Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Calabria

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7033 del 2023, proposto da Ii. Ca. in proprio e quale legale Rappresentante della ditta Individuale Ja. Vi. di Ii. Ca., rappresentate e difese dagli avvocati St. Zu., e Vi. Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Vi. Ce. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Sm. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Reggio Calabria, via (...); Regione Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero della Cultura - Soprintendenza per Belle Arti e Paesaggio della Calabria, Agenzia del Demanio, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Capitaneria di Porto di Reggio Calabria, Autorità di Bacino Distrettuale dell'Appennino Meridionale, Ente Parco Nazionale dell'Aspromonte, Città Metropolitana di Reggio Calabria, Regione Calabria - Servizio Tecnico Regionale Vigilanza e Controllo Oo.Pp. Norme Sismiche, Sc. Fr., non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria sezione staccata di Reggio Calabria n. 41/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della Regione Calabria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini e uditi per la parte appellante l'Avv. Vi. Ce.; Viste le conclusioni delle parti appellate come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso proposto avverso la determinazione dirigenziale del Comune di (omissis) in data 19 maggio 2021, avente ad oggetto l'annullamento del provvedimento di aggiudicazione di area demaniale marittima. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze in fatto 1. Con determina del 27 gennaio 2020 il Comune di (omissis) approvata il bando di gara per la concessione dei lotti individuati nel Piano Comunale di Spiaggia approvato con determina dirigenziale n. 62 del 9 aprile 2019 della città Metropolitana di Reggio Calabria. La ricorrente partecipava alla procedura presentando la propria offerta per il lotto C1 (area attrezzata per la sostanza di camper e/o roulotte). Il progetto presentato prevedeva la realizzazione di un'area da adibire ad attività di pubblico interesse, ovvero: Area giochi per bambini, con l'installazione di giochi gonfiabili e giochi smontabili; Area piscina, con ombrelloni, realizzata in vetroresina già prefabbricata, facilmente amovibile; Punto attività collettive, mediante l'installazione di un chiosco/gazebo; Area barbecue, mediante l'installazione di un barbecue; Aree di parcheggio camper, con pavimentazione di tipo permeabile, ombreggiata, con pergolato in legno amovibile di dimensioni pari a circa m 6,00 x,8,00; Punto di bar/ritrovo, con il posizionamento di sedie e tavolini; Punto lavanderia; Punto postazione del guardiano e/o punto informazione turistica, attrezzature antincendio e attrezzatura sanitaria; Servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia. All'esito della valutazione delle proposte progettuali secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa la ditta risultava aggiudicataria. Con determinazione n. 28 del 17 aprile 2020 il responsabile dell'Area Tecnica e Territorio - Servizio II, approvava i verbali di gara nonché l'elenco dei soggetti provvisoriamente aggiudicatari, dando atto che la procedura di rilascio delle concessioni demaniali si sarebbe perfezionata solamente dopo la verifica dei requisiti di cui all'art. 80 del D. Lgs. 50/2016 nonché al perfezionamento delle pratiche edilizie e produttive relative col rilascio dei necessari titoli abilitativi. Così come previsto dall'art. 14 del bando di gara la ricorrente presentava apposita richiesta presso lo Sportello Unico Attività Produttive del Comune di (omissis) preordinata al rilascio delle necessarie autorizzazioni. Con nota prot. 14914 del 23 dicembre 2020 il Comune indiceva apposita conferenza di servizi ex art. 14 e ss. della legge n. 241/90 per l'acquisizione dei pareri, intese, nulla osta o altri atti d'assenso assegnando alle amministrazioni coinvolte i relativi termini per richiedere integrazioni (7 gennaio 2021), esprimere pareri, assensi o nulla osta (22 febbraio 2021), nonché per l'eventuale riunione di conferenza in modalità sincrona (5 marzo 2021). Con successiva nota prot. n. 1929 dell'11 febbraio 2021, resosi necessario reiterare l'invio della documentazione necessaria, veniva disposta la riapertura dei termini per la produzione dei pareri. Con nota prot. n. 4511 del 31 marzo 2021 veniva comunicato alla ricorrente l'avvio del procedimento di annullamento in autotutela del provvedimento di aggiudicazione avendo il Comune preso atto della non conformità del progetto proposto con la disciplina che norma l'area di cui trattasi. Come rilevato, invero, dalla Regione Calabria, con nota del Dipartimento Tutela dell'Ambiente del 17 marzo 2021, l'art. 11 - Area attrezzata per la sosta di camper e/o roulotte delle Norme Tecniche del Piano Comunale di Spiaggia stabilisce al punto 10 che: "11.10 E' consentita la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove possono essere collocati la postazione del guardiano, punto di informazione turistica e servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia" - "i manufatti previsti nel progetto superano la superficie assentibile prevista dall'art. 11 punto 10 delle NTA del PCS che prevede esclusivamente la possibilità di realizzare un manufatto di dimensioni massime pari a mq. 30 come sopra specificato - L'art. 11 delle NTA non prevede la possibilità di realizzare manufatti da destinare a lavanderia, alloggio per il custode, bar e piscina. Il Comune prendeva, pertanto, atto della non conformità del progetto proposto con la disciplina che norma l'area di cui trattasi, in ragione della quale non possono essere inserite le strutture previste, che superano le dimensioni massime consentite in termini di superfici e possiedono destinazioni di utilizzo non contemplate nella norma del piano attuativo vigente, comunicando l'avvio del procedimento finalizzato all'annullamento in autotutela dell'aggiudicazione del lotto C1 alla ditta Ii. Ca., alla quale veniva assegnato un termine di quindici giorni per presentare eventuali osservazioni. Entro i termini assegnati la ditta presentava le proprie osservazioni rilevando che il richiamato articolo 11 delle NTA prevede nei punti 7 e 4 la possibilità di realizzare manufatti da adibire a servizi in aggiunta alla possibilità di realizzare il manufatto di cui al successivo punto 10 con dimensioni massime di 30 mq. Rilevava, peraltro che, anche nell'ottica di una interpretazione più rigorosa dell'art. 11 delle NTA, l'annullamento in autotutela non si giustificherebbe dovendo, invece, attivarsi il soccorso istruttorio consentendo alla ditta di apportare le dovute modifiche al progetto. L'avvio del procedimento di annullamento si fonderebbe, inoltre, su un parere della Regione che nessuna competenza ha in materia. Tuttavia, con determinazione dell'Area Tecnica e Territorio, n. 30 del 19 maggio 2021, il Comune, viste le osservazioni presentate in data 12 aprile 2021, disponeva l'annullamento dell'aggiudicazione del lotto C1 - Area attrezzata per la sosta di camper e/o roulotte (Art. 11 N.T.A.) di cui al Bando per il rilascio di concessione di aree demaniali marittime per finalità turistico-ricreative del 27.01.2020 e contestuale archiviazione della pratica SUAP n. 63 del 30/04/2020 presentata dalla ditta Ii. Ca., avente ad oggetto "richiesta concessione demaniale marittima annuale per attrezzature e sosta camper e/o roulotte - lotto C1" attesa l'illegittimità dell'aggiudicazione in violazione delle norme del piano comunale di spiaggia. La motivazione del sopra richiamato provvedimento di annullamento faceva tra l'altro riferimento alle seguenti circostanze: - la superficie complessivamente occupata dalle strutture (pur non indicata nelle osservazioni) è pari a mq 172,00 a fronte dei 30 previsti dall'art. 11 delle NTA, in evidente contrasto con tale disposizione che, invero, è chiara nel prevedere che tali sono le dimensioni massime delle strutture, comprensive di postazione del guardiano, punto di informazione turistica e servizi igienici. - l'avvio del procedimento non si fonda sul parere della Regione bensì sulla consapevolezza dell'illegittimità che viziava l'aggiudicazione; - non è poi invocabile il soccorso istruttorio non potendosi consentire alla ditta di apportare correzioni al progetto, trattandosi di progetto definitivo e, come tale, non suscettibile di rilevanti stravolgimenti in fase esecutiva. 3. Parte appellante lamenta: - erroneità della sentenza appellata nella parte in cui respinge il ricorso sul presupposto che il parere della Regione non fosse tardivo e considerato atto proprio de Comune nel provvedimento di annullamento della concessione; - error in iudicando: erroneità della sentenza per intrinseca illogicità e contraddittorietà della motivazione, per cui il progetto presentato dalla Ditta contrasterebbe le norme tecniche del piano spiaggia; - errore sui presupposti; - violazione e/o falsa applicazione dell'artt. 1362 e ss. cod. civ in materia di interpretazione delle norme tecniche di attuazione del Piano spiaggia; - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 6-bis del T.U. edilizia; - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Secondo parte appellante: - la Regione Calabria aveva reso un parere che aveva operato una sorta di "interpretazione autentica", non consentita, dell'art. 11 delle N.T.A del PSC; - il provvedimento del Comune sarebbe astrattamente riferibile ad un illegittimo provvedimento di revoca ex art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. I rilievi formulati dall'Amministrazione regionale sarebbero in parte affetti da un vizio di incompetenza, in ordine alla destinazione funzionale degli spazi, in parte da una lettura in malam partem ed estensiva delle N.T.A. L'art. 11 della norma tecnica applicata visto nel suo articolato consentirebbe al suo punto 7 e 4 la realizzazione di manufatti da adibire a servizi (non identificati con un numero chiuso) con caratteristiche costruttive tali da non nuocere al decoro dell'ambiente che non turbino l'estetica e non ostruiscano la visuale al mare, utilizzando materiali costruttivi aventi caratteristiche di precarietà e facile rimozione; Il suo successivo punto 10, secondo una interpretazione teologicamente orientata, coerente sia con l'oggetto sia con la vocazione turistica del territorio, oltre a contemplare i manufatti necessari per svolgere i servizi collegati alla concessione, prevederebbe la facoltà di realizzare un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove poter collocare la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap. I restanti manufatti sarebbero da intendersi come servizi primari per l'intero progetto, le norme nta non citerebbero in nessun punto altri manufatti. Per quanto concerne la piscina, la stessa sarebbe da ritenersi parte integrante delle aree di svago, essendo tra le altre cose una struttura di facile rimozione. Parte appellante fa altresì riferimento all'art. 6 - bis del T.U. edilizia considerata, per la modestia ed irrilevanza urbanistica ed edilizia degli interventi di cui si tratta. Parte appellante ritiene che le determinazioni adottate dal Comune di (omissis) sarebbero affette da un palese difetto di motivazione in quanto nelle stesse non viene specificato, nel disporre l'annullamento in autotutela, quali siano i giudizi valutativi espressi dall'Amministrazione in ordine all'impossibilità di procedere alla stipula del contratto di concessione di cui si tratta pur a fronte della pluralità dei pareri favorevoli espressi dagli enti effettivamente preposti alla tutela dei singoli vincoli individuati sull'area. 4. Parte appellante lamenta erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui respinge il motivo relativo all'azione di annullamento in asserita autotutela del provvedimento di aggiudicazione del lotto C1. Ingiustizia manifesta. Eccesso di potere per violazione dell'art. 14 del bando. Violazione dei principi dell'imparzialità e del buon andamento. Abuso del diritto. Error in iudicando: erroneità della sentenza per intrinseca illogicità e contraddittorietà della motivazione. Errore sui presupposti. Difetto di istruttoria e di motivazione. Violazione o falsa applicazione dell'art. 14 e 14 bis della l.n. 241/1990. Il provvedimento del Comune, sarebbe in realtà astrattamente riferibile ad un illegittimo provvedimento di revoca ex art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Parte appellante fa riferimento ai pareri favorevoli espressi dalle amministrazioni interessate. La Regione Calabria, con decreto dirigenziale n. 4929 del 12 maggio 2021, relativamente alla procedura di incidenza ai sensi della DGR 749/2009 e s.m.i. - direttiva habitat 92 43 CEE Direttiva Uccelli 79 409 CEE DPR 357 97 - ha espresso parere favorevole di valutazione di incidenza con prescrizioni. Parte appellante fa poi riferimento al parere favorevole espresso dalla Città Metropolitana di Reggio Calabria con nota prot. 3558 del 18 gennaio 2021 in ordine al vincolo paesaggistico insistente sull'area interessata dall'intervento. Parte appellante richiama il parere favorevole dell'Ufficio delle Dogane di Reggio Calabria, secondo cui "dall'esame degli elaborati forniti risulta la presenza di una strada pubblica tra il demanio marittimo e l'opera oggetto di richiesta di autorizzazione. Tale circostanza consente di poter annoverare l'opera di che trattasi al di fuori della zona di vigilanza doganale e perciò non soggetta al rilascio dell'autorizzazione ex art. 19 D.lgs. 374/90". Parte appellante richiama altresì il parere favorevole dell'ASL di Reggio Calabria con riferimento all'idoneità igienico-sanitaria del progetto. Secondo parte appellante la sentenza impugnata non affronterebbe il rapporto tra i suddetti pareri e le risultanze della conferenza di servizi. Anche in presenza di pareri negativi l'Amministrazione procedente potrebbe, sulla scorta di una valutazione discrezionale delle posizioni prevalenti, addivenire ad una determinazione conclusiva dell'iter autorizzativo di segno positivo, rimanendo la stessa libera di recepire o meno quanto espresso dalle Amministrazioni in sede di conferenza di servizi. In questo senso, pertanto, il parere negativo espresso dalla Regione non avrebbe potuto impedire l'adozione del provvedimento di autorizzazione, laddove la stessa amministrazione procedente abbia compiuto in sede urbanistica e preliminare del bando una valutazione discrezionale favorevole all'approvazione del progetto. L'amministrazione procedente, al fine di negare la richiesta autorizzazione non potrebbe limitarsi a richiamare acriticamente il contenuto del parere negativo espresso dalla Regione, dovendo invece comporre gli interessi in concorso e adottare un provvedimento finale che sia esito di una autonoma valutazione. Secondo parte appellante assume carattere assorbente la violazione del termine perentorio del 22.02.2021 indicato dall'A.C. per l'acquisizione dei pareri degli enti interessati. Il parere sfavorevole della Regione è giunto solo il 5 marzo del 2021 e quindi avrebbe dovuto essere ritenuto inutiliter dato o quantomeno valutato nel complesso dei pareri di opposto segno resi dagli enti interessati. Fa riferimento al difetto di istruttoria assieme a quello di motivazione atteso che nel provvedimento conclusivo del procedimento si afferma che l'area totale occupata è pari a 170,00 mq a fronte dei 30 mq massimi previsti dall'art. 11 delle N.T.A. Invero nel computo delle opere di cui all'art. 11 delle N.T.A. non potrebbero essere ricomprese, anche alla luce dei chiari pareri degli enti interessati (che anzi hanno condizionato l'espressione di un giudizio favorevole all'adeguata capacità ricettiva in sicurezza dell'area attrezzata), le strutture serventi, secondo un nesso di collegamento e di proporzionalità, il bene concesso tanto più che si tratta di opere relative all'igiene dei luoghi; alla sicurezza; al ristoro delle persone. Opere di tale ininfluente impatto da non rilevare e incidere su alcuno degli interessi oggetto di tutela nell'area interessata. 5. Parte appellante lamenta erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha valutato il motivo inerente l'azione di risarcimento del danno derivante da annullamento (rectius revoca) dell'aggiudicazione conseguente all'impugnazione delle determinazioni amministrative di caducazione dell'aggiudicazione e di indizione di una nuova gara. Azione risarcitoria ex art. 30, co. III, del c.p.a. Violazione del principio di proporzionalità . Sproporzione. Ingiustizia manifesta. Violazione del principio di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa. Violazione dell'art. 97 della Costituzione. Parte appellante chiede la restituzione (a titolo risarcitorio) delle spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla procedura di gara e per la finalizzazione delle attività susseguenti l'aggiudicazione. In subordine chiede il risarcimento per via equitativa in misura non inferiore al 10% del valore della concessione perduta. 6. L'appello è infondato. Il provvedimento di annullamento dell'aggiudicazione non è stato adottato, come ritiene parte appellante, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, ma a causa della riscontrata illegittimità del provvedimento di aggiudicazione, ritenuto in contrasto con le vigenti NTA del piano comunale di spiaggia. Tale provvedimento è stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento e le osservazioni presentate da parte appellante sono state oggetto di specifico esame. Non sussiste il lamentato difetto di motivazione. Il provvedimento di annullamento, così come la precedente nota di comunicazione di avvio del procedimento, individua nella non conformità del progetto presentato dalla ricorrente con il punto 10 dell'art. 11 delle NTA del Piano Comunale di Spiaggia le ragioni di illegittimità dell'aggiudicazione. Il progetto, invero, in quanto non compatibile con le suddette norme tecniche non avrebbe potuto essere oggetto di valutazione né, conseguentemente, di aggiudicazione, anche considerando la necessaria tutela della par condicio tra i concorrenti. Con il provvedimento reso in autotutela il Comune ha specificamente motivato riguardo la sussistenza di un interesse pubblico rispetto al mero ripristino della legalità . Infatti trattasi dell'interesse alla tutela del territorio e dell'interesse della parità di trattamento dei concorrenti a che sia preso in considerazione un progetto conforme alla normativa vigente. Risulta adeguatamente comparato il sacrificio di parte appellante, considerando che l'intervento non è stato oggetto di rilascio dei permessi abilitativi e dunque non è stato realizzato. Parimenti la tutela della parità dei concorrenti non avrebbe consentito al Comune di richiedere a parte appellante la presentazione di un nuovo progetto, dopo la scadenza del termine di presentazione delle offerte. Correttamente il Tar ha ritenuto infondata la censura secondo cui il provvedimento sarebbe stato adottato sulla base di un parere sfavorevole della Regione attinente ad aspetti (la compatibilità del progetto con le NTA) che non rientrano tra le competenze dell'amministrazione regionale. L'amministrazione comunale, infatti, non si è limitata a richiamare il parere del Settore 3 del Dipartimento Tutela dell'Ambiente della Regione Calabria, ma ha dato atto nel provvedimento impugnato del contrasto del progetto presentato dalla ricorrente in sede di partecipazione alla procedura indetta per il rilascio di concessione di area/e demaniali marittime per finalità turistico-ricreative con l'art. 11, punto 10, delle Norme Tecniche del piano comunale di spiaggia. L'annullamento in autotutela è dunque espressione di autonoma valutazione dell'Amministrazione comunale. Correttamente il Tar ha ritenuto non rilevante la circostanza che le altre amministrazioni coinvolte nella conferenza di servizi abbiano espresso parere favorevole al rilascio della concessione riguardando i suddetti pareri aspetti del tutto diversi ed ulteriori rispetto a quelli afferenti alla incompatibilità del progetto con le norme tecniche di attuazione che ha portato all'annullamento. Ed infatti: - il parere della Città Metropolitana prot. n. 3558 del 18 gennaio 2021, concerne esclusivamente la compatibilità paesaggistica dell'intervento e non costituisce presunzione di legittimità del progetto sotto ogni altro profilo; - il parere dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria prot. n. 86 del 27 gennaio 2021 riguarda esclusivamente l'idoneità igienico sanitaria delle strutture da realizzare; - il decreto n. 4929 del 12 maggio 2021 del Settore 4 del Dipartimento Tutela dell'Ambiente della Regione Calabria riguarda la Valutazione di Incidenza ai sensi del DPR 357/97 e DGR 749/2009 che tiene conto degli impatti potenziali sulla flora, sulla fauna ed avifauna selvatica e più in generale sul complessivo sistema ambientale del sito sensibile. È parimenti infondata la censura di parte appellante, secondo cui l'amministrazione comunale avrebbe erroneamente ritenuto superato il limite di mq 30 previsto dall'articolo 11 delle NTA non potendo ritenersi ricomprese in tale prescrizione le strutture serventi. Il punto 11.10 delle NTA del piano comunale di spiaggia consente, infatti, la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, che ricomprenda la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia. Nel caso in esame il progetto presentato dall'appellante prevedeva, invece, la realizzazione di più manufatti con estensione complessiva ben superiore ai 30 metri quadrati previsti dalla disposizione richiamata (punto di bar/ritrovo di superficie pari a mq. 37,80; punto lavanderia di mq 44,00; punto postazione del guardiano e/o punto informazione turistica, attrezzature antincendio e attrezzature sanitarie di complessivi mq 62; servizi igienici di mq 28,20). Essendo superato il limite di 30 metri quadrati previsto dalle n. t.a., è priva di fondamento la tesi di parte appellante, secondo cui si tratterebbe di interventi minori soggetti ad edificazione libera. Si tratta di intervento non consentito dalle n. t.a. e dunque il Comune non avrebbe in ogni caso potuto determinarsi diversamente. Sebbene - ciò va riconosciuto - di non piana lettura, la norma di riferimento ("11.10 E' consentita la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove possono essere collocati la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia."), non si presta (cfr l'inciso "dove") alla lettura dell'appellante, secondo cui i 30 mq sarebbero implementabili con gli altri manufatti ivi citati, sino ad una possibile cubatura complessiva di mq 170. Correttamente il Tar ha osservato che nessun legittimo affidamento può dirsi ingenerato dall'aggiudicazione poi annullata atteso che il bando di gara subordinava espressamente il rilascio della concessione demaniale marittima all'acquisizione dei necessari pareri, autorizzazioni e nulla osta (art. 14) e che, coerentemente con tale previsione, la determina n. 28 del 17 aprile 2020, di approvazione dei verbali di gara e dell'elenco dei soggetti provvisoriamente aggiudicatari, dava atto che la procedura di rilascio di concessioni demaniali... si perfezionerà solamente dopo la verifica dei requisiti di cui all'art. 80 del D.lgs. n. 50/2016 nonché al perfezionamento delle pratiche edilizie e produttive relative con rilascio dei necessari titoli abilitativi. Proprio per effetto dell'impugnato provvedimento di annullamento dell'aggiudicazione (impugnato in primo grado) i titoli abilitativi non potevano essere rilasciati. Ne consegue l'infondatezza della censura di tardività proposta dall'appellante, anche considerando che sono stati rispettati i termini per l'esercizio dell'autotutela previsti dall'art. 21 - nonies della legge n° 241 del 1990. La responsabilità per avere presentato un progetto difforme dalla normativa vigente grava sul soggetto che ha partecipato alla procedura e dunque su parte appellante. Pertanto non può essere accolta la domanda di risarcitoria in relazione alla lesione dell'affidamento. Né può essere accolta la domanda risarcitoria connessa all'azione impugnatoria, essendo quest'ultima infondata per quanto sopra precisato. Essendo sufficiente il quadro probatorio ai fini della decisione, non può essere accolta l'istanza di consulenza tecnica d'ufficio proposta dall'appellante L'appello deve pertanto essere respinto. La condanna alle spese dell'appello segue la soccombenza, come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante al pagamento delle spese dell'appello nella misura di Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Comune di (omissis) e di Euro 2.000/00 (duemila/00) a favore della Regione Calabria. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 357 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ca. e Ar. Pl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Brescia, via (...); per l'annullamento - del provvedimento disciplinare del 31 gennaio 2022 numero 333/SSA/I/232778, notificato all'interessato in data 8 febbraio 2022 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Marilena Di Paolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso notificato il 1° aprile 2022, l'odierno ricorrente, -OMISSIS-, agente scelto della Polizia di Stato, ha impugnato il decreto del Capo della Polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza emesso il 31 gennaio 2022, notificato l'8 febbraio 2022, con il quale è stata irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi uno, ai sensi dell'art. 6, n. 1 e n. 4, in relazione all'art. 4, n. 3 del d.P.R. n. 737/1981. 2. Il provvedimento disciplinare risulta fondato sulla seguente motivazione: "dall'aprile del 2020 al febbraio del 2021 manteneva, al di fuori di esigenze di servizio, relazioni con compagnie non confacenti al proprio stato. Inoltre, in violazione dei doveri inerenti alle funzioni, rivelava notizie ed informazioni di uffici riguardanti le attività di Polizia giudiziaria e controllo del territorio, turbando la regolarità del servizio". 3. In particolare, il procedimento disciplinare era stato avviato dopo l'arresto di S.A., pregiudicato, avvenuto in Lecco in data 30 ottobre 2020, in concorso con il cittadino albanese F.C., per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, in quanto trovati in possesso di 450 gr di cocaina, oltre 2,3 kg. di hashish e circa 7 gr. di marijuana. 4. Dall'analisi del cellulare di S.A. e dai successivi riscontri sui tabulati telefonici acquisiti in sede di indagine, erano emersi numerosi ed assidui contatti dell'agente scelto -OMISSIS- con il pregiudicato sopraindicato e con i familiari di quest'ultimo, anche dopo il suo arresto. 5. In particolare, tale stretta frequentazione, quasi fraterna, era emersa dai numerosi contatti telefonici, dall'analisi delle chat wh. e da Fa., intrattenuti fino alla mattina del giorno in cui S.A. è stato tratto in arresto, di cui viene dato ampiamente conto nell'annotazione redatta in data 26 febbraio 2021 da personale della Squadra Mobile della Questura di Lecco. 6. Nelle chat intercorse, inoltre, erano state rilevate alcune richieste di informazioni relative al servizio di controllo del territorio svolto dalle volanti che S.A. aveva rivolto a -OMISSIS-, confidando sulla sua disponibilità ; in ben quattro occasioni, tutte documentate, S.A., mentre si trovava in alcuni locali della Provincia di Lecco, aveva inviato all'agente scelto -OMISSIS-, tramite wh., le foto di alcuni avventori, chiedendogli se appartenessero alle FF.OO.: una volta il -OMISSIS- aveva confermato che uno dei soggetti fotografati era effettivamente un appartenente all'Arma dei Carabinieri. In un'altra circostanza, sempre mediante lo stesso mezzo di comunicazione, aveva informato l'amico sulla propria posizione durate il servizio di volante e gli aveva inviato foto raffiguranti sia l'autovettura di servizio che colleghi e persone sottoposte a controlli documentali. 7. Era inoltre emerso un altro rapporto di conoscenza dell'agente scelto -OMISSIS- con altri soggetti trovati in possesso di sostanze stupefacenti e tratti in arresto in data 21 luglio 2020 dalla Polizia Ferroviaria di Milano e il 28 ottobre 2020 dalla Squadra Mobile di Lecco. 8. Pertanto, l'agente scelto -OMISSIS- era stato deferito alla locale A.G. per il reato di rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio. 9. In data 20 aprile 2021, il Pubblico Ministero titolare dell'indagine aveva formulato richiesta di archiviazione per speciale tenuità del fatto, rilevando che: "- non ricorrono le condizioni per dover richiedere l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato; - il reato per cui si procede rientra nella cornice edittale prevista dall'art. 131-bis, commi 1 e 4 c.p.; - non ricorrono le cause ostative di cui all'art. 131-bis, co. 2 e 3 c.p; - le dichiarazioni rese dall'indagato in sede di interrogatorio portano a ritenere le condotte di reato di particolare tenuità, attese le motivazioni addotte alla base delle stesse, ascrivibili ad una superficiale valutazione delle conseguenze penali in relazione alla rivelazione di segreti d'ufficio; - l'instaurazione di un giudizio penale non appare coerente con le finalità per cui questo è stato disegnato dal Legislatore". 10. In data 9 giugno 2021 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecco aveva accolto la richiesta del Pubblico Ministero, emettendo decreto di archiviazione del procedimento penale. 11. Il Questore di Lecco, acquisito il citato decreto in data 29 giugno 2021, a seguito di formale istanza finalizzata a conoscere lo stato del procedimento penale, avviava l'inchiesta disciplinare, ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. n. 737/1981, nominando, con atto del 10 settembre 2021, notificato il 13 settembre 2021, il funzionario istruttore, il quale, a sua volta, in data 21 settembre 2021, formalizzava la contestazione degli addebiti, individuando ex art. 6, commi 1, 4 e 7 della citata normativa, in relazione alla condotta tenuta dall'agente, la sanzione della "sospensione dal servizio". 12. L'agente De Beo, in data 17 ottobre 2021, presentava memoria difensiva, con la quale negava di conoscere i pregiudizi penali a carico di S.A. e dei suoi familiari, nonché contestava di aver rivelato segreti d'ufficio. 13. Il procedimento disciplinare si è concluso con l'adozione del provvedimento disciplinare oggetto dell'odierno ricorso. 14. Si è costituito in giudizio il Ministero dell'Interno per resistere al ricorso depositando documenti e memorie e insistendo per il rigetto del ricorso. 15. All'udienza pubblica del 22 maggio 2024 la causa è passata in decisione. DIRITTO 1. Il ricorso è affidato a tre motivi di illegittimità . 2. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 6, dPR 737/81: il ricorrente sostiene che siano stati violati i termini per l'esercizio del potere disciplinare. A suo dire la contestazione degli addebiti sarebbe avvenuta oltre i 40 giorni dalla comunicazione del decreto di archiviazione, e ciò in violazione dell'art. 9, comma 6, d.P.R. 737/81 che prevede "Quando da un procedimento penale, comunque definito, emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di giorni 120 dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione". 2.1. Il motivo è infondato. 2.2. Si osserva che l'art. 9, comma 6, del d.P.R. 737/81 presuppone che sia stata pronunciata una sentenza, sia essa di condanna o di assoluzione, con la quale sia stato definito il processo penale, situazione che non ricorre nel caso di specie, dove invece non è stata esercitata l'azione penale - si evidenzia - non per infondatezza della notitia criminis, ma per la speciale tenuità del fatto. 2.3. Il citato articolo, inoltre, fa decorrere il dies a quo del termine di decadenza per la contestazione degli addebiti, che coincide con l'inizio del procedimento disciplinare, dalla pubblicazione o dalla notificazione della sentenza, adempimenti non prescritti per il decreto di archiviazione. 2.4. Non trattandosi dunque di casi simili, il citato art. 9, comma 6, non può trovare applicazione analogica come invece sostiene parte ricorrente, dal momento che l'art. 12 delle preleggi prevede che se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe, salvo il divieto di analogia in malam partem, sancito dal successivo art. 14, per le leggi penali e leggi eccezionali. 2.5. Ebbene, nel caso di specie, in virtù del rinvio contenuto nell'art. 31 del d.P.R. n. 737/1981, ai procedimenti disciplinari dell'Amministrazione di pubblica sicurezza è applicabile analogicamente l'art. 103 d.P.R. n. 3/1957, secondo il quale "l'ufficio del personale che abbia comunque notizia di una infrazione disciplinare commessa da un impiegato svolge gli opportuni accertamenti preliminari e, ove ritenga che il fatto sia punibile con la sanzione della censura, rimette gli atti al competente capo ufficio; negli altri casi contesta subito gli addebiti all'impiegato invitandolo a presentare le giustificazioni". 2.6. Per costante giurisprudenza la norma ora citata, secondo cui la contestazione degli addebiti deve avvenire "subito", non mira a vincolare l'Amministrazione all'osservanza di un termine prestabilito e puntuale, tale da comportare col suo decorso la decadenza dell'azione disciplinare, bensì indica una regola di ragionevole prontezza e tempestività, da valutarsi caso per caso in relazione alla gravità dei fatti e alla complessità degli accertamenti preliminari, nonché allo svolgimento effettivo dell'iter procedimentale (ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 6 febbraio 2023, n. 1212). 2.7. Non è infatti previsto, all'art. 12, d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 - che costituisce la normativa speciale rispetto a quella generale dettata dal d.P.R. n. 3 del 1957 -, alcun termine perentorio per la contestazione degli addebiti disciplinari a carico degli agenti della Polizia di Stato, con la conseguenza che l'Amministrazione procedente deve ottemperare solo ad una regola di ragionevole prontezza nell'effettuare detta contestazione; inoltre, l'uso del termine "subito" nel contesto dell'art. 103, d.P.R. n. 3 del 1957, ai fini della contestazione degli addebiti, per l'orientamento giurisprudenziale consolidato, presenta una mera valenza sollecitatoria, sicché residua all'Amministrazione un ampio spazio di azione ai fini dell'espletamento degli adempimenti finalizzati al reperimento e alla valutazione degli elementi relativi alle vicende oggetto di esame; infatti, nel procedimento disciplinare a carico dell'agente di Polizia di Stato - che ha inizio con la contestazione degli addebiti e termina con l'adozione del provvedimento sanzionatorio o con il proscioglimento dell'incolpato - vanno distinti i termini inderogabili, che sono quelli posti a garanzia dell'inquisito, e cioè quelli previsti per la presentazione delle giustificazioni, la presa di visione degli atti e, appunto, per il preavviso di trattazione davanti alla Commissione, da quelli ordinatori o sollecitatori, che sono tutti gli altri termini (Consiglio di Stato sez. III 20 giugno 2018 n. 3779, T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. V, 23 febbraio 2024, n. 718). 2.8. Ciò chiarito, va ulteriormente precisato che il d.P.R. n. 737/1981 non indica puntualmente quale sia l'atto di avvio del procedimento disciplinare, ossia quello che materialmente impedisce la decadenza dal potere, sicché spetta all'interprete individuarlo. 2.9. Orbene, analizzando il corpus normativo va rilevato come per l'irrogazione del richiamo scritto, della pena pecuniaria e della deplorazione il procedimento si avvia con la contestazione scritta degli addebiti (v. artt. 17 e 18 d.P.R. 737 cit.); viceversa, nel caso delle sanzioni più gravi, il primo atto del procedimento è la nomina del funzionario istruttore (art. 19, comma 2 d.P.R. 737 cit.), il quale comunica l'avvio (rectius, contesta per iscritto gli addebiti) al dipendente entro 10 giorni. 2.10. Nel caso di specie, dunque, il termine di riferimento è da individuarsi nel 13 settembre 2021, data in cui il Questore di Lecco aveva disposto l'espletamento di una inchiesta disciplinare notificando la nomina del funzionario istruttore, e la contestazione degli addebiti è avvenuta il 21 settembre 2021. 2.11. Sulla ragionevolezza dei termini per la contestazione degli addebiti, considerata la natura afflittiva del procedimento disciplinare, si osserva inoltre che nella disciplina del procedimento sanzionatorio contenuta nella L. 689/81, l'art. 14 prescrive che la contestazione degli addebiti deve essere fatta "immediatamente" e se la contestazione non è avvenuta immediatamente, deve essere fatta entro il termine di 90 giorni. Da ciò si trae dunque un ulteriore argomento per sostenere la ragionevolezza del termine entro il quale è avvenuta la contestazione degli addebiti e cioè nel termine di 85 giorni. 2.12. Ebbene, il periodo intercorso tra il fatto, la segnalazione (29 giugno 2021) e l'avvio del procedimento disciplinare, considerando anche l'approssimarsi del periodo estivo (luglio - agosto) in cui l'attività lavorativa subisce un naturale rallentamento legato al godimento delle ferie da parte del personale, si è manifestato in linea con quei criteri di ragionevole prontezza e tempestività di cui sopra, rendendo manifestamente infondata la doglianza del ricorrente. 3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti posti a fondamento della sanzione, violazione della sfera della discrezionalità della P.A., violazione e falsa applicazione dell'art. 6 d.P.R. 737/81: in sintesi, il ricorrente sostiene che l'Amministrazione avrebbe erroneamente riportato la sua condotta alle fattispecie previste dall'art. 6 comma III, cioè ai casi in cui: - vengono poste in essere in modo abituale o reiterato le mancanze sanzionate con la pena pecuniaria; - si sia ricevuta una condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo che non comporti la destituzione di diritto; - l'aver denigrato l'Amministrazione o i superiori; - l'aver tenuto un comportamento che produce turbamento nella regolarità o nella continuità del servizio di istituto; - l'aver tollerato abusi commessi da dipendenti; - aver compiuto atti contrari ai doveri derivanti dalla subordinazione; - l'assidua frequenza, senza necessità di servizio ed in maniera da suscitare pubblico scandalo, di persone dedite ad attività immorale o contro il buon costume ovvero di pregiudicati; - l'uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope risultante da referto medico 8 legale; - l'allontanamento senza autorizzazione, dalla sede di servizio per un periodo superiore a cinque giorni; - l'omessa o ritardata presentazione in servizio per un periodo superiore a quarantotto ore e inferiore a cinque giorni o, comunque, nei casi in cui l'omissione o la ritardata presentazione in servizio di cui all'art. 4, n. 10, provochi gravi disservizi ovvero sia reiterata o abituale. Non solo la condotta tenuta dall'odierno ricorrente non rientrerebbe affatto nelle fattispecie sopra descritte ma, a suo dire, l'Amministrazione non avrebbe considerato che il decreto di archiviazione avrebbe ritenuto non gravi i fatti e il giudice penale non avrebbe svolto alcun tipo di accertamento dei fatti. Infine, il ricorrente esclude la consapevolezza e la conoscenza dei precedenti penali a carico del soggetto tratto in arresto. 4. Il motivo non è fondato. 4.1. Innanzitutto si osserva che il provvedimento impugnato si fonda sui fatti tipici di cui all'art. 6, n. 1 e n. 4, in relazione all'art. 4, n. 3 del d.P.R. n. 737/1981. 4.2. La fattispecie di cui al combinato disposto degli artt. 6, n. 1 e n. 4, e 4, n. 3, del d.P.R. n. 737/1981 contempla le "mancanze...di particolare gravità ovvero...reiterate o abituali" in relazione al "mantenimento, al di fuori di esigenze di servizio, di relazioni con persone che notoriamente non godono in pubblico estimazione o la frequenza di locali o compagnie non confacenti al proprio stato" nonché in relazione ad un "comportamento che produce turbamento nella regolarità o nella continuità del servizio di istituto". 4.3. Per quanto riguarda l'infrazione di cui all'art. 4 n. 3 del d.P.R. n. 737/1981, vale a dire il "mantenimento, al di fuori di esigenze di servizio, di relazioni con persone che notoriamente non godono in pubblico estimazione o la frequenza di locali o compagnie non confacenti al proprio stato" dai tabulati telefonici versati negli atti delle indagini preliminari, è emerso che l'agente scelto -OMISSIS- frequentava e aveva instaurato un rapporto di amicizia quasi fraterno con S.A. e con la sua famiglia, rapporto che andava ben al di là di quello di semplice avventore del ristorante di quest'ultimo. Risulta infatti che -OMISSIS- e S.A. si sono tenuti in contatto telefonico e tramite messaggi via chat con una costante frequenza fino alla mattina dell'arresto di S.A. e risulta inoltre che -OMISSIS-, il 23 luglio 2020, aveva scritto a S.A. "-OMISSIS-torna tra noi" informandolo come quest'ultimo, arrestato per droga, fosse stato scarcerato e sottoposto al regime degli arresti domiciliari. Dalla relazione istruttoria redatta dal funzionario istruttore emergono inoltre ulteriori elementi a supporto dello stretto legame instaurato dal -OMISSIS- con la famiglia di S.A.; in particolare, il funzionario istruttore aveva allegato una nota investigativa redatta dal Dirigente della DIGOS di Lecco, che aveva documentato, dopo l'arresto di S.A., un incontro conviviale e amichevole di -OMISSIS- con i parenti di S.A., presso il bar del palazzetto dello sport di Me.. Si legge inoltre che dagli stessi accertamenti investigativi, emergevano altresì contatti del -OMISSIS-, non motivati da finalità istituzionali, con un dipendente di un esercizio commerciale destinatario di una misura interdittiva antimafia e di un cittadino kossovaro, tale -OMISSIS-, entrambi arrestati per reati connessi allo spaccio di sostanze stupefacenti. 4.4. Quanto al procedimento penale a carico del -OMISSIS-, assumono rilevanza le chat che riportano le richieste di informazioni che S.A. gli rivolgeva per identificare eventuali appartenenti alle forze dell'ordine presenti nei locali dallo stesso frequentati e per conoscere la localizzazione delle pattuglie sul territorio, informazioni evidentemente utili per poter svolgere la sua illecita attività di spaccio lontano dalle forze dell'ordine. 4.5. Contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente - la quale sostiene che in sede penale non sarebbe stato svolto alcun accertamento sui fatti - il decreto di archiviazione ex art. 131-bis c.p. per la speciale tenuità del fatto è stato emesso in quanto "le dichiarazioni rese dall'indagato in sede di interrogatorio portano a ritenere le condotte di reato di particolare tenuità, attese le motivazioni addotte alla base delle stesse, ascrivibili ad una superficiale valutazione delle conseguenze penali in relazione alla rivelazione di segreti d'ufficio" e dunque esso è stato adottato sul presupposto di un giudizio di fondatezza della notitia criminis, considerato che l'art. 131-bis c.p. non esclude la responsabilità penale ma prevede una causa di non punibilità per i reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione, applicabile nel caso di specie. 5. Non può quindi negarsi che il comportamento contestato al ricorrente in sede disciplinare sia in contrasto coi doveri del personale della Polizia di Stato e capace di arrecare grave nocumento alla credibilità e al prestigio di quest'ultima, in considerazione delle sue funzioni istituzionali, né è dato cogliere profili di irragionevolezza nella valutazione dell'Amministrazione in merito alla gravità della condotta dell'incolpato, il quale, ancora dopo l'arresto del pregiudicato aveva continuato a mantenere rapporti di convivialità con i parenti dell'arrestato. 6. Occorre rammentare che per il regolamento di servizio dell'Amministrazione della pubblica sicurezza il personale della Polizia di Stato ha il precipuo dovere di "non mantenere, al di fuori di esigenze di servizio, relazioni con persone che notoriamente non godono pubblica estimazione, non frequentare locali o compagnie non confacenti alla dignità della funzione" (art. 12, n. 4, d.P.R. 28 ottobre 1985, n. 782) e di "non frequentare senza necessità di servizio o in maniera da suscitare pubblico scandalo persone dedite ad attività immorali o contro il buon costume ovvero pregiudicate" (art. 12, n. 5, d.P.R. n. 782/85) e, in generale, "deve mantenere una condotta irreprensibile, operando con senso di responsabilità, nella piena coscienza delle finalità e delle conseguenze delle proprie azioni in modo da riscuotere la stima, la fiducia ed il rispetto della collettività, la cui collaborazione deve ritenersi essenziale per un migliore esercizio dei compiti istituzionali, e deve astenersi da comportamenti o atteggiamenti che arrecano pregiudizio al decoro dell'Amministrazione" tenendo anche fuori servizio una "condotta conforme alla dignità delle proprie funzioni" (art. 13 d.P.R. n. 782/85). 6.1. Alla luce degli elementi in atti, il Collegio ritiene che l'apprezzamento dell'Amministrazione dell'Interno in ordine alla sussistenza dei presupposti degli illeciti disciplinari ascritti al dipendente sia esente da palese travisamento dei fatti. 7. Con il terzo e ultimo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l'eccessività della sanzione inflitta: a dire del ricorrente, la sanzione sarebbe del tutto sproporzionata rispetto alla condotta contestata, tenuto anche conto del fatto che, a mente dell'art. 13, comma 1, del d.P.R.737/81, l'organo competente ad infliggere la sanzione deve tener conto di tutte le circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e di servizio del trasgressore, del carattere, dell'età, della qualifica e della anzianità di servizio e sanzionare con maggior rigore le mancanze commesse in servizio o che abbiano prodotto più gravi conseguenze per il servizio, quelle commesse in presenza o in concorso con inferiori o indicanti scarso senso morale e quelle recidive o abituali. Nel caso di specie non vi sarebbe alcuna prova che la mancanza descritta nella nota di contestazione del 21 settembre 2021, anche alla luce del giudizio di tenuità proposto dal P.M. ed accolto dal G.I.P. di Lecco, sia stata reiterata o abituale, o che abbia gettato scandalo nell'Amministrazione. 8. Il motivo è infondato. 8.1. Occorre premettere che per costante giurisprudenza, in punto di individuazione e dosimetria della sanzione disciplinare, l'Amministrazione gode di ampia discrezionalità, sindacabile dal giudice amministrativo solo ab externo nei casi di manifesta irrazionalità, insostenibile illogicità o palese arbitrarietà (ex multis, Cons. St., sez. II, 31 gennaio 2023, n. 1103, cit.; Cons. St., sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 484; T.A.R. Piemonte, sez. I, 13 febbraio 2022, n. 124). 8.2. Nel caso di specie, il funzionario istruttore ha tenuto conto di tutte le circostanze, esposte a pag. 5 della relazione istruttoria, ritenendo prevalente la gravità della condotta in quanto le frequentazioni del -OMISSIS- con soggetti dediti ad attività criminose quali spaccio di sostanze stupefacenti, non sono deontologicamente conformi al regolamento di servizio, cui un appartenente ai ruoli della Polizia di stato ha il dovere di uniformarsi e ciò è stato considerato come altamente lesive del vincolo fiduciario di appartenenza che lega la Polizia di Stato ai propri dipendenti. 8.3. A fronte di un simile riprovevole comportamento, di particolare gravità per il decoro e l'immagine della Polizia di Stato, la sanzione inflitta al ricorrente non appare sproporzionata né illogica. 8.4. Quanto al trasferimento d'ufficio, la giurisprudenza ha chiarito che il trasferimento per motivi di opportunità ed incompatibilità ambientale dell'appartenente alla Polizia di Stato, disposto ai sensi della norma appena citata, "non ha carattere sanzionatorio né disciplinare, non postulando comportamenti sanzionabili in sede penale o disciplinare, ed è condizionato solo alla valutazione del suo presupposto essenziale costituito dalla sussistenza oggettiva di una situazione di fatto lesiva del prestigio, decoro o funzionalità dell'amministrazione che sia, da un lato, riferibile alla presenza del dipendente in una determinata sede e, dall'altro lato, suscettibile di rimozione attraverso l'assegnazione del medesimo ad altra sede" (T.A.R. Milano, sez. III, 30/04/2018, n. 1156; T.A.R. Palermo, sez. I, 18/11/2022, n. 3273; T.A.R. Reggio Calabria, sez. I, 07/12/2021, n. 928; T.A.R. Cagliari, sez. II, 03/07/2019, n. 599). 9. Per quanto sopra esposto il ricorso va dunque respinto. 10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite nei confronti del Ministero dell'Interno che liquida in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) oltre accessori se previsti dalla legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Angelo Gabbricci - Presidente Alessandro Fede - Referendario Marilena Di Paolo - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 13 del 2024, proposto da Consorzio Stabile Re. S.C. a r.l.., La To. Co. S.r.l., in proprio e rispettivamente quale mandataria e mandante del RTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 7654584A89, rappresentate e difese dagli avvocati Al. Bo., Pa. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, ivi domiciliataria ex lege, via (...); nei confronti Impresa De. Im. S.r.l., in proprio e anche mandataria del RTI con Ri. Co. S.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Pa. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ri. Co. S.p.a., in proprio e quale mandante del RTI con De. Im. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento previa sospensiva - del Decreto Provveditoriale prot. n. 20430 del 28.11.2023, relativo all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forli` - 1° stralcio. CUP D69D07000090001 CIG 7654584A89", con cui "è stata confermata l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 06.09.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto indicato in oggetto al Raggruppamento Temporaneo tra Imprese "De. Im. s.r.l. di (omissis) (VA) CF 02692000124 - Ri. Co. s.p.a. di (omissis) (CE) CF 02217930615", risultato 1^ in graduatoria con il punteggio totale di 92,780/100 ed il ribasso del 23,290%, come da verbale di procedura aperta n. 5068 di rep. delle sedute in data 18.06.2019 e 09.07.2019 che, all'esito della disposta istruttoria, tenuto conto delle premesse sopra riferite e dell'esito della pronuncia del CDS, viene nella sostanza confermata", e con cui è stato disposto che "L'appalto è aggiudicato al suddetto RTI per l'importo complessivo netto di Euro 26.745.351,82"; - della nota prot. 20789 del 5.12.2023 con cui l'Ente appaltante ha comunicato al RTI Re. - La To. Co. l'adozione del suddetto provvedimento; - ove occorra, del provvedimento prot. 18407 del 27.10.2023 con cui la stazione appaltante ha comunicato ai sensi dell'art. 7 L. 241/1990 l'avvio del procedimento culminato con l'adozione del gravato Decreto Provveditoriale prot. n. 20430 del 28.11.2023; - ove occorra, del decreto prot. n. U.0017276 del 6.9.2019 con cui è stata disposta l'aggiudicazione nei confronti del RTI Impresa De. Im. S.r.l., nonché della nota prot. n. U0017432 del 9.9.2019 con cui siffatta aggiudicazione è stata comunicata alle odierne ricorrenti a mezzo PEC; - di tutti gli atti presupposti, connessi e successivi al soprarriferito Decreto Provveditoriale, ancorché non conosciuti. NONCHÉ per la dichiarazione di invalidità e comunque di inefficacia del contratto di appalto eventualmente stipulato con gli operatori economici illegittimi aggiudicatari (dichiarandosi, ad ogni effetto, ed ove occorra, anche la disponibilità del ricorrente a subentrare nell'esecuzione dell'appalto ai sensi di quanto previsto dall'art. 122 c.p.a.), E PER LA CONSEGUENTE CONDANNA dell'Ente intimato a risarcire il danno cagionato alla ricorrente in forma specifica ovvero, in subordine, per equivalente monetario nella misura che sarà determinata in corso di causa. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, del Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna, dell'impresa De. Im. S.r.l. e di Ri. Co. S.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2024 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.-Con il ricorso in esame il Consorzio stabile Re. s.c. a r.l. ha impugnato il Decreto del Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia e la Emilia Romagna del 28.11.2023 relativo all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forlì - 1° Stralcio" con il quale è stata confermata l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 6.9.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto al RTI formato da Ri. Co. s.p.a.(mandante) e De. Im. s.r.l. (mandataria) risultato primo in graduatoria. Come evidenziato in ricorso la prima aggiudicazione era a suo tempo stata impugnata dall'odierno istante, Consorzio Stabile Re. e da La To. Co., in proprio e quali imprese componenti il relativo R.T.I, nelle posizioni rispettive di mandante e mandataria deducendo la illegittimità della aggiudicazione in quanto disposta a favore di impresa in procedura concordataria ex art. 161 c. 6 Legge Fallimentare, non ammessa alla continuità aziendale, non avendo presentato, nemmeno al momento della aggiudicazione, il relativo piano e lamentando che il raggruppamento aggiudicatario avrebbe omesso di comunicare alla Stazione appaltante tale circostanza, rilevante ai fini della procedura. L'adito Tribunale Amministrativo con la sentenza n. 76/2020 accoglieva il motivo di ricorso relativo alla dedotta violazione dell'art. 80 c. 5 lett. b) del Decreto Legislativo n. 50/2016 in ragione del fatto che la mandante del raggruppamento aggiudicatario aveva presentato, solo in corso di gara, in data 4.2.2019, domanda di concordato con riserva ai sensi dell'art. 161, comma 6 L. Fall e sul presupposto che in tale evenienza sia preclusa la partecipazione a gare pubbliche. Ha altresì rilevato la violazione dell'art. 80 co.5 bis del Codice degli appalti, in ragione del ritardo con cui la mandataria avrebbe comunicato, solo in data 19.7.2019 a distanza di cinque mesi, il fatto che la mandante avesse presentato la domanda di concordato con riserva. L'adito Tribunale Amministrativo respingeva altresì il ricorso incidentale condizionato proposto dalla mandataria del raggruppamento aggiudicatario volto alla designazione di una nuova impresa mandante, ritenendola non consentita ai sensi dell'art. 48 co. 19 ter d.lgs. 50/2016 poiché volta ad eludere in pendenza di gara il riscontrato mancato possesso dei requisiti di partecipazione. Tale sentenza costituiva oggetto di appello al Consiglio di Stato con due distinti ricorsi poi riuniti proposti dalla Ri. Co. e dalla De. Im. s.r.l., ai quali il Ministero aderiva. La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, registrando un conflitto di orientamenti giurisprudenziali, riteneva di rimettere alla Adunanza Plenaria una serie di questioni concernenti il tema ed i profili della presentazione della domanda di concordato in bianco ai fini della valida partecipazione alla gara. L'Adunanza Plenaria si pronunciava in merito a ciò con la sentenza n. 9 del 2021 affermando in sintesi, per quel che qui rileva, che benchè l'autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica debba intervenire entro il momento dell'aggiudicazione, è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un'autorizzazione tardiva, ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione, possa avere efficacia integrativa o sanante. Successivamente la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4728/2023, si pronunziava sugli appelli e li accoglieva, rigettando il ricorso di primo grado. I provvedimenti impugnati costituiscono, quindi attuazione della suindicata sentenza sul cui vincolo conformativo è sceso il giudicato. Il Consiglio di Stato, in particolare, ha affermato che la domanda di presentazione di un concordato in bianco o con riserva non possa considerarsi causa di automatica esclusione, né inibisca la partecipazione alle procedure per l'affidamento di contratti pubblici. Nel caso di specie si era verificato un mancato rilascio della autorizzazione da parte del Tribunale competente prima della aggiudicazione della gara non essendo stata presentata un'istanza in tale senso dalla impresa concordataria; tale autorizzazione era comunque intervenuta prima della stipula del contratto. Il Consiglio di Stato ha stabilito che questa specifica circostanza comporta la necessità che la stazione appaltante provveda ad una apposita valutazione, alla luce della particolarità del caso concreto, sulla rilevanza e sulla idoneità ad assumere efficacia integrativa o sanante, di tale autorizzazione, sottratta al g.a., ai sensi dell'art. 34 co. 2 c.p.a. e rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante. In tale contesto motivazionale il Consiglio di Stato ha anche espressamente respinto la censura dell'odierna ricorrente secondo la quale non sarebbero stati rispettati, nel caso di specie, gli obblighi informativi a carico dell'impresa, precisando che, se l'informazione alla stazione appaltante deve essere tempestiva ed adeguata in applicazione dei principi di buona fede, leale cooperazione e correttezza, in caso di dichiarazione omessa, parziale o reticente spetterà alla stazione appaltante stessa valutarne l'incidenza sul rapporto fiduciario con l'operatore economico, ma senza nessun automatismo espulsivo. Il Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia ed Emilia Romagna provvedeva, quindi, ad ottemperare a quanto stabilito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4728/2023, comunicando agli interessati l'avvio del procedimento con nota 27.10.2023 n. 18407. L'Amministrazione, in seguito ad istruttoria, adottava il provvedimento di conferma della aggiudicazione qui gravato, ritenendo non inficiato il rapporto fiduciario con il raggruppamento capeggiato da De. Im. s.r.l. tenuto conto anche dell'avvenuta informazione degli sviluppi della procedura concorsuale. A sostegno del gravame le odierne ricorrenti hanno dedotto tre articolati motivi di gravame così riassumibili: I)VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 3 E 10 L. N. 241/90. ECCESSO DI POTERE, DIFETTO DI ISTRUTTORIA, CARENZA DI MOTIVAZIONE, PERPLESSITÀ : la stazione appaltante non avrebbe tenuto in considerazione nella motivazione dell'atto gravato l'articolata memoria presentata dalle ricorrenti. II. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 32, 33, 48, 80, 83 E 84, D.LGS. N. 50/16. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 161 E 186-BIS, L. N. 267/42. VIOLAZIONE DELL'ART. 94, COMMA 5, LETT.D), D.LGS. N. 36/2023. VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO. CARENZA DI MOTIVAZIONE. ECCESSO DI POTERE. IRRAGIONEVOLEZZA. ILLOGICITÀ .TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI PRESUPPOSTI DI DIRITTO. CONTRADDITTORIETÀ . SVIAMENTO: sarebbe mancato l'esame delle criticità riguardanti l'impresa controinteressata, dal momento che a) Ri. ha presentato domanda di concordato "in bianco" il 5.02.2019, nel corso della procedura di gara, senza curarsi di domandare al Giudice fallimentare la prescritta autorizzazione; b) al momento della aggiudicazione disposta il favore del RTI De. - Ri. (9.09.2019), la mandante Ri., che versava in situazione di concordato "in bianco" già dal precedente mese di febbraio, non era autorizzata alla prosecuzione della gara; c) l'autorizzazione al Giudice Fallimentare è stata richiesta da Ri. solo dopo l'aggiudicazione e persino dopo l'impugnazione della stessa aggiudicazione da parte del RTI Re. innanzi al TAR; d) nel caso di specie l'autorizzazione sarebbe stata chiesta ed intervenuta con notevole ritardo e dopo la scadenza del termine legale (60 gg) per la stipula del contratto. III. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 32, 33, 48, 80, 83 E 84,D.LGS. N. 50/16. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT.161 E 186-BIS, L. N. 267/42. VIOLAZIONE DELL'ART. 94, COMMA 5, LETT. D), D.LGS. N.36/2023.VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO. CARENZA DI MOTIVAZIONE. ECCESSO DI POTERE. IRRAGIONEVOLEZZA. ILLOGICITÀ .TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI PRESUPPOSTI DI DIRITTO. CONTRADDITTORIETÀ . SVIAMENTO: sarebbero venuti meno in capo a Ri. Co. s.p.a. i requisiti generali e speciali risultando prospettata la cessione del ramo di azienda, come risultante dal provvedimento assunto dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e non preso in considerazione dalla stazione appaltante al momento della conferma dell'aggiudicazione; sarebbe evidente che Ri. in conseguenza della cessione finirà per privarsi dell'azienda necessaria alla realizzazione dell'appalto. Si sono costituiti il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed il Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna eccependo l'infondatezza di tutti i motivi "ex adverso" dedotti costituendo il provvedimento impugnato esecuzione del giudicato reso "inter partes" e non essendo venuto meno il rapporto fiduciario con la stazione appaltante. Si è costituita De. Im. s.r.l. evidenziando tra l'altro come con la sentenza n. 4728 del 2023 il Consiglio di Stato nell'accogliere gli appelli ha respinto il ricorso di primo grado avverso l'originaria aggiudicazione che dunque non è mai stata annullata; l'attività dell'Amministrazione sarebbe orientata al conseguimento del "risultato" inteso come puntuale esecuzione dei lavori oggetto della gara in ossequio appunto all'omo principio compendiato dall'art. 1 del d.lgs. 36 del 2023 non applicabile "ratione temporis" ma comunque utilizzabile in via interpretativa, come recentemente ritenuto dal Consiglio di Stato. Si è costituita anche Ri. Co. s.p.a. eccependo l'inammissibilità del ricorso in quanto parte ricorrente avrebbe dovuto esperire azione di ottemperanza innanzi al Consiglio di Stato trattandosi di dare esecuzione ai criteri conformativi di cui alla sentenza n. 4728/2023 rappresentando altresì la pendenza nell'ambito della procedura concorsuale della cessione del ramo d'azienda e l'individuazione dell'operatore economico che effettuerà i lavori. Alla camera di consiglio del 24 gennaio 2024 parte ricorrente ha rinunciato alla tutela cautelare in vista della celere fissazione dell'udienza di merito. In prossimità della trattazione nel merito le parti hanno depositato ampie memorie e documentazione insistendo per le conclusioni già rassegnate per la fase cautelare. Segnatamente le ricorrenti hanno insistito per la fondatezza della pretesa azionata evidenziando il mancato apprezzamento da parte dell'Amministrazione della attuale situazione di Ri. Co. allo stato priva dei requisiti richiesti per la realizzazione dei lavori per cui è causa, essendo ancora pendente la cessione del ramo di azienda. La difesa della capogruppo De. Im. s.r.l. ha insistito per il rigetto del gravame eccependo altresì l'inammissibilità delle doglianze dirette a rimettere in discussione profili già coperti dal giudicato così come del terzo motivo per la mancata indicazione del requisito generale di cui Ri. Co. sarebbe priva; non sarebbe "ratione temporis" applicabile l'art 94 co.5 del Codice dei contratti pubblici approvato con d.lgs. n. 36/2023 secondo cui l'autorizzazione deve intervenire prima dell'aggiudicazione. Con memoria la difesa di parte ricorrente ha replicato alle suindicate eccezioni evidenziando come l'oggetto dell'impugnativa sia nuovo atto non meramente confermativo affetto da vizi del tutto autonomi rispetto a quelli prospettati con il ricorso avverso l'originaria aggiudicazione. Anche la difesa di De. Im. ha depositato memoria di replica tra l'altro evidenziando come le doglianze di cui al secondo motivo, per quanto appunto già argomentato nella memoria conclusiva o violano il principio del "ne bis in idem" (pretendendo che l'aggiudicazione sarebbe illegittima per contestazioni già sollevate nel giudizio concluso con la sentenza n. 4728/2023) o contrastano con l'art. 80 del d.lgs 50/2016 e con il principio di tassatività delle cause di esclusione nella parte in cui pretendono di imporre un effetto escludente per i tempi in cui svolge la procedura di approvazione del concordato in corso presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere o per le modalità supposte nel concordato medesimo, quali l'ipotizzata cessione di azienda, modalità e tempi che non rientrano in alcuna delle cause di esclusione previste dall'art. 80 del Codice dei contratti, di cui al D.lgs. 50/2016. Alla pubblica udienza del 8 maggio 2024, uditi i difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1.-E' materia del contendere la legittimità del provvedimento del 28 novembre 2023 con cui il Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia e la Emilia Romagna ha confermato relativamente all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forlì - 1° Stralcio" l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 6.9.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto al RTI tra Ri. Co. spa e De. Im. s.r.l. risultato primo in graduatoria. Lamentano le ricorrenti quali imprese del raggruppamento temporaneo capeggiato dal Consorzio Stabile Re. oltre l'insufficiente motivazione del provvedimento impugnato in relazione alle circostanze sopravvenute, il mancato esame da parte della stazione appaltante della situazione attuale della mandante Ri. Co. s.p.a. asseritamente priva dei requisiti generali e speciali per risultare nuovamente aggiudicataria dei lavori di che trattasi. 2.- Preliminarmente va esaminata l'eccezione di inammissibilità del gravame sollevata da Ri. Co.. Diversamente da quanto argomentato dalla controinteressata, con il ricorso in esame le ricorrenti hanno dedotto vizi almeno in parte del tutto nuovi ed autonomi nei confronti dell'aggiudicazione confermativa intervenuta il 28 novembre 2023, sostenendo la carenza in capo a Ri. dei requisiti ex art. 80 d.lgs. 50/2016 in relazione alla perdurante pendenza della procedura di approvazione del concordato con continuità aziendale presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e dell'ipotizzata cessione del ramo di azienda. Tanto basta, ad avviso del Collegio, per superare l'eccezione e ritener per ciò ammissibile il ricorso vertente quanto meno parzialmente su profili di legittimità sopravvenuti al giudicato riguardanti provvedimento di conferma propria in quanto preceduto da una rinnovata valutazione istruttoria da parte dell'Amministrazione, secondo il consolidato criterio distintivo tra conferma propria ed impropria tracciato dalla giurisprudenza (ex plurimis T.A.R. Lombardia Milano sez. II, 29 settembre 2022, n. 2126). 3.- Sono invece inammissibili per violazione del principio del "ne bis in idem" come eccepito da De. Im. s.r.l. le doglianze di cui al secondo motivo di gravame con cui parte ricorrente di fatto pretende di riproporre censure in realtà già sollevate nel giudizio concluso con la sentenza n. 4728 del 2023. Il giudicato ha infatti come visto già ampiamente rilevato come benchè di norma l'autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica debba intervenire entro il momento dell'aggiudicazione, è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un'autorizzazione tardiva, ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione, possa avere efficacia integrativa o sanante, senza possibilità per il g.a. di compiere tale valutazione per il divieto di cui all'art. 34 co. 2 c.p.a. inerente i poteri autoritativi non esercitati. Con la sentenza n. 4728/2023 il Consiglio di Stato ha anche escluso la violazione dell'obbligo di buona fede da parte dell'aggiudicataria la quale ha correttamente informato la stazione appaltante degli sviluppi della procedura concorsuale. Costituisce "ius receptum" in relazione al processo amministrativo che, ai sensi degli artt. 2929 c.c. e 324 c.p.c., la regola del "ne bis in idem" presuppone l'identità nei due giudizi delle parti in causa e degli elementi identificativi dell'azione proposta e quindi che in quei giudizi sia chiesto l'annullamento degli stessi provvedimenti, o di provvedimenti diversi ma legati da uno stretto vincolo di consequenzialità in quanto inerenti ad un medesimo rapporto, sulla base di identici motivi di impugnazione (ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 10 maggio 2021 n. 3618; Id. sez. IV, 23 giugno 2015, n. 3158; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 3 gennaio 2022, n. 4) 4.- Venendo al merito il terzo motivo di gravame, per quanto argomentato, non merita condivisione. 4.1.- Ai sensi dell'art. 80 co. 5 lett b) del d.lgs. n. 50/ 2016 "pro tempore" applicabile "Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni"...omissis..... " l'operatore economico sia stato sottoposto a liquidazione giudiziale o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o sia in corso nei suoi confronti un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, fermo restando quanto previsto dall'articolo 95 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza adottato in attuazione della delega di cui all'articolo 1 della legge 19 ottobre 2017, n. 155 e dall'articolo 110". La suindicata norma va dunque coordinata con il richiamato art. 110 del Codice del 2016 ai sensi del quale l'impresa ammessa al concordato con continuità aziendale su autorizzazione del giudice delegato anche senza la necessità di avvalersi di requisiti di altro soggetto può partecipare a procedure di affidamento di concessioni e appalti di lavori forniture e servizi. Va poi evidenziato che il concordato con continuità aziendale introdotto dall'art. 186 bis R.D. 16 marzo 1942 n. 267 diversamente da quello "ordinario" prevede la prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore e la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il conferimento in una o più società (Anac Determinazione 23 aprile 2014, n. 3; Cassazione civile sez. I, 16 giugno 2023, n. 17273) Ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento di pubbliche commesse, l'impresa che si trovi in concordato preventivo con continuità aziendale, necessita di autorizzazione del giudice per tutto il periodo compreso tra la presentazione della domanda di accesso al concordato e fino all'omologazione del concordato medesimo, ma non successivamente all'intervenuta omologa: dopo di essa infatti, salvo che non intervengano la risoluzione o l'annullamento del concordato, viene meno l'esigenza dell'autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione, così come non occorre che la partecipazione sia accompagnata dal deposito della relazione di un professionista indipendente attestante la capacità dell'impresa di adempiere al contratto (T.A.R. Toscana sez. III, 20 marzo 2023, n. 286). Una volta ottenuta l'autorizzazione giudiziale - che come chiarito dall'Adunanza Plenaria può intervenire per quanto riguarda le procedure di affidamento soggette all'applicazione del d.lgs. 50/2016 anche successivamente all'aggiudicazione e prima della stipulazione del contratto ove la stazione appaltante dia conto in motivazione delle ragioni di pubblico interesse - la perdurante pendenza della procedura di concordato non è motivo di esclusione contemplato dall'art. 80 co. 5 lett. b) del citato decreto. 4.2.- Come noto per giurisprudenza pacifica le cause di esclusione devono ritenersi di stretta interpretazione e l'eventuale incertezza interpretativa va risolta nel senso di assicurare la più ampia partecipazione dei concorrenti, in omaggio al principio eurounitario del "favor partecipationis"(ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 14 marzo 2016, n. 1015; id., sez. V, 17 marzo 2015, n. 1375.) Nel caso di specie le ricorrenti come visto individuano quale causa di esclusione l'art. 80 co. 5 lett. b) d.lgs. 50/2016 requisito di cui la mandante Ri. Co. del RTI aggiudicatario sarebbe privo. Ma diversamente da quanto prospettato dalla difesa di parte ricorrente non risulta provata l'apertura di un procedimento di liquidazione a carico della mandante Ri. Co. non essendo sufficiente in tal senso la nota depositata e firmata dalla stessa (doc. n. 2) tenuto sempre conto la mera pendenza di una istanza di fallimento o di liquidazione giudiziale non è causa di esclusione dalla gara (C.G.A.S. 24 aprile 2015, n. 363). Giova invece rilevare come ai sensi dell'art. 94 co. 5 lett. d) del d.lgs. n. 36/2023 - non applicabile "ratione temporis" alla procedura di che trattasi - costituisce causa di esclusione automatica la sottoposizione dell'operatore economico a procedura di liquidazione giudiziale e di concordato preventivo in difetto di autorizzazione preventiva "entro la data dell'aggiudicazione" e sempre che "non intervengano ulteriori circostanze escludenti relative alle procedure concorsuali". 4.3.- Non ignora il Collegio come in tale ambito le perplessità avanzate dalle ricorrenti in merito alla concreta possibilità per il raggruppamento aggiudicatario di procedere all'esecuzione dei lavori contrattuali possano avere consistenza, venendo però in rilievo una ragione valevole sul piano dell'opportunità, non sindacabile dall'adito Tribunale al di fuori delle tassative fattispecie di giurisdizione estesa al merito, e non su quello della legittimità in assenza di una corrispondente causa di esclusione tra quelle delineate dalla fonte normativa primaria ratione temporis applicabile alla fattispecie. Nel concordato con continuità aziendale di cui all'art. 186 bis L.F. d'altronde diversamente dal concordato "ordinario" l'obiettivo legislativo del recupero della stabilità aziendale può essere perseguito proprio con la cessione dell'azienda in esercizio (ex multis Cassazione civile sez. I, 5 aprile 2022, n. 10988). Infine non da ultimo trascura parte ricorrente che l'esecuzione del contratto potrebbe essere pur sempre assicurata, se del caso, anche con modifiche meramente interne al raggruppamento ovvero tramite l'apporto della mandataria De. Im. (ex multis Consiglio di Stato Ad. plen., 27 maggio 2021, n. 9). 5.- Il primo motivo di gravame, infine, non merita ugualmente adesione. Trascura parte ricorrente che per giurisprudenza del tutto pacifica la valutazione circa la ricorrenza delle cause facoltative di esclusione dalle gare pubbliche rientra nell'ambito della ampia discrezionalità della P.A. ed è sindacabile solo in caso di manifesta pretestuosità e ai soli fini di un eventuale riesame da parte della stessa P.A. (ex plurimis, Consiglio di Stato, A.P. n. 16/2020; Id. sez. V, 18 ottobre 2022, n. 8864; Id. sez. III, 10 febbraio 2021, n. 1248; id. n. 505/2021; Id, sez. IV, 8 ottobre 2020, n. 5967) e che al contempo l'atto di ammissione (a differenza dell'esclusione) è motivabile "per relationem" ove correlato alle deduzioni del concorrente stesso (ex multis T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 22 novembre 2023, n. 2762; Consiglio di Stato sez. IV, 10 novembre 2021, n. 7501). Nella fattispecie la stazione appaltante previo parere dell'Avvocatura dello Stato e richiamata la più volte citata sentenza n. 4728/2023 del Consiglio di Stato ha non irragionevolmente escluso la sussistenza di ragioni ostative alla conferma dell'aggiudicazione, nell'ambito di una valutazione discrezionale di sua spettanza. 6.- Alla luce delle suesposte argomentazioni il ricorso è in parte inammissibile ed in parte infondato. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite attesa l'obiettiva complessità delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia - Romagna Bologna Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile ed in parte lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Carpentieri - Presidente Mara Bertagnolli - Consigliere Paolo Amovilli - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 225 del 2024, integrato da motivi aggiunti, proposto da Associazione Nu. Id. ET., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG A02AD931CB, rappresentata e difesa dall'avvocato Do. Io., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro la Città Metropolitana di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; il Comune di (omissis), non costituito in giudizio; per l'annullamento Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - del provvedimento, comunicato in data 6.03.2024, di "non ammissione all'apertura dell'offerta economica ai sensi dell'art. 90 c. 1 lett. d) del codice" relativo all'Appalto per l'individuazione di un ente attuatore per l'affidamento in prosecuzione progetto SAI prog. 872-PR2 cat. Ordinari del Comune di (omissis) triennio finanziato 2023/2025 CIG A02AD931CB; - del Bando di Gara, art. 16, nella parte in cui limiterebbe la possibilità di documentare e far valere i requisiti posseduti; - dei verbali della Commissione di Gara; - di ogni altro atto presupposto e conseguente quelli impugnati. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Associazione Nu. Id. ET. il 16/4/2024: - della Determinazione della Stazione Unica Appaltante della Città Metropolitana di Reggio Calabria n. 1224 del 9.04.2024 (Progressivo Servizio n. 69 del 18.03.2024 e Registro Settore n. 64 del 18.03.2024) pubblicata il 10.04.2024, notificata alla ricorrente il 15.04.2024, avente ad oggetto "Approvazione verbali di gara e dichiarazione Esito Infruttuoso accertamento somme in entrata". Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Città Metropolitana di Reggio Calabria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Agata Gabriella Caudullo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; 1. Con ricorso ritualmente proposto l'associazione ricorrente ha impugnato il provvedimento, comunicato il 6 marzo 2024, con cui la Commissione giudicatrice ha disposto la sua esclusione dall'appalto indetto per l'individuazione di un "ente attuatore" per l'affidamento in prosecuzione del progetto SAI prot. 872-PR-2 cat ordinari del Comune di (omissis) per il triennio 2023/2025. La commissione ha disposto, in particolare, la non ammissione alla successiva fase di apertura dell'offerta economica in quanto il punteggio di 13,60 attribuito all'offerta tecnica, prima della prima riparametrazione, non gli consente di raggiungere il punteggio minimo complessivo (cd. Soglia di sbarramento) fissato in 45/80, così come prescritto nel punto 18.1. del bando/disciplinare di gara. Espone la ricorrente di aver richiesto copia verbali di gara relativi alla disposta esclusione con rituale istanza di accesso dell'11 marzo 2024, riscontrata dall'amministrazione in data 18 marzo 2024. Dall'esame dei verbali di gara è emerso che la commissione, nel corso della seduta 5 marzo 2024, avendo rilevato che la relazione presentata dal concorrente è caratterizzata da una descrizione libera dell'offerta tecnica nel senso che la stessa non rispetta i punti descritti dal disciplinare di gara e parte dei criteri e dei sub criteri oggetto di valutazione da parte della Commissione, ha ritenuto di non dover valutare - attribuendo, conseguentemente, un punteggio pari a zero - i punti non trattati. Osserva l'associazione ricorrente che la "non ammissione" alle successive fasi della gara è derivata dalla omessa valutazione della documentazione allegata ed espressamente richiamata dalla relazione tecnica che avrebbe dovuto essere valutata ai fini dell'attribuzione del punteggio. Lamenta, pertanto, la illegittimità del provvedimento di esclusione sotto i profili dell'eccesso di potere per difetto di motivazione e irragionevolezza, della violazione di legge (10 comma 2 D.lgs. 36/2023) e della violazione del principio del favor partecipationis. I. Premette la ricorrente di aver interesse all'impugnazione in quanto la corretta valutazione della relazione tecnica e dei documenti allegati avrebbe comportato certamente l'attribuzione di un punteggio ben superiore al punteggio minimo previsto dalla lex specialis per accedere alla valutazione dell'offerta economica. Non tenendo conto della documentazione allegata alla relazione tecnica l'amministrazione avrebbe ritenuto di non attribuire alcun punteggio in relazione ad alcuni sottocriteri e avrebbe ritenuto, altresì, di dover attribuire, in relazione ad altri sottocriteri, un punteggio inferiore rispetto a quello spettante. II. Atteggiandosi come clausola escludente, l'art. 16 del bando di gara sarebbe nullo nella parte in cui, dopo aver stabilito che la relazione tecnica dovesse essere contenuta in un testo di massimo 25 pagine formato A4, stabilisce che il testo che eccede il limite sopra indicato di 25 pagine non sarà oggetto di valutazione da arte della Commissione e potrà determinare l'esclusione del concorrente ove la mancata valutazione delle pagine eccedenti determini l'incompletezza dell'offerta stessa. III. Contrariamente a quanto asserito dalla Commissione, la relazione tecnica fa riferimento a ciascuno dei servizi indicati nel Capitolato d'Appalto e gli allegati, cui essa rinvia, sono corrispondenti a ciascuno dei criteri e subcriteri indicati nell'art. 18 del bando. IV. In presenza di clausole di portata equivoca non sarebbe possibile disporre l'esclusione dalla gara, ostandovi il principio del favor partecipationis. Nel caso di specie la lex specialis non escludeva la possibilità di allegare documenti alla relazione tecnica e la piattaforma telematica consentiva la produzione di un numero indefinito di allegati. L'associazione ricorrente, pertanto, ha fatto affidamento su questa possibilità . V. Essendo l'Associazione ricorrente unica partecipante alla procedura de qua¸ la valutazione dell'offerta tecnica tenendo conto di tutti i documenti allegati non avrebbe potuto, peraltro, neanche ipoteticamente, comportare una violazione della par condicio partecipationis 2. Con motivi aggiunti notificati e depositati il 16 aprile 2024, parte ricorrente ha impugnato la Determinazione n. 1224 del 9 aprile 2024 con la quale sono stati approvati i verbali di gara lamentandone la illegittimità sotto i medesimi profili già dedotti con il ricorso introduttivo. 3. Si è costituita in giudizio la Città Metropolitana di Reggio Calabria deducendo l'infondatezza del ricorso tenuto conto del fatto che l'associazione ricorrente, nella relazione tecnica prodotta in sede di partecipazione alla gara, ha omesso di trattare molti degli aspetti rilevanti ai fini della valutazione. La proposta progettuale avrebbe dovuto contenere, peraltro, indicazioni quantitative e qualitative in merito alle attività da espletare. Al contrario, la ricorrente si sarebbe per lo più soffermata sull'attività espletata in passato (v. corsi di lingua italiana o attività di formazione svolta durante il precedente affidamento). Quanto alla contestata nullità dell'art. 16 del bando, l'amministrazione resistente ne contesta, in primis, la rilevanza atteso che la relazione tecnica della ricorrente, di appena 20 pagine, non supera il limite ivi stabilito. La documentazione allegata non potrebbe, comunque, colmare le lacune della proposta progettuale. Ed infatti, suddetta proposta, non risultando chiara e definita, impedirebbe ogni verifica in corso di esecuzione dei servizi affidati. Del tutto errato sarebbe l'assunto secondo cui il bando consentiva ai concorrenti di allegare alla relazione tecnica ulteriori documenti essendo questa possibilità prevista esclusivamente con riferimento al sub criterio 4.2. I documenti ai quali parte ricorrente fa riferimento sono stati, inoltre, inseriti all'interno della busta contenente la documentazione amministrativa. Tale produzione, costituita da circa 240 files, sarebbe del tutto inammissibile. 3. All'udienza in camera di consiglio dell'8 maggio 2024 la causa veniva rinviata su concorde richiesta delle parti per consentire al difensore di parte ricorrente di depositare, su supporto informatico, i documenti indicati al punto 7 del foliario depositato con il ricorso principale ("Offerta tecnica con allegati"), non interamente visualizzabili. Con decreto n. 35 del 9 maggio 2024 il Presidente autorizzava tale deposito che veniva effettuato dal ricorrente il successivo 10 maggio 2024. 4. All'udienza in camera di consiglio del 22 maggio 2024, previo avviso alle parti circa la possibilità di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata ai sensi degli artt. 60 e 120 c.p.a., la causa è stata trattenuta in decisione. 5. Il ricorso è infondato. 5.1. L'art. 16 del bando di gara stabiliva: "La relazione tecnica contiene una proposta tecnico-organizzativa, di massimo 25 pagine formato A4, esclusi copertina, indice e documentazione a comprova del criterio 4.2. che illustra, con riferimento ai criteri e sub-criteri di valutazione indicati nella tabella di cui al successivo punto 18.1. i seguenti elementi: 1. Sistema organizzativo dei servizi. 2. Misura atte a favorire l'inserimento. 3. Piano di formazione degli operatori. 4. Migliorie. 5. Mezzi e attrezzature che il soggetto prevede di impiegare nella realizzazione del progetto". Il richiamato art. 18.1 riportava, a sua volta, una tabella nella quale erano individuati, per ciascuno degli elementi elencati nel precedente art. 16, i sub criteri ed il punteggio massimo attribuibile con riferimento a ciascuno di essi, suddiviso tra punteggi discrezionali e punteggi quantitativi. 5.2. La relazione tecnica presentata dalla ricorrente era costituita da complessive 20 pagine, suddivisa in paragrafi corrispondenti ai servizi descritti nel capitolato speciale d'appalto (servizio di accoglienza materiale, mediazione linguistica, orientamento e accesso ai servizi del territorio, formazione e riqualificazione professionale orientamento e accompagnamento all'inserimento lavorativo, sociale e abitativo, tutela legale, tutela psico-socio sanitaria...) ma solo parzialmente corrispondenti agli elementi e ai criteri di cui ai richiamati articoli 16 e 18 del bando di gara. In corrispondenza di ogni paragrafo la relazione riportava la dicitura "vedi atti allegati", senza null'altro specificare in ordine al tipo di allegato, alla sua denominazione o numerazione o, ancora, in ordine alla sua collocazione nell'ambito della documentazione prodotta in gara. Nella busta contenente la documentazione amministrativa risultavano, altresì, inserite 16 cartelle compresse identificate come "allegato offerta tecnica", ciascuna riferita ai criteri e sub criteri di valutazione indicati nella tabella di cui all'art. 18 del bando di gara ma non tutte riconducibili agli argomenti trattati nella relazione tecnica (v. Piano di formazione, Corsi di lingua italiana, Mezzi e attrezzature). 5.3. La commissione giudicatrice ha ritenuto che la relazione non rispettasse i punti descritti dal disciplinare di gara e parte dei criteri e dei sub criteri oggetto di valutazione... risulta(no) non trattat(a) ed ha, conseguentemente, attribuito un punteggio pari a zero in relazione a quegli elementi dell'offerta, corrispondenti ai criteri e ai sub-criteri di valutazione in relazione ai quali nulla veniva indicato nella relazione tecnica (corsi di apprendimento e approfondimento della lingua italiana; programmazione dei corsi di formazione degli operatori, capacità di attivare proposte coerenti con i bisogni dei beneficiari e del territorio, mezzi e attrezzature da impiegare nella realizzazione del progetto). 5.4. Parte ricorrente non contesta che la relazione prodotta non contenesse tutti gli elementi oggetto di valutazione ma lamenta che la commissione avrebbe dovuto fare riferimento ai documenti allegati ai quali essa espressamente rinviava, non potendosi ritenere esclusa dal bando la possibilità di allegare all'offerta tecnica ulteriori documenti. 5.5. L'assunto non può essere condiviso. Non essendo nemmeno in contestazione l'incompletezza della relazione tecnica prodotta in gara dalla ricorrente, deve ritenersi corretto l'operato della commissione giudicatrice che ha ritenuto di non dover attribuire alcun punteggio in relazione a quelle voci che non trovavano riscontro alcuno nella relazione tecnica contenente la proposta progettuale. Tale carenza non avrebbe potuto essere colmata dai documenti allegati. Sotto un primo profilo, invero, contrariamente a quanto asserito dalla parte ricorrente, la lex specialis non prevedeva la possibilità di allegare ulteriori documenti alla relazione tecnica, diversi da quelli espressamente previsti dall'art. 16 del bando (eventuale contratto di avvalimento in caso di avvalimento premiale, documentazione a comprova del criterio 4.2., il progetto di assorbimento ai fini del rispetto della c.d. clausola sociale, eventuale dichiarazione firmata contenente i dettagli dell'offerta coperti da riservatezza). Né tale disposizione può essere considerata equivoca solo perché l'art. 14 dello stesso bando prevedeva che la stazione appaltante potesse chiedere chiarimenti sui contenuti dell'offerta tecnica e dell'offerta economica e su ogni loro allegato, dovendo evidentemente intendersi il rinvio ivi operato a quei documenti che, per espressa previsione della lex specialis, avrebbero potuto essere allegati all'offerta. Ciò trova, peraltro, conferma nel fatto che la stessa ricorrente ha dovuto inserire i documenti denominati "allegato offerta tecnica" nella sezione relativa alla documentazione amministrativa e non nella busta contenente l'offerta tecnica. 5.6. Sotto un ulteriore, non meno rilevante, profilo, occorre inoltre osservare che, in nessun caso la documentazione allegata può sopperire alle carenze della relazione tecnica che, contenendo la proposta progettuale, costituisce la dichiarazione negoziale che impegna il concorrente alla sua esecuzione in caso di aggiudicazione dell'appalto ed è, pertanto, destinata a confluire nel contratto che regolamenta la fase esecutiva del rapporto. Gli allegati avrebbero potuto, pertanto, tutt'al più contenere eventuali approfondimenti tecnici a comprova e supporto di quanto descritto in modo puntuale ed esauriente nella proposta progettuale contenuta nella relazione tecnica che, dunque, non avrebbe dovuto limitarsi ad un generico rinvio alla "documentazione allegata" o agli "atti allegati", neanche puntualmente indicati. I documenti non avrebbero potuto contenere aspetti del tutto nuovi, non esaminati o non affrontati nella relazione tecnica potendo, tutt'al più, illustrare in maniera più approfondita quanto già esposto nella relazione generale, purché vi fosse un espresso e puntuale richiamo nelle singole pagine e paragrafi di quest'ultima (cfr. TAR Bologna, sez. I. sentenza n. 983 del 7 dicembre 2022, in un caso, diverso da quello in esame, in cui la lex specialis prevedeva espressamente la possibilità allegare depliant, fotografie, certificazioni ed altra documentazione tecnica di eventuale approfondimento a corredo dell'offerta tecnica e la relazione tecnica presentata dalla concorrente conteneva tutti gli elementi oggetto di valutazione). Come già evidenziato, la relazione tecnica di parte ricorrente, invece, diversamente da quanto richiesto dal bando di gara (v. art. 16), non illustrava gli elementi del servizio con riferimento a ciascuno dei criteri e sub criteri di valutazione indicati nella tabella riportata nel successivo art. 18. Come correttamente rilevato dalla commissione di gara, i profili e gli aspetti non trattati nella relazione non avrebbero potuto, pertanto, costituire oggetto di valutazione. 5.7. Deve altresì osservarsi che la "non ammissione" alle successive fasi della procedura non è stata disposta in ragione del superamento del limite di pagine ammesso, risultando, pertanto non conducente la censura afferente ad una pretesa nullità dell'articolo 16 che avrebbe introdotto una clausola di esclusione non prevista dalla legge. Tale disposizione prevedeva, invero, che non sarebbero state oggetto di valutazione le pagine -esclusi copertina, indice e documentazione a comprova del criterio 4.2. (accredito presso agenzie di formazione professionale e/o di servizi per il lavoro) - successive alla venticinquesima. Nel caso di specie, tuttavia, la commissione ha valutato nella sua interezza la relazione tecnica, ricompresa in complessive 20 pagine, attribuendole, nondimeno, un punteggio inferiore alla soglia minima di sbarramento pari a 45/80, in quanto alcuni aspetti dell'offerta - corrispondenti ai criteri e sub criteri 1.5. (corsi di apprendimento e approfondimento della lingua italiana), 3.1. (programmazione dei corsi di formazione degli operatori), 4.1. (capacità di attivare proposte coerenti con i bisogni dei beneficiari e del territorio), 5.1. e 5.2. (mezzi e attrezzature da impiegare nella realizzazione del progetto) - non risultavano "trattati" e non potevano, pertanto, essere valutati. In ragione della natura negoziale della proposta progettuale così come contenuta nella relazione tecnica e non anche nei documenti allegati alla documentazione amministrativa, per lo più privi della forma e del contenuto propri della "proposta", nessuna rilevanza può essere assegnata al fatto che la ricorrente fosse l'unica impresa concorrente non essendo in discussione la potenziale lesione della par condicio ma l'individuazione dell'ente attuatore in grado di proporre una soluzione progettuale in linea con le esigenze "minime" dell'amministrazione, garantite anche e per quanto qui di interesse dalla prevista "soglia di sbarramento" che la ricorrente non ha superato. 6. In conclusione, alla luce di quanto dedotto, il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Le spese, da liquidarsi nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti della Città Metropolitana, nulla dovendo disporsi nei confronti del Comune di (omissis) non costituito in giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li rigetta. Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della Città Metropolitana di Reggio Calabria, selle spese di lite che liquida in 2.000,00 (duemila/00) euro, oltre accessori se dovuti. Nulla per le spese nei confronti del Comune di (omissis). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Caterina Criscenti - Presidente Agata Gabriella Caudullo - Primo Referendario, Estensore Alberto Romeo - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 353 del 2023, proposto da El. Za., rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Ar. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Regione Emilia-Romagna, Provincia di Reggio Emilia, non costituiti in giudizio; per l'annullamento - dell''atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 con oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell''art. 14 comma 6 LR 15/2013"; - della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Paola Pozzani, nessuno presente per le parti come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso introduttivo la ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 recante in oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell'art. 14 comma 6 LR 15/2013", e dell'ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi n. 80 del 27.10.2023. Il Comune di (omissis), costituitosi in giudizio il 28 dicembre 2023, ha speso le proprie difese con memoria del 18 gennaio 2024 ed ha depositato memoria ex art. 73 C.p.a. il 4 aprile 2024. La ricorrente ha precisato la propria posizione con memoria depositata in giudizio il 19 aprile 2024. Entrambe le parti hanno depositato copiosa documentazione. Alla pubblica udienza del 22 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO La ricorrente, proprietaria, in (omissis) (RE), via (omissis), di un edificio residenziale in zona agricola, rappresenta che presentava al Comune di (omissis), in data 8.7.2023, prot. n. 8753, una s.c.i.a. in sanatoria avente ad oggetto la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina, del relativo locale tecnico, della pavimentazione perimetrale, di un piccolo fabbricato in legno ad uso spogliatoio e di una tettoia; ricevuti i documenti ed i chiarimenti richiesti, il Comune di (omissis), con atto 11.10.2023 prot. n. 13122 della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio, comunicava alla ricorrente l'inefficacia della s.c.i.a., "verificata l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP; verificata la non applicabilità dell'art. 4.1.3. comma 6 del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq. di SU". Faceva seguito l'ordinanza 27.10.2023 n. 80, con la quale l'Amministrazione comunale ha disposto la demolizione delle opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria ed anche di una recinzione, accertando, altresì, la sussistenza di una lottizzazione abusiva: "...Confermando quanto relazionato dalla comunicazione di inefficacia trasmessa dal Comune di (omissis) con Prot. n. 13122 del 11.10.2023 si precisa che dagli atti trasmessi risulta quanto segue: 1. Accertata difformità urbanistica ed edilizia sul mappale (omissis) (ex (omissis)) ad uso piscina e manufatti diversi (spogliatoio e wc, locale tecnico, tettoia); le dimensioni della difformità riguardano la piscina di mq. 132,92 di superficie, uno spogliatoio e wc di mq. 8,00, un locale tecnico di mq. 12,00 e una tettoia di mq. 35,02; 2. Accertata difformità urbanistica ed edilizia di muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis); 3. Accertata difformità urbanistica ed edilizia della pavimentazione realizzata sul mappale (omissis); 4. I succitati lavori di esecuzione dei manufatti e della recinzione risultano terminati da tempo, a maggio 2019, come da dichiarazione allegata alla scia 2023/041/S; 5. Accertata difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis) Pratica n. RE0065467 in atti dal 11.5.2023 Protocollo NSD n. ENTRATE.AGEV-STI.REGISTRO UFFICIALE.20433-58.11/05/2023 presentato il 11.5.2023 (n. 65467.1/2023)". Con il primo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" la ricorrente evidenzia, con riguardo alle opere di cui alla s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023, che l'art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, nel prevedere l'accertamento di conformità, mediante s.c.i.a. in sanatoria, degli interventi edilizi di cui all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività, non detta alcuna disposizione volta a disciplinare il relativo procedimento e prospetta che in materia sussistano due orientamenti giurisprudenziali, l'uno rivolto a riconoscere l'applicabilità dell'istituto del silenzio assenso, l'altro a negarla. In particolare la difesa attorea si riferisce, quanto al primo, alle pronunce che affermano che "la s.c.i.a. in sanatoria, presentata ex art. 37 D.P.R. n. 380 del 2001, si presta a rendere operanti le correlate prescrizioni di cui all'art. 19 e ss., legge n. 241 del 1990, in materia di silenzio assenso, dovendo essere ragionevolmente riconosciuto a tale segnalazione carattere e natura confessoria, diretta a provare la verità dei fatti attestati e a produrre, con l'inutile decorso del tempo per l'emanazione di provvedimenti inibitori, effetti direttamente stabiliti dalla legge, indipendentemente da una diversa volontà delle parti, ossia l'avvenuta formazione del titolo abilitativo in sanatoria... Di talché, non essendo intervenuto alcun motivato provvedimento inibitorio allo spirare del trentesimo giorno dalla segnalazione, il titolo in sanatoria deve essere considerato esistente...". (facendo riferimento a T.A.R. Campania, Salerno, 24.3.2022 n. 809; T.A.R. Campania, Napoli, 9.12.2019 n. 5789; T.A.R. Lazio, Roma, 9.1.2018 n. 156; T.A.R. Calabria 29.5.2019 n. 1085; Cons. Stato, Sez. V, 31.3.2014 n. 1534). Nel caso di specie, tale silenzio significativo si sarebbe formato in quanto il Comune di (omissis), a seguito della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria in data 8.7.2023, ha chiesto tempestivamente alla ricorrente, in data 7.8.2023, prima della scadenza del termine di 30 giorni, chiarimenti e determinata documentazione e, ottenute, in data 6.9.2023, le precisazioni richieste, l'Amministrazione comunale si è pronunciata con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, successivamente alla scadenza del termine di 30 giorni dal ricevimento delle integrazioni e, pertanto, quando il titolo edilizio in sanatoria sarebbe ormai venuto ad esistenza. Parte attrice da atto che un diverso orientamento qualifica la fattispecie come silenzio rigetto (facendo riferimento a T.A.R. Lombardia, Milano, 21.3.2017 n. 676) o come silenzio inadempimento (in riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20.2.2023 n. 1708), ma ne contesta il fondamento poiché la prima declinazione ermeneutica replicherebbe la disciplina dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, precisando che nelle relative sentenze si farebbe riferimento anche al termine di 60 giorni previsto dall'art. 36, comma 3, quando, invece, il legislatore avrebbe tenuto ben distinte le fattispecie, prevedendo: - la disciplina dell'art. 36 per i casi di "interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio di attività nelle sole ipotesi di cui all'art. 23, comma 01, o in difformità da essa"; - la disciplina di cui all'art. 37 per la diversa fattispecie riguardante "la realizzazione di interventi di cui all'art. 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla s.c.i.a.", senza operare alcun riferimento, neppure indirettamente, all'art. 36 né prevedere che il mancato, tempestivo, pronunciamento della Amministrazione sia da qualificarsi come silenzio rigetto. Quanto alla seconda declinazione interpretativa dell'orientamento in disamina, la difesa attorea sottolinea che sarebbe stato affermato (in riferimento a Cons. Stato, n. 1708/2023 cit.) che "il procedimento può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento" in considerazione del fatto che "dalla lettura della norma emerge che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall'intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell'aumento di valore dell'immobile compiuta dall'Agenzia del Territorio": sul punto la ricorrente sottolinea che nella impossibilità, sulla base di detta impostazione, di far riferimento, per il pronunciamento dell'Amministrazione comunale, ad alcun termine determinato - non al termine dell'art. 19 della L. n. 241/1990, la cui inosservanza comporterebbe il silenzio assenso, non al termine di cui all'art. 36, la cui inosservanza è qualificata come silenzio rigetto, e neppure al termine previsto in via generale dall'art. 2, comma 2, della L. n. 241/1990, atteso che, sulla base della giurisprudenza citata, 30 giorni non sarebbero sufficienti per accertare la duplice conformità urbanistica di un'opera abusiva - verrebbe a determinarsi una situazione di assoluta incertezza, non essendo dato comprendere quando possa configurarsi l'inadempimento, così da consentire all'interessato di attivarsi giudizialmente per contrastare l'inerzia della Amministrazione. Né tale tesi sarebbe percorribile, ad avviso del patrocinio attoreo, sulla scorta del fatto che, in caso di esito favorevole, il quantum della somma da corrispondersi a titolo di oblazione debba essere determinato dal responsabile del procedimento medesimo, poiché non sussisterebbe alcuna preclusione a che la somma dovuta venga determinata in un momento successivo alla formazione, per decorso del termine di 30 giorni, del titolo edilizio in sanatoria: tale tesi sarebbe ancora meno spendibile con riferimento al caso di specie, avuto riguardo alla normativa regionale di riferimento. La ricorrente fa riferimento all'art. 17, comma 3, della L. Reg. 21.10.2004 n. 23 laddove prevede per le nuove costruzioni il pagamento di un importo a titolo di oblazione predeterminato dalla stessa norma, commisurato "al contributo di costruzione in misura doppia ovvero, in caso di esonero, in misura pari a quella prevista dalla normativa regionale e comunale, e comunque per un ammontare non inferiore a 2.000 euro": pertanto, assume la difesa attorea, l'intervento del responsabile del procedimento, nel caso considerato, non sarebbe a rigore necessario e il modulo relativo alla s.c.i.a. in sanatoria prevede che l'importo della oblazione sia indicato dal privato e preventivamente versato. L'esponente contesta l'impostazione della decisione del Consiglio di Stato n. 1708/2023 laddove si legge, altresì, che il silenzio inadempimento è soluzione che "appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio", poiché la disciplina di cui all'art. 19 della L. n. 241/1990 non esclude una valutazione espressa della Amministrazione, prevedendo anzi, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti prescritti, l'adozione di "motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa". Inoltre, aggiunge parte attrice, la s.c.i.a. in sanatoria ha per oggetto opere di minore impatto e rilevanza, per le quali l'accertamento della doppia conformità rispetto alla disciplina urbanistico - edilizia può essere adeguatamente effettuato nel termine di 30 giorni previsto dalla legge, tenuto conto anche del fatto che il termine in questione è suscettibile di essere interrotto per chiarimenti e integrazioni, per poi, una volta ottenuto quanto richiesto, riprendere nuovamente il suo corso. In conclusione, la difesa attorea prospetta che la comunicazione di cui all'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, in quanto pervenuta oltre il termine di 30 giorni dall'inoltro delle integrazioni richieste dall'Amministrazione comunale, sarebbe da ritenersi, sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale che ritiene preferibile, priva di efficacia, come previsto anche dall'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 (in riferimento al comma 8-ter) che il Comune di (omissis), a dimostrazione della ritenuta applicabilità della norma in questione anche nel caso di specie, avrebbe richiamato espressamente in detta comunicazione: il titolo edilizio in sanatoria sarebbe, pertanto, venuto ad esistenza e l'inefficacia dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 si riverberebbe sulla ordinanza 27.10.2023 n. 80, determinandone l'illegittimità per vizio derivato ed anche per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, difettando il presupposto per ordinare il ripristino dello stato dei luoghi, costituito dalla abusività delle opere considerate. Nella memoria finale la difesa attorea aggiunge che la tesi volta ad escludere la possibile formazione del silenzio assenso sulla s.c.i.a. in sanatoria confliggerebbe anche con quanto previsto dal D.Lgs. 25.11.2016 n. 222 ("Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124") sottolineando che l'art. 2 del D.Lgs. citato sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990": la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" indica la "S.c.i.a. in sanatoria" prospettando, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria è da considerarsi soggetta al regime del silenzio assenso, secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Con il secondo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Violazione dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione degli artt. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. del Comune di (omissis). Eccesso di potere per travisamento. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" parte ricorrente ritiene che nel caso di specie sussista il presupposto della doppia conformità posto che, a differenza di quanto ritenuto dal Comune di (omissis), le opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023 sarebbero conformi alla disciplina urbanistico - edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione, sia alla data di presentazione di detta segnalazione: precisa, infatti, che si tratterebbe della medesima disciplina, atteso che le opere di cui trattasi sono state realizzate nel maggio del 2019 e il vigente R.U.E. del Comune di (omissis) è stato approvato con delibera di C.C. 21.12.2011 n. 72. La determinazione del Comune sarebbe erronea nel ritenere non sanabili le opere ridette, adducendo "l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP" ed anche la "non applicabilità dell'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" poiché la s.c.i.a. in sanatoria di cui si discute riguarda la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina e delle relative strutture accessorie costituite dal locale tecnico ove sono alloggiati gli impianti della piscina, da uno spogliatoio in legno, da una tettoia a bordo piscina per la sosta e il riparo delle persone e dalla pavimentazione perimetrale alla piscina: le opere descritte - prospetta l'esponente - sarebbero state realizzate in stretta contiguità spaziale rispetto all'attiguo edificio abitativo (la piscina è posta di fronte a detto edificio, alla distanza di una ventina di metri), per il quale, con autorizzazione edilizia 7.1.2000 n. 47/99/A, è stato assentito il mutamento di destinazione d'uso da fabbricato rurale a edificio residenziale. A sostegno della pertinenzialità la ricorrente adduce che la Regione Emilia-Romagna, con nota 24.6.2020 n. PG/2020/463171 del Servizio giuridico del territorio, disciplina dell'edilizia, sicurezza e legalità (in actis al documento n. 8), ha precisato che costituisce pertinenza dell'edificio residenziale la piscina posta a servizio dell'edificio medesimo, "con dimensioni non superiori al 20% del volume dell'edificio principale, che non ha una potenziale autonoma utilizzazione economica" e, come si evincerebbe dalla relazione tecnica del Geom. Al. Be. del 5.12.2003 (in actis al documento n. 9), la piscina di cui trattasi ha un volume di 152 mc. inferiore al 20% del volume del fabbricato principale, pari a 1462,27 mc. (1462,27mc x 20% = 292,45 mc.). Inoltre, aggiunge la ricorrente, la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonoma utilizzazione economica, considerato che la stessa, come risulterebbe dalla relazione succitata, ha le dimensioni di una piscina ad uso privato destinata a soddisfare le esigenze delle persone residenti nell'edificio abitativo, risultando, altresì, strettamente connessa all'edificio medesimo non solo per la sua ubicazione, ma anche per il fatto che la piscina è dotata di impianti derivanti dalla abitazione ridetta, sia per l'adduzione idrica, sia per l'energia elettrica: la pertinenzialità sarebbe implicitamente - ad avviso della difesa attorea - riconosciuta dallo stesso Comune di (omissis) che nulla avrebbe eccepito in ordine al fatto che, per la sua sanatoria, sia stata presentata una s.c.i.a. Inoltre, sottolinea la esponente, il riferimento operato dal Comune di (omissis), con l'atto impugnato, alla assenza di titolo per intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E., non sarebbe corretto trattandosi di pertinenza di un edificio residenziale, e avrebbe, perciò, titolo per intervenire il proprietario dell'edificio medesimo, ancorché privo della qualifica di imprenditore agricolo. A sostegno della tesi, la ricorrente evidenzia che l'art. 4.1.3. del R.U.E. del Comune di (omissis) prevede la possibilità di ottenere il mutamento di destinazione d'uso degli edifici rurali in edifici residenziali, così che, una volta assentito detto mutamento, deve ritenersi consentita, per il proprietario, la realizzazione di opere pertinenziali dell'edificio principale: questa prospettazione sarebbe confermata dalla giurisprudenza, essendosi ritenuta legittima la realizzazione, in ragione del riconosciuto carattere pertinenziale, di una piscina di dimensioni contenute a corredo di un edificio a destinazione residenziale sito in zona agricola (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. V, 16.4.2014 n. 1951; idem, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Puglia, Lecce, 1.6.2018 n. 931; idem, 14.1.2019 n. 40; T.A.R. Liguria 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Sicilia, Palermo, 13.2.2015 n. 441). Sarebbero, così, suscettibili di sanatoria anche il locale tecnico, lo spogliatoio in legno, la tettoia e la pavimentazione perimetrale, trattandosi di elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina (citando con riferimento al locale tecnico, Cons. Stato, n. 1951/2014), insuscettibili, per le loro dimensioni contenute, di alterare in modo significativo l'assetto del territorio. Quanto al fatto che il Comune di (omissis), con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, ha addotto altresì, che, nel caso di specie, non sarebbe applicabile l'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. "in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" la difesa attorea ne contesta l'assunto in quanto la disposizione medesima disciplinerebbe l'ampliamento delle unità edilizie abitative e delle superfici accessorie esistenti, senza escludere la possibilità di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: nel caso in esame, detto limite, come sarebbe evidenziato nella relazione sopra del Geom. Be., sarebbe stato rispettato anche considerando i locali accessori (spogliatoio e locale tecnico), mentre la tettoia non sarebbe computabile a fini volumetrici, essendo aperta su tutti i lati. Aggiunge l'esponente che il locale spogliatoio e il locale tecnico hanno, rispettivamente, una volumetria di 17,78 mc. e di 27 mc. che sommata al volume della piscina (152 mc.) porta ad una volumetria complessiva di 196,78 mc., inferiore al 20% del volume del fabbricato principale (292,45 mc.) concludendo che le opere oggetto di sanatoria sarebbero da considerarsi conformi alla disciplina urbanistico-edilizia di riferimento e, così, suscettibili di sanatoria. Con il terzo motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di rimessione in pristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione degli artt. 31 e 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23, nonchè per eccesso di potere per travisamento sotto altro profilo" la ricorrente lamenta che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha disposto la demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", ma la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, per alcune difformità riguardanti l'edificio principale e anche la recinzione anzidetta: su tale s.c.i.a. l'Amministrazione comunale non si sarebbe ancora pronunciata, avendo chiesto integrazioni, da ultimo, con nota 26.9.2023 prot. n. 12395, alla quale ha fatto seguito, in data 26.10.2023, la trasmissione delle integrazioni richieste; anche in tale caso si sarebbe formato il silenzio assenso, dovendosi, così, escludere la possibilità di ordinare la demolizione dell'opera medesima. Inoltre, l'ordinanza 27.10.2023 n. 80 oggetto di gravame sarebbe da considerarsi illegittima anche nell'ipotesi in cui il procedimento di sanatoria dovesse considerarsi ancora pendente poiché per giurisprudenza consolidata - prospetta la difesa attorea - è "illegittima l'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive emessa in pendenza della già avvenuta presentazione di una domanda in sanatoria; questo in quanto nelle more della definizione di tali domande i procedimenti sanzionatori in materia edilizia sono sospesi" (citando Cons. Stato, Sez. VI, 9.11.2021 n. 7448). I Con il quarto motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione e falsa applicazione dell'art. 30 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380 e dell'art. 12 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Eccesso di potere sotto i profili della illogicità e del travisamento sotto ulteriore profilo" evidenzia l'esponente che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha contestato anche una "difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis)", la quale nel caso di specie non sussisterebbe. La difesa attorea sottolinea che la lottizzazione c.d. "cartolare", come espressamente sancito dall'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 e dall'art. 12 della L. Reg. n. 23/2004, è ravvisabile allorquando la trasformazione del suolo sia predisposta "mediante il frazionamento e la vendita, ovvero mediante atti negoziali equivalenti, del terreno frazionato in lotti", i quali, per le loro oggettive caratteristiche - con riguardo soprattutto alla dimensione correlata alla natura dei terreni ed alla destinazione degli appezzamenti considerata sulla base degli strumenti urbanistici, al numero, all'ubicazione o all'eventuale previsione di opere di urbanizzazione - rivelino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio degli atti adottati dalle parti (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20 maggio 2019, n. 3215, Sez. V, 3 agosto 2012, n. 4429, Sez. IV, 13 maggio 2011, n. 2937). Nel caso di specie, precisa il patrocinio della ricorrente, mancherebbe il presupposto fondamentale per la sussistenza di una lottizzazione "cartolare", atteso che al frazionamento dell'originario mappale n. (omissis) non ha fatto seguito alcuna vendita del terreno frazionato, vendita che non sarebbe configurabile, considerato che la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonomo sfruttamento economico: il frazionamento di cui trattasi è stato effettuato in data 16.5.2023, dandone comunicazione anche al Comune di (omissis) (con riferimento al documento n. 13 in actis), in funzione della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria riguardante la piscina, al fine di distinguere catastalmente la piscina medesima dalla restante area di proprietà, in cui era presente un magazzino, anch'esso realizzato in assenza di titolo edilizio, per il quale è stata presentata dalla ricorrente, in data 7.7.2023, prot. n. 8752, una c.i.l.a. ai fini della sua demolizione. Pertanto, conclude sul punto l'esponente, ancorché l'Amministrazione comunale, con l'atto impugnato, pare essersi riferita esclusivamente alla lottizzazione c.d. "cartolare", sarebbe da escludersi che possano configurarsi anche la lottizzazione "materiale" e la lottizzazione c.d. mista, caratterizzata, quest'ultima, dalla compresenza delle attività negoziali e delle attività materiali volte alla edificazione del terreno dovendosi, in base alla giurisprudenza, considerare che la fattispecie lottizzatoria nella veste "materiale" implica la realizzazione di "opere finalizzate alla trasformazione urbanistica di terreni in zona non adeguatamente urbanizzata in violazione della disciplina a quest'ultima impartita dalla legislazione e dagli strumenti pianificatori; siffatti interventi devono risultare globalmente apprezzabili in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, di aggravio del relativo carico insediativo e di pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita all'amministrazione" (citando Cons. stato, Sez. VI, 4.11.2019 n. 7530): deve, pertanto, trattarsi di una radicale trasformazione del suolo a fini edificatori che non può riscontrarsi, a prescindere dalla dimostrata legittimità dell'intervento, nella realizzazione di una piscina a servizio di un edificio residenziale in zona agricola, non comportando tale opera, tra l'altro, alcun aggravio del carico urbanistico (rinviando a Cons. Stato, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142). Il Comune resistente precisa in fatto che la ricorrente è proprietaria di un complesso immobiliare sito in via (omissis) a (omissis) (RE), che consta di un'abitazione principale (già fabbricato rurale, oggi edificio residenziale) e di un'ampia porzione di terreno agricolo, compendio su cui - nel corso degli anni - sono stati fatti diversi interventi di trasformazione edilizia in assenza di valido titolo. In particolare, in data 28.04.2023 la ricorrente depositava presso il Comune di (omissis) la comunicazione di avvenuto frazionamento dell'ex mappale (omissis) nei nuovi mappali (omissis) e (omissis), frazionamento che era stato presentato all'Agenzia delle Entrate - Ufficio Provinciale di Reggio Emilia - in data 18.04.2023; sul mappale (omissis), secondo la difesa dell'Ente, sono stati commessi svariati abusi edilizi, che - di fatto - lo caratterizzano in modo del tutto differente rispetto al mappale (omissis), sul quale pure sono stati commessi abusi edilizi che la ricorrente ha dichiarato di voler demolire con CILA presentata al Comune in data 08.07.2023, prot. n. 8752, ripristinando in tal modo l'originaria connotazione agricola del terreno (con riferimento ai documenti nn 3, 4, 5, 6, 7 e 8 in actis). Inoltre, prosegue l'Amministrazione, al fine di sanare le opere abusive non rimosse con la CILA di cui sopra, la ricorrente presentava al Comune due distinte pratiche di Segnalazione Certificata di Inizio Attività : la n. 2023/029/S, acquisita con prot. n. 5985 del 12.05.2023, relativa alla sanatoria di opere eseguite su edificio residenziale e sulla recinzione esterna dell'area cortiliva (immobile identificato catastalmente al foglio 20, mappale 205) e la n. 2023/041/S, acquisita con prot. n. 8753 del 08.07.2023, relativa alla sanatoria di una piscina - di oltre 112 mq. di superficie - e di manufatti annessi (su terreno agricolo, identificato catastalmente al foglio 20, mappale (omissis)). Quindi, sottolinea l'Amministrazione, emerge che le opere realizzate sul mappale (omissis) (piscina, tettoia, pavimentazione, locali tecnici, spogliatoio, recinzioni perimetrali alla piscina) sono dalla ricorrente medesima qualificate come "pertinenze" dell'edificio residenziale di cui al mappale 205, ma non sono state inserite nella stessa comunicazione di SCIA in sanatoria. Il Comune resistente aggiunge che dalla relazione fotografica e dagli elaborati grafici allegati alla SCIA prot. 8753, peraltro, si evince che gli interventi abusivamente realizzati sul mappale (omissis) hanno determinato la creazione di un autonomo lotto, con piscina e locali accessori, oltre ad una tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo (di oltre 35 mq. di superficie coperta), lotto del tutto indipendente rispetto all'abitazione principale, al punto che da questa è separata da due cancelli e da uno stradello carrabile (rinviando ai documenti nn. 20 e 21 in actis): ciò comporterebbe che gli abusi edilizi e i frazionamenti dei mappali catastali hanno determinato la creazione di tre distinti lotti all'interno della proprietà della ricorrente, tutti serviti da uno stradello privato interno: uno con abitazione a area cortiliva di pertinenza, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale 205), uno con piscina, zona relax, tettoia con zona pranzo-cucina e locali accessori, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale (omissis)) ed uno che - a seguito della demolizione dei fabbricati abusivi che vi insistono - riacquisterà la sua originaria natura di terreno agricolo (mappale (omissis)). Inoltre, le due SCIA menzionate hanno avuto una sorte tra loro differente: - la n. 2023/029/S, prot. n. 5985, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale 205, dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata accettata dal Comune con atto prot. n. 602/2024; - la n. 2023/041/S, prot. n. 8753, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale (omissis), dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata dichiarata inefficace dal Comune con atto prot. n. 13122 del 11.10.2023. Quest'ultima, oggetto di impugnazione, è stata dal Comune motivata con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti (rinviando all'estratto del PSC di cui al documento n. 25 ed all'estratto del RUE di cui al documento n. 26 in actis) per i seguenti motivi: - assenza di titolo ad intervenire in zona agricola, ai sensi dell'art. 4.1.1 e seguenti del RUE (in quanto intervento in zona agricola effettuato da non imprenditore agricolo - IAP); - per l'inapplicabilità dell'art. 4.1.3 comma 6 del RUE, in quanto l'intervento è stato eseguito su edificio non di recente costruzione e con ampliamento superiore ai 30 mq. di superficie (la sola tettoia sarebbe di 35,02 mq. con riferimento al documento n. 20 in actis). Con l'ordinanza impugnata il Comune ingiungeva di demolire le opere abusive, non sanabili perché in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (PSC e RUE) realizzate in assenza di valido titolo edilizio sul mappale (omissis), e di ripristinare lo stato dei luoghi, con precisa identificazione delle opere da demolire: piscina, spogliatoio-wc, locale tecnico, tettoia, muri perimetrali, pavimentazione esterna e recinzioni sul lato ovest, sud ed est. Sul primo motivo l'Amministrazione precisa che le tesi della ricorrente non sono condivise dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha invece affermato essere necessario un espresso pronunciamento del Comune sulla SCIA in sanatoria: "... il procedimento (relativo alla sanatoria di abusi edilizi tramite SCIA, n. d.r.) può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento. Innanzitutto, infatti, l'art. 37 non prevede esplicitamente un'ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell'art. 36 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento... Al tempo stesso la soluzione appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio" (citando Cons. Stato, sez. II, 20.02.2023, n. 1708 e per una puntuale ricostruzione dell'istituto della SCIA in sanatoria riferendosi a T.A.R. Lazio Roma, sez. II-quater, 07.12.2023, n. 18386): di conseguenza, sottolinea la resistente, il procedimento avviato dalla ricorrente con la SCIA prot. n. 8753/2023 è stato correttamente concluso dal Comune con la comunicazione di inefficacia della SCIA stessa (prot. n. 13122, del 11.10.2023), atto motivato con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti. Sul secondo motivo, il Comune precisa che la nota della Regione citata dalla ricorrente si riferisce al quantum del contributo e non al concetto di pertinenzialità e che la declaratoria di inefficacia della SCIA impugnata è corretta in quanto non sussiste nel caso di specie la consistenza della misura inferiore ai 30 mq sostanziandosi l'intervento in un'opera che non sarebbe sanabile nemmeno da un imprenditore agricolo; la pertinenzialità sarebbe esclusa in quanto si tratta di un opera non contenuta ma di una piscina di 112 mq, e ai fini IMU (l'art. 1, comma 741, lett. b) della L. n. 160/2019 individua le pertinenze dell'abitazione principale nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7), e le piscine, che sono da ricomprendere ai sensi delle descrizioni contenute nella Circolare del Ministero delle Finanze n. 5 del 14.03.1992 "Revisione generale della qualificazione della classificazione e del classamento del N.C.E.U." nella categoria C/4 (Fabbricati e locali per esercizi sportivi), sono escluse dal concetto di pertinenza. Inoltre, sottolinea l'Amministrazione, la giurisprudenza citata dalla ricorrente, al fine di affermare la pertinenzialità della piscina rispetto all'edificio principale, ha comunque quale presupposto per l'applicazione del regime di SCIA la circostanza che la piscina stessa sia costituita da un elemento prefabbricato e non determini modifiche al territorio, circostanze che non ricorrono nel caso de quo. Di conseguenza, controdeduce sul punto l'Amministrazione, risulterebbe irrilevante la tesi sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: non si tratterebbe di una questione di limite percentuale, ma è la natura stessa delle opere abusive che non ne consentirebbe la sanatoria tramite SCIA. Infine, conclude il Comune, l'argomento relativo all'implicito riconoscimento della piscina quale pertinenza dell'abitazione da parte del Comune stesso, che nulla avrebbe eccepito in ordine alla sanatoria dell'abuso tramite SCIA, non terrebbe conto del tenore della "comunicazione di inefficacia" della SCIA stessa, che - attraverso il richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE - implicitamente affermerebbe che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, avrebbero potuto essere realizzate solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Sul terzo motivo di ricorso il Comune di (omissis) precisa che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, Prot. n. 5985 e ciò sarebbe agevolmente rilevabile dalla tavola di raffronto tra la porzione di recinzione sanata con la SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985, segnata in viola, e la porzione di recinzione - non sanata - oggetto dell'ordinanza di demolizione n. 80/2023, segnata in giallo (con riferimento al documento n. 28 in actis): sarebbero secondo la resistente, pertanto, irrilevanti le argomentazioni del ricorso relative alla "pendenza" del procedimento SCIA n. 2023/029/S poiché la eventuale pendenza del medesimo non rileverebbe, avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Sul quarto motivo di ricorso l'Amministrazione sottolinea che il frazionamento di più opere abusive censurate in via sostanziale integrerebbe una fattispecie di lottizzazione abusiva mista rinviando alla pronuncia del T.A.R. Sardegna, Sez. II, 20.03.2023, n. 194, che la descrive come categoria dogmatica "... caratterizzata dalla compresenza delle attività materiali e negoziali individuate dall'art. art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, consistente nell'attività negoziale di frazionamento di un terreno in lotti e nella successiva edificazione dello stesso...": nel caso in esame, conclude sul punto l'Amministrazione, è stato accertato un disegno unitario, con un rilevante impatto negativo sul territorio rurale, con aggravio del relativo carico urbanistico e con pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita al Comune a garanzia del corretto uso del territorio deponendo per la correttezza della qualificazione della fattispecie come "lottizzazione abusiva". Illustrate brevemente le posizioni delle parti, il Collegio ritiene che le questioni poste dalla ricorrente sugli effetti del decorso del termine di 30 giorni dalla presentazione della s.c.i.a. in sanatoria non siano rilevanti nel caso de quo in quanto la fattispecie concreta non rientra in tale istituto di semplificazione in base ad un consolidato principio espresso dalla giurisprudenza in materia. Va premesso che l'art. 2 del D.Lgs. n. 222 del 2016, richiamato dal ricorrente, sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990", prevedendo la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" il richiamo alla "S.c.i.a. in sanatoria"; in ragione di ciò prospetta, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria sarebbe da considerarsi soggetta al regime del "silenzio assenso", secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Sul punto il Collegio rileva che il citato n. 41 della tabella A, Sez. II, si riferisce alla s.c.i.a. in sanatoria per interventi realizzati in assenza di s.c.i.a. o in difformità da essa, mentre nel caso concreto, si tratta, come sarà approfondito nel prosieguo della presente decisione, di attività esclusa dai procedimenti semplificati: la costruzione delle opere di cui è causa avrebbe necessitato il permesso di costruire e non la s.c.i.a e, perciò, nel caso di specie, è assente il presupposto stesso - previsto dalla norma - per l'applicazione della disposizione invocata con la conseguenza che alla declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. impugnata non è applicabile il regime amministrativo previsto dall'art. 19 della Legge n. 241 del 1990. Il Collegio, sul punto richiama la sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, n. 1055 del 10 aprile 2024 laddove precisa in via generale che dalla necessaria applicazione dell'istituto del permesso di costruire alla fattispecie concreta "deriva l'inapplicabilità dell'art. 19 della legge 241/1990: "L'errore sui requisiti soggettivi o oggettivi della d.i.a. (oggi SCIA) poiché frutto di una dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica che si limita a riceverla, per il solo fatto che quest'ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare un'eventuale responsabilità amministrativa, non già la sanatoria della d.i.a. mancante di un requisito essenziale; di conseguenza, il provvedimento con cui l'Amministrazione accerta che le opere edili non potevano essere realizzate mediante d.i.a., occorrendo il permesso di costruire, non è espressione di autotutela, ma ha valore meramente accertativo di un abuso doverosamente rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il limite di dover agire entro un termine ragionevole, chiaramente inapplicabile all'attività di vigilanza edilizia, tanto più che il dichiarante non può, per le ragioni anzidette, vantare nessun affidamento" (cfr.: T.a.r. Puglia Bari, sez. II, 20.02.2017 n. 147)". In particolare, sulla s.c.i.a. in sanatoria, la sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, n. 809 del 24 marzo 2022, ritiene che non è ricollegabile portata infirmante all'inosservanza del termine di 30 giorni ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990 quando le opere abusive esulano dal perimetro del regime abilitativo della SCIA, essendo subordinate al previo rilascio del permesso di costruire: la pronuncia precisa che a tale premessa consegue "l'assenza di effetti legittimanti ricollegabili alla SCIA in sanatoria prot. n. 67995 del 21 novembre 2019, la quale, dacché formata al di fuori del corrispondente modello legale tipico (stante l'assoggettamento dell'opera eseguita ad un più rigoroso regime abilitativo), era da considerarsi 'tamquam non esset', così da giustificare l'impugnata determinazione reiettiva senza l'operatività della preclusione temporale ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990". Quanto alla sussistenza nel caso concreto della necessità del permesso di costruire anziché dell'applicabilità degli istituti di semplificazione, vanno considerati sia gli aspetti definitori del concetto di pertinenzialità rilevante in materia sia l'orientamento ermeneutico sulla qualificazione della specifica opera abusiva, nonché la concreta consistenza dell'intervento edilizio di cui è causa. Sul concetto generale di pertinenzialità il Collegio rinvia a quanto precisato dal T.A.R. Lazio, Sez II Stralcio, n. 7463 del 16 aprile 2024, in adesione al pacifico orientamento giurisprudenziale che "assegna al concetto di "pertinenza", in campo urbanistico-edilizio, un significato più ristretto e meno ampio rispetto alla definizione civilistica di cui all'art. 817 c.c., essendo configurabili come tali "solo le opere prive di autonoma destinazione e che esauriscono la loro destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico, e dovendosi altresì tener conto, oltre che della necessità e oggettività del rapporto pertinenziale, anche della consistenza dell'opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l'assetto del territorio, essendo il vincolo pertinenziale caratterizzato oltre che dal nesso funzionale, anche dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui soggiace a permesso di costruire la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa" (cfr. ex multis T.A.R. Lazio, Sez. II S, 17 novembre 2023, n. 17168; T.A.R Lazio, II quater, 21 novembre 2022, n. 15371; id., 12 luglio 2022, n. 9594; 26 aprile 2021, n. 4824)". In particolare, sulle piscine l'esegesi cui intende aderire il Collegio ritiene che l'opera interrata costituisca una nuova costruzione assoggettata al permesso di costruire e non sia qualificabile in termini di pertinenza dell'edificio principale in ragione della significativa trasformazione del territorio che comporta e della non necessaria complementarità all'uso delle abitazioni poiché non riveste un'obiettiva funzione di migliore utilizzazione della res principalis, tale che in sua assenza risulterebbero impedite o sacrificate talune delle materiali possibilità di sfruttamento o godimento di quest'ultima (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, n. 993 del 24.10.2022; T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 9.9.2020, n. 3730; T.A.R. Emilia-Romagna Bologna, sez. II, n. 800 del 30.09.2021). In coerenza con tale indirizzo interpretativo, si è di recente rilevato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 02/01/2024, n. 44) che la piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata e perciò configura una nuova costruzione, non potendo essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, atteso che, sul piano funzionale, non è esclusivamente complementare all'uso delle abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo installati nei giardini o nei luoghi di divertimento; in effetti, la realizzazione della piscina comporta una "durevole trasformazione del territorio" e, sotto il profilo urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto a quella propria dell'edificio cui accede, sì che non può coincidere con la relativa nozione civilistica di pertinenza, nel presupposto che la nozione di pertinenza urbanistica è invocabile per opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, viceversa tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e specifica utilizzazione. Nel caso di specie, una piscina di oltre 112 mq. di superficie, assistita da opere ulteriori (locali accessori e tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo di oltre 35 mq. di superficie coperta), non può essere definita come "di dimensioni contenute" incidendo, pertanto, significativamente sulla trasformazione del territorio e non riveste il carattere di intrinseca funzionalità rispetto alla res principalis sopra delineato; nel provvedimento impugnato di declaratoria di inefficacia della s.c.i.a., infatti, emerge, attraverso il riferimento all'istruttoria svolta in contraddittorio endoprocedimentale ed al richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE, sia che le opere costituiscono un ampliamento superiore ai 30 mq di SU in edificio di non recente costruzione sia che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, si sarebbero potute realizzare solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Di conseguenza, risulta inconferente la tesi attorea sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale, in quanto difetta nel caso concreto la natura stessa di opera pertinenziale. Infine, la nota della Regione Emilia-Romagna invocata a sostegno della pertinenzialità della piscina è chiaramente rivolta alla definizione della medesima esclusivamente ai fini del pagamento e alla qualificazione del contributo di costruzione e, pertanto, la relativa portata interpretativa è confinata in tale ambito: nella nota medesima, infatti, si chiarisce che la natura pertinenziale di una piscina di volume inferiore al 20% dell'abitazione principale rileva al fine di considerarla quale Superficie accessoria che non richiede il versamento della quota degli oneri di urbanizzazione (U1 e U2) ma è soggetta al solo versamento della quota relativa al costo di costruzione (QCC) da calcolarsi non sulla classificazione catastale, bensì, in relazione alla tipologia OMI, formulando un chiarimento di connotazione sostanzialmente tecnico-economica ai fini dell'imposizione della prestazione patrimoniale imposta, che risponde a presupposti diversi da quelli rilevanti nella presente sede. Quanto, poi, al locale tecnico, allo spogliatoio in legno, alla tettoia e alla pavimentazione perimetrale, che la stessa ricorrente qualifica come elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina, vale il consolidato orientamento per cui la valutazione dell'abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 11/03/2024, n. 2321). Pertanto, al regime edilizio della piscina, necessitante di un permesso di costruire, si associano evidentemente le altre opere alla stessa collegate. Sul terzo motivo di ricorso, relativo all'ordine di demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", proposto in base all'assunto attoreo secondo il quale la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, il Collegio ritiene che l'Amministrazione abbia ampiamente chiarito, con precisazioni sulle quali la difesa attorea non ha ulteriormente coltivato il motivo in disamina, che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985: pertanto, la eventuale "pendenza" di quest'ultima è irrilevante nel presente giudizio avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Il Collegio, infine, ritiene che l'esame dell'ultima doglianza possa dichiararsi assorbito in considerazione della dirimente questione esaminata, relativa all'inconfigurabilità della consistenza pertinenziale delle opere de quibus quale elemento fondante della declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. presentata dalla ricorrente e di per sé idoneo a sorreggere il conseguente ordine di ripristino dello stato dei luoghi. Il Collegio ritiene che, in considerazione della peculiarità della materia, le spese di lite possano essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese di lite compensate. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3231 del 2019, proposto da Do. Pi., rappresentata e difesa dall'avvocato Pa. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; nei confronti Gi. Li. e Sa. Ch., non costituiti in giudizio; per la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 5466/2018. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il Cons. Giordano Lamberti e udito l'avvocato Pa. Me.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Li. Gi. ha impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sede di Reggio Calabria, il provvedimento prot. n. 17897 del 24 settembre 2013, con il quale il responsabile del Settore tecnico-urbanistico del Comune di (omissis) ha negato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria richiesto con istanza di condono edilizio prot. n. 9479 del 29 luglio 2004, recante la contestuale ingiunzione a demolire, nonché la nota prot. n. 1217 emessa dal Comune di (omissis) in data 27 gennaio 2015. Il diniego è stato determinato dalle seguenti circostanze: - le opere sono state realizzate su un'area assoggettata a vincolo paesaggistico e a vincolo sismico e, dunque, in quanto tali, non sono suscettibili di sanatoria ai sensi dell'art. 32, comma 27, lettera d), della legge n. 326 del 2003; - le medesime opere hanno comportato un aumento volumetrico (di mc 808 circa) e di superficie coperta (di mq 67 circa) incompatibile con gli indici di densità territoriale, di densità fondiaria e di rapporto di copertura, stabiliti per la sottozona T3/b del PRG vigente al momento della proposizione della domanda di condono; - non risulta rilasciato l'atto di compatibilità paesaggistica; - non risultano allegati alla domanda di sanatoria la perizia giurata sullo stato e sulle dimensioni delle opere e il certificato di idoneità statica sismica; - non risultano essere stati integralmente versati gli importi liquidati a titolo di oblazione e di oneri concessori. 2 - Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria ha respinto il ricorso, rilevando che: - dal certificato comunale del 4 gennaio 2015 emerge che l'area è sottoposta a vincolo paesaggistico; - deve escludersi la violazione degli artt. 7 e 10 bis l. 241/1990, atteso che il procedimento è stato avviato ad istanza di parte e che la natura vincolata del potere esercitato esclude che sia necessaria la comunicazione del preavviso di diniego; - la censura secondo la quale il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato, in violazione dell'art. 32, comma 37, l. 326/2003, a seguito della formazione del silenzio-assenso sull'istanza di condono, va ritenuta inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto il provvedimento impugnato si fonda sulla ragione, di per sé idonea e sufficiente a sorreggerlo, della commissione dell'abuso sull'area sottoposta al vincolo paesaggistico; - il lungo periodo intercorso dalla data di presentazione dell'istanza alla data di adozione dell'atto di diniego non rileva ai fini della legittimità del provvedimento sanzionatorio; - il ricorso recante motivi aggiunti, con il quale si chiedeva l'annullamento del provvedimento con il quale si confermava il precedente diniego di condono edilizio e si reiterava l'ingiunzione a demolire le opere abusive, deve essere dichiarato improcedibile, in quanto il provvedimento impugnato è stato emesso a seguito della ordinanza (c.d. propulsiva) n. 42/2014 emessa dal Tribunale amministrativo regionale in sede cautelare, da considerare caducata con la definizione nel merito del giudizio di primo grado. 3 - L'originario ricorrente ha proposto appello avverso tale pronuncia che questa Sezione, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato, confermando integralmente la statuizione del TAR. 4 - Con il ricorso in esame si chiede la revocazione di quest'ultima sentenza ai sensi dell'art. 106 c.p.a. e 395, comma 1, n. 4, c.p.c. 5 - Prima di scrutinare le censure di parte ricorrente, giova ricordare che l'errore di fatto revocatorio consiste nel cd. abbaglio dei sensi, e cioè nel travisamento delle risultanze processuali dovuto a mera svista, che conduca a ritenere come inesistenti circostanze pacificamente esistenti o viceversa. Esso non è in linea di principio ravvisabile quando si lamenta una presunta erronea valutazione delle risultanze processuali o una anomalia del procedimento logico, in quanto ciò si risolve in un errore di giudizio. Più schematicamente, questo Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 10/01/2013, n. 1) ha chiarito che l'errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi dell'art. 106 c.p.a., deve essere caratterizzato: a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere sussistente un fatto documentalmente escluso, ovvero inesistente un fatto documentalmente provato; b) dall'attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) dall'essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa (cfr. anche Consiglio di Stato, Ad. Plen., 17/05/2010, n. 2). 6 - Con il primo motivo, parte ricorrente delimita il "Il perimetro entro cui sussumere il vizio revocatorio previsto dall'art. 395 n. 4 c.p.c. - In punto di fatto: a) il diniego del condono delle opere abusive, per la presenza di un vincolo paesaggistico-ambientale; b) l'obliterazione della divisione intervenuta del fabbricato e del lotto, su cui esso insiste; c) non sono presenti difformità nella parte in cui è proprietaria la parte ricorrente Pi.", deducendo che la sentenza impugnata - nell'affermare che il signor Li. al momento di presentazione della domanda per il rilascio di sanatoria paesaggistica era consapevole dell'esistenza del vincolo, avendo dichiarato che non erano stati realizzati lavori o interventi esclusi dalla previsione legislativa che tale sanatoria consentiva - avrebbe obliterato le seguenti circostanze: - che il Li. aveva terminato il restauro dei due edifici in data 23 marzo 2003 e successivamente, in data 20 luglio 2004, aveva inoltrato la richiesta di sanatoria presso il Comune di (omissis) (Prot. n. 9478); - in data 20 gennaio 2005, il Li. aveva presentato domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica, sia all'Amministrazione provinciale, sia al Comune di (omissis), dichiarando che i lavori di restauro erano stati compiuti prima del 30 settembre 2004, e di essere disponibile ad integrare la domanda con ulteriore documentazione per il buon esito della pratica di condono; - il Li., quindi, sulla base di tale attestazione e della favorevole definizione della pratica di condono, aveva trasferito in data 15 ottobre 2007, la proprietà di parte del fabbricato preventivamente frazionato ed accatastato alla sezione B di (omissis) foglio 1, particella 1003, alla signora Do. Pi.; - nei rogiti notarili si dava atto dell'esistenza della domanda di concessione edilizia in sanatoria. La sentenza impugnata sarebbe dunque errata, nella parte in cui afferma che "L'imposizione di un vincolo nel quale si attesta la c.d. bellezza d'insieme o il pregio paesaggistico per valori estetico-culturali da preservarsi di cui all'art. 136 d.lgs. 42/2004 rende applicabile l'art. 167 d.lgs. 42/2004, che non consente la sanatoria delle opere realizzate in violazione di vincoli paesaggistici (nella specie, come si è più volte ricordato, il vincolo è stato apposto con decreto ministeriale 11 ottobre 1967 per l'area costiera del Comune di (omissis), nell'ambito della quale insistono le opere realizzate e delle quali si era chiesta la sanatoria paesaggistica). L'opera, di conseguenza, non è suscettibile di sanatoria ai sensi dell'art. 32, comma 27, lett. d), d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in l. 326/2003, non essendo comunque suscettibili di sanatoria le opere abusive che "(...) d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela (...) dei beni ambientali e paesistici (...) qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (...)", in quanto tali affermazioni confermano la mancata percezione da parte del Collegio delle circostanze rilevanti sopra esposte. In particolare, parte ricorrente prospetta che il Collegio si sarebbe erroneamente concentrato sulla presenza del vincolo paesaggistico, sussistente sin dal 1967, tralasciando il profilo centrale della controversia, ossia la inesistenza di violazioni urbanistiche nell'immobile per cui è causa, non sussistendo alcun eccesso di volumetria ostativo al rilascio dell'autorizzazione in sanatoria. Secondo parte ricorrente, inoltre, la sentenza avrebbe del tutto ignorato il contenuto della relazione dal perito del signor Li.. Altra circostanza di fatto rilevante sarebbe che il Collegio non ha localizzato spazialmente l'oggetto dell'abuso, ritenendo non sanabile l'intero complesso senza considerare che gli abusi rilevati riguardavano solamente una frazione dell'immobile. Ed invero, nella porzione di proprietà della ricorrente non sarebbe presente alcun abuso, tanto é vero che le difformità individuate dal Comune di (omissis) nella richiesta di integrazione documentale del 4 dicembre 2014, prot. n. 19512, non si riferiscono a tale immobile. In altre parole, l'amministrazione avrebbe errato nel non prendere in considerazione l'avvenuto frazionamento dell'immobile ai fini della valutazione della condonabilità delle opere. Infine, parte ricorrente deduce che l'erronea percezione da parte del Collegio di un eccesso di volumetria - di fatto insussistente - costituisce di per sé un errore revocatorio, poiché discende da un difetto di percezione degli atti di causa. 7 - Con il secondo motivo si denuncia l'esistenza di un errore di fatto derivante da una svista nella lettura degli elaborati grafici e peritali, nonché in relazione all'iter amministrativo della sanatoria edilizia. Si osserva che la sentenza oggetto di revocazione aderisce a quanto affermato dal ricorrente-appellante Gi. Li. e, cioè, che gli abusi hanno comportato un aumento di volumetria; tale aspetto, tuttavia, non è stata oggetto di esame da parte del Collegio, il quale si sarebbe limitato a richiamare gli indirizzi della giurisprudenza amministrativa sul divieto di incremento dei volumi esistenti, senza verificare se tale incremento si era realizzato nel caso di specie. Anche sotto tale profilo, dunque, si sarebbe in presenza di un errore revocatorio, dovuto a una svista nella lettura degli elaborati grafici e peritali; l'errore, in altre parole, sarebbe attribuibile non a un vizio di motivazione, ma a un'errata percezione di fatti documentalmente provati. Per quanto riguarda la possibilità - negata dal Collegio - di applicare la sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria ai sensi dell'art. 34, comma 2, D.P.R 380/2001, parte ricorrente osserva che l'Amministrazione, è tenuta, in primo luogo, a valutare se l'abuso costituisce una "parziale difformità " rispetto al titolo edilizio, e in caso positivo, se effettivamente non possa essere demolito senza pregiudizio per la parte conforme. Ad avviso della ricorrente, la norma deve essere interpretata nel senso che non ogni violazione eccedente il 2% costituisce difformità totale, ma al contrario che le violazioni contenute entro tale limite sono irrilevanti, mentre oltre tale limite percentuale l'amministrazione sarebbe sempre tenuta a valutare se la difformità è totale o parziale. Nel caso di specie, dunque, l'amministrazione avrebbe dovuto valutare l'applicabilità della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria. 8 - Il ricorso è inammissibile, non essendo ravvisabile alcun errore di fatto. La piena corrispondenza del contenuto motivazionale della sentenza, rispetto al tema controverso oggetto dell'appello avverso la sentenza del TAR Calabria del 25 giugno 2015 n. 656, esclude in radice la possibilità di scorgere gli errori di fatto così come prospettati da parte ricorrente, avuto riguardo al principio, già ricordato, per cui il fatto oggetto di errore non deve aver costituito un punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunciata (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19/07/2007, n. 4092), dal momento che la sussistenza del vincolo e di un incremento volumetrico costituivano questioni oggetto di causa. In altri termini, lungi dal mettere in evidenza un errore di fatto, ovvero una specifica "svista", chiaramente individuabile nel senso innanzi precisato, i rilievi della ricorrente tendono a criticare la valutazione compiuta dal giudicante, mirando ad una rivalutazione della medesima identica questione sottesa al ricorso sfociato nella revocanda sentenza. Nello specifico la sentenza impugnata esamina compiutamente la questione relativa alla sussistenza dei vincoli ai punti 9 e 10 e la questione relativa all'aumento volumetrico al punto 12. La questione relativa all'applicabilità della sanzione pecuniaria prevista dall'art 34 D.P.R. 380/01 è invece affrontata al punto 13 della sentenza. Quanto alla dedotta obliterazione della relazione del perito del signor Li. ed alla supposta erronea percezione dei grafici, è evidente che ciò che la ricorrente lamenta è una erronea valutazione del materiale istruttorio prodotto in causa, eventualità questa che integra, se del caso, un errore di valutazione o di interpretazione dei fatti, che è cosa differente dall'errore di fatto di cui all'art. 395 n. 4 c.p.c. Invero, quest'ultimo errore, come già accennato, non è in linea di principio ravvisabile quando si lamenta una presunta erronea valutazione delle risultanze processuali o una anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio (in quanto ciò si risolve in un errore di giudizio), nonché quando una questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 10/01/2013, n. 1, secondo cui non ricorre l'ipotesi dell'errore revocatorio nel caso di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, trattandosi di ipotesi queste che danno luogo, se mai, ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione). Anche gli ulteriori rilievi - quali la supposta mancata localizzazione spaziale dell'oggetto dell'abuso - sono riconducibili ad argomenti logico giuridici di critica della sentenza, piuttosto che effettivi errori di fatto nei termini innanzi precisati; gli stessi, inoltre, attengono sempre alle questioni principali intorno alle quali ruota il giudizio, che come detto sono state esaminate a fondo nella sentenza impugnata, e che non possono essere rimesse in discussioni in questa sede. Inoltre, la giurisprudenza ha precisato che l'omessa pronuncia su un vizio denunciato deve essere accertata con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso e senza privilegiare aspetti formali, e può ritenersi sussistente solo nell'ipotesi in cui non risulti essere stato esaminato il punto controverso e non quando la decisione sul motivo (o sull'eccezione) risulti implicitamente, o quando la pronuncia su di esso c'è stata, anche se non ha preso specificamente in esame alcune argomentazioni a sostegno della doglianza (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 17/12/2012, n. 6455; Consiglio di Stato, sez. IV, 21/04/2009, n. 2414). In altri termini, l'eventuale circostanza che la sentenza non abbia preso posizione su tutte le argomentazioni difensive di una parte non è suscettibile di configurarsi come errore revocatorio, potendo al più costituire mero vizio del procedimento logico-giuridico estraneo alla iniziativa ex artt. 106 c.p.a. e 395 c.p.c. (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 28/10/2013, n. 5180). 9 - In definitiva, il ricorso è inammissibile, non essendo ravvisabile alcun errore revocatorio. 9.1 - Non è necessario provvedere sulle spese di lite stante la mancata costituzione delle parti resistenti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta dichiara il ricorso inammissibile. Nulla sulle spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Montedoro - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3207 del 2019, proposto da Um. Pi., rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Gi. Li., non costituito in giudizio; per la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 5463/2018. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il Cons. Giordano Lamberti e udito l'avvocato Pa. Me.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Parte ricorrente ha impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sede di Reggio Calabria, il provvedimento prot. MBAC-SBAP-RC n. 17407 del 28 novembre 2013, con il quale la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Province di Reggio Calabria e Vibo Valentia, ai sensi degli artt. 167, comma 4 e 5 e 181, comma 1-ter e 1-quater, del D.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, ha dichiarato la irricevibilità della "pratica" avviata dal signor Gi. Li. in data 16 ottobre 2007 volta ad ottenere l'accertamento a posteriori della compatibilità paesaggistica con riferimento al "Recupero della Chiesa Ma. del Ro. e dell'antico edificio ad esso contiguo, nel contesto della sistemazione per attività di servizio per luogo di svago e ristorazione della fascia di mediazione tra la spiaggia ed il complesso residenziale assentito con C.E. n. 92/91 e successive modifiche", opere site in località di Porticello di(omissis) (identificate catastalmente al Foglio n. 1, part. 1055 ex 337, sub 2). La dichiarata irricevibilità è stata determinata dalla circostanza che "le opere abusivamente realizzate risultano in ampliamento del fabbricato in oggetto" di talché "ai sensi dell'art. 167 c.5 del D.lgs. 42/04 e s.m.i., non possono essere ammessi alla procedura di accertamento a posteriori della compatibilità paesaggistica abusi che comportino aumenti di volume e di superficie utile". 2 - Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, con la sentenza del 24 marzo 2015, n. 295, ha respinto il ricorso, rilevando che: - con decreto ministeriale dell'11 ottobre 1967, è stato apposto dal Ministero per l'istruzione un vincolo di interesse paesaggistico per l'area costiera del Comune di(omissis) sulla quale insistono le opere realizzate, e che la Chiesa Ma. del Ro. nonché l'antico edificio ad essa contiguo sono stati dichiarati, con decreto del Ministro per i beni culturali ed ambientali del 3 novembre 1989, immobili di interesse particolarmente importante ai sensi della l. 1089/1939; - nell'area in questione sono stati realizzati lavori di risanamento conservativo, consistenti nella ricostruzione di ruderi, su un preesistente fabbricato del quale non è stata dimostrata la originaria consistenza volumetrica e di superficie e che, rispetto a quanto assentito con le originarie concessioni edilizie del 1991 e del 2000, è stata comunque realizzata una nuova costruzione di circa mq 63 e di volume pari a mc 252; - l'accertata realizzazione di nuove volumetrie rappresenta, di per sé, causa ostativa al rilascio della autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'art. 167 D.lgs. 42/2004. 3 - L'originario ricorrente ha proposto appello avverso tale pronuncia che questa Sezione, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato, confermando integralmente la statuizione del TAR. 4 - Con il ricorso in esame si chiede la revocazione di quest'ultima sentenza ai sensi dell'art. 106 c.p.a. e 395, comma 1, n. 4, c.p.c. 5 - Prima di scrutinare le censure di parte ricorrente, giova ricordare che l'errore di fatto revocatorio consiste nel cd. abbaglio dei sensi, e cioè nel travisamento delle risultanze processuali dovuto a mera svista, che conduca a ritenere come inesistenti circostanze pacificamente esistenti o viceversa. Esso non è in linea di principio ravvisabile quando si lamenta una presunta erronea valutazione delle risultanze processuali o una anomalia del procedimento logico, in quanto ciò si risolve in un errore di giudizio. Più schematicamente, questo Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 10/01/2013, n. 1) ha chiarito che l'errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi dell'art. 106 c.p.a., deve essere caratterizzato: a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere sussistente un fatto documentalmente escluso, ovvero inesistente un fatto documentalmente provato; b) dall'attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) dall'essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa (cfr. anche Consiglio di Stato, Ad. Plen., 17/05/2010, n. 2). 6 - Con il primo motivo, parte ricorrente delimita il "perimetro entro cui sussumere il vizio revocatorio previsto dall'art. 395 n. 4 c.p.c. - In punto di fatto: a) il diniego del condono delle opere abusive, per la presenza di un vincolo paesaggistico-ambientale; b) l'obliterazione della divisione intervenuta del fabbricato e del lotto, su cui esso insiste; c) le difformità sono presenti solamente nella parte di cui è proprietaria la Sig.ra Liconti Gisella e non in quella di cui è proprietario il ricorrente Pi.", deducendo che la sentenza impugnata, nell'affermare che il signor Liconti al momento di presentazione della domanda per il rilascio di sanatoria paesaggistica era consapevole dell'esistenza del vincolo, avendo dichiarato che non erano stati realizzati lavori o interventi esclusi dalla previsione legislativa che tale sanatoria consentiva, avrebbe obliterato le seguenti circostanze: - che il Liconti aveva terminato il restauro dei due edifici in data 23 marzo 2003 e successivamente, in data 20 luglio 2004, aveva inoltrato la richiesta di sanatoria presso il Comune di (omissis) (Prot. n. 9478); - in data 20 gennaio 2005, il Liconti aveva presentato domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica, sia all'Amministrazione provinciale, sia al Comune di (omissis), dichiarando che i lavori di restauro erano stati compiuti prima del 30 settembre 2004, e di essere disponibile ad integrare la domanda con ulteriore documentazione per il buon esito della pratica di condono; - il Liconti, quindi, sulla base di tale attestazione e della favorevole definizione della pratica di condono, aveva trasferito la proprietà di parte del fabbricato, preventivamente frazionato ed accatastato alla sezione B di(omissis), foglio 1, particella 1055, sub. 4, categoria A/7, alla signora Domenica Pi. e al signor Um. Pi. in data 15 ottobre 2007, mentre la proprietà della rimanente parte del fabbricato e della Chiesetta, accatastati alla sezione B di(omissis), foglio 1, particella 1055, sub. 5 e sub. 3, Categoria A/7 e B/7, erano stati trasferiti in data 12 aprile 2018 alla signora Liconti Gisella; - nei rogiti notarili si dava atto dell'esistenza della domanda di concessione edilizia in sanatoria, dell'inesistenza di vincoli inibitori sull'area interessata dal condono edilizio, nonché del fatto che dal 1 gennaio 1997, fino alla stipula dell'atto negoziale, non era stata fatta richiesta da parte dell'amministrazione comunale, né di altre somme, né di altri documenti. La sentenza impugnata sarebbe dunque errata, nella parte in cui afferma che "Ad ogni modo è comprovato in atti che vi sia stata una edificazione in aumento, realizzazione non sanabile ex post, come ha avuto modo di indicare anche il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria nella sentenza qui fatta oggetto di appello, nel caso in cui, tra gli altri vincoli che interessano l'area, alla stessa sia stato apposto, per come si è più sopra già detto, un vincolo nel quale si attesta la c.d. bellezza d'insieme o il pregio paesaggistico per valori estetico-culturali da preservarsi di cui all'art. 136 d.lgs. 42/2004, atteso che l'art. 167 d.lgs. 42/2004 non consente la sanatoria delle opere realizzate in violazione di vincoli paesaggistici (nella specie apposto con decreto ministeriale 11 ottobre 1967 per l'area costiera del Comune di(omissis), nell'ambito della quale insistono le opere realizzate e delle quali si era chiesta la sanatoria paesaggistica)", in quanto tali affermazioni confermano la mancata percezione da parte del Collegio delle circostanze rilevanti sopra esposte. In particolare, parte ricorrente prospetta che il Collegio si sarebbe erroneamente concentrato sulla preesistenza del vincolo paesaggistico, sussistente sin dal 1967, tralasciando il profilo centrale della controversia, ossia la inesistenza di violazioni urbanistiche nell'immobile per cui è causa, non sussistendo alcun eccesso di volumetria ostativo al rilascio dell'autorizzazione in sanatoria. Secondo parte ricorrente, inoltre, la sentenza avrebbe del tutto ignorato il contenuto della relazione dal perito del signor Liconti. Altra circostanza di fatto rilevante sarebbe che il Collegio non ha localizzato spazialmente l'oggetto dell'abuso, ritenendo non sanabile l'intero complesso senza considerare che gli abusi rilevati riguardavano solamente una frazione dell'immobile. Ed invero, nella porzione di proprietà del ricorrente non sarebbe presente alcun abuso, tanto é vero che le difformità individuate dal Comune di(omissis) nella richiesta di integrazione documentale del 4 dicembre 2014, prot. n. 19512, non si riferiscono a tale immobile. In altre parole, l'amministrazione avrebbe errato nel non prendere in considerazione l'avvenuto frazionamento dell'immobile ai fini della valutazione della compatibilità paesaggistica delle opere. Infine, parte ricorrente deduce che l'erronea percezione da parte del Collegio di un eccesso di volumetria - di fatto insussistente - costituisce di per sé un errore revocatorio, poiché discende da un difetto di percezione degli atti di causa. 7 - Con il secondo motivo si denuncia l'esistenza di un errore di fatto derivante da una svista nella lettura degli elaborati grafici e peritali, nonché in relazione all'iter amministrativo della sanatoria edilizia, ai sensi della l. 24 novembre 2003, n. 326, formulata con istanza n. 9479 del 29 luglio 2004. Si osserva che nella sentenza oggetto di revocazione viene riportato quanto affermato dall'odierno ricorrente nei suoi scritti difensivi, ossia che "[...] erroneamente nel corso dell'istruttoria gli uffici hanno rilevato che l'intervento edilizio aveva comportato un aumento di volumetria significativo pari a mc 808 ca. e di superficie coperta mq 67 ca., quando è stato ampiamente confermato dalla documentazione tecnica e dalle relazioni depositate in atti che l'aumento volumetrico contestato è frutto dell'erronea applicazione del coefficiente 1, in luogo del coefficiente 0,60 che, se adeguatamente applicato avrebbe dimostrato agli uffici comunali che l'aumento è decisamente più modesto (mc 85,50) [...]"; tale cesura, tuttavia, non è stata oggetto di esame da parte del Collegio, il quale si sarebbe limitato a richiamare gli indirizzi della giurisprudenza amministrativa sul divieto di incremento dei volumi esistenti, senza verificare se tale incremento si era realizzato nel caso di specie. Anche sotto tale profilo, dunque, si sarebbe in presenza di un errore revocatorio, dovuto a una svista nella lettura degli elaborati grafici e peritali; l'errore, in altre parole, sarebbe attribuibile non a un vizio di motivazione, ma a un'errata percezione di fatti documentalmente provati. 8 - Il ricorso è inammissibile, non essendo ravvisabile alcun errore di fatto. La piena corrispondenza del contenuto motivazionale della sentenza al tema controverso oggetto dell'appello avverso la sentenza del TAR per la Calabria del 24 marzo 2015, n. 295, esclude in radice la possibilità di scorgere gli errori di fatto così come prospettati da parte ricorrente, avuto riguardo al principio, già ricordato, per cui il fatto oggetto di errore non deve aver costituito un punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunciata (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19/07/2007, n. 4092), dal momento che la sussistenza del vincolo e di un incremento volumetrico costituivano le principali questioni oggetto di causa. In altri termini, lungi dal mettere in evidenza un errore di fatto, ovvero una specifica "svista", chiaramente individuabile nel senso innanzi precisato, i rilievi di parte ricorrente tendono a criticare la valutazione compiuta dal giudicante, mirando ad una rivalutazione della medesima identica questione sottesa al ricorso sfociato nella revocanda sentenza. Nello specifico, la sentenza impugnata esamina compiutamente la questione relativa alla sussistenza dei vincoli al punto 7 e la questione relativa all'aumento volumetrico al punto 8. Quanto alla dedotta obliterazione della relazione dal perito del signor Liconti ed alla supposta erronea percezione dei grafici, la sentenza in realtà li richiama e, in ogni caso, è evidente che ciò che il ricorrente lamenta è una erronea valutazione del materiale istruttorio prodotto in causa, eventualità questa che integra, se del caso, un errore di valutazione o di interpretazione dei fatti, che è cosa differente dall'errore di fatto di cui all'art. 395 n. 4 c.p.c. Invero, quest'ultimo errore, come già accennato, non è in linea di principio ravvisabile quando si lamenta una presunta erronea valutazione delle risultanze processuali o una anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio (in quanto ciò si risolve in un errore di giudizio), nonché quando una questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 10/01/2013, n. 1, secondo cui non ricorre l'ipotesi dell'errore revocatorio nel caso di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, trattandosi di ipotesi queste che danno luogo, se mai, ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione). Anche gli ulteriori rilievi - quali la supposta mancata localizzazione spaziale dell'oggetto dell'abuso - sono riconducibili ad argomenti logico giuridici di critica della sentenza, piuttosto che effettivi errori di fatto nei termini innanzi precisati; gli stessi, inoltre, attengono sempre alle questioni principali intorno alle quali ruota il giudizio, che come detto sono state esaminate a fondo nella sentenza impugnata, e che non possono essere rimesse in discussioni in questa sede. Inoltre, la giurisprudenza ha precisato che l'omessa pronuncia su un vizio denunciato deve essere accertata con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso e senza privilegiare aspetti formali, e può ritenersi sussistente solo nell'ipotesi in cui non risulti essere stato esaminato il punto controverso e non quando la decisione sul motivo (o sull'eccezione) risulti implicitamente, o quando la pronuncia su di esso c'è stata, anche se non ha preso specificamente in esame alcune argomentazioni a sostegno della doglianza (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 17/12/2012, n. 6455; Consiglio di Stato, sez. IV, 21/04/2009, n. 2414). In altri termini, l'eventuale circostanza che la sentenza non abbia preso posizione su tutti gli argomenti difensivi di una parte non è suscettibile di configurarsi come errore revocatorio, potendo al più costituire mero vizio del procedimento logico-giuridico estraneo alla iniziativa ex artt. 106 c.p.a. e 395 c.p.c. (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 28/10/2013, n. 5180). 9 - In definitiva, il ricorso è inammissibile, non essendo ravvisabile alcun errore revocatorio. 9.1 - Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore del Ministero resistente che si liquidano in Euro4.000, oltre accessori come per legge se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Montedoro - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9752 del 2021, proposto da Fr. To., rappresentato e difeso dall'avvocato Ac. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Ministero dell'Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 7760/2021 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Università e della Ricerca; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2023 il Cons. Sergio Zeuli e udito l'avvocato Va. Ta. su delega dichiarata di Ac. Mo.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso con cui la parte appellante chiedeva l'annullamento del diniego dell'Abilitazione Scientifica Nazionale quale Professore Universitario di II Fascia, Settore concorsuale 12/A1 - Diritto Privato, pubblicato il 10 novembre 2020, e dei relativi giudizio individuale e collegiale espresso avuto riguardo ai suoi titoli dalla Commissione per l'ASN. A supporto del gravame, sono esposte le seguenti circostanze di fatto: - con D.D. n. 2176/2018 veniva indetta la procedura per il conseguimento dell'ASN alle funzioni di Professore Universitario di Prima e di Seconda Fascia per il Settore concorsuale 12/A1 cui partecipava la parte appellante, già ricercatore confermato di Diritto Privato presso l'Università degli Studi della Calabria, per la seconda fascia; - la parte appellante otteneva una valutazione positiva in riferimento al possesso di almeno tre titoli tra quelli individuati dalla Commissione, nella prima riunione del 20 novembre 2018, ai sensi dell'art. 8 comma 1 D.P.R. n. 95/2016 e dell'allegato A del D.M. n. 120/2016 ed il riconoscimento di 5 titoli rientranti nei parametri individuati dalla Commissione, con impatto della produzione scientifica, raggiunto con due su tre dei valori previsti dalla legge; - la Commissione, a maggioranza dei 4/5 riteneva il candidato non meritevole dell'ASN per la seconda fascia, in quanto le pubblicazioni presentate non avrebbero dimostrato una posizione riconosciuta nel panorama della ricerca, e tanto meno la richiesta maturità scientifica. Tanto premesso la parte appellante proponeva ricorso al TAR del Lazio che, con la sentenza gravata, lo rigettava. Avverso la stessa sono proposti i seguenti motivi di appello, così rubricati: 1. ERROR IN IUDICANDO - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ARTT. 3, 4 E 7 D.M. 120/2016 E L. 240/2010 - CONTRADDITTORIETA' - ILLOGICITA' MANIFESTA - TRAVISAMENTO DEI FATTI - MOTIVAZIONE APPARENTE, CONFUSA, INCOMPLETA, CONTRADDITTORIA 2. ERROR IN IUDICANDO - ERRONEA VALUTAZIONE DEI PRESUPPOSTI DI FATTO E DI DIRITTO - OMESSO SINDACATO - CONTRADDITTORIETA' E ILLOGICITA' 3. ERROR IN IUDICANDO - VIOLAZIONE DI LEGGE PER LA VALUTAZIONE DEL MANUALE - ECCESSO DI POTERE PER CONTRADDITTORIETA' - ILLOGICITA' MANIFESTA - TRAVISAMENTO DEI FATTI. 2. Si è costituito in giudizio il Ministero dell'Università e della ricerca, contestando l'avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame. DIRITTO 3. Il primo motivo di appello contesta alla sentenza impugnata di non avere accolto il motivo di ricorso che contestava alla Commissione di concorso di non avere utilizzato, per la valutazione della produzione scientifica del candidato, i criteri previsti per l'ASN di seconda fascia. Sottolineando la differenza tra i giudizi per l'abilitazione di prima e di seconda fascia, scolpita dalle due lettere del comma 2 dell'art. 3 del D.M. 120/2016, la parte appellante contesta, anche in questa sede, l'eccessiva severità del giudizio applicata ai suoi titoli, erroneamente "tarata" sui criteri di rilevante qualità ed originalità, che invece la normativa richiederebbe per la sola abilitazione quale professore ordinario, e non per quella di professore associato. Il ridetto giudizio collegiale sarebbe oltretutto contraddittorio, perché, dopo aver apprezzato, nella sua prima parte, la continuità dei titoli scientifici e la loro collocazione in pubblicazioni autorevoli, conclude giudicando detta produzione meramente descrittiva e non critica. La perplessità della motivazione sarebbe ulteriormente confortata dalla constatazione che la Commissione si è limitata ad esprimere un giudizio negativo in termini dubitativi, non potendo fondarlo su criteri o parametri oggettivi. In particolare le segnalate incertezza e contraddittorietà emergerebbero, in modo palese, dalla valutazione esperita dalla Commissione sulla monografia presentata dalla parte appellante del 2006, intitolata "Il consumo di micro-credito e la tutela della persona". In modo consimile, una medesima dubitatività del giudizio emergerebbe anche con riguardo all'altra monografia presentata dalla parte appellante. 4. Il secondo motivo di appello, con particolare riferimento alla prima monografia segnala che il commissario prof. Ci., come emerge dal giudizio individuale da questi espresso, l'ha favorevolmente apprezzata, mentre gli altri commissari le hanno riservato un non lusinghiero giudizio. Questo denoterebbe ima contraddittorietà intrinseca dei giudizi negativi. In particolare, il motivo critica il giudizio riservato all'opera dalla commissaria La Ro., che, contrariamente a quanto ritenuto da Ci., ha ritenuto il lavoro ispirato a tematiche di tipo economico-sociali, non dotate di adeguato rigore scientifico, completamente trascurando - secondo la parte appellante - le prospettive giuridiche implicate dalla cd. "analisi economica del diritto". Anche il giudizio espresso sulla monografia dal commissario Ma. - secondo il quale l'opera, risalente al 2006, descrive un assetto giuridico normativo superato - è criticato sul presupposto che le modifiche normative, seppure avessero reso non attuale il lavoro, giammai potrebbero ridondare sul valore scientifico della sua produzione. Infine, il giudizio anche critico riservato all'opera dal commissario Qu. è censurato in quanto poco motivato ed irrimediabilmente apodittico e quello della commissaria Po. è ritenuto contraddittorio. 4.1. Sotto altro versante, il secondo motivo di appello contesta alla commissione di avere poco valutato gli scritti minori prodotti dalla parte appellante e di non avere per nulla valutato tre di essi, e cioè : 1) "Cittadinanza ed assistenza sanitaria: il diritto alla cura transfrontaliera, in La cittadinanza quale "valore". Un approccio giuridico-economico" del 2018; 2) "Public order: limit or value? Inequality and poverty in the relationship between credit concession, child support, manners, education and accomplishment of the human being, in public and private management a multidisciplinary ap-proach" del 2018; 3) "La responsabilità civile nella prestazione dei servizi finanziari, in Il diritto dei consumi" del 2008.Lo stesso motivo critica 5. Il terzo motivo di appello censura infine la sentenza impugnata nella parte in cui non ha condiviso le censure sollevate in ricorso avverso la valutazione riservata al Manuale "Profili di diritto del turismo (privato e pubblico). Corso istituzionale", edito nel 2011, del quale la parte appellante ha scritto i capitoli (I, III, VI, IX, X, XI, XII). La censura si appunta sull'apparente totale pretermissione della valutazione dell'opera, motivata dalla considerazione che, trattandosi di opera avente finalità didattica, è uno scritto di carattere compilativo. In realtà, secondo la parte appellante, la Commissione non poteva esimersi dal valutare la detta produzione, innanzitutto perché la normativa non prevede alcuna limitazione in relazione ai titoli presentabili; in secondo luogo perché quello dell'originalità della ricerca rappresenta solo uno dei criteri previsti dalla normativa. In terzo luogo, la trascuratezza nell'analisi del manuale sarebbe vieppiù criticabile perché anche in una produzione manualistica vi possono essere tratti di originalità, quali ad esempio si trovano proprio nei capitoli dell'opera curati dalla parte appellante, che, in modo innovativo e documentato, ha riconosciuto, contrariamente ad un orientamento autorevolmente sostenuto in dottrina, il carattere di contratto a titolo gratuito al cd. "contratto di prenotazione". Infine, a tutto concedere la Commissione avrebbe omesso di valutare la significatività, sotto il profilo delle sue capacità didattiche, dell'avere il candidato redatto un manuale istituzionale. Questo aggraverebbe, nella sua prospettiva, la contestata omessa valutazione. 6. Tutti i motivi, per come riassunti, censurano sotto il profilo tecnico le valutazioni, individuali e collegiali, espresse dai singoli commissari e dalla Commissione nel suo complesso, dunque possono essere unitariamente trattati, non senza aver premesso che la materia di cui si tratta è interamente permeata da un elevato tasso di discrezionalità tecnica che restringe sensibilmente il sindacato di legittimità . D'altronde una valutazione parzialmente unitaria dei motivi si impone perché il gravame, nelle sue articolazioni, ritorna su punti già trattati, talvolta sovrapponendo ricostruzioni e contestazioni, e così, rendendo difficile un'analitica strutturata cronologicamente e logicamente delle singole doglianze. 6.1. Ad ogni modo, avuto riguardo al primo motivo con il quale si denuncia l'eccessiva severità del giudizio della commissione e la sua non corrispondenza ai criteri dettati per l'ASN quale professore di seconda fascia, la doglianza è infondata. Il giudizio collegiale espresso dalla Commissione di valutazione sottolinea, infatti, che la produzione della parte appellante presenta una frequente ripetitività dei contenuti. A detta valutazione l'organo tecnico perviene all'esito di un'analisi degli interventi scritti, nella quale una parte preponderante è riservata alla monografia del 2006 dedicata alla materia del consumo del micro-credito ed alla tutela della persona. La Commissione, dopo aver dato atto dell'interessante tematica trattata, giudica lo studio non adeguatamente rigoroso sul piano sistematico, concludendo che esso non ha apportato "un reale contributo alla discussione del tema." La stessa Commissione attribuisce alla seconda monografia, quella nel volume collettaneo, del 2011, un carattere prevalentemente compilativo, oltretutto in consonanza con la finalità didattica del lavoro, e dunque ne esclude i caratteri di innovatività ed originalità . Or bene la ricognizione di tale analisi, oltre a smentire oggettivamente la critica di contraddittorietà del giudizio, denota un'obiettiva ed imparziale analisi dei titoli, che giunge ad un risultato valutativo che si presenta congruo rispetto alla lettura degli stessi, e soprattutto ragionevole, allorquando sottoposto ad un giudizio estrinseco di legittimità . Tanto meno possono cogliersi, in quel giudizio, tratti di marcata severità che sarebbero più propri di un giudizio di prima fascia, dal momento che il comma 2, lett. b) del D.M. n. 120/2016 specifica che "la valutazione dei titoli e delle pubblicazioni presentate è volta ad accertare, per le funzioni di professore di seconda fascia, la maturità scientifica del candidato, intesa come il riconoscimento di un positivo livello della qualità e originalità dei risultati raggiunti nelle ricerche affrontate e tali da conferire una posizione riconosciuta nel panorama nazionale", ossia proprio le caratteristiche che la Commissione ha ritenuto mancassero nella produzione scientifica del candidato. 6.2. Quanto alle doglianze relative agli scritti minori, affrontate sia dal primo che dal secondo motivo, la Commissione, dopo aver constatato, rispetto ad alcuni, la loro riconducibilità alle tematiche della prima monografia (con eccezione dell'articolo "Rapporto tra etica e diritto" che è ritenuto contenere qualche spunto interessante), gli riserva ana giudizio non favorevole. Ad altri scritti, relativi invece a tematiche diverse, parimenti la Commissione assegna carattere prevalentemente ricognitivo. Anche in questo caso né il metodo né l'approdo della Commissione possono dirsi fallaci, né tanto meno palesemente illegittimi in quanto frutto di un esercizio disfunzionale del potere. Il fatto poi che le pubblicazioni siano avvenute su riviste o collane autorevoli, non toglie che debbano essere soggette ad una valutazione tecnica. A voler diversamente opinare, infatti, le valutazioni dell'organo tecnico competente per l'ASN dovrebbero ritenersi minus-valenti rispetto a quelle esperite dai Comitati redazionali di riviste e collane specialistiche, il che, oltre ad essere chiaramente illegittimo, darebbe luogo ad effetti paradossali. 6.3. Tanto meno è fondata la censura - formulata con il secondo motivo di appello- che contesta che alcuni scritti minori dell'appellante non sarebbero proprio stati considerati. Per contro, sia pure in modo riassuntivo, essi risultano valutati dalla Commissione, compresi i tre titoli espressamente indicati dalla parte appellante. Due di questi ultimi, in particolare, essendo connessi alla tematica della monografia del 2006, sono senz'altro ricompresi nel giudizio espresso in proposito dalla Commissione, poco sopra ricordato. 6.4. Venendo ai giudizi individuali dei singoli commissari ed al rapporto tra questi ultimi e quello collegiale, oggetto di censura col primo motivo, si osserva innanzitutto che vi è una sostanziale coincidenza fra i giudizi individuali espressi da quattro dei cinque commissari e quello collegiale, tanto che quest'ultimo può ritenersi una fedele e congrua sintesi dei primi. Per la commissaria La Ro., infatti, le pubblicazioni presentano carenza di rigore metodologico e assenza di innovatività ed originalità, per il commissario Ma. si tratta di una pubblicistica dai tratti professionali o divulgativi, per il commissario Po. gli scritti non sono di elevata qualità, né presentano carattere innovativo, giudizi consimili sono infine espressi dal commissario Qu.. 7. Come anticipato, inoltre, il secondo motivo appunta la sua attenzione valorizzando il giudizio favorevole espresso dal commissario Ci. sulla produzione della parte appellante (in particolare sul libro sul Micro-credito al consumo), sulla cui base pretende di dimostrare la contraddittorietà degli altri giudizi (negativi), anch'essi criticati. 7.1. La doglianza, per plurimi versi, è infondata. Innanzitutto non può non osservarsi che la monografia analizzata è stata pubblicata in epoca non recente, essa risale infatti al 2006, ciò nonostante è quella che, più delle altre, è stata valorizzata dalla Commissione. In secondo luogo la doglianza è erronea nel presupposto, perché evidentemente il giudizio favorevole di un commissario non dimostra alcunché con riferimento all'asserita illegittimità di quelli espressi dagli altri, oltretutto tutti confluenti verso un esito negativo. D'altro canto la dialettica culturale implicata da manifestazioni dissenzienti è un'evenienza fisiologica dell'attività dell'Accademia e dunque ancor meno in questo caso a quella distonia può attribuirsi la pretesa valenza dimostrativa. 7.2. Quanto ai censurati giudizi degli altri commissari, si osserva che le critiche che l'appellante muove a quelli espressi da Qu. e Po. sono generiche e comunque infondate, all'esito di una piana lettura degli stessi. Quanto alla censura sul giudizio critico della commissaria La Ro., si osserva che quest'ultimo è sicuramente argomentato e si rivela ragionevole, anche considerando che l'intera commissione, in consonanza con quanto ritenuto da La Ro., pur apprezzando alcune delle considerazioni ivi rassegnate, ne ha rilevato lo scivolamento verso tematiche non strettamente attinenti al diritto privato. Infine, quanto alle critiche sollevate verso il giudizio del commissario Ma., le stesse non colgono nel segno perché, tra i criteri da seguire per la valutazione, è espressamente indicato anche quello dell'attualità della produzione scientifica, requisito che, per le ragioni molto chiaramente spiegate dallo stesso Ma., la monografia della parte appellante non possiede. 8. Come detto il terzo motivo lamenta l'omessa valutazione del Manuale, di cui la parte appellante ha curato alcuni capitoli. 8.1. Il motivo è infondato in fatto perché la Commissione ha valutato il suddetto testo, sia pure considerandolo - con insindacabile giudizio tecnico-discrezionale - avente carattere compilativo, coerente, peraltro, con le dichiarate finalità didattiche. Né il fatto che l'opera, come probabile, contenga spunti originali, ne esclude il carattere manualistico. Il requisito dell'innovatività, infatti, avrebbe richiesto che, a questi spunti, fossero seguiti i necessari approfondimenti metodologici e contenutistici che non risultano, né verosimilmente avrebbero potuto esserlo, riportati nel testo istituzionale. 8.2. Neppure la doglianza che protesta l'omessa considerazione delle capacità didattiche che il candidato avrebbe dimostrato nella redazione del testo è fondata. I titoli didattici della parte appellante risultano infatti positivamente valutati, nella lett. f) della pag. 2 dell'atto impugnato; nella sede nella quale si verte, erano per contro in discussione i suoi titoli scientifici, e segnatamente, il valore accademico e scientifico del ridetto manuale, al quale la Commissione ha riservato il sopra-indicato giudizio che, anche in questo caso, si sottrae, ad un giudizio estrinseco di legittimità, alle censure dedotte dalla parte appellante. 9. Conclusivamente questi motivi inducono al rigetto del gravame. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali in favore della costituita parte appellata che si liquidano in complessivi euro 4000,00 (euroquattromila,00). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Massimiliano Noccelli - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Maurizio Antonio Pasquale Francola - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3250 del 2019, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ri. Ba., Et. No., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria, -OMISSIS-, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); -OMISSIS-, -OMISSIS-, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria n. -OMISSIS-, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell'Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria e -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti gli avvocati come da verbale di udienza; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con ricorso ritualmente notificato -OMISSIS- ha proposto appello avverso la sentenza del TAR Calabria - Reggio Calabria n. -OMISSIS- del 19.3.2019 di rigetto del ricorso, e successivi motivi aggiunti, tesi all'annullamento della nota -OMISSIS- e dell'allegata informativa antimafia, a valere anche quale diniego di iscrizione alla White List, emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria -OMISSIS-. Con atto di rinuncia -OMISSIS-, il procuratore della società appellante ha rappresentato che la suddetta interdittiva antimafia è derivata dalla circostanza che, all'epoca dell'adozione del provvedimento prefettizio, -OMISSIS-, era imputato per concorso nel reato di cui all'art. 353 c.p. nel procedimento penale -OMISSIS-. Nelle more della definizione della controversia, per fatti sopravvenuti, l'impresa appellante -OMISSIS- è stata posta in liquidazione anche in relazione alla situazione di crisi del comparto economico in cui opera maggiormente. Per tale ragione il difensore della società appellante ha dichiarato che non sussiste più ad oggi l'interesse alla definizione del ricorso in epigrafe. Con atto -OMISSIS-, è stata dichiarata la rinunzia al ricorso in oggetto; con il medesimo atto, l'appellante ha chiesto di disporre la compensazione delle spese. Il Collegio, visto l'atto di rinunzia debitamente notificato, dichiara l'estinzione del giudizio per intervenuta rinunzia all'appello, con compensazione delle spese. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, dichiara l'estinzione del giudizio. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità delle parti. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Michele Corradino - Presidente Pierfrancesco Ungari - Consigliere Paolo Carpentieri - Consigliere Stefania Santoleri - Consigliere, Estensore Ezio Fedullo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4851 del 2018, proposto da La Mi. 2 S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ga. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Rende, via (...); contro Regione Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Na., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Ga. Co. Spa, Ma. Ca. S.r.l., non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Seconda n. 01744/2017, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Calabria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2023 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e udito per la parte appellata l'avvocato Na.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto dalla società La Mi. 2 S.r.l. contro la Regione Calabria per l'annullamento del decreto n. 13569 del dirigente generale del dipartimento 9 "Infrastrutture Lavori Pubblici, politiche della casa, ERP, ABR, risorse idriche, ciclo integrato delle acque" della Regione Calabria, emesso in data 14 novembre 2014 e pubblicato il 18 novembre 2014, con il quale è stata approvata la graduatoria dei soggetti ammessi al bando pubblico di cui al D.G.R. del 7 marzo 2014, n. 93 "Programma operativo nel settore delle politiche della casa", che attribuiva all'odierna ricorrente la posizione n. 12 riconoscendole per il progetto presentato un contributo pari ad euro 1.603.669,16 anziché l'importo richiesto di euro 3.919.310,54. 1.1. Col ricorso era stata dedotta l'erroneità dei criteri applicati per il calcolo del contributo che, ad avviso della società istante, avrebbe dovuto essere calcolato solo ed esclusivamente sulla base del QTE definitivo, rappresentante il costo necessario per la realizzazione del complesso abitativo progettato; era stato inoltre lamentato il mancato riconoscimento della maggiorazione del 20% del costo convenzionale dell'alloggio, per avere soddisfatto i requisiti di sostenibilità del Protocollo Itaca Sintetico; era stata infine denunciata la disparità di trattamento rispetto alla società Ed. Co. Sa. Fr., classificatasi al quarto posto con riconoscimento dell'intero importo richiesto. 1.2. Il tribunale ha dato atto della resistenza della Regione Calabria e della produzione in giudizio del DDS n. 3900/2017, notificato alla ricorrente a mezzo pec in data 13 aprile 2017, di revoca dell'intero finanziamento nei confronti della società La Mi. 2 S.r.l. Alla luce di tale documentazione e della dichiarazione dell'inoppugnabilità del provvedimento di revoca, non gravato dalla società, il tribunale ha accolto la richiesta della difesa regionale di dichiarazione di improcedibilità ex art. 35, co. 1, lett. c), c.p.a. 1.3. Le spese processuali sono state compensate. 2. La società La Mi. 2 S.r.l. ha proposto appello con cinque motivi. La Regione Calabria si è costituita per resistere all'appello. 2.1. All'udienza dell'11 maggio 2023 la causa è stata discussa e assegnata a sentenza, previo deposito di documenti e memoria da parte della Regione Calabria. 3. La società appellante premette che la circostanza su cui si fonda la sentenza - essere cioè divenuto il provvedimento di revoca inoppugnabile perché non tempestivamente gravato - è smentita dalla tempestiva presentazione avverso il DDS n. 3900/2017 del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica in data 3 agosto 2017 ed aggiunge che tale circostanza sarebbe stata fatta presente al giudice di prime cure durante l'udienza pubblica del 15 novembre 2017. 3.1. Quindi formula i seguenti motivi di appello: 1. Error in iudicando: travisamento ed erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto; 2. Error in procedendo: difetto di istruttoria giudiziale. Istruttoria carente ed inadeguata; 3. Difetto di motivazione. Motivazione erronea, perplessa ed apparente; 4. Error in procedendo: violazione ed erronea applicazione del principio di alternatività ; 5. Error in procedendo: violazione dell'art. 79, comma 1 c.p.a., in combinato disposto con l'art. 295 c.p.c. 3.2. In sintesi, l'appellante deduce che: - il ricorso straordinario anzidetto era stato presentato, era pendente alla data dell'appello e la Regione non ne aveva chiesto la trasposizione; - il giudice di primo grado non ne ha tenuto conto, malgrado la circostanza fosse stata dichiarata in udienza, incorrendo perciò nella violazione del principio di alternatività tra ricorso straordinario e ricorso al tribunale amministrativo regionale; - il primo giudice si sarebbe potuto avvalere dell'istituto della sospensione del processo, a sensi degli artt. 79, comma 1 c.p.a. e 295 c.p.c., così come se ne potrebbe avvalere il giudice d'appello. 3.3. Vengono quindi riproposti in appello i motivi di ricorso non esaminati in primo grado. 4. L'appello non merita di essere accolto. 4.1. Giova premettere che si può prescindere dalle questioni poste dall'appellata Regione Calabria in punto di mancata presentazione della querela di falso avverso il verbale dell'udienza pubblica del 15 novembre 2017 dinanzi al T.a.r. - laddove non riporta l'asserita dichiarazione di pendenza del ricorso straordinario al Capo dello Stato, sì da far apparire mendace (quindi contraria all'obbligo di verità fissato dall'art. 50 del Codice Deontologico Forense) l'affermazione dell'appellante di averla resa nel corso della discussione tenuta a detta udienza - ed in punto di inammissibilità della produzione in appello ex art. 104 c.p.a. della copia del ricorso straordinario presentato avverso il provvedimento di revoca. 4.2. Invero, va ammessa in appello la produzione da parte della stessa Regione del parere del Consiglio di Stato, I sezione, n. 214/19, reso ex artt. 12 e 13 del DPR n. 1199/71, sopravvenuto alla sentenza di primo grado. La portata ed il contenuto di tale parere comportano infatti che l'appello proposto dalla società La Mi. 2 S.r.l. debba essere respinto, pur se la motivazione della sentenza gravata va corretta secondo quanto appresso. 4.3. In primo luogo, va sottolineato come il Consiglio di Stato abbia espresso "parere che il ricorso sia dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse". Pertanto, pur non risultando adottato il decreto del Presidente della Repubblica contenente la decisione del ricorso straordinario e pur non dovendosi questo necessariamente conformare al parere espresso, rileva già che il dispositivo adottato non sia favorevole alla società ricorrente. 4.4. Ancora più rilevante -onde respingere la richiesta di sospensione del presente giudizio e confermare la decisione di primo grado- è la motivazione del parere, dalla quale risulta quanto segue: - anteriormente al decreto n. 3900 del 12 aprile 2017 di revoca del finanziamento pubblico in favore della società La Mi. 2 S.r.l. (per il mancato avvio dei lavori da parte del soggetto attuatore), impugnato col ricorso straordinario, era stata emanata la delibera della Giunta regionale della Calabria n. 319 del 9 agosto 2016, con la quale era stata disposta la revoca del programma di edilizia residenziale pubblica a cui ha partecipato la società ricorrente; - quest'ultima delibera, che non risulta essere stata impugnata, ha disposto, "in esito alla ricognizione di cui al punto precedente, e per le considerazioni di cui in premessa, la revoca degli interventi finanziati con provvedimenti della giunta regionale, DGR n. 347/2012, 93/2014, 147/2014 e 452/2014 che autorizzavano programmi di interventi con oneri a valere sul conto corrente infruttifero n. 20128/1208 presso la Cassa Depositi e Prestiti, fatti salvi gli impegni giuridicamente vincolanti eventualmente assunti" (vale a dire proprio le deliberazioni regionali sulla base delle quali è stato concesso il finanziamento alla società ricorrente); - quindi è stato revocato (con atto non impugnato) il programma di edilizia residenziale pubblica nel cui ambito la società ha ottenuto il finanziamento oggetto di giudizio; - ciò è confermato anche dalla sentenza n. 683/2018, con la quale il TAR Calabria ha dato atto dell'adozione della deliberazione della Giunta regionale della Calabria n. 319 del 9 agosto 2016, che "ha disposto la revoca di alcuni programmi di edilizia residenziale pubblica (tra cui quello di cui si discute in questa sede) comportanti oneri a valere sui fondi disponibili sul conto corrente citato, fatti salvi gli impegni giuridicamente vincolanti già assunti", conseguentemente, dichiarando l'improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse; - tale sentenza fa stato anche nei confronti della società ricorrente, posto che la stessa era stata evocata come controinteressata nel giudizio R.G. n. 1083/2016 concluso con la citata sentenza. 4.5. In considerazione delle dette risultanze - non contestate in alcun modo dalla società appellante, che, dopo la proposizione del gravame, non ha svolto attività difensiva - si ritiene che, non solo "l'eventuale accoglimento del ricorso straordinario non arrecherebbe alcun vantaggio a La Mi. 2 S.r.l., essendo ormai stato revocato (con atto non impugnato) il programma di edilizia residenziale pubblica nel cui ambito la Società ha ottenuto il finanziamento oggetto di giudizio" (come detto nel parere), ma anche che, per la stessa ragione, sarebbe privo di interesse per la società l'accoglimento del ricorso oggetto del presente giudizio, in quanto volto a contestare il quantum di un finanziamento, oggetto dei due illustrati provvedimenti di revoca sopravvenuti. 5. L'appello va quindi respinto e va confermata la dichiarazione di improcedibilità del ricorso di primo grado per sopravvenuta carenza di interesse, sia pure per ragioni in parte diverse da quelle affermate in sentenza. 5.1. Le spese del presente grado si regolano secondo il criterio della soccombenza e vanno poste a carico della società appellante ed a favore della Regione Calabria, liquidate come da dispositivo. 6. Si ritiene che non sussistano i presupposti per la cancellazione della frase di cui alla pagina 8 dell'atto di appello, richiesta dalla Regione ai sensi degli artt. 52 C.D.F. e 89 c.p.c., né per la condanna dell'appellante ai sensi dell'art. 26, comma 1 e comma 2, c.p.a., richiesta dalla stessa parte. 6.1. Invero, l'espressione adoperata dall'appellante ("Evidente, pertanto, la spregiudicatezza e la scorrettezza del comportamento della Regione Calabria"), va intesa mediante il corretto inserimento nel contesto argomentativo in cui è collocata, riferito alla consapevolezza da parte dell'amministrazione regionale dell'avvenuta presentazione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (notificato il 7 agosto 2017), quando la difesa regionale presentò la memoria con la richiesta di declaratoria di improcedibilità del ricorso di primo grado (in data 3 ottobre 2017). A suggello di tale deduzione di fatto, l'appellante ha mosso il rilievo sopra detto nei confronti della condotta della controparte. Sebbene si tratti di una critica decisa, essa va ritenuta espressione del legittimo esercizio del diritto di difesa, poiché fondata su un dato di fatto oggettivo e comunque non comportante un'offesa grave, né sconveniente (poiché non trasmodante la vicenda processuale), nei confronti delle persone dei difensori o degli organi dell'ente regionale (cfr., tra le altre, Cass. sez. lav., 18 ottobre 2016, n. 21031, secondo cui, in tema di espressioni offensive o sconvenienti contenute negli scritti difensivi, non può essere disposta, ai sensi dell'art. 89 c.p.c., la cancellazione delle parole "che non risultino dettate da un passionale e incomposto intento dispregiativo, essendo ben possibile che nell'esercizio del diritto di difesa il giudizio sulla reciproca condotta possa investire anche il profilo della moralità, senza tuttavia eccedere le esigenze difensive o colpire la scarsa attendibilità delle affermazioni della controparte. Ne consegue che non possono essere qualificate offensive dell'altrui reputazione le parole (...), che, rientrando seppure in modo piuttosto graffiante nell'esercizio del diritto di difesa, non si rivelino comunque lesive della dignità umana e professionale dell'avversario."). 6.2. Parimenti da respingere è la richiesta di condanna della società appellante al pagamento della somma di cui all'art. 26, comma 1, seconda parte, c.p.a. nonché della sanzione pecuniaria di cui allo stesso articolo, comma 2. L'avvenuta presentazione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso il provvedimento di revoca, erroneamente esclusa dal primo giudice, e la correzione della motivazione della sentenza gravata inducono a concludere che l'appellante non abbia abusato del processo d'appello, pur avendo proposto un gravame infondato. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento delle spese del grado di appello, liquidate, in favore della Regione Calabria, nell'importo complessivo di Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Francesco Caringella - Presidente Angela Rotondano - Consigliere Giovanni Grasso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere, Estensore Gianluca Rovelli - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. IMPERIALI Luciano - Consigliere Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - rel. Consigliere Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 19/01/2022 della CORTE DI APPELLO DI CATANZARO; PARTI CIVILI: Comune di (OMISSIS) - Regione (OMISSIS); Esaminati gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi, trattati con contraddittorio orale; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. AGOSTINACCHIO LUIGI; sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO Alessandro, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); rigettarsi i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); sentiti i difensori presenti, Avv. (OMISSIS) del foro di Crotone per il (OMISSIS) e il (OMISSIS) e, per quest'ultimo, in sostituzione anche dell'Avv. (OMISSIS) del foro di Crotone; Avv. (OMISSIS) del foro di Catanzaro per il (OMISSIS); Avv. (OMISSIS) del foro di Roma per (OMISSIS) e (OMISSIS); Avv. (OMISSIS) del foro di Catanzaro per il (OMISSIS) e, in qualita' di sostituto processuale dell'avv. (OMISSIS) del foro di Catanzaro, per (OMISSIS) e (OMISSIS): concludono riportandosi ai motivi e chiedendo l'accoglimento dei rispettivi ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 19/01/2022 la Corte di Appello di Catanzaro riformava parzialmente la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Crotone in data 24/06/2020 con riferimento alla sola posizione di (OMISSIS) riducendo la pena ai sensi dell'articolo 599 bis c.p.p., confermando, invece, nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione ai seguenti reati, cosi' come contestati: capo 1 - associazione a delinquere di stampo mafioso denominata âEuroËœndrangheta, articolazione territoriale di (OMISSIS), clan (OMISSIS) ( (OMISSIS) con il ruolo di "capo locale"; (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), con il ruolo di partecipe); capo 2 - porto e detenzione di armi da sparo L. n. 895 del 1967, ex articoli 2, 4 e 7, con l'aggravante dell'agevolazione mafiosa ex articolo 416 bis.1 c.p. ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)); capi 3, 4, 6, 7, 8 - vari episodi di danneggiamento aggravati anche dal metodo mafioso ex articolo 416 bis.1 c.p. ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), cosi' come a ciascuno di essi attribuiti); capi 5 e 9 - tentata estorsione (cosi' riqualificata l'originaria imputazione) aggravata anche dal metodo mafioso ex articolo 416 bis.1 c.p. ( (OMISSIS)); capo 10 - abuso di ufficio ex articolo 323 c.p. ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)); capi 12 e 13 - falsita' ideologica ex articolo 479 c.p. ( (OMISSIS), (OMISSIS)). 2. In sintesi, secondo i giudici di merito, il processo, convenzionalmente definito "Trigarium", ha confermato l'esistenza, la perdurante e concreta operativita' (dal 2000 al 30 luglio 2018), la soggettiva composizione e l'indeterminato programma criminoso di una pericolosa associazione per delinquere di stampo mafioso, denominata âEuroËœndrangheta, radicata nel territorio della provincia di Crotone e del Comune di (OMISSIS). Alla guida di tale sodalizio vi era (OMISSIS); al medesimo clan appartenevano, in qualita' di partecipi, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS). Il programma associativo prevedeva - oltre i piani omicidiari per il controllo del territorio, oggetto di altro processo - la detenzione di armi, la commissione di una pluralita' di danneggiamenti preordinati al consolidamento della forza intimidatrice dell'associazione nonche' le estorsioni perpetrate nei confronti di soggetti che si erano rifiutati di sottostare alle richieste di (OMISSIS). Inoltre, nel generico programma del sodalizio rientravano anche l'abuso di ufficio contestato a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) per il rilascio di un permesso di costruire relativo ad un immobile di proprieta' di (OMISSIS), su richiesta di permesso in sanatoria presentata dall'intestatario formale (OMISSIS). 2.1. Il quadro probatorio di riferimento e' costituito, in primo luogo, dalle chiamate in correita', dirette e de relato, del collaboratore di giustizia (OMISSIS); inoltre, dalle propalazioni di altri collaboratori di giustizia, ex affiliati di famiglie di âEuroËœndrangheta; infine, dalle risultanze di una capillare attivita' di intercettazioni, telefonica e ambientale, trascritte in forma peritale, nonche' dagli esiti delle operazioni di perquisizione e sequestro eseguite dalla polizia giudiziaria. 3. Avverso la decisione di secondo grado ricorrono i difensori di fiducia degli imputati, articolando i seguenti motivi di ricorso. 3.1. Nell'interesse di (OMISSIS) sono stati articolati tre motivi. Con i primi due si deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, con riferimento all'articolo 192 c.p.p., articolo 530 c.p.p., comma 2, articolo 579 c.p.p. in relazione all'affermazione di responsabilita', rispettivamente, per i capi d'imputazione sub 8) e sub 10), censurandosi - per il capo 8) - la fragilita' del quadro probatorio di riferimento, costituito da captazioni ambientali e telefoniche, attestanti la presenza dell'imputato in occasione dei reati contestati ma non la partecipazione alle azioni delittuose (la mancanza di riscontri aveva determinato l'assoluzione da cinque ulteriori accuse, nonostante la chiamata in correita'); con specifico riferimento al capo 10), l'intestazione formale dell'immobile non implicava la partecipazione alla condotta illecita, in assenza di elementi significativi in tal senso. In relazione al profilo sanzionatorio, si eccepisce il riconoscimento delle circostanze aggravanti per il capo 8 (il danno di rilevante entita' e l'agevolazione mafiosa ex articolo 416 bis.1 c.p.) e l'ingiustificato diniego delle attenuanti; inoltre, il cumulo materiale fra i reati, con illogica esclusione della continuazione, trattandosi di imputazioni riferite al programma criminale dell'associazione mafiosa. 3.2. Nell'interesse di (OMISSIS) sono stati articolati sei motivi. Con il primo si lamenta l'omesso esame di una memoria difensiva depositata nel corso del giudizio di primo grado, questione sottoposta alla Corte di appello che aveva ritenuto generico il rilievo, nonostante si trattasse di un atto articolato in piu' punti. Gli ulteriori motivi (dal secondo al quinto), sono riferiti ai singoli capi per cui vi e' stata condanna, in relazione al duplice profilo della violazione di legge, sostanziale e processuale (articolo 192 c.p.p.), e del vizio di motivazione: per il capo 2), le dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) non potevano ritenersi riscontrate dalle videoriprese del 24 settembre 2020, riferite ad un'unica occasione e non alla detenzione continuativa dell'arma, in mancanza altresi' di collegamento con la finalita' associativa e, quindi, della sussistenza dell'aggravante ex articolo 416 bis.1 c.p.. per i capi 3), 4), 6) e 8), relativi ai vari episodi di danneggiamento, la sentenza impugnata presentava illogicita' nella valutazione del compendio probatorio (per le condotte in danno di (OMISSIS), capi 3 e 6; per l'incendio della pala meccanica di (OMISSIS), capo 4, e del furgone della ditta di (OMISSIS), capo 8), in quanto le dichiarazioni di (OMISSIS) non si erano confrontate con le prove presentate dalla difesa, con apodittica riconducibilita' delle vicende alla consorteria anziche' a questioni personali); per i capi 10) e 12), circa il concorso nell'abuso di ufficio e il falso ideologico, il vizio logico consisteva nell'attribuzione del ruolo di sostanziale beneficiario della condotta del pubblico ufficiale, pur non essendosi mai interfacciato con i pubblici ufficiali (OMISSIS) e (OMISSIS), senza mostrare particolare interesse per le sorti del manufatto; inoltre, il coinvolgimento del cognato (OMISSIS), anch'egli privo della qualifica necessaria di imprenditore agricolo, era all'evidenza irragionevole. per il capo 1), le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia erano inidonee a delineare la condotta associativa, con ruolo verticistico ( (OMISSIS) aveva una conoscenza indiretta dei fatti, (OMISSIS) era privo di specificita' sulla collocazione temporale degli eventi, (OMISSIS) non era credibile perche' smentito da risultanze documentali e dalla testimonianza del maresciallo (OMISSIS), (OMISSIS) non era credibile per le contraddizioni riscontrate dalla difesa e per la pedissequa ripetizione di quanto gia' accertato dai Carabinieri); in particolare, la Corte di appello aveva collegato la supremazia del clan (OMISSIS) alla contrapposizione con la famiglia dei (OMISSIS), pervenendo a conclusioni illogiche allorche' aveva fissato il momento iniziale della condotta associativa al 2014, mentre la morte del reggente (OMISSIS) era avvenuta nel (OMISSIS), senza delineare, in ogni caso, attivita' delittuose astrattamente riconducibili all'associazione e i presupposti per il riconoscimento dell'aggravante della detenzione di armi nell'interesse del gruppo. Con l'ultimo motivo si censura il trattamento sanzionatorio, in relazione al riconoscimento della recidiva, al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla determinazione della pena, senza adeguata motivazione; inoltre, si eccepisce l'incostituzionalita' della L. n. 92 del 2012, articolo 2, comma 58 nella parte in cui prevede la revoca delle prestazioni assistenziali e previdenziali nei confronti dei condannati per il delitto di cui all'articolo 416 bis c.p. - misura applicata al (OMISSIS) - per violazione degli articoli 2, 3 e 38 Cost. sul diritto all'assistenza, garantito agli individui che necessitino di mezzi per sopravvivere. 3.3. (OMISSIS), tramite lo stesso difensore di (OMISSIS), ha strutturato il ricorso in termini analoghi e, per certi aspetti, sovrapponibili. Con il primo motivo ha censurato l'omesso esame della memoria difensiva depositata in primo grado, con conseguente lesione del diritto di difesa. Con il secondo motivo, ha lamentato l'omessa assoluzione dal reato associativo sub 1, in ragione della contraddittorieta', genericita' e illogicita' delle propalazioni dei collaboratori di giustizia (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con particolare riferimento alla collocazione temporale dei fatti, alla stregua di tutte le emergenze processuali, ivi comprese le intercettazioni, dalle quali non si evinceva una formale affiliazione ma, al piu', la messa a disposizione (ambasciate per conto del padre), senza offensivita' della condotta e, in ogni caso, riscontro della sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416 bis c.p., comma 4, sulla detenzione di armi nell'interesse dell'associazione; in relazione al capo 2), ha poi eccepito la violazione di legge sostanziale e processuale (articolo 192 c.p.p.) e il vizio di motivazione circa la detenzione e il porto di un fucile calibro 12, attesa l'inconsistenza del quadro probatorio, costituito dalle generiche dichiarazioni del correo (OMISSIS) sul punto e dalle risultanze del sistema di videosorveglianza, attestanti, in un'unica occasione, la disponibilita' occasionale all'interno di un'area privata, adibita ad abitazione. Il terzo motivo, infine, si riferisce al trattamento sanzionatorio, per rilievi sovrapponibili a quelli formulati con l'ultimo motivo di ricorso da (OMISSIS). 3.4. Nell'interesse di (OMISSIS) sono stati articolati sette motivi di ricorso. Primo motivo. Violazione degli articoli 46, 54 e 55 c.p. per il mancato riconoscimento delle cause di non punibilita' e dell'esimente; erronea valutazione delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) attestanti in realta' il costringimento fisico e lo stato di necessita', in un contesto di soggezione nei confronti del noto âEuroËœndranghetista, sottovalutato dai giudici di merito, in contrasto con i principi giurisprudenziali a riguardo. Secondo motivo. Insussistenza della condotta di partecipazione e omessa o erronea interpretazione delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), posto che l'accertamento si riferiva ad un periodo limitato di tempo (cinque mesi) e che la difesa aveva messo in evidenza le affermazioni dello stesso (OMISSIS) attestanti l'estraneita' a contesti devianti, senza riscontro da parte della corte territoriale. Terzo motivo. Omessa valutazione dell'avviso delle conclusioni delle indagini preliminari, notificato il 5 aprile 2019, per altro procedimento a carico del (OMISSIS), di (OMISSIS) e di altri otto indagati per aver costituito, nello stesso periodo, un'associazione a delinquere semplice, con lo scopo di commettere furti e danneggiamenti, con conseguente possibilita' di riqualificare i fatti ai sensi dell'articolo 416 c.p.. Quarto motivo, con riferimento ai capi 2, 3, 4, 6, 7, 8: travisamento della prova circa la detenzione dell'arma, alla quale era estraneo (capo 2); mancato esame delle censure difensive sulle dichiarazioni del collaboratore e sul significato delle conversazioni intercettate (capo 3); erronea valutazione della conversazione n. 112 dell'1 settembre 2019 (capo 4); illogica e contraddittoria motivazione sulla riconosciuta confusione del collaboratore nel raccontare i fatti e, al tempo stesso, sulle certezze riscontrate nel suo narrato (capo 6) nonche' sulla partecipazione concorsuale ai danneggiamenti di cui ai capi 7 e 8. Quinto motivo. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al riconoscimento dell'aggravante dell'articolo 416 bis.1 c.p. per i reati di cui ai capi 2, 3, 4, 6, 7 e 8, senza prova circa il dolo specifico di favorire l'associazione, emergendo, al contrario, un rapporto di amicizia con (OMISSIS). Sesto motivo. Violazione di legge (articolo 62 bis c.p.) e vizio di motivazione per l'ingiustificato diniego delle attenuanti generiche, senza riscontro delle argomentazioni difensive sugli elementi positivi di valutazione. Settimo motivo. Incongrua motivazione circa la determinazione della pena, sulla base della modifica apportata all'articolo 416 bis c.p., comma 5 in vigore dal 2015, laddove la condotta si era arrestata a dicembre 2014. 3.5. Con un unico e articolato motivo, (OMISSIS) ha eccepito la violazione dell'articolo 192 c.p.p., articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 546 c.p.p. e articolo 416 bis c.p. nonche' vizi della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' per il reato associativo; erronea valutazione delle censure difensive. La condotta associativa dipenderebbe dalla ritenuta partecipazione, nel 2014, all'omicidio di (OMISSIS), oggetto tuttavia di altro procedimento, con conseguente illogicita' della decisione che faceva dipendere il giudizio di responsabilita' da un fatto incerto; inoltre, le dichiarazioni testimoniali del maresciallo (OMISSIS) e dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS) non erano univoche e la sentenza impugnata era affetta da vizio logico nella parte in cui attribuiva a (OMISSIS) il ruolo di supremazia nel controllo mafioso di (OMISSIS) dopo l'omicidio di (OMISSIS), pur essendo (OMISSIS) ancora in vita. In ogni caso, (OMISSIS) era inattendibile per le ragioni esposte in appello (tardivita' della collaborazione, quando aveva piena cognizione dei fatti attraverso il processo; dichiarazioni de relato circa l'incontro fra gli esponenti delle famiglie di âEuroËœndrangheta della provincia, avvenuto tra il 2005 e il 2007; incongruenze circa il rito di affiliazione), non esaminate dalla corte di merito, cosi' come carenti erano i riscontri esterni (il precedente giudiziario del ricorrente, la chiamata in reita' del (OMISSIS), le intercettazioni successive all'omicidio di (OMISSIS), la frequentazione di (OMISSIS) e del (OMISSIS)). 3.6. (OMISSIS) e (OMISSIS) - funzionari comunali, entrambi condannati alla stessa pena per il capo 10, esclusa l'aggravante di cui all'articolo 416 bis.1 c.p. - con separati atti, tramite il comune difensore di fiducia, hanno articolato un unico motivo di ricorso, con il quale hanno eccepito la violazione di legge (articolo 323 c.p.) e il vizio di motivazione con riferimento agli elementi costitutivi del reato di abuso di ufficio. In particolare, l'accusa riguardava le carenze istruttorie e le tempistiche anomale per il rilascio del permesso in sanatoria, riconducibili al rapporto dei ricorrenti con (OMISSIS), cosi' come riferito dal collaboratore (OMISSIS); si trattava dell'omessa verifica della qualifica soggettiva di imprenditore agricolo del richiedente, non prevista tuttavia dalle norme tecniche di attuazione del Comune di (OMISSIS) per la edificazione di nuove costruzioni in zona agricola, circostanza non considerata dalla Corte di appello, nonostante l'espressa deduzione degli appellanti, essendo altresi' irrilevante, ai fini della legittimita' e liceita' dell'atto, che l' (OMISSIS) fosse un prestanome. In ogni caso, i giudici di merito non avevano precisato in cosa consistessero le omissioni, riferite alle verifiche Legge Regionale n. 19 del 2002, ex articolo 52, ne' dimostrato l'esistenza di un accordo con il privato. Non poteva ritenersi integrata la cd. doppia ingiustizia, posto che alla condotta contestata non era conseguita una situazione antigiuridica: non era ravvisabile, cioe', il reato di cui all'articolo 323 c.p. in quanto, pur ipotizzandosi la violazione di norme di legge o di regolamento, il privato aveva comunque diritto al vantaggio attribuito dal provvedimento amministrativo (l'immobile, infatti, era stato dissequestrato per la conformita' alle previsioni urbanistiche). La difesa ha citato a riguardo l'orientamento giurisprudenziale in base al quale l'ingiustizia del danno o del vantaggio patrimoniale deve essere tale a prescindere dall'abuso perpetrato, stante la necessita' che il risultato della condotta corrisponda di per se' ad una situazione antigiuridica, senza considerare il mezzo con cui questa e' stata posta in essere. 3.7. (OMISSIS) con due motivi di ricorso ha censurato il trattamento sanzionatorio per la carenza di motivazione in ordine agli aumenti per la continuazione, in contrasto con la disciplina del reato continuato, posto che la pena base risultava raddoppiata, nonostante il percorso di collaborazione; in termini erronei, inoltre, era stata applicata la misura di sicurezza della liberta' vigilata, senza accertamento, previsto dall'articolo 697 c.p.p., della pericolosita' sociale, da ritenersi anzi esclusa per la resipiscenza rispetto al passato. 3.8. (OMISSIS), pur avendo definito la sua posizione ai sensi dell'articolo 599 bis c.p. ha eccepito la violazione di legge, sostenendo l'apparenza della motivazione sull'assenza dei presupposti che legittimano l'applicazione dell'articolo 129 c.p.p. nonche' sulla conformita' del concordato alle prove e ai criteri per la determinazione della pena. 3.9. Nell'interesse di (OMISSIS) e di (OMISSIS), tramite lo stesso difensore di fiducia, sono stati presentati separati ricorsi, con tematiche comuni. 3.9.1. Per il primo di tali imputati risultano articolati sei motivi. Primo motivo. Violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 3 circa la conferma della condanna per il capo 1. In termini acritici la corte territoriale aveva confermato il giudizio del tribunale, valorizzando le dichiarazioni di (OMISSIS) circa l'affiliazione, il ruolo di sostituto del (OMISSIS), la condivisione del programma delittuoso, senza riscontrarle con quelle accusatorie degli altri collaboratori ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) e verificarne la concordanza sul nucleo essenziale del narrato. Inoltre, la partecipazione alla consorteria non poteva desumersi dalla condotta successiva all'omicidio del quale (OMISSIS) lo aveva accusato ne' in tal senso deponevano le conversazioni intercettate, riportate in sentenza, di contenuto neutro, attestanti il rapporto di familiarita' tra il ricorrente e la famiglia (OMISSIS). Secondo motivo. Violazione di legge penale (articolo 416 bis c.p.). L'unico elemento posto a fondamento della asserita condotta associativa era l'episodio delittuoso contestato in altro procedimento, attinente all'omicidio di (OMISSIS); per il resto, ciascuna delle vicende richiamate dai giudici di merito si collegava a rapporti personali e non gia' ad interessi della consorteria, in un contesto di frequentazione che non integrava alcuna fattispecie criminosa, cosi' come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimita'. Anche l'attribuzione della dote di "santa", che trovava riscontro esclusivo nel propalato di (OMISSIS), non era in se' significativa, in mancanza di un concreto accertamento in ordine alla partecipazione protratta nel tempo. Terzo motivo. Violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 3 in relazione al capo 3. La Corte di appello aveva ritenuto che le dichiarazioni di (OMISSIS) fossero state riscontrate dall'intercettazione citata a pag. 213 della sentenza di primo grado, relativa alla programmazione di un incontro, senza altro aggiungere a riguardo, per cui l'elemento probatorio era del tutto inconferente. Quarto motivo. Violazione di legge penale sostanziale (articolo 416 bis.1 c.p.), sempre in relazione al capo 3, per la carenza di prova in ordine al dolo diretto ossia alla consapevolezza di agevolare l'affermazione sul territorio del clan (OMISSIS), rilievo sul quale la sentenza impugnata si era pronunciata con frasi di stile, senza valutare la tesi difensiva che riportava il concorso nel danneggiamento in danno del (OMISSIS) ad un interesse personale del (OMISSIS). Quinto motivo. Violazione di legge penale (articolo 416 bis c.p., comma 4). Il riconoscimento della circostanza aggravante si basava sulla contestazione della fattispecie sub 2, sull'omicidio (OMISSIS) e sul rinvenimento delle armi utilizzate, singoli episodi che non attestavano la riconducibilita' delle armi stesse al clan. Sesto motivo. Con riferimento al trattamento sanzionatorio, violazione di legge penale (articolo 99 c.p.), in quanto il riconoscimento della recidiva era stato effettuato alla stregua di presunzioni, derivanti dalle risultanze del casellario giudiziale, senza attenersi a parametri concreti di giudizio al fine di verificare l'accentuata pericolosita' sociale. 3.9.2. Nell'interesse di (OMISSIS) sono stati articolati sette motivi di ricorso. Primo motivo. Violazione di legge penale (articolo 416 bis c.p.), per mancanza di elementi a sostegno dell'affermazione di responsabilita' individuale si' che la motivazione era del tutto carente sulla individuazione della condotta partecipativa, in considerazione della assenza radicale di contributivi dichiarativi accusatori (eccetto quelli di (OMISSIS), condizionati da avversione nei confronti del padre del ricorrente, (OMISSIS)), della esiguita' dell'arco temporale (le indagini si riferivano ad un segmento dell'anno 2014), della inconcludenza dei dialoghi intercettati (relativi esclusivamente all'omicidio), dell'estraneita' ai reati fine, del tenore aspecifico dei contatti con (OMISSIS) (determinati da ragioni umanitarie per i problemi psichiatrici di quest'ultimo). In diritto, la sentenza impugnata non aveva definito le caratteristiche della condotta partecipativa, omettendo di considerare la mancata iniziazione e la insussistente permanenza del vincolo associativo; il ruolo dell'imputato, secondo la Corte di appello, era stato quello di referente del capo cosca nella trasmissione di messaggi, dei quali non erano noti, tuttavia, il contenuto e i destinatari, circostanza che ne escludeva la rilevanza penale. Secondo motivo. Violazione di legge penale (articolo 416 bis c.p., comma 4), perche' il processo non aveva fornito elementi a sostegno della disponibilita' di armi da parte dell'intero sodalizio e non gia' del solo (OMISSIS). Terzo motivo. Violazione di legge penale sostanziale (L. n. 865 del 1967, articoli 2, 4 nonche' articoli 43 e 110 c.p.) per l'assenza della condotta concorsuale e del dolo di concorso, con riferimento al capo 2 delle imputazioni (la presenza del ricorrente in data 24 settembre 2014 presso la proprieta' del (OMISSIS), mentre (OMISSIS), titolare di porto d'armi, brandiva il fucile da caccia, doveva ricondursi alla connivenza non punibile, rilievo non esaminato dal giudice di secondo grado). Inoltre, le due sentenze erano contraddittorie, perche', mentre il tribunale aveva rilevato una pluralita' di armi nella disponibilita' di (OMISSIS), la corte di appello aveva attribuito a costui il compito di istruttore verso appartenenti alla cosca, escludendo il dato numerico; in ogni caso, (OMISSIS) non era stato sempre presente nel corso di tali esercitazioni. Quarto motivo. Vizio di motivazione per illogicita' manifesta e travisamento della prova, con riferimento al capo 2, posto che il ricorrente era a conoscenza che (OMISSIS) era in possesso di porto d'armi per la pratica della caccia, cosi' escludendosi il concorso in una condotta illecita. Quinto motivo. Violazione di legge penale sostanziale (articolo 416 bis.1 c.p.) con omesso esame della censura di cui al punto 5 dell'atto di appello; il riconoscimento dell'aggravante era stato effettuato con violazione del criterio di imputazione soggettiva, attribuendosi alla disponibilita' del fucile da caccia da parte del solo (OMISSIS) valenza di accrescimento della potenzialita' mafiosa del gruppo. Sesto motivo. Violazione di legge penale (articolo 62 bis c.p.) per l'ingiustificato diniego delle circostanze attenuanti generiche., nonostante gli esigui presedenti penali e il leale comportamento processuale. Settimo motivo. Apparente motivazione in ordine alla censura sull'entita' degli aumenti di pena per la continuazione. Con motivi aggiunti, il difensore di (OMISSIS) ha insistito nei motivi di ricorso, rappresentando in particolare: con riferimento al capo 1), che la sentenza impugnata si connotava per astrattezza argomentativa, mancando l'esame delle allegazioni ed argomentazioni difensive sotto il profilo di corrispondenza alla fattispecie legale contestata dei fatti e delle prove; con riferimento alla circostanza aggravante di cui all'articolo 416 bis c.p., comma 4, che non vi erano elementi per sostenere che il sodalizio avesse la disponibilita' di armi e, particolarmente, per sostenere la disponibilita' di armi da parte del ricorrente, se non mera connivenza non punibile; con riferimento al capo 2), che non sussisteva riscontro del possesso di armi, se non del fucile che lo (OMISSIS) legittimamente deteneva. 3.10. Il ricorso di (OMISSIS) e' strutturato in tre motivi. Con il primo si eccepisce la violazione di legge penale (articolo 323 c.p.), con particolare riferimento alla sussistenza del requisito oggettivo della inosservanza di specifiche regole di condotta, espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalita', ai sensi del Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, articolo 23, comma 1, e della ingiustizia del vantaggio o del danno; il vizio di motivazione in relazione al capo 10 della rubrica. La Corte di appello aveva condiviso la conclusione del tribunale secondo cui era integrata la condotta prevista e punita dall'attuale formulazione dell'articolo 323 c.p. perche' il permesso a costruire in sanatoria era stato rilasciato senza alcuna istruttoria, a prescindere dalla sua legittimita'. Il (OMISSIS), all'epoca responsabile dell'Ufficio Tecnico del Comune di (OMISSIS), aveva provveduto alla nomina di un responsabile del procedimento, nella persona di (OMISSIS), delegato ad espletare l'istruttoria del caso; aveva quindi adottato l'atto, il 18 dicembre 2014, sulla base dei documenti acquisiti e visionati, previo parere del tecnico comunale che non aveva ravvisato alcuna illegittimita', senza incorrere nelle violazioni sintetizzate nel capo d'imputazione. In particolare, non era tenuto a verificare la qualifica di imprenditore agricole del richiedente (OMISSIS), posto che cio' era previsto, ai sensi dell'articolo 15 del Piano Regolatore Generale del Comune, solo per le licenze di costruzione ai fini residenziali nelle zone agricole mentre, nel caso di specie, il permesso in sanatoria si riferiva a un immobile da adibire a ricovero di bestiame; inoltre, erano state rispettate le prescrizione di cui alla Legge Regionale Calabria n. 19 del 2002, articolo 52 sulla edificazione di nuove costruzioni rurali, si' che nessun rimprovero poteva essere mosso al responsabile del servizio tecnico la cui condotta non era stata in contrasto con l'interesse pubblico. Con il secondo motivo la violazione di legge ed il vizio di motivazione sono stati riferiti all'elemento soggettivo del reato ex articolo 323 c.p. non avendo i giudici di merito considerato la carenza di prova in ordine alla consapevolezza di agevolare (OMISSIS), persona mai contattata o conosciuta, e dell'apparente titolarita' dell' (OMISSIS), in considerazione altresi' delle altre circostanze evidenziate in appello dalla difesa (il collaboratore (OMISSIS) non aveva fatto alcun riferimento ad un coinvolgimento del (OMISSIS) nella vicenda, la pratica era stata evasa nei tempi fisiologici per un comune di piccole dimensioni, le conversazioni intercettate non erano significative). Con il terzo ed ultimo motivo si e' censurato il trattamento sanzionatorio per essere stata la pena determinata in misura superiore al minimo edittale, con ingiustificato diniego delle circostanze attenuanti generiche, nonostante l'assenza di precedenti penali, sintomatico di un tenore di vita esente da logiche criminali, e l'apprezzabile comportamento processuale. Con motivi aggiunti, il difensore del (OMISSIS) ha inteso evidenziare ulteriori vizi della sentenza impugnata in punto di accertamento del requisito della ingiustizia del vantaggio, insistendo per l'annullamento; in subordine, ha chiesto dichiararsi l'estinzione del reato per decorso del termine prescrizionale. 3.11. I difensori di (OMISSIS), condannato per i reati di danneggiamento aggravato di cui ai capi 7 e 8, hanno articolato quattro motivi di ricorso. Con il primo, coincidente con quello del coimputato (OMISSIS), si deduce violazione degli articoli 46, 54 e 55 c.p. per il mancato riconoscimento delle cause di non punibilita' e dell'esimente nonche' erronea valutazione delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) attestanti in realta' il costringimento fisico e lo stato di necessita' per entrambi, in un contesto di soggezione nei confronti del noto âEuroËœndranghetista, sottovalutato dai giudici di merito, in contrasto con i principi giurisprudenziali a riguardo. Con il secondo motivo, si eccepisce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al riconoscimento dell'aggravante dell'articolo 416 bis.1 c.p. posto che il (OMISSIS), capo clan, e il sodale (OMISSIS) erano stati assolti dagli episodi di danneggiamento in questione, si' da risultare illogico riferire gli stessi alla cosca, in considerazione altresi' di quanto dichiarato dal collaboratore (OMISSIS) che aveva riferito che il (OMISSIS) si accompagnava a lui solo per amicizia. Con specifico riferimento al capo 8 - danneggiamento in danno di (OMISSIS) - la corte territoriale non aveva riscontrato i rilievi difensivi sulla mancanza di riscontri in ordine alla chiamata in correita' di (OMISSIS) (terzo motivo). Con l'ultimo motivo la censura e' riferita al diniego delle circostanze attenuanti generiche, nonostante gli elementi positivi di valutazione prospettati dalla difesa. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. In una prima valutazione di sintesi puo' affermarsi che i ricorsi aspirano a mettere in discussione la logicita' dell'apparato motivazionale della sentenza impugnata. In questa prospettiva il loro esame richiede alcune puntualizzazioni. 1.1. Innanzitutto, si osserva che l'esito conforme delle decisioni pronunciate nei due gradi di giudizio consente di operare la lettura congiunta delle sentenze di primo e secondo grado, trattandosi di motivazioni che si fondono in un unico corpo di argomenti a sostegno delle conclusioni raggiunte per il principio della c.d. doppia conforme - su cui, di recente, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E, Rv. 277218 - con la conclusione che ove le decisioni di merito abbiano entrambe affermato la responsabilita' dell'imputato, "le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruita' della motivazione, tanto piu' ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese e ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicche' le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entita'" (in questi termini, nella motivazione, Sez. 2, n. 34891 del 16/05/2013, Vecchia, Rv. 256096). 1.2. In secondo luogo, va ribadito che nel caso di cd. doppia conforme il vizio del travisamento della prova puo' essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato e' stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado, circostanza estranea ai ricorsi in oggetto. Tale ambito circoscritto di ammissibilita' costituisce corollario del piu' generale principio secondo cui il sindacato del giudice di legittimita' sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest'ultima: a) sia "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", perche' sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilita' logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Longo, Rv. 251516). 1.3. Nel tentativo di legittimare le censure alla motivazione, recuperando spazi non consentiti dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), alcuni difensori hanno eccepito l'erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p. in tema di valutazione delle prove si' da venire in rilievo la violazione di legge (sub specie di norma processuale) ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c) (in tal senso i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) - sia pure con riferimento all'articolo 125 c.p.p. -, (OMISSIS) - con riferimento anche all'articolo 546 c.p.p. -, (OMISSIS)). L'impostazione difensiva non si confronta tuttavia con l'insegnamento delle sezioni unite, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, e' inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell'articolo 192 c.p.p., anche se in relazione all'articolo 125 c.p.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all'ammissibilita' delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita' (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, rv. 280027 - 04). In altri casi, il vizio di motivazione e' ricondotto alla violazione di legge penale (sub lettera b dell'articolo 606 c.p.p.), con riferimento alla norma incriminatrice di riferimento, senza che le relative censure riguardino, tuttavia, l'interpretazione secondo diritto degli articoli di legge o l'applicazione di principi giurisprudenziali, lamentandosi, in definitiva, che la condotta non corrisponda alla fattispecie astratta, con argomentazioni di natura squisitamente fattuale che sfuggono al controllo riservato alla cassazione (emblematico, a riguardo, il ricorso di (OMISSIS)). Anche la violazione dell'articolo 323 c.p. - per i profili che saranno meglio evidenziati in seguito - pur riferendosi formalmente all'interpretazione della norma, cosi' come di recente riformata, prescinde, nei motivi di ricorsi, dagli accertamenti eseguiti in sede di merito, insistendosi nella tesi della legittimita' del provvedimento secondo dati fattuali che risultano smentiti dall'istruttoria espletata. 1.4. Va, infine, ribadito che il dubbio ragionevole di cui all'articolo 530 c.p.p., comma 1, - al quale pure si riferiscono vari ricorrenti - deve identificarsi in una ricostruzione della vicenda non solo astrattamente ipotizzabile in rerum natura, ma la cui plausibilita' nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. E' dunque necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca razionalita', ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 - dep. 2018, Troise, Rv. 272430), non potendo il dubbio fondarsi su un'ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, P. Rv. 281647 - 04). 2. In definitiva, in una visione di insieme, puo' ritenersi che tutti i ricorsi siano inammissibili, perche' presentati per motivi non consentiti e privi della specificita' necessaria ex articolo 581 c.p.p., comma 1, e articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), in quanto reiterativi di doglianze gia' correttamente disattese dal Tribunale e ribadite dalla corte territoriale. Va considerata anche la diversa struttura delle sentenze di merito, avendo il tribunale incentrato l'analisi sulle posizioni processuali degli imputati, ricostruite attraverso un'ampia ed approfondita analisi delle risultanze probatorie, dichiarative e documentali, alla stregua dei capi di imputazione, a differenza della corte territoriale che ha esaminato i motivi di impugnazione rapportandoli alle fattispecie di reato, in ragione della natura concorsuale degli stessi, della identita' del quadro probatorio di riferimento e della analogia delle censure; tale tecnica redazionale puo' essere utilizzata anche in questa sede, per quanto riguarda il reato di omissione di atti di ufficio, con trattazione unitaria dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) nonche' del relativo motivo dei ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS). Per il resto, i singoli ricorsi attengono all'accertamento di responsabilita' ed al trattamento sanzionatorio, senza involgere questioni processuali. L'unica eccezione che puo' riferirsi ad un error in procedendo e' la lamentata lesione del diritto di difesa per l'omesso esame di una memoria difensiva depositata in primo grado (primo motivo dei ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS)). Va rilevato a riguardo che in tema di impugnazione, l'omessa considerazione da parte del giudice dell'impugnazione di una memoria difensiva, non comporta, per cio' solo, una nullita' per violazione del diritto di difesa, ma puo' determinare un vizio della motivazione, deducibile in sede di legittimita' purche', in virtu' del dovere di specificita' dei motivi di ricorso per cassazione, si rappresenti puntualmente la concreta idoneita' scardinante dei temi della memoria pretermessa rispetto alla pronunzia avversata, evidenziando il collegamento tra le difese della memoria e gli specifici profili di carenza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' argomentativa della sentenza impugnata (sez. 3, n. 36688 del 06/06/2019, Rinaldi, Rv. 277667; sez. 5, sent. n. 17798 del 22/03/2019, Picardi, Rv. 276766); collegamento del tutto assente nella prospettazione della censura, da considerarsi pertanto generica. 3. Il reato di abuso di ufficio (capo 10): i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS); il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) e il quarto motivo del ricorso di (OMISSIS). 3.1. Il delitto in oggetto e' stato contestato ai pubblici ufficiali (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente responsabile e funzionario dell'Ufficio tecnico del Comune di (OMISSIS), in concorso con i soggetti privati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Secondo i giudici di merito, il (OMISSIS) e lo (OMISSIS), nell'esercizio delle funzioni pubbliche di loro competenza, hanno concorso ad adottare un permesso di costruire in sanatoria - formalmente emessa nei confronti di (OMISSIS) - con il quale, aderendo in maniera passiva e acritica alle richieste di (OMISSIS) e dei suoi tecnici di fiducia (OMISSIS) e (OMISSIS), hanno illegittimamente sanato un abuso edilizio, in precedenza commesso dal (OMISSIS), consistente nella edificazione, senza alcun titolo abilitante, in una zona agricola, di un manufatto in cemento armato. Mentre (OMISSIS) in appello ha definito la sua posizione ai sensi dell'articolo 599 bis c.p.p., cosi' rendendo definitivo nei suoi confronti l'accertamento di responsabilita' in ordine al delitto di abuso di ufficio contestatogli, nella qualita' indicata (funzionario dell'ufficio tecnico, responsabile unico del procedimento amministrativo), in concorso anche con il (OMISSIS), il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), questi ultimi hanno insistito per l'insussistenza dei requisiti previsti dall'articolo 323 c.p.. 3.2. In primo luogo, ritengono i ricorrenti (la censura assorbe il ricorso del (OMISSIS) e del (OMISSIS) e costituisce il primo motivo del ricorso del (OMISSIS)), difetterebbe l'elemento oggettivo: a) della violazione di specifiche regole di condotta, espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuano margini di discrezionalita', b) della ingiustizia del danno. I giudici di merito, ad avviso delle difese, non avrebbero considerato che non sussisteva nel caso di specie la cd. doppia ingiustizia della condotta e dell'evento, in quanto nessuna violazione di legge sarebbe stata commessa e le carenze istruttorie riscontrate inciderebbero semmai sulla liceita' ma non sulla legittimita' dell'atto, adottato, comunque, nel rispetto delle fonti normative (statali, regionali e comunali), senza alcun contrasto con l'interesse pubblico ed ingiusto vantaggio patrimoniale per il privato. 3.3. La questione e' stata prospettata negli stessi termini al giudice di appello. La motivazione della sentenza impugnata e la prospettazione difensiva si basano in realta' sulla stessa interpretazione giurisprudenziale della norma, secondo cui in tema di abuso di ufficio, la modifica introdotta con il Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, articolo 23, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, ha ristretto l'ambito applicativo dell'articolo 323 c.p., determinando l'"abolitio criminis" delle condotte, antecedenti all'entrata in vigore della riforma, realizzate mediante violazione di norme generali e astratte dalle quali non siano ricavabili regole di comportamento specifiche ed espresse, o che comunque lascino residuare margini di discrezionalita', sicche' deve escludersi che integri il reato la sola violazione dei principi di imparzialita' e buon andamento di cui all'articolo 97 Cost., comma 3, (da ultimo, sez. 6, n. 28402 del 10/06/2022, Bobbio, Rv. 283359). In realta', il principio di diritto era ben presente anche al giudice di primo grado (cfr. nota n. 185, pag. 509), il quale non aveva mancato di evidenziare che la novella legislativa era intervenuta nelle more della stesura dei motivi e che i fatti in ogni caso rientravano a pieno titolo nell'ambito di applicazione del delitto di abuso di ufficio nella sua attuale configurazione per la riscontrata violazione di norme di legge nell'esercizio del potere pubblico al fine di procurare al destinatario un ingiusto vantaggio patrimoniale; conclusione in seguito confermata dalla corte territoriale. I giudici di merito hanno ritenuto che, nel caso in esame, siano state violate norme generali ed astratte dalle quali erano ricavabili regole di comportamento specifiche ed espresse, senza margini di discrezionalita', la cui applicazione avrebbe determinato il diniego della concessione in sanatoria dell'immobile abusivamente realizzato e, per tale ragione, sottoposto a sequestro. Su ciascuna di tale violazione si e' soffermato, in particolare, il tribunale, con argomentazioni con le quali i ricorrenti hanno omesso di confrontarsi. 3.3.1 In primo luogo, e' stato acclarato in sede di merito che presso il Comune di (OMISSIS) si richiedeva sempre a tutti i soggetti interessati ad ottenere il permesso di realizzare in zona agricola nuove costruzioni - siano esse di tipo residenziale che di altro genere - di documentare la propria qualifica di imprenditore agricolo, cosi' pacificamente interpretando la norma tecnica di attuazione; la palese insussistenza di tale requisito in capo all' (OMISSIS), avrebbe dovuto essere verificata in fase istruttoria e determinare il diniego del provvedimento (pag. 504 sentenza del tribunale); la corte di appello ha altresi' sottolineato come gia' nel precedente grado di giudizio si era evidenziata l'insufficienza di una visura riguardante la partita IVA a comprovare tale qualita', visura che peraltro era stata estratta in data 18 dicembre 2014, coincidente con quella di emissione del permesso in sanatoria (pag. 53 della sentenza di appello). La difesa non contesta la prima di tali circostanze, cosi' come acquisita peraltro dalla testimonianza del (OMISSIS), insistendo in un'interpretazione alternativa della disposizione tecnica di attuazione, in se' irrilevante, proprio perche' estranea all'ambito applicativo del Comune; inoltre, disquisisce in termini generici sulla qualifica di imprenditore agricolo del richiedente, senza fornire riscontri o superare in sede di merito le argomentazioni contrarie (pagine 491 e seguenti della sentenza del tribunale, paragrafo "Le prove a discarico"). Quanto al rilievo di carattere logico secondo cui non vi sarebbe stato motivo di far presentare l'istanza da un prestanome, posto che anche il (OMISSIS) non era imprenditore agricolo, e' evidente che cio' corrispondeva alla rappresentazione di una realta' fittizia, posto che, come argomentato dal tribunale, era risaputo che "al Comune di (OMISSIS) tutti facevano quello che voleva il (OMISSIS)" (in tal senso il collaboratore (OMISSIS), il quale non ha mancato di riferire come l' (OMISSIS) non avesse mai svolto attivita' imprenditoriale, essendo dedito, come lui, ad attivita' illecite - danneggiamenti e furti). Risulta in tal modo violato il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 12, comma 1 che impone l'osservanza delle prescrizioni dello strumento urbanistico nel rilascio del permesso di costruire. 3.3.2. In secondo luogo, e' stata accertata l'inosservanza della Legge Regionale Calabria n. 19 del 2002, articolo 52 che impone al committente, nell'ipotesi di realizzazione di nuove costruzioni in zone agricole, di mantenere in produzione delle superfici fondiarie che assicurino la dimensione dell'unita' aziendale minima, si' che era onere dell'Ufficio Tecnico Comunale verificare la sussistenza di tale presupposto. Sostengono le difese - anche in tal caso reiterando in termini aspecifici una censura proposta in appello - che l'unita' aziendale minima deve essere almeno di diecimila metri e che la particella oggetto dell'intervento era ben quattro volte superiore, senza confrontarsi su quanto argomentato a riguardo dai giudici di merito che, sulla base del tenore letterale della norma, hanno evidenziato che il permesso di costruire per nuove zone rurali non era subordinato ad una questione di mera estensione del terreno oggetto dei lavori di edificazione (senz'altro piu' esteso dell'unita' dimensionale minima richiesta) ma era soggetto a ben altra prescrizione, oltre al recupero in via prioritaria delle strutture edilizie esistenti, ossia al mantenimento in produzione di superfici fondiarie che assicurino la dimensione dell'unita' aziendale minima, verificando cioe' "se l'istante era titolare di azienda, quale tipologia di impresa eserciti e quale tipologia di coltura debba impiantare o attivita' di allevamento debba svolgere e se la superficie fondiaria da utilizzarsi sia corrispondente al dimensionamento minimo dell'azienda tale da consentire alla stessa di poter operare" (pag. 506 della sentenza del tribunale): accertamento non espletato si' che anche per tale aspetto il permesso in sanatoria risulta emesso in violazione di legge. 3.3.3. Un'ulteriore violazione e' stata riscontrata nella omessa dichiarazione di doppia conformita' dell'abuso (id est delle legittime condizioni regolamentari urbanistiche sia al momento della realizzazione dell'abuso edilizio che nel momento in cui si richiede la sanatoria edilizia), imposta dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 36, sulla cui necessita' risulta che anche il (OMISSIS) abbia concordato in sede di esame dibattimentale; dichiarazione pacificamente mancante alla data di emissione del provvedimento - atto che chiude il procedimento amministrativo posto che quella rinvenuta risulta con annotazione di un giorno successivo, priva di protocollo e della firma del responsabile del procedimento (OMISSIS), formata all'evidente scopo di occultare la violazione della procedura di legge (pag. 505 della sentenza di primo grado). 3.4. Sempre sotto il profilo oggettivo, emerge con chiarezza anche il requisito dell'ingiusto vantaggio patrimoniale, riferito non soltanto alla acquisizione di beni materiali ma a qualsiasi accrescimento della situazione giuridico-soggettiva a favore di colui nel cui interesse l'atto e' stato posto in essere (sez. 3, n. 4140 del 13/12/2017, dep. 2018, Giugliano, Rv. 272113), con la conseguenza - ben evidenziata, in particolare, dal tribunale (pagine 510 e 511) - che il diritto a edificare, se illegittimamente attribuito, costituisce certamente un vantaggio suscettibile di essere valutato economicamente, a prescindere dalla sua effettiva attuazione. Anche l'illegittimo rilascio di un permesso in sanatoria e' stato ritenuto dalla giurisprudenza provvedimento che attribuisce una situazione economicamente vantaggiosa per il privato che, oltre a beneficiare del valore intrinseco del manufatto, puo' locarlo, alienarlo, e comunque usufruirne (in termini, la citata sent. n. 4140/2018). Nel caso di specie, quindi, i pubblici ufficiali, con la condotta contra legem, hanno attribuito un ingiusto vantaggio patrimoniale al (OMISSIS), derivante dall'illegittimo rilascio del titolo autorizzativo in sanatoria, con conseguente possibilita' di proseguire nell'edificazione. In conclusione, con precisione giuridica e aderenza alle risultanze istruttorie, i giudici di merito hanno ravvisto il requisito della "doppia ingiustizia", ricollegando il vantaggio per il privato al provvedimento adottato in violazione di legge ed alla attribuzione di un diritto che non spettava, suscettibile di valutazione economica. In conclusione, solo il rilascio dell'illegittimo permesso di costruire in sanatoria ha permesso il dissequestro del manufatto, che, in quanto abusivo, era stato posto sottoposto a sequestro preventivo. 3.5. Dal punto di vista soggettivo e del concorso nel reato dei suddetti imputati, il quadro istruttorio di riferimento e' articolato (pagine 455 e segg. della sentenza di primo grado, § Le risultanze probatorie; pagine 52 e seguenti della sentenza di appello) e valutato con rigore di analisi, si' che la motivazione si sottrae a censure sul piano logico. Sono stati riportati nella sentenza di primo grado i lunghi, espliciti ed univoci dialoghi captati che documentano il rapporto tra i tecnici (OMISSIS) e (OMISSIS), incaricati dal (OMISSIS) della presentazione dell'istanza, e i soggetti pubblici (OMISSIS) e (OMISSIS); conversazioni che in termini logici e plausibili smentiscono secondo i giudici di merito la sussistenza di semplici legami personali tra i protagonisti dei fatti e attestano l'asservimento delle funzioni pubbliche esercitate dal (OMISSIS) e dallo (OMISSIS) agli interessi del (OMISSIS) (si rinvia a tal fine alla sintesi delle intercettazioni piu' significative di cui alle pagine 500 e 501 della pronuncia di primo grado; in particolare, si richiama il tenore dei dialoghi fra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) nel corso dei quali gli stessi riconoscevano i rilevanti vizi da cui era affetta la pratica, per cui solo un'alterazione dei dati, idonea a disorientare i carabinieri, e un'istruttoria carente ne avrebbero assicurato l'esito positivo). La sentenza impugnata ha altresi' rilevato come le difese non si siano confrontate con il composito compendio probatorio, limitandosi a sminuire la condotta incriminata, riconducendola a prassi negligenti e superficiali, emergendo, al contrario, la totale commistione di ruoli tra i due tecnici privati e i funzionari pubblici (pertinente, in tal senso, il richiamo alle pagine 479 e seguenti della decisione del tribunale); ha ribadito il coinvolgimento diretto del (OMISSIS) nell'abuso edilizio e nel tentativo di porvi rimedio con l'intervento del (OMISSIS), il quale "ha palesemente dismesso i panni del funzionario pubblico, organizzando con il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) il da farsi per ottenere il dissequestro (conversazione n. 184 del 10.12.2014)", in un contesto - restituito dalle intercettazioni, dalle chiamate in correita', dai riscontri documentali - attestante "come gli imputati si accordassero, si sentissero, si confrontassero su quello che accadeva e su come intervenire" (pag. 59). 3.5.1. Con specifico riferimento al (OMISSIS), il secondo motivo di ricorso si limita ad un elenco di circostanze che attesterebbero l'assenza della volonta' di arrecare un ingiusto vantaggio al (OMISSIS), in termini del tutto aspecifici, senza confrontarsi con le emergenze istruttorie al fine di disarticolare la pregnanza logica delle argomentazioni dei giudici di merito e a smentire la tesi che l'imputato, a seguito della nomina dello (OMISSIS) come responsabile del procedimento, si era limitato ad emettere il provvedimento finale; circostanza, quest'ultima, smentita sul piano fattuale dal contenuto delle intercettazioni, ma priva di rilevanza sul piano giuridico, posto che - come ribadito di recente dalla Corte - in tema di abuso di ufficio, integra la violazione di specifiche regole di condotta previste dalla legge, come richiesto dalla nuova formulazione dell'articolo 323 c.p. ad opera del Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, articolo 16, convertito nella L. 11 settembre 2020, n. 120, l'inosservanza, da parte del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale, del dovere di vigilanza sull'attivita' urbanistico-edilizia, in quanto il Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 27, ne impone l'osservanza onde assicurare la conformita' dell'anzidetta attivita' alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici e alle modalita' fissate nei titoli abilitativi (sez. 3, n. 30586 del 08/06/2022, Avellone, Rv. 283588). 3.6. La posizione di (OMISSIS) e' stata esaminata dalla corte territoriale alle pagine 59 e 60, in relazione ai capi 10 e 12 (il falso ideologico, commesso in concorso con (OMISSIS), consistente nell'attestazione di conformita' allo strumento urbanistico vigente del progetto per ottenere il permesso in sanatoria), evidenziandosi come le argomentazioni difensive non si confrontassero con le intercettazioni dalle quali si evinceva non solo il suo reale interesse all'opera abusiva realizzata ma anche l'interazione con i funzionari pubblici e privati perche' il provvedimento amministrativo fosse rilasciato con la complicita' dei funzionari pubblici, in una sinergica azione di contrasto con gli accertamenti dei Carabinieri e le determinazioni dell'autorita' giudiziaria. Con il quarto motivo di ricorso, il (OMISSIS) reitera rilievi di merito, insiste nella estraneita' nel reato proprio e, soprattutto, continua a non confrontarsi con il contenuto delle intercettazioni - a fine di confutare la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata - si' che anche i riferimenti giurisprudenziali sul concorso dell'extraneus nel reato di abuso di ufficio risultano inconferenti. In relazione al reato sub 12, vale per il giudizio di cassazione quanto rilevato dalla Corte di appello allorche' ha confermato il giudizio di responsabilita' "non avendo la difesa articolato nessuna specifica censura", a fronte delle puntuali argomentazioni del Tribunale. 3.7. Anche il motivo di (OMISSIS) sul capo 10 e' generico, affermando il ricorrente che "della partecipazione consapevole nell'intero incarto processuale non vi e' traccia alcuna" e che "il solo fatto di essere l'intestatario (seppure fittizio) dell'immobile e della pratica in oggetto, non dimostra in alcun modo la consapevolezza di partecipare all'illecito iter", non parlando mai con gli impiegati comunali e non confrontandosi con altri circa l'esito della pratica. Indubbiamente, in tema di abuso di ufficio determinativo di un danno ingiusto nei confronti di terzi, per configurare il concorso dell'"extraneus" nel reato deve essere provata l'intesa intercorsa col pubblico funzionario o la sussistenza di pressioni o sollecitazioni dirette ad influenzarlo, desumibili dal contesto fattuale, dai rapporti personali tra le parti o da altri elementi oggettivi, non essendo a tal fine sufficiente la sola domanda del privato volta ad ottenere un atto illegittimo (sez. 6, n. 15837 del 20/12/2018, dep.2019, D'Alessio, Rv. 275540); nel caso di specie, tuttavia, come precisato dal Tribunale (pag. 509) e confermato in appello, l' (OMISSIS), cognato del (OMISSIS), agi' d'intesa con costui, prestandosi a documentare una falsa qualita' di imprenditore agricolo e a sottoscrivere la fraudolenta richiesta di sanatoria, nella consapevolezza che questo avrebbe consentito l'intenzionale strumentalizzazione dei poteri pubblici. L'affermazione di responsabilita' concorsuale non si e' basata, dunque, solo sulla mera presentazione dell'istanza ma sul ruolo di prestanome e sulla finalita' di permettere al (OMISSIS) di regolarizzare a qualsiasi costo la pratica di suo interesse, attraverso il diretto coinvolgimento dei pubblici ufficiali che avrebbero gestito la pratica e deciso in merito, in un contesto (quello dell'ufficio comunale) dove era noto che "al Comune di (OMISSIS) tutti facevano quello che voleva il (OMISSIS)" (dichiarazione del collaboratore (OMISSIS)). 3.8. L'ultimo motivo del ricorso del (OMISSIS) riguarda il trattamento sanzionatorio (entita' della pena, ritenuta sproporzionata, e diniego delle attenuanti generiche). Anche in tal caso i rilievi sono privi di aderenza alla realta' processuale ed alla motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui evidenzia come il giudice di primo grado abbia diversificato la pena per i concorrenti del reato di abuso di ufficio, irrogandone una piu' alta - e, comunque, sempre al di sotto della media edittale - proprio al (OMISSIS) ossia ad uno dei due pubblici ufficiali che maggiormente avrebbe dovuto garantire l'interesse pubblico senza piegarsi a quello antagonista del privato. In punto di circostanze ex articolo 62 bis c.p. e' sufficiente il richiamo alla personalita' negativa dell'imputato, cosi' come desumibile dalla gravita' dei fatti, in mancanza di significativi elementi positivi di valutazione (pag. 79 della sentenza di appello). 4. Gli ulteriori motivi di ricorso di (OMISSIS). Con il primo motivo il ricorrente ritiene insufficienti le prove in relazione alla condanna per il reato di danneggiamento di cui al capo 8), "basata non su convergenti elementi indiziari ma su meri elementi congetturali" (pag. 6 del ricorso), censurando l'illogicita' della motivazione e la violazione dell'articolo 192 c.p.p.. Trattasi di rilievi in fatto, generici nel riferimento al "materiale costituito da captazioni ambientali e telefoniche", che non si confrontano con le argomentazioni dei giudici di merito (pagina 50 della sentenza di appello; pagine da 242 a 248 della sentenza di primo di grado) che hanno ritenuto l' (OMISSIS) autore materiale del danneggiamento del furgone intestato alla (OMISSIS): in tal senso le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), i riscontri derivanti dalle registrazioni del sistema gps satellitare installato sull'autovettura del complice (OMISSIS), le intercettazioni riportate alle pagine da 245 a 247 della sentenza del tribunale nella quale si fece esplicito riferimento alla benzina, ad un incendio ed all'umore del mandante (OMISSIS). La valutazione di tali dati, correttamente riportati e interpretati secondo canoni logici, ha consentito di accertare che il (OMISSIS), il (OMISSIS), lo (OMISSIS) e l' (OMISSIS) si incontrarono e percorsero un tragitto all'interno dell'autovettura del (OMISSIS) per compiere un'azione criminosa nella notte tra il 24 e il 25 dicembre 2014; la stessa autovettura staziono' in prossimita' dell'abitazione del (OMISSIS), in un arco di tempo compatibile con l'orario del danneggiamento. Con il terzo motivo l'imputato censura il trattamento sanzionatorio per motivi in parte estranei all'appello e, quindi, non suscettibili di esame per la prima volta in cassazione (la mancata applicazione dell'istituto della continuazione fra i due reati per cui ha riportato condanna) e in parte generici (il diniego delle attenuanti e' stato giustificato per la gravita' dei fatti e la pregressa condanna per detenzione abusiva di munizioni, in assenza di elementi positivi di valutazione). 5. Gli ulteriori motivi di ricorso di (OMISSIS). Oltre che per i capi 10 e 12 delle imputazioni, oggetto della trattazione che precede, il (OMISSIS) ha riportato condanna per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, con il ruolo di capo (capo 1), per la violazione alla normativa sulle armi, per gli episodi di danneggiamento aggravato di cui ai capi 3, 4, 6, 8. I motivi di ricorso (secondo, terzo e quinto), ulteriori rispetto a quelli (primo e quarto) gia' esaminati, contestano l'accertamento di responsabilita' per profili di merito che attengono alla valutazione delle risultanze probatorie, con rilievi che esulano dal circoscritto ambito del giudizio di legittimita', cosi' come precisato in premessa, e che sono, peraltro, reiterativi e generici, privi cioe' di un effettivo confronto con la motivazione delle sentenze di primo e secondo grado. 5.1 Il secondo motivo propone una lettura alternativa delle risultanze delle videoriprese che confermano le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, con riferimento al capo 2; il terzo motivo ritiene che i danneggiamenti in capo a (OMISSIS) (capi 3 e 6), a (OMISSIS) (capo 4), a (OMISSIS) (capo 8) si basano su una ricostruzione dei fatti che valorizza la chiamata in correita' dello (OMISSIS) senza soffermarsi sulle contraddizioni evidenziate dalla difesa e la mancanza di effettivi elementi di riscontro; il quinto motivo confuta, in relazione al capo 1, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), sintetizzandole e richiamando principi giurisprudenziali a riguardo, nel tentativo di inficiare le conclusioni di merito attraverso una diversa lettura delle fonti probatorie (in particolare delle intercettazioni e di alcune testimonianze). E' sufficiente a tal fine rinviare alle pagine da 357 a 365 della sentenza di primo grado che delineano con estrema precisione il ruolo del (OMISSIS) quale capo della locale di (OMISSIS); ruolo riconosciuto dalla âEuroËœndrangheta crotonese. In tal senso non solo le dichiarazioni (riportate alle pagine 358 e 359) di quattro collaboratori, provenienti da diverse articolazioni âEuroËœndranghetistiche, ma anche il propalato di (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che quello interno di (OMISSIS), con indicazione di specifiche condotte (pagine 359 e 360), tipiche di un "capo mafia" (incontri per programmare omicidi, intimidazioni nei confronti della popolazione, controllo del territorio, celebrazioni di ceremonie di investitura, cura degli interessi della "famiglia" ecc.), con i riscontri forniti dalle intercettazioni - le piu' significative, relative alla decisione di uccidere (OMISSIS) - e dai numerosi reati, commessi in esecuzione dei suoi ordine. La corte di appello (pagine 60 e seguenti) ha ripercorso l'iter argomentativo del tribunale, sottolineando come le censure difensive tentassero di demolire la valenza di singoli elementi, tralasciando di considerare la visione globale del compendio probatorio; ha aggiunto altresi' che le dichiarazioni dello (OMISSIS), (OMISSIS) del tutto affidabile in quanto intranea al sodalizio, vicino al (OMISSIS), avevano avuto un'ulteriore conferma di credibilita' dalla Corte di Assise di Catanzaro che con sentenza del 31/03/2021 aveva condannato il (OMISSIS), in concorso con lo stesso (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), per l'omicidio di (OMISSIS), nell'ambito di un conflitto fra "famiglie". Per quanto riguardo il tempus commissi delicti, la corte territoriale ha riconosciuto la condotta associativa a partire dal 2014 (anziche' dal 2012), senza che tale limitazione rispetto al capo di accusa incida sull'accertamento di responsabilita' e sulle conseguenze sul piano sanzionatorio. 5.2. La condanna per i reati fine di cui ai capi 2, 3, 4, 6 e 8 si basa su prove correttamente valutate (pagine da 36 a 52 della sentenza di appello; pagine da 195 a 248 della sentenza di primo grado): il porto di arma comune da sparo (in tal senso le dichiarazioni dello (OMISSIS), le intercettazioni di riscontro); i vari episodi di danneggiamento (il propalato dello (OMISSIS), il narrato delle vittime spesso omertose -, le intercettazioni, significative per le rilevate finalita' ritorsive, nell'unicita' del contesto malavitoso, e per l'attribuzione all'imputato del ruolo di mandante). 5.3. L'ultimo motivo riguarda il trattamento sanzionatorio (diniego delle attenuanti, aumento per la recidiva reiterata, dosimetria della pena, incostituzionalita' della L. n. 92 del 2012, articolo 2). La pessima biografia penale, la gravita' dei fatti in oggetto e la particolare efferatezza dei crimini hanno giustificato il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. Le altre questioni - puntualmente definite dal primo giudice - non sono state sottoposte al vaglio critico alla corte territoriale (cfr. settimo motivo, pag. 23 atto di appello) e non possono costituire, quindi, oggetto di impugnazione in cassazione. 6. Gli ulteriori motivi del ricorso di (OMISSIS). Il ricorrente, figlio di (OMISSIS), e' stato condannato per i reati di cui ai capi 1 e 2 e le censure attengono alla valutazione del compendio probatorio, per profili non consentiti in sede di legittimita', oltre che al trattamento sanzionatorio. 6.1. La condotta partecipativa al reato associativo (eseguiva le direttive del padre, assicurando i contatti tra costui - che, tendenzialmente, rimaneva in casa perche' sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S.. con obbligo di soggiorno - e l'esterno, facendosi portatore di ambasciate presso gli altri sodali), nell'ambito della cosca (OMISSIS), e' trattata alle pagine da 413 a 424 della sentenza di primo grado. Anche in questo caso, la trattazione della singola posizione segue il percorso motivazionale che parte delle prove documentali (sentenze e provvedimenti giurisdizionali) circa l'esistenza del sodalizio, si arricchisce delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, previo giudizio di credibilita' e di attendibilita' degli stessi, e si sofferma sulla realizzazione dei vari reati fine nell'unico contesto malavitoso. In tale articolato tessuto argomentativo, il ruolo di (OMISSIS) e' delineato innanzitutto dalle dichiarazioni di (OMISSIS), cosi' come acquisite all'udienza del 21 gennaio 2020, particolarmente significative nell'individuazione dei compiti svolti per conto del padre (ad esempio, la consegna delle armi per l'omicidio di (OMISSIS)); la chiamata in correita' e' confermata dalle convergenti dichiarazioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS) oltre che dalle numerose intercettazioni riportate in sentenza, ritenute di per se' significative del carattere prevaricatore e aggressivo del (OMISSIS), del suo rapporto costante con i membri della cosca, dell'inserimento a pieno titolo nel sodalizio in quanto figlio del boss, delegato a risolvere una pluralita' di questioni. A fronte dei rilievi sulla valutazione delle prove, la Corte di appello (pagine 64 e seguenti) ha evidenziato come la difesa si fosse limitata a enfatizzare marginali incongruenze nel narrato dei collaboratori, spiegandone le ragioni, alla stregua dei dati istruttori, confermando il ruolo attivo e fiduciario per conto del padre - a prescindere da una formale investitura (battesimo) - riscontrato dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali oltre che dal propalato dello (OMISSIS) e degli altri collaboratori. Il motivo di ricorso, a riguardo, reitera questioni riservate alla sede di merito, non riconducibili al travisamento della prova o alla manifesta illogicita'; si insiste nella alternativa e frammentaria lettura del dato probatorio, in particolare delle dichiarazioni dei collaboratori, ritenendo le discrasie del loro narrato non marginali, apprezzamento che si pone sul piano dell'opinabile ma non certamente dell'evidenza logica. E se i principi giurisprudenziali richiamati sono in se' corretti, la loro applicazione nel senso voluto dalla difesa acquisisce rilevanza solo se si accede ad un diverso apprezzamento delle prove (ad es. "le intercettazioni menzionate alle pagine 64 e 65 della sentenza impugnata non restituivano la prova tranquillizzante di una condotta manifestamente offensiva" - pag. 17 del ricorso), in relazione anche al periodo di partecipazione attiva all'associazione (due anni anziche' quattro); soprattutto, quei principi non valgono a sostenere la mancanza di "materialita' ed offensivita' della condotta", posto che cio' che emerge dalla struttura motivazionale delle sentenze di merito e' non gia' la mera affiliazione dell'imputato (pag. 20 del ricorso) ma lo stabile inserimento nella struttura associativa per il perseguimento dei comuni fini criminosi. 6.2. Ad uguale conclusione deve pervenirsi per la condanna per il reato sub 2, il porto di un fucile calibro 12, in concorso con (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Sostiene il ricorrente che le dichiarazioni di (OMISSIS) sul punto erano generiche e che il contenuto delle videoriprese del 24 settembre 2020 non avevano rilevanza ai fini della stabile relazione con l'arma e della disponibilita' di essa; le affermazioni dei giudici di merito si baserebbero pertanto su "mere illazioni o congetture" (pag. 22 del ricorso), senza considerare altresi' la natura privata del luogo ripreso dal sistema di telecamere. Priva di giustificazione sarebbe, infine, la ritenuta sussistenza dell'aggravante ex articolo 416 bis.1 c.p.. Le affermazioni contrastano con la ricostruzione della condotta delittuosa effettuata in sede di merito, con argomentazioni immuni da vizi logici, fondate sulle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) che aveva spiegato l'impiego dell'arma da parte del gruppo per esercitarsi; sulle riprese che lo ritraevano in compagnia del padre e dello stesso (OMISSIS), mentre si allontanavano con il fucile in mano a quest'ultimo; sulla conversazione intercettata nel corso della quale il ricorrente chiedeva al padre di avere l'arma per sparare (pagina 40 della sentenza impugnata). Il fine di agevolare l'associazione mafiosa facente capo a (OMISSIS) e' stato riscontrato in relazione a tutti i reati fine contestati (escluso quelli di cui ai capi 10, 12 e 13); in particolare, per quello in esame, posto che "il porto di armi, in generale, da parte dei consociati, si rendeva necessario per difendersi da una probabile vendetta della famiglia (OMISSIS)" (pag. 203 della sentenza di primo grado). 6.3. Per quanto attiene al trattamento sanzionatorio, valgono le stesse osservazioni relative a (OMISSIS): l'unico motivo devoluto in appello riguarda il diniego delle circostanze attenuanti generiche, non riconosciute per la personalita' negativa dell'imputato, desumibile dalla gravita' dei reati. Le altre censure riguardano questioni non sottoposte al vaglio del secondo giudice e, pertanto, non suscettibili di esame in sede di legittimita'. 7. (OMISSIS), condannato perche' partecipe del clan mafioso (OMISSIS) (capo 1) e per i reati fine di cui ai capi 2, 3, 4, 6, 7 e 8, con i primi cinque motivi di ricorso ha reiterato le eccezioni di merito gia' esaminate nei precedenti gradi di giudizio, insistendo nella erronea valutazione delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) e nel mancato apprezzamento del ruolo di vittima di (OMISSIS), al quale era costretto accompagnarsi per commettere reati. 7.1. Anche in questo caso, la lettura - in realta' frammentaria e poco plausibile - del materiale probatorio si pone al di fuori del controllo di legittimita' sulla motivazione, ancorata a solide evidenze istruttorie e a congrue valutazioni giustificative del giudizio di colpevolezza. Valgono le seguenti brevi osservazioni: - il ruolo di partecipe, perche' esecutore delle direttive del (OMISSIS) per assicurare il controllo del territorio, ponendo in essere danneggiamenti e altri atti intimidatori volti ad affermare la forza dell'intimidazione nei confronti della locale popolazione, si basa sulle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), valutate in termini coerenti, e sulla chiamata in correita' nella commissione dei reati fine, aggravati dalla finalita' mafiosa, nella piena consapevolezza che gli ordini, ancorche' mediati dall'amico (OMISSIS), provenivano dal boss (pagine 435 e seguenti della sentenza di primo grado); - il ruolo dinamico e funzionale, significativo di una compenetrazione nel tessuto associativo, risulta confermato dai riscontri investigativi e dalle numerose intercettazioni telefoniche e ambientali, si' da doversi escludere le invocate esimenti e cause di non punibilita' (pagine 37 e 38 della sentenza di appello), prive di aderenza con la articolata motivazione del primo giudice (pagine 65 e seguenti, con riferimento agli episodi emblematici della forma di collaborazione volontaria con la cosca, senza alcuna costrizione o timore per la sua incolumita'); - la pendenza di altro procedimento penale, genericamente richiamato nel terzo motivo di ricorso, non e' idonea a negare la matrice mafiosa dei fatti, posto che solo le successive indagini della DDA avevano consentito di collegarli alla cosca (OMISSIS), cosi' come sottolineato dalla corte territoriale (pagina 66), in tal modo riscontrando la censura del (OMISSIS); - la sequenza di rilievi fattuali, riferiti a ciascuno dei reati fine, oggetto del quarto motivo di ricorso, si riducono ad una alternativa ricostruzione della condotta, basata su stralci di dichiarazioni dello (OMISSIS) e parti di conversazioni intercettate, nella pretesa di riscontro a qualsiasi diversa prospettazione, senza considerare che per la validita' della decisione non e' necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa; - la consapevole partecipazione del ricorrente ai suddetti reati e' stata ribadita dalla Corte di appello, con riferimento a riscontri istruttori spesso tralasciati dal (OMISSIS) (cosi' per il concorso nel porto di fucile, con riferimento alle immagini che lo ritraggono con l'arma e alle intercettazioni all'interno della sua vettura), che rendono certa, in particolare, l'esecuzione materiale dei danneggiamenti, negata su pretese incongruenze delle dichiarazioni del collaboratore e fraintendimenti nell'interpretazione dei dialoghi captati, confutate in termini adeguati dalla sentenza impugnata (paragrafi da 4, pag. 36, a 8, pag. 52, con riferimento alla puntuale ricostruzione delle condotte delittuose effettuata dal giudice di primo grado alle pagine da 196 a 242); - l'aggravante dell'articolo 416 bis.1 c.p. e' sempre collegata alla finalita' di rafforzamento della consorteria mafiosa e all'agevolazione della sua affermazione sul territorio, con l'impiego di armi, con spedizioni punitive tese a piegare la resistenza delle vittime (quinto motivo). 7.2. Il sesto ed il settimo motivo riguardano il trattamento sanzionatorio. Il diniego delle circostanze attenuanti generiche risulta ampiamente motivato per la mancanza di elementi positivi di valutazione a fronte della gravita' dei numerosi reati in questione. Quanto al trattamento sanzionatorio, la pena base per il capo 1) - dodici anni di reclusione - non risulta illegale per due ordini di ragione. Innanzitutto, l'appartenenza dell'imputato non risulta circoscritta ad un periodo diverso da quello oggetto di contestazione (fino al 2018), sebbene l'attivita' investigativa si riferisca ad un lasso di tempo precedente; ha sostenuto a riguardo la giurisprudenza - opportunamente richiamata dalla corte territoriale (pag. 76), con la quale il ricorrente omette di confrontarsi - che in presenza di una contestazione del delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso in forma "chiusa", che abbracci un lungo arco temporale nel corso del quale sia intervenuta una modifica "in peius" del trattamento sanzionatorio (nella specie, la L. 27 maggio 2015, n. 69), l'applicazione della nuova cornice sanzionatoria non richiede la dimostrazione, da parte dell'accusa, che la condotta si sia protratta anche dopo detta modifica, in quanto, accertata l'esistenza della "offerta di contribuzione permanente" dell'affiliato all'associazione, questa deve ritenersi valida e produttiva di effetti fino alla dimostrazione del recesso spontaneo o provocato "ab externo" (sez. 2, sent. n. 1688 del 26/10/2021, dep. 2022, Giampa', Rv. 282516 03). 8. (OMISSIS), condannato perche' componente dell'associazione di âEuroËœndrangheta facente capo a (OMISSIS) e, quindi, per il capo 1 delle imputazioni, con un unico motivo di ricorso ha censurato la sentenza impugnata per "erronea valutazione probatoria e elusione delle censure difensive", e, quindi, anche in questo caso, riproponendo rilievi di merito, estranei alla sede di legittimita', e ravvisando incongruenze che non costituiscono - neanche nella prospettiva difensiva - vizi di evidente illogicita' e di travisamento delle prove acquisite. Insiste a lungo il ricorrente sulla circostanza che l'omicidio di (OMISSIS), oggetto di altro processo, sia stato definito in questo contesto processuale e valutato come prova decisiva a suo carico; riporta sintesi di varie dichiarazioni testimoniali (del maresciallo (OMISSIS), dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS), quest'ultimo ritenuto inattendibile, lamentando il mancato esame di scritti difensivi a riguardo), a sostegno della insussistenza della condotta partecipativa. Le sentenze di merito, al contrario, restituiscono una struttura argomentativa solida che attribuisce credibilita' alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) - confermata, da ultimo, come indicato dal giudice di appello, dalla sentenza di condanna per l'omicidio (OMISSIS) - individuando sufficienti elementi di riscontro. L'imputato e' indicato come affiliato di lunga data, ritualmente battezzato con la dote "terza", all'indomani dell'omicidio di (OMISSIS), dallo stesso capo clan; si riporta altresi' che il collaboratore (OMISSIS) forni' nel corso della sua testimonianza particolari significativi circa la posizione del (OMISSIS) all'interno della cosca facente capo a (OMISSIS), incaricato da quest'ultimo di "tenere tutto in piedi" mentre era in carcere. Ulteriori riscontri sono stati indicati nel costante collegamento dell'imputato con la malavita locale, sulla base delle condanne riportate e della chiamata in correita' per l'ideazione e l'esecuzione materiale dell'omicidio del (OMISSIS), elemento quest'ultimo che contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa - non costituisce il fulcro della condanna del delitto associativo ma, nel ragionamento della sentenza impugnata, rafforza l'evidenza dell'appartenenza alla criminalita' organizzata, posto che anche le successive intercettazioni (pagina 380 della decisione di primo grado) avevano rivelato una contrapposizione fra clan e gli scontri del (OMISSIS) con "il morto" ( (OMISSIS)), a sostegno del gruppo mafioso di appartenenza. Deve sottolinearsi, infine, che la Corte di appello ha in termini esaurienti esaminato le riserve del (OMISSIS) sulle conclusioni del tribunale, sintetizzando il compendio probatorio a suo carico e ritenendolo solido, non senza evidenziare i numerosi dati che erano stati trascurati nella alternativa prospettazione difensiva (pagine da 67 a 69), si' che il motivo in esame risulta anche generico e reiterativo. 9. (OMISSIS), condannato per i reati di cui ai capi da 1 a 9, ha censurato con un duplice motivo l'entita' della pena, in relazione sia agli aumenti disposti in continuazione per i singoli reati fine, ritenuti sproporzionati rispetto al reato piu' grave, sia per l'applicazione della misura di sicurezza della liberta' vigilata, in assenza del presupposto della pericolosita' sociale. Il primo motivo e' generico perche' non si confronta criticamente con la sentenza impugnata che ha rilevato come in maniera del tutto opportuna il giudice di prime cure ha proceduto innanzitutto a differenziare gli aumenti posti in continuazione, in ragione della diversa gravita' dei reati, e, in secondo luogo, a contenere le porzioni di pena in termini comunque esigui, trattandosi di delitti di particolare allarme sociale aggravati dall'articolo 416 bis. 1 c.p.. Il secondo motivo e' manifestamente infondato, in quanto il giudizio di pericolosita' - sotteso all'applicazione della misura di sicurezza della liberta' vigilata - si giustifica alla luce del percorso di collaborazione intrapreso in tempi recenti, a fronte di un passato criminale fortemente caratterizzato dall'appartenenza alla âEuroËœndrangheta; inoltre, espiata la pena detentiva, l'effettiva persistenza della pericolosita' stessa del condannato sara' vagliata dalla magistratura di sorveglianza, escludendosi automatismi (sez. 1, sent. n. 1027 del 31/10/2018, dep. 2019, Argento, Rv. 274790). 10. Il ricorso di (OMISSIS), che ha definito la sua posizione ai sensi dell'articolo 599 bis c.p.p., consiste di uno motivo, con il quale si censura la sentenza di secondo grado perche' priva di adeguata motivazione in ordine all'assenza dei presupposti che legittimano l'operativita' dell'articolo 129 c.p.p. oltre che agli altri elementi della pronuncia (validita' del concordato, dosimetria della pena). Il ricorso e' inammissibile. In tema di concordato in appello, infatti, e' ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex articolo 599-bis c.p.p. che deduca motivi relativi alla formazione della volonta' della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex articolo 129 c.p.p. e, altresi', a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalita' della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella prevista dalla legge (sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 13/01/2020, M., Rv. 278170). 11. Nell'interesse di (OMISSIS) - condannato per i reati di cui ai capi 1, con il ruolo di partecipe, e 3 - sono stati articolati sei motivi di ricorso, il primo, il secondo e il terzo incentrati sulla violazione dell'articolo 192 c.p.p. e sul vizio di motivazione in relazione alla valutazione delle prove. 11.1. Il ricorrente ritiene, a riguardo, che: (capo 1) a) la sentenza di appello si sia uniformata in termini acritici alla pronuncia di primo grado; b) le affermazioni del collaboratore (OMISSIS) non erano state riscontrate nel loro nucleo essenziale da quelle degli altri collaboratori ed erano altresi' prive di riscontri individualizzanti, tali non potendosi ritenere le intercettazioni richiamate alle pagine 367 e seguenti della sentenza del tribunale, di contenuto "neutro" (capo 3),c) la conversazione intercettata, riportata a pag. 213, non riscontrava di per se' le propalazioni di (OMISSIS). Richiamati i principi di diritto sintetizzati nel primo paragrafo sui limiti del sindacato di legittimita', i motivi non sono consentiti e comunque risultano privi della specificita' necessaria ex articolo 581 c.p.p., comma 1, e articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c). Va precisato in primo luogo che la sentenza di appello, rispetto alle censure di merito, reiterate in questa sede, ha confermato le argomentazione della pronuncia di primo grado, evidenziando come l'appellante si fosse limitato ad una lettura opinabile e frammentaria del composito quadro istruttorio, incentrato sul narrato dei collaboratori di giustizia e sui riscontri individualizzanti, costituiti, in particolare, dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali; la conferma della condanna non si pone in termini acritici, assumendo semmai connotazione di sintesi rispetto a questioni che erano state gia' sottoposte al vaglio del primo giudice e che, comunque, avevano trovato in quella sede un'esauriente trattazione. (OMISSIS) (pagine da 357 a 365 della sentenza di primo grado) e' stato ritenuto partecipe dell'associazione per delinquere di stampo mafioso denominata "cosca (OMISSIS)" con il ruolo di coadiutore del capo clan nella gestione del locale, provvedendo ad assicurare la comunicazione tra gli associati, a consentire la partecipazione alle riunioni e ad eseguire le direttive dei vertici, curando egli stesso l'esecuzione di quelle piu' importanti, specie nel contrasto dei soggetti delle cosche avverse. La ricostruzione in fatto della condotta delittuosa segue un percorso logico lineare: la principale (OMISSIS) accusatoria e' costituita dalle dichiarazioni di (OMISSIS), del (OMISSIS) e del (OMISSIS), che consentono anche di ricondurre l'omicidio di (OMISSIS) all'azione criminosa concorsuale del (OMISSIS), nell'attuazione del programma criminoso teso all'affermazione del sodalizio sul territorio. I riscontri derivanti dalle intercettazioni telefoniche, trascritte nei suoi contenuti essenziali e apprezzate nella loro valenza esplicativa, hanno evidenziato i rapporti che l'imputato intratteneva con i sodali, e, in particolare, con (OMISSIS), in una compartecipazione e familiarita' nel crimine di lunga data, secondo le risultanze dei rispettivi certificati penali; ulteriori elementi sono indicati nella rituale affiliazione, con la dote della "santa", e nella commissione del danneggiamento ai danni di (OMISSIS), inserito nella lunga sequenza dei reati fine. Tale delitto (capo 3), ascritto in concorso con esponenti di spicco del clan, denunciato dalla vittima del grave danneggiamento, consistito nel taglio di circa 75 piante di ulivo di quarant'anni di eta', all'interno di un terreno di sua proprieta', e' inquadrato nel contesto malavitoso facente capo al clan (OMISSIS) (in tal senso gli appostamenti rilevati dal sistema di gps; la volonta' di ritorsione nei suoi confronti e l'atteggiamento prevaricatore del (OMISSIS), esplicitati nelle conversazioni intercettate; l'obiettivo di costringere il (OMISSIS) a cedere un terreno, riferito dal collaboratore (OMISSIS) e riscontrato dalla successiva consegna del bene). La corte territoriale, riscontrando i motivi di appello, ha posto in relazione le censure con il quadro probatorio di riferimento, sottolineando i dati trascurati nella prospettazione difensiva e la solidita' dell'impianto accusatorio, con riferimento sia alla partecipazione mafiosa (pagine 66 e 67) sia al delitto di danneggiamento (pagine 43 e 44). I motivi di ricorso sono, dunque, aspecifici perche' insistono su alternative letture delle intercettazioni, attribuendo alle stesse significati privi di rilevanza; su incongruenze nel narrato dei collaboratori, pur a fronte di una sostanziale convergenza nell'individuazione della partecipazione e del ruolo del Marrazzo nella compagine associativa; su una confutazione parziale delle prove, posto che, contrariamente a quanto affermato con il secondo motivo, la condanna per il delitto ex articolo 416 bis c.p. non si fonda sulla vicenda omicidiaria ma, piu' in generale, su una messa a disposizione del sodalizio, individuata attraverso una serie di elementi, fra i quali l'eliminazione fisica del rappresentante della famiglia rivale. 11.2. Con il quarto e il quinto motivo il ricorrente reitera le censure in ordine al riconoscimento delle aggravanti di cui all'articolo 416 bis.1 c.p. e articolo 416 bis c.p., comma 4 in relazione, rispettivamente, ai reati sub 3 e sub 1. Si sostiene che "la motivazione...non da' conto del perche' l'azione posta in essere debba considerarsi come finalizzata ad agevolare la cosca", senza alcun effettivo confronto con quanto evidenziato dai giudici di merito circa la finalita' ritorsiva che ha mosso la condotta di (OMISSIS), di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS): il taglio delle 75 piante di ulivo ha all'evidenza comportato un dispiego di energie e di tempo per la sua organizzazione, per la perpetrazione in orario notturno, per l'utilizzo di motoseghe, giustificato dalla plausibile finalita' di agevolare e rafforzare la cosca (OMISSIS), mediante un atto manifestamente intimidatorio nei confronti di una persona, il (OMISSIS), che si era rifiutato di obbedire alla volonta' di (OMISSIS) e aveva manifestato l'intenzione di denunciare gli altri sodali per un precedente furto avvenuto in un suo terreno. Quanto all'aggravante dell'articolo 416 bis c.p., comma 4, i rilievi sono del pari generici e avulsi dal contesto motivazionale, avendo i giudici di merito specificamente ricondotto l'uso delle armi all'associazione, sia come strumento di difesa dagli attacchi della famiglia rivale nell'affermazione sul territorio (il fucile di cui al capo 2 era infatti a disposizione del gruppo malavitoso e utilizzato anche per l'addestramento dei consociati) sia come mezzo di sopraffazione (l'omicidio del capo clan dei (OMISSIS)) - pag. 71 della sentenza impugnata. L'imputato aveva la consapevolezza di far parte di un'associazione armata, conclusione che s'inserisce nell'articolato percorso motivazionale incentrato sulle risultanze delle prove assunte. 11.3. L'ultimo motivo riguarda l'applicazione della recidiva; ritiene il ricorrente che non sia stato adeguatamente motivato il giudizio di maggiore pericolosita'. In realta', il tribunale - come non ha mancato di rilevare la corte territoriale aveva sottolineato che l'analisi della biografia penale di (OMISSIS) dimostrava la sussistenza di una relazione qualificata tra i precedenti penali da cui l'imputato era gravato al tempo di commissione dei delitti in oggetto e questi ultimi; precedenti che, essendo anche di natura specifica rispetto a quelli in esame, attestavano il permanente rifiuto di uniformare la condotta alle regole del vivere civile, nonostante i lunghi periodi di detenzione e la sottoposizione alla sorveglianza speciale, privi di effetto dissuasivo, si' che la reiterazione nel criminale non si presentava occasionale. 12. Nell'interesse di (OMISSIS) - condannato per i capi 1, come partecipe, e 2 - sono stati articolati sette motivi di ricorso: il primo e il secondo motivo relativi all'affermazione di responsabilita' per il reato associativo; il secondo, il terzo, il quarto e il quinto al porto di arma; il sesto ed il settimo al trattamento sanzionatorio. 12.1. Circa la partecipazione al clan (OMISSIS), il ricorrente ritiene, con argomenti simili a quelli del padre (OMISSIS), che: a) la sentenza di appello si sia uniformata in termini acritici alla pronuncia di primo grado; b) le affermazioni del collaboratore (OMISSIS) non erano state riscontrate da altri contributi dichiarativi accusatori, in considerazione altresi' dell'esiguita' dell'arco temporale riscontrato dalle indagini (2014); le intercettazioni richiamate alle pagine 70 e seguenti della sentenza della corte territoriale non avevano valenza indiziante, in mancanza di responsabilita' per i reati fine contestati; i rapporti con (OMISSIS) erano stati caratterizzati da ragioni personali. Richiamati anche in questo caso i principi di diritto sintetizzati nel primo paragrafo sui limiti del sindacato di legittimita', i motivi non sono consentiti e comunque risultano privi della specificita' necessaria ex articolo 581 c.p.p., comma 1, e articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c). Va ribadito pure che la sentenza di appello, rispetto alle censure di merito, reiterate in questa sede, ha confermato il giudizio valutativo della pronuncia di primo grado, indicando gli elementi di prova e traendo conclusioni coerenti sul piano logico ed argomentativo (pagine 70 e seguenti); in particolare ha indicato le ragioni per le quali lo (OMISSIS) avesse reso dichiarazioni attendibili, senza essere mosso da ragioni di risentimento, allorche' aveva indicato il ricorrente come appartenente del sodalizio ("affiliato con noi"), partecipe degli obiettivi omicidiari per l'affermazione della cosca sul territorio. Gli elementi di riscontro risultano altresi' significativi, con plausibile lettura dei dialoghi intercettati, tesi a definire anche il ruolo di emissario del capo clan nella veicolazione dei messaggi agli altri sodali. L'operazione di sintesi effettuata dalla corte territoriale e' funzionale all'analisi dei motivi di appello, senza automatismi valutativi, a fronte peraltro di una disamina quanto mai ampia in primo grado delle questioni sottoposte al vaglio del giudice dell'impugnazione. Il tribunale (pagine 424 e seguenti), infatti, aveva riportato i punti fondamentali della testimonianza del collaboratore (OMISSIS), soffermandosi non soltanto sul coinvolgimento nell'omicidio di (OMISSIS), ma su una serie di altri dati e, in particolare, sulle intercettazioni attestanti la totale disponibilita' nei confronti del capo, nell'irrilevanza, in senso contrario, di quanto dichiarato dai testi presentati dalla difesa. In definitiva, le tesi alternative del ricorrente non inficiano l'impianto motivazionale della doppia conforme sentenza di condanna e la conclusione secondo cui l'appartenenza al sodalizio di (OMISSIS) e' confermata da elementi in tal senso univoci (i rapporti di stabile frequentazione con tutti i componenti della consorteria, il rispetto del vincolo gerarchico e la messa a disposizione nei confronti di (OMISSIS), la condotta agevolativa per l'eliminazione di rivali e l'affermazione della cosca, la commissione del reato fine sub 2 ossia il porto di arma in concorso con altri sodali). Quanto all'aggravante dell'articolo 416 bis c.p., comma 4, valgono le considerazioni effettuate sul punto con riferimento alla posizione di (OMISSIS): trattasi di rilievi generici e avulsi dal contesto motivazionale, avendo i giudici di merito specificamente ricondotto l'uso delle armi all'associazione, sia come strumento di difesa dagli attacchi della famiglia rivale nell'affermazione sul territorio (il fucile di cui al capo 2 era infatti a disposizione del gruppo malavitoso e utilizzato anche per l'addestramento dei consociati,) sia come mezzo di sopraffazione (l'omicidio del capo clan dei (OMISSIS)) - pag. 71 della sentenza impugnata. 12.2. Le intercettazioni riportate alle pagine 198 - 201 della sentenza di primo grado e le immagini estrapolate dalle riprese dell'impianto di videosorveglianza, cosi' come descritte, giustificano la penale responsabilita' concorsuale del ricorrente per il porto del fucile calibro 12, nella consapevolezza della mancanza di autorizzazione per la sua detenzione e per il trasporto in luogo pubblico, dovendosi ritenere del tutto congetturale la prospettata convinzione in senso contrario, smentita peraltro dalla effettiva illegittimita' del porto e dalle finalita' della condotta delittuosa. La Corte di appello ha ribadito la valenza probatoria delle riprese che ritraggono (OMISSIS) in compagnia dei complici che materialmente portavano l'arma, escludendo la tesi di una connivenza non punibile, posto che - come riferito dal collaboratore di giustizia - il fucile serviva per esercitarsi, nel timore di ritorsioni del gruppo avverso. La condivisa disponibilita' dell'arma e' stata posta a base della ritenuta sussistenza dell'aggravante della finalita' dell'agevolazione mafiosa, con argomentazione anche in questo caso immune da rilievi di carattere logico (potenziamento della caratura criminale dell'associazione perche' strumento di difesa e di aggressione, con l'obiettivo di rinsaldare il vincolo di solidarieta' fra gli associati e di favorire la realizzazione degli scopi illeciti - pag. 41 della sentenza impugnata). 12.3. Le censure relative al trattamento sanzionatorio sono oltremodo generiche, in quanto il diniego delle circostanze attenuanti generiche si basa su una pertinente valutazione (personalita' negativa desumibile dalla gravita' dei fatti) e l'aumento per la continuazione e' in se' contenuto, adeguato alla condotta contestata. 12.4. L'inammissibilita' dei motivi originari del ricorso per cassazione non puo' essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi, atteso che si trasmette a questi ultimi il vizio radicale che inficia i motivi originari per l'imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi e considerato anche che deve essere evitato il surrettizio spostamento in avanti dei termini di impugnazione (Sez. 5, n. 48044 del 02/07/2019, Di Giacinto, Rv. 277850). 13. Il ricorso di (OMISSIS), condannato per gli episodi di danneggiamento aggravato in concorso di cui ai capi 7 e 8, ripropone questioni esaminate correttamente dalla corte territoriale, con pertinenti riferimenti alla sentenza di primo grado, insistendosi nella tesi del mancato riconoscimento delle cause di non punibilita' e dell'esimente di cui all'articolo 54 c.p., della erronea valutazione delle dichiarazioni dello (OMISSIS), dell'ingiustificato riconoscimento dell'aggravante ex articolo 416 bis.1 c.p., della specificita' del motivo di appello in relazione al capo 8, del diniego non motivato delle circostanze attenuanti generiche. Oltre che reiterativi e generici, i motivi vertono su questioni in fatto, riservate all'accertamento del giudice di merito, che con rigore di analisi hanno evidenziato un quadro probatorio che, pur dimostrando gli stretti rapporti con (OMISSIS) e (OMISSIS), estrinsecati in attivita' delinquenziali, non ha consentito di accertare al di la' di ogni ragionevole dubbio l'appartenenza e la partecipazione alla cosca mafiosa. 13.1. Nell'ambito, tuttavia, della responsabilita' concorsuale sono stati indicati gli elementi di prova circa la diretta partecipazione alla condotta di cui ai capi 7 e 8, in danno, rispettivamente, di (OMISSIS) e (OMISSIS) (pagine da 233 a 248 della sentenza di primo grado). La ricostruzione di tali azioni delittuose, con l'individuazione del ruolo di ciascun concorrente, e' stata effettuata sulla base delle dichiarazioni auto ed etero accusatorie del collaboratore (OMISSIS), che ha circostanziato gli episodi, evidenziando mandante e finalita' delle aggressioni; hanno trovato conferma nelle intercettazioni ambientali e telefoniche, valutate in termini plausibili, e nelle indagini riferite in sede testimoniale dal maresciallo (OMISSIS). Correttamente e' stata ritenuta l'aggravante dell'agevolazione mafiosa, posto che il ricorrente, al pari dei correi, era consapevole che le intimidazioni erano state ordinate dal (OMISSIS) e che miravano allo stato di soggezione della popolazione di (OMISSIS). 13.2. La Corte di appello, confermando la valutazione del tribunale, previo richiamo ai dati istruttori e alle argomentazioni rilevanti, ha esaminato in termini esaurienti i motivi di impugnazione del (OMISSIS) - comuni al (OMISSIS) - alle pagine da 48 a 52, a ragione ravvisando la genericita' delle censure in relazione al capo 8, posto che anche in sede di legittimita' il ricorrente omette di allegare le specifiche censure che, omesse nella valutazione della corte, sarebbero state determinanti ai fini del decidere. Lo stato di sudditanza psicologica del ricorrente o la sussistenza di altre cause che abbiano potuto incidere sulla sua capacita' volitiva sono estranee al materiale probatorio, che rivela, anzi, capacita' di autodeterminazione ed un ruolo attivo nelle vicende per cui ha riportato condanna (pag. 79 della sentenza impugnata). 13.3. I gravi reati in questione sono stati ritenuti causa sufficiente di diniego delle attenuanti, sottolineandosi come i danneggiamenti hanno cagionato un danno patrimoniale di significativa entita' e generato, al contempo, rassegnazione delle vittime al consolidamento del potere mafioso. 14. In conclusione, tutti i ricorsi risultano inammissibili; ne consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di Euro 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI ROMA IV SEZIONE LAVORO La Corte, composta dai signori magistrati: - dott. Alessandro Nunziata - Presidente - dott. Glauco Zaccardi - Consigliere rel - dott. Alessandra Lucarino - Consigliere all'udienza del 18/04/2023 ha pronunciato la presente SENTENZA nella causa iscritta al n. 1549/2022 R.G. vertente TRA (...) S.P.A. parte rappresentata e difesa dall'Avv. MO.EN. APPELLANTE E (...) parte rappresentata e difesa dall'Avv. Prof. DE.SA. e dall'Avv. PE.DO. APPELLATO avente ad oggetto: appello avverso la sentenza 4561/2022 del Tribunale di Roma, pubblicata il 17.5.2022 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso ex art. 414 c.p.c. del 22.02.2021, (...) adiva il Tribunale del lavoro di Roma chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "1) riconosciuto il diritto al rimborso delle spese legali ex art. 59 del CCNL (...) 2002 - 2005 accertare che l'(...) S.p.a. in persona del legale rappresentante p.t. sia tenuta a corrispondere in favore del ricorrente la somma di Euro 34.180,00, oltre iva e cpa per un totale di Euro 44.034,24 a titolo di rimborso delle spese legali per i motivi di cui al ricorso o la somma minore o maggiore che verrà accertata in corso di causa anche in via equitativa e per l'effetto condannarla al pagamento delle somme dovute; 2) Riconosciuta la grave contrarietà del comportamento tenuto da (...) ai principi di correttezza, buona fede e collaborazione nell'esecuzione del contratto ed il danno extracontrattuale condannare l'(...) S.p.a. in via alternativa e concorrente al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti e subendi da quantificarsi anche in via equitativa nella somma di Euro 60.000,00 o nella somma maggiore o minore che verrà accertata in corso di causa e/o ritenuta equa e di giustizia". A sostegno del ricorso il ricorrente deduceva in sintesi: - di essere dipendente dell'(...) S.p.a., presso il Compartimento della Viabilità per la Calabria, quale Responsabile del Procedimento Mega Lotto n 2 SS 106 Jonica; - di aver ricevuto in data 24.05.2012 la notifica dell'invito a dedurre, da parte della Procura Regionale della Corte dei conti, Sezione per il Lazio, per una pretesa responsabilità erariale connessa all'esercizio delle sue funzioni di RUP; - di aver dato, con nota del 28.05.2012, tempestiva comunicazione ad (...) S.p.a. (prot. in ingresso CDG - 0079703-A del 06.06.2012) del suddetto invito a dedurre, richiedendo, ai sensi dell'art. 59 del CCNL Personale Dipendente dell'(...) 2002-2005, l'attivazione del patrocinio legale per la vicenda, comunicando, contestualmente, l'intenzione di avvalersi di un legale di fiducia, indicato nella persona dell'avv. (...); - che (...) s.p.a., con nota protocollata in data 13.06.2012, con oggetto "Giudizio amministrativo n. (...) della Procura Regionale della Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale per il Lazio - Invito a dedurre notificato il 25.05.2012. Presa in carico e attivazione del CCNL dipendenti (...)", replicava alla richiesta di attivazione del patrocinio legale: "Con riferimento alla Sua nota del 06.06.2012, con la quale è stata inoltrata richiesta di attivazione del CCNL, si precisa che questa Società si riserva di valutare la sussistenza dei presupposti necessari per l'applicazione dell'istituto disciplinato dall'art. 59 del CCNL di dipendenti. Questi, infatti, prevedono che all'esito del giudizio concluso con provvedimento non più riformabile, si possa rilevare l'assenza di dolo o colpa grave e di conflitto con gli interessi di (...) SpA. Pertanto, solamente sussistendone i presupposti, (...) provvederà al rimborso delle spese legali sostenute dalla (...) applicando i criteri e i principi stabiliti dall'art. 59, che attualmente si uniformano ai medi tariffari. Al riguardo, si fa presente che eventuali importi superiori resteranno a Suo esclusivo carico"; - di aver, quindi, conferito all'Avv. (...) procura a rappresentarlo per l'intero giudizio, convenendo un compenso professionale corrispondente ai valori medi della tariffa professionale forense nel caso in cui si fosse conseguita l'assoluzione definitiva dagli addebiti; - che il giudizio aveva inizio con l'atto di citazione del 25 febbraio 2013 e, nell'ambito del giudizio di primo grado innanzi la Corte dei Conti, si instaurava un giudizio per regolamento di giurisdizione risolto dalla Corte di Cassazione con la conferma della giurisdizione della Corte dei Conti; - che all'esito della riassunzione del giudizio innanzi la Corte dei Conti il ricorrente, con la sentenza n. 256/2015 depositata in data 8.5.2015, veniva assolto da quanto ascrittogli; la sentenza veniva appellata e, all'esito del giudizio di secondo grado, la Corte dei Conti, con la sentenza n. 220/2017 depositata in data 11.5.2017, confermava la pronuncia di assoluzione; - che le richiamate sentenze riconoscevano in favore del (...), a titolo di spese legali, la somma di Euro 2.500,00, oltre accessori, per il primo grado di giudizio, e la somma di Euro 1.500,00, oltre accessori, per il secondo grado; - di avere inviato, all'esito di tali pronunce, ad (...) s.p.a. i preavvisi di parcella redatti dall'avv. (...), per l'attività di assistenza, rappresentanza e difesa giudiziale in tutti i gradi del giudizio contabile; - di aver ricevuto nota del 15.05.2018 con la quale l'(...) s.p.a. rispondeva, rappresentando che i preavvisi di parcella ricevuti dovevano essere rettificati, sul rilievo di incongruenze tra i valori della causa indicati nei prospetti di parcella e il corrispondente scaglione di riferimento utilizzato. Segnatamente rappresentando che, rispetto agli onorari indicati, dovevano piuttosto ritenersi congrui l'onorario di Euro 13.500,00 per il ricorso di primo grado, di Euro 10.260,00 per il ricorso in Cassazione (sul regolamento di giurisdizione) e di Euro 10.400,00 per l'appello (pari quindi ad Euro 30.180,00 + 15% spese generali, complessivamente Euro 34.707,00 + IVA e CPA pari in totale ad Euro 44.034,24). In detta nota, (...) rappresentava altresì che da tali importi dovevano essere detratti gli importi liquidati in sentenza per le spese (e a carico dell'Erario). Da ultimo, (...) s.p.a. comunicava al (...) che, per procedere al rimborso, rimaneva in attesa delle fatture rettificate secondo le indicazioni contenute nella missiva; - di avere trasmesso ad (...) s.p.a. i preavvisi di parcella rettificati dal difensore secondo le indicazioni fornite dalla società; - di avere ricevuto nota del 25.06.2018 con la quale (...) s.p.a. comunicava di dover sospendere la procedura di rimborso degli onorari, sulla base di un parere reso dall'Avvocatura dello Stato, allegato alla comunicazione; - che tale parere veniva reso dall'Avvocatura dello Stato su questione posta dall'(...) e avente ad oggetto il possibile rimborso in favore dei legali dei dipendenti/dirigenti della totalità delle spese processuali, superiori a quelle liquidate in sentenza a carico dell'Erario, in caso di giudizio di responsabilità per danno erariale conclusosi con definitiva assoluzione. Specificatamente l'(...) richiedeva se la Società "sia tenuta a riconoscere le spese legali effettivamente saldate dai soggetti interessati e comunque secondo le tariffe medie di cui al D.M. n. 55 del 2014, malgrado le precisazioni della Corte dei Conti". L'Avvocatura dello Stato, ricostruita la normativa di settore succedutasi in materia e dato atto del contrasto giurisprudenziale ancora in essere tra giudice ordinario (Corte di Cassazione sent. 19195/2013) e giudice amministrativo (Consiglio di Stato sent. 3779/2017), concludeva ritenendo che l'(...) non potesse liquidare in favore del dipendente le maggiori spese legali sostenute per la propria difesa, lumeggiando una responsabilità per "danno erariale", in caso di liquidazione in senso difforme; - di avere contestato ad (...) s.p.a. con mail del 13.07.2018 la decisione di sospendere il pagamento della parcella del difensore alla luce del parere reso dall'Avvocatura dello Stato, sottolineando come nel caso di specie si fossero configurati tutti i presupposti per il rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente sulla base dell'art. 59 del CCNL 2002 - 2005 e che il patrocinio legale dell'avv. (...) doveva ritenersi autorizzato dall'(...) stessa con atto (...) prot. n. (...) del 13.06.2012; - di avere diffidato, quindi, (...) s.p.a. a liquidare immediatamente le somme dovute a titolo di rimborso delle spese legali sostenute nell'importo indicato da (...) con atto prot. (...) - P del 15.05.2018 pari ad Euro 34.180,00 oltre spese generali, cpa e iva. e comunque ad erogare le somme non contestate relativamente al giudizio di Cassazione. Alla luce delle esposte argomentazioni, il (...) affermava che la condotta tenuta da (...) s.p.a. rappresentava una violazione e falsa applicazione dell'art. 18 del D.L. n. 67 del 1997 e dell'art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 165 del 2001, dell'art. 3, comma 2-bis, del D.L. 54 marzo 1996, n. 543, convertito con modificazioni, dalla 639/1996 nonché dell'art. 59 del CCNL (...) 2002-2005 e chiedeva l'accoglimento delle richiamate conclusioni. Instauratosi il contraddittorio, (...) s.p.a. si costituiva in giudizio chiedendo, in via principale, il rigetto delle avverse pretese deducendo l'infondatezza del ricorso in fatto e in diritto e, in via subordinata, che l'importo di Euro. 6.566,04, già corrisposto al ricorrente a titolo di rimborso spese legali, venisse compensato, anche ed eventualmente solo parzialmente, con quanto eventualmente riconosciuto dovuto al ricorrente. In via di accertamento riconvenzionale, ogni contraria eccezione e deduzione disattesa, chiedeva di accertare e dichiarare che il rimborso dovuto al (...) era pari ad Euro 5.836,48 in luogo del corrisposto maggior importo di Euro 6.566,04 e, per l'effetto, di condannare il (...) a corrispondere la differenza fra quanto ricevuto e quanto dovuto pari all'importo di Euro 729,56 oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla maturazione del diritto all'effettivo saldo. Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale accoglieva il ricorso così provvedendo: "1. Accerta e dichiara il diritto del ricorrente al rimborso delle spese legali da parte di (...) SpA; 2. Per l'effetto condanna la resistente a corrispondere al ricorrente la complessiva somma di Euro 37.468,20, oltre rivalutazione ed interessi; 3. Rigetta la domanda di risarcimento del danno; 4. Compensa le spese di lite nella misura della metà, ponendo a carico della società resistente l'altra metà delle spese di costituzione e difesa sopportate dalla parte ricorrente; metà liquidata in Euro 4.000,00, oltre rimborso forfetario spese generali, IVA e CPA.". Il Tribunale, argomentava partendo dal richiamato art. 59 del CCNL (...) rubricato "Patrocinio legale del dipendente", nella parte in cui prevede: "1. In tutti i casi in cui nei confronti di un dipendente si verifichi l'apertura di un procedimento di responsabilità dinanzi al giudice ordinario, amministrativo o contabile, per fatti o atti connessi all'espletamento dei compiti d'istituto, l'interessato dovrà darne immediata comunicazione all'(...). 2. L'(...), su richiesta del dipendente, qualora non sussista evidente conflitto di interessi e non siano ravvisabili elementi di dolo o colpa grave, curerà la difesa del dipendente stesso tramite proprio legale ovvero consentirà che il dipendente scelga un legale di fiducia. In detto secondo caso tale opzione sarà comunicata all'(...) e quest'ultimo si uniformerà, quanto alla richiesta di rimborso, ai criteri ed ai principi fissati per la determinazione dei compensi dei legali dell'(...) stesso". Osservava, infatti, il Tribunale come il ricorrente avesse puntualmente e tempestivamente assolto agli oneri di comunicazione previsti dalla norma avendo inoltrato ad (...), a seguito di notifica dell'invito a dedurre del 25.05.2012, la nota del 28.05.2012 protocollata dalla ricevente in data 06.06.2012 con la quale l'azienda veniva resa edotta sia dell'apertura del procedimento che della scelta di avvalersi di un legale di fiducia cui il ricorrente aveva conferito " procura a rappresentarlo per l'intero giudizio". Il primo giudice, considerato che l'art. 59 CCNL non prevede l'adozione di un provvedimento autorizzatorio espresso da parte dell'(...), riteneva che il consenso di cui alla disposizione contrattuale di settore dovesse rinvenirsi nella nota del 13.06.2012, laddove, a fronte della comunicazione del (...) di volersi avvalere del legale di fiducia, (...) si era limitata a esprimere una riserva di valutazione, "all'esito del giudizio concluso con provvedimento non più riformabile", circa "l'assenza di dolo o colpa grave e di conflitto con gli interessi di (...) SpA". Art. 59 CCNL che, ad avviso del giudicante, "impone alla società di operare una delibazione ex ante in ordine all'esistenza di situazioni (un "evidente conflitto di interessi" o "elementi di dolo o colpa grave"), che sconsiglino l'assunzione da parte sua dell'onere di difesa del proprio dipendente ? L'assunzione dell'onere della difesa del dipendente, in altre parole, prescinde quindi dalle emergenze del processo e dall'esito dello stesso, essendo legata ad una valutazione operata ex ante dalla società. Il non aver da subito opposto ragioni ostative alla richiesta del (...) di avvalersi di un proprio difensore di fiducia equivale, quindi, all'aver prestato il consenso a detta scelta difensiva". Tuttavia, nel caso di specie, la valutazione negativa idonea a giustificare il diniego del consenso all'assunzione degli oneri di difesa del proprio dipendente, non veniva operata dalla società neanche con giudizio ex post, in quanto, all'esito dell'assoluzione, (...) s.p.a. negava il rimborso delle spese legali sul presupposto della negativa valutazione di congruità operata dall'Avvocatura dello Stato e non per un "evidente conflitto di interessi" o "elementi di dolo o colpa grave" richiamati dall'art. 59 CCNL. Ad avviso del Tribunale, infatti, poiché (...) s.p.a. non è qualificabile come amministrazione dello Stato o comunque come amministrazione pubblica (anche perché non ricompresa nell'elencazione tassativa di cui art. 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165), non le si applica il combinato disposto di cui all'articolo 3, comma 2 bis, del D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla L. 20 dicembre 1996, n. 639, e dell'articolo 18, comma 1, del D.L. 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 maggio 1997, n. 135 in materia di liquidazione delle spese nel giudizio contabile in favore dei dipendenti delle amministrazioni statali. Pertanto, il regime dell'accollo delle spese legali dei dipendenti della resistente si rinviene esclusivamente nel richiamato art. 59 CCNL (...) vigente al momento del consenso manifestato dalla società al proprio dipendente ad avvalersi del patrocinio di difensore di fiducia. Quanto al parere reso dall'Avvocatura, nel caso di specie non obbligatorio e non vincolante e soprattutto non conforme al disposto della predetta disposizione contrattuale, ad avviso del giudicante, non poteva essere assunto come riferimento per la limitazione delle spese di lite rimborsabili. Sulla base di tali ragioni il Tribunale affermava il diritto del ricorrente a vedersi rimborsare da (...) s.p.a. gli onorari professionali per l'importo complessivo ritenuto congruo dalla medesima società con la nota del 15.05.2018, detratto l'importo già liquidato da (...) a titolo di spese di lite, pari a complessivi Euro 6.566,04. Riteneva assorbita e superata ogni considerazione in ordine alla fondatezza della domanda proposta in via riconvenzionale dalla società, sul presupposto dell'erroneità, per eccesso, dell'importo già erogato. La domanda di risarcimento del danno extra contrattuale formulata dal ricorrente veniva rigettata non essendo stati rilevati specifici profili di danno, tali da consentire al giudicante di apprezzare l'eventuale pregiudizio subito dalla parte. Con atto di ricorso, depositato in Cancelleria in data 15.06.2022, (...) s.p.a. ha proposto tempestivo appello avverso tale sentenza censurandola sotto i seguenti profili: 1) Sulla natura dell'(...) e sul parere dell'avvocatura. L'appellante censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l'(...) s.p.a. non possa essere inquadrata come Amministrazione pubblica con conseguente applicabilità della relativa normativa sui rimborsi delle spese legali per i dipendenti pubblici, di cui all'art. 3 comma 2 bis del D.L. n. 546 del 1996 conv. L. n. 639 del 1996 ed all'art. 18 comma 1 del D.L. n. 67 del 1997. 2) Sul processo innanzi la Corte dei Conti. L'appellante, nell'insistere sulla natura pubblicistica dell'(...), quantomeno dal punto di vista finanziario, eccepisce l'erroneità della sentenza nella parte in cui non ha limitato il rimborso delle spese legali in favore del dipendente alle somme ritenute congrue nel parere reso dall'Avvocatura dello Stato. Infatti, trattandosi di società assoggettata al controllo della Corte dei Conti ai sensi dell'art. 103 della Costituzione, andava inquadrata nell'ambito delle Amministrazioni pubbliche per i cui dipendenti è previsto il rimborso delle spese legali nei limiti di quanto indicato dall'Avvocatura. 3) Sulla disapplicazione del CCNL. Il Tribunale, quindi, ad avviso dell'appellante, riconosciuta la natura pubblicistica di (...) s.p.a. avrebbe dovuto applicare quanto previsto dall'art. 18 del D.L. n. 67 del 1997 per i dipendenti delle amministrazioni statali e disapplicare l'art. 59 del CCNL. Nella fattispecie l'Avvocatura, in esito alla richiesta di parere, aveva infatti riconosciuto la congruità per il rimborso delle spese legali nella misura indicata nelle statuizioni giudiziali, pertanto, nulla di più poteva essere rimborsato al ricorrente; questo anche in considerazione del fatto che le sentenze in relazione alle quali veniva disposto il rimborso delle spese neppure erano state appellate in punto di liquidazione dal M.. 4) Sull'assunta congruità delle parcelle. Ultra petizione. Il gravame censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la nota del 15.05.2018 possa costituire per (...) la fonte di obbligazione del rimborso delle spese legali in favore del dipendente sulla base dell'art. 59 del CCNL. Alla comunicazione di assenso alla nomina del legale di fiducia con indicazione dei limiti del rimborso delle spese legali, infatti, seguiva la nota del 15.05.2018 con i parametri di congruità da applicare in sede di rettifica dei preavvisi di parcella in ragione della quale il Tribunale ha affermato "deve ritenersi che (...) fosse tenuta a rimborsare al ricorrente detto complessivo importo". La sentenza viene censurata in quanto vi si ravvisa un tema di indagine ulteriore rispetto a quanto specificamente azionato dal ricorrente, il quale si era limitato a chiedere il riconoscimento della natura contrattuale dell'obbligazione ex art. 59 CCNL A.. Ha concluso chiedendo di accogliere l'appello "per tutte o per alcune delle ragioni ivi esposte (compreso l'eccepito vizio di ultra-petizione), e per l'effetto, in riforma della sentenza richiamata ed individuata in epigrafe, rigettare le domande proposte dall'originario ricorrente nel primo grado di giudizio, odierno appellato, in quanto infondate in fatto ed in diritto e, soprattutto, non provate; accertare, di conseguenza, che l'importo dovuto a titolo di rimborso per le spese legali all'appellato doveva essere quantificato in Euro 5.836,48 in luogo del corrisposto maggior importo di Euro6.566,04 e, per l'effetto, condannare l'appellato alla restituzione della differenza fra quanto dovuto e quanto ricevuto pari all'importo di Euro 729,56 oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla maturazione del diritto all'effettivo saldo; condannare parte appellata alla refusione delle spese di lite del doppio grado di giudizio". Instauratosi ritualmente il contraddittorio, l'appellato si costituiva tempestivamente in giudizio, con memoria difensiva depositata in cancelleria il 06.04.2023, contestando la fondatezza delle avverse censure e, in particolare, insistendo per l'inapplicabilità ad (...) s.p.a. dell'art. 18 del D.L. n. 67 del 1997 applicabile ai soli dipendenti delle amministrazioni statali tra le quali non rientra A., società per azioni, seppure a partecipazione pubblica, il cui rapporto di lavoro del personale dipendente è disciplinato dalle norme di diritto privato e dalla contrattazione collettiva. Irrilevante ai fini della invocata qualificazione di (...) come amministrazione pubblica, è la circostanza che i dipendenti possono essere chiamati a rispondere a titolo di responsabilità erariale davanti alla Corte dei Conti, in quanto per giurisprudenza consolidata, la giurisdizione della Corte dei Conti è opponibile anche nei confronti di soggetti privati che operano secondo norme di natura pubblicistica. Quanto al terzo motivo di gravame, si contesta la sussistenza di motivi idonei a fondare la richiesta di disapplicazione della disposizione del contratto collettivo di lavoro vigente (l'art. 59 CCNL (...)) la cui vincolatività emerge incontestata anche dagli scambi di corrispondenza intercorsi tra (...) ed (...) in relazione all'incarico professionale conferito al difensore di fiducia in considerazione dei presupposti e requisiti individuati dalla disposizione contrattuale. Infine, anche in relazione al quarto motivo di gravame, parte appellata ne eccepisce l'infondatezza in quanto il giudice di prime cure correttamente rinveniva la fonte dell'obbligazione del rimborso delle spese legali in favore del dipendente sulla base dell'art. 59 del CCNL, nella nota del 15.05.2018 con cui (...) chiedeva la rettifica dei preavvisi di parcella secondo i parametri indicati e poi puntualmente applicati dal legale. Concludeva dunque in conformità chiedendo il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata, con il favore delle spese di lite. All'udienza odierna la causa è stata decisa mediante lettura in udienza del dispositivo in epigrafe. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello è infondato. Quanto al primo motivo deve condividersi il convincimento del Tribunale secondo cui (...) s.p.a. non è qualificabile come amministrazione dello Stato o comunque come pubblica amministrazione. Non rientrano nella disciplina di cui all'art. 1, comma 2, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 le società partecipate come (...) s.p.a., la quale, pur essendo soggetta a varie forme di controllo nonché ad indirizzi pubblici, resta pur sempre una società per azioni, come tale soggetta alle regole privatistiche, ove dalla legge non diversamente disposto. Le evidenziate connotazioni pubblicistiche che caratterizzano una società per azioni a partecipazione pubblica, infatti, non incidono sulla natura privatistica dell'ente che, in assenza di deroghe, permane assoggettato alla normativa di diritto privato. Né il trasferimento della totalità del pacchetto azionario di (...) s.p.a. dal Ministero dell'Economia e delle Finanze a F.D.S.I. s.p.a. (con D.L. 24 aprile 2017, n. 50, convertito con modificazioni dalla L. 21 giugno 2017, n. 96, articolo 49) ha mutato la natura sostanziale di detta società che svolge un'attività pubblicistica in forma privatistica. In ragione di ciò correttamente il primo giudice ha ritenuto che il regime dell'accollo delle spese legali dei dipendenti dell'appellante non sia da rinvenire nella normativa di legge dalla medesima richiamata (e ancor prima dal parere dell'Avvocatura dello Stato) di cui all'art. 18 del D.L. n. 67 del 1997, ma nella disposizione della contrattazione collettiva di settore disciplinante la fattispecie (art. 59 CCNL A.) e, pertanto, "Il parere espresso l'Avvocatura, in quanto non obbligatorio e non vincolante e soprattutto non conforme al disposto della predetta disposizione contrattuale, non può quindi essere assunto come riferimento per la limitazione delle spese di lite rimborsabili dalla resistente, posto che l'unico riferimento contenuto nel cit. art. 59 ai fini di detta limitazione è quello "ai criteri ed ai principi fissati per la determinazione dei compensi dei legali dell'(...) stesso" e che, per ammissione di (...) (si veda sempre la nota di risposta alla richiesta di attivazione del patrocinio legale), detti principi e criteri, al momento della richiesta, "si uniformavano ai medi tariffari". Anche il secondo motivo di gravame secondo cui la natura di pubblica amministrazione di (...) s.p.a. sarebbe desumibile altresì dall'assoggettamento al controllo contabile della Corte dei Conti, non può trovare accoglimento. Invero, come pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, l'elemento necessario e sufficiente per l'attribuzione della materia al giudice della Corte dei conti è il verificarsi di un pregiudizio ingiusto in danno della finanza pubblica, non rilevando in contrario la natura privatistica dell'ente affidatario e/o dello strumento contrattuale con il quale si è costituito ed attuato il rapporto in questione (Sez. Un. 10973/2005). L'amministrazione svolge, infatti, attività amministrativa non solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall'ordinamento, persegue le proprie finalità istituzionali mediante un'attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato. In tal senso anche il concessionario privato di un pubblico servizio o di un'opera pubblica, quando la concessione investa l'esercizio di funzioni obiettivamente pubbliche, onde egli agisce per le finalità proprie dell'amministrazione, è assoggettabile alla giurisdizione della Corte dei conti ed all'azione erariale per i danni eventualmente cagionati all'amministrazione, conseguenti al mancato rispetto dei vincoli contrattuali (Corte dei Conti, sez. giur. Lazio, sent. n. 426/2018). La Suprema Corte ha rilevato come il crescente affidamento a soggetti privati della realizzazione di finalità una volta ritenute di pertinenza esclusiva degli organi pubblici ha finito con l'influenzare l'approccio interpretativo delle medesime Sezioni Unite che, per evitare il rischio di un sostanziale svuotamento della giurisdizione della Corte contabile in punto di responsabilità, hanno privilegiato un approccio più "sostanzialistico", sostituendo ad un criterio eminentemente soggettivo, che identifica l'elemento fondante della giurisdizione della Corte dei conti nella condizione giuridica pubblica dell'agente, uno oggettivo, facente leva sulla natura pubblica delle funzioni espletate e delle risorse finanziarie a tal fine adoperate. Pertanto, "nell'attuale assetto normativo, il dato essenziale che radica la giurisdizione della corte contabile è rappresentato dall'evento dannoso verificatosi a carico di una pubblica amministrazione e non più dal quadro di riferimento - pubblico o privato - nel quale si colloca la condotta produttiva del danno". (Cass. Sez. Un. n. 2584/2018). Pertanto, l'assoggettamento di (...) s.p.a. al controllo della Corte dei conti non consente di inferirne la natura di amministrazione statale/pubblica amministrazione, con conseguente applicazione della normativa dettata specificatamente per il rimborso delle spese legali ai dipendenti di tali enti (con particolare riguardo all'ambito soggettivo di applicabilità dell'art. 18, comma 1, del D.L. n. 67 del 1997, conv. nella L. n. 135 del 1997). Sotto ulteriore e diverso profilo, in tema di spettanza esclusiva in capo al giudice contabile del potere di liquidazione delle spese defensionali in favore del pubblico dipendente prosciolto nel merito e della successiva richiesta del prosciolto all'amministrazione di appartenenza di liquidazione integrativa, il Collegio condivide il recente superamento (con sent. Cass. n. 18046/2022) dell'orientamento precedentemente espresso dalla Suprema Corte (Cass. sent. n. 19195/2013) richiamato dall'Avvocatura dello Stato a sostegno del parere negativo reso su richiesta dell'appellante (parere allegato da (...) s.p.a. alla nota del 25.06.2018). Rileva, infatti, da ultimo la Cassazione come "contrariamente a quanto sostenuto da Cass. 19195/2013, la domanda di rimborso non è riservata alla giurisdizione contabile e non si esaurisce con la liquidazione delle spese adottata dalla Corte dei conti, avendo la parte diritto all'intero esborso sostenuto, nei limiti di cui si dirà in prosieguo, con azione esperibile - per l'eccedenza - dinanzi al giudice ordinario (cfr. Consiglio di Stato 3779/2017)". Sul punto specifico la richiamata sentenza ha, infatti, evidenziato una diversità sostanziale tra il dettato normativo dell'art. 18, D.L. n. 67 del 1997 laddove prevede che le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato e l'art. 3 comma 2 bis, D.L. n. 543 del 1996 laddove prevede che, in caso di definitivo proscioglimento "le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti sono rimborsate dall'Amministrazione di appartenenza". Pertanto, prosegue la motivazione, "a differenza delle disposizioni dettate per i giudizi amministrativi, penali e civili, una analoga delimitazione soggettiva è assente nell'art. 3, comma 2 bis, D.L. n. 543 del 1996: la disposizione, con formula ampia, riconosce il diritto al rimborso a favore di tutti coloro che siano assoggettati al giudizio contabile dinanzi alla Corte dei conti, conclusosi con il proscioglimento" e questo con la finalità di sollevare i funzionari che abbiano agito in nome, per conto e nell'interesse dell'amministrazione dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie. Il primo ed il secondo motivo di gravame non possono, pertanto, trovare accoglimento non essendo applicabile ad (...) s.p.a. il regime normativo dell'accollo delle spese legali dettato per i dipendenti delle amministrazioni statali, trattandosi di società per azioni le cui connotazioni pubblicistiche non la sottraggono alla disciplina privatistica salvo espressa deroga normativa. Ne consegue l'infondatezza anche del terzo motivo di appello sulla disapplicazione del CCNL A., in quanto, per le ragioni già esaminate, il primo giudice ha correttamente affermato la riconducibilità della fattispecie nell'alveo della disciplina privatistica, individuando la fonte dell'obbligazione proprio nell'art. 59 CCNL i cui criteri di applicazione e principi di liquidazione sono stati puntualmente rispettati dal (...) e dal difensore nominato, come si evince pacificamente dallo scambio di comunicazioni avvenuto tra le parti fino al parere di congruità reso da (...) s.p.a. con la nota del 15.05.2018 e, quindi, prima della nota del 25.06.2018 con cui l'appellante comunicava di dover sospendere la procedura di rimborso degli onorari sulla base del parere reso dall'Avvocatura dello Stato. Parimenti infondato è il quarto motivo di appello. Il primo giudice, infatti, nel valorizzare la comunicazione del 15.05.2018 con cui (...) s.p.a. assentiva alla nomina di legale di fiducia con indicazione specifica dei limiti di rimborso delle spese legali, di fatto esprimendo un parere di congruità favorevole in applicazione dell'art. 59 CCNL, non ha inferito nel potere dispositivo delle parti né sostituito i fatti costitutivi della pretesa, rimanendo nei limiti delle pretese fatte valere dal ricorrente, non si rinviene nella pronuncia alcun vizio di ultrapetizione. Orbene, alla luce delle suesposte considerazioni, l'appello non può che dirsi infondato, con conseguente integrale conferma della sentenza di primo grado. Le spese del presente grado, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. Deve darsi atto, infine, della sussistenza nei confronti dell'appellante delle condizioni oggettive per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002. P.Q.M. Rigetta l'appello; Condanna l'appellante al pagamento in favore dell'appellato delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro 5.000,00 oltre Cpa e Iva, con distrazione in favore dei procuratori dell'appellato, dichiaratisi antistatari. Dà atto che sussistono per l'appellante le condizioni oggettive di cui all'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato. Così deciso in Roma il 18 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SCARANO Luigi Alessandro - Presidente Dott. SCODITTI Enrico - Consigliere Dott. IANNELLO Emilio - Consigliere Dott. MOSCARINI Anna - Consigliere Dott. GORGONI Marilena - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso n. 25167/2020 proposto da: (OMISSIS), nella qualita' di procuratore di (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende; - ricorrente - contro MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ex lege in Roma, Via Dei Portoghesi 12 presso l'Avvocatura Generale dello Stato da cui e' difeso per legge; - controricorrente - avverso la sentenza n. 300/2020 della CORTE D'APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata in data 09/04/2020; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/12/2022 da GORGONI MARILENA; lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero. FATTI DI CAUSA (OMISSIS) ricorre per la cassazione della sentenza n. 300-2020 della Corte d'Appello di Reggio Calabria, pubblicata in data 9 aprile 2020, articolando un solo motivo. Resiste con controricorso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Il ricorrente, nella qualita' di curatore speciale di (OMISSIS), espone di aver convenuto presso il Tribunale di Reggio Calabria, sezione distaccata di Melito Porto Salvo, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, perche', accertatane la responsabilita', lo condannasse al risarcimento dei danni subiti dal fondo di proprieta' di (OMISSIS). A tal fine rappresentava che (OMISSIS) aveva ricevuto per testamento un appezzamento di terreno situato nei Comune di (OMISSIS) e che, a causa della realizzazione del porto industriale di (OMISSIS) ad opera della ex Cassa del Mezzogiorno, cui era subentrata l'Agenzia per la promozione e lo sviluppo del Mezzogiorno e, a seguito della sua soppressione, il Ministero convenuto, non preceduta da sufficienti studi volti ad accertare le condizioni climatiche e le dinamiche meteomarine, detto fondo aveva subito un massiccio fenomeno erosivo, iniziato nel 1984 e protrattosi con danni via via crescenti ed irreversibili che ne avevano determinato l'inghiottimento. Il Ministero, costituitosi in giudizio, eccepiva l'inammissibilita' della domanda per incompetenza territoriale del Tribunale adito, la prescrizione del credito risarcitorio, il proprio difetto di legittimazione passiva, stante che l'opera mirava a realizzare interessi pubblici locali, e, nel merito, deduceva l'infondatezza delle pretese attoree. A seguito dell'accoglimento dell'eccezione di incompetenza territoriale, il giudizio proseguiva dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria, il quale, con sentenza n. 1356/10, accoglieva, ritenendola fondata, la eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero. Pur ritenendo l'illecito permanente, per cui il dies a quo del diritto risarcitorio non poteva essere individuato nel 1984, anno in cui avrebbe cominciato a manifestarsi il danno, il giudice di primo grado osservava che l'avvenuto trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni aveva determinato la cessazione della condotta del soggetto estinto e l'inizio della condotta di quello ad esso succeduto, con la conseguenza che era cessato un periodo prescrizionale e ne era iniziato un altro; pertanto, il diritto al risarcimento del danno fatto valere nei confronti del Ministero era ritenuto prescritto al momento della proposizione dell'azione, essendo la responsabilita' del Ministero cessata al momento del trasferimento delle competenze alla Regione Calabria, avvenuto con il Decreto Legislativo n. 112 del 1998. (OMISSIS) e il Ministero impugnavano la predetta sentenza dinanzi alla Corte d'Appello di Reggio Calabria, il primo, in via principale, il secondo, in via incidentale. La Corte d'Appello, con la decisione oggetto dell'odierno ricorso, accoglieva l'appello incidentale e, quindi, riteneva il Ministero carente di legittimazione passiva, in quanto, con le disposizioni contenute nel Decreto Legislativo n. 112 del 1998, lo Stato aveva trasferito alle Regioni ogni competenza sui porti di interesse regionale o interregionale, riservando a se' solo quella sui porti di interesse nazionale ed internazionale, e accoglieva, "non potendosi applicare alla fattispecie la disposizione di cui all'articolo 111 c.p.c. - che prevede la successione nel processo qualora il trasferimento del rapporto controverso da un ente all'altro avvenga in corso di causa mentre, nella fattispecie, il trasferimento delle funzioni era avvenuto prima dell'instaurazione del giudizio (in termini Cass., sez. Un., n. 21690/2019)- l'eccezione di carenza di legittimazione passiva proposta dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti... in quanto quest'ultimo non era piu' titolare di alcun diritto sui porti non di interesse nazionale, come quello di (OMISSIS), al momento della notifica dell'atto di citazione dell'atto introduttivo del giudizio, avvenuta il l'1.3.2004". Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore, Dott. Mauro Vitiello, si e' espresso, nelle sue conclusioni scritte, per l'inammissibilita' del ricorso. Entrambe le parti hanno presentato memoria. RAGIONI DELLA DECISIONE 1) Con l'unico motivo formulato il ricorrente deduce "Violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 2043 c.c., e del Decreto Legislativo n. 112 del 1998 - Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio". Oggetto di censura e' la statuizione con cui la Corte territoriale ha accolto, diversamente dal Tribunale, l'eccezione di carenza di legitimatio ad causam sollevata dal Ministero, giustificata facendo leva sul quadro normativo, costituito dal Decreto Legislativo n. 112 del 1998, e dal D.P.C.M. 12 ottobre 2000: il primo (relativo al conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle Regioni e agli Enti locali, in attuazione della L. n. 59 del 1997, volto alla riforma della Pubblica Amministrazione e alla semplificazione amministrativa), perche' all'articolo 105, lettera e), aveva riservato alle Regioni le funzioni di programmazione, pianificazione, progettazione ed esecuzione degli interventi di costruzione, bonifica e manutenzione dei porti di rilievo regionale e interregionale e delle opere edilizie a servizio dell'attivita' portuale, e all'articolo 7, aveva rinviato ai provvedimenti di cui alla L. n. 59 del 1997, articolo 7, per definire tanto la decorrenza dell'esercizio da parte delle Regioni e degli Enti locali delle funzioni loro conferite quanto le modalita' di trasferimento dei beni e delle risorse finanziarie; il secondo, perche', all'articolo 9, aveva specificato che il trasferimento dei beni e delle risorse finanziarie di cui al Decreto Legislativo n. 112 del 1998, articolo 5, lettera e), sarebbe stato effettuato dopo la nuova classificazione dei porti. La conclusione della Corte territoriale e' stata che, "non potendosi applicare alla fattispecie la disposizione di cui all'articolo 111 c.p.c. - che prevede la successione nel processo qualora il trasferimento del rapporto controverso da un ente all'altro avvenga in corso di causa mentre, nella fattispecie, il trasferimento delle funzioni era avvenuto prima dell'instaurazione del giudizio - il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti non era piu' titolare di alcun diritto sui porti non di interesse nazionale, come quello di (OMISSIS), al momento della notifica della citazione dell'atto introduttivo del giudizio". Allo scopo di confutare tale statuizione il ricorrente ipotizza che, postulando che la legittimazione passiva coincida con la titolarita' del rapporto processuale, nel caso di trasferimento di competenze amministrative, la titolarita' del rapporto processuale debba individuarsi sulla base degli effetti prodotti dal trasferimento: se il trasferimento produce un effetto successorio, nel senso che sono trasferiti i diritti e gli obblighi facenti capo alla struttura amministrativa cedente, allora quest'ultima acquistera' la legittimazione ad causam, se il trasferimento non implica detta successione, la titolarita' dei rapporti conclusi prima del passaggio delle competenze non sara' attribuito al soggetto succeduto. La tesi del ricorrente fa leva, a sua volta, sul Decreto Legislativo n. 112 del 1998, articolo 105, lettera e), mettendo in evidenza il fatto che esso non contiene alcuna prescrizione in ordine alla successione delle Regioni nei diritti e negli obblighi sorti precedentemente al trasferimento. La conclusione che parte ricorrente ne trae e' che il quadro normativo richiamato dalla Corte d'Appello non supporti affatto la sostituzione della legittimazione ad agire dello Stato da parte di quella delle Regioni. Ne' - aggiunge - potrebbe fondatamente sostenersi che, dato il mancato esaurimento del rapporto all'atto del trasferimento, la Regione Calabria sia subentrata allo Stato. In forza di tali premesse, (OMISSIS) ritiene che i giudici di merito abbiano errato nel non rilevare che il sopravvenuto trasferimento di competenze, con la sostituzione del soggetto responsabile della condotta lesiva, aveva comportato l'esaurimento del comportamento contra ius riferibile al soggetto sostituito e l'avvio di un nuovo comportamento suscettibile di porsi quale causa autonoma di un nuovo illecito (permanente). Di qui l'affermazione della persistente legittimazione passiva del Ministero, in considerazione della imputabilita' esclusiva allo stesso della condotta perpetrata prima del trasferimento delle funzioni, a prescindere dalla individuazione del momento in cui detto trasferimento era avvenuto, rilevante al solo fine della verifica della avvenuta prescrizione del diritto azionato, ma ininfluente al fine di escludere la legittimazione passiva del Ministero sostituito. La fonte dell'errore attribuito alla Corte d'Appello risiederebbe nell'omesso esame del fatto che quand'anche le competenze in materia di gestione dei porti fossero state trasferite alla Regione Calabria, lo Stato, attraverso il Ministero competente, avrebbe dovuto considerarsi esposto all'obbligo risarcitorio derivante dalle proprie condotte illecite anteriori al trasferimento. A supporto del motivo il ricorrente pone la decisione delle Sezioni Unite n. 493 del 22/07/1999, relativa ad una fattispecie che ritiene sovrapponibile a quella per cui e' causa, la quale, decidendo della captazione di acque pubbliche senza titolo, inizialmente realizzata dalla Cassa del Mezzogiorno e successivamente dalla Regione Abruzzo, subentrata alla prima, ha affermato che, agli effetti del risarcimento del danno da illecito permanente, la permanenza debba individuarsi non gia' con riferimento al danno, bensi' avendo riguardo per il rapporto tra il comportamento illecito dell'agente e il danno. Il ricorrente pretende di trarre la conclusione che la condotta lesiva riferibile al Ministero sia cessata per effetto del trasferimento delle competenze, di tal che' la relativa responsabilita', facendo riferimento a fatti verificatisi anteriormente al trasferimento, sia rimasta in capo al Ministero, "a prescindere dalla individuazione del momento in cui detto trasferimento sia avvenuto, che diviene rilevante al solo fine - a questo punto - non del riconoscimento della persistente legittimazione del Ministero, bensi' soltanto della verifica della avvenuta prescrizione del diritto azionato nei suoi confronti". A tale ultimo scopo il ricorrente rileva che non solo vi era la legittimazione passiva del Ministero, ma che il credito risarcitorio verso lo stesso non si era affatto estinto per prescrizione, perche' l'exordium praescriptionis non poteva che coincidere con la cessazione della permanenza della condotta illecita del Ministero, conseguente al trasferimento delle competenze in materia portuale dallo Stato alle Regioni, avvenuto non prima del D.P.C.M. 31 dicembre 2000. 2) Il motivo merita accoglimento. In primo luogo, va richiamato il principio secondo il quale "la successione tra enti pubblici non e' regolata in via generale dall'ordinamento e percio' essa viene, di regola, disciplinata dalle singole leggi che la dispongono. Puo' ipotizzarsi l'applicabilita' dei principi civilistici solo in assenza di contrarie disposizioni relative alla singola vicenda successoria" (cosi' Cass. 5/04/2001, n. 5072, la quale, proprio facendo leva su detto principio, ha negato l'applicazione della disciplina civilistica in una fattispecie nella quale trovava applicazione il Decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, disciplinante la successione tra enti esponenziali di ordinamenti giuridici, e quindi tra soggetti ben diversi da quelli di diritto privato). Nel caso oggetto dell'odierno scrutinio, la decisione della Corte territoriale non ha affatto verificato se il legislatore avesse disposto la successione "in universum ius" a favore della Regione Calabria, applicando i criteri che ormai costituiscono ius receptum, i quali fanno leva sulla c.d. "sopravvivenza dello scopo": la successione si attua in "universum ius", e tutti i rapporti giuridici che facevano capo all'ente soppresso passano al subentrante, se la legge o l'atto amministrativo che l'hanno disposta abbiano considerato il permanere delle finalita' dell'ente ed il loro trasferimento ad altro soggetto, unitamente al passaggio, sia pure parziale, delle strutture e del complesso delle posizioni giuridiche facenti capo all'ente soppresso, mentre avviene a titolo particolare se la cessazione dell'ente sia stata disposta "previa liquidazione" (Cass. 27/04/2016, n. 8377); in quest'ultimo caso, "difettando la contemplazione del permanere degli scopi dell'ente soppresso, non avrebbe senso una successione a titolo universale nelle strutture organizzatorie che fosse attuata ai soli fini del loro dissolvimento, e deve ritenersi che la successione avvenga a titolo particolare, limitata ai soli beni che residuino alla procedura di liquidazione, con la conseguenza che l'ente liquidatore non solo non si sostituisce nella titolarita' della sfera giuridica originaria, ma non assume, neppure, alcuna diretta responsabilita' patrimoniale per le obbligazioni contratte dall'ente estinto e che gia' risultavano all'atto della liquidazione" (Cass. 13/10/1983, n. 5971; Cass. 18/01/2002, n. 535). La decisione impugnata, infatti, a differenza di quella di prime cure, che aveva rigettato la richiesta risarcitoria per prescrizione del credito fatto valere, ha escluso la legittimazione passiva del Ministero, per il solo fatto che al momento della notificazione della citazione in appello le competenze in materia portuale fossero state trasferite alle Regione, ed in particolare, nel caso di specie alla Regione Calabria, ma non ha preso in considerazione l'eventualita' che detto trasferimento comportasse anche il trasferimento della legittimazione (attiva o) passiva per fatti verificatisi anteriormente al trasferimento di dette funzioni. In applicazione della giurisprudenza evocata da parte ricorrente, infatti, nel caso di trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni il primo sarebbe legittimato passivo per le condotte tenute prime del trasferimento. La questione non puo' essere affrontata senza porsi, come, invece, ha fatto la Corte d'Appello, il problema della natura dell'illecito. In caso di illecito istantaneo con effetti permanenti, la condotta lesiva si esaurirebbe in un fatto quod unico actu perficitur, un fatto destinato, cioe', ad esaurirsi in una dimensione unitaria (sul piano logico e sostanzialmente cronologico) di concreta realizzazione, a prescindere dalla eventuale diacronia dei relativi effetti, onde la prescrizione del diritto al risarcimento del danno ad esso conseguente non potrebbe che iniziare a decorrere dal momento del fatto (rectius, della concreta percezione o percepibilita' di esso), mentre all'illecito permanente si ricollegherebbe non il danno permanente, ma il danno plurimo, destinato a rinnovarsi continuamente nel tempo (Cass. 22/04/2013, n. 9711); se tale, cioe' permanente, dovesse ritenersi l'illecito in questione il trasferimento delle funzioni in materia di porti alla Regione Calabria non basterebbe ad escludere la responsabilita' risarcitoria del Ministero per i danni derivanti dal comportamento contra ius da esso eventualmente tenuto anteriormente al trasferimento delle funzioni, giacche' nel caso di illecito permanente il termine di prescrizione non decorre fino al momento in cui il comportamento "contra ius" non sia cessato, ne' sussistono limiti alla proposizione della domanda ed al conseguente soddisfacimento del diritto ad essa sotteso per tutto il tempo durante il quale la condotta e' stata perpetuata (Cass. 04/11/2021, n. 31558). Vero e' che ai fini della verifica della permanenza, secondo questa Corte - Cass., Sez. un., n. 493/1999, citata - e' necessario altresi' che il soggetto interferente prosegua senza interruzione la sua condotta contra ius - solo a lui spetta porre in essere la condotta volontaria che determina la cessazione dello stato di danno o di pericolo. Assai chiaramente la pronuncia n. 493/1999 ha affermato che "il presupposto della sussistenza dell'illecito permanente e' che la condotta venga posta in essere sempre dalla stessa persona, essendo l'elemento soggettivo del fatto causale (ovverosia gli elementi materiale e psicologico) ontologicamente riferibile ad un'unica persona"; sicche' "nel caso di successione in una situazione di illecito extracontrattuale, in seguito al venir meno di una persona ed al subentrare di un'altra, bisogna distinguere il fatto, che si definisce in un preciso ambito temporale, dalle conseguenze fattuali e giuridiche che si protraggono nel tempo. Laddove sussiste una situazione di illecito extracontrattuale, la successione di una persona ad un'altra non permette che si prefiguri un illecito permanente. Se apparentemente la situazione produttiva del danno o del pericolo continua (per esempio, nel caso di possesso o di detenzione abusivi), in realta' il fatto non si protrae, ma perdurano le conseguenze predeterminate dall'ordinamento. Invero, distinguendo analiticamente il fatto e gli effetti pregiudizievoli, nell'apparente continuita' bisogna individuare il nuovo fatto illecito, configurato da una autonoma condotta, la quale fin dal momento iniziale puo' anche rivestire i caratteri della permanenza, dalle conseguenze giuridiche (effettuali) di essa. Anche dove l'ordinamento ipotizza la continuazione (per esempio, l'articolo 1446 c.c., comma 1, in materia di successione nel possesso), in realta' disciplina in modo unitario le conseguenze derivanti da fatti diversi... Ai fini del decorso della prescrizione nel caso di illecito permanente, senza dubbio, si deve accertare la data di cessazione della permanenza. (Da questa data decorre la prescrizione per il risarcimento del danno, in consonanza con la disposizione dell'articolo 2947 c.c., secondo cui il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si e' verificato. Cio' significa, dal giorno in cui il carattere di permanenza dell'illecito e' venuto a cessare). Quando in un rapporto interviene la sostituzione di un soggetto ad un altro, al momento in cui questo evento si verifica, poiche' ha termine una certa condotta e ne incomincia un'altra, la permanenza cessa ed inizia a decorrere la prescrizione. Se il successore pone in essere una nuova, autonoma condotta illecita, si configura un nuovo illecito permanente e solo alla sua cessazione la nuova prescrizione decorre". 2) Il ricorso va, dunque, accolto, la sentenza impugnata e' cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, che, premessa la legittimazione passiva del Ministero, dovra' accertare la ricorrenza di un illecito a carico del Ministero e, in caso di esito positivo, trarne le conseguenze in tema di prescrizione del credito risarcitorio, tenuto conto della natura dell'illecito e del se la condotta causativa del danno si fosse compiuta oppure no anteriormente al trasferimento delle competenze in materia di porti regionali e infraregionali alla Regione Calabria. Al giudice del rinvio e' demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita'. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SARNO Giulio - Presidente Dott. ACETO Aldo - rel. Consigliere Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere Dott. GAI Emanuela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/11/2020 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ACETO ALDO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa COCOMELLO ASSUNTA che ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi; udito, per le parti civili, l'AVV. (OMISSIS), sostituto processuale degli AVV.TI (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), che si riporta alle conclusioni formulate per iscritto dai predetti difensori depositate in udienza unitamente alle rispettive note spese. uditi i difensori degli imputati, AVV.TI (OMISSIS) e (OMISSIS) per (OMISSIS), AVV. (OMISSIS) per (OMISSIS), AVV.TI (OMISSIS) e (OMISSIS) per (OMISSIS), AVV.TI (OMISSIS) e (OMISSIS) per (OMISSIS), AVV. (OMISSIS), anche quale sostituto processuale dell'AVV. (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno concluso per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi introduttivi e dei motivi aggiunti. RITENUTO IN FATTO Con sentenza del 04/11/2020, la Corte di appello di Reggio Calabria ha parzialmente riformato la sentenza del 21/12/2018 del Tribunale dello stesso capoluogo che aveva dichiarato i sigg.ri (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), colpevoli, a vario titolo, dei reati di atti sessuali con minorenne, violenza sessuale di gruppo, detenzione di materiale pornografico, lesioni personali, violenza privata, ascritti ai primi cinque, e favoreggiamento personale, ascritto al solo (OMISSIS), e li aveva condannati alle pene ritenute di giustizia. 1.1. In particolare, la Corte di appello: - ha assolto lo (OMISSIS) e il (OMISSIS) dal reato di violenza privata di cui all'articolo 610 c.p., rubricato al capo N), perche' il fatto non sussiste (in primo grado erano stati assolti con la formula "perche' il fatto non costituisce reato"); ha conseguentemente dichiarato non doversi procedere nei loro confronti per il reato di lesioni personali di cui all'articolo 582 c.p., rubricato al capo O), per difetto di querela e ha rideterminato la pena (principale) in nove anni e otto giorni di reclusione, per lo (OMISSIS), e in sei anni e sei mesi di reclusione per il (OMISSIS); - ha rideterminato la pena nei confronti del (OMISSIS) in sei anni di reclusione; - ha confermato, nel resto, la condanna degli imputati e le statuizioni civili di condanna condividendo con il primo Giudice la valutazione di attendibilita' delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, (OMISSIS), sia in sede di incidente probatorio che in dibattimento in quanto dettagliate, dotate di coerenza logica ed argomentativa (contrariamente a quelle rese dagli imputati che, per molti aspetti, erano risultate generiche ed incoerenti) e corroborate dalle perizie sulla stessa espletate; - in particolare, gli imputati erano stati dichiarati colpevoli: - (OMISSIS): dei delitti di cui ai capi A (atti sessuali con minore ex articolo 609-quater c.p., comma 1), B (violenza sessuale di gruppo ai danni di persona non ancora quattordicenne di cui all'articolo 609-octies c.p., commi 1 e 2, articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1), D (violenza sessuale di gruppo ai danni di persona non ancora quattordicenne di cui all'articolo 609-octies c.p., commi 1 e 2, articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1), E (violenza sessuale di gruppo di cui all'articolo 609-octies c.p., commi 1 e 2), F, H (detenzione di materiale pornografico ex articolo 600-quater c.p., riqualificati in un unico reato con condotta dall'ottobre 2013 alla fine del 2014) ed M (lesioni personali di cui all'articolo 582 c.p., esclusa l'aggravante di cui all'articolo 576 c.p., n. 5.1); - (OMISSIS): dei delitti di cui ai capi E, H, L (violenza sessuale di gruppo aggravata di cui all'articolo 112 c.p., comma 1, n. 4, e articolo 609-octies c.p., commi 1 e 2, articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5-sexies, commesso in concorso con il minore (OMISSIS), a carico del quale si e' proceduto separatamente) ed M, condannandolo alla pena finale (confermata in appello) di anni otto, mesi due e giorni otto di reclusione: - (OMISSIS) e (OMISSIS): del delitto di cui al capo D; - (OMISSIS): del delitto di cui al capo B, condannandolo alla finale pena di anni sei di reclusione; - (OMISSIS): del delitto di cui al capo Q (favoreggiamento personale di cui all'articolo 378 c.p.), condannandolo alla pena di mesi dieci di reclusione. Quanto alle sanzioni accessorie, il Tribunale di Reggio Calabria aveva applicato a tutti gli imputati, escluso il (OMISSIS): l'interdizione perpetua dai pubblici uffici; lo stato di interdizione legale per tutta la durata della pena; l'interdizione perpetua da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado e da ogni ufficio o servizio in istituzioni o altre strutture, pubbliche o private, frequentate da minori; l'applicazione, dopo l'esecuzione della pena e per la durata di un anno, delle misure di sicurezza previste dall'articolo 609-nonies c.p., comma 3. Infine, gli imputati erano stati condannati, in solido, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, nonche' delle spese processuali, oltre accessori dovuti per legge. 2. La Corte di appello di Reggio Calabria ha ritenuto di poter trattare congiuntamente i motivi di appello proposti dagli imputati (ad eccezione di quello di (OMISSIS), imputato del solo reato di favoreggiamento) presentando, gli stessi, molti aspetti comuni in quanto miranti, prevalentemente, ad incrinare la credibilita' della persona offesa, nonche' le modalita' della sua audizione - anche in ragione dell'espletamento congiunto, da parte del GIP del Tribunale Ordinario e del GIP del Tribunale per i Minorenni, dell'incidente probatorio - e delle perizie sulla stessa espletate. 2.1. Il giudice di seconde cure ha, innanzitutto, affrontato le singole questioni preliminari, in parte comuni ai vari appelli, proposte dalle difese degli imputati. 2.1.1. Quanto alla doglianza relativa al rigetto, in primo grado, della richiesta di riesaminare la persona offesa su fatti e circostanze diverse da quelle gia' oggetto di incidente probatorio - riesame resosi necessario, a detta degli appellanti, alla luce del reperimento di materiale sul computer della persona offesa, del raggiungimento, da parte della stessa, della maggiore eta', nonche' della modifica della composizione del collegio - la Corte di appello, condividendo la scelta del Tribunale e le motivazioni contenute nella sentenza di primo grado, ha rilevato che l'eventuale, nuova, audizione della persona offesa non solo non avrebbe apportato alcun ulteriore elemento (posto che i temi di prova dovevano ritenersi gia' sufficientemente esplorati sia nel corso delle indagini, che nel corso dell'incidente probatorio) ma addirittura si poneva in contrasto con quanto osservato dalle stesse difese, le quali lamentavano la circostanza che (OMISSIS) fosse stata sentita oltre sette volte, e da uno dei consulenti di parte, il Dott. (OMISSIS), secondo cui ripetere piu' volte l'esame della persona offesa doveva considerarsi controproducente. 2.1.2. La questione relativa alla nullita' dell'audizione protetta della minore svolta in data 11 novembre 2015 ed alla inutilizzabilita' dei suoi contenuti e' stata, dagli appellanti, sollevata con riferimento a molteplici aspetti; la Corte di appello ha ritenuto: - infondato il profilo di censura relativo alla inattendibilita' delle dichiarazioni accusatorie rese, in quella sede, dalla persona offesa ed al mendacio delle stesse, posto che dalla relazione del 14 dicembre 2015 della CTU, Dott.ssa (OMISSIS), e' risultato che la minore fosse dotata di "adeguata credibilita' clinica anche se non priva di elemento di problematicita' psicologica sul piano dinamico-affettivo (...)" e "capace per quanto concerne le capacita' di osservare, esaminare e rievocare la realta' (...)"; - infondato il profilo di censura relativo alla nullita' dell'audizione, ed alla conseguente inutilizzabilita' dei suoi contenuti, per non avere debitamente informato la persona offesa in merito all'obbligo di dire la verita', non sussistendo in capo alla stessa, nel caso di specie, nessun obbligo di dire la verita' in quanto secondo costante giurisprudenza "nell'assunzione delle sommarie informazioni da parte della polizia giudiziaria, ai sensi dell'articolo 351 c.p.p., non e' prescritta l'osservanza delle regole dettate per il solo esame dibattimentale dei testimoni dall'articolo 149 disp. att. c.p.p." (Cass., Sez. 2, 12.07.2002, n. 26714); - infondato il profilo di censura attinente alla inattendibilita' delle dichiarazioni rese dalla minore nel corso dell'audizione protetta per avere, la stessa, consultato (come nel corso dell'incidente probatorio) appunti (redatti da lei e dal padre) che avrebbero, a detta degli appellanti, inficiato la genuinita' del narrato, in quanto l'indicazione di redigere degli appunti su quanto accaduto per evitare dimenticanze, stante la complessita' della situazione ed il numero degli episodi verificatisi - era stata fornita dal maresciallo (OMISSIS) e la possibilita' del loro utilizzo era stata autorizzata dal Presidente del Collegio giudicante in ossequio a quanto disposto dall'articolo 499 c.p.p., comma 5. 2.1.3. La Corte di appello ha, parimenti, ritenuto infondata la censura relativa alla asserita alterazione della capacita' di testimoniare della persona offesa per essere stata, la stessa, sottoposta alla terapia "EMDR" dalla Dott.ssa (OMISSIS), presso la quale la minore era in cura, stante la concordanza delle deposizioni rese dalla CTU, Dott.ssa (OMISSIS), e dal perito, Dott.ssa (OMISSIS) - in merito alla validita' della tecnica "EMDR" ed alla non alterazione dei ricordi a seguito del suo impiego - con quanto affermato dalla stessa Dott.ssa (OMISSIS), la quale aveva dichiarato di aver fatto ricorso a tale metodo solo per consentire una migliore elaborazione del vissuto da parte della minore (scorporando la componente emotiva dal ricordo strettamente considerato), senza alcun intento di alterarne la ricostruzione. 2.1.4. Infondata e' anche la questione relativa alla circostanza che la prova della non veridicita' delle dichiarazioni rese dalla minore dovesse rinvenirsi nella condotta tenuta dalla stessa, la quale, con l'ausilio del fratello, avrebbe, dapprima, recuperato alcuni file precedentemente cancellati dal proprio computer per poi eliminarli definitivamente; secondo la difesa, tale comportamento dimostrerebbe la volonta' della minore di eliminare prove da cui si sarebbe potuta ricavare la volontarieta' dei rapporti sessuali avuti con gli imputati. I giudici del merito hanno, di contro, osservato che, pur richiedendosi, a fronte di tale condotta, una valutazione piu' approfondita delle dichiarazioni rilasciate dalla persona offesa, non puo' dirsi venga, per cio' solo, meno l'offensivita' dei fatti contestati agli imputati e la lesione al bene giuridico protetto dalle norme penali violate. 2.1.5. Come per la asserita nullita' dell'audizione protetta della minore, anche la censura relativa alla nullita' dell'incidente probatorio, ed alla conseguente inutilizzabilita' delle dichiarazioni testimoniali assunte in quella sede, e' stata articolata lungo diversi profili; la Corte di appello ha ritenuto: - infondato il profilo di censura attinente alla nullita' dell'incidente probatorio per essere stato celebrato da due GIP (quello del Tribunale Ordinario e quello del Tribunale per i Minorenni) che avrebbero, a detta degli appellanti, agito come organo unico ed in composizione collegiale - pur essendo, il GIP, un organo monocratico - in violazione dell'articolo 33 c.p.p., in relazione all'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera a) e articolo 179 c.p.p., precisando, innanzitutto, che le questioni attinenti alla composizione del giudice vanno tenute distinte da quelle riguardanti la rilevanza della prova (non sussistendo tra le stesse alcun rapporto di interdipendenza), ed inoltre, che l'esistenza di un protocollo stipulato tra gli uffici giudiziari del distretto di Reggio Calabria (il quale contempla una collaborazione tra Tribunale Ordinario e Tribunale per i Minorenni in caso di procedimenti che vedono imputati, per il medesimo fatto, sia soggetti maggiorenni che minorenni), riguardando aspetti di ordine amministrativo-funzionale, non determina alcuna violazione delle norme sulla capacita' del giudice; - infondati i profili di censura riguardanti la circostanza che, nel corso dell'incidente probatorio, i due GIP si sono sovrapposti nel porre le domande, anche non relative ai fatti di rispettiva competenza (non esistendo norme che precludono al giudice di rivolgere al teste domande che consentano di comprendere in modo piu' puntuale quanto accaduto, anche se relative a fatti ascritti a coimputati) e hanno proposto alla persona offesa domande suggestive (avendo, il giudice di prime cure, nel far ricorso al criterio della "credibilita' frazionata", valutato caso per caso quali dichiarazioni della minore fossero assistite da riscontri, considerando, dunque, solo quest'ultime come dotate di credibilita'). 2.1.6. Infine, per quel che riguarda la richiesta dell'istruttoria dibattimentale (effettuata dalla difesa (OMISSIS) con motivi aggiunti depositati in data 18 gennaio 2020) volta ad acquisire la consulenza tecnica dell'ing. (OMISSIS) relativa alla geolocalizzazione dell'utenza del cellulare utilizzato dallo (OMISSIS) consulenza che, a detta di parte, avrebbe dovuto attestare l'incompatibilita' tra la posizione dello smartphone e i luoghi e gli orari di commissione dei reati - dopo aver accolto detta richiesta ammettendo sia la consulenza tecnica, sia l'escussione dell'ing. (OMISSIS) in ordine alle risultanze dell'elaborato peritale, la Corte di appello ha ritenuto che dalla deposizione dello stesso fossero emersi elementi compatibili con i dati relativi agli spostamenti dello (OMISSIS) gia' raccolti durante le indagini preliminari, dunque per nulla idonei a scalfire le precedenti risultanze istruttorie. 2.2. La Corte di appello ha, poi, trattando distintamente i vari capi di imputazione. 2.2.1. Capo di imputazione A), concernente il reato di atti sessuali con minore di cui all'articolo 609-quater c.p., comma 1, ascritto all'imputato (OMISSIS) (in concorso con l'imputato (OMISSIS), per il quale, solo per questo reato, si e' proceduto separatamente) e commesso quando la persona offesa era minore di anni quattordici (ottobre-novembre 2013). Preliminarmente, i giudici di seconde cure hanno rigettato l'eccezione relativa alla mancanza di procedibilita' per difetto di querela della persona offesa e ritenuto assorbita quella relativa alla non applicabilita' dell'articolo 609 septies c.p., comma 4, n. 4, per mancanza di connessione tra il reato in questione ed altro procedibile d'ufficio. Fermo restando che all'epoca del fatto il delitto di cui all'articolo 609-quater c.p. era procedibile a querela della persona offesa (in quanto la procedibilita' d'ufficio e' frutto della novella normativa di cui alla L. n. 69 del 2019), la Corte, come gia' evidenziato dal giudice di primo grado, ha ritenuto che al caso di specie dovesse applicarsi il disposto di cui all'articolo 609 septies c.p., comma 4, n. 4), a mente del quale la procedibilita' e' d'ufficio "se il fatto e' connesso con altro per il quale si deve procedere d'ufficio", posto che, secondo prevalente giurisprudenza, la "connessione" di cui alla suddetta disposizione e' da intendere in senso ampio, anche come mero collegamento investigativo e non solo processuale o materiale. Nel merito, la Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado in punto di riconoscimento della responsabilita' dell'imputato, ritenendo: - non condivisibile la ricostruzione dei fatti fornita dalla difesa, mirante all'assoluzione piena dell'imputato per la sussistenza del consenso della minore, in quanto il reato in questione incrimina la condotta consistente nel compimento di atti sessuali con minore anche quando vi e' il consenso di quest'ultimo, consenso che, per giurisprudenza costante, non scrimina, ne' esclude la punibilita' dell'agente; - infondata l'eccezione relativa alla mancata consapevolezza (o, quanto meno, all'ignoranza inevitabile) dell'eta', inferiore agli anni quattordici, della minore, posto che da quanto affermato dallo stesso (OMISSIS) si poteva chiaramente desumere che lo stesso fosse pienamente consapevole dell'eta' della minore (avendo, egli, riferito in sede di esame che quando aveva conosciuto la minore, questa "doveva iniziare la terza media"); - infondata la questione relativa alla non credibilita' delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, in quanto la versione dalla stessa fornita e' stata lucida e priva di contraddizioni, a differenza di quanto, invece, affermato dall'imputato il quale, in sede di esame, lungi dal manifestare dubbi circa l'eta' della minore, si e', piuttosto, limitato a collocare il delitto in questione successivamente al gennaio 2014, con la chiara finalita' di (cercare di) spostare il compimento del fatto in un momento in cui la minore aveva, quanto meno, compiuto gli anni quattordici; - infine, infondata l'eccezione relativa alla applicabilita' della circostanza attenuante della minore gravita' di cui all'articolo 609 quater c.p., comma 5, risultando, di contro, con evidenza la gravita' del fatto contestato in quanto l'imputato, ben consapevole di avere un forte ascendente nei confronti della minore, si e' servito dello stato di subordinazione psicologica della stessa, di fatto spingendola ad avere rapporti sessuali con lui e con il suo amico (OMISSIS) (tant'e' che, in sede di incidente probatorio, la minore, pur precisando che era ben consapevole della situazione nel momento in cui si verificavano gli episodi, ha, tuttavia, affermato di essersi lasciata convincere al compimento dei rapporti sessuali dal "ricatto" dello (OMISSIS)). 2.2.2. Capo di imputazione B), riguardante il reato di violenza sessuale di gruppo di cui all'articolo 609-octies c.p., commi 1 e 2, in relazione all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1), ascritto a (OMISSIS) e (OMISSIS) e commesso in epoca in cui la persona offesa era minore di anni quattordici (novembre 2013). La Corte di appello ha confermato il giudizio di responsabilita' penale degli imputati cosi' come formulato dal giudice di prime cure sulla base della testimonianza della minore ritenuta dotata di "coerenza sia logica che argomentativa, a differenza della versione dei fatti fornita dai due imputati, che invece e' per molti tratti incongruente, e poco verosimile". In particolare, la Corte ha ritenuto che dal materiale probatorio raccolto fosse possibile ravvisare la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi necessari per il perfezionamento del reato contestato nel capo di imputazione B) per le seguenti ragioni: - la pluralita' di agenti che, trattandosi di un reato necessariamente plurisoggettivo, e' richiesta ai fini dell'integrazione dello stesso risulta pienamente soddisfatta in quanto, secondo giurisprudenza costante, detta pluralita' deve ritenersi sussistente anche quando gli autori del fatto siano solo due (come nel caso di specie); - l'attendibilita' delle dichiarazioni rese dalla persona offesa si evince dalla circostanza che le stesse sono sempre state dettagliate e mai accondiscendenti alle domande suggestive che le sono state poste, avendo la minore risposto a tali domande offrendo la sua personale e coerente versione dei fatti (un esempio per tutti: alla domanda sul se aveva gridato per chiedere di farla scendere, la minore ha risposto di non averlo fatto, ma di aver comunque detto di voler scendere "perche' non aveva intenzione"); - parimenti, l'attendibilita' delle sue dichiarazioni non puo' essere scalfita dalle deduzioni difensive che, di contro, sono risultate generiche e non fondate (ancora a titolo esemplificativo, non appare inverosimile che un ragazzo di appena 18 anni, quale era l'imputato (OMISSIS) all'epoca del fatto, possa aver compiuto quella che la difesa ha definito una "acrobatica azione" nel passare alla parte posteriore della macchina per impedire alla minore di aprire lo sportello; non credibile e' anche l'affermazione della difesa secondo cui lo (OMISSIS) aveva soltanto dato un passaggio al (OMISSIS), non comprendendosi il motivo per il quale il primo, anziche' accompagnare a casa il secondo, lo avesse portato con se' all'incontro chiarificatore con la minore, tenendo anche conto che quest'ultima non conosceva affatto il (OMISSIS) e che, per di piu', lo (OMISSIS), alla guida dell'auto, si e' diretto verso una zona isolata e non di certo nei pressi della casa del (OMISSIS)); - il fatto che la minore fosse consapevole quantomeno dell'incontro programmato con il solo (OMISSIS) non puo' far desumere la consensualita' del rapporto con quest'ultimo, ne' scriminare la posizione dello stesso, piuttosto la volonta' della minore di riprendere la relazione con lo (OMISSIS) dimostra ancora una volta l'intento di quest'ultimo, ben consapevole di avere un forte ascendente nei confronti della minore, di servirsi dello stato di subordinazione psicologica in cui la stessa si trovava per indurla ad avere rapporti sessuali con lui e con i suoi amici (in questo caso l'imputato (OMISSIS)); - allo stesso modo, la circostanza che in altri episodi la minore fosse consenziente o che, addirittura, avesse preso l'iniziativa per gli incontri (come risulta da alcuni screenshot di messaggi contenuti nel suo computer) non esclude che in altre circostanze, come quella di cui si tratta, la stessa non fosse d'accordo, anche in ragione del fatto che tali screenshot non riguardano l'episodio in questione; - la circostanza che il rapporto sessuale con il (OMISSIS) non sia stato completo non puo' determinare la degradazione della lesivita' del fatto-reato entro la soglia del tentativo in quanto, secondo giurisprudenza costante, la peculiarita' del reato di violenza sessuale di gruppo risiede nel fatto che l'atto sessuale deve essere compiuto in presenza di una pluralita' di persone, non richiedendosi, tuttavia, che ciascuna di esse lo ponga in essere autonomamente ed in effetti nel caso di specie la presenza del (OMISSIS) nel momento in cui lo (OMISSIS) compiva atti sessuali contro la volonta' della minore rafforzandone l'azione e l'intento (o quanto meno avendoli rafforzati posto che gia' in precedenza il (OMISSIS) aveva impedito alla minore di scendere dalla macchina) deve considerarsi integrativa del reato in questione; - infine, la sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1), in ragione dell'eta' inferiore agli anni quattordici della vittima, si fonda sulla dimostrata collocazione temporale dell'episodio contestato nel mese di novembre 2013. 2.2.3. Capo di imputazione D), relativo al reato di violenza sessuale di gruppo di cui all'articolo 609-octies c.p., commi 1 e 2, in relazione all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1), ascritto a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e commesso in epoca in cui la persona offesa era minore di anni quattordici (data anteriore e prossima al 9 dicembre 2013). La Corte di appello ha confermato il giudizio di responsabilita' penale degli imputati formulato dal giudice di prime cure, ancora una volta, sulla base della riconosciuta attendibilita' delle dettagliate e coerenti dichiarazioni rese dalla persona offesa in merito all'episodio in esame. In particolare, la Corte ha rigettato gli appelli proposti dai tre imputati ritenendo: - prive di pregio le doglianze relative alla asserita non credibilita' della persona offesa, essendo, a detta delle difese, inverosimile che la minore fosse stata consenziente per la prima parte dei rapporti sessuali (quelli avuti inizialmente con lo (OMISSIS) e il (OMISSIS)) per poi non esserlo piu' nella seconda parte dell'episodio contestato (vale a dire quella successiva all'arrivo del (OMISSIS) e relativa al rapporto sessuale avuto con quest'ultimo mentre gli altri due imputati la immobilizzavano). Ancora una volta si ripropone il binomio consenso/dissenso della minore ai rapporti sessuali con lo (OMISSIS): se, nella prima fase dell'incontro, la minore aveva acconsentito al rapporto a tre con quest'ultimo e il (OMISSIS), e' evidente che lo aveva fatto (come accaduto negli altri episodi contestati nei precedenti capi di imputazione) in ragione della condizione di subordinazione in cui versava nei confronti dello stesso (OMISSIS). In altri termini, la minore, nella malriposta speranza di riconquistarlo, ha nuovamente subito il ricatto dello (OMISSIS) il quale, ribadisce la Corte territoriale, era perfettamente conscio del forte ascendente che aveva nei confronti della minore e se ne e' servito per indurla ai molteplici rapporti sessuali con lui e i suoi amici. Inoltre, il "consenso" prestato dalla minore per la prima parte dei rapporti non comporta automaticamente il suo riverberarsi anche nella fase successiva, in quanto gli episodi (anche se in effetti svoltisi in un medesimo arco temporale e spaziale) devono, tuttavia, essere considerati autonomi e distinti proprio in ragione del loro essersi realizzati attraverso una progressione di eventi caratterizzata da un'iniziale consenso della minore, poi venuto meno al variare delle condizioni in cui detto consenso era stato prestato (ossia dopo aver compreso che all'incontro avrebbe preso parte anche il (OMISSIS)); - pienamente attendibile il racconto, coerente e dettagliato, della persona offesa, le cui dichiarazioni hanno trovato riscontro tanto negli accertamenti effettuati presso il luogo in cui gli episodi in questione si sono verificati, quanto negli screenshot delle conversazioni avute con il (OMISSIS) nei giorni successivi. Peraltro, la minore ha dimostrato piena consapevolezza del narrato anche a fronte delle domande suggestive poste dal Tribunale. In particolare, alla domanda volta a verificare la manifestazione del suo dissenso rispetto alla prima parte degli accadimenti, la minore ha risposto in modo perfettamente coerente rispetto a quanto in precedenza dichiarato, ovvero che si era recata volontariamente all'incontro con lo (OMISSIS) - pur sapendo quale sarebbe stato, molto probabilmente, l'esito - proprio al fine di riconquistarlo. Dunque, non sarebbe affatto logico ritenere che tale coerenza venga meno proprio in relazione a quella parte di narrato in cui la minore ha specificato, senza peraltro incorrere in nessuna titubanza, che la seconda parte dell'episodio contestato (quello che ha visto la partecipazione del (OMISSIS)) si e' svolto contro la sua volonta'; - contraddittorie le versioni rese dagli imputati, i quali hanno fornito ricostruzioni dei fatti completamente discordanti tra di loro (il (OMISSIS) ha, dapprima, in sede di interrogatorio, negato di essersi recato con lo (OMISSIS) e la minore nella casa da lui messa a disposizione, per poi cambiare versione, in sede di esame dibattimentale, ammettendo tale circostanza ma negando che all'incontro si fosse successivamente unito anche il (OMISSIS). Affermazione, quest'ultima, smentita sia dal (OMISSIS), che non ha mai negato la sua presenza, sia dal contenuto dei messaggi intercorsi tra lo stesso (OMISSIS) e la minore nei giorni successivi all'episodio); - non fondate le doglianze sollevate dalle difese degli imputati secondo cui il fatto che la minore si dimenasse durante il rapporto non fosse di per se' indicativo del suo dissenso o, quanto meno, non fosse percepibile come tale dagli imputati, risultando inverosimile che il comportamento della ragazza non sia stato percepito come chiaro segno non solo di dissenso, ma anche di opposizione, tenendo conto del fatto che in due avevano bloccato la minore tenendola per i polsi mentre il terzo consumava il rapporto; - parimenti non fondata l'eccezione sollevata dalla difesa di (OMISSIS) secondo cui il contributo arrecato dallo stesso doveva considerarsi del tutto marginale. Difatti, posto che la presenza di un maggior numero di persone comporta anche una maggior forza intimidatoria nei confronti della vittima, la presenza del (OMISSIS) sul luogo del fatto, l'aver messo a disposizione la casa in cui il reato e' stato consumato e l'aver partecipato attivamente al compimento degli ulteriori atti sessuali posti in essere successivamente all'arrivo del (OMISSIS) (bloccando i polsi della vittima per consentire a quest'ultimo di consumare il rapporto) sono tutti elementi che consentono di ritenere integrata la fattispecie di reato contestata; - infine, sussistente l'aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1), in ragione dell'eta' inferiore agli anni quattordici della vittima, stante la possibilita' di ritenere con certezza la collocazione temporale dell'episodio contestato in data anteriore e prossima al 9 dicembre 2013 e non dopo il 4 gennaio 2014 (data in cui la minore ha compiuto i quattordici anni) in quanto nel periodo tra il 29 dicembre 2013 e il 3 febbraio 2014 la ragazza ha avuto una relazione sentimentale con (OMISSIS), per cui si ritiene inverosimile che nel gennaio 2014 la stessa possa aver avuto questo rapporto sessuale, dapprima consenziente e poi violento. 2.2.4. Capo di imputazione E), concernente il reato di violenza sessuale di gruppo di cui all'articolo 609-octies c.p., commi 1 e 2, ascritto a (OMISSIS) e (OMISSIS) e commesso in epoca in cui la persona offesa aveva compiuto gli anni quattordici (10 marzo 2014 in luogo del 14 febbraio 2014, data originariamente contestata). Anche con riferimento a tale reato, la Corte di appello, confermando la sentenza di primo grado, ha rigettato gli appelli proposti da entrambi gli imputati, ritenendo: - infondate le doglianze relative alla asserita sussistenza del consenso della minore, essendo indubbia la coartazione della sua volonta'. Costituisce, senz'altro, dato pacifico quello secondo cui la minore ha volontariamente accettato di incontrare lo (OMISSIS) (lei stessa aveva dichiarato di aver ricominciato a vederlo all'inizio del febbraio 2014, dopo la fine della relazione con (OMISSIS)) ma, ancora una volta, tale volonta' si inserisce in un contesto di soggezione psicologica della ragazza, soggezione determinata dal fatto che la minore continuava a subire l'ascendenza dello (OMISSIS) e mirava a riprendere con quest'ultimo una relazione sentimentale esclusiva. Tuttavia, se questa e' la "volonta'" della minore rispetto al rapporto con lo (OMISSIS), non puo' di certo estendersi al punto da determinare il suo consenso relativamente all'episodio contestato: la coartazione della volonta' della minore e', in sostanza, dovuta al subentro dell'imputato (OMISSIS) (originariamente escluso dalle condizioni in cui la volontarieta' si era manifestata) e al ricatto psicologico consistito nell'inganno dello (OMISSIS) e nelle frasi pronunciate dai due correi in quella circostanza ed emerse dal racconto minuzioso fornito dalla persona offesa (la quale aveva affermato che cio' che l'aveva portata a subire il rapporto sessuale era stata proprio la minaccia proveniente dallo (OMISSIS) il quale le aveva intimato che, qualora si fosse opposta, non solo avrebbe raccontato ai genitori dei suoi precedenti rapporti sessuali, ma avrebbe anche fatto del male a loro e alle persone a lei vicine, nominando esplicitamente " (OMISSIS) di (OMISSIS)", ossia (OMISSIS)); - attendibili le dichiarazioni della persona offesa, non solo in quanto dettagliate e prive di contradizioni, ma anche perche', come precisato dalla sentenza di primo grado, dotate di molteplici riscontri tra cui: alcuni post-it annotati dalla minore spontaneamente e nell'immediatezza dei fatti; l'analisi dei tabulati telefonici relativi alle celle di aggancio delle utenze in uso alla minore, allo (OMISSIS) e allo (OMISSIS); la testimonianza del padre della persona offesa, (OMISSIS), il quale aveva dichiarato che molto prima di venire a conoscenza dei fatti, la figlia gli aveva chiesto di accompagnarla a (OMISSIS) per poter parlare con un ragazzo (senza sapere, all'epoca, che tale ragazzo fosse (OMISSIS)) ed in effetti dalle dichiarazioni della minore e' emerso che la stessa, dopo il verificarsi dell'episodio contestato, nello stesso giorno, aveva chiesto al padre di accompagnarla con urgenza a (OMISSIS), con cio' dimostrando di aver pienamente subito la minaccia dello (OMISSIS) e di esserne rimasta intimorita al punto da sentire il bisogno di recarsi dallo (OMISSIS) per verificarne le condizioni; - infondata l'eccezione, sollevata dalla difesa (OMISSIS), relativa alla effettiva e storica verificazione dell'episodio contestato, posto che i dati acquisiti in primo grado dall'analisi incrociata dei tabulati telefonici hanno trovato conferma anche nelle dichiarazioni rese dal teste ing. (OMISSIS), CTP della difesa (OMISSIS); - prive di pregio le doglianze relative alla insussistenza, nel giorno in cui si e' verificato il fatto, di contatti telefonici tra lo (OMISSIS) e (OMISSIS), tenuto conto della dimostrata compresenza sul posto dei due imputati e della minore (stante l'analisi dei tabulati telefonici) e del fatto che, secondo il racconto di quest'ultima, i due si erano recati da lei insieme, sulla stessa auto, ben potendo, dunque, essersi accordati durante il tragitto; - infondata, infine, la doglianza della difesa dello (OMISSIS) volta a collocare i primi incontri con la minore solo nel settembre 2014. Difatti, gli episodi riportati nell'atto di appello non smentiscono affatto la genuinita' delle dichiarazioni della minore (la quale aveva ammesso che in alcune occasioni il rapporto era stato "consensuale", volendo con cio' intendere che in alcune occasioni aveva provato piacere pur essendone, in seguito, molto turbata), rendendo, invece, pienamente credibile che, tra i vari episodi, quelli in cui la minore ha dichiarato di essere stata costretta effettivamente siano stati violenti. 2.2.5. Capi di imputazione F) e H), relativi al reato di detenzione di materiale pornografico ex articolo 600-quater c.p., riqualificati dal Tribunale come unico reato con condotta dall'ottobre 2013 alla fine del 2014, il primo (capo F, dall'ottobre 2013 al febbraio 2014) contestato al solo (OMISSIS), il secondo (capo H, dal febbraio 2014 fino alla fine del 2014) contestato allo (OMISSIS) in concorso con (OMISSIS). La Corte di appello ha confermato la responsabilita' penale degli imputati anche in ordine a tale reato in quanto il materiale probatorio raccolto (le dichiarazioni rese dalla persona offesa nel corso dell'incidente probatorio e i documenti informatici acquisiti) e' risultato idoneo a dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, l'integrazione del reato in questione. In particolare, la Corte ha ritenuto: - infondato il motivo di censura, sollevato dalla difesa (OMISSIS), relativo alla erronea applicazione delle norme di diritto sostanziale ed alla trascuratezza di elementi probatori. Secondo costante giurisprudenza, la condotta punita dall'articolo 600-quater c.p. consiste, alternativamente, nel procurarsi o detenere materiale pornografico realizzato utilizzando minori di anni 18 e, trattandosi di un reato di mera condotta, ai fini del suo perfezionamento e' richiesta solamente la consapevolezza del procurarsi o del detenere materiale pornografico, senza la necessita' che vi sia anche pericolo di una sua diffusione. Ebbene, nel caso di specie, la condotta penalmente sanzionata risulta pienamente integrata essendo comprovato che gli imputati abbiano acquisito la disponibilita' fisica, per via telematica, del materiale pornografico; - infondate le censure relative alla asserita mancanza di offensivita' del fatto contestato in ragione della sussistenza del consenso della vittima. Ancora, secondo costante giurisprudenza, la fattispecie di cui all'articolo 600-quater c.p. deve essere letta alla luce dei protocolli opzionali alla Convenzione dei diritti del fanciullo, concernenti la vendita dei bambini, la prostituzione dei bambini e la pornografia rappresentante bambini ed il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati, stipulati a New York il 6 settembre 2000 e ratificati dall'Italia con L. 11 marzo 2002, n. 46, nonche' alla luce della decisione quadro del Consiglio Europeo n. 2004/68/GAI del 22 dicembre 2003, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile, la quale estende la protezione del minore sino al compimento del diciottesimo anno di eta'. Pertanto, in ragione del profilo di tutela rafforzata che, coerentemente con i richiamati dettami internazionali, il legislatore ha inteso accordare, con tale fattispecie incriminatrice, ai minori di anni 18, si deve ritenere che la condotta incriminata sia intrinsecamente, di per se', offensiva senza che, a tal fine, possa venire in rilievo alcun profilo attinente una presunta libera autodeterminazione del minore, dovendosi escludere in radice che, in tale fattispecie, quest'ultimo sia in grado di manifestare un consenso libero; - privo di rilevanza, infine, il motivo di gravame sollevato dalla difesa dello (OMISSIS) attinente alla collocazione temporale del fatto contestato in quanto, a detta dell'appellante, dallo sfondo del cellulare della minore (emerso dagli screenshot delle conversazioni in cui si allude al materiale pornografico) doveva ritenersi che la stessa avesse gia' compito i quattordici anni. Alla luce di quanto gia' ampiamente osservato, tale censura non coglie nel segno posto che la condotta contestata consiste nell'essersi procurati materiale pornografico mediante l'utilizzo di un minore di anni diciotto e non di un minore di anni quattordici (a nulla rilevando, dunque, che la minore potesse aver raggiunto questa eta'). 2.2.6. Capo di imputazione L), relativo al reato di violenza sessuale di gruppo di cui all'articolo 112 c.p., comma 1, n. 4), e articolo 609-octies c.p., commi 1 e 2, in relazione all'articolo 609-ter cpv. c.p., n. 5-sexies, ascritto a (OMISSIS) (in concorso con il minore (OMISSIS), a carico del quale si procede separatamente) e commesso in epoca in cui la minore aveva compiuto gli anni quattordici ((OMISSIS)). La Corte di appello ha confermato, reputandole pienamente condivisibili, le conclusioni cui e' giunto il Tribunale di Reggio Calabria in ordine al riconoscimento della responsabilita' penale dell'imputato anche per tale reato. La Corte ha, in particolare, ritenuto: - priva di pregio la censura volta negare il ruolo svolto dall'appellante nella vicenda in esame alla luce della asserita incertezza manifestata sul punto dalla persona offesa. La minore, infatti, ha mostrato incertezza solo in un primo momento, per poi proseguire nel racconto in modo lineare e dettagliato, riferendo della violenza subita anche dall'imputato; - pienamente attendibili le dichiarazioni della persona offesa relativamente alla violenza subita in quanto, come detto, coerenti e dense di particolari ed, inoltre, dotate di riscontri quali: la deposizione dell'amica dalla quale la minore si era recata dopo l'accaduto, la quale aveva confermato il dichiarato della persona offesa, sia con riferimento all'episodio in esame, sia con riferimento alle confidenze fatte dalla minore in quella stessa occasione in merito alle precedenti vicende di violenza sessuale subite; la deposizione della cugina della persona offesa, la quale aveva riferito di aver saputo da (OMISSIS) che in alcune occasioni (OMISSIS) l'aveva costretta ad avere rapporti sessuali con lui e con altri e di aver ricevuto dalla minore alcuni screenshot di conversazioni intercorse tra lei e (OMISSIS); gli stessi screenshot di tali conversazioni, dai quali si evince la volonta' della minore di avere un rapporto finalmente "normale" con un ragazzo, appunto (OMISSIS), credendolo diverso dagli altri e del quale si era evidentemente fidata per poi rimanerne delusa (come emerge anche dal fatto che, dopo tale episodio, la minore non ha piu' risposto ai messaggi di (OMISSIS)); l'ulteriore circostanza consistente nel fidanzamento dello (OMISSIS) tra la fine del 2014 e l'inizio del 2015 e la conseguente interruzione, da tale momento, dei contatti con la minore, circostanza questa che conferma la necessita' dello (OMISSIS) di "avvalersi" di un altro soggetto, diverso dallo (OMISSIS), appunto il minore (OMISSIS), per riprendere i rapporti con la persona offesa la quale, dopo l'episodio di cui al capo di imputazione E) aveva smesso di rispondere ai messaggi dello (OMISSIS); l'analisi dei tabulati telefonici dai quali risulta che dalle 11.12 alle 12.25 del (OMISSIS) le utenze della minore e dei due coimputati erano agganciate alla stessa cella telefonica; gli appunti presi dalla minore sul suo cellulare relativi all'episodio in esame; - infondata la doglianza relativa alla asserita mancata attribuzione, da parte del Tribunale, della giusta importanza ai tabulati telefonici alla luce del considerevole traffico rilevato sulle utenze dei coimputati e della minore nel giorno in cui si sarebbe verificato il fatto. Quel giorno tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e' stato rinvenuto un solo contatto telefonico (evidentemente finalizzato ad accordarsi), dunque nessun rilievo puo' essere attribuito ad ulteriori eventuali contatti telefonici che gli stessi hanno avuto con persone non coinvolte nella vicenda, risultando, piuttosto, perfettamente compatibili con la versione data dalla minore la quale ha riferito che i rapporti sono avvenuti a turno, percio' e' ben possibile che queste chiamate siano state effettuate da uno nel momento in cui il rapporto veniva consumato dall'altro e viceversa; - sussistenti le aggravanti di cui all'articolo 112 c.p., comma 1, n. 4 (per aver commesso il fatto avvalendosi di un minore, (OMISSIS), nella misura in cui se ne e' servito per arrivare a (OMISSIS) che fino a quel momento aveva interrotto i rapporti con (OMISSIS)) e 609 ter cpv. c.p., n. 5 sexies (per avere, i disturbi da stress ed i gesti autolesivi della minore, trovato origine proprio nella condotta dello (OMISSIS) come meglio si dira' in merito al capo di imputazione M). 2.2.7. Capo di imputazione M), concernente il reato di lesioni personali ex articolo 582 c.p., ascritto agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) per aver cagionato alla (OMISSIS), a seguito delle plurime condotte illecite di cui ai precedenti capi di imputazione, lesioni consistenti in uno stato ansioso e un disturbo post traumatico da stress con atti autolesivi. La Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado con cui il Tribunale - alla luce delle deposizioni di numerosi testimoni, tra cui le figure professionali che, a vario titolo, avevano seguito la minore (dalle cui deposizioni era emerso come quest'ultima, tramite atti di autolesionismo, scarsa autostima, apatia e peggioramento in ambito scolastico, manifestasse segni di un profondo stato di sofferenza ricollegato ad un trauma molto probabilmente relativo all'aver subito maltrattamenti o abusi) - ritenendo sussistente il nesso di causalita' tra gli abusi sessuali subiti e l'elemento soggettivo relativo al reato in questione, ha concluso per l'affermazione di responsabilita' di entrambi gli imputati. La Corte ha ritenuto: - infondata la doglianza relativa alla mancanza di prova in merito al rapporto di causalita' tra le condotte tenute dagli imputati e la condizione psicologica della minore. Ai sensi dell'articolo 41 c.p. "il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalita' fra l'azione od omissione e l'evento"; pertanto, l'impossibilita' di escludere con certezza la concomitanza di ulteriori fattori potenzialmente causali non impedisce di ritenere che gli abusi compiuti dagli imputati abbiano comunque concorso alla causazione dello stato di sofferenza della vittima. In altri termini, cio' che rileva e' che detti abusi abbiano innescato un meccanismo che, sia pur in concorso con altre cause, ha contribuito a causare il disturbo post traumatico della minore; tanto basta, in assenza di prove circa l'esistenza di fattori eccezionali o straordinari che abbiano interrotto il nesso di causalita', per ritenere che le lesioni abbiano trovato origine nelle condotte di abuso poste in essere dagli imputati; - sufficientemente dimostrata la sussistenza dell'elemento soggettivo cosi' come accertato dalla sentenza di primo grado; - infondata la censura riguardante la mancata manifestazione, da parte della minore, nell'immediatezza dei fatti, di alcuna sofferenza, dovendosi considerare sufficienti, a tal fine, i chiari segnali non solo di dissenso ma di opposizione che hanno caratterizzato gli episodi di violenza e tenendo in debito conto il fatto che le conseguenze psicologiche di un abuso possono manifestarsi anche a distanza di tempo; - priva di pregio la doglianza sollevata dalla difesa di (OMISSIS), secondo cui la condotta contestata avrebbe dovuto essere compresa nella circostanza aggravante prevista dall'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5, di cui al capo di imputazione L). Si osserva che tale aggravante riguarda il singolo reato cui si riferisce, mentre le lesioni contestate con il presente capo di imputazione riguardano il (e derivano dal) complesso delle vicende subite dalla minore. 2.2.8. Capi di imputazione N) e O), riguardanti, rispettivamente, il reato di violenza privata ex articolo 610 c.p., e il reato di lesioni personali ex articolo 582 c.p., ascritti agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) commessi ai danni di (OMISSIS). La Corte di appello, riformando la sentenza di primo grado, ha: - assolto entrambi gli imputati dal reato di cui al capo N) perche' il fatto non sussiste. Alla luce degli elementi raccolti, deve, infatti, escludersi che l'aggressione allo (OMISSIS) fosse finalizzata a "costringere lo stesso ad interrompere la relazione sentimentale" con la minore in quanto, alla data della contestazione di tale reato (anteriore e prossima al 9 marzo 2014), detta relazione era gia' stata interrotta; pertanto, non puo' ritenersi provato, oltre ogni ragionevole dubbio, che l'aggressione abbia costretto (OMISSIS) "a fare, tollerare od omettere qualche cosa" cosi' come e', invece, richiesto dalla norma incriminatrice di cui al reato contestato; - prosciolto entrambi gli imputati dal reato di cui al capo O) per difetto di querela della persona offesa. La procedibilita' d'ufficio del reato in questione era stata determinata dalla connessione con il reato di violenza privata di cui al precedente capo; pertanto, l'assoluzione degli imputati dal reato ascritto al capo N), determina il venir meno del suddetto collegamento e la conseguente declaratoria di non doversi procedere in ordine al reato di lesioni personali. 2.2.9. Capo di imputazione Q), riguardante il reato di favoreggiamento personale di cui all'articolo 378 c.p. ascritto a (OMISSIS) per aver aiutato gli altri imputati ad eludere le investigazioni rifiutandosi di rispondere alle domande postegli in sede di sommarie informazioni testimoniali. La Corte di appello ha confermato la statuizione del Tribunale in merito all'affermazione della responsabilita' dell'imputato, risultando evidente come l'atteggiamento reticente del (OMISSIS) abbia contribuito a favorire l'elusione delle indagini. In particolare, la Corte ha ritenuto: - priva di pregio la doglianza con la quale la difesa ha contestato l'interpretazione letterale delle dichiarazioni dell'imputato fatta dal Tribunale, posto che nessun'altra interpretazione, se non proprio quella letterale, poteva essere effettuata in quanto le parole utilizzate dal (OMISSIS) non avevano alcun significato recondito; - parimenti infondata la censura volta a "chiarire" l'intento dell'imputato il quale, a detta della difesa, lungi dal voler eludere le indagini - avendo iniziato soltanto da poco la relazione con la minore e non avendo, per questo, dato credito a quanto dalla stessa raccontato - ha preferito non rispondere per timore di riferire fatti non veritieri. Invero, il (OMISSIS) non ha fatto alcun cenno a questa circostanza in sede di s.i.t.; piuttosto, proprio dall'unica risposta che in quella circostanza egli ha fornito, "di questa storia non ne voglio sapere assolutamente niente perche' non riguarda la mia persona", emerge chiaramente l'intenzione di non essere coinvolto nella vicenda e di non voler fornire alcun contributo alle indagini; - priva di rilevanza, infine, l'affermazione di non aver ricevuto alcuna confidenza dagli altri imputati, posto che, per sua stessa ammissione, i fatti gli erano stati riferiti dalla persona offesa; pertanto, avrebbe quanto meno dovuto riportare quest'ultima circostanza. 2.3. Per quel che riguarda il trattamento sanzionatorio, come detto, la Corte di appello ha riformato la sentenza di primo grado nei confronti di (OMISSIS) (rideterminando la pena nella misura di anni sei di reclusione in ragione della comportamento dallo stesso tenuto a seguito del compimento della violenza sessuale - l'essersi preoccupato delle condizioni della minore - con cio' mostrando una non totale insensibilita'), (OMISSIS) (rideterminando la pena nella misura di anni nove e giorni otto di reclusione essendo stato assolto dal reato di cui al capo N) e prosciolto dal reato di cui al capo O)) e (OMISSIS) (rideterminando la pena in anni sei e mesi sei di reclusione stante l'assolvimento dal reato di cui al capo N) e il proscioglimento di cui al capo O)). Per quel che attiene le richieste di applicazione delle circostanze attenuanti generiche o, per coloro ai quali erano gia' state riconosciute in primo grado, le richieste di riconoscimento della loro prevalenza rispetto alle aggravanti contestate, la Corte, nel rigettare le varie doglianze, ha rilevato: - l'incontestabile gravita' dei fatti commessi e l'insussistenza, a fondamento della richiesta di mitigazione del trattamento sanzionatorio, di un'indicazione circa gli elementi positivi da valorizzare ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche (appelli (OMISSIS) e (OMISSIS)); - la natura irrisoria degli elementi indicati a fronte della gravita' dei fatti contestati (appello (OMISSIS)); - la congruita' della pena cosi' come applicata dal Tribunale (appello (OMISSIS) e (OMISSIS)). 2.4. Infine, in merito alle statuizioni civili, la Corte di appello ha ritenuto che la sentenza di primo grado fosse pienamente meritevole di conferma in quanto: - certamente ammissibili le costituzioni delle parti civili, sia in ragione del fatto che la costituzione di parte civile non puo' piu' essere contestata una volta ammessa in primo grado, sia in ragione della sussistenza della "legitimatio ad causam" delle parti civili stesse; - provata, al di la' di ogni ragionevole dubbio, l'incidenza causale delle condotte contestate (e non solo di quella di cui al capo di imputazione M)) rispetto al danno prodotto alla minore, peraltro consistito non solo nel grave stato di sofferenza di cui si e' gia' detto, ma anche nel grave disagio certamente patito a causa del trasferimento, a seguito di tali vicende, dalla cittadina ove la minore aveva sempre vissuto; - pienamente provato il danno riconosciuto ai familiari della minore, anche in ragione della difficile situazione familiare e ambientale venutasi a creare; - condivisibile la condanna in solido al risarcimento dei danni, in quanto la solidarieta' passiva deve ritenersi sussistente anche quando le azioni ed omissioni dei vari colpevoli sono tra loro indipendenti perche' tutte hanno concorso a causare il medesimo evento; - sussistente la legittimazione alla costituzione di parte civile del Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza in quanto la lesione del suo interesse statutario (tutela dell'infanzia) costituisce un danno diretto ed immediato cagionato dai fatti contestati; - sussistente la legittimazione alla costituzione di parte civile del Comune di Melito Porto Salvo e della Regione Calabria avendo, senza dubbio, tali enti subito un rilevante danno all'immagine stante la rilevanza mediatica che l'intera vicenda ha avuto. 3. Per l'annullamento della sentenza hanno proposto distinti ricorsi tutti gli imputati. 4. (OMISSIS) ha presentato due ricorsi, uno a firma dell'Avv. (OMISSIS), l'altro a firma dell'Avv. (OMISSIS). Ricorso Avv. (OMISSIS); 4.1. Con il primo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione nella valutazione dei risultati della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale circa il giudizio di responsabilita' per i fatti-reato contestati ai capi A, B, D, E e, di riflesso, ai capi M, F ed H. Oggetto di censura e' il malgoverno logico, sul piano della valutazione della prova, della consulenza tecnica dell'Ing. (OMISSIS), relativa alla ricostruzione dei movimenti dell'utenza telefonica in uso al ricorrente nel periodo che va dal 15/07/2013 al 23/12/2014, acquisita in sede di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale insieme con l'esame del consulente stesso. All'argomento la Corte di appello - afferma - dedica le pagine da 46 a 53 della sentenza sminuendone ogni significato probatorio con motivazione palesemente illogica e contraddittoria caratterizzata da argomentazioni viziate per inconciliabilita' tra le affermazioni in essa contenute e incompatibili con i dati forniti dal consulente. Sei delle pagine suindicate riproducono uno stralcio della sentenza di primo grado nella parte riassuntiva della testimonianza del M.llo (OMISSIS), una pagina costituisce la mera trascrizione letterale della pagina 36 della testimonianza del consulente resa all'udienza del 21/07/2020, le altre sono prive di considerazioni logiche. Non si trattava di confutare le risultanze degli accertamenti sui movimenti dell'imputato nel periodo in considerazione, svolti dalla PG in base alle celle telefoniche agganciate dall'imputato, quanto di introdurre un dato infinitamente piu' accurato derivante dal sistema di geolocalizzazione "Google". La Corte di appello avrebbe dovuto prendere in considerazione la testimonianza dell'UPG nella parte in cui introduceva un dato, l'ampio raggio di copertura delle celle telefoniche, talvolta anche di chilometri, tale da rendere privo di certezza il luogo nel quale si trovava esattamente il ricorrente al momento dei fatti. Il CT, invece, aveva ben spiegato che la geolocalizzazione del dispositivo consente di accertare l'esatto punto nel quale si trova il suo utilizzatore nel momento dato. Di tanto da' atto la stessa sentenza impugnata a pag. 47 che riporta pero' solo uno stralcio delle dichiarazioni del consulente, omettendo di riportare anche quanto da lui riferito in ordine al grado di precisione del rilevamento "Google" (circa 10 metri) e al modo con cui Google gestisce, in modo automatico, le informazioni sulla posizione del dispositivo seguendo, in ordine decrescente, l'ordine del miglior segnale (GPS, reti WiFi, celle telefoniche). Peraltro, la geolocalizzazione GPS opera sempre, per il sol fatto che l'utenza e' attiva, mentre la posizione rilevabile dalle celle telefoniche dipende dall'utilizzo effettivo dell'utenza (chiamata, ricezione/invio di messaggi). Aver pensato che i dati delle celle telefoniche e quelli di GPS e Wi-Fi fossero indifferenti ai fini dell'esatta localizzazione del telefono in uso al ricorrente, mostra quanto sia stato superficiale ed inadeguato il ragionamento della Corte d'appello. Affermare che ha lo stesso valore probatorio il dato della presenza del ricorrente in un punto qualsiasi dell'abitato di (OMISSIS) (coperto con un'unica cella dall'antenna in localita' (OMISSIS)), rispetto al dato della piu' precisa collocazione dello stesso in un raggio di dieci metri dalla sua abitazione o in un altro specifico indirizzo, e' assurdo ed illogico. Con riferimento al capo A della rubrica, non si rinviene alcun cenno, alcuna considerazione, alcun apprezzamento o valutazione dei risultati dell'accertamento tecnico svolto dall'ing. (OMISSIS). La Corte di appello insiste nel collocare il fatto quando la ragazza era infraquattordicenne, quindi nell'anno 2013, tra il mese di ottobre e quello di novembre, piu' precisamente, secondo quanto aveva affermato il Tribunale, una notte intera tra il sabato e la domenica. Nei motivi nuovi di appello era stato dedotto che, in base alle risultanze della consulenza tecnica di parte, il ricorrente non si era mai posizionato in via (OMISSIS) per una notte intera fra l'ottobre-novembre del 2013. In particolare, dai nuovi e piu' accurati dati di geolocalizzazione, e' stato accertato che l'utenza del ricorrente non si e' mai trattenuta, negli ultimi cinque mesi dell'anno 2013, per una intera notte presso un immobile sito in via (OMISSIS). Il dato probatorio e' dotato di autonoma forza dimostrativa ed e' palesemente incompatibile sia con la ricostruzione adottata dal Tribunale che dalla Corte di appello cosi' da inficiare radicalmente sotto il profilo logico entrambe le motivazioni. A non diverse valutazioni si espone la motivazione della sentenza impugnata in relazione al capo B della rubrica. Manca, anche qui, un qualsiasi cenno, considerazione, apprezzamento o valutazione dei risultati dell'accertamento tecnico svolto dall'Ing. (OMISSIS) dal quale risulta che il ricorrente, tra i mesi di novembre e dicembre 2013, non aveva mai stazionato presso il cimitero vecchio per un tempo apprezzabile e comunque sufficiente a commettere il reato ipotizzato. Non solo la Corte non si cura di rivalutare questi dettagli ma arriva persino a scrivere che non e' stata offerta alcuna concreta allegazione contraria alla ricostruzione dei movimenti operata dalla persona offesa laddove il CT aveva dimostrato che l'utenza dello (OMISSIS) si trovava nel centro del paese, ben lontano dalla strada panoramica verso il (OMISSIS). Analoghe considerazioni valgono per il fatto di cui al capo D che, secondo i giudici di merito, era stato commesso in localita' (OMISSIS) tra le ore 13,30 e le ore 17,30 di un giorno anteriore e prossimo al 09/12/2013 e comunque prima del 04/01/2014. Con i motivi di appello era stato dedotto che l'utenza dello (OMISSIS) non aveva mai interessato la localita' (OMISSIS) nelle ore pomeridiane dell'intero periodo in analisi. Nel periodo settembre 2013-gennaio 2014 l'unica permanenza del ricorrente in quella localita' e' stata segnalata il giorno 11 novembre 2013, in cui, peraltro, dalle ore 15,31 fino alle ore 17,29 l'utenza era rimasta agganciata alla rete Wi-Fi della propria residenza. Di certo egli non era mai stato in quella localita' nel mese di dicembre. Il dato e' particolarmente rilevante se si evidenzia, aggiunge il ricorrente, che secondo i giudici di merito egli nella circostanza in questione aveva certamente utilizzato il proprio telefono per chiamare il (OMISSIS). Con riferimento al reato di cui al capo E, la Corte di appello sembra interessarsi ai risultati dell'analisi tecnica della geolocalizzazione ma, nel tentativo di motivarne l'irrilevanza, cade in macroscopiche contraddizioni, travisamenti e manifeste illogicita'. Secondo il Tribunale il fatto andava collocato in (OMISSIS), nella strada vicino al (OMISSIS), il giorno 10/03/2014. In sede di appello il ricorrente aveva dedotto che in base agli accertamenti tecnici svolti dall'Ing. (OMISSIS), egli non era mai stato quel giorno presso il (OMISSIS). Il CT, esaminato in udienza, aveva affermato chiaramente che l'utenza del ricorrente, dalle ore 16,23 alle ore 19,27, era agganciata al WiFi della propria abitazione, in prossimita' di Via nazionale, 88, ed era stato da lui utilizzato (a dimostrazione del fatto che non l'aveva dimenticato a casa). Sottolinea che la localizzazione dell'utenza quel 10/03/2014 non era il frutto di un accertamento a campione (come sostiene la Corte di appello, che cosi' svilisce il dato) ma di una verifica mirata, ne' il fatto che l'esito di tale verifica fosse stato riferito per la prima volta in udienza, nel contraddittorio tra le parti, e non riportato nell'elaborato scritto toglie validita' al dato probatorio in tal modo inserito. Se la P.G. (a mezzo tabulati) accerta che i cellulari dei tre ragazzi erano agganciati all'antenna di (OMISSIS) e quindi si trovavano tutti all'interno della relativa e vasta cella di copertura (che copre tutto (OMISSIS)), il CT accerta che all'interno di quell'area ampia (indicata dai tabulati) il cellulare dello (OMISSIS) era esattamente localizzato in via (OMISSIS), in una sala giochi, lontano dal (OMISSIS). Incomprensibile, afferma, e' la critica secondo cui i risultati dell'analisi tecnica avrebbero scarsa precisione poiche' il consulente ha effettuato l'analisi "esclusivamente su una delle utenze telefoniche interessate"; si tratta di un'affermazione assurda che ben tratteggia la superficialita' della motivazione e quindi della decisione. L'imputato ha fornito una prova d'alibi: si trovava in altro luogo nel momento in cui la Corte di appello da' per commesso il reato. Peraltro, dai tabulati del 10/03/2014 dell'utenza in uso allo (OMISSIS), risulta che con la persona offesa vi era stato un fitto scambio di SMS (ben 32) tra le ore 18,02 e le ore 18,21, nonche' una conversazione a voce dalle ore 18,23 alle ore 18,26. L'omessa valutazione delle informazioni rinvenienti dalla CT (OMISSIS), conclude, vizia la motivazione in relazione sia ai singoli capi d'imputazione, sia in relazione al generale giudizio sull'attendibilita' delle dichiarazioni della persona offesa (e delle note e appunti dalla stessa redatti) ancora e nuovamente contraddette da dati oggettivi acquisiti al processo, motivazione che si pone anche in contraddizione con i dati probatori specifici assunti in rinnovazione istruttoria, perfino materialmente riportati in sentenza, e comunque in contraddizione con i dati risultanti chiaramente dalle dichiarazioni rese dal consulente in aula e riassunte nella relazione tecnica. 4.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), la nullita' dell'incidente probatorio relativo alla assunzione della testimonianza della persona offesa, l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese in quel contesto, la nullita' delle ordinanze che hanno respinto la questione in conseguenza dell'inosservanza e dell'erronea applicazione dell'articolo 33 c.p.p., in relazione all'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera a) e articolo 179 c.p.p., nonche' degli articoli 24, 25 e 111 Cost., articoli 6 e 7 Convenzione EDU. Ricorda che l'audizione protetta della persona offesa era stata assunta in sede di incidente probatorio alla presenza del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale Ordinario di Reggio Calabria e del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria che hanno condotto congiuntamente e direttamente l'esame della minore. La nullita' dell'incidente probatorio era stata dedotta all'udienza dibattimentale del 20/12/2018 ed in conseguenza del suo rigetto riproposta in sede di impugnazione della sentenza di primo grado. Sia il Tribunale che la Corte di appello hanno disatteso le doglianze difensive sul rilievo che non sono state violate le norme sulla composizione dei collegi, non avendo i due GIP tenuto le udienze dell'incidente probatorio costituiti in collegio, ma semplicemente avendo tenuto udienza ed esercitato l'attivita' giurisdizionale "in corrispondenza temporale". In realta', obietta, in relazione alla propria posizione, nessun potere giurisdizionale poteva essere riconosciuto al GIP del Tribunale per i Minorenni, il quale, benche' non fosse il suo giudice naturale, aveva proceduto all'esame della persona offesa, elaborando e sottoponendo le proprie domande nel corso di tutte le udienze in cui si e' articolato l'atto istruttorio. Non si tratta del fatto che i due giudici abbiano tenuto udienza in contemporanea e nello stesso luogo, ma che il GIP del Tribunale per i Minorenni ha effettuato domane le cui risposte sono state poi trasfuse nel verbale di udienza del tribunale ordinario, registrate e trascritte e successivamente utilizzate nel corso dello stesso incidente probatorio, nel corso del processo, e, in ultima analisi, nel giudizio e nella decisione del Tribunale e della Corte di Appello in relazione all'imputato maggiorenne (OMISSIS). I due GIP non si sono limitati ad agire "in corrispondenza temporale", ma hanno interloquito ed esaminato come farebbe un qualunque collegio di tribunale, a nulla rilevando l'esistenza di un protocollo tra Uffici Giudiziari, il quale, mero strumento di prassi, non deroga ne' puo' derogare a norme di legge, e del quale e' stata probabilmente data una applicazione pratica scorretta. 4.3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e), l'inosservanza e l'erronea applicazione degli articoli 499 e 191 c.p.p., e il vizio di mancanza e manifesta illogicita' della motivazione in ordine al giudizio di attendibilita' della testimonianza della persona offesa. Con l'atto di appello - afferma - la difesa aveva evidenziato l'inattendibilita' delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in incidente probatorio, in quanto sollecitate con domande suggestive e nocive, in violazione delle regole del codice di rito per assicurare la sincerita' e genuinita' delle risposte (articoli 499 e 191 c.p.p.), tali da rendere la prova non genuina e poco attendibile. Inoltre, aveva formalmente eccepito la nullita' di tutte le domande suggestive rivolte a (OMISSIS) e la inutilizzabilita' conseguente di tutte le risposte date dalla minore a tali domande suggestive. La Corte di appello non ha colto il senso della deduzione, essendosi limitata ad affermare che il giudice di prime cure aveva tenuto conto di tali domande suggestive, indicandole espressamente e valutando caso per caso se le dichiarazioni rese a seguito di tali domande fossero assistite da riscontri. Anche per questo - afferma la Corte di appello - il Tribunale aveva utilizzato il criterio della credibilita' frazionata, ritenendo, appunto, la minore credibile solamente quando il suo narrato era stato riscontrato. La Corte territoriale - lamenta - non ha colto la questione giuridica sottesa alla doglianza e ha finito per recepire quanto espresso in primo grado, senza fornire puntuale risposta alle censure avanzate e la nuova valutazione di merito richiesta con il gravame. Il Tribunale aveva espressamente riconosciuto che nell'esame della persona offesa si riscontra una abnorme presenza di domande suggestive e la loro accertata influenza sulle dichiarazioni della stessa e, tuttavia, ne' il primo Giudice, ne' quello dell'impugnazione hanno tratto le necessarie conseguenze da questa constatazione: la completa assoluta compromissione della credibilita' della dichiarante. L'intero esame e' caratterizzato da suggestione e suggerimenti, domande nocive, domande canalizzanti, domande-affermazioni inducenti ad una correzione del narrato, domande piu' volte reiterate "per chiarimento"; e' caratterizzato da un utilizzo delle precedenti dichiarazioni rese al p.m. del tutto improprio, fuori da ogni schema di semplice "contestazione" e nell'ottica di una evidente prospettiva verificazionista, tramite domande e commenti connotati da un alto tasso di implicativita', in evidente violazione delle raccomandazioni della Carta di Noto e delle Linee Guida Nazionali per "L'ascolto del minore testimone" redatte dalla Consensus Conference del 2010. La conduzione diretta dell'esame del minore da parte del giudice rende assoluto il divieto di porre domande suggestive. Il consulente tecnico della difesa, Prof. (OMISSIS), ha rintracciato nell'esame dell'incidente probatorio almeno 361 domande suggestive (in tutte le articolazioni possibili: direttamente suggestive, ripetute, a risposta forzata, verificazioniste, a cui risponde il giudice stesso, in cui viene chiaramente suggerita la risposta). La Corte di Appello, richiesta esplicitamente con il gravame, avrebbe dovuto offrire una nuova ed esauriente valutazione della testimonianza e dell'attendibilita' della prova, il cui risultato si mostra inficiato a causa delle modalita' di assunzione, poiche' il metodo con cui il soggetto viene interrogato non e' neutrale rispetto alla sua attendibilita'. La risposta fornita, invece, e' contraddittoria: pur ritenendo l'irritualita' dell'esame, ritengono la testimonianza (il cui risultato era inaffidabile per il metodo con il quale era stato condotto l'esame) idonea ad essere posta a fondamento di una declaratoria di responsabilita', seppure solo per alcuni dei capi d'imputazione. Ne' la Corte prende in considerazione quanto evidenziato nell'atto di appello riguardante il grado di "suggestionabilita'" della persona offesa, risultante dagli approfondimenti psico-attitudinali condotti secondo il test di Gudjonsson, che tutti i consulenti descrivono come uno dei migliori per misurare la resistenza alla suggestione dell'esaminando. Da tale test e' emersa (lo riconosce il Tribunale) una cedevolezza alla suggestione pari al 20% delle domande (20 ogni cento). Era stato altresi' dedotto che la vittima, oltre alla "cedevolezza" involontaria (misurata dal test), manifesta una concreta propensione (o abilita') a cogliere le informazioni utili portate dalle domande suggestive per variare il proprio narrato, adeguandolo a quelle che sono le sopravvenienze e l'aspettativa dell'interrogante. L'espediente dei riscontri, utilizzato dai Giudici di merito, e' fallace: i riscontri esterni servono a corroborare dichiarazioni gia' caratterizzate dalla credibilita' soggettiva del dichiarante e dall'attendibilita' intrinseca del suo racconto, mai a puntellare una dichiarazione viziata perche' frutto di domande che tendono a suggerire la risposta al teste, ovvero forniscono le informazioni necessarie per rispondere secondo quanto desiderato dall'esaminatore. 4.4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e), la nullita' dell'atto di assunzione delle informazioni testimoniali rese dalla persona offesa in sede di audizione protetta l'11/11/2015, l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese in detta sede, la nullita' della sentenza per violazione delle norme processuali disciplinanti le modalita', il regime, il valore probatorio delle contestazioni all'esame testimoniale e delle sommarie informazioni testimoniali rese in fase di indagini preliminari, in conseguenza dell'inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 362 c.p.p., comma 1, e articolo 198 c.p.p., comma 1. Deduce, altresi', la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione. Premette che l'11/11/2015 la persona offesa era stata esaminata in audizione protetta per l'assunzione di informazioni sui fatti per cui e' processo. Tali dichiarazioni sono state largamente utilizzate dai due G.i.p. in sede di incidente probatorio, non tanto e non solo per formali "contestazioni" ai sensi dell'articolo 500 c.p.p., commi 1 e 2, quanto, piuttosto, quale canovaccio dell'esame e mezzo per la formulazione delle domande suggestive e nocive che hanno caratterizzato integralmente l'incidente probatorio. L'audizione protetta, pero', non era stata preceduta dall'avviso alla testimone dell'obbligo di riferire secondo verita' quanto era a sua conoscenza, nonche' delle finalita' dell'audizione e della veste giuridica dell'esaminatrice, Dott.ssa (OMISSIS), esperto richiesto dell'assistenza ai sensi dell'articolo 351 c.p.p., comma 1-ter. Investita di specifico gravame, la Corte di appello ha disatteso l'eccezione difensiva con motivazione oscura, disordinata e contorta nella quale si mescolano affermazioni relative alla capacita' a testimoniare (inconferenti al tema proposto), a conclusioni giuridiche fuori da ogni logica e dal nostro sistema codicistico. La Corte territoriale semplicemente ignora l'esistenza del reato previsto dall'articolo 371-bis c.p., nonche' dei reati previsti agli articoli 368 e 378 c.p., cosi' come gli incombenti e le garanzie imposti dall'articolo 362 c.p.p. e articolo 198, comma 1, in esso richiamato. La Corte di appello sembra peraltro confondere gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria ai sensi dell'articolo 351 c.p.p. con quelli espletati ai sensi dell'articolo 362 c.p.p.. Delle due l'una: o si tratta di affermazioni rese alla Dott.ssa (OMISSIS) (ed in tal caso sono inutilizzabili come fonte di prova per la ricostruzione del fatto), o si tratta di dichiarazioni rese da persona informata dei fatti, inutilizzabili per il mancato avviso dell'obbligo di dire la verita'. La questione posta dalla difesa non riguardava un vuoto formalismo, ma la necessita' che la persona interrogata (futura testimone), fosse informata sulla natura dell'atto e sugli obblighi che incombevano sulla stessa, ben avendo presente che trattavasi di una quindicenne. Come riferito dagli operanti, la persona offesa e la madre furono prelevate, senza preavviso, dalla loro abitazione dai Carabinieri ed accompagnate presso il Tribunale di Palmi, ove (OMISSIS) venne condotta nell'aula delle audizioni protette e li' esaminata dalla Dott.ssa (OMISSIS). Ebbene, sia la madre che la ragazza hanno riferito che non compresero il motivo dell'audizione ed anzi pensarono e continuarono a pensare che la Dott.ssa (OMISSIS) agisse per conto del Tribunale per i Minorenni, per valutare un possibile allontanamento di (OMISSIS) dai genitori. Alla ragazza fu semplicemente detto che era "importante" (concetto ben diverso da quello di "obbligatorio per-legge") che dicesse la verita', senza alcun riferimento alle conseguenze derivanti da false dichiarazioni. In ogni caso, l'equivoco sulle finalita' dell'audizione protetta ragionevolmente indusse la minore a calibrare le risposte alle domande, spingendola a narrare una versione dei fatti "salvifica" e tale da non farla passare per una ragazza eccessivamente libera e quindi negletta dai genitori (ed in effetti, in seguito, il Tribunale per i Minorenni ritenne di intervenire sull'esercizio della capacita' genitoriale: il timore della minore non era affatto peregrino). 4.5. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e), l'inosservanza e l'erronea applicazione degli articoli 188 e 191 c.p.p., nonche' la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione circa il giudizio sull'alterazione della capacita' testimoniale della persona offesa per sottoposizione a terapia E.M.D.R. e circa il giudizio di attendibilita' della testimonianza. Premette che con l'appello era stata dedotta l'inattendibilita' delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in incidente probatorio (in quanto raccolte dopo che la ragazza era stata sottoposta a terapia EMDR, tecnica idonea ad alterare la capacita' di ricordare e di valutare i fatti) e la loro inutilizzabilita' in quanto assunte in violazione dell'articolo 188 c.p.p. che vieta appunto tali tecniche. Era stato accertato che - dopo la "rivelazione" di quanto subito da (OMISSIS) - la madre decise di far visitare la minore dalla sua psicoterapeuta - la Dott.ssa (OMISSIS), semplice psicologa - la quale l'aveva sottoposta a terapia "EMDR" dalla primavera fino all'agosto del 2015, quindi prima dell'audizione protetta innanzi al Pubblico Ministero, e prima dell'esame in incidente probatorio. La motivazione della sentenza e', sul punto, del tutto carente e priva di completezza in relazione alle specifiche doglianze e rilievi formulati nel gravame, illogica nello sviluppo argomentativo, contraddittoria rispetto a specifiche risultanze istruttorie. In particolare, la Corte di appello non valuta in alcun modo le critiche dirette alle conclusioni sul tema della Dott.ssa (OMISSIS) (ed alla sentenza di primo grado che queste conclusioni recepiva), critiche semplicemente ignorate, e travisa quanto riferito sugli effetti della terapia EMDR dalla Dott.ssa (OMISSIS). La difesa aveva richiamato l'attenzione sul fatto, concordemente riferito dagli esperti sentiti in giudizio e dallo stesso Tribunale, che dopo l'EMDR i ricordi disturbanti legati all'evento traumatico hanno una desensibilizzazione e perdono la loro carica emotiva, con "la perdita della carica emozionale associata all'evento ricordato" (cosi' il Tribunale, pag. 194-195 della sentenza). Si chiedeva al giudice del gravame di rivalutare il giudizio, tenendo in considerazione che "il presente processo comporta il giudizio su atti sessuali e sulla volontarieta' di questi atti; e tanta parte del giudizio si basa sulla descrizione che di questa "volonta'" offre la persona offesa: anche a voler mettere da parte il dato della modificazione del ricordo nei suoi aspetti descrittivo-fattuali, gia' il fatto incontroverso che l'EMDR porti ad una riscrittura e modificazione dell'emozione associata al ricordo deve mettere in serio allarme il Giudice. Ricordando l'atto sessuale, in mancanza di una eclatante violenza "corpore corpori", che cosa, se non l'emozione del momento, differenzia il ricordo di atto voluto e agito dal ricordo di atto al quale ci si sentiva costretti- Se l'emozione legata ad un semplice "mi teneva la mano" o "aveva uno sguardo (spaventoso)" e' stata modificata dalla terapia, cosa puo' garantire che quanto riferito mesi o anni dopo (l'incidente probatorio e' del 2017) non sia frutto di una rilettura negativa dell'evento- Il "sentire" nel momento del fatto e' uno dei punti essenziali di questo processo. Quel "sentire" e' stato irrimediabilmente falsato." (pg. 26 appello). Che qualcosa fosse cambiato, del resto, lo ammette la stessa (OMISSIS) ("ho cambiato anche modo di pensare riguardo ad alcune cose, mi sono resa conto di altre cose, che allora non capivo, non percepivo allo stesso modo di ora (...) certe cose non me le spiego nemmeno ora di quello che facevo o di quello che potevo pensare"). La Corte di Appello non si cura minimamente della questione: in cio' manca la motivazione. La critica delle conclusioni sull'effetto della terapia EMDR andava ben oltre, e non e' stata correttamente affrontata dalla Corte di Appello, che ha violato le indicazioni interpretative di questa Corte di cassazione sul tema dell'escussione di minori e soggetti fragili ed, in particolare, sulla necessita' che l'escussione venga effettuata il piu' presto possibile, vicino ai fatti o alla loro emersione per cristallizzare la prova prima di una eventuale psicoterapia sulla vittima che non e' neutrale, mettendo in guardia dall'inevitabile incidenza del tempo e della terapia, secondo quanto prevedono le Linee Guida Nazionali per "l'ascolto del minore testimone" e la Carta di Noto. Se, per consolidato orientamento scientifico e giurisprudenziale, la sottoposizione a psicoterapia (quale che sia) puo' gia' di per se' influenzare la resa testimoniale, gli effetti della specifica terapia EMDR non sono stati soppesati in sede di merito. La Corte di appello, anzi, travisa le dichiarazioni rese della Dott.ssa (OMISSIS) e della Dott.ssa (OMISSIS) che non concordano affatto sugli effetti della terapia alla quale - ricorda il ricorrente - la ragazza fu sottoposta prima che rendesse le dichiarazioni testimoniali e due anni prima dell'incidente probatorio. Nell'atto di appello, la difesa aveva trascritto ed invitato la Corte di Appello a valutare, sul punto, le conclusioni tecniche del CT, (OMISSIS), in ordine all'attitudine della terapia a produrre falsi ricordi mediante la metodica dell'immagine mentale, come peraltro riconosciuto anche da una recente e specifica ricerca scientifica sull'argomento. La valutazione offerta dalla Corte di appello in risposta a questo specifico argomento e', deduce il ricorrente, praticamente inesistente, affidata ad un laconico "nulla di rilevante". La Corte di appello sembra piuttosto stigmatizzare il fatto che la difesa abbia messo in discussione la professionalita' del perito, Dott.ssa (OMISSIS) in quanto non accreditata nel mondo "scientifico-accademico non risultando al suo attivo pubblicazioni in materia" (pg. 38 sentenza C.App.). La questione non era tuttavia ininfluente, essendo principio giurisprudenziale indiscusso che nella scelta della teoria scientifica di copertura, tra quelle prospettate dagli esperti, il giudice non puo' che fare riferimento agli studi che sorreggono la tesi prescelta, alle basi fattuali sui quali essi sono condotti, all'ampiezza, rigore e oggettivita' della ricerca, all'attitudine esplicativa dell'elaborazione teorica, al grado di consenso che la tesi raccoglie nell'ambito scientifico, all'autorita' indiscussa e all'indipendenza del soggetto che ha gestito la ricerca. Nell'atto di appello non si voleva rimarcare solo l'inesperienza della Dott.ssa (OMISSIS), priva di inserimento nel mondo accademico, priva di specifica esperienza nel campo della ricerca sulle materie in trattazione, psicologa alla quale non e' riferibile alcuna pubblicazione di un qualche rilievo scientifico, ma il fatto che aveva macroscopicamente errato nella semplice valutazione di almeno due dei cinque test ai quali aveva sottoposto la testimone (il test "Minnesota" e il test di Gudjonsson). Nel corso della deposizione, il perito aveva piu' volte fatto riferimento a letteratura e teorie sfornite di ogni validazione scientifica ed ampiamente screditate sia dalla gran parte del mondo accademico, sia dalla concreta prassi della migliore giurisprudenza italiana. Non si prospettava alla Corte di Appello una gara di titoli, le si chiedeva di rivalutare e motivare la scelta delle conclusioni tecniche da porre a fondamento del giudizio alla luce dell'affidabilita' professionale degli esperti, della perizia nella valutazione dei dati (come gia' detto la Dott.ssa (OMISSIS) aveva pacificamente errato nel definire i risultati di due test su cinque), del fatto che solo quest'ultima ha ritenuto la terapia EMDR ininfluente sul ricordo. La circostanza che il prof. (OMISSIS) sia ricercatore e scienziato di indubbia competenza e fama (Professore Ordinario di Neuroscienze Forensi e di Neuropsicologia Forense dell'Universita' di Padova, Direttore del Master in Psicopatologia e Neuropsicologia Forense dell'Universita' di Padova, Direttore della Scuola di Specializzazione in Neuropsicologia dell'Universita' di Padova, autore di centinaia di pubblicazioni ed articoli scientifici nelle materie di competenza, pubblicati sulle migliori e piu' accreditate riviste scientifiche), non e' dettaglio che il giudice del merito poteva semplicemente ignorare. Si era chiesto alla Corte di appello di valutare anche la professionalita' della psicologa (non psichiatra, sottolinea il ricorrente) che aveva praticato la terapia EMDR dopo aver diagnosticato un disturbo post traumatico da stress senza aver prima somministrato alcun test psicodinamico e incurante delle devastanti conseguenze che la terapia avrebbe avuto sulla genuinita' della futura testimonianza. Peraltro, e' la stessa psicologa, sentita in dibattimento, ad ammettere di aver suggerito alla persona offesa - e quindi instillato in lei il falso ricordo - l'idea che la medesima fosse stata vittima di abuso e che i suoi rapporti fossero non-consensuali sul rilievo (errato) che a dodici/tredici anni una ragazzina non possa mai esprimere un valido consenso (tesi sconfessata dal Tribunale che ha assolto gli imputati da alcune delle imputazioni loro ascritte). 4.6. Con il sesto motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e), l'erronea applicazione dell'articolo 196 c.p.p., e la mancanza di motivazione in ordine al giudizio sulla capacita' a testimoniare della persona offesa. Afferma che con specifico motivo di appello erano stati evidenziati gli errori del Tribunale nella valutazione della capacita' di testimoniare della persona offesa chiedendo al giudice dell'impugnazione di dichiarare tale incapacita', ovvero di disporre una nuova perizia e di tenere comunque in considerazione i risultati delle consulenze tecniche. Nell'atto di appello, in particolare, si chiedeva di rivalutare criticamente i risultati di alcuni test psicodiagnostici e le conclusioni a cui erano giunti i consulenti tecnici. In particolare, si indicavano: a) il grado di "suggestionabilita'" di (OMISSIS), pari al 20% secondo il test di Gudjonsson epurato degli errori della Dott.ssa (OMISSIS); b) la sua scadente capacita' di linguaggio. La Corte di appello ha omesso ogni motivazione sulla questione, avendo affrontato l'argomento esclusivamente in relazione alla terapia EMDR ma disinteressandosi completamente delle altre censure sulla mancanza di capacita' clinica a rendere testimonianza. Nell'unica pagina nella quale la Corte di appello sembra affrontare l'argomento relativo alla capacita' di testimoniare (pag. 38), non appare per nulla chiaro se stia ancora trattando la questione "terapia EMDR" o se stia valutando la generale capacita' a testimoniare. Ne' l'onere di motivazione puo' ritenersi assolto dalla pura e semplice affermazione di condivisione delle valutazioni espresse dal giudice nel provvedimento impugnato, senza alcun reale vaglio critico dei motivi di censura ne' risposta puntuale in merito ad essi, in quanto cio' si traduce - nella sostanza - in una motivazione solo apparente. 4.7. Con il settimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione nel giudizio relativo alla attendibilita' della persona offesa circa il giudizio di responsabilita' per tutti i reati contestati. La Corte di appello, afferma, era stata chiamata a valutare: a) l'inattendibilita' della testimonianza della persona offesa (OMISSIS) in relazione alla genesi della testimonianza (il "giudizio" del nuovo fidanzato (OMISSIS) ed il confronto con i genitori, i motivi delle prime rivelazioni, i pettegolezzi correnti nel paese, le spinte a mentire nei primi racconti, le sollecitazioni ed il numero di ripetizioni del racconto, le aspettative di chi la sollecitava, il contenuto e le caratteristiche delle primissime dichiarazioni e le loro modificazioni a seguito delle reiterazioni sollecitate); b) le prove del deliberato mendacio di (OMISSIS): per le menzogne in ordine ad "appunti" e "note"; per la cancellazione delle memorie fisiche del computer e per le menzogne nel negarla; per l'incompatibilita' della narrazione originaria della persona offesa con i contenuti dei file rinvenuti sul suo computer (con conseguente cambio di versione); per le menzogne in ordine alla non volontarieta' dei rapporti sessuali avuti con (OMISSIS); per le menzogne in ordine alla non volontarieta' dei rapporti sessuali avuti con (OMISSIS); c) l'inattendibilita' del narrato per l'assenza di file - fra quelli recuperati che avallassero la narrazione di (OMISSIS). Si trattava di allegazioni idonee ad incidere sulla attendibilita' della persona offesa, la cui testimonianza rappresenta l'unica e decisiva prova a carico dell'imputato, indici di inattendibilita' che meritavano un'adeguata analisi da parte della Corte di Appello e che dovevano essere presi in considerazione e valutati dalla Corte di merito, poiche' in astratto idonei a destabilizzare il quadro accusatorio. La Corte di Appello ha omesso questa analisi: l'omessa valutazione delle allegazioni difensive, nella misura in cui queste ultime si presentavano in astratto idonee ad incidere sulla valutazione di attendibilita' della testimonianza della persona offesa, integra una carenza di motivazione che merita di essere emendata da altra Corte territoriale, attraverso un nuovo, questa volta completo e logico, giudizio sul punto. Quanto alla specificita' e decisivita' delle questioni devolute con l'appello, e frettolosamente disattese con il generico richiamo alla validita' del metodo di valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie, afferma di aver rimarcato che (OMISSIS) non era semplicemente stata ritenuta poco credibile su alcune circostanze riferite, ma erano state acquisite prove del deliberato mendacio delle stessa, cosi' che la Corte di appello doveva valutare quanto la falsa dichiarazione compromettesse la generale attendibilita' della ragazza secondo l'insegnamento della Corte di cassazione per il quale la verifica dell'intrinseca attendibilita' delle dichiarazioni puo' portare anche ad esiti differenziati, purche' la riconosciuta inattendibilita' di alcune di esse non dipenda dall'accertata falsita' delle medesime, giacche', in tal caso, il giudice e' tenuto ad escludere la stessa generale credibilita' soggettiva del dichiarante. In secondo luogo, la difesa aveva evidenziato che la certa e accertata inattendibilita' di significative parti della narrazione offerta dalla persona offesa era talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie e per insuperabili lacune e contraddizioni interne, da compromettere per intero la stessa credibilita' della dichiarante. Con l'appello si chiedeva che il giudizio sulla attendibilita' (frazionata) tenesse conto non solo dei fatti-reato per i quali e' stata ritenuta la responsabilita' (come afferma la sentenza a pag. 45), ma che fosse complessivamente rivolto a tutta la testimonianza, riconsiderando le cause che avevano portato il Tribunale alla pronuncia assolutoria per contestazioni certo non secondarie e richiedendo un nuovo e proprio giudizio della Corte sulla sussistenza di un'interferenza fattuale e logica tra le narrazioni dei singoli episodi contestati, tale da non consentire una reale parcellizzazione delle condotte. La Corte territoriale nulla aggiunge ad un immotivato "tali presupposti di interdipendenza... non ricorrono nel caso di specie" e ribadisce che "le contestazioni per le quali e' stata ritenuta la responsabilita' degli imputati sono distinte e riguardano episodi tra loro ben diversificati, sia dal punto di vista delle persone, che delle modalita', che della distanza cronologica, il che impedisce, appunto, tale intersecazione." (pg. 45 sent.). E tuttavia e' la stessa Corte di appello a contraddirsi quando ammette, almeno con riferimento al capo E un "incedere degli eventi criminali a suo danno" che mal si concilia con la valutazione frazionata del racconto della PO. Ma questo "incedere degli eventi criminali" e' nella natura della contestazione dei fatti, nello stesso editto accusatorio nel quale ogni episodio contestato si innesta come imprescindibile antecedente logico di quelli temporalmente successivi, tanto da proporre quasi un rapporto di causalita' necessaria nello sviluppo diacronico delle condotte criminose a danno della ragazza, indubbiamente inserendo ogni singolo fatto in un'unica concatenazione di eventi caratterizzante il rapporto tra la ragazza e il "gruppo", ovvero tra la ragazza e i singoli imputati. Tanto sono legati tra loro i singoli episodi che in tutto il dibattimento si e' cercato il filo conduttore che spiegasse l'asservimento della ragazza al "branco": il "ricatto" per la minacciata diffusione dei video (inesistenti) delle violenze, l'"abbindolamento" da parte dello (OMISSIS), la fama criminale della famiglia di uno degli imputati e la forza che una sua prima minaccia avrebbe esercitato per tutto lo sviluppo degli avvenimenti. In altri passaggi la valutazione di credibilita' della ragazza viene supportata da un ragionamento che confonde il piano dell'indagine sollecitato con l'offensivita' della condotta (il riferimento a pag. 40 della sentenza). Questo modo confuso di ragionare si coglie anche nella risposta, del tutto illogica, oscura, a tratti incomprensibile, al motivo con il quale si argomentava sull'inaffidabilita' generale della persona offesa derivante dal provato e deliberato mendacio della stessa nel riferire della cancellazione della memoria del suo computer. La Corte di appello avrebbe dovuto spiegare perche' la provata manomissione delle prove, che pure riconosce, "non sposta i termini della vicenda", spiegando la affermata ininfluenza di questa manomissione per il giudizio di affidabilita' della ragazza e di credibilita' dei suoi racconti (sul punto manca la motivazione); avrebbe dovuto spiegare in che modo, pur avendo la persona offesa negato di aver cancellato alcun dato prima di consegnare il pc (menzogna ripetuta dal fratello), questa falsa dichiarazione non poteva interagire col giudizio di affidabilita' e credibilita' della ragazza. La Corte di appello (che peraltro travisa le dichiarazioni della persona offesa che aveva riferito che il programma di "keylogger", grazie al quale rimaneva traccia di cio' che veniva digitato sul computer, era stato installato dal fratello a sua insaputa e su richiesta della madre, non gia' con il suo consenso) fa mostra di non aver ben compreso le censure difensive. La questione posta con l'atto di appello era la seguente: la persona offesa non ha mai inteso precostituirsi prove perche' all'epoca dei fatti non si sentiva vittima di nulla, accumulava dati (screenshot, conversazioni, foto...) relativi a tutte le sue relazioni ed amicizie (pg. 48-49 atto appello); richiesta dagli operanti di portare prove utili, fa invece formattare il pc; quando deve consegnare il pc per l'incidente probatorio, il giorno prima fa avviare dal fratello un programma di recupero dati (per vedere cosa era scampato alla formattazione) e subito dopo un programma di cancellazione (piu' efficace della formattazione); poi consegna il pc e, interrogati sul punto, lei e il fratello, rispondono sicuri che non hanno cancellato nulla (solo il perito li smentira'). Ebbene, lamenta il ricorrente, si chiedeva alla Corte di appello, alla luce di queste circostanze di fatto, di rimeditare il giudizio di generale affidabilita' della ragazza e di credibilita' dei suoi racconti: la Corte territoriale non ha compreso la doglianza e comunque ha omesso una vera e logica motivazione sul punto. La Corte di appello, inoltre, omette qualsivoglia motivazione in relazione alle questioni dedotte nei paragrafi Parte prima 2.3 -2.3.A e 2.3.13 e 2.3.0 dell'atto di appello a firma avv. (OMISSIS) (rispettivamente svolti da pg. 55, da pg. 60 e da pg. 69), sempre in tema di attendibilita' della persona offesa e di circostanze idonee a compromettere per intero la stessa credibilita' della dichiarante. In particolare si era evidenziato che i contenuti dei pochi file recuperati fra la mole di quelli prima nascosti e poi irreversibilmente cancellati dalla persona offesa avevano insanabilmente smentito i contenuti delle iniziali dichiarazioni rese da quest'ultima nel corso dell'audizione protetta e della prima udienza dell'incidente probatorio, tanto da costringerla - in cio' agevolata dalle domande suggestive - a modificare le proprie precedenti dichiarazioni, nella narrazione degli avvenimenti (vi erano state altre due udienze di incidente probatorio). Era stato dedotto che tanta parte del narrato della persona offesa era stato scartato, persino dal Tribunale, non tanto perche' incerto nei riferimenti fattuali o non riscontrato, non solo perche' smentita da dati probatori sopravvenuti, ma perche', messa di fronte alle contraddizioni, la ragazza aveva modificato le accuse che lanciava, evidenziando cosi' la precedente menzogna. L'assoluzione dal reato di cui al capo I, per esempio, e' derivata non dalla mancanza di riscontri ma perche' la dichiarazione della persona offesa, sul punto della riferita non consensualita' e della costrizione ai rapporti sessuali era stata smentita da incontrovertibili dati documentali sopravvenuti. Sulle menzogne della persona offesa al riguardo la Corte di appello non ha detto alcunche'. Erano state altresi' denunciate le menzogne della persona offesa in ordine alla non volontarieta' dei rapporti sessuali avuti con (OMISSIS): in un primo momento indicati come mai consensuali, poi, a fronte dei messaggi recuperati, costretta ad ammettere che cosi' non era. Anche su questo argomento la Corte di appello ha taciuto. Erano state anche denunziate le menzogne della persona offesa nel riferire sulla redazione di appunti e note; anche su questo punto la Corte omette ogni motivazione su quanto allegato. Giova peraltro evidenziare, afferma il ricorrente, che, con riferimento al tema relativo all'accostamento "attendibilita' frazionata-riscontri" come metodo di giudizio, anche le dichiarazioni relative agli incontri sessuali relativi al capo I avevano trovato dei riscontri come affermato dallo stesso Tribunale. In realta', sostiene il ricorrente, i giudici del merito hanno utilizzato impropriamente la valutazione frazionata delle dichiarazioni di (OMISSIS), teste che si era dimostrata inattendibile, e l'affermazione secondo cui "Anche per questo ha utilizzato (il Tribunale, n.d.r.) il criterio della credibilita' frazionata, ritenendo, appunto, la minore credibile solamente quando il suo narrato e' stato riscontrato." (pg. 45 sentenza C.App.), appare come un espediente retorico: la condanna si basa in realta' sull'assunto che ove il racconto della ragazza, pure riscontrato, e' stato smentito da dati documentali, si assolve; dove non si e' trovato modo di smentirlo (magari perche' in quel caso specifico non furono scambiati messaggi o magari perche' tali messaggi furono tra quelli cancellati da (OMISSIS)), si condanna. Perche' riscontri di contorno, nessuno in effetti legato al punto fondamentale della prestazione del consenso, e' facile trovarne. Risolvendosi cosi' il metodo di giudizio in una indebita inversione dell'onere della prova. Inoltre, che nel raccontare un singolo episodio (OMISSIS) sia riuscita a evitare contraddizioni e illogicita' non puo', di per se', fornire credibilita' allo specifico racconto reso da una testimone per il resto inattendibile e mendace. Parcellizzare il narrato della persona offesa, chiosa il ricorrente, non fa altro che affidare il giudizio alla circostanza, del tutto casuale, di non aver trovato documenti che smentissero il racconto (solo perche', come si e' visto, (OMISSIS) riusci' a cancellarli efficacemente, a differenza di altri episodi), oppure di essere riuscita la testimone a non modificare la versione (magari perche' in questo caso nulla le fu contestato durante l'esame da parte dei due GIP). Tale espediente non salva da un doveroso e logico giudizio di esclusione della generale credibilita' soggettiva della dichiarante, nelle cui dichiarazioni non e' in effetti possibile distinguere il vero dal falso, quanto frutto di suggestione, quanto frutto di falsi ricordi indotti dalla psicoterapia, quanto frutto di menzogne. La questione prospettata con l'atto di appello era seria, specifica, incidente su un punto decisivo: era dovere del Giudice del gravame esaminarla ed esaustivamente motivare. 4.8. Con l'ottavo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), il vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica, in relazione alla condanna per il reato di cui al capo A. In particolare, afferma, la Corte di appello omette di motivare sull'unico punto decisivo devoluto: la collocazione temporale del fatto, non di certo la consensualita' del rapporto implicitamente ammessa dal tipo di contestazione mossa (articolo 609-quater c.p.). Sul punto la Corte di appello contraddice il Tribunale sostenendo, apoditticamente, che "la versione fornita dalla vittima in sede di incidente probatorio e' stata lucida e puntuale anche di fronte a domande suggestive alla stessa poste dal GIP" (pg. 59 sent. C.App.), laddove i primi Giudici avevano affermato che dalle prove dichiarative non era possibile addivenire ad una collocazione temporale certa del fatto, essendosi affidato alla "prova documentale", costituita dal file "note" e dai file di screenshot delle conversazioni tra (OMISSIS) e (OMISSIS). E cio' a prescindere dalla omessa considerazione dei nuovi dati di geolocalizzazione, che escludono la presenza di (OMISSIS) per tutti gli ultimi mesi dell'anno 2013 nei luoghi del fatto, con le tempistiche riferite dalla persona offesa. 4.9. Con il nono motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 609-septies c.p., comma 4, n. 4), e il vizio di mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine al giudizio sulla connessione del reato di cui al capo A con altro delitto perseguibile d'ufficio. Invoca, al riguardo, l'applicazione del principio secondo il quale "la procedibilita' d'ufficio dei reati di violenza sessuale, per connessione con altro reato procedibile d'ufficio, presuppone l'esistenza di un collegamento reale secondo la previsione di cui all'articolo 12 c.p.p., e non meramente processuale che si ha quando in un medesimo contesto investigativo si abbia la scoperta di altro reato, perche' il riferimento a ogni forma "atipica" di connessione si risolve in una interpretazione "in malam partem", esclusa in campo penale." In ogni caso la Corte di appello ha fornito una motivazione contraddittoria sul punto avendo comunque affermato che tra i fatti non vi e' intersecazione. 4.10. Con il decimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), il vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica, in relazione alla condanna per il reato di cui al capo B anche in relazione alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1). Premessa la mancanza di credibilita' della persona offesa, afferma di aver investito la Corte di appello della doglianza relativa al fatto che il Tribunale non aveva tenuto conto delle contraddizioni in cui era incorsa (OMISSIS) nel raccontare il fatto (con cambi di versione relativi al nucleo centrale dell'episodio) e delle smentite che il narrato aveva trovato in dati probatori successivamente acquisiti. La Corte di appello ha disatteso la censura con motivazione incongrua e contraddittoria osservando che, sul punto, la persona offesa in sede di incidente probatorio aveva reso dichiarazioni particolarmente dettagliate e mai accondiscendenti alle domande suggestive poste. Affermare - osserva - che se il teste non asseconda la domanda suggestiva allora e' sincero, piu' che un sillogismo e' un paralogismo. In realta', se il teste non cede alla suggestione, potra' solo dirsi che la risposta non e' stata inquinata dall'intervistatore, ma resta impregiudicato il giudizio sulla verita' del contenuto della risposta. La Corte di appello aggiunge che sul fatto in parola la persona offesa "ha dimostrato un elevato grado di coerenza sia logica, che argomentativa a differenza di quella fornita dagli imputati, poco verosimili ed illogica" (pg. 65 sent.). Anche queste sono asserzioni, non spiegazioni. La Corte avrebbe dovuto motivare in ordine agli specifici dati che l'appello indicava come confliggenti con la asserita coerenza logica ed argomentativa. I Giudici distrettuali, afferma, non si sono curati minimamente del fatto che la testimone ha piu' volte cambiato versione in merito ad elementi decisivi del fatto, cosi' non rispondendo alla questione devoluta in gravame. Sulle dedotte incongruenze in ordine alle specifiche modalita' con cui sarebbe stata trattenuta all'interno dell'autovettura contro la sua volonta', la Corte di appello non spende una sola parola ed, anzi, offre una motivazione illogica rispetto alla questione che gia' il Tribunale aveva riconosciuto come effettivamente non riscontrata: il sistema di chiusura dell'autovettura nella quale si erano svolti i fatti (l'abbassamento della sicura, dispositivo assente nel tipo di macchina in questione). La Corte liquida in poche righe la questione qualificandola come non essenziale, dando prova di non aver compreso il senso della doglianza, tutt'altro che banale, visto che, come affermato nell'atto di appello, "nell'economia del suo racconto la chiusura della sicura rappresento' una determinante modalita' di costrizione, quella che le impedi' di andarsene. Tanto che essa e' stata espressamente indicata nel capo d'imputazione come modalita' di esercizio della violenza volta a costringere la minore a subire l'atto sessuale: "impedivano alla stessa di scendere dalla autovettura con violenza, consistita nel chiudere la sicura delle portiere"." (pg. 78 atto appello a firma avv. (OMISSIS)). La motivazione della Corte (e del Tribunale prima) e' illogica e contravviene ad un principio giurisprudenziale indiscusso. Infatti, i giudici del merito, per superare le aporie del complessivo narrato della persona offesa, staccano i singoli episodi l'uno dall'altro, per operare poi una valutazione frazionata delle dichiarazioni riferibili ad ognuno di essi. Qui si va oltre: si pretende di svolgere una valutazione frazionata delle dichiarazioni relative ad un singolo episodio, violando tra l'altro le stesse regole di giudizio che la Corte di appello si era data perche' il narrato non solo non ha trovato riscontro nei punti essenziali ma e' stato smentito sia per l'elemento della chiusura della vettura, sia dai nuovi dati di geolocalizzazione, che escludono la presenza di (OMISSIS) nei luoghi del fatto, con le tempistiche riferite dalla persona offesa. Ulteriore profilo di illogicita' e contraddittorieta' della motivazione e' rinvenibile nella considerazione per la quale il (OMISSIS) era uno sconosciuto per la persona offesa cio' che conferma la mancanza del consenso. Per la Corte di appello e' impensabile che la ragazza volesse avere un rapporto sessuale anche con (OMISSIS), perche' non lo aveva conosciuto in precedenza. La Corte sconta un pregiudizio moralistico, che e' nei fatti di causa smentito da un dato probatorio certo, riportato anche dal Tribunale, rinveniente dalla conversazione con lo (OMISSIS) nel corso della quale la ragazza lo sollecitava a coinvolgere in incontri sessuali "qualcun altro" senza dare ulteriori indicazioni e/o nominativi specifici. Non puo' non evidenziarsi, prosegue il ricorrente, che l'episodio in esame non e' poi cosi' dissimile da quello contestato al capo 3, che coinvolgeva un altro "sconosciuto" per (OMISSIS) ( (OMISSIS)): li' il Tribunale assolve, perche', fortunatamente per l'imputato, erano state rinvenute (tra i file scampati alla cancellazione) delle chat della persona offesa dalle quali "non (era) emersa alcuna tensione da parte della ragazza nei confronti dell'imputato" anzi si "evoca(va) l'atteggiamento attivo e partecipato della stessa" (pg. 242 sent. Trib.); qui si condanna il (OMISSIS) perche' non si sono trovati messaggi simili (magari perche' irrimediabilmente cancellati dalla persona offesa nella provata distruzione del suo archivio); non ci si chiede perche' non e' stato rinvenuto neanche un messaggio, tra le centinaia, ove (OMISSIS) mostrasse un minimo di disappunto verso (OMISSIS) per aver aiutato (OMISSIS) a molestarla. Ancora, la motivazione e' illogica quando afferma che "il dato dirimente che smentisce la ricostruzione dei fatti fornita dall'imputato (OMISSIS), ovvero che era stata (OMISSIS), mostrandosi senza pantaloni, ad offrirsi di avere un rapporto sessuale anche con lui, e' dato dalla circostanza, confermata dallo stesso ragazzo, che il rapporto non era stato consumato." (pg. 70 sent. C.App.). Per la Corte di appello, il fatto che l'imputato non abbia voluto commettere il reato di "atti sessuali con minorenne" (articolo 609-quater c.p.) e' dato dirimente per provare che la ragazza dice il vero e che quindi non vi fu sua disponibilita', ma un assalto che solo la strenua resistenza della vittima ha evitato arrivasse alla violenza carnale. Per la Corte, il fatto che un ragazzo riferisca di essere stato invitato ad avere un rapporto, ma che lo ha rifiutato (magari proprio perche', in tesi della Corte, la ragazza non aveva ancora 14 anni...), e' necessariamente spudorata menzogna. Si tratta di un argomento illogico. La motivazione e' apparente (e contraddittoria) circa la sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1). La questione riguarda la collocazione temporale del fatto che la Corte di appello ritiene provata (mese di novembre 2013) in base alle dichiarazioni della ragazza e del di lei padre. Sennonche': a) in sede di impugnazione della sentenza di primo grado si richiamava quanto diffusamente allegato nel motivo di appello relativo al capo A ove vi era ampia critica alla ricostruzione cronologica offerta dal Tribunale di prime cure, ma nessuna risposta e' stata fornita sul punto; b) lo stesso Tribunale aveva ritenuto quelle stesse dichiarazioni tanto inaffidabili da affermare che "dalle prove dichiarative assunte nel corso dell'istruttoria non e' possibile addivenire ad una collocazione temporale certa di tali episodi" (pag. 196, sent. Trib.), quelle stesse prove che la Corte, con motivazione apparente e contraddittoria, ritiene idonee a collocare il fatto nel mese di novembre 2013. 4.11. Con l'undicesimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 56 c.p., in relazione agli articoli 609-bis e 609-octies c.p. e la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione circa il giudizio di sussistenza degli atti sessuali in relazione al reato di cui al capo B. Era stato dedotto, in appello, che il (OMISSIS) non aveva posto in essere alcun "atto sessuale" nei confronti della minore: egli avrebbe solamente tentato senza riuscirci - di avere con lei un rapporto sessuale. Non si poneva questione di "incompletezza del rapporto sessuale con (OMISSIS)", si chiedeva alla Corte di indicare quale "coinvolgimento della corporeita' sessuale" si sia in concreto realizzato, visto che (OMISSIS) non ne aveva riferito alcuno. La Corte omette di chiarire quale atto sessuale (pur nella larghissima accezione definita dalla Corte di Cassazione) abbia concretamente attuato (OMISSIS) sul corpo di (OMISSIS). In questo la motivazione manca. 4.12. Con il dodicesimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), il vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica, in relazione alla condanna per il reato di cui al capo D anche in relazione alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1). Con l'atto di appello era stata dedotta la mancanza di credibilita' della persona offesa (che aveva riferito di essere stata costretta al rapporto sessuale a quattro con (OMISSIS)), sia perche' il racconto era stato inquinato da domande nocive, sia perche' si era mostrato menzognero in aspetti decisivi, sia perche' la successiva condotta della ragazza, nei rapporti con gli stessi soggetti che l'avrebbero stuprata, era totalmente incompatibile con la riferita violenza. Era stata altresi' dedotta la problematica della percezione che dell'asserito dissenso potevano aver avuto gli imputati, di quale fosse stato in concreto il comportamento concludente di (OMISSIS) che potesse consentire agli imputati stessi di rendersi conto della asseritamente mutata volonta' della ragazza, sino a poco prima pienamente e volontariamente partecipe al rapporto a tre con lo (OMISSIS) e il (OMISSIS), tanto piu' che in precedenza la stessa era stata piu' volte consenziente a rapporti sessuali con (OMISSIS), sia da sola che in gruppo (capo A). La Corte di Appello, nella parte della motivazione dedicata all'argomento, mostra di non aver realmente preso in esame i motivi di appello (travisansoli), di non essersi soffermata sui dati probatori che venivano indicati, di non aver proceduto ad un nuovo e proprio giudizio, affastellando affermazioni illogiche e immotivate. In primo luogo, illogica appare la valorizzazione del preteso "riscontro" del narrato della minore, in relazione alla descrizione della casa dove si sarebbero svolti i fatti; che la ragazza fosse stata in quella casa non era stato contestato nel gravame e si tratta di elemento comunque neutro rispetto al punto della doglianza e del giudizio, se cioe' ci fosse stata costrizione o meno all'atto sessuale. In secondo luogo, la Corte di appello era chiamata a pronunciarsi proprio sulle questioni che la stessa da' per scontate e sulle quali era stato sollecitato il suo intervento: la prova che la ragazza si "dimenasse" (nell'accezione negativa che riconnette al termine la Corte) e che fosse "tenuta per i polsi" da (OMISSIS) e (OMISSIS), cosi' da essere bloccata dai due mentre il (OMISSIS) la stuprava, il fatto se la testimone avesse veramente dichiarato questo, se la dichiarazione era credibile o inquinata da domande nocive e suggestive o dalla psicoterapia EMDR, se il suo comportamento fosse compatibile con quelli successivi. La difesa aveva richiamato la valutazione del consulente tecnico, prof. (OMISSIS), sulle modalita' di conduzione dell'esame e sui risultati giungendo alla conclusione che il ricordo non era spontaneo, ma la Corte di appello non se ne e' curata. Ma la Corte di appello va oltre persino i risultati che avevano ottenuto i GIP con le loro domande suggestive: trattando della posizione di (OMISSIS), scrive che "l'avere attivamente partecipato al compimento degli ulteriori atti sessuali posti in essere all'arrivo del (OMISSIS), fra cui bloccare tutti i tentativi che la vittima faceva per divincolarsi, fa ritenere integrata la fattispecie". Sennonche' la ragazza aveva riferito di non avere manifestato alcun dissenso, di non avere "gridato", di non avere "scalpitato", incalzata dalle domande suggestive dei due G.I.P. si era spinta a dire che "si muoveva". Nell'atto di appello era stato evidenziato come la ricostruzione del fatto non fosse credibile, considerato il comportamento della ragazza ad esso successivo, tanto incompatibile con lo stupro da non potersi credere che si sia effettivamente verificato. In particolare, si richiamavano i contenuti delle conversazioni che successivamente la persona offesa aveva intrattenuto con lo stesso (OMISSIS) (il riferimento e' alle chat del febbraio 2014). Facendosi logica applicazione della comune esperienza, non puo' credersi - sostiene il ricorrente - che una ragazza, costretta e violentata nel modo descritto, possa poi parlare cosi' tranquillamente con uno dei suoi aguzzini. Assurdamente la Corte si premura di ricordare che la prima parte del rapporto era stata consensuale, ma il fatto che (OMISSIS) l'avesse subito dopo trattenuta per i polsi costringendola a subire lo stupro di (OMISSIS), mal si concilia con una chat nella quale la vittima non esprime alcun rancore, proprio parlando di quell'episodio, anzi lo ricorda con piacere. Ancora, la Corte di appello ha negletto alcune chat di epoca successiva dimostrative di quanto il rapporto tra (OMISSIS) e (OMISSIS) fosse improntato ad amicizia e forse ad un timido e reciproco interesse affettivo, decisamente poco compatibile con la partecipazione del (OMISSIS) ad una violenza carnale. Si evidenziava che (OMISSIS) riferiva di aver avuto altri rapporti sessuali con (OMISSIS) e (OMISSIS) del tutto consensuali, ma della compatibilita' di tali atteggiamenti con la violenza sessuale di gruppo di cui al capo D non e' fatta menzione. E cio' senza considerare che in un primo momento la persona offesa aveva descritto in termini negativi il suo rapporto con il (OMISSIS), salvo poi cambiare versione quando le erano state mostrate le chat nelle quali descriveva molto positivamente il rapporto sessuale con lo (OMISSIS) ed il (OMISSIS) che aveva immediatamente preceduto lo stupro. Ne' la Corte di appello prende in considerazione i dati relativi alla geolocalizzazione dello (OMISSIS) nei tempi e luoghi da essa riferiti. Del tutto apparente, infine, e' la motivazione sulla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter cpv. c.p., n. 1), in considerazione dell'eta' della ragazza al momento del fatto avuto riguardo al tempo del commesso reato, indicato dalla rubrica in data anteriore e prossima al 09/11/2013 e validato dalla Corte di appello in considerazione del fatto che la persona offesa dal 29/12/2013 al 04/01/2014 aveva avuto una relazione sentimentale con un altro ragazzo. Sicche' deve ritenersi del tutto inverosimile che a gennaio, durante tale relazione del tutto soddisfacente per (OMISSIS), quest'ultima avesse questo rapporto sessuale di gruppo prima consenziente e poi violento, tanto piu' che la stessa aveva collocato il fatto sicuramente dopo le vacanze natalizie. Lamenta la natura congetturale del ragionamento seguito dalla Corte per disattendere il dato riferito dalla vittima: a) in primo luogo, afferma, non si comprende da dove deriva l'assunto che la relazione con (OMISSIS) fosse "del tutto soddisfacente" visto che lo stesso Tribunale aveva sminuito la relazione affermando che non si era trattato di un vero e proprio fidanzamento; b) durante le proprie relazioni (OMISSIS) vedeva altri ragazzi, con i quali aveva anche rapporti sessuali, anche di gruppo. 4.13. Con il tredicesimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione circa il giudizio di responsabilita' per il reato di cui al capo E. In primo luogo, afferma, la Corte di appello non si cura della denunciata contraddizione tra la condanna di (OMISSIS) e (OMISSIS) per il capo E (violenza sessuale commessa il 10/03/2014 - datazione rideterminata dal Tribunale - pg. 223 sent. Trib.) e l'assoluzione degli stessi dal reato di cui al capo I (violenza continuata con episodi dal (OMISSIS)): anzi, platealmente ne distorce la valenza. Il punto, afferma il ricorrente, e' che non e' possibile ritenere, sul piano logico, che le minacce profferite il 10/03/2014 avessero esaurito la propria forza intimidatrice poco piu' di un mese dopo. La questione, devoluta in appello, e' rimasta irrisolta avendo la Corte di appello semplicemente affermato che la ragazza inizialmente non aveva mai avuto rapporti consensuali con lo (OMISSIS). Ma sui rapporti con costui la ragazza aveva mentito; solo il recupero dei file che (OMISSIS) sperava di avere definitivamente cancellato ha dimostrato che la realta' era ben diversa e che la minore, ancora una volta, aveva deliberatamente mentito nel riferire la non volontarieta' dei rapporti sessuali intercorsi con (OMISSIS), ben evidente dagli screenshot delle conversazioni WhatsApp dai quali emerge che la ragazza ha l'ultima parola su se e quando vedersi, facendosi anche parte attiva nell'introdurre il discorso su pratiche sessuali. L'argomento del mendacio e' stato oggetto di articolato e specifico motivo di appello ma la Corte territoriale omette una motivazione congrua. Ne' puo' soccorrere, a salvare da illogicita' e contraddizione il giudizio, il pretesto della valutazione frazionata. Il fatto di cui al capo "E" viene indicato come il primo episodio di una nuova fase di sopraffazione della persona offesa, la quale, terrorizzata da (OMISSIS) si sarebbe vista costretta a subire rapporti sessuali a cui avrebbe partecipato anche (OMISSIS); sono le stesse minacce proferite in occasione del capo E che consentono il verificarsi dei fatti contestati al capo I (ma pure J e K), minacce che la persona offesa riferisce che le furono sempre ripetute per forzarla. Sussiste, dunque, quella "interferenza fattuale e logica" che la Corte di cassazione indica come limite di ammissibilita' della valutazione frazionata. Appare quindi fuorviante l'energia che la Corte di Appello spende nel riportare asseriti "riscontri", in realta' elementi marginali o di dubbia forza persuasiva, per altro ricollegandoli in modo illogico (il ricorrente si riferisce al malgoverno logico dell'aggancio dei cellulari dei tre ragazzi, la PO e i due imputati, alla medesima cella telefonica che, pero', dominava tutto l'abitato di (OMISSIS), laddove erano stati offerti dati piu' precisi mediante la geolocalizzazione dell'utenza dell'imputato; alla neutralita' del dato rinveniente dalla mancanza di contatti tra la PO e lo (OMISSIS) negli intervalli di tempo compatibili con la collocazione temporale del fatto, che pero' non esclude che i due avessero utilizzato WhatsApp, applicazione non intercettata dalle celle telefoniche, laddove tra i due vi era stato un fitto scambio di sms - ben 32 messaggi - tra le ore 18.02 e le ore 18.21, nonche' una telefonata a "voce" durata dalle 18.23 alle 18.26, dopo cioe' che era stato consumato lo stupro). La Corte, inoltre, indica come "riscontri" quanto scritto da (OMISSIS) sui post-it e sulle note che consegno' agli inquirenti; bizzarro - annota il ricorrente - che si considerino "riscontri" per una dichiarante inattendibile degli appunti dalla stessa scritti, non si sa come, non si sa quando, e sulla cui redazione (OMISSIS) aveva piu' volte mentito. La affidabilita' di questi riscontri documentali costituiva specifico motivo di appello del tutto negletto dalla Corte territoriale. Lamenta, inoltre, che la Corte di appello ha ritenuto l'esistenza di un "metus" della ragazza verso lo (OMISSIS) gia' smentito dal Tribunale e le ragioni della cui insussistenza erano state ampiamente dedotte in appello ma del tutto ignorate. La superficialita' del giudizio della Corte di appello traspare di nuovo, conclude il ricorrente, nella affermazione per la quale proprio tale "metus" avrebbe dovuto "sconsigliare" la persona offesa dal coinvolgere nei fatti proprio un componente della famiglia (OMISSIS). La Corte di Appello, pero', ha omesso di valutare i motivi di impugnazione (paragrafi Parte prima - 1.1 e 1.2) sulla genesi della testimonianza: i primi nomi che la persona offesa fa sono proprio quelli in relazione ai quali giravano per il paese voci incontrollate di rapporti sessuali, rapporti dei quali, con specifico riferimento a (OMISSIS) e (OMISSIS), le chiedeva sprezzantemente e violentemente conto il nuovo fidanzato (OMISSIS). 4.14. Con il quattordicesimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 600- quater c.p., rubricato ai capi F ed H, e il vizio di mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione sul punto. In sede di impugnazione, afferma, erano state devolute le seguenti questioni: - sui dispositivi informatici sequestrati all'imputato non erano state rinvenute fotografie riconducibili alla minore; - non era emersa la prova che immagini pornografiche, di cui pure si parlava nelle chat, fossero mai state effettivamente inviate a (OMISSIS), o meglio dallo stesso ricevute; - la chat (riportata a pg. 229 sent. Tribunale) nella quale (OMISSIS) scriveva a (OMISSIS) "manda una tu" non e' univocamente riferibile a una richiesta di una foto pornografica, e soprattutto non e' seguita dall'invio di una foto pornografica. La Corte di appello, osserva, ha disatteso i rilievi difensivi in base ai seguenti argomenti: a) "Dagli scambi, risultanti dai documenti informatici, di foto e dialoghi aventi ad oggetto ed inerenti a materiale pornografico emerge, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la prova che le immagini pornografiche di cui le parti discutevano ampiamente erano state effettivamente inviate agli appellanti e dagli stessi ricevute e detenute"; b) ve ne e' prova nel fatto che la PO, conversando con (OMISSIS), aveva riferito di aver fatto autoscatti di pose in atteggiamenti inequivocabilmente a sfondo sessuale per lo (OMISSIS), alludendo esplicitamente all'invio di foto pornografiche. Sennonche', lamenta il ricorrente, la Corte di appello non indica quali siano i documenti informatici di cui al punto a), ne' la loro collocazione nel fascicolo processuale. Quanto al punto sub b), la circostanza che la persona offesa avesse riferito, nella chat menzionata dalla Corte di appello, di avere tenuto una condotta, non prova che l'abbia effettivamente tenuta e che non stesse invece mentendo per fare ingelosire il suo interlocutore. Aggiunge che l'unico invio di una unica foto e' contenuto nella chat richiamata a pg. 232 della sentenza del Tribunale e che essa ritrae solamente parte di un busto, si' da non poter essere considerata alla stregua di materiale pornografico, non trattandosi di organo genitale. In ogni caso, non vi fu alcuna richiesta da parte dell'imputato (come inutilmente dedotto in appello); fu infatti la ragazza a chiedere al ricorrente se volesse vedere una cosa (domanda che, peraltro, poteva precedere l'invio di qualsiasi genere di materiale, non necessariamente pornografico, annota il ricorrente). Questi, dunque, nell'unico caso in cui privatamente gli era stata inviata una foto, non aveva tenuto alcuna condotta riconducibile al concetto di "procurarsi il materiale" di cui all'articolo 600-quater c.p.. Ne', d'altra parte, vi e' prova che la fotografia, pur ricevuta, sia stata, almeno per un tempo apprezzabile, conservata e quindi "detenuta" ai sensi della norma incriminatrice (anche su questo - conclude il ricorrente - la Corte non' offre risposta e motivazione). 4.15. Con il quindicesimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione circa il giudizio di responsabilita' per il reato di cui al capo M. Afferma di aver censurato, in appello, la decisione del Tribunale di aver ritenuto sussistente il contestato disturbo da stress post traumatico in capo alla persona offesa, senza disporre una perizia medico-legale che fosse effettuata quantomeno da un esperto in psichiatria e medicina legale. Non vi era stata, infatti, alcuna indagine di questo tipo, indagine che i consulenti tecnici della difesa avevano pur indicato come necessaria. Il Tribunale aveva ritenuto di poter utilizzare le dichiarazioni della Dott.ssa (OMISSIS), ma si trattava di decisione errata sotto diversi profili: la testimone non aveva fornito alcun dato verificabile, non avendo, per sua stessa ammissione, somministrato alcun test psicodiagnostico; non aveva le competenze per una valutazione medico-legale, trattandosi di una semplice psicoterapeuta; aveva mostrato scarsissimo rigore scientifico e non aveva particolari necessita' di indagare causa, nesso causale, entita' del disturbo, essendosi esclusivamente preoccupata della terapia. In ogni modo, un testimone non puo' surrogarsi ad un perito, essendo molto diverso il tema di prova sottoposto al contraddittorio dibattimentale: la Dott.ssa (OMISSIS) poteva solo riferire su dati di fatto, non esprimere pareri sulla loro interpretazione. Della questione non si era occupata nemmeno la Dott.ssa (OMISSIS) non essendole stata demandata una valutazione medico-legale in sede di conferimento dell'incarico. L'accertamento di "eventuali deviazioni comportamentali e/o altri segni rivelatori dell'esperienza della violenza subita" non e' assimilabile ad un quesito di diagnosi e nesso di causalita'. Inoltre, e' principio condiviso dalla migliore scienza che "Le evidenze scientifiche non consentono di identificare quadri clinici riconducibili a specifica esperienza di vittimizzazione, ne' ritenere alcun sintomo prova di un'esperienza di vittimizzazione o "indicatore" di specifico traumatismo" (linee guida CF). Infine, la Dott.ssa (OMISSIS) non possedeva le necessarie competenze tecniche. La Corte di appello non ha preso in considerazione nessuna delle valutazioni tecniche offerte dalla difesa in sede di appello arrivando a desumere una cosi' complessa diagnosi persino dalle dichiarazioni della madre della persona offesa. In secondo luogo, era stato censurato il giudizio di riconducibilita', in termini di certezza, della malattia di (OMISSIS) alla condotta di (OMISSIS). Anche su questo aspetto la motivazione della Corte manca del tutto, cosi' come manca il nuovo esame alla luce delle censure articolate. La Corte di Appello si adagia, come gia' il primo Giudice, sul concetto di concorso di cause che, tuttavia, non puo' essere mezzo per eludere la prova del nesso di causalita' tra condotta ed evento. Se non si e' in grado di attribuire i disturbi di (OMISSIS) con certezza alla condotta di (OMISSIS), o con certezza ai maltrattamenti da parte di (OMISSIS), o con certezza alla conflittualita' familiare, non puo' semplicemente dirsi che tutto puo' aver contribuito e quindi ritenere sussistente il reato contestato all'imputato. La Corte territoriale non ha fornito una puntuale motivazione sul punto. 4.16. Con il sedicesimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche che la Corte di appello non ha applicato con motivazione stereotipata che non ha tenuto conto degli argomenti difensivi allegati: l'incensuratezza, la mancanza di carichi pendenti, l'eta' (all'epoca dei fatti il ricorrente era poco piu' che ventenne - in una situazione in cui la giovanissima eta' ha evidentemente inciso sulla percezione del disvalore delle condotte imputate), le condizioni di vita individuale, familiare e sociale dell'imputato, proveniente da una famiglia semplice, di modesto livello culturale. 4.17. Con il diciassettesimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 185 c.p., articoli 2043, 2055, 2056 e 1226 c.c. e il vizio di mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla sussistenza del danno risarcibile e alla quantificazione della provvisionale. Afferma che con l'appello aveva sostenuto la mancanza di prova dell'esistenza di un danno risarcibile derivante dalle condotte da lui ipoteticamente tenute nei confronti di (OMISSIS), unica persona offesa dei reati per i quali e' intervenuta la condanna. La Corte di appello era stata sollecitata a dichiarare inammissibile, per mancanza di legittimazione o comunque perche' infondata, la richiesta di risarcimento del danno avanzata dagli enti territoriali fondata sul sol fatto che il reato era stato commesso nel territorio di rispettiva competenza. L'affermato danno all'immagine degli enti pubblici in questione e' risarcibile solo in caso di delitti contro la pubblica amministrazione posti in essere dai pubblici dipendenti, qualifica assente in tutti gli imputati. L'immagine deteriore del Comune o della Regione ove si sono svolti i fatti e' responsabilita' dei servizi giornalistici e non potrebbe risolversi che in una responsabilita' risarcitoria in capo a quei giornalisti e testate che avessero utilizzato affermazioni offensive e prive di riscontro e continenza. Era stato altresi' impugnata la condanna al risarcimento in favore sia della Regione Calabria, sia del suo Ufficio del Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza, cosi' duplicando, di fatto in favore del medesimo ente territoriale, la pronuncia risarcitoria. La Corte di appello omette ogni motivazione sul punto anche in relazione all'esistenza di un autonomo danno risarcibile in capo all'Ufficio del Garante che la sentenza qualifica come "Istituzione" ma della cui natura giuridica nulla si sa, non essendone stato acquisito nemmeno lo statuto. Ricorso Avv. (OMISSIS). 4.1. Con il primo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), l'erronea applicazione dell'articolo 362 c.p.p., la nullita' dell'audizione protetta dell'11/11/2015 e l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese in quella sede perche' non precedute dall'avvertimento dell'obbligo di dire la verita'. Gli argomenti dedotti sono del tutto analoghi a quelli devoluti con il quarto motivo del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). In questa sede il ricorrente ribadisce che le dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di audizione protetta erano state assunte dal PM e non dalla PG, come sembra invece affermare la Corte di appello. L'inutilizzabilita' delle dichiarazioni in tal modo rese riverbera i suoi effetti sulla utilizzabilita' delle dichiarazioni rese in sede di incidente probatorio. 4.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), l'erronea applicazione dell'articolo 499 c.p.p., comma 5, la nullita' dell'audizione protetta dell'11/11/2015 e l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese dalla minore in quella sede per l'indebita sottoposizione e utilizzazione di appunti redatti anche da altri. Deduce che nel corso dell'incidente probatorio, all'udienza dell'8/02/2017, alla persona offesa erano state esibite le fotocopie degli appunti vergati dal padre sotto dettatura della figlia medesima, nonche' altri appunti che la ragazza aveva affermato essere stati redatti copiandoli dall'agenda del telefonino e da quest'ultima consegnati agli stessi Ufficiali di P.G. operanti al ritorno dall'audizione protetta. Dunque, in assenza di esplicita autorizzazione, resa ex articolo 499 c.p.p., comma 5, la difesa aveva sostenuto che la prova dichiarativa era inficiata da nullita'/inutilizzabilita', poiche' la propalante aveva consultato quegli appunti inficiando il ricordo e la genuinita' del racconto. Diversamente da quanto sostiene la Corte di appello, la doglianza non era volta a censurare (solo) il metodo di formazione di quel memorandum, bensi' la sua utilizzabilita' nel corso dell'incidente probatorio, laddove l'incombente istruttorio e' divenuto un ibrido tra il documento precostituito e la prova dichiarativa, essendo stato preservato solo formalmente il valore dell'oralita' attraverso l'effettuazione dell'esame della p.o., ma influenzandone in maniera determinante i contenuti. Oltretutto, a differenza di quanto accade per i testimoni appartenenti alla P.G., sovente, nella prassi, autorizzati a consultare atti fidefacenti in aiuto alla memoria, nel caso di specie si trattava di annotazioni redatte congiuntamente dal padre della PO e dalla PO stessa, in mancanza di una norma codicistica di "copertura" legittimante siffatto modus procedendi. In quegli appunti erano contenuti elementi decisivi per l'individuazione degli autori delle violenze e per la collocazione temporale dei fatti, elementi che hanno fornito non solo il canovaccio (sostituendo ed alterando il ricordo) attraverso il quale si e' dipanato il narrato, ma altresi' il riscontro a quanto dalla minore dichiarato, secondo una logica connotata da autoreferenzialita'; invero, il dato probatorio si sarebbe dovuto ottenere, nella compiutezza e nella trasparenza del contraddittorio, esclusivamente mediante la rievocazione testimoniale della teste, cosi' da non vanificare la portata del principio di separazione tra le fasi e non consentire, di fatto, il passaggio diretto in dibattimento (di cui l'incidente probatorio e' anticipazione) del materiale precostituito dalla persona offesa (poi parte civile). Peraltro, diversamente da quanto affermato dalla Corte di appello, il Tribunale aveva espresso forti riserve sulla validita' della testimonianza resa dal padre della persona offesa, siccome sollecitato a rispondere alle domande del PM con continui riferimenti agli "appunti" da lui redatti insieme con la figlia (tanto che, il Collegio, al fine di "sanare" la testimonianza, aveva proceduto a un nuovo ed integrale esame del teste, senza fare alcun riferimento agli appunti, escludendo, finanche, che potessero essere stati acquisiti ai sensi dell'articolo 493 c.p.p., comma 3. E' evidente, dunque, l'irritualita' dell'avvenuta consultazione degli appunti e, ancora di piu', che alcuna autorizzazione era intervenuta, ne' nel corso dell'incidente probatorio, ne' nel corso del dibattimento. Stante l'assenza di espresso consenso delle parti in ordine all'acquisizione del manoscritto (formato al di fuori del processo da una parte privata e acquisito senza il consenso delle difese) l'assenza di richiesta di consultazione da parte della testimone e l'assenza di autorizzazione, considerando, anche, che la prova dichiarativa si e' sviluppata sulla base del canovaccio risultante dagli appunti cui la teste si e' affidata, per apparire piu' attendibile e credibile, collocando temporalmente i singoli episodi (divenuti, poi, capi d'imputazione), ne e' stata cosi' minata, irrimediabilmente la sua attendibilita'. La prova dichiarativa acquisita, sia in sede di audizione protetta, sia nel corso dell'incidente probatorio, anche per tale motivo, va dichiarata nulla e/o inutilizzabile, con consequenziale annullamento della sentenza che su quella si e' appoggiata. 4.3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e), la violazione e l'erronea applicazione dell'articolo 499 c.p.p., commi 2 e 3, e l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese in incidente probatorio dalla persona offesa poiche' condotto in violazione del divieto di porre domande suggestive e nocive. Deduce altresi' l'omessa motivazione sul punto e il vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica in ordine alla valutazione della testimonianza resa dalla PO. Gli argomenti a sostegno dell'eccezione sono gli stessi gia' illustrati dall'Avv. (OMISSIS) con il terzo motivo del suo ricorso. Precisa che i GIP non si sono limitati a porre domande suggestive, ma hanno posto anche domande nocive. Al riguardo afferma che il racconto della vittima e' stato sollecitato da domande (in gran parte tese a dimostrare la penale responsabilita' dei due maggiori imputati), che lungi dal limitarsi a "rinverdire" il ricordo della minore o dal contenere semplici inferenze deduttive, hanno posto la persona offesa in una condizione di soggezione inducendola a rispondere secondo le modalita' attese e confermando le aspettative di risposta nutrite dal sollecitante. La Corte di appello aggira la questione (si vedano, sul punto, gli argomenti gia' illustrati dall'Avv. (OMISSIS)) e non fornisce risposta alla natura "nociva" delle domande poste. Con riferimento alla valutazione della testimonianza della persona offesa, lamenta l'illegittimo ricorso alla valutazione frazionata delle dichiarazioni di quest'ultima. Per un primo profilo deduce l'omessa motivazione sulla questione devoluta con l'appello in ordine alla contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione sulle (censurate) modalita' di assunzione e valutazione della testimonianza resa dalla persona offesa, poiche' pur in presenza di plurimi fattori inquinanti, incidenti sull'attendibilita' della persona offesa, si era ritenuto "di procedere ad una valutazione frazionata delle dichiarazioni di quest'ultima". La Corte di appello semplicemente non motiva sul punto. Le critiche alla credibilita' della persona offesa, aggiunge, muovevano dalle stesse considerazioni del primo Giudice in ordine: a) alla scarsa capacita' di rendimento della ragazza; b) al suo grado di suggestionabilita'; c) alla sottoposizione a trattamento EMDR; d) al giudizio "postumo" del nuovo fidanzato della persona offesa in relazione alla vita sessuale di quest'ultima precedente il loro rapporto. Da tale base di partenza veniva attaccata la sentenza di prime cure, poiche' quelle criticita' che avevano condotto il Tribunale ad "optare" per la credibilita' frazionata, avrebbero dovuto, invece, far deporre per un giudizio di inattendibilita'. Al fine dell'attendibilita' delle dichiarazioni rese in sede processuale, dovevano essere valutate attentamente la genesi delle accuse (maturata in un contesto di forti frizioni familiari) e la loro (eventuale) spontaneita': (OMISSIS), infatti, nella prima parte del 2015, aveva (almeno parzialmente) riferito degli incontri con gli imputati al fidanzato (OMISSIS), il quale, in preda a una sorta di "gelosia retroattiva", introduceva l'elemento del "giudizio" in capo alla persona offesa, tanto da lasciarsi andare a crisi di isteria conducenti ad atti di autolesionismo. Ella inoltre si era confidata con l'amica (OMISSIS) ed infine aveva redatto il tema scolastico nel quale esternava il proprio malessere addebitandolo ai genitori: quindi, aveva raccontato i fatti alla madre su sollecitazione della stessa, preoccupata proprio per il contenuto dell'elaborato con il quale la ragazza aveva lanciato un j'accuse nei confronti dei genitori, rei di non aver seguito i figli (e non solo lei), assenti perche' troppo impegnati a litigare tra di loro, di non averle trasmesso i valori essenziali e di averla sottoposta a restrizioni sol perche' si era rasata i capelli, secondo la moda emo (diventando poco femminile). Quel tema, dunque, lungi dall'essere disvelatore di un trascorso di violenze, era un chiaro rimprovero a quei genitori che non le avevano indicato i comportamenti da mantenere nel suo percorso adolescenziale, permettendole di assumere scelte invero ardite in specie nel campo della sessualita', senza mai cercare il dialogo, senza mai indicare i valori relazionali, senza mai accettare di potersi mettere in discussione, arrivando sempre a colpevolizzare la figlia, al punto che la ragazza chiude quel tema, scrivendo che non avrebbe mai esternato loro queste sue valutazioni, per non sentirsi dire che "hai sempre sbagliato tu e non noi". Parallelamente, prima dell'estate 2015, la minore aveva iniziato un percorso con una psicoterapeuta, la dottoressa (OMISSIS), alla quale, al fine di superare i disturbi post traumatici, era costretta a riferire cosa aveva subito (sottoponendosi a terapie EMDR): la natura del trattamento psicoanalitico, chiarito e "validato", secondo la sentenza impugnata, dai testimoni (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (ma quest'ultima, si ritiene non poter essere affidabile sul punto, in quanto e' la medesima professionista che aveva effettuato il trattamento) si ritiene abbia, inevitabilmente ed inesorabilmente viziato (o falsato) il ricordo di (OMISSIS). Quanto al trattamento EMDR il ricorrente ribadisce le considerazioni gia' svolte dall'Avv. (OMISSIS), stigmatizzando la mancanza della prova documentale della registrazione delle sedute cui non puo' ovviarsi con la deposizione testimoniale dei consulenti, questione sulla quale la Corte di appello e' rimasta silente. Cosi' come e' rimasta silente sulle numerose violazioni della Carta di Noto in tema di metodo di ascolto e di reiterazione del racconto (almeno sette, escluso l'incidente probatorio) che imponevano una motivazione rafforzata, del tutto assente. L'elemento del "giudizio postumo" e la questione relativa al "tema in classe" introducevano elementi di sospetto sulla genesi spontanea del disvelamento avendo la ragazza riferito per la prima volta i fatti al proprio fidanzato che le chiedeva conto di cio' che si mormorava nel paese, cioe' dei numerosi rapporti sessuali avuti con piu' persone. Ed allora, era altamente probabile che (OMISSIS) avesse fornito una versione dei fatti capace di renderla "pulita" agli occhi di chi raccoglieva il racconto, superando cosi' l'elemento del giudizio. Ed ancora, sempre al momento del disvelamento, alla madre aveva riferito che era stata costretta a subire in silenzio perche' ricattata con video a sfondo sessuale: ebbene, di questo video, non si e' trovata mai traccia. Alla luce di tanto, andava rigorosamente valutato se (OMISSIS), avendo intrapreso una nuova relazione con un ragazzo estraneo a tutta la vicenda, volesse in qualche modo mantenere un'immagine socialmente accettabile, e in questo modo ha sottoposto ad una revisione (il livello di consapevolezza non e' qui di interesse), i ricordi dei motivi che l'hanno portata a prendere la decisione, rendendoli maggiormente negativi rispetto a quello che le sembravano nella immediatezza dell'accadimento. Per questo andava verificato se la minore non avesse inteso compiacere l'interlocutore ed adeguarsi alle sua aspettative, ricostruendo e focalizzandosi sulla genesi della notizia di reato, con rigoroso vaglio della prima dichiarazione del minore (che, se spontanea, e' la piu' genuina perche' immune da interventi intrusivi), su quali fossero state le reazioni emotive degli adulti coinvolti, quali le loro domande, nonche' se la narrazione si fosse amplificata nel tempo. In conclusione, dalla lettura della motivazione risulta evidente che non e' stata fornita risposta alle articolate censure proposte in appello, ma non solo: la decisione risulta di scarsa tenuta argomentativa e logica, nonostante letta in correlazione alla sentenza di primo grado, poiche' ne ribalta le premesse di partenza. Infatti, diversamente dal primo Giudice, la Corte di appello, ha negato qualunque rilevanza a fattori esterni inquinanti, confondendo (almeno cosi' appare) il profilo della capacita' di testimoniare con quello dell'attendibilita'. 4.4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), la violazione e l'erronea applicazione degli articoli 14 e 392 c.p.p., e la nullita' dell'incidente probatorio ai sensi dell'articolo 178 c.p.p., lettera a) e articolo 179 c.p.p.. La questione riguarda la conduzione dell'incidente probatorio da parte di due GIP (l'uno del Tribunale, l'altro del Tribunale per i minorenni) gia' posta dall'Avv. (OMISSIS) con il terzo motivo del suo ricorso. 4.5. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), l'inutilizzabilita' dei tabulati telefonici acquisiti in violazione dei divieti di legge. In particolare, eccepisce l'inutilizzabilita' patologica dei tabulati per contrasto della normativa interna, che ne consente l'acquisizione con decreto motivato del Pubblico Ministero (Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 132 c.d. "Codice della Privacy), con l'articolo 15, p. 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11, nonche' dell'articolo 52, p. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, alla luce della interpretazione fornita dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea, Grande Sezione, con sentenza del 2 marzo 2021 (causa C-746/18), nel caso H.K. Nel caso in questione i tabulati sono stati acquisiti su decreto motivato del pubblico ministero (e, dunque, non da un giudice) e per reati non gravi contro la criminalita' o posti a tutela della sicurezza pubblica. In subordine, solleva la questione di legittimita' costituzionale del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 132, comma 3, per violazione dell'articolo 117 Cost. con riferimento alla direttiva 2002/58/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002 - relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento e del Consiglio del 25 novembre 2009 letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11, nonche' dell'articolo 52, p. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. 4.6. Con il sesto motivo, relativo al capo A della rubrica, deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'inosservanza dell'articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 192 c.p.p., comma 2, e articolo 546 c.p.p., comma, 1, lettera e), nonche' l'illogicita' della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e da altri atti del procedimento, il travisamento della prova nella parte in cui la Corte d'Appello non ha minimamente valutato le plurime risultanze a favore dello (OMISSIS) e, comunque, non hanno enunciato le motivazioni per le quali le stesse dovessero essere ritenute non attendibili. La questione riguarda, precisa il ricorrente, il travisamento della prova e la mancanza di motivazione in ordine alla esatta collocazione temporale del fatto. Con l'atto di appello, si era evidenziato che il Tribunale aveva accertato che il (OMISSIS) all'epoca dei fatti aveva un telefono cellulare modello I-phone A6 come da perizia informatica effettuata sui dispositivi in uso agli imputati (pag. 205 sent. Trib). Per i primi Giudici, afferma, tanto riscontrava il narrato di (OMISSIS) che aveva dichiarato di aver dato un carica batteria di i-phone al (OMISSIS) quella notte: tuttavia, il dato era clamorosamente erroneo ed, anzi, rappresentava un elemento monumentale a favore della tesi difensiva poiche' quel modello di cellulare era entrato in produzione nel settembre 2014, tanto di per se' dimostrava, inesorabilmente, la falsita' (o l'erroneita') delle dichiarazioni. Tale deduzione e' stata totalmente negletta dalla Corte di appello. Un ulteriore aspetto riguarda la consulenza tecnica dell'Ing. (OMISSIS) (sul punto si rimanda alle stesse argomentazioni sviluppate dall'Avv. (OMISSIS) con il primo motivo di ricorso a sua firma). Deduce, altresi' (motivo 6.1) ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 609-septies c.p. e articolo 12 c.p.p. in ordine alla ritenuta connessione tra il reato di cui al capo A e gli altri reati procedibili d'ufficio. Gli argomenti a sostegno della deduzione sono analoghi a quelli oggetto del nono motivo del ricorso a firma Avv. (OMISSIS) in ordine alla necessita' di una connessione forte e qualificata, ai sensi dell'articolo 12 c.p.p., ai fini della procedibilita' d'ufficio ex articolo 609 septies c.p.. 4.7. Con il settimo motivo - che riguarda il reato di cui al capo B - deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'inosservanza dell'articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 192 c.p.p., comma 2, e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), nonche' l'illogicita' della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e da altri atti del procedimento, e il travisamento della prova nella parte in cui la Corte d'Appello non ha minimamente valutato le plurime risultanze a favore del ricorrente e, comunque, non hanno enunciato le motivazioni per le quali le stesse dovessero essere ritenute non attendibili. Oggetto di doglianza e' l'omessa valutazione della posizione del ricorrente alla data e all'ora del fatto (come risultante dalla consulenza dell'Ing. (OMISSIS)), alla dinamica del fatto (spostamento della minore dal sedile posteriore a quello anteriore lato passeggero, occupato dal (OMISSIS) che, contestualmente, seppur alto 1,90 mt. si sposta su quello lato guida, per cedere il posto al ricorrente che si posiziona su di lei) e alle modalita' di chiusura dell'autovettura (centralizzata e non con sicura tradizionale). 4.8.Con l'ottavo motivo - che riguarda il reato di cui al capo D - deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'illogicita' della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e da altri atti del procedimento, il travisamento della prova nella parte in cui la Corte d'Appello non ha minimamente valutato le plurime risultanze a favore del ricorrente e, comunque, non ha enunciato le motivazioni per le quali le stesse dovessero essere ritenute non attendibili. Travisamento della prova in ordine all'aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1). Gli argomenti a sostegno della doglianza sono analoghi a quelli oggetto del dodicesimo motivo del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 4.9. Con il nono motivo - che riguarda il reato di cui al capo E - deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), il travisamento della prova e la contraddizione della motivazione. Gli argomenti sono gia' oggetto del primo, settimo e tredicesimo motivo del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS) con riferimento: a) alla impossibilita' materiale che il fatto sia avvenuto per come ricostruito in sentenza (avuto riguardo alla ricostruzione dei movimenti dello (OMISSIS) secondo la CT (OMISSIS) e al travisamento del relativo risultato probatorio); b) alla illogicita' del procedimento gnoseologico seguito nella valutazione della prova (la predilezione del dato rinveniente dall'aggancio alle celle telefoniche rispetto a quello derivante dalla geolocalizzazione GPS). 4.10. Con il decimo motivo - che riguarda i capi F e H - deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 600-quater c.p. in tema di cd. "pornografia domestica". Deduce che in appello era stata chiesta l'esclusione della propria penale responsabilita' perche', ricorrendo un'ipotesi di c.d. pornografia domestica, difettava il presupposto della "utilizzazione" della minore e, dunque, l'elemento costitutivo del reato. Tanto era stato chiesto posto che: a) le foto incriminate, raffiguranti la minorenne (ma ultraquattordicenne), erano state scattate direttamente da quest'ultima, senza l'intervento di alcuno e, poi, dalla minore scambiate con terzi, tra i quali vi e' l'odierno ricorrente; b) dalle molteplici conversazioni versate in atti (e cosi' come riportato in sentenza dal Tribunale), emergeva chiaramente che (OMISSIS) e l'imputato si scambiavano, tramite WhatsApp, reciprocamente delle immagini pornografiche. Dunque, vi erano alcune occasioni in cui gli imputati sollecitavano la minore all'invio delle fotografie-autoscatti; mentre, in altri casi era la stessa minore, sua sponte, ad inviare autoscatti in pose pornografiche. L'invio di quelle immagini rappresentava la manifestazione della autodeterminazione di (OMISSIS), che consapevolmente e volontariamente scambiava quelle immagini erotiche con l'imputato. Richiamata la sentenza di questa Corte, Sez. U, n. 51815/2018 e la decisione quadro del Consiglio n. 2004/68/GAI del 22 dicembre 2003, afferma che manca nel caso di specie l'utilizzazione del minore, nel senso della sua strumentalizzazione, laddove la Corte di appello ha fatto esclusivo riferimento al fatto che la persona offesa fosse minore di diciotto anni di eta', cosi' smarcandosi dalle argomentazioni difensive volte a dimostrare che lo scambio di foto era avvenuto nell'ambito di una relazione "paritaria" (tra e) con l'odierno ricorrente, secondo una prassi (lo scambio di foto pornografiche) che la minore aveva riferito di aver tenuto anche con i precedenti ragazzi con i quali aveva avuto una relazione. Lo scambio di immagini pornografiche tra (OMISSIS) e (OMISSIS) va dunque inquadrato nel contesto di un rapporto privato di contenuto erotico, quale potrebbe avvenire tra adulti consenzienti poiche' l'eta' della giovane, ultra quattordicenne all'epoca dei fatti, era tale da rendere valido il suo consenso al contatto privato di natura sessuale. Tant'e' che lo stesso Tribunale aveva escluso la sussistenza dell'ipotizzato reato di violenza privata contestata al capo G per la mancanza di condotte minacciose volte a ottenere i fotogrammi di cui si discute. Peraltro, sempre in primo grado, il ricorrente (e lo (OMISSIS)) erano stati assolti dal reato di cui al capo I (articolo 609-octies c.p.) perche' la persona offesa "non poteva assurgere agli occhi dei due imputati quale mero strumento utilizzato per dare sfogo ad un loro atteggiamento aggressivo. Ella si mostrava infatti non solo collaborativa, ma anche propositiva". Dunque, sostiene il ricorrente, se nello stesso arco temporale in cui si e' ritenuto che la minore era propositiva e consenziente in ordine agli incontri sessuali, allora tale consenso (indice inequivocabile della mancata "utilizzazione" della minore) non poteva non involgere anche gli autoscatti pornografici, in assenza di induzione, minaccia o coartazione (e quindi di "strumentalizzazione"). Per gli stessi motivi sopra indicati viene censurata la conferma della condanna anche per il reato di cui al capo H. 4.11. Con l'undicesimo motivo - che riguarda il capo M ed e' articolato in tre sub motivi - deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la manifesta illogicita' della motivazione anche rispetto alle risultanze probatorie acquisite al processo. Premessa la mancanza di specifiche consulenze tecniche, afferma di aver investito la Corte di appello delle seguenti criticita': l'adolescente, per come anche precisato dal consulente di parte, aveva evidenziato una spiccata ipersessualita', tanto che la stessa gia' a partire dall'eta' di undici anni aveva avuto rapporti sessuali con uomini di ogni eta', nonche' precedenti rapporti consenzienti con gli stessi imputati; - al momento della realizzazione delle condotte, gli imputati si rappresentavano una ragazza con una personalita' sessuale molto piu' sviluppata di quanto ci si potesse normalmente aspettare da una ragazza, della sua eta', non avendo, ella, mai mostrato timidezza, ne', tantomeno, imbarazzo e disagio; anzi, in piu' di un'occasione, aveva manifestato (e gli screenshot ne sono la conferma) il suo appagamento per i rapporti sessuali (anche di gruppo) avuti con gli imputati, che spesso venivano da lei sollecitati in tal senso; - gli imputati sono stati assolti dai reati di cui ai capi C), G), I), J), N), O), P), proprio per l'assenza di minacce e/o per la consensualita' dei rapporti (o irriconoscibilita' del dissenso). In presenza di tali presupposti, gli imputati non potevano rappresentarsi la possibilita' di causare le lesioni contestate al capo M. Ebbene, afferma, di questi aspetti la Corte territoriale non ha tenuto conto, nemmeno per confutarli, quasi a ritenere sufficiente la responsabilita' oggettiva. In alcun passo motivazionale si rinviene l'esame degli specifici rilievi difensivi mossi con l'atto d'appello, con la totale assenza di prova in ordine alla avvenuta rappresentazione e volizione del fatto; parimenti, la Corte territoriale non effettua alcun vaglio sull'idoneita' causale degli atti e sulla univocita' della loro destinazione, che devono essere valutate "ex ante", considerando tutte le modalita' e le circostanze effettive e concrete della fattispecie, compreso l'"elemento del giudizio" introdotto dal fidanzatino (OMISSIS), che non solo ne aveva sollecitato il disvelamento (contestualmente al quale iniziavano gli atti lesivi), ma aveva morbosamente iniziato a chiederle conto su cio' che si mormorava in paese (cioe' dei numerosi rapporti sessuali avuti con piu' persone). Cio' nonostante, la Corte di appello non solo ha ritenuto la idoneita' degli elementi a carico, ma ha anche "sorvolato" sulle contraddizioni emergenti, puntualmente evidenziate dalla difesa. Manca (e non e' stato individuato) un effettivo, specifico e riscontrato apporto del ricorrente all'attuazione della condotta delittuosa, poiche' dalla motivazione della gravata sentenza si deduce che l'affermazione di responsabilita' (e prima ancora, la formulazione dell'imputazione) e' intervenuta in assenza di prove rappresentative delle condotte contestate, ed anzi in assenza della stessa identificazione di condotte, concretamente individuate, che siano riconducibili al paradigma dell'articolo 110 c.p., proprio perche' il difetto principale della pronuncia impugnata e' insito nella sua stessa struttura argomentativa che accomuna indistintamente (e ne e' riprova l'identita' del trattamento sanzionatorio) la posizione di entrambi gli imputati, cosi' che la responsabilita' personale viene sostituita con la "colpa d'autore", sol perche' ritenuti colpevoli dei delitti contemplati "ai capi precedenti". I Giudicanti avrebbero dovuto necessariamente indicare e dimostrare con quale modalita' si fosse concretizzata la consapevolezza del ricorrente nella realizzazione della condotta delittuosa, ed invece si constata una forte componente congetturale nella concatenazione degli assunti, in relazione agli episodi "che precedono" e alla scansione delle sue varie successive fasi (dipanatesi per quasi due anni); in assenza di elementi di prova del concorso del ricorrente idonei a dimostrare con sufficiente precisione una sua partecipazione all'evento contestato al capo M), le sentenze di merito paiono trincerarsi, tra le righe, dietro l'enunciato " (OMISSIS) e (OMISSIS) non potevano non prevedere le lesioni". Con il motivo 11.1. deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale sostanziale in relazione alla mancata riqualificazione del fatto di cui al capo M nella fattispecie di cui all'articolo 586 c.p.. La Corte di appello ha implicitamente rigettato la richiesta di riqualificazione del reato di cui al capo M ritenendo corretto il giudizio del tribunale sul punto. Richiamando Sez. U, n. 22676 del 22/01/2009, ritiene necessario che il criterio di imputazione della conseguenza lesiva deve essere legato a un coefficiente di prevedibilita' concreta degli elementi piu' significativi della fattispecie. Ma, ammonisce, la violazione della regola cautelare da cui scaturisce la colpa, non deve essere quella che incrimina il delitto doloso di base; quindi, nel caso in esame, deve essere una norma diversa da quella che incrimina la violenza sessuale e/o gli atti sessuali con minorenne. E' evidente, afferma, il malgoverno della legge penale sostanziale fatto dalla Corte territoriale, laddove ha ravvisato, in via automatica, il coefficiente psicologico doloso eventuale sol perche' il ricorrente ha agito in un territorio illecito (violenza sessuale), quasi a "strumentalizzare" fatti del passato per accollargli una pena idonea secondo la logica della c.d. pena esemplare. Dunque, pacifico che l'evento (se ritenuto sussistente il nesso causale) sia frutto di concause (per come espressamente riconosciuto da entrambe le sentenze) l'odierno ricorrente, rispondera' per colpa dell'esito ulteriore (lesioni) poiche', in virtu' della ipersessualita' della persona offesa nonche' dei precedenti rapporti consenzienti (anche di gruppo) con gli stessi imputati, ha ignorato, al piu' per colpa, che le fragilita' pregresse della persona offesa, in uno con le condotte poste in essere, avrebbero potuto causarle uno stato ansioso e un disturbo post traumatico da stress con gesti autolesivi. Con il motivo 11.2, deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione della circostanza aggravante di cui all'articolo 576 cpv. c.p., n. 5, ritenuta dalla Corte di appello sul rilievo che il fatto (lesioni da stato ansioso e disturbo post traumatico da stress con gesti autolesivi) era stato commesso dagli imputati in occasione dell'esecuzione di delitti contro la liberta' personale di cui agli articoli 609-quater e 609-octies c.p.. Orbene, la lettera dell'articolo 576 c.p., comma 1, n. 5, considera applicabile l'aggravante solo al caso in cui la lesione sia compiuta contestualmente al delitto sessuale. Quando la Corte di appello afferma che le lesioni sono il risultato anche degli altri reati commessi dagli imputati sottende, inevitabilmente, la non contestualita' delle lesioni alle violenze sessuali poste in essere, giacche' il fatto che esse siano state causate (anche) da altri reati, non consente di ritenere che esse fossero contemporanee agli atti di violenza sessuale ne' ad essi univocamente riconducibili. 4.12. Con il dodicesimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'erronea applicazione degli articoli 2, 62-bis, 133 c.p., e articolo 536 c.p.p., comma 1, lettera e), la carenza di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche e l'erronea commisurazione della pena. La Corte di appello, afferma, si e' affidata a una vera e propria clausola di stile che non puo' essere valorizzata al punto tale da ritenere soddisfatto l'onere di motivare, per quanto attenuato, che incombe sul giudicante, poiche' non ha correttamente valutato la vicenda complessivamente intesa. Difatti, l'esame delle singole vicende attesta una sostanziale e non generalizzata elevata gravita', atteso che gli episodi si sono innestati in un contesto di rapporti, anche di gruppo, consenzienti, tanto che il ricorrente riporta assoluzione per plurimi capi di imputazione; e' smentito che vi fosse una minaccia (con correlato timore della minore), tanto che spesso la minore sollecitava lo (OMISSIS) (o i coimputati) ad avere rapporti sessuali e a scambiare foto hot. Il ricorrente, ove confermato il giudizio di penale responsabilita', non giudica affatto i vari fatti "poco gravi". Ma allo stesso tempo i singoli fatti non sono, all'interno delle singole fattispecie astratte, "particolarmente gravi", tanto che la pena base si e' assestata ai minimi edittali. 4.13. Con il tredicesimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), l'inosservanza o l'erronea applicazione dell'articolo 185 c.p. in relazione alle statuizioni civili di condanna. Afferma che l'eventuale danno non e' univocamente riconducibile all'imputato, poiche' gli stessi giudicanti riconoscono che l'evento lesivo e' dovuto ad una serie di concause (ex articolo 41 c.p.). Il risarcimento del danno non e' dovuto neppure per il trasferimento della PO in altra citta' disposto, in via cautelare, prima ancora dell'accertamento della penale responsabilita', atteso che, nel corso del procedimento e' emerso che non vi e' mai stato alcun ricatto con video/foto ne' alcuna "minaccia implicita derivante dall'essere (OMISSIS) figlio di (OMISSIS)". Difatti gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati assolti (oltre che dai reati di cui ai capi G ed I, contemplanti la minaccia) anche dall'imputazione di cui al capo P (stalking), l'unico che avrebbe potuto giustificare siffatta voce di danno. Del resto e' lo stesso Tribunale a riconoscere che non v'era "alcuno stato di soggezione ovvero di timore della minore", sicche' e' evidente che il disposto trasferimento non aveva (e non ha) ragion d'essere e, dunque, non e' addebitabile, almeno in termini economici, agli imputati. Sono inoltre ingiustificate, conclude, le "provvisionali" riconosciute ai genitori ed al fratello della persona offesa e al Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza della Regione Calabria. 4.14. Il ricorrente ha presentato motivi nuovi di ricorso relativamente a inutilizzabilita' dei tabulati (1 motivo nuovo) e alla insussistenza reati capi F-H (2 motivo nuovo). Gli argomenti sono gli stessi utilizzati dallo (OMISSIS) nei suoi motivi nuovi (infra). 5. (OMISSIS) propone dodici motivi. 5.1. Con il primo deduce gli stessi vizi dedotti dallo (OMISSIS) con il primo motivo di ricorso dell'Avv. (OMISSIS). 5.2. Anche il secondo motivo propone gli stessi argomenti dedotti dallo (OMISSIS) con il secondo motivo di ricorso dell'Avv. (OMISSIS). 5.3. Con il terzo motivo deduce gli stessi vizi dedotti dallo (OMISSIS) con il corrispondente motivo di ricorso dell'Avv. (OMISSIS). 5.4. Con il quarto motivo deduce gli stessi vizi dedotti dallo (OMISSIS) con il quarto motivo di ricorso dell'Avv. (OMISSIS). 5.5. Con il quinto motivo deduce gli stessi vizi dedotti dallo (OMISSIS) con il quinto motivo di ricorso dell'Avv. (OMISSIS) e propone la medesima questione di legittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 132. 5.6. Con il quinto (rectius, sesto) motivo deduce gli stessi vizi dedotti dallo (OMISSIS) con il nono motivo di ricorso dell'Avv. (OMISSIS). 5.7. Con il sesto (rectius, settimo) motivo deduce gli stessi vizi dedotti dallo (OMISSIS) con il decimo motivo di ricorso dell'Avv. (OMISSIS). 5.8. Con il settimo (rectius, ottavo) motivo, relativo al capo L della rubrica, deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), l'illogicita' e la contraddittorieta' della motivazione a seguito di travisamento della prova, e l'omessa enunciazione delle ragioni relative all'inattendibilita' delle prove a discarico, nonche' la contraddittorieta' della motivazione risultante da altri atti del processo. Osserva che, con specifico motivo di appello, era stato evidenziato che, in ordine al fatto rubricato al capo L) dell'imputazione, il ricordo della ragazza risultava viziato per una serie di imprecisioni ed incongruenze tutt'altro che marginali. In un clima ascendente di contraddizioni, afferma, inizialmente non ricordava neppure se quel giorno avesse avuto un rapporto sessuale con il ricorrente e cio' nonostante l'episodio fosse stato definito come il "piu' brutto dei piu' brutti". L'incertezza del ricordo era tale che tra i protagonisti della violenza aveva incluso anche lo (OMISSIS) (estraneo all'addebito). La Corte di appello era stata altresi' sollecitata a esaminare le seguenti ulteriori incongruenze: l'esistenza di un cancello posizionato proprio all'inizio della salita che porta alla casa di (OMISSIS), nel punto piu' vicino all'abitazione dei parenti di (OMISSIS): poiche' aveva compreso che il (OMISSIS) era uno strumento del suo aguzzino e che la stava conducendo proprio dallo (OMISSIS), appariva strano che non fosse scesa dall'autovettura (la macchinina si sarebbe dovuta fermare, all'inizio della salita, attendendo che le due ante del cancello si aprissero), raggiungendo l'abitazione dei suoi parenti; - la discrepanza nella collocazione dello sfogo liberatorio all'amica (OMISSIS), che in sede di SIT sostenne essere avvenuto di pomeriggio, mentre (OMISSIS) aveva dichiarato di essere stata riaccompagnata da (OMISSIS) direttamente dall'amica; - dai tabulati emergeva chiaramente che sul cellulare dei due imputati e su quello della parte offesa si era registrato un considerevole traffico telefonico durante la riferita violenza; - l'esistenza di screenshot confermanti un rapporto di natura sessuale tra la PO e (OMISSIS), tra cui uno del (OMISSIS) (data della violenza), nel quale (OMISSIS) (che ha affermato che dopo questo episodio di violenza aveva troncato ogni rapporto con gli imputati) scherza con il (OMISSIS), giocando sul loro rapporto sentimentale. La Corte territoriale ha rigettato il motivo di appello travisando: a) gli screenshot presentati dalla difesa relativi ad uno scambio di messaggi avvenuto tra la (OMISSIS) e l'imputato nel pomeriggio del 14/02/2015 (successivamente, cioe', alla consumazione della violenza); b) i tabulati telefonici delle utenze dei tre soggetti coinvolti nella vicenda. Quanto allo scambio di messaggi avvenuto tra la (OMISSIS) e l'imputato nel pomeriggio del (OMISSIS), successivamente, cioe', alla consumazione della violenza, osserva che nella conversazione in questione la PO aveva chiesto al (OMISSIS) se lui la stesse prendendo in giro e il ragazzo, per tutta risposta, l'aveva rassicurata sulla serieta' delle proprie intenzioni. Il tono disteso della conversazione e il fatto che i due interlocutori si fossero anche inviati emoticons affettuosi rappresentanti baci, dimostrano, afferma, che, in realta', quel giorno non si era consumata alcuna violenza. La Corte di appello ha travisato il dato avendo sostenuto che la PO aveva affermato che i messaggi in questione erano precedenti il fatto e che era ben possibile che la stessa li avesse scaricati proprio quel giorno in contrasto con quanto avvenuto. La PO infatti, sentita dai GIP, aveva affermato che lo screenshot era stato fatto subito, nello stesso orario; la minore ha chiaramente affermato che la conversazione e' avvenuta nello stesso orario in cui e' stato eseguito lo screen shot. Quanto alle risultanze dei tabulati telefonici, era emersa l'incompatibilita' dei traffici tra le utenze della PO e dei suoi aggressori, incongruente con la contestuale consumazione del reato. Ed, infatti, tre le ore 11,12 e le ore 12,15 (orario in cui le tre utenze agganciavano la stessa cella) di quel (OMISSIS), sul cellulare dei due imputati e su quello della PO era stato registrato un notevole traffico telefonico. Era stato altresi' dedotto che il cellulare di (OMISSIS) alle ore 11,23 (nonche' in frangenti successivi e fino alle 12,25), orario ritenuto compatibile con la perpetrazione della violenza, aveva agganciato altra "cella", in via (OMISSIS). Orbene, afferma il ricorrente, la Corte di appello utilizza un dato "introdotto" dalla difesa, avente efficacia deflagrante in ottica assolutoria, distorcendolo, giungendo ad affermare un fatto mai emerso neppure nel corso del giudizio di prime cure (e ne', tantomeno, nel corso dell'incidente probatorio): che gli imputati, con evidente disprezzo per la P.O., effettuassero telefonate durante i rapporti sessuali. Ne' poteva essere considerato elemento di riscontro il fatto che le tre utenze fossero agganciate alla stessa cella attesa la non univocita' dei dati derivanti da tale circostanza. V'e' piuttosto da evidenziare che la sola utenza della minore, alle ore 11,23 (in orario in cui sarebbe stato perpetrato il reato) di quel medesimo giorno, aveva agganciato altra cella, quella di via (OMISSIS). Oltre a cio', quell'episodio e' connotato da particolare di rilevanza pregnante, poiche' l'elemento qualificante sarebbe stato lo sguardo di (OMISSIS), incutente quel timore che le aveva ricordato la prima subita violenza (quella del 10 marzo 2014). Orbene, se quel primo episodio, per come documentalmente accertato, non si e' mai verificato, se lo stesso Tribunale e' costretto ad ammettere che la minore non aveva alcun timore dell'aggressivita' dello (OMISSIS) al punto che lo derideva, appare ben arduo che quel comportamento (connotato da forte suggestione) possa aver inculcato nella vittima quel timore rievocativo. 5.9. Con l'ottavo (rectius: nono) motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la contraddittorieta' della motivazione in relazione alla applicazione, al reato di cui al capo L della rubrica, della circostanza aggravante di cui all'articolo 112 c.p., comma 1, n. 4), e comma 2, nonche' di quella di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5)-sexies. Premette che il Tribunale aveva assolto lo (OMISSIS) e lo (OMISSIS) dai reati loro ascritti ai capi I, 3 e K per la mancanza di prova, oltre ogni ragionevole dubbio, della riconoscibilita' da parte degli stessi del dissenso manifestato dalla minore che aveva assunto, in quel periodo, un atteggiamento ambiguo e contraddittorio, difficilmente interpretabile da parte degli imputati. Tale periodo andava ricompreso tra il (OMISSIS). Orbene, se il periodo di collocazione temporale tra le condotte di cui ai capi I, 3, e K e la condotta contestata all'odierno ricorrente e' del tutto coincidente, il ricorrente si chiede (e pone il quesito alla Corte) per quale motivo per l'episodio di cui al capo L, pure commesso all'interno dell'arco temporale di riferimento, le ragioni a sostegno dell'assoluzione non valgano anche per esso. L'annullamento della sentenza limitatamente al capo L travolge, afferma, anche il capo M. 5.10. Con il nono (rectius, decimo) motivo, che riguarda il capo M della rubrica, deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), l'inosservanza e/o l'erronea applicazione degli articoli 15 e/o 84 c.p. in relazione alla circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5)-sexies. Nel disattendere l'analogo motivo di appello (violazione del divieto di bis in idem), la Corte territoriale non ha colto minimamente il fulcro della censura e cioe' che il medesimo fatto storico e' giudicato due volte nella medesima pronuncia, questione risolvibile applicando l'articolo 84 c.p.: la condotta e l'evento che hanno condotto a ritenere la sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., n. 5-sexies sono pienamente sovrapponibili a quelli che sorreggono la fattispecie di lesioni da stato d'ansia e disturbo post traumatico da stress di cui al capo M della rubrica (con assoluta contestualita' d'azione). La fattispecie di lesioni (capo M) non concorre formalmente con la violenza sessuale di gruppo aggravata dalla circostanza dalla circostanza di cui all'articolo 609-ter c.p., n. 5)-sexies, bensi' ne rimane assorbita, merce' l'applicazione della disciplina del reato complesso. Con il nono.1 (rectius, decimo.1) motivo deduce, sempre in relazione al capo M, l'inosservanza e/o l'erronea applicazione dell'articolo 576 c.p., n. 5). Al riguardo richiama gli argomenti sviluppati dall'Avv. (OMISSIS) con il motivo undici.2 del ricorso dello (OMISSIS). Con il nono.2 (rectius, decimo.2) motivo deduce gli stessi argomenti sviluppati dall'Avv. (OMISSIS) con il motivo undicesimo del ricorso dello (OMISSIS). Con il nono.4 (rectius, decimo.3) motivo deduce gli stessi argomenti sviluppati dall'Avv. (OMISSIS) con il motivo undicesimo.1 del ricorso dello (OMISSIS). 5.11. Con il decimo (rectius, undicesimo) motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'erronea applicazione degli articoli 2, 62-bis, 133 c.p., e articolo 536 c.p.p., comma 1, lettera e), e carenza di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche e l'erronea commisurazione della pena. Utilizzando gli argomenti gia' sviluppati a sostegno del dodicesimo motivo del ricorso dello (OMISSIS) a firma dell'Avv. (OMISSIS), lamenta il ricorso a clausole di stile per disattendere la motivata richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti generiche. 5.12.Con l'undicesimo (rectius, dodicesimo) motivo deduce gli stessi argomenti dell'ultimo motivo del ricorso dello (OMISSIS) a firma dell'Avv. (OMISSIS). Lo (OMISSIS) ha presentato anche motivi nuovi di ricorso. 5.12.1. Il primo motivo aggiunto sviluppa gli argomenti oggetto del terzo motivo del ricorso introduttivo relativo alla valutazione della testimonianza resa dalla PO anche nella prospettiva dei criteri sanciti dalla Carta di Noto e alla inutilizzabilita' delle dichiarazioni della persona offesa. Plurime, afferma, sono le violazioni della Carta. In particolare, ne sono stati violati i punti 1 (censurabile la scelta di non aver attivato immediatamente l'incidente probatorio), 9 (che ritiene opportuno procedere all'audizione in sede di S.I.T. solo in caso di necessita' ovvero quando gli elementi probatori non siano sufficienti per proseguire l'azione penale), 3 (essendo stata svolta terapia di sostegno psicologica durante la formazione della prova e non successivamente), 7 (l'esperto che coadiuva il magistrato nella raccolta della testimonianza deve essere diverso dall'esperto incaricato della verifica dell'idoneita' a testimoniare; nel caso in esame la Dott.ssa (OMISSIS) ha coadiuvato il PM ex articolo 351 c.p.p., comma 1-ter, e alla stessa era stato poi conferito incarico per valutare l'attendibilita' e la personalita' della minore p.o.). La Corte di appello non si e' uniformata alle metodiche della Carta di Noto, ma nemmeno ha ritenuto di offrire argomenti giustificativi del ridetto scostamento, producendo cosi' un vizio di carenza assoluta della motivazione. Quanto alla inutilizzabilita' delle dichiarazioni della PO siccome frutto di domande suggestive e nocive, ribadisce che la genuinita' del prodotto dichiarativo, su cui si fonda il giudizio di credibilita', e' ineluttabilmente pregiudicata a monte da un orizzonte costellato di domande suggestive e soprattutto nocive, innervate sul rischio - forse nemmeno piu' valutabile ex post - dell'inquinamento causato dalla terapia EMDR e dalle ripetute violazioni della Carta di Noto per tutto il corso dell'iter procedimentale di acquisizione e, quindi, di valutazione della prova. L'unico rimedio possibile era il recupero della prova in appello mediante la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, ma tutte le istanze difensive sono state rigettate sul presupposto che la minore eta' della vittima e la sua particolare vulnerabilita', ai sensi dell'articolo 90-quater c.p.p., una volta divenuta maggiorenne, consentissero/imponessero il rifiuto di rinnovazione ai sensi dell'articolo 190-bis c.p.p. anche per assenza di fatti o circostanze nuove da approfondire. Eppure, afferma, proprio i difetti e le lacune nella genesi di quel dichiarato rappresentano una specifica esigenza di riedizione della prova, che andava esaminata - essendovene la possibilita' - in un contraddittorio pieno e provando a ripulire il quadro da fattori di contaminazione che non comportano necessariamente il mendacio, ma, anzi, con piu' alta probabilita' sono generati da metodiche improvvisate e contrarie ai criteri condivisi dalla comunita' scientifica, mai compensati, come sopra segnalato, da argomentazioni serie a sostegno. Tanto piu' in un caso come l'attuale in cui l'originario disegno delle imputazioni appare largamente rimaneggiato dal filtro dibattimentale, che ha saputo gia' disvelare le criticita' probatorie, rese piu' rischiose dall'assenza di rigore nel metodo. Viene in gioco, afferma, il diritto dell'accusato di essere messo a confronto con i testimoni in presenza del giudice che da ultimo decide, diritto di matrice convenzionale e unionale che non tollera limitazioni nella fase dibattimentale. Il processo e' palesemente iniquo alla luce della normativa sovranazionale, mentre, per i profili domestici, esso si conclude con una motivazione del tutto illogica quanto all'esclusione della rinnovazione e solo apparente quanto alla declaratoria di responsabilita', fondato com'e' sulla palese violazione dell'immediatezza, quale unico canone potenzialmente in grado di recuperare al processo l'equilibrio e la genuinita' della prova cardine proposta dall'accusa. L'esigenza di una rinnovata audizione della PO si alimentava anche della mancata videoregistrazione delle sue dichiarazioni 5.12.2. Il secondo motivo aggiunto torna sull'argomento dedotto con il quinto motivo del ricorso introduttivo (inutilizzabilita' dei tabulati) e muove dalla sentenza di questa Corte di cassazione, Sez. 2, n. 28523/2021 secondo cui le limitate finalita' sottese all'acquisizione dei dati (accertamento e repressione di reati) non viola la normativa sulla privacy, considerando anche che il P.M. nello stato Italiano costituisce Autorita' indipendente. Secondo questa sentenza "l'attivita' interpretativa del significato e dei limiti di applicazione delle norme comunitarie, operata nelle sentenze CGUE, puo' avere efficacia immediata e diretta nel nostro ordinamento limitatamente alle ipotesi in cui non residuino, negli istituti giuridici regolati, concreti problemi applicativi e correlati profili di discrezionalita' che richiedano l'intervento del legislatore nazionale, tanto piu' laddove si tratti di interpretazioni di norme contenute nelle direttive". Sennonche', il legislatore e' intervenuto con Decreto Legge n. 132 del 2021 che, in sede di conversione, ha introdotto una disciplina transitoria che, afferma il ricorrente, non e' immune da censure di legittimita' costituzionale perche' finisce per validare, di fatto, (con il solo discrimine del limite edittale o della tipologia del reato) l'acquisizione dei tabulati gia' disposta (con (solo) decreto motivato) dal Pubblico Ministero. Dunque, da un lato, il legislatore riconosce "per tabulas" (mediante l'introduzione della nuova disciplina) l'illegittimita' della acquisizione dei tabulati disposta (sulla scorta della vecchia normativa) con decreto motivato del pubblico ministero; dall'altro lato, irragionevolmente, fa salve le acquisizioni gia' avvenute (illegittimamente, quindi) antecedentemente all'entrata in vigore del citato decreto legge. L'utilizzabilita' o meno dei tabulati gia' acquisiti non e' un problema di retroattivita' (o di disciplina transitoria), ma di rapporti tra norma interna e norma sovranazionale. Di qui il quesito posto a questa Corte se sia possibile ritenere legittima l'acquisizione di tabulato(i) acquisito(i) sulla scorta di norma che, nel momento in cui e' stata disposta l'acquisizione, si poneva in contrasto con la normativa sovranazionale (tanto da essersi resa necessaria una modifica legislativa proprio al fine di (ri)allinearla al diritto sovranazionale-comunitario). Oltretutto, che i tabulati possano essere utilizzati (per fondare la penale responsabilita') solo unitamente ad altri elementi di prova era un dato gia' assolutamente consolidato nella giurisprudenza di legittimita' che non necessitava di alcuna introduzione legislativa. Insiste, pertanto, nella gia' dedotta questione di legittimita' costituzionale e sollecita, in subordine, la richiesta di rinvio pregiudiziale, ex articolo 267 TFUE, sulla seguente questione: se l'articolo 15, p. 1, della direttiva 2002/58, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonche' dell'articolo 52, p. 1, della Carta di Nizza, in forza anche dei principi stabiliti dalla stessa CGUE nella sentenza del 2 marzo 2021 nella causa C746/18, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, quale quella prevista dal Decreto Legge n. 132 del 2021, articolo 1, comma 1-bis, (convertito con la L. 23 novembre 2021, n. 178), che consente l'utilizzabilita' dei tabulati acquisiti nei procedimenti penali, con decreto motivato del Pubblico Ministero (autorita' non connotata da terzieta' e neutralita'), in data precedente alla data di entrata in vigore del sopra citato Decreto Legge n. 132 del 2021). 5.12.3. Il terzo motivo aggiunto ribadisce gli argomenti oggetto del quinto (rectius, sesto) motivo del ricorso introduttivo relativamente, con riferimento al capo E) della rubrica, al travisamento della consulenza dell'Ing. (OMISSIS), prova sconosciuta al primo Giudice e vagliata, per la prima volta, dalla Corte di appello. Si ribadisce, ancora una volta, l'inconciliabilita' del dato rinveniente dall'esame delle celle agganciate dal telefono cellulare dello (OMISSIS) con quello derivante dall'esame del rilevamento geosatellitare e dalla connessione alle reti wi-fi della propria abitazione e della sala giochi di via Nazionale, dato che prova l'inattendibilita' delle dichiarazioni della persona offesa non solo in relazione allo specifico episodio ma a tutto il narrato. Lo svilimento probatorio del dato, sol perche' frutto di una verifica a campione, non rende la sentenza impugnata immune dalle seguenti criticita': - non e' spiegato in che maniera la modalita' a campione incida sul risultato della verifica (forse - afferma il ricorrente - perche' non incide affatto); - le rilevazioni del consulente (OMISSIS), contrariamente a quanto sostenuto, sono inoppugnabilmente dotate di precisione elevata dacche' sono certi l'aggancio della rete wi-fi, il suo tempo e il ristretto perimetro di copertura di tale rete e, comunque, per ragioni tecniche evidenti, la precisione di tali rilevazioni certamente molto piu' elevata di quella assegnabile alle rilevazioni della PG, che si riferisce alle celle radiobase; - nessuna rilevanza ha il fatto che lo studio abbia interessato solo uno dei due cellulari. La storia tracciata dalla imputazione e dalle dichiarazioni della persona offesa li vuole entrambi sul posto in contemporanea: se una prova contraddice cio' essa disarticola insieme la teoria del processo e la credibilita' della fonte probatoria. L'apparente convergenza decisoria tra i due provvedimenti giurisdizionali non puo' fino in fondo dissimulare la effettiva fragilita' delle argomentazioni complessivamente utilizzate con riferimento specifico alla ricostruzione del fatto e non potra' quindi concretamente venire in soccorso dei deficit motivi del provvedimento di appello (ai quali, nel ricorso principale, e' stata dedicata puntuale attenzione). 5.12.4. Il quarto motivo aggiunto riguarda l'argomento oggetto del settimo motivo di ricorso in tema di cd. "pornografia domestica" e richiama a suo fondamento la recente sentenza delle Sezioni Unite del 28/10/2021 a sostegno della assenza di una qualsiasi condotta di "utilizzazione" "coartazione" della persona offesa nel libero invio, "sua sponte", di fotografie altrettanto liberamente autoprodotte. 5.12.5. Il quinto motivo aggiunto riguarda gli argomenti oggetto del nono motivo del ricorso introduttivo relativi alla erronea applicazione degli articoli 15/84 c.p. (reato complesso circostanziato) con riferimento alle lesioni contestate al capo M (stato ansioso e disturbo post traumatico da stress) siccome interamente assorbite, si ribadisce, dalla circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., n. 5-sexies). Aggiunge che tale circostanza aggravante e' stata contestata per entrambe le violenze sessuali di gruppo attribuite al ricorrente. 6. (OMISSIS) propone dieci motivi. 6.1. Con il primo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la manifesta illogicita' della motivazione, anche per travisamento della prova, nella parte in cui si afferma l'irrilevanza, rispetto al fatto di cui al capo D, della consulenza tecnica a firma dell'ing. (OMISSIS) avente ad oggetto la geolocalizzazione del telefono del coimputato (OMISSIS) acquisita ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 1. I risultati del lavoro effettuato dal consulente tecnico, afferma, escludevano, anche con riferimento al reato di cui al capo D, che lo (OMISSIS) si trovasse in localita' (OMISSIS) nel giorno e nell'ora indicata dalla persona offesa come luogo e momento di consumazione del fatto. In particolare, nel periodo compreso tra il mese di settembre dell'anno 2013 ed il 4 gennaio 2014 lo (OMISSIS) si era trovato nella localita' in questione soltanto l'11/11/2013 e, nello specifico, dalle ore 9,48 alle ore 10,43, dalle ore 12,57 alle ore 13,00, nonche' alle ore 13,49 e alle ore 14,58, lasciando pensare, come affermato dal CT, che fosse solo di passaggio in quella zona. Dalle ore 15,31 alle ore 17,29 il telefono dello (OMISSIS) era connesso alla rete internet casalinga. Secondo le dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di incidente probatorio, il fatto sarebbe stato commesso in un giorno antecedente e prossimo al 09/12/2013, dopo essere uscita dalla scuola alle ore 13,00 e prima del rientro a casa intorno alle 16.30/17,00. E' la stessa sentenza di primo grado a dare atto che dopo circa quattro ore gli imputati avevano accompagnato la vittima a casa. Sennonche' afferma - il giorno 11/11/2013, ancorche' "antecedente", non puo' essere considerato "prossimo" al 09/12/2013, e di certo lo (OMISSIS) era a casa in un momento della giornata in cui, secondo la PO, era impegnato a consumare il reato. Evidente e' il travisamento, sul punto, della consulenza e della testimonianza dell'ing. (OMISSIS) che la Corte di appello erroneamente valuta come riscontro positivo delle dichiarazioni della vittima, laddove il CT aveva chiaramente affermato che il raggio di azione della cella telefonica (da 400/550 metri a 5.10 km) e' tale da non fornire alcuna certezza sull'effettiva localizzazione dell'utenza, mentre decisamente piu' affidabile e' la geolocalizzazione GPS che ha un margine di errore di pochi metri, laddove la connessione al Wi-Fi da' un margine di errore non superiore a 20 metri. Si aggiunga che la Corte di appello, nel dare conto degli accertamenti effettuati dalla polizia giudiziaria in base ai tabulati telefonici, non solo non menziona mai il ricorrente, ma fa riferimento ad un arco temporale (dal 14/02/2014 al 08/01/2015) che nulla ha a che vedere con la data del 09/12/2013 indicata al capo D della rubrica come limite temporale massimo di commissione del reato. Gli accertamenti tecnici svolti dal CT della difesa erano tali da minare la credibilita' della persona offesa che, peraltro, gia' in sede di incidente probatorio, dapprima aveva affermato che il fatto era avvenuto a gennaio 2014, e certamente dopo le vacanze, e solo dopo le domande suggestive del giudice lo aveva retrodatato al 09/12/2013, laddove gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano riferito, in dibattimento, che nell'abitazione di (OMISSIS) vi era stato un unico incontro sessuale consensuale avvenuto tra febbraio e marzo 2014 ed al quale avevano preso parte la giovane (OMISSIS) e gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), ma certamente non il (OMISSIS), il quale invece viene inopinatamente collocato nel contesto di un altro rapporto sessuale, consumato, a dire della vittima, sempre a (OMISSIS). Questo rapporto sarebbe iniziato consensualmente con (OMISSIS) e (OMISSIS) e poi, al termine, sarebbe sopraggiunto il (OMISSIS) che avrebbe consumato con gli altri due imputati un altro rapporto sessuale questa volta non consenziente. Ora, prosegue, l'assoluzione dello (OMISSIS) e del (OMISSIS) dal reato di cui al capo C suggella l'inaffidabilita' della persona offesa in ordine ai fatti occorsi in (OMISSIS) ed alla loro collocazione temporale, oggetto di varie modifiche e precisazioni nel corso delle varie audizioni della stessa; pertanto, i dati relativi alla geolocalizzazione del cellulare dello (OMISSIS) risultano ancor piu' dirimenti alla luce delle numerose contraddizioni nelle quali e' incorsa la persona offesa anche per i fatti di cui al capo D. 6.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la manifesta illogicita' e la contraddittorieta' della motivazione che violando l'articolo 192 c.p.p. e articolo 499 c.p.p., comma 3, operando una valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa ed utilizzando risposte a domande suggestive mai riscontrate, ha confermato la condanna per il reato di cui al capo D nonostante la assoluzione dal reato di cui al capo C. Quanto alla valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa, lamenta che tale operazione non e' possibile con riguardo a dichiarazioni relative a due rapporti sessuali avvenuti nello stesso luogo e nello stesso contesto temporale. In ultima analisi, l'incapacita' della vittima di ricordare se in localita' (OMISSIS) si fossero verificati uno o piu' incontri di natura sessuale non poteva non interferire nella ricostruzione della complessiva esperienza in quella localita' e dunque sulla attendibilita' delle dichiarazioni che avevano ad oggetto il capo D della rubrica. La Corte di appello ha disatteso tale deduzione con motivazione generica che ha prescisso dalla peculiarita' del caso concreto poiche' la affermata diversificazione tra episodi distinti cronologicamente e per le persone coinvolte semplicemente non esiste visto che e' stata esclusa dallo stesso Tribunale. Il ricorrente ribadisce che una volta messa di fronte all'evidenza della natura consensuale del rapporto a tre (con il (OMISSIS) e lo (OMISSIS)) consumato a (OMISSIS), rispetto al quale la ragazza aveva manifestato via WhatsApp il proprio gradimento, quest'ultima aveva repentinamente aggiustato il tiro recuperando improvvisamente il ricordo di un altro rapporto sessuale, da lei non voluto, al quale avrebbe successivamente partecipato il (OMISSIS). E' lo stesso Tribunale a sconfessare il maldestro tentativo della persona offesa di ricondurre quel messaggio ai fatti di cui al capo C piuttosto che a quelli di cui al capo D in tal modo sancendone la assoluta inattendibilita' per condotte contrarie alla buona fede processuale. Aggiunge, sempre con riferimento ai fatti di cui al capo D della rubrica, che in sede di appello aveva contestato il diverso metro di giudizio utilizzato dal Tribunale nel valutare le conversazioni intercorse via Facebook tra la persona offesa e gli altri imputati successivamente ai rapporti sessuali, traendo dallo stesso tenore di tali messaggi in alcuni casi il convincimento del pieno consenso della prima agli atti sessuali (e' il caso del (OMISSIS)), in altri, invece, l'esatto contrario ritenendo il contenuto del messaggio del tutto ininfluente (e' il caso del (OMISSIS) e, di riflesso, dell'odierno ricorrente) perche' immotivatamente ricondotto alla prima parte del rapporto sessuale. E in ogni caso il Tribunale non aveva spiegato la ragione per la quale, dopo aver asseritamente subito una violenza sessuale dai contorni cosi' terrificanti, la minore avesse espresso apprezzamenti di piacere e compiacimento nei confronti di due suoi aggressori. In appello aveva contestato l'utilizzo, a fini accusatori, di un'altra chat intercorsa tra la persona offesa e il (OMISSIS) nel corso della quale la vittima aveva chiesto al suo interlocutore il motivo per il quale aveva chiamato il (OMISSIS). La natura di riscontro alle dichiarazioni accusatorie doveva essere esclusa in base a due considerazioni: 1) la conversazione estrapolata dal telefono della ragazza era per molti versi incomprensibile e interrotta ed in ogni caso quest'ultima aveva affermato, con riferimento ai fatti di cui al capo D, che era stato lo (OMISSIS) a chiamare il (OMISSIS) e non il (OMISSIS), incorrendo in evidente travisamento della prova; 2) con quel messaggio la persona offesa replicava all'esortazione del suo interlocutore, che l'aveva invitata a fare maggiore attenzione nello scegliere le persone con cui accompagnarsi per non farsi una brutta nomea, chiedendogli perche' allora egli avesse chiamato il (OMISSIS), con l'ulteriore conseguenza che tale conversazione riguardava circostanze del tutto diverse da quelle di cui al capo D. Il Tribunale, dunque, aveva tradito le sue intenzioni (la volonta' di non utilizzare le dichiarazioni della persona offesa rese a seguito di domande suggestive e non assistite da riscontri oggettivi) perche' aveva utilizzato come riscontro alle dichiarazioni della vittima circostanze del tutto estranee ai fatti, ne' aveva spiegato perche' non potessero costituire prove a discarico le conversazioni successive ai fatti risalenti al mese di settembre del 2014 allorquando la minore manifestava (o comunque lasciava intendere) al (OMISSIS) la sua volonta' di volersi fidanzare con lui a riprova dell'assenza di tensioni, violenze o pregresse minacce. Si deduceva anche che nel capo D di imputazione si fa riferimento a rapporti orali mai menzionati dalla persona offesa in sede di incidente probatorio. Orbene, prosegue, la Corte di appello ha fornito la sua risposta semplicemente non argomentando in ordine alla lamentata disparita' di trattamento nel valutare i messaggi oggetto di specifico motivo di impugnazione, fornendo anzi una risposta ancora piu' illogica del primo Giudice. La Corte non si premura nemmeno di spiegare perche' mai la ragazza, invece di limitarsi a rimproverare il proprio aguzzino per aver chiamato il (OMISSIS) non gli abbia direttamente espresso il suo dolore per essere stata violentata, ne' perche' si sia limitata ad affermare di non sapere se si poteva fidare o meno del (OMISSIS) piuttosto che esprimergli la certezza di non potersi piu' fidare di lui e di evitare ogni conversazione con lui, ne' perche' la ragazza avrebbe dovuto esprimere successivamente al fatto l'estremo gradimento del rapporto sessuale a tre (con il (OMISSIS) e lo (OMISSIS)), occorso precedentemente l'asserita violenza avvenuta in quello stesso giorno, ne', ancora, perche' la ragazza avrebbe addirittura successivamente sondato l'eventuale disponibilita' del (OMISSIS) a fidanzarsi con lei. La Corte di appello, lamenta, ha superato tutti questi interrogativi ipervalorizzando puramente e semplicemente la stessa conversazione gia' utilizzata dal primo Giudice e illogicamente aggiungendo a riscontro della credibilita' della ragazza la descrizione dell'abitazione di (OMISSIS) nella quale era stato consumato il rapporto: la questione - osserva il ricorrente - non e' la descrizione dell'abitazione ma l'affermazione della presenza del (OMISSIS) in quella circostanza, tanto piu' che la Corte di appello non spiega nemmeno perche' mai gli altri due imputati, che avevano appena goduto dei favori sessuali della persona offesa con il suo consenso, avrebbero dovuto costringerla a congiungersi con un terzo contro la sua volonta'. Ne' puo' dirsi irrilevante il fatto che la persona offesa non ricordasse se uno dei ragazzi avesse fumato o meno le sigarette richieste al (OMISSIS) poiche' la risposta a tale domanda presupponeva, logicamente, il ricordo della presenza del ricorrente, e non si trattava, dunque, di una questione marginale, come afferma la Corte di appello. Tantomeno convince la risposta fornita dalla Corte di appello all'obiezione circa la mancata descrizione dei rapporti orali nell'esame reso della persona offesa in sede di incidente probatorio. E' un silenzio significativo che in alcun modo puo' essere qualificato, cosi' come afferma la Corte territoriale, come "specificazione" di quanto avvenuto. Tanto piu' che in sede di incidente probatorio la giovane aveva omesso di riferire dei rapporti orali precedentemente denunciati ma aveva descritto rapporti sessuali con il (OMISSIS) mai precedentemente denunciati. Quanto alla collocazione temporale del fatto (epoca anteriore e prossima al 09/12/2013), con conseguente ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., n. 1), la Corte di appello - afferma - ha ragionato in base ad un sillogismo smentito da altre emergenze processuali. La Corte territoriale, infatti, ricorda che la persona offesa (che avrebbe compiuto quattordici anni il (OMISSIS)) dal 29 dicembre 2013 al 3 febbraio 2014 aveva avuto una relazione sentimentale per lei molto soddisfacente sicche' non avrebbe avuto motivo di avere un rapporto sessuale di gruppo prima consensuale e poi violento durante questo periodo. Il ricorso a tale "espediente" motivazionale e' dovuto alla necessita' di eludere l'utilizzo delle risposte fornite sul punto dalla persona offesa in base a domande suggestive. Sennonche', gia' nell'agosto 2013, la persona offesa aveva tradito lo (OMISSIS), con il quale aveva una relazione, proprio con il (OMISSIS). Inoltre, l'attitudine della ragazza ad avere rapporti sessuali di gruppo anche con terzi estranei e' attestata persino dalla sentenza di primo grado, con conseguente fallacia del ragionamento della Corte di appello che fa leva su una sconfessata fedelta' della ragazza al fidanzato dell'epoca. Resta dunque la collocazione temporale dei fatti operata dalla ragazza con riferimento al compleanno dell'amica, collocazione talmente inaffidabile che persino il Tribunale ne ha prescisso facendo ricorso ad argomenti e fatti (una nota scritta dalla PO sul proprio cellulare il 5 febbraio 2014 nella quale scriveva che non vedeva lo (OMISSIS) da un mese) la cui tenuta logica era stata oggetto di specifico motivo di appello del tutto eluso dalla Corte territoriale mediante le considerazioni oggetto di odierna censura. 6.3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), la nullita' assoluta ed insanabile dell'incidente probatorio tenuto ad opera, contemporaneamente, del GIP del Tribunale ordinario e del GIP del Tribunale per i minorenni in violazione dell'articolo 33 c.p.p. (in relazione all'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera a, e articolo 179 c.p.p.), articoli 24, 25 e 111 Cost., articoli 6 e 7 Convenzione EDU. La questione, afferma, non riguarda il fatto che i due giudici abbiano tenuto udienza nello stesso luogo e nello stesso tempo, ne' la rilevanza della prova, bensi' il fatto che il GIP presso il tribunale per i minorenni abbia posto domande e sia concretamente intervenuto anche con riferimento alla posizione degli imputati maggiorenni dei quali non e' giudice naturale, con conseguente inutilizzabilita' della prova in quanto assunta da giudice "incapace" e dunque in violazione di legge. Ne' un protocollo condiviso tra due uffici giudiziari del medesimo distretto puo' giustificare violazioni della legge ordinaria. Ammettere che la tutela della vittima del reato - ed il fine di arginare il piu' possibile il rischio di vittimizzazione secondaria - possa legittimare qualsiasi intervento di fonte secondaria che, in nome della persona offesa, finisca per comprimere ulteriormente il diritto di difesa, significa ammettere che, almeno in prospettiva, l'imputato possa definitivamente essere privato, tra gli altri, del diritto di controesaminare il proprio accusatore. Il rischio di vittimizzazione secondaria non impediva in alcun modo la rinnovata audizione della persona offesa da parte del GIP del tribunale per i minorenni in relazione alla sola posizione del correo minorenne il quale, invece, ha concorso a porre domande anche sulle posizioni degli imputati maggiorenni. Sicche', la violazione dell'articolo 33 c.p.p. non riguarda solo l'aspetto statico della composizione (di fatto) collegiale del giudice e della sua irregolare costituzione, ma anche quello dinamico dell'effettivo esercizio delle prerogative nei confronti di persone non sottoposte alla giurisdizione di uno dei due. 6.4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), l'inosservanza dell'articolo 499 c.p.p., comma 3, per essere state utilizzate, ai fini della decisione con riferimento al capo D della rubrica, dichiarazioni rese in risposta a domande suggestive. Afferma che la Corte di appello, nel disattendere le analoghe doglianze relative all'utilizzo delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in risposta a domande suggestive senza che le stesse risultassero assistite da alcun riscontro oggettivo, ha affermato che le allegazioni difensive facevano riferimento all'esistenza "in generale" di tali domande. Sennonche', fermo restando che la stessa Corte di appello da' atto dell'oggetto delle domande suggestive indicate con l'appello stesso (pag. 12 della sentenza), resta il fatto che in sede di impugnazione era stato riportato l'elenco delle domande suggestive, alcune delle quali anche trascritte testualmente, e le relative risposte a dimostrazione delle modifiche della versione dei fatti rese dalla persona offesa in risposta a tali domande. E' arduo sostenere, di conseguenza, che le deduzioni difensive in ordine all'illegittima utilizzazione delle risposte fornite a domande suggestive e non riscontrate erano generiche. Tali risposte, evidentemente compiacenti, riguardavano anche la dinamica del rapporto sessuale, un'eventuale costrizione, l'eventuale opposizione all'atto sessuale ed anche la sua collocazione temporale. 6.5. Con il quinto motivo deduce la manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione, anche per travisamento della prova, con riferimento alla percezione, da parte degli imputati, di un consenso tacito della persona offesa anche per i fatti di cui al capo D. La persona offesa, afferma, interrogata sui fatti di cui al capo D, aveva sempre sostenuto di aver avuto dapprima un rapporto sessuale consensuale con (OMISSIS) e (OMISSIS) e che successivamente era sopraggiunto il (OMISSIS) con il quale, in passato, aveva avuto rapporti sessuali consensuali, anche di gruppo. I tre l'avrebbero spogliata senza aver mai opposto resistenza o aver manifestato il proprio dissenso. Solo a seguito di domande suggestive, la ragazza aveva affermato di aver reagito in qualche modo. Con l'atto di appello il ricorrente si era doluto della disparita' della motivazione rispetto ad altri imputati e della illogicita' del ragionamento del primo Giudice che, da un lato aveva illogicamente escluso l'incidenza dei pregressi rapporti sessuali con la vittima sul convincimento del consenso di quest'ultima al rapporto sessuale in questione, dall'altro aveva anche travisato il contenuto delle risposte fornite dalla vittima stessa che si era comunque espressa con formula ipotetica ("magari mi spostavo...magari mi muovevo"). La Corte di appello si e' limitata a prendere atto delle dichiarazioni della minore omettendo di scrutinare, in modo critico, l'utilizzo dell'avverbio "magari" che dimostra l'incapacita' della persona offesa di prendere una precisa posizione sul punto relativo alla manifestazione del proprio dissenso. Affermare, di conseguenza, che la vittima si e' certamente opposta all'azione dell'imputato significa travisarne le dichiarazioni. Allo stesso modo, il dimenarsi della ragazza (che la difesa non ha mai ammesso) non esclude che possa essere stato percepito come partecipazione attiva all'atto sessuale. Se si considera che la (OMISSIS) aveva appena avuto un rapporto sessuale con lo (OMISSIS) ed il (OMISSIS), che con il primo aveva avuto una relazione sentimentale e con il quale era desiderosa di tornare, che con il (OMISSIS) c'era stata una breve relazione nell'estate precedente e che con il (OMISSIS) ambiva ad avere una relazione anche dopo i fatti per i quali si procede, non pare che la stessa si fosse trovata in una situazione di coercizione tale da impedirle di manifestare verbalmente il proprio dissenso. La presenza del consenso qualifica il fatto ai sensi dell'articolo 609-quater c.p., non procedibile per mancanza di querela ne' d'ufficio in assenza di connessione o di collegamento probatorio con gli altri reati. 6.6. Con il sesto motivo deduce la carenza assoluta di motivazione in ordine ai lamentati vizi del procedimento tecnico-scientifico con cui si affermava essere stata accertata la capacita' di testimoniare della persona offesa e la manifesta illogicita' della motivazione nella parte in cui conferma il rigetto della richiesta di nuova perizia collegiale sulla capacita' di testimoniare della stessa e la richiesta di una sua nuova audizione. A fronte delle articolate censure mosse con l'atto di appello avverso la validazione del giudizio di capacita' di testimoniare della persona offesa, la Corte di appello si e' limitata ad aderire alle conclusioni del Tribunale senza motivare sui vizi del relativo procedimento tecnico-scientifico ampiamente illustrati in sede di impugnazione della sentenza di primo grado. La Corte di appello, prosegue, nel limitare la regiudicanda all'alternativa consenso/dissenso all'atto sessuale, supera le incongruenze emerse nel corso dell'esame della persona offesa, anche rispetto al materiale informatico maldestramente eliminato con l'aiuto del fratello di quest'ultima (e successivamente recuperato), facendo leva sulla fragilita' della ragazza e sulla sua possibile manipolazione e strumentalizzazione, quasi a significare che se consenso v'e' stato, esso era invalido perche' ottenuto approfittando delle condizioni di inferiorita' psico-fisica della ragazza stessa. Il ricorrente ricorda, pero', di non essere stato condannato per il delitto di violenza sessuale di gruppo mediante induzione, con la conseguenza che la questione doveva rimanere confinata alla verifica dell'esistenza di un consenso agli atti, ancorche' tacito. Orbene, afferma, la capacita' di testimoniare della persona offesa e la valutazione di attendibilita' della stessa andavano rivalutate alla luce del mutato (e, per tanti versi, ribaltato) quadro istruttorio per cui occorreva che la capacita' di testimoniare venisse riconsiderata da un collegio di periti - anche al fine di emendare i macroscopici errori in cui era incorso il perito di primo grado - e che la ragazza venisse messa in condizione di spiegare tutta quella immensa mole di chat, di immagini e di video che si erano rivelati incompatibili con quanto dalla stessa affermato (il riferimento, precisa il ricorrente, e' alle chat con cui la giovane sollecitava e organizzava incontri sessuali di gruppo con gli imputati e con altri soggetti estranei al processo, all'insofferenza mostrata se non veniva esaudita, alle numerose immagini pornografiche, una vera e propria galleria di organi genitali maschili, ai video di rapporti sessuali di gruppo). E' tautologico e manifestamente illogico sostenere che qualunque cosa vi fosse all'interno del PC della ragazza, cio' sarebbe comunque compatibile con la condizione di insofferenza nella quale si trovava precipitata a causa delle condotte violente degli imputati. In realta', molte dichiarazioni della vittima sono risultate smentite dal contenuto del materiale informatico in questione alla luce del quale la sua idoneita' specifica a testimoniare avrebbe dovuto essere riesaminata tenendo conto della comprensibile urgenza della ragazza di dissimulare la realta' emergente da quel materiale e di proporre una lettura salvifica del proprio comportamento. La richiesta, in primo grado, di nuova audizione della persona offesa si basava su elementi nuovi, non considerati in sede di incidente probatorio e sui quali non era stata ovviamente interrogata: a) l'analisi del contenuto del PC, consegnato dalla stessa ragazza nel corso del suo esame, dopo che qualche giorno prima aveva inutilmente tentato di eliminarne il contenuto, analisi effettuata solo dopo la conclusione dell'incidente probatorio; b) la geolocalizzazione del telefono in uso allo (OMISSIS). La risposta della Corte di appello alle doglianze sulla decisione del Tribunale di non risentire la vittima, confermativa della decisione stessa, si espone a due considerazioni critiche: a) se nuoce alla credibilita' della vittima reiterarne l'esame piu' e piu' volte perche' cio' viola la Carta di Noto, allora si sarebbe dovuto dichiarare inattendibile l'intero narrato della stessa proprio perche' sentita piu' volte; b) l'affermazione che la ragazza era stata sentita su tutti i temi di prova i quali erano gia' stati abbondantemente esplorati contrasta con la logica poiche' al piu' si sarebbe dovuto discutere della rilevanza e novita' dei temi di prova, non sull'apporto conoscitivo che il loro esame avrebbe prodotto. 6.7. Con il settimo motivo deduce la nullita' delle sommarie informazioni testimoniali rese dalla persona offesa al PM l'11/11/2015 utilizzate ai fini delle contestazioni e assunte in violazione degli articoli 362 e 198 c.p.p. in mancanza dell'ammonimento a dire la verita'. Diversamente da quanto sostiene la Corte di appello, la persona informata dei fatti che rende dichiarazioni al PM in sede di indagini preliminari deve essere informata dell'obbligo di dire la verita' su di essa gravante ai sensi dell'articolo 198 c.p.p.. 6.8. Con l'ottavo motivo deduce la manifesta illogicita' della motivazione e l'inosservanza dell'articolo 192 c.p.p., nella parte in cui e' stata rimessa al perito la valutazione di attendibilita' della persona offesa. La valutazioni della dottoressa (OMISSIS), perito incaricato dal GIP di valutare anche l'attendibilita' della persona offesa, sono state recepite dalle sentenze di merito cosi' come quella del CT del PM. 6.9. Con il nono motivo deduce la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione nella parte in cui, disattendendo lo specifico motivo di appello (che aveva valorizzato l'incensuratezza dell'imputato, la sua giovanissima eta', la non continguita' ad ambienti dubbi, l'impegno scolastico e accademico, i pregressi rapporti consensuali con la vittima, il buon comportamento tenuto dopo i fatti), nega le circostanze attenuanti generiche applicate, invece, ad altro coimputato sulla base degli stessi elementi di fatto. Lamenta, in particolare, la totale assenza di motivazione sugli indicatori di una possibile attenuazione della pena dedotti in appello i quali, peraltro, sono stati ritenuti idonei ad applicare le circostanze attenuanti generiche nei confronti del (OMISSIS). 6.10. Con il decimo motivo impugna le statuizioni civili di condanna deducendo la manifesta illogicita' della motivazione della sentenza nella parte in cui condanna tutti gli imputati in solido al pagamento di una provvisionale senza operare distinzioni tra le diverse posizioni, non essendo a tal fine sufficiente l'unicita' dell'evento se cagionato da condotte ulteriori e diverse dalla propria. 7. (OMISSIS) ha proposto due ricorsi, uno firma dell'Avv. (OMISSIS), l'altro a firma degli Avv.ti (OMISSIS)- (OMISSIS). Il ricorso dell'Avv. (OMISSIS) propone otto motivi. 7.1. Con il primo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la manifesta illogicita' della motivazione anche per travisamento della prova nella parte in cui si afferma l'irrilevanza, rispetto al fatto di cui al capo B, della consulenza tecnica a firma dell'ing. (OMISSIS) avente ad oggetto la geolocalizzazione del telefono dell'imputato (OMISSIS) acquisita ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 1. Gli argomenti sviluppati a sostegno del motivo sono identici a quelli dedotti con il primo motivo del ricorso del (OMISSIS). ma precisa, rispetto ad essi, che il telefono in uso allo (OMISSIS) non si era mai trovato in localita' "(OMISSIS)" in orario pomeridiano nei mesi di novembre e dicembre 2013, luogo e tempo nei quali la persona offesa aveva temporalmente collocato il fatto. L'accertamento tecnico difensivo rendeva piu' credibile la versione difensiva degli imputati del reato di cui al capo B che avevano affermato di aver avuto rapporti consenzienti con la persona offesa nei mesi di gennaio o febbraio 2014. 7.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la manifesta illogicita' e la contraddittorieta' della motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova, che, violando l'articolo 192 c.p.p. e articolo 499 c.p.p., comma 3, ha operato una valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa. Le questioni, pur con specifico riferimento alle dichiarazioni rese dalla persona offesa in relazione alla posizione del (OMISSIS), sono del tutto simili a quelle dedotte dal (OMISSIS) con il secondo motivo del suo ricorso. In primo luogo, il ricorrente censura l'utilizzo, ai fini ricostruttivi della dinamica del fatto, delle risposte a domande suggestive del GIP formulate in sede di incidente probatorio, quindi la minimizzazione di aspetti tutt'altro che marginali che smentiscono la persona offesa, come le modalita' di chiusura dall'interno dell'autovettura dello (OMISSIS) che la stessa aveva descritto e visualizzato senza alcuna esitazione, aspetto che, ammette il ricorrente, potrebbe anche essere considerato astrattamente marginale (ma tale non e' se si considera che la chiusura della pulsantiera e' descritta dalla rubrica come condotta finalizzata e prodromica alla consumazione della violenza) se non fosse che la credibilita' della persona offesa era stata fortemente minata dalle numerose assoluzioni e dal fatto che, prima dell'incidente probatorio, era stata sentita almeno sei volte, aveva intrapreso gia' da tempo un percorso di psicoterapia e si era sottoposta a terapia EMDR ancor prima di essere sentita dal PM. A non diversi rilievi si espone la collocazione temporale del fatto (novembre/dicembre 2013), affermata dalla Corte di appello, nonostante i tentennamenti della stessa PO, sulla base del riscontro fornito dal padre di quest'ultima che, pero', aveva a sua volta riferito quanto appreso dalla figlia (quanto al riferimento temporale gia' utilizzato dal Tribunale vengono replicate le analoghe considerazioni svolte dal (OMISSIS) con il secondo motivo di ricorso relativamente alla fallacia del dato ricavabile dalla nota scritta dalla PO sul proprio cellulare il 05/02/2014). Quanto alla specifica condotta a lui contestata (violenza sessuale di gruppo) lamenta che la sentenza impugnata da' per scontato il fatto che egli avesse raggiunto le zone erogene della ragazza, confermando al riguardo la sentenza di primo grado ed escludendo, di conseguenza, il tentativo dedotto in appello. Sennonche', afferma, il fatto che lui si fosse posizionato sopra la vittima risulta dalla risposta fornita da quest'ultima all'ennesima domanda suggestiva del GIP. In ogni caso, la Corte di appello travisa il dato riferito dalla vittima la quale comunque non aveva mai riferito di un contatto tra le rispettive parti intime o un qualsiasi raggiungimento delle sue zone erogene. Ben piu' lineari sono, sul punto, le dichiarazioni dell'imputato rese in dibattimento. Precisa di essersi opposto, in sede di incidente probatorio, alla formulazione di domande suggestive e ribadisce che sia il Tribunale che la Corte di appello hanno fatto ampio utilizzo delle risposte compiacenti date dalla PO benche' non riscontrate. La Corte, prosegue, si contraddice quando, da un lato, esclude il consenso della persona offesa al rapporto a tre perche' sorpresa dalla presenza del (OMISSIS), dall'altro ammette che nell'incontro successivo con lo (OMISSIS) ella aveva acconsentito ad un rapporto a tre con il (OMISSIS). Il fatto, dunque, che la presenza del terzo non fosse nota alla vittima non puo' costituire valido criterio discretivo per ritenere la sussistenza o meno del suo consenso all'atto. 7.3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), la nullita' assoluta ed insanabile dell'incidente probatorio tenuto ad opera, contemporaneamente, del GIP del Tribunale ordinario e del GIP del Tribunale per i minorenni in violazione dell'articolo 33 c.p.p. (in relazione all'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera a, e articolo 179 c.p.p.), articoli 24, 25 e 111 Cost., articoli 6 e 7, Convenzione EDU. Gli argomenti a sostegno dell'eccezione di nullita' sono identici a quelli sviluppati dal (OMISSIS) con il suo terzo motivo di ricorso. 7.4. Con il quarto motivo propone le medesime questioni oggetto del sesto motivo di ricorso del (OMISSIS). 7.5. Con il quinto motivo propone le medesime questioni oggetto del settimo motivo del ricorso del (OMISSIS). 7.6. Con il sesto motivo propone le medesime questioni oggetto dell'ottavo motivo del ricorso del (OMISSIS). 7.7. Con il settimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la carenza assoluta della motivazione in relazione al diniego della applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante. La Corte di appello, afferma, nel confermare la (immotivata) decisione del Tribunale di applicare le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza non ha tenuto conto degli specifici motivi di gravame sul punto, ne' vengono spiegate le ragioni dello scostamento della pena dal minimo edittale. 7.8. Con l'ottavo motivo propone le medesime questioni oggetto dell'ultimo motivo di ricorso del (OMISSIS). Il ricorso a firma Avv. (OMISSIS)- (OMISSIS) propone tre motivi. 7.9. Con il primo deduce la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione in relazione agli articoli 125 e 192 c.p.p. non avendo i giudici di appello fornito risposta alle doglianze avanzate in ordine alla attendibilita' della minore a testimoniare e all'applicazione della valutazione frazionata. Manca un approfondito controllo circa la attendibilita' delle dichiarazioni assunte in incidente probatorio della persona offesa, manca un approfondito controllo delle dinamiche dei primi racconti anche alla luce del contesto familiare travagliato. Benche' lo stesso Tribunale avesse comunque individuato dei limiti (quoziente intellettivo molto basso; scarsa capacita' di rendimento verbale; grado di suggestionabilita') che minavano fortemente la credibilita' soggettiva e l'oggettiva inattendibilita' del racconto, con motivazione contraddittoria la Corte di Appello ha ribadito la credibilita' della minore e l'attendibilita' del racconto ricorrendo alla valutazione frazionata e ai riscontri esterni, seppure non ne ricorressero i presupposti e le condizioni. L'interferenza logica tra le varie parti del racconto osta alla sua valutazione frazionata. Per la posizione del (OMISSIS) l'interferenza logica e fattuale sussiste tra le parti delle dichiarazioni relative ai fatti di reato che gli sono stati contestati (B, N e O) e ne da' conferma lo stesso Tribunale laddove, per i fatti di cui ai capi N ed O di cui sarebbe rimasto vittima l'altra parte offesa, (OMISSIS), ritiene, secondo la prospettazione accusatoria, di rinvenire la causale "nella non accettazione, da parte del gruppo, di un soggetto estraneo al "branco" (pag. 259 della sentenza). 7.10. Con il secondo motivo reitera l'eccezione di nullita' dell'incidente probatorio siccome condotto in forma congiunta da due giudici di uffici diversi. 7.11. Con il terzo motivo ripropone le deduzioni oggetto del decimo motivo del ricorso del (OMISSIS). 8. (OMISSIS) articola sette motivi. 8.1. Con il primo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'inosservanza dell'articolo 499 c.p.p., comma 6, e la mancanza di motivazione in ordine alla lamentata assenza di genuinita' della testimonianza della persona offesa a causa delle modalita' di conduzione dell'incidente probatorio caratterizzato dal sistematico ricorso a domande suggestive. Premette che nelle lunghe tre audizioni in sede di incidente probatorio, nel porre le domande sono state utilizzate, come traccia per ripercorrere gli eventi, oltre che ai fini della formulazione di formali contestazioni, le trascrizioni dell'audizione protetta dell'11/11/2015 rese davanti all'ausiliario del PM, Dott.ssa (OMISSIS). Cio' ha comportato che l'incidente probatorio non sia stato condotto utilizzando domande aperte utili a raccogliere il racconto quanto piu' spontaneo e genuino della persona offesa, ma e' stato sollecitato con domande estremamente specifiche, moltissime delle quali suggestive (361, secondo la consulenza del prof. (OMISSIS); 505 secondo una stima meno prudenziale). In molti casi, per esempio, la domanda iniziava richiamando direttamente le dichiarazioni rese nella precedente audizione. In grado di appello era stata pertanto data evidenza della completa elencazione delle domande suggestive, delle domande ripetute, delle contestazioni e delle affermazioni suggestive poste dai Giudici presenti nell'incidente probatorio, con relative risposte rese dalla minore. Ogni domanda suggestiva e' stata classificata nella categoria corrispondente: domande dirette; domande ripetute; domande a risposta forzata; domande verificazioniste; domande nocive; domande a cui risponde il Giudice stesso; domande a cui viene suggerita la risposta. Sono state altresi' evidenziate le domande suggestive riguardanti la collocazione temporale dei fatti di reato e quelle sul consenso/dissenso, domande che riguardano temi centrali della testimonianza sia con riferimento alla ricostruzione del fatto che agli aspetti soggettivi dalle quali discendono conseguenze dirompenti in tema di responsabilita' penale. La presenza di numerose domande suggestive nel corso dell'intervista (in cui gli intervistatori hanno addirittura fatto ricorso all'istituto delle contestazioni, in aiuto alla memoria o per correggere dichiarazioni della persona offesa del tutto opposte a quelle rese in audizione protetta) e' circostanza che e' stata pacificamente riconosciuta dal perito del Giudice e dallo stesso Tribunale in primo grado (pag. 193 sentenza primo grado). Ebbene, la difesa, con l'atto di appello, aveva richiesto di verificare se le palesi violazioni dei metodi di ascolto della minore, cosi' come delineati dalla Carta di Noto e dalle Linee Guida in tema di abuso su minori Sinpia, con la proposizione di numerosissime domande suggestive, fossero tali da incidere sulla sua attendibilita' e sulla genuinita' della prova nel suo complesso. Cio' alla luce anche del grado di suggestionabilita' della minore calcolato sulla base del test di Gudjonsson somministrato dalla Dott.ssa (OMISSIS). Quest'ultima aveva escluso la suggestionabilita' della persona offesa ma la conclusione era stata contestata dal prof. (OMISSIS) che, analizzando il medesimo test, era giunto a conclusioni opposte; tant'e' vero che lo stesso CT del PM, Dott.ssa (OMISSIS), chiamata nuovamente a deporre in dibattimento a seguito dell'audizione del Prof. (OMISSIS), aveva ridimensionato la percentuale di errore ritenendo che dovesse essere stimata nella misura del venti per cento, collocando la minore al ventottesimo percentile rispetto all'ottantesimo calcolato dalla Dott.ssa (OMISSIS) (pag. 126 sentenza primo grado). Sicche', ci si doveva attendere che su 361 domande suggestive, potenzialmente la minore avrebbe potuto fornire 72 risposte distorte (pag. 137 sentenza primo grado). Lo stesso Tribunale, come detto, ha riconosciuto che se la minore e' suggestionabile e l'incidente probatorio e' stato condotto in modo sistematicamente suggestivo, la prova e' assai fragile e ha bisogno di riscontri esterni. Con l'impugnazione, dunque, era stato chiesto alla Corte di appello di determinare se le modalita' di conduzione dell'audizione della minore, in aperta violazione peraltro dei protocolli delineati nella Carta di Noto, fossero idonee a compromettere, oltre che l'attendibilita' della persona offesa, la stessa genuinita' e valutabilita' della prova formatasi. La risposta fornita dalla Corte di appello sul punto (pag. 45) tradisce una superficiale comprensione della questione sottoposta alla sua attenzione ed una incompleta lettura delle prove acquisite. In primo luogo, il problema non attiene alla proposizione di "alcune" domande suggestive bensi' la modalita' complessiva di conduzione dell'incidente probatorio che rende impraticabile la soluzione prospettata dalla Corte di appello. Dinnanzi ad un numero cosi' rilevante di domande suggestive - 505 nella numerazione definitiva - non e' possibile, e infatti il Tribunale di primo grado non lo ha fatto contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, impegnarsi in una valutazione di attendibilita' incrociata con riscontri estrinseci per ogni risposta resa. Soprattutto se si considera che molte delle domande suggestive ricadevano su temi, primo fra tutti la presenza del consenso, che attengono a fenomeni psichici e sono dunque impossibili da riscontrare con elementi estrinseci. In secondo luogo, il Tribunale e la Corte di appello non hanno svolto alcuna verifica caso per caso; lo dimostrano le stesse sentenze di merito che riportano stralci dell'incidente probatorio contenenti domande suggestive fondandovi il giudizio di responsabilita' penale degli imputati in assenza di riscontri estrinseci o addirittura a fronte di versioni diverse fornite dalla persona offesa in udienze successive. Il problema, dunque, non attiene alla singola domanda e alla singola risposta, ma attiene all'aggregato, alla probabilita' che una percentuale significativa di risposte rese dalla minore alle domande suggestive postele sia frutto di suggestione. La difesa, dunque, non si era limitata - come afferma la Corte di appello - a lamentare in astratto la presenza di domande suggestive, ma, al contrario, ha proceduto alla loro puntuale indicazione e quantificazione a piu' riprese in un numero assolutamente considerevole, con evidenza delle risposte rese dalla minore. Ed era stata anche esplicitata la sicura ricaduta che la proposizione delle domande suggestive ha sul tema dell'attendibilita', ricaduta dovuta al grado di suggestionabilita' della minore e ai temi su cui tali domande incidono: consenso e collocazione temporale. La Corte di appello ha liquidato tali censure con una motivazione superficiale, non confrontandosi con la costante giurisprudenza di legittimita' che ha stabilito che la violazione del divieto di porre domande suggestive compromette la genuinita' della dichiarazione se destruttura l'esame nel suo complesso. Nel caso di specie, il numero e la natura delle domande suggestive sono tali da viziare la prova nel suo complesso. La testimonianza non e' valutabile in quanto non e' possibile analizzare separatamente ogni risposta per verificare se e' confortata da riscontri estrinseci. Da qui il vizio di motivazione che affligge la sentenza, sia in termini di motivazione assente, perche' non si confronta con la specifica censura mossa dalla difesa, sia in termini di motivazione illogica perche' il criterio con il quale i Giudici di merito intendono superare il problema della presenza di domande suggestive e' impraticabile. Conclude aggiungendo che il divieto di porre domande suggestive si applica anche al giudice. 8.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), il vizio di illogicita', contraddittorieta' e mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta capacita' di testimoniare della minore e alla validita' della prova scientifica formatasi sull'argomento (consulenza tecnica del PM, la perizia e le consulenze tecniche di parte privata). La divergenza delle conclusioni dei consulenti e del perito del tribunale imponeva uno specifico onere motivazionale in ordine alla validita' scientifica dei criteri e dei metodi di indagine utilizzati dagli esperti e in ordine alla razionalita' scientifica dei risultati. Il portato di tale operazione e' il divieto per il giudice di disattendere gli esiti degli accertamenti tecnici una volta che i criteri e i metodi di indagine siano stati ritenuti validi, anche alla luce di una prova di resistenza nel confronto con altri criteri e metodi di indagine. Il Tribunale aveva posto in luce tutta una serie di criticita' in ordine alla capacita' a testimoniare della minore, anche sulla scorta di quanto emerso dal contraddittorio tra gli esperti, senza tuttavia farne discendere le opportune conseguenze in tema di validita' della testimonianza, cosi' violando l'obbligo imposto dalla giurisprudenza di legittimita' che vieta di disattendere gli esiti degli accertamenti tecnici ove i criteri e i metodi di indagine siano ritenuti validi. La sentenza di appello, invece, ha liquidato la questione della prova scientifica e della capacita' a testimoniare in modo del tutto superficiale, aderendo acriticamente alle conclusioni del CT del PM, Dott.ssa (OMISSIS) (come se le altre valutazioni non esistessero), cosi' ritenendo di superare i limiti riconosciuti in primo grado. Quanto alle capacita' generiche, il Tribunale aveva riconosciuto che la minore ha un quoziente intellettivo basso (81 di Q.I., laddove 100 e' la media) e una scarsissima capacita' di rendimento verbale (73 di Q.I. verbale, laddove 70 e' il limite sotto il quale si parla di ritardo mentale) (pagg. 33 e 192). Peraltro, afferma, il fatto che la minore possedesse bassissime capacita' cognitive di natura verbale, non solo incide sulla sua capacita' testimoniale, ma - come affermato dal prof. (OMISSIS) - dispiega un ruolo centrale sulla questione della manifestazione del dissenso che diventa fondamentale nell'analisi dei singoli episodi contestati. Esempio tipico e' la confusione mostrata dalla testimone tra aspetto del consenso all'atto sessuale e piacere provato, aspetto sollevato in primo e secondo grado ma del tutto negletto. Quanto alla capacita' specifica e alla suggestionabilita', riconosciuta - come detto - dal Tribunale, ribadisce che il tema e' direttamente collegato anche alla presenza di dinamiche familiari e sociali che possono aver condotto la persona offesa a riferire i fatti in un determinato modo. Sottolinea, al riguardo, che la Dott.ssa (OMISSIS) aveva evidenziato una pericolosa relazione di accomodamento della persona offesa nei confronti della madre. Di fronte ad una acclarata suggestionabilita' della minore, assumeva indubbia rilevanza un rapporto sintonico tra madre e figlia, dove la figlia vive un senso di colpa indotto dall'atteggiamento giudicante della madre. Il Tribunale, pero', non ne aveva tratto le dovute conseguenze. Quanto alle capacita' generiche, deduce che con l'appello era stata rappresentata l'erronea conclusione a cui era pervenuto il perito del Tribunale, Dott.ssa (OMISSIS), che aveva escluso in capo alla minore la presenza di elementi psicopatologici tali da alterare il rapporto con la realta' sulla base dei risultati del test MMPI-A, test che presenta numerose scale di controllo e validita' delle quali il perito, tuttavia, si era limitato a commentare solo alcune. In particolare, non era stato valutato lo specifico indicatore che non solo misura il grado di contraddittorieta' e incoerenza delle risposte fornite (scala di VRIN) ma addirittura inficiava lo stesso test. Tali risultanze deponevano a favore della necessita' di un approfondimento sotto il profilo psicopatologico della persona offesa. Questo e' uno dei motivi per i quali nell'atto di appello era stato chiesto che venisse disposta una nuova perizia al fine di valutare aspetti psicopatologici che, non solo non sono stati oggetto di analisi da parte della Dott.ssa (OMISSIS), ma che dovevano correggere i numerosi errori di valutazione da essa commessi (per come sono emersi nel corso del dibattimento grazie alle valutazioni del consulente di parte non presente all'incidente probatorio). Richiesta tuttavia disattesa dalla Corte con una motivazione apparente e sbrigativa. Sempre con riferimento alla capacita' generica, deduce di aver devoluto in appello la questione relativa alle difficolta' mnestiche confessate dalla minore che, afferma, dovevano essere oggetto di approfondimento perche' direttamente incidenti sulle abilita' generiche a rendere testimonianza. Il fatto che la persona offesa riporti gravi difficolta' mnestiche e' un dato rilevante da considerare per fondare o escludere la capacita' della stessa di rendere testimonianza. E' lo stesso Tribunale a riconoscerne l'importanza in astratto (pag. 130 sentenza), salvo non affrontare direttamente la questione, nonostante le richieste difensive di approfondimento anche disponendo una nuova e maggiormente approfondita perizia; istanza mai riscontrata dai Giudici di merito. Al tema della capacita' di testimoniare si iscrive anche l'argomento relativo alla sottoposizione della minore a sedute psicoterapeutiche con tecnica EMDR prima di rendere testimonianza. Il Tribunale non si era spinto oltre una mera ricognizione della prova formatasi in dibattimento, nel senso che, pur riprendendo in astratto le deposizioni della Dott.ssa (OMISSIS) e dei consulenti tecnici di parte (Dott.ssa (OMISSIS) e prof. (OMISSIS)), non ha svolto una benche' minima valutazione delle posizioni assunte dagli esperti. Il CT del PM, diversamente da quanto afferma la Corte di appello, aveva espressamente riconosciuto, in sede di controesame, che la tecnica EMDR puo' modificare/alterare/cancellare i ricordi portando ad una loro distorsione. Il rischio di produrre falsi ricordi - ribadisce - e' riconosciuto dalla letteratura riferibile ai maggiori studiosi mondiali del funzionamento sulla memoria e da alcune Corti di giustizia estere che hanno escluso l'EMDR come fonte di prova in quanto la ripetizione meccanica di un fatto in un contesto di alleanza terapeutica puo' condurre a validare da un punto di vista emotivo una memoria che in realta' e' inaccurata. Ma, anche a voler prescindere dalla creazione di false memorie, la perdita della carica emozionale associata ad un ricordo e' circostanza assai rilevante se, come nel caso di specie, l'evento da ricordare e' un evento psichico, quale la presenza o l'assenza di consenso, argomento denso evidentemente di carica emotiva. A fronte di tali doglianze, la Corte di Appello ha motivato in maniera apparente e giuridicamente scorretta richiamando le categorie della capacita' e dell'attendibilita' sulla scorta della acritica adesione alle sole risultanze della Dott.ssa (OMISSIS) e, prima ancora, sulla relazione (cfr. pagg. 28 e 30 della sentenza impugnata) che la stessa aveva redatto a seguito di un incarico non portato a termine e del dichiarato della minore assunto a sommarie informazioni testimoniali mai entrate nel fascicolo del dibattimento. Le criticita' sollevate dall'appellante non sono state nemmeno richiamate, cosi' violando l'insegnamento di legittimita' che impone al giudice di analizzare in modo esteso le diverse posizioni assunte dagli esperti, per aderire con motivazione congrua alle conclusioni ritenute piu' soddisfacenti. Non solo; la Corte d'Appello dimostra di confondere la capacita' testimoniale con la credibilita' clinica e con l'attendibilita', torcendo nel ragionamento i diversi concetti l'uno sull'altro, richiamando confusamente categorie che, non solo sono del tutto diverse, ma che spettano nella loro valutazione a soggetti diversi (l'una in capo ai periti, l'altra in capo agli organi giudicanti). In questo modo i Giudici distrettuali, da un lato, rinunciano ad una vera e propria valutazione dell'attendibilita' - giudizio che spetterebbe unicamente alla Corte - aderendo acriticamente alle conclusioni della Dott.ssa (OMISSIS) che tuttavia riguardano la capacita' della persona offesa a rendere testimonianza (scorretto, al riguardo, fondare la valutazione di tale capacita' sulla asserita mancanza di prova del mendacio della persona offesa - pag. 29 della sentenza - laddove il mendacio attiene, semmai, al momento della valutazione dell'attendibilita'), dall'altro rifuggono da ogni approfondimento critico sulla capacita' testimoniale, ritenendo sufficiente la valutazione del CT del PM e tralasciando le numerosissime critiche emerse nei motivi di appello e le altrettanto numerose prove di segno contrario, tra le quali la CT del prof. (OMISSIS) del tutto svilita nel suo contenuto, non limitata alla sola critica della professionalita' del perito. E' plateale sotto vari profili la mancata valutazione della prova scientifica: (1) la Corte di Appello riprende la circostanza esplicitata nella relazione della Dott.ssa (OMISSIS) secondo cui la minore resisterebbe alle suggestione, quando, invece, nel corso della sua audizione del 07/12/2018, la stessa aveva dichiarato, dopo aver ricalcolato i risultati del test di Gudjonsson somministrato dal perito, che la minore si colloca nel ventottesimo percentile delle persone suggestionabili, con una percentuale di errore atteso a domande suggestive pari al venti per cento; (2) la Corte di Appello supera, senza neppure motivare, il dato emergente dal test di Wechsler somministrato dalla Dott.ssa (OMISSIS) che ha dimostrato che la minore ha gravi difficolta' semantiche. Sul punto, la Corte di appello ha aderito acriticamente alle conclusioni del CT del PM che, nonostante non avesse somministrato alcun test alla minore (perche' la minore si era deliberatamente sottratta alla valutazione), ha ritenuto che la stessa presentasse una espressione sul piano linguistico fluida e ben strutturata, priva di difficolta' sintattico-grammaticali e/o semantiche, accompagnata da buona capacita' nella comprensione e nella verbalizzazione delle proprie e altrui emozioni. E cio' quando le difficolta' semantiche, di comprensione e di verbalizzazione, come si e' visto, emergevano palesi dalla stessa lettura delle dichiarazioni della minore, come riconosciuto anche dal Tribunale; (3) la Corte di appello ha ignorato tutte le criticita' evidenziate nell'impugnazione per concentrarsi unicamente sul profilo dell'EMDR, come se la difesa avesse richiesto di fondare l'assenza di capacita' testimoniale della minore unicamente sul fatto di essere stata sottoposta a questa terapia. E, comunque, questo argomento e' stato liquidato dalla Corte territoriale con motivazione superficiale, avendo semplicemente ritenuto che la tecnica psicoterapeutica in esame, pur epurando i ricordi dalle emozioni, non alteri il ricordo, perche' cosi' hanno concluso la Dott.ssa (OMISSIS) e la Dott.ssa (OMISSIS) (cfr. sent. di appello, p. 35 ss.), benche' lo stesso Tribunale nutrisse dubbi al riguardo; (4) nessun cenno viene fatto alla possibile presenza di elementi psicopatologici in capo alla minore, non esclusi dal test MMPI in quanto probabilmente invalido, nessun cenno viene fatto alla relazione sintonica tra madre e figlia con una modalita' di costante accomodamento della figlia nei confronti della madre, nessun cenno viene fatto alle gravi difficolta' mnestiche della minore. Non vengono trattati, oltre che i limiti non considerati in primo grado posti ad oggetto di altrettanti motivi di impugnazione, neppure gli stessi limiti, in termini di capacita' intellettive, capacita' linguistiche e suggestionabilita', riconosciuti dai Giudici di prime cure che la difesa chiedeva di porre a fondamento di una pronuncia di incapacita' a testimoniare. 8.3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), l'illogicita', contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla ritenuta credibilita' clinica delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di incidente probatorio. Premette che il Tribunale aveva ritenuto la credibilita' clinica della persona offesa validandone la testimonianza mediante l'applicazione delle tecniche S.V.A. (Statement Validity Analisys) e C.B.C.A. (Criteria Based Content Analysis), tecniche che - osserva - non consentono in astratto di superare una acclarata incapacita' a testimoniare. Non vi sono studi scientifici - afferma - che stabiliscono che un racconto possa essere considerato valido o meno sulla base dei risultati ottenuti dalla applicazione di tali tecniche come sostenuto dallo stesso perito e dal CT del PM secondo i quali: 1) da un lato, "oggi, uno studio sul campo della SVA con un campione di numerosita' adeguata non esiste" (cosi' perizia della Dott.ssa (OMISSIS) del 7.06.2017, pag. 16) e quindi "non ha i presupposti per ritenersi uno strumento standardizzato, (...) perche' non vi e' attualmente un campione di riferimento" (cosi' Dott.ssa (OMISSIS), ud. 18.06.2018, p. 23 ss.); 2) dall'altro, "non c'e' una quantita' precisa, un "cut off": sostanzialmente, che permette di dire che al di sopra e al di sotto dello stesso il racconto sia sicuramente credibile, anche perche' intervengono tantissime variabili" (cosi', ancora Dott.ssa (OMISSIS), ud. 18.06.2018, p. 23 ss.). Inoltre, la validazione della testimonianza mediante SVA e CBCA non ha valenza scientifica per le modalita' di applicazione che sono state seguite in concreto e gia' contestate dal CT della difesa, prof. (OMISSIS), le cui censure sono state disattese in primo grado perche' "scontano il carattere esclusivamente cartolare della sua valutazione (non avendo il consulente preso parte all'esame) a fronte di un'analisi che, invece, ha riguardato proprio il contenuto delle affermazioni verbali rese in sede, di deposizione testimoniale" (sent. di primo grado, pag. 193). Il punto e', segnala il ricorrente, che la SVA e la CBCA sono strumenti applicati ad un testo scritto e sono sempre cartolari, avendo ad oggetto l'esame delle trascrizioni delle audizioni rese da un minore e non l'ascolto del racconto verbale. Anche il perito, Dott.ssa (OMISSIS), infatti, ha applicato tali strumenti alle trascrizioni dell'incidente probatorio nel corso del quale e' stata assunta la testimonianza di (OMISSIS). La sentenza di primo grado ha di fatto negato la scientificita' del metodo abdicando al proprio dovere di confrontarsi con le diverse posizioni assunte dagli esperti al fine di tentare una falsificazione delle conclusioni su cui ha fondato le proprie determinazioni. La sentenza di appello, non affrontando il tema della credibilita' clinica oggetto di specifico motivo di impugnazione (motivo di appello sub 2.5.), ha mancato di motivare su un profilo rilevante in quanto la confutazione della prova scientifica in tema di validazione clinica della testimonianza (id est la perizia della Dott.ssa (OMISSIS) recepita dai Giudici di primo grado), unita a tutti i limiti in tema di capacita' testimoniale gia' evidenziati nei precedenti motivi, ha evidenti e rilevanti ricadute in tema di valutabilita' della deposizione della persona offesa. Il ricorrente ribadisce, sulla base di quanto rilevato dal prof. (OMISSIS) nella sua consulenza tecnica (pagg. 31 e ss.) e nella sua deposizione (cfr. ud. 30.11.2018, pag. 90 ss.), che la SVA e la CBCA sono state applicate in maniera non corretta e che pertanto non si possa sostenere che il dichiarato della persona offesa sia clinicamente credibile e, per l'effetto, intrinsecamente attendibile. Il ricorrente quindi elenca i molteplici errori posti in essere nelle tre fasi nelle quali si articola la SVA (raccolta della testimonianza, applicazione dei criteri CBCA, applicazione della checklist di validita'), diffusamente descritti nei motivi di appello e del tutto pretermessi dai Giudici distrettuali. 8.4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla ritenuta attendibilita' della minore nonostante l'omessa valutazione dei fattori di inquinamento che hanno inciso sulla genuinita' della sua deposizione. Lamenta che nelle sentenze di primo e secondo grado non risultano essere stati adeguatamente considerati tutti i fattori di possibile inquinamento e usura della fonte dichiarativa, potenzialmente incidenti sulla genuinita' delle dichiarazioni accusatorie della minore, con la conseguente insufficienza e illogicita' della motivazione sul punto. Le criticita' riscontrabili nel caso in esame sono molteplici e non valutate ne' in primo grado (seppure il Tribunale riconosca in astratto l'importanza di una indagine in tema di fattori inquinanti la testimonianza, effettuando anche un richiamo alla Carta di Noto; cfr. sent. di primo grado p. 194), ne' in secondo grado (nella sentenza di secondo grado non si trova neppure un cenno sulla questione), nonostante siano state e a piu' riprese denunciate nei motivi di appello. Il primo aspetto di criticita' riguarda il progressivo disvelamento da parte della minore degli abusi asseritamente subiti. Nei motivi di appello si era ampiamente argomentato come la minore, prima di rendere la propria testimonianza nelle tre udienze di incidente probatorio conclusosi il 17/02/2018, avesse parlato dei fatti risalenti al 2013 e 2014 ad almeno otto persone, con un narrato non costante nel tempo. Inoltre, se in alcuni casi le modalita' di sollecitazione del racconto da parte dei soggetti intervenuti appaiono sicuramente idonee a inquinare la fonte dichiarativa (ad esempio il racconto rilasciato dalla minore alla Dott.ssa (OMISSIS) nel contesto psicoterapeutico, il racconto al fidanzato dell'epoca (OMISSIS), il racconto fatto ai genitori, ai carabinieri, all'avvocato della madre...), in altri casi semplicemente non e' dato sapere, perche' tema non indagato, in che modo siano emersi i fatti e se i soggetti intervenuti abbiano, seppure non volontariamente, condizionato o manipolato la persona offesa. La questione relativa a quante persone e cosa la minore avesse riferito e' stata dedotta con il motivo di appello 3.2.1. in cui si faceva riferimento a quanto dalla stessa raccontato a (OMISSIS), a (OMISSIS), a (OMISSIS), alla madre, alla Dott.ssa (OMISSIS), al padre, al maresciallo c.c. (OMISSIS), all'Avv. (OMISSIS). La minore, dunque, prima dell'audizione protetta e prima dell'incidente probatorio, aveva parlato con molte persone della vicenda per cui e' processo. Il dato e' incontestabile e tuttavia, afferma il ricorrente, si deve rilevare come il narrato non risulti costante nel tempo. Il racconto, inizialmente del tutto generico, si arricchisce con il tempo e dietro la spinta suggestiva: (1) del fidanzato, (OMISSIS), che manifesta morbosa curiosita' e che introduce il giudizio, colpevolizzando la minore che diventa una "poco di buono" che se l'e' "andata a cercare"; (2) della madre scandalizzata da fatti "che per lei erano inimmaginabili"; (3) della terapeuta che vittimizza la minore perche' "tra i dodici e i tredici anni, non so cosa sia "consensuale" e la sottopone a terapia con la tecnica dell'EMDR per riscrivere il ricordo asseritamente traumatico; (4) del padre che, seppure imbarazzato, vuole "incoraggiarla un attimino, e cercare di capire qualcosa in piu'"; (5) dei Carabinieri che le chiedono di raccogliere prove per il processo e suggeriscono la raccolta di materiale da cellulare e computer (materiale che invece di essere raccolto verra' selezionato e cancellato dalla stessa persona offesa). L'incidente probatorio si e' concluso il 17/02/2018, a distanza di 4/5 anni dai fatti, dopo due anni e mezzo dall'audizione protetta e dopo quasi tre dai primi racconti avvenuti nel maggio del 2015; nel mezzo, continue e autorevoli ripetizioni suggestive e pressanti. Questo argomento e' stato posto dal ricorrente in primo grado ma il Tribunale non ha nemmeno lontanamente colto la delicatezza della questione e non ne ha trattato in sentenza. La questione ripresa a piu' battute nei motivi di appello e' stata nello stesso modo del tutto trascurata dalla Corte di appello che ha confermato acriticamente la sentenza di primo grado consegnando una motivazione apparente e a tratti incomprensibile su questioni, peraltro, centrali della vicenda processuale. Invece la distanza temporale tra la testimonianza resa in incidente probatorio e i fatti a cui si riferisce doveva essere oggetto di valutazione ai fini del giudizio sull'attendibilita' del dichiarato. Quanto a tali fattori esterni di disturbo, rilevano senz'altro il numero di ripetizioni del racconto e le modalita' di tali ripetizioni, nonche' le pressioni subite a rilasciare le accuse. Se, infatti, le prime dichiarazioni sono sempre le piu' genuine, le dichiarazioni successive scontano inevitabilmente l'incidenza di fattori di inquinamento e condizionamento. E questo e' assolutamente lampante nella vicenda che ci occupa, dove le prime rivelazioni della minore, quelle alle amiche, le pari che non la giudicano e la mettono a suo agio, sono generiche e non fanno riferimento ad abusi, mentre le successive risultano sempre piu' dense di aspetti violenti e ricattatori, sulla scorta delle suggestioni provenienti da soggetti che riversano sulla minore il proprio giudizio, il proprio imbarazzo personale e sociale, i propri timori. Se, come nel caso di specie, la testimonianza diverge dalle precedenti dichiarazioni occorre comprendere le ragioni di tale mutamento e trarne le dovute conseguenze in tema di attendibilita' testimoniale. Ed e' questo sicuramente il caso, perche' la minore modifica progressivamente la versione dei fatti, con ricadute gravi nel processo. Basti pensare che il capo di imputazione sub D, formulato evidentemente sulla base di quanto emerso in fase di indagini preliminari e nel corso dell'audizione protetta, ha ad oggetto atti sessuali completi e orali, mentre la condanna, sulla base di quanto riferito in incidente probatorio, e' intervenuta per atti sessuali completi e manuali, vale a dire condotte materiali completamente diverse che non sono state mai oggetto di verifica da parte dei Giudici del merito. Le ragioni per le quali la minore ha cambiato versione possono essere molteplici (la distanza temporale, la suggestione, la narrazione di un episodio vissuto in termini diversi da quelli riportati, la pressione derivante dal giudizio sociale innescatosi con l'intervento di (OMISSIS), il timore del giudizio della famiglia, ecc. ecc.), ma la divergenza esiste ed e' esplicativa dell'incidenza di fattori che hanno influito sulla attendibilita' della minore, fattori non indagati ne' dal Tribunale ne' dalla Corte di Appello. Tra i fattori di condizionamento v'e' sicuramente il "giudizio" del fidanzato, (OMISSIS). Mentre (OMISSIS) ricava dagli imputati un rinforzo positivo rispetto alle condotte che ha avuto con ciascuno di loro e assegna un valore al proprio operato, ne va in qualche modo fiera, (OMISSIS) per la prima volta le da' della poco di buono e scatena nella minore una rilettura degli episodi. E' allora ragionevole ritenere, come ipotizzato dal perito e anche dal prof. (OMISSIS), che per salvare la propria immagine davanti al fidanzato, la minore si sia sentita costretta a introdurre una connotazione non consensuale ai fatti per sottrarsi al giudizio di essere "una poco di buono". E' una dinamica nota nella letteratura scientifica ed ammessa dalla stessa persona offesa ("Dall'anno scorso, 2016, ho elaborato un po' la situazione, ho cambiato anche modo di pensare riguardo ad alcune cose, mi sono resa conto di altre cose, che allora non capivo, non percepivo allo stesso modo di ora e quindi apposta ho chiesto "ora o allora", perche' in quel momento magari la vivevo in un modo, adesso... (...) perche' comunque nel 2015 ero stata anche con (OMISSIS), nel 2016 ho, diciamo, ripreso il controllo di me stessa" (ud. 12.04.2017, p. 228)). Dunque, la relazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e' estremamente rilevante nel presente procedimento sul tema dell'attendibilita' come del resto riconosciuto dallo stesso Tribunale (pag. 195) che tuttavia non ne trae le coerenti conseguenze. La Corte di appello, invece, si disinteressa completamente dell'argomento omettendo di pronunciarsi sul punto. La rilevanza della questione e' ulteriormente sottolineata dal fatto che la pressione cui la minore e' sottoposta a causa del giudizio di (OMISSIS) si amplifica con l'intervento dei genitori. Viene in rilievo la relazione di accomodamento della figlia nei confronti della madre, situazione notata anche dal padre, e il fatto che la madre ad un certo punto diviene la portavoce della minore, relazionandosi con la Dott.ssa (OMISSIS), con la Dott.ssa (OMISSIS) e con gli stessi Carabinieri. La madre riversa i propri timori sulla figlia che, subendo la relazione di accomodamento rilevata dalla Dott.ssa (OMISSIS), aderisce alle sue decisioni. Ne e' riprova la reazione di (OMISSIS) di fronte all'intenzione del padre di denunciare i fatti appresi. Mentre il padre manifesta in maniera ferma e a piu' riprese la volonta' di denunciare, la madre si oppone e la figlia si allinea alla decisione della madre. Il contesto familiare, ricorda il ricorrente, e' un tema importantissimo da indagare nel caso di denunce di abuso da parte di minorenni, tanto che la Carta di Noto impone di considerarla attentamente, perche' situazione idonea ad influire sulle dichiarazioni dei minori. Le separazioni dei genitori caratterizzate da inasprimento di conflittualita' possono generare, ancor piu' che in altri casi, situazioni di falsi positivi o falsi negativi. Nel caso in esame non va dimenticato che il primo disvelamento della notizia di reato si colloca contestualmente alla scoperta da parte della madre di un tema in cui la minore accusa i genitori di averla delusa perche' gli stessi avrebbero dovuto occuparsi di piu' di lei invece di litigare tra di loro. E' di fronte alla reazione rabbiosa della madre che la figlia le chiede perdono ammettendo di averla delusa; e' a quel punto che, come riferito dalla madre, emerge la notizia degli abusi. Questo passaggio - sottolinea il ricorrente - rappresenta bene la dimensione del rapporto tra la persona offesa e la madre. La minore a scuola, chiamata a scrivere il tema, si sente libera di manifestare il disagio vissuto nel contesto endofamiliare, cosi' come si sente libera di farlo con le amiche e a tale problematica l'amica (OMISSIS) attribuisce la causa dell'inquietudine vissuta dalla compagna di classe. In famiglia, invece, la minore, dipendente dalla figura materna, preferisce sollevare la madre dalle proprie responsabilita' e attribuire il proprio stato emotivo alle relazioni sessuali intrattenute con gli imputati. Concludendo sul punto, il ricorrente afferma che e' indubbio, perche' emerge dal compendio probatorio, che la minore si collochi in un contesto familiare conflittuale e estremamente complesso che ha svolto un ruolo essenziale nel disvelamento degli abusi asseritamente subiti, senza che tale contesto familiare sia entrato nella valutazione dei Giudici chiamati a verificare se vi fossero fattori in grado di contaminare e usurare la fonte dichiarativa. Nel corso del dibattimento avanti il Tribunale e' stata impedita ogni domanda della difesa volta ad indagare l'aspetto conflittuale nella famiglia e a verificare il tema delle pressioni personali e sociali e della spinta a fornire un certo tipo di dichiarato. Come se il dato fosse irrilevante ai fini della valutazione dell'attendibilita'. La Corte d'appello, nonostante puntuali riserve sul punto espresse nei motivi, non ne ha fatto cenno ritenendo sufficiente dichiarare completa adesione ai Giudici di primo grado. 8.5. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), la violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 1, e la contraddittorieta' e mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta attendibilita' intrinseca della persona offesa in relazione al fatto di cui al capo D della rubrica. Oggetto di censura e' il criterio della "credibilita' frazionata" utilizzato sia dal Tribunale che dalla Corte di appello per selezionare le parti del racconto spontanee (e dunque non frutto di sollecitazione esterna), dettagliate e logicamente coerenti tra di loro, riscontrate da elementi probatori a carattere oggettivo (e quindi nella produzione documentale versata in atti) ovvero di natura logica (cosi' la sentenza del Tribunale, pag. 195, confermata in parte qua dalla Corte di appello, pag. 45 della sentenza impugnata). Sennonche', afferma, lo stesso Tribunale aveva riconosciuto che la minore aveva effettuato un racconto di difficile comprensione, frammentario, contraddittorio, semplicistico, equivoco, e tuttavia, sempre secondo quanto affermato dal Tribunale, la fedele riconsegna delle sue dichiarazioni consentirebbe di superare gli equivoci in cui la stessa incorre. Si tratta di una motivazione palesemente illogica (la lettura fedele di un racconto di difficile comprensione, contraddittorio, equivoco non puo' consegnare una ricostruzione coerente, coesa, inequivoca) dedotta nei motivi di appello (cfr. motivi sub 2.4. e 3) ma non sanata dalla motivazione della sentenza di secondo grado che nemmeno affronta l'argomento in tali termini. Si aggiunga, prosegue, che il giudizio in punto di attendibilita' intrinseca svolto dai Giudici di primo e secondo grado in relazione ai singoli episodi appare a piu' riprese del tutto scollegato dagli atti di causa. Il Tribunale e la Corte di Appello arrivano a ritenere intrinsecamente attendibili frazioni di narrato che sono palesemente frammentarie, incoerenti, contraddittorie e frutto di suggestione. Tanto premesso, il ricorrente deduce che il racconto dell'episodio di cui al capo D della rubrica non e' spontaneo ma frutto di suggestione. Il Tribunale e la Corte di Appello ridimensionano la problematicita' della valutazione affermando che la minore avrebbe resistito ad una domanda suggestiva. Sennonche', sottolinea il ricorrente, selezionare una singola domanda suggestiva a cui la minore avrebbe resistito e farvi discendere un giudizio di resistenza completo alla suggestione anche rispetto alle numerosissime altre domande suggestive poste con riferimento ai capi C e D di imputazione e' un ragionamento illogico e scorretto che travolge, viziandola, l'intera motivazione della sentenza impugnata. Che la minore resista ad una domanda suggestiva e' perfettamente in linea con la prova scientifica (che afferma che la minore produce dal 20% al 40% di risposte errate a domande suggestive), senza dunque in alcun modo escludere che la stessa produca risposte errate alle altre pur numerosissime domande suggestive poste in particolare con riferimento ai capi di imputazione che interessano il ricorrente. In presenza di un intervistatore che utilizza domande suggestive e di un intervistato suggestionabile, il racconto completamente frutto di suggestione si rivelera' molto probabilmente coerente ma non credibile, mentre il racconto solo in parte frutto di suggestione sara' molto probabilmente frammentario e incoerente. Le porzioni di deposizione che hanno ad oggetto i rapporti contestati nei capi C e D di imputazione sono tra le piu' dense di domande suggestive di tutto l'incidente probatorio. Attraverso la proposizione di domande suggestive i Giudici di merito hanno letteralmente indotto la ricostruzione dei fatti che poi e' stata recepita dal Tribunale e dalla Corte di appello. Il racconto, inoltre, non e' preciso, coerente e costante nel tempo. Entrambe le sentenze di merito fondano il giudizio di attendibilita' intrinseca quasi esclusivamente sulla capacita' della minore di descrivere con precisione gli ambienti della casa di (OMISSIS), una casa in cui e' pacifico che la stessa sia stata. La capacita' della minore di descrivere la casa di (OMISSIS) viene utilizzata dai Giudici di appello addirittura per riscontrare estrinsecamente il narrato della minore in punto di consenso all'atto sessuale di cui al capo D di imputazione. E' di chiara evidenza l'illogicita' della motivazione sul punto; nessuno ha mai contestato che la ragazza fosse stata in quella casa. Deve piuttosto sottolinearsi che: (1) la minore non e' stata in grado di ricordare e riportare alcuni aspetti che attengono al nucleo centrale del ricordo; (2) la minore non ha effettuato, rispetto alla dinamica della violenza sessuale, un racconto preciso, bensi' molto generico e frutto di suggestione. Quanto al primo aspetto, (OMISSIS) non e' stata in grado di riferire, e sul punto ha cambiato versione tre volte nel corso dell'incidente probatorio, se i rapporti sessuali tra lei, (OMISSIS) e (OMISSIS) e i rapporti sessuali tra lei, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si siano verificati in due giorni differenti (come da capo di imputazione) o in un solo giorno (come da condanna). Nella prima udienza di incidente probatorio (08/02/2017) la minore aveva in un primo momento affermato che gli episodi di (OMISSIS) erano stati due o forse di piu', e che gli atti sessuali tra lei (OMISSIS) e (OMISSIS) e tra lei, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) erano avvenuti in due giorni distinti. Successivamente, sollecitata sul punto con domande suggestive, aveva affermato che i due episodi erano avvenuti nello stesso giorno a distanza di poco tempo l'uno dall'altro, con una prima fase consensuale e una seconda fase, in seguito all'arrivo di (OMISSIS), non consensuale. Tale versione viene nuovamente modificata nel corso dell'incidente probatorio dell'11/04/2017 allorquando, chiesta di, commentare alcuni messaggi tra lei e (OMISSIS) in cui dichiarava di avere particolarmente apprezzato un determinato momento del giorno in cui "ci siamo visti io tu e (OMISSIS)", aveva affermato di aver fatto chiarezza sulla dinamica dei fatti avvenuti a (OMISSIS) dichiarando che erano accaduti in giorni separati, la prima volta con la macchina di (OMISSIS) e la seconda con la macchina di (OMISSIS), collocando i messaggi citati dopo il primo episodio. Dalla sentenza di primo grado emerge chiaramente che il Tribunale non ha considerato le dichiarazioni effettuate dalla minore nel corso dell'incidente probatorio dell'11/04/2017, aderendo alla seconda versione dei fatti e ritenendo che l'episodio descritto sub C di imputazione rappresentasse la prima fase del rapporto descritto nel capo D di imputazione dopo il quale si collocavano i messaggi tra (OMISSIS) e (OMISSIS). La Corte di appello, cui il travisamento (per omissione) era stato puntualmente dedotto, si e' allineata alla conclusione del Tribunale travisando anch'essa (per omissione) le dichiarazioni rese l'11/04/2017 facendo ricorso a giudizi del tutto ipotetici ("non si puo' escludere, infatti, che quella conversazione si riferisca all'episodio contestato al capo d) dell'imputazione"). Quel che piu' conta, annota il ricorrente, e' il fatto che la minore ha cambiato versione tre volte nel corso dell'incidente probatorio (a cui si deve aggiungere la versione dei fatti resa in audizione protetta sulla base della quale sono stati formulati i capi di imputazione) il che e' sintomatico di inattendibilita' intrinseca del suo narrato in quanto contraddittorio, frammentario e all'evidenza incostante nel tempo. A cio' si aggiunga che la minore non riesce a ricordare e riportare in modo preciso una circostanza, la contestualita' o meno dei rapporti sessuali a tre e a quattro avuti con (OMISSIS), che attiene con tutta evidenza al nucleo centrale del ricordo, assolutamente piu' importante del ricordo di elementi di contorno, quali la disposizione dei locali nella casa di (OMISSIS) o il colore delle tende, circostanze - ripete il ricorrente - mai poste in discussione. Il fatto che la minore ricordi e riferisca con precisione aspetti di dettaglio e non riesca a ricordare e a riferire con precisione aspetti centrali del ricordo e' circostanza peculiare che dovrebbe destare allarme. (OMISSIS) ricorda il colore delle coperte e la disposizione del mobilio ma non sa ricostruire gli atti sessuali che avrebbe subito contro la sua volonta'. Viene pertanto recisamente contestato quanto affermato nella sentenza di secondo grado secondo cui, "visti i numerosissimi rapporti, la ragazza non poteva ricordare tutti i dettagli (...) non potendosi, appunto, pretendere che il racconto, a distanza di parecchi anni ed a fronte, appunto, di diversi rapporti, sia leciti che illeciti, non divergesse per alcuni elementi" (sent. di appello, pag. 46). In buona sostanza, i Giudici di merito, scalzando tutti i principi in tema di funzionamento della memoria, hanno valutato attendibile la persona offesa al di la' delle sue stesse dichiarazioni e proprio facendo leva sulla precisione di elementi di dettaglio, a discapito del nucleo centrale del fatto da ricordare. La totale carenza di precisione in ordine alla ricostruzione di aspetti centrali del ricordo emerge palese altresi' dal raffronto tra il capo di imputazione sub D e le motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado in relazione al medesimo capo (cfr. sent. di primo grado, pag. 213 e ss. e sent. di appello, pag. 73 ss.). La dinamica degli atti sessuali descritta nel capo di imputazione formulato sulla base delle sommarie informazioni testimoniali rese dalla minore e' diversa da quella affermata in sentenza sulla base di quanto riferito dalla persona offesa nel corso dell'incidente probatorio. Stando al capo di imputazione (evidentemente redatto sulla base di quanto la minore afferma in audizione protetta in fase di indagini preliminari), dapprima (OMISSIS) avrebbe avuto un rapporto completo con la minore alla presenza di (OMISSIS) (e non con la partecipazione attiva di quest'ultimo). In un secondo momento, (OMISSIS) avrebbe consumato un rapporto completo con (OMISSIS), mentre (OMISSIS) e (OMISSIS) la avrebbero immobilizzata costringendola a praticare loro rapporti orali. Nell'incidente probatorio la minore descrive una dinamica totalmente diversa, recepita dalle sentenze di condanna: dapprima (OMISSIS) avrebbe avuto un rapporto sessuale con la stessa mentre (OMISSIS) e (OMISSIS) le avrebbero tenuto i polsi mentre si sarebbero masturbati, dopodiche' i partecipi dell'azione violenta si sarebbero dati il cambio e avrebbero avuto un rapporto sessuale completo con la minore. Incomprensibile la risposta fornita sul punto dalla Corte di appello secondo cui la diversita' del fatto deriva dalla circostanza che le parole della ragazza costituiscono solo una specificazione di quanto avvenuto (sent. di appello, pag. 84). Si tratta di fatti diversi, di azioni diverse, sottolinea il ricorrente. La dinamica del rapporto sessuale violento attiene a tutti gli effetti al nucleo centrale del ricordo, quanto, se non di piu', rispetto alla contestualita' degli episodi, e l'incapacita' della minore di descriverla adeguatamente e' un indice rilevante che depone in senso contrario alla sua attendibilita'. La minore cambia continuamente versione e a cambiare non sono mai gli elementi periferici del racconto, ma elementi centrali e dirimenti. Secondo la ricostruzione dei Giudici di merito, dopo una prima fase consensuale, tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ve ne sarebbe stata un'altra violenta successiva all'arrivo di (OMISSIS). Il punto e', lamenta il ricorrente, che nell'incidente probatorio la minore non aveva riferito cosa era avvenuto una volta giunto il (OMISSIS) e non aveva spiegato in che modo avrebbe rappresentato agli imputati il suo diniego ad avere rapporti sessuali con loro. Dalla lettura dell'incidente probatorio non si comprende come si sia passati da rapporti assolutamente consensuali a rapporti invece estremamente violenti (per come descritti dalla minore alle pagg. 81 e segg. dell'incidente probatorio dell'8/01/2017). La persona offesa ricostruisce gli eventi compulsata dalle domande suggestive del GIP volte a colmare le parti del racconto oscurate dalle lacune mnemoniche della dichiarante, il che mina la credibilita' del racconto. La Corte di appello non ha compreso (e ha minimizzato) il senso delle deduzioni difensive sul punto; non si tratta, come afferma la sentenza impugnata, di dettagli (che in quanto tali potrebbero non essere stati fissati nella memoria) circa il fatto che uno o piu' ragazzi possano aver fumato nell'intervallo tra la fase consenziente del rapporto e quella violenta. La difesa, afferma il ricorrente, aveva svolto un penetrante e approfondito esame dell'attendibilita' della minore, rilevandone in ogni suo aspetto la fallacia, sulla base di spunti scientifici e di evidenze emerse nel contraddittorio del dibattimento. Non si tratta di contraddizioni che evidentemente non intaccano il narrato della persona offesa ma di radicali e trasversali errori nel ragionamento giudiziario che ne corrodono lo svolgimento e travolgono il risultato. Il punto non e' se i ragazzi avessero fumato o meno bensi' che la minore non ricorda una porzione di episodio che attiene al nucleo centrale del racconto, una porzione di episodio in cui la stessa passa dall'avere rapporti consensuali con due ragazzi ad averne di violenti con tre. La centralita' dell'argomento riguarda la manifestazione del dissenso; senza la ricostruzione di tale fase intermedia tra rapporti consensuali e rapporti non consensuali e' impossibile comprendere in che termini la minore abbia manifestato il proprio dissenso senza che gli imputati lo rispettassero. L'insufficienza motivazionale, sul punto, e' figlia della mancanza di comprensione della questione. La persona offesa, inoltre, fornisce una descrizione del fatto del tutto stentata e dubitativa. Benche', come detto, la testimonianza sul fatto di cui al capo D sia il risultato di un numero significativo di domande suggestive, la Corte di appello non le considera tutte ma si limita, perche' cio' serve a sostenere il proprio ragionamento, a riportarne una sola, rendendo uno dei maggiori problemi della raccolta della prova principe un dettaglio insignificante arrivando addirittura a condensare in quella che ritiene una singola domanda suggestiva una sequenza di domande pressanti rivolte dai Giudici alla minore per obbligarla a riferire in merito ai fatti di (OMISSIS). E' un dato di fatto che dal racconto della persona offesa, in gran parte sollecitato, non si comprende - perche' la minore non lo dice - non solo se la stessa abbia manifestato in qualche modo il suo dissenso ma addirittura se la stessa abbia detto qualcosa agli imputati. La minore, sollecitata dai Giudici, si limita, infatti, a dire che: 1) non ricorda di avere gridato; 2) non ha chiesto di essere tenuta per i polsi; 3) non scalpitava ma che si era ritrovata in quella situazione; 4) non voleva stare in quella situazione. Questo non significa che ella avesse manifestato il suo dissenso. Il racconto della minore sul nucleo essenziale del ricordo e' talmente scarno e carente di una descrizione seppur minima delle interazioni tra le persone coinvolte e delle conversazioni intrattenute che sono di fatto i GIP a cristallizzare la sussistenza di una coercizione all'atto sessuale che alla minore viene chiesto solo di confermare. La versione dei fatti "ricostruita/suggerita" dai GIP viene recepita dal Tribunale (pag. 216 sentenza) con una evidente connotazione violenta (gli imputati dovevano addirittura tenere i polsi alla persona offesa per evitare che la stessa scappasse), versione dei fatti che, tuttavia, non e' altro che una sintesi, formulata con toni accorati e drammatici, della ricostruzione che i GIP hanno suggerito alla minore. Tale sintesi, tuttavia, sconta e continua a scontare la ineliminabile genericita' della deposizione della minore che non riferisce questa versione dei fatti. La Corte di appello pero' preferisce adagiarsi alla ricostruzione del Tribunale (frutto di una creazione della prova che non e' mai emersa in dibattimento) e supera le censure difensive argomentando in maniera semplicistica che la ragazza aveva manifestato il suo dissenso "anche divincolandosi", "magari" muovendosi, "perche' comunque non voleva stare in quella situazione". Dinnanzi ad una articolata censura difensiva che aveva denunciato la genericita' della deposizione (manca qualsiasi riferimento, come si e' detto, alle interazioni e alle conversazioni tra i soggetti coinvolti), i termini dubitativi ("magari") e afferenti a stati interiori e non a manifestazioni esteriori ("non volevo stare in quella situazione") attraverso cui viene riferito il dissenso agli atti sessuali da parte della minore, unitamente alla presenza massiccia di domande suggestive che hanno veicolato il racconto, la motivazione della sentenza non puo' ritenersi soddisfacente. Il divincolarsi della persona offesa e' invenzione del Tribunale prima e della Corte di appello dopo. Nessuno negli atti ne parla mai. Neppure i GIP con le loro domande suggestive sono arrivati a tanto. La motivazione e' dunque apparente, assertiva e autoreferenziale. 8.6. Con il sesto motivo - che riguarda sempre il reato di cui al capo D deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), la violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 1, e la contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla applicazione della valutazione frazionata della attendibilita' della persona offesa. Lamenta, nello specifico, il malgoverno del criterio della valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa che, a prescindere da quanto gia' in precedenza detto sui suoi presupposti applicativi (genuinita' del racconto e attendibilita' intrinseca), secondo l'insegnamento di legittimita' non e' consentito quando le dichiarazioni riguardano un unico episodio avvenuto in un unico contesto temporale, in quanto il giudizio di inattendibilita' su alcune circostanze inficia, in tale ipotesi, la credibilita' delle altre parti del racconto, essendo sempre e necessariamente ravvisabile un'interferenza fattuale e logica tra le parti del narrato. Orbene, a fronte di tale insegnamento, il Tribunale e la Corte di appello effettuano un'abile opera di segmentazione suddividendo il narrato della persona offesa per riferire i vari segmenti ai vari capi di imputazione. Con particolare riguardo ai capi di imputazione che riguardano il (OMISSIS), i capi C e D, tale abile opera di segmentazione consente al Tribunale di relegare tutte le contraddizioni e le lacune presenti nel narrato della persona offesa attinenti la descrizione dei rapporti sessuali con l'imputato, la loro collocazione temporale e la loro quantificazione (tutti aspetti come ampiamente illustrato che attengono al nucleo centrale del ricordo), al solo capo C di imputazione per il quale il Tribunale ha deciso l'assoluzione proprio perche' le dichiarazioni della minore erano frammentarie e contraddittorie. Cio' ha consentito alla Corte di appello di ignorare l'esistenza di tali contraddizioni nel racconto dei fatti di (OMISSIS) in quanto apparentemente riguardanti un capo per cui vi e' stata assoluzione. Sennonche', sostiene il ricorrente, le difficolta' della minore a ricordare con precisione la collocazione temporale, ma soprattutto la contestualita' o meno degli episodi svoltisi con la presenza del (OMISSIS), sono aspetti che necessariamente coinvolgono il giudizio sull'attendibilita' di entrambe le contestazioni sub C e D. Sono gli stessi Giudici di merito a stabilirne la connessione ritenendoli di fatto un unico episodio seppur disgiunti e separati nel racconto della minore. I fatti di cui al capo C diventano a tutti gli effetti l'antecedente logico e cronologico dei fatti di cui al capo D di imputazione, in tal modo escludendo l'applicabilita' di una valutazione frazionata dell'attendibilita'. Insomma, anche volendo aderire alla ricostruzione operata dai Giudici di merito secondo cui i fatti di cui ai capi C e D si sarebbero verificati il medesimo giorno, appare chiaro che (OMISSIS) e (OMISSIS) non sono stati ritenuti responsabili per il rapporto consensuale avuto con la minore in occasione della prima fase dell'episodio sub D in quanto, rispetto a tale fase di azione, e' stata ritenuta inattendibile. La Corte di appello nega questa connessione con motivazione manifestamente illogica e forzando il criterio della attendibilita' frazionata. Infine, il ricorrente stigmatizza il passaggio della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui sembra quasi affermare che la difesa non aveva sostanzialmente contestato il ricorso alla valutazione frazionata. Cio', afferma il ricorrente, non corrisponde al vero (cfr. motivi di appello sub 3, 3.1., 10); e' la Corte di appello che preferisce, ella si', nascondersi dietro di un dito e trascurare le precise e puntuali doglianze senza dover affrontare il faticoso tentativo di provare a confutare, motivando, la diversa ricostruzione difensiva. Nel che sta anche il vizio di mancanza di motivazione. 8.7. Con il settimo motivo - che riguarda ancora il reato di cui al capo D deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), la violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 1, e la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di riscontri estrinseci alla testimonianza resa dalla persona offesa. I Giudici di merito si sono dotati - afferma - di un criterio da utilizzare per selezionare le dichiarazioni attendibili da quelle che tali non sono: la presenza di riscontri estrinseci. Nel caso di specie, un elemento di riscontro e' stato indicato nella fedele descrizione della abitazione di (OMISSIS): la descrizione della casa diventa il riscontro estrinseco dell'esistenza o meno del consenso di un atto sessuale. La neutralita' del dato e' gia' stata oggetto di articolate deduzioni nei precedenti motivi. Il Tribunale e la Corte di appello fanno inoltre massiccio riferimento a riscontri estrinseci di tipo documentale e informatico, in particolare agli screenshot delle conversazioni intercorse tra la vittima ed il ricorrente e alla copia delle note scritte dalla persona offesa sul cellulare. Tali documenti, afferma il ricorrente, risultano di difficile valutabilita' e di dubbia attendibilita' per una serie di motivi. In primo luogo, le note sul cellulare costituiscono scritti che provengono dalla persona offesa ed evidentemente risentono delle limitazioni, soprattutto cognitive, che la stessa presenta. Inoltre, si tratta pur sempre di appunti segreti di una tredicenne che, in un flusso di pensiero, riporta tra l'altro anche affermazioni attribuite al tanto desiderato (OMISSIS) ("Ti ho aspettata un mese"). Per di piu' tali note non sono state sottoposte alla minore perche' le commentasse in incidente probatorio, quindi non si puo' sapere dall'autrice in che modo, con quali finalita' e in che stato d'animo la stessa le aveva redatte. In secondo luogo, gli screenshot contenenti i messaggi con (OMISSIS), non solo non sono di significato univoco, ma presentano enormi problemi di valutabilita' e attendibilita' non superati in motivazione dalla Corte d'Appello, in quanto scontano il fatto che, come riportato nei motivi di impugnazione (motivi di appello 4, 9 e 10.3.), sono rimasti privi di riscontro. E cio' per varie ragioni, tutte puntualmente indicate nel gravame e rimaste senza risposta: (1) negli screenshot non e' presente la data di cattura dello schermo ne' la data di invio dei messaggi; (2) non si sa se tali screenshot rappresentino in modo fedele e integrale la conversazione tra l'imputato e la persona offesa, anzi dal tenore di domande e risposte e dal minutaggio dei messaggi sembra al contrario che la minore abbia cancellato alcuni messaggi; (3) si tratta di alcuni screenshot di messaggi che si inseriscono nel contesto di una conversazione molto piu' lunga tra l'imputato e la minore, messaggi che sono stati selezionati dalla stessa persona offesa che prima di consegnare il proprio computer portatile all'Autorita' Giudiziaria ha effettuato una operazione di recupero, selezione e cancellazione definitiva dei file non selezionati. Gia' dalla sola deposizione dell'ing. (OMISSIS) emerge evidente come la fonte di prova consistente nella documentazione di natura informatica utilizzata come riscontro estrinseco alla testimonianza della minore sia stata in realta' manipolata dalla stessa e debba essere considerata non genuina. Il fatto, inoltre, che la minore si sia impegnata, aiutata dal fratello, in tale attivita' di recupero, selezione e cancellazione definitiva dei file informatici e il fatto che, sentita sul punto, avesse ammesso solo di aver attivato il programma Recuva senza cancellare alcunche' nonostante l'analisi del dispositivo abbia dimostrato il contrario, sono circostanze che incidono in maniera diretta sul profilo della credibilita' soggettiva della minore e sulla attendibilita' delle sue dichiarazioni. Ci si doveva interrogare - come ha fatto la difesa senza ricevere risposta alcuna - sul motivo per cui la minore non si sia limitata a consegnare il proprio computer alla Autorita' Giudiziaria ma abbia avvertito la necessita' di selezionare i file per decidere cosa lasciarvi e cosa cancellare per sempre. Ma soprattutto si deve prendere atto del fatto che, a causa della attivita' condotta dai fratelli (OMISSIS), ormai il compendio probatorio di tipo documentale e informatico risulta compromesso dal punto di vista della sua genuinita'. La minore, insomma, aveva cancellato la prova, l'aveva manipolata e non v'e' dubbio che la cancellazione di una prova e' attivita' che deve essere valutata negativamente minando la credibilita' del soggetto che ha proceduto alla alterazione. Il Tribunale e la Corte di Appello utilizzano come riscontri estrinseci alcuni messaggi il cui significato e' tutt'altro che univoco. In altri casi, i Giudici di merito, dinnanzi a messaggi dal significato piuttosto intuitivo, ne negano la forza dimostrativa appiattendosi su un approccio verificazionista e rifiutando di procedere ad un leale ragionamento probatorio. Ne e' tipico esempio il (mal)governo probatorio del messaggio riportato a pag. 217 della sentenza di primo grado (messaggio con cui la minore chiede a (OMISSIS) "perche' quel giorno che hai chiamato (OMISSIS) gli hai detto che c'ero lo la'") utilizzato per affermare la natura non consensuale del rapporto a quattro contestato al capo D. Il ricorrente, in appello, aveva dedotto: (1) l'impossibilita' di datare il messaggio; (2) la possibilita' che si riferisca ad altri incontri che pure c'erano stati; (3) il contrasto con quanto affermato dalla PO secondo cui era stato (OMISSIS) a chiamare il (OMISSIS) e non il (OMISSIS). La Corte di appello, afferma il ricorrente, segue un ragionamento verificazionista che adotta, tra le molte parimenti plausibili, l'interpretazione che meglio si attaglia all'obiettivo di riscontrare l'episodio di cui al capo D. L'aspetto piu' sorprendente e piu' preoccupante e' che i Giudici di merito sposino a tal punto tale prospettiva verificazionistica che arrivano a negare l'interpretazione piu' intuitiva di alcuni dei messaggi agli atti, solo perche' l'interpretazione piu' intuitiva non e' funzionale alla condanna degli imputati. Ne costituisce esempio il messaggio inviato a (OMISSIS) in cui la minore fa riferimento ad un incontro di natura sessuale tra lei, (OMISSIS) e il suo interlocutore esprimendo il suo apprezzamento per un momento particolare di quell'incontro e che ben descrive, afferma il ricorrente, il fatto di cui al capo C contestato come verificatosi il giorno prima di quello di cui al capo D. Ed invece il Tribunale ha superato le stesse parole di (OMISSIS) aderendo, contro ogni logica, ad una interpretazione anti-intuitiva. Dopo aver subito una violenza cosi' drammatica come quella descritta nel capo di imputazione la persona offesa difficilmente avrebbe inviato un messaggio rappresentando che, al di la' della violenza sessuale di gruppo subita, poco prima le era piaciuto un momento particolare in cui erano coinvolti guarda caso gli stessi autori della violenza. La fragilita' del ragionamento e' talmente evidente che per lo stesso Tribunale l'unico rifugio diviene il ragionamento della possibilita' ("non si puo' escludere che") che pero' non ha e non puo' avere alcuna valenza probatoria e si risolve in una congettura utile, semmai, a fondare un ragionevole dubbio, non certo una sentenza di condanna. Investita di tali censure, la Corte di appello non spende una singola parola. Anche quella della Corte territoriale - che richiama le conclusioni del Tribunale - e' un'intuizione e dove c'e' intuizione non c'e' motivazione. Ulteriore riscontro utilizzato dai Giudici di merito e' costituito dalle massime di esperienza, adottate per collocare i fatti di (OMISSIS) prima del compimento del quattordicesimo anno di eta' della persona offesa. Il dato di fatto di partenza e' costituito da una nota del cellulare nella quale la minore afferma di aver rivisto (OMISSIS) il pomeriggio del 05/02/2014, dopo un mese di distacco. Da tale dato il Tribunale ricava, mediante la semplice operazione aritmetica di sottrazione, che il mese in questione sia iniziato il 05/01/2014. E tuttavia, poiche' la minore in incidente probatorio aveva ricordato di essersi recata a (OMISSIS) in un giorno di frequenza scolastica, il Tribunale anticipa ulteriormente i fatti di cui ai capi c) e d) ai giorni di dicembre prima delle vacanze natalizie. In appello era stato dedotto che non risponde ad una regola comune di esperienza ritenere che quando la minore fa riferimento ad "un mese" intenda riferirsi ad un periodo pari a esattamente 31 giorni. Chiare le implicazioni pratiche: se si prende per assodato che il riferimento che la minore fa non deve necessariamente equivalere a 31 giorni esatti, ma possa correttamente identificare un arco temporale dai contorni meno netti, diviene del tutto possibile affermare che i fatti siano avvenuti dopo le vacanze di Natale, durante un giorno di frequenza della scuola. Del resto da lunedi' 07/01/2014 (data di inizio delle lezioni dopo le vacanze natalizie) al 05/02/2014 trascorrono 29 giorni, periodo evidentemente considerabile "un mese". Tale contro-ipotesi disvelava in tutta la sua evidenza come il Tribunale avesse proposto, rivestendola da massima di esperienza, quella che invece si risolve, ancora una volta, in una mera congettura. Orbene, la Corte di appello, investita della questione, non ha speso una sola parola sul punto, preferendo impegnarsi nel tentativo di operare una collocazione temporale dei fatti di (OMISSIS), se possibile, ancora meno convincente di quella proposta in primo grado. Per i Giudici distrettuali e' inverosimile che la persona offesa, che fino al 03/02/2014 aveva avuto una relazione sentimentale (definita del tutto soddisfacente solo dalla Corte d'appello) con (OMISSIS), potesse avere, in costanza di detto rapporto, un rapporto sessuale di gruppo consenziente prima e violento poi. Il che nell'ottica della Corte territoriale giustifica la collocazione del fatto al mese di dicembre. Escluso che la persona offesa avesse mai definito come "del tutto soddisfacente" la sua relazione con (OMISSIS), il ricorrente censura fortemente il ricorso ad una proposizione cosi' lontana da una regola di comune esperienza quale quella che vuole che una persona impegnata in una relazione non possa averne un'altra contemporaneamente. E cio' a maggior ragione se si cala la regola di comune esperienza, che tale non e', nel contesto dell'odierna regiudicanda ove la protagonista dell'intera vicenda e' una minorenne nel periodo dell'adolescenza con relazioni disfunzionali e contemporanee radicate sin dall'eta' di 11 anni. Si tratta di una motivazione inconsistente e illogica fornita peraltro in relazione ad un aspetto, la collocazione temporale, di importanza capitale nell'economia del processo. Di fronte alla incapacita' della minore di collocare i fatti di cui ai capi C e D di imputazione, i Giudici tentano di riempire il vuoto con indizi che non hanno nemmeno l'apparenza di un riscontro estrinseco. 9. (OMISSIS) articola due motivi. 9.1. Con il primo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'erronea applicazione dell'articolo 378 c.p., nonche' dell'articolo 125 c.p.p., comma 3, e articolo 192 c.p.p. e la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla eventuale sussistenza del dolo, seppur nella sua forma generica. Nei motivi di appello aveva evidenziato che non v'era alcuna certezza sul fatto che fosse effettivamente a conoscenza (o fosse comunque consapevole) del fatto che la giovane (OMISSIS) era stata fatta effettivamente oggetto di violenza sessuale da parte del cd. "branco", essendosi inizialmente persuaso che la ragazza fosse una seduttrice consenziente e non di certo una vittima, come reso palese dal suo atteggiamento nei confronti della ragazza stessa con la quale aveva avuto dei conflitti e che nella rubrica del proprio telefono aveva indicato come "Troia", a dimostrazione del fatto che egli non le aveva mai creduto. La Corte di appello si e' limitata a rigettare le deduzioni difensive affermando che l'imputato non aveva provato l'esistenza di una interpretazione alternativa da dare alla frase oggetto della contestazione e, dunque, pretendendo che fosse l'imputato stesso a dimostrare che effettivamente non aveva creduto al narrato della giovane. La motivazione contrasta con il criterio della credibilita' frazionata utilizzato per affermare la credibilita' della ragazza ed in particolare per selezionare i rapporti sessuali consenzienti da quelli non consenzienti, a riprova del fatto che nemmeno i Giudici di merito le hanno creduto in pieno. In buona sostanza, se si dubitava della credibilita' della ragazza, non e' dato comprendere perche' il ricorrente dovesse essere certo della verita' del suo racconto. La frase profferita quando era stato chiamato a rendere dichiarazioni non era affatto univoca ma doveva essere letta e valutata nel contesto in cui era sorta, ossia in seguito allo sconvolgimento psicologico che aveva subito allorquando aveva scoperto (dal proprio punto di vista e senza voler entrare nel merito della vicenda) che la propria fidanzata - giovanissima - aveva avuto moltissimi rapporti sessuali, avendo percepito una serie di tradimenti. La Corte di appello ha preteso una sorta di inversione dell'onere della prova facendogli carico delle ragioni per le quali non aveva creduto alla (allora) fidanzata sulle violenze subite e di non aver fornito una versione alternativa credibile alla sua condotta. 9.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), la mancanza di motivazione in ordine al diniego del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. E' fondato, per quanto di ragione, il ricorso del (OMISSIS), che e' inammissibile nel resto; sono infondati tutti gli altri ricorsi. 2. Prima di procedere all'analisi dei singoli ricorsi e' necessario richiamare (e ribadire) gli insegnamenti di questa Corte di cassazione in ordine ai criteri in base ai quali deve essere scrutinata la credibilita' della persona offesa vittima di abusi sessuali e ai limiti del sindacato di legittimita' sulla relativa motivazione. 3. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, in generale, la testimonianza della persona offesa, perche' possa essere legittimamente utilizzata come fonte ricostruttiva del fatto per il quale si procede non necessita di altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilita' (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214) ma, anzi, al pari di qualsiasi altra testimonianza, e' sorretta da una presunzione di veridicita' secondo la quale il giudice, pur essendo tenuto a valutarne criticamente il contenuto, verificandone l'attendibilita', non puo' assumere come base del proprio convincimento l'ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso (salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere, in assenza dei quali egli deve presumere che il dichiarante, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza) (cosi', da ultimo, Sez. 6, n. 27185 del 27/03/2014, Rv. 260064; Sez. 4, n. 6777 del 24/01/2013, Grassidonio, Rv. 255104; cfr. anche Sez. 6, n. 7180 del 12/12/2003, Mellini, Rv. 228013 e Sez. 4, n. 35984 del 10/10/2006, Montefusco, Rv. 234830, secondo le quali "in assenza di siffatti elementi, il giudice deve presumere che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve percio' limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilita' fra quello che il teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre fonti di prova di eguale valenza"). 3.1. La testimonianza della persona offesa, quando portatrice di un personale interesse all'accertamento del fatto, deve essere certamente soggetta ad un piu' penetrante e rigoroso controllo circa la sua credibilita' soggettiva e l'attendibilita' intrinseca del racconto, fino a valutare l'opportunita' di procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Sez. U, 41461 del 2012, cit.; Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, Rv. 279070 - 01), ma cio' non legittima un aprioristico giudizio di inaffidabilita' della testimonianza stessa (espressamente vietata come regola di giudizio) e non consente di collocarla, di fatto, sullo stesso piano delle dichiarazioni provenienti dai soggetti indicati dall'articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, (con violazione del canone di giudizio imposto dall'articolo 192 c.p.p., comma 1). 3.2. In tema di reati sessuali, peraltro, tale valutazione risente della particolare dinamica delle condotte il cui accertamento, spesso, deve essere svolto senza l'apporto conoscitivo di testimoni diretti diversi dalla stessa vittima. In questi casi la deposizione della persona offesa puo' essere assunta anche da sola come fonte di prova della colpevolezza, ove venga sottoposta ad un'indagine positiva sulla credibilita' soggettiva ed oggettiva di chi l'ha resa, dato che in tale contesto processuale il piu' delle volte l'accertamento dei fatti dipende necessariamente dalla valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilita', dall'esterno, all'una o all'altra tesi (Sez. 4, n. 30422 del 21/06/2005, Rv. 232018; Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, Rv. 251661). 3.3. Non sarebbe pertanto giuridicamente corretto fondare il giudizio di inattendibilita' della testimonianza della persona offesa sul solo dato dell'oggettivo contrasto con altre prove testimoniali, soprattutto se provenienti da persone che non hanno assistito al fatto. Cio' equivarrebbe a introdurre, in modo surrettizio, una gerarchia tra fonti di prova che non solo e' esclusa dal codice di rito ma che sottende una valutazione di aprioristica inattendibilita' della testimonianza della persona offesa che, come detto, non e' ammissibile. 3.4. Non si tratta, come pure e' stato adombrato dalle difese in sede di discussione, di attribuire alla vittima una patente di credibilita' a priori ne' di imporre un atto di fede nei suoi confronti, quanto, piuttosto, di evitare il rischio del contrario: che si ritenga, cioe', la vittima di reati sessuali mossa sempre da un personale interesse a denunziare il falso, a mentire sull'esistenza dell'atto sessuale e/o sul consenso, si' da trasformare la presunzione di veridicita' in presunzione di falsita' (o non credibilita') del suo racconto. Ed e' questa presunzione (irragionevole nei suoi fondamenti giuridici) che spesso inquina dibattiti, discussioni, approfondimenti sul tema della credibilita' della vittima dei reati sessuali che non hanno eguali in altri campi del diritto penale, sostanziale e processuale, ove raramente si assiste alla idealizzazione della vittima-modello del reato il cui comportamento deve adeguarsi, per essere credibile, a schemi comportamentali predefiniti e astratti, teorizzati da un approccio culturale-morale frutto, a sua volta, di pregiudizi non infrequentemente alimentati dalla personale esperienza di chi e' chiamato a scrutinare il racconto della vittima. Troppo spesso la credibilita' della persona offesa risente di questi inaccettabili stereotipi alla luce dei quali si dovrebbe saggiarne la credibilita'; il giudizio sulla coerenza (e la credibilita') del racconto risente allora della (ritenuta) incoerenza-devianza del comportamento concretamente tenuto dalla vittima da quello teorizzato in base a "pseudo-massime di esperienza" forgiate su inaccettabili (ed obsoleti) stereotipi "culturali", come se questa Corte di cassazione non avesse mai affermato, per esempio, che i costumi e le abitudini sessuali della vittima di reati sessuali non influiscono sulla sua credibilita' e non possono costituire argomento di prova per l'esistenza, reale o putativa, del suo consenso (Sez. 3, n. 46464 del 09/06/2017, Rv. 271124 - 01) o non avesse predicato l'irrilevanza dell'antecedente condotta provocatoria tenuta dalla stessa persona offesa (Sez. 3, n. 7873 del 19/01/2022, Rv. 282834 - 01) o non avesse da lungo tempo ormai insegnato che il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell'intero rapporto senza soluzione di continuita', con la conseguenza che integra il reato di cui all'articolo 609 bis c.p. la prosecuzione del rapporto nel caso in cui, successivamente a un consenso originariamente prestato, intervenga "in itinere" una manifestazione di dissenso, anche non esplicita, ma per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volonta' (Sez. 3, n. 15010 dell'11/12/2018, Rv. 275393 - 01; Sez. 3, n. 4532 dell'11/12/2017, Rv. 238987 - 01; Sez. 3, n. 39428 del 21/09/2007, Rv. 237930 - 01; Sez. 3, n. 25727 del 24/02/2004, Rv. 228687 - 01). Il rischio e' che oggetto del processo non sia piu' il fatto-reato, ma la persona che l'ha subito, che il giudizio si sposti dall'uno all'altra. 3.5. Peraltro, oggetto di scrutinio di legittimita' non puo' mai essere la prova in se', ostandovi, per quanto si dira', il chiaro tenore letterale dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), bensi' il modo con cui il giudice di merito ha valutato i possibili specifici indicatori della sua inattendibilita', dando conto della loro effettiva esistenza e, in caso positivo, della loro incapacita' di vincere la presunzione di credibilita' del testimone. Poiche' il giudizio sulla credibilita' della persona offesa (come di qualsiasi altro testimone) deve essere illustrato e spiegato nella sentenza di merito, che deve dar conto "dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati e (...) l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie" (articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), motivo di ricorso in questa sede non puo' essere la credibilita' in se' della persona offesa ma solo l'eventuale deduzione di mancanza, contraddittorieta' e/o manifesta illogicita' della motivazione sul punto. 4. Quanto al vizio di motivazione e ai limiti della sua deducibilita' in cassazione, devono essere ribaditi i principi secondo i quali: 4.1. L'indagine di legittimita' sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volonta' del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita' di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e' avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali; 4.2. l'illogicita' della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe' di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimita' al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche' siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794); 4.3. la mancanza e la manifesta illogicita' della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicche' dedurre tale vizio in sede di legittimita' significa dimostrare che il testo del provvedimento e' manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non gia' opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621), sicche' una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicita' (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903); 4.4. e' possibile estendere l'indagine di legittimita' a "specifici atti del processo" solo se ne venga dedotto il travisamento, vizio configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499); 4.5. il travisamento della prova, come detto, consiste in un errore percettivo (e non valutativo) della prova stessa tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. In particolare, consiste nell'affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Il travisamento della prova rende la motivazione, insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento cosi' come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversita' tale da non reggere all'urto del contro-giudizio logico sulla tenuta del sillogismo. Il travisamento e' percio' decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta e' irreparabile. Come autorevolmente ribadito da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n. m. sul punto, il travisamento delle prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore "revocatorio", per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformita' cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato); 4.6. poiche' il vizio riguarda la ricostruzione del fatto effettuata utilizzando la prova travisata, se l'errore e' imputabile al giudice di primo grado la relativa questione deve essere devoluta al giudice dell'appello, pena la sua preclusione nel giudizio di legittimita', non potendo essere dedotto con ricorso per cassazione, in caso di c.d "doppia conforme", il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il travisamento non gli era stato rappresentato (Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, Biondetti, Rv. 261438; Sez. 6, n. 5146 del 2014, cit.), a meno che, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, il giudice di secondo grado abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (nel qual caso il vizio puo' essere eccepito in sede di legittimita', Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi, Rv. 258438). 4.7. Sul punto si rendono necessarie le seguenti ulteriori precisazioni: 4.8. il "travisamento del fatto" (e non della prova) era tradizionalmente inteso quale vizio logico che aveva ad oggetto la ricostruzione dei fatti insanabilmente in contrasto con la realta' indiscussa od almeno manifesta nel processo (Sez. 2, n. 1195 del 01/07/1965, dep. 1967, Wobbe), quando cioe' la pronuncia fosse emanata sul presupposto dell'esistenza o inesistenza di fatti, che invece dagli atti risultino, di certo, inesistenti o esistenti, con esclusione del momento valutativo della prova (Sez. 1, n. 86 del 25/01/1966, Spucches). Il nuovo codice di rito ha voluto mantenere "il sindacato sul piano della legittimita', evitando gli eccessi (...) che hanno talvolta dato luogo a invasioni da parte del giudice di legittimita' dell'area in giudizio riservata al giudice di merito" (Relazione al progetto del codice di procedura penale). L'iniziale formulazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), era percio' chiaramente finalizzata a evitare che il giudizio di legittimita' si trasformasse, di fatto, in un'ulteriore grado di giudizio di merito, vietando qualsiasi incursione nel materiale raccolto nelle precedenti fasi di merito ed imponendo come oggetto di valutazione della logicita', congruita' e coerenza della sentenza esclusivamente il testo della motivazione. Coerentemente, la giurisprudenza di legittimita' aveva affermato il principio per il quale il travisamento del fatto intanto poteva essere oggetto di valutazione e di sindacato in sede di legittimita', in quanto risultasse inquadrabile nelle ipotesi tassativamente previste dall'articolo 606 c.p.p., lettera e); l'accertamento di esso richiedeva, pertanto, la dimostrazione, da parte del ricorrente, dell'avvenuta rappresentazione, al giudice della precedente fase di impugnazione, degli elementi dai quali quest'ultimo avrebbe dovuto rilevare il detto travisamento, sicche' la Corte di cassazione potesse, a sua volta, desumere dal testo del provvedimento impugnato se e come quegli elementi fossero stati valutati (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimo; nello stesso senso, Sez. 4, n. 31064 del 02/07/2002). La L. n. 46 del 2006, articolo 8, comma 1, ha esteso l'ambito della deducibilita' del vizio di motivazione anche ad "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame". Il legislatore ha cosi' introdotto il "travisamento della prova" (e non del fatto) quale ulteriore criterio di giudizio della contraddittorieta' estrinseca della motivazione ma cio' non muta, alla luce delle considerazioni che precedono, la natura dell'indagine di legittimita' il cui oggetto resta la motivazione del provvedimento impugnato, l'esame della cui illogicita' non puo' mai trasmodare in un inammissibile e rinnovato esame dell'intero compendio probatorio gia' utilizzato dal giudice di merito per giungere alle sue conclusioni. Il travisamento, insomma, deve riguardare uno o piu' specifici atti del processo, non il fatto nella sua interezza; 4.9. ne consegue, in conclusione che: a) il vizio di motivazione non puo' essere utilizzato per spingere l'indagine di legittimita' oltre il testo del provvedimento impugnato, nemmeno quando cio' sia strumentale a una diversa ricomposizione del quadro probatorio che, secondo gli auspici del ricorrente, possa condurre il fatto fuori dalla fattispecie incriminatrice applicata; b) l'esame puo' avere ad oggetto direttamente la prova quando se ne denunci il travisamento, purche' l'atto processuale che la incorpora sia allegato al ricorso (o ne sia integralmente trascritto il contenuto) e possa scardinare la logica del provvedimento creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali; c) la natura manifesta della illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato costituisce un limite al sindacato di legittimita' che impedisce alla Corte di cassazione di sostituire la propria logica a quella del giudice di merito e di avallare, dunque, ricostruzioni alternative del medesimo fatto, ancorche' altrettanto ragionevoli; d) non e' consentito, in caso di cd. "doppia conforme", eccepire il travisamento della prova mediante la pura e semplice riproposizione delle medesime questioni fattuali gia' devolute in appello soprattutto quando, come nel caso di specie, la censura riguardi il medesimo compendio probatorio non avendo la Corte territoriale attinto a prove diverse da quelle scrutinate in primo grado. 4.10. Non e' dunque consentito, in sede di legittimita', interloquire direttamente con la Suprema Corte sul significato delle prove assunte in sede di giudizio di merito sollecitandone l'esame e proponendole quale criterio di valutazione della illogicita' manifesta della motivazione; in questo modo si sollecita la Corte di cassazione a sovrapporre la propria valutazione a quella dei Giudici di merito laddove, come detto, cio' non e' consentito, nemmeno quando venga eccepito il travisamento/significante della prova. Il travisamento non costituisce il mezzo per valutare nel merito la prova, bensi' lo strumento - come detto - per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento. Oggetto di cognizione in sede di legittimita' non e' il fatto come ricostruibile in base alle prove assunte nella fase di merito, bensi' il fatto come ricostruito (e descritto) nel provvedimento impugnato. Il vizio di motivazione, dunque, deve essere apprezzato in base alla lettura diretta e immediata del testo del provvedimento impugnato senza la "mediazione" di elementi spuri ad esso estranei (inequivoco il riferimento al "testo del provvedimento impugnato" contenuto nella lettera "e" dell'articolo 606 c.p.p., comma 1). oggetto di cognizione in sede di legittimita' non e' il fatto come ricostruibile in base alle prove assunte nella fase di merito, bensi' il fatto come ricostruito (e descritto) nel provvedimento impugnato. Il vizio di motivazione, dunque, deve essere apprezzato in base alla lettura diretta e immediata del testo del provvedimento impugnato senza la "mediazione" di elementi spuri ad esso estranei (inequivoco il riferimento al "testo del provvedimento impugnato" contenuto nella lettera "e" dell'articolo 606 c.p.p., comma 1). Il giudice "indica le prove poste a base della decisione (...) e l'enunciazione delle ragioni per le quali ritiene non attendibili le prove contrarie" (cosi' l'articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e, prima delle modifiche introdotte dalla L. n. 103 del 2017, articolo 1, comma 52); nel valutare la prova egli deve dar conto, nella motivazione, dei risultati acquisiti e dei criteri adottati (articolo 192 c.p.p., comma 1). La frattura tra il fatto descritto nel provvedimento impugnato in base alle prove poste a base della decisione e quello ricostruibile in base alle stesse ovvero ad altre prove comunque assunte nel corso del giudizio puo' viziare il provvedimento solo se tale frattura e' il frutto di un errore di natura percettiva e non valutativa. Orbene, di tale errore di natura percettiva non v'e' traccia nel provvedimento impugnato. 4.11. In ogni caso, quando si deduce la omessa valutazione o il travisamento del contenuto di specifici atti del processo penale, e' onere del ricorrente, in virtu' del principio di "autosufficienza del ricorso" suffragare la validita' del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era gia' stato dedotto in sede di appello), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimita' il loro esame diretto, a meno che il "fumus" del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Sez. 2, n. 20677 dell'11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. F. n. 37368 del 13/09/2007, Torino, Rv. 237302). 4.12. Non e' sufficiente riportare meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedere ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, Savasta, Rv. 263601; Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994, secondo cui la condizione della specifica indicazione degli "altri atti del processo", con riferimento ai quali, l'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimita', puo' essere soddisfatta nei modi piu' diversi (quali, ad esempio, l'integrale riproduzione dell'atto nel testo del ricorso, l'allegazione in copia, l'individuazione precisa dell'atto nel fascicolo processuale di merito), purche' detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilita' del ricorso, in base al combinato disposto dell'articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c), e articolo 591 c.p.p.). 4.13. E' necessario, pertanto: a) identificare l'atto processuale omesso o travisato; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verita' dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonche' della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilita'" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035). 5. I ricorsi di (OMISSIS). Il ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 5.1. Il primo motivo deduce il malgoverno logico della consulenza tecnica (e della deposizione) dell'ing. (OMISSIS), acquisita, come prova nuova, dalla Corte di appello ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., su richiesta della difesa. Poiche' la credibilita' della persona offesa era stata testata anche dall'esame dei tabulati telefonici che confermavano la localizzazione degli imputati e della persona offesa nei tempi e nei luoghi da quest'ultima riferiti, scopo della consulenza era proprio quello di ricostruire con piu' precisione i movimenti dello (OMISSIS) mediante la geolocalizzazione del suo telefono cellulare, geolocalizzazione che aveva un margine di imprecisione di pochissimi metri (non piu' di dieci) rispetto alla posizione effettiva del telefono cellulare rilevabile anche in mancanza di effettivo utilizzo del telefono stesso, laddove, come noto, le celle radio base agganciate dai telefoni cellulari ne rilevano la localizzazione solo se effettivamente usati e con un margine di approssimazione decisamente elevato se si considera - afferma il ricorrente - che l'intero territorio del Comune di Melito di Porto Salvo e' coperto da una (o due) celle radio base. Il sistema di geolocalizzazione consentiva anche di rilevate la rete wi-fi alla quale il telefono cellulare si era eventualmente agganciato. I risultati, afferma il ricorrente, sono sorprendenti perche' dimostrano, con molta maggior precisione dei tabulati telefonici, che l'imputato non era mai stato nei luoghi, nei giorni e nelle ore indicate dalla PO nelle sue dichiarazioni. 5.2. Secondo la Corte di appello, invece, la consulenza tecnica dell'Ing. (OMISSIS) corrobora gli accertamenti della PG sugli spostamenti della vittima e degli imputati: "se da un lato l'acquisizione della relazione di parte a firma del Dott. (OMISSIS) ha completato il gia' copioso materiale probatorio raccolto, dall'altra - afferma - la sua deposizione testimoniale resa all'udienza del 21 luglio 2020 ha messo in luce alcuni aspetti che, nella sostanza, non solo non spostano i termini della vicenda, ma corroborano i dati relativi agli spostamenti dello (OMISSIS) come registrati dalle celle agganciate dal dispositivo mobile in uso allo stesso e che hanno tratteggiato il percorso stradale seguito, gia' evidenziate in sede di indagini preliminari". Quindi la sentenza riporta le dichiarazioni del testimone alle pagg. 47 e 48 e afferma che "gli accertamenti tecnici di parte fatti dall'ing. (OMISSIS), le cui dichiarazioni testimoniali sono state disposte (unitamente alla CTP) in questa fase di appello, non solo non smentiscono i dati probatori raccolti in ordine alla presenza dello (OMISSIS) sui luoghi dei delitti via via contestati, ma li confermano" e (testualmente) "(c)io' in quanto, seppure il CTP ha riferito che in determinati momenti l'analisi dei dati, come tratti dalle fonti informatiche-tecnologiche su indicate, registrava il dispositivo in uso allo (OMISSIS) (e cioe' quello sempre all'interno dell'area di interesse, ossia quella in cui era commesso il reato; d'altronde, il fatto che in alcuni momenti la rete segnava un raggio di copertura ampio che poteva far propendere anche per un posizionamento in un luogo diverso da quello teatro dei fatti specifici, tuttavia il dato raccolto, a detta dello stesso perito di parte, si poneva sempre in termini di "compatibilita'" della presenza dello (OMISSIS) in quella determinata zona e, pertanto, non scalfisce le precedenti risultanze istruttorie". 5.3. In buona sostanza, afferma il ricorrente, la Corte di appello fornisce una lettura manifestamente illogica del dato utilizzandolo a riscontro del posizionamento del ricorrente nell'area coperta dal raggio di copertura delle singole celle. Il dato certo della posizione viene utilizzato a conferma della bonta' del dato incerto secondo un'inaccettabile inversione logica. 5.4. Osserva il Collegio che la polizia giudiziaria aveva monitorato il periodo che va dal (OMISSIS); ne restavano esclusi i periodi precedenti pure oggetto di analisi del consulente tecnico i cui dati erano gli unici utilizzabili nella specie. 5.5. Il vizio dedotto dal ricorrente ha dunque una duplice valenza: a) per la parte fino al 10/03/2014 rileva come sostanziale travisamento della prova (sotto il profilo della omessa valutazione della CT dell'ing. (OMISSIS), l'unica che riguardasse i movimenti della vittima); b) per la parte successiva riguarda la sostanziale illogicita' manifesta della motivazione che ha ritenuto di trarre dall'elaborato del CT una conferma dei dati (molto meno precisi) ricavabili dai tabulati telefonici, oltretutto anche per il periodo da essi non coperti (secondo semestre 2013 e primi due mesi dell'anno 2014). 5.6. Tanto premesso, va fatta una prima considerazione di ordine generale che riguarda il rapporto tra la prova nuova introdotta dall'imputato in appello e le sue stesse dichiarazioni rese in sede di esame. 5.7. Esaminato dal primo Giudice, lo (OMISSIS) aveva confermato di aver avuto una relazione sentimentale con la persona offesa iniziata nell'estate dell'anno 2013, relazione interrotta dopo che egli aveva scoperto che la ragazza si era vista, di nascosto, con un suo (del ricorrente) amico, (OMISSIS) (con il quale peraltro la ragazza avrebbe riferito in sede processuale di aver avuto rapporti sessuali). Nonostante la "mediazione" del padre della ragazza, egli non aveva piu' voluto vederla, ne' si sarebbero visti fino a quando la (OMISSIS) aveva compiuto quattordici anni ((OMISSIS)). I due si erano quindi di nuovo incontrati per la prima volta dall'estate precedente appartandosi in un luogo dove avevano avuto il loro primo rapporto sessuale. Diversa la ricostruzione della vicenda da parte della ragazza: le due versioni concordano sull'inizio della relazione e sulle cause della cessazione (la scoperta dell'incontro clandestino con il (OMISSIS)) ma divergono sugli sviluppi successivi. Mentre, infatti, l'imputato, secondo la propria versione, esce di scena e ricompare solo dopo il compimento del quattordicesimo anno di eta' della persona offesa, quest'ultima sostiene l'esatto contrario avendo affermato che: a) la mediazione del padre era andata a buon fine, essendosi i due rivisti insieme con altri due amici, (OMISSIS) e l'amica di questi, (OMISSIS); b) in quell'occasione l'imputato le aveva detto che, essendosi divertita con il (OMISSIS), avrebbe dovuto fare altrettanto con lui (proposta respinta nell'immediato); c) successivamente l'imputato aveva iniziato a scriverle messaggi dicendole che se voleva il suo perdono avrebbe dovuto avere rapporti sessuali con lui e con i suoi amici tra i quali il (OMISSIS); d) nei mesi di ottobre-novembre 2013 aveva ripreso a frequentare lo (OMISSIS) con il quale, una notte (un sabato o una domenica, o comunque un giorno festivo) aveva avuto con lui il primo rapporto sessuale completo nell'abitazione in costruzione sita in Via (OMISSIS), nei pressi di quella dei nonni di lei; e) a tale rapporto aveva assistito il (OMISSIS) con il quale la ragazza avrebbe avuto un rapporto subito dopo su richiesta dello stesso (OMISSIS) (la ragazza aveva anche riferito che, secondo il (OMISSIS), i due l'avevano videoripresa, circostanza pero' da lei non confermata perche', ove vera, non se ne era accorta). Il Tribunale dedica all'esame del capo A della rubrica le pagg. 201-206 della sentenza nella quale indica i seguenti riscontri a suggello della credibilita' della vittima ordine a tale fatto: a) i messaggi scambiati con l'imputato (che provavano il rapporto di "subordinazione" psicologica della ragazza nei confronti di questi); b) l'effettivo possesso da parte del (OMISSIS) di un telefono iPhone mod. A6 (che quegli aveva chiesto di poter ricaricare; sulla validita' di tale riscontro si rimanda anche all'esame sul punto del ricorso del (OMISSIS) il quale pero' confonde il modello iPhone 6 con quello A-6); c) la conoscenza del fatto che la mamma del (OMISSIS) faceva un lavoro per il quale doveva rispettare dei turni ed aveva necessita' dell'autovettura con cui lo (OMISSIS) ed il (OMISSIS) l'avevano raggiunta a Via Roma (in effetti la donna lavorava in ospedale e doveva rispettare dei turni prestabiliti). Nel paragrafo dedicato alla "violenza nei confronti del soggetto infraquattordicenne" (pagg. 196 e segg.), il primo Giudice aveva riportato una schermata delle "Note" del cellulare della ragazza ed, in particolare, la nota intitolata "Scemo" modificata da ultimo il 05/02/2014 nella quale la (OMISSIS) aveva ricostruito le vicende relative al periodo dicembre 2013-febbraio 2014. Ebbene, appare chiaro, dalla piana lettura del documento in questione (del quale non e' mai stato dedotto il travisamento, nemmeno in appello) che la persona offesa aveva continuato a vedere lo (OMISSIS) anche prima del suo quattordicesimo compleanno ("con lui e' durata sei mesi e mi piaceva da morire percio' non sono sicura di averlo dimenticato del tutto anche se mi ha trattata davvero malissimo...alla fine della fiera con Nino e' durata dal 29-12-2013 al 03-02-2014 (...) oggi pome ci siamo rivisti con (OMISSIS) e mi diceva: (...) ti ho aspettata un mese perche' tu non mi rispondevi (...) x lui devo continuare perche' e' giusto pero' i suoi amici stavolta non c'entrano niente... cosi' ha detto (...)". Il Tribunale riporta anche il contenuto di una conversazione intercorsa tramite messaggi nel mese di febbraio 2014 tra la (OMISSIS) ed il (OMISSIS) nel corso della quale la PO riferisce al suo interlocutore di non aver piu' visto lo (OMISSIS) da un mese. Tali dati di fatto, dei quali non e' mai stato dedotto il travisamento nemmeno in appello, escludono, sul piano logico, che lo (OMISSIS) non avesse piu' visto la ricorrente prima del compimento del suo quattordicesimo compleanno dando cosi' dimostrazione della non corrispondenza a vero del dato informativo introdotto nel processo attraverso il suo esame. Esiste, dunque, un primo punto di frizione tra l'argomento di prova introdotto dall'imputato mediante il suo esame e quello affidato alla consulenza dell'ing. (OMISSIS): il primo riguarda la negazione in radice della frequentazione della persona offesa dopo la scoperta del tradimento con il (OMISSIS) (e prima che compisse il quattordicesimo anno di eta'); il secondo si limita alla sola assenza dell'imputato per una notte intera in via (OMISSIS) nel secondo semestre dell'anno 2013. Si potrebbe obiettare che tale elemento conforta la deduzione difensiva della mancanza di rapporti con la persona offesa per l'intero ultimo trimestre del 2013 ma non e' questo il punto che interessa in questa sede; il punto e' che il dato introdotto con la consulenza non esclude la valenza probatoria di quelli indicati dal primo Giudice dai quali si desume che lo (OMISSIS), contrariamente a quanto da lui sostenuto, si era comunque visto con la persona offesa prima che costei compisse quattordici anni, circostanza, si ribadisce, esclusa in radice dall'imputato. La consulenza, dunque, non solo non risolve questo aspetto (dimostrandosi non decisiva e dunque priva di un requisito essenziale ai fini del travisamento della prova; infra) ma non si pone nemmeno nel solco della difesa introdotta dall'imputato con il suo esame il quale, si ribadisce, non ha mai introdotto nel processo il tema specifico oggetto dalla consulenza il quale, si badi, non esclude la frequentazione con la persona offesa nel periodo invece escluso dall'imputato (si vedano peraltro le considerazioni svolte al successivo p. 5.97 sulla detenzione di materiale pedopornofgrafico inviato dalla (OMISSIS) gia' nell'ottobre 2013). Il dato, dunque, non e' dotato di autonoma forza dimostrativa in grado di disarticolare il complessivo ragionamento del giudice in ordine alla credibilita' della persona offesa. Il travisamento della prova, come detto, deve essere decisivo. Ne consegue che ai fini della deducibilita' del vizio di "travisamento della prova" e' necessario che il ricorrente prospetti la decisivita' del travisamento o dell'omissione nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica, indicando le ragioni per le quali l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilita' all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato. (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, Rv. 281085 - 01; Sez. 6, n. 36512 del 16/10/2020, Rv. 280117 - 01; Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 2019, Rv. 274816 - 07; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Rv. 249035 - 01). Il punto non colto dal ricorrente e' proprio questo: la radicale incompatibilita' del dato introdotto dalla consulenza tecnica con il quadro complessivo degli elementi di valutazione a disposizione del giudice, a cominciare dalla stessa prospettazione del fatto per come proveniente innanzitutto dall'imputato (nel senso che sussiste un effettivo contrasto fra le opposte versioni rese dall'imputato e dalla persona offesa, oggetto di valutazione da parte del giudice anche al fine di verificare l'attendibilita' di quest'ultima, solo nel caso in cui sia l'imputato personalmente ad aver fornito la contrastante versione dei fatti, cfr. Sez. 3, n. 20884 del 22/11/2016, dep. 2017, Rv. 270123 - 01). Analoghe considerazioni valgono per il reato di violenza sessuale di gruppo di cui al capo B della rubrica che si afferma esser stato consumato nel mese di novembre 2013, in un periodo nel quale, cioe', il ricorrente, come detto, ha personalmente e direttamente negato di aver incontrato la persona offesa, men che meno di aver avuto rapporti sessuali con la stessa. In sede di esame, lo (OMISSIS) aveva confermato di aver consumato un rapporto sessuale consensuale con la persona offesa che poi avrebbe, sostanzialmente, essa stessa sollecitato un ulteriore rapporto sessuale con l'amico (OMISSIS). Il Tribunale dedica allo specifico episodio le pagg. 206-210 della sentenza. In particolare, la responsabilita' penale del ricorrente (e del suo correo, (OMISSIS)) e' stata affermata dal Tribunale che ha ritenuto: - pienamente attendibile la testimonianza della minore in quanto dotata di un elevato grado di coerenza logica ed argomentativa. In particolare, aveva descritto in maniera molto dettagliata quanto accaduto in occasione del fatto oggetto di contestazione (indicando di aver manifestato il proprio dissenso tentando, senza riuscirci perche' bloccata dal (OMISSIS), di scendere dall'auto e descrivendo in modo puntuale il susseguirsi dei rapporti sessuali) e non aveva mostrato alcun cedimento di fronte alle domande suggestive che le erano state poste discostandosi dalle stesse ed argomentando in modo personale le relative risposte (alla domanda se il (OMISSIS) l'avesse tenuta ferma o bloccata in qualche modo, la minore aveva risposto che l'imputato si era limitato a tenerla lontana dallo sportello per non farla scendere dall'auto; alla domanda sul se avesse gridato per chiedere di farla scendere, la minore aveva risposto di non averlo fatto, ma di aver comunque detto di voler scendere "perche' non aveva intenzione"; ancora, alla domanda volta ad appurare se lo (OMISSIS) l'avesse in qualche modo tranquillizzata, la minore aveva risposto "no, tranquillizzava no, tutto tranne tranquillizzare"). L'unica affermazione della minore che non aveva trovato riscontro nell'impianto probatorio (quella riguardante il sistema di chiusura della macchina al cui interno si era svolto l'episodio indicato dalla minore come manuale quando, in realta', si trattava di un sistema centralizzato) era totalmente marginale ai fini della ricostruzione della vicenda e, per tale ragione, non idonea a scalfire la credibilita' intrinseca delle dichiarazioni rese dalla stessa; - inequivoca la manifestazione del dissenso da parte della ragazza, non solo perche' non appena salita in auto, dopo essersi resa conto della presenza di un altro ragazzo (l'imputato (OMISSIS)), aveva tentato di scendere prima che lo (OMISSIS) ripartisse, ma anche per il comportamento dalla stessa tenuto durante la seconda parte dell'accaduto, quando aveva cercato di evitare il rapporto con (OMISSIS) tentando di rivestirsi nonostante lo (OMISSIS) la tenesse per impedirglielo. Inoltre, il diverso atteggiamento avuto dalla minore nell'episodio contestato al capo A di imputazione (il rapporto consensuale con lo (OMISSIS) ed il (OMISSIS)) risultava, secondo il Tribunale, pienamente compatibile con il dissenso invece manifestato nella vicenda in esame: nel primo caso, infatti, la minore aveva accettato di sottostare alle richieste dello (OMISSIS) sperando di essere perdonata da quest'ultimo anche in ragione del fatto che gia' conosceva il (OMISSIS), avendolo frequentato e avendo gia' in precedenza avuto con lui dei rapporti sessuali; in questo caso, invece, la minore era stata colta alla sprovvista, pensando che si sarebbe incontrata con il solo (OMISSIS), e per di piu' non conosceva affatto il (OMISSIS); - non attendibile la versione dei fatti fornita dagli imputati in quanto inverosimile (pur a voler ritenere veritiera l'affermazione dello (OMISSIS) secondo cui egli credeva di dover solo parlare con la minore, non si comprende perche' la scelta del luogo fosse ricaduta su di un posto lontano dal paese, ne' si comprende la ragione per cui, dovendo, a detta della difesa, dare un passaggio al (OMISSIS), anziche' accompagnarlo a casa prima di passare a prendere la minore, o comunque subito dopo averla fatta salire in macchina, lo abbia, invece, portato con se' all'incontro chiarificatore con la minore; parimenti poco credibile e' che il (OMISSIS), in pieno inverno e in un luogo buio ed isolato, fosse sceso dalla macchina per aspettare che lo (OMISSIS) si chiarisse con la minore e che poi fosse stata quest'ultima, mostrandosi senza vestiti, ad invitare il (OMISSIS) ad avere un rapporto sessuale con lei, essendo poco realistico sia che il (OMISSIS) riuscisse a vedere dall'esterno della macchina che la minore fosse senza pantaloni, sia che quest'ultima, si ribadisce, in pieno inverno, avesse il finestrino aperto nonostante fosse nuda) e non priva di contraddizioni (il (OMISSIS), infatti, dapprima, in sede di interrogatorio, aveva ammesso di essersi trovato all'interno della macchina quando lo (OMISSIS) consumava il rapporto con la minore, per poi negare tale circostanza in sede di esame dibattimentale); - pienamente integrata tanto la componente materiale, quanto quella soggettiva della fattispecie in esame avendo entrambi gli imputati (la pluralita' di agenti richiesta per la configurabilita' di una violenza sessuale di gruppo risulta, secondo la piu' recente giurisprudenza, pienamente soddisfatta anche quando gli autori del fatto siano solo due), contestualmente presenti nel luogo e nel momento della consumazione del reato, posto in essere condotte, contro la volonta' della vittima, perfettamente integranti il reato in questione (rientrando nella nozione di atto sessuale giuridicamente rilevante non solo un rapporto sessuale completo, ma qualsiasi altro atto comunque idoneo a pregiudicare la liberta' di autodeterminazione nella sfera sessuale del soggetto passivo); - configurabile la circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., n. 1, (essendo indubbio che la minore, all'epoca del fatto contestato, avesse un'eta' inferiore agli anni quattordici); non applicabile, invece, per il principio di irretroattivita' della legge penale piu' sfavorevole, la circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., n. 5-sexies, in quanto entrata in vigore dopo la commissione dei fatti contestati (Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 39). Ne' il ricorrente, ne' il (OMISSIS), hanno mai contestato di aver avuto con la ricorrente il rapporto sessuale che quest'ultima afferma essere avvenuto con modalita' violente. In sede di appello, in particolare, l'imputato aveva ribadito il consenso della ragazza all'atto ed aveva temporalmente collocato il rapporto in epoca successiva al compimento del quattordicesimo anno di eta', ma non aveva contestato il rapporto in se', la partecipazione del (OMISSIS), ne' il luogo di consumazione del rapporto (il (OMISSIS)). L'alibi introdotto con la CT (OMISSIS) non e' mai stato personalmente dedotto dal ricorrente il quale, pur spostando in avanti nel tempo la consumazione del rapporto sessuale e pur avendo attribuito ad esso una dimensione pienamente consensuale, non ha mai negato di esser stato nei luoghi indicati dalla persona offesa nel periodo da essa indicato e certamente non per il lasso di tempo necessario alla consumazione dei rapporti. Orbene, dalla consulenza tecnica dell'Ing. (OMISSIS), correttamente allegata al ricorso a sostegno del dedotto travisamento della prova, risulta che il telefono cellulare del ricorrente era stato spesso localizzato in localita' "(OMISSIS)" (o comunque nelle sue vicinanze) nel secondo semestre del 2013, anche se per brevi intervalli (ritenuti dalla difesa incompatibili con la versione accusatoria); solo il lunedi' 02/12/2013 risulta una permanenza piu' lunga: dalle ore 17,02 alle ore 17,23. Il punto, pero', e' un altro: dall'esame della CT non risulta che il ricorrente si sia mai intrattenuto nel primo semestre 2014 in localita' (OMISSIS) per un periodo di tempo compatibile con la consumazione dei rapporti, nell'orario indicato dalla PO e mai contestato (intorno alle ore 18,00). Cio' che insomma emerge, ancora una volta, e' che lo stesso consulente della difesa smentisce la versione dei fatti resa dall'imputato in sede di esame (allegato 11, pag. 35 della CT, richiamato dallo stesso consulente in sede di esame dibattimentale; pag. 15 delle trascrizioni dell'esame). Questa constatazione rende, a giudizio del Collegio, oltremodo non decisiva la prova (a dire del ricorrente) travisata dalla Corte di appello in quanto non in grado di disarticolare l'intero ragionamento probatorio siccome priva di autonoma efficacia persuasiva. La non decisivita' del travisamento riflette le sue conseguenze anche in relazione ai fatti di cui ai capi D ed E della rubrica. Quanto all'episodio di cui al capo D (la violenza sessuale di gruppo consumata nell'abitazione di (OMISSIS) messa a disposizione dal (OMISSIS)) e' lo stesso (OMISSIS) ad ammettere di aver avuto un rapporto sessuale a tre con la (OMISSIS) ed il (OMISSIS) stesso nell'abitazione in questione salvo collocarlo "intorno al mese di febbraio, o di marzo (2014)" (pag. 177, sentenza primo grado) fornendo una descrizione della vicenda (pagg. 178-179) in buona parte sovrapponibile a quella resa alla (OMISSIS) (che pero' aveva aggiunto l'episodio del sopraggiungere del (OMISSIS) del quale lo (OMISSIS) non aveva parlato). Ora, quello che qui rileva e' che le rilevazioni effettuate dal CT (OMISSIS) in ordine alla presenza del ricorrente nella localita' sopra indicata si fermano al 4 febbraio 2014, rendendo impossibile verificare se, effettivamente, il fatto fosse stato consumato, in tesi difensiva, nel mese di febbraio/marzo 2014 (e nel pieno consenso della persona offesa). All'obiezione (logica) che alla difesa serve solo insinuare il dubbio sulla effettiva presenza dell'imputato nella localita' indicata dalla persona offesa nel tempo contestato dall'accusa, e' agevole rispondere che il dubbio deve essere comunque ragionevole e confrontarsi con tutti gli elementi indicati dal giudice a sostegno della decisione. Dell'inaffidabilita' del dato rinveniente dalla CT (OMISSIS) s'e' gia' detto. Si deve aggiungere, allora, che secondo la concorde ricostruzione della vicenda operata dai Giudici di merito, la PO aveva rievocato con il (OMISSIS) quel rapporto sessuale in una conversazione WhatsApp del febbraio 2014, conversazione nel corso della quale la ragazza aveva affermato che stava ripensando a quel giorno in cui aveva avuto un rapporto sessuale con il (OMISSIS) stesso e lo (OMISSIS). Nel corso della stessa conversazione, la PO aveva rimproverato il suo interlocutore di aver chiamato il (OMISSIS), circostanza non negata dal (OMISSIS) che si era giustificato con la presenza dello (OMISSIS). Il primo Giudice aveva ricostruito minuziosamente la cronologia dei messaggi scambiati dalla PO con lo (OMISSIS) ed il (OMISSIS) nei mesi di gennaio/febbraio 2014 ed aveva rievocato l'appunto della ragazza che aveva acconsentito (il 5 febbraio 2014) a rivedersi con lo (OMISSIS) ma senza piu' i suoi amici. Il Tribunale colloca la conversazione WhatsApp con il (OMISSIS) al piu' tardi il 12/02/2014 (pag. 201, sentenza primo grado). Ne consegue, secondo logica, che il fatto avrebbe dovuto collocarsi prima del 5 febbraio 2014, allorquando la persona offesa annotava di non voler piu' avere gli amici dello (OMISSIS) intorno. Sennonche', e' questo il punto, il CT (OMISSIS) esclude che il ricorrente fosse stato presente in localita' (OMISSIS) per un periodo compatibile con la consumazione del reato (o comunque di un rapporto sessuale a tre) fino al 4 febbraio 2014. Come questo dato si coniughi con gli elementi di prova che depongono a favore di un rapporto sessuale in quella localita' con lo (OMISSIS) stesso ed il (OMISSIS) non e' spiegato dal ricorrente stesso. A non diverse considerazioni si espone il dedotto travisamento (ed il malgoverno logico) della CT (OMISSIS) in relazione al reato di cui al capo E che imputa allo (OMISSIS) e allo (OMISSIS) il delitto di violenza sessuale di gruppo commessa ai danni della (OMISSIS) in una data che i Giudici di merito hanno individuato in quella del 10/03/2014, giorno nel quale, in base ai dati acquisiti dal CT, lo (OMISSIS) si sarebbe trovato altrove rispetto al luogo di consumazione del reato (strada vicino al (OMISSIS)). La collocazione temporale e spaziale del fatto e' stata ricostruita dai Giudici di merito in base: a) alle dichiarazioni rese in sede di incidente probatorio dalla persona offesa; b) alle dichiarazioni rese dal padre della stessa che aveva confermato di essere stato richiesto quello stesso giorno dalla figlia di accompagnarla urgentemente da (OMISSIS) (" (OMISSIS)") (OMISSIS) a (OMISSIS) dopo essere stata ricondotta dai due imputati nel posto dove l'avevano prelevata (dello (OMISSIS), con il quale la PO aveva all'epoca una relazione, aveva parlato lo (OMISSIS) in quell'occasione, lasciando intendere di esserne a conoscenza); c) dalle note del cellulare della persona offesa ("Lunedi' 10 marzo 2014 (OMISSIS) E (OMISSIS) STRADA VICINO AL (OMISSIS)"), da alcuni post-it scritti dalla stessa in quei giorni ("Arrivato giorno 10, ci siamo visti prima con lui e poi mi ha portato mio cugi (OMISSIS) e mi hanno costretta e poi siamo andati da (OMISSIS) a chiarire"), da una nota sul calendario ("Cugi (OMISSIS) nella strada vicino al cimitero"); d) dal certificato medico dello (OMISSIS) (datato 09/03/2014) con diagnosi di trauma distorsivo del primo dito della mano destra (lo (OMISSIS) avrebbe riferito alla persona offesa di essere stato percosso dallo (OMISSIS) e dai suoi amici); e) dall'analisi dei tabulati telefonici che attestavano l'aggancio, da parte delle utenze dei due imputati e della persona offesa, della medesima cella (quella di (OMISSIS)) tra le ore 16.48 e le ore 18.10 del 10 marzo 2014 e l'aggancio, da parte dell'utenza della PO, della cella di (OMISSIS) dalle ore 18.10 alle ore 19.10 (a riprova del fatto che la stessa si era effettivamente recata dallo (OMISSIS)). Dalla lettura della sentenza di primo grado (pag. 182) emerge che lo stesso (OMISSIS) aveva ammesso di aver avuto una discussione con lo (OMISSIS) in un pomeriggio del mese di marzo, discussione legata proprio alla frequentazione di questi con la (OMISSIS) e durante la quale egli aveva reagito allo spintone dello (OMISSIS). Lo (OMISSIS), dal canto suo, aveva riferito, in sede di esame dibattimentale, che nel pomeriggio (verso le 15.00/16.00) di quello stesso giorno nel quale la (OMISSIS) si era recata da lui accompagnata dal padre, si era rivolto allo (OMISSIS) per chiedere protezione ottenendo risposta positiva. Fermo restando quanto gia' detto in ordine alla non decisivita' del dato introdotto dall'Ing. (OMISSIS) (ed in tesi travisato), resta il fatto che nel caso di specie non si tratta di "travisamento" vero e proprio, bensi' del malgoverno logico della prova che il ricorrente deduce senza pero' confrontarsi con la "ratio decidendi" nel suo complesso e cio' benche' in appello egli non avesse negato il rapporto sessuale, bensi' la sua natura non consensuale. E di certo, alla luce delle considerazioni che precedono, la motivazione della sentenza impugnata non puo' dirsi manifestamente illogica. 5.8. Il secondo motivo e' manifestamente infondato. 5.9. La "capacita'" esprime, nel linguaggio giuridico, l'attitudine (statica) della persona ad essere titolare di situazioni giuridiche soggettive attive e passive, ma anche quella (dinamica) di costituirle, modificarle, estinguerle. Lo "stato (status)" costituisce il presupposto (per taluni l'insieme) dei poteri e dei doveri che fanno capo ad una persona e che la contraddistinguono nella collettivita' di appartenenza. Il concetto di "capacita'" del giudice esprime, in questo senso, non solo l'attitudine alla titolarita' del rapporto giuridico processuale, quanto (e forse piu' propriamente) lo "status" vero e proprio di giudice, l'insieme, cioe', di quelle condizioni che ne contraddistinguono normativamente la figura e costituiscono il presuppongono della attitudine allo svolgimento della relativa attivita'. La dottrina distingue tra "capacita' generica" (che si acquista con la nomina e la ammissione in ruolo) e "capacita' specifica" (che riguarda l'attitudine del giudice allo svolgimento di uno specifico processo). Si distingue anche tra "capacita' di acquisto" (che indica il possesso dei requisiti richiesti per la nomina di giudice) e "capacita' di esercizio" della funzione giurisdizionale (che riguarda, per esempio, il decreto ministeriale di nomina del magistrato). 5.10. Le condizioni di capacita' di cui parla l'articolo 33 c.p.p. sono quelle che comportano la "capacita' generica" (o se si vuole la "capacita' di esercizio") del giudice, la sua idoneita' a rendere il giudizio, "la riferibilita' del giudizio ad organi titolari, secondo il disegno dell'ordinamento giudiziario, della funzione giurisdizionale, quindi anche nella composizione prevista per la loro formazione collegiale" (Corte Cost., sentenza n. 419 del 1998). La capacita' del giudice di cui all'articolo 33, comma 1, riguarda la titolarita' della funzione, non il suo esercizio (Corte Cost. n. 419, cit.). La destinazione del giudice all'ufficio giudiziario di appartenenza e/o alla relative sezioni (ove esistenti), la formazione del collegio (non il numero dei componenti), l'assegnazione del processo alla sezione, a quel collegio o a quel giudice monocratico, attengono alla "capacita' specifica" del giudice (collegiale o monocratico) alla trattazione di quello specifico processo, regolata dalle norme dell'ordinamento giudiziario in base alle cd. tabelle degli uffici giudicanti. 5.11. Il giudice "capace" (genericamente) e' (solo) quello che costituisce (o comunque appartiene al)l'ordine giudiziario (articolo 104 Cost.), perche' nominato per concorso o anche elettivamente (articolo 106 Cost.). L'osservanza delle norme che riguardano la "capacita' generica" (o "di esercizio") del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi e' prescritta a pena di nullita' assoluta, insanabile e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento (articolo 178 c.p.p., lettera a, articolo 179 c.p.p., comma 1). 5.12. Solo l'osservanza delle norme che riguardano la "capacita' generica" (o "di esercizio") del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi e' prescritta a pena di nullita' assoluta, insanabile e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento (articolo 178 c.p.p., lettera a, articolo 179 c.p.p., comma 1). L'inosservanza delle norme che riguardano la "capacita' specifica" del giudice alla trattazione di quel procedimento non produce nullita'. 5.13. Come spiegato dal Giudice delle leggi, "il principio costituzionale di precostituzione del giudice non implica che i criteri di assegnazione dei singoli procedimenti nell'ambito dell'ufficio giudiziario competente, pur dovendo essere obiettivi, predeterminati o comunque verificabili, siano necessariamente configurati come elementi costitutivi della generale capacita' del giudice, alla cui carenza il legislatore ha collegato la nullita' degli atti. Questo non significa che la violazione dei criteri di assegnazione degli affari sia priva di rilievo e che non vi siano, o che non debbano essere prefigurati, appropriati rimedi dei quali le parti possano avvalersi" (Corte Cost. sentenza n. 419 del 1998, cit.). 5.14. La giurisprudenza di legittimita' ha conseguentemente precisato che anche l'assegnazione dei processi in violazione delle tabelle di organizzazione dell'ufficio puo' incidere sulla costituzione e sulle condizioni di capacita' ("generica") del giudice, determinando la nullita' di cui all'articolo 33 c.p.p., comma 1. Cio' avviene, in particolare, quando si determini uno stravolgimento dei principi e dei canoni essenziali dell'ordinamento giudiziario, per la violazione di norme quali quelle riguardanti la titolarita' del potere di assegnazione degli affari in capo ai dirigenti degli uffici e l'obbligo di motivazione dei provvedimenti (Cass. Sez. 6, n. 13833/2015), o quando, per esempio, le irregolarita' in tema di formazione dei collegi sono volte ad eludere o violare il principio del giudice naturale precostituito per legge, attraverso assegnazioni "extra ordinem" perche' del tutto al di fuori di ogni criterio tabellare (Cass. Sez. 6, n. 39239/2013; Cass. Sez. 1, n. 16214/2006). 5.15. Nel caso di specie si e' trattato dell'assunzione congiunta della medesima prova da parte di giudici entrambi "capaci" e tabellarmente competenti. Nessuna norma del codice di rito esclude l'assunzione congiunta della medesima prova dichiarativa soprattutto quando, come nel caso in esame, si tratta della medesima fonte testimoniale e la ripetizione dell'atto puo' nuocere non solo alla genuinita' della prova stessa ma anche alla salute psico-fisica della vittima. 5.16. Del resto, l'articolo 371 c.p.p., comma 1, prevede espressamente la possibilita' per gli "uffici diversi del pubblico ministero che (come nel caso di specie) procedono a indagini collegate", di procedere congiuntamente al compimento di specifici atti. L'incidente probatorio e' "atto" che il PM puo' sollecitare nel corso delle indagini preliminari anche (se non soprattutto) quando si procede per uno dei reati previsti dagli articoli 609-bis e 609-octies c.p.. La possibilita' che l'atto venga chiesto, ai fini della sua assunzione congiunta, sia dal pubblico ministero presso il tribunale che dal pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni e' non solo prevista, ma in qualche modo imposta dall'articolo 118-bis disp. att. c.p.p. che impone ai procuratori del distretto (senza alcuna distinzione di funzioni) di coordinarsi tra loro quando si procede, tra gli altri, per i reati di cui agli articoli 609-bis e 609-quater c.p., norma che, al pari di quella di cui all'articolo 371 c.p.p., trova applicazione anche al processo minorile in virtu' dei principi affermati dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, articolo 1. 5.17. Nessuno degli imputati e' stato sottratto al proprio giudice naturale, ne' tale conclusione puo' essere avallata dalla fisiologica evenienza che l'esame della persona offesa (anche ai fini della valutazione sulla sua credibilita') sia stato condotto da entrambi i GIP su tutti i fatti per i quali si procede, a maggior ragione se si considera che alcuni dei reati sono contestati come commessi in concorso con persone minorenni e che l'ipotesi accusatoria si alimenta della tesi della soggezione della persona offesa ai voleri dello (OMISSIS) per ottenere il perdono del tradimento con il (OMISSIS). 5.18. Il terzo motivo e' infondato. 5.19. In termini generali va ribadito che il divieto di porre domande suggestive, che l'articolo 499 c.p.p., comma 3, vieta "nell'esame condotto dalla parte che ha chiesto la citazione del testimone e di quella che ha un interesse comune": a) non opera con riguardo al giudice, il quale, agendo in una ottica di terzieta' (e non essendo "parte" che conduce l'esame), puo' rivolgere al testimone tutte le domande ritenute utili a fornire un contributo per l'accertamento della verita', ad esclusione di quelle nocive, che possono, cioe', nuocere alla sincerita' delle risposte (Sez. 6, n. 8307 del 13/01/2021, Rv. 280710 - 01; Sez. 1, n. 44223 del 17/09/2014, Rv. 260899 - 01; Sez. 3, n. 27068 del 20/05/2008, Rv. 240261 - 01; Sez. 3, n. 21627 del 15/04/2015, Rv. 263790 - 01); b) la violazione del divieto deve essere eccepita al giudice innanzi al quale si forma la prova, essendo rimessa al giudice dei successivi gradi di giudizio soltanto la valutazione in ordine alla motivazione del provvedimento di accoglimento o di rigetto della eccezione stessa sicche' non puo' essere eccepita per la prima volta con i motivi di impugnazione l'inutilizzabilita' dell'atto assunto in violazione dell'articolo 499 c.p.p. (Sez. 5, n. 27159 del 02/05/2018, Rv. 273233 - 01; Sez. 6, n. 13791 del 10/03/2011, Rv. 249890 - 01; Sez. 3, n. 47084 del 23/10/2008, Rv. 242255 - 01; Sez. 1, n. 22204 del 31/05/2005, Rv. 232385 - 01); c) ne consegue che, in caso di assunzione della prova mediante incidente probatorio, l'eccezione deve essere proposta immediatamente dinanzi al giudice che procede all'incombente istruttorio e non a quello della "plena cognitio" (Sez. 1, n. 22204 del 31/05/2005, Rv. 232385 - 01); d) la violazione del divieto di porre domande suggestive non da' luogo ne' alla sanzione di inutilizzabilita' prevista dall'articolo 191 c.p.p., ne' a quella di nullita', atteso che l'inosservanza delle disposizioni fissate dall'articolo 498 c.p.p., comma 1, e articolo 499 c.p.p. non determina ne' l'assunzione di prove in violazione dei divieti di legge, ne' la inosservanza di alcuna delle previsioni dettate dall'articolo 178 c.p.p. (Sez. 3, n. Sez. 1, n. 13387 del 16/05/2012, dep. 2014, Rv. 259728 01; Sez. 1, n. 39996 del 14/07/2005, Rv. 232941 - 01). 5.20.Escluso, dunque, ogni profilo di inutilizzabilita' della prova dichiarativa resa in sede di incidente probatorio, deve essere ribadito il costante insegnamento della Corte di cassazione (pienamente condiviso dal Collegio) secondo il quale la violazione del divieto di porre domande suggestive (o nocive) di cui all'articolo 499 c.p.p., in mancanza di una sanzione processuale, rileva soltanto sul piano della valutazione della genuinita' della prova, che puo' risultare compromessa esclusivamente se inficia l'intera dichiarazione e non semplicemente la singola risposta fornita, ben potendo il giudizio di piena attendibilita' del teste essere fondato sulle risposte alle altre domande (Sez. 3, n. 36413 del 09/05/2019, Rv. 276682 - 01; Sez. 3, n. 42568 del 25/06/2019, Rv. 277988 - 01; Sez. 3, n. 4672 del 22/10/2014, dep. 2015, Rv. 262468 - 01). 5.21. Non esiste, pertanto, alcuna corrispondenza biunivoca tra numero di domande suggestive (o nocive) e inattendibilita' della prova dichiarativa, sicche' la deduzione per la quale alla minore erano state rivolte non meno di 361 domande suggestive (505, secondo il (OMISSIS)) non coglie affatto nel segno riguardando solo l'aspetto "statico"/strutturale della prova, non anche l'elemento dinamico/funzionale della prova stessa, il "risultato", cioe', del quale il giudice deve dare conto insieme con l'indicazione dei criteri adottati per la valutazione della prova (articolo 192 c.p.p., comma 1, articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e). L'attenzione, dunque, va focalizzata non solo sulle domande, ma anche sulle risposte date (il risultato) e capire come esse sono state valutate dal giudice insieme con tutti gli altri elementi di prova a sua disposizione. Le ragioni della decisione (la motivazione) sono sindacabili in questa sede di legittimita' negli stretti limiti indicati dall'articolo 606 c.p.p., lettera e), senza alcuna possibilita' di una rilettura della prova (quando, come nel caso di specie, non travisata) o di una sovrapposizione del giudizio della Corte di cassazione a quello del giudice di merito. 5.22. Questi principi sono gia' stati affermati da questa Corte in tema di rilevanza, sull'utilizzabilita' della prova, della violazione della Carta di Noto e, piu' in generale, dei protocolli adottati nel mondo scientifico per l'assunzione delle dichiarazioni del minore vittima di abusi sessuali. E' stato al riguardo affermato (e va qui ribadito) che le dichiarazioni acquisite in violazione delle linee guida della cosiddetta "Carta di Noto", nella parte in cui queste ultime non risultano gia' trasfuse in disposizioni del codice di rito con conseguente disciplina degli effetti derivanti dallo loro inosservanza, non sono inutilizzabili, ma in relazione ad esse il giudice ha l'obbligo di motivare perche' egli ritiene attendibile la prova assunta con modalita' non rispettosa delle cautele e metodologie previste nell'indicato documento (Sez. 3, n. 648 dell'11/10/2016, dep. 2017 - Rv. 268738 - 01;Sez. 3, n. 39411 del 13/03/2014, Rv. 262976 - 01; nel senso che, in ogni caso, non determina nullita' o inutilizzabilita' della prova l'inosservanza dei criteri dettati dalla cosiddetta "Carta di Noto" nella conduzione dell'esame dei minori, persone offese di reati di natura sessuale, che hanno carattere non tassativo, in quanto si limitano a fornire suggerimenti volti a garantire l'attendibilita' delle dichiarazioni del minore e la protezione psicologica dello stesso, Sez. 3, n. 15737 del 15/11/2018, dep. 2019, Rv. 275863 - 01; Sez. 3, n. 5754 del 16/01/2014, Rv. 259133 - 01, secondo cui l'inosservanza dei protocolli prescritti dalla "Carta di Noto" non e', di per se', ragione di inattendibilita' delle dichiarazioni raccolte; in senso conforme, Sez. 3, n. 15157 del 16/12/2010, Rv. 249898 - 01). 5.23. Della "prova" possono darsi due diversi significati: a) per prova si puo' intendere lo strumento, tipico o atipico (articolo 189 c.p.p.), attraverso il quale l'informazione rilevante ai fini della decisione viene introdotta nel processo, la strada, si puo' dire, percorsa dall'informazione per giungere a destinazione (il mezzo di prova); b) o si puo' intendere l'informazione utilizzata ai fini della decisione (il risultato della prova). Non sempre e non necessariamente la strada "accidentata" danneggia il risultato; a meno che il percorso non sia vietato in modo assoluto (articolo 191 c.p.p.), il modo con cui l'informazione probatoria giunge al giudice non comporta mai di per se' l'inutilizzabilita' probatoria del risultato (ne' del resto vale il contrario, non esistendo alcuna corrispondenza tra modalita' di assunzione della prova perfetta sotto tutti i profili e affidabilita' del risultato). Cio' che conta e' che, come gia' detto, il giudice sia consapevole del percorso effettuato dal mezzo di prova per giungere a destinazione e che ne dia conto nella valutazione del relativo risultato. 5.24. Non e' vero, dunque, che i riscontri servono solo a corroborare dichiarazioni gia' caratterizzate da credibilita' soggettiva del dichiarante, sicche' ove la credibilita' soggettiva sia compromessa essi non potrebbero mai "puntellare" una dichiarazione gia' viziata ab origine. Tale affermazione parte, in primo luogo, dal presupposto errato che la credibilita' soggettiva derivi dalle modalita' di conduzione dell'esame; in secondo luogo essa postula un rapporto a compartimenti stagni tra credibilita' soggettiva e credibilita' oggettiva escluso da questa Corte di cassazione nella sua piu' elevata espressione (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145 - 01, secondo cui nella valutazione della chiamata in correita' o in reita', il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'articolo 192 c.p.p., comma 3, alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale; Sez. 4, n. 34413 del 18/06/2019, Rv. 276676 - 01; Sez. 1, n. 22633 del 05/02/2014, Rv. 262348 - 01). 5.25. Peraltro, e' la stessa prospettazione difensiva a essere contraddittoria e fallace allorquando lamenta che alla minore sono state effettuate almeno 361 domande suggestive e contestualmente rimarca che a seguito del test di Gudjonsson e' emersa una cedevolezza alla suggestione della stessa pari al 20% delle domande (circa 72); cio' equivale a dire che per il restante 80% delle domande suggestive (289), la minore avrebbe fornito risposte impermeabili alla suggestione (e cio' senza tenere conto delle altre domande evidentemente non suggestive proposte alla minore). 5.26. Il quarto motivo e' manifestamente infondato. 5.27. L'articolo 362 c.p.p. non esige, a pena di nullita', che la persona informata dei fatti venga ammonita dal PM procedente a rispondere alle domande secondo verita'. Che tale avvertimento sia necessario non e' in discussione (Sez. 5, n. 215 del 20/01/1993, Rv. 193812 - 01, che estende anche alle dichiarazioni rese al pubblico ministero l'applicazione dell'articolo 207 c.p.p.) e, tuttavia, la norma non richiama l'articolo 497 c.p.p., comma 2, ne' prevede che dal mancato avvertimento derivi l'inutilizzabilita' della prova. Tale inutilizzabilita' e' espressamente prevista dall'articolo 391-bis c.p.p., comma 6, ma in quel caso essa costituisce presidio della facolta' della persona informata dei fatti di non rispondere o di non rendere dichiarazioni al difensore (articolo 371-ter c.p.). Tale facolta' non puo' essere esercitata dinanzi al pubblico ministero al quale la persona informata dei fatti e' obbligata a rispondere, salvo che non si tratti di un prossimo congiunto (nel solo qual caso, la facolta' di astensione e' presidiata dalla nullita' dell'atto non preceduto dal relativo avviso; articolo 199 c.p.p., comma 2, richiamato dall'articolo 362). 5.28. Il quinto motivo e' infondato. 5.29. Va in primo luogo disattesa, in quanto totalmente infondata, la dedotta violazione dell'articolo 188 c.p.p., norma che, come testualmente recita la rubrica, riguarda la liberta' morale della persona "nell'assunzione della prova", vietando metodi o tecniche idonei a influire sulla liberta' o autodeterminazione o ad alterare la capacita' di ricordare o di valutare i fatti. Si tratta, dunque, di divieto che riguarda la fase acquisitiva della prova, allo stesso modo, del resto, con cui l'articolo 64 c.p.p., comma 2, vieta l'utilizzo degli stessi metodi e tecniche nel corso dell'interrogatorio (nel senso che l'articolo 188 c.p.p. si applica alla "fase acquisitiva" della prova, si veda Sez. U, n. 5021 del 27/03/1996, Sala, secondo cui la liberta' morale del cittadino non potrebbe che essere irrimediabilmente compromessa allorquando si faccia ricorso ad un procedimento acquisitivo della prova che si avvalesse di metodi e tecniche incompatibili con il riconoscimento di tale diritto, garantito dall'articolo 13 Cost., comma 4, e con la necessita' di attuarne un'efficace tutela). Identita' di "ratio" e di tutela dei medesimi valori costituzionali (la dignita' della persona, prima di ogni altro) esigono l'applicazione del divieto anche agli atti di indagine da chiunque posti in essere (pubblico ministero o difensore) e cio' non solo in ossequio ad un principio di civilta' giuridica a carattere assoluto (come si osserva in dottrina), ma anche perche' si tratta di atti destinati ad essere utilizzati ai fini del giudizio, dell'esercizio stesso dell'azione penale e, prima ancora, della domanda cautelare. Gli atti delle indagini preliminari e quelli delle investigazioni difensive, quando non utilizzati direttamente ai fini del giudizio, hanno comunque un rapporto "osmotico" con il giudizio ed in particolare con le prove che sono in esso acquisite proprio grazie agli atti di indagine, da chiunque compiuti, i quali possono essere utilizzati ai fini delle contestazioni o dei quali puo' essere data lettura. Sarebbe logicamente assurdo vietare metodi e tecniche non consentite in fase di assunzione della prova e contestualmente dare lettura di atti di indagine formati utilizzando le medesime tecniche e gli stessi metodi (nel senso dell'applicazione dell'articolo 188 c.p.p. anche agli atti delle indagini preliminari, cfr. Cass. civ., Sez. U, n. 2444 del 01/02/2008, Rv. 601540 - 01, secondo cui, in tema di responsabilita' disciplinare del magistrato, integra l'elemento oggettivo costitutivo di un illecito disciplinare, rilevante a norma del R.Decreto Legislativo 31 maggio 1946, n. 511, articolo 18, sotto il profilo della violazione dei doveri di correttezza e di rispetto della dignita' della persona e della conseguente compromissione del prestigio dell'ordine giudiziario, il comportamento del P.M. il quale disponga, nel corso delle indagini preliminari, una consulenza tecnica attraverso la quale una persona informata dei fatti venga sottoposta, in violazione del divieto di cui all'articolo 188 c.p.p., ad una seduta ipnotica al fine di recuperare ricordi rimossi). 5.30. Nel caso di specie, la persona offesa, per affermazione stessa del ricorrente, era stata sottoposta a terapia ben prima che fosse sentita dal pubblico ministero e, poi, in sede di incidente probatorio e comunque mai in un contestato strettamente procedimentale-processuale. 5.31. Ben diversa, invece, e' la questione della attendibilita' della testimonianza resa da chi sia stato in precedenza sottoposto a tecniche terapeutiche (nel caso di specie la E.M.D.R.) in grado di alterare la capacita' di ricordare e valutare i fatti oggetto di accertamento giudiziale. 5.32. Il Tribunale aveva impostato la questione valutandola insieme con tutti gli altri indicatori (scarsa capacita' intellettiva verbale, tendenza ad assecondare domande suggestive, presenti - annota il tribunale - in maniera massiccia nell'esame testimoniale, timore del "giudizio" del nuovo fidanzato, (OMISSIS)) potenzialmente in grado di influire sulla valutazione di attendibilita' intrinseca e credibilita' soggettiva della vittima, espressamente indicando, come regola di giudizio, quella della valutazione frazionata delle dichiarazioni rese dalla persona offesa "in modo da giungere ad un giudizio di piena attendibilita' delle stesse solo con riguardo a quelle parti del racconto che, oltre ad essere spontanee (e dunque non frutto di sollecitazione esterna), dettagliate e logicamente coerenti tra di loro, trovino altresi' riscontro in elementi probatori a carattere oggettivo (e quindi nella produzione documentale versata in atti) ovvero di natura logica, come richiesto dalla regola processuale di cui all'articolo 192 c.p.p., comma 3. E cio' senza che l'eventuale giudizio di inattendibilita' di una parte del racconto mini la credibilita' anche delle restanti parti della deposizione, atteso che la parcellizzazione della valutazione avra' ad oggetto i singoli episodi contestati, i quali essendo del tutto autonomi tra di loro, sia da un punto di vista fattuale che logico, oltre che temporalmente distanziati, non impongono necessariamente una valutazione unitaria" (pag. 195). 5.33. Il Tribunale non ha affrontato direttamente la questione della possibile incidenza della tecnica EMDR sulla capacita' della persona offesa di ricordare i fatti (e dunque sulla possibile alterazione dei ricordi), ma ha valutato, in concreto, tale astratta possibilita' esaminando i singoli fatti e verificando quali parti del racconto fossero riscontrate e quali no. 5.34. La Corte di appello ha invece affrontato la questione negando in modo espresso che la tecnica EMDR, che consiste nello "scorporare" la componente emotiva del ricordo onde renderne la rievocazione meno traumatica e dolorosa, abbia alterato i ricordi della persona offesa. Cio' ha affermato indicando le relative fonti di prova (le dichiarazioni del perito, Dott.ssa (OMISSIS), della Dott.ssa (OMISSIS) e della Dott.ssa (OMISSIS) che si era servita di tale tecnica per contenere le esplosioni di rabbia della vittima e per curare gli episodi autolesionismo) e spiegando le ragioni per le quali ha ritenuto di disattendere i rilievi critici del prof. (OMISSIS) il quale - secondo la Corte di appello - nulla di rilevante aveva aggiunto "in punto di attendibilita' e/o credibilita' delle dichiarazioni della persona offesa (...) nella ricostruzione del quadro fattuale dall'insieme delle dichiarazioni raccolte". Occorre aggiungere che la Corte territoriale si e' mossa su un terreno gia' "arato" dal primo Giudice il quale, applicando il criterio di giudizio indicato al paragrafo che precede, e prescindendo dall'influenza che la tecnica EMDR aveva potuto concretamente avere o meno sulla capacita' di rievocare i ricordi, aveva gia' selezionato le parti del racconto credibili da quelle che tali non sono state ritenute giungendo a pronunce di assoluzione non impugnate dal pubblico ministero e dalle parti civili. Ora, per quanto la Corte di appello abbia espressamente preso in considerazione la censura difensiva, resta il fatto che il suo ragionamento e' piu' articolato di quanto il ricorrente voglia far credere poiche' in realta' tutta la motivazione ruota sulla questione della credibilita' della persona offesa della quale quella della tecnica EMDR e' solo una parte; in ultima istanza se, come gia' aveva fatto il primo giudice in base ad un approccio piu' pragmatico, il racconto della vittima e' riscontrato non ha senso espungere questi fatti in base ad una astratta attitudine della tecnica EMDR a falsare il ricordo perche' quella astratta idoneita' e' concretamente smentita dai fatti. 5.35. Non si puo' dunque condividere la censura difensiva di mancanza o di carenza della motivazione sul punto. L'errore di impostazione nel quale cade il ricorrente e' quello di procedere per astrazioni: la questione non e' stabilire se, in astratto, la tecnica EMDR possa alterare i ricordi (e dunque inficiare la capacita' di testimoniare) della vittima, bensi' se, in concreto, li abbia alterati. Ne' si puo' condividere, nella sua assolutezza, la affermazione per la quale la acquisizione delle dichiarazioni della vittima di abusi sessuali dovrebbe sempre precedere la sottoposizione della stessa a terapie psicologiche che potrebbero alterare la capacita' di ricordare gli eventi, pena un aprioristico sospetto di inaffidabilita' del racconto. Ne' e' esportabile al caso in esame il principio, evocato dalla difesa ed affermato da Sez. 3, n. 3258 del 04/12/2012, dep. 2013, Rv. 254138 - 01, secondo cui in tema di reati sessuali in danno di minori di eta', benche' la legge non imponga nella fase delle indagini preliminari alcun obbligo al pubblico ministero di affidare la consulenza personologica nelle forme dell'articolo 360 c.p.p. ovvero di richiedere al G.i.p. l'incidente probatorio, essendo ammissibile il ricorso alla procedura non garantita prevista dall'articolo 359 c.p.p., il P.M., alla luce del caso concreto, delle condizioni del bambino e della prevedibile durata delle indagini, deve pur sempre valutare se l'accertamento possa essere utilmente ripetuto dopo l'arco di tempo entro il quale e' necessario tutelare la segretezza delle investigazioni. Nel caso oggetto di quella pronuncia, infatti, la vittima aveva cinque anni al momento del fatto e la Corte ne aveva tratto spunto per ribadire la propria linea guida elaborata sul tema della escussione di bambini in tenera eta': "E' stato reiteratamente segnalato - aveva affermato - come la sede privilegiata per l'audizione di un minore vittima di reati sessuali, nella fase delle indagini, sia l'incidente probatorio (Sez. 3 sentenze 24415 del 2011, 30964 del 2009); cio' in considerazione del fatto che - con un limite strutturale della nostra normativa, sulla cui razionalita' molto si discute - le cautele disposte dal Legislatore per ottenere una testimonianza affidabile ed evitare che il minore sia vittima due volte (del reato e dello stress giudiziario) non si estendono alla audizione avanti al Pubblico Ministero ed alla Polizia Giudiziaria. L'incombente dovrebbe essere effettuato il piu' presto possibile, vicino ai fatti o alla loro emersione, per scongiurare il pericolo della nota amnesia infantile per la quale il bambino non e' in grado di conservare i ricordi, o di contaminazioni mnestiche e per cristallizzare la prova prima di una eventuale psicoterapia sulla vittima che non e' neutrale". La "ratio decidendi" osta a improbabili accostamenti al caso in esame per l'evidente disomogeneita' dei presupposti di fatto. 5.36. Va a questo punto ricordato il consolidato insegnamento della Corte di cassazione secondo il quale il perito assume una posizione processuale diversa rispetto a quella del consulente di parte, chiamato a prestare la sua opera nel solo interesse di colui che lo ha nominato, senza assumere l'impegno di cui all'articolo 226 c.p.p., con la conseguenza che il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito, in difformita' da quelle del consulente di parte, non e' tenuto a fornire autonoma dimostrazione dell'esattezza scientifica delle prime e dell'erroneita' delle seconde, dovendosi considerare sufficiente, al contrario, che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni del perito, senza ignorare le argomentazioni del consulente (Sez. 3, n. 17368 del 31/01/2019, Rv. 275945 - 01, secondo cui puo' ravvisarsi vizio di motivazione, denunciabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e, solo qualora risulti che le conclusioni del consulente siano tali da dimostrare la fallacia di quelle peritali recepite dal giudice; nello stesso senso, Sez. 5, n. 18975 del 13/02/2017, Rv. 269909 - 01; Sez. 6, n. 5749 del 09/01/2014, Rv. 258630 - 01; Sez. 1, n. 25183 del 17/02/2009, Rv. 243791 01; Sez. 4, n. 34379 del 12/07/2004, Rv. 229279 - 01). Ora, la deduzioni difensive non sono mai state in grado di dimostrare in modo inconfutabile la natura fallace delle conclusioni peritali anche perche' non v'e' alcuna certezza (ne' convergenza scientifica) sul fatto che la tecnica EMDR produca sempre e comunque falsi ricordi avendo il primo Giudice ricordato che non v'e' alcuna evidenza o uniformita' scientifica in questo senso (pag. 135). Resta, dunque, la prudente valutazione del giudice, il quale dovra' verificare se, in concreto, la sottoposizione a terapia EMDR possa aver effettivamente alterato la capacita' di ricordare i fatti, alterazione esclusa in base ad un esame complessivo di tutti gli elementi di prova a disposizione del Tribunale e della Corte di appello. 5.37. Anche il sesto motivo e' infondato. 5.38. Alla luce delle considerazioni che precedono e' sufficiente il richiamo operato dalla Corte di appello alla perizia disposta in primo grado sulla capacita' di testimoniare della minore e sulla sua credibilita' clinica non essendo stati offerti dal ricorrente (nemmeno in questa sede) elementi in grado di dimostrare in modo inconfutabile la fallacia delle conclusioni peritali. Non possono essere considerati tali la dedotta suggestionabilita' della minore (che semmai incide sulla sua attendibilita', non sulla capacita' di testimoniare) e alla sua scadente poverta' di linguaggio. Del grado di suggestionabilita' s'e' gia' detto; che la scadente poverta' di linguaggio possa incidere sulla capacita' di testimoniare e' deduzione che contrasta con il principio dettato in modo chiaro dall'articolo 196 c.p.p., comma 1, e che prescinde dal costante insegnamento della Corte di cassazione secondo il quale l'idoneita' a rendere testimonianza implica la capacita' di comprensione delle domande e di adeguamento delle risposte, in uno ad una sufficiente memoria circa i fatti oggetto di deposizione ed alla piena coscienza di riferirne con verita' e completezza; pertanto non ogni comportamento contraddittorio, ma soltanto una situazione di abnorme mancanza nell'escutendo di ogni consapevolezza in relazione all'ufficio ricoperto determina l'obbligo per il giudice di disporre accertamenti sulla sua idoneita' a testimoniare, ne' questi devono necessariamente avere natura tecnica, ben potendo essere effettuati da parte di soggetti "qualificati" (Sez. 1, n. 6969 del 12/09/2017, dep. 2018, Rv. 272605 - 01; Sez. 1, n. 20864 del 14/04/2010, Rv. 247407 - 01; Sez. 1, n. 2993 del 05/03/1997, Rv. 207225 - 01). 5.39. Il settimo motivo e' infondato. 5.40. La Corte di appello non ha omesso di motivare sulla questione relativa alla credibilita' della vittima: ha invece condiviso con il primo Giudice un approccio (la credibilita' frazionata) che smentisce, sul piano logico, la tesi difensiva della inattendibilita' assoluta della ragazza, della sua non credibilita' soggettiva. 5.41. Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte di cassazione, in tema di valutazione dell'attendibilita' della persona offesa costituita parte civile, le cui dichiarazioni, come gia' ampiamente argomentato, possono essere poste da sole a fondamento dell'affermazione di responsabilita', e' richiesto un vaglio particolarmente rigoroso nel caso in cui una parte del narrato, riferita ad alcuni fatti, sia ritenuta inattendibile, e deve ritenersi illegittima la valutazione frazionata di tali dichiarazioni ove la parte ritenuta inattendibile sia imprescindibile antecedente logico dell'altra parte (cosi', da ultimo, Sez. 4, n. 21886 del 19/04/2018, Rv. 272752 - 01; Sez. 6, n. 20037 del 19/03/2014, Rv. 260160 - 01). E' stato al riguardo precisato, in tema di reati sessuali, che e' legittima una valutazione frazionata delle dichiarazioni della parte offesa e l'eventuale giudizio di inattendibilita', riferito ad alcune circostanze, non inficia la credibilita' delle altre parti del racconto, sempre che non esista un'interferenza fattuale e logica tra le parti del narrato per le quali non si ritiene raggiunta la prova della veridicita' e le altre parti che siano intrinsecamente attendibili ed adeguatamente riscontrate, tenendo conto che tale interferenza si verifica solo quando tra una parte e le altre esiste un rapporto di causalita' necessaria o quando l'una sia imprescindibile antecedente logico dell'altra, e sempre che l'inattendibilita' di alcune delle parti della dichiarazione non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere per intero la stessa credibilita' del dichiarante (Sez. 3, n. 40170 del 26/09/2006, Rv. 235575 - 01; in senso conforme, Sez. 3, n. 3256 del 18/10/2012, dep. 2013, Rv. 254133 - 01). 5.42. L'accertata falsita' di uno specifico fatto narrato non impedisce di per se' di valorizzare le ulteriori parti di un racconto piu' complesso svolto dal dichiarante, se supportate da precisione di riscontri, anche non specifici su ciascun elemento dichiarato, idonei a compensare il difetto di attendibilita' soggettiva (Sez. 1, n. 35561 del 08/05/2013, Rv. 256753 - 01; Sez. 6, n. 20514 del 28/04/2010, Rv. 247346 - 01, che, pronunciando in tema di valutazione probatoria della chiamata di correo, ha affermato che l'accertata falsita' su di uno specifico fatto narrato non comporta, in modo automatico, l'aprioristica perdita di credibilita' di tutto il compendio conoscitivo-narrativo dichiarato dal collaboratore di giustizia, bensi' rientra nei compiti del giudice la verifica e la ricerca di un "ragionevole equilibrio di coerenza e qualita'", di cio' che viene riferito nel contesto di tutti gli altri fatti narrati, dovendo avere ben presente che la debole valenza di attendibilita' soggettiva deve essere compensata con un piu' elevato e consistente spessore di riscontro, attraverso il necessario minuzioso raffronto di verifiche di credibilita' estrinseca). L'accertata falsita' delle dichiarazioni puo' certamente escludere la stessa generale credibilita' soggettiva del dichiarante, sempre che non esista una provata ragione specifica che abbia indotto quest'ultimo a rendere quelle singole false propalazioni (Sez. 3, n. 14084 del 24/01/2013, Rv. 255111 - 01; Sez. 5, n. 37327 del 15/07/2008, Rv. 241638 01; Sez. 4, n. 12349 del 29/01/2008, Rv. 239300 - 01; Sez. 4, n. 9450 del 24/01/2008, Rv. 239254 - 01). 5.43. In termini generali, l'unicita' dell'episodio delittuoso che si assuma essere avvenuto in un unico contesto osta, di regola, alla valutazione frazionata delle dichiarazioni della vittima in quanto il giudizio di inattendibilita' su alcune circostanze inficia, in tale ipotesi, la credibilita' delle altre parti del racconto, essendo sempre e necessariamente ravvisabile un'interferenza fattuale e logica tra le parti del narrato (Sez. 5, n. 46471 del 19/10/2015, Rv. 265874 - 01; Sez. 3, n. 19495 del 05/06/2015, dep. 2016, Rv. 266752 - 01; Sez. 3, n. 21640 dell'11/05/2010, Rv. 247644 - 01). 5.44. Nel caso di specie i fatti sono plurimi e posti in essere in tempi diversi e le assoluzioni per taluni di essi non sono state spiegate in termini di certa falsita' del racconto della vittima, bensi' per ragioni del tutto diverse. 5.45. Ed infatti: 1) lo (OMISSIS) e' stato assolto dai reati di cui ai capi C, G, I, 3, N e P: con formula "dubitativa" per il capo C (le dichiarazioni della vittima non erano state precise, si' che residuava il dubbio che stesse sovrapponendo i ricordi relativi all'episodio di cui al capo D, per il quale, invece, vi era stata condanna); perche' mancava la prova che la (OMISSIS) avesse inviato le fotografie pornografiche sotto minaccia dei destinatari piuttosto che volontariamente in relazione al reato di cui al capo G (ma la ragazza non aveva mai affermato di essere stata espressamente minacciata, avendo solo personalmente interpretato la richiesta di fotografie avanzata dallo (OMISSIS) ed avendo sempre affermato che lo scambio di fotografie con lo (OMISSIS) era volontario); per insufficienza di prove in ordine alla conoscibilita' del dissenso in relazione al reato di cui al capo I e cio' sulla base delle stesse dichiarazioni della persona offesa (pagg. 233-235, sentenza di primo grado); per la non riconoscibilita' del dissenso e l'assenza di minacce, per la dinamica del fatto (tale da escludere la violenza di gruppo) e, infine, per la natura contraddittoria delle dichiarazioni della PO in relazione al capo 3, ma mai per la affermata inattendibilita' o non credibilita' delle dichiarazioni stesse; dal reato di cui al capo P per la ritenuta assenza del fine persecutorio delle condotte poste in essere dall'imputato e per la peculiarita' del rapporto di dipendenza affettiva della ragazza con lo (OMISSIS) e il legame di complicita' con lo (OMISSIS), dalla stessa ritenuto "un viatico attraverso cui raggiungere (OMISSIS)" (pag. 267 sentenza primo grado); 2) lo (OMISSIS) e' stato assolto dei reati di cui ai capi G, I, J, K, N, O e P, per i motivi gia' indicati in relazione ai capi G, I, 3 e P; dal reato di cui al capo K per la mancanza di precisione nella rievocazione del ricordo del fatto e nella descrizione della sua precisa dinamica, per la ambiguita' dell'atteggiamento tenuto in quel periodo dalla minore che deponeva per il dubbio alla effettiva conoscibilita' del suo dissenso; dai reati di cui ai capi N ed O sia per la stessa genericita' del capo N di imputazione, che in base alle dichiarazioni della (OMISSIS) che non lo aveva mai nemmeno menzionato; 3) il (OMISSIS) ed il Benedetto sono stati assolti dai reati loro ascritti ai capi 3 e K per le ragioni gia' sopra indicate; 4) il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) sono stati assolti dai reati loro ascritti ai capi N ed O per le ragioni gia' sopra indicate. 5.46. Non vi erano dunque ragioni ostative al ricorso al metodo utilizzato dai Giudici di merito per ritenere la piena ed incontrovertibile colpevolezza degli imputati in relazione agli specifici fatti per i quali sono stati condannati. In questo modo sono stati superati i rilievi critici sollevati in primo grado e in appello relativi alla credibilita' della vittima come illustrati nel settimo motivo. 5.47. Ora, oggetto di cognizione in sede di legittimita' non e' il fatto come ricostruibile in base alle prove assunte nella fase di merito, bensi' il fatto come ricostruito (e descritto) nel provvedimento impugnato, dovendo il sindacato di legittimita' limitarsi a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita' di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e' avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Sicche' non e' necessario che le deduzioni difensive siano espressamente confutate purche' non siano logicamente incompatibili con la decisione adottata e siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 - 01). 5.48. Non rileva, dunque, l'omesso esame delle deduzioni difensive, quanto, in una diversa prospettiva di giudizio, le positive ragioni della decisione impugnata e la loro capacita' di resistere alle critiche (in tesi) neglette. Nel motivo manca questo ulteriore passaggio. 5.49. L'ottavo motivo e' infondato. 5.50. Il primo Giudice ha dedicato al capo A della rubrica le pagine 201-205 della sentenza. Nell'analisi della vicenda (il rapporto sessuale consenziente consumato con il ricorrente nell'ottobre-novembre 2013) assume un rilievo centrale la datazione del fatto. Della inidoneita' della cd. geolocalizzazione a mettere in discussione non tanto la sussistenza del rapporto sessuale consensuale quanto la sua collocazione temporale, s'e' gia' detto. Non e' percio' necessario tornare sull'argomento. Il Tribunale aveva affermato che "dalle prove dichiarative assunte nel corso dell'istruttoria non (era stato) possibile addivenire ad una collocazione temporale certa di tali episodi: relativamente alle condotte di cui ai capi a) e b) (OMISSIS) (aveva) dichiarato che le stesse si (erano) verificate nei mesi di ottobre- novembre 2013, quando cioe' si era interrotta la storia estiva con (OMISSIS) e lei cercava di recuperarla; mentre gli imputati coinvolti, e cioe' (OMISSIS) e (OMISSIS), le (avevano) collocate entrambi dopo il mese di Gennaio, in particolare (OMISSIS) (aveva) riferito di aver ripreso i contatti con (OMISSIS), dopo un periodo in cui non si erano sentiti, subito dopo il compleanno di (OMISSIS), e solo in quell'occasione avevano avuto un primo rapporto sessuale". Per sciogliere il dubbio il Tribunale aveva analizzato le note estratte dal telefono della persona offesa che lei stessa aveva provveduto a redigere descrivendo i fatti accaduti dal (OMISSIS) (data di loro redazione). Dall'interpretazione di quelle note, i primi Giudici avevano tratto il convincimento che il rapporto sessuale incriminato fosse stato consumato prima che la vittima compisse quattordici anni. In quelle note, infatti, la (OMISSIS) aveva descritto il comportamento ambiguo dello (OMISSIS): "molto affettuoso durante il rapporto (tanto che le dice frasi del tipo "finalmente sei mia, non mi mollo piu' da te" e di prudenza subito dopo, dato che giustificava le frasi affettuose dette in precedenza con il fatto che l'aveva fatto aspettare un mese, senza rispondergli al telefono ("ti ho aspettata un mese, perche' tu non mi rispondevi"); essendo indecisa tra i due ragazzi ( (OMISSIS), detto (OMISSIS), conosciuto il 09/12/2013 e lo (OMISSIS); n.d.r.) (OMISSIS) - afferma il Tribunale - li mette a confronto, ammettendo da un lato che " (OMISSIS) e' una bella persona in tutti i sensi", dall'altro che non riesce a resistere a (OMISSIS) anche se l'aveva "trattata malissimo". (OMISSIS) conclude lo scritto cercando di interpretare le intenzioni di (OMISSIS) dopo quell'incontro, pensando che lui avrebbe voluto continuare a vederla, e che i suoi amici questa volta non sarebbero stati coinvolti ("per lui devo continuare perche' e' giusto, pero' i suoi amici stavolta non c'entrano... cosi' ha detto")". Da questi dati il Tribunale trae le seguenti conclusioni: a) non v'e' dubbio che il gruppo di amici di (OMISSIS) e' costituito da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); b) se alla data del 5 febbraio 2014 era un mese che la persona offesa non vedeva lo (OMISSIS) gli incontri con gli amici di questo erano certamente avvenuti prima di quella data; c) poiche' pero' e' incontestato che il fatto di (OMISSIS) e' occorso in un giorno in cui la scuola era aperta, e' certo che tale episodio si colloca prima delle vacanze di Natale; d) poiche' l'episodio di (OMISSIS) e' successivo al rapporto sessuale consensuale contestato al capo A, ne deriva che tale rapporto era stato consumato quando la ragazza non aveva ancora compiuto quattordici anni. Questa conclusione e' corroborata, nella ricostruzione fatta dal Tribunale, dall'esame della conversazione intercorsa tra la (OMISSIS) e il (OMISSIS) all'incirca il 12/02/2014 e nel corso della quale si era fatto riferimento a incontri di gruppo occorsi "tanto tempo prima". Affrontando lo specifico fatto contestato al capo A, il Tribunale afferma che "il racconto che (OMISSIS) offre dei fatti contestati nel primo capo d'imputazione si colloca nell'ambito della dinamica dei rapporti che si erano innescati tra lei e (OMISSIS) quando, a meta' agosto del 2013 e dunque durante la loro storia, l'imputato "scopre" che (OMISSIS) aveva frequentato per una settimana un altro ragazzo, (OMISSIS), a suo dire persona a lui sconosciuta, per cui la lasciava; salvo poi proporle una settimana dopo - ben consapevole della volonta' di (OMISSIS) di ritornare insieme a lui, dato che continuava a scrivergli frequentemente - di farsi perdonare rendendosi disponibile ad avere rapporti sessuali anche con i suoi amici". (OMISSIS) aveva declinato la proposta ritenendola assurda ma alla fine aveva ceduto al "ricatto" una sera di ottobre o novembre allorquando lo (OMISSIS), sapendo che (OMISSIS) avrebbe dormito da sola nella casa vicino ai suoi nonni, che la madre stava ristrutturando per trasferirvisi, si presentava da lei, insieme all'amico (OMISSIS), e insisteva nel salire. A quel punto (OMISSIS) faceva cadere le sue riserve e li faceva salire, con la consapevolezza che avrebbe accontentato (OMISSIS)". In quell'occasione era stato consumato il rapporto sessuale con lo (OMISSIS) (ma anche con il (OMISSIS) nei cui confronti, pero', per questo fatto si e' proceduto separatamente) meglio descritto alle pagg. 36-38 e 204-205 della sentenza di primo grado. Il Tribunale aveva spiegato la condotta della persona offesa alla luce della forte ascendenza che l'imputato aveva nei suoi confronti e che lo (OMISSIS) stesso non aveva negato nel corso del proprio esame. Tale ascendenza, oltre che riferita dalla (OMISSIS), era stata rilevata dall'esame dei messaggi che la stessa di scambiava con l'imputato: "le conversazioni fotografano un rapporto in cui vi e' piena consapevolezza da parte di (OMISSIS) della considerazione che (OMISSIS) aveva di lei, e cioe' che la cercava solo per incontri di natura sessuale ("ora ti risp una volta al mese e ti faccio ved io se mi usi solo x scopare oppure no") e che le riservava un trattamento deteriore rispetto alle altre ragazze che frequentava ("con le altre fai tutto il bello e romantico e con me tipo che sono âEuroËœna merda... da ora cambiano le cose) ma nonostante cio' continua a cercarlo ("mi sembrava che non volevi piu' ved.", "e cosa aspetto allora x venire...da te") e ad essere compiaciuta delle sue attenzioni". Il Tribunale afferma con nettezza che la persona offesa aveva descritto i fatti in maniera lineare e senza mai contraddirsi, aggiungendo "anche particolari di contorno che arricchiscono il racconto e lo rendono dettagliato e preciso, oltre che riscontrabile: riferisce che durante la notte (OMISSIS) doveva ricaricare il cellulare e lei le aveva prestato il caricabatterie del suo vecchio cellulare I-phone, dato che (OMISSIS) aveva quel modello; glielo aveva poi regalato dato che lei aveva cambiato cellulare, aveva un Samsung, e quindi non lo poteva piu' utilizzare. Che (OMISSIS), all'epoca dei fatti, avesse proprio un telefono cellulare modello I-phone A6 si deriva dalla perizia informatica effettuata sui dispositivi in uso agli imputati, tanto che il perito (...) ha dichiarato di aver individuato una fotografia di interesse proprio sul cellulare di (OMISSIS)". Ulteriore riscontro alla credibilita' della vittima era stato indicato dal Tribunale nella circostanza che la madre del (OMISSIS) lavorava all'epoca in ospedale e che l'indomani avrebbe dovuto prendere servizio alle 6,00 del mattino. Questo dato collima, secondo il Tribunale, con il fatto che circa due ore prima gli amici di (OMISSIS) e (OMISSIS) erano andati a riprendere la macchina della mamma di quest'ultimo che era stata utilizzata dai due per raggiungere l'abitazione ove sarebbero stati consumati i rapporti e nella quale avevano dovuto inaspettatamente passare la notte per non correre il rischio di essere visti mentre uscivano. Quanto alla credibilita' soggettiva, cosi' si esprimeva il Tribunale: " (OMISSIS) non muove nessuna accusa nei confronti dei due ragazzi facendo trasparire solo un comprensibile risentimento nei loro confronti, per aver scoperto, poi, che i due si conoscevano fin dall'inizio - anzi, da' atto, che aveva acconsentito a farli salire pur essendo consapevole che avrebbe avuto un rapporto anche con (OMISSIS) (con il quale, tra l'altro, ammette di aver avuto rapporti gia' in precedenza). Dal suo racconto emerge chiaramente il suo comportamento collaborativo (non fa uscire di casa i ragazzi perche' teme di essere scoperta dai nonni; si affaccia lei al balcone per lanciare le chiavi della macchina agli amici; consuma un altro rapporto sessuale con (OMISSIS)); anche quando il suo interlocutore la sollecita (attraverso alcune domande suggestive) a far emergere il dato del "ricatto" da parte di (OMISSIS), lei non cede del tutto alla suggestione, tentenna e da' una risposta incerta (...) per poi concludere che era ben consapevole della situazione, e che sapeva che dopo (OMISSIS) sarebbe stato il turno di (OMISSIS). Non conferma neanche la circostanza per cui quella sera i due ragazzi avrebbero fatto un video dell'incontro a sua insaputa elemento che le avrebbe consentito di "rafforzare" la sua posizione di vittima rispetto al ricatto del gruppo, e per tale via dare maggiore credibilita' alla sua versione dei fatti - e ritiene che si sia trattato solo di una diceria (a lei riferita per la prima volta dal suo fidanzato (OMISSIS)) dato che durante i rapporti i due ragazzi avevano le mani libere, e che non avrebbero potuto neanche posizionare il telefono in un posto nascosto, dato che per come sono avvenuti i fatti non ne avrebbero avuto il tempo, ne' il modo. Un ulteriore dato che emerge con chiarezza dall'analisi di questa parte di incidente probatorio e' che, in seguito a questo episodio, (OMISSIS) riteneva di aver "pagato" il suo debito - esplicando in maniera inequivoca la ragione per la quale aveva acconsentito a quell'incontro per cui aveva detto a (OMISSIS) che quella sarebbe stata la prima e l'ultima volta". 5.51. La Corte di appello, allineandosi a quanto gia' affermato dal Tribunale, ha ribadito che la persona offesa aveva reso della vicenda un resoconto lineare e lucido non ponendosi, al riguardo, in linea di collisione con quanto affermato dal Tribunale il quale, nel formulare tale giudizio, si era limitato alla descrizione dell'episodio non alla sua collocazione temporale. 5.52. E' vero che la Corte di appello non fornisce una risposta chiara e definitiva alla questione "collocazione temporale" del fatto posta con l'appello a firma dell'Avv. (OMISSIS). E tuttavia i punti che il ricorrente indica nell'odierno libello come del tutto negletti dai Giudici territoriali non erano tali da insinuare il ragionevole dubbio della diversa collocazione temporale del fatto. Ed invero, l'informazione probatoria derivante dalla nota del 05/02/2014 era dotata di autoevidenza tale da non necessitare il "riscontro" con la chat intercorsa successivamente con il (OMISSIS) se non sotto il profilo della esistenza della pratica dei rapporti di gruppo cui gia' la (OMISSIS) aveva fatto riferimento nella nota del 5 febbraio. Cio' che l'appellante prefigurava nel suo appello erano interpretazioni alternative del dato certo, e non contestato nella sua corrispondenza a vero, del contenuto della nota e della sua datazione, interpretazioni fondate sul mero possibilismo o interpretazioni alternative volte, in buona sostanza, a sminuire la rilevanza del dato estrapolandolo dal chiaro contesto nel quale si collocava e dal suo stesso, inequivocabile contenuto. Che la ragazza facesse riferimento al mese antecedente il 5 febbraio 2014 era reso evidente dalla descrizione del suo rapporto con " (OMISSIS)" (e dal confronto con quello con lo (OMISSIS)) completamente negletto dall'appellante. Il motivo era, dunque, a-specifico e come tale inidoneo a fondare una censura di mancanza di motivazione sul punto, trattandosi di censura non decisiva. 5.53. Il nono motivo e' totalmente infondato. 5.54. Costituisce insegnamento pacifico della Corte di cassazione quello secondo il quale, in materia di delitti di violenza sessuale, la procedibilita' d'ufficio determinata dalla ipotesi di connessione prevista dall'articolo 609-septies c.p., comma 4, n. 4, si verifica non solo quando vi e' connessione in senso processuale (articolo 12 c.p.p.), ma anche quando v'e' connessione in senso materiale, cioe' ogni qualvolta l'indagine sul reato perseguibile di ufficio comporti necessariamente l'accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l'uno in occasione dell'altro, oppure l'uno per occultare l'altro oppure ancora quando ricorrono i presupposti di uno degli altri collegamenti investigativi indicati nell'articolo 371 c.p.p. (Sez. 3, n. 37166 del 18/05/2016, Rv. 268313 - 01; Sez. 3, n. 10217 del 10/02/2015, Rv. 262654 - 01; Sez. 3, n. 2856 del 16/10/2013, dep. 2014, Rv. 258583 - 01; Sez. 3, n. 2876 del 21712/2006, dep. 2007, 236098 - 01; Sez. 3, n. 45283 del 18/10/2005, Rv. 232902 - 01). Cio' sul rilievo che in tal caso viene meno la soglia di riservatezza a cui presidio e' posta la perseguibilita' a querela dei reati sessuali (Sez. 3, n. 8963 del 08/10/2019, dep. 2020, Rv. 278413 - 01; Sez. 3, n. 1190 del 29/11/2011, dep. 2012, Rv. 251908 - 01). 5.55. Singolare, dunque, che da un lato si predichi l'unicita' logico-probatoria dei fatti oggetto di contestazione (ai fini, come visto, del ripudio del metodo della valutazione cd. "frazionata"), dall'altro si contesti la mancanza di una connessione probatoria dei medesimi fatti (non fosse altro che per stabilire proprio la credibilita' della vittima). 5.56. Il decimo motivo riguarda l'episodio rubricato al capo B. 5.57. Del ragionamento della Corte di appello si e' dato conto nella premessa.; della non decisivita' della geolocalizzazione pure. 5.58. Nella logica decisoria hanno pesato non solo le dichiarazioni della ragazza (capace, come gia' affermava il primo Giudice, di non cedere alle domande suggestive) ma anche quelle degli imputati coinvolti nell'episodio ( (OMISSIS) e (OMISSIS)). Inverosimile, secondo i Giudici di merito, la versione difensiva degli imputati. Questo, in particolare, il resoconto del Tribunale dell'esame dello (OMISSIS): "Riferiva che l'incontro tra lui, (OMISSIS) e (OMISSIS) c'era stato intorno al mese di febbraio, o di marzo, e che prima c'era stato un altro incontro, quello con (OMISSIS), che era avvenuto poche settimane dopo il loro primo rapporto sessuale e quindi verso fine gennaio. Raccontava che un pomeriggio, dopo essersi allenati insieme, (OMISSIS) gli aveva chiesto un passaggio a casa e lui gli aveva dato la sua disponibilita'; entrato in macchina aveva trovato sul cellulare una serie di messaggi di (OMISSIS) che gli chiedeva di incontrarsi urgentemente perche' gli doveva parlare. A quel punto aveva chiesto a (OMISSIS) se poteva ritardare un po' nel tornare a casa perche' aveva la necessita' di parlare con una ragazza. (OMISSIS) si era detto disponibile per cui erano andati a prenderla nei pressi dell'Immacolata; (OMISSIS) era salita dal lato posteriore dell'auto (come aveva sempre fatto per evitare che qualcuno la vedesse) e si era presentata a (OMISSIS) che era seduto avanti, dato che non si conoscevano, poi si erano diretti verso l'acquedotto (sempre perche' era un posto isolato e (OMISSIS) non voleva essere vista). Una volta arrivati lui aveva chiesto all'amico di scendere e di aspettarlo fuori per poter parlare in modo riservato con (OMISSIS), cosi' erano rimasti soli. La ragazza quindi gli aveva fatto intendere di voler avere un rapporto sessuale, ma lui aveva obiettato che il suo amico li avrebbe visti. (OMISSIS) aveva insistito dicendogli che essendo buio non si sarebbe visto nulla, per cui avevano cominciato ad avere un rapporto sessuale, che pero' non era stato completo, dato che aveva fatto allenamento ed era stanco. A quel punto era sceso dallo sportello posteriore della macchina, dal lato guida, si era rivestito e aveva chiamato l'amico affinche' tornasse; mentre (OMISSIS) si avvicinava alla macchina, (OMISSIS) aveva ancora il pantalone abbassato, per cui appena aveva visto il (OMISSIS) avvicinarsi gli aveva chiesto se non fosse un bel vedere che quello che stava vedendo. Di fronte a quella scena l'amico lo aveva guardato in modo stupito, dato che gli sembrava una cosa strana, ma (OMISSIS) lo aveva rassicurato dicendogli che a lui non importava nulla di lei, per cui aveva dato il via libera all'amico e si era allontanato dalla macchina per lasciarli soli. Dopo poco (OMISSIS) lo aveva chiamato per farlo tornare in macchina e quando si era avvicinato erano entrambi imbarazzati, (OMISSIS) gli aveva detto "il tuo amico non gli e' nemmeno alzato" e si erano tutti messi a ridere. A quel punto l'avevano riaccompagnata all'Immacolata. L'imputato ribadiva che non c'era mai stata nessuna forma di violenza e che prima di arrivare all'acquedotto non aveva immaginato che (OMISSIS) volesse avere un rapporto sessuale con lui, ma semplicemente che volesse parlare, come gli aveva scritto nei messaggi, ecco perche' si era portato anche (OMISSIS). In ogni caso il loro rapporto era limitato agli incontri di carattere fisico, per cui da quando aveva deciso di interrompere una relazione seria con (OMISSIS), non si era mai opposto a che la stessa avesse rapporti con altri. Dato che era la prima volta che (OMISSIS) si era comportata in quel modo aveva chiesto a (OMISSIS) di non parlare in giro di quanto era avvenuto". 5.59. Questo il resoconto del Tribunale dell'esame del (OMISSIS): "Collocava l'episodio in contestazione tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio perche' ricordava che quel pomeriggio aveva fatto un allenamento intenso, dato che era il periodo della preparazione in vista della ripartenza del campionato, ed era molto stanco (...) Subito dopo l'allenamento aveva chiesto a (OMISSIS) un passaggio a casa e lui si era reso disponibile; una volta in auto, (OMISSIS) aveva guardato il cellulare e gli aveva detto che era subentrata un'urgenza: doveva andare a prendere una ragazza perche' solo in quel momento poteva uscire perche' la madre non era in casa, per cui gli aveva chiesto se poteva aspettare dieci minuti prima di essere riaccompagnato. Dato che non aveva fretta aveva accettato ugualmente il passaggio in macchina con (OMISSIS) e si erano diretti verso (OMISSIS) che era vicino all'abitazione della ragazza che dovevano andare a prendere. Arrivati sul luogo dell'appuntamento la ragazza era salita in macchina e si era presentata come (OMISSIS) dato che loro due non si conoscevano, poi si erano diretti verso l'acquedotto, per la strada che va al paese vecchio, e si erano accostati in un piazzale; precisava che (OMISSIS) gli aveva detto di dover parlare con urgenza con (OMISSIS) per questo, subito dopo aver preso la ragazza, non si era fatto accompagnare a casa, ma era andato con loro. Su contestazione del p.m. che gli faceva notare che in sede di interrogatorio aveva dichiarato che in quel frangente (OMISSIS) gli aveva presentato (OMISSIS) come la sua fidanzata, riferiva di non ricordare quella circostanza, e che forse lo aveva letto negli atti, ma non che glielo aveva riferito (OMISSIS). Una volta accostati, lui era sceso dalla macchina in attesa che (OMISSIS) e (OMISSIS) parlassero delle loro cose, e per impegnare il tempo aveva fatto una telefonata ad un amico; dopo due minuti (OMISSIS) lo aveva chiamato, lui si era avvicinato alla macchina e aveva visto (OMISSIS), nella parte posteriore della macchina, con i pantaloni abbassati. A questo punto il p.m, gli contestava che in sede di interrogatorio aveva dato una versione completamente diversa dell'accaduto e cioe' che arrivati sul posto (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano cominciato ad avere un rapporto sessuale mentre lui era in macchina e che ad un certo punto era sceso dalla macchina per poi risalire di nuovo. L'imputato si giustificava dicendo di non ricordare perche' aveva risposto in quel modo, probabilmente perche' non aveva capito bene la domanda. Continuando il racconto di quella sera, riferiva che (OMISSIS) lo aveva invitato a salire in macchina dicendo(gli) "non e' un bel vedere-" e lui aveva guardato (OMISSIS) in maniera stupita; l'amico gli aveva dato il via libera, dicendogli che non gli interessava di (OMISSIS) per cui lui era salito in macchina e avevano cominciato a baciarsi, ma non avevano concluso il rapporto sessuale perche' lui era molto stanco, avendo fatto allenamento. Aveva quindi richiamato (OMISSIS) che nel tornare in macchina aveva trovato una situazione di imbarazzo dato che non erano riusciti ad avere un rapporto sessuale; poi (OMISSIS) aveva fatto una battuta e si erano messi a ridere. Da quella volta non l'aveva piu' vista (..)" 5.60. Ben diversa la versione dei fatti resa dalla vittima; ne da' conto il Tribunale alle pagg. 38 e segg. della sentenza: "una sera di novembre-dicembre (2013 - n.d.r.), verso le sei si dava appuntamento con (OMISSIS) presso la (OMISSIS), precisando che (OMISSIS) non si recava mai davanti a casa sua poiche' i genitori erano all'oscuro del loro rapporto. In quella occasione entrava nella macchina "GETZ" di (OMISSIS), di cui ricordava il colore (nero) e la targa ((OMISSIS) all'inizio e (OMISSIS) alla fine). Era un'auto piccolina con quattro sportelli in cui (OMISSIS), tutte le volte che prendeva un passaggio da (OMISSIS) saliva dietro per non essere vista; quella volta, salita a bordo dell'auto nel sedile posteriore, si avvedeva della presenza del (OMISSIS) dal lato passeggero. Accortasi di tale presenza, la PO provava a scendere dall'auto che era ancora ferma, dal momento che conosceva (OMISSIS) solo di vista e aveva capito cosa sarebbe successo, ma il ragazzo si spostava nei sedili posteriori vicino a lei e la bloccava, impedendole cosi' di scendere (...) "Si'... no, no, no, gliel'ho detto, "Fatemi scendere, perche' comunque non ho intenzione......, gia' avevo capito quello che stava per succedere. "Non ho intenzione". Successivamente si recavano tutti insieme in macchina in una zona panoramica situata sopra (OMISSIS); (OMISSIS) cercava di convincere (OMISSIS) a rimanere in macchina e (OMISSIS) le diceva di stare ferma, allontanandola dallo sportello per non farla scendere (...) Poi, fermata la macchina, facevano passare (OMISSIS) nel sedile anteriore; (OMISSIS) - spostatosi al lato passeggero - la spogliava, saliva sopra di lei e consumavano un rapporto. Intanto (OMISSIS) li guardava, mentre era seduto al posto di guida. La persona offesa ha riferito che cercava allora di spostarsi, perche' non voleva essere vista senza pantaloni dal (OMISSIS); (OMISSIS) era in procinto di avere un orgasmo e si spostava; (OMISSIS) cambiava posto con (OMISSIS) e si metteva al lato guida. A seguito del rapporto sessuale avuto con (OMISSIS) si rivestiva, ma successivamente le venivano nuovamente tolti i pantaloni da (OMISSIS) e da (OMISSIS). (OMISSIS) cercava dunque di scendere dalla macchina dopo che (OMISSIS) era salito sopra di lei e si opponeva allo stesso; (OMISSIS) la insultava poiche' (OMISSIS) non gli permetteva di avere un rapporto sessuale. (OMISSIS), nel frattempo, teneva la mano alla (OMISSIS) per impedirle di tirarsi su i pantaloni e si infastidiva per il suo comportamento oppositivo; infine, a seguito della reazione di (OMISSIS), decidevano di andarsene, la accompagnavano alla chiesa e da li' lei si recava a piedi a casa, in via (OMISSIS)". La (OMISSIS) aveva affermato, piu' volte, che l'autovettura era dotata di sicura "tradizionale" ("Perche' nella macchina di (OMISSIS) le sicure erano di quelle che si potevano anche abbassare con la mano, quindi quando facevi cosi'...") specificando ulteriormente che la sicura si trovava nella parte alta vicino al vetro. 5.61. Nel valutare le prove, il Tribunale aveva cosi' argomentato: " (OMISSIS) e' precisa nel riferire - in maniera del tutto spontanea - i passaggi del suo primo tentativo di sottrarsi all'incontro: aveva detto ai due di voler scendere perche' aveva capito cosa stava per succedere, e poi aveva cercato di scendere dalla macchina prima che (OMISSIS) ripartisse, ma il (OMISSIS) era passato nella parte posteriore della macchina e glielo aveva impedito, chiudendo lo sportello (...) Il diverso atteggiamento con cui la minore si pone nei confronti di (OMISSIS) e della sua proposta, tra il primo e il secondo episodio e' di facile deduzione: nel primo (OMISSIS) si pone nell'ottica di ottenere, con il suo atteggiamento accondiscendente, il perdono di (OMISSIS), con il quale spera di riallacciare una stabile relazione; in uno alla circostanza, non secondaria, per cui la minore aveva gia' una certa confidenza con (OMISSIS), avendolo gia' frequentato e avendo avuto con lui rapporti sessuali in precedenza. Nel secondo, invece, (OMISSIS) viene colta alla sprovvista, dato che era convinta di incontrarsi solo con il ragazzo di cui era innamorata, che invece, a sua insaputa, le faceva trovare un suo amico in macchina, che per lei era perfettamente sconosciuto. Di qui la sua ritrosia (OMISSIS) descrive, poi, l'atto sessuale nei dettagli (...) Oltre ad essere particolarmente dettagliato, in questa parte di racconto, (OMISSIS) raramente fornisce risposte accondiscendenti alle domande suggestive, anzi si discosta dalle stesse ed argomenta le sue risposte: alla domanda del giudice che le chiede se (OMISSIS) l'aveva tenuta ferma e bloccata in qualche modo lei risponde che si era limitato a tenerla lontano dallo sportello per impedirle di scendere; alla domanda sul se aveva gridato per chiedere di farla scendere risponde di non aver gridato, ma di aver detto di voler scendere "perche' non aveva intenzione"; anche quando le veniva chiesto se (OMISSIS) durante il tragitto la tranquillizzava lei risponde categorica "no, tranquillizzante no, tutto tranne tranquillizzare"". La versione difensiva (l'atto sessuale consenziente) e' stata ritenuta del tutto inverosimile: "anche a voler ritenere veritiera la circostanza che (OMISSIS) credeva, come da lui riferito, di dover solo parlare con (OMISSIS), questa male si concilia sia con la necessita' di condurre (OMISSIS) in un posto appartato e lontano dal paese solo per "parlare", sia con la scelta di portare con se' un terzo soggetto, per altro sconosciuto a (OMISSIS) ed estraneo alle dinamiche della loro coppia; ben avrebbe potuto (OMISSIS), prima accompagnare l'amico - al quale aveva promesso un passaggio a casa dopo l'allenamento - e poi andare a prendere (OMISSIS), oppure dopo aver fatto salire in macchina (OMISSIS), accompagnare a casa (OMISSIS), anche in considerazione del fatto che questi non abita molto lontano dal luogo dell'appuntamento con (OMISSIS) (come da loro stessi riferito)". Nemmeno la dinamica del rapporto sessuale, per come descritto dagli imputati, e' convincente: "E' alquanto inverosimile, che il (OMISSIS) sia sceso dalla macchina, in pieno inverno, in un posto buio ed isolato per aspettare che il suo amico si chiarisse con la fidanzata; cosi' come e' poco realistico sia che il (OMISSIS) riuscisse a vedere dall'esterno della macchina, solo con la luce dell'abitacolo, che (OMISSIS) posizionata sul sedile posteriore - non aveva i pantaloni; sia che la stessa avesse il finestrino aperto nonostante fosse nuda in un periodo dell'anno (novembre-dicembre) in cui le temperature sono rigide, soprattutto di sera". A queste considerazioni si aggiunge, nella valutazione del Tribunale, la non linearita' delle dichiarazioni del (OMISSIS) dal cui esame "emergono lampanti le contraddizioni tra le dichiarazioni rese in sede dibattimentale e quelle rese in sede di interrogatorio, quando, invece, l'imputato aveva ammesso di essersi trovato all'interno della macchina quando (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano cominciato ad avere un rapporto sessuale, e che (OMISSIS) gli aveva presentato (OMISSIS) come la sua fidanzata. Circostanze che invece ha negato categoricamente in sede di esame, fornendo una versione dei fatti speculare a quella resa dal suo coimputato". 5.62. Una sola circostanza del racconto della vittima non aveva trovato riscontro: il sistema di chiusura dell'autovettura. Il Tribunale cosi' giudica l'incongruenza e le sua ricadute sulla credibilita' della vittima: "la minore infatti sebbene in primo momento non avesse proprio parlato di sicura, ma solo di impossibilita' ad aprire lo sportello perche' il (OMISSIS) glielo aveva impedito, non cedendo alla domanda suggestiva del giudice che, invece, per primo ha introdotto il termine "sicura" (cfr. pag.57) - chiamata a specificare nuovamente il dato alla successiva udienza, ha precisato che nella macchina di (OMISSIS) c'erano le sicure manuali e non quelle centralizzate (...) dato smentito dall'imputato che ha parlato di chiusura centralizzata, e dal padre, (OMISSIS), il quale ha riferito che la macchina in uso al figlio non prevedeva la cd. "sicura" nella parte superiore dello sportello, ma la sicura si trovava nella parte inferiore dello sportello". Si tratta, a giudizio del Tribunale, "di una circostanza marginale ai fini della valutazione complessiva della condotta, atteso che la manifestazione del dissenso da parte di (OMISSIS) emerge in maniera inequivoca sia dal fatto che la stessa tenta di scendere dalla macchina, gia' prima che (OMISSIS) mettesse in moto, non riuscendovi perche' (OMISSIS) glielo impedisce, sia dal suo comportamento durante la seconda parte del rapporto, quando cerca di tirarsi su i pantaloni, mentre (OMISSIS) le tiene la mano per impedirglielo, per opporsi al rapporto con (OMISSIS) (che, infatti, non riesce ad avere un'erezione), (sicche') non si puo' ritenere che la stessa infici l'attendibilita' intrinseca dell'intero racconto, che, invece, come evidenziato in precedenza e' logico, lineare e coerente con il resto dell'impianto probatorio". 5.63. La Corte di appello affronta il capo B della rubrica alle pagg. 61 e segg. della sentenza argomentando nei termini sinteticamente richiamati nel "Ritenuto in fatto" della presente sentenza. Qui e' utile riportare alcuni passaggi della motivazione: "come correttamente rilevato dal Tribunale, non puo' non evidenziarsi come la ragazza sia stata coinvolta in svariati rapporti sessuali sia consenzienti, sia prettamente violenti, sia anche non consenzienti, tali dovendosi considerare quelli nei quali, seppure non si erano raggiunti gli estremi della violenza penalmente intesa, tuttavia la ragazza aveva acconsentito nella convinzione che cio' sarebbe servito a riconquistare il "fidanzato" (OMISSIS). normale, pertanto, che, a fronte di questi svariati rapporti, (OMISSIS) potesse non ricordare perfettamente alcuni elementi che non assumono un rilievo essenziale nella ricostruzione della vicenda. Tra questi, in particolare, vi e' il sistema di chiusura della vettura in questione - valorizzato in senso negativo da entrambi gli appellanti - che, nella terza udienza di incidente probatorio, ha dichiarato trovarsi nella parte alta vicino al vetro, mentre (OMISSIS), padre dell'imputato, ha affermato che la sicura si trovava nella parte inferiore dello sportello. Peraltro, tale diversita' si appalesa solo parziale, in quanto non risulta che la ragazza abbia specificato se si trattava di un sistema di chiusura centralizzata o meno. Ne' nella vicenda in esame il consenso puo' ricavarsi dalla circostanza che in molti casi era stata la stessa ragazza a prendere l'iniziativa, come risultante dagli screenshot dei messaggi contenuti nel suo computer, sia perche', come si e' gia' detto, l'aver accondisceso o anche cercato rapporti sessuali non esclude che, in altre circostanze, come quella di cui si tratta, (OMISSIS) non abbia voluto tale rapporto e sia stata costretta, sia perche' tali screenshot non si riferiscono sicuramente all'episodio di cui si tratta. Ancora, (OMISSIS), a differenza di altri amici dello (OMISSIS), era uno sconosciuto per (OMISSIS) ed anche tale circostanza conferma la mancanza del consenso e rende affatto credibile la versione dei fatti fornita dagli imputati. Non si vede, infatti, il motivo per cui (OMISSIS), invece di accompagnare a casa il (OMISSIS) cui ha asserito di aver dato un passaggio in macchina, lo abbia portato con se' all'incontro chiarificatore con la ragazza, che con questo non aveva alcuna confidenza ed, anzi, neppure lo conosceva. Tale comportamento e' ancor piu' inverosimile in considerazione del fatto che per tale "incontro" con (OMISSIS) (OMISSIS) si era diretto in una zona isolata, quale il (OMISSIS), e non certo sulla strada di casa del complice". La Corte di appello, dunque, valuta in modo parzialmente diverso il dato relativo alla "sicura" dell'autovettura aggiungendo, all'argomento del primo Giudice, quello della "diversita' parziale" del racconto della persona offesa rispetto al dato introdotto dal padre dello (OMISSIS). Ulteriore argomento che smentisce il (OMISSIS) e' quello (definito "dirimente" dalla Corte di appello) "che il rapporto non era stato consumato. Anche in tal caso vi e' piena congruenza tra l'opposizione della ragazza e la circostanza, che non puo' non apparire verosimile, che il (OMISSIS) si era lamentato che "glielo aveva fatto mosciare", non avendo, quindi, avuto un'erezione". Ne', secondo la Corte di appello, l'assoluzione del (OMISSIS) dai reati ascritti ai capi N ed O ridonda a danno della credibilita' della vittima avuto riguardo alle ragioni dell'assoluzione (l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni). 5.64. Tanto premesso, esclusa la decisivita' del dato relativo alla geolocalizzazione dell'imputato, non solo non sussiste nessuno dei profili di criticita' indicati dal ricorrente (il quale sollecita una sostanziale rilettura della prova dichiarativa) ma lo stesso motivo si presta a censure di genericita' nella misura in cui neglige completamente la "ratio decidendi" nella sua complessita': manca, in particolare, ogni benche' riferimento alla non credibilita' della versione difensiva che, come visto, ha avuto il suo peso nella valutazione del fatto operata in modo conforme dai Giudici di merito. Il che e' gia' di per se' sufficiente a ritenere inammissibile il motivo per aspecificita'. 5.65. Secondo il consolidato insegnamento della Corte di cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresi' quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Cass., Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 Rv. 255568); cosicche' e' inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto d'impugnazione, che non puo' ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008 Rv. 240109). Ai fini della validita' del ricorso per cassazione non e', percio', sufficiente che il ricorso consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate e i limiti dell'impugnazione, ma e' altresi' necessario che le ragioni sulle quali esso si fonda siano esposte con sufficiente grado di specificita' e che siano correlate con la motivazione della sentenza impugnata; con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificita' dei motivi non puo' essere stabilito in via generale ed assoluta, dall'altro, esso esige pur sempre - a pena di inammissibilita' del ricorso - che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle del ricorrente, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime. E' quindi onere del ricorrente, nel chiedere l'annullamento del provvedimento impugnato, prendere in considerazione gli argomenti svolti dal giudice di merito e sottoporli a critica, nei limiti - s'intende - delle censure di legittimita' (cosi', in motivazione, Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014). 5.66. V'e' da aggiungere, piuttosto, che nemmeno nell'atto di appello a firma dell'Avv. (OMISSIS) si rinviene traccia della valutazione dell'esame dei due imputati effettuata dal Tribunale nei termini sopra illustrati. 5.67. In ogni caso, osserva il Collegio: a) non e' manifestamente illogico il ragionamento dei Giudici di merito nella parte in cui attribuiscono al dato della "sicura" un peso non determinante ai fini della credibilita' della persona offesa, ne' si condivide l'assunto difensivo circa l'economia e il peso che il dato dovrebbe avere; b) come correttamente evidenziato dalla Corte di appello, cio' che rileva e' che all'imputata fu impedito di uscire dall'autovettura non appena si era resa conto delle intenzioni dello (OMISSIS); c) che su tale elemento sia stato costruito il capo di imputazione non e' aspetto dirimente: se e' vero, come sostiene il ricorrente, che la vittima (che era stata sentita prima dell'esercizio dell'azione penale e mai dopo) aveva reso versioni diverse delle modalita' con cui era stata costretta a rimanere in macchina, e' altrettanto vero che la indicazione della sicura nel capo di imputazione quale modalita' esecutiva della costrizione e' frutto di una precisa scelta del PM che non puo' ridondare a danno della credibilita' della vittima (potendo semmai dare la stura ad una censura di violazione della corrispondenza tra imputazione e sentenza, violazione pero' mai dedotta e non rilevabile d'ufficio); d) la positiva valutazione di credibilita' complessiva di una persona che e' stata sentita piu' volte in relazione ad uno specifico episodio non ha nulla a che vedere con il concetto di "valutazione frazionata", non potendosi intendere per tale la necessaria sintesi che segue all'analisi della testimonianza che e' rimasta coerente nel suo nucleo essenziale ed e' stata valutata, si ribadisce, insieme con la versione difensiva degli imputati; e) e' vero che la costanza del racconto e' argomento ambivalente (potendo fungere da indicatore della genuinita' del racconto e al tempo stesso della sua costruzione a tavolino) e tuttavia, proprio per questo, la deduzione difensiva della incostanza della persona offesa si presta ad una lettura alternativa della prova che di per se' mal si presta a costituire vizio di illogicita' manifesta del ragionamento; f) e' piuttosto necessario che il giudice coniughi il dato della incostanza del racconto con altri elementi a sua disposizione che valgano, in una visione di sintesi, a valutare la prova nel suo complesso (che e' quanto accaduto nel caso di specie ove, oltre alla non plausibilita' della versione difensiva, ha avuto il suo peso anche la dinamica impressa dallo (OMISSIS) al rapporto con la (OMISSIS), rendendo la spiegazione della credibilita' della vittima tutt'altro che manifestamente illogica); g) i costumi sessuali della vittima di reati sessuali sono ininfluenti sulla sua credibilita' e non possono costituire argomento di prova per l'esistenza, reale o putativa, del suo consenso (Sez. 3, n. 46464 del 09/06/2017, Rv. 271124 - 01); costituisce grave errore, pertanto, affermare che la vittima in altre occasioni aveva condiviso rapporti sessuali anche con persone sconosciute per tacciare di illogicita' ("transitiva", peraltro nemmeno manifesta) la motivazione, che facendo leva sul fatto che il (OMISSIS) era persona sconosciuta alla (OMISSIS), ha ritenuto credibile la volonta' di quest'ultima di uscire dall'autovettura; che' anzi, a ben vedere, tale argomento si presta ad una lettura alternativa della prova, improponibile in questa sede senza la necessita' di ulteriori spiegazioni; h) sulla collocazione temporale del fatto (e dunque sulla sussistenza della circostanza aggravante dell'aver commesso il fatto ai danni di ragazza che non aveva ancora compiuto gli anni 14), s'e' gia' detto. 5.68. Le considerazioni che precedono valgono anche ai fini dello scrutinio dell'undicesimo motivo: in alcuna parte delle sentenze di merito si legge che l'accusa si basa sul solo atto sessuale posto in essere dal (OMISSIS), ne' a tanto conduce la lettura della rubrica, chiara nel contestare il delitto di violenza sessuale di gruppo a entrambi gli autori: allo (OMISSIS) per aver consumato, presente il (OMISSIS), un rapporto sessuale nelle condizioni di coercizione fisica e morale della ragazza gia' sopra descritte; al (OMISSIS) per aver subito dopo tentato di avere un rapporto sessuale completo con la ragazza, mentre lo (OMISSIS) la teneva bloccata. Il tutto in un contesto in cui, come detto, quest'ultima voleva subito scendere dall'auto con la quale era stata portata, contro la sua volonta', in un luogo isolato per subire le condotte sessuali dei due imputati. E' percio' a dir poco un fuor d'opera concentrarsi sulla natura sessuale o meno dell'approccio del solo (OMISSIS) posto in essere subito dopo la violenza consumata dall'amico. In ogni caso, lo stesso (OMISSIS), in sede di esame aveva riferito di aver cominciato a baciare la ragazza ma senza concludere il rapporto sessuale, essendo molto stanco. Dunque, lo stesso imputato ammette di aver posto in essere un atto chiaramente qualificabile come sessuale. 5.69. Il dodicesimo motivo riguarda il capo D della rubrica relativo alla violenza sessuale di gruppo consumata dal ricorrente insieme con (OMISSIS) e (OMISSIS) in epoca anteriore e prossima al 09/12/2013 nella abitazione disabitata in disponibilita' del (OMISSIS) sita in localita' (OMISSIS). 5.70. Il Tribunale cosi' ricostruisce la vicenda: " (OMISSIS) dichiara che, dopo l'incontro con (OMISSIS), aveva raggiunto la consapevolezza che (OMISSIS) la stava usando, "faceva il doppio gioco", diceva di perdonarla e poi non lo faceva mai ripresentandosi con una nuova proposta; nonostante cio', ammette, desiderava essere perdonata da (OMISSIS), perche' ci teneva a lui, e quindi, sebbene si sforzasse di non rispondergli al telefono, finiva sempre per assecondarlo. Anche quel pomeriggio aveva acconsentito a che (OMISSIS) la andasse a prendere con un suo amico: all'inizio non sapeva chi fosse poi aveva scoperto che si trattava di (OMISSIS) quando erano andati a prenderla proprio con la macchina di (OMISSIS) (la Fiat Panda). Aveva detto alla madre che quel pomeriggio sarebbe rimasta a casa dell'amica (OMISSIS) per cui era salita in macchina con (OMISSIS) e (OMISSIS) e si erano diretti a (OMISSIS) (....) (OMISSIS) fornisce una versione circostanziata e meticolosa, soffermandosi a descrivere in maniera minuziosa, in primo luogo, la suddivisione degli ambienti e la predisposizione degli arredi (...): descrizione che e' risultata completamente sovrapponibile allo stato dei luoghi accertato presso la casa di (OMISSIS) in sede di sopralluogo (come riferito dal teste di polizia giudiziaria (OMISSIS) incaricato di verificare proprio la sovrapponibilita' tra le due emergenze probatorie). Poi descrive il susseguirsi degli eventi: una volta saliti tutti e tre (lei, (OMISSIS) e (OMISSIS)) al primo piano dove c'era la camera da letto, aveva arrotolato le lenzuola in fondo al materasso, (lei da un lato e (OMISSIS) dall'altro), poi (OMISSIS) l'aveva spogliata e dopo si era spogliato anche lui, per cui avevano cominciato ad avere un rapporto sessuale, al quale si era aggiunto (OMISSIS), che nel frattempo si era denudato anche lui. Alla domanda suggestiva del Tribunale volta a verificare se in quel momento (OMISSIS) avesse mostrato il suo dissenso rispetto a quello che stava avvenendo, la minore risponde "no, non ho detto niente" dimostrando non solo di non cedere alla suggestione ma anche di essere coerente rispetto a quanto dichiarato in precedenza, e cioe' che si era recata volontariamente in quel posto, pur sapendo a cosa sarebbe andata incontro, al fine di riconquistate la fiducia di (OMISSIS). Le cose cambiano quando, alla fine del rapporto a tre, (OMISSIS) sente al telefono (OMISSIS) e gli chiede di portargli le sigarette: a quel punto (OMISSIS) capisce che i due erano gia' d'accordo sia perche' (OMISSIS) non gli dice dove raggiungerlo - e quindi evidentemente gia' lo sapeva sia perche' (OMISSIS) aveva impiegato poco tempo per arrivare dal paese di (OMISSIS), per cui era chiaro che si fosse avviato prima che (OMISSIS) gli telefonasse. Quando (OMISSIS) arriva lei si era gia' rivestita per meta', e anche (OMISSIS) e (OMISSIS), per cui tutti e tre avevano cominciato a spogliarla di nuovo, e lei si era ritrovata "due lateralmente e uno nel mezzo e...io coricata". A turno avevano avuto un rapporto sessuale, uno sopra di lei, mentre gli altri due, posizionati lateralmente, le tenevano i polsi. Nel frattempo lei si muoveva, cercava di spostarsi a destra o a sinistra perche' non voleva stare in quella situazione, ma loro avevano continuato a tenerla ferma. Una volta finito era andata in bagno a piangere, ma nessuno di loro se ne era accorto - salvo (OMISSIS) e (OMISSIS) che le aveva chiesto se stava bene, ma lei lo aveva respinto per cui si era sciacquata la faccia ed era uscita dal bagno facendo finta di niente. Si era fatta riaccompagnare alla pineta, vicino alla casa di Via (OMISSIS), poi aveva chiamato la madre per farsi andare a prendere (...) Sollecitata a chiarire la sua partecipazione, e dunque se fosse stata consenziente nei singoli episodi, (OMISSIS) ribadisce che (...) per la parte che aveva coinvolto solo (OMISSIS) e (OMISSIS) era stata consenziente, mentre "con l'ultima fase in cui e' subentrato anche (OMISSIS), no"". 5.71. Il Tribunale indica come riscontro alla credibilita' della persona offesa la conversazione intrattenuta con il (OMISSIS) nel febbraio del 2014 nel corso della quale la minore esprime "il suo apprezzamento per un momento particolare di quell'incontro (...): la necessita' di spiegare al suo interlocutore, nonostante fosse anch'egli presente al momento dei fatti, quale fosse stato il momento in cui si era divertita di piu', e' indicativo del fatto che quell'incontro si era articolato in piu' momenti e aveva coinvolto piu' persone. Del resto, e' lo stesso (OMISSIS) che chiede alla minore di specificare a quale momento si riferisce, tanto che le dice "abbiamo fatto tante cose, quindi non so, dimmi tu". (OMISSIS), dunque - afferma il Tribunale -, isola la prima parte dell'incontro avvenuto quel giorno a (OMISSIS) - quando erano presenti solo (OMISSIS) e (OMISSIS) - e la colloca nell'ambito delle esperienze sessuali, consenzienti, in cui si era divertita. E cio' perche' (...) l'incontro con (OMISSIS) rientrava nel "programma" che aveva concordato con (OMISSIS) e a cui lei aveva acconsentito. L'arrivo di (OMISSIS) e' vissuto come un tradimento di quell'accordo, (OMISSIS) si sente un oggetto nelle mani di (OMISSIS) (...) ma ormai non poteva tirarsi piu' indietro, per cui subisce, in una condizione di evidente minorazione (...) piu' rapporti sessuali". Sempre nel corso della stessa conversazione (OMISSIS), osservava il Tribunale, aveva chiaramente espresso il suo disappunto per l'inatteso arrivo del (OMISSIS): "Invero, la sua contrarieta' alla presenza del (OMISSIS) si percepisce in un altro passo della conversazione con (OMISSIS), in cui (OMISSIS) dimostra tutto il risentimento nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS) per aver chiamato, mentre erano insieme, il loro amico per farsi raggiungere: "perche' quel giorno che hai chiamato (OMISSIS) gli hai detto che c'ero io la'-" - "ma perche' c'era anche (OMISSIS)" (...) evidente quindi - conclude il Tribunale - che la versione della minore trova ampiamente riscontro e che dunque, a differenza di quanto dichiarato dagli imputati, c'e' stato un incontro nella casa di (OMISSIS) (nella disponibilita' di (OMISSIS)) a cui hanno partecipato (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ponendo in essere atti sessuali contro la volonta', manifestata in modo esplicito - tanto che i tre le tenevano a turno i polsi per farla restare ferma - della minore (OMISSIS), soggetto, si ribadisce, all'epoca dei fatti, infraquattordicenne". 5.72. La Corte di appello ricostruisce il fatto in termini pressoche' identici e nel disattendere i rilievi difensivi osserva, in primo luogo, che "anche nell'incontro in questione si ripropone il binomio consenso/dissenso ai rapporti sessuali della persona offesa con (OMISSIS)", l'ambivalenza del cui comportamento era tale da sollecitare continuamente il desiderio di essere perdonata ("Si', perche' lui faceva... secondo me lui si teneva un po' dentro e un po' fuori la situazione, nel senso, per perdonarmi mi diceva che bisognava fare queste cose, e che poi mi avrebbe perdonato, pero' poi non mi perdonava mai. Quindi era, secondo me, un doppio gioco, nel senso, "Ti dico che ti perdono, pero' in realta' non ti perdono, cosi' nel frattempo tu fai quello che dico io""; pag. 76 della sentenza impugnata). Anche in questo caso, secondo i Giudici distrettuali, la persona offesa aveva accondisceso alle richieste dello (OMISSIS) fino a quando non aveva realizzato di essere stata ingannata; da quel momento, al consenso e' subentrato il dissenso ad ulteriori atti sessuali. La versione della vittima trova conferma, a giudizio della Corte di appello, nella minuziosa (e corrispondente a vero) descrizione della casa, nella sua capacita' di "resistere" alle domande suggestive ribadendo il proprio consenso alla prima parte dell'incontro, nella non incompatibilita' del dissenso ai rapporti in concomitanza con il sopraggiungere del (OMISSIS), nel pianto solitario all'interno del bagno a violenza consumata. Priva di pregio, secondo la Corte di appello, "e', altresi', la doglianza sollevata dalla difesa secondo cui il fatto che la persona offesa si dimenasse durante il rapporto non fosse di per se' indicativo del suo dissenso e che lo stesso non poteva comunque essere percepito come tale dai compartecipi all'episodio. Non si vede, invece, come tale comportamento della ragazza potesse essere equivocato, essendo del tutto esplicito in ordine non solo ad un dissenso ma ad una vera e propria opposizione, tanto che i due che non avevano il rapporto dovevano tenerle i polsi, mentre il terzo lo consumava". La chat intrattenuta con il (OMISSIS) nel febbraio del 2014, lungi dallo smentire la credibilita' della vittima la rafforzano nel giudizio della Corte di appello. Ne' tale credibilita' e' messa in discussione dal rinvenimento di files nel PC della vittima che, in tesi difensiva, "avrebbe(ro) rivelato uno spaccato della realta' dei fatti decisamente contrastante rispetto al dichiarato della (OMISSIS) di per se' sufficienti per una ricostruzione alternativa dei fatti". In realta', afferma la Corte di appello, "se da un lato la prova documentale data dai file del computer e dagli screen shot del cellulare recuperati dagli inquirenti ha consentito di fissare la storicita' degli eventi ed il loro succedersi consentendo in tal modo una fedele ricostruzione degli accadimenti e di quali, afferma la Corte, "incrociarli" con le propalazioni della persona offesa non prive in alcuni casi di gap o vuoti di memoria, dall'altro le condotte dei soggetti coinvolti nella vicenda non sfuggono ad un giudizio di colpevolezza e di responsabilita' penale". 5.73. I Giudici distrettuali si soffermano anche sulla versione difensiva degli imputati, giudicandola del tutto contraddittoria, "in quanto i tre forniscono ricostruzioni dei fatti completamente discordanti tra loro, in particolare su elementi fondamentali. Infatti, il (OMISSIS), dopo aver negato in sede di interrogatorio di essere andato con (OMISSIS) e (OMISSIS) in una casa a (OMISSIS), di cui aveva la disponibilita', ha, invece, affermato tale circostanza in sede di esame dibattimentale, negando, pero', che all'incontro vi fosse stato il (OMISSIS). Ma tale circostanza e' chiaramente smentita dal contenuto della chat sopra menzionata e dallo stesso (OMISSIS), che, nel gravame, non ha negato la propria presenza. Di contro, le dedotte contraddizioni nel narrato di (OMISSIS) sono veramente irrilevanti, riguardando la circostanza che uno dei ragazzi avesse o meno fumato le sigarette richieste al (OMISSIS) e sulla quale era ben possibile che la persona offesa non avesse un ricordo chiaro, essendosi ovviamente concentrata su altri particolari. 5.74. Tanto premesso, ancora un volta le doglianze difensive non colgono nel segno e propongono un ribaltamento metodologico dell'indagine di legittimita' nella misura in cui non considerano il modo con cui la Corte di appello ha deciso. Tre aspetti qualificanti della decisione sono stati del tutto negletti: a) il primo riguarda il canovaccio dell'episodio, che ben esprime la dinamica del rapporto (OMISSIS)- (OMISSIS) e ne spiega le relative, coerenti condotte (canovaccio che, peraltro, emerge chiaro anche nelle gia' citate note descrittive - e comparative del rapporto con lo (OMISSIS) e con lo (OMISSIS), redatte dalla (OMISSIS) e di cui s'e' gia' parlato); b) il secondo riguarda la presenza del (OMISSIS), la telefonata che l'aveva preceduta (la scusa delle sigarette) e la natura inaspettata (e in quel momento sgradita) del suo arrivo; c) il terzo riguarda l'argomento legato alla valutazione dell'esame degli imputati che ha concorso, nella valutazione della Corte di appello, a ritenere credibile la persona offesa. 5.75. Di un quarto elemento (la conversazione con il (OMISSIS)) viene proposta una inammissibile lettura alternativa. L'interpretazione e la valutazione del contenuto dei messaggi e delle conversazioni intercorse a mezzo telefono o strumenti informatici costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita' se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 5, n. 35680 del 10/06/2005, Rv. 232576; Sez. 6, n. 15396 del 11/12/2007, Rv. 239636; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Rv. 239724; Sez. 6, n. 11794 del 11/12/2013, Rv. 254439; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Rv. 258164). E' possibile prospettare, in questa sede, una interpretazione del significato di una conversazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, Rv. 259516; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, Rv. 252190; Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, Rv. 237994). Tale orientamento interpretativo e' stato autorevolmente ribadito da Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715, che ha affermato il principio di diritto secondo il quale in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (principio ripreso e confermato da Sez. 3, n. 35593 del 17/06/2016, Folino, Rv. 267650, e, successivamente, da Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389). Benche' applicabile alle conversazioni intercettate, la latitudine logica del principio e' tale da poter essere applicata anche nella presente fattispecie. 5.76. E' sufficiente allora evidenziare che il ricorrente non deduce affatto il travisamento del contenuto dei dialoghi intercorsi tra la (OMISSIS) e il (OMISSIS) ma, astraendo dalla "ratio decidendi" nella sua organicita' e completezza, invita questa Corte di cassazione ad una loro rilettura, inammissibilmente non filtrata dal governo che, sul piano della logica e della valutazione della prova, ne hanno fatto i Giudici di merito. Ne' puo' costituire sintomo di manifesta illogicita' della motivazione il comportamento successivamente serbato dalla (OMISSIS) nei confronti del suo interlocutore (il (OMISSIS)), non potendo la "comune esperienza" costituire valido criterio di giudizio in un contesto come quello in esame e piu' in generale nei delitti a matrice sessuale, nei quali non sempre e' possibile, come gia' anticipato, decodificare i comportamenti della vittima coevi e successivi ad un fatto che sconvolge la psiche. Cosa sia questa "comune esperienza" e' cosa difficile a dirsi, correndosi piuttosto il rischio dell'introduzione nel processo di idee e opinioni del tutto soggettive su come una persona avrebbe dovuto comportarsi in una determinata contingenza prescindendo del tutto dal concreto stato d'animo della persona offesa. Che la vittima possa aver successivamente provato piacere nel rivivere i ricordi del rapporto che aveva immediatamente preceduto la violenza e' fatto personalissimo che non autorizza conclusioni basate su quel che si rileva, in fin dei conti, un approccio personale ed etico all'altrui comportamento. 5.77. Quanto alla collocazione temporale del fatto s'e' gia' ampiamente detto, sicche' non e' necessario tornarvi. 5.78. Il tredicesimo motivo riguarda il reato di cui al capo E della rubrica. Il Tribunale se ne occupa alle pagg. 218 e segg. della sentenza: " (OMISSIS), dopo aver interrotto i rapporti con (OMISSIS), conosceva (OMISSIS) in occasione del compleanno di (OMISSIS) di data (OMISSIS) e poi iniziava con lui una relazione (...) A seguito dell'inizio del rapporto sentimentale con (OMISSIS), (OMISSIS) si mostrava contrariato e la convinceva a rivedersi con lui per riallacciare il rapporto; in quella occasione si scambiavano un bacio. La relazione con (OMISSIS) durava dal 29 dicembre 2013 al 3 febbraio 2014, come scritto dalla stessa. persona offesa nella nota del 5 febbraio 2014 (...) Dalle dichiarazioni della persona offesa e' emerso che la stessa all'inizio di febbraio 2014 (il 10 o il 14, sul punto la PO e' risultata essere imprecisa e contraddittoria in occasione delle varie udienze di incidente probatorio), usciva con (OMISSIS) e che, dopo essere tornata a casa, quest'ultimo le scriveva nuovamente dicendole che le doveva parlare; la andava dunque a prendere in macchina direttamente sulla superstrada (...) dopo essere salita sull'auto di (OMISSIS), ( (OMISSIS)) si avvedeva della presenza anche di (OMISSIS) (...) i due si erano conosciuti nel 2011 quando (OMISSIS) aveva avuto bisogno del suo aiuto per addestrate il cane che aveva appena acquistato e che poi non vi erano piu' stati ulteriori contatti con lui. Lo stesso (OMISSIS), in sede di esame, ha affermato di aver conosciuto (OMISSIS) e di averlo iniziato a frequentare nel mese di febbraio/marzo 2014. La persona offesa ha ripercorso in modo lineare gli avvenimenti di quel giorno, facendo piu' volte riferimento - in occasione delle diverse udienze di incidente probatorio - allo sguardo minaccioso ("pauroso.. Io lo definisco tipo con gli occhi di fuori, quando una persona sembra tipo arrabbiata, gli esce tipo l'occhio di fuori") di (OMISSIS). In particolare, quest'ultimo la avvertiva che avrebbe potuto dire quanto successo con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al padre. La minore era dunque costretta ad avete dapprima un rapporto sessuale in macchina con (OMISSIS) (mentre (OMISSIS) guardava) e, successivamente, con (OMISSIS) stesso. (OMISSIS) rassicurava poi (OMISSIS) dicendogli: "Non ti preoccupare, all'inizio e' timida, poi ci sta". Invero lo sguardo di (OMISSIS) e le allusioni da lui fatte erano tali da fare sentire la minore come paralizzata, incapace di muoversi e di reagire, terrorizzata non solo al pensiero che i genitori potessero scoprire quanto accaduto con gli altri ragazzi, ma anche che i genitori medesimi potessero essere coinvolti "per altro- (Si', perche' all'inizio era solo una questione prima, nel senso che in giro...comunque i miei genitori sarebbero venuti a conoscenza di quello che avevo fatto, e poteva anche starci come cosa. Quando invece sono stati messi in mezzo anche per altro, ho detto: "Qua e' una questione...che non si risolve facilmente"). Peraltro (OMISSIS) aveva riferito anche al padre, come da lui stesso riportato in sede di esame dibattimentale, che il primo incontro con (OMISSIS) era avvenuto in macchina, quando aveva trovato inaspettatamente quest'ultimo all'interno dell'auto di (OMISSIS). (OMISSIS) ha infatti dichiarato che la figlia gli aveva detto che (OMISSIS) le aveva espressamente chiesto di avere rapporti sessuali con lui, cosi' come li aveva avuti con (OMISSIS), minacciando che- in caso contrario avrebbero detto tutto ai genitori o avrebbero comunque creato "problemi". La persona offesa ha poi dichiarato che, in quella stessa occasione, (OMISSIS) nominava " (OMISSIS)" di (OMISSIS), lasciando intendete di essere a conoscenza di una sua relazione con lui. Poi (OMISSIS) e (OMISSIS) riaccompagnavano (OMISSIS) alla "Legea" e quest'ultima chiamava immediatamente il padre per andarla a prendere e poi accompagnarla con urgenza a (OMISSIS) (...) Pioveva. lo chiamo mio padre. Questo era nel tardo pomeriggio, verso le 6, forse, le 7, perche' iniziava gia' a fare buio. Chiamo mio padre e gli dico: "Papa', vieni a prendermi, che dobbiamo andare in un posto". Mio padre mi viene a prendere con la macchina. Gli ho detto io: "Guarda, accompagnami a (OMISSIS) urgentemente perche' devo sapere che cosa e' successo, nel senso, cosa c'entra (OMISSIS) con (OMISSIS) e con (OMISSIS)"". 5.79. Il Tribunale aveva collocato il fatto il giorno 10/03/2014 collegandolo all'aggressione subita dello (OMISSIS) ad opera proprio dello (OMISSIS) (e del (OMISSIS); il fatto e' rubricato al capo O per il quale la Corte di appello ha dichiarato non doversi procedere per difetto di querela). Scrive il Tribunale: "La circostanza che i due fatti siano avvenuti nella medesima giornata trova un riscontro anche in alcuni bigliettini sequestrati a (OMISSIS). Sono stati innanzitutto acquisiti alcuni post-it scritti dalla minore, uno dei quali riferito ad un episodio accaduto con (OMISSIS) e (OMISSIS): "Arrivato giorno 10, ci siamo visti prima con lui e poi mi ha portato mio cugi (OMISSIS) e mi hanno costretta e poi ho chiamato mio papa' e siamo andati da (OMISSIS) a chiarire". La teste, sentita in sede di incidente probatorio, ha chiarito che tali appunti erano stati da lei scritti gli stessi giorni in cui si verificano gli avvenimenti. Si ritengono dunque particolarmente affidabili nella misura in cui venivano annotati da (OMISSIS) spontaneamente e nell'immediatezza dei fatti, senza alcuna finalita' successiva. Ancora. Sono stati acquisiti altri appunti scritti sempre dalla minore, ma invero copiati dalle note del cellulare. La minore ha infatti spiegato che era questo il motivo per cui erano ordinati dal piu' recente al piu' lontano nel tempo. Anche tali appunti, in quanto "presi" automaticamente dalle note del cellulare non modificabili dall'utente, risultano del tutto attendibili. Con riferimento alla data di lunedi' 10 marzo 2014 l'appuntamento era: "Lunedi' 10 marzo 2014 (OMISSIS) E (OMISSIS) STRADA VICINO AL (OMISSIS)". Ulteriore riscontro si rinviene nel calendario ove al punto 120 (p. 22), alla data del 10 marzo, e' scritto "Cugi (OMISSIS) strada vicino al cimitero.. ". E' stato altresi' acquisito il certificato medico di (OMISSIS) datato 9 marzo 2014 con diagnosi di "trauma distorsivo I dito mano destra". La circostanza assume qui rilievo nella misura in cui la minore ha collegato i due episodi (incontro con (OMISSIS) e (OMISSIS) e chiarimento con (OMISSIS) che le rivelava di essere stato picchiato) dal punto di vista temporale. Risulta dunque che, nonostante i ricordi vaghi di (OMISSIS) secondo i quali l'episodio sarebbe avvenuto all'inizio o meta' del mese di febbraio, esso vada piu' correttamente collocato il giorno 10 marzo 2014. Ed invero (...) quando (OMISSIS) si recava a casa di (OMISSIS), questi le rivelava di essere stato picchiato da (OMISSIS) e dai suoi amici. Se vi e' sovrapposizione fra il primo incontro con (OMISSIS) e quello con (OMISSIS) dal quale si recava con urgenza accompagnata dal padre, quest'ultimo avvenimento deve necessariamente collocarsi in data successiva alle lesioni subite da (OMISSIS) e quindi in un giorno posteriore al 9 marzo. Tutti gli appunti scritti da (OMISSIS) in modo spontaneo convergono verso la data del 10 marzo, quale giorno in cui vi era l'appuntamento con (OMISSIS) e con (OMISSIS) al cimitero. Cio' trova peraltro ulteriore riscontro nell'analisi dei tabulati telefonici relativi alle celle di aggancio dell'utenza in uso alla minore ((OMISSIS)) e agli altri due soggetti coinvolti" 5.80. Analizzando i tabulati, il Tribunale era giunto alla conclusione che "tra le ore 16.48 e le ore 18:10 del 10 marzo 2014 tutte e tre le utenze telefoniche avevano agganciato, contemporaneamente, la medesima cella, ovvero quella di (OMISSIS). Dall'analisi dei tabulati telefonici relativi al 10 marzo 2014 e' inoltre emerso che: a) non risultano contatti telefonici tra (OMISSIS) (...) e (OMISSIS) (...); b) sono presenti sessantatre contatti telefonici tra (OMISSIS) (...) e (OMISSIS) (...) nel periodo di corrispondenza delle tre utenze (di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), ossia dalle ore 16.48 alle ore 18.10 - vi sono dei periodi di assenza di contatti fra (OMISSIS) e (OMISSIS). Tale circostanza non esclude dunque la possibile compresenza dei due soggetti (insieme a (OMISSIS)) negli intervalli di tempo fra le 16.42 e le 17.18, nonche' fra le 17.23 e le 18.02. Si osserva inoltre, a riscontro di quanto affermato dalla minore (ossia che verso le sei/sette di sera, a seguito dell'incontro con (OMISSIS) e (OMISSIS), si recava con urgenza da (OMISSIS) a (OMISSIS)) che effettivamente, il giorno 10 marzo 2014, l'utenza di (OMISSIS) agganciava la cella di (OMISSIS) dalle ore 18.10 alle ore 19.10." 5.81. Quanto alla sussistenza della minaccia e alla consapevolezza degli imputati della mancanza del consenso della vittima, il Tribunale rimarcava il fatto che la (OMISSIS) aveva piu' volte espresso il terrore provato alla visione dello sguardo di (OMISSIS) cui avevano fatto seguito le parole minacciose sopra indicate. 5.82. La Corte di appello ha disatteso gli argomenti difensivi per le ragioni gia' illustrate nel "Ritenuto in fatto" della presente sentenza. 5.83. Tanto premesso, sulla dedotta incompatibilita' logica tra la condanna per il reato di cui al capo E e l'assoluzione dal reato di cui al capo I e' sufficiente evidenziare che tale assoluzione era stata decisa dal Tribunale non gia' perche' aveva ritenuto la persona offesa non credibile (tutt'altro) ma per la mancanza di riconoscibilita' del suo dissenso e per l'atteggiamento ambiguo serbato dalla (OMISSIS) ("Ed invero le dichiarazioni della persona offesa hanno introdotto il dubbio ragionevole non gia' sulla veridicita' di quanto accaduto (entrambi gli imputati hanno peraltro confermato che vi erano stati dei rapporti sessuali con la minore, seppur mai posti in essere l'uno in presenza dell'altro, ma in via diacronica), bensi' sulla riconoscibilita' da parte degli imputati medesimi del dissenso manifestato dalla minore e sulla sussistenza di minacce tali da coartare (OMISSIS) ad avere rapporti sessuali"). Piu' in generale, leggendo le chiare pagine dedicate dal Tribunale al capo I della rubrica (pagg. 232-241), non emerge mai uno scollamento tra il fatto descritto dalla persona offesa e quello accertato dal primo Giudice; non vi e', insomma, una valutazione di non credibilita' della ragazza, quanto, piuttosto, una sua diversa valutazione: e' lo stesso materiale dichiarativo proveniente dalla vittima a condurre il Giudice all'assoluzione, non la sua smentita ("Si deve dunque ribadire che, nel caso di specie, non si sono rinvenuti sufficienti elementi concreti in merito alla sussistenza, anche implicita, del dissenso di (OMISSIS) ad avere rapporti sessuali con gli imputati, palesando semmai la minore un atteggiamento ambiguo ed equivocabile e avendo ella affermato che, all'atto del rapporto, capitava di provare attrazione e piacere. La stessa, sentita in sede di incidente probatorio, ha cercato di chiarire il proprio stato d'animo e di giustificare i messaggi inviati, dichiarando che in quel periodo aveva perso "il senso delle cose" e che solo in un momento successivo realizzava quanto era accaduto. Lo stato di sconforto successivo ("mi facevo schifo da sola"), seppur evocativo della sofferenza provata dalla persona offesa, evidentemente tormentata dalle vicende vissute, non puo' costituire elemento probatorio atto a ritenere provata la riconoscibilita' di un dissenso all'atto del rapporto. La costrizione e la violenza dello stesso non possono quindi ritenersi provate e gli imputati vanno assolti perche' il fatto non sussiste, non essendosi rinvenuti elementi probatori sufficienti per pervenire ad un giudizio di colpevolezza"). 5.84. Che la ragazza, successivamente al reato di cui al capo E, possa aver avuto rapporti sessuali consensuali con lo (OMISSIS) e' circostanza che non puo' essere utilizzata per dimostrare il consenso al rapporto in esso descritto, sia perche' si tratta di operazione giuridicamente sbagliata (il consenso e' all'atto, non alla relazione con la persona), sia perche' - come visto - era lo stesso Tribunale a dar conto dell'estrema confusione emotiva con cui la (OMISSIS) viveva quel periodo anche a causa della dipendenza affettiva dallo (OMISSIS). Si obietta che le dichiarazioni rese dalla vittima in sede di incidente probatorio sono frutto anche della contestazione del contenuto dei messaggi scambiati con lo (OMISSIS) tra l'ottobre e il dicembre del 2014, messaggi dal contenuto inequivocabile; e tuttavia e' agevole osservare che: a) questi messaggi riguardano periodi di non poco successivi al fatto di cui al capo E della rubrica; b) la ragazza non ne aveva mai disconosciuto il contenuto e la valenza; c) benche' avesse sostanzialmente ammesso di aver avuto rapporti sessuali consenzienti con lo (OMISSIS), non v'era ragione alcuna per ribadire la violenza subita per la prima volta ad opera di questi. Si tratta, dunque, di argomento ambivalente che, proprio perche' tale, non rende la assoluzione dal reato di cui al capo I illogicamente contrastante (perlomeno non in modo manifesto) con la condanna per il reato di cui al capo E. Va infine precisato che poiche' l'esercizio dell'azione penale si e' basato sostanzialmente sugli stessi elementi documentali e dichiarativi sulla scorta dei quali il Tribunale aveva adottato la propria decisione, appare evidente che il dissenso tra pubblico ministero e giudice non riguardava la credibilita' della vittima, bensi' il governo probatorio delle sue dichiarazioni. 5.85. Ne' il tentativo della persona offesa, vittima di violenza sessuale, di non rendere noti i suoi successivi rapporti sessuali consenzienti avuti con lo stesso autore della violenza costituisce argomento persuasivo. Che' anzi, una volta scoperta l'esistenza di tali rapporti, non si vede perche' quest'ultima non dovesse ammettere che anche il primo rapporto era consenziente. Va piuttosto rilevata, ancora una volta, l'ambivalenza del dato, non essendo manifestamente illogico, ne' contraddittorio l'atteggiamento di chi tenti di occultare i successivi rapporti sessuali per motivi legati alla successiva presa di coscienza dello stato in cui versava la vittima all'epoca dei fatti o anche solo per pudore. 5.86. Nel resto, le deduzioni difensive si risolvono, ancora una volta, in una non consentita rilettura, in questa sede, degli argomenti di prova indicati dalla Corte di appello a sostegno della propria decisione. Sostenere, peraltro, le neutralita' degli elementi indicati dai Giudici distrettuali come "riscontri" del narrato della vittima equivale ad affermare che la testimonianza di quest'ultima si pone sullo stesso piano di coloro i quali, per legge, non possono essere creduti solo sulla parola (articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4), in pieno contrasto con quanto gia' ampiamente illustrato nella parte che ha preceduto l'esame dei singoli ricorsi. 5.87. Il quattordicesimo motivo riguarda i capi F ed H della rubrica (capo F, ascritto al solo (OMISSIS): "del reato di cui all'articolo 81 c.p., comma 2, articolo 600 quater c.p. perche', in piu' occasioni, induceva la minore (OMISSIS) ad effettuare delle fotografie di se stessa in pose equivoche o nelle parti intime facendosele trasmettere mediante la piattaforma WhatsApp e cosi' procurandosi materiale pornografico utilizzando una minore di anni diciotto. In (OMISSIS)"; capo H, ascritto allo (OMISSIS) ed allo (OMISSIS): "del reato di cui (agli artt.) 81, 110, 600 c.p., perche' con la condotta descritta al capo che precede si procuravano materiale pornografico mediante l'utilizzo di una minore degli anni 18. In (OMISSIS)"). Il Tribunale, come anticipato nel "Ritenuto in fatto" della presente sentenza, ha ritenuto l'unicita' del fatto-reato dichiarando la penale responsabilita' di entrambi gli imputati. La Corte di appello ha confermato la pronuncia sul punto per le ragioni gia' pure sinteticamente illustrate nel "Ritenuto in fatto". 5.88. La condanna dello (OMISSIS) (e dello (OMISSIS)) si basa sulla interpretazione delle conversazioni intrattenute via chat con la minore (molto spesso caratterizzate - affermava il Tribunale - "dal reciproco scambio di immagini pornografiche") e su quanto dalla stessa riferito in sede di incidente probatorio; emerge un quadro di reciproci scambi di immagini pornografiche, ma anche di esplicite richieste di invio da parte degli imputati di immagini dello stesso tenore ritraenti la persona offesa. Degli elementi di fatto posti a fondamento della propria decisione il Tribunale aveva dato conto trascrivendoli in parte, inserendo nella motivazione gli screen-shots delle conversazioni in questione. 5.89. Tanto premesso, il motivo e' infondato e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimita'. 5.90. Benche' il reato contestato ai ricorrenti non sia quello di cui all'articolo 600-ter c.p., bensi' quello di cui al successivo articolo 600-quater, si pone comunque la questione relativa alla interpretazione del concetto di "utilizzazione" del minore, quale modalita' esecutiva della condotta di realizzazione del materiale pornografico che l'autore del reato detiene o si procura, qualificando, tale modalita' realizzativa, l'illiceita' (e la rilevanza) penale dell'oggetto materiale della condotta incriminata. 5.91. Orbene, secondo l'insegnamento di Sez. U, n. 51815 del 31/05/2018, Rv. 274087 - 02, in tema di pornografia minorile, non sussiste l'utilizzazione del minore, che costituisce il presupposto del reato di produzione di materiale pornografico di cui all'articolo 600 ter c.p., comma 1, nel caso di realizzazione di immagini o video che abbiano per oggetto la vita privata sessuale di un minore, che abbia raggiunto l'eta' del consenso sessuale, nell'ambito di un rapporto che, valutate le circostanze del caso, non sia caratterizzato da condizionamenti derivanti dalla posizione dell'autore, sicche' la stesse siano frutto di una libera scelta e destinate ad un uso strettamente privato. 5.92. Successivamente le stesse Sezioni Unite sono tornate sull'argomento essendo rimasto irrisolto, nella giurisprudenza della Corte di legittimita', il quesito sul se, e in quali limiti, la condotta di produzione di materiale pornografico realizzata con il consenso del minore ultraquattordicenne, nel contesto di una relazione con persona maggiorenne, configuri il reato di cui all'articolo 600-ter c.p., comma 1, n. 1. 5.93. Con sentenza Sez. U, n. 4616 del 28/10/2021, dep. 2022, le Sezioni Unite hanno fornito la seguente risposta: "Si ha "utilizzazione" del minore allorquando, all'esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell'eta', maturita', esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volonta' del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale solo condotte realmente prive di offensivita' rispetto all'integrita' psico-fisica dello stesso" 5.94. Viene in rilievo la centralita' della condotta di "produzione di materiale pornografico" e del modo della produzione stessa: l'utilizzazione del minore. Le Sezioni Unite ne traggono due conseguenze: 1) la condotta di "produzione" esclude la rilevanza penale del materiale "autoprodotto" dal minore; 2) l'utilizzazione evoca la strumentalizzazione del minore e la sua riduzione a "res" per il soddisfacimento di desideri sessuali di altri soggetti o per conseguire un utile. Se ricorre l'utilizzazione del minore, nel senso sopra indicato, nessuna valenza - esimente o scriminante - puo' essere riconosciuta al suo consenso. In questo caso, affermano le Sezioni Unite, il consenso non puo' essere ritenuto libero e si presume determinato proprio dall'abusivita' della condotta dell'adulto. In quest'ottica si spiega la mancanza di alcun riferimento, nel corpo dell'articolo 600-ter c.p., comma 1, al consenso del minore cui, invece, attribuiscono rilievo le Convenzioni internazionali che riconnettono la liceita' della condotta dell'adulto al "consenso" del minore, purche' non ottenuto mediante comportamenti "abusivi" dell'adulto. 5.95. Come gia' affermato da Sez. U, n. 51815/2018, "il discrimine fra il penalmente rilevante e il penalmente irrilevante... non e' il consenso del minore in quanto tale, ma la configurabilita' dell'utilizzazione". Ne consegue, ricorda Sez. U, n. 4616/2022, che e' atipica solo la produzione di materiale pornografico realizzato senza la "utilizzazione" del minore e con il consenso espresso da colui che abbia raggiunto l'eta' per manifestarlo. Con riferimento alla condotta di "utilizzazione", le Sezioni Unite ribadiscono che essa sta ad indicare la condotta di chi manovra, adopera, strumentalizza o sfrutta il minore servendosi dello stesso e facendone uso nel proprio interesse, piegandolo ai propri fini come se fosse uno strumento. Con riferimento al consenso del minore, ritengono essenziale un attento e rigoroso accertamento del contesto in cui e' stato espresso il consenso stesso ed una verifica specifica per escludere che lo stesso sia stato inficiato da condizionamenti. Le Sezioni Unite n. 51815/2018, ricorda la sentenza, avevano gia' indicato, in modo esemplificativo, una serie di elementi dai quali e' possibile ricavare la condizione di "utilizzazione" del minore. Essi sono stati individuati nella abusivita' della condotta connessa alla posizione di supremazia rivestita dal soggetto agente nei confronti del minore; nelle modalita' con le quali il materiale pornografico viene prodotto (ad esempio, minaccia, violenza, inganno); nel fine commerciale; nell'eta' dei minori coinvolti, se inferiore a quella prevista per la valida formulazione del consenso sessuale. La declinazione del concetto di "utilizzazione del minore", affermano le piu' recenti Sezioni Unite, deve armonizzarsi e trovare coerenza interpretativa con le disposizioni contenute nel Titolo 12, Capo 3 "dei delitti contro la liberta' individuale", Sezione 1 "dei delitti contro la personalita' individuale" e Sezione 2 "dei delitti contro la liberta' personale", rientrando in una comune logica di sistema sorretto dalle medesime finalita'. Le disposizioni contenute nel Capo 3 del Titolo 12 perseguono anzitutto la finalita' di assicurare che la determinazione del minore che ha compiuto quattordici anni sia "libera ed incondizionata" nelle scelte di natura sessuale. Assumono, pertanto, rilevanza penale quelle condotte finalizzate alla coercizione della volonta' del minore determinate da costringimento, inteso come abuso o approfittamento delle sue condizioni, o da induzione e, cioe', attraverso il condizionamento delle scelte. A tal fine, la disposizione principale per definire i limiti del consenso del minore in relazione alla sua sfera sessuale e' rappresentata, secondo le Sezioni Unite, dall'articolo 609-quater c.p., recentemente modificato dalla L. n. 238 del 2021, articolo 20, che disciplina il consenso del minore. Assumono, in particolare, rilevanza le condotte di violenza, minaccia, abuso di autorita', abuso delle condizioni di inferiorita' fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto e l'inganno per essersi il colpevole sostituito ad altra persona indicati nell'articolo 609-bis c.p. come condizioni negative dell'applicazione dell'articolo 609-quater c.p.. Nei confronti dei minori che non hanno compiuto i sedici anni rilevano anche le situazioni elencate dall'articolo 609-quater c.p., comma 1, n. 2, che, per la natura del rapporto esistente con l'autore del reato, viziano il consenso ("quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore e' affidato o che abbia, con quest'ultimo, una relazione di convivenza"). Le medesime situazioni valgono per il minore che ha compiuto gli anni sedici se di esse l'autore abbia abusato (articolo 609-quater c.p., comma 2). Il consenso del minore che ha compiuto quattordici anni e' altresi' viziato se frutto di abuso della fiducia riscossa presso di lui o dell'autorita' o dell'influenza esercitata sullo stesso in ragione della propria qualita' o dell'ufficio ricoperto o delle relazioni familiari, domestiche, lavorative, di coabitazione o di ospitalita' (articolo 609-quater c.p., comma 2, come modificato dalla L. n. 238 del 2021, articolo 20, comma 1, lettera d, n. 1, a decorrere dal 1 febbraio 2022). L'abuso di autorita' presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l'agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali (in tal senso, Sez. U, n. 27326 del 2020). Il contesto normativo del Capo 3, Titolo 12 impone, secondo le Sezioni Unite, di aggiungere alla elencazione dei casi nei quali la volonta' del minore non puo' essere ritenuta scevra da condizionamenti, la dazione o la promessa di denaro in cambio dell'attivita' di ripresa o di registrazione delle immagini e l'approfittamento delle condizioni di natura economica del minore. Quanto al fatto che la volonta' del minore possa subire un forte condizionamento per effetto della dazione di corrispettivo di denaro o di altra utilita', anche se solo promessa, la sentenza richiama l'articolo 600-bis c.p. che persegue la finalita' di reprimere anche isolati episodi di mercimonio muovendo dal presupposto della incapacita' del minore ad opporsi validamente alla offerta di denaro o di altre utilita' per la condizione di particolare fragilita' in cui versa e che, infatti, non trova corrispondenza nella normativa relativa alla prostituzione del maggiorenne. L'insidiosita' dell'approfittamento delle condizioni economiche del minore, tanto piu' se assurgano a vero e proprio stato di necessita', si desume dall'intero panorama normativo di riferimento (a tal fine le Sezioni Unite richiamano l'articolo 602-ter c.p., comma 4, che prevede un aggravamento di pena "se il fatto e' commesso approfittando della situazione di necessita' del minore", e l'articolo 609-quater c.p., comma 3, che prevede un aggravamento della pena "se il compimento degli atti sessuali con il minore degli anni quattordici avviene in cambio di denaro o di qualsiasi altra utilita', anche solamente promessa"). In tutti questi casi deve essere esclusa qualsiasi rilevanza al consenso del minore per le riprese o le registrazioni dei suoi aspetti di intimita' sessuale. Anche le condotte induttive rilevano per la nozione di "utilizzazione" del minore. A tal fine rilevano, in primo luogo, le condotte di istigazione, dovendosi intendere queste ultime come rafforzamento di un proposito gia' presente nel minore. L'induzione, invece, ricorre quando la determinazione del minore dipenda esclusivamente dalla condotta dell'agente. Sulle modalita' di induzione si possono utilizzare, per la sovrapponibilita' dei profili di interesse, le conclusioni cui sono pervenute le Sezioni Unite con sentenza n. 16207/2014, che, pronunciando sull'induzione alla prostituzione minorile (articolo 600-bis c.p.), hanno affermato il principio di diritto secondo il quale l'induzione consiste nella "attivita', coscientemente finalizzata, di persuasione, di convincimento, di determinazione, di eccitamento, di rafforzamento della decisione", con la precisazione che "l'opera di convincimento puo' consistere anche in doni, lusinghe, promesse, preghiere e deve avere avuto una efficacia causale e rafforzativa della valutazione del minore". Le disposizioni relative alla pornografia ed alla prostituzione minorile sono accomunate, ricordano le Sezioni Unite, dalla necessita' di proteggere il minore da richieste legate a fenomeni di perversione sessuale, a volte interdipendenti, potendo essere la produzione di materiale pornografico uno degli epiloghi del fenomeno della prostituzione del minore. Le tecniche di persuasione del minore per raggiungere l'obiettivo possono essere comuni, in quanto finalizzate allo sfruttamento ed all'approfittamento della condizione di fragilita' del minore necessariamente piu' sensibile a forme di pressioni subdole da parte dell'adulto. L'esegesi della nozione di "utilizzazione" non puo' prescindere, affermano le Sezioni Unite, da una specifica riflessione sulla maturita' del minore. A tal fine, la sentenza rileva che il legislatore opera piu' volte la distinzione tra minore infra-quattordicenne, ultra-quattordicenne ma infra-sedicenne, e ultra-sedicenne in rapporto alla gradualita' dello sviluppo del minore. Questa differenziazione, che, come visto, si coglie anzitutto nell'articolo 609-quater, c.p., assume carattere di generalita' per i reati di pornografia e di prostituzione minorile (articolo 600-ter c.p., comma 5; articolo 602-ter c.p., comma 6; articolo 609-undecies c.p.). La tutela rafforzata del minore per la fascia di eta' ricompresa tra il quattordicesimo ed il sedicesimo anno di eta' comporta la necessita' di una piu' specifica analisi dei fattori di condizionamento della sua volonta' nell'assentire le richieste dell'adulto. Sul piano sistematico e concettuale non e' possibile pervenire ad una assimilazione del minore infraquattordicenne a quello infrasedicenne, ma e' indubbio che anche per quest'ultimo e' molto elevato il rischio di condizionamento per il grado di maturita' necessariamente limitato in quella fase dello sviluppo psico-fisico. Ed allora, ammoniscono le Sezioni Unite, l'accertamento sulla "utilizzazione" del minore infrasedicenne deve essere particolarmente rigoroso. Esso richiede un'attenta valutazione in ordine all'abuso del rapporto di fiducia da parte dell'adulto ed alle modalita' di convincimento cui lo stesso ha fatto ricorso, parametrando le pressioni e l'insidiosita' degli artifici necessari a vincere la resistenza psicologica del minore alla sua limitata capacita' di cogliere le situazioni per se' svantaggiose. Le Sezioni Unite ritengono efficace la definizione del concetto di adescamento contenuta dell'articolo 609-undecies c.p. sintetizzata "in qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce". La necessita' di un'attenta verifica di tutti gli aspetti sinora illustrati e' indispensabile anche in presenza di una relazione affettiva tra adulto e minore. Si rende, infatti, necessario verificare specificamente che l'adulto non abbia vinto le resistenze del minore inducendolo a superare le proprie riluttanze tramite tecniche di manipolazione psicologica e di seduzione affettiva, sfruttando la superiorita' in termini di eta', esperienza, posizione sociale o la condizione di inferiorita' del minore. Quest'ultimo, nell'ambito della relazione, e' suscettibile di essere esposto a varie forme di condizionamento che includono il "ricatto affettivo", potendo l'adulto fare leva sulla paura dell'abbandono, sul "senso del dovere", sulla colpevolizzazione del rifiuto o su paragoni impropri, per raggiungere il proprio obiettivo. E' inoltre importante verificare anche che il minore non sia rimasto vittima, nell'assentire le richieste dell'adulto, di minacce velate o di altre pressioni subdole o insidiose. 5.96. Nel caso di specie, si tratta di una condotta posta in essere quando la ragazza non aveva ancora compiuto quattordici anni di eta' (autore il solo (OMISSIS)) ed era proseguita fino a quando non aveva ancora compiuto quindici anni (autore anche lo (OMISSIS)). I due imputati erano, rispettivamente, diciannovenne (lo (OMISSIS) avrebbe compiuto venti anni nell'aprile 2014) e quasi trentenne (lo (OMISSIS) avrebbe compiuto ventotto anni nel giugno del 2014). Fino al compimento del quattordicesimo anno di eta' la questione della esistenza o meno del consenso non rileva; per il periodo successivo rilevano le chiare parole spese dal primo Giudice: "I due imputati, infatti, nell'ambito delle conversazioni via WhatsApp che intrattenevano con la stessa - spesso a sfondo sessuale - avanzavano richieste di foto pornografiche facendo leva, (OMISSIS), sul sentimento che (OMISSIS) continuava a provare per lui, seppure in modo combattuto, stante la consapevolezza che tale sentimento non era ricambiato; l'altro, (OMISSIS), sul ruolo che (OMISSIS) le riconosceva quale mediatore nella sua storia travagliata con (OMISSIS) (probabilmente in virtu' dell'amicizia che li legava ovvero dell'autorita' che (OMISSIS), in quanto appartenente ad una storica famiglia di ndrangheta, rivestiva nel contesto di quel paese), oltre che sulle svariate esperienza sessuali che i due avevano gia' condiviso" (pag. 227). 5.97. Si tratta di affermazioni totalmente neglette nell'appello a firma dell'Avv. (OMISSIS) il quale si era concentrato piuttosto sulla minimizzazione delle dichiarazioni rese dalla vittima in sede di incidente probatorio (benche' documentalmente comprovate, osserva il Collegio) e sulla mancanza di prova della ricezione di tali fotografie la cui detenzione puo' certamente essere dimostrata aliunde, non necessariamente ed esclusivamente dal loro rinvenimento nei dispositivi elettronici in disponibilita' dell'autore del reato. In ogni caso, appare evidente, per la fragile condizione psicologica della persona offesa, per il divario di eta' con uno degli autori del fatto, come il consenso da quest'ultima prestato fosse viziato nei termini indicati dalle Sezioni Unite n. 4616/2022. Va piuttosto rimarcata la circostanza che lo scambio di messaggi di questo tipo con lo (OMISSIS) sin dall'ottobre del 2013 (la datazione non e' mai stata oggetto di contestazione) contraddice la difesa dell'imputato rendendo certo il possesso, da parte di questi, di immagini compromettenti della minore da epoca precedente la consumazione dei reati di cui ai capi A, B, C, D della rubrica e niente affatto credibile lo spostamento in avanti del rapporto sessuale contestato al capo A. Nel resto, le deduzioni difensive oggetto di doglianza si risolvono nell'inammissibile (e sostanziale) proposta di rivisitazione del materiale probatorio del quale non e' stato dedotto il travisamento. 5.98. Il quindicesimo motivo riguarda il capo M della rubrica che cosi' recita: "del reato di cui all'articolo 61 c.p., n. 11 quinquies, articoli 110, 582 c.p., articolo 583 cpv. c.p., n. 1, articolo 585 c.p. in relazione all'articolo 576 cpv. c.p., n. 5 e 5.1 perche', mediante le condotte meglio descritte ai capi precedenti, cagionavano alla minore (OMISSIS) uno stato ansioso e disturbo post traumatico da stress con gesti autolesivi, dalla quale derivava una malattia della mente guaribile in un tempo superiore a quaranta giorni. Con le aggravanti di aver commesso il fatto in occasione dell'esecuzione di delitti contro la liberta' personale sopra citati di cui agli articoli 609 quater e octies e 612 bis c.p. ed in danno di una persona minore di anni diciotto. In (OMISSIS)". 5.99. In ordine alla sussistenza del reato e alla (cor)responsabilita' dello (OMISSIS), il Tribunale aveva indicato le seguenti prove: a) le dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di incidente probatorio "relativamente: - allo stato di disagio e di sofferenza della stessa provocato (anche, se non solo) dalle azioni dei due imputati ( (OMISSIS) e (OMISSIS)); - allo stato di indifferenza conseguente; - alla noncuranza totale verso il proprio corpo e, infine, alla inflizione, da parte di (OMISSIS) di atti di autolesionismo"; b) le dichiarazioni della Dott.ssa (OMISSIS), "psicoterapeuta della minore, (che) durante una visita, (aveva constatato) personalmente la presenza di tali segni, poiche' (OMISSIS) in occasione di una delle visite - aveva le nocche delle mani un po' rovinate (il periodo era quello ricompreso fra il mese di maggio e quello di giugno 2015). (OMISSIS), in quella circostanza, le riferiva che era arrabbiata, che aveva dato dei pugni sul muro e che le capitava anche di provocarsi dei tagli. Secondo la valutazione specialistica della psicoterapeuta tale quadro era dovuto ad un disturbo post traumatico da stress: la minore palesava episodi di forte ira e aveva una scarsissima autostima, inoltre (avvertiva) la propria persona come inutile e senza valore. (OMISSIS) le aveva inoltre riferito che aveva gia' posto in essere atti di autolesionismo prima di andare nel suo studio nel maggio del 2015; continuava pero' a porre in essere tali atti anche dopo le prime sedute"; c) le dichiarazioni della Dott.ssa (OMISSIS) che aveva rilevato che "la minore mostrava dei sentimenti di inquietudine, impotenza, sconforto e rassegnazione per non aver saputo affrontare le aggressioni subite, oltre che una forte carenza di autostima e molta tensione interiore. La dottoressa (OMISSIS) le aveva inoltre riferito che la minore presentava dei segni sul corpo, dovuti ai tagli autoinflitti e ai pugni dati al muro; il dolore fisico provocato da tali azioni rendeva piu' sopportabile il dolore emotivo provato. Tali elementi, secondo l'opinione della psicologa, costitui(vano) degli indicatori - seppur aspecifici - ricollegati ad una situazione di maltrattamento o di abuso"; d) le dichiarazioni della madre della ragazza che aveva riferito "in ordine allo stato di apatia della figlia la quale spesso rimaneva sul divano senza fare nulla, o comunque faceva finta di dormite. Anche lei (aveva riscontrato) la presenza di segni di autolesionismo sulla schiena di (OMISSIS)"; e) le dichiarazioni della professoressa (OMISSIS), che aveva dichiarato che un giorno la (OMISSIS) era andata nel bagno della scuola prorompendo in una crisi di pianto a seguito della quale aveva tirato dei pugni sul muro; f) le dichiarazioni dell'amica, (OMISSIS), che aveva notato dei "taglietti" sulle braccia di (OMISSIS), che quest'ultima le aveva confidato esserseli procurati da sola; g) le dichiarazioni della Dott.ssa (OMISSIS) che aveva affermato "che, in base a quanto raccontato dalla PO con riferimento agli atti di autolesionismo e al suo peggioramento scolastico, vi erano dei comportamenti associati ad una sofferenza, che poteva aver avuto origine da un trauma, senza pero' poter essere ricollegata ad un trauma specifico"; h) gli autoscatti della persona offesa che immortalavano i segni sul suo corpo. 5.100. Quanto al nesso di causalita', il Tribunale cosi' argomentava: "Si deve rilevare che non si e' raggiunta la certezza che gli abusi sessuali subiti e posti in essere dai due imputati siano stati l'unica causa della condizione di sofferenza della minore, dal momento che, alla luce di tutti gli elementi istruttori acquisiti, non si puo' escludere che ulteriori fattori abbiano inciso sulla minore: si pensi all'elemento del "giudizio" introdotto dal (OMISSIS) (cfr. deposizione Dott.ssa (OMISSIS)) o, ancora, alla situazione familiare complessa dovuta alla separazione dei genitori. Questo Tribunale ritiene tuttavia provato che gli abusi stessi hanno perlomeno concorso a determinare lo stato psicologico fortemente alterato della minore sopra descritto. Ed invero ex articolo 41 c.p. il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalita' fra la azione od omissione e l'evento. Cio' che rileva e' che gli imputati, con le proprie condotte abbiano innescato un meccanismo che ha perlomeno concorso a provocare lo stato ansioso e post traumatico da stress con gesti autolesivi nella minore e che non sussiste alcun fattore sopravvenuto eccezionale e straordinario che possa essere valso ad interrompere il nesso causale con tale evento. Inoltre non si puo' non dare rilievo a quanto riferito dalla dottoressa (OMISSIS), ossia da colei che aveva in cura la minore proprio a ridosso della fine dei fatti, quando questi erano recentissimi e in un periodo in cui la minore portava ancora su di se' i segni tangibili ("i tagli") del dolore. La Dott.ssa (OMISSIS), a differenza delle Dott.sse (OMISSIS) e (OMISSIS), ha peraltro seguito la minore lungo un cammino durato vari mesi, accompagnandola attraverso una terapia che la costringeva a ripercorrere tutte le emozioni provate e ad affrontare la rabbia repressa dentro di se'. Tali considerazioni portano a ritenere la dottoressa (OMISSIS) una osservatrice "privilegiata" della condizione psichica di (OMISSIS). E la psicoterapeuta ha espressamente rilevato la sussistenza di un disturbo post traumatico da stress, alla luce di tutti i segni e i sintomi riscontrati nella minore. Va peraltro osservato che correttamente il reato risulta contestato nel corso del 2015, anno in cui si manifestava la malattia (cfr. deposizione della teste (OMISSIS)), dal momento che il reato di lesioni si consuma nel momento in cui si verifica l'evento che caratterizza la tipologia di lesione provocata". 5.101. Nel confermare, sul punto, la decisione del Tribunale, la Corte di appello, oltre quanto gia' illustrato nel "Ritenuto in fatto" della presente sentenza, ha ribadito (ed aggiunto) che "non uno ma piu' professionisti che (avevano) seguito la ragazza non solo (avevano) riferito delle lesioni, ma le (avevano) ritenute indicatori di una situazione di maltrattamento e di abuso, situazioni che la minore (aveva) subito dagli odierni imputati". I Giudici distrettuali hanno altresi' valorizzato le dichiarazioni della madre della ragazza che aveva riferito del mutamento (in senso peggiorativo) del carattere e dello stato d'animo della figlia a seguito delle condotte subite, oltre che sulle lesioni che la stessa si autoinfliggeva. 5.102. Il ricorrente lamenta il mancato espletamento di una perizia medico-legale che accertasse, con rigore scientifico, l'esistenza della malattia indicata dalla rubrica, essendo insufficienti, a suo dire, le dichiarazioni rese dalle Dott.sse (OMISSIS) e (OMISSIS), e denunzia la sostanziale apparenza della motivazione della sentenza impugnata che aveva "liquidato" le censure difensive facendo proprie le argomentazioni del primo Giudice e valorizzando oltremodo la testimonianza (non qualificata) della madre della persona offesa. 5.103. La perizia, osserva il Collegio, e' mezzo di prova "neutro" che, potendo essere disposto d'ufficio o su richiesta di parte (articolo 508 c.p.p.), e' sottratto alla disponibilita' di queste ultime e rimesso alla discrezionalita' del giudice (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, Rv. 270936 - 01), il quale ben puo' ritenerla superflua quando pensi di poter giungere alle medesime conclusioni di certezza sulla base di altre e diverse prove (Sez. 5, n. 9047 del 15/06/1999, Larini, Rv. 214295 - 01). La relativa decisione puo' viziare il percorso argomentativo della sentenza nella parte in cui deve dar conto dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati con riferimento a tutti gli aspetti della regiudicanda: a) accertamento del fatto; b) accertamento dei fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali; c) punibilita' e determinazione della pena e/o della misura di sicurezza; d) responsabilita' civile derivante da reato (articolo 546 c.p.p., comma 1). Ed e' solo in tale contesto che la decisione del giudice puo' essere sindacata in sede di legittimita' nei termini (e nei limiti) fissati dall'articolo 606 c.p.p., lettera e). 5.104. Ora, in virtu' del principio del libero convincimento del giudice, la perizia non costituisce l'unico ne' obbligato strumento per convogliare nel processo il sapere scientifico, ne' il mezzo di prova tipico-legale previsto a tal fine (nel senso che il reato di lesioni personali puo' essere dimostrato, per il principio del libero convincimento del giudice e per l'assenza di una gerarchia tra i mezzi di prova, sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa, di cui sia stata positivamente valutata l'attendibilita', anche in mancanza di un referto medico che attesti la "malattia" derivata dalla condotta lesiva, si vedano Sez. 3, n. 43614 del 19/10/2021, Rv. 282088 - 01; Sez. 3, n. 42027 del 18/09/2014, Rv. 260986 - 01). Nel caso di specie, che la persona offesa serbasse condotte autolesionistiche cronologicamente successive alla consumazione degli abusi sessuali consumati ai suoi danni e' questione non controversa. Il ricorrente lamenta che tali condotte non possano essere ritenute manifestazione di una "malattia" penalmente rilevante in assenza di una perizia. 5.105. Sennonche', in ossequio a quanto appena detto, nulla impedisce al giudice di ricorrere all'esame del teste "qualificato" quando reputi cio' necessario e sufficiente a ritenere la prova del fatto (dovendosi intendere per testimone "qualificato" non solo e non necessariamente il testimone accreditato per le proprie competenze scientifiche, ma anche quello che, per esempio, ha avuto in cura o si e' occupato per ragioni professionali dello stato di salute mentale della persona offesa; Sez. 1, n. 6969 del 12/09/2017, dep. 2018, Rv. 272605 01; Sez. 3, n. 11096 del 10/12/2013, dep. 2014, Rv. 258891 - 01). Sotto altro profilo, questa Corte ha reiteratamente affermato il principio secondo il quale il divieto di apprezzamenti personali non opera qualora il testimone sia persona particolarmente qualificata che riferisca su fatti caduti sotto la sua diretta percezione sensoriale ed inerenti alla sua abituale e specifica attivita' giacche', in tal caso, l'apprezzamento diventa inscindibile dal fatto (Sez. 2, n. 4128 del 09/10/2019, dep. 2020, Cunsolo, Rv. 278086 - 01; Sez. 3, n. 29891 del 13/05/2015, Diuof, Rv. 264444 - 01; Sez. 2, n. 44326 dell'11/10/2010, Tavernari, Rv. 249180 - 01; Sez. 5, n. 38221 del 12/06/2018, Kofilova, Rv. 241312 - 01; Sez. 5, n. 42634 del 29/09/2004, Comberlato, Rv. 230330 - 01). 5.106. Deve dunque essere disattesa l'ulteriore deduzione difensiva per la quale la Dott.ssa (OMISSIS) non avrebbe potuto esprimere valutazioni o pareri sull'interpretazione dei dati di fatto introdotti con la sua testimonianza. Va piuttosto dato atto di quanto gia' il primo Giudice aveva affermato allorquando, descrivendo il contenuto della testimonianza della Dott.ssa (OMISSIS) (testimonianza della quale non e' mai stato dedotto il travisamento, nemmeno in appello), aveva riferito che quest'ultima aveva formulato la diagnosi di disturbo post-traumatico dopo alcune sedute con la ragazza e che aveva deciso di iniziare la tecnica E.D.M.R. proprio perche' specifica per questo tipo di disturbo, cosi' da consentire, come gia' detto, la rievocazione del ricordo senza alcun coinvolgimento emotivo (ricordare, cioe', senza soffrire). 5.107.Cio' che dunque occorre davvero chiedersi, in questa sede, e' se sia manifestamente illogica oppure no la motivazione della sentenza impugnata che, facendo leva sulla testimonianza della Dott.ssa (OMISSIS) (come di tutte le altre testimonianze, anche non qualificate, sopra indicate), e' giunta alla conclusione dell'esistenza della malattia "nella mente" che costituisce l'evento del reato ipotizzato. La risposta non puo' che essere negativa, non sussistendo alcuna evidente frattura logica tra le premesse di fatto del ragionamento indicate in sede di merito e le conclusioni che ne sono state tratte da entrambi i Giudici. Non rilevano, in questa sede, la maggiore o minore persuasivita' di strade alternative, di ulteriori possibili approfondimenti sull'argomento. Qui, come gia' detto, non rileva come il giudice avrebbe potuto decidere ma come ha deciso (in base al solo testo della motivazione, quando non "inquinata" da - in questo caso inesistenti - travisamenti della prova), sicche' l'unica domanda da porsi e' se tale decisione sia manifestamente illogica, intrinsecamente contraddittoria o carente su aspetti decisivi, non se il percorso probatorio suggerito da chi si duole della decisione stessa potesse condurre a conclusioni maggiormente persuasive o piu' tranquillizzanti. L'unico metro di giudizio cui deve ispirarsi la decisione del giudice (ed il ragionamento che la sorregge) e' costituito dal "ragionevole dubbio", sicche' alla domanda se sia ragionevole il dubbio che la persona offesa versasse in uno stato mentale tale da provocare persino gesti autolesionistici non puo' che fornirsi risposta negativa. E tanto basta a ritenere non necessaria, per vincere tale (inesistente) dubbio, la prova scientifica compulsata dal ricorrente in appello e in questa sede per escludere l'evento del reato contestato al capo M della rubrica. 5.108. Sul rapporto di causalita', il ricorso e' del tutto generico (lo era anche l'appello). Gia' il Tribunale era stato chiaro sul punto: le condotte di (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno certamente concorso a cagionare l'evento. Il dubbio nutrito dal primo Giudice non riguardava il nesso di causalita', ma la convergenza di altre possibili cause (il "giudizio" del (OMISSIS), la situazione familiare della vittima) nessuna delle quali, pero', considerate da sole in grado di cagionare l'evento, tenuto altresi' conto di quanto pure affermato dalla Dott.ssa (OMISSIS). Sull'esistenza di cause successive alle condotte degli imputati da sole sufficienti a determinare l'evento, non una sola parola e' stata spesa nel motivo di appello, sicche' non di vede cosa la Corte territoriale avrebbe potuto aggiungere se non prendere atto dell'insistenza di tali cause. 5.109. Il sedicesimo motivo e' manifestamente infondato. 5.110. La Corte di appello ha negato l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche rimarcando la mancanza di positivi elementi di valutazione in tal senso. Il ricorrente se ne duole ma effettivamente gli indicatori della possibile attenuazione della pena erano oltremodo generici ed evidentemente gia' tenuti in conto dal primo Giudice che aveva applicato il minimo edittale (sei anni di reclusione) all'epoca previsto per il reato considerato piu' grave (violenza sessuale di gruppo aggravata di cui agli articoli 609-octies e 609-ter c.p.), aumentandola di un anno per la ritenuta circostanza aggravante di cui all'allora articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1). 5.111. Come correttamente ricordato dalla Corte di appello, l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce oggetto di un diritto con il cui mancato riconoscimento il giudice di merito si deve misurare poiche', non diversamente da quelle "tipizzate", la loro attitudine ad attenuare la pena si deve fondare su fatti concreti. Il loro diniego puo' essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell'articolo 62 bis, disposta con il Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non e' piu' sufficiente lo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610; Sez. 1, n. 3529 del 22/09/2013, Stelitano, Rv. 195339). 5.112. Peraltro, gia' da prima della suddetta modifica normativa, questa Corte, in tema di attenuanti generiche, aveva affermato il principio di diritto secondo il quale, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa e' quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso piu' favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si e' reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non puo' mai essere data per scontata o per presunta, si' da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, e' la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che cio' comporti tuttavia la stretta necessita' della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381; nello stesso senso, piu' recentemente Sez. 3, n. 26272 del 07/05/2019, Boateng S., Rv. 276044 - 01, che ha ribadito il principio secondo cui il giudice di merito non e' tenuto a riconoscere le circostanze attenuanti generiche, ne' e' obbligato a motivarne il diniego, qualora in sede di conclusioni non sia stata formulata specifica istanza). Ne consegue che l'obbligo di motivazione non sussiste non tanto se la richiesta manca, quanto in caso di richiesta generica che non alleghi gli specifici indicatori di una possibile attenuazione della pena (sulla necessita' della specificita' della richiesta, oltre le pronunce gia' citate, anche Sez. 3, n. 23055 del 23/04/2013, Banic, Rv. 256172; Sez. 1, n. 5917 del 12/03/1990, Bagli, Rv. 184129; Sez. 2, n. 2344 del 13/07/1987, Trocarico, Rv. 177678). La presunzione di non meritevolezza, in ultima analisi, non impone al giudice di spiegare le ragioni della mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche in mancanza di richiesta dell'imputato o in caso di richiesta generica (Sez. 3, n. 54179 del 17/07/2018, Rv. 275440; Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, Rv. 266460). 5.113. Nel caso di specie, la oggettiva ed evidente gravita' dei fatti imponeva che indicatori di applicazione della pena in misura inferiore al minimo edittale fossero ben piu' specifici della generica allegazione dell'eta', dell'incensuratezza, della mancanza di carichi pendenti e delle condizioni di vita dell'imputato. 5.114. Anche l'ultimo motivo e' totalmente infondato. 5.115. Il ricorrente, insieme con gli altri imputati, e' stato condannato al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili da liquidarsi in separata sede. 5.116. Ora, con riferimento alla condanna al risarcimento del danno in favore dei genitori e del fratello della vittima, il motivo e' assolutamente generico per aspecificita'. Lo era gia' l'appello, sicche' bene ha fatto la Corte territoriale a confermare, facendole proprie, le articolate considerazioni del primo Giudice che alle pagine 273-274 della propria sentenza aveva indicato in maniera specifica i fatti produttivi delle conseguenze pregiudizievoli, in termini di costi morali e materiali, subite da tutti i famigliari della vittima (oltre quest'ultima), la cui liquidazione aveva rimesso al giudice civile. Tali fatti (integranti il cd. "danno evento") e della loro attitudine a produrre un danno risarcibile (cd. "danno conseguenza") non sono mai stati oggetto di contestazione. 5.117. Quanto al danno all'immagine riconosciuto agli enti territoriali, e' appena il caso di osservare che la legittimazione alla costituzione di parte civile dell'ente territoriale che invoca un danno alla propria immagine e' ammissibile anche in riferimento ad un reato commesso da privati in danno di privati, purche' tale tipologia di danno sia in concreto configurabile (Sez. 5, n. 1819 del 27/10/2016, dep. 2017, Montefameglio, Rv. 269124 - 01; Sez. 2, n. 13244 del 07/03/2014, Lazzaro, Rv. 259560 - 01; nel senso che anche nei confronti delle persone giuridiche ed in genere degli enti collettivi, e' configurabile il risarcimento del danno non patrimoniale qualora il fatto lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell'ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana costituzionalmente protetti, qual e' il diritto all'immagine, determinando una diminuzione della considerazione dell'ente o della persona giuridica da parte dei consociati in genere, ovvero di settori o categorie di essi, con le quali il soggetto leso di norma interagisca, cfr. Cass. civ., Sez. L, n. 22396 del 01/10/2013, Rv. 627860 - 01). La risonanza mediatica che la vicenda ha avuto a livello nazionale costituisce danno indicato dai Giudici di merito e non contestato nella corrispondenza a vero; la deduzione difensiva secondo la quale la responsabilita' del danno all'immagine sarebbe da imputare, piuttosto, ai mass media per il modo distorto con cui sarebbero state divulgate le notizie costituisce questione di fatto che non risulta dedotta in appello ed e' in ogni caso del tutto infondata poiche' non esclude la sussistenza del fatto generatore del danno (da non identificarsi nella divulgazione della sua notizia e, dunque, nel diritto di cronaca). 5.118. Con riferimento alla condanna al risarcimento del danno in favore del Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza della Regione Calabria, va in primo luogo esclusa la dedotta "duplicazione" della voce di danno in tal modo asseritamente riconosciuta alla Regione Calabria. A quest'ultima, come detto, il danno riconosciuto e' solo quello all'immagine; al Garante il danno risarcito e' quello relativo alla lesione degli interessi da detto Ufficio tutelato. 5.119. Il Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza e' un'autorita' indipendente di garanzia istituita in Calabria con la Legge Regionale 12 novembre 2004, n. 28, che ne regolamenta il funzionamento conferendo a tale figura specifici poteri e disciplinando le modalita' di nomina, decadenza e cessazione. Viene infatti nominato dal Consiglio regionale per un mandato legato alla durata della legislatura, rinnovabile per una sola volta, e svolge la sua attivita' a tutela dei minori d'eta' in piena autonomia, con indipendenza di giudizio e valutazione, senza vincoli di controllo gerarchico e funzionale. Di qui la sua legittimazione ad essere autonomo portatore di istanze risarcitorie in caso di reati commessi ai danni di infanti e adolescenti. 5.120. Inammissibile, infine, la doglianza relativa alla determinazione del "quantum" delle somme liquidate a titolo di provvisionale, trattandosi di provvedimento non impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990, dep. 1991, Capelli, Rv. 186722 - 01; nello stesso, in motivazione, la piu' recente Sez. U, n. 53153 del 27/10/2016, Rv. 268180 - 01, che ritiene applicabile, anche all'istituto della provvisionale, la sospensione dell'esecuzione della condanna civile prevista dall'articolo 612 c.p.p.). Il ricorso dell'Avv. (OMISSIS) 5.121. Il primo motivo pone le medesime questioni oggetto del quarto motivo del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 5.122. Il secondo motivo e' del tutto infondato. 5.123. Va, in termini generali, ricordato che il testimone puo' essere autorizzato a consultare in aiuto alla memoria documenti anche da lui non formalmente redatti, purche' abbia partecipato alle operazioni, agli scambi o ai rapporti cui gli stessi si riferiscono, contribuendo cosi' alla configurazione di quanto in essi riprodotto e manifestando allo stesso modo la volonta' di farlo proprio (Sez. 1, n. 1364 del 08/11/2011, dep. 2012, Soccio, Rv. 251667 - 01; Sez. 2, n. 3317 del 26/11/2010, dep. 2011, Guzzo, Rv. 249039 - 01). 5.124. Nel caso di specie, gli appunti consultati dalla persona offesa nel corso del suo esame erano stati redatti direttamente dalla stessa oppure mediante dettatura al padre, non residuando dubbio alcuno sulla paternita' di tali appunti. 5.125. Peraltro, il ricorrente non precisa nemmeno bene l'oggetto della deduzione: da un lato pare sostenere la mancanza di autorizzazione alla consultazione degli appunti (ma va in contrasto con quanto sostiene la Corte di appello), dall'altra l'impossibilita' tecnica di fornire l'autorizzazione. Inoltre, non precisa: a) se si e' opposto sin da subito all'utilizzo/acquisizione di tali appunti; b) quali parti del racconto sarebbero inficiate dalla dedotta nullita'. La sentenza di primo grado (pag. 25) spiega bene che gli appunti furono utilizzati dalla PG per compiere i primi accertamenti, sicche' resta comunque il risultato investigativo autonomamente acquisito dalla PG su delega del PM. 5.126. Va in ogni caso escluso che la consultazione degli appunti in assenza dell'autorizzazione del giudice determini l'inutilizzabilita' dell'intera testimonianza: la violazione delle regole per l'esame dibattimentale del testimone non da' luogo ne' alla sanzione di inutilizzabilita', poiche' non si tratta di prova assunta in violazione di divieti posti dalla legge, bensi' di prova assunta con modalita' diverse da quelle prescritte; ne' ad una ipotesi di nullita', atteso il principio di tassativita' vigente in materia e posto che l'inosservanza delle norme indicate non e' riconducibile ad alcuna delle previsioni delineate dall'articolo 178 c.p.p. (Sez. 1, n. 32851 del 06/05/2008, Sapone, Rv. 241227 - 01; Sez. 1, n. 39996 del 14/07/2005, Grancini, Rv. 232941 - 01). 5.127. A non diversi rilievi si espone il terzo motivo che deduce questioni (violazione del divieto di porre domande nocive; illegittimo ricorso alla valutazione frazionata; utilizzo della tecnica EMDR) gia' oggetto di scrutinio in sede di esame del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). Qui sia sufficiente evidenziare come in realta' il tema introdotto con lo specifico motivo si risolva, di fatto, in una lettura alternativa (e diversa interpretazione) delle dichiarazioni della persona offesa non consentita in questa sede di legittimita'. 5.128. Anche la questione dedotta con il quarto motivo e' gia' stata esaminata in sede di scrutinio del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 5.129. Il quinto motivo introduce un argomento inedito: l'utilizzabilita' o meno dei tabulati acquisiti in violazione di legge. 5.130. Con sentenza del 02/03/2021, la Grande Chambre della C.G.U.E., pronunciando nel caso H.K (causa C-746/18 avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta ai sensi dell'articolo 267 TFUE, dalla Corte suprema estone), ha affermato che "1. L'articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonche' dell'articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale consenta l'accesso di autorita' pubbliche ad un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all'ubicazione, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull'ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate e a permettere di trarre precise conclusioni sulla sua vita privata, per finalita' di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalita' o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica, e cio' indipendentemente dalla durata del periodo per il quale l'accesso ai dati suddetti viene richiesto, nonche' dalla quantita' o dalla natura dei dati disponibili per tale periodo. 2) L'articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, come modificata dalla direttiva 2009/136, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonche' dell'articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale renda il pubblico ministero, il cui compito e' di dirigere il procedimento istruttorio penale e di esercitare, eventualmente, l'azione penale in un successivo procedimento, competente ad autorizzare l'accesso di un'autorita' pubblica ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all'ubicazione ai fini di un'istruttoria penale". 5.131. Con Decreto Legge n. 132 del 2021, convertito con modificazioni dalla L. n. 178 del 2021, il legislatore e' intervenuto stabilendo che: "Li) dati relativi al traffico telefonico, al traffico telematico e alle chiamate senza risposta, acquisiti nei procedimenti penali in data precedente alla data di entrata in vigore del presente decreto, possono essere utilizzati a carico dell'imputato solo unitamente ad altri elementi di prova ed esclusivamente per l'accertamento dei reati per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell'articolo 4 c.p.p., e dei reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone con il mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia o il disturbo sono gravi" (articolo 1, comma 1-bis). 5.132.Questa Corte, con sentenza Sez. 3, n. 11993 pronunciata All'Udienza pubblica del 16/02/2022, n. m., ha escluso l'inutilizzabilita' tout court dei tabulati telefonici acquisiti dal pubblico ministero prima dell'entrata in vigore del decreto legge in questione richiamando in articolare il p. 43 della citata sentenza della CGUE a mente del quale "(p)er quanto riguarda piu' in particolare il principio di effettivita', occorre ricordare che le norme nazionali relative all'ammissibilita' e all'utilizzazione delle informazioni e degli elementi di prova hanno come obiettivo, in virtu' delle scelte operate dal diritto nazionale, di evitare che informazioni ed elementi di prova ottenuti in modo illegittimo arrechino indebitamente pregiudizio a una persona sospettata di avere commesso dei reati. Orbene, tale obiettivo puo', a seconda del diritto nazionale, essere raggiunto non solo mediante un divieto di utilizzare informazioni ed elementi di prova siffatti, ma anche mediante norme e prassi nazionali che disciplinino la valutazione e la ponderazione delle informazioni e degli elementi di prova, o addirittura tenendo conto del loro carattere illegittimo in sede di determinazione della pena". 5.133. Tale principio e' stato ribadito da Sez. 3, n. 11991 del 31/01/2022, Novellino, Rv. 283029 - 01, secondo cui la disciplina transitoria introdotta dal Decreto Legge 30 settembre 2021, n. 132, articolo 1, comma 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 novembre 2021, n. 178, che ha consentito, a determinate condizioni, l'utilizzazione dei dati relativi al traffico telefonico, al traffico telematico e alle chiamate senza risposta pur acquisiti nei procedimenti penali in data antecedente all'entrata in vigore del Decreto Legge citato, e' compatibile con l'articolo 15, par. 1, della Direttiva 2002/58/CE, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni, modificata dalla Direttiva 2009/136/CE, in quanto, in un'ottica di ragionevole ed equilibrato contemperamento di interessi diversi, persegue la finalita' di non disperdere dati gia' acquisiti, subordinandone la utilizzazione alla significativa illiceita' penale di predeterminate ipotesi per cui e' consentita l'acquisizione a regime e alla sussistenza di "altri elementi di prova", quale requisito di compensazione della mancanza di un provvedimento giudiziale di autorizzazione all'acquisizione stessa, necessario nella disciplina a regime (in senso conforme, Sez. 6, n. 24770 del 10/02/2022, n. m.; Sez. 6, n. 9204 del 01/03/2022, n. m.). 5.134. Non vi e' dunque alcuna necessita' di sollevare la dedotta questione di legittimita' costituzionale. Del resto, incontestata la oggettiva gravita' dei reati per i quali di procede, e' evidente che la prova della loro sussistenza non si fonda esclusivamente sui tabulati, i quali semmai, costituiscono solo uno dei tanti elementi di "riscontro" delle dichiarazioni della persona offesa. 5.135. Il sesto motivo muove da un dato del tutto errato: il telefono che il (OMISSIS) aveva a disposizione all'epoca della consumazione del reato di cui al capo A era un iPhone A6 (entrato in produzione nel 2012), non un iPhone 6 (entrato in produzione nel 2014). Nel resto, propone argomenti gia' esaminati in sede di scrutinio del primo e del nono motivo del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 5.136. Anche il settimo, l'ottavo, il nono ed il decimo motivo deducono questioni gia' ampiamente esaminate in sede di scrutinio del ricorso dell'Avv. (OMISSIS). 5.137. L'undicesimo motivo riguarda il capo M della rubrica, gia' esaminato in sede di scrutinio del quindicesimo motivo del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 5.138. Richiamate le considerazioni ivi svolte, quanto al dolo del reato, il Tribunale aveva ritenuto sufficiente il dolo eventuale, osservando che il ricorrente e lo (OMISSIS) avevano accettato il rischio "del grave danno psicologico derivato alla minore che ha portato la stessa ad infliggersi dei gesti di autolesionismo". In sede di appello, l'Avv. (OMISSIS) aveva dedotto che gli imputati piu' che rappresentarsi le singole condotte poste in essere con (e ai danni di) (OMISSIS) (e ritenute antecedenti con-causali dell'evento ascritto al capo M) non avrebbero potuto fare, trattandosi di ragazza che gia' da undici anni aveva avuto rapporti sessuali con uomini di ogni eta' e con la quale essi stessi avevano avuto rapporti consenzienti ritenuti del tutto leciti. Non vi erano dunque segnali percepibili (e certamente non da persone culturalmente e psicologicamente non attrezzate) della futura malattia. La Corte di appello ha confermato, sul punto, il giudizio del tribunale, espressamente condiviso e fatto proprio. 5.139. Orbene, osserva la Corte di cassazione che le deduzioni difensive sono generiche (lo erano gia' in appello) e fattuali poiche', prima ancora della questione di diritto, pongono a fondamento del proprio ragionamento un fatto radicalmente diverso da quello ricostruito dai Giudici di merito; la postulazione che la persona offesa non avesse mai mostrato timidezza o imbarazzo o disagio contrasta irrimediabilmente con quanto accertato in sede di merito e mina dalle fondamenta il ragionamento difensivo rendendolo, appunto, parziale e generico. 5.140. Ne segue l'insostenibilita' della possibile "riqualificazione" del reato ai sensi dell'articolo 586 c.p. motivata, in sede di atto di appello, proprio con l'assenza di condotte violente e/o prevaricatrici ai danni della vittima, immotivatamente escluse dal (gravissimo) quadro di abusi e sfruttamento ai danni della ragazza emerso dalla completa lettura delle sentenze di primo e di secondo grado. 5.141. Il terzo profilo (erronea applicazione della circostanza aggravante di cui all'articolo 576 cpv. c.p., n. 5) e' anch'esso infondato. La rubrica imputa al ricorrente ed allo (OMISSIS) di "aver commesso il fatto (di cui al capo M) in occasione dell'esecuzione di delitti contro la liberta' personale sopra citati di cui agli articoli 609-quater e octies (...) c.p.". Il ricorrente deduce la dissociazione temporale tra la "malattia" (evento del reato di lesioni personali) e le specifiche condotte delittuose (antecedente casuale) contemplate dalla fattispecie aggravante, dissociazione che esclude il rapporto di "occasionalita'" previsto quale elemento tipico (dovendosi intendere il requisito della "occasionalita'" quale concomitanza, coincidenza cronologica). 5.142. Sennonche', la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo abbandonato l'interpretazione proposta dal ricorrente, avendo escluso la necessita' della contestualita' tra condotte (cosi' Sez. 1, n. 29167 del 26/05/2017, Nwajiobi, Rv. 270281 - 01, che ha rigettato il ricorso dell'imputato avverso la sentenza che riteneva sussistente il concorso tra i due reati, in ragione della netta cesura temporale tra l'atto sessuale e l'omicidio successivamente commesso). 5.143. Va peraltro aggiunto che, in tema di lesioni personali volontarie, il "fatto" aggravato ai sensi dell'articolo 576 c.p., comma 1, n. 5), deve essere inteso nella sua interezza, comprensivo, cioe', non solo dell'evento (la malattia) che costituisce elemento costitutivo del reato e che puo' prodursi anche a distanza di tempo dalla condotta che lo cagiona, ma anche la condotta (causa dell'evento). L'interpretazione proposta dal ricorrente e' fuorviante perche' si traduce in una "mutilazione" della fattispecie incriminatrice e di quella aggravante non potendosi tollerare artificiose scomposizioni del fatto stesso tali da escludere l'occasionalita' (della condotta) quando l'evento si produca a distanza di tempo. 5.144. Sicche', ai fini della circostanza aggravante di cui all'articolo 576 c.p., comma 1, n. 5, e' sufficiente che il rapporto di "occasionalita'" tra il fatto lesivo dell'incolumita' individuale (articolo 582 c.p.) e quello lesivo della liberta' sessuale (articolo 609-bis, 609-quater, 609-octies, c.p.) riguardi anche solo la condotta in quanto comunque elemento costitutivo del fatto. 5.145. L'infondatezza del dodicesimo motivo e' gia' stata illustrata in sede di esame del sedicesimo motivo del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). Basti qui aggiungere che il ricorso propone una non consentita rivisitazione, in sede di legittimita', del criterio adottato dai giudici di merito per escludere l'ulteriore attenuazione della pena gia' fissata, come detto, in misura corrispondente al minimo edittale. 5.146. Il tredicesimo motivo sollecita una inammissibile rivalutazione dei fatti che i Giudici di merito hanno ritenuto produttivi del danno risarcibile, tant'e' che il relativo motivo replica, quasi alla lettera, il corrispondente motivo di appello, con conseguente genericita' delle odierne deduzioni difensive. Deve essere esclusa, come gia' detto, la possibilita' di impugnare in questa sede, il capo relativo alla condanna alla "provvisionale". Valgano, nel resto, le considerazioni gia' svolte in sede di analogo motivo del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 5.147. I motivi nuovi di ricorso (in parte gia' esaminati) saranno scrutinati in sede di esame del ricorso dello (OMISSIS). 6. Il ricorso di (OMISSIS) 6.1. I primi sette motivi deducono gli stessi vizi oggetto del ricorso dello (OMISSIS) a firma dell'Avv. (OMISSIS). E' sufficiente pertanto rimandare a quanto gia' osservato in sede di esame del predetto ricorso. 6.2. L'ottavo e il nono motivo (il settimo e l'ottavo nel ricorso) riguardano il capo L della rubrica che imputa al ricorrente di avere compiuto sulla persona offesa atti sessuali di gruppo insieme con l'allora minorenne (OMISSIS) (nei cui confronti si e' proceduto separatamente). In particolare, il (OMISSIS) - con il quale la (OMISSIS) aveva nel frattempo allacciato una relazione sentimentale dopo aver interrotto quella con lo (OMISSIS) - l'aveva portata presso l'abitazione dello (OMISSIS) che, con minaccia e con violenza (consistita nello spingere la minore contro il muro e sul letto e nel dirle "ora tu ti metti qua e facciamo quello che dobbiamo fare"), l'aveva costretta a subire un rapporto sessuale da parte di entrambi. Il fatto e' contestato come commesso in (OMISSIS), con l'aggravante, per il ricorrente, di essersi avvalso di una persona minore per la commissione di un reato per il quale e' previsto l'arresto in flagranza, nonche' di aver arrecato alla predetta minore un pregiudizio psicologico grave. 6.3. Il Tribunale descrive il contesto nel quale e' avvenuto il fatto e ricorda che "in quel periodo (OMISSIS) aveva instaurato una relazione sentimentale con un'altra ragazza ed era divenuto maggiormente scostante e che anche lei, nel frattempo, aveva deciso di smettere di avere tutti quei rapporti; non aveva infatti piu' sentito nessuno dei soggetti coinvolti nelle varie vicende. Era poi capitato che (OMISSIS) le inviasse dei messaggi chiedendole come stava e dove si trovava, messaggi ai quali la minore non aveva mai risposto. (OMISSIS), risentito per l'atteggiamento di chiusura della minore, le rispondeva "Ammazzati". L'esistenza di tale messaggio e' stata peraltro confermata anche dalla (OMISSIS), poiche' quest'ultima ricordava che in una circostanza la figlia glielo aveva fatto leggere". E' in questo periodo - ricorda il Tribunale - che la (OMISSIS) aveva conosciuto il (OMISSIS), "figlio di un barbiere del paese e piu' giovane rispetto agli altri; egli le aveva inizialmente chiesto l'amicizia su Facebook e poi manifestato il suo interesse. I due iniziavano cosi a scambiarsi dei messaggi dall'inizio del 2015 (...) Dal racconto di (OMISSIS) - affermano i primi Giudici - e' emerso come la stessa sperasse in un rapporto normale e serio con il ragazzino dopo aver chiuso con le vicende pregresse; tuttavia, la persona offesa - alla luce di quanto gia' accaduto con altri ragazzi coinvolti - manifestava a (OMISSIS) il timore di essere presa in giro". Dunque, ribadisce il Tribunale sulla scorta delle dichiarazioni rese dalla persona offesa trascritte "in parte qua" nella sentenza, quest'ultima nutriva speranze pur temendo di essere presa in giro, timore che diventava realta' proprio quel (OMISSIS) allorquando fu consumata la violenza contestata al capo L. Quel giorno, scrive il Tribunale, la (OMISSIS) era uscita da scuola verso le 9,30 del mattino perche' c'era assemblea di istituto e si era recata a casa della sua compagna di classe (OMISSIS) ove il (OMISSIS) sarebbe andata a prenderla con la "macchinina". Una volta salita in macchina, il ragazzo che, alle ore 9,16 di quello stesso giorno si era sentito con lo (OMISSIS) (pag. 252 della sentenza di primo grado), l'aveva portata a casa di quest'ultimo senza che la (OMISSIS) sapesse alcunche' dell'intenzione del suo accompagnatore. In quella circostanza era stata costretta ad avere rapporti sessuali con i due. 6.4. Il Tribunale ha affermato la penale responsabilita' dell'imputato ritenendo: 6.4.1. attendibile la versione fornita dalla minore in quanto coerente e dettagliata (l'unica imprecisione aveva riguardato un aspetto ritenuto del tutto secondario e, per di piu', non oggetto di contestazione, ossia la vaghezza del ricordo in ordine alla presenza o meno, fuori dalla casa di (OMISSIS), dell'auto dello (OMISSIS)) nonche' dotata di molteplici riscontri quali: a) la testimonianza dell'amica dalla quale la minore si era recata dopo l'accaduto, che aveva confermato il dichiarato della persona offesa, sia con riferimento a quanto riportatole in merito all'episodio in esame, sia con riferimento alle confidenze fatte dalla minore in quella stessa occasione in merito alle precedenti vicende di violenza sessuale subite; b) le note del cellulare della minore, ricopiate dalla stessa su un foglio, nelle quali risultava indicato l'incontro del (OMISSIS) con (OMISSIS) e (OMISSIS); l'analisi dei tabulati telefonici (dai quali, con riferimento a quel giorno, era risultato: un contatto telefonico tra i due imputati e nessun contatto telefonico tra questi e la minore; che l'utenza della minore aveva, nelle prime ore del mattino, agganciato le celle di (OMISSIS) - confermando che la stessa era rimasta a scuola fino alle 9.30, orario di uscita - e, successivamente, quelle di (OMISSIS), in orario compatibile con quanto da lei indicato; che dalle ore 11.12 alle ore 12.25 del (OMISSIS) le utenze della minore e dei due coimputati erano agganciate alla stessa cella telefonica); 6.4.2. sussistente la condotta di costrizione realizzata da (OMISSIS) non solo perche' la minore, in occasione della domanda che le era stata posta dal GIP al fine di individuare un discrimine tra i rapporti da lei voluti e quelli non voluti, aveva indicato proprio l'episodio in esame come quello in cui era stata costretta a subire il rapporto, ma anche perche', nel caso di specie, era dimostrata ogni oltre ragionevole dubbio la manifestazione del dissenso da parte della minore che, a differenza degli episodi contestati ai capi I), J) e K), aveva mostrato di aver mutato il proprio atteggiamento nei confronti di (OMISSIS) non avendo piu' avuto, con lui, alcun tipo di contatto, neanche telefonico (non rispondendo da tempo ai suoi messaggi). A riprova di tale chiusura e del netto distacco della minore, e conseguentemente della necessita', per (OMISSIS), di coartare la sua volonta' per spingerla ad avere un rapporto sessuale, il Tribunale aggiunge sia la circostanza che (OMISSIS) aveva avuto la necessita' di avvalersi di un altro soggetto, (OMISSIS), per farla tornare da lui, sia che, in tal caso, (OMISSIS) non si era limitato alle sole minacce, verbali o comunque espresse dallo sguardo intimidatorio, avendo dovuto, invece, far ricorso anche all'aggressione fisica (spingendo la minore sul letto quando la stessa voleva allontanarsi dalla camera da letto); 6.4.3. sussistente il dolo del reato contestato, avendo avuto, (OMISSIS), piena consapevolezza della partecipazione di (OMISSIS) e del dissenso della minore; 6.4.4. pienamente integrata la condotta tipica della violenza sessuale di gruppo in quanto, alla luce dell'orientamento giurisprudenziale secondo cui non e' necessario che ciascun compartecipe compia personalmente atti sessuali con la vittima, pur a non voler ritenere dimostrata la consumazione del rapporto sessuale tra la minore e (OMISSIS) (stante la vaghezza manifestata, sul punto, dalla minore la quale, in un primo momento, ha negato il rapporto con quest'ultimo per poi, invece, confermarlo), deve comunque ritenersi sussistente un suo contributo effettivo alla consumazione del reato in ragione del gia' descritto comportamento minaccioso tenuto dallo stesso nonche' della particolare insidiosita' della sua condotta essendosi, come detto, servito di un soggetto minore ( (OMISSIS)) per raggiungere i suoi scopi; 6.4.5. per quanto detto, integrate le aggravanti di cui all'articolo 112 c.p. (per essersi avvalso di un minore di anni diciotto e/o per avere, con lo stesso, partecipato alla commissione di un delitto per il quale e' previsto l'arresto in flagranza) e articolo 609-ter c.p., n. 5-sexies, (per aver causato alla minore un pregiudizio grave). 6.5. La Corte di appello ha condiviso il giudizio del Tribunale in base agli ulteriori argomenti gia' illustrati nel "Ritenuto in fatto" della presente sentenza. 6.6. Il ricorrente deduce l'illogicita' della decisione proponendo, in ultima analisi, un progetto di decisione alternativa fondato sulla maggiore persuasivita' degli argomenti difensivi, non senza incursioni nel materiale probatorio (le dichiarazioni della stessa persona offesa e della sua amica, il contenuto dei messaggi scambiati con il (OMISSIS)) del quale piu' che il travisamento viene in sostanza lamentata un'errata valutazione e che comunque, in violazione del principio di autosufficienze, non e' allegato al ricorso. Per esempio, si da' per scontato un fatto che i Giudici di merito hanno concordemente escluso: che tra la persona offesa e uno degli autori della violenza (il (OMISSIS), appunto) fossero intercorsi messaggi dal contenuto distensivo, incompatibili, sul piano logico, con una violenza (definita dalla PO, la piu' brutta) appena subita. Nemmeno in appello il ricorrente aveva escluso del tutto, pur negandola sul piano logico (e non su quello del travisamento del dato probatorio), la possibile anteriorita' di tali messaggi alla violenza (pag. 44, appello a firma Avv. (OMISSIS); pag. 63, appello a firma dell'Avv. (OMISSIS)); l'informazione probatoria (collocazione temporale di tali messaggi), pur messa in dubbio nell'atto di appello, viene in questa sede data per certa e denunziata come travisata dalla Corte di appello: tali messaggi - si afferma - sono sicuramente successivi e l'informazione probatoria che ne e' stata tratta e' stata travisata. Appare evidente l'inammissibilita' di un simile approccio. 6.7. Altro tema difensivo riguarda il malgoverno logico della prova costituita dai tabulati telefonici, dei quali tuttavia non viene dedotto il travisamento. Cio' esclude la possibilita' della Corte di cassazione di trarne una qualunque conclusione, essendone precluso l'esame (ancorche' prodotti in questa sede). Oltretutto, che dall'esame dei tabulati si dovesse evincere che la persona offesa si trovasse altrove al momento della riferita violenza e' circostanza che nemmeno gli appelli dell'imputato avevano osato affermare con precisione e nettezza. L'appello a firma dell'Avv. (OMISSIS) non lo afferma affatto; quello dell'Avv. (OMISSIS) ne fa un intercalare, ma l'argomento difensivo era un altro (e non riprodotto in questa sede): l'assenza dello (OMISSIS) (pag. 62 dell'appello). Sicche', la risposta fornita dalla Corte di appello non e' manifestamente illogica e comunque va coniugata con gli altri elementi di prova, pure indicati in sede di merito, alcuni dei quali nemmeno dedotti in questa sede. Ci si riferisce, in particolare: a) a quanto riferito dallo stesso ricorrente in sede di esame, allorquando aveva affermato che il (OMISSIS) un giorno gli aveva chiesto le chiavi di casa (pag. 173 della sentenza di primo grado); b) al certo e non contestato contatto telefonico che il (OMISSIS) e lo (OMISSIS) avevano avuto quella stessa mattina (se ne e' fatto cenno sopra); c) allo sfogo con l'amica (OMISSIS), che comunque vi era stato a conferma dello stato d'animo non certo sereno di una persona che, in tesi, avrebbe appena consumato un rapporto sessuale consenziente. 6.8. Se, dunque, la deduzione compendiata nell'ottavo motivo e' la seguente: la Corte di appello ha disatteso gli argomenti difensivi travisando le prove, tale deduzione va rigettata, se non proprio dichiarata inammissibile. 6.9. Va infine ricordato che la violenza posta in essere nei confronti della vittima e' stata fisica, non solo morale, con quanto ne consegue in termini di tenuta logica della dedotta impermeabilita' della (OMISSIS) alle minacce dello (OMISSIS) (che', anzi, proprio sul piano logico, quella asserita impermeabilita' puo' aver determinato il ricorso alla violenza fisica, cio' che prova la non manifesta illogicita' della decisione impugnata). 6.10. La questione dedotta con il nono motivo e' inammissibile perche' non risulta essere stata specificamente devoluta in appello. Non v'e' traccia, nell'esposizione del motivo, della motivazione della sentenza di secondo grado oggi impugnata. 6.11. Il decimo motivo e' infondato. 6.12. Il tema riguarda il rapporto tra la circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5-sexies, seconda parte, introdotta dal Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 39, articolo 1, comma 2, e il delitto di lesioni personali di cui all'articolo 582 c.p., aggravato ai sensi dell'articolo 576 c.p., comma 1, n. 5. 6.13. E' sufficiente osservare, al riguardo, che le lesioni personali di cui al capo M costituiscono l'evento (anche) delle violenze sessuali di gruppo descritte ai capi E) ed L) e che solo per quella rubricata al capo L) e' stata ritenuta e applicata la circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5-sexies. Il che esclude la dedotta violazione del "ne bis in idem" sostanziale sotto il profilo del mancato assorbimento dell'una fattispecie (le lesioni) nell'altra (le violenza sessuale di gruppo aggravata): le lesioni sono conseguenza unica di plurime condotte, non tutte aggravate ai sensi dell'articolo 609-ter, n. 5-sexies cit. 6.14. In termini piu' generali deve essere respinta la tesi difensiva del reato complesso o del rapporto di specialita' tra fattispecie. 6.15. Il reato e' complesso quando la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per se stessi, reato (articolo 84 c.p.). La dottrina suole distinguere il reato complesso in senso stretto da quello in senso lato: il reato complesso in senso stretto e' quello per la cui sussistenza, secondo il tenore letterale dell'articolo 84 c.p., sono necessari almeno due reati; il reato complesso in senso lato e' quello per la cui sussistenza e' sufficiente un solo reato con l'aggiunta di ulteriori elementi di per se' non costituenti reato. Un'ulteriore distinzione, non unanimemente condivisa dalla dottrina, riguarda la classificazione dei reati complessi in "necessariamente complessi" o "eventualmente complessi", a seconda che sia possibile o meno realizzare la fattispecie "complessa" commettendo necessariamente il reato che la integra oppure no. Il reato necessariamente complesso non puo' prescindere, a fini della sua integrazione, dalla consumazione della condotta che di per se' costituisce autonomo reato; il reato eventualmente complesso puo' invece prescinderne come nel caso, per esempio, dei reati a base violenta posti in essere senza commettere i delitti di percosse o lesioni (si pensi alla violenza sessuale consumata mediante il toccamento repentino e fugace delle zone erogene della vittima). 6.16. La giurisprudenza di questa Corte e' da tempo assestata su un approccio ispirato all'insegnamento, piu' volte autorevolmente ribadito, secondo il quale, nella materia del concorso apparente di norme non operano criteri valutativi diversi da quello di specialita' previsto dall'articolo 15 c.p., che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, al fine di apprezzare l'implicita valutazione di correlazione tra le norme, effettuata dal legislatore (Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668 - 01, che richiama, in motivazione, Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Di Lorenzo, Rv. 248722; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865; Sez. U., n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962; Sez. U, n. 47164 del 20/12/2005, Marino, Rv. 232302; Sez. U,. n. 23427 del 09/05/2001, Ndiaye, Rv. 218771; Sez. U, n. 22902 del 28/03/2001, Tiezzi, Rv. 218874). La Corte ha sempre respinto il tentativo di ampliare il concorso apparente di norme alle figure dell'assorbimento, della consunzione e dell'ante-fatto o post-fatto non punibile in quanto "classificazioni ritenute (...) prive di sicure basi ricostruttive, poiche' individuano elementi incerti quale dato di discrimine, come l'identita' del bene giuridico tutelato dalle norme in comparazione e la sua astratta graduazione in termini di maggiore o minore intensita', di non univoca individuazione, e per questo suscettibili di opposte valutazioni da parte degli interpreti" (cosi' in motivazione, Sez. U, Stalla). Tale criterio, spiega la Corte, non e' lesivo del divieto di "bis in idem" sostanziale sanzionato sia dall'articolo 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione EDU e dall'articolo 50 della CDFUE, che dall'articolo 649 c.p.p. (come "ridefinito" dalla sentenza della Corte Cost. n. 200 del 2016). 6.17. La questione dunque posta dal ricorrente deve essere valutata secondo i criteri risolutivi del concorso apparente di norme posti dagli articoli 15 e 84 c.p.. 6.18. Il criterio di specialita' (articolo 15 c.p.) richiede che, ai fini della individuazione della disposizione prevalente, il presupposto della convergenza di norme puo' ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le norme stesse, alla cui verifica deve procedersi mediante il confronto strutturale tra le fattispecie astratte configurate e la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle (Sez U, Giordano, cit.). 6.19. Come precisato da Sez. U, Di Lorenzo, cit., la specialita' tra fattispecie puo' essere declinata in vari modi: a) specialita' unilaterale, che si realizza con la specificazione dei requisiti dell'altra fattispecie (specialita' per specificazione) o con l'aggiunta di elementi ulteriori rispetto all'altra fattispecie (specialita' per aggiunta); b) specialita' bilaterale o reciproca, che si realizza quando l'aggiunta o la specificazione si verificano con riferimento sia all'ipotesi generale che a quella specifica. Nel caso della specialita' unilaterale se si elimina la specificazione o l'aggiunta si ricade nell'ipotesi generale; nel caso della specialita' bilaterale, invece, sorgono maggiori difficolta' perche' non esistono criteri, se non di ordine logico, idonei a spiegare in modo inequivoco che cosa si intenda per norma speciale. 6.20. Escluso il ricorso ai criteri di sussidiarieta' e consunzione, in quanto non tipizzati e tendenzialmente in contrasto con il principio di legalita', le Sezioni Unite Di Lorenzo ritengono applicabile il criterio regolatore della "stessa materia" espressamente indicato dall'articolo 15 c.p.: "E' (...) da ritenere che per "stessa materia" debba intendersi la stessa fattispecie astratta, lo stesso fatto tipico di reato nel quale si realizza l'ipotesi di reato", non avendo immediata rilevanza l'interesse tutelato dalle norme incriminatrici, "perche' si puo' avere identita' di interesse tutelato tra fattispecie del tutto diverse, come il furto e la truffa, offensive entrambe del patrimonio, e diversita' di interesse tutelato tra fattispecie in evidente rapporto di specialita', come l'ingiuria, offensiva dell'onore, e l'oltraggio a magistrato in udienza, offensivo del prestigio dell'amministrazione della giustizia". L'identita' di materia - afferma la sentenza - si ha sempre nel caso di specialita' unilaterale per specificazione perche' l'ipotesi speciale e' ricompresa in quella generale; ma cio' si verifica anche nel caso di specialita' reciproca per specificazione (si veda per es. il rapporto tra articoli 581 e 572 c.p.) ed e' compatibile anche con la specialita' unilaterale per aggiunta (per es. 605 e 630) e con la specialita' reciproca parte per specificazione e parte per aggiunta (articolo 641 c.p. e L. Fall., articolo 218). L'identita' di materia e' invece da escludere nella specialita' reciproca bilaterale per aggiunta nei casi in cui ciascuna delle fattispecie presenti, rispetto all'altra, un elemento aggiuntivo eterogeneo (per es. violenza sessuale e incesto: violenza e minaccia nel primo caso; rapporto di parentela o affinita' nel secondo). Perche' possa ritenersi applicabile l'articolo 15 c.p. - affermano le Sezioni unite - "e' necessario che i reati abbiano la stessa obiettivita' giuridica nel senso che deve trattarsi di reati che devono disciplinare tutti la medesima materia ed avere identita' di struttura. Tale e', per es., il rapporto tra le fattispecie criminose previste dagli articoli 610 e 611 c.p. o tra quelle previste dagli articoli 624 e 626 c.p. Si e' gia' visto invece che, nel caso di specialita' bilaterale o reciproca, il problema e' di meno agevole soluzione proprio perche' entrambe le fattispecie (ma potrebbero essere anche piu' di due) presentano, rispetto all'altra, elementi di specialita'. Giurisprudenza e dottrina si rifanno a indici diversi che possono cosi' indicativamente riassumersi: - i diversi corpi normativi in cui le norme sono ricomprese (per es. c.c. e L. Fall.); specialita' tra soggetti (per es. 616 e 619 c.p.); - la fattispecie dotata del maggior numero di elementi specializzanti. Nei casi di specialita' reciproca spesso e' la stessa legge a indicare quale sia la norma prevalente con una clausola di riserva che puo' essere: - determinata (al di fuori delle ipotesi previste dall'ad); - relativamente determinata (si individua una categoria: per es.: se il fatto non costituisce un piu' grave reato); - indeterminata (quando il rinvio e' del tipo se il fatto non e' previsto come reato da altra disposizione di legge)". 6.21. Alla luce delle considerazioni che precedono si deve escludere che tra il reato di cui all'articolo 609-bis c.p. (ancorche' aggravato ai sensi dell'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5-sexies, seconda parte) e quello di cui all'articolo 582 c.p. (ancorche' aggravato ai sensi dell'articolo 576 c.p., comma 1, n. 5) sussista un rapporto di specialita'. 6.22. Per quanto entrambi i reati possano essere commessi con violenza e generare le medesime conseguenze lesive, lo stesso legislatore esclude il reato complesso quando la violenza posta in essere ai fini della consumazione del reato di violenza sessuale superi la soglia delle percosse (articolo 581 cpv. c.p.). 6.23. Va inoltre escluso che il delitto di lesioni personali di cui all'articolo 582 c.p., costituisca, nella sua interezza, circostanza aggravante tipica di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5-sexies, seconda parte, e cio' per vari motivi. 6.24. In primo luogo, il concetto di "pregiudizio grave" di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5-sexies e' piu' ampio di (ed anche diverso da) quello di "malattia nel corpo o nella mente" di cui all'articolo 582 c.p. La "malattia" puo' costituire una "species" del pregiudizio e, tuttavia, la circostanza aggravante in questione contiene un elemento specializzante (l'eta' della persona offesa) del reato di lesioni personali volontarie che non costituisce elemento integrante, ne' circostanza aggravante del delitto di cui all'articolo 582 c.p.. 6.25. In secondo luogo, il pregiudizio tipizzato dall'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5-sexies, puo' essere conseguenza di una violenza sessuale non necessariamente commessa con violenza, non perlomeno con quella richiesta ai fini dell'integrazione del delitto di percosse. La violenza fisica tipizzata dall'articolo 582 c.p. puo' costituire solo una delle modalita' esecutive del reato di violenza sessuale ed in tal caso, come detto, la previsione contenuta nell'articolo 581 cpv. c.p., esclude sempre e comunque l'assorbimento del reato di lesioni personali in quello di violenza sessuale, assorbimento implicitamente escluso anche dalla circostanza aggravante di cui all'articolo 576 c.p., comma 1, n. 5). 6.26. Infine, la diversa l'oggettivita' giuridica dei due reati (la liberta' sessuale e l'incolumita' personale) costituisce ulteriore argomento a sostegno del concorso formale tra reati. 6.27.Gli altri motivi di ricorso propongono questioni gia' esaminate in sede di scrutinio del ricorso dello (OMISSIS) a firma dell'Avv. (OMISSIS). 6.28.Va solo precisato, quanto al diniego dell'applicazione delle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio, che la Corte di appello ha rigettato la richiesta in base ad argomenti (pag. 139 della sentenza impugnata) non sindacabili in questa sede perche' tutt'altro che stereotipati e che fanno leva anche sulla congruita' della pena irrogata in primo grado che, sia detto per inciso, e' stata determinata ponendo a base del calcolo una pena prossima al minimo edittale del reato ritenuto piu' grave (articolo 609-octies c.p., rubricato al capo L). I motivi aggiunti. 6.29. Il primo motivo aggiunto e' infondato. 6.30. Va, innanzitutto, ribadito l'insegnamento della Corte di cassazione secondo il quale, in tema di testimonianza del minore vittima di abusi sessuali, il giudice non e' vincolato, nell'assunzione e valutazione della prova, al rispetto delle metodiche suggerite dalla cd. "Carta di Noto", salvo che non siano gia' trasfuse in disposizioni del codice di rito con relativa disciplina degli effetti in caso di inosservanza, di modo che la loro violazione non comporta l'inutilizzabilita' della prova cosi' assunta; tuttavia, il giudice e' tenuto a motivare perche', secondo il suo libero ma non arbitrario convincimento, ritenga comunque attendibile la prova dichiarativa assunta in violazione di tali metodiche, dovendo adempiere ad un onere motivazionale sul punto tanto piu' stringente quanto piu' grave e patente sia stato, anche alla luce delle eccezioni difensive, lo scostamento dalle citate linee guida (Sez. 3, n. 648 dell'11/10/2016, dep. 2017, Rv. 268738 - 01; Sez. 3, n. 39411 del 13/03/2014, Rv. 262976 - 01). 6.31. Nel caso di specie, come gia' visto, i Giudici di merito hanno diffusamente spiegato le ragioni della affermata credibilita' della persona offesa con motivazione che, come gia' osservato da questa Corte in sede di esame dei ricorsi dello (OMISSIS) e dello stesso (OMISSIS), e' immune dalle censure sin qui proposte. 6.32. Inoltre, la violazione di tali metodiche non puo' costituire di per se' motivo di ammissione della prova ai sensi dell'articolo 190-bis c.p.p. E cio' sia perche' la rinnovazione della prova dichiarativa potrebbe costituire essa stessa violazione delle predette linee-guida (che sconsigliano la reiterazione degli esami che potrebbe pregiudicare la credibilita' del racconto), sia perche' e' necessario evitare fenomeni di cd. "vittimizzazione secondaria". Come gia' affermato da questa Corte, "fila Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, nota anche come Convenzione di Istanbul, dell'11 maggio 2011, all'articolo 18, stabilisce che gli Stati firmatari si impegnano ad "evitare la vittimizzazione secondaria". Essa consiste nel far rivivere le condizioni di sofferenza a cui e' stata sottoposta la vittima di un reato, ed e' spesso riconducibile alle procedure delle istituzioni susseguenti ad una denuncia, o comunque all'apertura di un procedimento giurisdizionale. La vittimizzazione secondaria e' una conseguenza spesso sottovalutata proprio nei casi in cui le donne sono vittima di reati di genere, e l'effetto principale e' quello di scoraggiare la presentazione della denuncia da parte della vittima stessa" (Cass. civ., Sez. U, n. 35110 del 17/11/2021). 6.33. Vero e' che questa Corte ha affermato il principio di diritto secondo il quale, nel giudizio di appello non e' di per se' di ostacolo alla rinnovazione delle prova dichiarativa la condizione di "vulnerabilita'" del teste gia' esaminato nel corso di incidente probatorio, non rilevando tale qualita' soggettiva ai fini della valutazione del giudice circa la necessita' della ulteriore escussione, sia pure con le opportune cautele che tutelino la serenita' del teste debole (Sez. 3, n. 10378 del 08/10/2020, Rv. 278540 - 01). Tuttavia, in quel caso, veniva in rilievo la violazione dell'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, avendo il giudice dell'appello riformato la sentenza assolutoria di primo grado senza rinnovare l'istruttoria dibattimentale. 6.34. Va piuttosto evidenziato che, con altra pronuncia, questa Corte ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 190-bis c.p.p., in relazione agli articoli 3, 24 e 111 Cost. ed all'articolo 6 della Convenzione EDU - nella parte in cui, in presenza di specifiche esigenze, sottrae al contraddittorio dibattimentale la persona offesa maggiorenne dichiarata particolarmente vulnerabile - atteso che tale peculiare regime, di carattere processuale, si giustifica per l'esigenza di prevenire l'usura delle fonti di prova, in tale ipotesi particolarmente stringente, e che si tratta di dichiarazioni provenienti da soggetti gia' esaminati nel rispetto della oralita' e delle regole del contraddittorio, essendo rimessa alla discrezionalita' del legislatore la scelta di graduare forme e livelli diversi di contraddittorio purche' sia garantito il diritto di difesa (Sez. 3, n. 10374 del 29/11/2019, dep. 2020, Rv. 278546 - 02; con la stessa sentenza, la Corte ha affermato che la disciplina di cui all'articolo 190-bis c.p.p., come modificato dal Decreto Legislativo 15 dicembre 2015, n. 212, che, nei procedimenti per reati sessuali, ha esteso alla vittima dichiarata vulnerabile, a prescindere dalla sua eta', il particolare regime per la rinnovazione dell'assunzione della testimonianza, si applica anche alla prova dichiarativa assunta nel corso di incidente probatorio tenutosi in data antecedente alla sua entrata in vigore, in quanto disposizione processuale, priva di effetti sostanziali, incidente sulla modalita' di assunzione della prova). 6.35. E' dunque superato e non piu' attuale il principio secondo il quale, in materia di reati sessuali in danno di minori, non si applica la disposizione di cui all'articolo 190-bis c.p.p., comma 1 bis quando e' richiesta la ripetizione in dibattimento dell'esame della persona offesa, gia' sentita in sede di incidente probatorio, divenuta nel frattempo maggiorenne (Sez. 3. n. 6095 del 22/05/2013, dep. 2014, Rv. 258825 - 01). 6.36. Deve essere inoltre ricordato che, ai fini della valutazione dell'istanza di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, mediante l'assunzione della testimonianza di un minore vittima d'abusi sessuali gia' sentito in dibattimento o in sede di incidente probatorio, e' necessario che nell'atto d'appello siano indicate specificamente le circostanze su cui dovrebbe vertere l'esame ai sensi dell'articolo 190-bis c.p.p., non essendo sufficiente evidenziare genericamente l'utilita' di assumerne la testimonianza (Sez. 3, n. 24792 del 24792 del 29/01/2013, Rv. 256371 - 01; Sez. 3, n. 19728 del 03/04/2008, Rv. 240041 01). 6.37. Nel caso di specie, il ricorso non indica le specifiche circostanze sulle quali, ai sensi dell'articolo 190-bis c.p.p., comma 1, avrebbe dovuto vertere il rinnovato esame dibattimentale della vittima, ne' la loro natura decisiva. Che', anzi, non risulta impugnata in appello, con autonomo e specifico motivo, l'ordinanza del 13/11/2017 del Tribunale che, nel rigettare la richiesta di ammissione della testimonianza della persona offesa: a) ne aveva dichiarato la particolare vulnerabilita' ai sensi dell'articolo 90-quater c.p.p.; b) aveva escluso la novita' delle circostanze indicate quale oggetto di prova. Si tratta, in entrambi i casi, di questioni di fatto che avrebbero dovuto essere devolute al giudice dell'appello e che non risultano esserlo state (perlomeno cio' non e' dedotto dal ricorrente, non risulta dall'esame dei suoi appelli e non costituisce motivo di ricorso per cassazione). 6.38. Cio' non esclude, ovviamente, che il giudice di primo grado possa ritenere necessario assumere d'ufficio la prova ai sensi dell'articolo 507 c.p.p. o che a tanto possa determinarsi il giudice dell'appello ai sensi dell'articolo 603 c.p.p.. 6.39. Al riguardo, ricorda il Collegio che la rinnovazione del giudizio in appello e' istituito di carattere eccezionale al quale puo' farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalita', di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, Ricci, Rv. 266820 - 01; Sez. U., n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni, Rv. 203974; Sez. 2, n. 8106 del 26/04/2000, Rv. 216532 - 01; Sez. 3, n. 13071 del 19/10/1999, Rv. 214805 01); il rigetto della relativa istanza puo' essere censurato, in sede di legittimita', solo qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicita', ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate con l'assunzione o la riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Rv. 273577 01; Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, Rv. 261799 - 01; Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, Cozzetto, Rv. 258236). 6.40. Con il che si torna all'esame delle ragioni della ribadita attestazione di credibilita' (frazionata) della vittima, immune, come gia' detto, dalle critiche sin qui mosse. 6.41. I motivi aggiunti secondo, terzo, quarto e quinto pongono questioni gia' ampiamente sviluppate e scrutinate. Va solo precisato che, diversamente da quanto sostiene il ricorrente, la circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5-sexies, e' stata esclusa per il capo E, trattandosi di circostanza introdotta con legge successiva alla commissione del reato. 7. Il ricorso di (OMISSIS). 7.1. Il primo motivo propone le medesime questioni gia' poste dallo (OMISSIS) in ordine al travisamento della consulenza tecnica dell'ing. (OMISSIS). E' sufficiente, pertanto, rimandare a quanto gia' osservato in sede di esame dei ricorsi dello (OMISSIS), anche con riferimento al piu' complessivo esame delle questioni relative alla credibilita' della persona offesa in ordine al reato di cui al capo D, gran parte delle quali neglette dal ricorrente, per escludere la fondatezza del motivo. 7.2. Il secondo motivo pone la questione, gia' affrontata in sede di esame dei ricorsi dello (OMISSIS), della credibilita' della persona offesa per il reato di cui al capo D. E' pertanto sufficiente rimandare alle considerazioni piu' ampiamente svolte in quella sede. 7.3. Qui vanno aggiunte le ulteriori seguenti considerazioni. 7.4. Il ricorrente pone la questione, oggetto anche del primo motivo, della compatibilita' dell'assoluzione dello (OMISSIS) e del (OMISSIS) dal reato di cui al capo C con la condanna dei medesimi imputati e del (OMISSIS) per il reato di cui al capo D. Si contesta, in particolare, l'applicazione del criterio della "credibilita' frazionata" ad un fatto (il reato di cui al capo D), confuso dalla ricorrente con quello di cui al capo C e in relazione al quale la persona offesa e' stata giudicata inattendibile. 7.5. Il rilievo non e' fondato. 7.6. Il reato di cui al capo C imputava allo (OMISSIS) ed al (OMISSIS) (non al (OMISSIS)) il reato cui agli articoli 110 e 609-quater c.p., perche' "in concorso tra loro, dopo aver trasportato (OMISSIS) a bordo dell'autovettura Hyunday Getz targata (OMISSIS) dello (OMISSIS) presso un'abitazione sita in localita' (OMISSIS) nella disponibilita' del (OMISSIS), a turno consumavano un rapporto completo con (OMISSIS), persona minorenne che all'epoca dei fatti non aveva ancora compiuto gli anni 14. In (OMISSIS)". 7.7. Il Tribunale aveva assolto i due imputati rilevando che "fila persona offesa, in sede di esame, nonostante sia stata sollecitata piu' volte a ripercorrere quell'episodio, non e' stata in grado di descrivere i fatti con accuratezza: (OMISSIS), infatti, inizialmente dice di essersi recata due volte a (OMISSIS), una volta con la macchina di (OMISSIS) e un'altra con la macchina di (OMISSIS), e di aver chiesto alla sua compagna di classe (OMISSIS) di "coprirla" con i suoi genitori, ai quali avrebbe detto che sarebbe rimasta a casa dell'amica quel pomeriggio; ma non riesce, tuttavia, a focalizzare il ricordo di cio' che sarebbe accaduto la prima volta che si era recata a (OMISSIS) con (OMISSIS) e (OMISSIS), finendo per sovrapporlo con l'episodio successivo, quello in cui mentre era a (OMISSIS) con (OMISSIS) e (OMISSIS), li aveva raggiunti anche (OMISSIS) (episodio contestato al capo d) dell'imputazione) (...) E' evidente - prosegue il Tribunale - che, sulla scorta del tenore delle dichiarazioni della persona offesa - che fornisce, quale unico elemento per distinguere i due episodi avvenuti a (OMISSIS), il tipo di autovettura con cui i due ragazzi erano andati a prenderla, e cioe' una volta la macchina di (OMISSIS) e una volta quella di (OMISSIS)- non si puo' ritenere raggiunta la prova, in termini cli certezza, che vi sia stato un ulteriore incontro a (OMISSIS), oltre a quello in cui e' rimasto coinvolto anche (OMISSIS), e che questo si sia concretizzato in condotte di atti sessuali tra i due ragazzi e la minore, secondo le modalita' descritte nel capo c) dell'imputazione. Ne' a tal fine - affermano i primi Giudici - si ritiene sufficiente il contenuto della conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS), cristallizzata in uno degli screenshot versati in atti (...) in cui si fa riferimento ad un incontro sessuale avvenuto proprio tra (OMISSIS). (OMISSIS) e (OMISSIS): non si puo' escludere, infatti, che quella conversazione si riferisca all'episodio contestato al capo d) dell'imputazione, e cio' perche' sulla base di quanto dichiarato dalla persona offesa, in sede di incidente probatorio, in merito a quell'episodio, le modalita' descritte nella conversazione appaiono compatibili con quella descrizione (...)". 7.8. Le motivazioni della Corte di appello sul punto sono state sinteticamente riportate nel "Ritenuto in fatto" della presente sentenza ed ulteriormente riportate e scrutinate in sede di esame dei ricorsi dello (OMISSIS). 7.9. Il punto nodale, dal quale il ricorrente prescinde, e' costituito dalla chiara affermazione della Corte di appello della sua presenza a (OMISSIS) in occasione del rapporto sessuale oggetto di contestazione al capo D (pag. 85). E' un dato di fatto che la persona offesa non ha mai coinvolto il (OMISSIS) nel rapporto sessuale consenziente contestato al capo C. Altro elemento di prova dal quale il ricorrente prescinde (se ne e' parlato in sede di esame dei ricorsi dello (OMISSIS)) e' la specifica rimostranza della vittima che si era lamentata con il (OMISSIS) del sopraggiungere del (OMISSIS), fatto che, come gia' visto, aveva determinato la modifica del suo atteggiamento di favore e consenso verso l'iniziale rapporto sessuale con il (OMISSIS) ed il (OMISSIS). 7.10. Ora, l'assoluzione dal reato di cui al capo C (ascritto, si ribadisce, a persone diverse dal (OMISSIS)) non e' stata motivata dal Tribunale con l'attestazione di non credibilita' della vittima bensi' con l'impossibilita' di isolare ed enucleare un rapporto sessuale ulteriore e diverso rispetto a quello rubricato al capo D e cio' in base al racconto stesso della vittima, non alla presenza di elementi di segno contrario che, in tesi, l'avevano smentita. Erano, cioe', state le stesse incertezze nel ricordo che avevano indotto il Tribunale ad un epilogo assolutorio, laddove le ben diverse modalita' del fatto ascritto al (OMISSIS), il riscontro relativo alla sua presenza e al conseguente disappunto mostrato dalla vittima, supportano la condanna del ricorrente. 7.11. Non si tratta, dunque, di (in tesi difensiva, illegittima) valutazione frazionata delle medesime dichiarazioni rese dalla persona offesa in ordine ad uno specifico episodio, bensi' di valutazione ragionata di tali dichiarazioni che abbracciavano, in tesi accusatoria, piu' fatti ma che, alla luce, del vaglio critico del giudice sono state ritenute insufficienti in relazione ad uno di essi e comprovate per l'altro. Vi e' del resto, una profonda differenza tra i due fatti che giustifica, sul piano logico, i "non ricordo" e le imprecisioni relative al primo (capo C) e le certezze relative al secondo (capo D): il primo episodio riguardava un rapporto sessuale consensuale con i soli (OMISSIS) e (OMISSIS) non contraddistinto da particolari tali da rimanere fissati nella mente a distanza di anni; il secondo era caratterizzato dall'intervento inaspettato del (OMISSIS) che la persona offesa aveva compreso essere per niente casuale (si ricordera' la scusa delle sigarette) e che aveva comportato un radicale mutamento di atteggiamento nei confronti (anche) dello (OMISSIS) e del (OMISSIS) e che aveva determinato il ricorso, da parte dei tre, alla violenza (fatto questo che piu' difficilmente puo' essere dimenticato). Non c'e', dunque, nulla di (manifestamente) illogico nella decisione, condivisa dalla Corte di appello, di ritenere fondata l'accusa relativa al capo D nonostante l'assoluzione dal capo C. Non corrisponde poi a vero che il messaggio WhatsApp scambiato con il (OMISSIS) era stato ricondotto dal Tribunale ai fatti di cui al capo C; e' sufficiente leggere il testo della motivazione della sentenza, come sopra trascritto, per rendersene conto. 7.12. Nel resto, le deduzioni difensive propongono l'inammissibile rilettura dei messaggi scambiati tra la persona offesa e il (OMISSIS) e si fondano, anch'esse (come gia' lo (OMISSIS)), su inaccettabili astrazioni delineanti una sorta di codice di condotta della vittima del reato sessuale (la cd. "vittima modello") in base al quale parametrare il giudizio sulla credibilita' della vittima stessa. Sicche', ogni qual volta la vittima devia da tale condotta e' per cio' stesso non credibile. E, ancora una volta, c'e' da chiedersi a quali valori si ispiri tale codice e a quale retroterra culturale si ispiri, non esistendo, al riguardo, una massima di esperienza condivisa e condivisibile. Simili astrazioni rischiano si spostare l'indagine del giudice penale da quel che e' a quel che non e', svilendo, in tal modo, i dati offerti dal processo sulle ragioni dell'agire umano. Non e' dunque un parametro valido al quale affidare il giudizio sulla manifesta illogicita' della motivazione quello che si fonda su tali astrazioni. Nel caso di specie, e' sufficiente evidenziare che la persona offesa era una persona minorenne psicologicamente fragile, instabile e devastata, vittima della propria "dipendenza" dallo (OMISSIS) ma anche aperta a nuove esperienze e, tuttavia, non per questo giudicabile, nemmeno sul piano morale, ma facile preda, questo si', di appetiti altrui. Questo quadro, che emerge con evidenza dalla lettura integrale delle sentenze di merito, consegna all'interprete una chiave di lettura della vicenda che rende tutt'altro che illogico (e certamente non manifestamente illogico) il governo della prova dichiarativa da parte dei giudici di merito. 7.13. A non diversi rilievi si espone la questione relativa alla collocazione temporale del fatto oggetto di precedente scrutinio. 7.14. Il terzo, il quarto ed il quinto motivo sono infondati per le medesime ragioni gia' illustrate in sede di esame degli analoghi motivi dei ricorsi dello (OMISSIS). 7.15. Il sesto motivo pone due argomenti: il primo riguarda la capacita' di testimoniare della vittima e deduce i vizi del procedimento tecnico-scientifico con il quale e' stata accertata e la manifesta illogicita' della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la richiesta di nuova perizia collegiale; il secondo, il rigetto della richiesta di nuovo esame della persona offesa alla luce degli elementi di novita' emersi dopo che la sua testimonianza era stata assunta in sede di incidente probatorio. 7.16. Di entrambe le questioni si e' gia' ampiamente detto, tanto con riferimento alla capacita' di testimoniare (e al governo dell'articolo 603 c.p.p.), quanto al governo dell'articolo 190-bis c.p.p. e all'ordinanza del Tribunale (non specificamente impugnata) che aveva negato la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimavano la richiesta di nuovo esame della persona offesa. 7.17. Il settimo motivo e' infondato per le ragioni gia' illustrate in sede di esame dei ricorsi dello (OMISSIS). 7.18. L'ottavo motivo e' generico, manifestamente infondato e inammissibilmente fattuale. Il ricorrente postula l'affidamento al perito del compito di stabilire l'attendibilita' della persona offesa, affermazione, che, pero', non trova riscontro alcuno dalla lettura delle sentenze di merito dalle quali emerge, al contrario, che l'attendibilita' della minore e' stata scrutinata alla luce dei criteri (credibilita' frazionata/riscontri del narrato) che sono stati oggetto di ampie e articolate censure anche degli altri ricorrenti. Cio' che il ricorrente confonde e' il giudizio conclusivo di attendibilita' del testimone (la sintesi: di pertinenza esclusiva del giudice) con l'accertamento sulla esistenza di elementi scientificamente in grado incidere sulla sua credibilita' (l'analisi, che si estende anche allo studio delle modalita' di assunzione della prova). Il giudizio di attendibilita' appartiene alla fase della valutazione della prova; gli elementi in grado di minare, sul piano scientifico, la credibilita' razionale del racconto forniscono al giudice la base fattuale del criterio utilizzato per valutare la prova, ma tali elementi devono essere necessariamente forniti dal perito (o dal consulente), quando di natura scientifica, senza che cio' equivalga a dire che il giudizio di attendibilita' sia stato espresso da quest'ultimo. Ma quand'anche cio' avvenga, anche cioe' a voler ipotizzare che il perito o il consulente abbiano effettivamente reso un parere puro e semplice sulla attendibilita' del testimone, cio' che rileva e' il governo che di tale parere fa il giudice. Nel caso di specie, come detto, l'affidamento al perito di compiti esclusivi del giudice deve essere escluso in radice. 7.19. Il nono motivo e' infondato. 7.20. La Corte di appello ha negato l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche in considerazione della gravita' del fatto e della mancanza di elementi positivi di valutazione, non potendosi ritenere tale lo stato di incensuratezza. Vero e' che in appello il ricorrente aveva effettivamente dedotto anche la propria giovane eta', il fatto di aver conseguito la laurea in costanza di detenzione ed altri indicatori (i pregressi rapporti con la vittima, l'aver omesso ogni altro "comportamento di disvalore" nei cinque anni precedenti l'appello) di una possibile attenuazione della pena ulteriori e diversi dallo stato di incensuratezza. E, tuttavia, nel rimodulare la pena a seguito dell'assoluzione dell'imputato dal reato di cui al capo N e del suo proscioglimento da quello di cui al capo O, la Corte di appello ha applicato al (OMISSIS) una pena assai vicina al minimo edittale del reato aggravato ai sensi dell'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1), (nella versione vigente all'epoca del fatto), e praticamente identica a quella applicata al (OMISSIS) per l'unico reato a lui ascritto (quello di cui al capo B) ancorche' attenuata a seguito dell'applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Il (OMISSIS), dunque, non puo' dolersi della disparita' di trattamento con il (OMISSIS); sotto altro profilo, appare evidente che la valutazione di gravita' del reato ha prevalso sugli altri indicatori di una possibile attenuazione della pena non al punto, pero', di impedirne il contenimento appena al di sopra della soglia minima edittale dell'ipotesi aggravata. 7.21. L'ultimo motivo e' inammissibile riguardando capi della sentenza non impugnabili in questa sede. 8. I ricorsi di (OMISSIS). Il ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 8.1. I primi sei motivi e l'ottavo deducono questioni gia' ampiamente esaminate in sede di esame dei ricorsi dello (OMISSIS) e del (OMISSIS). 8.2. Il settimo motivo e' infondato. 8.3. L'imputato e' stato condannato in primo grado alla pena di sei anni di reclusione previa applicazione delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter cpv. c.p., n. 1). Le circostanze attenuanti erano state applicate in considerazione dello stato di incensuratezza, della giovane eta' dell'imputato e dell'unicita' dell'episodio criminoso. In sede di appello l'imputato aveva invocato l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza al fine di meglio adeguare la pena "agli effettivi contorni della vicenda" (la dinamica dei fatti, l'assenza di qualsivoglia comportamento di disvalore posto in essere dall'appellante dopo i fatti e nel corso dei cinque anni precedenti il giudizio di primo grado, trattandosi di elementi di indubbia rilevanza per quanto attiene l'intensita' del coefficiente psicologico e di conseguenza la gravita' del reato e la capacita' a delinquere dell'imputato). La Corte territoriale ha rigettato la richiesta osservando che "le evidenziate circostanze di tempo, luogo e modalita' dell'azione (erano) state correttamente valutate ai fini precipui dell'applicazione dell'articolo 133 c.p. e non si rinviene alcun motivo per discostarsi da tale valutazione. Peraltro, la concessione delle attenuanti generiche per come applicate ha gia' consentito una graduazione della pena in favore dell'imputato". La Corte di appello, in buona sostanza, ha ritenuto che l'applicazione di una pena inferiore al minimo edittale (come espressamente chiesto dall'appellante) fosse inadeguata. Si tratta di giudizio insindacabile in questa sede. 8.4. Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita' qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la piu' idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931; Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243). Il ricorso a firma degli Avv.ti (OMISSIS)- (OMISSIS). 8.5. Il secondo ed il terzo motivo deducono questioni gia' scrutinate. 8.6. Anche il primo motivo pone questioni relative alla attendibilita' della persona offesa gia' ampiamente esaminate. Tuttavia, esso non solo si avvale di corposi richiami al contenuto delle dichiarazioni rese dalla persona offesa (delle quali, peraltro, non deduce il travisamento), ma sembra riguardare, nella sua prima parte, piu' la sentenza di primo grado che quella di appello proponendo un'interlocuzione con questa Corte di cassazione non mediata dalla sentenza di appello e dai rilievi critici al contenuto di quest'ultima. In ogni caso, quanto al ricorso al metodo della valutazione frazionata non puo' che ribadirsi quanto gia' ampiamente affermato in sede di esame degli analoghi motivi posti dagli altri ricorrenti. Il (OMISSIS) lamenta, nello specifico, la non correttezza di tale metodo in considerazione della stretta connessione del fatto di cui al capo B con quelli di cui ai capi N ed O dai quali e' stato assolto. Il rilievo e' del tutto infondato. I fatti di cui ai capi N ed O riguardano l'aggressione fisica posta in essere ai danni dello (OMISSIS) la cui materiale sussistenza non e' mai stata messa in discussione e che, secondo quanto aveva affermato il Tribunale, era dovuta al fatto che egli non era accettato dal "branco", "non sapeva stare al posto suo" (giudizio corretto dalla Corte di appello secondo cui, invece, non si poteva escludere che l'aggressione costituisse una reazione al fatto che lo (OMISSIS) aveva "messo in giro maldicenze sul conto degli imputati"). Non si vede, dunque, in che modo l'assoluzione del ricorrente in primo grado dai reati di cui ai capi N ed O possa aver ricadute sulla credibilita' della persona offesa relativamente alla violenza sessuale rubricata al capo B; non si comprende quale sia l'interferenza logica tra i due fatti che osta, in ottica difensiva, alla adozione della valutazione frazionata. Che' anzi l'aggressione allo (OMISSIS) costituisce ulteriore argomento a favore della credibilita' della vittima perche' emersa proprio a seguito delle sue dichiarazioni. L'assoluzione del (OMISSIS) deriva, in prima battuta, da una ragione "tecnica": la mancanza stessa, nella rubrica, di una condotta a lui ascrivibile; il PM lo ha indicato come concorrente nel reato ma non ha descritto la condotta che avrebbe posto in essere. In seconda battuta dal fatto che la stessa PO, sentita in sede di incidente probatorio, non aveva ricordato di aver indicato, in sede di audizione protetta, il ricorrente tra i possibili autori del reato sicche' l'assoluzione di questi deriva dallo stesso racconto della vittima non perche' tale racconto fosse stato smentito da elementi di segno contrario. 6. Il ricorso di (OMISSIS). 6.1. Il primo motivo propone questioni gia' ampiamente affrontate in sede di esame dei ricorsi dello (OMISSIS) e degli altri imputati. 6.2. Va piuttosto aggiunto che con la richiesta di incidente probatorio avanzata nei procedimenti per i delitti di cui all'articolo 392 c.p.p., comma 1-bis, (tra i quali quelli di cui agli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies c.p.), il pubblico ministero deve depositare tutti gli atti di indagine compiuti (articolo 393 c.p.p., comma 2-bis), compresi i verbali delle dichiarazioni precedentemente rese dalla persona da escutere. Il giudice, dunque, si trova, in questi casi, in una posizione particolare perche' e' gia' a conoscenza del contenuto di tali dichiarazioni che certamente puo' utilizzare per ottenere chiarimenti, precisazioni, porre domande, nell'ambito dei poteri a lui attribuiti dall'articolo 506 c.p.p., a maggior ragione quando deve condurre direttamente l'esame ai sensi dell'articolo 498 c.p.p., comma 4. Piu' in generale, nulla impedisce al giudice di utilizzare, per lo svolgimento delle funzioni sue proprie nella fase di assunzione della prova nel contraddittorio delle parti, le informazioni gia' contenute nei verbali di prova precedentemente e legittimamente acquisiti al fascicolo del dibattimento (basti pensare alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in caso di mutamento della persona fisica del giudice o alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello). Lamentare, di conseguenza, la proposizione di domande che richiamavano il contenuto delle dichiarazioni precedentemente rese dalla persona offesa e' questione che non coglie nel segno, soprattutto se tali domande vengono poste dal giudice il quale non deve, ne' puo' assumere una posizione preconcetta nei confronti del testimone nei cui confronti deve valere la presunzione di veridicita' del narrato, mai del suo contrario. 6.3. Tutti gli altri motivi, oltre a contenere inammissibili richiami al contenuto dei verbali di prova, deducono questioni analoghe a quelle gia' esaminate in sede di scrutinio degli altri ricorsi (capacita' di testimoniare, credibilita' della persona offesa, valutazione frazionata delle sue dichiarazioni, interpretazione del contenuto dei messaggi scambiati via telefono con la persona offesa) e che, di fatto, si risolvono nella richiesta di una diversa e alternativa valutazione del materiale probatorio del quale, pero', non viene nemmeno dedotto il travisamento. 7. Il ricorso di (OMISSIS). 7.1. Il (OMISSIS) risponde del reato di cui all'articolo 378 c.p. (rubricato al capo Q) perche', al fine di aiutare, tra gli altri, gli odierni ricorrenti, ad eludere le investigazioni a loro carico, escusso in qualita' di testimone in data 11/01/2016 dagli ufficiali di P.G. della Stazione Carabinieri di Melito Porto Salvo in relazione alle vicende a lui riferite dalla minore (OMISSIS) asseriva di non voler rispondere a nessuna domanda. 7.2. (OMISSIS) aveva avuto una relazione con la persona offesa dal mese di aprile 2015 al mese di dicembre dello stesso anno. La ragazza gli aveva raccontato tutti i fatti "circa un mese dopo l'inizio della loro storia e, a seguito di richiesta di (OMISSIS) che si mostrava possessivo, gli mostrava vari screenshot relativi a conversazioni intercorse con vari ragazzi, cosi' come richiesto dallo stesso. Gli mostrava il messaggio inviatole da (OMISSIS) ("Ehi'..") e anche quello mandato da (OMISSIS) del 9.06.15 in cui le diceva: "ehi pazza scatenata, che fine hai fatto-". (OMISSIS) memorizzava il contatto di (OMISSIS) con l'appellativo " (OMISSIS)", poiche' diceva che era una zingara, poi con quello di "troia". La minore ha riferito che dopo i primi due mesi era sempre in conflitto e litigava frequentemente con (OMISSIS)" (pag. 87 e seg., sent. Trib.). E' a seguito della relazione con il (OMISSIS) che la (OMISSIS) comincia ad avere delle crisi: " (OMISSIS) le poneva delle domande per sapere cosa era successo e lei gli rispondeva, raccontando quanto accaduto anche nel dettaglio, poiche' voleva instaurare un rapporto di fiducia con lui e sentirsi meglio. La minore ha precisato che, esasperata dalle sue continue domande e delle sue accuse, quali "te la sei andata a cercare, iniziava a provare dei sensi di colpa e che cominciava anche a porre in essere atti di autolesionismo con un coltello sulle braccia, sulle gambe e, talvolta, sulla pancia. La madre se ne accorgeva dopo un po' di tempo un giorno in cui, facendo il solletico alla figlia, le faceva alzare maglietta e constatava la presenza di segni. A seguito di tali crisi, la minore intraprendeva anche una terapia con una psicologa dal mese di maggio del 2015" (pag. 95, sent. Trib.). Nel mese di luglio di quel 2015 la (OMISSIS) aveva scritto al (OMISSIS) informandolo dell'intenzione di sporgere denunzia: "Nel luglio del 2015 la minore scriveva al fidanzato che i suoi genitori, alla luce dei numerosi litigi con lui, "hanno detto di valutare noi che cosa vogliamo fare, se vogliamo continuate, se siamo disposti nonostante le difficolta' a non fare tutti quei litigi come e' successo, se dopo che verra' la denuncia siamo in grado di superarla insieme, di salutare noi, se abbiamo intenzione di continuare se no ora ci allontaniamo e poi ci ritroviamo, di valutare noi che cosa e' meglio e che cosa vogliamo fare". Ha quindi precisato che gia' in quel periodo stavano affrontando il discorso sulla denuncia, se sporgerla o no" (pag. 95, sent. Trib.). 7.3. Dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che il (OMISSIS), convocato dopo l'audizione protetta della sua ragazza, "si era reso reticente rifiutandosi di riferire quanto era a sua conoscenza relativamente ai fatti di causa" (pag. 27, sentenza di primo grado). In particolare, aveva risposto alle numerose sollecitazioni affermando: "di questa storia non ne voglio sapere assolutamente niente perche' non riguarda la mia persona" (pag. 270, sent. Trib.). 7.4. Nel ribadire la condanna la Corte di appello ha osservato che "non si vede a quale diversa interpretazione (peraltro nemmeno proposta) di tali dichiarazioni, se non a quella letterale, potrebbe accedersi: da tale interpretazione, peraltro, non poteva certo prescindersi, atteso che, in ogni caso, le parole del (OMISSIS) non presentavano alcun significato recondito. Ne' puo' accogliersi la prospettazione difensiva per la quale, considerando il vissuto e il breve periodo di relazione con la (OMISSIS), doveva ritenersi che l'imputato non avesse creduto alle dichiarazioni della ragazza, per cui dichiarare di essere a conoscenza dei fatti sarebbe stato equivalente a dire il falso, e, comunque, non era a diretta conoscenza dei fatti, quindi per timore di riferire fatti non veri, aveva preferito non rispondere. Tale prospettazione, infatti, e' smentita dalla netta risposta del (OMISSIS), compendiata nell'unica frase da lui pronunciata e sopra testualmente riportata, dalla quale emerge in modo inequivocabile l'intenzione di non fornire alcun contributo alle indagini, in tal modo aiutando gli indagati. L'imputato - aggiunge la Corte di appello -, a differenza di quanto dedotto dalla difesa, non ha assolutamente evidenziato le circostanze riportate nel gravame, ossia quella di non aver creduto alle confidenze rivoltegli dalla (OMISSIS) ovvero quella di non essere a conoscenza diretta dei fatti, ma, come detto, non ha risposto ad alcuna domanda e si e' limitato a pronunciare una secca frase, nella quale palesava la volonta' di non essere coinvolto nella vicenda. Anche la circostanza, sempre dedotta esclusivamente in sede di gravame, di non avere mai avuto confidenze dai pretesi rei si appalesa del tutto ininfluente, posto che l'imputato aveva ricevuto tali confidenze dalla persona offesa e, come detto, avrebbe dovuto quanto meno riferire tale circostanza". 7.5. Tanto premesso, il primo motivo e' manifestamente infondato. 7.6. Il ricorrente reitera, in buona sostanza, le questioni gia' devolute in appello proponendo un diversa interpretazione della sua condotta, prospettazione alternativa gia' respinta dalla Corte di appello con motivazione tutt'altro che manifestamente illogica e dunque insindacabile in questa sede. La Corte di appello ha inoltre correttamente stigmatizzato il fatto che, a fronte del chiaro (ed inequivocabile) tenore letterale delle sue parole, il ricorrente non ha mai fornito spiegazioni alternative plausibili, spiegazioni che sono frutto di mere deduzioni (ipotesi) difensive. Non si tratta, come erroneamente sostiene il ricorrente, di un'inaccettabile inversione dell'onere della prova. E' piuttosto vero il contrario: a fronte di una propria affermazione esplicita nella sua valenza di un rifiuto a rispondere, il ricorrente si rifugia in spiegazioni astratte prive di agganci alla realta' processuale. 7.7. Il dubbio circa la fondatezza di una possibile lettura alternativa del medesimo quadro probatorio deve essere "ragionevole" e dunque verificabile. La motivazione e' posta a garanzia non solo dell'imputato, ma anche della possibilita' di controllare l'operato del giudice in base a elementi razionali, verificabili e controllabili (articolo 187 c.p.p., articolo 192 c.p.p., comma 1, articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e). 7.8. Soggezione dei giudici soltanto alla legge (articolo 101 Cost., comma 2), esercizio della funzione giurisdizionale da parte di magistrati autonomi e indipendenti (articoli 102, 104 e 106 Cost.), attuazione della giurisdizione mediante il giusto processo regolato per legge (articolo 111 Cost., comma 1), obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali (articolo 111 Cost., comma 6), controllo esercitabile dalla Corte di cassazione su tutte le sentenze e su tutti i provvedimenti che incidono sulla liberta' personale pronunciati dagli organi giurisdizionali (articolo 111 Cost., comma 7), sono valori che qualificano, sul piano processuale, il "quomodo" della giurisdizione, e che sono posti, sul piano sostanziale, a presidio e garanzia del principio di legalita' e, con specifico riferimento alla materia penale, del principio di riserva assoluta di legge (articolo 25 Cost., comma 2), nonche' dell'inviolabilita' della liberta' personale (articolo 13 Cost.), del domicilio (articolo 14 Cost.), della liberta' e segretezza della corrispondenza (articolo 16 Cost.), del diritto di difesa (articolo 24 Cost.). 7.9.In questo contesto, la motivazione assolve all'onere di chiarire se, e come, la regola generale e astratta (la legge, in senso lato) sia stata esattamente applicata al caso concreto e di evitare, attraverso il controllo di merito e, infine, di legittimita', che essa affondi le sue radici in una volonta' diversa da quella della legge cui il giudice e' soggetto; essa assolve all'onere di spiegare perche' il diritto inviolabile ha potuto esser compresso, se ed in che modo sia stato rispettato il diritto di difesa, se ed in che modo l'esercizio di tale diritto abbia potuto contribuire a confezionare la regola del caso concreto. La motivazione e' la riaffermazione della funzione di garanzia del giudice, connaturale alla sua indispensabile terzieta', e' il mezzo che consente di ripercorrere, sul piano razionale, la strada che collega la regola astratta al fatto concreto. 7.10. Orbene, nel caso di specie la valenza evocativa del dato processualmente certo della risposta fornita dall'imputato agli ufficiali di polizia giudiziaria rende non manifestamente illogica la conclusione che questi avesse opposto un chiaro e netto rifiuto alle domande che gli venivano poste, rendendo altrettanto irragionevole qualsiasi ipotesi alternativa, fondata solo su affermazioni fideistiche e dunque irragionevoli e non verificabili. 7.11. Utilizzare, in questo contesto, l'argomento del silenzio dell'imputato che priva di sostanza le deduzioni difensive sulle possibile spiegazioni alternative della condotta, non costituisce una violazione del principio di presunzione di innocenza. In totale assenza di fatti/prove che rendano altrettanto ragionevole l'ipotesi alternativa a lui favorevole, e' onere dell'imputato stesso (persona la piu' prossima alla prova) introdurre o allegare elementi che rendano "ragionevole" il dubbio riportandolo all'ordine naturale delle cose e alla normale razionalita' umana. 7.12. In ogni caso, per la sussistenza del delitto di favoreggiamento personale non occorre che l'agente sia spinto da un movente particolare o anche da un interesse suo proprio o improntato persino a una malintesa pieta', essendo, invece, sufficiente la consapevolezza nell'agente di fuorviare con la sua condotta le ricerche poste in essere dalla competente autorita' nei confronti dell'indiziato (Sez. 1, n. 11159 del 10/06/1982, Valpreda, Rv. 156302 - 01; Sez. 3, n. 34 del 14/01/1971, Ferrando, Rv. 118642 - 01; Sez. 3, n. 726 del 29/05/1967, Zeni, Rv. 105111 - 01). Il dubbio nutrito dall'imputato sulla corrispondenza a vero dei fatti riferitigli dalla sua (all'epoca) fidanzata, pur se, in ipotesi, tali da convincerlo dell'innocenza delle (allora) persone sottoposte a indagine, non legittimano il suo rifiuto, ne' hanno alcuna incidenza sulla consapevolezza di ostacolare le indagini non fornendo le informazioni comunque richieste dalla PG procedente. Si tratta, come detto, di convincimenti personali che non riguardano nessuno degli elementi costitutivi del reato e spiegano, al piu', le irrilevanti motivazioni della condotta. Stabilire se le confidenze ricevute dalla persona offesa siano vere oppure no (e dunque se la vittima sia credibile) non e' compito del testimone o della persona informata dei fatti; tanto piu' che, nel caso di specie, lo stesso (OMISSIS) risulta aver informato la persona offesa di riprese video effettuate in occasione dei fatti rubricati al capo A (pag. 38, sent. Trib.), condotta che mal si concilia con il dedotto dubbio sulla credibilita' della vittima. 7.13. In ultima analisi, la convinzione dell'innocenza degli imputati o anche solo il dubbio della loro colpevolezza, quand'anche astrattamente fondati, non escludono il dolo generico del reato di favoreggiamento (Sez. 5, n. 50206 dell'11/11/2019, Vaccarino, Rv. 278316 - 01; Sez. 2, n. 20195 del 09/03/2015, Aquino, Rv. 263524 - 01; Sez. 2, n. 5842 del 10/02/1995, Cavataio, Rv. 201332 - 01; Sez. 2, n. 4436 del 17/01/1985, Vari, Rv. 169099 - 01; Sez. 1, n. 2001 del 10/07/1976, dep. 1977, Milone, Rv. 135246 - 01). 7.14. E' invece fondato il secondo motivo. 7.15. La stessa Corte di appello da' conto, nell'illustrate i motivi di impugnazione, della richiesta del (OMISSIS) di concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario. Nell'affrontare l'argomento relativo al trattamento sanzionatorio, i Giudici distrettuali danno conto della congruita' della pena infitta in primo grado e di come il ricorrente avesse gia' beneficiato della sospensione condizionale della pena, ma non prendono specifica posizione sulla richiesta di concessione dell'ulteriore beneficio della non menzione, affermando, in modo generico, che egli non era meritevole di "ulteriori benefici". 7.16. Pur nella diversita' dei relativi presupposti (la sospensione condizionale della pena ha l'obiettivo di sottrarre alla punizione il colpevole che presenti possibilita' di ravvedimento e di costituire, attraverso la possibilita' di revoca, un'efficace remora ad ulteriori violazioni della legge penale; la non menzione persegue lo scopo di favorire il ravvedimento del condannato mediante l'eliminazione della pubblicita' quale particolare conseguenza negativa del reato; in tal senso, Sez. 6, n. 34489 del 14/06/2012, Del Gatto, Rv. 253484; Sez. 4, n. 34380 del 14/07/2011, Allegra, Rv. 251509; Sez. 1, n. 45756 del 14/11/2007, Della Corte, Rv. 238137), la positiva concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena imponeva una spiegazione piu' articolata delle ragioni del diniego. 7.17. Tuttavia, ritiene il Collegio di poter direttamente emendare l'omissione provvedendo, ai sensi dell'articolo 620 c.p.p., lettera l), a concedere direttamente il beneficio richiesto tenuto conto della prognosi di non recidivanza favorevolmente espresso dal Tribunale che ben si concilia, avuto riguardo alla episodicita' del fatto e alla sua ontologica diversita' rispetto a quelli commessi dagli altri imputati, con la complessiva finalita' rieducativa della pena che presiede all'applicazione congiunta dei due benefici. 7.18. La sentenza impugnata deve percio' essere annullata senza rinvio limitatamente all'omessa applicazione del beneficio della non menzione, beneficio che concede; nel resto il ricorso del (OMISSIS) deve essere dichiarato inammissibile. 8. Al rigetto dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) consegue la condanna al pagamento delle spese processuali nonche' alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) e Comune Melito di Porto Salvo, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alla omessa pronuncia in ordine alla non menzione della condanna, beneficio che dispone. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto. Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla Corte di appello di Reggio Calabria con