Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Emilia-Romagna

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  • Il mancato adempimento da parte dell'amministrazione di una sentenza definitiva e passata in giudicato comporta l'ordine di esecuzione della stessa entro un termine perentorio, con la nomina di un commissario ad acta in caso di ulteriore inadempienza, al fine di garantire l'effettività della tutela giurisdizionale e il rispetto del principio di legalità. L'amministrazione è tenuta a dare piena esecuzione alle statuizioni contenute nella sentenza definitiva, senza possibilità di opporre ulteriori eccezioni o ritardi, essendo il giudicato vincolante per l'amministrazione stessa. Il giudice amministrativo, nell'ambito del giudizio di ottemperanza, può adottare misure coercitive, anche di natura sostitutiva, per assicurare l'adempimento della sentenza, in attuazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale e del buon andamento della pubblica amministrazione. Il mancato rispetto del giudicato da parte dell'amministrazione comporta la condanna alle spese di giudizio, con distrazione a favore dei difensori della parte vittoriosa.

  • Il Tribunale Amministrativo Regionale, nell'accogliere il ricorso per l'ottemperanza di una sentenza definitiva passata in giudicato, afferma il principio per cui l'Amministrazione è tenuta a dare esecuzione alle statuizioni contenute nel giudicato entro il termine assegnato, pena l'ordine di adempimento da parte di un commissario ad acta nominato in sostituzione. Ciò al fine di garantire l'effettività della tutela giurisdizionale e il rispetto del principio di legalità, sanzionando l'inerzia dell'Amministrazione inadempiente con l'applicazione di una penalità di mora sotto forma di interessi legali. Il Tribunale, pertanto, riconosce il dovere dell'Amministrazione di conformarsi prontamente alle decisioni giurisdizionali definitive, quale corollario del principio di separazione dei poteri e di soggezione dell'Amministrazione alla legge, a tutela dei diritti e degli interessi legittimi dei cittadini.

  • Il Tribunale Amministrativo Regionale, nell'accogliere il ricorso per l'ottemperanza di una sentenza definitiva passata in giudicato, afferma il principio per cui l'Amministrazione è tenuta a dare esecuzione alle statuizioni contenute nel giudicato entro il termine assegnato, pena l'ordine di adempimento da parte di un commissario ad acta nominato in sostituzione dell'Amministrazione inadempiente. La mancata esecuzione spontanea del giudicato da parte dell'Amministrazione comporta altresì la condanna al pagamento degli interessi legali a titolo di penalità di mora, decorrenti dalla comunicazione o notificazione della sentenza di ottemperanza fino all'adempimento, ovvero fino all'esecuzione sostitutiva da parte del commissario ad acta. Il Tribunale, nel pronunciare la sentenza di ottemperanza, condanna l'Amministrazione al pagamento delle spese di giudizio con distrazione a favore dei difensori.

  • Il giudice amministrativo, accertata la sopravvenuta cessazione della materia del contendere a seguito dell'ottemperanza alla precedente sentenza, condanna l'amministrazione resistente al pagamento delle spese di giudizio in favore del ricorrente, liquidandole in una somma complessiva, oltre accessori di legge, e ordinando l'esecuzione della sentenza da parte dell'autorità amministrativa. Tale principio afferma il dovere dell'amministrazione di dare piena esecuzione alle pronunce giurisdizionali, anche attraverso il ristoro delle spese legali sostenute dal cittadino per ottenere l'adempimento, quale corollario del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva e del principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato. La liquidazione delle spese, inoltre, costituisce un rimedio volto a compensare il ricorrente per l'attività processuale svolta e a scoraggiare comportamenti dilatori o ostruzionistici della pubblica amministrazione, assicurando l'effettività della tutela giurisdizionale. Il giudice amministrativo, pertanto, nell'accertare la cessazione della materia del contendere, è tenuto a pronunciarsi sulla regolazione delle spese di giudizio, quale elemento essenziale della decisione, in applicazione dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo.

  • Il Tribunale Amministrativo Regionale, nell'ambito del giudizio di ottemperanza, dichiara la sopravvenuta cessazione della materia del contendere quando l'Amministrazione intimata abbia già dato esecuzione alla sentenza precedentemente emessa dal giudice del lavoro, ordinando il pagamento delle spese di giudizio a carico dell'Amministrazione soccombente. In tali casi, il giudice amministrativo, preso atto dell'avvenuta ottemperanza, non entra nel merito della controversia, ma si limita a dichiarare l'estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere e a liquidare le spese processuali, in applicazione del principio di soccombenza.

  • Il giudice amministrativo, in caso di perdurante inadempienza dell'amministrazione all'esecuzione di una sentenza definitiva passata in giudicato, può ordinare all'amministrazione di dare esecuzione alle statuizioni contenute nella sentenza entro un termine perentorio, con facoltà di nominare un commissario ad acta in caso di ulteriore inadempienza, nonché condannare l'amministrazione al pagamento degli interessi legali a titolo di penalità di mora decorrenti dalla comunicazione o notificazione della sentenza di ottemperanza fino all'adempimento spontaneo o all'esecuzione in via sostitutiva del giudicato. Tale pronuncia si fonda sul principio di effettività della tutela giurisdizionale, in base al quale l'accertamento giurisdizionale del diritto non può rimanere privo di conseguenze pratiche, imponendosi all'amministrazione l'obbligo di dare esecuzione alla sentenza definitiva entro un termine perentorio, pena l'intervento del giudice con poteri sostitutivi e sanzionatori. Il giudice amministrativo, pertanto, è tenuto a garantire l'attuazione concreta del giudicato, assicurando l'effettività della tutela giurisdizionale e sanzionando l'inerzia della pubblica amministrazione, al fine di evitare che il riconoscimento di un diritto in sede giurisdizionale rimanga privo di effettività. Tale principio si applica anche nei confronti di amministrazioni centrali dello Stato, come il Ministero dell'Istruzione e del Merito, al fine di assicurare il rispetto del giudicato e la piena attuazione delle statuizioni contenute nella sentenza definitiva.

  • Il Tribunale Amministrativo Regionale, nell'accogliere il ricorso per l'ottemperanza di una sentenza definitiva passata in giudicato, afferma il principio per cui l'Amministrazione è tenuta a dare esecuzione alle statuizioni contenute nella sentenza entro il termine assegnato, pena la nomina di un commissario ad acta che provveda in sua sostituzione. Tale principio si fonda sull'obbligo dell'Amministrazione di conformarsi ai giudicati, a tutela dell'effettività della giustizia amministrativa e del rispetto del principio di legalità. Il mancato adempimento da parte dell'Amministrazione comporta, pertanto, l'ordine di esecuzione della sentenza e la nomina di un commissario ad acta, con conseguente condanna alle spese di giudizio. La massima sottolinea l'importanza del rispetto del giudicato amministrativo e della necessità di assicurare l'attuazione concreta delle decisioni giurisdizionali, quale presidio fondamentale dello Stato di diritto.

  • Il mancato adempimento da parte dell'amministrazione di una sentenza definitiva e passata in giudicato comporta l'obbligo di ottemperanza, con la conseguente nomina di un commissario ad acta che provveda in sostituzione dell'amministrazione inadempiente, al fine di garantire l'effettività della tutela giurisdizionale e il rispetto del principio di legalità. L'inottemperanza dell'amministrazione alle statuizioni contenute in una sentenza definitiva e passata in giudicato determina l'ordine di esecuzione della stessa entro un termine perentorio, decorso il quale il giudice nomina un commissario ad acta con il compito di provvedere in sostituzione dell'amministrazione, al fine di assicurare l'attuazione del giudicato e il rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione. Il mancato adempimento della sentenza definitiva e passata in giudicato da parte dell'amministrazione comporta, pertanto, l'obbligo di ottemperanza, con la conseguente nomina di un commissario ad acta che provveda in sostituzione dell'amministrazione inadempiente, al fine di garantire l'effettività della tutela giurisdizionale e il rispetto del principio di legalità. Il giudice, nell'accogliere il ricorso per ottemperanza, ordina all'amministrazione di dare esecuzione alla sentenza definitiva e passata in giudicato entro un termine perentorio, decorso il quale nomina un commissario ad acta con il compito di provvedere in sostituzione dell'amministrazione inadempiente, al fine di assicurare l'attuazione del giudicato e il rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione.

  • Il Tribunale Amministrativo Regionale, nell'accogliere il ricorso per l'ottemperanza di una sentenza definitiva e passata in giudicato, afferma il principio per cui l'Amministrazione è tenuta a dare esecuzione alle statuizioni contenute nella sentenza entro il termine assegnato, pena la nomina di un commissario ad acta che provveda in sua sostituzione. Tale principio si fonda sulla necessità di garantire l'effettività della tutela giurisdizionale e il rispetto del giudicato, imponendo all'Amministrazione l'obbligo di conformarsi prontamente alle decisioni giudiziali definitive, senza ulteriori ritardi o inadempimenti. L'Amministrazione non può sottrarsi all'esecuzione della sentenza, neppure attraverso calcoli o liquidazioni non vincolanti per il giudice, dovendo invece procedere autonomamente a quantificare e corrispondere quanto dovuto in attuazione del giudicato. Il mancato adempimento entro il termine assegnato comporta, quale ulteriore conseguenza, la nomina di un commissario ad acta, al fine di assicurare l'esecuzione forzata della sentenza e la realizzazione effettiva del diritto riconosciuto al ricorrente. Tale principio, di carattere generale, trova applicazione ogni qualvolta l'Amministrazione non dia tempestiva esecuzione a una sentenza definitiva e passata in giudicato, a tutela della certezza del diritto e dell'effettività della giustizia amministrativa.

  • Il mancato adempimento da parte dell'amministrazione di una sentenza definitiva e passata in giudicato comporta l'obbligo di esecuzione della stessa entro un termine perentorio, con la possibilità di nomina di un commissario ad acta in caso di ulteriore inadempienza, al fine di garantire l'effettività della tutela giurisdizionale e il rispetto del principio di legalità. L'amministrazione è tenuta a dare esecuzione alla sentenza definitiva, senza possibilità di opporre ulteriori eccezioni o contestazioni, dovendo conformarsi prontamente al giudicato. Il giudice amministrativo, nell'ambito dei propri poteri di ottemperanza, può adottare misure idonee a garantire l'adempimento dell'obbligo di esecuzione, anche attraverso la nomina di un commissario ad acta, al fine di assicurare l'effettività della tutela giurisdizionale e il rispetto del principio di legalità. Il mancato adempimento della sentenza definitiva da parte dell'amministrazione comporta la condanna alle spese di giudizio, con distrazione a favore dei difensori.

  • Il mancato adempimento da parte dell'amministrazione di una sentenza definitiva e passata in giudicato, comporta l'ordine di esecuzione della stessa entro un termine perentorio, con la nomina di un commissario ad acta in caso di ulteriore inadempienza, al fine di garantire l'effettività della tutela giurisdizionale e il rispetto del principio di legalità. L'amministrazione è tenuta a dare esecuzione alla sentenza, calcolando autonomamente gli importi dovuti, senza essere vincolata ai conteggi di parte, e sostenendo le spese di giudizio conseguenti alla soccombenza.

  • Il riparto dei seggi consiliari in elezioni comunali deve essere effettuato non solo sulla base dei risultati elettorali delle singole liste, ma anche tenendo conto dei raggruppamenti di liste collegate ai candidati sindaco. Pertanto, una volta determinato il numero complessivo dei seggi spettanti a ciascuno schieramento, ai sensi dell'art. 73, comma 8, del d.lgs. n. 267/2000, si procede alla ripartizione di tali seggi nell'ambito di ciascun gruppo di liste collegate, applicando il medesimo metodo (cd. D'Hondt), al fine di determinare il numero dei seggi spettanti a ciascuna lista. Tale interpretazione è coerente con la ratio della norma, che attribuisce rilevanza alle coalizioni tra gruppi di liste, anche nella fase decisiva del riparto dei seggi a seguito di ballottaggio. Conseguentemente, è illegittima la ripartizione dei seggi effettuata esclusivamente sulla base dei risultati delle singole liste, senza considerare i raggruppamenti di liste collegate ai candidati sindaco, in quanto tale approccio può condurre a risultati contrastanti con la finalità della disciplina elettorale, come nel caso in cui alla coalizione risultata terza per numero complessivo di voti venga assegnato un numero di seggi maggiore di quello attribuito alla coalizione risultata seconda.

  • Il rigetto di un'istanza di regolarizzazione per lavoratore domestico, ai sensi dell'art. 103 del d.l. n. 34 del 2020, può essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, qualora il ricorrente rinunci al ricorso proposto avverso tale provvedimento. In tali casi, le spese di lite devono essere integralmente compensate, in considerazione della particolarità della controversia. Il principio di diritto che emerge è che il venir meno dell'interesse del ricorrente a coltivare il giudizio, a seguito di rinuncia, determina l'improcedibilità del ricorso, con conseguente compensazione delle spese processuali, in ragione delle peculiari circostanze della fattispecie concreta. La massima valorizza il rilievo attribuito alla rinuncia del ricorrente quale causa di cessazione della materia del contendere, nonché l'esigenza di equità e proporzionalità nella regolazione delle spese, tenuto conto della specificità della vicenda giudiziaria.

  • Il conferimento di incarichi di funzione professionale all'interno dell'Area dei Professionisti della Salute e dei Funzionari del ruolo sanitario, disciplinato dal CCNL Area Comparto Sanità 2019-2021, non costituisce una "progressione verticale" ai sensi dell'art. 63, comma 4, d.lgs. n. 165/2001, ma un mero atto di gestione del rapporto di lavoro di natura privatistica, rientrante nella giurisdizione del Giudice Ordinario. Tali incarichi, infatti, non determinano il passaggio ad una categoria o area superiore, ma comportano solo l'attribuzione di funzioni aggiuntive e/o maggiormente complesse nell'ambito del profilo di appartenenza, con assunzione diretta di responsabilità, e una corrispondente valorizzazione economica nel quadro della graduazione degli incarichi prevista a livello aziendale. Pertanto, le controversie relative a procedure selettive interne per il conferimento di tali incarichi di funzione professionale non rientrano nella giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, ma sono devolute alla cognizione del Giudice Ordinario, in funzione di Giudice del Lavoro. La giurisprudenza ha infatti chiarito che non rientrano tra le "progressioni verticali" le progressioni meramente economiche o che comportano il conferimento di qualifiche più elevate, ma comprese nella stessa area, categoria o fascia di inquadramento e, come tali, caratterizzate da profili professionali omogenei nei tratti fondamentali, diversificati sotto il profilo quantitativo piuttosto che qualitativo.

  • Il provvedimento amministrativo di rigetto della richiesta di conversione del permesso di soggiorno per motivi di studio in permesso di soggiorno per lavoro subordinato è illegittimo qualora l'amministrazione abbia omesso di considerare le osservazioni presentate dall'interessato in merito all'adeguatezza del reddito del datore di lavoro e alla natura a tempo pieno e indeterminato del rapporto di lavoro proposto, nonché abbia provveduto sull'istanza prima della scadenza del termine di dieci giorni assegnato allo straniero per produrre chiarimenti, in violazione dell'art. 10-bis della legge n. 241 del 1990. Infatti, il requisito necessario per la conversione del permesso di soggiorno è la disponibilità di un reddito minimo sufficiente a garantire allo straniero un'esistenza dignitosa, la cui carenza deve essere adeguatamente contestata e motivata dall'amministrazione, senza che assumano rilievo determinante il mancato utilizzo del modello Q o la circostanza che il rapporto di lavoro proposto preveda un impegno inferiore alle 20 ore settimanali, purché comunque idoneo a garantire allo straniero un'esistenza dignitosa.

  • Il permesso di soggiorno per motivi di studio può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, anche al di fuori delle quote previste, purché prima della sua scadenza e previa stipula del contratto di soggiorno per lavoro ovvero previo rilascio della certificazione attestante la sussistenza dei requisiti di legge. La revoca del nulla osta al lavoro precedentemente rilasciato non può essere fondata sulla mancata dimostrazione della "continuità lavorativa", in quanto tale requisito non è previsto dalla legge. L'Amministrazione, prima di revocare il nulla osta, deve contestare formalmente allo straniero l'eventuale mancata sottoscrizione del contratto di lavoro, unica causa di revoca espressamente indicata nel nulla osta stesso. L'annullamento del provvedimento di revoca del nulla osta rimette all'Amministrazione il riesame dell'istanza dello straniero, senza che ciò comporti alcuna pronuncia sulla sussistenza dei requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

  • Il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una malattia sofferta da un militare impegnato in missioni all'estero in teatri di guerra o contesti operativi degradati e pericolosi, pur in assenza di una chiara evidenza scientifica circa il nesso causale diretto tra l'esposizione a fattori di rischio ambientali e l'insorgenza della patologia, può essere fondato su una dimostrazione in termini probabilistico-statistici, in considerazione della particolare posizione di responsabilità dell'Amministrazione della Difesa e dell'obbligo di adottare ogni misura idonea a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei militari. Pertanto, una volta accertata l'esposizione del militare a fattori di rischio connessi al servizio prestato in contesti operativi complessi e degradati, grava sull'Amministrazione l'onere di fornire un principio di prova circa l'intervento di un fattore oncogenetico alternativo e diverso rispetto a quelli presenti nel teatro operativo, al fine di escludere il nesso di causalità tra la malattia e il servizio svolto. In assenza di tale prova, il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della patologia e della conseguente corresponsione dell'equo indennizzo deve essere disposto.

  • Il permesso di soggiorno per protezione speciale rilasciato ai sensi dell'art. 32, comma 3, del D.Lgs. n. 25/2008, in corso di validità al momento dell'entrata in vigore del D.L. n. 20/2023, può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, ai sensi dell'art. 6, comma 1-bis, lett. a), del D.Lgs. n. 286/1998 nella sua formulazione previgente, in applicazione della disciplina transitoria di cui all'art. 7, comma 3, del D.L. n. 20/2023, a condizione che ne ricorrano i requisiti di legge, nonostante l'abrogazione della predetta possibilità di conversione operata dal D.L. n. 20/2023. L'Amministrazione è tenuta a valutare la sussistenza di tali requisiti, non potendo dichiarare irricevibile la relativa istanza di conversione presentata prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina.

  • Il personale della Polizia di Stato e delle forze di polizia con qualifiche equiparate, che cessa dal servizio per età, per sopravvenuta inabilità permanente o per decesso, ha diritto al computo di sei scatti stipendiali aggiuntivi, ciascuno pari al 2,50% da calcolarsi sull'ultimo stipendio, ai fini del calcolo della base pensionabile e della liquidazione dell'indennità di buonuscita, a prescindere dalla modalità di cessazione dal servizio (d'ufficio o a domanda), purché abbia maturato almeno 55 anni di età e 35 anni di servizio utile. Il termine del 30 giugno dell'anno in cui sono maturati i requisiti di età e servizio, previsto dall'art. 6-bis, comma 2, del d.l. n. 387/1987, non ha natura decadenziale, ma rappresenta un mero onere per l'interessato, incidente sulla tempistica di soddisfazione dell'aspettativa di collocamento a riposo, senza precludere il diritto al beneficio in caso di presentazione della domanda in epoca successiva. La disciplina di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 165/1997 riguarda l'applicazione dei sei scatti stipendiali ai fini pensionistici e non incide sull'attribuzione del beneficio ai fini dell'indennità di buonuscita.

  • Il personale della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza e delle forze di polizia con qualifiche equiparate, che cessa dal servizio per età, per essere divenuto permanentemente inabile al servizio o per decesso, ha diritto, ai fini del calcolo della base pensionabile e della liquidazione dell'indennità di buonuscita, all'attribuzione di sei scatti ciascuno del 2,50% da calcolarsi sull'ultimo stipendio, a condizione che abbia compiuto i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile, indipendentemente dalla modalità di cessazione dal servizio (d'ufficio o a domanda). Il termine del 30 giugno previsto dalla norma per la presentazione della domanda di collocamento in quiescenza non ha natura decadenziale, ma rappresenta un onere per l'interessato, incidente sulla tempistica di soddisfazione dell'aspettativa di collocamento a riposo, senza che il mancato rispetto di tale termine possa impedire il riconoscimento del beneficio dei sei scatti stipendiali.

  • Il personale militare dell'Arma dei Carabinieri, che cessa dal servizio per limiti di età o per inabilità permanente, avendo maturato almeno 55 anni di età e 35 anni di servizio utile, ha diritto all'attribuzione, ai fini del calcolo della base pensionabile e della liquidazione dell'indennità di buonuscita (TFS), di sei scatti stipendiali ciascuno del 2,50% sull'ultimo stipendio, in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante, ai sensi dell'art. 6-bis del d.l. n. 387/1987. Tale beneficio spetta anche al personale che chieda il collocamento in quiescenza, a condizione che la relativa domanda sia presentata entro il 30 giugno dell'anno in cui sono maturati i requisiti di età e servizio, senza che il mancato rispetto di tale termine possa comportare conseguenze decadenziali, in quanto esso rappresenta un mero onere per l'interessato, incidente sulla tempistica di soddisfazione dell'aspettativa di collocamento a riposo. L'art. 4 del d.lgs. n. 165/1997, che ha disciplinato l'applicazione dei sei scatti stipendiali alla sola pensione, non incide sull'attribuzione di tale beneficio ai fini dell'indennità di buonuscita (TFS), che rimane a carico della fiscalità generale.

  • Il personale della Polizia di Stato appartenente ai ruoli dei commissari, ispettori, sovrintendenti, assistenti e agenti, al personale appartenente ai corrispondenti ruoli professionali dei sanitari e del personale della Polizia di Stato che espleta attività tecnico-scientifica o tecnica ed al personale delle forze di polizia con qualifiche equiparate, che cessa dal servizio per età o perché divenuto permanentemente inabile al servizio o perché deceduto, ha diritto, ai fini del calcolo della base pensionabile e della liquidazione dell'indennità di buonuscita, e in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante, all'attribuzione di sei scatti ciascuno del 2,50% da calcolarsi sull'ultimo stipendio ivi compresi la retribuzione individuale di anzianità e i benefìci stipendiali di cui agli articoli 30 e 44 della L. 10 ottobre 1986, n. 668, all'articolo 2, commi 5, 6 10 e all'articolo 3, commi 3 e 6 del D.L. n. 387/1987. Tale disposizione si applica anche al personale che chieda di essere collocato in quiescenza a condizione che abbia compiuto i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile, indipendentemente dal rispetto del termine del 30 giugno dell'anno nel quale sono maturate entrambe le predette anzianità, in quanto tale termine non ha natura decadenziale ma rappresenta un mero onere per l'interessato, incidente sulla tempistica di soddisfazione dell'aspettativa di collocamento a riposo. Pertanto, il diritto ai sei scatti stipendiali previsti dall'art. 6-bis del D.L. n. 387/1987 spetta anche al personale che abbia maturato i requisiti di età e servizio, a prescindere dalla data di presentazione della domanda di collocamento in quiescenza.

  • Il diritto ai benefici economici previsti dall'art. 6-bis del D.L. n. 387/1987, consistenti nell'attribuzione di sei scatti stipendiali ai fini del calcolo della base pensionabile e della liquidazione dell'indennità di buonuscita, è riconosciuto esclusivamente al personale appartenente alle forze di polizia, sia ad ordinamento civile che militare, che cessa dal servizio per età, per inabilità permanente o per decesso, nonché a coloro che chiedono il collocamento in quiescenza avendo compiuto i 55 anni di età e i 35 anni di servizio utile, con esclusione del personale delle Forze Armate che non rientra nella nozione di forze di polizia ai sensi dell'art. 16 della L. n. 121/1981. Pertanto, tale beneficio non spetta al personale militare appartenente all'Esercito Italiano, come il ricorrente, in quanto non ricompreso tra le categorie destinatarie della disciplina di cui all'art. 6-bis del D.L. n. 387/1987.

  • Il mutamento di destinazione d'uso di un immobile, anche in assenza di interventi edilizi, comporta l'obbligo di corrispondere il contributo di costruzione solo qualora determini il passaggio ad una diversa categoria funzionale tra quelle previste dalla legge (residenziale, turistico-ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale, rurale), con conseguente aumento del carico urbanistico. Ove il mutamento di destinazione d'uso avvenga nell'ambito della medesima categoria funzionale, non sussiste l'obbligo di corrispondere il contributo di costruzione, anche se l'attività svolta nell'immobile risulti diversa da quella precedente, purché rientri nella stessa categoria. Pertanto, il mero passaggio da attività di commercio all'ingrosso ad attività artigianale di servizio agli autoveicoli, ove entrambe rientrino nella medesima categoria funzionale "produttiva" secondo la disciplina urbanistica comunale, non determina l'insorgenza dell'obbligo di corrispondere il contributo di costruzione per mutamento di destinazione d'uso con aumento del carico urbanistico. In tal caso, il Comune non può pretendere il pagamento della monetizzazione degli oneri di urbanizzazione primaria (parcheggi pubblici), dovendo restituire le somme già versate a tale titolo.

  • La proroga dell'autorizzazione all'attività estrattiva può essere concessa dal Comune solo nel caso in cui, alla data della domanda di proroga, non siano state estratte le quantità autorizzate, e comunque per una durata non superiore a un anno. Tale proroga costituisce una facoltà discrezionale dell'amministrazione, che deve valutare la sussistenza dei presupposti normativi e l'interesse pubblico sotteso all'attività estrattiva, senza che il privato possa vantare un affidamento incolpevole sulla reiterazione della proroga qualora questa risulti in contrasto con la disciplina di legge. L'ordine di ripristino dei luoghi e di allontanamento delle attrezzature, conseguente alla mancata proroga, non richiede una specifica motivazione in quanto costituisce l'adempimento di un obbligo convenzionalmente assunto dal titolare dell'autorizzazione. L'amministrazione non è tenuta a qualificare come "nuova domanda" l'istanza di proroga presentata oltre il termine di durata dell'autorizzazione, essendo la disciplina normativa in materia di attività estrattive dirimente nel prevedere la possibilità di una sola proroga, e non dovendo l'amministrazione comunque concedere proroghe oltre i limiti di legge per tutelare l'interesse pubblico sotteso all'attività estrattiva.

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