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Il rilascio e il rinnovo della licenza di porto d'armi per difesa personale costituiscono un'eccezione al divieto generale di detenzione e di porto di armi, in quanto l'autorità di pubblica sicurezza gode di ampia discrezionalità nel valutare la sussistenza del "dimostrato bisogno" di autodifesa, non altrimenti surrogabile con altri rimedi, da parte del richiedente. Tale valutazione deve essere effettuata sulla base di specifiche e attuali circostanze che integrino un'eccezionale necessità di protezione, non potendo essere desunta in astratto dalla mera tipologia di attività o professione svolta dall'interessato. L'amministrazione è tenuta a motivare adeguatamente il diniego, anche con riferimento ai criteri generali fissati in sede di riunione del tavolo tecnico operativo, senza che sia necessario un particolare onere motivazionale in caso di mancato rinnovo, trattandosi di un provvedimento discrezionale che può essere sindacato solo per manifesta illogicità o travisamento dei fatti.
Il provvedimento di ammonimento del Questore ai sensi dell'art. 8 del D.L. n. 11/2009 presuppone la sussistenza degli elementi costitutivi e l'astratta configurabilità del delitto di atti persecutori di cui all'art. 612 bis c.p., nel senso che l'autore della condotta deve aver previsto e voluto il fatto lesivo, trattandosi di un reato abituale che richiede il compimento di condotte di molestie o minacce plurime e reiterate, dalle quali deve conseguire nella persona offesa un perdurante e grave stato di ansia o di paura, oppure un fondato timore per la propria incolumità o di una persona legata da relazione affettiva, ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita. L'ammonimento è adottato dal Questore nell'ambito di un potere valutativo ampiamente discrezionale, sulla base di un quadro indiziario che renda verosimile l'esistenza di condotte di stalking, sicché il sindacato del giudice amministrativo è limitato ai casi di manifesta insussistenza dei presupposti di fatto o di manifesta irragionevolezza e sproporzione del provvedimento. Pertanto, il provvedimento di ammonimento è illegittimo qualora non emerga, sulla base degli atti di causa, uno stato soggettivo ed emotivo ansioso o preoccupato della persona offesa, né sia documentato il fondato timore per la sua incolumità o l'alterazione delle sue abitudini di vita, essendo le condotte addebitate riconducibili ad un mero quadro di conflittualità tra coniugi consensualmente separati, innervato da animosità connesse a presunte relazioni extraconiugali, che non è sfociato in manifestazioni patologiche meritevoli di attenzione da parte dell'ordinamento.
La tutela della salute pubblica e del consumatore costituisce l'obiettivo primario dei piani di eradicazione, lotta e sorveglianza della tubercolosi bovina e bufalina, che impongono agli Stati membri l'adozione di misure appropriate per prevenire e ridurre l'insorgenza dei focolai di tale malattia infettiva, trasmissibile anche all'uomo. A tal fine, la normativa nazionale e regionale prevede l'esecuzione di specifiche prove diagnostiche ufficiali, quali la prova intradermica singola (IDT) e, in caso di esito dubbio, la prova intradermica comparativa, nonché, per le aziende non oggetto di focolaio negli ultimi tre anni, l'esecuzione della prova supplementare del gamma-interferone. L'accertamento della positività di almeno un capo bufalino a entrambi i test diagnostici comporta la sospensione della qualifica sanitaria dell'allevamento e la macellazione degli animali infetti, anche al fine di effettuare i necessari approfondimenti diagnostici, in attuazione dei piani di eradicazione approvati dalla Commissione Europea e finanziati dall'Unione. Tali misure, adottate dalle autorità competenti in applicazione della cogente disciplina di settore, non sono sindacabili in sede giurisdizionale se non nei limiti dell'irragionevolezza, in quanto espressione di un'elevata discrezionalità tecnica volta a garantire il preminente interesse pubblico alla tutela della salute. Inoltre, il Regolamento (UE) n. 625/2017 non riconosce il diritto alla controperizia per le "altre attività ufficiali" diverse dai controlli ufficiali, tra le quali rientrano gli accertamenti diagnostici finalizzati all'eradicazione delle malattie animali.
Il provvedimento amministrativo di divieto di detenzione di armi, munizioni ed esplosivi può essere legittimamente adottato dall'Autorità di Pubblica Sicurezza sulla base di una valutazione prognostica, anche in assenza di accertate responsabilità penali, qualora emergano circostanze oggettive e soggettive, complessivamente considerate, ragionevolmente sintomatiche della mancata affidabilità del soggetto nell'uso delle armi, a tutela dell'incolumità pubblica e privata e della sicurezza. In particolare, la sussistenza di una situazione di reale conflittualità in atto nella sfera familiare e di vicinato del destinatario del provvedimento, caratterizzata da litigi, querele e controversie giudiziarie, costituisce di per sé motivo sufficiente a legittimare l'adozione del divieto, in relazione al carattere preventivo di tali misure, volte a scongiurare il pericolo di abuso delle armi, a prescindere dall'accertamento di responsabilità penali. L'Autorità amministrativa gode di ampia discrezionalità nella valutazione dell'affidabilità del soggetto, sindacabile solo per manifesta illogicità, irragionevolezza o travisamento dei fatti, non richiedendosi l'accertamento di un oggettivo ed effettivo abuso nell'uso delle armi, essendo sufficiente che il destinatario non offra adeguate garanzie di non abusarne.
Il possesso di armi da parte di privati cittadini è soggetto a un ampio margine di valutazione discrezionale da parte dell'autorità amministrativa competente, la quale può legittimamente negare o revocare la relativa licenza sulla base di condotte anche non penalmente rilevanti, purché idonee a far dubitare della piena affidabilità e sicurezza del richiedente nell'utilizzo delle armi, al fine di prevenire eventuali pericoli per l'ordine pubblico e la sicurezza. In particolare, l'amministrazione può valutare autonomamente la pericolosità sociale del soggetto, senza necessità di accertamenti penali definitivi, essendo sufficiente che emergano, anche da meri indizi, comportamenti che facciano ragionevolmente temere un non remoto pericolo di inaffidabilità nell'uso delle armi. Il giudizio dell'autorità amministrativa, orientato a prevenire i rischi connessi alla detenzione di armi, è sindacabile dal giudice amministrativo solo per manifesta irragionevolezza o illogicità, non richiedendosi un'istruttoria aggiuntiva sulla pericolosità sociale del richiedente.
Il diniego di rinnovo della licenza di porto d'armi per difesa personale rientra nella discrezionalità dell'autorità di pubblica sicurezza, la quale deve valutare l'esistenza di un "dimostrato bisogno" di eccezionale necessità di autodifesa, non altrimenti surrogabile, rappresentando tale autorizzazione una deroga al divieto generale di detenzione e porto di armi. Il provvedimento di diniego è sindacabile in sede giurisdizionale solo per manifesta illogicità o palese travisamento dei fatti, essendo l'amministrazione tenuta a motivare adeguatamente il mutamento di orientamento rispetto a precedenti determinazioni favorevoli, sulla base di una valutazione complessiva della situazione del richiedente, senza che sia necessario un particolare aggravio motivazionale in caso di mancato rinnovo. L'adozione di criteri generali, a seguito di riunione del tavolo tecnico, costituisce un ottimo modo di organizzare l'esercizio di tali poteri discrezionali, orientando le valutazioni specifiche dei singoli casi e prevenendo favoritismi, disparità di trattamento e valutazioni superficiali.
L'ordinanza contingibile e urgente, quale strumento amministrativo atipico, può essere legittimamente adottata solo in presenza di situazioni di straordinaria necessità ed urgenza, non altrimenti fronteggiabili con i normali mezzi offerti dall'ordinamento, e per il tempo strettamente necessario all'adozione di provvedimenti definitivi. Pertanto, l'assegnazione di un termine eccessivamente breve, come nel caso di soli tre giorni per provvedere alla messa in sicurezza di costoni in precario equilibrio, viola il principio di proporzionalità, in quanto il mezzo adoperato non risulta adeguato rispetto all'obiettivo da perseguire, richiedendo una valutazione circa la necessità e la congruità delle misure che possono essere imposte. L'ordinanza contingibile e urgente, infatti, costituisce uno strumento eccezionale che consente la compressione di diritti ed interessi privati, sicché il suo utilizzo deve essere limitato alle sole ipotesi in cui non sia possibile far fronte alla situazione di pericolo incombente attraverso gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico, nel rispetto del principio di proporzionalità.
Il silenzio serbato dalla pubblica amministrazione su una richiesta di convocazione per la conclusione di una procedura amministrativa, qualora la stessa sia stata successivamente convocata, determina la cessazione della materia del contendere, in quanto il ricorrente ha sostanzialmente ottenuto quanto richiesto con il gravame. In tali casi, le spese di lite possono essere compensate, tenuto conto delle peculiarità del caso concreto, in considerazione del fatto che l'Amministrazione ha provveduto a convocare il ricorrente prima della definizione del giudizio, venendo così meno l'interesse all'accertamento della legittimità del silenzio originariamente opposto. Il principio di diritto che emerge dalla sentenza è che il silenzio serbato dalla pubblica amministrazione su una richiesta di convocazione per la conclusione di una procedura amministrativa, qualora la stessa sia stata successivamente convocata, determina la cessazione della materia del contendere, con possibile compensazione delle spese di lite, in ragione del venir meno dell'interesse all'accertamento della legittimità del silenzio originariamente opposto.
Il provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale di opere edilizie abusive, ai sensi dell'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, presuppone che l'ordine di demolizione sia stato previamente notificato ai soggetti responsabili dell'abuso, i quali non vi abbiano ottemperato nei termini assegnati. Tale misura sanzionatoria non può essere adottata nei confronti di soggetti che non siano stati destinatari dell'ordine di demolizione, in quanto ciò violerebbe i principi costituzionali di tutela della proprietà e del diritto di difesa. Inoltre, l'acquisizione gratuita non può essere disposta per abusi di lieve entità, che non incidano in modo significativo sui volumi e sulle superfici assentite, e che rientrano nell'ambito degli interventi di edilizia libera o realizzabili con SCIA. In tali ipotesi, l'Amministrazione è tenuta a valutare l'applicazione della diversa sanzione ripristinatoria prevista dall'art. 27 del D.P.R. n. 380/2001, che esclude il meccanismo acquisitivo. Infine, l'ordine di demolizione deve essere adeguatamente motivato anche in relazione agli aspetti paesaggistici, ove l'intervento abusivo insista in area vincolata, con onere per l'Amministrazione di esaminare l'eventuale istanza di compatibilità paesaggistica presentata dal privato.
Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: L'acquisizione gratuita al patrimonio comunale di opere edilizie realizzate in parziale difformità dal permesso a costruire o in regime di edilizia libera, senza la previa notifica dell'ordine di demolizione ai proprietari dei singoli immobili interessati, è illegittima per violazione del diritto di difesa e del principio di proporzionalità della sanzione, in quanto la sanzione acquisitiva può essere applicata solo in caso di inottemperanza all'ordine di demolizione notificato al responsabile dell'abuso. Inoltre, la sanzione ripristinatoria ex art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 presuppone la realizzazione di interventi in assenza di permesso o in totale difformità, mentre per opere in parziale difformità o rientranti nell'edilizia libera trovano applicazione le meno gravose sanzioni previste dagli artt. 34 e 34-bis del medesimo decreto, con obbligo di preventiva verifica della sanabilità degli interventi contestati prima dell'adozione di provvedimenti sanzionatori.
Il Tribunale Amministrativo Regionale, nel dichiarare la cessazione della materia del contendere a seguito dell'ottemperanza da parte dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) alla precedente sentenza, afferma il principio per cui, una volta accertato l'adempimento dell'obbligo imposto dal giudice, il processo deve essere definito con la declaratoria di cessazione della materia del contendere, senza ulteriori indagini nel merito. Tale principio trova applicazione anche quando l'adempimento sia intervenuto nelle more della celebrazione dell'udienza, purché risulti documentalmente comprovato e pacificamente riconosciuto dalla parte ricorrente. In tali casi, il giudice è tenuto a prendere atto di quanto rappresentato dalla parte resistente, senza poter entrare nel merito della controversia. Inoltre, in considerazione del tempo trascorso tra la notifica della sentenza e il suo adempimento, il Tribunale ritiene che le spese di lite debbano essere poste a carico della parte soccombente, anche in assenza di una formale declaratoria di soccombenza, in applicazione del principio generale per cui le spese seguono la soccombenza, anche "virtuale".
Il Tribunale Amministrativo Regionale, nell'esaminare il ricorso avverso l'ordinanza di acquisizione al patrimonio comunale di un'autorimessa interrata e di un fondo agricolo, ha affermato i seguenti principi di diritto: 1. L'ordinanza di acquisizione al patrimonio comunale, pur avendo una veste unitaria, può essere scindibile in distinte ed autonome determinazioni, autonomamente lesive. Pertanto, è possibile valutare separatamente la legittimità dell'acquisizione della parte interrata dell'autorimessa e del fondo agricolo. 2. L'acquisizione al patrimonio comunale di beni di proprietà di soggetti diversi dal destinatario dell'ordine di demolizione è illegittima, in quanto tale misura può essere rivolta solo all'autore della violazione o a chi, subentrato nella titolarità del bene, sia stato destinatario dell'ordine di demolizione e non lo abbia ottemperato. 3. L'ordinanza di demolizione emessa nei confronti dell'amministratore di un condominio è illegittima, in quanto gli abusi edilizi realizzati su parti di proprietà esclusiva non possono essere addebitati all'amministratore, mentre per le parti comuni l'ordine di demolizione deve essere rivolto ai singoli condomini, in quanto unici comproprietari. 4. La sanzione ripristinatoria prevista dall'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 presuppone la realizzazione di interventi edilizi in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto al permesso. Pertanto, in caso di meri abusi di tipo "omissivo" o di parziale difformità non rientranti in tali ipotesi, trova applicazione la diversa disciplina di cui all'art. 27 del medesimo D.P.R. 5. L'ordinanza di acquisizione al patrimonio comunale fondata sull'inottemperanza a un precedente ordine di ripristino è legittima, qualora tale ordine sia stato regolarmente notificato al destinatario e questi non vi abbia ottemperato.
Il termine annuale previsto dall'art. 31, comma 2, c.p.a. per la proposizione del ricorso avverso il silenzio-inadempimento della Pubblica Amministrazione costituisce un limite temporale perentorio, la cui inosservanza determina l'irricevibilità del ricorso per tardività. Tale previsione normativa, volta a sanzionare l'inerzia del ricorrente non meno di quella dell'Amministrazione, esprime il principio di diritto secondo cui l'accesso al giudice amministrativo per l'accertamento dell'obbligo di provvedere è temporalmente circoscritto, al fine di assicurare la certezza dei rapporti giuridici e scongiurare l'instaurazione di contenziosi a distanza di tempo dall'inerzia amministrativa. Il rispetto di tale termine decadenziale, pertanto, costituisce un presupposto processuale indefettibile per la valida proposizione del ricorso avverso il silenzio-inadempimento, la cui mancanza determina l'improcedibilità della domanda giudiziale, a prescindere dalla fondatezza della pretesa sostanziale azionata. Tale principio, di carattere generale, trova applicazione in tutti i casi in cui l'ordinamento prevede l'esperibilità dell'azione avverso il silenzio della Pubblica Amministrazione, al fine di assicurare l'effettività della tutela giurisdizionale e scongiurare l'instaurazione di contenziosi a distanza di tempo dall'inerzia amministrativa, garantendo la certezza e la stabilità dei rapporti giuridici.
Il diritto di credito di imposta, di cui il privato lamenta una asserita cessione fraudolenta a suo danno, non è tutelabile attraverso l'azione contro il silenzio-inadempimento della pubblica amministrazione ai sensi degli artt. 31 e 117 del Codice del processo amministrativo. Tale azione, infatti, è esperibile solo quando l'obbligo di provvedere implichi l'esercizio di una potestà autoritativa e vada ad incidere su posizioni di interesse legittimo, mentre non può essere utilizzata per contestare direttamente la lesione di un diritto soggettivo, la cui tutela rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. Pertanto, il rimedio giurisdizionale contro il silenzio della pubblica amministrazione non è applicabile alle controversie aventi ad oggetto diritti di credito, come quello relativo ai crediti di imposta, la cui tutela deve essere richiesta dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria.
Il rilascio di nulla osta al lavoro subordinato stagionale in favore di lavoratori extracomunitari costituisce un provvedimento amministrativo che, una volta emesso, non può essere revocato dall'autorità competente senza il rispetto del contraddittorio procedimentale e senza una adeguata motivazione che giustifichi la revoca stessa. L'amministrazione, pertanto, è tenuta a concludere il procedimento di revoca entro i termini di legge, comunicando preventivamente all'interessato le ragioni che giustificano l'adozione del provvedimento di revoca e consentendogli di presentare le proprie deduzioni. Il mancato rispetto di tali garanzie procedimentali comporta l'illegittimità del provvedimento di revoca, con conseguente obbligo per l'amministrazione di mantenere efficaci i nulla osta precedentemente rilasciati. Inoltre, l'inerzia dell'amministrazione nel concludere il procedimento di revoca entro i termini di legge integra un'ipotesi di silenzio inadempimento, suscettibile di essere impugnata dal destinatario del provvedimento di revoca al fine di ottenere l'adozione del provvedimento finale. In tali casi, il giudice amministrativo è tenuto a dichiarare la cessazione della materia del contendere qualora l'amministrazione abbia provveduto a concludere il procedimento nelle more del giudizio, condannandola tuttavia al pagamento delle spese di lite in ragione della sua iniziale inerzia.
Il diritto di accesso agli atti amministrativi costituisce un principio fondamentale dell'ordinamento giuridico, volto a garantire la trasparenza e il controllo sull'attività della pubblica amministrazione. L'interessato che vanti un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento richiesto, ha diritto di accedere agli atti, anche senza la necessità di indicare gli estremi precisi del documento, essendo sufficiente fornire elementi idonei alla sua identificazione. Il mancato riscontro da parte dell'amministrazione entro il termine di legge comporta il formarsi del silenzio-rifiuto, impugnabile in sede giurisdizionale. In tal caso, il giudice amministrativo può ordinare all'amministrazione di ostendere la documentazione richiesta, con la nomina di un commissario ad acta in caso di ulteriore inadempimento, con addebito delle relative spese a carico dell'ente. Il riconoscimento del diritto di accesso agli atti costituisce un presidio essenziale per la tutela delle situazioni giuridiche soggettive dell'interessato e per l'esercizio del controllo democratico sull'operato della pubblica amministrazione.
Il Tribunale Amministrativo Regionale, nell'esaminare il ricorso proposto da un'impresa individuale agricola avverso il silenzio serbato dall'Amministrazione sui procedimenti di revoca dei nulla osta al lavoro subordinato stagionale rilasciati in favore di determinati lavoratori stranieri, ha affermato i seguenti principi di diritto: 1. Il ricorso è inammissibile per difetto di legittimazione attiva del ricorrente con riferimento a due specifiche istanze di nulla osta, in quanto le stesse erano state presentate non dal titolare dell'impresa ricorrente, bensì da una diversa società di cui egli era stato precedentemente rappresentante legale. 2. Per il resto, la materia del contendere è dichiarata cessata, in quanto l'Amministrazione, nelle more del giudizio, ha posto fine all'inerzia censurata dal ricorrente, riesaminando le pratiche e confermando i nulla osta rilasciati. 3. Le spese di lite sono poste a carico dell'Amministrazione intimata, tenuto conto che la Prefettura ha provveduto a sollecitare il rilascio del parere necessario solo dopo la notifica del ricorso. Pertanto, il Tribunale Amministrativo Regionale ha affermato il principio secondo cui il ricorrente deve dimostrare la propria legittimazione attiva in relazione a ciascuna delle istanze oggetto di impugnazione, non potendo far valere diritti riferibili ad altri soggetti. Inoltre, l'Amministrazione è tenuta a concludere tempestivamente i procedimenti di secondo grado, riesaminando le proprie determinazioni e superando eventuali motivi ostativi, al fine di evitare l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato. In caso di inerzia, le spese di giudizio possono essere poste a carico dell'Amministrazione, anche in considerazione di eventuali ritardi nell'acquisizione di pareri o atti necessari.
Il provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale di opere edilizie abusive non può essere legittimamente adottato quando il proprietario abbia tempestivamente presentato domanda di sanatoria e sia ancora pendente il relativo giudizio di impugnazione del provvedimento di diniego, in quanto in tale situazione non può essere rimproverata al proprietario la mancata ottemperanza all'ordine di demolizione, essendo egli legittimamente in attesa della definizione della domanda di sanatoria. L'Amministrazione, in tal caso, è tenuta a sospendere l'adozione di provvedimenti sanzionatori fino alla conclusione del giudizio sulla domanda di sanatoria, al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per l'irrogazione della sanzione acquisitiva. Il provvedimento di acquisizione gratuita adottato in pendenza del giudizio sulla domanda di sanatoria deve pertanto essere annullato, salvo il potere dell'Amministrazione di rideterminarsi una volta accertata l'effettiva inottemperanza all'ordine di demolizione.
Il rilascio e il rinnovo della licenza di porto d'armi per difesa personale presuppongono la dimostrazione di un effettivo e attuale bisogno di tutela dell'incolumità personale, che non può essere automaticamente desunto dalla mera appartenenza a una determinata categoria professionale o dallo svolgimento di una specifica attività, ma deve essere valutato in concreto sulla base di una pluralità di indicatori, quali la natura dell'attività esercitata, le modalità di svolgimento, il contesto ambientale e operativo, il ruolo e le mansioni svolte dal richiedente, eventuali precedenti episodi criminosi subiti e ogni altra circostanza idonea a integrare la necessità di girare armato per la propria difesa. Pertanto, l'amministrazione competente, nel valutare la sussistenza del "dimostrato bisogno" di cui all'art. 42 del R.D. n. 773/1931, deve effettuare un'approfondita istruttoria volta a verificare concretamente i fattori di rischio connessi all'attività svolta dal richiedente, senza limitarsi a considerazioni di carattere generale o astratto, ma ponderando adeguatamente l'interesse del privato a tutelare la propria incolumità personale contro il pericolo di atti predatori con l'interesse pubblico al contenimento del numero di armi in circolazione. In particolare, nel caso di un perito balistico incaricato di prelevare e trasportare armi per ragioni di servizio, l'amministrazione deve valutare il concreto rischio di atti predatori e di sottrazione illecita delle armi detenute, che potrebbero alimentare il mercato illegale delle armi, bilanciando tali esigenze con la possibilità di rilasciare il porto d'armi ponendo il privato nella condizione di presidio e custode delle armi trasportate per ragioni connesse all'incarico espletato di ausiliario di Polizia Giudiziaria.
Il proprietario o il titolare di diritti reali o personali di godimento su un'area in cui siano stati abbandonati o depositati in modo incontrollato rifiuti speciali, ai sensi dell'art. 192 del d.lgs. n. 152/2006, può essere destinatario di un'ordinanza sindacale che ne imponga la rimozione e il ripristino dello stato dei luoghi, solo a seguito di un accertamento in contraddittorio della sua responsabilità per dolo o colpa nell'aver consentito tale illecito abbandono o deposito. Infatti, la responsabilità del proprietario o del titolare di diritti reali o personali di godimento non deriva automaticamente dalla mera titolarità del diritto sul bene, ma presuppone la sua imputabilità soggettiva della violazione, accertata attraverso un'istruttoria condotta in contraddittorio con gli interessati. In assenza di tale accertamento, l'ordinanza sindacale che imponga le misure di rimozione e bonifica è illegittima per carenza di istruttoria e violazione del principio del contraddittorio procedimentale.
Il ricorso giurisdizionale amministrativo può essere dichiarato improcedibile qualora il ricorrente manifesti la mancanza di interesse alla decisione della controversia, in considerazione del fatto che il processo amministrativo è volto alla tutela di un interesse sostanziale del ricorrente. In tali casi, il giudice amministrativo, pur non entrando nel merito della questione, è tenuto a dichiarare l'improcedibilità del ricorso, compensando le spese processuali in ragione dell'esito in rito del giudizio. Inoltre, il giudice amministrativo, al fine di tutelare i diritti e la dignità della parte interessata, può disporre l'oscuramento delle generalità e di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente, in applicazione della normativa in materia di protezione dei dati personali.
Il provvedimento di divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive (c.d. "Daspo") può essere legittimamente adottato dal Questore nei confronti di coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti, per reati di concorso in violenza privata ed estorsione o per altri delitti contro l'ordine pubblico o di comune pericolo mediante violenza, anche se tali fatti non sono stati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive. Tale misura preventiva, volta a evitare infiltrazioni di soggetti pericolosi e a tutelare l'ordine e la sicurezza pubblica durante gli eventi sportivi, non costituisce una sanzione penale, ma ha natura prevalentemente cautelare e non è pertanto in contrasto con il principio di irretroattività della legge penale sancito dall'art. 7 della CEDU. Il Questore, nel disporre il divieto, deve motivare in ordine alla pericolosità sociale del soggetto, desunta dalla condanna o dalle indagini pendenti, e può determinare la durata della misura in relazione alle circostanze del caso concreto, senza che ciò comporti una irragionevole limitazione della libertà di circolazione, purché il divieto sia circoscritto ai soli giorni e orari di svolgimento delle manifestazioni sportive.
L'avviso orale previsto dal d.lgs. n. 159/2011 può essere adottato dalla Questura sulla base di una valutazione discrezionale di fatti e circostanze indicativi dell'esposizione del destinatario ad occasioni di coinvolgimento personale in attività illecite, anche in assenza di una definitiva condanna penale, purché tale valutazione sia fondata su elementi di fatto che rendano ragionevolmente presumibile la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 1, comma 1, lett. b) e c) del medesimo decreto, ovvero che il soggetto viva abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose ovvero che per il suo comportamento debba ritenersi dedito alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo la sicurezza o la tranquillità pubblica. L'avviso orale, a differenza delle misure di prevenzione, non impone al destinatario specifici vincoli di comportamento, ma si limita a intimargli di tenere una condotta conforme alla legge, senza privarlo della facoltà di compiere atti altrimenti leciti. Pertanto, la valutazione discrezionale della Questura sulla pericolosità sociale delle condotte per le quali il soggetto è sottoposto a processo penale e per la reiterata frequentazione di soggetti segnalati anche per gli stessi reati, se adeguatamente motivata, non è né illogica né irragionevole e giustifica l'adozione dell'avviso orale a tutela dell'ordine pubblico, anche in assenza di una definitiva condanna penale.
La manutenzione e la riparazione delle opere di sostegno e contenimento delle scarpate stradali, qualora siano necessarie per garantire la stabilità e la conservazione della strada, sono a carico dell'ente proprietario della strada, anche se questa è classificata come strada vicinale di uso pubblico. Tuttavia, per le strade vicinali, il Comune è tenuto a concorrere nella spesa di manutenzione, sistemazione e ricostruzione in misura variabile da un quinto sino alla metà della spesa, secondo la diversa importanza della strada. L'ente proprietario della strada vicinale è individuato nella collettività dei proprietari dei fondi laterali e contigui che ne hanno conferito il sedime e ne sono quindi comproprietari pro indiviso. Pertanto, l'ordinanza che impone l'onere della messa in sicurezza della scarpata prospiciente una strada vicinale esclusivamente al proprietario del fondo adiacente è illegittima, in quanto non tiene conto della ripartizione delle spese tra il Comune e i proprietari dei fondi laterali prevista dalla normativa.
Le prestazioni di trattamento ABA (Applied Behaviour Analysis) per minori affetti da disturbi dello spettro autistico hanno natura mista, sanitaria e socio-assistenziale, e non sono riservate in via esclusiva ai soggetti accreditati ai sensi dell'art. 26 della L. n. 833/1978, potendo essere erogate anche da altri operatori, quali cooperative sociali e associazioni, purché in possesso di specifiche competenze ed esperienze nella somministrazione di tali trattamenti. L'amministrazione sanitaria è legittimata a determinare le tariffe per tali prestazioni sulla base dei costi oggettivi delle attività professionali degli operatori coinvolti, senza essere vincolata ai parametri previsti per le prestazioni sanitarie tradizionali, atteso il carattere peculiare e la finalità prevalentemente socio-educativa di tali interventi, che si svolgono principalmente nei contesti di vita del paziente e non all'interno di strutture sanitarie accreditate. Pertanto, l'apertura della procedura selettiva anche a soggetti non accreditati e la determinazione di tariffe differenziate rispetto a quelle previste per le prestazioni riabilitative ex art. 26 L. n. 833/1978 non costituiscono vizi di legittimità, purché siano assicurati adeguati requisiti di professionalità degli operatori incaricati dell'erogazione dei trattamenti ABA.
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