del settore attraverso una procedura selettiva in linea con la libertà di impresa tutelata in sede sovranazionale, e assolutamente non in contrasto con l'art. 41 della Costituzione". Ritiene infatti il Collegio che non possano imputarsi alla ricorrente, peraltro risultata illegittimamente esclusa dalla gara, gli effetti pregiudizievoli conseguenti all'adozione dell'ordine di rimozione qui impugnato, dal momento che se per un verso è corretto affermare che la legittimità dell'atto va valutata sulla base delle circostanze di fatto e di diritto esistenti al momento della sua emanazione, per un altro verso è anche corretto affermare che nelle suddette circostanze rientrano pure le vicende successive che ne sono seguite. Di conseguenza, il Comune di Bari non avrebbe potuto obliterare le conseguenze derivanti dall'avere adottato l'atto di esclusione della società ricorrente dalla gara, ma anzi avrebbe dovuto considerare, nella pienezza dello svolgimento del rapporto tra le parti, l'impugnativa proposta dalla società esclusa e gli esiti giudiziari che ne sarebbero seguiti, essendo l'ordine di rimozione basato su un atto, ossia l'esclusione della gara, ancora sub iudice. Nemmeno possono poi essere condivise le motivazioni della sentenza nella parte in cui fa riferimento alla ritenuta corretta applicazione dei principi costituzionali in materia di libertà economica di impresa "in un quadro di bilanciamento doveroso con altri interessi ritenuti parimenti meritevoli di protezione al più alto livello normativo" e al fatto che "nel caso in esame, a fronte della pretesa della società ricorrente di beneficiare di una ulteriore proroga del mantenimento dei propri impianti pubblicitari, nonostante la scadenza abbondantemente consumata del regime transitorio fissato con il regolamento, è decisamente prevalente il pubblico interesse dell'amministrazione comunale a porre in essere una procedura selettiva per l'assegnazione dei suoli pubblici di localizzazione degli impianti, in modo tale da aprire al mercato e favorire la concorrenza, che della libertà di iniziativa economica costituisce un precipitato tecnico irrinunciabile". Tale lettura si appalesa infatti sproporzionata ed eccessiva rispetto alla legittima finalità perseguita dagli atti di programmazione generale del Comune, in quanto ha l'effetto di traslare la responsabilità gravante sul Comune per la corretta conduzione della gara in capo alla società ricorrente per la subita illegittima esclusione dalla gara. Di conseguenza, proprio nell'ottica di una lettura costituzionalmente orientata ad attuare un regime effettivamente paritario e concorrenziale fra gli operatori economici, non può ritenersi legittimo l'operato dell'Amministrazione comunale, in quanto lo stesso condurrebbe a discriminare la società ricorrente rispetto alle altre imprese concorrenti, pur avendo anch'essa, come queste ultime, legittimamente manifestato il proprio perdurante interesse alla prosecuzione dell'attività economica attraverso la partecipazione alla gara. 10. In definitiva, l'appello va accolto. 11. Le spese del doppio grado di giudizio possono compensarsi attesa la novità delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e di conseguenza annulla l'atto impugnato. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere, Estensore Sergio Zeuli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm. sul ricorso numero di registro generale 3552 del 2024, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Fa. Bu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (...); la Prefettura di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. I, -OMISSIS- marzo 2024, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2024 il Cons. Giulia Ferrari e uditi per le parti gli avvocati presenti, come da verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; 1. Il Collegio, chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare di sospensiva dell'atto impugnato, ha deciso di definire immediatamente il giudizio nel merito, con sentenza resa in forma semplificata e ne ha dato comunicazione ai difensori presenti delle parti in causa. 2. È impugnata la sentenza del Tar Lazio, sez. I, -OMISSIS- marzo 2024, che ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto per l'annullamento del provvedimento del Prefetto di Roma del 19 settembre 2022, che ha rigettato la domanda di emersione di lavoro irregolare presentata dal datore di lavoro, signor -OMISSIS- in favore del signor -OMISSIS-, cittadino -OMISSIS-. La decisione è stata adottata dopo che, con ordinanza -OMISSIS- dicembre 2023, il Tribunale aveva invitato le parti del giudizio ad interloquire, ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., su un eventuale sopravvenuta carenza di interesse all'annullamento del provvedimento di rigetto oggetto del ricorso introduttivo, assegnando alle stesse il termine di trenta giorni per il deposito di memorie sul punto. Il ricorrente in primo grado non ha presentato memorie né ha espletato difese orali all'udienza pubblica del 13 febbraio 2024. Come chiarito nella citata ordinanza -OMISSIS- dicembre 2023, la sopravvenuta carenza di interesse è stata dichiarata per non avere il ricorrente impugnato il provvedimento del 7 aprile 2023, che, su ordine del giudice (ordinanza -OMISSIS- dicembre 2022), aveva riesaminato la posizione dello straniero. 3. L'appello è infondato e deve essere respinto, essendo stato il provvedimento del 7 aprile 2023 adottato a seguito di una rinnovata istruttoria e con argomentazioni nuove rispetto all'impugnato provvedimento del Prefetto di Roma del 19 settembre 2022. Va richiamata la distinzione tra atti "meramente confermativi" e atti "di conferma in senso proprio". La distinzione ha qui rilievo in quanto l'eventuale appartenenza del provvedimento del 7 aprile 2023 al novero degli atti "di conferma in senso proprio", permetterebbe di apprezzarne gli effetti autonomamente lesivi e, quindi, la sua soggezione all'impugnazione nei termini decadenziali e la sua capacità di determinare il consolidamento della statuizione non oggetto di nuovo gravame. Va rilevato che gli atti "meramente confermativi" sono quegli atti che, a differenza degli atti "di conferma", si connotano per la ritenuta insussistenza, da parte dell'amministrazione, di valide ragioni di riapertura del procedimento conclusosi con la precedente determinazione; mancando detta riapertura e la conseguente nuova ponderazione degli interessi coinvolti, nello schema tipico dei c.d. "provvedimenti di secondo grado", essi sono insuscettibili di autonoma impugnazione per carenza di un carattere autonomamente lesivo (Cons. Stato, sez. V, 4 ottobre 2021, n. 6606; id. 8 novembre 2019, n. 7655; id. 17 gennaio 2019, n. 432; id., sez. III, 27 dicembre 2018, n. 7230; id., sez. IV, 12 settembre 2018, n. 5341; id., sez. VI, 10 settembre 2018, n. 5301; id., sez. III, 8 giugno 2018, n. 3493; id., sez. V, 10 aprile 2018, n. 2172; id. 27 novembre 2017, n. 5547; id., sez. IV, 27 gennaio 2017, n. 357; id. 12 ottobre 2016, n. 4214; id. 29 febbraio 2016, n. 812). In pratica, l'atto meramente confermativo ricorre quando l'amministrazione si limita a dichiarare l'esistenza di un suo precedente provvedimento, senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione (Cons. Stato, sez. V, 22 giugno 2018, n. 3867). In altre parole, esso si connota per la sola funzione di illustrare all'interessato che la questione è stata già delibata con precedente espressione provvedimentale, di cui si opera un integrale richiamo. Tale condizione, quale sostanziale diniego di esercizio del riesame dell'affare, espressione di lata discrezionalità amministrativa, lo rende privo di spessore provvedimentale, da cui, ordinariamente, la intrinseca insuscettibilità di una sua impugnazione (Cons. Stato, sez. IV, 3 giugno 2021, n. 4237; id. 29 marzo 2021, n. 2622). Di contro, l'atto di conferma in senso proprio è quello adottato all'esito di una nuova istruttoria e di una rinnovata ponderazione degli interessi, e pertanto connotato anche da una nuova motivazione (Cons. Stato, sez. VI, 13 luglio 2020, n. 4525; id., sez. II, 24 giugno 2020, n. 4054; id., sez. VI, 30 giugno 2017, n. 3207; id., sez. IV, 12 ottobre 2016, n. 4214; id. 29 febbraio 2016, n. 812; id. 12 febbraio 2015, n. 758; id. 14 aprile 2014, n. 1805). In particolare, non può considerarsi "meramente confermativo" di un precedente provvedimento l'atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al primo provvedimento, giacché solo l'esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fase considerata, può condurre a un atto "propriamente confermativo", in grado, come tale, di dare vita a un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione (Cons. Stato, sez. V, 7 maggio 2021, n. 3579). Sulla base dei sopra riferiti elementi, non può dubitarsi che il provvedimento del 7 aprile 2023 in esame - adottato a seguito di un riesame dell'intera vicenda contenziosa, andando anche oltre il remand ordinato dal giudice e con nuove argomentazioni - appartenga alla categoria degli atti "di conferma in senso proprio", che avrebbe dovuto essere tempestivamente impugnato dinanzi al Tar Lazio. Di tale impugnazione non viene dato atto neanche in appello, per confutare la decisione di improcedibilità pronunciata dal Tar Lazio. 4. La conferma della improcedibilità del ricorso di primo grado esonera il Collegio dall'esaminare gli ulteriori motivi di appello. 5. Per le ragioni sopra esposte l'appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza del Tar per il Lazio, sez. I, -OMISSIS- marzo 2024. 6. Le spese e gli onorari del giudizio sono compensate con il Ministero dell'interno; nulla per le spese nei confronti della Prefettura di Roma, non costituita in giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, respinge l'appello come in epigrafe proposto. Compensa le spese e gli onorari del giudizio con il Ministero dell'interno; nulla per le spese nei confronti della Prefettura di Roma. Ordine all'Amministrazione di eseguire la presente decisione. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giovanni Pescatore - Presidente FF Nicola D'Angelo - Consigliere Giulia Ferrari - Consigliere, Estensore Luca Di Raimondo - Consigliere Angelo Roberto Cerroni - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. COSTANZO Angelo - Presidente Dott. RICCIARDELLI Massimo - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - Consigliere-Rel. Dott. DI GIOVINE Ombretta - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso presentato da Pubblico Ministero presso il Tribunale di Bari nel procedimento a carico di Sc.Ge., nato a B il (Omissis); avverso l'ordinanza del 14 dicembre 2023 emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del consigliere D'Arcangelo Fabrizio; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Piccirillo Raffaele, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza impugnata il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, nel procedimento penale pendente nei confronti di Sc.Ge. per il delitto di maltrattamenti in famiglia, ha rigettato la richiesta di incidente probatorio presentata dal Pubblico Ministero, ai sensi dell'art. 392, comma 1 -bis, cod. proc. pen., per l'assunzione della testimonianza delle persone offese e, in particolare, della moglie della persona sottoposta ad indagine (La.Ma.) e delle due figlie minorenni (Sc.Vi. e Sc.Ca.). Il Giudice per le indagini preliminari nel provvedimento impugnato, citando i principi affermati da Sez. 1, n. 46821 del 08/06/2023, Favia, Rv. 285455 - 01, ha rilevato che la moglie e le figlie dell'indagato sono state già sentite nel corso delle indagini e non versano in condizioni di particolare vulnerabilità (in ragione dell'età prossima alla maggiore età delle figlie, dell'inserimento sociale e della reazione opposta all'aggressore); nel caso di specie, peraltro, la persona offesa sarebbe solo la moglie dell'indagato, in quanto il delitto di maltrattamenti in famiglia sarebbe aggravato solo dalla c.d. violenza assistita e non commessa ai danni delle figlie. L'art. 392, comma 1 -bis, cod. proc. pen., inoltre, non sancisce un obbligo per il giudice di accogliere la richiesta di prova anticipata in ragione dei reati per i quali si procede e/o delle condizioni di vulnerabilità della vittima e, comunque, il rigetto di tale richiesta, secondo l'ordinamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, non determina l'abnormità dell'atto. 2. Il Pubblico Ministero ricorre avverso tale ordinanza e ne chiede l'annullamento, deducendone l'abnormità. Il Pubblico Ministero ricorrente, citando i principi affermati dalle sentenze Sez. 3, n. 34091 del 16/05/2019, P., Rv. 277686 - 01, e Sez. 3, n. 47572 del 10/10/2019, P., Rv. 277756 - 01, deduce l'abnormità dell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari che respinga la richiesta di incidente probatorio formulata del pubblico ministero ai sensi dell'art. 392, comma 1 -bis, cod. proc. pen. Il provvedimento impugnato, infatti, disapplicherebbe una regola generale di assunzione anticipata della prova, introdotta in ottemperanza agli obblighi assunti dallo Stato e derivanti dalle convenzioni internazionali, per evitare la vittimizzazione secondaria delle persone offese di reati sessuali e di maltrattamenti; il giudice per le indagini preliminari sarebbe, dunque, obbligato a disporre l'incidente probatorio sulla base del mero titolo di reato iscritto. Il Giudice per le indagini preliminari, peraltro, avrebbe errato nell'escludere che le vittime fossero in condizione di particolare vulnerabilità, in quanto le figlie hanno una dipendenza affettiva dall'autore del reato e tutte le persone offese dal reato per cui si procede subirebbero una dipendenza economica dall'indagato, che le costringerebbe a vivere in condizioni di estrema difficoltà. Errata sarebbe, inoltre, l'esclusione della qualità di persone offese delle figlie minori, in quanto l'art. 572, quarto comma, cod. pen., sancisce che "Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato". 3. Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 23 aprile 2024, il Procuratore generale, Piccirillo Raffaele, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso. Con memoria depositata in data 29 marzo 2023, l'avvocato Di.Sa., difensore della persona sottoposta ad indagine, ha chiesto di rigettare il ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Ritiene la Corte che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, in quanto il motivo proposto è manifestamente infondato. 2. L'art. 392, comma 1 -bis cod. proc. pen., contempla un'ipotesi di incidente probatorio ritenuto "speciale o atipico" (come rilevato anche da Corte Cost., sentenza n. 92 del 2018), in quanto, essendo svincolato dall'ordinario presupposto della non rinviabilità della prova al dibattimento, deroga rispetto agli ordinari presupposti che governano la formazione anticipata della prova rispetto a tale fase. Tale disposizione, introdotta con la L. 15 febbraio 1996 n. 66, di contrasto alla violenza sessuale, e sostituita dalla L. 1 ottobre 2012 n. 172, di ratifica ed esecuzione della Convenzione firmata a Lanzarote nel 2007, per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, offre la possibilità alla persona sottoposta alle indagini e al pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, di chiedere l'assunzione della testimonianza della persona offesa minorenne, ovvero maggiorenne, che sia stata vittima di gravi reati, tra i quali il delitto di maltrattamenti in famiglia di cui all'art. 572 cod. pen., "anche al di fuori delle ipotesi del comma 1". La disposizione in esame è stata integrata, da ultimo, dal D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, che recepisce la direttiva 2012/29/UE, in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, consentendo l'audizione della vittima mediante incidente probatorio, indipendentemente dal reato per cui si procede, qualora essa "versi in condizione di particolare vulnerabilità". Come emerge dai lavori parlamentari, il legislatore, nel conformarsi all'assetto normativo sovranazionale con l'introduzione dell'incidente probatorio speciale, ha inteso perseguire una duplice finalità: anzitutto, evitare la vittimizzazione secondaria, ovvero "quel processo che porta il testimone persona offesa a rivivere i sentimenti di paura, di ansia e di dolore provati al momento della commissione del fatto" (come definito da C. Cost., sentenza n. 92 del 2018); in secondo luogo, salvaguardare, per quanto possibile, la genuinità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, specialmente là dove queste rappresentino la principale prova d'accusa, atteso che l'assunzione delle stesse in un momento quanto più prossimo alla commissione del fatto costituisce anche una garanzia per l'imputato, perché lo tutela dal rischio di deperimento dell'apporto cognitivo che contrassegna, in particolare, il mantenimento del ricordo del minore. 3. Controversa è statatila valutazione della giurisprudenza di legittimità la possibilità di considerare abnorme il provvedimento con cui il giudice delle indagini preliminari rigetti la richiesta di esame in incidente probatorio, ex art. 392, comma 1 - bis, cod. proc. pen., della persona offesa vulnerabile. Una sentenza della Terza Sezione ha ritenuto abnorme l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari che, in ragione dell'assenza di motivi di urgenza che non consentano l'espletamento della prova nel dibattimento, respinga l'istanza del pubblico ministero di incidente probatorio presentata ai sensi dell'art. 392, comma 1 -bis, cod. proc. pen. per l'assunzione della testimonianza della vittima di uno dei reati elencati dalla disposizione citata (che nella specie era quello di violenza sessuale), con ciò sostanzialmente disapplicando una regola generale di assunzione della prova, prevista in ottemperanza agli obblighi dello Stato derivanti dalle convenzioni internazionali per evitare la vittimizzazione secondaria delle persone offese di reati sessuali (Sez. 3, n. 34091 del 16/05/2019, P., Rv. 277686). Il principio affermato da questa sentenza è stato ripreso da un'altra pronuncia della stessa Sezione che ha ritenuto parimenti abnorme il provvedimento di rigetto della richiesta di assunzione della testimonianza della persona offesa nelle forme dell'incidente probatorio ai sensi del citato art. 392, comma 1 -bis, cod. proc. pen. perché non preceduta dall'acquisizione di sommarie informazioni testimoniali rese da parte della medesima persona offesa (Sez. 3, n. 47572 del 10/10/2019, P., Rv. 277756). Secondo tali pronunce l'art. 35 della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali, conclusa a L, in data 25 ottobre 2007, e ratificata dall'Italia con la L. 1 ottobre 2012, n. 172, l'art. 18 della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata ad I, in data 11 maggio 2011, ratificata dall'Italia con L. 23 giugno 2013, n. 77, gli artt. 18 e 20 della Direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime del reato e sostituisce la precedente Decisione-quadro 2001/220/GAI, recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 imporrebbero l'obbligatoria assunzione dell'incidente probatorio al fine di salvaguardare l'integrità fisica psicologica del soggetto vulnerabile e di contenere il rischio di vittimizzazione secondaria legato alla reiterazione dell'atto istruttorio. Entrambe le pronunce affermano, dunque, un vero e proprio obbligo del giudice di ammettere l'incidente probatorio finalizzato all'assunzione della deposizione di un soggetto vulnerabile richiesto ai sensi dell'art. 392, comma 1-bis, cod. pen. pen., consentendogli di rigettare la relativa richiesta esclusivamente qualora rilevi il difetto dei presupposti normativamente configurati che legittimano l'anticipazione dell'atto istruttorio (e cioè che la richiesta provenga dal pubblico ministero o dall'indagato, venga presentata nel corso delle indagini preliminari per uno dei reati elencati dalla disposizione citata, che abbia ad oggetto la testimonianza di un minore ovvero di un maggiorenne, se si tratta della persona offesa del reato o di soggetto che versa in stato di particolare vulnerabilità) anche in assenza delle condizioni generali stabilite dal comma 1 dello stesso articolo. Il giudice, nella fattispecie prevista dall'art. 392, comma 1 -bis, cod. proc. pen., sarebbe titolare di un mero onere di verifica della legittimità della richiesta e, al contempo, privo di qualsiasi potere discrezionale di valutarne la fondatezza in riferimento agli ordinari indici di ammissione della prova previsti dall'art. 190, comma 1, cod. proc. pen. 4. Secondo l'orientamento prevalente e ormai largamente dominante nella giurisprudenza di legittimità, non è, invece, abnorme il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari rigetta la richiesta, ex art. 392, comma 1 -bis, cod. proc. pen., di esame in incidente probatorio della persona offesa vulnerabile, trattandosi di provvedimento che non si pone al di fuori del sistema processuale, che rimette al potere discrezionale del giudice la decisione sulla fondatezza della istanza, né determina la stasi del procedimento (Sez. 3, n. 29594 del 28/05/2021, P. Rv. 281878; Sez. 3, n. 29594 del 28/05/2021, P., Rv. 281718; Sez. 6, n. 46109 del 28/10/2021, P., Rv. 282354 - 01; Sez. 4, n. 3982 del 21/01/2021, Pmt. contro Orlandini, Rv. 280378; Sez. 5, n. 2554 dell'I 1/12/2020, P., Rv. 280337; Sez. 6, n. 24996 del 15/07/2020, P., Rv. 279604). 5. Ritiene il Collegio di condividere quest'ultimo orientamento. Non ricorrono, infatti, nella specie gli estremi strutturali o funzionali dell'atto abnorme; secondo l'elaborazione delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 7 del 26/04/1989, Goria, Rv. 181303; Sez. U, n. 11 del 09/07/1997, Quarantelli, Rv. 208221; Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, dep. 1998, Di Battista, Rv. 209603; Sez. Un., 24/11/1999, dep. 2000, Magnani, Rv 215094; Sez. U, n. 33 del 22/11/2000, Boniotti, Rv. 217244; Sez. U, n. 4 del 31/01/2001, Romano, Rv. 217760; Sez. Un., 31/5/2005 n. 22909, Minervini, Rv. 231163; Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, P.M. in proc. Battistella, Rv. 238240; Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, P.M. in proc. Toni e altro, Rv. 243590; Sez. U, n. 21243 del 25/03/2010, P.G. in proc. Zedda, Rv. 246910; Sez. U, n. 40984 del 22/03/2018, Gianforte, Rv. 273581) può, infatti, ritenersi abnorme il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del suo contenuto, risulti avulso dall'intero ordinamento processuale, ovvero che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite; il vizio di abnormità può riguardare sia il profilo strutturale, allorché l'atto si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, sia il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo. Alla luce di tali consolidate coordinate interpretative il provvedimento di rigetto dell'incidente probatorio richiesto ai sensi dell'art. 392, comma 1 - bis, cod. proc. pen., risulta riconducibile ad uno schema tipico contemplato dalla legge processuale (e, segnatamente, dall'art. 398 cod. proc. pen.) ed il suo contenuto non diverge in maniera irragionevole dai limiti che la stessa pone al giudice; men che meno determina, poi, una stasi del procedimento e, dunque, non può essere considerato abnorme, costituendo l'estrinsecazione di un potere discrezionale del giudice che risulta inidoneo a paralizzare lo sviluppo processuale (ex multis: Sez. 4, n. 2678 del 30/11/2000, dep. 2001, PM in proc. D'Amiano ed altri, Rv. 218480; Sez. 2, n. 47075 del 13/11/2003, Manzi, Rv. 227086). Al fine della qualificazione dell'atto come abnorme, del resto, non può attribuirsi rilevanza all'interesse "terzo" della persona offesa, di per sé è estraneo alla nozione della abnormità funzionale (Sez. 3, n. 29594 del 28/05/2012, P. Rv. 281878) e strutturale. Per il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, l'ordinanza di rigetto della richiesta di incidente probatorio è, del resto, inoppugnabile (ex multis Sez. 5 n. 49030 del 17/07/2017, Palmeri e altri, Rv. 271776) e tale regola non subisce eccezione solo perché l'incidente probatorio viene promosso ai sensi dell'art. 392, comma 1 - bis, cod. proc. pen., come questa Corte ha già avuto occasione di affermare (Sez. 3, n. 21930 del 13/03/2013, P.M. in proc. Bertolini, Rv. 25548301). Deve, dunque, ribadirsi che il provvedimento di rigetto dell'incidente probatorio non è impugnabile e non può considerarsi abnorme, nemmeno qualora la relativa richiesta sia stata proposta ai sensi ed ai fini di cui all'art. 392, comma 1 -bis, cod. proc. pen. 6. L'interpretazione adottata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto in ordine all'esistenza di un sindacato discrezionale del giudice sull'ammissione dell'incidente probatorio di persona vulnerabile, del resto, è pienamente legittima. La deroga introdotta dall'art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen. alla disciplina generale dell'ammissione dell'incidente probatorio attiene, infatti, esclusivamente all'irrilevanza in tale fattispecie del presupposto della non rinviabilità della prova al dibattimento e non già agli ulteriori profili della delibazione richiesta al giudice. Nell'esercizio del suo potere discrezionale di bilanciamento dei contrastanti interessi legati, da un lato, alle esigenze di tutela della vittima e, dall'altro, alle garanzie processuali del diritto di difesa dell'imputato, il giudice, al quale è rimessa la decisione sulla richiesta presentata ai sensi dell'art. 392, comma 1-bis cod. proc. pen., è tenuto a vagliare, in un primo momento, i requisiti di ammissibilità della richiesta e, successivamente, la fondatezza della stessa; valutazione, quest'ultima, che egli compie, nella prospettiva della rilevanza della prova ai fini della decisione dibattimentale, sulla base sia delle argomentazioni addotte dalla parte istante (ex art. 393, comma 1, cod. proc. pen.), sia delle eventuali deduzioni presentate dalla parte avversa, in ragione del contraddittorio cartolare sviluppatosi sulla richiesta, quale diritto egualmente riconosciuto alle parti dall'art. 396, comma 1, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 24996 del 15/07/2020, P., Rv. 279604). 7. Gli obblighi internazionali invocati dal Pubblico Ministero ricorrente, del resto, vincolano lo Stato italiano e il giudice quanto allo scopo di evitare la vittimizzazione secondaria del soggetto debole per effetto della reiterazione dell'atto istruttorio, ma non sanciscono l'obbligo incondizionato di assunzione delle dichiarazioni di tale soggetto nelle forme dell'incidente probatorio, escludendo ogni sindacato giudiziale sul punto. L'art. 20, par. 1, della direttiva 2012/29/UE sancisce, infatti, che "fatti salvi i diritti della difesa e nel rispetto della discrezionalità giudiziale, gli Stati membri provvedono a che durante le indagini penali: a) l'audizione della vittima si svolga senza indebito ritardo dopo la presentazione della denuncia relativa a un reato presso l'autorità competente". Il diritto dell'Unione Europea, come evidenziato anche dal considerando 58 di tale direttiva, pertanto, non elide ma anzi lascia espressamente integro l'ambito di discrezionalità del giudice nella decisione in ordine all'assunzione della prova nelle forme dell'incidente probatorio. Proprio l'indefettibile assunzione dell'incidente probatorio potrebbe, del resto, risultare sproporzionata rispetto allo scopo legittimo di tutelare la personalità e la dignità del soggetto vulnerabile, ad esempio nei casi in cui la sua escussione si riveli irrilevante o superflua, perché la prova sia stata raggiunta aliunde, o perché le condizioni della vittima, per effetto della condotta delittuosa o di altra causa, sconsiglino l'immediata assunzione della testimonianza nella fase delle indagini. Il diritto dell'Unione Europea, dunque, riserva al giudice il bilanciamento tra contrapposti interessi, quali quello alla tutela della dignità e della personalità della vittima, all'accertamento processuale dei reati e alla tutela del diritto fondamentale di difesa della persona sottoposta ad indagini. Tale bilanciamento deve prioritariamente tendere a scongiurare il rischio di vittimizzazione secondaria del soggetto vulnerabile chiamato a deporre ma il perseguimento di tale fondamentale fine non fonda un obbligo di incondizionata assunzione dell'incidente probatorio. 8. L'assenza di un obbligo, in capo al giudice, di disporre l'assunzione delle prove dichiarative della persona offesa vulnerabile a seguito della presentazione di una richiesta di incidente probatorio formulata ai sensi dell'art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen. non è neppure censurabile sul piano costituzionale. La scelta discrezionale del legislatore - legata alla necessità di speditezza della fase delle indagini e a quella di non "appesantire oltre modo una parentesi istruttoria che la ratio del sistema vuole quanto più possibile snella" - non si pone in contrasto con le fonti internazionali, dalle quali emerge esclusivamente "un interesse primario all'adozione di misure finalizzate alla limitazione delle audizioni della vittima" e non anche un "automatismo probatorio legato all'introduzione di un vero e proprio obbligo, in capo al giudice, di disporre l'assunzione delle prove dichiarative della persona offesa vulnerabile a seguito della mera presentazione di una richiesta di incidente probatorio" (Sez. 6, n. 24996 del 15/07/2020, P., Rv. 279604). La Corte costituzionale nella sentenza n. 529 del 2002, del resto, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale della formulazione originaria dell'art. 392, comma 1 -bis, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 2 e 32 della Costituzione, nella parte in cui non prevedeva che si potesse procedere con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza di un minore di anni sedici, ha significativamente affermato che "tutela della personalità del minore e genuinità della prova sono certo interessi costituzionalmente garantiti: non lo è però lo specifico strumento, consistente nell'anticipazione, con incidente probatorio, delle testimonianze in questione". Anche in tale prospettiva, dunque, il rilievo fondamentale accordato alla tutela della vittima vulnerabile non si traduce nella costituzionalizzazione dell'obbligo di procedere all'assunzione della prova nelle forme dell'incidente probatorio. 9. Una volta escluso che il provvedimento di rigetto della richiesta di incidente probatorio, anche se formulata ai sensi dell'art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen., possa integrare un atto abnorme, le modalità concrete di esercizio della discrezionalità accordata da tale disposizione al giudice esulano dal sindacato di legittimità della Corte di cassazione. 10. Alla stregua dei rilievi che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. P.Q.M. Dichiara il ricorso inammissibile. Così deciso in Roma, l'8 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2024.
Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.