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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: ERNESTINO LUIGI BRUSCHETTA Presidente ENRICO MANZON Consigliere GIOVANNI LA ROCCA Consigliere-Rel. LUNELLA CARADONNA Consigliere MARIA GIULIA PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Consigliere Oggetto: TRIBUTI ACCERTAMENTO Ud.06/12/2023 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 19424/2015 R.G. proposto da: FORNO ETTORE, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati TAMBASCO FRANCESCA (TMBFNC84C41C351V), DI PAOLA NUNZIO SANTI GIUSEPPE (DPLNZS67B25C351B); -ricorrente- contro AGENZIA DELLE ENTRATE, domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (ADS80224030587) che la rappresenta e difende; -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. CALTANISSETTA n. 350/2015 depositata il 29/01/2015. Udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni La Rocca nella pubblica udienza del 6 dicembre 2023; Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Alberto Cardino, che ha concluso per l’accoglimento del quinto e del settimo motivo, non essendo comparso nessuno per le altre parti. FATTI DI CAUSA 1. A seguito di PVC di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza di Enna, l’Agenzia delle Entrate notificava al sig. Ettore Forno, in qualità di titolare dell’omonima ditta individuale, in data 01.08.2012, l’avviso di accertamento n.TYU01T200460/2012, con il quale veniva recuperato imponibile per l’anno d’imposta 2010, con conseguenti maggiori imposte IRPEF, IRAP e IVA, oltre interessi e sanzioni correlate. 2. L’Ufficio accertava l’omessa contabilizzazione di incassi, una plusvalenza derivante da cessione d’azienda e ricavi non dichiarati desunti da accertamenti bancari. 3. Il contribuente impugnava, quindi, l’avviso di accertamento e la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Enna emetteva la sentenza n. 432/01/13, depositata il 20.12.2013, con la quale rigettava il ricorso e condannava il ricorrente alle spese di giudizio. 4. Il contribuente proponeva appello e la Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Sicilia, con la sentenza in epigrafe, rigettava il gravame, confermando la decisione di primo grado. 5. La CTR osservava che con l’atto impugnato, correttamente motivato per relationem con riferimento al PVC, regolarmente notificato al Forno, l’Ufficio aveva «adeguatamente motivato, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste a base dell’accertamento»; nel merito confermava tutti i rilievi, osservando, in particolare, quanto agli accertamenti bancari che questi pongono una presunzione legale in base alla quale sia i versamenti sia i prelevamenti costituiscono ricavi, mentre è onere del contribuente fornire la prova contraria e, in questo caso, «i prelevamenti contestati dall’Ufficio sono quelli per i quali non è stata fornita alcuna giustificazione e quelli per i quali il contribuente, pur fornendo qualche forma di giustificazione non è stato in grado di produrre idonea documentazione probatoria a supporto, così come precisato a pag. 104 del processo verbale di giustificazione». 6. Il contribuente ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza fondato su quindici motivi. 7. Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo il ricorrente deducel’«inesistenza giuridica dell’avviso impugnato per carenza del potere dirigenziale del Direttore firmatario» alla luce della sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale, in quanto «pare» che la nomina del Direttore provinciale che aveva sottoscritto l’atto impugnato «rientrerebbe» tra quelle interessate dalla predetta dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 8 comma 24 del d.l. n. 16/2012. 1.1. L'eccezione di inammissibilità sollevata dall’Agenzia, la quale rileva che la questione non era stata proposta con il ricorso iniziale in primo grado, può essere superata trattandosi di ius superveniens per effetto della pronuncia della Corte costituzionale invocata. Il motivo è inammissibile, piuttosto, perché si esprime in maniera ipotetica e dubitativa sul fatto che la nomina del sottoscrittore rientrasse tra quelle interessate dalla pronunzia di incostituzionalità. 1.2. Il motivo, in ogni caso, è infondato alla luce dell’orientamento di questa Corte secondo cui «In tema di accertamento tributario, ai sensi dell'art. 42, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d'ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell'ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva e, cioè, da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d'incostituzionalità dell'art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito nella l. n. 44 del 2012» (Cass. n. 22810 del 2015; conf. Cass. n. 5177 del 2020). 2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art.7 dello Statuto del contribuente e dell’art.42 d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., nella parte in cui non è stato annullato l’avviso per mancata indicazione della metodologia di accertamento, essendo insufficiente il riferimento all’art. 39 comma 1 d.P.R. n. 600/1973 che contempla diverse metodologie – l’accertamento analitico e l’accertamento analitico – induttivo - , con conseguente violazione del diritto di difesa del contribuente. 2.1. La censura è infondata, posto che è irrilevante la formale qualificazione della metodologia a fondamento dell’atto da parte dell’Amministrazione finanziaria, essendo essenziale invece che siano chiari i suoi presupposti di fatto e di diritto. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, non è necessaria l'indicazione delle «norme di riferimento», bastando che l'avviso indichi i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che permettano al contribuente di esercitare il proprio diritto difensivo (Cass. n. 9499 del 2017; Cass. n. 28968 del 2008; Cass. n. 3257 del 2002); d’altro canto, all’Amministrazione finanziaria è consentito impiegare sia il metodo di accertamento induttivo che quello analitico- induttivo contemporaneamente, ove consti una complessiva inattendibilità delle scritture contabili la quale, peraltro, non esclude che l’accertamento possa essere fondato anche su elementi contabili (Cass. n.7626 del 2008; Cass. n. 27068 del 2006). 3. Con il terzo motivo il contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art.7 Statuto del contribuente e dell’art.42 d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., nella parte in cui la CTR non ha annullato, per omessa motivazione, l’avviso impugnato che aveva malamente sintetizzato il PVC che non conteneva specifici accertamenti di irregolarità contabili. 3.1. Il motivo è, per un verso, inammissibile e, per altro verso, infondato. 3.2. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità e autosufficienza, denunciando genericamente carenze del PVC e acritico recepimento di questo da parte dell’Agenzia ma senza riportare puntualmente il contenuto dell’atto né offrire comunque elementi specifici in grado di circostanziare queste doglianze. 3.4. In ogni caso il motivo è infondato. Come osservato dalla stessa CTR, la motivazione per relationem con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell'esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell'Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l'Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (Cass. n. 32957 del 2018; Cass. n. 30560 del 2017; Cass. n. 21119 del 2011; Cass. n. 8183 del 2011); inoltre, non sussisteva alcun obbligo di allegazione del processo verbale di constatazione all’avviso di accertamento, trattandosi di atto già a conoscenza del contribuente (tra le tante, Cass. n. 28060 del 2017; Cass. n. 16976 del 2012). 4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art.2697 c.c. sul mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’Agenzia dalle entrate, laddove la CTR ha ritenuto provata l’omessa contabilizzazione di incassi «atteso che il contribuente non è riuscito a provare l’omesso pagamento della somma in questione», invertendo di fatto l’onere della prova e addossando sul contribuente un fatto negativo, quando deve essere l’Amministrazione a dimostrare che il pagamento vi era stato. 4.1. Il motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi, ed è comunque infondato. 4.2. La decisione non si fonda sulla mancata prova di un fatto negativo ma poggia sull’assenza degli adempimenti che fiscalmente fanno ritenere che non vi è materiale imponibile tassabile. Infatti, l’emissione di fattura per operazioni imponibili fa sorgere l’obbligazione tributaria di versamento della relativa IVA, ex art. 6, comma 5, d.P.R. 26.10.1972, n. 633 e l’eventuale mancato pagamento della fattura emessa, per portare all’annullamento dell’obbligazione tributaria di versamento dell’IVA, deve essere contabilizzato mediante nota di credito, ex art. 26, d.P.R. n. 633/1972, la cui emissione non è stata dedotta né tantomeno provata. Ai fini delle imposte dirette, invece, il venir meno dell’imponibile fatturato deve essere registrato come sopravvenienza passiva, ex art. 101 (ex art. 66), d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (Cass. n. 7313 del 2003) ma non è stato indicato neppure questo adempimento. 5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art.86 comma 2 TUIR e dell’art.2 d.P.R. n.460/1996 nella parte in cui non si è annullato il rilievo sulla plusvalenza da cessione di azienda nonché deduce, in relazione all’art.360 comma 1 n. 5 c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo con riferimento alla plusvalenza per cessione di azienda, erroneamente calcolata sulla base di quanto definitivamente accertato ai fini dell’imposta di registro, anziché sulla base del corrispettivo conseguito. 5.1. Il motivo è fondato con riguardo alla violazione di legge, mentre è inammissibile la censura sotto il paradigma del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. non trattandosi di un fatto storico e ricorrendo una c.d. “doppia conforme” (v. § 9.2. e § 9.3.). 5.2. Va rammentato che la norma di interpretazione autentica di cui all'art. 5, comma 3, d.lgs. 14.9.2015, n. 147, avente efficacia retroattiva, esclude che l'Amministrazione finanziaria possa determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata dalla cessione di immobili e di aziende solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell'imposta di registro, ipotecaria o catastale, dovendo l'Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l'accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria (Cass. n. 12131 del 2019; Cass. n. 9513 del 2018; Cass. n. 19227 del 2017); in questo caso, invece, come riportato in sentenza, la plusvalenza accertata deriva dalla rettifica dall’atto ai fini dell’imposta di registro. 6. Con il sesto motivo il ricorrente denunzia, in relazione all’art.360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art.32 d.P.R. n. 600/73 e dell’art.2967 c.c., perché la CTR non ha annullato la ripresa a tassazione dei prelevamenti di cui è stato indicato il beneficiario. 6.1. Il motivo è inammissibile, perché in realtà tenta di rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal giudice di merito che è incensurabile come tale nel giudizio di legittimità, ed è comunque infondato. 6.2. Il citato art. 32, n. 2), d.P.R. n. 600/1973, prevede che vengano posti come ricavi o compensi a base delle rettifiche ed accertamenti i prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito dei rapporti bancari, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili. Si pone così una presunzione relativa, di fonte legale, circa la corrispondenza fra versamenti e prelevamenti bancari, non risultanti dalle scritture contabili, e ricavi occultati, che determina in capo al contribuente un preciso ed analitico onere di prova contraria; quest’onere non può essere assolto solo attraverso il ricorso a dichiarazioni di terzi, non potendo queste ultime assurgere né a rango di prove esclusive della provenienza del reddito accertato, né essere idonee, di per sé, a fondare il convincimento del Giudice (Cass. n. 6405 del 2021; Cass. n. 22302 del 2022). Va altresì osservato che l’indicazione del beneficiario non può risolversi nella mera menzione di un nominativo, in quanto ciò permetterebbe facili elusioni della presunzione, ma deve essere accompagnata da una qualche documentazione che giustifichi la causa del prelevamento a favore del terzo o, comunque, da elementi che rendano credibili che tale prelevamento sia stato effettuato al di fuori dell’attività di impresa, in modo che sia fornita prova che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili (tra le altre, v. Cass. n. 15161 del 2020; n. 16896 del 2014). 6.3. Incombeva, quindi, sul ricorrente allegare di aver superato la presunzione attraverso la dimostrazione in modo analitico dell'estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili (Cass. n. 35258 del 2021); solo in questa evenienza il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all'efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso contribuente, avuto riguardo ad ogni singola movimentazione e dandone conto in motivazione. Nel caso in esame, però, il motivo si sostanzia nella elencazione dei prelevamenti recuperati con indicazione di causali in gran parte generiche, mentre, come riferito in sentenza, il recupero ha riguardato solo i prelevamenti per i quali il ricorrente non è stato in grado di produrre idonea documentazione probatoria a supporto. 7. Con il settimo motivo il ricorrente deducenullità della sentenza per violazione dell’art.32 D.P.R. 600/1973 e art. 53 Cost. nella parte in cui non tiene conto degli eventuali costi per produrre il reddito. 7.1. Il motivo è fondato. 7.2. A seguito della sentenza della Corte cost. n. 10/2023, che ha operato un'interpretazione adeguatrice dell'art. 32, comma 1, n. 2), d.P.R. n. 600/1973, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfettaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall'ammontare dei maggiori ricavi presunti (Cass. n. 18653 del 2023; n. 6874 del 2023; v. anche n. 7122 del 2022). 8. Con l’ottavo motivo rileva nullità della sentenza, in relazione all’art.360 comma 1 n. 3 c.p.c., per violazione dell’art.36 d.lgs. n. 546/1992 e 115 c.p.c. avendo la CTR erroneamente ritenuti assorbiti una serie di motivi d’appello, riguardanti singole riprese. e mancato di esaminare i documenti prodotti e mai contestati dall’Ufficio, cosicché risulta un vizio di omessa motivazione che rende nulla la sentenza. 8.1. Il motivo è inammissibile in quanto l'assorbimento erroneamente dichiarato si traduce in una omessa pronunzia (Cass. n. 26520 del 2023; Cass n. 12193 del 2020), che deve essere censurata in sede di legittimità ai sensi dell’art. 112 c.p.c. (Cass. n. 11459 del 2019). In questo caso il motivo si discosta dalle regole in materia secondo cui, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell'art.112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l'una o l'altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d'ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del "fatto processuale", intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all'onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un'autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (Cass. n. 28072 del 2021). 9. Con i motivi dal nono al quindicesimo il ricorrente denunzia la sentenza impugnata, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c., per l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia e segnatamente: «non avere annullato la ripresa a tassazione dei versamenti relativi all’acquisto di vendita e di carburante Eni» (motivo 9); «non avere annullato la ripresa a tassazione dei versamenti relativi agli incassi del negozio di telefonia Tim» (motivo 10); «non avere annullato la ripresa a tassazione delle operazioni effettuate quale “anticipo socio”, “finanziamento a favore di Ipsale” (Rosa, Salvatore, Luca, Fortunato), “restituzione finanziamento Ipsale”» (motivo 11); «non avere annullato la ripresa a tassazione delle operazioni neutre» (motivo 12); «non avere annullato la ripresa a tassazione dell’importo di € 90.000,00 relativo all’acquisto dell’appartamento in via Canfora 55 Catania» (motivo 13); «non avere annullato la ripresa a tassazione dell’importo di € 515.000,00 relativo all’acquisto delle quote di Villa Parlapiano» (motivo 14); «non avere annullato la ripresa a tassazione dell’importo di € 300,000,00 relativo all’acquisto di un immobile a Milano alla via Teuliè n.13» (motivo 15). 9.1. Questi motivi sono inammissibili. 9.2. La censura prevista dal novellato art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia di un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico- naturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali, che ha costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (Cass. n. 13024 del 2022; Cass. n. 14802 del 2017); non possono considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio (Cass. n. 10525 del 2022). 9.3. Va considerato, inoltre, che, secondo quanto previsto dall’art. 348 ter, comma 5, c.p.c. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), è escluso che possa essere impugnata ex art. 360, n. 5, c.p.c. la sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado (c.d. “doppia conforme”), salvo che il ricorrente non dimostri che le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell'appello sono tra loro diverse (Cass. n.5947 del 2023); la “doppia conforme”, peraltro, ricorre non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni sono fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo Giudice (Cass. n. 7724 del 2022). 9.4. In questo caso, da un lato, manca la precisa indicazione dei fatti storici decisivi che la CTR avrebbe omesso di esaminare, poiché le doglianze riguardano la valutazione di mezzi istruttori ovvero istanze difensive, e, dall’altro, il ricorrente non si è fatto carico di superare la preclusione derivante dalla c.d. “doppia conforme”. 10. Conclusivamente, accolti il quinto motivo nei limiti in motivazione e il settimo motivo, rigettati gli altri, la causa deve essere cassata di conseguenza con rinvio alla Corte di merito in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il quinto motivo nei limiti in motivazione e il settimo motivo, rigettati gli altri, cassa di conseguenza la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 06/12/2023. Il Consigliere estensore Il Presidente GIOVANNI LA ROCCA ERNESTINO LUIGI BRUSCHETTA
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: ERNESTINO LUIGI BRUSCHETTA Presidente ENRICO MANZON Consigliere GIOVANNI LA ROCCA Consigliere-Rel. LUNELLA CARADONNA Consigliere MARIA GIULIA PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Consigliere Oggetto: TRIBUTI ACCERTAMENTI BANCARI Ud.06/12/2023 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 18120/2018 R.G. proposto da: FORNO ETTORE, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato DI PAOLA NUNZIO SANTI GIUSEPPE (DPLNZS67B25C351B); -ricorrente- contro AGENZIA DELLE ENTRATE, domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (ADS80224030587) che la rappresenta e difende; -controricorrente e ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PALERMO n. 5083/2017 depositata il 18/12/2017. Udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni La Rocca nella pubblica udienza del 6 dicembre 2023, Letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Alberto Cardino, che ha concluso per l’accoglimento del primo e terzo motivo di ricorso, non essendo comparso nessuno per le altre parti. FATTI DI CAUSA 1. Secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, Ettore Forno, titolare di omonima ditta individuale esercente il commercio di prodotti di telefonia, ha impugnato l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate contenente la determinazione di maggiori ricavi e minori costi deducibili per il 2008 con conseguente recupero di imposte. 2. L'accertamento di maggiori ricavi era fondato, per la gran parte, su accertamenti bancari che il contribuente ha contestato osservando che l’Agenzia aveva acriticamente recepito le risultanze del PVC della Guardia di finanza senza svolgere alcun controllo e la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Enna ha accolto il ricorso, osservando che l’Ufficio non aveva approfondito le giustificazioni rese dal Forno in ordine alle movimentazioni bancarie contestate. 3. Il gravame erariale è stato accolto dalla Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Sicilia, la quale ha osservato che l’art. 32 d.P.R. n. 600/1973 in tema di accertamenti bancari pone una presunzione legale a favore dell’Amministrazione, cosicché incombe sul contribuente l’onere di giustificare i versamenti o dimostrare che i prelevamenti erano già stati considerati nella determinazione della base imponibile ovvero erano irrilevanti a quei fini, non essendo onere dell’Amministrazione “approfondire” le proprie indagini sulla base delle giustificazioni fornite dal contribuente. 4. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Forno fondato su cinque motivi. 5. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate che propone ricorso incidentale fondato su un motivo. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Preliminarmente deve esaminarsi l’eccezione di tardività del ricorso iniziale sollevata dall’Agenzia: notificato l’atto impugnato il 23.2.2012, il contribuente aveva proposto ricorso soltanto il 20.7.2012 confidando, secondo la controricorrente, nel termine di sospensione di gg. 90 di cui all’accertamento con adesione che era stato richiesto con chiari intenti dilatori in quanto l'istanza non conteneva alcuna proposta e il contribuente, invitato al contraddittorio, non si era presentato. 1.1. L'eccezione è infondata. 1.2. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che la mancata comparizione del contribuente alla data fissata per la definizione, in via amministrativa, della lite, sia essa giustificata o meno, non interrompe la sospensione del termine di novanta giorni per l'impugnazione dell'avviso di accertamento, in quanto detto comportamento non è equiparabile alla formale rinuncia all'istanza, né è idoneo a farne venir meno ab origine gli effetti (Cass. n. 27274 del 2019). L’effetto sospensivo del termine di impugnazione è automatico (Cass. n. 21096 del 2018) e non può dipendere da indagini sulla effettiva intenzione del contribuente di addivenire ad un accordo transattivo, pena l’intollerabile incertezza sulla operatività della sospensione e sul verificarsi della decadenza dall’impugnazione che, per loro stessa natura, debbono essere ancorate unicamente ad eventi oggettivi e immediatamente verificabili. 2. Passando al ricorso principale, con il primo motivoil contribuente deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 3 e 4, nullità della sentenza per assoluto difetto di motivazione in violazione degli artt. 36 e 61 d.lgs. n. 546/1992 in quanto la motivazione resa dalla CTR non dava conto della complessa articolazione delle controdeduzioni in appello. 3. Con il secondo motivodeduce, in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c., nullità della sentenza per assoluto difetto di motivazione e omesso esame circa un fatto decisivo nella parte in cui la CTR non si è pronunciata sull’eccezione di inesistenza giuridica dell’avviso impugnato per carenza del potere dirigenziale del direttore firmatario, alla luce della sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale, e ciò in quanto «pare» che la nomina del Direttore Provinciale che aveva sottoscritto l’atto impugnato «rientrerebbe» tra quelle interessate dalla predetta dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 8 comma 24 del d.l. n. 16/2012. 4. Con il terzo motivo deduce, in relazione agli artt. 360 comma 1 nn. 3 e 4, nullità della sentenza per assoluto difetto di motivazione, violazione e falsa applicazione dell’art. 32 d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 51 del d.P.R. n. 633/1972, avendo la CTR accolto l’appello dell’Ufficio senza esaminare le giustificazioni che il contribuente aveva fornito in ordine alle movimentazioni bancarie contestate né precisare perché quelle giustificazioni, che il Giudice di prime cure aveva ritenuto «affidabili», erano state invece disattese in appello. 5. Con il quarto motivo deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 4 e 5 c.p.c., «nullità della sentenza per assoluto difetto di motivazione e omesso esame circa un fatto decisivo nella parte in cui si contesta l’acquiescenza parziale della sentenza per non aver l’Ufficio indicato la categoria di reddito cui ascrivere l’imponibile recuperato»: in sostanza, il ricorrente rileva che nel giudizio d’appello si era eccepita l’acquiescenza dell’Agenzia sul capo della sentenza di primo grado che aveva annullato l’accertamento perché non era stata indicata la categoria di reddito a cui ascrivere il rilevante imponibile recuperato, «certamente non correlabile all’attività economica esercitata», poiché l’appellante aveva contestato solo l’idoneità della documentazione prodotta a giustificare i movimenti bancari contestati; su tale eccezione, mai contestata dall’Ufficio, la CTR non si era pronunziata. 6. Con il quinto motivo deduce, in relazione agli artt. 360 comma 1 nn. 4 e 5 c.p.c., nullità della sentenza per assoluto difetto di motivazione e omesso esame di fatti decisivi riportati nei rilievi indicati nelle controdeduzioni (da pagg. 18 a pag. 74) e mai esaminati dalla CTR, così riassunti in ricorso: I) nullità dell’accertamento per insanabile difetto di motivazione, mancata indicazione della metodologia di accertamento (pagg. 18-21); II nullità dell’accertamento per aver omesso l’Ufficio qualsiasi controllo o confronto nei riguardi del contribuente (pagg. 21-22); III infondatezza dei rilievi relativi alla presunta inattendibilità della contabilità (pagg. 23-27); IV sulle indagini finanziarie (pagg. 27- 76). 7. Il primo motivo è infondato. 7.1. E’ noto chenon essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi - che si convertono in violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale", di "motivazione apparente", di "manifesta ed irriducibile contraddittorietà" e di "motivazione perplessa od incomprensibile", purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022). Questa Corte ha, altresì, precisato che «la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da "error in procedendo", quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 9105 del 2017). 7.2. In questo caso la motivazione raggiunge il c.d. “minimo costituzionale” ed esprime chiaramente la sua ratio decidendi, fondata sull’inottemperanza da parte del contribuente all’onere di prova a suo carico, «per i versamenti e i prelevamenti non giustificati», al fine di superare la presunzione legale posta dall’art. 32 comma 2 cit. a favore dell’Amministrazione, la quale, prosegue la CTR, non è tenuta ad approfondire le giustificazioni rese dal contribuente in ordine alle movimentazioni contestate, come erroneamente ritenuto dai giudici di prime cure. 8. Il secondo motivo è inammissibile per difetto di specificità e autosufficienzaesprimendosi in maniera ipotetica e dubitativa sul fatto che la nomina del soggetto che aveva sottoscritto l’atto rientrasse tra quelle incise dalla pronunzia di incostituzionalità. 8.1. Il motivo, in ogni caso, è infondato nel merito alla luce di Cass. n. 22810 del 2015 secondo cui «In tema di accertamento tributario, ai sensi dell'art. 42, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d'ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell'ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva e, cioè, da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d'incostituzionalità dell'art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito nella l. n. 44 del 2012» (conf. Cass. n. 5177 del 2020). 9. Il terzo motivo è inammissibile. 9.1. In tema di accertamenti bancari, grava sul contribuente l'onere di superare la presunzione di legge dimostrando in modo analitico l'estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, in questo caso il Giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all'efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso contribuente, avuto riguardo ad ogni singola movimentazione e dandone conto in motivazione(Cass. n. 35258 del 2021). Tale preciso ed analitico onere della prova contraria non può essere assolto solo attraverso il ricorso a dichiarazioni di terzi, non potendo queste ultime assurgere né a rango di prove esclusive della provenienza del reddito accertato, né essere idonee, di per sé, a fondare il convincimento del Giudice (Cass. n. 6405 del 2021; Cass. n. 22302 del 2022); con riguardo ai prelevamenti, in particolare, non è sufficiente neppure la mera indicazione del nominativo dell’asserito beneficiario, in quanto ciò permetterebbe facili elusioni della presunzione, ma la deduzione deve essere accompagnata da una qualche documentazione che giustifichi la cagione del prelevamento a favore del terzo o, comunque, da elementi che rendano credibili che tale prelevamento sia stato effettuato al di fuori dell’attività di impresa, in modo da fornire la prova che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili (Cass. n. 16896 del 2014; Cass. n. 13035 del 2012; Cass. n. n. 25502 del 2011). 9.2. La denunzia dell’omessa verifica da parte del giudice di merito delle prove fornite dal contribuente, da svolgersi con riguardo ad ogni singola movimentazione e dandone conto in motivazione (Cass. n. 15161 del 2020; Cass. n. 16896 del 2014), presuppone quindi che il contribuente abbia dedotto in modo analitico l'estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili; in questo caso, in cui l’Agenzia ha chiarito che l’avviso impugnato aveva riguardato soltanto le movimentazioni bancarie su cui non si era data alcuna giustificazione o la giustificazione era sprovvista di idonea documentazione, il motivo difetta di autosufficienza; il ricorrente non ha allegato le analitiche giustificazioni e prove relative alle movimentazioni bancarie contestate, che il giudice di merito avrebbe dovuto verificare e valutare; la doglianza resta estremamente generica, manca di puntuali riferimenti alle deduzioni difensive e a tale carenza non può supplire il mero richiamo della sentenza di primo grado che aveva ritenuto «affidabili» le giustificazioni del contribuente. 10. Anche il quarto motivo è inammissibile e, in ogni caso, la questione proposta è infondata. 10.1. Da un lato, come già si è osservato, non ricorre nella sentenza impugnata un difetto assoluto di motivazione e, dall’altro, non è ravvisabile nel motivo l’omesso esame di un fatto decisivo denunciandosi una questione riguardante l’interpretazione e valutazione degli atti processuali (sul contenuto del “fatto decisivo”, v. par. 11.2); il motivo tende, piuttosto, all’esame di quella questione ma non si confronta con il principio, affermato da questa Corte, secondo cui la mancata impugnazione di una o più affermazioni contenute nella sentenza può dare luogo alla formazione del giudicato interno soltanto se le stesse siano configurabili come capi completamente autonomi, risolutivi di questioni controverse che, dotate di propria individualità ed autonomia, integrino una decisione del tutto indipendente, e non anche quando si tratti di mere argomentazioni, oppure della valutazione di presupposti necessari di fatto che, unitamente agli altri, concorrano a formare un capo unico della decisione (Cass. n. 20951 del 2022; Cass. n. 40276 del 2021; Cass. n. 21566 del 2017; Cass. n. 4732 del 2012); in questo caso, la questione non costituisce autonoma ratio decidendi ma è uno dei profili cui deve estendersi, secondo i Giudici di primo grado, l’onere di prova in capo all’Agenzia che peraltro, denunziando «violazione degli artt. 32 del dpr 600 del 1973 e 51 del dpr 633 del 19872 in relazione alle indagini finanziarie» nonché «omessa carente ed erronea motivazione» (v. sentenza della CTR), ha aggredito in termini assai ampi la sentenza di primo grado, in modo da ricomprendere nel gravame anche quel profilo. 11. Il quinto motivo, infine, è inammissibile sotto svariati profili. 11.1. Anche in questo caso la doglianza presenta un difetto di autosufficienza in quanto non riporta i “fatti decisivi” il cui esame sarebbe stato omesso ma il contribuente si limita a rinviare alle sue corpose controdeduzioni difensive in appello (da pag. 18 a pag. 74 delle controdeduzioni), lasciando alla Corte il compito di ricercare ed individuare quegli elementi che, invece, era suo onere indicare in maniera puntuale. 11.2. Dalla riassuntiva esposizione, poi, si desume che l’omesso esame lamentato non riguarda tanto fatti storici decisivi quanto la valutazione di elementi probatori e la valutazione di singole doglianze e allegazioni difensive. La censura di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, deve riguardare un fatto storico, principale o secondario, ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico- naturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali, che ha costituito oggetto di discussione tra le parti e ha carattere decisivo (Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017), senza che possano considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio (ex multis, v. Cass. n. 10525 del 2022; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 5795 del 2017). 12. Con l’unico motivo di ricorso incidentale,l’Agenzia delle entrate ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. da parte della CTR che non si era pronunciata con riguardo a maggiori ricavi per euro 11.665,95, relativi a incassi documentati con scontrino fiscale su cui non era stata riportata l’annotazione “corrispettivo non pagato”. 12.1. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza mancando la puntuale indicazione della riproposizione del rilievo come motivo d’appello contro la sentenza di primo grado che aveva annullato per intero l’avviso di accertamento. La deduzione della violazione dell'art.112 c.p.c. in sede di legittimità postula che la parte abbia formulato la domanda o l'eccezione in modo autonomamente apprezzabile ed inequivoco e che la stessa sia stata puntualmente riportata nel ricorso per cassazione nei suoi esatti termini, con l'indicazione specifica dell'atto difensivo o del verbale di udienza in cui era stata proposta (Cass. n. 16899 del 2023; Cass. n. 29952 del 2022; Cass. n. 28184 del 2020); Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d'ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del "fatto processuale", intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all'onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un'autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (Cass. n. 28072 del 2021). 13. Conclusivamente devono essere rigettati entrambi i ricorsi e la reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese. P.Q.M. rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; compensa le spese; Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma, il 06/12/2023. Il Consigliere estensore Il Presidente GIOVANNI LA ROCCA ERNESTINO LUIGI BRUSCHETTA
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7939 del 2023, proposto da Be. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati St. Vi., Ch. Ca., Vi. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ex Monopoli, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Be. It. S.r.l., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 13004/2023 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ex Monopoli e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Presidenza del Consiglio dei Ministri; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2024 il Cons. Sergio Zeuli e uditi per le parti gli avvocati St. Vi., Ch. Ca. e Vi. Ba. Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società ricorrente, in qualità di concessionaria della raccolta da scommesse relative a eventi sportivi di ogni genere, ha appellato la sentenza in epigrafe, con cui il Tar del Lazio - Sede di Roma- ha respinto il suo ricorso per l'annullamento della determinazione direttoriale prot. n. 10337/RU del 5 gennaio 2023, con cui l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aveva disposto l'annullamento, in autotutela, ai sensi della Legge 7 agosto 1990, n. 241, articolo 21 nonies, della Determinazione Direttoriale prot. n. 5721/RU dell'8 gennaio 2022 e delle note, trasmesse ai concessionari, di invito a effettuare i versamenti delle somme destinate ad alimentare il Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale, calcolate in applicazione dei criteri esposti in detta Determinazione Direttoriale, nonché delle singole note con le quali la medesima Agenzia aveva comunicato le rinnovate quantificazioni degli importi aggiuntivi dovuti a titolo di versamento dell'importo dello 0,5 per cento della raccolta delle scommesse di cui all'art. 217, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (in Suppl. Ord. n. 21 alla Gazz. Uff., 19 maggio 2020, n. 128) convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, recante le Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (cd. DECRETO RILANCIO). In particolare, l'effetto lesivo per la società ricorrente derivava dal fatto di essere considerata soggetto passivo dell'imposta indiretta nella percentuale dello 0,5% sulle complessive entrate derivanti dalla raccolta delle scommesse per il periodo di riferimento, anziché fino alle sole soglie massime previste per il finanziamento del Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale (40 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021), come avrebbe invece potuto e dovuto evincersi dalla suddetta normativa legislativa. La controversia, quindi, è bene preliminarmente chiarirlo, non concerne il pagamento degli importi dovuti, per il periodo di riferimento, fino al raggiungimento dei suddetti limiti di stanziamento, necessari a coprire la spesa di costituzione e funzionamento del Fondo (importi tutti già interamente versati e dei quali la concessionaria non contesta la debenza), ma riguarda invece gli importi aggiuntivi richiesti in pagamento, calcolati sempre nella percentuale dello 0,5% per il periodo di riferimento, ma su tutte le complessive entrate provenienti dalla raccolta delle scommesse, a prescindere dal già avvenuto raggiungimento della soglia di finanziamento del Fondo pari ai già indicati 40 milioni di euro, massimi. 2. Il ricorso veniva affidato a plurime censure di violazione di legge e di eccesso di potere, tra cui, in particolare: a) la violazione dei limiti che la legge impone alla PA per l'esercizio del potere di autotutela ai sensi dell'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990); b) la lesione del principio del legittimo affidamento, avendo l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (di seguito, l'Agenzia) aspettato più di due anni per ribaltare una prassi interpretativa che si era ormai consolidata circa l'interpretazione della normativa recata dall'art. 217, comma 2, decreto-legge n. 34/2020; c) la violazione delle garanzie procedimentali di cui agli artt. 7 e seguenti della legge n. 241 del 1990; d) il difetto di istruttoria e di motivazione; e) l'erronea interpretazione della succitata norma recata dall'art. 217, comma 2, decreto-legge n. 34/2020, il cui unico dichiarato scopo sarebbe, ad avviso della società ricorrente, quello di costituire e finanziare un fondo speciale salva-sport e non, invece, come preteso dall'Amministrazione, anche quello di introdurre un ulteriore prelievo erariale generale strumentale ad imprecisate esigenze di finanza pubblica slegate dal finanziamento del suddetto fondo; g) l'erronea individuazione della base imponibile del contributo dovuto, così come effettuata dalla impugnata determinazione direttoriale del 5 gennaio 2023, in quanto in contrasto con la base imponibile identificata dalla base legale di cui al citato art. 217. Il ricorso sollecitava, inoltre, in via subordinata, per il caso del mancato accoglimento delle doglianze così prospettate, il rinvio pregiudiziale interpretativo ai sensi dell'art. 267, TFUE, ovvero la rimessione in Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale ivi prospettata. 3. Il Tar del Lazio adito ha esaminato e respinto partitamente tutte le censure proposte, motivando anche in ordine alla insussistenza delle condizioni per adire le Corti superiori con le prospettate questioni pregiudiziali, tuttavia compensando le spese del giudizio. 4. La società ricorrente ha riproposto tutti gli originari motivi di ricorso di primo grado, articolandoli quali specifiche censure contro i capi della sentenza gravata ai sensi dell'art. 101, c.p.a., così sostanzialmente devolvendo alla odierna cognizione tutta l'originaria materia del contendere. 5. L'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e il Ministero dell'Economia e delle Finanze hanno resistito al gravame, insistendo ancora sulla legittimità del proprio operato e sulla conseguente necessità di confermare la sentenza di primo grado. 6. Con l'ordinanza cautelare n. 3515/2023, la Sezione ha ritenuto sussistenti le condizioni per sospendere l'esecutività della sentenza appellata, "anche avuto riguardo, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, sia all'interesse pubblico generale a che l'attività di riscossione sia esercitata entro un quadro di plausibile certezza, anche per evitare inutile dispendio di attività amministrativa nel caso si dovesse far poi luogo alle restituzioni, sia alla tutela dell'attività impresa, attesa l'ingente entità delle somme richieste e l'impatto che le stesse avrebbero sul bilancio delle società interessate". 7. La causa è stata discussa dalle parti ed è stata trattenuta in decisione dal Collegio alla odierna udienza. 8. Nel merito, ritiene il Collegio che debba essere esaminato con priorità logico-giuridica il motivo di appello, ripropositivo del corrispondente motivo di primo grado, che, se fondato, condurrebbe ad annullare gli atti impugnati con il massimo grado di satisfattività per la pretesa giuridica azionata dalla società ricorrente. Ad avviso del Collegio, per evidenti ragioni legate alla sussistenza stessa del presupposto legale impositivo, la questione giuridica principale è quella se, al di là della asserita mancata osservanza delle garanzie procedimentali partecipative e della lamentata insussistenza delle condizioni, soprattutto temporali, per fare luogo all'autotutela amministrativa, sussista o meno, in radice, la base legale in virtù della quale l'Amministrazione finanziaria e, per essa, lo Stato, pretendono oggi dalle società ricorrente il pagamento dei suddetti importi aggiuntivi. Le tesi interpretative che si frappongono riposano sulla distinzione tra la posizione difesa dall'Avvocatura generale dello Stato e accolta dalla sentenza impugnata, secondo cui il limite massimo allo stanziamento riguarderebbe la sola parte di prelievo destinata ad alimentare il Fondo e non anche la misura massima del prelievo al quale sarebbero assoggettabili gli operatori economici del settore, e quella propugnata dalla società ricorrente, secondo cui il limite allo stanziamento del Fondo fungerebbe anche da limite implicito al prelievo, in virtù del legame teleologico impresso dalla decretazione d'urgenza al prelievo medesimo per il perseguimento della specifica finalità solidaristica consistente nel dotare il Fondo delle sole risorse necessarie per potere operare. 9. Tale essendo la questione di fondo controversa, ritiene il Collegio che il ragionamento logico-giuridico sul quale il primo giudice ha incentrato la reiezione dei ricorsi non possa condividersi, dovendosi, anzi, al contrario, ritenere che, tra le due frapposte opzioni ermeneutiche, quella che aderisce al dettato normativo secondo il principio di legalità e che risponde alla sottesa ratio legis, è la tesi propugnata dalla società ricorrente. Sono decisive in tal senso le considerazioni giuridiche ritraibili prima di tutto dal sistema normativo nazionale, e poi anche da quello euro-unitario, sulla base dei principi dei Trattati, così come costantemente interpretati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. 10. Anzitutto occorre partire dal dato normativo interno. Come si è poc'anzi detto, la controversia che oppone la società ricorrente all'Amministrazione finanziaria dello Stato riguarda il calcolo dell'imposta introdotta dall'art. 217, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (in Suppl. Ord. n. 21 alla Gazz. Uff., 19 maggio 2020, n. 128) convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, recante le Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (cd. DECRETO RILANCIO). In particolare, detto articolo ha previsto che: "1. Al fine di far fronte alla crisi economica dei soggetti operanti nel settore sportivo determinatasi in ragione delle misure in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, è istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze il "Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale" le cui risorse, come definite dal comma 2, sono trasferite al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, per essere assegnate all'Ufficio per lo sport per l'adozione di misure di sostegno e di ripresa del movimento sportivo. 2. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 31 dicembre 2021, una quota pari allo 0,5 per cento del totale della raccolta da scommesse relative a eventi sportivi di ogni genere, anche in formato virtuale, effettuate in qualsiasi modo e su qualsiasi mezzo, sia on-line, sia tramite canali tradizionali, come determinata con cadenza quadrimestrale dall'ente incaricato dallo Stato, al netto della quota riferita all'imposta unica di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, viene versata all'entrata del bilancio dello Stato e resta acquisita all'erario. Il finanziamento del Fondo di cui al comma 1 è determinato nel limite massimo di 40 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021. Qualora, negli anni 2020 e 2021, l'ammontare delle entrate corrispondenti alla percentuale di cui al presente comma sia inferiore alle somme iscritte nel Fondo ai sensi del precedente periodo, è corrispondentemente ridotta la quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145. 3. Con decreto dell'Autorità delegata in materia di sport, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, da adottare entro 10 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono individuati i criteri di gestione del Fondo di cui ai commi precedenti. La norma è entrata in vigore lo stesso giorno della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ossia in data 19 maggio 2020. 11. Occorre poi prestare attenzione alle vicende amministrative che si sono susseguite in fase di prima applicazione. Con la determinazione n. 307276/RU dell'8 settembre 2020, l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aveva definito le modalità di calcolo e di applicazione dell'importo dello 0,5 per cento per le singole tipologie di scommessa, nonché i termini di versamento delle somme da corrispondere a cura dei concessionari, con cadenza quadrimestrale e pari alla somma degli importi calcolati mensilmente per ciascuna tipologia di gioco. In particolare, all'art. 6, aveva previsto che "Qualora prima del 31 dicembre di ciascun anno sia raggiunto il limite massimo, rispettivamente, di 40 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021, il calcolo dell'importo è limitato al mese in cui detto limite è raggiunto e l'importo mensile è ricalcolato in misura proporzionale rispetto alla somma registrata in eccesso". Successivamente, con la circolare n. 12 del 12 marzo 2021, l'Agenzia, sulla base del limite di cui al citato articolo 6, aveva esplicitato le modalità di calcolo degli importi mensili dovuti per scommessa, disciplinando gli arrotondamenti, definendo il criterio per la "Determinazione dell'importo riferito al mese in cui è raggiunto il limite annuo", nonché la procedura da seguire nel caso di "Raggiungimento del limite annuo di cui all'articolo 6, qualora sia necessario integrare o ridurre l'importo calcolato", e fornendo gli "importi totali calcolati da ADM per il secondo e terzo quadrimestre 2020" per raggiungere il citato tetto massimo (relativo al 2020) di 40 mln di euro. L'elemento che caratterizzava e accomunava tutti i detti provvedimenti era l'affermazione implicita del principio del parallelismo tra l'entità del prelievo fiscale e il limite allo stanziamento del Fondo salva sport, nel senso cioè che il tetto massimo previsto per dotare il Fondo delle risorse necessarie per operare, fissato in 40 milioni di euro per l'anno 2020 e in 50 milioni di euro per l'anno 2021, fungeva, altresì, da limite implicito al prelievo di imposta, attraverso il precipuo meccanismo della riparametrazione proporzionale dell'importo mensile dovuto. In tal modo, la pretesa fiscale non aveva ad oggetto il pagamento dell'intera quota pari allo 0,5 per cento del totale della raccolta da scommesse, bensì, nell'ambito di detta quota, attraverso il ricalcolo mensile in misura proporzionale, il pagamento necessario per dotare il Fondo dello stanziamento previsto, con conseguente possibilità di registrare anche somme in eccesso. 12. Occorre considerare, infine, ciò che è accaduto immediatamente prima l'emanazione della impugnata determinazione n. 10337/RU del 5 gennaio 2023, recante "l'annullamento, in autotutela, ai sensi della Legge 7 agosto 1990, n. 241, articolo 21 nonies, della Determinazione Direttoriale prot. n. 5721/RU dell'8 gennaio 2022 e delle note, trasmesse ai concessionari, di invito a effettuare i versamenti delle somme destinate ad alimentare il Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale, calcolate in applicazione dei criteri esposti in detta Determinazione Direttoriale". Invero la determinazione direttoriale alla quale si fa riferimento, da annullare in via di autotutela, riguardava, in realtà, una diversa vicenda svoltasi in relazione ad un altro contenzioso, insorto sempre tra taluni operatori del settore e l'Agenzia, e sempre collegato alle modalità di calcolo del prelievo di cui trattasi, ma questa volta nel settore specifico del cd. Betting Exchange, che poi è stato regolato proprio con la succitata determina n. 5721/RU dell'8 gennaio 2022. E' stato proprio da tale antefatto che ha preso le mosse il revirement interpretativo dell'Agenzia, la quale, trovatasi nella situazione di dovere ridefinire la nuova disciplina di calcolo per il Betting Exchange a seguito del giudicato amministrativo nel frattempo formatosi in senso ad essa sfavorevole, ha poi in effetti deciso di riverificare in senso complessivo la conformità a legge del proprio operato concernente le modalità di calcolo del prelievo ai sensi dell'art. 217, decreto-legge n. 34/2020. A seguito di interlocuzioni con la Ragioneria Generale dello Stato e la Corte dei conti - Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, l'Agenzia ha reinterpretato la summenzionata normativa fiscale e l'ha applicata, da allora in avanti, in senso diametralmente opposto rispetto al passato, ossia nel senso che il limite massimo di 40 milioni di euro per l'anno 2020 e di 50 milioni di euro per l'anno 2021 non dovesse riferirsi "alla misura massima delle somme dovute dai soggetti passivi del prelievo, bensì alla parte di prelievo destinata ad alimentare il "Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale", con la conseguenza che i concessionari sono tenuti a versare per intero l'aliquota dello 0,5 per cento della raccolta, calcolata secondo le modalità espresse all'articolo 3 della nuova determina, senza più quindi la possibilità che l'importo mensile dovuto sia ricalcolato proporzionalmente al raggiungimento dei previsti limiti di stanziamento, come era invece stabilito dall'art. 6 della originaria determina n. 307276/RU dell'8 settembre 2020, disposizione, questa, difatti, non più riprodotta con l'impugnata determinazione del 5 gennaio 2023. 13. Sulla base di ciò, sussistono ad avviso del Collegio plurimi elementi, sia testuali, sia sistematici, tali per cui non devono nutrirsi dubbi circa il fatto che l'unica interpretazione corretta della disposizione recata dall'art. 217, decreto-legge n. 34/2020 sia quella che l'Amministrazione finanziaria ha seguito in fase di prima applicazione della norma, poi tuttavia dalla stessa abbandonata e sostituita da quella, opposta e qui impugnata, da ritenersi non conforme a legge, in quanto non rinveniente nel dato normativo la necessaria 'base legalè della pretesa impositiva. 14. L'art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale (cd. Preleggi), rubricato "Interpretazione della legge", prevede che "Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato". Nell'ordine, quindi, i canoni ermeneutici di cui l'interprete deve fare applicazione sono: a) l'interpretazione letterale palesata dal significato proprio delle parole; b) l'interpretazione sistematica delle parole secondo la connessione di esse; c) l'analogia iuris e l'analogia legis, per i casi simili o le materie analoghe; d) se il caso rimane ancora dubbio, i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato. 15. Sul piano testuale, il legislatore ha chiaramente enunciato la propria intenzione di introdurre misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, con lo scopo cioè di bilanciare il sacrificio economico imposto a taluni operatori economici assoggettati ad una nuova forma di imposizione indiretta (nella specie, i concessionari della raccolta delle scommesse), con le superiori, generali e imperative esigenze di solidarietà economica e sociale, indispensabili non tanto per sostenere in generale l'economia, ma proprio per rilanciare specifici settori dell'economia gravemente pregiudicati a seguito delle misure restrittive e delle chiusure alle attività imposte dalla normativa di contrasto al COVID-19, tra cui quelle facenti capo ad associazioni sportive e dilettantistiche. Letteralmente, difatti, il primo comma del cit. art. 217 prevede che le risorse, come definite dal comma 2, sono trasferite al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, per essere assegnate all'Ufficio per lo sport per l'adozione di misure di sostegno e di ripresa del movimento sportivo. Ancora sul piano testuale, va poi considerata la rubrica dell'articolo in commento, intitolata "Costituzione del "Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale"", anche in questo caso stabilendo un sicuro vincolo funzionale tra la ragione del prelievo e la finalità perseguita, ossia non il perseguimento di generali e non meglio precisate ragioni di interesse pubblico, ma proprio la finalità specifica di mostrarsi solidali con il sistema sportivo nazionale, al cui rilancio è deputata la costituzione del Fondo. Sempre sul piano testuale, è pur vero che il secondo comma del medesimo art. 217 prevede che "(d)alla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 31 dicembre 2021, una quota pari allo 0,5 per cento del totale della raccolta da scommesse relative a eventi sportivi di ogni genere... al netto della quota riferita all'imposta unica di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, viene versata all'entrata del bilancio dello Stato e resta acquisita all'erario", ma tale espressione va messa in correlazione e (soprattutto) va letta in connessione con le previsioni recate dal primo comma e con il senso complessivo delle misure emergenziali introdotte dalla decretazione in via d'urgenza, così come poc'anzi illustrate, con la conseguenza che non può sostenersi che il limite massimo allo stanziamento riguardi la sola parte di prelievo destinata ad alimentare il fondo e non anche la misura massima del prelievo al quale sono assoggettati gli operatori economici del settore, dal momento che le risorse alle quali si fa riferimento nel primo comma per dotare il Fondo dei mezzi necessari per potere operare sono proprie quelle e solo quelle reperite secondo le modalità descritte dal comma 2 del medesimo art. 217, e che le finalità solidaristiche espressamente previste dalla norma sono solo quelle che riguardano l'adozione delle misure di sostegno e di ripresa del movimento sportivo, e non altre esigenze che pure la Difesa erariale ha prospettato come "finalità omologhe", con formula tuttavia non meglio precisata. 16. Sul piano sistematico e complessivo, quindi, deve affermarsi il principio di diritto secondo cui, seppure il legislatore non abbia fatto uso di espressioni letterali tali da esplicitare verbalmente il concetto che il limite di stanziamento del Fondo funziona anche quale limite al prelievo, è tuttavia evidente e incontrovertibile che il suddetto principio sia ricavabile sulla base della intentio legis, per come palesata nell'epigrafe che dà il titolo al decreto-legge; della ratio iuris perseguita, per come anch'essa resa chiara dalla rubrica dell'articolato normativo; e del necessario raccordo tra le previsioni recate dal primo e dal secondo comma, che non possono essere lette e interpretate in modo isolato e atomistico l'una dall'altra, ma che anzi impongono una lettura coordinata secondo i principi della logica giuridica. 17. Vi è poi una ulteriore considerazione da svolgere. La necessità di rilanciare il settore dello sport, e in particolare il mondo delle piccole associazioni sportive e dilettantistiche che vi operano, è stata una esigenza così sentita dallo Stato da indurlo a introdurre, nell'ultima parte del secondo comma del cit. 217, la previsione che "Qualora, negli anni 2020 e 2021, l'ammontare delle entrate corrispondenti alla percentuale di cui al presente comma sia inferiore alle somme iscritte nel Fondo ai sensi del precedente periodo, è corrispondentemente ridotta la quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145". Questo evento, come si è già ampiamente chiarito, non si è verificato nel caso all'esame, originando difatti l'odierna controversia proprio dal fatto che le soglie di stanziamento del Fondo sono state ampiamente raggiunte. La considerazione della suddetta eventualità, tuttavia, è utile per comprendere sul piano esegetico, sulla base di un ragionamento logico controfattuale, cosa per l'appunto sarebbe accaduto se ciò si fosse verificato. E' evidente infatti, che laddove detto ammontare fosse stato inferiore, lo Stato avrebbe dovuto integrare i limiti di stanziamento previsti, operando la corrispondente riduzione della quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145. Anche alla luce della conferma che, da detta previsione, si trae sulla complessiva filosofia dell'intervento normativo, perciò non si rinviene alcuna ragione di assoggettare i concessionari dello Stato ad uno sforzo di contribuzione per esigenze solidaristiche (va ribadito, dagli stessi non contestato nei limiti necessari al raggiungimento delle soglie di stanziamento del Fondo) maggiore di quello al quale si sottoporrebbe lo Stato stesso nel caso in cui le suddette soglie non venissero raggiunte, perché in questo ultimo caso è certo, per espressa previsione di legge, che la riduzione corrispondente della quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 opererebbe solo fino al raggiungimento delle soglie, e non oltre. Il che dimostra, se ve ne fosse bisogno, che l'unica lettura possibile della disposizione normativa contenuta all'art. 217, decreto-legge n. 34/2020, nel raccordo fra il primo e il secondo comma, è esclusivamente quella che riposa sul principio del parallelismo tra il prelievo e la dotazione del fondo, con la conseguenza che il limite allo stanziamento del Fondo rappresenta anche il necessario tetto implicito al prelievo. 18. Discendendo dalle considerazioni appena illustrate l'integrale e satisfattivo accoglimento delle ragioni giuridiche prospettate con gli odierni appelli, non sarebbe di per sé necessario, anzi per vero diventerebbe recessivo per mancanza del presupposto della rilevanza, l'esame delle questioni pregiudiziali interpretative (costituzionale ed europea) correttamente prospettate dalla società appellante in via solo subordinata, per il caso cioè in cui il Collegio fosse pervenuto alla decisione opposta. Peraltro, sullo sfondo di tali questioni prospettate, si staglia con chiarezza il corollario del c.d. generale "principio di conservazione" che permea di sé l'ordinamento giuridico, secondo cui tra due eventuali interpretazioni plausibili, il Giudice è tenuto a privilegiare quella che conduce all'affermazione che la norma applicata è immune da mende rispetto a quella che possa presentare profili di incompatibilità con altri valori dell'ordinamento. È noto che il detto principio è stato, negli anni, evocato a più riprese dal Giudice delle leggi (celebre, in proposito, il canone enunciato nella sentenza n. 356 del 1996, e poi più volte ripetuto a partire dalla sentenza n. 147 del 2008 e reso con la fortunata espressione "in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime -o una disposizione non può essere ritenuta costituzionalmente illegittima- perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali -e qualche giudice ritenga di darne-, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali". Lo stesso principio trova pure riscontro, seppur con minore frequenza, nella giurisprudenza della CGUE (Corte giustizia UE grande sezione, 8.11.2016, n. 554, consideranda 58 e 59 "58 In base, altresì, a una consolidata giurisprudenza, anche se le decisioni quadro, ai sensi dell'articolo 34, paragrafo 2, lettera b), UE, non possono avere efficacia diretta, il loro carattere vincolante comporta tuttavia in capo alle autorità nazionali, in particolare ai giudici nazionali, un obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale (v. sentenza del 5 settembre 2012, Lopes Da Silva Jorge, C-42/11, EU:C:2012:517, punto 53 e giurisprudenza ivi citata). 59 Nell'applicare il diritto interno, il giudice nazionale chiamato ad interpretare quest'ultimo è quindi tenuto a farlo, quanto più possibile, alla luce della lettera e dello scopo della decisione quadro al fine di conseguire il risultato da essa perseguito. Tale obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale è insito nel sistema del Trattato FUE, in quanto permette ai giudici nazionali di assicurare, nell'ambito delle rispettive competenze, la piena efficacia del diritto dell'Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte (v. sentenza del 5 settembre 2012, Lopes Da Silva Jorge, C-42/11, EU:C:2012:517, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).". In tale ottica, sebbene non ai fini del rinvio pregiudiziale, è comunque opportuno svolgere qualche considerazione finale sul piano della integrazione del nostro ordinamento giuridico in quello europeo, alla luce dei principi del Trattato, così come interpretati con indirizzo esegetico consolidato dalla Corte di Giustizia, a riprova dell'ormai raggiunto grado di maturità, chiarezza e adeguatezza, nel settore dei giochi e delle scommesse, dei principi interpretativi elaborati dal giudice europeo, cosicché ogni giudice nazionale può farne immediatamente applicazione, conoscendo il punto di vista della Corte in materia. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, devono considerarsi quali restrizioni alla libertà di stabilimento o alla libera prestazione dei servizi tutte le misure che vietino, ostacolino o rendano meno attraente l'esercizio delle libertà garantite dagli articoli 49 e 56 TFUE (sentenza del 22 gennaio 2015, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, C-463/13, punto 45 e la giurisprudenza ivi citata; sentenza del 20 dicembre 2017, n. 322, punto 35). Diversamente dal caso esaminato dalla sentenza del 22 gennaio 2015, ma similmente a quello oggetto della sentenza del 20 dicembre 2017, anche nel caso qui trattato la normativa nazionale non ha imposto ai concessionari nuove condizioni di esercizio dell'attività (es. proroghe del contratto), bensì ha introdotto una nuova disciplina fiscale, sia pure limitata, in questo specifico caso, ad un biennio (anni 2020-2021). Sebbene la materia della imposizione fiscale rientri nella competenza degli Stati membri, una costante giurisprudenza della Corte afferma che questi ultimi devono esercitare tale competenza nel rispetto del diritto dell'Unione e, in particolare, delle libertà fondamentali garantite dal Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (sentenza dell'11 giugno 2015, Berlington Hungary e a., C-98/14, punto 34). Pur in assenza di una disciplina europea specifica di fonte derivata, si applicano, difatti, le norme del Trattato che tutelano sia la libertà di stabilimento (che importa l'accesso alle attività autonome e al loro esercizio ai sensi dell'art. 49), sia la libertà di prestazione di servizi (art. 56) che implica, tra l'altro, il libero svolgimento di attività di impresa, in quanto viene in rilievo un'attività economica di impresa. Al fine di stabilire quando tali libertà europee siano violate, occorre previamente accertare se la misura nazionale abbia determinato una restrizione delle suddette libertà . In secondo luogo, ove la restrizione effettivamente sussista, occorre stabilire se la stessa possa essere giustificata alla luce sia di limiti specifici espressamente consentiti dal Trattato, sia del limite generale costituito dai "motivi imperativi di interesse generale", che sono diversamente costruiti a seconda del settore di riferimento. Infine, se i suddetti motivi imperativi sussistono, occorre valutare se la normativa nazionale derogatoria rispetto alle libertà europee rispetti i seguenti altri principi generali europei: i) principio del pari trattamento, che vieta che la deroga nazionale crei discriminazione tra situazioni giuridiche nazionali ed europee; ii) principio di proporzionalità, che impone che la misura nazionale sia adeguata, idonea e proporzionata in senso stretto rispetto alla tutela dell'interesse pubblico nazionale, al fine di stabilire se il sacrificio dell'interesse pubblico europeo sia in concreto giustificato; iii) principio di affidamento dei privati incisi da una normativa eventualmente retroattiva, ovvero che pregiudichi posizioni consolidate; iv) principio di trasparenza e principio di concorrenza per il mercato, qualora sussista l'esigenza di scelta limitata dei soggetti privati che possano svolgere quella attività (Consiglio di Stato, Sezione IV, ordinanza n. 1071 del 31 gennaio 2023). Nel caso all'esame, come si è poc'anzi chiarito, mentre non occorre approfondire il primo aspetto, in quanto gli appelli vanno accolti, sicché per definizione nessuna lesione alle libertà garantite dal Trattato si prospetta, è invece utile ripercorrere l'orientamento della Corte sulla nozione di motivo imperativo di interesse generale. La disciplina dei giochi d'azzardo e delle scommesse rientra nei settori in cui sussistono tra gli Stati membri divergenze considerevoli di ordine morale, religioso e culturale. In assenza di un'armonizzazione in materia a livello dell'Unione, gli Stati membri godono di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda la scelta del livello di tutela dei consumatori e dell'ordine sociale che essi considerano più appropriato (sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet, C-322/16, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata). Gli Stati membri sono, di conseguenza, liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d'azzardo e, eventualmente, di definire con precisione il livello di tutela perseguito. Tuttavia, le restrizioni che essi impongono devono soddisfare le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda, segnatamente, la loro giustificazione sulla base di motivi imperativi di interesse generale e la loro proporzionalità (sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet, C-322/16, punto 40 e la giurisprudenza ivi citata). Pertanto, purché esse soddisfino quest'ultimo requisito, eventuali restrizioni delle attività di gioco d'azzardo possono essere giustificate in virtù di motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la prevenzione delle frodi e dell'incitamento dei cittadini a spese eccessive legate al gioco (sentenza del 22 gennaio 2015, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, C-463/13, punto 48 nonché la giurisprudenza ivi citata). Le considerazioni appena illustrate chiariscono quindi ulteriormente, rafforzandola, la conclusione interpretativa della normativa recata dal decreto-legge n. 34/2020, alla quale già si era pervenuti sulla base del diritto interno, ovverossia che, siccome detta normativa è stata introdotta in via di decretazione d'urgenza per far fronte all'emergenza economica insorta a seguito della chiusura e delle restrizioni alle attività economiche, con lo scopo di reperire le risorse necessarie per finanziare le misure di sostegno e di rilancio dell'economia e, per quanto interessa l'art. 217, del settore sportivo, il vincolo di scopo al prelievo non può che essere sorretto, sul piano della tenuta del sistema, dalla sussistenza di serie e gravi esigenze imperative di interesse generale, non riducibili alla generica ragion fiscale . Laddove, infatti, si negasse il principio dell'allineamento o corrispondenza fra entità del prelievo forzoso e limite massimo allo stanziamento, da intendersi dunque (anche) come limite (implicito) al prelievo medesimo, l'effetto pratico che si produrrebbe sarebbe quello di finanziare la spesa pubblica in generale, non essendo manifestate dalla norma ulteriori o diverse specifiche ragioni imperative di interesse pubblico da perseguire. A tal fine, del resto, non potrebbero giammai sopperire le non meglio precisate "finalità omologhe" pure prospettate dalla Difesa erariale nei propri scritti difensivi, sia perché testualmente non previste dalla norma, sia perché frutto, al limite, di una destinazione spontanea e di mero fatto da parte dello Stato in favore delle associazioni sportive e dilettantistiche, tale cioè da non consentire sia nella prospettiva del diritto europeo, sia in quella nazionale, la necessaria obiettività e misurabilità delle esigenze effettivamente volute e perseguite dal legislatore (secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, l'identificazione degli obiettivi effettivamente perseguiti dalle disposizioni nazionali in esame nel procedimento principale rientra comunque nella competenza del giudice del rinvio: in tal senso, sentenza del 28 gennaio 2016, Laezza, C-375/14, punto 35). 19. In definitiva, l'appello, così come in epigrafe proposto, va accolto per le considerazioni assorbenti e integralmente satisfattorie prima declinate (il che consente di prescindere dalla disamina delle ulteriori censure articolate) e, in riforma dell'impugnata sentenza, va di conseguenza accolto il ricorso di primo grado e così annullati gli atti impugnati. 20. Le spese del doppio grado di giudizio possono compensarsi tenuto conto della parziale novità e complessità delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, di conseguenza, in riforma dell'impugnata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado e annulla gli atti impugnati. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Rosaria Maria Castorina - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9329 del 2023, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Ra. De Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro l'Agenzia Nazionale per l'Amministrazione e la Destinazione dei Beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...), per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti, sul ricorso per l'annullamento dell'ordinanza di sgombero ex art. 47, co. 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, di due immobili confiscati siti nel Comune di -OMISSIS-. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Agenzia Nazionale per l'Amministrazione e la Destinazione dei Beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2024, il Cons. Angelo Roberto Cerroni e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Il signor -OMISSIS- è stato attinto da un'ordinanza di sgombero ex art. 47, comma 2, del d.lgs. n. 159/2011 dell'Agenzia Nazionale per l'Amministrazione e la Destinazione dei Beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (di seguito, breviter, Agenzia) n. -OMISSIS-del 23 novembre 2022, notificata il 2 dicembre 2022, relativa a due beni immobili, acquisiti al patrimonio dello Stato in forza di confisca e siti nel Comune di -OMISSIS-, via -OMISSIS-, censiti nel N.C.E.U. di detto Comune al foglio -OMISSIS-particella -OMISSIS-subb. -OMISSIS- Il provvedimento è stato impugnato innanzi al TAR per il Lazio sull'addebito, articolato in un unico motivo, di violazione dell'art. 823, co. 2, cod. civ., carenza di motivazione, erroneità dei presupposti di fatto e difetto di istruttoria. Il giudice di prime cure ha rigettato la domanda demolitoria dopo aver motivatamente disatteso la censura incentrata sulla sussistenza del diritto di proprietà sui beni confiscati in capo al ricorrente, sia in forza di un titolo negoziale non trascritto, sia in forza di una indimostrata usucapione, sia in virtù di un successivo provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge. 2. - Assumendo l'illegittimità della prima statuizione, il sig. -OMISSIS-ha interposto rituale appello, assistito da domanda cautelare, col quale lamenta, da un lato, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore di quella del giudice ordinario atteso che i provvedimenti di autotutela esecutiva ex art. 823, co. 2, cod. civ. si atteggiano a strumenti rimediali alternativi alle ordinarie azioni giudiziali petitorie e possessorie spettanti alla cognizione del G.O.; dall'altro lato, contesta la qualificazione di occupante sine titulo e rivendica la piena proprietà del bene, alternativamente, in forza di acquisto a titolo derivativo conseguente ad atto negoziale di compravendita (datato 18 gennaio 2001) o di maturata usucapione ordinaria in virtù di possesso pacifico, continuo e ininterrotto ventennale in corso di accertamento innanzi al giudice civile. L'appellante oppone, altresì, un provvedimento di assegnazione degli immobili in parola, a titolo di casa familiare, disposto in favore della coniuge e dei tre figli a seguito del procedimento di separazione consensuale e lamenta, al contempo, la conculcazione del diritto all'abitazione, protetto a livello costituzionale (art. 2 Cost.) e sovranazionale (art. 8 CEDU). 3. - Si è costituita in giudizio l'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei Beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata con comparsa di mero stile. 4. - All'esito della trattazione cautelare il Collegio, con ordinanza n. -OMISSIS-del 27 dicembre 2023, ha respinto la domanda di sospensione dell'efficacia della sentenza impugnata rilevando preliminarmente che il provvedimento di confisca è divenuto inoppugnabile in data 14 novembre 2019 e la conseguente acquisizione al patrimonio indisponibile dello Stato è stata regolarmente trascritta nei registri immobiliari come da risultanze ipotecarie versate in atti, sicché i titoli negoziali (atto di compravendita recato da scrittura privata non autenticata, né trascritta del 18 gennaio 2001), legali (usucapione ordinaria) e giudiziali (assegnazione della casa familiare a seguito di omologa dell'accordo di separazione del 17 novembre 2021) fatti valere dall'odierno appellante non paiono idonei a scalfire l'efficacia dell'acquisto a titolo originario disposto per confisca, vuoi perché inopponibili ai terzi (compravendita immobiliare non trascritta), vuoi perché successivi al perfezionarsi della fattispecie acquisitiva in favore dello Stato. 5. - L'Agenzia ha svolto attività difensiva in vista dell'udienza pubblica controdeducendo nel merito delle tre censure svolte in appello. Nulla ha ulteriormente dedotto la parte appellante. 6. - La causa è venuta in discussione all'udienza pubblica del 23 aprile 2024 all'esito della quale è stata spedita in decisione. 7. - L'appello è infondato per le ragioni che si espongono dappresso. 8. - In primis, va dichiarato inammissibile il motivo di appello teso a censurare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nel caso di impugnativa di provvedimenti adottati dall'amministrazione nell'esercizio della potestà di autotutela esecutiva di cui all'art. 823, co. 2, cod. civ.. La giurisprudenza amministrativa si è ormai consolidata nel ravvisare nella coltivazione di tale eccezione una condotta abusiva dello strumento processuale immeritevole di tutela da parte dell'ordinamento (ex multis, Cons. Stato, Ad. Plen., 29 novembre 2021, n. 19; Cons. Stato, Ad. plen., ord. 28 luglio 2017, n. 4): inammissibilità che non si fonda unicamente sul rilievo tecnico del difetto della qualità di soccombente in primo grado su quel capo decisorio, anche in via implicita (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 dicembre 2023, n. 10756), ma soprattutto sull'esigenza di sanzionare l'abuso del diritto di difesa ispirato a mere ragioni opportunistiche secundum eventum litis. Segnatamente, ponendosi nel solco della giurisprudenza civile (Cass., SS.UU., 20 ottobre 201-OMISSIS-n. -OMISSIS-; seguita poi dalle sentenze 19 gennaio 2017, n. 1907, 25 maggio 2018, n. 13192, e 24 settembre 2018, n. 22439), si opina che la parte che abbia adito la giurisdizione amministrativa con l'atto introduttivo del giudizio non sia legittimata a contestarla attraverso l'eccezione di difetto di giurisdizione in appello in spregio del divieto di venire contra factum proprium (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 marzo 2023, n. 2362). 8.1. - La fattispecie in esame ricade de plano nel paradigma appena tratteggiato, con l'aggiunta che l'inammissibilità è ulteriormente aggravata dalla peculiare laconicità dell'atto introduttivo del giudizio in ordine ai profili di giurisdizione denunciati poi in appello, con particolare riguardo ai mezzi rimediali alternativi all'autotutela esecutiva e alla relativa devoluzione al giudice ordinario. 9. - Venendo ai profili più strettamente di merito giova ripercorrere succintamente i fatti secondo una scansione diacronica. I beni immobili oggetto dell'ordinanza di sgombero sono stati acquisiti al patrimonio indisponibile dello Stato, in virtù della confisca disposta dalla sentenza n. -OMISSIS-del Tribunale di Napoli, Quarta Sezione penale, depositata in data 28 dicembre 201-OMISSIS-parzialmente riformata con sentenza n. -OMISSIS-emessa in data 31 dicembre 2018 dalla Corte di Appello di Napoli, Sesta Sezione penale, corretta con ordinanza emessa dalla medesima sezione della Corte di Appello in data 11 gennaio 2019 e divenuta irrevocabile a far data dal 14 novembre 2019 a seguito di sentenza della Suprema Corte di Cassazione, Sezione V, n. 3368/2019. La fattispecie acquisitiva in esame, costituita da un provvedimento di confisca di prevenzione, integra un modo di acquisto a titolo originario che estingue e travolge qualsiasi posizione, reale o obbligatoria, come disposto dagli artt. 45 e 52 d.lgs. n. 159/2011 (art. 45: "A seguito della confisca definitiva di prevenzione i beni sono acquisiti al patrimonio dello Stato liberi da oneri e pesi"; art. 52: "la confisca definitiva di un bene determina lo scioglimento dei contratti aventi ad oggetto un diritto personale di godimento o un diritto reale di garanzia, nonché l'estinzione dei diritti reali di godimento sui beni stessi"), salva la tutela dei diritti dei terzi nelle forme previste dal titolo IV del codice antimafia, subordinata comunque all'anteriorità del titolo. Nel caso venuto in esame, l'appellante, a dispetto delle allegazioni svolte, non comprova la titolarità di titoli di proprietà piena opponibili all'Amministrazione e, segnatamente: a) il contratto di compravendita versato in atti, stipulato tra -OMISSIS- il giorno 18 gennaio 2001, è stato confezionato in forma di scrittura privata non autenticata, né trascritta nei registri immobiliari di tal ché non costituisce titolo opponibile erga omnes dispiegando efficacia solo inter partes; b) la fattispecie acquisitiva a titolo originario in forza di usucapione ordinaria resta allo stato di mera allegazione sguarnita di supporto probatorio, essendo tuttora in corso i riferiti giudizi civili volti al relativo accertamento. A tutto concedere, nell'esercizio della cognizione incidentale accordata al Collegio ex art. 8 cod. proc. amm. non si ravvisano neanche i presupposti per la maturazione dell'usucapione ordinaria ex art. 1158 cod. civ. giacché, assumendo come dies a quo di immissione nel possesso il 18 gennaio 2001, non consta il decorso del ventennio di possesso pacifico e non clandestino, interrotto dalla sopravvenienza del provvedimento di confisca, adottata nel 2016 e divenuta irrevocabile nel 2019; c) quanto infine al provvedimento di assegnazione giudiziale dell'immobile a titolo di casa familiare alla coniuge affidataria dei tre figli preme soggiungere che il documento versato in atti è un mero decreto di omologa non accompagnato dal verbale di udienza e dalle note depositate nel relativo giudizio per la definizione delle condizioni della separazione, indi non è chiaramente evincibile l'assegnazione dell'immobile a titolo di casa familiare, perplessità ulteriormente avvalorata dal tenore testuale del decreto di omologa che fa riferimento alla mera "cessione delle rendite immobiliari indicate nell'allegato accordo". A ciò si aggiunga che l'omologa decretata dal giudice delegato dal Presidente del Tribunale di Napoli Nord risale al 25 novembre 2021, dunque in data ampiamente successiva all'irrevocabilità della confisca di prevenzione intervenuta a far data dal 14 novembre 2019, in più non risulta trascritta ai fini dell'opponibilità a terzi, come invece prescritto dall'art. 337-sexies cod. civ. che richiama il regime di pubblicità immobiliare di cui all'art. 2643 cod. civ.. Tale notazione riveste valenza assorbente e consente di prescindere da ogni digressione sul delicato bilanciamento tra effetti della confisca di prevenzione e tutela del diritto all'abitazione, pur non sottacendo per incidens la condivisibilità delle argomentazioni di merito svolte sul punto dal primo giudice. 10. - Tutto ciò considerato, l'appello deve essere conclusivamente respinto. 11. - Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante alla rifusione in favore dell'Agenzia resistente delle spese di lite, che si liquidano nell'importo di euro 3.000,00 (tremila/00) oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 19-OMISSIS-e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 201-OMISSIS-a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la persona dell'appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Giovanni Pescatore - Consigliere Nicola D'Angelo - Consigliere Luca Di Raimondo - Consigliere Angelo Roberto Cerroni - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), promosso dalla Regione autonoma Sardegna con ricorso notificato il 27 febbraio 2023, depositato in cancelleria il 28 febbraio 2023, iscritto al n. 9 del registro ricorsi 2023 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2023. Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell’udienza pubblica del 19 marzo 2024 il Giudice relatore Angelo Buscema; uditi gli avvocati Massimo Luciani e Sonia Sau per la Regione autonoma Sardegna e l’avvocato dello Stato Giammario Rocchitta per il Presidente del Consiglio dei ministri; deliberato nella camera di consiglio del 19 marzo 2024. Ritenuto in fatto 1.– Con ricorso iscritto al n. 9 del registro ricorsi 2023 la Regione autonoma Sardegna ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), nella parte in cui non riconosce, nel triennio 2023-2025, alla stessa Regione autonoma Sardegna adeguate risorse per garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per il territorio regionale, per violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione, del principio di «leale collaborazione» ex artt. 5 e 117 Cost., degli artt. 81, 116, 117, terzo comma, 119 e 136 Cost.; degli artt. 3, 7 e 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), anche in relazione all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) e all’art. 1, comma 837, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)». L’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022 violerebbe altresì gli artt. 3 e 23 Cost. e il principio di legalità, in uno con quello di ragionevolezza. La ricorrente ritiene altresì costituzionalmente illegittimo l’art. 1, comma 496, della legge n. 197 del 2022 – nella parte in cui non prevede che le modalità e i criteri per l’utilizzo del fondo di cui al comma 494 siano stabilite «previa intesa con le Regioni interessate» o, in via del tutto subordinata, «sentite le Regioni interessate» – per violazione del principio di leale collaborazione ex artt. 5 e 117 Cost.; dell’art. 117, terzo comma, Cost., degli artt. 3, 7 e 8 dello statuto speciale, anche in relazione all’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006. 2.– Assume la difesa regionale che l’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022, anzitutto, violerebbe l’art. 119 Cost., in quanto il legislatore statale avrebbe disatteso l’obbligo di approntare adeguate risorse per superare gli svantaggi derivanti dalla condizione d’insularità. Evidenzia che la revisione costituzionale apportata con la legge costituzionale 7 novembre 2022, n. 2 (Modifica all’articolo 119 della Costituzione, concernente il riconoscimento delle peculiarità delle Isole e il superamento degli svantaggi derivanti dall’insularità) avrebbe riconosciuto la peculiarità delle isole e l’obbligo per lo Stato di prevedere misure effettive per rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità, con la conseguenza che rimedi solo formali e apparenti determinerebbero la violazione dell’art. 119 Cost. Assume ancora la ricorrente che, tenuto conto della finalità solidaristica e perequativa dell’art. 119 Cost., tra gli enti che compongono la Repubblica non potrebbe che essere lo Stato ad assumere il compito di rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità, soprattutto nei confronti di una regione, come nel caso di specie, il cui territorio insulare coincide con quello regionale. Inoltre, lo stesso art. 119 Cost., al quinto comma, attribuirebbe allo Stato il compito – sostanzialmente analogo a quello previsto nel sesto comma – di destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni per promuoverne lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale; per tale motivo, non potrebbe che essere lo Stato il soggetto tenuto ad attivarsi per approntare le risorse necessarie a superare lo svantaggio derivante dall’insularità. L’illegittimità costituzionale dei commi 494 e 495 dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022 per violazione dell’art. 119 Cost. sarebbe desumibile da elementi sintomatici, quali: la differenza tra le somme stanziate dalla disposizione impugnata e il contributo di finanza pubblica imposto alla Regione autonoma Sardegna (differenza che costituirebbe elemento sintomatico dell’irragionevolezza e dell’insufficienza dello stanziamento); l’aver stabilito l’entità delle risorse da destinare alla rimozione degli svantaggi dell’insularità senza una specifica istruttoria consensuale (o, quantomeno, partecipata). Inoltre, evidenzia la Regione che il legislatore statale, già con l’art. 27 della legge n. 42 del 2009, aveva stabilito che le regolazioni economico-finanziarie dei rapporti fra lo Stato e le regioni autonome dovessero contemplare anche l’impatto della condizione di insularità, mentre un’adeguata e complessiva stima dei relativi costi e del loro impatto sull’autonomia finanziaria della Regione autonoma Sardegna non sarebbe stata ancora effettuata, né sarebbe stato ancora emanato il dPCm di cui al comma 1-bis dell’art. 22 della legge n. 42 del 2009, come modificato dall’art. 15 del decreto-legge 10 settembre 2021, n. 121 (Disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale, per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali) convertito, con modificazioni, nella legge 9 novembre 2021, n. 156. Infine, l’accordo tra il Governo e la Regione autonoma Sardegna in materia di finanza pubblica del 14 dicembre 2021 avrebbe previsto, agli artt. 3 e 4, l’attribuzione alla Regione di un contributo, per gli anni 2021 e 2022, «a titolo di concorso alla compensazione degli svantaggi strutturali derivanti dalla condizione di insularità», insufficiente e destinato a essere integrato sulla scorta di quanto emerso dai lavori del tavolo tecnico istituito dal precedente accordo tra il Governo e la Regione autonoma Sardegna del 7 novembre 2019. Il rapporto tra l’esigua somma stanziata nei commi impugnati e quella attribuita sulla base dei predetti accordi confermerebbe che lo Stato si sarebbe sottratto dall’obbligo costituzionale di rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità di cui all’art. 119 Cost. 2.1.– L’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 violerebbe altresì il principio di leale collaborazione sancito dagli artt. 5 e 117 Cost., in quanto il contributo previsto dalle impugnate disposizioni sarebbe stato determinato dopo che lo Stato aveva interrotto i lavori del tavolo tecnico, sottraendosi a un’istruttoria consensuale, sostanzialmente respingendo ogni tentativo collaborativo della Regione. E del resto, le suddette disposizioni non richiamano alcun momento di confronto tra lo Stato e la Regione. 2.2.– Sarebbe violato anche il principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., attesa l’esiguità e l’inidoneità delle risorse previste a perseguire le finalità stabilite dallo stesso legislatore statale. La somma stanziata, pari a 5 milioni di euro per l’anno 2023 e a 15 milioni di euro a decorrere dal 2024 per le regioni insulari, non potrebbe essere utilmente impiegata in un’azione di sistema per compensare lo svantaggio derivante dall’insularità (anche solo per l’ambito del trasporto aereo), pur volendo sommare tali importi al contributo di 100 milioni di euro previsto dall’accordo tra il Governo e la Regione autonoma Sardegna in materia di finanza pubblica del 14 dicembre 2021. L’insufficienza degli stanziamenti si coglierebbe anche in ragione degli attuali costi per il finanziamento degli obblighi di servizio pubblico per il collegamento aereo, la cui stima finanziaria annua, secondo i calcoli dell’Assessorato ai trasporti della Regione autonoma Sardegna, indicherebbe un fabbisogno che oscilla tra i 170 e i 200 milioni di euro. In ogni caso, rimarrebbe inattuabile la finalità indicata dalla legge statale di «garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei […] da e per la Sardegna» a tutela della «mobilità dei cittadini residenti nel territorio […] della Sardegna» (sul punto viene richiamata la sentenza di questa Corte n. 6 del 2019). 2.3.– L’esiguità delle risorse previste dai commi 494 e 495 dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022 ridonderebbe nella lesione dell’autonomia finanziaria regionale, garantita dagli artt. 7 e 8 dello statuto speciale. La Regione subirebbe lo svantaggio derivante dall’insularità sia in termini di costi, sia in termini di minore gettito erariale provocato dalla depressione del reddito prodotto sul territorio regionale. 2.4.– L’insufficienza delle risorse stanziate dalle disposizioni impugnate comporterebbe anche l’irragionevole compressione della competenza legislativa concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. in materia di «coordinamento della finanza pubblica» e «grandi reti di trasporto e di navigazione». La difesa regionale lamenta un pregiudizio nell’esercizio della competenza legislativa nelle predette materie in conseguenza del mancato stanziamento delle risorse necessarie a far fronte agli svantaggi derivanti dalla condizione di insularità, che influirebbe direttamente sulle indicate materie. 2.5.– L’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 inciderebbe altresì negativamente sulla competenza legislativa primaria in materia di «turismo [e] industria alberghiera» ex art. 3, primo comma, lettera p), dello statuto speciale, direttamente incisa dagli interventi in materia di trasporto e continuità territoriale. 2.6.– L’art. 3 dello statuto della Regione autonoma Sardegna sarebbe violato dalle disposizioni impugnate anche in relazione all’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006 – il quale prevede che «[a]lla regione Sardegna sono trasferite le funzioni relative al trasporto pubblico locale (Ferrovie Sardegna e Ferrovie Meridionali Sarde) e le funzioni relative alla continuità territoriale»: in forza del cosiddetto “principio del parallelismo”, ex art. 6 dello statuto speciale, la devoluzione di competenze amministrative comporterebbe anche la correlata competenza legislativa (sul punto è richiamata la sentenza di questa Corte n. 51 del 2006). 2.7.– Per lo stesso motivo, i predetti commi 494 e 495 dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022 violerebbero l’art. 116 Cost., avendo determinato lo svilimento della sfera di autonomia costituzionalmente riconosciuta alle regioni a statuto speciale. 2.8.– Le disposizioni indicate si porrebbero in contrasto con gli artt. 81 e 136 Cost., anche in riferimento al principio di leale collaborazione ex artt. 5 e 117 Cost. In particolare, sarebbe violato l’art. 81 Cost., in quanto il legislatore statale si sarebbe sottratto all’obbligo di disporre a un prioritario intervento finanziario in ossequio al principio di equilibrio dinamico di bilancio (è richiamata sul punto ancora la sentenza n. 6 del 2019). Le medesime disposizioni avrebbero poi sostanzialmente protratto l’efficacia di una norma già dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 6 del 2019 (sono citate le sentenze di questa Corte n. 215 del 2021 e n. 252 del 2017), ponendosi così in contrasto con l’art. 136 Cost. Gli impugnati commi 494 e 495 violerebbero, infine, il principio di leale collaborazione per essersi il legislatore statale discostato dal punto di equilibrio negli interessi e nelle attribuzioni costituzionali delle parti elaborato dalla giurisprudenza costituzionale. 3.– La ricorrente lamenta inoltre la violazione dell’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022 in riferimento agli artt. 3 e 23 Cost. per lesione del principio di legalità, in uno con quello di ragionevolezza. In primo luogo, sarebbero state parificate situazioni e circostanze oggettivamente diverse, senza offrire alcun criterio ragionevole e proporzionato per il distinto trattamento delle due Regioni insulari, le quali rappresenterebbero realtà differenti quanto a estensione territoriale, popolazione e distanza dalle aree più sviluppate del Paese, presentando caratteristiche geografiche, economiche, demografiche e sociali del tutto specifiche. Inoltre, il legislatore statale avrebbe stanziato il fondo senza delimitare adeguatamente la discrezionalità dell’amministrazione ai fini del riparto del finanziamento tra le due circoscrizioni regionali. Sotto questo profilo, la ricorrente richiama l’orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui la riserva di legge contenuta nell’art. 23 Cost. avrebbe carattere “relativo”, cosicché la legge non potrebbe limitarsi a conferire un potere regolativo attraverso una “norma in bianco”, dovendo invece individuare «sufficienti criteri direttivi e traccia[re] le linee generali della disciplina» (è citata la sentenza di questa Corte n. 269 del 2017). Non sarebbe dunque sufficiente che il legislatore individui la finalità del contributo tramite «un principio-valore, senza una precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell’azione amministrativa» (è richiamata ancora la sentenza n. 269 del 2017). L’impiego del contributo previsto dalle disposizioni in esame sarebbe, ad avviso della ricorrente, sostanzialmente rimesso all’arbitrio del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, che dovrebbe rispettare un solo limite: impiegarlo per il trasporto aereo da e per la Sardegna e da e per la Sicilia. 4.– La ricorrente lamenta, infine, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 496, della legge n. 197 del 2022 per violazione del principio di leale collaborazione ex artt. 5 e 117 Cost., e degli artt. 117, terzo comma, Cost., 3, 7 e 8 dello statuto speciale, anche in relazione all’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006. 4.1.– Tale disposizione attribuisce al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, la competenza a stabilire modalità e criteri per l’utilizzo del fondo introdotto dal comma 494 impugnato, prevedendo che tale competenza sia esercitata, lamenta la ricorrente, senza alcuna forma di suo coinvolgimento, né delle regioni interessate, estromettendole dal relativo processo decisionale. In tal modo il comma 496 si porrebbe in contrasto con il principio di leale collaborazione ex artt. 5 e 117 Cost. 4.2.– L’impugnato comma 496, intersecherebbe, anzitutto, la competenza legislativa concorrente della Regione autonoma Sardegna nelle materie «coordinamento della finanza pubblica», «grandi reti di trasporto e di navigazione» e «porti e aeroporti civili», violando l’art. 117, terzo comma, Cost., applicabile alla Regione ricorrente ex art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). 4.3.– La stessa disposizione impatterebbe, altresì, sull’autonomia finanziaria regionale, garantita dagli artt. 7 e 8 dello statuto speciale, e su competenze primarie direttamente incise dalla disciplina del servizio di trasporto aereo, come quelle in materia di «turismo [e] industria alberghiera» (art. 3, primo comma, lettera p, dello statuto di autonomia), nonché sulla competenza amministrativa attribuita dallo Stato alla Regione con l’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006 nella materia «continuità territoriale», che, in virtù dell’art. 6 dello statuto speciale, comporterebbe anche la titolarità della correlata competenza legislativa. Si sarebbe dunque in presenza di una concorrenza di competenze statali e regionali per cui dovrebbero essere garantite adeguate forme di coinvolgimento a salvaguardia delle competenze regionali incise. Il coinvolgimento della Regione sarebbe necessario anche ove si ammettesse che la disciplina in esame trovi giustificazione nell’attrazione in sussidiarietà, ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost. Anche nella suddetta ipotesi, il legislatore statale non avrebbe potuto sottrarsi all’obbligo di coinvolgere la Regione autonoma Sardegna, nella forma dell’intesa, e nel rispetto del principio di leale collaborazione, soprattutto in considerazione del fatto che criteri e modalità di ripartizione del fondo sono demandate a un decreto ministeriale. In via subordinata, ove si ritenesse non necessaria la previsione dell’intesa, il coinvolgimento delle regioni interessate dovrebbe essere garantito almeno nella forma del parere. 5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate. Premette l’Avvocatura che la condizione di insularità sarebbe stata affrontata nell’ambito del tavolo tecnico istituito in attuazione degli accordi in materia di finanza pubblica del 7 novembre 2019 e del 14 dicembre 2021, prendendo in considerazione sia il ritardo della dotazione infrastrutturale, sia la compensazione degli extra costi permanenti sostenuti dai cittadini sardi e dalle imprese, a causa della discontinuità territoriale della Regione. Per il finanziamento delle infrastrutture necessarie ad attutire il divario infrastrutturale era istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, il Fondo perequativo infrastrutturale, con una dotazione complessiva di 4,6 miliardi di euro per gli anni dal 2022 al 2033 (100 milioni di euro per il 2022, 300 milioni di euro per ciascun anno dal 2023 al 2027, 500 milioni di euro per ciascun anno dal 2028 al 2033). Oltre al Fondo perequativo infrastrutturale sarebbero stati predisposti anche altri strumenti finanziari in aggiunta alle risorse ordinariamente stanziate nel bilancio dello Stato: il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il Piano nazionale complementare, il Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC), i fondi strutturali europei (in particolare, il Fondo europeo di sviluppo regionale). Gli interventi previsti dall’art. 1, commi da 494 a 496, della legge n. 197 del 2022, oggetto di impugnativa, avrebbero previsto un contributo aggiuntivo facente parte di un insieme di azioni finalizzate alla perequazione infrastrutturale. La difesa statale osserva inoltre, in relazione al quantum dello stanziamento, che l’intervento normativo in oggetto riguarderebbe il solo settore del trasporto aereo, cosicché la valutazione di adeguatezza dovrebbe essere riferita alla specifica finalità del fondo e tenendo conto dell’intero ammontare dei trasferimenti a sostegno dell’isola. Peraltro, con riguardo allo specifico settore del trasporto aereo, i fondi di cui all’impugnato comma 494 non costituirebbero le uniche risorse statali trasferite alla Regione, in quanto il legislatore statale avrebbe previsto, in varie occasioni, diversi finanziamenti per gli oneri di servizio pubblico sardi. Con il decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185 (Misure urgenti per interventi nel territorio), convertito, con modificazioni, in legge 22 gennaio 2016, n. 9, è stato previsto, all’art. 10, uno stanziamento di 30 milioni di euro per il 2015 al fine di garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei e, con la delibera CIPE n. 54 del 1° dicembre 2016, sono state destinate alla Regione risorse pari a 90 milioni di euro per sostenere gli oneri del servizio pubblico sulle rotte sarde. Inoltre, il legislatore statale, nel prevedere il trasferimento in capo alla Regione delle funzioni relative alla continuità territoriale, avrebbe stabilito con l’art. 1, comma 840, della legge n. 296 del 2006, che i relativi oneri sarebbero posti a carico dello Stato per gli anni 2007, 2008 e 2009, e solo a partire dall’annualità 2010 a carico della Regione. Quanto evidenziato consentirebbe di superare le censure di illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate sotto i diversi profili dedotti dalla ricorrente, per non aver considerato la parzialità dell’intervento ivi previsto. La difesa statale ritiene inoltre inconferente il richiamo alla sentenza di questa Corte n. 6 del 2019, in quanto la fattispecie ivi esaminata era diversa da quella odierna. Quanto, infine, alle censure di illegittimità costituzionale del comma 496 per violazione del principio di leale collaborazione, l’Avvocatura generale osserva che, nell’approntare lo schema del decreto di ripartizione delle risorse, sarebbero state sentite le regioni interessate e, pertanto, la violazione del principio di leale collaborazione non sarebbe ravvisabile. La partecipazione delle regioni nel procedimento relativo all’emanazione del decreto attuativo consentirebbe di superare anche le censure di irragionevolezza della disciplina in relazione alla mancata individuazione dei criteri per differenziare le destinatarie del contributo. 6.– L’associazione “per l’Insularità” ha depositato, in qualità di amicus curiae, opinione scritta – ammessa con decreto presidenziale del 13 febbraio 2024 – nella quale è stata evidenziata la necessità che lo Stato destini risorse adeguate per garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per le Regioni insulari e che le modalità e i criteri per l’utilizzo del fondo di cui al comma 494 siano stabilite «previa intesa con le Regioni interessate» o in via del tutto subordinata «sentite le Regioni interessate». L’associazione ricalca gli argomenti della ricorrente e sollecita la Corte a sollevare dinanzi a sé la questione di legittimità costituzionale dell’art. l, commi 806 e 807, della legge n. 197 del 2022 – nella parte in cui, nell’istituire il «[f]ondo nazionale per il contrasto degli svantaggi derivanti dall’insularità» (art. 1, comma 806), non riconosce alla Regione Siciliana, come alla Regione autonoma Sardegna, adeguate risorse per garantire l’avvio della rimozione degli svantaggi derivanti dell’insularità (art. 119, sesto comma, Cost.) – e dell’art. 11 della legge n. 197 del 2022, e della relativa Tabella A), in parte qua, per violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. e degli artt. 81, 117, primo comma, e 119, sesto comma, Cost., in relazione al principio di coesione di cui agli artt. 174, 175 e 349 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nonché degli artt. 14, 17, 36 e 38 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello lo statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2. 7.– Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la ricorrente ha ribadito le conclusioni già rassegnate e ha replicato alle argomentazioni della parte resistente. La difesa regionale ha fatto presente che, nelle more del giudizio, è intervenuto l’art. 7-quater, comma 1, della legge 27 novembre 2023, n. 170 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 settembre 2023, n. 132), il quale prevede che «[i]l fondo di cui all’articolo 1, comma 494, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, è rifinanziato nella misura di 8 milioni di euro per l’anno 2023». Ha poi precisato che, con decreto del 26 settembre 2023, n. 241 del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono stati stabiliti le modalità e i criteri di utilizzo del fondo di cui all’art. 1, commi 494, 495 e 496 della legge n. 197 del 2022, e che nell’adozione di detto decreto sono state sentite le Regioni interessate. La stessa difesa ritiene, tuttavia, che il fatto che vi sia stata una prassi virtuosa di interlocuzione tra le parti non sanerebbe il vizio delle disposizioni impugnate, al quale si potrebbe porre rimedio solo con una sentenza “additiva di meccanismo”, atta a ricondurre l’impiego del fondo sui binari del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni. Ad avviso della Regione, inoltre, la previsione del fondo non costituirebbe esecuzione degli accordi bilaterali Stato-Regione autonoma Sardegna in merito al superamento degli svantaggi relativi all’insularità (ai sensi dell’art. 1, comma 867, della legge n. 160 del 2019), né rappresenterebbe uno strumento di attuazione del novellato art. 119 Cost. La ricorrente ha infine evidenziato, con riferimento alla delibera CIPE n. 54 del 2016 relativa ai FSC 2014-2020, che le risorse stanziate non coprirebbero l’intero fabbisogno della continuità territoriale aerea. Tale delibera avrebbe ad oggetto solamente gli oneri del servizio pubblico dei vettori del settore aereo, e comunque il riparto del FSC non potrebbe rappresentare uno strumento normativo idoneo a dare attuazione all’art. 119 Cost., in quanto difetterebbe di una precisa previsione di legge che renda obbligatoria tale linea d’intervento e che imponga al CIPE di stanziare risorse adeguate. Considerato in diritto 1.– Con il ricorso indicato in epigrafe la Regione autonoma Sardegna ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022, in riferimento a plurimi parametri costituzionali, suddividendole in tre gruppi. Il comma 494 stabilisce che: «[i]n attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, al fine di riconoscere le peculiarità delle isole e promuovere le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità, è istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un fondo per garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per la Sicilia e da e per la Sardegna, con una dotazione di 5 milioni di euro per l’anno 2023 e di 15 milioni di euro a decorrere dall’anno 2024». Il comma 495 stabilisce che: «[i]l fondo di cui al comma 494 è destinato al finanziamento di interventi per la mobilità dei cittadini residenti nel territorio della Sicilia e della Sardegna». Il comma 496 prevede che: «[c]on decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono stabiliti le modalità e i criteri per l’utilizzo del fondo di cui al comma 494». 1.1.– Il primo gruppo di censure riguarda l’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 ai sensi dei quali, ad avviso della ricorrente, per il triennio 2023-2025, non sarebbero riconosciute alla Regione autonoma Sardegna adeguate risorse per garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per la Sardegna, così determinando la violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., del principio di «leale collaborazione» ex artt. 5 e 117 Cost., degli artt. 81, 116, 117, terzo comma, 119 e 136 Cost., nonché degli artt. 3, 7 e 8 dello statuto speciale, anche in relazione all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e all’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006. 1.2.– Il secondo gruppo di censure riguarda l’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022 per violazione degli artt. 3 e 23 Cost., con riguardo ai principi di legalità e di ragionevolezza. 1.3.– Il terzo gruppo di censure è rivolto all’art. 1, comma 496, della medesima legge, nella parte in cui non prevede che le modalità e i criteri per l’utilizzo del fondo siano stabiliti «previa intesa con le Regioni interessate» o, in via subordinata, «sentite le Regioni interessate», violando in tal modo il principio di «leale collaborazione» di cui agli artt. 5 e 117 Cost.; l’art. 117, terzo comma, Cost., nonché gli artt. 3, 7 e 8 dello statuto speciale, anche in relazione all’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006. Prima di procedere all’esame delle singole censure occorre precisare che la ricorrente non chiede la caducazione delle disposizioni impugnate bensì invoca una pronuncia additiva, che imponga al legislatore statale di riconoscere alla Regione adeguate risorse per garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per la Sardegna e di prevedere il suo coinvolgimento al fine di stabilire i criteri di ripartizione delle risorse. 2.– L’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 violerebbe anzitutto l’art. 119 Cost., in quanto il legislatore statale avrebbe disatteso l’obbligo di approntare risorse adeguate per superare gli svantaggi derivanti dalla condizione d’insularità. La ricorrente sostiene che l’illegittimità costituzionale dei predetti commi per violazione dell’art. 119 Cost. sarebbe desumibile da elementi sintomatici, quali la differenza tra le somme stanziate dalle disposizioni impugnate e il contributo di finanza pubblica imposto alla Regione autonoma della Sardegna nonché la determinazione dell’ammontare del contributo senza una specifica istruttoria, consensuale o partecipata, volta a stabilire l’entità delle risorse necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità. 2.1.– La ricorrente afferma, altresì, che l’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 violerebbe il principio di leale collaborazione sancito dagli artt. 5 e 117 Cost. in quanto il contributo ivi previsto sarebbe stato determinato senza alcuna forma di coinvolgimento delle regioni interessate. 2.2.– Le disposizioni in esame violerebbero anche il principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. in quanto l’esiguità del contributo e la sua conseguente inidoneità, rispetto alle effettive necessità per sostenere il sistema economico-sociale sardo, si tradurrebbero nella non ragionevolezza della stessa normativa. Tale vizio si coglierebbe anche in forza della contraddittorietà tra gli stanziamenti e la specifica finalità indicata dalla legge di «garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei […] da e per la Sardegna» a tutela della «mobilità dei cittadini residenti nel territorio». 2.3.– L’esiguità delle risorse approntate dalle disposizioni impugnate ridonderebbe altresì sull’autonomia finanziaria regionale, garantita dagli artt. 7 e 8 dello statuto speciale, in quanto la Regione subirebbe gli effetti negativi relativi agli svantaggi derivanti dall’insularità, sia in termini di costi sopportati per sopperire a tali svantaggi, sia in termini di minore gettito erariale derivante dagli effetti di depressione del reddito prodotto sul territorio regionale, che comporterebbero una minore compartecipazione alle entrate erariali. 2.4.– L’insufficienza delle risorse stanziate dalle predette disposizioni comporterebbe anche una non ragionevole compressione della competenza legislativa concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica» e «grandi reti di trasporto e di navigazione» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. La Regione lamenta un pregiudizio nell’esercizio della competenza legislativa nelle predette materie derivante dal fatto che lo Stato non avrebbe provveduto a stanziare le risorse necessarie a far fronte agli svantaggi conseguenti alla condizione di insularità. 2.5.– L’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 inciderebbe altresì sulla competenza legislativa primaria nella materia «turismo e industria alberghiera» di cui all’art. 3, primo comma, lettera p), dello statuto speciale. Le disposizioni impugnate inciderebbero inoltre sulla competenza amministrativa attribuita alla Regione dall’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006 nella materia «continuità territoriale» e sulla relativa potestà legislativa regionale in forza del cosiddetto “principio del parallelismo” di cui all’art. 6 dello statuto speciale. 2.6.– Sarebbe violato anche l’art. 116 Cost., in quanto la normativa in esame determinerebbe uno svilimento della sfera di autonomia costituzionale riconosciuta alla Regione dallo statuto speciale. 2.7.– L’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 violerebbe, altresì, gli artt. 81 e 136 Cost., anche in riferimento al principio di leale collaborazione ex artt. 5 e 117 Cost. Quanto all’art. 81 Cost., il precetto costituzionale sarebbe violato perché il legislatore statale si sarebbe sottratto all’obbligo di disporre un prioritario intervento finanziario in ossequio al principio di equilibrio dinamico di bilancio. Con riferimento all’art. 136 Cost., la Regione lamenta il mancato adempimento di quanto stabilito nella sentenza di questa Corte n. 6 del 2019 con la quale era stato imposto allo Stato di procedere a una ragionevole e proporzionata quantificazione degli oneri derivanti dallo svantaggio per il regime di insularità al fine di dare sollecita applicazione alle disposizioni statutarie e costituzionali che garantiscono l’autonomia della ricorrente. Le disposizioni in esame determinerebbero la violazione del giudicato costituzionale, avendo sostanzialmente protratto l’efficacia di una norma già dichiarata costituzionalmente illegittima. 3.– La Regione autonoma Sardegna ha impugnato inoltre l’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022, per violazione degli artt. 3 e 23 Cost. con riguardo ai principi di ragionevolezza e legalità. Asserisce la ricorrente che, in primo luogo, con i commi impugnati sarebbero state parificate situazioni e circostanze oggettivamente diverse senza offrire alcun criterio ragionevole e proporzionato per il distinto trattamento delle due Regioni insulari, le quali rappresenterebbero realtà differenti quanto all’estensione territoriale, alla popolazione e alla distanza dalle aree più sviluppate del Paese e presenterebbero caratteristiche geografiche, economiche, demografiche e sociali del tutto specifiche. Inoltre, il legislatore statale, con le disposizioni impugnate, non avrebbe delimitato adeguatamente la discrezionalità dell’amministrazione circa il riparto del finanziamento tra le due circoscrizioni regionali. Su questo specifico aspetto la ricorrente richiama la giurisprudenza costituzionale secondo cui la riserva di legge ex art. 23 Cost. avrebbe carattere “relativo” e la legge non potrebbe limitarsi a conferire un potere regolativo attraverso una “norma in bianco”, dovendo invece individuare sufficienti criteri direttivi e tracciare le linee generali della disciplina (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 269 del 2017). 4.– La Regione autonoma Sardegna ha impugnato infine l’art. 1, comma 496, della legge n. 197 del 2022 per violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 117, terzo comma, Cost. nonché degli artt. 3, 7 e 8 dello statuto speciale anche in relazione all’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006. 4.1.– L’art. 1, comma 496, attribuisce al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e della finanze, la competenza a stabilire modalità e criteri per l’utilizzo del fondo introdotto dal comma 494, prevedendo che tale competenza sia esercitata senza alcuna forma di coinvolgimento delle regioni interessate ed estromettendo quindi la Regione ricorrente dal relativo processo decisionale in violazione del principio di leale collaborazione ex artt. 5 e 117 Cost. 4.2.– Il comma 496, inoltre, omettendo di fornire qualsiasi indicazione sulla ripartizione delle somme tra la Regione Siciliana e la Regione autonoma Sardegna e sulle modalità del loro impiego intersecherebbe la competenza legislativa concorrente della ricorrente nelle materie «coordinamento della finanza pubblica», «grandi reti di trasporto e di navigazione» e «porti e aeroporti civili», tutte presidiate dall’art. 117, terzo comma, Cost., applicabile alla medesima Regione ai sensi dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. 4.3.– La disposizione impugnata violerebbe, altresì, l’autonomia finanziaria regionale, garantita dagli artt. 7 e 8 dello statuto speciale. Sostiene la difesa regionale, con riguardo alle risorse stanziate ai sensi del novellato art. 119 Cost., che gli squilibri dovuti alla condizione d’insularità dovrebbero essere tenuti in debito conto nella determinazione degli spazi finanziari da riconoscere alla Regione nell’ambito delle regolazioni economico-finanziarie con lo Stato, con il coinvolgimento dell’ente territoriale. 4.4.– Da ultimo, la Regione autonoma Sardegna afferma che la disposizione in esame violerebbe la propria competenza legislativa nella materia «turismo [e] industria alberghiera» (art. 3, primo comma, lettera p, dello statuto di autonomia), direttamente incisa dalla disciplina del servizio di trasporto aereo, e quella nella materia «continuità territoriale» attribuita alla Regione autonoma Sardegna dall’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006, per effetto del principio del parallelismo sancito dall’art. 6 dello statuto speciale. 5.– In via preliminare occorre valutare l’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale alla luce della giurisprudenza di questa Corte. 5.1.– La censura promossa nei confronti dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 in riferimento all’art. 119 Cost., anche in relazione all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, è inammissibile per insufficiente motivazione. La Regione si limita ad affermare genericamente che il legislatore statale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 42 del 2009, avrebbe dovuto contemplare l’impatto della propria condizione insulare oltre che quella della Regione Siciliana mentre lo Stato si sarebbe sottratto «arbitrariamente agli obblighi derivanti dall’art. 119 Cost.», in quanto una stima complessiva dei costi e dei loro effetti sull’autonomia finanziaria della ricorrente non sarebbe stata ancora effettuata e le risorse stanziate dalle disposizioni impugnate non sarebbero sufficienti né adeguate. La ricorrente, tuttavia, non fornisce una compiuta dimostrazione del pregiudizio patito. In particolare, non considera il complesso dei contributi e dei finanziamenti disposti dalla legislazione statale per rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità e neppure tiene conto che il fondo e le risorse di cui ai commi 494 e 495 sono destinati unicamente al finanziamento di interventi per la mobilità aerea dei cittadini residenti nel territorio siciliano e sardo. Questa Corte è costante nel ritenere che sul ricorrente grava l’onere di provare l’irreparabile pregiudizio lamentato ritenendo quindi inammissibili le questioni di legittimità costituzionale in cui si denunci la violazione dell’autonomia finanziaria e i principi contenuti nell’art. 119 Cost. a causa dell’inadeguatezza delle risorse a disposizione delle regioni, senza puntuali riferimenti a dati più analitici relativi alle entrate e alle uscite (in tal senso, sentenze n. 63 del 2024, n. 83 del 2019 e n. 5 del 2018). La genericità e l’insufficienza della motivazione circa l’asserito contrasto delle disposizioni impugnate con i parametri evocati comporta, per costante orientamento di questa Corte, l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale (ex multis, sentenza n. 171 del 2021). 5.2.– Anche la censura promossa nei confronti dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 in riferimento al principio di ragionevolezza sancito dall’art. 3 Cost. si palesa inammissibile per carente ricostruzione del quadro normativo (sentenza n. 84 del 2022). La Regione, difatti, nel lamentare l’irragionevolezza delle disposizioni impugnate non fornisce una completa ricostruzione del complessivo quadro normativo di riferimento, in particolare, come evidenziato dalla difesa statale, non considera che, per il recupero del divario infrastrutturale tra le diverse aree geografiche del territorio nazionale, determinato anche dall’insularità, sono previste, oltre a quelle attribuite dalle disposizioni impugnate, ulteriori risorse quali, tra le altre, quelle stanziate nel Fondo perequativo infrastrutturale, nel Piano nazionale complementare, nel Fondo per lo sviluppo e la coesione, nei Fondi strutturali europei e nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Alla luce dell’esigenza – più volte ribadita da questa Corte (tra le altre, sentenze n. n. 83 del 2019 e n. 205 del 2016) – di non considerare gli interventi legislativi che incidono sull’assetto finanziario degli enti territoriali in maniera atomistica, ma nel contesto delle altre disposizioni di carattere finanziario, la lacunosa ricostruzione del composito quadro normativo e del complesso dei contributi e finanziamenti previsti dalla normativa statale determina l’inammissibilità della questione (ex multis, sentenza n. 63 del 2024). 5.3.– Anche le questioni di legittimità costituzionale promosse nei confronti dei commi 494, 495 e 496 dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. e agli artt. 3, primo comma, lettera p), 7 e 8 dello statuto speciale, anche in relazione all’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006, sono inammissibili per carenza di motivazione. La Regione non motiva in alcun modo la lesione dei parametri costituzionali evocati limitandosi ad affermare in modo generico e assertivo che le disposizioni in esame violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost. per irragionevole compressione della competenza legislativa concorrente nelle materie «coordinamento della finanza pubblica» e «grandi reti di trasporto e di navigazione», nonché della sfera di autonomia regionale garantita dagli artt. 7 e 8 dello statuto speciale e della competenza legislativa primaria nella materia «turismo [e] industria alberghiera» di cui all’art. 3, primo comma, lettera p), dello statuto di autonomia, altresì per violazione delle competenze nella materia «continuità territoriale» attribuite alla Regione dall’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006 e dall’art. 6 dello statuto speciale. In conseguenza della genericità e insufficiente motivazione circa l’asserito contrasto delle disposizioni impugnate con i parametri evocati, anche queste censure, alla luce della già richiamata giurisprudenza costituzionale, sono inammissibili (sentenze n. 68 del 2024 e n. 217 del 2022). 5.4.– Considerazioni analoghe valgono per la censura promossa nei confronti dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022, in riferimento all’art. 116 Cost., per violazione della sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle regioni a statuto speciale. Anche con riguardo a questa censura la ricorrente si limita ad affermare che le disposizioni impugnate violerebbero la propria sfera di autonomia, senza tuttavia fornire adeguata motivazione e soprattutto senza spiegare in che modo l’attribuzione delle risorse prevista dalle disposizioni impugnate possa inficiare l’autonomia della Regione a statuto speciale. La genericità e insufficienza della motivazione sull’asserita violazione del parametro costituzionale evocato determina l’inammissibilità della censura. 5.5.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 promossa in riferimento all’art. 81 Cost. con riguardo al principio di equilibrio del bilancio è anch’essa inammissibile. La Regione si limita ad affermare che il legislatore statale si sarebbe «sottratto all’obbligo di disporre un prioritario intervento finanziario in ossequio al principio di equilibrio dinamico di bilancio», senza chiarire in che modo le risorse attribuite dalle disposizioni impugnate possano determinare la violazione dell’evocato parametro costituzionale. La censura non raggiunge la «soglia minima di chiarezza e di completezza» e pertanto deve essere dichiarata inammissibile (ex plurimis, sentenze n. 123 del 2022, n. 176, n. 95, n. 52 e n. 42 del 2021; nello stesso senso, sentenza n. 125 del 2023). 6.– Ciò posto, nel procedere ad esaminare il merito delle restanti censure, questa Corte, avvalendosi della facoltà di decidere l’ordine delle questioni di legittimità costituzionale da affrontare (sentenze n. 120 del 2022, n. 260 del 2021, n. 246 del 2020 e n. 258 del 2019), ritiene di valutare primariamente quella promossa nei confronti dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 in riferimento all’art. 136 Cost., per violazione del giudicato costituzionale formatosi nella sentenza n. 6 del 2019. Tale censura, infatti, «riveste carattere di priorità logica rispetto alle altre» in quanto «attiene all’esercizio stesso del potere legislativo, che sarebbe inibito dal precetto costituzionale di cui si assume la violazione» (sentenze n. 245 del 2012 e n. 350 del 2010). Nel merito la questione di legittimità costituzionale non è fondata. Sin da epoca risalente, la giurisprudenza costituzionale non ha mancato di sottolineare il significato della norma contenuta nell’art. 136 Cost., sulla quale poggia il sistema delle garanzie costituzionali in quanto toglie immediatamente efficacia alla norma costituzionalmente illegittima (ex plurimis, sentenza n. 57 del 2019). Nel chiarire la portata dell’art. 136, primo comma, Cost., questa Corte ha affermato che la violazione del giudicato costituzionale sussiste non solo laddove il legislatore intenda direttamente ripristinare o preservare l’efficacia di una norma già dichiarata costituzionalmente illegittima, ma ogniqualvolta una disposizione di legge intenda mantenere in vita o ripristinare, sia pure indirettamente, gli effetti della struttura normativa che aveva formato oggetto della pronuncia di illegittimità costituzionale. Pertanto, il giudicato costituzionale è violato non solo quando è adottata una disposizione che costituisce una mera riproduzione di quella già ritenuta lesiva della Costituzione, ma anche quando la nuova disciplina mira a perseguire e raggiungere, anche se indirettamente, esiti corrispondenti (ex multis, sentenza n. 256 del 2020). Difatti, l’efficacia preclusiva, nei confronti del legislatore, del giudicato costituzionale riguarda ogni disposizione che intenda mantenere in piedi o ripristinare, sia pure indirettamente, gli effetti di quella struttura normativa che aveva formato oggetto della pronuncia di illegittimità costituzionale, ovvero che ripristini o preservi l’efficacia di una norma già dichiarata costituzionalmente illegittima (sentenze n. 57 del 2019 e n. 5 del 2017). Nel caso deciso con la predetta sentenza n. 6 del 2019, l’art. 1, comma 851, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, nel triennio 2018-2020 e nelle more della definizione dell’accordo di finanza pubblica, non riconosceva alla Regione autonoma Sardegna adeguate risorse per consentire una fisiologica programmazione delle funzioni regionali. Con le disposizioni sottoposte al vaglio di costituzionalità nell’odierno giudizio, il legislatore statale ha invece previsto l’attribuzione di risorse destinate a un limitato intervento settoriale nel campo del trasporto aereo; intervento che peraltro si aggiunge ad altre misure (Fondo perequativo infrastrutturale, Piano nazionale complementare, Fondo per lo sviluppo e la coesione, Fondi strutturali europei, Piano nazionale di ripresa e resilienza) finalizzate alla rimozione degli svantaggi derivanti dall’insularità. Non vi è dunque una «mera riproduzione» della normativa dichiarata costituzionalmente illegittima e neppure la realizzazione, in modo indiretto, di esiti corrispondenti (ex multis sentenza n. 250 del 2017), e pertanto le disposizioni in esame non risultano lesive del giudicato costituzionale. 7.– Vanno ora prese in esame le questioni di legittimità costituzionale promosse nei confronti dei commi 494, 495 e 496 dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022 in riferimento agli artt. 5 e 117 Cost., con riguardo al principio di «leale collaborazione», e agli artt. 3, 7 e 8 dello statuto speciale, anche in relazione all’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006. Le questioni non sono fondate. La ricorrente ha impugnato le disposizioni in esame nella parte in cui non prevedono il coinvolgimento della Regione nella determinazione del quantum da attribuire e nella definizione dei criteri e delle modalità di erogazione del contributo. Questa Corte ha più volte affermato la necessità di applicare il principio di leale collaborazione nelle ipotesi in cui lo Stato preveda un finanziamento, con vincolo di destinazione, che incida su materie di competenza legislativa regionale residuale o concorrente. È stato altresì specificato che la necessità del parere o dell’intesa si ravvisa principalmente in due evenienze: in primo luogo, quando vi sia un intreccio (ovvero una interferenza o concorso) di competenze legislative che non permetta di individuare un «ambito materiale che possa considerarsi nettamente prevalente sugli altri» (sentenze n. 114 del 2022 e n. 71 del 2018; in senso analogo, sentenze n. n. 40 del 2022, n. 104 del 2021, n. 74 e n. 72 del 2019 e n. 185 del 2018); in secondo luogo, nei casi in cui la disciplina del finanziamento trovi giustificazione nella cosiddetta attrazione in sussidiarietà della stessa allo Stato, ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 123, n. 114 e n. 40 del 2022, n. 71 e n. 61 del 2018). Nelle predette ipotesi, ai fini della salvaguardia delle competenze regionali, la legge statale deve prevedere strumenti di coinvolgimento delle regioni nella fase di attuazione della normativa, nella forma dell’intesa o del parere, in particolare quanto alla determinazione dei criteri e delle modalità del riparto delle risorse destinate agli enti territoriali (da ultimo, sentenze n. 179, n. 123 e n. 114 del 2022). La ricorrente sostiene che le disposizioni in esame inciderebbero sulla competenza legislativa concorrente nelle materie «coordinamento della finanza pubblica», «grandi reti di trasporto e di navigazione» e «porti e aeroporti civili», oltre che sull’autonomia finanziaria regionale garantita dagli artt. 7 e 8 dello statuto speciale e sulle competenze primarie connesse alla disciplina del servizio di trasporto aereo, come «turismo [e] industria alberghiera» (art. 3, primo comma, lettera p, dello statuto di autonomia). La normativa in esame inciderebbe, inoltre, su competenze amministrative che lo Stato, con l’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006, ha attribuito alla medesima Regione nella materia «continuità territoriale»; competenza, quest’ultima, che, in virtù dell’art. 6 dello statuto speciale, comporterebbe la titolarità della correlata competenza legislativa, la quale sarebbe egualmente incisa dalle disposizioni impugnate. 7.1.– Al fine di valutare se sussista la lesione del principio di leale collaborazione nell’istituzione di un fondo statale destinato a finanziare uno specifico settore, occorre, per costante giurisprudenza costituzionale, verificare anzitutto a quale ambito materiale afferisce il fondo, la cui natura va esaminata con riguardo «all’oggetto, alla ratio e alla finalità» della norma che lo prevede (sentenze n. 78 del 2020 e n. 164 del 2019). Nella fattispecie in esame, la finalità del fondo è quella di garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per la Sicilia e da e per la Sardegna; la ratio della normativa impugnata consiste nel riconoscimento della peculiarità delle isole e nella promozione delle misure per rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità; l’oggetto riguarda il finanziamento di interventi per la mobilità dei cittadini residenti nel territorio delle due isole. A ben vedere, l’intervento finanziario delineato dall’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022, si configura come un intervento statale “speciale”, finalizzato a promuovere la riduzione degli svantaggi derivanti dall’insularità ai sensi dell’art. 119 Cost., da inquadrare nell’ambito di “aiuti sociali”, ai sensi dell’art. 107, paragrafo 2, lettera a), TFUE – il quale stabilisce che sono compatibili con il mercato interno gli aiuti concessi dagli Stati a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall’origine dei prodotti – e dell’art. 51 del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014, che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli artt. 107 e 108 TFUE da attuare attraverso un contributo sul prezzo del biglietto, fino ad esaurimento delle risorse finanziarie disponibili, per le rotte di collegamento tra gli aeroporti situati in Sicilia e in Sardegna e gli aeroporti situati all’interno dello spazio economico europeo, a favore dei soggetti residenti nei territori delle due regioni che maggiormente subiscono gli svantaggi derivanti dall’insularità. È questo, dunque, il contesto in cui devono essere considerate le disposizioni impugnate. Si tratta di interventi riconducibili a una duplice direttrice: a) promuovere, nell’ambito degli aiuti di Stato compatibili con il diritto dell’Unione europea, misure finalizzate a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità; b) attribuire, nell’ambito di tali misure, un contributo per la mobilità aerea dei cittadini residenti nelle due isole che maggiormente subiscono detti svantaggi. 7.2.– Tanto premesso, le questioni promosse nei confronti dell’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022, non sono fondate. Il finanziamento previsto dalle disposizioni impugnate – che consiste in un contributo sul prezzo del biglietto che i cittadini residenti nel territorio siciliano e sardo sostengono per i collegamenti aerei tra aeroporti situati nelle due regioni e aeroporti situati all’interno dello Spazio economico europeo – è ascrivibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), nella materia «perequazione delle risorse finanziarie». L’intervento statale pertanto non incide sulle competenze regionali evocate dalla ricorrente nella materia «coordinamento della finanza pubblica», «grandi reti di trasporto e di navigazione», «porti e aeroporti civili», «turismo [e] industria alberghiera» e neppure incide sull’autonomia finanziaria della Regione. Da ciò discende che, non sussistendo, in relazione alle disposizioni impugnate, quell’inestricabile intreccio di competenze statali e regionali (sentenza n. 78 del 2020) che in altre occasioni ha condotto questa Corte ad affermare la necessità della leale collaborazione, risulta non fondata la censura svolta in tal senso dalla Regione. Peraltro, nelle premesse del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze n. 241 del 2023 di attuazione delle disposizioni impugnate, si dà atto che le determinazioni assunte sono state adottate con il coinvolgimento della Regione Siciliana e della Regione autonoma Sardegna. Non è quindi ravvisabile la violazione del principio di leale collaborazione e va pertanto dichiarata la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale promosse nei confronti dei commi 494, 495 e 496 dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022. 8.– L’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022 è stato impugnato anche in riferimento agli artt. 3 e 23 Cost. con riguardo al principio di legalità, in uno con quello di ragionevolezza. Occorre pertanto verificare se sia irragionevole l’istituzione di un fondo da destinare al finanziamento di interventi per la mobilità dei cittadini residenti nel territorio della Sardegna e della Sicilia, tenuto conto che la definizione dei criteri di ripartizione delle risorse è effettuata con decreto interministeriale. Con riguardo al principio di ragionevolezza va innanzitutto ricordato che la giurisprudenza costituzionale ha desunto dall’art. 3 Cost. un canone di razionalità, in relazione al quale, per valutare la legittimità costituzionale di una legge, è necessario svolgere un sindacato di conformità a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica (sentenza n. 86 del 2017). Il principio di ragionevolezza, per costante giurisprudenza di questa Corte, risulta leso quando si accerti l’esistenza di una irrazionalità intra legem, intesa come contraddittorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la disposizione espressa dalla norma censurata. Tuttavia, non ogni incoerenza o imprecisione di una normativa può venire in questione ai fini dello scrutinio di costituzionalità, consistendo il giudizio di ragionevolezza in un apprezzamento di conformità tra la regola introdotta e la causa normativa che la deve assistere che, quando è disgiunto dal riferimento ad un tertium comparationis, può trovare ingresso solo se l’irrazionalità o l’iniquità delle conseguenze della norma sia manifesta e irrefutabile (ex plurimis, sentenze n. 195 del 2022, n. 6 del 2019 e n. 86 del 2017). Per le disposizioni di cui ai commi 494, 495 e 496 non è ravvisabile alcuna intrinseca contraddittorietà tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore – «riconoscere le peculiarità delle isole e promuovere le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità» – e l’istituzione di un fondo «per garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per la Sicilia e da e per la Sardegna», destinato «al finanziamento di interventi per la mobilità dei cittadini residenti nel territorio della Sicilia e della Sardegna». Con riguardo all’asserita violazione del principio di legalità, posto che è inconferente il riferimento all’art. 23 Cost., non può essere condiviso quanto sostiene la ricorrente, secondo cui le disposizioni in esame avrebbero conferito al Governo un potere regolativo con una norma “in bianco”. Le disposizioni impugnate non sono composte da un precetto indeterminato, avendo il legislatore statale specificato in modo chiaro e preciso le finalità del fondo (interventi per la mobilità aerea), l’ammontare delle risorse da destinare agli obiettivi predefiniti, i soggetti destinatari dei contributi (i cittadini residenti nelle due Regioni insulari) e lo strumento attraverso il quale devono essere stabiliti i criteri e le modalità di assegnazione delle risorse (decreto interministeriale). Anche sotto questo profilo, dunque, la questione di legittimità costituzionale non è fondata. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), promossa, in riferimento all’art. 119 della Costituzione, in relazione all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe; 2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022, promossa, in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe; 3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022, promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. e agli artt. 3, primo comma, lettera p), 7 e 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Regione Sardegna), anche in relazione all’art. 1, comma 837, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe; 4) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022, promossa, in riferimento all’art. 116 Cost., dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe; 5) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022, promossa, in riferimento all’art. 81 Cost., dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe; 6) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022, promossa, in riferimento all’art. 136 Cost., dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe; 7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022, promosse in riferimento agli artt. 5 e 117, terzo comma, Cost., con riguardo al principio di leale collaborazione, e agli artt. 3, 7 e 8 dello statuto speciale anche in relazione all’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006, dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe; 8) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022, promossa in riferimento agli artt. 3 e 23 Cost., dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 2024. F.to: Augusto Antonio BARBERA, Presidente Angelo BUSCEMA, Redattore Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE composta da Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. VILLONI Orlando - Consigliere Dott. GIORGI Maria Silvia - Consigliere Dott. PACILLI Giuseppina A.R. - Consigliere Dott. VIGNA Maria Sabina - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da De.Si. nato a C il (Omissis) avverso la sentenza del 01/03/2023 della Corte di appello di Trento Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Maria Sabina Vigna; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mariella De Masellis, che ha chiesto il rigetto del ricorso; letta la memoria della difesa di De.Si., che ha insistito per l'annullamento della sentenza; lette le conclusioni scritte della parte civile, che ha insistito per l'inammissibilità o il rigetto del ricorso e ha depositando nota spese. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Trento, all'esito di rito abbreviato, ha confermato la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Trento del 25 gennaio 2022, che dichiarava De.Si. responsabile del reato di maltrattamenti nei confronti della ex compagna Ve.Ma. (erroneamente indicata come ex moglie nel capo di imputazione} e lo condannava la pena di anni uno e mesi quattro di reclusione. La sentenza, pur precisando l'assenza di un vincolo familiare e/o di convivenza tra imputato e persona offesa, sottolineava che le condotte vessatorie erano state attuate dall'imputato nell'ambito di un rapporto di convivenza, di non trascurabile durata, connotato da non irrilevante stabilità e da aspettative di mutua solidarietà. In particolare, l'imputato, quando già era cessata la relazione more uxorio con la Ve.Ma., veniva ospitato per alcuni mesi dalla stessa, perché non riusciva a trovare altra sistemazione; nel febbraio 2020 la donna lo allontanava da casa e, a partire da quel momento, veniva percossa, minacciata e ingiuriata fino ad ottobre 2020. 2. Avverso la sentenza ricorre per cassazione l'imputato, deducendo seguenti motivi: 2.1. Vizio di motivazione nella parte in cui il giudice di secondo grado, pur accertando e dichiarando che i fatti erano tutti stati commessi in periodo in cui l'imputato non abitava con la persona offesa, desumeva da tali fatti il raggiungimento della prova circa la sussistenza del rapporto familiare. È manifestamente illogica la motivazione dell'impugnata sentenza nella parte in cui, pur dando atto che il rapporto more uxorio era cessato nel 2011, ritiene che la ospitalità offerta all'imputato dalla persona offesa dal dicembre 2019 al gennaio 2020 - fosse caratterizzata da non irrilevante stabilità e da aspettative di mutua solidarietà. Sin dall'avvio della ospitalità, infatti, la Ve.Ma. aveva precisato che si trattava di disponibilità provvisoria e aveva intimato all'imputato di cercare immediatamente un proprio alloggio. I fatti per i quali De.Si. è imputato si sono tutti verificati mesi dopo il febbraio 2020: uno nel marzo 2020, altri nel settembre 2020 e altri ancora nell'ottobre 2020. 2.2. Violazione di legge con riferimento agli artt. 572 e 612-bis cod. pen., 25 Cost. e 14 delle disposizioni preliminari, con riferimento alla asserita sussistenza, allorché si sono consumate le condotte, di un rapporto di natura familiare o di convivenza tra la persona offesa e l'imputato. La difesa richiama sul punto la sentenza della Corte costituzionale che ha espressamente ammonito contro l'applicazione analogica dell'art. 572 cod. pen. e la più recente giurisprudenza di questa sezione circa i confini tra il reato di maltrattamenti e quello di stalking. Nel caso in esame, al più, possono ritenersi sussistenti gli estremi del reato di cui all'art. 612-bis, secondo comma, cod. pen. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati. 2. Occorre premettere che, richiamando un consistente indirizzo ermeneutico manifestatosi nella giurisprudenza di legittimità, i giudici di merito hanno ritenuto che, per la configurabilità del delitto di maltrattamenti, il dato essenziale e qualificante risieda nell'instaurazione, tra autore e vittima, di un rapporto connotato da reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza; con il corollario per cui, se un siffatto rapporto esiste, e se, dunque, sussistano tra costoro strette relazioni dalle quali dovrebbero derivare rispetto e solidarietà, non è nemmeno necessaria una stabile o prolungata convivenza, potendo il reato configurarsi anche qualora la coabitazione sia di breve durata, instabile od anomala (fra molte altre, Sez. 6, n. 17888 del 11/02/2021, O., Rv. 281092; Sez. 6, n. 31121 del 18/03/2014, C, Rv. 261472; Sez. 6, n. 22915 del 07/05/2013, I., Rv. 255628). Il suindicato indirizzo è frutto dello sforzo dell'interprete di ampliare lo spettro di tutela per soggetti tipicamente vulnerabili, poiché vittime di condotte prevaricatrici che maturano nell'ambito di rapporti affettivi dai quali hanno naturale difficoltà a sottrarsi. 2.1. Ritiene, tuttavia, il Collegio che tale lettura normativa debba essere superata, anche in considerazione dei numerosi passi avanti in tal direzione compiuti dalla legislazione più recente, a cominciare dal D.L. n. 11 del 2009, conv. dalla legge n.38 del 2009, che ha introdotto il delitto di atti persecutori (art. 612-bis, cod. pen.), e dalla stessa I. 172/2012, che ha esteso la platea dei soggetti passivi del delitto di maltrattamenti alla persona "comunque convivente", senza altro aggiungere. In tal senso, non può non osservarsi l'espresso monito di recente rivolto dalla Corte costituzionale al giudice penale, affinché rimanga aderente al testo normativo, correndo altrimenti il rischio di violare il divieto di analogia in malam partem, che caratterizza le norme incriminatrici. Chiamato a pronunciarsi su una questione di rito, sorta all'interno di un processo per tal specie di condotte, il Giudice delle leggi ha affidato all'interprete il compito di stabilire se relazioni affettive - per così dire - non tradizionali (in quel caso si trattava di un rapporto sentimentale protrattosi nell'arco di qualche mese e caratterizzato da permanenze non continuative di un partner nell'abitazione dell'altro) possano farsi rientrare nelle nozioni di famiglia" o di "convivenza", alla stregua dell'ordinario significato di queste espressioni. Ma immediatamente dopo ha ammonito che, "in difetto di una tale dimostrazione, l'applicazione dell'art. 572, cod. pen., in casi siffatti - in luogo dell'art. 612-bis, secondo comma, cod. pen., che pure contempla espressamente l'ipotesi di condotte commesse a danno di persona "legata da relazione affettiva" all'agente - apparirebbe come il frutto di una interpretazione analogica a sfavore del reo della norma incriminatrice: una interpretazione magari sostenibile dal punto di vista teleologico e sistematico (...), ma comunque preclusa dall'art. 25, secondo comma, Cast." (Corte cost., sentenza n. 98 del 2021). 2.2. Tale sollecitazione è stata raccolta dalla più recente giurisprudenza di legittimità, alla quale il Collegio intende dar seguito. In ipotesi analoghe a quella in esame - poiché caratterizzate dal comune denominatore dell'assenza di un rapporto familiare o di convivenza tra autore e vittima al momento dei fatti - questa Sezione ha infatti ritenuto che non sia configurabile il reato di maltrattamenti, bensì, eventualmente, l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori, in presenza di condotte poste in essere da parte di uno dei conviventi more uxorio ai danni dell'altro dopo la cessazione della convivenza (Sez. 6, n. 39532 del 06/09/2021, B., Rv. 282254, ribadita da Sez. 6, n. 45095 del 17/11/2021, H., Rv. 282398, con la precisazione per cui, terminata la convivenza, vengono meno la comunanza di vita e di affetti nonché il rapporto di reciproco affidamento; in termini, da ultimo, Sez. 6, n. 38336 del 28/09/2022, D. 11/10/2022, Rv. 283939-01). Invero, il divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici (art. 14, preleggi), immediato precipitato del principio di legalità (art. 25, Cost.), nonché la presenza di un apparato normativa che amplia lo spettro delle condotte prevaricatrici di rilievo penale tenute nell'ambito di relazioni interpersonali non qualificate, impongono, nell'applicazione dell'art. 572, cod. pen., di intendere i concetti di "famiglia" e di "convivenza" nell'accezione più ristretta: quella, cioè, di una comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale, da una duratura comunanza d'affetti, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché, ovviamente, non necessariamente continua (si pensi, ad esempio, al frequente caso di coloro che, per ragioni di lavoro, dimorino in luogo diverso dall'abitazione comune, per periodi più o meno lunghi ma comunque circoscritti). 2.3. In applicazione di tale principio, emerge, con sufficiente nitidezza, dal provvedimento impugnato, che le condotte poste in essere dall'imputato successivamente alla cessazione della convivenza non sono riconducibili nell'alveo del reato di cui all'art. 572 cod. pen. Risulta, infatti, dalla sentenza della Corte di appello che: - la stabile convivenza tra imputato e persona offesa era cessata nel febbraio 2011; - nel 2018 i figli della ex coppia venivano allontanati dalla madre e affidati al servizio sociale e veniva altresì sospesa la responsabilità genitoriale di entrambi, affetti da alcolismo e disturbi mentali; - a distanza di anni, tra il dicembre 2019 e il febbraio 2020, la persona offesa aveva dato ospitalità saltuaria all'imputato, il quale era rimasto senza casa; detta ospitalità era, per espressa dichiarazione resa dalla persona offesa, provvisoria ed esclusivamente volta a far fronte alla indisponibilità di un alloggio da parte dell'imputato; - nel febbraio 2020 la Ve.Ma. revocava la disponibilità ad ospitare l'imputato; - i fatti per cui De.Si. è imputato si sono tutti verificati mesi dopo il febbraio 2020: uno nel marzo 2020, altri nel settembre 2020 e altri ancora nell'ottobre 2020. È, quindi, di tutta evidenza che, essendo venuta meno la convivenza, il reato di maltrattamenti non è configurabile. 3. La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, che, in sede di rinvio, adeguandosi al principio di diritto sopra dettato, dovrà valutare la sussistenza dei presupposti del reato di cui all'art. 612-bis cod. pen. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Trento Sezione distaccata di Bolzano. Così deciso il 28 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9877 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in persona dei Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti, sul ricorso per l'annullamento del provvedimento Cat. Prot. Nr -OMISSIS-, emesso dal Ministro dell'Interno, in data 19.2.2020 e notificato in data 18.7.2022, con il quale il ricorrente veniva allontanato dal territorio dello Stato ed accompagnato alla frontiera a mezzo della forza pubblica Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2024, il Cons. Angelo Roberto Cerroni e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Il signor -OMISSIS-, cittadino marocchino, in Italia dal 12 ottobre 2007 in forza di permesso di soggiorno per lavoro subordinato, è stato raggiunto da provvedimento del Ministro dell'interno del 19 febbraio 2020, che ne ha decretato l'espulsione dal territorio dello Stato con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. La determinazione ministeriale si è fondata sul rilievo che dall'attività info-investigativa sarebbe emerso che il prevenuto ha intrapreso un percorso di radicalizzazione, maturato anche attraverso la frequentazione di luoghi di culto e di soggetti distintisi per aver assunto posizioni religiose radicali di impronta jihadista e di sostegno all'autoproclamato Stato islamico, tra i quali un connazionale già condannato per il reato di cui all'art. 270-bis c.p. e 414, co. 3 e 4 c.p.. L'Autorità avrebbe rilevato, altresì, che il prevenuto risulterebbe molto attivo sul web mediante la condivisione di video e immagini di esaltazione del martirio, riportanti esplicite manifestazioni di odio e violenza verso gli occidentali, nonché mediante pubblicazione di messaggi di sostegno nei confronti di predicatori islamici e dello Stato islamico. L'espulsione ministeriale è stata corredata da divieto di reingresso sul territorio nazionale per 15 anni in considerazione del particolare profilo di pericolosità sociale evidenziato dallo straniero. La notifica formale del provvedimento è avvenuta solo il 18 luglio 2022, a cura della Polizia di frontiera marittima e aerea di Genova, al rientro dello straniero da -OMISSIS-via nave; assieme al provvedimento ministeriale è stata notificata anche la revoca questorile del permesso di soggiorno. 2. - Il cittadino marocchino ha impugnato il provvedimento innanzi al TAR per il Lazio deducendo tre profili di censura per eccesso di potere, sotto l'aspetto dell'irragionevolezza, dello sviamento di potere e del travisamento: in primo luogo, il ricorrente ha denunciato l'insussistenza di evidenze fattuali a supporto della determinazione espulsiva, segnatamente con riguardo alle frequentazioni con connazionali radicalizzati, mentre le posizioni assunte sul web costituirebbero libera espressione del proprio pensiero; in secondo luogo, la motivazione sarebbe carente e insufficiente sotto il profilo della mancata indicazione delle fonti e dei documenti; da ultimo, il giudizio di pericolosità sociale verrebbe profondamente minato dal fatto che il provvedimento di espulsione è stato notificato al ricorrente dopo oltre tre anni dalla perquisizione (risalente a maggio 2019) e dopo oltre due anni dall'emanazione dell'atto (avvenuta il 19.2.2020). 3. - Il giudice di prime cure ha disatteso l'iter argomentativo seguito da parte ricorrente e, sul rilievo della natura latamente discrezionale dell'atto impugnato, ha aderito alle tesi difensive dell'amministrazione opinando che le risultanze info-investigative e le evidenze raccolte in occasione della perquisizione domiciliare comprovano, da un lato, che il ricorrente ha intrapreso un percorso di radicalizzazione, maturato anche attraverso la frequentazione di luoghi di culto e di soggetti distintisi per aver assunto posizioni religiose radicali di impronta jihadista e di sostegno all'autoproclamato Stato Islamico, dall'altro, che lo stesso ha diffuso e propagandato sulla rete messaggi di esaltazione del martirio, esplicite manifestazioni di odio e violenza verso la civiltà occidentale, nonché messaggi di sostegno ai predicatori contigui agli ambienti estremistici islamici e all'organizzazione terroristica dell'autoproclamato Stato Islamico. 4. - Il sig. -OMISSIS-ha quindi appellato la statuizione sfavorevole affidandosi a due motivi di gravame. In primis, lo straniero ha dedotto nuovamente l'error in iudicando per violazione dell'art. 3, comma 1, del D.L. 144/2005, conv. in legge 31 luglio 2005, n. 15 e dell'art. 13 d.lgs. 286/1998: al riguardo, contesta la carenza di concreti elementi di fatto dai quali evincere la percezione del pericolo, anche potenziale, per la sicurezza dello Stato. L'appellante stigmatizza altresì l'assoluta mancanza di un'adeguata istruttoria e di una doverosa valutazione dei documenti prodotti, che avrebbe consentito di verificare come la condotta di vita del -OMISSIS-sia inconciliabile (secondo dati di comune esperienza) con la possibilità che questi volesse arrecare a chicchessia un reale nocumento; infine, lamenta anche l'eccessivo divario tra la confezione del provvedimento (2020) e la sua materiale notifica (2022) ed esecuzione. 5. - Si è costituito in resistenza il Ministero dell'interno per il tramite della difesa erariale, che ha depositato la relazione difensiva predisposta dall'Amministrazione. 6. - La causa è venuta in discussione all'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2024 all'esito della quale è stata spedita in decisione. 7. - La disamina della vertenza impone un preliminare richiamo dei parametri normativi entro cui si inscrive la fattispecie amministrativa: il provvedimento è stato, infatti, emanato ai sensi dell'art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e dell'art. 3 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144 alla stregua dei quali l'espulsione in via amministrativa dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato può essere disposta dal Ministro dell'interno "per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato" oppure a carico di quei soggetti nei cui confronti vi sono fondati motivi di ritenere che la relativa permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali. Secondo la consolidata elaborazione giurisprudenziale, trattandosi di atto rimesso all'organo di vertice del Ministero dell'Interno, che investe la responsabilità del Capo del Governo, nonché l'organo di vertice dell'amministrazione maggiormente interessata alla materia dei rapporti con i cittadini stranieri (tanto che la disciplina legislativa stabilisce l'onere di preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro degli affari esteri), esso costituisce senz'altro espressione di esercizio di alta discrezionalità amministrativa. Ne è testimonianza il carattere estremamente generico dei presupposti delineati dall'art. 13 cit. che si limita a richiamare le locuzioni ampie e comprensive dell'ordine pubblico e della sicurezza dello Stato, la cui applicazione nel caso concreto è rimessa al prudente apprezzamento dell'organo politico di vertice del Dicastero. Parallelamente, anche la disciplina coniata dal legislatore all'art. 3 del D.L. n. 144/2005, giustapponendosi come aggiuntiva alla fattispecie di carattere generale appena esaminata, rafforza il potere ministeriale di espulsione degli stranieri per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (particolarmente nel caso in cui essi godano di una particolare tutela come avviene per i titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo), prevedendo una ipotesi ulteriore con specifico riferimento alla minaccia terroristica e ai comportamenti ritenuti in grado di agevolarla. 7.1. - Sul piano dell'inquadramento dell'istituto, la giurisprudenza di questa Sezione ha già avuto modo di puntualizzare con riferimento all'espulsione ex art. 3, comma 1, d.l. n. 144 del 2005 - con argomentazioni ben estendibili alla misura adottata ai sensi dell'art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 - che si tratta di una disposizione che prevede procedure pienamente assimilabili alle misure di sicurezza che si adottano con finalità di prevenzione e che, avendo come finalità quella di prevenire il compimento di reati, non richiede che sia comprovata la responsabilità penale e neppure che il reato sia stato già compiuto. (v., ex plurimis, Cons. Stato, sez. III, 19 maggio 2021, n. 3886, Cons. Stato, sez. III, 27 febbraio 2021, n. 1687, Cons. Stato, sez. III, 23 settembre 2015, n. 4471). In altre parole, lo standard motivazionale e probatorio si discosta da quello penalistico dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" per assestarsi al livello della preponderanza dell'evidenza (cd. canone del più probabile che non) in quanto non mira a formulare un giudizio di colpevolezza assistito da elevata plausibilità logico-razionale, bensì persegue finalità di prevenzione a favore di interessi pubblicistici il cui rango elevato giustifica la spiccata anticipazione della soglia di tutela: in definitiva, il cuore dell'impianto motivazionale dei provvedimenti di espulsione tratteggiati dalle norme in esame si condensa in un sillogismo inferenziale che sottende il giudizio prognostico di pericolosità sociale parametrata rispetto agli interessi dell'ordine pubblico e della sicurezza dello Stato e alla possibile agevolazione delle organizzazioni o attività terroristiche. 7.2. - Tanto considerato, nel caso di specie il compendio indiziario posto a base della determinazione espulsiva e meglio sviscerato nella relazione difensiva dall'Amministrazione resistente, si profila tutt'altro che scarno di elementi pregnanti: a) in primo luogo, le risultanze info-investigative testimoniano che il sig. -OMISSIS-ha intrapreso un percorso di radicalizzazione snodatosi nella assidua frequentazione non solo di luoghi di culto (quello di -OMISSIS-) - il che sarebbe legittima manifestazione della libertà di culto costituzionalmente tutelata - ma anche di persone gravate da pregiudizi penali di matrice terroristica dal particolare disvalore (nel caso di specie, associazione con finalità di terrorismo, anche internazionale, prevista e punita dall'art. 270-bis c.p. e istigazione a delinquere ex art. 414 c.p.); dalla consultazione della banca dati interforze è emerso altresì che l'appellante annovera una notizia di reato del Compartimento della Polizia postale di Perugia per i medesimi titoli di reato; b) tale percorso di radicalizzazione non si è limitato alla sfera interna della manifestazione del pensiero, in astratto intangibile in quanto espressione di una libertà costituzionalmente tutelata, ma è trasmodata in una significativa attività di propaganda jihadista e di militanza mediatica. Dalle informazioni raccolte nell'indagine condotta dalla DIGOS e dal Compartimento di Polizia postale di Perugia nell'ambito delle indagini penali scaturite dalla segnalazione per istigazione a delinquere e associazione con finalità di terrorismo, è emerso, infatti, tra i profili di social network dediti alla propaganda di ideologie jihadiste proprio quello del -OMISSIS-: ne è scaturita la perquisizione degli strumenti tecnologici - personal computer e telefono cellulare - da cui si è appurato che questi risultava autore della diffusione di messaggi, immagini e video in cui aderiva alle manifestazioni di sentimenti antioccidentali, plaudeva alle attività delle organizzazioni terroristiche di matrice islamista ed esaltava i gesti di martirio jihadista, oltre a pubblicare messaggi di sostegno ai predicatori contigui agli ambienti estremisti islamici. Al riguardo, mette conto di osservare che tale intensa attività di supporto mediatico non si è limitata a mera manifestazione del pensiero, ma per le sue modalità è stata suscettibile di integrare comportamenti concretamente idonei a provocare la commissione di delitti in conformità all'insegnamento della Corte costituzionale, ormai risalente e consolidato, per cui "plaudire a fatti che l'ordinamento giuridico punisce come delitto e glorificarne gli autori é da molti considerata una ipotesi di istigazione indiretta: certo é attacco contro le basi stesse di ogni immaginabile ordinamento apologizzare il delitto come mezzo lodevole per ottenere l'abrogazione della legge che lo prevede come tale. Non sono concepibili, infatti, libertà e democrazia se non sotto forma di obbedienza alle leggi che un popolo libero si dà liberamente e può liberamente mutare" (Corte cost., 4 maggio 1970, n. 65). 7.3. - Orbene, indipendentemente dagli esiti degli accertamenti penali, il Ministro dell'interno si è mosso in un'ottica squisitamente socialpreventiva e cautelare al dichiarato scopo di allontanare dal territorio nazionale una figura così insidiosa per la sicurezza interna e internazionale. Nell'apprezzare il compendio indiziario appena passato in rassegna, l'Autorità si è attenuta al sillogismo inferenziale secondo cui appare plausibile e razionale che, a fronte di questi elementi info-investigativi raccolti dalla DIGOS, il cittadino marocchino possa costituire una minaccia alla sicurezza dello Stato ex art. 13, co. 1 d.lgs. 286/1998, secondo lo standard del "più probabile che non"; al contempo, ricorrono anche gli estremi più specifici di cui all'art. 3 D.L. 14472005 giacché gli elementi passati in rassegna corroborano i prescritti fondati motivi che lasciano ritenere che la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali. 7.4. - Tanto considerato, l'argomentare dell'Amministrazione resistente, per quanto succinto, appare idoneo e sufficiente a corroborare il giudizio prognostico di pericolosità sociale sub specie di agevolazione terroristica e, del pari, ben ha opinato il TAR quando ha giudicato il provvedimento, sotto tale angolo visuale, come scevro da profili di manifesta irragionevolezza o travisamento o difetto di istruttoria. Non milita efficacemente in senso contrario la copiosa documentazione versata in atti dal ricorrente che attiene a dichiarazioni di conoscenti, colleghi e concittadini che, pur attestando una apparente proficua integrazione del sig. -OMISSIS-nel tessuto socio-economico, non scalfisce le forti controindicazioni rivenienti dai materiali rinvenuti a seguito della perquisizione degli apparati tecnologici di comunicazione del prevenuto. 8. - Venendo al secondo profilo censorio, il Collegio osserva che il ragguardevole lasso di tempo intercorso tra l'emanazione del provvedimento espulsivo (19 febbraio 2020) e la sua materiale esecuzione mediante respingimento alla frontiera (18 luglio 2022) è stato ampiamente delucidato dalla produzione documentale dell'Amministrazione che ha dovuto soprassedere all'esecuzione del provvedimento per indisponibilità dei collegamenti diretti per i rimpatri nel corso della fase emergenziale da covid-19: a rigore, trattandosi di provvedimento fortemente afflittivo sulla sfera personale del destinatario e, in definitiva, limitativo della sua sfera giuridica deve trovare applicazione l'art. 21-bis della legge n. 241 del 1990 giusta il quale tale tipo di provvedimento acquista efficacia con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile. Sicché, l'appellante non ha di che dolersi se l'esecuzione del provvedimento è avvenuta immediatamente dopo la notifica del decreto ministeriale di espulsione, pur a distanza di tempo per le ragioni testé esposte, con il conseguente affidamento del passeggero irregolare alla custodia del Comandante della Motonave GNV diretta a -OMISSIS-lo stesso giorno 18 luglio 2022. La notifica del provvedimento, nel caso di specie, si atteggia ad elemento perfezionativo della fattispecie ed incide giocoforza sull'acquisto della piena efficacia provvedimentale. Il protrarsi del tempo endoprocedimentale tra emanazione della decisione e definitivo perfezionamento della fattispecie mediante la rituale notifica al destinatario del provvedimento di espulsione, oltre che ampiamente scriminato dalle sopravvenienze di vis maior connesse alla contingenza pandemica non imputabili all'Amministrazione - peraltro anche foriere di una sospensione ex lege dei termini procedimentali (v. art. 103, D.L. 18/2020) - non impinge sulla validità ed efficacia del provvedimento definitivo tardivamente notificato, né milita in favore della sussunzione della fattispecie nel paradigma di cui all'art. 13, co. 2 d.lgs. 286/1998 vale a dire in una diversa species di provvedimento a firma prefettizia - e non già ministeriale. 9. - Alla luce di quanto precede, l'appello deve essere conclusivamente respinto. 10. - Tenuto conto delle peculiarità della vicenda, il Collegio ritiene che sussistano giustificati motivi per compensare integralmente le spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la persona dell'appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Michele Corradino - Presidente Stefania Santoleri - Consigliere Giovanni Pescatore - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Angelo Roberto Cerroni - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta da Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. VILLONI Orlando - Consigliere Dott. GIORGI Maria Silvia - Consigliere Dott. PACILLI Giuseppina A.R. - Consigliere Dott. VIGNA Maria Sabina - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da De.Pa. nato a M il (Omissis) avverso il decreto del 16/06/2023 della Corte di appello di Reggio Calabria Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Maria Sabina Vigna; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Alessandro Cimmino, che ha chiesto l'inammissibilità del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. De.Pa. ricorre avverso il decreto emesso dalla Corte di Appello di Reggio Calabria, in data 16 giugno 2023, che ha rigettato il ricorso e confermato il decreto emesso dal Tribunale di Reggio Calabria in data 10 novembre 2021, con il quale era stata applicata al predetto la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di anni quattro, con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza. 2.Il ricorrente deduce, come unico motivo, la violazione di legge, anche processuale, in relazione all'art. 4 del D.Lgs. n. 159/2011. Il decreto si limita a valorizzare i carichi pendenti del ricorrente senza considerare l'epoca di verificazione delle condotte: le vicende attenzionate nell'ambito del procedimento cosiddetto "Trash" si attestano in epoca assai risalente, ossia al 2011, mentre gli esiti investigativi compendiati nel procedimento cosiddetto "Nuovo Corso" risalgono al 2016 e non stigmatizzano, peraltro, una condotta di partecipazione ex art. 416-bis cod. pen. Emerge, dunque, la sussistenza di un evidente iato temporale tra il momento della verificazione delle condotte e il momento dell'odierno giudizio. E non si tratta soltanto di un lasso temporale di tenore neutro. Durante tale periodo, infatti, il ricorrente pativa un considerevole periodo detentivo, dando prova di una attiva volontà di reinserimento. De.Pa. ha, infatti, intrapreso un percorso di studio poi culminato nel conseguimento della laurea e nel successivo accesso a un master di primo livello. Si era, comunque, data prova dell'attività lavorativa svolta dal ricorrente durante il periodo attenzionato. A fronte di tali rilievi, il decreto impugnato pretende di valorizzare, in chiave di conferma del giudizio di pericolosità sociale del proposto, quella che viene ricostruita sotto il profilo interpretativo come una presunzione semplice di attualità della pericolosità, senza analizzare, come richiesto dalla giurisprudenza, tutti gli indicatori comportamentali successivi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile. 2. La Corte di Appello ha evidenziato come il proposto, dopo aver scontato la detenzione carceraria in relazione a condanna per associazione mafiosa, avesse proseguito nello svolgere un ruolo di primo piano nella cosca imperante sul territorio di Reggio Calabria, indicando, in particolare, la condanna (confermata in appello) per il delitto di estorsione aggravata dal metodo mafioso nell'ambito dell'operazione "Trash", commessa dal 2002 al 2011, gli esiti dell'indagine "(Omissis)", conclusasi con l'emissione di una ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del proposto, imputato nel relativo procedimento per il delitto di estorsione consumata pluriaggravata commessa tra il 2015 ed il 2018, e per un ulteriore episodio di tentata estorsione risalente al 2016. Sulla base di tali elementi la Corte territoriale, confermando il decreto emesso dal Tribunale, ha ritenuto sussistente la pericolosità qualificata, ai sensi sia della lettera b), sia della lettera a) dell'art. 4 del D.Lgs. 159/2011, in presenza di gravi indizi della commissione di reati-fine, manifestazione del programma associativo mafioso della cosca, dell'assunzione di un ruolo centrale da parte del proposto, presentato dagli altri sodali quale "capo della famiglia", in occasione della realizzazione di alcune condotte, della diretta esternazione del potere intimidatorio della cosca. La Corte di Appello ha, inoltre, ritenuto sussistente l'attualità della pericolosità, in ragione, in particolare, della vicinanza nel tempo delle condotte indicate. 2.1. Orbene, come ribadito da questa Corte, nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso - con scelta ritenuta non irragionevole da Corte cost. n. 321 del 2004 e n. 106 del 2015 - soltanto per violazione di legge, giusta il disposto degli artt. 10, comma 3, e 27, comma 2, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159. Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l'ipotesi dell'illogicità manifesta di cui all'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell'obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d'appello dall'art. 10, comma 8, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente, che ricorre anche "quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio" (Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, Caliendo, Rv. 270080), mentre il travisamento della prova rileva, solo qualora abbia investito plurime circostanze decisive totalmente ignorate ovvero ricostruite dai giudici di merito in modo totalmente erroneo (Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, Noviello, Rv. 279435 -01). 2.2. In detta prospettiva, oltre ad essere esclusi i vizi tipici concernenti la tenuta logica del discorso giustificativo, è improponibile, sotto forma di violazione di legge, anche la mancata considerazione di prospettazioni difensive, quando le stesse, in realtà, siano state prese in considerazione dal giudice o risultino assorbite dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato o comunque non siano potenzialmente decisive ai fini della pronuncia sul punto attinto dal ricorso. 2.3. Nel caso in esame, la Corte territoriale attraverso un percorso argomentativo congruo e coerente - anche con richiamo ai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in tema di "appartenenza" al sodalizio mafioso -, ha evidenziato gli elementi posti a fondamento della ritenuta pericolosità - con riferimento, in particolare, allo svolgimento da parte del proposto di compiti essenziali agli interessi dell'associazione mafiosa, ed alla piena collocazione dello stesso nell'organigramma criminale -, nonché, al di là della presunzione semplice, della ritenuta attualità della pericolosità. La motivazione espressa nel decreto impugnato appare immune da vizi di ordine logico-giuridico, come tale incensurabile in sede di legittimità. 2.4. Quanto al profilo dell'attualità, occorre ribadire che, ai fini dell'applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso è necessario accertare il requisito della "attualità" della pericolosità del proposto, sicché, a fronte di elementi positivi denotanti l'abbandono di logiche criminali di appartenenza all'associazione, l'applicazione della misura nei confronti di soggetti già detenuti per lunghi periodi temporali non può essere fondata sulla presunzione di permanenza desunta dalla condotta precedente alla pronuncia di condanna emessa nel separato giudizio penale (Sez. 2, n. 8541 del 14/01/2020, Capizzi, Rv. 278526 - 01). 2.5.Gli elementi positivi dedotti dal ricorrente, con i quali la Corte di Appello ha mostrato di confrontarsi, e, in particolare, il percorso di studi e di inserimento lavorativo, non sono stati ritenuti idonei ad esprimere l'abbandono delle logiche criminali, a fronte dei numerosi elementi indicati, desumibili concretamente dalle condotte contestate. Anche in relazione a tale profilo, pertanto, in assenza di ulteriori elementi di valutazione tali ad incidere sul percorso argomentativo espresso dalla Corte di Appello, il decreto impugnato appare immune da censure. 3. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 28 febbraio 2024. Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2024.
AULA 'B' 2024 1526 R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO ITALIANO L A C O R T E S U P R E M A D I C A S S A Z I O N E SEZIONE LAVORO Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ANTONIO MANNA - Presidente - Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO - Rel. Consigliere - Dott. CATERINA MAROTTA - Consigliere - Dott. ANDREA ZULIANI - Consigliere - Dott. IRENE TRICOMI - Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 8266-2023 proposto da: MINISTERO DELL'ISTRUZIONE E DEL MERITO, in persona del Ministro pro tempore, UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER L'UMBRIA - AMBITO TERRITORIALE DI PERUGIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12; - ricorrenti - contro DISDETTI MILENA, FANGACCI MARTA, FRILLICI MARIA ASSUNTA, GILDONI NADIA, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA CARLO MIRABELLO 19, presso lo studio dell'avvocato VALERIO FEMIA, che le rappresenta e difende; - controricorrenti - avverso la sentenza n. 237/2022 della CORTE D'APPELLO di PERUGIA, depositata il 06/10/2022 R.G.N. 160/2021; Oggetto Mansioni superiori DGSA Differenziale retributivo R.G.N. 8266/2023 Cron. Rep. Ud. 03/04/2024 PU udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/04/2024 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l'avvocato VALERIO FEMIA. FATTI DI CAUSA 1. La Corte d’Appello di Perugia ha respinto l’appello proposto dal Ministero dell’Istruzione (già Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e ora Ministero dell’Istruzione e del Merito) e dall’Ufficio Scolastico Regionale per l’Umbria avverso la sentenza del Tribunale che aveva accolto parzialmente il ricorso di Milena Disdetti, Marta Fangacci, Maria Assunta Frillici e Nadia Gildoni e aveva condannato il Ministero al pagamento delle somme a ciascuna spettanti a titolo di posizione economica connessa con il profilo di assistente amministrativo, in aggiunta alla indennità liquidata per lo svolgimento delle mansioni superiori di direttore dei servizi generali e amministrativi ( DSGA). 2. La Corte territoriale ha richiamato la disciplina dettata dall’art. 1, commi 44 e 45 della legge 24 dicembre 2012 n. 228, e ha evidenziato che l’assegnazione temporanea alle mansioni di DSGA dà diritto a percepire un’indennità che deve essere quantificata tenendo conto, da un lato, del trattamento previsto per la qualifica superiore al livello iniziale della progressione economica e, dall’altro, di quello «complessivamente in godimento», che comprende tutte le voci retributive maturate dal dipendente, ivi compresa la posizione economica. Esaminata la documentazione in atti il giudice d’appello ha rilevato che l’amministrazione, ai fini della quantificazione dell’indennità di mansioni superiori, non si era discostata da detto criterio e ciò si desumeva, oltre che dal prospetto depositato dal Ministero in adempimento di quanto imposto dalla ordinanza dell’11 maggio 2022, anche dai decreti di assegnazione delle funzioni di DSGA. Peraltro emergeva dai cedolini dello stipendio depositati dalle ricorrenti che la retribuzione liquidata era stata computata tenendo conto dello stipendio tabellare previsto per la qualifica di inquadramento e dell’indennità di funzioni superiori, mentre non era stata inclusa la voce «ATA valorizzazione professionale area B posizione 2», che il Ministero, anche in sede giudiziale, aveva ritenuto di non dover corrispondere perché incompatibile con la maggiorazione riconosciuta ex lege n. 228 del 2012. 3. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso il Ministero dell’Istruzione (ora Ministero dell’Istruzione e del Merito) e l’Ufficio Scolastico Regionale per l’Umbria – Ambito territoriale di Perugia sulla base di un unico motivo, al quale le litisconsorti indicate in epigrafe hanno opposto difese con controricorso illustrato da memoria. 4. L’Ufficio della Procura Generale ha depositato requisitoria ed ha concluso per il rigetto del ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il ricorso denuncia, con un unico motivo formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 165/ 2001 nonché dell’art. 1, commi 44 e 45 della legge 24 dicembre 2012 n. 228 e, attraverso il richiamo alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 71/2021, rileva che il lavoratore preposto a mansioni superiori ha diritto a percepire una retribuzione che sia proporzionata alla qualità della prestazione resa ma il giudizio da rendere ex art. 36 Cost. deve tener conto del trattamento retributivo complessivamente riconosciuto dal datore di lavoro e, pertanto, non determina alcuna violazione della norma costituzionale la previsione di « una retribuzione aggiuntiva via via decrescente fino all’azzeramento per il dipendente più anziano dotato sì di maggiori esperienze ma per esse già remunerato». Ciò premesso aggiunge il Ministero che nella fattispecie l’importo dell’indennità aggiuntiva era stato determinato dall’amministrazione nel rispetto della norma di legge, ossia detraendo dal trattamento retributivo previsto per la posizione iniziale di DSGA, l’intero ammontare della retribuzione percepita dalle controricorrenti, ivi compresa la posizione economica. Sostiene, di conseguenza, che la Corte territoriale nell’accogliere la domanda ha finito per riconoscere alle dipendenti un trattamento economico superiore a quello del direttore al livello iniziale e per duplicare il compenso dovuto in conseguenza della posizione economica. 2. Il ricorso è infondato. L’art. 1 della legge 24 dicembre 2012 n. 228 ai commi 44 e 45 disciplina il trattamento economico spettante al personale incaricato di svolgere negli istituti scolastici le mansioni superiori di direttore dei servizi generali amministrativi (DGSA) e, dopo aver previsto, al comma 44, le modalità di conferimento dell’incarico e di imputazione della spesa, mediante rinvio alle disposizioni dettate dalla legge n. 549/1995 (A decorrere dall'anno scolastico 2012 2013, l'articolo 1, comma 24, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, trova applicazione anche nel caso degli assistenti amministrativi incaricati di svolgere mansioni superiori per l'intero anno scolastico ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, per la copertura di posti vacanti o disponibili di direttore dei servizi generali e amministrativi),al successivo comma 45 aggiunge che «La liquidazione del compenso per l'incarico di cui al comma 44 è effettuata ai sensi dell'articolo 52, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in misura pari alla differenza tra il trattamento previsto per il direttore dei servizi generali amministrativi al livello iniziale della progressione economica e quello complessivamente in godimento dell'assistente amministrativo incaricato». Si tratta di una disposizione speciale rispetto alla disciplina generale dettata dal d.lgs. n. 165/2001, perché deroga al principio della riserva in favore della contrattazione collettiva in materia di trattamento retributivo (artt. 2 e 45 del richiamato decreto), principio che ispira anche il sesto comma dell’art. 52 del decreto, nella parte in cui, in tutte le versioni succedutesi nel tempo, legittima la contrattazione medesima a regolare gli effetti che derivano, sul piano economico, dall’esercizio di mansioni superiori. Avvalendosi di detta delega i CCNL per il personale del comparto della scuola, a partire da quello sottoscritto il 25 agosto 1995 per il quadriennio normativo 1994/1997, avevano disciplinato l’indennità di funzioni superiori, da attribuire, tra gli altri, all'assistente amministrativo chiamato a sostituire il direttore o il responsabile amministrativo e ne avevano quantificato l’ammontare in misura «pari al differenziale dei relativi livelli iniziali di inquadramento». La norma sopravvenuta, invece, se, da un lato, lascia immutato il minuendo, costituito dal trattamento previsto in favore del DGSA al livello iniziale della progressione economica, dall’altro modifica, rispetto alla previsione contrattuale, il sottraendo, perché valorizza, ai fini della quantificazione del differenziale, l’intero trattamento retributivo goduto dall’assistente chiamato a svolgere le mansioni superiori. Ciò comporta che, calandosi in un sistema che valorizza l’anzianità di servizio ai fini della quantificazione del trattamento retributivo, previsto secondo fasce progressive di anzianità, l’indennità differenziale da corrispondere in caso di esercizio di mansioni superiori è destinata a ridursi a mano a mano che aumenta l’anzianità del dipendente assegnato allo svolgimento di compiti propri della qualifica superiore e può azzerarsi del tutto nel caso in cui sia chiamato ad effettuare la sostituzione un assistente che abbia già superato i 21 anni di anzianità di servizio (cfr. anche Corte Cost. n. 108/2016). 2.1. La disposizione in commento, dichiarata incostituzionale dalla pronuncia sopra citata « nella parte in cui non esclude dalla sua applicazione i contratti di conferimento delle mansioni superiori di direttore dei servizi generali ed amministrativi stipulati antecedentemente alla sua entrata in vigore», ha per il resto superato il vaglio di costituzionalità ed il Giudice delle leggi, dopo aver osservato che «il riconoscimento di una progressione economica indubbiamente valorizza - e, quindi, già in parte remunera - la maggior esperienza e professionalità maturata dal dipendente nel corso degli anni di lavoro», ha ritenuto non in contrasto con l’art. 36 Cost. né «manifestamente irragionevole che, nel caso di conferimento dell'incarico di DSGA, l'ordinamento preveda una retribuzione aggiuntiva via via decrescente, fino all'azzeramento, per il dipendente più anziano, dotato, sì, di maggiori esperienze, ma per esse già remunerato. A diversamente opinare, peraltro, si giungerebbe ad affermare che, a parità di mansioni svolte, sia costituzionalmente necessario riconoscere all'assistente amministrativo con un'anzianità maggiore ai 21 anni un compenso più elevato di quello previsto per il DSGA a livello iniziale, sebbene quest'ultimo «sia titolare di quelle funzioni appartenendo ad un ruolo diverso ed essendo stata oggettivamente accertata con apposita selezione concorsuale la maggiore qualificazione professionale, significativa di una più elevata qualità del lavoro prestato» (sentenze n. 115 del 2003 e n. 273 del 1997).» ( Corte Cost. n. 71/2021). 2.2. All’esito della novella normativa, dunque, ai fini della quantificazione dell’indennità di mansioni superiori occorre tener conto dell’intero trattamento goduto dal dipendente assegnato a svolgere le funzioni di DGSA, nel quale deve essere inclusa, oltre allo stipendio tabellare già proporzionato all’anzianità di servizio, la posizione economica acquisita ai sensi dell’art. 2 del CCNL 25 luglio 2008. L’indennità in parola sarà pertanto pari al differenziale fra quest’ultimo trattamento e quello spettante al direttore amministrativo di prima assunzione, differenziale che, lo si ripete, è destinato a ridursi a mano a mano che, per effetto dell’anzianità di servizio, si incrementa il sottraendo. Una volta determinata con le modalità sopra indicate, fatta eccezione per i casi in cui l’operazione aritmetica dia esito negativo, l’indennità spettante per l’esercizio delle mansioni superiori va corrisposta in aggiunta al trattamento complessivo goduto dall’assistente, con la conseguenza che l’importo da liquidare deve comprendere lo stipendio tabellare per la qualifica di inquadramento in ragione della fascia di anzianità acquisita, la posizione economica e l’indennità aggiuntiva. 2.3. Dai richiamati principi non si è discostata la Corte territoriale la quale, dopo avere correttamente interpretato le disposizioni normative e contrattuali che vengono in rilievo ed indicato nei medesimi termini sopra specificati le modalità di calcolo, ha accertato, in punto di fatto ed esaminando le buste paga prodotte, che l’amministrazione per il periodo di svolgimento delle mansioni superiori, pur avendo quantificato esattamente il differenziale, aveva poi errato al momento della liquidazione dello stipendio mensile, perché aveva omesso di corrispondere la posizione economica spettante per la qualifica di inquadramento, ritenendo, erroneamente, che la stessa fosse assorbita dalla indennità di mansioni superiori (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata). Che detta conclusione sia erronea lo si desume agevolmente dal rilievo che la posizione economica entra a far parte del sottraendo e, quindi, il differenziale fra i trattamenti retributivi non può essere comprensivo della stessa, che va, di conseguenza, liquidata in quanto parte integrante della retribuzione spettante, in relazione alla qualifica di inquadramento, al dipendente assegnato a mansioni superiori. La Corte territoriale, quindi, non ha operato alcuna duplicazione e, al contrario, è l’amministrazione che prospetta una duplicazione, questa volta in danno del dipendente, da un lato inserendo la progressione economica nel sottraendo (con conseguente riduzione di pari importo dell’indennità di funzioni superiori) e dall’altro omettendone la corresponsione in aggiunta allo stipendio tabellare ed all’indennità, con l’effetto finale di un totale azzeramento della stessa. 3. Il ricorso, che per il resto sollecita inammissibilmente un accertamento di fatto non consentito nel giudizio di legittimità, va, pertanto, rigettato con conseguente condanna del Ministero al pagamento delle spese, liquidate come da dispositivo, da distrarre in favore dell’avvocato Valerio Femia che ha reso la prescritta dichiarazione. 4. Non sussistono le condizioni di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002 perché la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass. S.U. n. 9938/2014; Cass. n. 1778/2016; Cass. n. 28250/2017). P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avvocato Valerio Femia. Roma, così deciso nella camera di consiglio del 3 aprile 2024 Il Consigliere estensore Il Presidente Annalisa Di Paolantonio Antonio Manna
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: ERNESTINO LUIGI BRUSCHETTA Presidente ENRICO MANZON Consigliere GIOVANNI LA ROCCA Consigliere-Rel. LUNELLA CARADONNA Consigliere MARIA GIULIA PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Consigliere Oggetto: TRIBUTI Ud.06/12/2023 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 260/2019 R.G. proposto da: AGENZIA DELLE ENTRATE E DEL TERRITORIO, domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende; -ricorrente- contro FORNO ETTORE, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato DI PAOLA NUNZIO SANTI GIUSEPPE (DPLNZS67B25C351B); -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. CALTANISSETTA n. 2303/2018 depositata il 04/06/2018. Udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni La Rocca nella pubblica udienza del 6 dicembre 2023; Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Alberto Cardino, che ha concluso per l’accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso, non essendo comparso nessuno per le altre parti. FATTI DI CAUSA 1. Ettore Forno, titolare di omonima ditta individuale esercente il commercio di prodotti di telefonia, ha impugnato l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate contenente la determinazione di maggiori ricavi e minori costi deducibili per il 2009 con conseguente recupero di imposte. 2. L'accertamento era fondato, tra l’altro, su accertamenti bancari che il contribuente ha contestato; la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Enna ha accolto il ricorso, osservando che l’ingente imponibile accertato (circa 7.000.000,00 di euro) non poteva riferirsi all’attività commerciale svolta dal Forno, titolare di una ditta individuale di telefonia in un piccolo centro in provincia di Enna, ma doveva essere ricondotto ad altre attività e a categorie di reddito non indicate dall’Ufficio che, inoltre, non aveva esaminato le giustificazioni rese dal Forno in ordine alle movimentazioni bancarie contestate. 3. Il gravame erariale è stato rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Sicilia la quale ha confermato che il rilevante imponibile accertato doveva essere imputato non solo alla ditta di telefonia ma anche ad altre attività che non erano state accertate dall’Ufficio, sebbene indicate dal contribuente; quindi, secondo la CTR, l’art. 32 d.P.R. n. 600/1973 non era stato rispettato in quanto le giustificazioni documentali fornite dal contribuente avrebbero meritato una più attenta disamina e un riscontro mediante l’estensione delle indagini alle ulteriori attività commerciali svolte dal contribuente, il quale aveva indicato una serie di circostanze di fatto, riferibili alle sue movimentazioni bancarie, che non erano state verificate dall’Ufficio. 4. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate fondato su cinque motivi. 5. Ha resistito con controricorso il contribuente. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 d.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 6 d.lgs. n. 218/1997 in quanto il ricorso iniziale era inammissibile per tardività: notificato l’atto impugnato il 23.2.2012, il ricorso era stato presentato soltanto il 20.7.2012 confidando nel termine di sospensione di gg. 90 di cui all’accertamento con adesione, che era stato proposto con chiari intenti dilatori in quanto l'istanza non conteneva alcuna proposta e il contribuente, invitato al contraddittorio, non si era presentato. 1.1. Il motivo non solo è inammissibile, come eccepito dal controricorrente, in quanto nuovo e non proposto nei precedenti gradi di giudizio, ma è pure infondato. 1.2. Va osservato che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la mancata comparizione del contribuente alla data fissata per la definizione, in via amministrativa, della lite, sia essa giustificata o meno, non interrompe la sospensione del termine di novanta giorni per l'impugnazione dell'avviso di accertamento, in quanto detto comportamento non è equiparabile alla formale rinuncia all'istanza né è idoneo a farne venir meno ab origine gli effetti (Cass. n. 27274 del 2019). L’effetto sospensivo del termine di impugnazione è automatico (Cass. n. 21096 del 2018) e non può dipendere da indagini sulla effettiva intenzione del contribuente di addivenire ad un accordo transattivo, pena l’intollerabile incertezza sulla operatività della sospensione e sul verificarsi della decadenza dall’impugnazione che, per loro stessa natura, debbono essere ancorate unicamente ad eventi oggettivi e immediatamente verificabili. 2. Con il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 36 d.lgs. n. 546/1992, 132 comma 2 n. 4) c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 112 c.p.c., in quanto la motivazione era inidonea a rivelare la ratio decidendi, essendosi la CTR limitata ad accogliere genericamente le ragioni del ricorrente in ordine alle movimentazioni bancarie, in sostanza riproducendo la sintetica motivazione del Giudice di prime cure, senza dar conto di quanto dedotto ed eccepito dall’Ufficio e rendendo così una motivazione apparente; a riprova di ciò, osserva che, oltre ai maggiori ricavi da movimentazioni bancarie, erano stati recuperati ulteriori ricavi per euro 72.299,93 e costi indeducibili per euro 35.337,00 su cui nessuna pronuncia era stata resa dalla CTR. 2.1. Il motivo è infondato. 2.2. E’ noto chenon essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi - che si convertono in violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale", di "motivazione apparente", di "manifesta ed irriducibile contraddittorietà" e di "motivazione perplessa od incomprensibile", purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022). Questa Corte ha, altresì, precisato che «la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da "error in procedendo", quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 9105 del 2017). 2.3. In questo caso la motivazione della sentenza raggiunge il c.d. “minimo costituzionale”, presenta una ratio decidendi chiaramente intelligibile con un percorso logico – giuridico chiaramente delineato: secondo i Giudici di merito, il contribuente aveva fornito giustificazioni riguardo alle movimentazioni bancarie contestate e aveva indicato le attività diverse da quella di telefonia cui si riferivano quelle operazioni (gestione di un distributore di carburante, attività di compravendita immobiliare) ma l'Agenzia non aveva svolto alcuna verifica o accertamento in merito; il silenzio della CTR su specifici recuperi, quindi, non dimostra la mancanza di motivazione della sentenza ma rappresenta, tutt’al più, una ipotesi di omessa pronuncia da censurare ex art. art. 112 c.p.c. 3. Con il terzo motivo deduce, in relazione agli artt. 360 comma 1 nn. 3 e 4, nullità della sentenza per assoluto difetto di motivazione, violazione e falsa applicazione dell’art. 32 d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 51 del d.P.R. n. 633/1972 nonché dell’art. 2697 c.c., per aver la CTR erroneamente applicato la presunzione iuris tantum che pone a carico del contribuente l’onere di giustificare prelevamenti e versamenti sui conti correnti, aggravando l’Ufficio di oneri di verifica e riscontro che non sono previsti dalle norme, in un contesto in cui l’Ufficio aveva richiesto giustificazioni su una serie di operazioni bancarie, dettagliate per autosufficienza in ricorso (v. pagg. 29 e segg.), non giustificate o giustificate senza produzione di idonea documentazione probatoria da parte del contribuente. 3.1. Il motivo è ammissibile, denunziando una falsa applicazione di legge riconducibile al n. 3 dell’art. 360 comma 1 c.p.c. e non ricade nella preclusione di cui all’art. 348 ter comma 5 c.p.c. (c.d. “doppia conforme”), eccepita dal controricorrente, che riguarda soltanto il paradigma censorio al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. Infondata, poi, è l’ulteriore questione sollevata dal contribuente circa l’acquiescenza dell’Agenzia a quella parte della sentenza d’appello in cui si è accertata la mancata indicazione della categoria di reddito a cui ascrivere l’imponibile recuperato a tassazione; tale argomento non costituisce autonoma ratio decidendi ma è uno dei profili che ha indotto il Giudice d’appello a concludere che l’Agenzia non avesse assolto il suo onere di prova con riferimento agli accertamenti bancari; la censura in esame, dolendosi dell’applicazione della presunzione legale effettuata dalla CTR, involge anche quell’aspetto. 3.2. Ciò premesso, il motivo è fondato. 3.3. Va rammentato il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui «Le presunzioni legali in favore dell'erario derivanti dagli accertamenti bancari determinano in capo al contribuente un preciso ed analitico onere della prova contraria che non può essere assolto solo attraverso il ricorso a dichiarazioni di terzi, non potendo queste ultime assurgere né a rango di prove esclusive della provenienza del reddito accertato, né essere idonee, di per sé, a fondare il convincimento del Giudice» (Cass. n. 6405 del 2021; Cass. n. 22302 del 2022). Incombeva, quindi, sul contribuente l’onere di superare la presunzione di legge attraverso la dimostrazione in modo analitico dell'estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili mentre il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all'efficacia dimostrativa delle prove fornite, avuto riguardo ad ogni singola movimentazione e dandone conto in motivazione (Cass. n. 35258 del 2021; Cass. n. 11696 del 2021; Cass. n. 4428 del 2020); in questo caso ha errato la CTR, che invece di valutare analiticamente le giustificazioni fornite dal contribuente, ha aggravato gli oneri di allegazione e prova in capo all’Amministrazione, che è soltanto tenuta a dare la prova dei movimenti in entrata e in uscita operati dal contribuente su conto corrente bancario, anche intestato a terzi, trattandosi di elemento costitutivo della pretesa creditoria (Cass. n. 34638 del 2022). 4. Con il quarto motivo deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2425 e 2425 bis c.c. in quanto non era stato istituito il conto/banca e le operazioni bancarie poste in essere dal contribuente non risultavano contabilizzate sul libro giornale con conseguente inattendibilità delle scritture contabili. 4.1. Il motivo resta assorbito nell’accoglimento del precedente. 5. Con il quinto motivo deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n,. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973 nonché degli artt. 18 e 24 del d.lgs. n. 546/1992 per infondatezza dell’eccezione del contribuente in ordine alla nullità dell’avviso di accertamento a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015. 5.1. Il motivo, dedotto in subordine, è comunque inammissibile per carenza di interesse poiché la questione non è stata neppure trattata dal Giudice del merito. 6. Conclusivamente, accolto il terzo motivo, assorbito il quarto e rigettati gli altri, la causa deve essere rinviata alla Corte di merito per gli accertamenti del caso e per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbito il quarto e rigettati gli altri; cassa di conseguenza la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 06/12/2023. Il Consigliere estensore Il Presidente GIOVANNI LA ROCCA ERNESTINO LUIGI BRUSCHETTA
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere Dott. DI LAURO Davide - Consigliere Dott. SESSA Gennaro - Relatore ha pronunziato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da De.Gi., nato a P il (Omissis), avverso le ordinanze nelle date del 05/03/2024, del 06/03/2024 e dell'08/03/2024 del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Teramo; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Gennaro Sessa; lette le conclusioni scritte con cui il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Stefano Tocci, ha chiesto che sia dichiarata l'inammissibilità del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanze del 05/03/2024, del 06/03/2024 e dell'08/03/2024, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Teramo ha rigettato la richiesta di autorizzazione ai colloqui telefonici con la propria madre e con la propria coniuge presentata nell'interesse di De.Gi.. 2. Avverso tali ordinanze ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del De., avv.to De.Mo., che ha articolato un unico motivo di ricorso, di seguito sintetizzato conformemente al disposto dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con tale motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 18, 18 - ter ord. pen. e 39 D.P.R. n. 230 del 2000 e vizio di motivazione per carenza. Osserva, in specie, che ciascuno dei menzionati provvedimenti reiettivi risulterebbe fondato sul mero stato detentivo della coniuge dell'indagato richiedente e sulla supposta, ma invero indimostrata esistenza di rapporti tra quest'ultima e la genitrice del predetto, in evidente violazione della previsione dell'art. 18 ord. pen., che riconosce specifico rilievo al mantenimento dei legami familiari e che, nell'ermeneusi offertane dalla giurisprudenza di legittimità, prescrive che le relative limitazioni siano consentite solo in presenza di ben individuate esigenze concrete, in tesi non indicate, oltre che nel rispetto del procedimento delineato nell'art. 18 - ter ord. pen.. 3. Il procedimento è stato trattato in udienza camerale con le forme e con le modalità di cui all'art. 23, commi 8 e 9, del d.l. n. 137/2020, convertito dalla legge n. 176 del 2020, i cui effetti sono stati prorogati dall'art. 7 del d.l. n. 105 del 2021, convertito dalla legge n. 126 del 2021 e, ancora, dall'art. 16 del d.l. n. 228 del 2021, convertito dalla legge n. 15 del 2022. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso presentato nell'interesse di De.Gi. è manifestamente infondato per le ragioni che di seguito si espongono. 2. Privo di pregio è l'unico motivo di ricorso, con cui si lamenta violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 18 e 18 - ter ord. pen. e vizio di motivazione per carenza, assumendo che ciascuno dei provvedimenti reiettivi de quibus sarebbe fondato esclusivamente sullo stato detentivo della coniuge dell'indagato richiedente e sulla supposta, ma non dimostrata sussistenza di rapporti tra quest'ultima e la genitrice del predetto, in evidente violazione delle evocate disposizioni normative, che riconoscono rilievo al mantenimento dei legami familiari durante la fase di carcerazione. Rileva preliminarmente il Collegio che i provvedimenti del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Teramo, reiettivi delle richieste di ammissione ai colloqui telefonici avanzate, in più occasioni, dall'indagato, in quanto incidenti sulla libertà di comunicazione riconosciuta e tutelata dall'art. 15 Cost., sono ricorribili per cassazione solo per violazione di legge ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost.. Tanto premesso, si ritiene che del disposto di cui all'art. 18 ord. pen., di cui è denunziata la violazione, sia stata, invece, effettuata corretta applicazione, risultando emessa ognuna delle ordinanze impugnate dal giudice funzionalmente competente, in esito all'acquisizione del prescritto parere del pubblico ministero ed essendo le stesse corredate da sintetiche, ma idonee motivazioni, esplicative delle ragioni - individuate, in specie, nell'esigenza di contenere il pericolo di inquinamento probatorio - giustificative del tenore dei provvedimenti. La sussistenza delle prescritte motivazioni esclude, in radice, la dedotta violazione del disposto di cui all'art. 18 ord. pen.. Non viene, invece, in rilievo nel caso di specie il disposto dell'art. 18 - ter ord. pen., egualmente evocato in ricorso, disciplinando tale norma la diversa materia della corrispondenza epistolare e telegrafica e prevedendo, peraltro, il diverso regime di impugnabilità, costituito dalla reclamabilità dinanzi al Tribunale del circondario in cui ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento reiettivo. 3. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v'è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Cosi deciso il 14 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere Dott. DI LAURO Davide - Consigliere Dott. SESSA Gennaro - Relatore ha pronunziato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Co.Al., nato a R il (Omissis), avverso l'ordinanza in data 24/01/2024 del Tribunale di Roma, Sezione per il riesame; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Gennaro Sessa; lette le conclusioni scritte con cui il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Ferdinando Lignola, ha chiesto che sia dichiarata l'inammissibilità del ricorso; letta la memoria presentata, il 05/04/2024, dal difensore dell'imputato, con cui si insiste per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza in data 24/01/2024, il Tribunale di Roma, Sezione per il riesame, ha confermato l'ordinanza con la quale, il precedente 13/10/2023, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Velletri aveva applicato, nei confronti di Co.Al., la misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai delitti di illecita detenzione di sostanze stupefacenti e di illecita detenzione di armi comuni da sparo. 2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del Co., avv.to Pi.Ma., che ha articolato un unico motivo di ricorso, di seguito sintetizzato conformemente al disposto dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con tale motivo lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l'inosservanza della norma processuale di cui all'art. 192, comma 3, cod. proc. pen.. Sostiene in proposito che nell'ordinanza oggetto d'impugnativa sarebbe stata frettolosamente affermata la credibilità del chiamante in correità Da.Si. - soggetto che si vuole animato, in primis, dal proposito di contenere le proprie responsabilità - e sarebbe stata erroneamente riconosciuta valenza di riscontri estrinseci ai dieta, tutt'altro che genuini, della di lui compagna Di.Al. e alle risultanze dell'attività di osservazione svolta dal personale dei carabinieri operanti. 3. Il medesimo difensore ha depositato poi una memoria, in data 05/04/2024, insistendo per l'accoglimento del ricorso. 4. Il procedimento è stato trattato in udienza camerale con le forme e con le modalità di cui all'art. 23, commi 8 e 9, del d.l. n. 137/2020, convertito dalla legge n. 176 del 2020, i cui effetti sono stati prorogati dall'art. 7 del d.l. n. 105 del 2021, convertito dalla legge n. 126 del 2021 e, ancora, dall'art. 16 del d.l. n. 228 del 2021, convertito dalla legge n. 15 del 2022. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso presentato nell'interesse di Co.Al. è manifestamente infondato per le ragioni che di seguito si espongono. 2. Destituito di fondamento è l'unico motivo di ricorso, con cui si lamenta l'inosservanza della norma processuale di cui all'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., sostenendo che nell'ordinanza impugnata sarebbe stata indebitamente affermata la credibilità del chiamante in correità Da.Si. - soggetto, in tesi, animato dal proposito di limitare le proprie responsabilità - e sarebbe stata erroneamente riconosciuta valenza di riscontri estrinseci ai dieta, nient'affatto genuini, della di lui compagna Di.Al. e alle risultanze dell'attività di osservazione svolta dai carabinieri. Rileva preliminarmente il Collegio che costituisce consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, al quale s'intende dare continuità, quello secondo cui "In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito" (così, da ultimo, Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628, nonché, in precedenza, Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884 - 01, Sez. 6, n. 11194 dell'08/03/2012, Lupo, Rv. 252178 - 01 e Sez. 5, n. 46124 dell'08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997 - 01). Fatta tale premessa, è a dirsi che, nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la sussistenza di un quadro indiziario connotato dalla richiesta gravità non risulta affatto affermata in violazione del disposto di cui all'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., avendo il Tribunale distrettuale fondato le proprie conclusioni sulle dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie provenienti dal coindagato Da.Si. - propalante di cui ha previamente apprezzato la credibilità e del cui narrato ha positivamente vagliato l'attendibilità - e sui riscontri estrinseci offerti, con specifico riguardo alla frequentazione del ricorrente, dai dieta della convivente del predetto Di.Al. e dalle risultanze dell'attività di osservazione svolta dai carabinieri presso l'abitazione al cui interno erano custoditi gli stupefacenti e le armi. Tanto rende evidente l'insussistenza della dedotta inosservanza dell'evocata disposizione processuale, doglianza con la quale, a ben vedere, si sollecita, in sostanza, una rivalutazione dei fatti, preclusa nel giudizio di legittimità, in ragione dei limiti ad esso correlati. 3. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v'è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1 - ter, disp. att. cod. proc. pen.. Così deciso il 14 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. SERRAO Eugenia - Presidente Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: El.El. nato il (Omissis); avverso l'ordinanza del 15/12/2023 del TRIB. RIESAME di BOLOGNA; udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA LUISA ANGELA RICCI; lette le conclusioni del PG LUCIA ODELLO che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza pronunciata a norma dell'art. 309 cod. proc. pen., il Tribunale di Bologna ha confermato l'ordinanza del 23 ottobre 2023 con cui il Giudice per le Indagini Preliminari di Bologna aveva applicato nei confronti di El.El. in ordine al delitto di cui all'art. 74 D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (capo 1), commesso "in B struttura presente, operativa e tuttora permanente", la misura della custodia cautelare in carcere poi sostituita con ordinanza del 23 novembre 2023 con la misura degli arresti domiciliari. Il Tribunale ha ritenuto la gravità del quadro indiziario in ragione degli esiti di una articolata attività di indagine, condotta attraverso operazioni di intercettazione, videoriprese e servizi di osservazione, sequestri di plurimi quantitativi di stupefacente di varia tipologia e arresti in flagranza, che avevano fatto emergere un'associazione criminosa composta da cittadini (Omissis) dediti al commercio illecito di sostanze stupefacenti in grado di movimentare con cadenza settimanale quantitativi pari a svariati chilogrammi di cocaina e hashish. In tale contesto associativo, caratterizzato da struttura piramidale articolata su più livelli con suddivisione di ruoli, operante con diramazioni in diversi quartieri cittadini, era emersa la figura di El.El. quale capo e organizzatore, che gestiva in prima persona i canali di approvvigionamento dei vari tipi di sostanze stupefacenti trattate dal sodalizio e che, per il tramite dei coindagati Ou.Za. e Re.Mo., impartiva diposizioni agli spacciatori al dettaglio. 2. Contro l'ordinanza, la difesa dell'indagato ha proposto ricorso formulando un unico motivo con cui ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato associativo con il ruolo di capo organizzatore. Il difensore lamenta che la motivazione adottata dal Tribunale del riesame sarebbe stereotipata, tanto che in alcuni punti nella stessa si fa menzione anche dei gravi indizi in ordine ai reati fine, non oggetto di contestazione. Tale rilievo - osserva il difensore - vale anche per la motivazione con cui il Tribunale aveva respinto l'eccezione di nullità della ordinanza applicativa della misura per non avere il G.I.P. valutato autonomamente la gravità indiziaria: invero il Tribunale, a riprova dell'utilizzo di formule stereotipate, aveva affermato che il G.I.P. aveva proceduto alla disamina degli elementi indiziari anche dei reati scopo, quando, invece, come detto, al ricorrente era stato contestato solo il reato associativo. Il Tribunale, inoltre, aveva ritenuto che in sede di riesame non fosse stata contestata la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato associativo per il quale era stata applicata la misura, ignorando, tuttavia, che la contestazione del difetto di autonomia valutativa da parte del Gip comportava necessariamente anche la contestazione sulla gravità indiziaria in generale. In ogni caso il Tribunale ai sensi dell'art. 309, comma 9, cod. proc. pen. era tenuto ad operare la valutazione sulla sussistenza dei gravi indizi anche in assenza di contestazione. L'apprezzamento delle esigenze cautelari, infine, doveva ritenersi viziato in quanto non sorretto dalla disamina critica della esistenza della gravità indiziaria in ordine al reato associativo. 3. Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto Lucia Odello, ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. 4. Il difensore dell'indagato con memoria del 29 marzo 2024, in replica alle conclusioni del Procuratore Generale, ha insistito per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 2. Il Tribunale, in replica alla eccezione di nullità dell'ordinanza genetica per assenza di autonoma valutazione, ha osservato che, a prescindere dal difetto di specificità della eccezione difensiva, che non aveva indicato gli aspetti dei quali era stata omessa la valutazione, il G.I.P. aveva dato prova di avere effettuato una autonoma considerazione e valutazione del materiale indiziario in atti. Se era vero, infatti, che, nella trattazione dei reati fine aveva richiamato e riportato quanto esposto dal Pubblico Ministero nella richiesta di misura, è altrettanto vero che di tale operazione lo stesso giudice aveva dato atto, sul presupposto che l'esposizione del Pubblico Ministero fosse esaustiva e completa, e aveva svolto valutazioni conclusive alle pagine 226-228 dell'ordinanza, con cui, a riprova dello svolgimento di un vaglio autonomo e penetrante, aveva anche escluso la gravità indiziaria in relazione ad alcuni specifici episodi. Analoghe considerazioni dovevano essere formulate - secondo il Tribunale - anche con riferimento al passaggio della motivazione relativo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato associativo, posto che anche per tale profilo il Gip ha dapprima richiamato la prospettazione del Pubblico Ministero, per poi svolgere alle pagine 290-292 proprie autonome valutazioni in riferimento sia alla configurabilità degli elementi costitutivi del reato associativo, sia in riferimento al ruolo rivestito dai singoli indagati, tra cui l'odierno ricorrente. Il Tribunale ha, indi, osservato come, in difetto di espressa contestazione specifica relativa alla sussistenza del reato contestato al ricorrente, e in assenza di elementi di riscontro negativo rispetto alla ricostruzione e valutazione operata dai G.I.P. l'ordinanza dovesse essere confermata. 2.1. L'impostazione del Tribunale e il rigetto della eccezione di nullità dell'ordinanza genetica appaiono rispettosi del dettato normativo, così come interpretato nella elaborazione della giurisprudenza di legittimità. Invero l'assolvimento dell'obbligo posto dall'art. 292, comma 1 lett. c), cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 47 del 2015, può dirsi compiuto anche quando l'ordinanza cautelare operi un richiamo, in tutto o in parte, ad altri atti del procedimento, a condizione che il giudice, per ciascuna contestazione e posizione, svolga un effettivo vaglio degli elementi di fatto ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini dell'affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari nel caso concreto; quel che rileva - è stato detto - è che dal contesto del provvedimento, risulti evidente la ragione giustificativa della misura in relazione ai soggetti attinti ed agli addebiti, di volta in volta, considerati per essi sussistenti (Sez. 6 n. 30744 del 20/06/2018, Vizzi, Rv. 273658). Il requisito della autonoma valutazione, infatti, si riferisce alla motivazione nel suo complesso e non a ciascuna contestazione e ad ogni singolo indagato, poiché con esso si esprime l'esito finale della verifica compiuta dal giudice sulla richiesta cautelare (cfr. sez. 5 n. 11985 del 07/12/2017, dep. 2018, Santoro, Rv. 272939). Di contro il ricorrente per cassazione, che denunci la nullità dell'ordinanza cautelare per omessa autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, ha l'onere di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali detta omissione abbia impedito apprezzamenti di segno contrario di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate (cfr. sez. 1 n. 333 del 28/11/2018, dep. 2019, Esposito, Rv. 274760). 2.2. A fronte del percorso argomentativo indicato, il motivo di ricorso deve ritenersi inammissibile per difetto di specificità, in quanto il ricorrente non indica quali aspetti non siano stati presi in considerazione e le ragioni per cui la eventuale omissione abbia impedito di giungere a conclusioni diverse rispetto a quelle adottate. Il motivo è, comunque, manifestamente infondato. Il richiamo da parte del Tribunale al passaggio dell'ordinanza genetica in cui erano stati analizzati i reati scopo non contestati al ricorrente, lungi dall'essere espressione di una motivazione stereotipata, appare, invece, pertinente e funzionale a dare conto delle ragioni per cui i giudici avevano ritenuto che il G.I.P. avesse assolto all'onere di autonoma valutazione di cui all'art. 292 comma 2 lett. c) cod. proc. pen. con riferimento all'intero compendio indiziario. Infine manifestamente infondata è la censura relativa alla mancata motivazione da parte del Tribunale in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati contestati al ricorrente. Da un lato la censura relativa alla gravità indiziaria, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, non è ontologicamente ricompresa in quella relativa alla nullità dell'ordinanza genetica per assenza di autonoma valutazione da parte del G.I.P: la mancanza di autonomo vaglio del materiale indiziario non sottende affatto l'assenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati oggetto di contestazione. Il Tribunale, in ogni caso, ha adempiuto al dovere di motivazione attraverso il legittimo richiamo per relationem alle argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato, a fronte dell'assenza di articolate deduzioni difensive idonee a disarticolare il ragionamento probatorio (Sez. 1, n. 8676 del 15/01/2018, Falduto, Rv. 272628; Sez 6, n. 566 del 29/10/2015, del 2016, Nappiello, Rv. 265765). 3. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 17 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. MICCICHE' Loredana - Relatore Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Di.Vi. nato a S il (Omissis) avverso l'ordinanza del 23/12/2023 della CORTE APPELLO di POTENZA udita la relazione svolta dal Consigliere LOREDANA MICCICHE'; lette le conclusioni del PG che ha chiesto l'inammissibilità del ricorso RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'Appello di Potenza, con ordinanza del 23 dicembre 2023, dichiarava inammissibile l'istanza di riparazione avanzata da Di.Vi. per l'ingiusta detenzione carceraria subita in eccesso rispetto alle condanne riportate. 2. Il ricorrente aveva rappresentato l'ingiustizia della detenzione subita in quanto, a causa della erronea dichiarazione di incompetenza della Corte di appello di Potenza a pronunciarsi sul riconoscimento della continuazione, rispetto al reato già giudicato per il quale stava espiando la pena, dei reati oggetto delle condanne risultanti da due precedenti sentenze, si era determinato un ritardo nella esatta determinazione della pena da eseguire. Di conseguenza, egli aveva patito un periodo di ingiusta detenzione pari a mesi dieci e giorni 7. 3. Il giudice della riparazione rilevava che: 1) l'istanza di riconoscimento della continuazione era stata depositata dal ricorrente avanti alla Corte d'appello di Potenza che, con ordinanza del 13 luglio 2021, si era dichiarata incompetente; 2) il Tribunale di Lagonegro aveva sollevato il conflitto di competenza, risolto dalla Corte di Cassazione, che aveva riconosciuto la competenza della Corte d'Appello di Potenza; 3) il 10 marzo 2023 la predetta Corte territoriale aveva accolto l'istanza del Di. e, applicando la continuazione, aveva detratto la pena di anni uno e mesi 5 di reclusione dal cumulo; 4) per l'effetto, il Di. veniva dunque rimesso in libertà ; 5) non si versava, però, in ipotesi di ingiusta detenzione in fase esecutiva, posto che, da un lato, non era configurabile l'erroneità dell'ordine di esecuzione originariamente emesso, e, dall'altro, che la diversa entità della pena da espiare fosse stata determinata da una ordinaria vicenda processuale, relativa ad una questione di competenza. 4. L'istante, a mezzo del proprio difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione. 5. Con unico motivo, il ricorrente lamenta, ex art. 606, c. 1, lett. b), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione all'art. 314 cod. proc. pen. La pronuncia impugnata aveva del tutto ignorato il principio, più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui le vicende della fase di esecuzione della pena rilevano ai fini della riparazione per l'ingiusta detenzione se vi è un errore della autorità procedente che non può mai rinvenirsi nell'esercizio di un apprezzamento discrezionale, ma va ricercato in eventuali violazioni di legge. Era dunque palese che la Corte d'Appello di Potenza, dichiaratasi incompetente sulla richiesta di riconoscimento della continuazione, era incorsa in una plateale violazione di legge, accertata dal provvedimento della Corte di Cassazione che aveva pronunciato sul conflitto, con ciò determinando l'erronea determinazione della pena in fase esecutiva e l'ingiusta detenzione subita. 6. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta ritualmente presentata, ha concluso per il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. 2. Occorre ricordare la fondamentale pronunzia della Consulta che ha riguardato la norma di cui all'art. 314 cod. proc. pen., (sentenza n. 310 del 18 - 25 luglio 1996). Con la sentenza citata, la Corte costituzionale ha riconosciuto la sussistenza del diritto alla equa riparazione anche nel caso di detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., e violazione dell'art. 5 della Convenzione EDU che prevede il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste. 3. Questa Corte di cassazione è stata più volte chiamata ad esprimersi in ordine ai casi di eccedenza tra la detenzione subita e la pena rideterminata a seguito di vicende successive alla condanna. E non vi è dubbio che in tale ambito rientri la fattispecie in esame, in cui la eccedenza tra detenzione sofferta e pena eseguita o eseguibile è conseguita a una vicenda posteriore, ossia a seguito del procedimento di rideterminazione complessiva della pena da scontare da parte del Di. operata in un procedimento in fase esecutiva avente ad oggetto il riconoscimento del vincolo della continuazione con i reati già definitivamente accertati. 4. Tra le pronunzie più significative al riguardo, si rammenta Cass., Sez. 4, n. 57203 del 21/09/2017, ric. P.G. in proc. Paraschiva e altro, Rv. 271689, secondo cui "in tema di ingiusta detenzione, il diritto alla riparazione è configurabile anche ove l'ingiusta detenzione patita derivi da vicende successive alla condanna, connesse all'esecuzione della pena, purché sussista un errore dell'autorità procedente e non ricorra un comportamento doloso o gravemente colposo dell'interessato che sia stata concausa dell'errore o del ritardo nell'emissione del nuovo ordine di esecuzione recante la corretta data del fine dell'espiazione della pena". Nella motivazione della sentenza da ultimo richiamata, che ha operato una rilettura complessiva dell'istituto alla luce delle sentenze di legittimità costituzionale intervenute sull'art. 314 cod. proc. pen., è stato opportunamente chiarito che "Anche le vicende della fase dell'esecuzione della pena rilevano ai fini della applicabilità dell'istituto disciplinato dall'art. 314 cod. proc. pen., sempre che da esse derivi una ingiustizia della detenzione patita. Ingiustizia che, come emerge dalla giurisprudenza sin qui rammentata, si innesta su un errore dell'autorità procedente (errore che, per definizione, non può mai rinvenirsi nell'esercizio di un potere di apprezzamento discrezionale e che quindi va ricercato nelle eventuali violazioni di legge)". 5. In particolare, la citata sentenza della Sez. 4, n. 57203 del 21/09/2017, Parischiva e altro, Rv. 271689, ha illustrato le plurime fattispecie di ordine di esecuzione illegittimo - o divenuto tale successivamente - per fattori non ascrivibili a comportamento doloso o colposo del condannato, nelle quali questa Corte, in applicazione dei predetti principi, ha riconosciuto il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione: a) ordine di esecuzione legittimamente emesso, ma relativo a pena che, a causa del lungo arco temporale intercorso tra l'emissione del titolo e la sua esecuzione, si era poi estinta ex art. 172 cod. pen. (senza che rilevasse l'assenza di un'espressa declaratoria di estinzione della pena) (Sez. 4, n. 45247 del 20/10/2015, Myteveli,Rv. 264895); b) ordine di esecuzione relativo a pena già estinta per indulto, anche se non ancora applicato dal giudice di esecuzione (Sez. 4, n. 30492 del 12/06/2014, Riva, Rv. 262240); c) periodo di detenzione eccedente a quello risultante dall'applicazione della liberazione anticipata, in conseguenza di un ordine di esecuzione non ancora aggiornato al nuovo fine pena (Sez. 4, n. 18542 del 14/01/2014, Truzzi, Rv. 259210); d) tardiva esecuzione dell'ordine di scarcerazione disposto per liberazione anticipata per il periodo di detenzione ingiustamente sofferto (Sez. 4, n. 47993 del 30/09/2016, Pittau, Rv. 268617). 6. Si sono, poi aggiunti altri casi, quale quello della esecuzione sofferta in virtù di ordine di esecuzione legittimo, ma successivamente revocato per effetto di provvedimento di restituzione in termini per proporre impugnazione e successiva assoluzione (Sez. 4, n. 54838 del 13/11/2018, Panait Murs, non massimata), di applicazione dell'isolamento diurno per erronea predisposizione di ordine di esecuzione (Sez. 4, n. 18358 del 10/01/2019, Mafodda, Rv. 276258) e di sentenza dichiarativa di non doversi procedere per ne bis in idem pronunciata ai sensi dell'art. 649 comma 2, cod. proc. pen., a seguito della rescissione del precedente giudicato in ragione della nullità del decreto di latitanza (Sez. 4, n. 42328 del 02/05/2017, Saulo, Rv. 270818). La sentenza n. 57203 del 21/09/2017 cit. ha effettuato un'ampia ricognizione della casistica delle pronunzie della Corte europea dei diritti dell'uomo in tema di detenzione ingiusta (soprattutto in tema di liberazione anticipata), tutte convergenti nel senso della più ampia tutela in caso di ingiusta detenzione per errore nella fase dell'esecuzione della pena. E, sulla scorta di tali principi si è recentemente nuovamente affermato che "il diritto alia riparazione per ingiusta detenzione è configurabile anche ove quest'ultima derivi dalla illegittimità, originaria o sopravvenuta, dell'ordine di esecuzione, sempre che la stessa non dipenda da un comportamento doloso o colposo del condannato" (Sez. 4, n. 1718 del 14/01/2021, Marinkovic, Rv. 281151). 7. Tanto chiarito, deve dunque concludersi nel senso che, alla luce del percorso interpretativo ed applicativo dell'art. 314 a seguito degli interventi della Consulta, l'indennizzo è dovuto se la pena definitivamente inflitta superi quella sofferta in fase cautelare, restando invece escluse le vicende di rideterminazione della pena avvenute in fase esecutiva, ad eccezione del caso di illegittimità, originaria o sopravvenuta, dell'ordine di esecuzione. Non può invece configurarsi il diritto all'indennizzo in tutte le ipotesi in cui una rideterminazione della pena in una misura inferiore a quella sofferta non sia originata da una violazione di legge, ma dipenda dall'attività prettamente discrezionale di apprezzamento valutativo del giudice. 8.' Orbene, è del tutto evidente che, nel caso in esame, la riduzione della pena inflitta al Di., che ha inciso posteriormente sull'ordine di esecuzione, è avvenuta per effetto della applicazione, in suo favore, dell'istituto della continuazione ed è pertanto frutto di una ordinaria attività valutativa dei giudici di merito, a prescindere dalle vicende processuali (quale il conflitto di competenza) che hanno caratterizzato l'iter decisionale del giudizio. Riconoscere o meno che tra differenti ipotesi di reato separatamente giudicate sia configurabile il vincolo della continuazione, infatti, implica un chiaro giudizio di merito, senza che possa ipotizzarsi alcuna violazione di legge. E ciò, come detto, è del tutto indipendente dalla concreta vicenda processuale che ha caratterizzato il giudizio avente ad oggetto il riconoscimento del vincolo della continuazione, riconoscimento che poteva anche essere negato. 9. Tanto basta ad escludere il diritto all'indennizzo reclamato dal ricorrente, come già più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità (sez 4, n. 24208 del 10/5/23, Iamonte, n.m.; sez. 4, n.226532 del 10/5/2023, Iamonte, n.m.). 10. Si impone pertanto il rigetto del ricorso, cui segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. 11. Non si ritiene di dover procedere alla liquidazione delle spese sostenute dal Ministero resistente. La memoria depositata, infatti, si limita a riportare principi giurisprudenziali in materia di riparazione per ingiusta detenzione senza confrontarsi con i motivi di ricorso, sicché non può dirsi che l'Avvocatura dello Stato abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un'attività diretta a contrastare la pretesa del ricorrente (sull'argomento, con riferimento alle spese sostenute nel giudizio di legittimità dalla parte civile, da ultimo, Sez. U, n. 877 del 14/07/2022 dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886; Sez. U., n. 5466, del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716; Sez. 4, n. 36535 del 15/09/2021, A., Rv. 281923; Sez. 3, n. 27987 del 24/03/2021, G., Rv. 281713). P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla sulle spese in favore del Ministero resistente. Così deciso in Roma il 18 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. SERRAO Eugenia - Presidente Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Ou.Za. nato il (Omissis); avverso l'ordinanza del 15/12/2023 del TRIB. RIESAME di BOLOGNA; udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA LUISA ANGELA RICCI; lette le conclusioni del PG LUCIA ODELLO che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza pronunciata a norma dell'art. 309 cod. proc. pen., il Tribunale di Bologna ha confermato l'ordinanza del 23 ottobre 2023, con cui il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Bologna aveva applicato nei confronti di Ou.Za., in ordine al delitto di cui all'art. 74 D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (capo 1), commesso "in B struttura presente, operativa e tuttora permanente", e a plurimi delitti scopo di cui agli artt. 73, comma 1, D.P.R. n. 309/90 (capi 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 33 e 83), commessi tutti nei primi mesi dell'anno 2020, la misura della custodia cautelare in carcere, poi sostituita con ordinanza dello stesso G.I.P. del 28 novembre 2023 con quella degli arresti domiciliari. 1.1. Il Tribunale ha ritenuto la gravità del quadro indiziario in ragione degli esiti di una articolata attività di indagine, condotta attraverso operazioni di intercettazione, videoriprese e servizi di osservazione, sequestri di plurimi quantitativi di stupefacente di varia tipologia e arresti in flagranza, che avevamo fatto emergere un'associazione criminosa composta da cittadini (Omissis) dediti al commercio illecito di sostanze stupefacenti, in grado di movimentare con cadenza settimanale quantitativi pari a svariati chilogrammi di cocaina e hashish. 1.2. In tale contesto associativo, caratterizzato da struttura piramidale articolata su più livelli con suddivisione di ruoli, operante con diramazioni in diversi quartieri cittadini, era emersa la figura di Ou.Za., quale capo e promotore del sodalizio, con il ruolo di primo responsabile della piazza di spaccio delle "C", attiva nell'ambito del quartiere C e affidata a Ou.Sa., a sua volta coordinatore di diversi altri giovani; di punto di riferimento di altri sodali responsabili della gestione della piazza di spaccio del C; di sistematico approvvigionatore di sostanze stupefacenti per i sodali responsabili della gestione delle piazze di spaccio dei quartieri B e B; promotore e autore di attività di spaccio al dettaglio nei confronti di una fitta rete di consumatori abituali. 2. Contro l'ordinanza, la difesa dell'indagato ha proposto ricorso formulando un unico motivo con cui ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato associativo e dei reati scopo, nonché alla mancata configurazione, in ordine a questi ultimi, dell'ipotesi di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/90. II difensore lamenta che il Tribunale avrebbe adottato una motivazione standardizzata con riferimento a tutti gli indagati attinti da misura e avrebbe sostenuto in maniera erronea che in sede di riesame non fossero stati contestati i gravi indizi, quando invece tale contestazione era insita in quella relativa all'assenza di autonoma valutazione da parte del Gip della richiesta di misura avanzata dal Pubblico Ministero. Osserva, inoltre, che il rigetto da parte del Tribunale della eccezione di nullità dell'ordinanza genetica in quanto priva di autonoma valutazione, era stato anch'esso motivato in maniera carente e standardizzata. 3. Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto Lucia Odello, ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 2. Il Tribunale, in replica alla eccezione di nullità dell'ordinanza genetica per assenza di autonoma valutazione, ha osservato che, a prescindere dal difetto di specificità della eccezione difensiva che non aveva indicato gli aspetti specifici dei quali era stata omessa la valutazione, il G.I.P. aveva dato prova di avere effettuato una autonoma considerazione e valutazione del materiale indiziario in atti. Se era vero, infatti, che, nella trattazione dei reati fine aveva richiamato e riportato quanto esposto dal Pubblico Ministero nella richiesta di misura, è altrettanto vero che di tale operazione lo stesso giudice aveva dato atto, sul presupposto che l'esposizione del Pubblico Ministero fosse esaustiva e completa, e aveva, poi, svolto valutazioni conclusive alle pagine 226-228 dell'ordinanza, con cui, a riprova dello svolgimento di un vaglio autonomo e penetrante, aveva anche escluso la gravità indiziaria in relazione ad alcuni specifici episodi. Analoghe considerazioni dovevano essere formulate anche con riferimento al passaggio della motivazione relativo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato associativo, posto che anche per tale profilo il G.I.P. ha dapprima richiamato la prospettazione del Pubblico Ministero, per poi svolgere alle pagine 290-292 proprie autonome valutazioni in riferimento sia alla configurabilità degli elementi costitutivi del reato associativo, sia in riferimento al ruolo rivestito dai singoli indagati, tra cui l'odierno ricorrente. Il Tribunale ha, indi, osservato come, in difetto di espressa contestazione specifica relativa alla sussistenza del reato contestato al ricorrente, è in assenza di elementi di riscontro negativo rispetto alla ricostruzione e valutazione operata dal Gip, l'ordinanza dovesse essere confermata. 3. L'impostazione del Tribunale e il rigetto della eccezione di nullità dell'ordinanza genetica appaiono rispettosi del dettato normativo, cosi come interpretato nella elaborazione della giurisprudenza di legittimità. Invero l'assolvimento dell'obbligo posto dall'art. 292, comma 1 lett. c), cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 47 del 2015, può dirsi compiuto anche quando l'ordinanza cautelare operi un richiamo, in tutto o in parte, ad altri atti del procedimento, a condizione che il giudice, per ciascuna contestazione e posizione, svolga un effettivo vaglio degli elementi di fatto ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini dell'affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari nel caso concreto; tuttavia, in presenza di posizioni analoghe o di imputazioni descrittive di fatti commessi con modalità "seriali", non è necessario che il giudice ribadisca ogni volta le regole di giudizio alle quali si è ispirato, potendo ricorrere ad una valutazione cumulativa purché, dal contesto del provvedimento, risulti evidente la ragione giustificativa della misura in relazione ai soggetti attinti ed agli addebiti, di volta in volta, considerati per essi sussistenti (Sez. 6 n. 30744 del 20/06/2018, Vizzi, Rv. 273658). Il requisito della autonoma valutazione, infatti, si riferisce alla motivazione nel suo complesso e non a ciascuna contestazione e ad ogni singolo indagato, poiché con esso si esprime l'esito finale della verifica compiuta dal giudice sulla richiesta cautelare (cfr. sez. 5 n. 11985 del 07/12/2017, dep. 2018, Santoro, Rv. 272939). La giurisprudenza di legittimità ha anche chiarito che il ricorrente per cassazione, nel denunciare la nullità dell'ordinanza cautelare per omessa autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, ha l'onere di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali detta omissione abbia impedito apprezzamenti di segno contrario di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate (Sez. 1 n. 333 del 28/11/2018, dep. 2019, Esposito, Rv. 274760). 3.1. A fronte della motivazione su indicata, come visto perfettamente coerente con i principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, il ricorrente si è limitato a ribadire la stessa generica eccezione di nullità già avanzata in sede di riesame. Il difensore non ha specificato, ancora una volta, quali aspetti non sarebbero stati autonomamente valutati e in che senso tale omissione avrebbe inciso sulla valutazione finale e non si è confrontato con i passaggi dell'ordinanza che avevano evidenziato gli indici di autonoma valutazione da parte del giudice della cautela del compendio indiziario sottopostogli dal Pubblico Ministero. Infine manifestamente infondata è la censura relativa alla mancata motivazione da parte del Tribunale in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati contestati al ricorrente. Da un lato la censura relativa alla gravità indiziaria, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, non è ontologicamente ricompresa in quella relativa alla nullità dell'ordinanza genetica per assenza di autonoma valutazione da parte del G.I.P: la mancanza di autonomo vaglio del materiale indiziario non sottende affatto l'assenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati oggetto di contestazione. Il Tribunale, in ogni caso, ha adempiuto al dovere di motivazione attraverso il legittimo richiamo per relationem alle argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato, a fronte dell'assenza di articolate deduzioni difensive idonee a disarticolare il ragionamento probatorio (Sez. 1, n. 8676 del 15/01/2018, Falduto, Rv. 272628; Sez 6, n. 566 del 29/10/2015, del 2016, Nappiello, Rv. 265765). 4. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende Così deciso il 17 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2024.
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