Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Emilia-Romagna

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  • 1 REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati Oggetto Responsabilità civile per danno da animale selvatico GIACOMO TRAVAGLINO Presidente ENRICO SCODITTI Consigliere - Rel. CHIARA GRAZIOSI Consigliere ENZO VINCENTI Consigliere Cron. R.G.N. 4745/2020 PAOLO PORRECAConsigliere Ud.22/4/2024 PU Cron. R.G.N24493/2021 Ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 24493/2021 R.G. proposto da: ATC AMBITO TERRITORIALE DI CACCIA RAVENNA 3, elettivamente domiciliato in ROMA CORSO VITTORIO EMANUELE II 308, presso lo studio dell’avvocato RUFFOLO UGO (RFFGUO42D02I872U) che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato LOCCISANO VALTER (LCCVTR76B01I725W) -ricorrente- contro PAGLIAI ARMANDO E GIORGIO SS SOC. AGRICOLA AZIENDA AGRICOLA PAGLIAI, elettivamente domiciliato in Roma via delle Milizie 2 22, presso lo studio dell’avvocato ARONICA WALTER (RNCWTR80P23H501A) rappresentato e difeso dall'avvocato DOLCINI SILVIA (DLCSLV59H58D458J) -controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D'APPELLO BOLOGNA n. 1136/2021 depositata il 11/05/2021. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 22/04/2024 dal Consigliere ENRICO SCODITTI; sentite le parti ed il Pubblico Ministero GIOVANNI BATTISTA NARDECCHIA. Fatti di causa 1. Con atto di citazione notificato in data 11 luglio 2012 l’Azienda Agricola Pagliai Armando e Giorgio s.s. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Ravenna l'Ambito Territoriale di Caccia Ravenna 3 chiedendo il risarcimento del danno causato dall’azione di cinghiali e caprioli sui propri fondi coltivati siti nel Comune di Brisighella. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda. 2. Il Tribunale adito accolse la domanda, condannando il convenuto al risarcimento del danno nella misura di Euro 20.965,00, oltre accessori. 3. Avverso detta sentenza propose appello l’Ambito Territoriale. Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello. 4. Con sentenza di data 11 maggio 2021 la Corte d’appello di Bologna rigettò l’appello. Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, che, diversamente da quanto affermato da Cass. n. 2374 del 2016 in relazione ad un fatto accaduto nel 1997, in relazione al fatto in questione, verificatosi nel 2011, doveva aversi riguardo, ai fini del riconoscimento della sussistenza della legittimazione passiva del convenuto, alle modifiche intervenute prima con la legge regionale n. 3 6 del 2000, e poi con la legge regionale n. 16 del 2007, alla legge regionale n. 8 del 1994. In particolare, osservò quanto segue. «L’art. 17 della L.R. 8/1994 prevedeva nella formulazione originaria che gli oneri per il contributo al risarcimento dei danni arrecati alle produzioni agricole e alle opere approntate su terreni coltivati ed a pascolo dalle specie di fauna selvatica sono a carico delle Provincie, qualora siano provocati nelle zone di protezione, anche se in gestione convenzionata ovvero, per quanto di rilievo in questa sede, degli ambiti territoriali di caccia qualora si siano verificati nei fondi ivi compresi. Con la L.R. 6/2000 si è disposto che la legittimazione è degli ambiti territoriali di caccia, qualora gli eventi lesivi si siano verificati nei fondi ivi ricompresi, oppure delle Province, qualora siano provocati nelle zone di protezione di cui all'art. 19 e nei parchi e nelle riserve naturali regionali, comprese quelle aree contigue ai parchi dove non è consentito l'esercizio venatorio. Con L.R. 16/2007 si è provveduto a modificare ulteriormente la disciplina di cui trattasi confermando la legittimazione degli ambiti territoriale di caccia per le specie di cui si consente il prelievo venatorio, qualora gli eventi lesivi si siano verificati nei fondi ivi ricompresi». 5. Ha proposto ricorso per cassazione l'Ambito Territoriale di Caccia Ravenna 3 sulla base di un motivo. Resiste con controricorso la parte intimata. Il Pubblico Ministero ha presentato le conclusioni scritte, concludendo per l’accoglimento del ricorso. E’ stata depositata memoria di parte. Ragioni della decisione 1. Con il motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 26 legge n. 157 del 1992, 16, 17 e 18 legge regionale n. 8 del 1994, 111 Cost., 132 n. 4 e 118 att. cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale ha ravvisato la sussistenza della legittimazione passiva in capo al ricorrente nonostante le modifiche richiamate alla 4 legge regionale non modificassero, per la parte rilevante, la legge regionale n. 8 del 1994, così come interpretata da Cass. n. 2375 del 2016, la quale aveva individuato nella Provincia il soggetto passivamente legittimato, posto che la lieve modifica intervenuta aveva toccato solo l’art. 17, il quale prevede, come affermato da Cass. n. 2375 del 2016, la ripartizione interna fra la Provincia e gli altri soggetti (fra cui l’Ambito Territoriale) degli oneri relativi ai contributi per il fondo regionale, previsto dall’art. 26 legge n. 157 del 1992 per i danni arrecati alle produzioni agricole dalle specie di fauna selvatica cacciabile. Aggiunge che la motivazione, alla luce di quanto osservato, risulta anche apparente. 1.1 Deve premettersi all’esame del motivo che il ricorrente ha depositato copia della sentenza impugnata, con asseverazione di autenticità, priva però dell’indicazione della data di pubblicazione (c.d. glifo). La questione, per come ha già trovato modo di declinarsi nella giurisprudenza di questa Corte, è riassumibile nei seguenti termini: se il deposito di sentenza digitale priva della stampigliatura (quest’ultima indicata, in taluni precedenti, atecnicamente come “glifo”), apposta in via automatica dal sistema informatico di gestione dei servizi di cancelleria, indicante la data di deposito ed il numero del provvedimento, valga o meno a soddisfare l’onere di deposito del provvedimento impugnato previsto a pena di improcedibilità dall’art. 369 c.p.c., ovvero, in assenza dei predetti dati, debba addivenirsi, altrimenti, ad una pronuncia di inammissibilità del ricorso per tardività, ove non si ritenga superata la c.d. prova di resistenza. 1.2. – Occorre, anzitutto, dare evidenza, in estrema sintesi, alle soluzioni (con gli argomenti che le sorreggono) sinora adottate dalla giurisprudenza di questa Corte, alla luce di una ricognizione di cui si fa carico, in modo ampio, la memoria del pubblico ministero e alla quale, dunque, giova richiamarsi. 5 1.2.1. – L’improcedibilità del ricorso per cassazione è stata dichiarata (tra le altre: Cass. n. 29803/2020, Cass. n. 5771/2023, Cass. n. 8535/2023, Cass. n. 10180/2023, Cass. n. 23694/2023, Cass. n. 25472/2023, Cass. n. 28035/2023, Cass. n. 36379/2023) nel caso in cui la sentenza impugnata, redatta in formato digitale, risulti priva dell’attestazione di cancelleria circa l’avvenuta pubblicazione, la relativa data e il conseguente numero di pubblicazione, sia perché i suddetti adempimenti sono gli unici che permettono alla Corte di controllare se e quando il provvedimento impugnato sia effettivamente venuto ad esistenza, sia perché la produzione di una copia della sentenza incerta nella data e priva del numero identificativo non consente di verificare la tempestività dell’impugnazione, né, in caso di accoglimento del ricorso, di formulare un corretto dispositivo che, coordinato con la motivazione, individui con esattezza il provvedimento cassato. In particolare, gli argomenti a sostegno dell’improcedibilità (Cass. n. 5771/2023) muovono dal rilievo che «la disposizione dell’art. 16- bis, comma 9-bis, del d.l. n. 179/2012 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 221/2012) - introdotta dall’art. 52, comma 1, lett. a), del d.l. n. 90/2014 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 114/2014) - che stabilisce la equivalenza all’originale delle copie informatiche, anche per immagine, dei provvedimenti del Giudice “anche se prive della firma digitale del cancelliere di attestazione di conformità all’originale”» attribuisce «al difensore il potere di certificazione pubblica delle “copie analogiche ed anche informatiche, anche per immagine, estratte dal fascicolo informatico” ma non anche la competenza amministrativa riservata al funzionario di Cancelleria relativa alla “pubblicazione” della sentenza». Si è, quindi, ritenuto che, “per quanto in linea generale sia possibile produrre in giudizio copie o duplicati del provvedimento impugnato estratti dal fascicolo telematico, attestando la conformità del relativo contenuto all’originale 6 contenuto nel predetto fascicolo, ai fini della procedibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 369 c.p.c. deve comunque trattarsi di copie o duplicati recanti l’attestazione di Cancelleria della pubblicazione del provvedimento, con la relativa data e il numero attribuito dal sistema”, altrimenti resterebbe preclusa alla Corte la verifica circa l’effettiva venuta ad esistenza del provvedimento impugnato e del suo numero identificativo. 1.2.2. – L’inammissibilità del ricorso è stata dichiarata (tra le altre: Cass. n. 18510/2023, Cass. n. 29263/2023, Cass. n. 36189/2023, Cass. n. 817/2024, Cass. n. 841/2024) nel caso in cui il ricorrente depositi un duplicato della sentenza telematica dal quale non si evince la data di pubblicazione e la notificazione del ricorso è avvenuta in una data che non risulta tempestiva - se calcolata in relazione al giorno della decisione indicato nel testo del provvedimento - rispetto al termine dell’art. 327, comma primo, c.p.c. Va, peraltro, posto in evidenza che, nel superare la soluzione dell’improcedibilità del ricorso, questa Corte, in base a questo orientamento, ha affermato (in un caso in cui ha avuto esito positivo la c.d. “prova di resistenza” sulla tempestività dell’impugnazione: Cass. n. 865/2024) che la «copia analogica prodotta, pur con le dette omissioni, non si può considerare come copia non autentica, in quanto risulta ─ e vi è in tal senso anche espressa asseverazione del Procuratore dello Stato resa ai sensi dell’art. 16-bis, comma 9-bis, 16- decies e 16-undecies d.l. n. 179 del 2012 ─ “tratta con modalità telematiche” e “conforme” allo “esemplare presente nel fascicolo informatico” come “reso disponibile dai servizi informatici e telematici del competente plesso giurisdizionale”, e, dunque, deve considerarsi conforme al documento informatico effettivamente presente nel fascicolo del giudizio di merito e, pertanto, autentica». 1.2.3. – Giova, altresì, dare conto che, sebbene in un caso di rigetto del ricorso in presenza di ragione più liquida di infondatezza dello 7 stesso (e superando in tal modo la depositata proposta di definizione accelerata nel senso della improcedibilità del ricorso), Cass. n. 5204/2024 - premesse le nozioni di “copia informatica di documento informatico” e di “duplicato informatico”, secondo le definizioni contenute nell’art. 1, comma 1, del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e richiamate le disposizioni speciali per il processo civile in tema di attestazione di conformità - ha prospettato i seguenti interrogativi: a) «può il deposito di una tale copia ritenersi soddisfare l’onere, previsto all’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c. … di depositare “copia autentica della sentenza”?»; b) “se sì, può la mancanza, nella copia informatica estratta dal fascicolo informatico e attestata conforme, delle indicazioni relative al numero e alla data di pubblicazione dal fascicolo informatico considerarsi causa di inammissibilità del ricorso per mancata prova della sua tempestività (salva la c.d. prova di resistenza …)?”; c) “accedendo a tale ultimo orientamento, può infine ritenersi utilmente e tempestivamente prodotta, a riprova dell’ammissibilità del ricorso, altra copia informatica, questa volta recante il c.d. glifo, successivamente al deposito ed alla comunicazione della proposta di definizione? Se sì, può essa ritenersi utilmente prodotta, come nella specie, al di là del termine di quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza, fissato dall’art. 372, secondo comma, c.p.c.?”. 1.3. – Il Collegio ritiene che gli interrogativi posti da Cass. n. 5204/2024 trovino complessiva risposta nelle considerazioni che seguono. 1.3.1. - Le nozioni di “copia informatica” e di “duplicato informatico”. In base alle definizioni contenute nell’art. 1 del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale: C.A.D.), applicabili anche al processo civile, in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo 8 telematico (art. 2, comma 6): a) la copia informatica di documento informatico: è il documento informatico avente contenuto identico a quello del documento da cui è tratto su supporto informatico con diversa sequenza di valori binari (lett. i-quater); b) il duplicato informatico: è il documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario (lett. 1- quinquies). Ai sensi dell’art. 23-bis del C.A.D.: «1. I duplicati informatici hanno il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, del documento informatico da cui sono tratti, se prodotti in conformità alle Linee guida [i.e. le linee guida adottate dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) ai sensi dell’art. 71 C.A.D.]. Le copie e gli estratti informatici del documento informatico, se prodotti in conformità alle vigenti Linee guida, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale, in tutti le sue componenti, è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato o se la conformità non è espressamente disconosciuta. […]». Nozioni, queste, che sono riprese dalla citata Cass. n. 5204/2024 e che erano tenute ben presenti già da Cass. n. 27379/2022 (la quale ha confermato la decisione di merito che aveva dichiarato inammissibile per tardività l’impugnazione svolta nei confronti della sentenza di primo grado, sul presupposto che la notifica telematica della stessa, mediante duplicato informatico, era idonea a far decorrere il ‘termine breve’, pur non presentando segni grafici relativi all’apposizione della sottoscrizione del giudice), da cui è stato tratto il principio di diritto così massimato: “in tema di notificazione della sentenza con modalità telematica, occorre distinguere la copia informatica di un documento nativo digitale, la quale presenta segni grafici (generati dal programma ministeriale in uso alle cancellerie degli uffici giudiziari) che 9 rappresentano una mera attestazione della presenza della firma digitale apposta sull’originale di quel documento, dal duplicato informatico che, come si evince dagli artt. 1, lett. i) quinquies e 16-bis, comma 9 bis, del d.l. n. 179 del 2012, consiste in un documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario e la cui corrispondenza con quest’ultimo non emerge dall’uso di segni grafici - la firma digitale è infatti una sottoscrizione in bit la cui apposizione, presente nel file, è invisibile sull’atto analogico cartaceo - ma dall’uso di programmi che consentono di verificare e confrontare l’impronta del file originario con il duplicato”. 1.3.2. - Le attestazioni di conformità nel processo civile. La materia delle attestazioni di conformità trova espressa disciplina per il processo civile nelle disposizioni sul processo telematico, dapprima ai sensi degli artt. 16-bis, comma 9-bis, decies ed undecies, del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, ora (sostanzialmente) riproposti negli artt. 196-octies, 196 novies, 196 decies e 196 undecies disp. att. c.p.c. In sintesi, e per quel che qui rileva, è conferito al difensore il potere di estrarre con modalità telematiche duplicati, copie analogiche o informatiche di atti e provvedimenti contenuti nel fascicolo informatico e attestare la conformità delle copie estratte ai corrispondenti atti originali, mentre per il duplicato informatico (la cui equivalenza all’originale esclude la necessità di attestazione) si richiede che lo stesso venga prodotto mediante processi e strumenti che assicurino che il documento informatico ottenuto sullo stesso sistema di memorizzazione o su un sistema diverso contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine. 1.3.3. – La nozione di “contrassegno elettronico”, “timbro digitale”, “codice bidimensionale”, “glifo”. 10 Ai sensi dell’art. 23, comma 2-bis, C.A.D.: «Sulle copie analogiche di documenti informatici può essere apposto a stampa un contrassegno, sulla base dei criteri definiti con le Linee guida, tramite il quale è possibile accedere al documento informatico, ovvero verificare la corrispondenza allo stesso della copia analogica. Il contrassegno apposto ai sensi del primo periodo sostituisce a tutti gli effetti di legge la sottoscrizione autografa del pubblico ufficiale e non può essere richiesta la produzione di altra copia analogica con sottoscrizione autografa del medesimo documento informatico. I soggetti che procedono all’apposizione del contrassegno rendono disponibili gratuitamente sul proprio sito Internet istituzionale idonee soluzioni per la verifica del contrassegno medesimo». Nelle linee guida emanate dall’AgID con circolare n. 62 del 30 aprile 2013 si chiarisce che «Nei vari contesti il contrassegno generato elettronicamente può essere indicato, anche in relazione alle specificità dello scenario implementato, con termini differenti, quali “Contrassegno elettronico”, “Timbro digitale”, “Codice bidimensionale”, “Glifo”, termini che sono da intendersi come sinonimi». Nell’ambito delle predette linee guida, si precisa che «per contrassegno generato elettronicamente si intende una sequenza di bit, codificata mediante una tecnica grafica e idonea a rappresentare un documento amministrativo informatico o un suo estratto o una sua copia o un suo duplicato o i suoi dati identificativi. A tutti gli effetti di legge sostituisce la sottoscrizione autografa della copia analogica. Il contrassegno generato elettronicamente è rappresentato graficamente con tecnologie differenti, per leggere le quali può essere richiesto apposito software rilasciato dallo sviluppatore della soluzione». 1.4. – Ciò premesso, si osserva quanto segue. L’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., richiede il deposito di “copia autentica della decisione impugnata”. 11 Il provvedimento emesso come documento informatico e sottoscritto con firma digitale è depositato nel fascicolo tramite l’applicativo l’informatico, ai sensi dell’art. 15 del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44. La pubblicazione avviene, dunque, non più attraverso la materiale apposizione del deposito e della relativa certificazione da parte del cancelliere, bensì attraverso l’accettazione del deposito telematico del provvedimento e l’attribuzione mediante il sistema informatico del numero identificativo e della data dell’adempimento, con inserimento nel fascicolo informatico e conseguente ostensibilità agli interessati (si veda anche Cass. n. 2829/2023). Ne consegue che, per effetto dell’attuazione del processo telematico, alla certificazione della cancelleria sull’unico originale in formato cartaceo è subentrata la registrazione automatica del documento informatico effettuata dal sistema informatico. Con l’accettazione del deposito telematico e l’attribuzione del numero cronologico, il provvedimento digitale è inserito nel fascicolo informatico e solo in esito alla pubblicazione informatizzata diventa consultabile da parte dei difensori, attraverso il portale dei servizi telematici di cui all’art. 6 del d.m. n. 44/2011, nella versione originale, rappresentata dal duplicato (che reca la firma digitale del magistrato), ovvero nella copia informatica, che reca la stampigliatura dei dati esterni della pubblicazione (vale a dire il numero di cronologico e la data di pubblicazione) come segno grafico apposto dal sistema per evidenziare l’avvenuto processamento informatico. Pertanto, nella differente realtà digitale il concetto di unico originale risulta sostanzialmente superato dalla possibilità di accedere al duplicato (che equivale all’originale), dovendosi, altresì, evidenziare che è l’accettazione dell’atto da parte del cancelliere a determinare l’inserimento del provvedimento nel fascicolo informatico, sicché resta 12 escluso che il difensore possa accedere al duplicato ovvero alla copia informatica se non è intervenuta la pubblicazione. E tanto emerge chiaramente anche dalla giurisprudenza di questa Corte, che collega la pubblicazione dei provvedimenti digitali al necessario presupposto che l’atto divenga visibile e consultabile dalle parti, cosicché non è sufficiente il mero deposito, ma occorre l’accettazione da parte della cancelleria - almeno fino a che i sistemi richiederanno l’intervento manuale – e, comunque, l’inserimento nei registri e l’assegnazione del numero cronologico (Cass. n. 24891/2018, Cass. n. 2362/2020, Cass. n. 2829/2023). Infatti, solo a seguito dell’avvenuta pubblicazione informatica, i difensori, accedendo al fascicolo informatico tramite il portale dei servizi telematici, possono scegliere se estrarre copia informatica del provvedimento, recante le indicazioni sulla data di pubblicazione e sul numero di cronologico, come stampigliatura apposta dal sistema informatico in esito all’accettazione dell’atto digitale da parte della cancelleria, ovvero se scaricare direttamente il duplicato informatico che, in quanto tale, non può recare alcuna sovrapposizione o annotazione che determinerebbe ipso facto l’alterazione dell’originale informatico (e la conseguente alterazione della sequenza di valori binari del documento originario). Non è, pertanto, sanzionabile con l’improcedibilità la scelta del difensore che, potendo optare tra il deposito del duplicato e la copia informatica(la cui apposta stampigliatura rappresenta soltanto un’evidenza grafica della registrazione informatizzata), si determini per il deposito del primo in quanto equivalente all’originale e, come tale, non necessitante di alcuna attestazione di conformità. Sicché, il concetto stesso di duplicato risulta assorbente rispetto al requisito di “copia autentica della sentenza o della decisione impugnata”, postulato dall’art. 369 c.p.c. 13 I dati relativi alla pubblicazione, se in contestazione ai fini della verifica della tempestività dell’impugnazione (e, dunque, là dove non evincibili tramite gli stessi sistemi informatici in uso a questa Corte), possono essere verificati attraverso la consultazione del fascicolo informatico del giudizio di merito acquisito d’ufficio ai sensi dell’art. 137-bis disp. att. c.p.c. per i giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere a decorrere dal 1° gennaio 2023 (art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 149/2022). Quanto ai giudizi introdotti precedentemente, i dati relativi alla pubblicazione del provvedimento impugnato (quale documento nativo digitale), se necessario, possono essere verificati tramite richiesta di attestazione degli stessi alla cancelleria del giudice che ha emesso quel provvedimento, in presenza di istanza del ricorrente formulata ai sensi dell’art. 369, ultimo comma, c.p.c., nel testo antecedente alla abrogazione disposta dal d.lgs. n. 149/2022. Dati che sono presenti nel fascicolo informatico che la cancelleria deve tenere e conservare ai sensi art. 36, ultimo comma, disp. att. c.p.c. e dell’art. 9 del d.m. n. 44/2011. Quest’ultima disposizione precisa, infatti, che il predetto fascicolo contiene “i dati del procedimento medesimo da chiunque formati” (comma 1) e in modo tale da “garantire la facile reperibilità ed il collegamento degli atti ivi contenuti [anche] in relazione alla data di deposito” (comma 5). E una tale verifica officiosa si rende necessaria in quanto il ricorrente, con il deposito del duplicato informatico del provvedimento impugnato, ha pienamente assolto l’onere di cui all’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c.; onere funzionale, in primo luogo, proprio a “consentire la verifica della tempestività dell’atto di impugnazione” (Cass., S.U., n. 8312/2019), la quale (è opportuno ribadire), in ambiente di processo telematico, è possibile solo attraverso i sistemi informatici in uso all’ufficio giudiziario. 14 Occorre, dunque, collocarsi nel cono d’ombra del principio di effettività della tutela giurisdizionale (artt. 24 e 111 Cost.; art. 47 della Carta di Nizza; art. 19 del Trattato sull’Unione europea; art. 6 CEDU), il quale, nella sua essenziale tensione verso una decisione di merito, richiede che eventuali restrizioni del diritto della parte all’accesso ad un tribunale siano ponderate attentamente alla luce dei criteri di ragionevolezza e proporzionalità (tra le tante: Cass., S.U., n. 10648/2017; Cass., S.U., n. 8950/2022; Cass., S.U., n. 28403/2023; Cass., S.U., n. 2075/2024; Cass., S.U., n. 6477/2024). Pertanto, va fatta applicazione del principio - già affermato da Cass., S.U., 25513/2016 in riferimento alla proposizione del ricorso per cassazione ex art. 348-ter, comma terzo, c.p.c. (e ribadito da Cass., S.U., n. 11850/2018, Cass., S.U., n. 8312/2019 e Cass., S.U., n. 21349/2022) - secondo il quale la Corte esercita il proprio potere officioso di controllo sulla tempestività dell’impugnazione ove il ricorrente abbia assolto l’onere di richiedere il fascicolo d’ufficio alla cancelleria del giudice a quo tramite l’istanza di cui all’ultimo comma dell’art. 369 c.p.c. 1.4.1. – Nel caso, invece, di deposito ex art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., di copia analogica di duplicato informatico della decisione impugnata (ossia, tramite la stampa del file), rimane necessaria l’attestazione di conformità del difensore ai sensi del citato art. 16 bis, comma 9 bis, del d.l. n. 179/2012 (nei termini affermati da Cass., S.U., n. 8312/2019), non potendosi, in siffatta evenienza, apprezzare altrimenti la qualità di duplicato informatico che dal difensore medesimo sia stata predicata (atteso che la stampa di un documento informatico sottoscritto digitalmente non consente la verifica dell’apposizione della firma, ciò che, come detto, è possibile con i sistemi informatici in uso all’ufficio giudiziario). Tuttavia, all’interrogativo posto da Cass. n. 5204/2024 in ordine alla ritualità della copia autenticata così depositata, in quanto priva 15 delle indicazioni relative alla pubblicazione, si deve dare risposta positiva. Infatti, in quanto estratta dal fascicolo informatico ed attestata come conforme dal difensore, anche il deposito di una tale copia autenticata vale ad integrare il requisito richiesto dall’art. 369 c.p.c., così aprendosi la possibilità, pure in tale ipotesi, dell’accertamento officioso in ordine alla tempestività dell’impugnazione (ove in contestazione), tramite la richiesta alla cancelleria del giudice a quo di attestazione dei dati di pubblicazione del provvedimento. 1.5. – Devono, quindi, enunciarsi i seguenti principi di diritto: «a) in regime di deposito telematico degli atti, l’onere del deposito di copia autentica del provvedimento impugnato imposto, a pena di improcedibilità del ricorso dall’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., è assolto non solo dal deposito della relativa copia informatica, recante la stampigliatura solo rappresentativa dei dati esterni (numero cronologico e data) concernenti la sua pubblicazione, ma anche dal deposito del duplicato informatico di detto provvedimento, il quale ha il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, dell’originale informatico e che, per sue caratteristiche intrinseche, non può recare alcuna sovrapposizione o annotazione (e, dunque, la stampigliatura presente nella copia informatica) che ne determinerebbe, di per sé, l’alterazione. Ne consegue che, ai fini della verifica della tempestività dell’impugnazione, i dati relativi alla pubblicazione, ove non evincibili tramite i sistemi informatici in uso alla Corte di cassazione e in contestazione, vanno attinti attraverso la consultazione del fascicolo di merito acquisito d’ufficio ai sensi dell’art. 137-bis c.p.c. per i giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1° gennaio 2023, ovvero, per i giudizi precedentemente introdotti, tramite richiesta di attestazione dei dati stessi alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, in presenza di istanza del ricorrente ai sensi 16 dell’art. 369, ultimo comma, c.p.c., nella formulazione antecedente all’abrogazione disposta dal d.lgs. n. 149 del 2022; b) nel regime in cui è consentito il deposito di copia analogica del provvedimento impugnato redatto come documento informatico nativo digitale e così depositato in via telematica, ove detta copia analogica sia tratta dal duplicato informatico depositato nel fascicolo informatico, l’onere di cui all’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., è assolto tramite l’attestazione di conformità della copia al duplicato apposta dal difensore. Ne consegue che, ai fini della verifica della tempestività dell’impugnazione, i dati relativi alla pubblicazione del provvedimento impugnato, ove in contestazione, vanno attinti tramite richiesta di attestazione dei dati stessi alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, in presenza di istanza del ricorrente ai sensi dell’art. 369, ultimo comma, c.p.c., nella formulazione antecedente all’abrogazione disposta dal d.lgs. n. 149 del 2022». 1.6. Nel caso di specie, a seguito del dato acquisito tramite cancelleria, la data di pubblicazione del provvedimento impugnato è 11 maggio 2021. Essendo stato il ricorso notificato in data 30 settembre 2021, risulta rispettato il termine semestrale per proporre l’impugnazione. 1.7. Ciò premesso, il motivo è fondato. Conformemente alle conclusioni del Pubblico Ministero, deve essere mantenuto l’indirizzo di questa Corte, espresso dalle pronunce n. 2374 del 2016 e n. 2375 del 2016, il cui principio di diritto è che, in relazione alla legge della Regione Emilia Romagna,l'amministrazione provinciale è l'unico soggetto legittimato passivamente a fronte di azioni proposte da terzi per ottenere la riparazione dei danni eventualmente provocati dalla fauna selvatica, a nulla rilevando la ripartizione di compiti interna alla Provincia stessa riguardo al peso economico derivante dall'obbligo 17 risarcitorio. La modifica legislativa, considerata dalla corte territoriale, è relativa solo alla ripartizione degli oneri relativi al fondo regionale. L’art. 17 legge regionale n. 8 del 1994, applicabile ratione temporis (in relazione al fatto verificatosi nel 2011) sulla base delle modifiche intervenute, prima con l’art. 14 della legge regionale n. 6 del 2000, e poi con l’art. 10 della legge regionale n. 16 del 2007, è il seguente: «Danni alle attività agricole 1. Gli oneri relativi ai contributi per i danni arrecati alle produzioni agricole e alle opere approntate sui terreni coltivati ed a pascolo dalle specie di fauna selvatica cacciabile o da sconosciuti nel corso dell'attività venatoria sono a carico: a) degli ambiti territoriali di caccia per le specie di cui si consente il prelievo venatorio, qualora si siano verificati nei fondi ivi ricompresi; b) dei titolari dei centri privati della fauna allo stato naturale di cui all'articolo 41 qualora si siano prodotti ad opera delle specie ammesse nei rispettivi piani produttivi o di gestione e delle aziende venatorie di cui all'articolo 43 per le specie di cui si autorizza il prelievo venatorio, nei fondi inclusi nelle rispettive strutture; c) dei proprietari o conduttori dei fondi rustici di cui ai commi 3 e 8 dell'art. 15 della legge statale, nonché dei titolari delle altre strutture territoriali private di cui al capo V, qualora si siano verificati nei rispettivi fondi; d) delle Province, qualora siano provocati nelle zone di protezione di cui all’art. 19 e nei parchi e nelle riserve naturali regionali, comprese quelle aree contigue ai parchi dove non è consentito l'esercizio venatorio. 2. Le Province concedono contributi per gli interventi di prevenzione e per l'indennizzo dei danni: a) provocati da specie cacciabili ai sensi del comma 1 lettera d); b) provocati nell'intero territorio agro-silvo-pastorale da specie protette, dal piccione di città (Columba livia, forma domestica) o da 18 specie il cui prelievo venatorio sia vietato, anche temporaneamente, per ragioni di pubblico interesse. 3. I contributi sono concessi entro i limiti di disponibilità delle risorse previste dall’art. 18, comma 1». La rilevanza della modifica legislativa al livello della ripartizione interna del peso economico derivante dall’obbligo di risarcire i danni da fauna selvatica, come risulta dal primo comma della disposizione citata, non incide sul principio di diritto enunciato dai richiamati precedenti di questa Corte, cui il Collegio presta continuità e rinvia, anche sul piano della motivazione, per quanto concerne l’individuazione del soggetto tenuto al risarcimento del danno, salva la modifica legislativa evidenziata sul piano del riparto interno. 1.8. Poiché non sono necessari altri accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito con il rigetto della domanda. L’intervento della giurisprudenza determinante nel corso del processo costituisce ragione di compensazione delle spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità. P. Q. M. Accoglie il motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, rigetta la domanda; dispone la compensazione delle spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma il giorno 22 aprile 2024 Il consigliere estensore Dott. Enrico Scoditti Il Presidente Dott. Giacomo Travaglino 19

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 13 del 2024, proposto da Consorzio Stabile Re. S.C. a r.l.., La To. Co. S.r.l., in proprio e rispettivamente quale mandataria e mandante del RTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 7654584A89, rappresentate e difese dagli avvocati Al. Bo., Pa. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, ivi domiciliataria ex lege, via (...); nei confronti Impresa De. Im. S.r.l., in proprio e anche mandataria del RTI con Ri. Co. S.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Pa. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ri. Co. S.p.a., in proprio e quale mandante del RTI con De. Im. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento previa sospensiva - del Decreto Provveditoriale prot. n. 20430 del 28.11.2023, relativo all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forli` - 1° stralcio. CUP D69D07000090001 CIG 7654584A89", con cui "è stata confermata l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 06.09.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto indicato in oggetto al Raggruppamento Temporaneo tra Imprese "De. Im. s.r.l. di (omissis) (VA) CF 02692000124 - Ri. Co. s.p.a. di (omissis) (CE) CF 02217930615", risultato 1^ in graduatoria con il punteggio totale di 92,780/100 ed il ribasso del 23,290%, come da verbale di procedura aperta n. 5068 di rep. delle sedute in data 18.06.2019 e 09.07.2019 che, all'esito della disposta istruttoria, tenuto conto delle premesse sopra riferite e dell'esito della pronuncia del CDS, viene nella sostanza confermata", e con cui è stato disposto che "L'appalto è aggiudicato al suddetto RTI per l'importo complessivo netto di Euro 26.745.351,82"; - della nota prot. 20789 del 5.12.2023 con cui l'Ente appaltante ha comunicato al RTI Re. - La To. Co. l'adozione del suddetto provvedimento; - ove occorra, del provvedimento prot. 18407 del 27.10.2023 con cui la stazione appaltante ha comunicato ai sensi dell'art. 7 L. 241/1990 l'avvio del procedimento culminato con l'adozione del gravato Decreto Provveditoriale prot. n. 20430 del 28.11.2023; - ove occorra, del decreto prot. n. U.0017276 del 6.9.2019 con cui è stata disposta l'aggiudicazione nei confronti del RTI Impresa De. Im. S.r.l., nonché della nota prot. n. U0017432 del 9.9.2019 con cui siffatta aggiudicazione è stata comunicata alle odierne ricorrenti a mezzo PEC; - di tutti gli atti presupposti, connessi e successivi al soprarriferito Decreto Provveditoriale, ancorché non conosciuti. NONCHÉ per la dichiarazione di invalidità e comunque di inefficacia del contratto di appalto eventualmente stipulato con gli operatori economici illegittimi aggiudicatari (dichiarandosi, ad ogni effetto, ed ove occorra, anche la disponibilità del ricorrente a subentrare nell'esecuzione dell'appalto ai sensi di quanto previsto dall'art. 122 c.p.a.), E PER LA CONSEGUENTE CONDANNA dell'Ente intimato a risarcire il danno cagionato alla ricorrente in forma specifica ovvero, in subordine, per equivalente monetario nella misura che sarà determinata in corso di causa. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, del Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna, dell'impresa De. Im. S.r.l. e di Ri. Co. S.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2024 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.-Con il ricorso in esame il Consorzio stabile Re. s.c. a r.l. ha impugnato il Decreto del Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia e la Emilia Romagna del 28.11.2023 relativo all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forlì - 1° Stralcio" con il quale è stata confermata l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 6.9.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto al RTI formato da Ri. Co. s.p.a.(mandante) e De. Im. s.r.l. (mandataria) risultato primo in graduatoria. Come evidenziato in ricorso la prima aggiudicazione era a suo tempo stata impugnata dall'odierno istante, Consorzio Stabile Re. e da La To. Co., in proprio e quali imprese componenti il relativo R.T.I, nelle posizioni rispettive di mandante e mandataria deducendo la illegittimità della aggiudicazione in quanto disposta a favore di impresa in procedura concordataria ex art. 161 c. 6 Legge Fallimentare, non ammessa alla continuità aziendale, non avendo presentato, nemmeno al momento della aggiudicazione, il relativo piano e lamentando che il raggruppamento aggiudicatario avrebbe omesso di comunicare alla Stazione appaltante tale circostanza, rilevante ai fini della procedura. L'adito Tribunale Amministrativo con la sentenza n. 76/2020 accoglieva il motivo di ricorso relativo alla dedotta violazione dell'art. 80 c. 5 lett. b) del Decreto Legislativo n. 50/2016 in ragione del fatto che la mandante del raggruppamento aggiudicatario aveva presentato, solo in corso di gara, in data 4.2.2019, domanda di concordato con riserva ai sensi dell'art. 161, comma 6 L. Fall e sul presupposto che in tale evenienza sia preclusa la partecipazione a gare pubbliche. Ha altresì rilevato la violazione dell'art. 80 co.5 bis del Codice degli appalti, in ragione del ritardo con cui la mandataria avrebbe comunicato, solo in data 19.7.2019 a distanza di cinque mesi, il fatto che la mandante avesse presentato la domanda di concordato con riserva. L'adito Tribunale Amministrativo respingeva altresì il ricorso incidentale condizionato proposto dalla mandataria del raggruppamento aggiudicatario volto alla designazione di una nuova impresa mandante, ritenendola non consentita ai sensi dell'art. 48 co. 19 ter d.lgs. 50/2016 poiché volta ad eludere in pendenza di gara il riscontrato mancato possesso dei requisiti di partecipazione. Tale sentenza costituiva oggetto di appello al Consiglio di Stato con due distinti ricorsi poi riuniti proposti dalla Ri. Co. e dalla De. Im. s.r.l., ai quali il Ministero aderiva. La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, registrando un conflitto di orientamenti giurisprudenziali, riteneva di rimettere alla Adunanza Plenaria una serie di questioni concernenti il tema ed i profili della presentazione della domanda di concordato in bianco ai fini della valida partecipazione alla gara. L'Adunanza Plenaria si pronunciava in merito a ciò con la sentenza n. 9 del 2021 affermando in sintesi, per quel che qui rileva, che benchè l'autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica debba intervenire entro il momento dell'aggiudicazione, è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un'autorizzazione tardiva, ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione, possa avere efficacia integrativa o sanante. Successivamente la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4728/2023, si pronunziava sugli appelli e li accoglieva, rigettando il ricorso di primo grado. I provvedimenti impugnati costituiscono, quindi attuazione della suindicata sentenza sul cui vincolo conformativo è sceso il giudicato. Il Consiglio di Stato, in particolare, ha affermato che la domanda di presentazione di un concordato in bianco o con riserva non possa considerarsi causa di automatica esclusione, né inibisca la partecipazione alle procedure per l'affidamento di contratti pubblici. Nel caso di specie si era verificato un mancato rilascio della autorizzazione da parte del Tribunale competente prima della aggiudicazione della gara non essendo stata presentata un'istanza in tale senso dalla impresa concordataria; tale autorizzazione era comunque intervenuta prima della stipula del contratto. Il Consiglio di Stato ha stabilito che questa specifica circostanza comporta la necessità che la stazione appaltante provveda ad una apposita valutazione, alla luce della particolarità del caso concreto, sulla rilevanza e sulla idoneità ad assumere efficacia integrativa o sanante, di tale autorizzazione, sottratta al g.a., ai sensi dell'art. 34 co. 2 c.p.a. e rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante. In tale contesto motivazionale il Consiglio di Stato ha anche espressamente respinto la censura dell'odierna ricorrente secondo la quale non sarebbero stati rispettati, nel caso di specie, gli obblighi informativi a carico dell'impresa, precisando che, se l'informazione alla stazione appaltante deve essere tempestiva ed adeguata in applicazione dei principi di buona fede, leale cooperazione e correttezza, in caso di dichiarazione omessa, parziale o reticente spetterà alla stazione appaltante stessa valutarne l'incidenza sul rapporto fiduciario con l'operatore economico, ma senza nessun automatismo espulsivo. Il Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia ed Emilia Romagna provvedeva, quindi, ad ottemperare a quanto stabilito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4728/2023, comunicando agli interessati l'avvio del procedimento con nota 27.10.2023 n. 18407. L'Amministrazione, in seguito ad istruttoria, adottava il provvedimento di conferma della aggiudicazione qui gravato, ritenendo non inficiato il rapporto fiduciario con il raggruppamento capeggiato da De. Im. s.r.l. tenuto conto anche dell'avvenuta informazione degli sviluppi della procedura concorsuale. A sostegno del gravame le odierne ricorrenti hanno dedotto tre articolati motivi di gravame così riassumibili: I)VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 3 E 10 L. N. 241/90. ECCESSO DI POTERE, DIFETTO DI ISTRUTTORIA, CARENZA DI MOTIVAZIONE, PERPLESSITÀ : la stazione appaltante non avrebbe tenuto in considerazione nella motivazione dell'atto gravato l'articolata memoria presentata dalle ricorrenti. II. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 32, 33, 48, 80, 83 E 84, D.LGS. N. 50/16. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 161 E 186-BIS, L. N. 267/42. VIOLAZIONE DELL'ART. 94, COMMA 5, LETT.D), D.LGS. N. 36/2023. VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO. CARENZA DI MOTIVAZIONE. ECCESSO DI POTERE. IRRAGIONEVOLEZZA. ILLOGICITÀ .TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI PRESUPPOSTI DI DIRITTO. CONTRADDITTORIETÀ . SVIAMENTO: sarebbe mancato l'esame delle criticità riguardanti l'impresa controinteressata, dal momento che a) Ri. ha presentato domanda di concordato "in bianco" il 5.02.2019, nel corso della procedura di gara, senza curarsi di domandare al Giudice fallimentare la prescritta autorizzazione; b) al momento della aggiudicazione disposta il favore del RTI De. - Ri. (9.09.2019), la mandante Ri., che versava in situazione di concordato "in bianco" già dal precedente mese di febbraio, non era autorizzata alla prosecuzione della gara; c) l'autorizzazione al Giudice Fallimentare è stata richiesta da Ri. solo dopo l'aggiudicazione e persino dopo l'impugnazione della stessa aggiudicazione da parte del RTI Re. innanzi al TAR; d) nel caso di specie l'autorizzazione sarebbe stata chiesta ed intervenuta con notevole ritardo e dopo la scadenza del termine legale (60 gg) per la stipula del contratto. III. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 32, 33, 48, 80, 83 E 84,D.LGS. N. 50/16. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT.161 E 186-BIS, L. N. 267/42. VIOLAZIONE DELL'ART. 94, COMMA 5, LETT. D), D.LGS. N.36/2023.VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO. CARENZA DI MOTIVAZIONE. ECCESSO DI POTERE. IRRAGIONEVOLEZZA. ILLOGICITÀ .TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI PRESUPPOSTI DI DIRITTO. CONTRADDITTORIETÀ . SVIAMENTO: sarebbero venuti meno in capo a Ri. Co. s.p.a. i requisiti generali e speciali risultando prospettata la cessione del ramo di azienda, come risultante dal provvedimento assunto dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e non preso in considerazione dalla stazione appaltante al momento della conferma dell'aggiudicazione; sarebbe evidente che Ri. in conseguenza della cessione finirà per privarsi dell'azienda necessaria alla realizzazione dell'appalto. Si sono costituiti il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed il Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna eccependo l'infondatezza di tutti i motivi "ex adverso" dedotti costituendo il provvedimento impugnato esecuzione del giudicato reso "inter partes" e non essendo venuto meno il rapporto fiduciario con la stazione appaltante. Si è costituita De. Im. s.r.l. evidenziando tra l'altro come con la sentenza n. 4728 del 2023 il Consiglio di Stato nell'accogliere gli appelli ha respinto il ricorso di primo grado avverso l'originaria aggiudicazione che dunque non è mai stata annullata; l'attività dell'Amministrazione sarebbe orientata al conseguimento del "risultato" inteso come puntuale esecuzione dei lavori oggetto della gara in ossequio appunto all'omo principio compendiato dall'art. 1 del d.lgs. 36 del 2023 non applicabile "ratione temporis" ma comunque utilizzabile in via interpretativa, come recentemente ritenuto dal Consiglio di Stato. Si è costituita anche Ri. Co. s.p.a. eccependo l'inammissibilità del ricorso in quanto parte ricorrente avrebbe dovuto esperire azione di ottemperanza innanzi al Consiglio di Stato trattandosi di dare esecuzione ai criteri conformativi di cui alla sentenza n. 4728/2023 rappresentando altresì la pendenza nell'ambito della procedura concorsuale della cessione del ramo d'azienda e l'individuazione dell'operatore economico che effettuerà i lavori. Alla camera di consiglio del 24 gennaio 2024 parte ricorrente ha rinunciato alla tutela cautelare in vista della celere fissazione dell'udienza di merito. In prossimità della trattazione nel merito le parti hanno depositato ampie memorie e documentazione insistendo per le conclusioni già rassegnate per la fase cautelare. Segnatamente le ricorrenti hanno insistito per la fondatezza della pretesa azionata evidenziando il mancato apprezzamento da parte dell'Amministrazione della attuale situazione di Ri. Co. allo stato priva dei requisiti richiesti per la realizzazione dei lavori per cui è causa, essendo ancora pendente la cessione del ramo di azienda. La difesa della capogruppo De. Im. s.r.l. ha insistito per il rigetto del gravame eccependo altresì l'inammissibilità delle doglianze dirette a rimettere in discussione profili già coperti dal giudicato così come del terzo motivo per la mancata indicazione del requisito generale di cui Ri. Co. sarebbe priva; non sarebbe "ratione temporis" applicabile l'art 94 co.5 del Codice dei contratti pubblici approvato con d.lgs. n. 36/2023 secondo cui l'autorizzazione deve intervenire prima dell'aggiudicazione. Con memoria la difesa di parte ricorrente ha replicato alle suindicate eccezioni evidenziando come l'oggetto dell'impugnativa sia nuovo atto non meramente confermativo affetto da vizi del tutto autonomi rispetto a quelli prospettati con il ricorso avverso l'originaria aggiudicazione. Anche la difesa di De. Im. ha depositato memoria di replica tra l'altro evidenziando come le doglianze di cui al secondo motivo, per quanto appunto già argomentato nella memoria conclusiva o violano il principio del "ne bis in idem" (pretendendo che l'aggiudicazione sarebbe illegittima per contestazioni già sollevate nel giudizio concluso con la sentenza n. 4728/2023) o contrastano con l'art. 80 del d.lgs 50/2016 e con il principio di tassatività delle cause di esclusione nella parte in cui pretendono di imporre un effetto escludente per i tempi in cui svolge la procedura di approvazione del concordato in corso presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere o per le modalità supposte nel concordato medesimo, quali l'ipotizzata cessione di azienda, modalità e tempi che non rientrano in alcuna delle cause di esclusione previste dall'art. 80 del Codice dei contratti, di cui al D.lgs. 50/2016. Alla pubblica udienza del 8 maggio 2024, uditi i difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1.-E' materia del contendere la legittimità del provvedimento del 28 novembre 2023 con cui il Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia e la Emilia Romagna ha confermato relativamente all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forlì - 1° Stralcio" l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 6.9.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto al RTI tra Ri. Co. spa e De. Im. s.r.l. risultato primo in graduatoria. Lamentano le ricorrenti quali imprese del raggruppamento temporaneo capeggiato dal Consorzio Stabile Re. oltre l'insufficiente motivazione del provvedimento impugnato in relazione alle circostanze sopravvenute, il mancato esame da parte della stazione appaltante della situazione attuale della mandante Ri. Co. s.p.a. asseritamente priva dei requisiti generali e speciali per risultare nuovamente aggiudicataria dei lavori di che trattasi. 2.- Preliminarmente va esaminata l'eccezione di inammissibilità del gravame sollevata da Ri. Co.. Diversamente da quanto argomentato dalla controinteressata, con il ricorso in esame le ricorrenti hanno dedotto vizi almeno in parte del tutto nuovi ed autonomi nei confronti dell'aggiudicazione confermativa intervenuta il 28 novembre 2023, sostenendo la carenza in capo a Ri. dei requisiti ex art. 80 d.lgs. 50/2016 in relazione alla perdurante pendenza della procedura di approvazione del concordato con continuità aziendale presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e dell'ipotizzata cessione del ramo di azienda. Tanto basta, ad avviso del Collegio, per superare l'eccezione e ritener per ciò ammissibile il ricorso vertente quanto meno parzialmente su profili di legittimità sopravvenuti al giudicato riguardanti provvedimento di conferma propria in quanto preceduto da una rinnovata valutazione istruttoria da parte dell'Amministrazione, secondo il consolidato criterio distintivo tra conferma propria ed impropria tracciato dalla giurisprudenza (ex plurimis T.A.R. Lombardia Milano sez. II, 29 settembre 2022, n. 2126). 3.- Sono invece inammissibili per violazione del principio del "ne bis in idem" come eccepito da De. Im. s.r.l. le doglianze di cui al secondo motivo di gravame con cui parte ricorrente di fatto pretende di riproporre censure in realtà già sollevate nel giudizio concluso con la sentenza n. 4728 del 2023. Il giudicato ha infatti come visto già ampiamente rilevato come benchè di norma l'autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica debba intervenire entro il momento dell'aggiudicazione, è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un'autorizzazione tardiva, ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione, possa avere efficacia integrativa o sanante, senza possibilità per il g.a. di compiere tale valutazione per il divieto di cui all'art. 34 co. 2 c.p.a. inerente i poteri autoritativi non esercitati. Con la sentenza n. 4728/2023 il Consiglio di Stato ha anche escluso la violazione dell'obbligo di buona fede da parte dell'aggiudicataria la quale ha correttamente informato la stazione appaltante degli sviluppi della procedura concorsuale. Costituisce "ius receptum" in relazione al processo amministrativo che, ai sensi degli artt. 2929 c.c. e 324 c.p.c., la regola del "ne bis in idem" presuppone l'identità nei due giudizi delle parti in causa e degli elementi identificativi dell'azione proposta e quindi che in quei giudizi sia chiesto l'annullamento degli stessi provvedimenti, o di provvedimenti diversi ma legati da uno stretto vincolo di consequenzialità in quanto inerenti ad un medesimo rapporto, sulla base di identici motivi di impugnazione (ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 10 maggio 2021 n. 3618; Id. sez. IV, 23 giugno 2015, n. 3158; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 3 gennaio 2022, n. 4) 4.- Venendo al merito il terzo motivo di gravame, per quanto argomentato, non merita condivisione. 4.1.- Ai sensi dell'art. 80 co. 5 lett b) del d.lgs. n. 50/ 2016 "pro tempore" applicabile "Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni"...omissis..... " l'operatore economico sia stato sottoposto a liquidazione giudiziale o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o sia in corso nei suoi confronti un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, fermo restando quanto previsto dall'articolo 95 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza adottato in attuazione della delega di cui all'articolo 1 della legge 19 ottobre 2017, n. 155 e dall'articolo 110". La suindicata norma va dunque coordinata con il richiamato art. 110 del Codice del 2016 ai sensi del quale l'impresa ammessa al concordato con continuità aziendale su autorizzazione del giudice delegato anche senza la necessità di avvalersi di requisiti di altro soggetto può partecipare a procedure di affidamento di concessioni e appalti di lavori forniture e servizi. Va poi evidenziato che il concordato con continuità aziendale introdotto dall'art. 186 bis R.D. 16 marzo 1942 n. 267 diversamente da quello "ordinario" prevede la prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore e la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il conferimento in una o più società (Anac Determinazione 23 aprile 2014, n. 3; Cassazione civile sez. I, 16 giugno 2023, n. 17273) Ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento di pubbliche commesse, l'impresa che si trovi in concordato preventivo con continuità aziendale, necessita di autorizzazione del giudice per tutto il periodo compreso tra la presentazione della domanda di accesso al concordato e fino all'omologazione del concordato medesimo, ma non successivamente all'intervenuta omologa: dopo di essa infatti, salvo che non intervengano la risoluzione o l'annullamento del concordato, viene meno l'esigenza dell'autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione, così come non occorre che la partecipazione sia accompagnata dal deposito della relazione di un professionista indipendente attestante la capacità dell'impresa di adempiere al contratto (T.A.R. Toscana sez. III, 20 marzo 2023, n. 286). Una volta ottenuta l'autorizzazione giudiziale - che come chiarito dall'Adunanza Plenaria può intervenire per quanto riguarda le procedure di affidamento soggette all'applicazione del d.lgs. 50/2016 anche successivamente all'aggiudicazione e prima della stipulazione del contratto ove la stazione appaltante dia conto in motivazione delle ragioni di pubblico interesse - la perdurante pendenza della procedura di concordato non è motivo di esclusione contemplato dall'art. 80 co. 5 lett. b) del citato decreto. 4.2.- Come noto per giurisprudenza pacifica le cause di esclusione devono ritenersi di stretta interpretazione e l'eventuale incertezza interpretativa va risolta nel senso di assicurare la più ampia partecipazione dei concorrenti, in omaggio al principio eurounitario del "favor partecipationis"(ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 14 marzo 2016, n. 1015; id., sez. V, 17 marzo 2015, n. 1375.) Nel caso di specie le ricorrenti come visto individuano quale causa di esclusione l'art. 80 co. 5 lett. b) d.lgs. 50/2016 requisito di cui la mandante Ri. Co. del RTI aggiudicatario sarebbe privo. Ma diversamente da quanto prospettato dalla difesa di parte ricorrente non risulta provata l'apertura di un procedimento di liquidazione a carico della mandante Ri. Co. non essendo sufficiente in tal senso la nota depositata e firmata dalla stessa (doc. n. 2) tenuto sempre conto la mera pendenza di una istanza di fallimento o di liquidazione giudiziale non è causa di esclusione dalla gara (C.G.A.S. 24 aprile 2015, n. 363). Giova invece rilevare come ai sensi dell'art. 94 co. 5 lett. d) del d.lgs. n. 36/2023 - non applicabile "ratione temporis" alla procedura di che trattasi - costituisce causa di esclusione automatica la sottoposizione dell'operatore economico a procedura di liquidazione giudiziale e di concordato preventivo in difetto di autorizzazione preventiva "entro la data dell'aggiudicazione" e sempre che "non intervengano ulteriori circostanze escludenti relative alle procedure concorsuali". 4.3.- Non ignora il Collegio come in tale ambito le perplessità avanzate dalle ricorrenti in merito alla concreta possibilità per il raggruppamento aggiudicatario di procedere all'esecuzione dei lavori contrattuali possano avere consistenza, venendo però in rilievo una ragione valevole sul piano dell'opportunità, non sindacabile dall'adito Tribunale al di fuori delle tassative fattispecie di giurisdizione estesa al merito, e non su quello della legittimità in assenza di una corrispondente causa di esclusione tra quelle delineate dalla fonte normativa primaria ratione temporis applicabile alla fattispecie. Nel concordato con continuità aziendale di cui all'art. 186 bis L.F. d'altronde diversamente dal concordato "ordinario" l'obiettivo legislativo del recupero della stabilità aziendale può essere perseguito proprio con la cessione dell'azienda in esercizio (ex multis Cassazione civile sez. I, 5 aprile 2022, n. 10988). Infine non da ultimo trascura parte ricorrente che l'esecuzione del contratto potrebbe essere pur sempre assicurata, se del caso, anche con modifiche meramente interne al raggruppamento ovvero tramite l'apporto della mandataria De. Im. (ex multis Consiglio di Stato Ad. plen., 27 maggio 2021, n. 9). 5.- Il primo motivo di gravame, infine, non merita ugualmente adesione. Trascura parte ricorrente che per giurisprudenza del tutto pacifica la valutazione circa la ricorrenza delle cause facoltative di esclusione dalle gare pubbliche rientra nell'ambito della ampia discrezionalità della P.A. ed è sindacabile solo in caso di manifesta pretestuosità e ai soli fini di un eventuale riesame da parte della stessa P.A. (ex plurimis, Consiglio di Stato, A.P. n. 16/2020; Id. sez. V, 18 ottobre 2022, n. 8864; Id. sez. III, 10 febbraio 2021, n. 1248; id. n. 505/2021; Id, sez. IV, 8 ottobre 2020, n. 5967) e che al contempo l'atto di ammissione (a differenza dell'esclusione) è motivabile "per relationem" ove correlato alle deduzioni del concorrente stesso (ex multis T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 22 novembre 2023, n. 2762; Consiglio di Stato sez. IV, 10 novembre 2021, n. 7501). Nella fattispecie la stazione appaltante previo parere dell'Avvocatura dello Stato e richiamata la più volte citata sentenza n. 4728/2023 del Consiglio di Stato ha non irragionevolmente escluso la sussistenza di ragioni ostative alla conferma dell'aggiudicazione, nell'ambito di una valutazione discrezionale di sua spettanza. 6.- Alla luce delle suesposte argomentazioni il ricorso è in parte inammissibile ed in parte infondato. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite attesa l'obiettiva complessità delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia - Romagna Bologna Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile ed in parte lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Carpentieri - Presidente Mara Bertagnolli - Consigliere Paolo Amovilli - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quinta Bis ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5296 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi.Sa., Ka.Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi.Sa. in Parma, (...); contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per l'annullamento del decreto emesso dal Ministero dell'Interno relativo all'istanza -OMISSIS- datato 17.01.2019 e notificato alla ricorrente in data 13.02.2019 mediante il quale veniva respinta l'istanza di concessione della cittadinanza italiana richiesta ai sensi dell'art. 9, comma 1, lettera f) della Legge 5 febbraio 1991 n. 92 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2024 la dott.ssa Antonietta Giudice e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO I. - La ricorrente ha presentato istanza intesa ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, in data 3 febbraio 2014. II. - Esperita l’istruttoria di rito, l’Amministrazione con DM 17 gennaio 2019 ha respinto la domanda, previa comunicazione ex art. 10-bis della legge n. 241/1990 e a seguito del contraddittorio con l’interessata, essendo risultati a carico del figlio convivente i seguenti elementi di controindicazione: - in data 2.7.2005: indagato in stato di libertà dalla stazione CC di Omissisdalla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni di Bologna, per il reato di cui all’art. 110,624,625 n. 2, 61 n. 7 c.p. (furto aggravato in concorso); - in data 15.3.2008: notifica decreto divieto di ritorno nel Comune di Piacenza per anni tre, datato 27.2.2008 adottato dal Questore di Piacenza; - in data 25.2.2008: contestata violazione amministrativa dalla Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico di Piacenza, per violazione dell’art. 688 c.p. (manifesta ubriachezza); - in data 25.02.2008: notizie di reato all’A.G. dalla Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico di Piacenza per violazione dell’art. 582 e 588 c.p. (lesioni personali e rissa); - in data 11.11.2009: decreto penale del G.I.P. presso il Tribunale di Parma, divenuto esecutivo in data 18.12.2009, per il reato di cui all’art. 659, 175 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone). III. - Avverso il suddetto provvedimento di diniego la ricorrente insorge con l’odierno gravame, chiedendone l’annullamento, in quanto asseritamente affetto dai vizi di: 1. Eccesso di potere per incongrua e carente motivazione, travisamento dei fatti posti alla base del provvedimento di diniego; 2. Violazione dell’art. 3 della legge 7.8.1990, n. 241, provvedimento non sufficientemente motivato. La parte censura il provvedimento in quanto non adottato a seguito di una compiuta valutazione della posizione della richiedente che afferma di essere socialmente integrata nel tessuto sociale italiano di non aver subìto condanne penali e di non aver avuto alcun coinvolgimento nelle vicende penali dl figlio, il quale è in ogni caso in possesso di una carta di soggiorno di lungo periodo. IV. - Il Ministero dell’interno, costituito in giudizio per resistere al ricorso, ha depositato documenti del fascicolo del procedimento e una relazione difensiva, contestando nel merito le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del diniego impugnato. V. - All’udienza pubblica del 28 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO I. - Il ricorso è infondato. II. - Il Collegio reputa utile una premessa di carattere teorico in ordine al potere attribuito all’amministrazione in materia, all’interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento (vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 3018 e 3471/2022). L'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone l'esplicarsi di un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione. Ciò si desume ictu oculi, dalla norma attributiva del potere, l’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, a tenore del quale la cittadinanza "può" - e non "deve" - essere concessa. La dilatata discrezionalità in questo procedimento si estrinseca attraverso l’esercizio di un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti - consistenti, sostanzialmente, oltre nel diritto di incolato, nei "diritti politici" di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) - ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità - consistente nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra ("il sacro dovere di difendere la Patria" sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell'adempimento dei "doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale", consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.). A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo; si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104; cfr. Cons. Stato, AG, n. 9/1999; sez. IV n. 798/1999; n. 4460/2000; n. 195/2005; sez, I, n. 1796/2008; sez. VI, n. 3006/2011; Sez. III, n. 6374/2018; n. 1390/2019, n. 4121/2021; TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012; n. 3920/2013; 4199/2013). È stato, in proposito, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale. E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura "composita", in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agere del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato. In questo quadro, pertanto, l’amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile. La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello sul piano giuridico di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di "cittadinanza sostanziale" che giustifica l’attribuzione dello status giuridico (in proposito, Tar Lazio, Sez. II quater, sent. n. 621/2016: "concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa"). In altre parole, si tratta di valutare il possesso di ogni requisito atto ad assicurare l’inserimento in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato, gravare sulla finanza pubblica (cfr. ex multis, Tar Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227 e n. 12006 del 2021 e sez. II quater, n. 12568/ 2009; Cons. Stato, sez. III, n. 104/2022; n. 4121/2021; n. 7036 e n. 8233 del 2020; n. 1930, n. 7122 e n. 2131 del 2019; n. 657/2017; n. 2601/2015; sez. VI, n. 3103/2006; n. 798/1999). III. - Se, dunque, il potere dell’Amministrazione ha natura discrezionale, il sindacato giurisdizionale sulla valutazione dell’effettiva e compiuta integrazione nella comunità nazionale deve essere contenuto entro i ristretti argini del controllo estrinseco e formale, esaurendosi nello scrutinio del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, con preclusione di un’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cui è causa; il vaglio giurisdizionale non deve sconfinare nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione (ex multis, Cons. Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104; Sez. IV, n. 6473/2021; Sez. VI, n. 5913/2011; n. 4862/2010; n. 3456/2006; Tar Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012). IV. - Alla luce del quadro ricostruito, questo Collegio ritiene che l’operato della p.a. sia immune dai vizi dedotti dalla parte che, in quanto strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente. Dalla lettura del provvedimento, il Collegio ritiene che sia possibile ricostruire, contrariamente a quanto dedotto nell’atto introduttivo del ricorso, il percorso logico-giuridico che ha condotto l’amministrazione - sulla base delle risultanze istruttorie raccolte, tenuto conto in particolare del rapporto informativo della Legione Carabinieri Emilia Romagna del 15 febbraio 2017 nonché del certificato del casellario giudiziale n. 2588349/2018/R - all’adozione di una determinazione sfavorevole per la richiedente, essendo stata profilata una situazione critica nell’ambito familiare. La determinazione avversata è fondata sulla rilevanza attribuita dall’amministrazione al rapporto di parentela stabile e al legame affettivo della richiedente con il figlio risultato incline a violare le regole di civile convivenza, in quanto suscettibile di suggerire scelte emotive volte ad agevolare, per mere ragioni di coinvolgimento affettivo-emotivo, comportamenti non aderenti ai valori della Repubblica. Ebbene in proposito, il Collegio ritiene utile evidenziare che all’autorità procedente nei procedimenti di concessione della cittadinanza si richiede di estendere la valutazione circa l'avvenuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale sotto i molteplici profili della sua condizione lavorativa, economica, familiare e di irreprensibilità della condotta anche al nucleo familiare (cfr. Cons. Stato, sez. I, n. 2674/2018; Id., sez. I, n. 2660/2017, secondo cui la concessione della particolare capacità connessa allo status di cittadino impone che "si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del paese ospitante, sotto il profilo dell’apporto lavorativo e del rispetto delle regole del paese stesso. E in tale ottica, non può ritenersi censurabile l’estensione della valutazione anzidetta al nucleo familiare"). D'altronde, come condivisibilmente rilevato da questo Tribunale (cfr. Sez. I ter n. 13300 del 10 dicembre 2020; Sez. II quater n. 1840 del 2 febbraio 2015), la natura altamente discrezionale del provvedimento di concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione, infatti, fa sì che possano essere presi in considerazione dall’amministrazione per le proprie determinazioni tutti gli aspetti, riguardanti l’istante, ritenuti indicativi della sua effettiva e piena integrazione (sull’estensione del giudizio di opportunità del rilascio dello status alla condotta del nucleo familiare dell’aspirante cittadino, Tar Lazio, Sez. V bis, n. 3673 del 6 marzo 2023, ha chiarito: "in tal modo evidenziando l’ambito soggettivo di tale valutazione, che non si limita alla sola persona del richiedente, ma investe la cerchia dei familiari, in quanto nucleo elementare in cui si forma, si sviluppa e si manifesta la personalità individuale e che, pertanto, costituisce "l’ambiente" in cui va particolarmente studiato il comportamento dei soggetti"). I comportamenti penalmente rilevanti anche dei familiari di primo grado, quando si tratta di familiari conviventi, dunque possono essere considerati al fine di motivare il diniego della cittadinanza italiana del padre, in quanto sono sintomatici della integrazione del nucleo familiare nel quale l’istante vive. I due aspetti della convivenza e dello stretto grado di parentela costituiscono, infatti, elementi significativi della sicura influenza svolta dal familiare, che abbia commesso reati, sull’istante o viceversa e dunque sono stati legittimamente valorizzati dalla amministrazione ai fini di una motivazione di rigetto della cittadinanza italiana. In particolare, nel caso di specie è venuta in emersione la riconducibilità al figlio di una pluralità di illeciti - furto aggravato in concorso di cui agli artt. 110, 624, 625 n. 2, 61 n. 7 c.p.; manifesta ubriachezza per violazione dell’art. 688 c.p.; lesioni personali e rissa per violazione dell’art. 582 e 588 c.p.; disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone per il reato di cui all’art. 659, 175 c.p. - commessi in un caso anche durante la minore età dello stesso e in ogni caso tutti verificatesi nel c.d. "periodo di osservazione", il decennio antecedente la domanda, in relazione al quale deve essere raccolto da parte della p.a. ogni elemento utile sul conto del richiedente lo status al fine della formulazione del giudizio prognostico di ottimale inserimento in maniera stabile nella comunità nazionale. Dette condotte contestate al figlio convivente, che sono anche sfociate in un provvedimento di condanna e in un provvedimento di divieto di ritorno nel Comune di Piacenza, sono da considerare, da un lato, violative di beni-interessi fondamentali per l’ordinamento - tra i quali l’integrità fisica e il patrimonio della persona, la tranquillità pubblica - tutelati in tutte le manifestazioni e in ogni momento della vita associativa dall’ordinamento italiano, dentro e fuori la famiglia, dall’altro, indicative - in ragione di una valutazione non atomistica delle stesse - di un cattivo rapporto ovvero mancato rispetto delle istituzioni dell’ordinamento in cui il nucleo familiare intende radicarsi; pertanto sono state, ad avviso del Collegio, non irragionevolmente ritenute rilevanti al fine della valutazione del livello di integrazione complessivo dei componenti della famiglia, nonché in generale ai fini della formulazione del giudizio di idoneità dell’aspirante cittadino, senza contare la possibilità dei benefici previsti dal legislatore in favore dei familiari conviventi del cittadino. V. - In altre parole, il diniego avversato - lungi peraltro dal violare il principio della personalità della responsabilità penale, vista la limitazione dei relativi effetti al piano amministrativo (cfr. Cons. Stato, sez. I, parere n. 316/2023: "Con il diniego della cittadinanza l’amministrazione non ha esteso al richiedente le conseguenze penali dei reati commessi da un membro del nucleo familiare, ma ha ritenuto di non potere escludere che i significativi precedenti penali dei figli siano indicativi di una situazione di insufficiente integrazione del nucleo familiare nella collettività nazionale e di una situazione di probabile rischio di conseguenze dannose per la stessa collettività ") - si innesta sul pericolo di danno alla comunità nazionale in conseguenza dell’applicazione dei benefici ai parenti del cittadino [cfr. Tar Lazio, sez. V bis, n. 3673/2023 citata: "il richiamo al principio della "responsabilità personale" risulta inconferente in quanto nel contenzioso sulla cittadinanza non viene in considerazione solo la condotta del richiedente, ma anche quella dell’intero nucleo familiare, apprezzato in un’ottica oggettiva, tenendo conto delle conseguenze negative che dalla "infelice" concessione della cittadinanza deriverebbero per l’intera collettività (la cui salvaguardia costituisce una finalità di valore preminente rispetto all’aspirazione dell’istante a prendere parte alla vita politica nazionale dato che questo è, in sostanza, il quid pluris conferito con il provvedimento di naturalizzazione)"]. I molteplici elementi di controindicazione emersi sul conto del figlio convivente della ricorrente, ricadenti nel c.d. "periodo di osservazione" (vale a dire all’interno dell’arco temporale, che coincide con il decennio antecedente la domanda, assunto dalla giurisprudenza prevalente quale frangente di riferimento per valutare l’effettiva integrazione in ragione dell’acquisizione e conservazione dei requisiti all’uopo richiesti: cfr. ex plurimis, Parere del Consiglio di Stato, sez. I, n. 635/2022; Tar Lazio, sez,. V bis, sentenza n. 9494/2023) si caratterizzano dunque nel loro complesso per il forte disvalore sociale, tanto da aver non irragionevolmente spinto la p.a. a determinarsi negativamente nella formulazione del giudizio prognostico di meritevolezza della cittadinanza della madre, avendo escluso l’opportunità rebus sic stantibus di concedere uno status giuridico irreversibile quale la cittadinanza, che postula non soltanto l’interesse da parte del richiedente e il suo inserimento nella collettività che lo ospita ma anche un interesse da parte di quest’ultima ad accogliere lo stesso. VI. - È opinione del Collegio, peraltro, che dette conclusioni sulla correttezza dell’operato della p.a. - che, previo contraddittorio con l’istante, non ha escluso il rischio di un danno alla collettività in conseguenza del rilascio del richiesto status a causa di quanto emerso sul conto del figlio della richiedente - non possono essere scalfite neppure alla luce dell’allegata stabile situazione economico-lavorativa dell’interessata. Sul punto questa Sezione, peraltro, ha più volte chiarito che lo stabile inserimento socio-economico non rappresenta un elemento degno di speciale merito, in grado di far venir meno i constatati motivi ostativi alla concessione dello status anelato, esso è solo il prerequisito della richiesta di cittadinanza, in quanto presupposto minimo per conservare il titolo di soggiorno, che autorizza la permanenza dello straniero sul territorio nazionale (ex multis, Tar Lazio, Sez. V bis, nn. 2945 e 4295 del 2022). L’inserimento sociale e professionale del richiedente rappresenta un elemento sintomatico di una raggiunta situazione di normalità che consente la permanenza dello straniero in Italia, ma non consiste in una particolare benemerenza tale da indurre la Pubblica Amministrazione a ritenere l’interesse pubblico ad integrare nella comunità nazionale un elemento anche ove residuino dubbi sull’effettiva condivisione dei valori fondamentali dell'ordinamento di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza. Neppure colgono nel segno le argomentazioni che fanno leva sull’avvenuto rilascio del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo CE al figlio, in quanto il cittadino straniero lungosoggiornante nello Stato può essere comunque espulso ove ne ricorrano i presupposti e in questa prospettiva le vicende penali del figlio della richiedente possono assumere ulteriore rilevanza nell’ambito della valutazione del rilascio dello status in considerazione del combinato disposto degli artt. 19, comma 2, lett. c) e 30, comma 1, lett. c) del d.lgs. 25.07.1998, n. 286 e successive modificazioni ed integrazioni, secondo cui gli stranieri conviventi con parenti di nazionalità italiana non sono soggetti ad espulsione e possono ottenere un permesso di soggiorno per motivi familiari. VII. - In ogni caso, si tenga conto che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessato di ripresentare l’istanza nel futuro (già dopo un anno dal primo rifiuto), per cui le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee e non comportano alcuna "interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente" (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici) - dato che l’interessato può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima. Quindi, per il provvedimento impugnato, con cui, nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco, si è ritenuto recessivo l'interesse del privato ad essere ammesso come componente aggiuntivo del Popolo italiano, l’irragionevolezza è altresì esclusa alla luce della circostanza che il diniego di cittadinanza provoca il solo svantaggio temporale sopraindicato, il quale risulta "giustificato" ove si consideri la rilevanza degli interessi in gioco e l’irreversibilità degli effetti connessi alla concessione dello status di cittadino. Da tale punto di vista, infatti, risulta inopportuno ampliare la platea dei cittadini mediante l'inserimento di un nuovo componente ove sussistano dubbi sulla sua attitudine a rispettare i valori fondamentali per la comunità di cui diviene parte essenziale con piena partecipazione all’autodeterminazione delle scelte di natura politica. VIII. - Il Collegio, pertanto, ritiene, sulla scorta dei postulati enucleati, che le conclusioni a cui è giunta l’Amministrazione siano immuni dai vizi dedotti con i motivi di ricorso. IX. - In conclusione, per quanto osservato, il ricorso deve essere respinto perché infondato. X. - Sussistono giustificati motivi, tenuto conto della specificità della fattispecie trattata, per disporre la compensazione delle spese. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Floriana Rizzetto - Presidente Enrico Mattei - Consigliere Antonietta Giudice, Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 353 del 2023, proposto da El. Za., rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Ar. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Regione Emilia-Romagna, Provincia di Reggio Emilia, non costituiti in giudizio; per l'annullamento - dell''atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 con oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell''art. 14 comma 6 LR 15/2013"; - della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Paola Pozzani, nessuno presente per le parti come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso introduttivo la ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 recante in oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell'art. 14 comma 6 LR 15/2013", e dell'ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi n. 80 del 27.10.2023. Il Comune di (omissis), costituitosi in giudizio il 28 dicembre 2023, ha speso le proprie difese con memoria del 18 gennaio 2024 ed ha depositato memoria ex art. 73 C.p.a. il 4 aprile 2024. La ricorrente ha precisato la propria posizione con memoria depositata in giudizio il 19 aprile 2024. Entrambe le parti hanno depositato copiosa documentazione. Alla pubblica udienza del 22 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO La ricorrente, proprietaria, in (omissis) (RE), via (omissis), di un edificio residenziale in zona agricola, rappresenta che presentava al Comune di (omissis), in data 8.7.2023, prot. n. 8753, una s.c.i.a. in sanatoria avente ad oggetto la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina, del relativo locale tecnico, della pavimentazione perimetrale, di un piccolo fabbricato in legno ad uso spogliatoio e di una tettoia; ricevuti i documenti ed i chiarimenti richiesti, il Comune di (omissis), con atto 11.10.2023 prot. n. 13122 della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio, comunicava alla ricorrente l'inefficacia della s.c.i.a., "verificata l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP; verificata la non applicabilità dell'art. 4.1.3. comma 6 del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq. di SU". Faceva seguito l'ordinanza 27.10.2023 n. 80, con la quale l'Amministrazione comunale ha disposto la demolizione delle opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria ed anche di una recinzione, accertando, altresì, la sussistenza di una lottizzazione abusiva: "...Confermando quanto relazionato dalla comunicazione di inefficacia trasmessa dal Comune di (omissis) con Prot. n. 13122 del 11.10.2023 si precisa che dagli atti trasmessi risulta quanto segue: 1. Accertata difformità urbanistica ed edilizia sul mappale (omissis) (ex (omissis)) ad uso piscina e manufatti diversi (spogliatoio e wc, locale tecnico, tettoia); le dimensioni della difformità riguardano la piscina di mq. 132,92 di superficie, uno spogliatoio e wc di mq. 8,00, un locale tecnico di mq. 12,00 e una tettoia di mq. 35,02; 2. Accertata difformità urbanistica ed edilizia di muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis); 3. Accertata difformità urbanistica ed edilizia della pavimentazione realizzata sul mappale (omissis); 4. I succitati lavori di esecuzione dei manufatti e della recinzione risultano terminati da tempo, a maggio 2019, come da dichiarazione allegata alla scia 2023/041/S; 5. Accertata difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis) Pratica n. RE0065467 in atti dal 11.5.2023 Protocollo NSD n. ENTRATE.AGEV-STI.REGISTRO UFFICIALE.20433-58.11/05/2023 presentato il 11.5.2023 (n. 65467.1/2023)". Con il primo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" la ricorrente evidenzia, con riguardo alle opere di cui alla s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023, che l'art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, nel prevedere l'accertamento di conformità, mediante s.c.i.a. in sanatoria, degli interventi edilizi di cui all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività, non detta alcuna disposizione volta a disciplinare il relativo procedimento e prospetta che in materia sussistano due orientamenti giurisprudenziali, l'uno rivolto a riconoscere l'applicabilità dell'istituto del silenzio assenso, l'altro a negarla. In particolare la difesa attorea si riferisce, quanto al primo, alle pronunce che affermano che "la s.c.i.a. in sanatoria, presentata ex art. 37 D.P.R. n. 380 del 2001, si presta a rendere operanti le correlate prescrizioni di cui all'art. 19 e ss., legge n. 241 del 1990, in materia di silenzio assenso, dovendo essere ragionevolmente riconosciuto a tale segnalazione carattere e natura confessoria, diretta a provare la verità dei fatti attestati e a produrre, con l'inutile decorso del tempo per l'emanazione di provvedimenti inibitori, effetti direttamente stabiliti dalla legge, indipendentemente da una diversa volontà delle parti, ossia l'avvenuta formazione del titolo abilitativo in sanatoria... Di talché, non essendo intervenuto alcun motivato provvedimento inibitorio allo spirare del trentesimo giorno dalla segnalazione, il titolo in sanatoria deve essere considerato esistente...". (facendo riferimento a T.A.R. Campania, Salerno, 24.3.2022 n. 809; T.A.R. Campania, Napoli, 9.12.2019 n. 5789; T.A.R. Lazio, Roma, 9.1.2018 n. 156; T.A.R. Calabria 29.5.2019 n. 1085; Cons. Stato, Sez. V, 31.3.2014 n. 1534). Nel caso di specie, tale silenzio significativo si sarebbe formato in quanto il Comune di (omissis), a seguito della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria in data 8.7.2023, ha chiesto tempestivamente alla ricorrente, in data 7.8.2023, prima della scadenza del termine di 30 giorni, chiarimenti e determinata documentazione e, ottenute, in data 6.9.2023, le precisazioni richieste, l'Amministrazione comunale si è pronunciata con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, successivamente alla scadenza del termine di 30 giorni dal ricevimento delle integrazioni e, pertanto, quando il titolo edilizio in sanatoria sarebbe ormai venuto ad esistenza. Parte attrice da atto che un diverso orientamento qualifica la fattispecie come silenzio rigetto (facendo riferimento a T.A.R. Lombardia, Milano, 21.3.2017 n. 676) o come silenzio inadempimento (in riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20.2.2023 n. 1708), ma ne contesta il fondamento poiché la prima declinazione ermeneutica replicherebbe la disciplina dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, precisando che nelle relative sentenze si farebbe riferimento anche al termine di 60 giorni previsto dall'art. 36, comma 3, quando, invece, il legislatore avrebbe tenuto ben distinte le fattispecie, prevedendo: - la disciplina dell'art. 36 per i casi di "interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio di attività nelle sole ipotesi di cui all'art. 23, comma 01, o in difformità da essa"; - la disciplina di cui all'art. 37 per la diversa fattispecie riguardante "la realizzazione di interventi di cui all'art. 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla s.c.i.a.", senza operare alcun riferimento, neppure indirettamente, all'art. 36 né prevedere che il mancato, tempestivo, pronunciamento della Amministrazione sia da qualificarsi come silenzio rigetto. Quanto alla seconda declinazione interpretativa dell'orientamento in disamina, la difesa attorea sottolinea che sarebbe stato affermato (in riferimento a Cons. Stato, n. 1708/2023 cit.) che "il procedimento può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento" in considerazione del fatto che "dalla lettura della norma emerge che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall'intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell'aumento di valore dell'immobile compiuta dall'Agenzia del Territorio": sul punto la ricorrente sottolinea che nella impossibilità, sulla base di detta impostazione, di far riferimento, per il pronunciamento dell'Amministrazione comunale, ad alcun termine determinato - non al termine dell'art. 19 della L. n. 241/1990, la cui inosservanza comporterebbe il silenzio assenso, non al termine di cui all'art. 36, la cui inosservanza è qualificata come silenzio rigetto, e neppure al termine previsto in via generale dall'art. 2, comma 2, della L. n. 241/1990, atteso che, sulla base della giurisprudenza citata, 30 giorni non sarebbero sufficienti per accertare la duplice conformità urbanistica di un'opera abusiva - verrebbe a determinarsi una situazione di assoluta incertezza, non essendo dato comprendere quando possa configurarsi l'inadempimento, così da consentire all'interessato di attivarsi giudizialmente per contrastare l'inerzia della Amministrazione. Né tale tesi sarebbe percorribile, ad avviso del patrocinio attoreo, sulla scorta del fatto che, in caso di esito favorevole, il quantum della somma da corrispondersi a titolo di oblazione debba essere determinato dal responsabile del procedimento medesimo, poiché non sussisterebbe alcuna preclusione a che la somma dovuta venga determinata in un momento successivo alla formazione, per decorso del termine di 30 giorni, del titolo edilizio in sanatoria: tale tesi sarebbe ancora meno spendibile con riferimento al caso di specie, avuto riguardo alla normativa regionale di riferimento. La ricorrente fa riferimento all'art. 17, comma 3, della L. Reg. 21.10.2004 n. 23 laddove prevede per le nuove costruzioni il pagamento di un importo a titolo di oblazione predeterminato dalla stessa norma, commisurato "al contributo di costruzione in misura doppia ovvero, in caso di esonero, in misura pari a quella prevista dalla normativa regionale e comunale, e comunque per un ammontare non inferiore a 2.000 euro": pertanto, assume la difesa attorea, l'intervento del responsabile del procedimento, nel caso considerato, non sarebbe a rigore necessario e il modulo relativo alla s.c.i.a. in sanatoria prevede che l'importo della oblazione sia indicato dal privato e preventivamente versato. L'esponente contesta l'impostazione della decisione del Consiglio di Stato n. 1708/2023 laddove si legge, altresì, che il silenzio inadempimento è soluzione che "appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio", poiché la disciplina di cui all'art. 19 della L. n. 241/1990 non esclude una valutazione espressa della Amministrazione, prevedendo anzi, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti prescritti, l'adozione di "motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa". Inoltre, aggiunge parte attrice, la s.c.i.a. in sanatoria ha per oggetto opere di minore impatto e rilevanza, per le quali l'accertamento della doppia conformità rispetto alla disciplina urbanistico - edilizia può essere adeguatamente effettuato nel termine di 30 giorni previsto dalla legge, tenuto conto anche del fatto che il termine in questione è suscettibile di essere interrotto per chiarimenti e integrazioni, per poi, una volta ottenuto quanto richiesto, riprendere nuovamente il suo corso. In conclusione, la difesa attorea prospetta che la comunicazione di cui all'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, in quanto pervenuta oltre il termine di 30 giorni dall'inoltro delle integrazioni richieste dall'Amministrazione comunale, sarebbe da ritenersi, sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale che ritiene preferibile, priva di efficacia, come previsto anche dall'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 (in riferimento al comma 8-ter) che il Comune di (omissis), a dimostrazione della ritenuta applicabilità della norma in questione anche nel caso di specie, avrebbe richiamato espressamente in detta comunicazione: il titolo edilizio in sanatoria sarebbe, pertanto, venuto ad esistenza e l'inefficacia dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 si riverberebbe sulla ordinanza 27.10.2023 n. 80, determinandone l'illegittimità per vizio derivato ed anche per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, difettando il presupposto per ordinare il ripristino dello stato dei luoghi, costituito dalla abusività delle opere considerate. Nella memoria finale la difesa attorea aggiunge che la tesi volta ad escludere la possibile formazione del silenzio assenso sulla s.c.i.a. in sanatoria confliggerebbe anche con quanto previsto dal D.Lgs. 25.11.2016 n. 222 ("Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124") sottolineando che l'art. 2 del D.Lgs. citato sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990": la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" indica la "S.c.i.a. in sanatoria" prospettando, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria è da considerarsi soggetta al regime del silenzio assenso, secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Con il secondo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Violazione dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione degli artt. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. del Comune di (omissis). Eccesso di potere per travisamento. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" parte ricorrente ritiene che nel caso di specie sussista il presupposto della doppia conformità posto che, a differenza di quanto ritenuto dal Comune di (omissis), le opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023 sarebbero conformi alla disciplina urbanistico - edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione, sia alla data di presentazione di detta segnalazione: precisa, infatti, che si tratterebbe della medesima disciplina, atteso che le opere di cui trattasi sono state realizzate nel maggio del 2019 e il vigente R.U.E. del Comune di (omissis) è stato approvato con delibera di C.C. 21.12.2011 n. 72. La determinazione del Comune sarebbe erronea nel ritenere non sanabili le opere ridette, adducendo "l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP" ed anche la "non applicabilità dell'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" poiché la s.c.i.a. in sanatoria di cui si discute riguarda la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina e delle relative strutture accessorie costituite dal locale tecnico ove sono alloggiati gli impianti della piscina, da uno spogliatoio in legno, da una tettoia a bordo piscina per la sosta e il riparo delle persone e dalla pavimentazione perimetrale alla piscina: le opere descritte - prospetta l'esponente - sarebbero state realizzate in stretta contiguità spaziale rispetto all'attiguo edificio abitativo (la piscina è posta di fronte a detto edificio, alla distanza di una ventina di metri), per il quale, con autorizzazione edilizia 7.1.2000 n. 47/99/A, è stato assentito il mutamento di destinazione d'uso da fabbricato rurale a edificio residenziale. A sostegno della pertinenzialità la ricorrente adduce che la Regione Emilia-Romagna, con nota 24.6.2020 n. PG/2020/463171 del Servizio giuridico del territorio, disciplina dell'edilizia, sicurezza e legalità (in actis al documento n. 8), ha precisato che costituisce pertinenza dell'edificio residenziale la piscina posta a servizio dell'edificio medesimo, "con dimensioni non superiori al 20% del volume dell'edificio principale, che non ha una potenziale autonoma utilizzazione economica" e, come si evincerebbe dalla relazione tecnica del Geom. Al. Be. del 5.12.2003 (in actis al documento n. 9), la piscina di cui trattasi ha un volume di 152 mc. inferiore al 20% del volume del fabbricato principale, pari a 1462,27 mc. (1462,27mc x 20% = 292,45 mc.). Inoltre, aggiunge la ricorrente, la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonoma utilizzazione economica, considerato che la stessa, come risulterebbe dalla relazione succitata, ha le dimensioni di una piscina ad uso privato destinata a soddisfare le esigenze delle persone residenti nell'edificio abitativo, risultando, altresì, strettamente connessa all'edificio medesimo non solo per la sua ubicazione, ma anche per il fatto che la piscina è dotata di impianti derivanti dalla abitazione ridetta, sia per l'adduzione idrica, sia per l'energia elettrica: la pertinenzialità sarebbe implicitamente - ad avviso della difesa attorea - riconosciuta dallo stesso Comune di (omissis) che nulla avrebbe eccepito in ordine al fatto che, per la sua sanatoria, sia stata presentata una s.c.i.a. Inoltre, sottolinea la esponente, il riferimento operato dal Comune di (omissis), con l'atto impugnato, alla assenza di titolo per intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E., non sarebbe corretto trattandosi di pertinenza di un edificio residenziale, e avrebbe, perciò, titolo per intervenire il proprietario dell'edificio medesimo, ancorché privo della qualifica di imprenditore agricolo. A sostegno della tesi, la ricorrente evidenzia che l'art. 4.1.3. del R.U.E. del Comune di (omissis) prevede la possibilità di ottenere il mutamento di destinazione d'uso degli edifici rurali in edifici residenziali, così che, una volta assentito detto mutamento, deve ritenersi consentita, per il proprietario, la realizzazione di opere pertinenziali dell'edificio principale: questa prospettazione sarebbe confermata dalla giurisprudenza, essendosi ritenuta legittima la realizzazione, in ragione del riconosciuto carattere pertinenziale, di una piscina di dimensioni contenute a corredo di un edificio a destinazione residenziale sito in zona agricola (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. V, 16.4.2014 n. 1951; idem, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Puglia, Lecce, 1.6.2018 n. 931; idem, 14.1.2019 n. 40; T.A.R. Liguria 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Sicilia, Palermo, 13.2.2015 n. 441). Sarebbero, così, suscettibili di sanatoria anche il locale tecnico, lo spogliatoio in legno, la tettoia e la pavimentazione perimetrale, trattandosi di elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina (citando con riferimento al locale tecnico, Cons. Stato, n. 1951/2014), insuscettibili, per le loro dimensioni contenute, di alterare in modo significativo l'assetto del territorio. Quanto al fatto che il Comune di (omissis), con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, ha addotto altresì, che, nel caso di specie, non sarebbe applicabile l'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. "in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" la difesa attorea ne contesta l'assunto in quanto la disposizione medesima disciplinerebbe l'ampliamento delle unità edilizie abitative e delle superfici accessorie esistenti, senza escludere la possibilità di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: nel caso in esame, detto limite, come sarebbe evidenziato nella relazione sopra del Geom. Be., sarebbe stato rispettato anche considerando i locali accessori (spogliatoio e locale tecnico), mentre la tettoia non sarebbe computabile a fini volumetrici, essendo aperta su tutti i lati. Aggiunge l'esponente che il locale spogliatoio e il locale tecnico hanno, rispettivamente, una volumetria di 17,78 mc. e di 27 mc. che sommata al volume della piscina (152 mc.) porta ad una volumetria complessiva di 196,78 mc., inferiore al 20% del volume del fabbricato principale (292,45 mc.) concludendo che le opere oggetto di sanatoria sarebbero da considerarsi conformi alla disciplina urbanistico-edilizia di riferimento e, così, suscettibili di sanatoria. Con il terzo motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di rimessione in pristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione degli artt. 31 e 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23, nonchè per eccesso di potere per travisamento sotto altro profilo" la ricorrente lamenta che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha disposto la demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", ma la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, per alcune difformità riguardanti l'edificio principale e anche la recinzione anzidetta: su tale s.c.i.a. l'Amministrazione comunale non si sarebbe ancora pronunciata, avendo chiesto integrazioni, da ultimo, con nota 26.9.2023 prot. n. 12395, alla quale ha fatto seguito, in data 26.10.2023, la trasmissione delle integrazioni richieste; anche in tale caso si sarebbe formato il silenzio assenso, dovendosi, così, escludere la possibilità di ordinare la demolizione dell'opera medesima. Inoltre, l'ordinanza 27.10.2023 n. 80 oggetto di gravame sarebbe da considerarsi illegittima anche nell'ipotesi in cui il procedimento di sanatoria dovesse considerarsi ancora pendente poiché per giurisprudenza consolidata - prospetta la difesa attorea - è "illegittima l'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive emessa in pendenza della già avvenuta presentazione di una domanda in sanatoria; questo in quanto nelle more della definizione di tali domande i procedimenti sanzionatori in materia edilizia sono sospesi" (citando Cons. Stato, Sez. VI, 9.11.2021 n. 7448). I Con il quarto motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione e falsa applicazione dell'art. 30 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380 e dell'art. 12 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Eccesso di potere sotto i profili della illogicità e del travisamento sotto ulteriore profilo" evidenzia l'esponente che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha contestato anche una "difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis)", la quale nel caso di specie non sussisterebbe. La difesa attorea sottolinea che la lottizzazione c.d. "cartolare", come espressamente sancito dall'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 e dall'art. 12 della L. Reg. n. 23/2004, è ravvisabile allorquando la trasformazione del suolo sia predisposta "mediante il frazionamento e la vendita, ovvero mediante atti negoziali equivalenti, del terreno frazionato in lotti", i quali, per le loro oggettive caratteristiche - con riguardo soprattutto alla dimensione correlata alla natura dei terreni ed alla destinazione degli appezzamenti considerata sulla base degli strumenti urbanistici, al numero, all'ubicazione o all'eventuale previsione di opere di urbanizzazione - rivelino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio degli atti adottati dalle parti (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20 maggio 2019, n. 3215, Sez. V, 3 agosto 2012, n. 4429, Sez. IV, 13 maggio 2011, n. 2937). Nel caso di specie, precisa il patrocinio della ricorrente, mancherebbe il presupposto fondamentale per la sussistenza di una lottizzazione "cartolare", atteso che al frazionamento dell'originario mappale n. (omissis) non ha fatto seguito alcuna vendita del terreno frazionato, vendita che non sarebbe configurabile, considerato che la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonomo sfruttamento economico: il frazionamento di cui trattasi è stato effettuato in data 16.5.2023, dandone comunicazione anche al Comune di (omissis) (con riferimento al documento n. 13 in actis), in funzione della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria riguardante la piscina, al fine di distinguere catastalmente la piscina medesima dalla restante area di proprietà, in cui era presente un magazzino, anch'esso realizzato in assenza di titolo edilizio, per il quale è stata presentata dalla ricorrente, in data 7.7.2023, prot. n. 8752, una c.i.l.a. ai fini della sua demolizione. Pertanto, conclude sul punto l'esponente, ancorché l'Amministrazione comunale, con l'atto impugnato, pare essersi riferita esclusivamente alla lottizzazione c.d. "cartolare", sarebbe da escludersi che possano configurarsi anche la lottizzazione "materiale" e la lottizzazione c.d. mista, caratterizzata, quest'ultima, dalla compresenza delle attività negoziali e delle attività materiali volte alla edificazione del terreno dovendosi, in base alla giurisprudenza, considerare che la fattispecie lottizzatoria nella veste "materiale" implica la realizzazione di "opere finalizzate alla trasformazione urbanistica di terreni in zona non adeguatamente urbanizzata in violazione della disciplina a quest'ultima impartita dalla legislazione e dagli strumenti pianificatori; siffatti interventi devono risultare globalmente apprezzabili in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, di aggravio del relativo carico insediativo e di pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita all'amministrazione" (citando Cons. stato, Sez. VI, 4.11.2019 n. 7530): deve, pertanto, trattarsi di una radicale trasformazione del suolo a fini edificatori che non può riscontrarsi, a prescindere dalla dimostrata legittimità dell'intervento, nella realizzazione di una piscina a servizio di un edificio residenziale in zona agricola, non comportando tale opera, tra l'altro, alcun aggravio del carico urbanistico (rinviando a Cons. Stato, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142). Il Comune resistente precisa in fatto che la ricorrente è proprietaria di un complesso immobiliare sito in via (omissis) a (omissis) (RE), che consta di un'abitazione principale (già fabbricato rurale, oggi edificio residenziale) e di un'ampia porzione di terreno agricolo, compendio su cui - nel corso degli anni - sono stati fatti diversi interventi di trasformazione edilizia in assenza di valido titolo. In particolare, in data 28.04.2023 la ricorrente depositava presso il Comune di (omissis) la comunicazione di avvenuto frazionamento dell'ex mappale (omissis) nei nuovi mappali (omissis) e (omissis), frazionamento che era stato presentato all'Agenzia delle Entrate - Ufficio Provinciale di Reggio Emilia - in data 18.04.2023; sul mappale (omissis), secondo la difesa dell'Ente, sono stati commessi svariati abusi edilizi, che - di fatto - lo caratterizzano in modo del tutto differente rispetto al mappale (omissis), sul quale pure sono stati commessi abusi edilizi che la ricorrente ha dichiarato di voler demolire con CILA presentata al Comune in data 08.07.2023, prot. n. 8752, ripristinando in tal modo l'originaria connotazione agricola del terreno (con riferimento ai documenti nn 3, 4, 5, 6, 7 e 8 in actis). Inoltre, prosegue l'Amministrazione, al fine di sanare le opere abusive non rimosse con la CILA di cui sopra, la ricorrente presentava al Comune due distinte pratiche di Segnalazione Certificata di Inizio Attività : la n. 2023/029/S, acquisita con prot. n. 5985 del 12.05.2023, relativa alla sanatoria di opere eseguite su edificio residenziale e sulla recinzione esterna dell'area cortiliva (immobile identificato catastalmente al foglio 20, mappale 205) e la n. 2023/041/S, acquisita con prot. n. 8753 del 08.07.2023, relativa alla sanatoria di una piscina - di oltre 112 mq. di superficie - e di manufatti annessi (su terreno agricolo, identificato catastalmente al foglio 20, mappale (omissis)). Quindi, sottolinea l'Amministrazione, emerge che le opere realizzate sul mappale (omissis) (piscina, tettoia, pavimentazione, locali tecnici, spogliatoio, recinzioni perimetrali alla piscina) sono dalla ricorrente medesima qualificate come "pertinenze" dell'edificio residenziale di cui al mappale 205, ma non sono state inserite nella stessa comunicazione di SCIA in sanatoria. Il Comune resistente aggiunge che dalla relazione fotografica e dagli elaborati grafici allegati alla SCIA prot. 8753, peraltro, si evince che gli interventi abusivamente realizzati sul mappale (omissis) hanno determinato la creazione di un autonomo lotto, con piscina e locali accessori, oltre ad una tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo (di oltre 35 mq. di superficie coperta), lotto del tutto indipendente rispetto all'abitazione principale, al punto che da questa è separata da due cancelli e da uno stradello carrabile (rinviando ai documenti nn. 20 e 21 in actis): ciò comporterebbe che gli abusi edilizi e i frazionamenti dei mappali catastali hanno determinato la creazione di tre distinti lotti all'interno della proprietà della ricorrente, tutti serviti da uno stradello privato interno: uno con abitazione a area cortiliva di pertinenza, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale 205), uno con piscina, zona relax, tettoia con zona pranzo-cucina e locali accessori, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale (omissis)) ed uno che - a seguito della demolizione dei fabbricati abusivi che vi insistono - riacquisterà la sua originaria natura di terreno agricolo (mappale (omissis)). Inoltre, le due SCIA menzionate hanno avuto una sorte tra loro differente: - la n. 2023/029/S, prot. n. 5985, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale 205, dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata accettata dal Comune con atto prot. n. 602/2024; - la n. 2023/041/S, prot. n. 8753, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale (omissis), dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata dichiarata inefficace dal Comune con atto prot. n. 13122 del 11.10.2023. Quest'ultima, oggetto di impugnazione, è stata dal Comune motivata con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti (rinviando all'estratto del PSC di cui al documento n. 25 ed all'estratto del RUE di cui al documento n. 26 in actis) per i seguenti motivi: - assenza di titolo ad intervenire in zona agricola, ai sensi dell'art. 4.1.1 e seguenti del RUE (in quanto intervento in zona agricola effettuato da non imprenditore agricolo - IAP); - per l'inapplicabilità dell'art. 4.1.3 comma 6 del RUE, in quanto l'intervento è stato eseguito su edificio non di recente costruzione e con ampliamento superiore ai 30 mq. di superficie (la sola tettoia sarebbe di 35,02 mq. con riferimento al documento n. 20 in actis). Con l'ordinanza impugnata il Comune ingiungeva di demolire le opere abusive, non sanabili perché in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (PSC e RUE) realizzate in assenza di valido titolo edilizio sul mappale (omissis), e di ripristinare lo stato dei luoghi, con precisa identificazione delle opere da demolire: piscina, spogliatoio-wc, locale tecnico, tettoia, muri perimetrali, pavimentazione esterna e recinzioni sul lato ovest, sud ed est. Sul primo motivo l'Amministrazione precisa che le tesi della ricorrente non sono condivise dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha invece affermato essere necessario un espresso pronunciamento del Comune sulla SCIA in sanatoria: "... il procedimento (relativo alla sanatoria di abusi edilizi tramite SCIA, n. d.r.) può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento. Innanzitutto, infatti, l'art. 37 non prevede esplicitamente un'ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell'art. 36 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento... Al tempo stesso la soluzione appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio" (citando Cons. Stato, sez. II, 20.02.2023, n. 1708 e per una puntuale ricostruzione dell'istituto della SCIA in sanatoria riferendosi a T.A.R. Lazio Roma, sez. II-quater, 07.12.2023, n. 18386): di conseguenza, sottolinea la resistente, il procedimento avviato dalla ricorrente con la SCIA prot. n. 8753/2023 è stato correttamente concluso dal Comune con la comunicazione di inefficacia della SCIA stessa (prot. n. 13122, del 11.10.2023), atto motivato con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti. Sul secondo motivo, il Comune precisa che la nota della Regione citata dalla ricorrente si riferisce al quantum del contributo e non al concetto di pertinenzialità e che la declaratoria di inefficacia della SCIA impugnata è corretta in quanto non sussiste nel caso di specie la consistenza della misura inferiore ai 30 mq sostanziandosi l'intervento in un'opera che non sarebbe sanabile nemmeno da un imprenditore agricolo; la pertinenzialità sarebbe esclusa in quanto si tratta di un opera non contenuta ma di una piscina di 112 mq, e ai fini IMU (l'art. 1, comma 741, lett. b) della L. n. 160/2019 individua le pertinenze dell'abitazione principale nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7), e le piscine, che sono da ricomprendere ai sensi delle descrizioni contenute nella Circolare del Ministero delle Finanze n. 5 del 14.03.1992 "Revisione generale della qualificazione della classificazione e del classamento del N.C.E.U." nella categoria C/4 (Fabbricati e locali per esercizi sportivi), sono escluse dal concetto di pertinenza. Inoltre, sottolinea l'Amministrazione, la giurisprudenza citata dalla ricorrente, al fine di affermare la pertinenzialità della piscina rispetto all'edificio principale, ha comunque quale presupposto per l'applicazione del regime di SCIA la circostanza che la piscina stessa sia costituita da un elemento prefabbricato e non determini modifiche al territorio, circostanze che non ricorrono nel caso de quo. Di conseguenza, controdeduce sul punto l'Amministrazione, risulterebbe irrilevante la tesi sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: non si tratterebbe di una questione di limite percentuale, ma è la natura stessa delle opere abusive che non ne consentirebbe la sanatoria tramite SCIA. Infine, conclude il Comune, l'argomento relativo all'implicito riconoscimento della piscina quale pertinenza dell'abitazione da parte del Comune stesso, che nulla avrebbe eccepito in ordine alla sanatoria dell'abuso tramite SCIA, non terrebbe conto del tenore della "comunicazione di inefficacia" della SCIA stessa, che - attraverso il richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE - implicitamente affermerebbe che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, avrebbero potuto essere realizzate solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Sul terzo motivo di ricorso il Comune di (omissis) precisa che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, Prot. n. 5985 e ciò sarebbe agevolmente rilevabile dalla tavola di raffronto tra la porzione di recinzione sanata con la SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985, segnata in viola, e la porzione di recinzione - non sanata - oggetto dell'ordinanza di demolizione n. 80/2023, segnata in giallo (con riferimento al documento n. 28 in actis): sarebbero secondo la resistente, pertanto, irrilevanti le argomentazioni del ricorso relative alla "pendenza" del procedimento SCIA n. 2023/029/S poiché la eventuale pendenza del medesimo non rileverebbe, avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Sul quarto motivo di ricorso l'Amministrazione sottolinea che il frazionamento di più opere abusive censurate in via sostanziale integrerebbe una fattispecie di lottizzazione abusiva mista rinviando alla pronuncia del T.A.R. Sardegna, Sez. II, 20.03.2023, n. 194, che la descrive come categoria dogmatica "... caratterizzata dalla compresenza delle attività materiali e negoziali individuate dall'art. art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, consistente nell'attività negoziale di frazionamento di un terreno in lotti e nella successiva edificazione dello stesso...": nel caso in esame, conclude sul punto l'Amministrazione, è stato accertato un disegno unitario, con un rilevante impatto negativo sul territorio rurale, con aggravio del relativo carico urbanistico e con pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita al Comune a garanzia del corretto uso del territorio deponendo per la correttezza della qualificazione della fattispecie come "lottizzazione abusiva". Illustrate brevemente le posizioni delle parti, il Collegio ritiene che le questioni poste dalla ricorrente sugli effetti del decorso del termine di 30 giorni dalla presentazione della s.c.i.a. in sanatoria non siano rilevanti nel caso de quo in quanto la fattispecie concreta non rientra in tale istituto di semplificazione in base ad un consolidato principio espresso dalla giurisprudenza in materia. Va premesso che l'art. 2 del D.Lgs. n. 222 del 2016, richiamato dal ricorrente, sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990", prevedendo la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" il richiamo alla "S.c.i.a. in sanatoria"; in ragione di ciò prospetta, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria sarebbe da considerarsi soggetta al regime del "silenzio assenso", secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Sul punto il Collegio rileva che il citato n. 41 della tabella A, Sez. II, si riferisce alla s.c.i.a. in sanatoria per interventi realizzati in assenza di s.c.i.a. o in difformità da essa, mentre nel caso concreto, si tratta, come sarà approfondito nel prosieguo della presente decisione, di attività esclusa dai procedimenti semplificati: la costruzione delle opere di cui è causa avrebbe necessitato il permesso di costruire e non la s.c.i.a e, perciò, nel caso di specie, è assente il presupposto stesso - previsto dalla norma - per l'applicazione della disposizione invocata con la conseguenza che alla declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. impugnata non è applicabile il regime amministrativo previsto dall'art. 19 della Legge n. 241 del 1990. Il Collegio, sul punto richiama la sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, n. 1055 del 10 aprile 2024 laddove precisa in via generale che dalla necessaria applicazione dell'istituto del permesso di costruire alla fattispecie concreta "deriva l'inapplicabilità dell'art. 19 della legge 241/1990: "L'errore sui requisiti soggettivi o oggettivi della d.i.a. (oggi SCIA) poiché frutto di una dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica che si limita a riceverla, per il solo fatto che quest'ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare un'eventuale responsabilità amministrativa, non già la sanatoria della d.i.a. mancante di un requisito essenziale; di conseguenza, il provvedimento con cui l'Amministrazione accerta che le opere edili non potevano essere realizzate mediante d.i.a., occorrendo il permesso di costruire, non è espressione di autotutela, ma ha valore meramente accertativo di un abuso doverosamente rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il limite di dover agire entro un termine ragionevole, chiaramente inapplicabile all'attività di vigilanza edilizia, tanto più che il dichiarante non può, per le ragioni anzidette, vantare nessun affidamento" (cfr.: T.a.r. Puglia Bari, sez. II, 20.02.2017 n. 147)". In particolare, sulla s.c.i.a. in sanatoria, la sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, n. 809 del 24 marzo 2022, ritiene che non è ricollegabile portata infirmante all'inosservanza del termine di 30 giorni ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990 quando le opere abusive esulano dal perimetro del regime abilitativo della SCIA, essendo subordinate al previo rilascio del permesso di costruire: la pronuncia precisa che a tale premessa consegue "l'assenza di effetti legittimanti ricollegabili alla SCIA in sanatoria prot. n. 67995 del 21 novembre 2019, la quale, dacché formata al di fuori del corrispondente modello legale tipico (stante l'assoggettamento dell'opera eseguita ad un più rigoroso regime abilitativo), era da considerarsi 'tamquam non esset', così da giustificare l'impugnata determinazione reiettiva senza l'operatività della preclusione temporale ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990". Quanto alla sussistenza nel caso concreto della necessità del permesso di costruire anziché dell'applicabilità degli istituti di semplificazione, vanno considerati sia gli aspetti definitori del concetto di pertinenzialità rilevante in materia sia l'orientamento ermeneutico sulla qualificazione della specifica opera abusiva, nonché la concreta consistenza dell'intervento edilizio di cui è causa. Sul concetto generale di pertinenzialità il Collegio rinvia a quanto precisato dal T.A.R. Lazio, Sez II Stralcio, n. 7463 del 16 aprile 2024, in adesione al pacifico orientamento giurisprudenziale che "assegna al concetto di "pertinenza", in campo urbanistico-edilizio, un significato più ristretto e meno ampio rispetto alla definizione civilistica di cui all'art. 817 c.c., essendo configurabili come tali "solo le opere prive di autonoma destinazione e che esauriscono la loro destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico, e dovendosi altresì tener conto, oltre che della necessità e oggettività del rapporto pertinenziale, anche della consistenza dell'opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l'assetto del territorio, essendo il vincolo pertinenziale caratterizzato oltre che dal nesso funzionale, anche dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui soggiace a permesso di costruire la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa" (cfr. ex multis T.A.R. Lazio, Sez. II S, 17 novembre 2023, n. 17168; T.A.R Lazio, II quater, 21 novembre 2022, n. 15371; id., 12 luglio 2022, n. 9594; 26 aprile 2021, n. 4824)". In particolare, sulle piscine l'esegesi cui intende aderire il Collegio ritiene che l'opera interrata costituisca una nuova costruzione assoggettata al permesso di costruire e non sia qualificabile in termini di pertinenza dell'edificio principale in ragione della significativa trasformazione del territorio che comporta e della non necessaria complementarità all'uso delle abitazioni poiché non riveste un'obiettiva funzione di migliore utilizzazione della res principalis, tale che in sua assenza risulterebbero impedite o sacrificate talune delle materiali possibilità di sfruttamento o godimento di quest'ultima (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, n. 993 del 24.10.2022; T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 9.9.2020, n. 3730; T.A.R. Emilia-Romagna Bologna, sez. II, n. 800 del 30.09.2021). In coerenza con tale indirizzo interpretativo, si è di recente rilevato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 02/01/2024, n. 44) che la piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata e perciò configura una nuova costruzione, non potendo essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, atteso che, sul piano funzionale, non è esclusivamente complementare all'uso delle abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo installati nei giardini o nei luoghi di divertimento; in effetti, la realizzazione della piscina comporta una "durevole trasformazione del territorio" e, sotto il profilo urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto a quella propria dell'edificio cui accede, sì che non può coincidere con la relativa nozione civilistica di pertinenza, nel presupposto che la nozione di pertinenza urbanistica è invocabile per opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, viceversa tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e specifica utilizzazione. Nel caso di specie, una piscina di oltre 112 mq. di superficie, assistita da opere ulteriori (locali accessori e tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo di oltre 35 mq. di superficie coperta), non può essere definita come "di dimensioni contenute" incidendo, pertanto, significativamente sulla trasformazione del territorio e non riveste il carattere di intrinseca funzionalità rispetto alla res principalis sopra delineato; nel provvedimento impugnato di declaratoria di inefficacia della s.c.i.a., infatti, emerge, attraverso il riferimento all'istruttoria svolta in contraddittorio endoprocedimentale ed al richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE, sia che le opere costituiscono un ampliamento superiore ai 30 mq di SU in edificio di non recente costruzione sia che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, si sarebbero potute realizzare solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Di conseguenza, risulta inconferente la tesi attorea sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale, in quanto difetta nel caso concreto la natura stessa di opera pertinenziale. Infine, la nota della Regione Emilia-Romagna invocata a sostegno della pertinenzialità della piscina è chiaramente rivolta alla definizione della medesima esclusivamente ai fini del pagamento e alla qualificazione del contributo di costruzione e, pertanto, la relativa portata interpretativa è confinata in tale ambito: nella nota medesima, infatti, si chiarisce che la natura pertinenziale di una piscina di volume inferiore al 20% dell'abitazione principale rileva al fine di considerarla quale Superficie accessoria che non richiede il versamento della quota degli oneri di urbanizzazione (U1 e U2) ma è soggetta al solo versamento della quota relativa al costo di costruzione (QCC) da calcolarsi non sulla classificazione catastale, bensì, in relazione alla tipologia OMI, formulando un chiarimento di connotazione sostanzialmente tecnico-economica ai fini dell'imposizione della prestazione patrimoniale imposta, che risponde a presupposti diversi da quelli rilevanti nella presente sede. Quanto, poi, al locale tecnico, allo spogliatoio in legno, alla tettoia e alla pavimentazione perimetrale, che la stessa ricorrente qualifica come elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina, vale il consolidato orientamento per cui la valutazione dell'abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 11/03/2024, n. 2321). Pertanto, al regime edilizio della piscina, necessitante di un permesso di costruire, si associano evidentemente le altre opere alla stessa collegate. Sul terzo motivo di ricorso, relativo all'ordine di demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", proposto in base all'assunto attoreo secondo il quale la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, il Collegio ritiene che l'Amministrazione abbia ampiamente chiarito, con precisazioni sulle quali la difesa attorea non ha ulteriormente coltivato il motivo in disamina, che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985: pertanto, la eventuale "pendenza" di quest'ultima è irrilevante nel presente giudizio avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Il Collegio, infine, ritiene che l'esame dell'ultima doglianza possa dichiararsi assorbito in considerazione della dirimente questione esaminata, relativa all'inconfigurabilità della consistenza pertinenziale delle opere de quibus quale elemento fondante della declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. presentata dalla ricorrente e di per sé idoneo a sorreggere il conseguente ordine di ripristino dello stato dei luoghi. Il Collegio ritiene che, in considerazione della peculiarità della materia, le spese di lite possano essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese di lite compensate. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 102 del 2018, proposto da Ho. Re. di Va. & C. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. De Co., Ro. Pa. Sa., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Pa. Sa. in Roma, via (...); contro Il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Mu., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. Le. Vi. in Roma, via (...); la società Si. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Bi., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Rimini, via (...); la società Ce. - Am. di Ce. Se. & C. S.n. c., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna Sezione seconda n. 00386/2017, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della Società Si. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il consigliere Giuseppe Rotondo; viste le conclusioni delle parti come da verbale. FATTO e DIRITTO 1. Il presente giudizio ha ad oggetto la domanda annullamento del permesso di costruire n. 86 del 21 ottobre 2010 rilasciato dal comune di (omissis) in favore della società S.I. s.r.l. 1.1. Il tiolo edilizio autorizza la realizzazione di lavori di ampliamento della sala da pranzo di pertinenza del fabbricato ad uso albergo denominato "Ho. Sa." sito in (omissis), Via (omissis). 1.2. Unitamente al permesso di costruire, le società "Ho. Re. di Va. & C. s.a.s." e "Ce. - AM. DI Ce. SE. & C. - S.N.C." contestano la legittimità anche del provvedimento costituente parere favorevole alla realizzazione dei suddetti lavori di ampliamento, espresso in data 22 luglio 2010 dalla commissione per le qualità architettoniche e il paesaggio istituita presso il comune di (omissis). 2. Questi gli aspetti principali della vicenda: a) la società Ho. Re. di Va. & C. s.a.s. è proprietaria di fabbricato a uso albergo, ad insegna "HO. RE.", sito in (omissis) (RN), Via (omissis), mentre la società Ce. - AM. DI Ce. SE. & C. s.n. c. è proprietaria di un fabbricato ad uso albergo denominato HO. Ce., sito in (omissis) (RN), Via (omissis); b) entrambe si trovano sul lungomare e hanno il fronte rivolto direttamente verso il mare; c) tra i due alberghi insiste l'H. Sa., di proprietà della società controinteressata; d) i tre alberghi sono, di fatto, allineati verso il fronte mare; e) in data 20 novembre 2009, la società S.I. s.r.l. presentava al Comune di (omissis) istanza per il rilascio di permesso di costruire per i lavori di ampliamento della sala pranzo dell'Hotel di sua proprietà, sito in Via (omissis); il titolo veniva richiesto, quale "diritto edificatorio una tantum" ai sensi dell'art. 21, comma 8, del RUE, per la parziale copertura e chiusura della terrazza posta al piano rialzato dell'hotel verso mare, al fine ampliare lo spazio disponibile per la sala pranzo; f) la conferenza di servizi interna per edilizia privata accertava, in data 21 dicembre 2009, la conformità del progetto ai parametri urbanistici ed edilizi stabiliti dall'art. 21, comma 8, del R.U.E.; g) in data 22 dicembre 2009, la commissione comunale per le qualità architettoniche e il paesaggio riteneva opportuno richiedere un'integrazione della documentazione grafica e fotografica comprovante il corretto inserimento della struttura nel contesto circostante; h) in data 29 gennaio 2010, la società S.I.. trasmetteva l'integrazione documentale richiesta, mantenendo l'impostazione planimetrica dell'intervento e contestando l'utilità di mantenere una fascia di 1,5 m dagli spazi pubblici al piano rialzato; i) in data 15 febbraio 2010, la commissione per la qualità, con verbale-parere n. 3, confermava la prescrizione di arretramento della struttura, con l'obbligo di impostarla alla stessa distanza dagli spazi pubblici esistente per la sottostante muratura; l) la società presentava un nuovo progetto, adeguato alla prescrizione di arretramento, che la conferenza di servizi interna esaminava favorevolmente in data 15 marzo 2010 (verbale n. 4); m) in data 17 giugno 2010, la commissione per le qualità esprimeva parere contrario per i seguenti motivi: "Si esprime parere contrario in quanto, dall'esame della documentazione grafica di inserimento fotorealistico 3d a corredo della istanza ed a seguito di sopralluogo in sito, si ritiene che l'ampliamento proposto costituisca una mera superfetazione all'esistente, sia per la carenza di una significativa valenza formale del manufatto in progetto, sia per il fatto che il medesimo assume dimensioni in pianta dettate esclusivamente dai vincoli urbanistici piuttosto che da scelte compositive correlate al fabbricato principale. Si ritiene, inoltre, che l'incremento dell'altezza del costruito a ridosso del percorso pedonale, considerata anche l'esiguità della fascia cuscinetto a verde, comprima ulteriormente, sia fisicamente che percettivamente, lo spazio che separa l'imponente volume del fabbricato dalle strutture a servizio della spiaggia, creando i presupposti per un eccessivo dilatarsi dei volumi di prima linea verso l'arenile. Si ritiene che il manufatto in progetto possa compromettere ulteriormente la già labile percezione di allineamento dei fabbricati in prima linea inserendo un elemento di discontinuità rispetto la caratterizzazione, propria del tratto in esame, degli scoperti attrezzati a soggiorno esterno al piano rialzato fronte mare. Per quanto considerato si ritiene, quindi, l'intervento non meritevole di accoglimento dal punto di vista dell'inserimento paesaggistico ed ambientale, inoltre viene preclusa la visuale di tutta la zona a sud (Parco Sa. Ba.)"; n) a questo punto, la società presentava, in data 13 luglio 2010, una nuova soluzione progettuale sulla quale, questa volta, la commissione per le qualità esprimeva, a maggioranza, parere favorevole; o) seguiva il rilascio del permesso di costruire n. 86 del 21 ottobre 2010. 3) Il titolo edilizio veniva impugnato dalla società Ho. Re. di Va. & C. s.a.s. e dalla società Ce. - AM. DI Ce. SE. & c. s.n. c., innanzi al T.a.r. per l'Emilia-Romagna (ricorso nrg 1403/2010); il ricorso veniva affidato a due motivi (estesi da pagina 8 a pagina 13) così compendiati: a) violazione di legge con riferimento all'art. 21, comma 8, del regolamento urbanistico ed edilizio in vigore nel Comune di (omissis): difetto di acquisizione di preventivo consenso dei proprietari confinanti; b) violazione di legge e/o eccesso di potere per difetto di motivazione, insufficienza, contraddittorietà, illogicità della motivazione, avuto riguardo al parere favorevole espresso dalla commissione per la qualità architettonica ed il paesaggio. 3.1. Si costituivano in giudizio, per resistere, il Comune di (omissis) e la società S.I. s.r.l. 3.2. Con ordinanza cautelare n. 01011/2010, Il T.a.r. respingeva la domanda di sospensione degli atti impugnati. 3.3. Con ordinanza cautelare n. 1306 del 22 marzo 2011, il Consiglio di Stato confermava la misura cautelare disposta in primo grado; 3.4. Con sentenza n. 386 del 18 maggio 2017, il T.a.r. respingeva il ricorso, ritenendo infondati entrambi i motivi di gravame, e compensava le spese. 4. Ha appellato la società Ho. Re. di Va. & C. s.a.s., che censura la sentenza impugnata per: a) erroneità ed illogicità, nonché violazione dei principi di interpretazione delle norme, insufficiente ed apodittica motivazione contenuta alla pagina 3 della sentenza impugnata laddove si legge: "Infatti il preventivo consenso della proprietà confinante, previsto dalla citata norma del regolamento edilizio (leggasi art. 21 comma 8 del RUE del Comune di (omissis)), deve intendersi riferito alle ipotesi in cui sia derogata la distanza dal confine di proprietà "; b) difetto radicale di motivazione, sostanziale omesso esame del secondo motivo di ricorso, nella parte in cui, del tutto genericamente, apoditticamente, immotivatamente, il T.a.r. ha affermato che nella seduta del 20 luglio 2010 la commissione per le qualità architettonica e paesaggio ha esaminato un progetto "diverso" e quindi per ciò stesso non le si può addebitare un cattivo uso della discrezionalità tecnica. 4.1. Si sono costituiti, per resistere, il Comune di (omissis) e la società Si. s.r.l. 4.2. Le parti hanno depositato memorie in date 4 maggio 2023 (comune di (omissis)), 5 maggio 2023 (società Si. srl), 6 maggio 2023 (appellante). 5. All'udienza dell'8 giugno 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione. 6. Preliminarmente, il Collegio dà atto che, a seguito della proposizione dell'appello, è riemerso l'intero thema decidendum del giudizio di primo grado - che perimetra necessariamente il processo di appello ex art. 104 c.p.a. - sicchè, per ragioni di economia dei mezzi processuali e semplicità espositiva, secondo la logica affermata dalla decisione della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, verranno presi direttamente in esame gli originari motivi posti a sostegno del ricorso introduttivo (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, n. 1137 del 2020). 7. Il contestato intervento edilizio consiste nell'ampliamento di una struttura alberghiera sul lungomare di (omissis), in area urbanisticamente definita dal PSC come "Sistema insediativo consolidato della città turistica". 7.1. Il regolamento urbanistico comunale prevede, al comma 8 dell'art. 21, la possibilità di deroga (una tantum) ai limiti dimensionali per l'ampliamento delle strutture alberghiere e dei pubblici esercizi, allo scopo di migliorare la dotazione e la qualità dei servizi delle strutture ricettive. Questo il testo della disposizione regolamentare: (Ampliamento strutture alberghiere e pubblici esercizi): "Alle strutture alberghiere e ai pubblici esercizi è concessa una possibilità di deroga ai limiti dimensionali assegnando un diritto edificatorio una tantum strettamente finalizzato all'ampliamento delle dotazioni di servizi (escluse camere) al piano terra, piano primo, e piano di copertura, alle seguenti condizioni: - i limiti planimetrici dell'intervento possono essere quelli del confine di proprietà, a condizione che sia garantito con atto sottoscritto il passaggio pubblico (marciapiede), oppure che sia istituita una servitù di uso pubblico, per una larghezza minima di 1,50 m.; - la dimensione massima dell'ampliamento non può superare i 150 mq. di SU in valore assoluto, realizzabili su più livelli, oppure su un unico livello ampliato; - la dotazione di servizi può essere relativa ad attrezzature alberghiere (reception, hall, ristorante, sale giochi, ecc.), o servizi igienici; - l'intervento deve essere realizzato in base a criteri di forte integrazione architettonica con l'edificio di appartenenza e con il contesto urbano; sul progetto è richiesto il parere vincolante della Commissione per la Qualità architettonica e il paesaggio, che si deve esprimere con una valutazione di merito; - è richiesto il preventivo consenso delle proprietà confinanti; - l'edificazione oggetto di assegnazione del diritto edificatorio una tantum è assoggettata ad un vincolo ventennale di destinazione d'uso; - la superficie oggetto di ampliamento una tantum non viene conteggiata ai fini della eventuale trasformazione d'uso della struttura alberghiera o del pubblico esercizio in residenza; - gli interventi edilizi agli altri piani dell'edificio, non interessati dall'intervento di ampliamento, sono soggetti alle regole generali dell'ambito di appartenenza". 7.2. La società Si. si è avvalsa di tale facoltà per la realizzazione di opere di ampliamento della sala da pranzo dell'albergo denominato "Ho. Sa.". L'ampliamento sviluppa una superficie sul terrazzo di mq. 81,80 al piano rialzato, fronte mare, del detto albergo, mantenendo le distanze dai confini laterali con le altre proprietà a mt. 5,00, così come previsto dallo stesso regolamento. 7.3. Il Comune ha rilasciato il titolo edilizio ritenendo il progetto (nella sua ultima versione) conforme alle prescrizioni urbanistiche (parere favorevole della conferenza servizi interna per edilizia privata) e compatibile sotto il profilo architettonico (parere favorevole della commissione per le qualità architettoniche e paesaggio). 8. L'appellante contesta la legittimità del titolo sotto un duplice profilo viziante: mancato consenso delle proprietà confinanti, come richiesto dall'art. 21, comma 8, del RUE; difetto di motivazione e contraddittorietà (rispetto al precedente parere/verbale del 17 giugno 2010) del parere/verbale favorevole definitivo reso dalla commissione comunale per le qualità architettoniche e paesaggio in data 22 luglio 2010. 9. Il ricorso è infondato. 10. Con il primo motivo le ricorrenti contestano la legittimità del permesso di costruire per asserita violazione dell'art. 21, comma 8, del R.U.E. del Comune di (omissis): la norma regolamentare subordinerebbe il rilascio del permesso di costruire al preventivo (e non successivo) assenso della proprietà confinante; si tratterebbe, sostiene la società istante, di una condicio sine qua non, in assenza della quella il progetto non poteva essere approvato. 10.1. Il Tar ha interpretato la norma come riferita alle distanze civili dal confine, derogabili tra le parti ma non vincolanti per l'amministrazione ai fini delle scelte urbanistiche. 10.2. L'appellante contesta tale interpretazione. 11. Il motivo è infondato. 11.1. La norma regolamentare, nel suo chiaro tenore testuale (art. 12 delle preleggi), impone che il progetto tecnico debba essere previamente condiviso e assentito anche dal vicino confinante, il quale ne dovrebbe apprezzare la compatibilità rispetto all'ordinato assetto urbanistico ed edilizio, al paesaggio, nonché ai diritti e agli interessi dei terzi confinanti. 12. Il Collegio ritiene che la norma, ancor più nella lettura che ne dà la società appellante, non trovi alcun fondamento nei principi fondamentali dell'ordinamento urbanistico, neppure di essa se ne può operare una interpretazione costituzionalmente orientata in quanto in palese distonia con il regime di protezione accordato al diritto di proprietà dalla Carta fondamentale. Si tratta di una norma regolamentare irragionevole, che attribuisce al terzo confinante un potere autoreferenziale preclusivo e condizionante l'esercizio dell'altrui ius aedificandi al di fuori delle regole urbanistiche e civilistiche che ne consentono la limitazione. 13. Occorre, in primo luogo, definire l'ambito oggettivo di applicazione del regolamento urbanistico. 13.1. Si tratta di uno strumento la cui funzione è esclusivamente quella di disciplinare le modalità costruttive degli interventi edilizi (art. 4, d.p.r. n. 380 del 2001). 14. In quanto tale, detto strumento (e, nella specie, l'art. 21, comma 8) non può attribuire ai privati un potere di veto sull'esercizio dello ius aedificandi. 15. La norma in questione fonda un rapporto pubblicistico che, nella specie, si svolge tra il privato richiedente il titolo edilizio e l'amministrazione che quel progetto deve vagliare ai fini della sua conformità urbanistica. 16. Il potere attribuito al terzo (oggi la società appellante) di incidere sulle scelte urbanistiche condizionandole sotto il profilo del previo, condiviso apprezzamento soggettivo, sottende una partecipazione al procedimento in veste di co-gestione dell'interesse pubblico (id est, architettonico) che non solo non trova cittadinanza nell'ordinamento di settore ma si regge su un interesse personale che potrebbe essere anche emulativo e come tale non meritevole di tutela. 17. La norma regolamentare in esame non potrebbe attribuire al proprietario confinante una posizione soggettiva maggiore rispetto a quella che l'ordinamento gli riconosce sulla base dei principi informatori della materia e delle norme specifiche di settore. Non esiste, invero, alcuna norma urbanistica primaria che consenta di condizionare il rilascio del singolo titolo edilizio al consenso del vicino, mentre il suo consenso potrebbe trovare giustificazione nei casi specificamente contemplati dalla legge (id est, disponibilità dell'area ex art. 11, d.p.r. n. 380/2001, deroga civilistica alle distanze, comunione del muro, apposizioni di servitù, ovvero tutte situazioni in cui vengono in rilievo rapporti privatistici fondati su diritti soggettivi nella disponibilità del proprietario). 18. La norma in esame sembra introdurre nell'ordinamento comunale di settore una sorta di condizione potestativa: l'esercizio dello ius aedificandi condizionato alla mera volontà di soggetti terzi che potrebbero, a seconda della propria personale convenienza, accordare o meno il proprio consenso, favorendone, in ipotesi, una surrettizia commercializzazione. 19. L'illegittimità rileva, ancor più, ove si consideri che la norma in esame finisce con l'assegnare al privato un potere di co-gestione del procedimento amministrativo al di fuori degli schemi di protezione che l'ordinamento riconosce ai controinteressati. 20. Illegittimamente, pertanto, l'art. 21, comma 8, del RUE anziché limitarsi a regolare, sul piano prettamente pubblicistico, le modalità costruttive degli interventi edilizi, subordina la potestà amministrativa al previo consenso condizionante espresso dal terzo confinante. 21. Per le ragioni che precedono, la norma in esame, in quanto illegittima, va disapplicata in parte qua. 22. Con il secondo motivo, la società istante contesta il parere reso dalla commissione per le qualità architettoniche e paesaggio il 22 luglio 2010, ritenendolo illogico e contraddittorio (rispetto al parere del 17 giugno 2010). 23. La tesi dell'appellante si fonda sull'assunto che ci sarebbe stato da parte della commissione un "ripensamento" rispetto al parere (contrario) reso il 17 giugno 2010, del tutto immotivato poiché il progetto assentito il 22 luglio 2010 sarebbe del tutto identico al precedente. 24. Il motivo è infondato. 25. Il Comune ha allegato e comprovato che il parere impugnato si differenzia dal precedente sotto diversi profili tecnici: - copertura della struttura, che da pannelli compositi in lamiera metallica diventa un sistema modulare a piramidi; - tamponamento esterno, che da struttura in alluminio anodizzato e parete vetrata diventa solo parete vetrata; - rifiniture, che, costituite da fascione in metallo bianco, diventano pergolato in legno bianco; - altezza totale della struttura, che da ml 4,00 viene ridotta a ml 3,70; - soffitto, che da inclinato con altezza variabile (da ml 3,25 a 3,40) diviene di altezza costante di ml 3,20. 26. La commissione comunale aveva espresso, in precedenza, una valutazione negativa per alcuni aspetti quali: copertura della struttura, tamponamento esterno, rifiniture, altezza totale della struttura, soffitto. 27. Il richiedente ha accolto le indicazioni sia sotto l'aspetto formale che dal punto di vista compositivo dell'intervento. 28. Alla luce di ciò, la commissione ha ritenuto superate tali criticità, svolgendo una rinnovata valutazione di merito sull'aspetto architettonico dell'intervento e del suo inserimento nel contesto generale riferito ai contermini edifici e al paesaggio, superando ogni precedente valutazione negativa, ritenendo infine compatibile il progetto con le norme urbanistiche comunali sotto gli aspetti architettonici e del contesto di inserimento dell'opera. 29. Sul punto occorre aggiungere che la commissione comunale non è autorità preposta in via istituzionale alla tutela di interessi sensibili rilavanti sul piano ambientale e paesaggistico. La zona in questione, infatti, non è vincolata. 30. Si tratta, piuttosto, di un organo locale chiamato a esprimere una valutazione di merito circa la compatibilità del progetto con le norme urbanistiche comunali, sicché una volta riscontratane, all'esito dell'istruttoria e delle acquisizioni integrative, la conformità sotto gli aspetti architettonici e di impatto sul contesto generale, il suo giudizio, in quanto espressione di discrezionalità tecnica, non può essere sostituito con altro altrettanto opinabile nel merito. 31. In conclusione, per quanto sin qui esposto, il ricorso è infondato e deve, essere pertanto, respinto. 32. Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la società Ho. Re. di Va. & C. s.a.s. al pagamento delle spese processuali di appello che si liquidano in complessivi euro 6.000,00 (seimila/00), oltre accessori di legge e spese generali, di cui euro 3.000,00 (tremila/00) in favore del Comune di (omissis) ed euro 3.000,00 (tremila/00) in favore società S.I. s.r.l. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Luca Lamberti - Consigliere Francesco Gambato Spisani - Consigliere Silvia Martino - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10396 del 2018, proposto da Cl. Ma., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ca., Et. Ma., Ma. Gr. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. Gr. Pi. in Roma, via (...); contro Vo. It. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ni. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Piacenza-Bobbio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Lo., Pa. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Um. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna, sezione staccata di Parma Sezione Prima, n. 229/2018, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Vo. It. S.p.A., di Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Piacenza-Bobbio, e del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria del giorno 14 aprile 2023 il Cons. Giovanni Tulumello e uditi per le parti gli avvocati Ma. Ca. per parte appellante; Um. Fa. per il Comune di (omissis); Ni. La. per la Vo. It. S.p.A.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza impugnata il T.A.R. dell'Emilia-Romagna, sezione staccata di Parma, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall'odierno appellante per l'annullamento della deliberazione del Consiglio Comunale di (omissis) n. 3 del 13 gennaio 2017. Il ricorrente in primo grado ha impugnato l'indicata sentenza con ricorso in appello. Si sono costituiti in giudizio, per resistere al ricorso, Vo. It. S.p.A., l'Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Piacenza-Bobbio, ed il Comune di (omissis). La domanda cautelare è stata rigettata dapprima con decreto n. 1382/2019, quindi con ordinanza n. 2117/209. Il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione all'udienza straordinaria del 14 aprile 2023. 2. Il T.A.R. Parma ha dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione attiva, il ricorso proposto dall'odierno appellante, in qualità di coltivatore (e comunque di occupante) un terreno limitrofo a quello oggetto di installazione, per l'annullamento della deliberazione del Consiglio Comunale di (omissis) n. 3 del 13 gennaio 2017, pubblicata all'Albo Pretorio a partire dal 17 gennaio 2017, con la quale, tra l'altro, sono state respinte le osservazioni presentate dal ricorrente, ed è stato approvato il progetto definitivo - esecutivo inteso alla delocalizzazione della Stazione di Telefonia mobile Vo. attualmente sita in Via (omissis), sul terreno censito al NCT di (omissis), fg. (omissis), mappale (omissis), con dichiarazione dell'opera come di pubblica utilità . Il ricorrente in primo grado ha impugnato l'indicata sentenza contestando la statuizione di inammissibilità, e riproponendo i motivi del ricorso di primo grado. 3. Nelle more del giudizio l'appellante ha prodotto la sentenza n. 338/2020 del Tribunale di Piacenza, che dichiara l'acquisto del terreno in questione per usucapione da parte del Ma. (sentenza passata in giudicato). 4. Il Comune di (omissis) ha eccepito in memoria di replica che per un verso la citata sentenza del giudice civile è successiva alla sentenza gravata (e comunque che l'intervenuta usucapione dell'area di sedime dell'antenna è "irrilevante in assenza della contestazione di vizi propri della procedura d'esproprio"). Per altro verso, ha eccepito, il ricorso di primo grado fondava la legittimazione attiva del ricorrente non già su di un titolo proprietario, "ma in quanto residente nelle vicinanze della futura antenna, avendo asserito un paventato rischio alla salute sua e dei suoi famigliari, in relazione alla distanza dal luogo di residenza". Sulla base di tale prospettazione il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Il T.A.R. ha in proposito ritenuto che "in materia di installazione di stazioni radio base, e più in generale in presenza di localizzazioni che interferiscano potenzialmente con la salubrità dell'ambiente circostante, la legittimazione e l'interesse ad agire non possono essere desunte dalla sola vicinitas rispetto all'area interessata, ma anche dallo specifico pregiudizio che deriva al soggetto potenzialmente "interessato" dall'installazione stessa. (....) il sig. Ma., a fronte della disposta localizzazione, non ha accompagnato all'allegazione della situazione di "vicinitas" la dimostrazione del pregiudizio concreto e attuale derivante dall'azione amministrativa. (....) Invero, la prova dell'assenza di effetti nocivi derivanti dalla nuova antenna al sig. Ma. - acquisita, come detto, attraverso le risultanze tecniche non contestate esposte da ARPAE - priva di ogni utilità attuale e diretta un eventuale annullamento del provvedimento impugnato per il ricorrente, per il quale, in definitiva, la localizzazione dell'impianto di telefonia mobile in un sito piuttosto che in un altro risulta, allo stato, indifferente". 5. Ad avviso del Collegio tali eccezioni sono fondate. L'indicato capo di sentenza non è oggetto d'impugnazione con il ricorso in appello, che non contiene specifici profili di critica rivolti contro tale argomento, essendo incentrato sulla (diversa) vicenda dell'acquisto della proprietà del fondo per usucapione, ed essendosi limitato alla generica allegazione di un "depauperamento paesaggistico" e alla deduzione per cui "il ricorrente appellante ben può vantare una pretesa qualificata al rispetto del regolamento emanato dal Comune resistente, che proprio nei confronti delle emissioni elettromagnetiche ha disposto una tutela più cautelativa di quella prevista dalla legislazione nazionale7 escludendo che nell'area espropriata possano essere collocati impianti quale quello contestato". L'appellante, in altre parole, non supera il rilievo del primo giudice per cui l'accertamento del contenimento entro i limiti consentiti delle emissioni rende del tutto indifferenziata la posizione del ricorrente rispetto alla collocazione sul territorio dell'opera stessa. Tale elemento ha portata dirimente: tale da prevalere anche sull'altra questione sollevata in rito dal Comune, vale a dire sulla preclusione derivante dal divieto di ne bis in idem rispetto al successivo giudizio instaurato davanti al TAR Parma, conclusosi con la sentenza n. 269/2019 (non impugnata), con cui è stata nuovamente impugnata, tra l'altro, la stessa deliberazione comunale. 6. Il ricorso in appello è dunque inammissibile per una ragione radicale ed assorbente: perché non risulta impugnato, con profili di censura specifici e tali da superarne la motivazione, un capo di sentenza autonomo ed autosufficiente nel senso del difetto di legittimazione attiva del ricorrente. 7. Il ricorso in appello deve essere pertanto dichiarato inammissibile. Sussistono le condizioni di legge, avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie, per disporre la compensazione fra le parti delle spese del grado. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 9360 del 2022, proposto da Ur. Vi. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ta. e Gi. Co., con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via (...); contro Comune di Bologna, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Tr. e Na. Za., con domicilio digitale come da PEC Registri di giustizia; nei confronti IG. De. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Na., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna Sezione Seconda n. 636/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Bologna e di Ig. s.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 marzo 2023 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Ta., Tr. e Na.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con bando pubblicato in data 21 dicembre 2021, il Comune di Bologna indiceva una procedura per l'affidamento in concessione del "progetto di ristrutturazione della comunicazione pubblicitaria di piccolo formato basata su nuove tecnologie", ponendo in gara la proposta presentata dal promotore IG. De. s.p.a., dichiarata di pubblico interesse con d.G.C. 30 novembre 2021. La commessa aveva per oggetto, in particolare, le attività di progettazione, fornitura installazione, manutenzione e successiva gestione economica di 227 nuovi impianti pubblicitari bifacciali di arredo urbano (37 digitali e 190 analogici) delle dimensioni di 2 mq per ogni faccia espositiva, in sostituzione di 387 manufatti già esistenti di proprietà municipale. Il disciplinare di gara prevedeva che il corrispettivo del concessionario sarebbe consistito nel diritto di gestire a fini commerciali gli spazi pubblicitari dei nuovi impianti per un periodo di 11 anni e che lo stesso avrebbe goduto di "un diritto di esclusiva così come indicato nella bozza di convenzione". La procedura, nella quale alla fine erano venute a concorrere la stessa IG. De. s.p.a. e la società Cl. Ch. s.p.a., si concludeva con aggiudicazione in favore del promotore. Venuta a conoscenza dell'indizione della gara, Ur. Vi. s.p.a., impresa operante nel settore della pubblicità esterna, proponeva immediato ricorso al Tribunale amministrativo dell'Emilia Romagna contro le previsioni della legge di gara (in primis l'art. 6 dello schema di convenzione e le corrispondenti disposizioni del disciplinare) che a suo avviso, introducendo il divieto, per qualsiasi altro operatore economico diverso dal concessionario, di installare sul territorio municipale impianti pubblicitari concorrenti con quelli rientranti nel perimetro della concessione, per i successivi 11 anni di fatto l'avrebbero estromessa dal mercato pubblicitario della Città di Bologna. Con successivi motivi aggiunti, notificati il 21 aprile 2022, la ricorrente estendeva inoltre le medesime censure all'atto conclusivo della procedura di gara. Con sentenza 2 agosto 2022, n. 636, il giudice adito dichiarava inammissibile il ricorso per carenza di interesse, ritenendo dirimente la mancata partecipazione della ricorrente alla procedura di gara. Respingeva comunque il gravame anche nel merito, ritenendo insussistente la denunciata violazione delle regole euro-unitarie in materia di concorrenza. Avverso tale decisione Ur. Vi. s.p.a. interponeva appello, deducendo i seguenti motivi di impugnazione: 1) Impugnazione del capo di sentenza concernente la pronuncia di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse - Erroneità ed ingiustizia della sentenza; travisamento dei fatti, dell'oggetto, delle finalità e dei presupposti dell'azione; violazione e falsa applicazione di norme di legge (art. 100 c.p.c. e art. 35, comma 1, lett. b) c.p.a.); violazione e falsa applicazione di principi giurisprudenziali in materia di legittimazione e interesse al ricorso. 2) Impugnazione del capo di sentenza concernente il rigetto nel merito del ricorso per infondatezza - Erroneità ed ingiustizia della sentenza; violazione e falsa applicazione dei principi euro-unitari di concorrenza e libertà di stabilimento (artt. 49 e 52 Tfue; art. 12 Direttiva 2006/123/CE; Direttiva 2014/23/UE); violazione e falsa applicazione di norme di legge (D.lgs. 507/1993 e art. 1, commi 816ss., l. n. 160/2019; artt. 165 e 3, lett. zz) e fff) D.lgs. n. 50/2016). Costituitosi in giudizio, il Comune di Bologna concludeva per l'infondatezza del gravame, chiedendo che fosse respinto; analogamente faceva la società IG. De. s.p.a., preliminarmente eccependo l'irricevibilità dell'appello, in quanto tardivo. Successivamente le parti ulteriormente precisavano, con apposite memorie, le rispettive tesi difensive ed all'udienza del 16 marzo 2023 la causa veniva trattenuta in decisione. DIRITTO Con il primo motivo di gravame si contesta il ragionamento svolto nella sentenza impugnata, in base al quale il ricorso introduttivo doveva considerarsi inammissibile stante l'assenza dei "presupposti per ritenere sussistente, in via eccezionale, la legittimazione di parte ricorrente ad impugnare la procedura di gara e la successiva aggiudicazione a terzi". Secondo l'appellante, così facendo il TAR avrebbe travisato l'oggetto del ricorso e gli interessi suo tramite azionati, non essendo stata formulata alcuna opposizione alla decisione di indire la gara, né dedotta l'impossibilità di parteciparvi: Ur. Vi. s.p.a. avrebbe invece gravato la lex specialis nella sola parte in cui l'amministrazione comunale aveva conformato il proprio potere di autorizzare l'installazione di impianti pubblicitari introducendo dei limiti non previsti (né in ipotesi consentiti) dall'ordinamento di settore, consistenti nell'assegnazione di un diritto di esclusiva al concessionario nei cui confronti il Comune si era impegnata a vietare l'esercizio di attività concorrenti per l'intera durata della concessione. Ur. Vi. avrebbe quindi agito "non in qualità di potenziale concorrente nella gara e allo scopo di tutelare il proprio diritto alla partecipazione, ma quale operatore del settore direttamente leso dal limite imposto, per il tramite della concessione, al potere municipale di rilascio di nuove autorizzazioni pubblicitarie". In estrema sintesi, sarebbe stata illogica la pretesa di "imporre un inutile onere di partecipazione alla procedura di evidenza pubblica quale condizione per radicare la legittimazione a contestare l'antigiuridicità di specifici profili della lex specialis, i cui effetti arrecano un vulnus nella sfera giuridica di soggetti estranei alla procedura di gara (nella specie, agli operatori del settore e alla ricorrente Ur. Vi. in particolare), diverso dal vulnus consistente nell'impossibilità di presentare offerta e nell'aggiudicazione ad altri della commessa". Neppure sarebbe corretto l'ulteriore rilievo della sentenza appellata, per cui il diritto di esclusiva "non lederebbe neppure in concreto parre ricorrente, per la particolare tipologia dell'attività esercitata stante il chiaro disposto del richiamato articolo 6 dello Schema di Convenzione, che esclude dall'operatività del divieto (...) proprio la tipologia di pubblicità di cui si occupa Ur. Vi. (pubblicità su edifici, ponteggi o cesate di cantiere)", tenuto conto che Ur. Vi. non si sarebbe occupata soltanto di affissioni pubblicitarie su ponteggi e cesate di cantiere, ma di tutte le forme di diffusione pubblicitaria in esterna, ivi compresi gli impianti di arredo urbano su suolo pubblico. Il motivo non è fondato. Ritiene il Collegio di dover confermare il principio per cui il soggetto che non abbia presentato la domanda di partecipazione alla gara non è legittimato ad impugnare clausole del bando che non siano "escludenti", dovendosi con queste intendere "quelle che con assoluta certezza gli precludano l'utile partecipazione" (così, ex multis, Cons. Stato, III, 7 gennaio 2020, n. 124). Invero, contrariamente alla pretesa di Ur. Vi. s.p.a. di superare tale principio di carattere generale sostenendo di essere portatrice di un interesse non partecipativo (consistente cioè nella possibilità di partecipare alla gara e di aggiudicarsela), bensì lato sensu imprenditoriale (dato dalla paventata chiusura di interi segmenti di mercato per effetto dell'esclusiva riconosciuta all'aggiudicataria), già l'Adunanza plenaria di questo Consiglio, con sentenza n. 9 del 25 febbraio 2014, aveva avuto modo di chiarire che, in materia di controversie aventi ad oggetto gare di appalto, la legittimazione al ricorso "deve essere correlata ad una situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo" ma solo "per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione", di talché "chi volontariamente e liberamente si è astenuto dal partecipare ad una selezione non è dunque legittimato a chiederne l'annullamento ancorché vanti un interesse di fatto a che la competizione - per lui res inter alios acta - venga nuovamente bandita" a diverse condizioni. Tale ultimo assunto incontra tre sole deroghe tassative - non ricorrenti nel caso in esame - ossia l'ipotesi in cui direttamente si contesti l'indizione della gara ovvero la mancata indizione della stessa, ovvero ancora si impugnino direttamente le previsioni della lex specialis che si assumano immediatamente escludenti (Cons. Stato, III, 26 aprile 2022, n. 3191). Nel caso in esame non risulta che le disposizioni della legge di gara avessero carattere escludente (né sotto il profilo soggettivo, né sotto quello oggettivo), ragion per cui nessun evidente ostacolo avrebbe potuto impedire ad Ur. Vi. di prendere parte alla procedura, proprio al fine di ottenere, nel caso di aggiudicazione, il bene della vita cui oggi dichiara - ancorché genericamente - di aspirare. Il carattere assorbente della questione esaminata è di per sé idoneo a definire il giudizio; solo per completezza, però, ritiene il Collegio di dover sia pur brevemente esaminare l'ulteriore motivo di appello, contenente le censure di merito concernenti la res controversa. Con il secondo motivo di appello, in particolare, Ur. Vi. s.p.a. contesta le conclusioni cui è giunto il primo giudice circa la validità dei diritti di esclusiva commerciale riconosciuti al concessionario dall'art. 6, comma 2, dello schema di convenzione, i quali finirebbero per ledere i principi euro-unitari di concorrenza e libertà di stabilimento: essendosi vincolato con il concessionario nell'attribuirgli un diritto di esclusiva, infatti, per i successivi undici anni il Comune non potrebbe più liberamente "scegliere, nell'esercizio della propria discrezionalità e sulla base delle valutazioni di interesse pubblico di volta in volta emergenti, se e in qual misura disporre dei propri spazi per affidarli in concessione ai fini del loro sfruttamento pubblicitario". Né le eccezioni previste dalla lex specialis al divieto di installazione di nuovi impianti varrebbero ad escludere le denunziate violazioni dei principi di concorrenza e di libertà di stabilimento, riferendosi solamente ad alcuni segmenti o porzioni del mercato della pubblicità esterna su suolo pubblico, che per il resto (una parte molto significativa) rimarrebbe inaccessibile. Infine, nonostante quanto ritenuto dal TAR, secondo cui il diritto di esclusiva non violerebbe le regole di allocazione del rischio operativo nelle concessioni (che grava sul concessionario), in quanto l'aggiudicatario della gara resterebbe comunque soggetto alle fluttuazioni del mercato e della domanda della clientela privata, dovrebbe comunque considerarsi che la significativa limitazione della concorrenza denunziata verrebbe comunque ad indirizzare la clientela privata verso il sostanziale monopolista della pubblicità su suolo pubblico, di fatto "sterilizzando" il principio astratto enunciato dal primo giudice. Neppure questo motivo, nelle sue diverse declinazioni, può essere accolto. Quanto al contestato blocco generalizzato di interi (ma non meglio precisati) segmenti di mercato pubblicitario cittadino, va innanzitutto rilevato che risultano comunque espressamente sottratte all'esclusiva riconosciuta in favore del concessionario, tra le altre, la pubblicità installata sulle paline e pensiline del servizio di trasporto pubblico locale; quella di piccolo formato, permanente o temporanea, installata o da installare sui pali dell'illuminazione pubblica nella porzione di territorio esterna ai Viali di Circonvallazione; gli impianti o manufatti pubblicitari già autorizzati ed installati sul territorio comunale (passibili di sostituzione nel tempo), anche su suolo pubblico ed anche nel centro storico, alla data di entrata in vigore della convenzione. Neppure rientra nell'esclusiva del concessionario la pubblicità collocata sui mezzi di trasporto pubblico urbano. Quanto all'ampiezza dell'esclusiva, evidenzia l'appellata IG. De. s.p.a. che gli impianti di cui al project financing rappresenterebbero soltanto il 52% degli spazi pubblicitari presenti nel centro cittadino (per 702 mq su 1.360 mq totali), mentre al di fuori dei Viali di Circonvallazione appena il 3,23% della pubblicità complessiva presente in città, percentuali che a rigore smentiscono la creazione di un regime di monopolio nel settore. Neppure può dirsi irragionevole, nell'ottica di tutela dell'interesse pubblico, il diritto di esclusiva attribuito al concessionario, rispondendo - oltre che alla necessità di assicurare l'equilibrio economico-finanziario degli interventi previsti con il project financing - alla dichiarata finalità di ridurre lo sfruttamento del suolo pubblico e la superficie pubblicitaria sul territorio urbano, così da conferire alla città un maggior decoro; rientra del resto nella potestà pianificatoria dell'Ente locale individuare l'allocazione degli spazi pubblicitari in ambito cittadino, per poi disporne con procedure di evidenza pubblica. I rilievi che precedono portano altresì ad escludere la "sterilizzazione" del rischio operativo del concessionario, che ancorché in parte mitigato dal diritto di esclusiva - ai fini in precedenza ricordati - purtuttavia non risulta sottratto alle regole concorrenziali di mercato (in particolare, ai rischi connessi alle fluttuazioni della domanda). Il tutto fermo restando che il principio di esclusiva del concessionario rappresenta una caratteristica propria delle concessioni di servizio pubblico, in un dato ambito territoriale. In ragione di quanto evidenziato, l'appello dev'essere respinto. La particolarità delle questioni esaminate giustifica peraltro, ad avviso del Collegio, l'integrale compensazione tra le parti delle spese di lite del grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese del grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Francesco Caringella - Presidente Valerio Perotti - Consigliere, Estensore Giovanni Grasso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Elena Quadri - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 754 del 2022, proposto da Of. Or. Ma. Ad. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro l'Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro - INAIL, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ri. D'A. e Lu. Ro., con domicilio eletto presso l'ufficio legale dell'ente in Roma, Via (...) e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti del signor -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione I, 29 ottobre 2021, n. -OMISSIS-, resa tra le parti e non notificata, avente ad oggetto la richiesta di annullamento del provvedimento di autorizzazione della fornitura di una protesi -OMISSIS-. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli artt. 65, 66 e 67 cod. proc. amm.; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'INAIL; Viste le ordinanze collegiali 2 agosto 2022, n. -OMISSIS- e 15 dicembre 2022, n. -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore all'udienza pubblica del giorno 18 maggio 2023 il consigliere Luca Di Raimondo e dato atto della presenza, ai sensi di legge, degli avvocati delle parti come da verbale. Ritenuto in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso dinanzi al T.A.R. per il Piemonte, la Of. Or. Ma. Ad. S.r.l. (di seguito anche "Of."), impresa operante nel settore delle protesi di arto, ha impugnato, chiedendone l'annullamento, la determinazione prot. n. -OMISSIS- del 14 novembre 2019 dell'Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro INAIL (di seguito anche "INAIL") con cui è stata autorizzata la fornitura di una protesi "-OMISSIS-", -OMISSIS-, da parte del Centro INAIL di -OMISSIS- al sig. -OMISSIS-. 2. L'appellante ha dedotto, in primo grado, di aver sottoposto alle valutazioni dell'Istituto appellato un preventivo per una protesi -OMISSIS- destinata al paziente sig. -OMISSIS- per un importo pari a -OMISSIS- euro e che, investito della richiesta d'un parere, il Centro sperimentale di -OMISSIS- ha deciso di limitare l'importo autorizzabile a soli euro -OMISSIS-, con la conseguenza che la società non ha ritenuto remunerativa quella somma e che l'interessato, a carico del quale sarebbe rimasta la differenza da pagare alla ricorrente, ha preferito avvalersi della fornitura diretta da parte del Centro INAIL di -OMISSIS-. 3. L'O. ha sostenuto che l'INAIL avrebbe ingiustificatamente effettuato una riduzione del preventivo del costo della protesi, tanto da indurre l'interessato a rinunziare alla fornitura inizialmente richiesta all'O. ricorrente. Ha dedotto, in sintesi: - che l'INAIL avrebbe violato le norme di evidenza pubblica unionali e nazionali, gli artt. 97, 2, 3 e 5 della Costituzione, il principio di cui all'articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, dei principi di favor partecipationis, di par condicio, l'art. 4 del Trattato istitutivo della Comunità europea e gli articoli 4 e 30 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, tenuto conto che la fornitura sarebbe contendibile sul mercato e l'INAIL l'avrebbe autorizzata da parte del Centro di -OMISSIS- senza svolgere alcuna gara; - che il provvedimento impugnato sarebbe affetto dai vizi di eccesso di potere per manifesta irragionevolezza e sproporzione, arbitrarietà, difetto di motivazione, difetto di istruttoria, sviamento, disparità di trattamento, violazione del principio di tipicità dei poteri, violazione della circolare INAIL n. 61/2011, e per violazione dell'autovincolo e del giusto procedimento. 4. L'Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro si è costituito nel giudizio di primo grado e ha svolto articolate difese, in rito e nel merito. 5. Con sentenza 29 ottobre 2021, n. -OMISSIS-, Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione I, previa reiezione delle eccezioni di rito, ha rigettato il ricorso. 6. Per la riforma di tale sentenza ha proposto appello l'O. Or. Ma. Ad. S.r.l., contestando la decisione e riproponendo le medesime argomentazioni contenute nel ricorso in primo grado, riprese e sviluppate in appello anche in chiave critica della sentenza impugnata. 6.1. Con memoria depositata il 17 febbraio 2022, si è costituito in giudizio l'INAIL, che ha ribadito la infondatezza del ricorso sulla base delle stesse argomentazioni difensive fornite dinanzi al Tar, depositando memoria di replica il 7 aprile 2022. 6.2. L'appellante ha depositato memorie di replica rispettivamente in data 5 aprile 2022 e 7 aprile 2022. 7. Tenuto conto che l'oggetto della controversia riguarda - come correttamente ritenuto dal TAR - l'asserito "mancato rispetto delle norme euro-unitarie in materia di tutela concorrenziale da parte dell'INAIL in considerazione dell'affidamento diretto della fornitura al Centro di -OMISSIS-", e "la disparità di trattamento inflitta all'operatore (del settore n. d.r.) alla luce delle concrete condizioni di fornitura accordate all'invalido richiedente", la Sezione ha ritenuto necessario disporre approfondimenti istruttori. 7.1. Con ordinanza collegiale 2 agosto 2022, n. -OMISSIS-, è stata invitata l'Amministrazione a chiarire: - se tutti i prodotti offerti dal Centro di -OMISSIS- sono interamente realizzati in proprio, ovvero in tutto o in parte acquistati sul libero mercato, specificando, in tal caso, con quali modalità vengono acquistati dal Centro; - se taluni prodotti sono frutto dell'assemblaggio di componenti realizzati in proprio dal Centro; - se taluni prodotti sono frutto dell'assemblaggio di componenti acquistati sul libero mercato, specificando, in tale caso, con quali modalità i predetti componenti vengono acquistati dal Centro; - se, nel caso oggetto del presente giudizio, le singole voci di cui si compone la fattura INAIL -OMISSIS- si riferiscono a componenti interamente realizzati in proprio dal Centro o se si tratta di componenti acquistati sul libero mercato, specificando, in tal caso, con quali modalità i predetti componenti sono stati acquistati. 7.2. In data 29 settembre 2022 è stata depositata una nota intestata all'INAIL - Direzione Centrale assistenza protesica e riabilitazione, a firma del relativo dirigente, di risposta ai summenzionati quesiti. In particolare, con la suddetta nota l'Istituto appellato ha precisato che: - la legge attribuisce all'INAIL il compito di prestare assistenza protesica agli infortunati sul lavoro e tecnopatici e l'Istituto si prefigge l'obiettivo di garantire a ogni lavoratore assicurato che necessiti di assistenza la fornitura di dispositivi medici adeguati al quadro clinico-funzionale; - la presa in carico da parte del Centro Protesi INAIL e delle sue filiali avviene dopo una prima visita multidisciplinare volta alla definizione del "progetto protesico-riabilitativo personalizzato"; - l'Istituto deve disporre della più ampia gamma di componenti protesici presenti sul mercato, oltre che delle materie prime e delle tecnologie digitali, per assicurare la realizzazione dei dispositivi medici con le caratteristiche necessarie caso per caso; - il Centro produce direttamente alcuni dispositivi medici, altri li acquista sul mercato e li adatta al singolo paziente mediante la realizzazione di alcune parti; a volte realizza direttamente ed assembla prodotti progettati dai propri ingegneri; - per l'acquisto delle materie prime e dei materiali di consumo l'Istituto si avvale delle procedure di cui all'art. 36 del d.lgs. n 50/2016 e ss.mm.ii. ove l'importo delle forniture rientri nelle soglie ivi previste, nella rigorosa osservanza del principio di rotazione; ove gli importi siano superiori alle suddette soglie l'Istituto fa ricorso alle procedure di cui al Capo II "Procedure di scelta del contraente per i settori ordinari" di cui al predetto decreto; - tenuto conto della necessaria personalizzazione della protesi, per ragioni di celerità e di risparmio di spesa, l'Istituto stipula accordi quadro, ai sensi dell'art. 54 del d.lgs. n 50/2016, con diversi fornitori di componentistica necessaria per la realizzazione dei dispositivi medici, in modo da garantire il rispetto dei prezzi e dei tempi di consegna; nel caso in cui la fornitura possa essere assicurata da un solo fornitore, ricorre alla procedura negoziata di cui all'art. 63 del codice dei contratti; - quanto alla protesi -OMISSIS-, l'Istituto ha chiarito che è formata da componenti elettromeccanici che riproducono la funzionalità -OMISSIS- ("-OMISSIS-") e da componenti elettromiografici, nonché dall'invasatura che è l'interfaccia tra detti componenti e il moncone dell'arto ("-OMISSIS-"); tali elementi sono stati acquistati secondo le modalità in precedenza richiamate. 8. L'appellante e l'Istituto appellato hanno depositato memorie difensive rispettivamente il 4 novembre 2022 e il 18 novembre 2022. 9. Con ordinanza 15 dicembre 2022, n. -OMISSIS-, la Sezione, preso atto della citata nota, ha ritenuto necessario, al fine del decidere, disporre ulteriori adempimenti istruttori ai sensi degli articoli 63, comma 1, e 64, comma 3, c.p.a., invitando l'Amministrazione a chiarire e documentare - a seguito della risposta fornita al quesito, posto nella predetta ordinanza, "se le singole voci di cui si compone la fattura INAIL -OMISSIS- si riferiscono a componenti interamente realizzati in proprio dal Centro o se si tratta di componenti acquistati sul libero mercato, specificando in tale caso con quali modalità i predetti componenti sono stati acquistati." - il seguente aspetto: - se, allorquando nella frase finale della predetta nota della Direzione Centrale si afferma che " I componenti elettromeccanici ed elettronici e le materie prime utilizzati per la realizzazione del dispositivo medico sono stati acquisiti dall'Inail nel rispetto delle procedure sopra indicate", si allude ad acquisti preventivati e in ogni caso ricompresi nell'importo complessivo della fattura -OMISSIS-, di guisa che il Centro Protesi ha attinto a tale complessivo importo per pagare detti acquisti (di componenti elettromeccanici ed elettronici e di materie prime utilizzati), oppure si allude ad acquisti effettuati dal Centro Protesi (o comunque dall'INAIL) impiegando somme diverse e ulteriori rispetto al totale computato nella predetta fattura. Qualunque risposta - prosegue l'ordinanza collegiale - avrebbe dovuto essere corredata dalla relativa documentazione dimostrativa (anche in ordine alle eventuali procedure di gara espletate). 10. In data 13 febbraio 2023, l'INAIL ha, dunque, depositato una nuova relazione corredata da ulteriore documentazione, con cui ha precisato che: - come già comunicato, l'Istituto fa ricorso ad accordi quadro aventi una validità pluriennale ai quali sono allegati i listini prezzi che saranno praticati durante l'intera durata dell'accordo; - la "fattura" inviata alla sede territoriale INAIL indica solo le risorse finanziare impegnate per il singolo paziente; la fornitura della protesi da parte dell'Istituto ai propri assistiti è gratuita: ne deriva che né l'INAIL né il Centro Protesi ottiene ricavi per la loro fornitura, trattandosi di prestazioni istituzionali senza alcun corrispettivo; - nella relazione vengono, inoltre, esposti i costi relativi alla protesi in questione formata da più parti: in particolare, la componente acquistata da -OMISSIS- mediante accordo quadro, ha un prezzo di acquisto di Euro -OMISSIS- (ben al di sotto del listino prezzi depositato dall'appellante). 11. L'O. ha depositato memoria ex articolo 73 c.p.a. il 17 aprile 2023, alla quale ha replicato l'appellato con memoria depositata il 4 maggio 2023. 12. All'udienza pubblica del 18 maggio 2023 l'appello è stato trattenuto in decisione. 13. L'appello è infondato e va, dunque, respinto. 14. Può prescindersi dalla disamina delle eccezioni di inammissibilità dedotte dall'INAIL, in considerazione nell'infondatezza, nel merito, del gravame. 15. Il Collegio non ritiene necessario disporre ulteriori approfondimenti istruttori, ritenendo esaustive le relazioni dell'INAIL, corredate dalla allegata documentazione. 16. Può dunque procedersi alla disamina del merito dell'appello. I due articolati mezzi di censura, sviluppati da diversi angoli prospettici, ruotano attorno a due considerazioni di fondo. 16.1. Da un primo punto di vista, sostiene l'appellante che il Centro di -OMISSIS-, dotato di autonomia operativa e gestionale con un bilancio specifico, è un'azienda certificata ISO 9001-2015 quale struttura accreditata dalla Regione Emilia Romagna con delibera n. -OMISSIS- per l'attività di riabilitazione in regime di ricovero non ospedaliero; tale Centro svolge attività non solo in favore degli assicurati INAIL, ma anche delle Aziende Sanitarie Locali, dei privati, anche provenienti dall'estero, nei confronti dei quali emette regolari fatture. Tenuto conto della particolare natura del Centro di -OMISSIS-, che opera non solo per fornire le prestazioni di pertinenza dell'Istituto, ma anche per conto di terzi, anche privati, secondo l'appellante sarebbe illegittimo l'affidamento diretto della fornitura a tale Centro senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica, tenuto conto che la protesi in questione è contendibile sul mercato. 16.2. Inoltre, la sottoposizione del preventivo relativo alla fornitura di una protesi, da parte di una Of. ortopedica privata, all'approvazione del Centro di -OMISSIS-, darebbe origine, secondo l'appellante, ad un conflitto di interessi: il Centro di -OMISSIS-, infatti, è deputato a svolgere la verifica sulla congruità del preventivo predisposto dall'O. privata, verificando se il prezzo ivi indicato possa ritenersi congruo, potendo - in caso contrario - stabilire il limite massimo del rimborso della spesa a carico dell'INAIL; il paziente, può quindi scegliere se pagare la differenza o optare per l'assistenza diretta da parte del Centro di -OMISSIS-. Secondo l'appellante, questo sistema comporterebbe l'alterazione della concorrenza perché il Centro di -OMISSIS- offrirebbe prezzi più bassi tali da comportare lo sviamento di clientela a scapito delle officine private; il Centro, infatti, a detta dell'O., predisporrebbe preventivi più bassi rispetto alle officine private, perché non comprensivi di tutti i costi sopportati, invece, dai privati; secondo l'appellante, infatti, il Centro Protesi di -OMISSIS- opererebbe in perdita, potendo usufruire delle compensazioni effettuate dall'INAIL. 16.3. Quanto dedotto, si sarebbe verificato nel caso di specie: l'INAIL ha approvato il preventivo presentato dall'O. ricorrente previa decurtazione di una parte consistente del corrispettivo richiesto; ciò ha comportato che il paziente - che avrebbe dovuto pagare la differenza - si è rivolto direttamente al Centro di -OMISSIS- ottenendo in questo modo la prestazione senza dover sopportare oneri economici. 17. - Come anticipato, queste prospettazioni sono state dedotte dinanzi al TAR che non le ha condivise, rilevando che l'impianto argomentativo della Of. ricorrente avrebbe travisato "il quadro ordinamentale vigente sia sotto l'angolo delle funzioni istituzionali dell'INAIL sia sotto l'ulteriore angolo della collocazione organizzativa del Centro sperimentale di -OMISSIS-". Il TAR ha quindi aggiunto che è evidente che "l'Inail sia ente pubblico non economico previsto e istituito dalla legge per l'espletamento della fondamentale funzione di esercizio e gestione dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: tra le prestazioni ricomprese nella copertura assicurativa figura, infatti, la fornitura di apparecchi di protesi (v. art. 66, n. 6 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124) cui provvede per espressa previsione normativa l'Istituto stesso sia in sede di prima fornitura, sia in sede di rinnovazione quando sia trascorso il tempo minimo prescritto dalla disciplina regolamentare. Nella cornice dell'esercizio di queste funzioni istituzionali, l'Istituto si avvale del Centro per la sperimentazione e l'applicazione di protesi e presidi ortopedici per gli infortuni sul lavoro, che rappresenta una articolazione organizzativa dell'Istituto stesso, pur con peculiari prerogative di autonomia: difatti, ai sensi dell'art. 2 del Decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 1984, n. 782 recante "Organizzazione e gestione dell'O. ortopedica dell'INAIL di -OMISSIS-", si prevede che "il centro è classificato come unità organica dell'INAIL, gestita, in considerazione della peculiarità del servizio espletato, con una particolare autonomia" e all'art. 11 si precisa altresì che "la gestione finanziaria del centro si svolge nei limiti delle somme stanziate nel bilancio di previsione dell'INAIL, nel quale saranno individuati appositi capitoli sia per le entrate che per le spese", stabilendo, pertanto, che il Centro sperimentale non gode di alcuna autonomia finanziaria, ma dipende dagli stanziamenti dell'Istituto". Ha quindi aggiunto che nessuna violazione della normativa unionale sussiste, in quanto "la fornitura delle protesi in parola avviene in proprio a cura di una struttura interna all'Istituto stesso, indi realizza nulla più che una forma di amministrazione diretta nell'erogazione del servizio di assicurazione sociale: ciò rispecchia coerentemente la cornice unionale che legittima espressamente il principio di libera amministrazione e autoproduzione dei servizi a cura della pubblica amministrazione sin dal Considerando n. 5 della Direttiva n. 2014/24/UE giusta il quale "è opportuno rammentare che nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva. La prestazione di servizi sulla base di disposizioni legislative, regolamentari o contratti di lavoro dovrebbe esulare dall'ambito di applicazione della presente direttiva. In alcuni Stati membri ciò potrebbe verificarsi, ad esempio, per taluni servizi amministrativi pubblici quali i servizi esecutivi e legislativi o la fornitura di determinati servizi alla comunità, come i servizi connessi agli affari esteri o alla giustizia o i servizi di sicurezza sociale obbligatoria". Si appalesa, dunque, privo di ogni pregio il richiamo svolto diffusamente dalla ricorrente ai principi di parità di trattamento, favor partecipationis, par condicio, libera concorrenza, pubblicità e trasparenza atteso che la fornitura per cui è causa ricade nel fenomeno dell'autoproduzione di beni e servizi a cura della PA, che sfugge con tutta evidenza all'ambito applicativo della disciplina euro-unitaria sull'evidenza pubblica". 18. Avverso queste chiarissime statuizioni l'appellante non ha fornito valide argomentazioni a confutazione. 18.1. Innanzitutto, nell'appello si omette ogni riferimento al primo presupposto, e cioè che la fornitura di protesi da parte dell'INAIL costituisca un obbligo di legge nei confronti dei propri assicurati che, nello svolgimento della loro attività lavorativa, abbiano subito un infortunio o abbiano contratto una malattia professionale. Trattandosi di un obbligo nascente dalla legge, legittimamente l'Istituto si è organizzato in modo da gestire tale attività in proprio, senza ricorrere a soggetti terzi: ha istituito una apposita struttura deputata allo svolgimento dell'attività istituzionale relativa alla fornitura degli "apparecchi di protesi" (art. 66, n. 6 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124); la prestazione eseguita dall'Istituto riguarda sia la prima fornitura, sia la manutenzione della protesi, sia la rinnovazione dell'ausilio dopo l'intervallo di tempo previsto dal Regolamento. L'Istituto ha "internalizzato" il servizio, costituendo un Centro Sperimentale che fornisce prestazioni di alta professionalità, conosciuto non solo in Italia ma anche all'estero, il che ha indotto anche soggetti diversi dagli assicurati INAIL, italiani e stranieri, a rivolgersi a tale Centro. 18.2. Il "Centro (per la Sperimentazione e l'applicazione di protesi e presidi ortopedici per gli infortuni sul lavoro n. d.r.) è classificato come unità organica dell'INAIL, gestita, in considerazione della peculiarità del servizio espletato, con una particolare autonomia operativa, secondo quanto previsto dagli articoli seguenti" (cfr. art. 2 del d.P.R. 18 luglio 1984, n. 782); tale Centro non ha autonomia finanziaria perché l'attività di assistenza protesica non è finanziata da entrate proprie del Centro, ma da appositi stanziamenti che trovano copertura nel bilancio dell'Istituto. La predetta assistenza è erogata a titolo gratuito, ad eccezione delle spese le per prestazioni erogate agli assistiti del SSN e ad altri soggetti non assicurati INAIL. 18.3 - Correttamente l'INAIL ha ricordato che la posizione del Centro di -OMISSIS-, articolazione dell'Istituto previdenziale, che svolge un'attività istituzionale priva di scopo di lucro, a titolo gratuito per i propri assicurati, si pone su un piano differente da quello dell'O. privata che ha agito in giudizio, che svolge attività di impresa con finalità lucrative. Nella propria memoria l'INAIL ha richiamato - a supporto di quanto dedotto - che, secondo la Corte di Giustizia CE 22 gennaio 2002, causa C/218/2002, l'automaticità delle prestazioni, l'iscrizione obbligatoria e l'assenza di lucro sono caratteristiche "difficilmente conciliabili con la nozione di impresa nel senso di cui alle norme comunitarie in materia di concorrenza". 18.4 - Occorre poi considerare che, nel caso di specie, la controversia si riferisce all'assistenza protesica prestata dall'INAIL nei confronti di un proprio assicurato, vittima di un infortunio sul lavoro; si tratta, quindi, di una prestazione dovuta dall'INAIL in quanto ricompresa nella propria attività istituzionale; ne consegue che le prospettazione dell'appellante, relative all'attività svolta dall'Istituto "come operatore economico", non risultano pertinenti alla fattispecie in esame. Il sig. -OMISSIS- ha potuto rivolgersi all'O. ricorrente per il preventivo solo perché il Regolamento dell'INAIL (determinazione dirigenziale n. 261 del 29 settembre 2022, art. 9) ha riconosciuto il principio della libertà di scelta terapeutica, anche se solo entro certi limiti, costituiti dalla appropriatezza dell'ausilio individuato dalla Of. privata e della congruità del prezzo relativo alla fornitura, non potendo giustificarsi (trattandosi di denaro pubblico) una spesa superiore a quanto sopportato in via diretta dall'Istituto in caso di fornitura dell'ausilio. Ne consegue che tutte le prospettazioni dell'appellante, dirette a sostenere che il Centro di -OMISSIS- sarebbe un soggetto autonomo rispetto all'INAIL e che dovrebbe essere qualificato come operatore economico, in quanto fornisce prestazioni al di fuori dell'assicurazione obbligatoria, fuoriescono dal perimetro del presente giudizio, che attiene ad una controversia relativa ad una prestazione obbligatoria ex lege. 19. In ogni caso, questa Sezione ha ritenuto di dover approfondire la questione con le due ordinanze prima richiamate: dalle relazioni dell'INAIL si evince, in modo chiaro, che l'Istituto in parte realizza in proprio le protesi e gli ausili, in parte li acquista mediante accordi quadro, in modo da garantirsi la fornitura dei prodotti a prezzo più basso e stabile nel tempo, in parte acquista le materie prime, il tutto nel rispetto delle modalità previste nel nostro ordinamento (cfr. art. 36 e 63 codice di contratti, vigente ratione temporis). 20. Quanto ai rilievi espressi dall'appellante circa le modalità utilizzate dall'Istituto per l'acquisizione delle protesi, è sufficiente rilevare che si tratta di una questione che esula dall'oggetto del presente contenzioso, in quanto non è stato impugnato alcun atto con il quale l'Istituto ha acquisito la fornitura delle protesi dal produttore; l'impugnazione è stata proposta, infatti, avverso l'autorizzazione alla fornitura della protesi destinata al sig. -OMISSIS- ed il suo pagamento; in ogni caso, l'appellante non è un operatore di mercato che realizza tale protesi e che può lamentare l'asserita illegittimità del sistema prescelto dall'Istituto per acquisire la fornitura, in quanto gli impedisce di aggiudicarsela: ne consegue l'inammissibilità, anche sotto questo profilo, di tale doglianza. 21. Per completezza espositiva, è opportuno aggiungere che l'INAIL ha replicato in modo convincente alle tesi dell'appellante in relazione alle "fatture" emesse dal Centro e al suo finanziamento mediante stanziamenti di risorse finanziarie che trovano copertura nel bilancio dell'Istituto. Nella relazione ha precisato che la "fattura" inviata alla sede territoriale INAIL risponde a due finalità : a) rendere edotto il Centro di spesa INAIL competente alla gestione dell'assistito delle risorse finanziarie per la fornitura e l'assistenza; b) esporre l'importo sul quale applicare l'IVA al 4% sulla cessione di protesi anche se gratuita (come indicato nella medesima fattura con la dicitura "assegnazione gratuita"). L'Istituto ha poi precisato che, con circolare n. 7 del 28 gennaio 2022, con cui è stato emanato il nuovo "Regolamento per l'erogazione degli interventi per il recupero funzionale della persona, per l'autonomia e per i reinserimento nella vita di relazione" l'ente, adeguandosi alla normativa fiscale, ha previsto l'abolizione dell'emissione delle fatture virtuali; tali documenti costituiscono ormai esclusivamente il mezzo attraverso cui vengono condivisi i dati contabili all'interno dell'Istituto stesso. 22. Anche la tesi dell'appellante, secondo cui il "prezzo" della protesi in questione indicato dall'INAIL (pari ad Euro -OMISSIS-) sarebbe "fuori mercato" e la fornitura complessiva sarebbe in perdita non comprendendo nessun ricarico di gestione (e tale perdita sarebbe poi ripianata dall'Istituto), non risulta convincente alla luce della relazione e della documentazione a corredo depositata dall'ente appellato il 13 febbraio 2023, idonea ad escludere che gli atti impugnati siano inficiati dai vizi lamentati. L'appellato, infatti, ha indicato le componenti prodotte in proprio e quelle assemblate o acquistate secondo le regole pubblicistiche che presiedono all'esercizio della sua attività istituzionale, dovendosi, per il resto, considerare comprese le spese generali di funzionamento, da intendersi valutate per tutta l'attività che, nel complesso, viene svolta dall'Istituto. L'INAIL ha sostenuto che "per i casi di fornitura di dispositivi protesici su misura risulta appropriata per ciascun assistito una e una sola tipologia di protesi, di talché il dispositivo tecnico può essere realizzato esclusivamente utilizzando specifici componenti prodotti da determinati operatori economici presenti sul mercato" e che "onde evitare di dover attivare ripetute procedure acquisitive per ogni specifico paziente, al fine di garantire la necessaria tempestività dell'intervento di assistenza, stipula accordi quadro con i fornitori di detti componenti in base ai quali i fornitori medesimi si impegnano per un arco di tempo predeterminato a fornire quanto richiesto a prezzi che rimangono invariati per la durata dell'accordo quadro, con garanzia di consegna nei tempi ivi indicati". 22.1. In questa prospettiva, l'appellato ha prodotto la documentazione attestante la richiesta di fornitura di beni che l'ente ha disposto responsabilmente sulla base delle disposizioni in vigore, compresa quella relativa all'accordo quadro stipulato con la -OMISSIS-, fornitrice della protesi -OMISSIS- per cui è causa. Nella relazione depositata, l'INAIL ha sviluppato un'analisi adeguata rispetto alle singole voci di prezzo di cui si compone la protesi e rispetto alle quali l'ente è in grado di spuntare, in ragione delle quantità ordinate, un prezzo significativamente inferiore a quello ottenibile sul mercato a operatori privati, compreso quello relativo al componente in questione (codice fornitore -OMISSIS-) che ha un costo per l'INAIL di Euro -OMISSIS-, evidentemente più basso rispetto a quello praticato in favore della società appellante. L'importo fissato dall'INAIL nella fattura, pari ad Euro -OMISSIS-, con riferimento alla fornitura della protesi prodotta dalla ditta -OMISSIS-, ben maggiore del prezzo di acquisto dell'ausilio mediante accordo quadro, dimostra che l'Istituto, nella quotazione del prezzo del prodotto, ha inglobato anche le spese aggiuntive ivi comprese quelle per la garanzia e la manutenzione dell'apparecchio. 23. Nel quadro ricostruttivo che precede, ritiene il Collegio che la sentenza impugnata sia immune dai vizi denunciati con riguardo ai due gruppi di censure prima indicati, compreso quello attinente alla garanzia quinquennale offerta, atteso che l'INAIL è tenuto istituzionalmente a garantire il funzionamento delle protesi per tutto il tempo necessario, provvedendo, se del caso, alla loro sostituzione senza costi per l'assistito. Ne consegue l'infondatezza complessiva del primo motivo di appello. 24. Altrettanto infondato si appalesa il secondo motivo, con il quale l'appellante ha lamentato l'asserito "conflitto di interessi" in cui verserebbe l'INAIL in qualità di fornitore del prodotto e soggetto deputato a valutare l'appropriatezza e la congruità del prezzo indicato dal proprio concorrente, nella specie, l'O. appellante. Tale censura è stata respinta dal TAR con motivazioni che la Sezione condivide rilevando che "è il regolamento protesico di Inail a stabilire che, fermo restando il principio di libertà terapeutica degli assistiti, sia il Centro sperimentale di -OMISSIS- a formulare un parere di congruità sui preventivi sottoposti dagli stessi all'Istituto: a dispetto di quanto afferma parte ricorrente, siffatta dialettica interna tra i servizi dell'Istituto, ossia tra la sede territoriale competente all'autorizzazione della fornitura e il Centro sperimentale, deputato al supporto tecnico-consulenziale per il parere di congruità tecnico-economica, risponde ad un assetto razionale, che si esaurisce internamente e costituisce null'altro che la forma procedimentale della funzione pubblica attribuita ad Inail.". Il Tar ha quindi aggiunto che "la circostanza che il Centro sperimentale formuli, secondo le proprie prerogative di autonomia tecnica, un parere di congruità che conduca alla decurtazione del preventivo o, financo, alla fornitura diretta della protesi a cura dello stesso Centro non dovrebbe destare alcuna perplessità, anzi incarna un paradigmatico esempio di buon andamento amministrativo, giacché consente l'erogazione del medesimo servizio pubblico - la fornitura protesica agli invalidi del lavoro - a condizioni tecnico-economiche più convenienti di quelle offerte dal mercato". 24.1. A ciò è opportuno aggiungere che, come ricordato dall'INAIL, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro n. 17895/2013 ha avallato il sistema previsto dal Regolamento dell'INAIL, ritenendo che il rispetto della libertà di scelta terapeutica degli assistiti non può spingersi fino a punto di indurre l'Istituto a discostarsi dai principi di buon andamento, efficacia ed economicità, che ai sensi dell'art. 97 Cost., devono ispirare ogni attività della pubblica amministrazione. Occorre considerare, infatti, che la prestazione gratuita dell'ausilio comporta oneri di finanza pubblica, con la conseguenza che sarebbe ingiustificato porre a carico dell'Ente pubblico la spesa per la fornitura di un bene per un importo maggiore di quello sopportato dallo stesso Ente in caso di prestazione diretta. Correttamente, quindi, l'INAIL ha considerato, nel proprio Regolamento, come parametro di valutazione di congruità del costo, l'importo che avrebbe sostenuto in caso di erogazione diretta della protesi. Del resto, questo stesso sistema è applicato dal SSN nel caso di prestazione di ausili più performanti rispetto a quelli a carico del servizio sanitario contenuti nel tariffario, ovvero con riferimento all'assistenza farmaceutica: anche in quei casi la differenza di costo conseguente alla scelta di un prodotto di qualità superiore, o comunque del farmaco "di marca", grava sul paziente. Valgono, in materia, infatti, i principi costantemente affermati dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale e da questo Consiglio di Stato in tema di diritto alla salute finanziariamente condizionato (cfr., Consiglio di Stato Sezione III, 20 aprile 2021, n. 3190; Consiglio di Stato, Sezione III, 15 febbraio 2021, n. 1305 che richiama la giurisprudenza, anche della Corte Costituzionale, sul punto). 25. In base a tutte le considerazioni che precedono, in conclusione, l'appello non può trovare accoglimento, pur sussistendo giustificati motivi per disporre la compensazione integrale delle spese relativa alla presente fase, data la particolarità della vicenda contenziosa e gli interessi in gioco. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello (n. r.g. 754/2022), come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese del grado di appello compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la persona intimata non costituita in giudizio. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Stefania Santoleri - Presidente FF Giovanni Pescatore - Consigliere Nicola D'Angelo - Consigliere Giulia Ferrari - Consigliere Luca Di Raimondo - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5140 del 2022, proposto dalla società -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Ro., con domicilio fisico presso il suo studio in Roma, Via (...) e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro l'Ufficio Territoriale del Governo - Prefettura di Bologna, in persona del Prefetto pro tempore e il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, Via (...), e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna-Bologna, -OMISSIS- resa tra le parti, non notificata ed avente ad oggetto la richiesta di annullamento del provvedimento di revoca dell'iscrizione della società nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all'articolo 1, commi 52 - 57, della legge 6 novembre 2012, n. 190; visti il ricorso in appello e i relativi allegati; visti tutti gli atti della causa; relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 giugno 2023 il consigliere Luca Di Raimondo e dato atto della presenza, ai sensi di legge, degli avvocati delle parti come da verbale dell'udienza; Ritenuto in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con appello notificato e depositato il 22 giugno 2022, la società -OMISSIS- (di seguito anche "-OMISSIS-") ha impugnato, chiedendone la riforma, la sentenza -OMISSIS-, con la quale il Tribunale amministrativo per l'Emilia Romagna-Bologna, Sezione I, ha rigettato il suo ricorso avente ad oggetto la richiesta di annullamento del provvedimento indicato in epigrafe, ritenuto dal primo giudice congruamente motivato in ordine ai plurimi profili esaminati dal Prefetto di Bologna. 2. In particolare, nell'alveo dei canoni ermeneutici elaborati dalla giurisprudenza in applicazione della normativa applicabile per l'esame dei provvedimenti di revoca dell'iscrizione nelle cosiddette white list come quello per cui è causa, il Tar ha stabilito che le risultanze documentali emerse in rilevo nell'istruttoria compiuta dall'Amministrazione procedente rivelano fondati elementi su cui è basato il provvedimento gravato in prime cure, con riguardo particolare: - ai "rapporti tra -OMISSIS-, -OMISSIS- della -OMISSIS-, e la -OMISSIS- destinataria di informazione antimafia interdittiva e di provvedimento di rigetto dell'iscrizione nelle white list, adottati dal Prefetto di Caserta in data 31 luglio 2017, la cui legittimità è stata accertata con autorità di giudicato"; - alla circostanza secondo cui "-OMISSIS-, oltre ai legami familiari con -OMISSIS-, sino al -OMISSIS- ha detenuto -OMISSIS- del capitale della società stessa ed anche dopo l'interdittiva ha mantenuto rapporti economici con essa. 3. L'appellante affida il proprio gravame a quattro motivi di censura, con i quali ripropone in chiave critica rispetto alla sentenza impugnata le doglianze svolte in primo grado, lamentando: "I. Error in iudicando et in procedendo. Violazione e/o falsa applicazione artt. 84 e 91 d.lgs 6.9.2011 n. 159; d.p.c.m. 18 aprile 2013. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 1, comma 52, della legge 6 novembre 2012, n. 190 istruttoria carente e/o insufficiente e/o approssimativa; erroneità e/o falsità di presupposti; travisamento e/o erronea e/o insufficiente valutazione dei fatti; carenza e/o insufficienza di motivazione; violazione e/o mancata applicazione della circolare ministeriale 8.2.2013 n. 11001/119/20(6); violazione del principio di proporzionalità dell'azione amministrativa; violazione dei principi di ragionevolezza e buon andamento ex artt. 3 e 97 cost.; violazione e/o abnorme compromissione del principio di libertà di iniziativa economica ex art. 41 cost; violazione del compito istituzionale ex art. 3, comma 2, cost.; mancato e/o inadeguato bilanciamento degli interessi in gioco. Contraddittorietà tra atti della stessa amministrazione.": secondo la -OMISSIS-, gli elementi fondativi del provvedimento impugnato erano già noti all'Amministrazione, che aveva in due occasioni (-OMISSIS- e -OMISSIS-) consesso alla società l'iscrizione nelle white list; "II. Error in iudicando et in procedendo. Violazione e/o falsa applicazione artt. 84 e 91 d.lgs 6.9.2011 n. 159; d.p.c.m. 18 aprile 2013. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 1, comma 52, della legge 6 novembre 2012, n. 190 istruttoria carente e/o insufficiente e/o approssimativa; erroneità e/o falsità di presupposti; travisamento e/o erronea e/o insufficiente valutazione dei fatti; carenza e/o insufficienza di motivazione; violazione e/o mancata applicazione della circolare ministeriale 8.2.2013 n. 11001/119/20(6); violazione del principio di proporzionalità dell'azione amministrativa; violazione dei principi di ragionevolezza e buon andamento ex artt. 3 e 97 cost.; violazione e/o abnorme compromissione del principio di libertà di iniziativa economica ex art. 41 cost; violazione del compito istituzionale ex art. 3, comma 2, cost.; mancato e/o inadeguato bilanciamento degli interessi in gioco. Violazione dei princiupi di legittimo affidamento, tutela della buona fede, della lealtà nei rapporti tra privati e pubblica amministrazione e del buon andamento dell'azione amministrativa.": lamenta l'appellante che la sentenza di cui chiede la riforma avrebbe erroneamente respinto il secondo motivo di ricorso dedotto in prime cure, ritenendo non rientrante l'iscrizione nelle white list tra i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dell'interessato, quali le autorizzazioni nonché atti "attributivi di vantaggi economici", come la concessione di contributi o sussidi economici o la stessa aggiudicazione di contratti pubblici; "III. Error in iudicando et in procedendo. Violazione e/o falsa applicazione artt. 84 e 91 d.lgs 6.9.2011 n. 159; violazione e/o falsa applicazione art. 4 d.lgs 8.8.1994 n. 490; istruttoria carente e/o insufficiente e/o approssimativa; erroneità e/o falsità di presupposti; travisamento e/o erronea e/o insufficiente valutazione dei fatti; carenza e/o insufficienza di motivazione; violazione e/o mancata applicazione della circolare ministeriale 8.2.2013 n. 11001/119/20(6); violazione del principio di proporzionalità dell'azione amministrativa; violazione dei principi di ragionevolezza e buon andamento ex artt. 3 e 97 cost.; violazione e/o abnorme compromissione del principio di libertà di iniziativa economica ex art. 41 cost; violazione del compito istituzionale. Omessa pronuncia.": ad avviso della -OMISSIS-, il Tar avrebbe errato nel respingere il terzo motivo di ricorso, con cui la società lamentava che "il "contatto" non è intervenuto tra la società appellante e una società interdetta per "motivi propri", ma tra la società appellante e società che a sua volta subiva gli effetti "a cascata" di altra società interdetta", senza che risultasse provato l'elemento dell'attualità del pericolo di infiltrazione; "IV. Error in iudicando et in procedendo. Violazione e falsa applicazione dell'art. 93. D.lgs n. 159 del 6.9.11. Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241 e succ. modif. e/o integr. Eccesso di potere per assoluto difetto di istruttoria, errore sui presupposti, contraddittorietà . Contraddittorietà tra parti della stessa sentenza.": con tale mezzo, l'appellante lamenta l'erroneo rigetto del quarto motivo di ricorso, che ha ritenuto inapplicabile l'articolo 93 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, sull'assunto della sua riferibilità all'attività di prevenzione delle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici. 4. Con memoria depositata il 20 dicembre 2022, la -OMISSIS- si è costituita con un nuovo difensore, che si è riportato alle deduzioni svolte con l'appello; con atto depositato il 13 giugno 2023, le Amministrazioni appellate si sono costituite in giudizio, presentando memoria difensiva in pari data, di cui il Collegio non tiene conto in quanto depositata tardivamente, come eccepito dall'appellante nel corso della discussione. 5. All'udienza del 15 giugno 2023, la causa è stata trattenuta in decisione. 6. L'appello è infondato. 7. Prima di esaminare i singoli mezzi di gravame, il Collegio ritiene opportuno ricostruire i canoni ermeneutici entro cui si sviluppa correttamente l'esercizio del sindacato di legittimità nella materia disciplinata dal decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. 7.1. Da questo punto di vista, osserva il Collegio che la ratio della normativa è proprio quella di evitare il "rischio" di contaminazione con la criminalità organizzata, che può verificarsi anche senza la necessaria ed immediata connivenza (contiguità soggiacente) dell'operatore economico oggetto di interesse da parte delle organizzazioni malavitose (in tema, la giurisprudenza ha più volte affermato che "la pluralità ed eterogeneità dei dati sintomatici di un pericolo di infiltrazione, anche solo in forma di contiguità c.d. soggiacente, è infatti tale, ad una valutazione congiunta degli stessi, da far ritenere non implausibile e non irragionevole la valutazione ritenuta dall'Amministrazione in relazione al complessivo quadro indiziario"; così, Consiglio di Stato, Sezione III, 29 dicembre 2022, n. 11600; cfr., altresì, Consiglio di Stato, Sezione III, 15 novembre 2022, n. 10033 e 3 novembre 2022, n. 9629). 7.2. Quanto alla durata dei rapporti tra appartenenti alla impresa (soci o dipendenti) con ambienti della criminalità organizzata, il loro carattere occasionale da cui potrebbe dedursi l'illegittimità del provvedimento interdittivo può consentire, al più, come nel caso di specie, all'impresa di essere ammessa al controllo giudiziario (Cassazione penale, VI, 16 luglio 2021, n. 27704), il cui buon esito consente "all'impresa ad esso (volontariamente) sottoposta di continuare ad operare, nella prospettiva finale del superamento della situazione sulla cui base è stata emessa l'interdittiva." (Consiglio di Sato, Adunanza plenaria, 13 febbraio 2023, n. 7, che ha anche fissato i confini del rapporto tra provvedimento prefettizio e controllo giudiziario, stabilendo che questo "sopravviene ad una situazione di condizionamento mafioso in funzione del suo superamento ed al fine di evitare la definitiva espulsione dal mercato dell'impresa permeata dalle organizzazioni malavitose", aggiungendo che "da un lato il rapporto di successione tra i due istituti si coglie con immediatezza laddove il condizionamento mafioso non possa ritenersi definitivamente accertato, pendente la contestazione mossa in sede giurisdizionale contro la ricostruzione dell'autorità prefettizia; dall'altro lato la medesima vicenda successoria di istituti non è comunque impedita quando il condizionamento possa invece ritenersi accertato con effetto di giudicato, con il rigetto dell'impugnazione contro l'interdittiva."). 7.3. Da un concorrente angolo prospettico, la giurisprudenza ha stabilito che gli elementi posti a base dell'informativa antimafia e, per quanto di interesse, della revoca dell'iscrizione nelle white list, non devono essere letti ed interpretati in una visione atomistica e parcellizzata, ma nel loro insieme, così da avere un quadro complessivo, da cui si possano inferire dati di un possibile condizionamento della libera attività concorrenziale dell'impresa (a partire da Consiglio di Stato, Sezione III, 3 maggio 2016, n. 1743, ex multis, Consiglio di Stato, Sezione III, 19 maggio 2022, n. 3973, 11 aprile 2022, n. 2712, 22 aprile 2022, n. 2985). Specularmente, è stata più volte ribadita l'autonomia tra la sfera dell'indagine penale e quella del procedimento amministrativo che conduca ad un provvedimento interdittivo, considerata la funzione di misura preventiva e non inquisitoria del secondo. 7.4. Con argomentazioni dalle quali il Collegio non vede ragioni di discostarsi, la Sezione ha stabilito quanto segue: "3.- La costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha già chiarito che il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell'accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma che implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere "più probabile che non", appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (v., per tutte, Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758; Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743 e la giurisprudenza successiva di questa Sezione, tutta conforme, da aversi qui per richiamata). 3.1. Lo stesso legislatore - art. 84, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011 (qui in avanti, per brevità, anche codice antimafia) - riconosce quale elemento fondante l'informazione antimafia la sussistenza di "eventuali tentativi" di infiltrazione mafiosa "tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate". 3.2- Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di queste ad influenzare la gestione dell'impresa sono all'evidenza tutte nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzate, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori. 3.3- Il pericolo - anche quello di infiltrazione mafiosa - è per definizione la probabilità di un evento e, cioè, l'elevata possibilità e non mera possibilità o semplice eventualità che esso si verifichi. 3.4- Il diritto amministrativo della prevenzione antimafia in questa materia non sanziona perciò fatti, penalmente rilevanti, né reprime condotte illecite, ma mira a scongiurare una minaccia per la sicurezza pubblica, l'infiltrazione mafiosa nell'attività imprenditoriale, e la probabilità che siffatto "evento" si realizzi." (Consiglio di Stato, Sezione III, 31 marzo 2023, n. 3338). 7.5. E ciò pur nella consapevolezza che "il pericolo dell'infiltrazione mafiosa, quale emerge dalla legislazione antimafia, "non può tuttavia sostanziarsi in un sospetto della pubblica amministrazione o in una vaga intuizione del giudice, che consegnerebbero questo istituto, pietra angolare del sistema normativo antimafia, ad un diritto della paura, ma deve ancorarsi a condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali, taluni dei quali tipizzati dal legislatore (art. 84, comma 4, del d.lgs. n. 159 del 2011: si pensi, per tutti, ai cc.dd. delitti spia), mentre altri, "a condotta libera", sono lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell'autorità amministrativa, che "può " - si badi: può - desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell'art. 91, comma 6, del d.lgs. n. 159 del 2011, da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all'attività delle organizzazioni criminali "unitamente a concreti elementi da cui risulti che l'attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata"" (cfr. Consiglio di Stato, III, n. 6105/2019). 8. Nel caso all'esame del Collegio, oggetto dell'impugnativa in prime cure è un provvedimento plurimotivato, che poggia su diverse circostanze che attestano, secondo la Prefettura di Bologna, il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata nell'attività della società appellante (la giurisprudenza, ex multis, Consiglio di Stato, Sezione I, parere n. 11/2023, ha stabilito che "per sorreggere l'atto in sede giurisdizionale è sufficiente la legittimità di una sola delle ragioni espresse; con la conseguenza che il rigetto delle doglianze svolte contro una di tali ragioni rende superfluo l'esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento", sicché "il giudice, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell'atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità, ha la potestà di respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo, con assorbimento delle censure dedotte avverso altri capi del provvedimento, indipendentemente dall'ordine con cui i motivi sono articolati nel gravame, in quanto la conservazione dell'atto implica la perdita di interesse del ricorrente all'esame delle altre doglianze" (cfr., di questa Sezione, pareri n. 357/2022 e n. 205/2022, nonché sentenze Sez. VI, 18 luglio 2022, n. 6114 e Sez. V, 14 aprile 2020, n. 2403, 13 settembre 2018, n. 5362, 3 settembre 2003, n. 437". Nel caso in esame, oltre che dalla consultazione della Banca dati nazionale unica antimafia, il provvedimento di cancellazione fa leva sulle risultanze documentali che emergono da: - la nota della DIA- Sede operativa di Bologna -OMISSIS- del 10 novembre 2020, - la nota del Nucleo di Polizia Economico-finanziaria di Bologna -OMISSIS- del 18 gennaio 2021; - la nota della Polizia Anticrimine della Questura di Bologna -OMISSIS-; - i verbali del Gruppo Interforze del 22 gennaio 2021 e del 19 febbraio 2021. Da questo primo angolo prospettico, perde consistenza la censura dedotta con il primo motivo di appello, con cui la -OMISSIS- lamenta che il Tar avrebbe fatto riferimento a circostanze già note all'Amministrazione procedente, atteso che gli atti suindicati, tutti successivi alla seconda iscrizione nelle white list e posti a base del provvedimento impugnato, testimoniano una nuova valutazione delle circostanze in fatto, che hanno condotto la Prefettura a revocare l'iscrizione, in precedenza concessa per due volte. Osserva, al riguardo, il Collegio che l'Amministrazione dell'interno ben può rivalutare la situazione complessiva in cui versa l'impresa alla luce di nuovi elementi che emergono dalla consultazione della BNDUA e delle comunicazioni ricevute dalle Forze di Polizia, dovendo essere lette in questa nuova prospettiva anche le informative a suo tempo trasmesse dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta, cui l'appellante attribuisce valore decisivo e indicativo di un profilo di contraddittorietà del provvedimento impugnato in primo grado. Dirimente, al riguardo, e non scalfita del primo mezzo di censura, è la considerazione finale del Tar sul punto, laddove la sentenza impugnata afferma con riguardo alla conoscibilità da parte della Prefettura di parte dei nuovi elementi che "rimane ineludibile il dato - come si dirà appresso - della oggettiva rilevanza delle interessenze tra la società ricorrente e la società interdetta -OMISSIS-." 9. Allo stesso modo risulta infondato anche il secondo motivo di appello. Con esso, la -OMISSIS- lamenta, in sostanza, che il Tribunale territoriale avrebbe erroneamente considerato l'atto impugnato non ascrivibile ai provvedimenti indicati nel testo vigente dell'articolo 21-quinquies, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, che così stabilisce: "per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo." Con riguardo alla nuova disciplina della revoca introdotta dall'articolo 25, comma 1, lettera b-ter, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, osserva condivisibilmente il Tar che "la suindicata norma restringe i presupposti tipici dell'esercizio del potere di revoca solamente per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dell'interessato quali autorizzazioni et simila oltre che per gli atti "attributivi di vantaggi economici" quali concessione di contributi o sussidi economici o la stessa aggiudicazione di contratti pubblici (Consiglio di Stato sez. III, 22 marzo 2017, n. 1310) mentre l'iscrizione alle c.d. white list non par proprio rientrare in tali ipotesi, da ritenersi tassative in considerazione del carattere eccezionale della norma in quanto innovativa e limitativa dei fondamentali principi di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa su cui si basa l'autotutela con funzione di riesame (ex plurimis T.A.R. Molise 7 luglio 2016, n. 290) ovvero della corrispondenza all'interesse pubblico perseguito", considerando che, alla stregua dei principi che regolano l'interdittiva antimafia, trattandosi di misure volte alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, "l'Amministrazione, una volta rilasciata l'iscrizione, può sempre verificare la sussistenza dei relativi presupposti in considerazione della preminente rilevanza dell'interesse pubblico coinvolto, risultando recessivo l'affidamento del privato al mantenimento dell'iscrizione ottenuta su di una incompleta valutazione degli elementi fattuali rilevanti." Da questo punto di vista, la sentenza gravata risulta corretta e l'atto impugnato immune dei vizi denunciati, anche perché preceduto dalla comunicazione ai sensi dell'articolo 10-bis della legge n. 241/1990, che ha consentito all'interessata di partecipare al procedimento, fornendo elementi valutati dall'Amministrazione nel provvedimento conclusivo. 10. Con il terzo mezzo di gravame, l'appellante si duole della mancata pronuncia del Tar sul motivo di ricorso concernente la lamentata insussistenza di un effetto automatico che sia indice di un possibile contagio con la criminalità organizzata, considerato che il rischio paventato sarebbe quello dell'adozione di un'interdittiva "a cascata". Anche questo mezzo è infondato. Osserva la Sezione che sul punto il Tar ha fornito una motivazione convincente, laddove ha stabilito, richiamando copiosa giurisprudenza, che "nel caso di specie l'Amministrazione ha comprovato la sussistenza di interessenze economiche e di legami familiari tra le due imprese, risultando -OMISSIS- socio -OMISSIS- del capitale della società -OMISSIS- sino al -OMISSIS- oltre che parente di -OMISSIS-, soci della predetta società colpita da interdittiva", la cui legittimità è stata confermata dal giudice amministrativo (cfr. pagina 4 del provvedimento prefettizio). In sostanza, l'appellante non ha contestato in modo convincente le risultanze del provvedimento di cancellazione, che consistono nell'emersione di rapporti commerciali tra la -OMISSIS- e la -OMISSIS- e di situazioni di contiguità con organizzazioni criminali operanti in Campania (-OMISSIS-). 11. Del pari deve essere respinto anche l'ultimo motivo di appello, che ripropone il quarto mezzo di ricorso in prime cure, con il quale viene dedotta la violazione dell'articolo 93 del decreto legislativo n. 159/2011, atteso che correttamente il primo giudice ha stabilito che la disposizione "si riferisce all'attività di prevenzione delle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici e alla possibilità per il Prefetto di disporre l'accesso ai cantieri e non trova pertanto applicazione nel caso di specie, trattandosi di iscrizione nelle cd. white list provinciali che può avvenire solo su istanza di parte e che non presuppone necessariamente la partecipazione a gare o appalti pubblici", a nulla rilevando che la sentenza abbia ritenuto che i principi informatori dell'interdittiva e dell'iscrizione alle white list siano i medesimi, in disparte il rilievo che, dal punto di vista della ricognizione della normativa applicabile ratione temporis alla fattispecie dedotta, nella presente vicenda il provvedimento interdittivo impugnato in primo grado è stato adottato in data anteriore all'entrata in vigore del decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152, convertito dalla legge 29 dicembre 2021, n. 233, che ha innovato - per la parte di interesse - la disciplina dell'istituto (in argomento era già intervenuta la Sezione con la sentenza 31 gennaio 2020, n. 820, che cita l'ordinanza 13 gennaio 2020, n. 28, con la quale il Tar Puglia - Bari, Sezione III, ha rimesso la questione alla CEDU). 12. In conclusione, nell'ambito dell'ampia discrezionalità da cui è connotata l'attività amministrativa in materia, sindacabile in sede giurisdizionale solo per evidente violazione di legge e per macroscopica irrazionalità (ex multis, Consiglio di Stato, Sezione III, 23 dicembre 2022, n. 11265), il Prefetto di Bologna, dunque, ha adottato il provvedimento di cancellazione sulla base di vari elementi che si fondano sulle emergenze documentali sopra indicate e, al riguardo, ritiene il Collegio che la motivazione sottesa all'atto gravato sia esaustiva e completa e che il Tribunale territoriale abbia fatto buon governo delle regole che presiedono alla disciplina antimafia. Con argomentazioni che il Collegio condivide in quanto applicabili alla cancellazione dalle white list, in tema di interdittiva la Sezione ha stabilito che "in subiecta materia, il nucleo del sindacato giurisdizionale non riposa tanto nella ricognizione, operata alla stregua della copiosa giurisprudenza che si è occupata dell'argomento, dei principi fondanti l'esercizio secundum legem del potere preventivo e dei criteri ai quali il giudice amministrativo deve ispirare la sua attività di controllo di legittimità del provvedimento sottoposto alla sua attenzione, ma nella attenta verifica che, nella fattispecie concreta e pur sullo sfondo della innegabile discrezionalità che caratterizza l'azione amministrativa di matrice preventiva, sia stata fatta corretta e coerente applicazione di quei principi, nel rispetto della loro ratio di fondo. 7.2.- Non può negarsi, invero, che l'estrema variabilità delle fattispecie esaminate, riflesso a sua volta delle molteplici forme in cui si manifesta il fenomeno mafioso ed esigente un attento sforzo - prima dell'Amministrazione, quindi del giudice - inteso a discernere le ipotesi di vero e proprio condizionamento mafioso da quelle in cui esso non è suffragato da concreti elementi probatori, nemmeno di tipo latamente presuntivo, impone all'Amministrazione - e, in sede contenziosa, al giudice, nell'esercizio del suo sindacato di legittimità - di individuare di volta in volta, e sulla base di una attività di bilanciamento e ponderazione sempre diversa nelle modalità del suo svolgimento, il punto di equilibrio tra le esigenze contrapposte che vengono in rilievo ogniqualvolta si tratti di determinare la sostanziale incapacità giuridica dell'impresa interdicenda, cui come è noto, per effetto del provvedimento interdittivo e per un periodo di tempo non determinabile nella sua durata, viene precluso l'esercizio dell'attività economica che ne costituisce la ragion d'essere, in vista della tutela di un interesse altrettanto meritevole di considerazione, come quello proteso alla salvaguardia del mercato e dei rapporti contrattuali coinvolgenti la P.A. dall'ingerenza inquinante della criminalità organizzata." (Consiglio di Stato, Sezione III, 23 dicembre 2022, n. 11265). In applicazione dei principi giurisprudenziali applicabili in materia, la sentenza appellata risulta, dunque, immune dei vizi denunciati, perché adeguatamente motivata con riferimento alle circostanze rilevanti nel caso di specie (sentenza irrevocabile di rigetto della richiesta di annullamento dell'interdittiva a carico della -OMISSIS-, quote societarie detenute da parte dell'-OMISSIS-, rapporti commerciali tra le due imprese), che denotano il pericolo di infiltrazione mafiosa. Fermo restando quanto sopra osservato in ordine alla necessità di una valutazione complessiva, non atomistica e parcellizzata delle risultanze istruttorie, ritiene la Sezione che, nel caso di specie, il Tar abbia adeguatamente valorizzato tutti gli elementi a sua disposizione, per come emergenti dalla documentazione versata in atti. Avendo riguardo all'apparato motivazionale del provvedimento impugnato, se ne deduce, in conclusione, che l'Amministrazione ha svolto un'attenta e scrupolosa istruttoria, di cui ha dato conto in modo esaustivo e sufficientemente supportato in ordine all'iter logico-giuridico seguito per la sua adozione, unitamente alle tante altre adeguatamente valorizzate dall'atto gravato e largamente considerate dal Tar secondo i canoni ermeneutici sopra richiamati e che avvalorano l'impostazione generale e complessiva del provvedimento impugnato, con la conseguenza che l'appello deve essere respinto. 14. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso (n. r.g. 5140/2022), come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la ricorrente a rifondere le spese del giudizio in favore delle Amministrazioni intimate nella misura complessiva di Euro 3.000,00, oltre accessori. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'appellante e le persone fisiche e giuridiche citate. Giovanni Pescatore - Presidente FF Nicola D'Angelo - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Luca Di Raimondo - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VERGA Giovanna - Presidente Dott. BORSELLINO Maria D. - Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere Dott. DI PISA Fabio - rel. Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato ad (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 27/10/2021 della CORTE APPELLO di PERUGIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO DI PISA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FULVIO BALDI, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; uditi l'Avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS), l'Avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) nonche' l'avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno concluso chiedendo l'accoglimento dei rispettivi ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza in data 12/02/2019, confermava la sentenza del 12/09/2016 con cui il Giudice dell'udienza preliminare dello stesso Tribunale, all'esito di giudizio abbreviato, aveva assolto (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato di peculato. Secondo la prospettazione accusatoria gli imputati - (OMISSIS) e (OMISSIS), nella qualita' di presidenti dei gruppi consiliari regionali; (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita' di consiglieri regionali, ritenuti anch'essi pubblici ufficiali- ed in concorso con i Presidenti dei rispettivi gruppi consigliari e (OMISSIS) nella qualita' di responsabile della Segreteria del gruppo consigliare ed in concorso con il presidente del gruppo - si erano appropriati dei fondi pubblici della Regione (OMISSIS), previsti per il finanziamento delle attivita' dei Gruppi consiliari dalla Legge Regionale n. 34 del 10 agosto 1988. 2. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20535/2020, in accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Ancona, annullava la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia. In tale pronunzia la Suprema Corte formulava tutta una serie di principi in ordine: - alla natura giuridica dei gruppi Consiglieri ed al vincolo di destinazione delle somme erogate; - alla nozione di "spese rimborsabili "; - alla prova della condotta appropriativa. Nel rilevare che i giudici di merito non avevano fatto corretta applicazione dei principi di diritto indicati ha, quindi, onerato la Corte di appello di Perugia in sede di rinvio di verificare, applicando i principi indicati, in ordine alle singole posizioni processuali ed alle singole categorie di spese se, ed in che termini, fosse configurabile il reato contestato. 3. La Corte di appello di Perugia, con sentenza in data 27 ottobre 2021, pronunziando in sede di rinvio, per quello che ancora in questa sede rileva, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) limitatamente ai reati loro ascritti riferiti all'anno 2008 per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione; ha condannato (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 80), 125) e 126), limitatamente alle spese postali e convegnistiche; ha condannato (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 72), 73), 74), 75) e 76) limitatamente alle spese per i periodici "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" e per la messaggistica "(OMISSIS)" e per talune delle spese di ristorazione. Con provvedimento in data 17 gennaio 2022 la Corte di appello, rilevata la sussistenza di un errore materiale nel dispositivo, in relazione alla omessa statuizione di confisca, ha disposto correggersi il dispositivo inserendo l'inciso: "visto l'articolo 322-ter c.p.p. ordina la confisca della somma di Euro 4.600,00 nei confronti di (OMISSIS) e della somma di Euro 21.500,00 + Euro 1.800,00 dei confronti di (OMISSIS) o dei beni di cui gli imputati avessero la disponibilita' per un valore equivalente". 4. Contro detta sentenza hanno proposto ricorsi per cassazione entrambi i predetti imputati a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia. 4.1. (OMISSIS), con un primo ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS), formula i seguenti motivi. Con il primo motivo denuncia, ex articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p., nullita' della sentenza in ragione della mancata rinnovazione della prova dichiarativa in violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. Assume che, valutati anche i principi fissati dalla Corte EDU, nel caso in esame risultava palese la violazione dei diritti difensivi, non essendosi proceduto alla rinnovazione dell'audizione dell'imputato. Rileva che avendo il primo giudice espressamente valorizzato le dichiarazioni del (OMISSIS) ai fini assolutori e posto che la corte di merito aveva operato una "svalutazione" del peso probatorio di tali dichiarazioni, si rendeva indispensabile una rinnovata audizione dello stesso al fine di effettuare i necessari chiarimenti in ordine alla percezione dei rimborsi ed al legame istituzionale delle spese effettuate con la propria attivita' all'interno del gruppo consiliare. Con il secondo motivo denuncia, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), vizio di motivazione per non essersi il giudice del rinvio conformato ai principi di diritto fissati dalla Suprema Corte quanto alla verifica della legittimita' delle spese in questione. Lamenta per l'anno 2009 che: - quanto alla ritenuta illegittimita' delle spesa di ristorazione di Euro 200,00 la Corte territoriale nell'affermare che non era dato sapere se la stessa fosse collegata ad un evento di natura istituzionale, per un verso, aveva finito per rovesciare l'onere della prova a carico dell'imputato e, per altro verso, aveva del tutto trascurato di prendere in esame le giustificazioni fornite dall'imputato nel corso del proprio interrogatorio e del proprio esame; in ordine alla ulteriore spesa di Euro 200,00 per un rimborso legato ad un convegno indetto dal Ministero del lavoro era palese il vizio motivazionale in quanto la Corte di merito aveva omesso di considerare che non e' possibile, da parte del giudice penale, sindacare l'attivita' politica e le scelte di merito del Presidente di un gruppo consiliare. Osserva, quanto all'anno 2010 ed all'anno 2011, che gli addebiti riguardavano spese postali inerenti la spedizione di auguri natalizi corredati da una newsletter, in relazione alle quali non poteva ritenersi, come apoditticamente affermato dalla Corte di appello, che le stesse erano "scisse" dall'attivita' consiliare e riguardavano mera attivita' propagandistica del consigliere. Con il terzo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 314 c.p. nonche' vizio di motivazione in relazione alla nozione di disponibilita' giuridica del denaro in capo all'imputato. Nel premettere che presupposto indefettibile ai fini della configurabilita' del reato di peculato e' che il pubblico ufficiale abbia il possesso o, comunque, la concreta disponibilita' del denaro osserva che i giudici territoriali avevano omesso di considerare che, come precisato dal ricorrente, lo stesso non aveva mai gestito direttamente di denaro ovvero avuto la disponibilita' di carta di credito o di fondo cassa generalizzato e preventivo per le proprie spese. Con il quarto motivo deduce, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione degli articoli 110- 314 c.p. nonche' vizio di motivazione in ordine al ritenuto concorso dell'imputato nei delitto di peculato con i capi-gruppo pro-tempore. Rileva che la sentenza aveva del tutto omesso di motivare in relazione alla condotta concorrente del Consigliere Regionale (OMISSIS) con i tre capi-gruppo succedutisi nella Presidenza del Gruppo Consiliare, non potendosi ritenere l'attivita' concorrente integrata nella richiesta di rimborsi aventi ad oggetto attivita' regolarmente realizzate dal consigliere regionale, ove anche ritenuti non dovuti. Il medesimo (OMISSIS), con altro ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS) formula i seguenti motivi. Con il primo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988 nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione desumibile in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi al Nucleo Polizia Tributaria (OMISSIS)- Gruppo Tutela Spesa Pubblica; esame reso innanzi al G.U.P. in data 12/06/2016 e relazione della Dott.ssa (OMISSIS) Direzione Generale Assemblea Reg. (OMISSIS) depositata con memoria ex articolo 415-bis c.p.p. Osserva che, in disparte la considerazione che la Corte di appello aveva affermato la responsabilita' dell'imputato per l'illecito rimborso di Euro 400,00 per spese per "convegni/convegnistiche" sebbene nella parte ricostruttiva si elencavano "per convegni" solamente Euro 350,00 - dato questo sintomatico della illogicita' del ragionamento - i giudici di appello, dopo avere rilevato il rimborso di Euro 350,00 per spese convegnistiche, constatando che almeno 150,00 Euro di quelle spese erano lecite e giustificate, aveva condannato, del tutto illogicamente, l'imputato per essersi fatto rimborsare Euro 400,00 di spese per convegni. Evidenzia, ancora, che quanto alle spese di Euro 200,00 per la cena con otto commensali al Ristorante "(OMISSIS)", estranee alla suindicata tipologia, a parte la mancanza di coordinamento rispetto alla condanna ritenuta in dispositivo, il dato relativo alla mancanza di documentazione coeva non appariva decisivo, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito, alla luce dei principi fissati alla giurisprudenza di legittimita' in tema di irrilevanza della semplice carenza documentale. Rileva che la sentenza della Corte di appello, in relazione alla ritenuta carenza di documentazione giustificativa coeva, da un lato si poneva in contrasto con il dictum della Cassazione e, per altro verso, appariva il frutto di un errore percettivo in quanto i giudici non avevano tenuto conto di quanto dichiarato dall'imputato in sede di indagini. In ordine alla spesa di Euro 200,00 per il convegno organizzato dalla Fondazione (OMISSIS) con oggetto "Oltre l'ideologia della crisi- lo sviluppo, l'etica ed il mercato nell'enciclica (OMISSIS) con conclusioni del Ministro del Lavoro Sacconi, rileva che la Corte di appello nel affermarne la "non inerenza" aveva violato i principi affermati dalla Suprema Corte in sede di annullamento, non considerando che tale partecipazione costituiva espressione di una scelta politica e che l'evento corrispondeva appieno a quelli che sono gli obiettivi ed i compiti del gruppo consiliare e del singolo consigliere. Con il secondo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34 del 1988, violazione dell'articolo 314 c.p. nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi alla Procuratore Generale della Corte dei Conti in data 15/10/2015; provvedimento di archiviazione del Procuratore Generale della Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale per le (OMISSIS) in data 12/06/2016 e documenti depositati unitamente alla memoria ex articolo 415-bis c.p.p. Deduce che la Corte di appello non aveva considerato che quanto alle "spese postali" ne era previsto il rimborso ai sensi dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34 del 1988, spese in relazione alle quali il Procuratore Generale della Corte dei Conti aveva disposto l'archiviazione e che del tutto erronee erano le conclusioni cui erano pervenuti i giudici in ragione di una asserita insufficienza documentale. Osserva che, nella specie, le spese postali riguardavano gli auguri natalizi inviati dal (OMISSIS) nell'ambito dell'attivita' istituzionale espletata e che il foglio notizie allegato - stampato senza ricorrere a fondi istituzionali - aveva il solo scopo di informare gli elettori della attivita' istituzionale posta in essere dal gruppo, e che i giudici appello aveva omesso di prendere in esame le dichiarazioni rese dall'imputato il quale aveva chiarito la insussistenza di qualunque fine propagandistico. Con il terzo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione degli articoli 516 e 522 c.p.p. nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione. Assume che la condanna dell'imputato era stata basata su una asserita carenza documentale per tutti i capi, non tenendo conto che lo stesso era stato archiviato in sede contabile e che aveva riguardato, nella sostanza, fatti del tutto diversi sostenendosi la non inerenza di spese che, per contro, non apparivano per nulla eccentriche rispetto a quelle ammesse dalla legge regionale. Con il quarto motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. inoltre, vizio di motivazione in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi al Nucleo Polizia Tributaria (OMISSIS)- (OMISSIS); esame reso innanzi al G.U.P. in data 12/06/2016 nonche' spontanee dichiarazioni rese dall'imputato innanzi alla Corte nel precedente grado di appello. Rileva che, in ragione della riforma della pronunzia assolutoria alla luce di quanto in precedenza dichiarato dall'imputato, la corte di appello, al fine di accertare la responsabilita' oltre ogni ragionevole dubbio avrebbe dovuto procedere d' ufficio alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con l'audizione dell'imputato. Con il quinto motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988, violazione dell'articolo 314 c.p. nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione. Osserva che dal momento che la giustizia contabile aveva escluso anche profili di colpa dell'imputato la Corte di appello avrebbe dovuto motivare in relazione all'elemento psicologico del reato, profilo in relazione al quale la motivazione era assai carente. Con il sesto motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p. violazione degli articoli 314 e 640 c.p. nonche' vizio di motivazione in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi al Nucleo Polizia Tributaria (OMISSIS)- (OMISSIS); esame reso innanzi al G.U.P. in data 12/06/2016. Osserva che la Corte di appello non aveva considerato che dalle complessive risultanze istruttorie era emerso che il (OMISSIS) non aveva la disponibilita' di somme sicche', in ipotesi, si era in presenza del reato di truffa. L'Avv. (OMISSIS) ha depositato in data 18 gennaio 2023 nell'interesse dell'imputato memoria, contenente motivi nuovi, con la quale ha precisato che all'esito del giudizio dibattimentale instaurato nell'ambito del medesimo procedimento nei confronti di alcuni imputati che non avevano optato per il rito abbreviato, la Corte d'appello di (OMISSIS), con sentenza del 23 maggio 2022, divenuta irrevocabile il 16 ottobre 2022 stante l'omessa impugnazione da parte del Procuratore generale, aveva assolto gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) (oltre a (OMISSIS)) dall'accusa di peculato contestata agli stessi in qualita' di "Presidenti pro-tempore del Gruppo Consiliare (OMISSIS)", gruppo di cui (OMISSIS) era consigliere. Ha precisato che agli stessi era contestato di essersi appropriati indebitamente di importi assegnati al gruppo e nella loro disponibilita' "a titolo di rimborso delle spese sostenute per ristorazioni, valori bollati, omaggi, telefonia, affitti, stampe, manifesti e servizi televisivi" (in parte riferibili agli imputati personalmente, in parte "genericamente al gruppo"), addebiti fondati sul rilievo per cui "le spese non erano fornite di documentazione idonea a giustificare il costo e la sua riconducibilita' ad attivita' funzionali al Gruppo", rilevando che dalle motivazioni della sentenza della Corte d'Appello di Ancona si aveva riscontro della piena sovrapponibilita' - rispetto al presente giudizio di legittimita' - delle categorie di spesa esaminate (spese per ristorazione, spese postali e spese di rappresentanza), vuoi delle modalita' di documentazione (documentazione contabile coeva alla spesa) vuoi degli indici presuntivi dell'addebito (l'asserita mancanza di idonea giustificazione successiva delle spese da parte degli imputati). Ha, ancora, rilevato che (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita' di Capigruppo del Gruppo consiliare di (OMISSIS) ((OMISSIS)), erano stati irrevocabilmente assolti, quindi, da due contestazioni coincidenti con quelle per le quali l'odierno ricorrente, (OMISSIS), era stato condannato in concorso proprio con i predetti capigruppo. Ha ribadito che, come rilevato nell'atto di ricorso, la decisione impugnata aveva omesso di esaminare il profilo relativo al contributo concorsuale di (OMISSIS) rispetto alla disposizione dei rimborsi operata da quegli stessi Capigruppo, definitivamente ritenuti estranei ad ogni ipotesi appropriativa e che allo stato la conferma della sentenza di appello avrebbe implicato l'accertamento di un dolo di concorso rispetto alla condotta dei capogruppo, la cui illiceita' e' stata definitivamente esclusa nel collegato processo penale. Ha, ancora, osservato che la sentenza della Corte d'appello di (OMISSIS), che aveva assolto i Presidenti del Gruppo consiliare al quale apparteneva l'odierno ricorrente, (OMISSIS), rileva nel presente giudizio di legittimita' anche con riferimento alla definizione del perimetro di legalita' delle spese dei gruppi regionali, fondato specificamente sull'interpretazione della legge regionale vigente al momento dei fatti (I. r. 34/1998), ribadendo come una corretta ermeneusi della disciplina della Regione (OMISSIS) riferita all'epoca dei fatti faceva riferimento a quel parametro indicato dalla Corte in sede di annullamento per sindacare la legittimita' delle spese (sono illegittime le spese "del tutto scisse" dalle iniziative del Gruppo consiliare), radicalmente disatteso dal giudice del rinvio, come gia' dedotto in ricorso. 4.2. (OMISSIS) formula i seguenti motivi. Con il primo motivo, articolato in piu' censure, in relazione alla condanna relativa alle spese telefoniche ed all'acquisto di messagistica (OMISSIS), denuncia, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), omissione della motivazione rafforzata a seguito della riforma della sentenza di primo grado nonche' omessa disamina della memoria difensiva ed omessa valutazione del dolo del reato contestato; violazione dell'articolo 627 comma 3 c.p.p.; violazione del combinato disposto dell'articolo 314 c.p. in relazione all'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988; violazione del diritto di difesa per mancata audizione del teste (OMISSIS). Assume che la corte di appello, nel riformare la pronunzia assolutoria di primo grado, non si era adeguatamente confrontata con la ricostruzione del giudice di primo grado il quale, nel pronunziare l'assoluzione sul punto, aveva affermato che trattavasi di "invii evidentemente finalizzati ad informare la popolazione su attivita' politico istituzionali in corso" da ritenere ammissibili in forza della normativa regionale laddove la corte di appello, del tutto apoditticamente, aveva concluso nel senso che si trattava di attivita' totalmente avulsa da quella istituzionale. Rileva che la motivazione, in proposito, era gravemente carente in quanto i giudici di merito avrebbero dovuto valutare il contenuto dei singoli messaggi per verificare se avessero un mero fine di propaganda elettorale, come ritenuto e che nel pervenire alle proprie conclusioni i giudici del rinvio non si erano conformati ai principi di diritto fissati dalla Suprema Corte quanto alla verifica della legittimita' delle spese in questione non chiarendo per quale ragione le stesse dovevano essere ritenute "scisse" dall'attivita' consiliare e riguardanti mera attivita' propagandistica del consigliere. Deduce, ancora, che la Corte di merito aveva omesso di considerare che le spese per la messagistica (OMISSIS) alla luce del disposto di cui all'articolo 34 L.Reg. 34/1998 erano da ritenere legittime. Assume, altresi', che in ragione della riforma della sentenza assolutoria in primo grado si rendeva necessaria ex articolo articolo 603 comma 3-bis c.p.p. la rinnovazione dell'audizione del teste (OMISSIS) sentito in sede di indagini difensive ed il cui verbale di audizione era stato allegato alla memoria in data 4 marzo 2015, teste il quale aveva reso delle dichiarazioni decisive in relazione alla finalizzazione dei messaggi in questione. Con il secondo motivo articolato in piu' censure, in relazione alla condanna relativa alle spese per la spedizione dei periodici "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" denuncia, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), omissione della motivazione rafforzata a seguito della riforma della sentenza di primo grado nonche' omessa disamina della memoria difensiva ed omessa valutazione del dolo del reato contestato; violazione dell'articolo 627 comma 3 c.p.p.; violazione del combinato disposto dell'articolo 314 c.p. in relazione all'articolo 1-bis Legge Regionale Marche n. 34 del 1988. Assume che la corte di appello, nel riformare la pronunzia assolutoria di primo grado, non si era adeguatamente confrontata con la ricostruzione del giudice di primo grado il quale, nel pronunziare, l'assoluzione sul punto aveva affermato che trattavasi di spese lecite "aventi ad oggetto tematiche strettamente connesse a questioni di interesse regionale ed all'attivita' consiliare e del suo Presidente " da ritenere legittime in forza della normativa regionale ex articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988, laddove la corte di appello, del tutto apoditticamente, aveva concluso nel senso che si trattava di attivita' totalmente avulsa da quella istituzionale. Rileva che la motivazione, in proposito, era gravemente carente in quanto i giudici di merito avrebbero dovuto valutare l'autonomia della scelta del politico di veicolare nel modo ritenuto opportuno le prospettive e le attivita' del gruppo, come ritenuto dal primo giudice, omettendo di considerare che, nel caso in esame, trattavasi di gruppo unipersonale composto dal solo (OMISSIS) e che, peraltro, non potevano immaginarsi mere finalita' propagandistiche in quanto i fatti risalivano agli anni 2008-2009 mentre le elezioni regionali si sarebbero svolte nel 2010. Osserva, ancora, che la corte di merito non aveva adeguatamente motivato sul punto, non aveva rispettato i dicta della Suprema Corte in sede di annullamento ed aveva omesso di considerare che le spese in questione, riguardanti le riviste "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)", erano da ritenere legittime alla luce del disposto di cui all'articolo 1 bis- L.Reg. 34 del 1998. Assume che risultando evidente che dette spese erano legittime e che mancava una condotta distrattiva doveva essere pronunzia sentenza di proscioglimento nel merito in luogo della dichiarata prescrizione per i fatti del 2008. Con il terzo motivo articolato, in piu' censure, in relazione alla condanna relativa alle spese di ristorazione denuncia, ex articolo 606, comma 1, lettera b) c) ed e), c.p.p., violazione dell'articolo 546 comma 3 c.p.p. in relazione all'articolo 81 c.p., violazione dell'articolo 627 comma 3 c.p.p. nonche' vizio di motivazione. Evidenzia che la sentenza doveva essere ritenuta viziata sul punto in quanto nella parte dispositiva si faceva riferimento alla condanna per le spese di ristorazione di cui alla parte motiva in relazione ai capi 72), 73), 74), 75) e 76) ma in seno a tali capi difettava una esatta indicazione dei singoli fatti contestati. Osserva che la corte di appello da un lato non aveva fatto corretta applicazione dei principi di diritto fissati dalla Suprema Corte in sede di annullamento e, per altro verso, aveva finito per operare una invasione di campo laddove aveva ritenuto che all'imputato era precluso la possibilita' di svolgere la propria attivita' istituzionale con lo strumento ritenuto piu' idoneo. Con il quarto motivo denuncia, ex articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p., nullita' della sentenza in ragione della mancata rinnovazione della prova dichiarativa in violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. Assume che, pure valutati i principi fissati dalla Corte EDU, nel caso in esame risultava palese la violazione dei diritti difensivi non essendosi proceduto alla rinnovazione dell'audizione dell'imputato il quale nel corso dell'interrogatorio aveva chiarito che tutte le spese erano finalizzate a fare conoscere l'attivita' del gruppo. Con il quinto motivo deduce, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione degli articoli 81 nonche' vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. Assume che la corte non aveva in alcun modo motivato in relazione ai singoli aumenti di pena in continuazione. Con il sesto motivo deduce, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 130 c.p.p. in combinato disposto con l'articolo 546 comma 3 c.p.p. e dell'articolo 81 c.p. Assume che in ragione dell'esatto ammontare dei profitti non era possibile procedere alla confisca nella forma di correzione di un errore materiale. Gli avv. ti (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori del sig. (OMISSIS), hanno depositato in data 19 gennaio 2023 memoria contenente motivi nuovi con cui hanno ribadito che la sentenza impugnata aveva male individuato il perimetro delle spese legittimamente realizzate dai Presidenti dei Gruppi consiliari alla luce della legge regionale in vigore al tempo nella Regione (OMISSIS) (I. r. 34 del 1998). Hanno rilevato che la patologia che aveva inficiato l'iter valutativo di cui in motivazione della sentenza impugnata appariva ancor piu' evidente sulla scorta dal parallelo giudizio intervenuto nei confronti di alcuni degli altri Presidenti di Gruppi consiliari istituiti in seno all'Assemblea regionale marchigiana definito con sentenza irrevocabile. Hanno assunto che i rilievi contenuti - per la piena omogeneita' del contesto (normativo), della tipologia di spese (spese per ristorazione, spese postali, spese di rappresentanza) e delle contestazioni mosse (mancanza di adeguata giustificazione "successiva") - sgombravano il campo da ogni dubbio in ordine alla legittimita' dei rimborsi ottenuti dal Presidente del Gruppo (OMISSIS), risultando evidente la manifesta illogicita' della motivazione della sentenza gravata e il mancato adeguamento della stessa ai principi di diritto stabiliti dalla sentenza di annullamento con riferimento ai tre insiemi di spese per i quali era intervenuta la condanna dell'imputato e in relazione ai quali erano stati partitamente esposte le doglianze nell'atto di ricorso: le spese di telefonia e concernenti il servizio di messaggistica (OMISSIS) (doglianze raccolte nel motivo n. 1); le spese relative alla spedizione dei periodici "(OMISSIS)" e (OMISSIS)" (doglianze di cui al motivo n. 2); le spese di ristorazione (doglianze di cui al motivo n. 3). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi meritano accoglimento per le ragioni appresso specificate. 2. Appare opportuno un preliminare richiamo ai principi fissati dalla Suprema Corte nella pronunzia di annullamento, indispensabile al fine di valutare la fondatezza delle censure formulate. 2.1. Relativamente alla prima questione, avente ad oggetto la natura giuridica dei gruppi Consigliari ed il vincolo di destinazione delle somme erogate, nel precisare che trattavasi di un argomento rilevante ai fini della corretta definizione delle finalita' in ragione delle quali sarebbe stato possibile fare uso delle somme messe a disposizione dei gruppi consigliari regionali da parte del Consiglio della Regione (OMISSIS), la Corte di Cassazione ha richiamato, in primo luogo, la sentenza n. 1130 del 1988 della Corte Costituzionale in cui e' stato affermato che " dal momento che i gruppi sono gli organi nei quali si raccolgono e si organizzano all'interno dell'assemblea i consiglieri eletti al fine di elaborare congiuntamente le iniziative da intraprendere e di trovare in essi gli adeguati supporti organizzativi per poter svolgere adeguatamente i propri compiti, non e' arbitrario che i gruppi consiliari vengano dotati di mezzi adeguati e di personale idoneo, affinche' ogni consigliere sia messo in grado di concorrere all'espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale e, in particolare, all'elaborazione dei progetti di legge, alla preparazione degli atti di indirizzo e di controllo, all'acquisizione di informazioni sull'attuazione delle leggi e sui problemi emergenti dalla societa', alla stesura di studi, di statistiche e di documentazioni relative alle materie sulle quali si svolgono le attivita' istituzionali del Consiglio regionale". Ha evidenziato che la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 187 del 1990, aveva avuto modo di precisare che "i gruppi consiliari sono organi del Consiglio regionale, caratterizzati da una peculiare autonomia in quanto espressione, nell'ambito del Consiglio stesso, dei partiti o delle correnti politiche che hanno presentato liste di candidati al corpo elettorale, ottenendone i suffragi necessari alla elezione dei consiglieri. Essi, pertanto, contribuiscono in modo determinante al funzionamento e all'attivita' dell'assemblea, curando l'elaborazione di proposte, il confronto dialettico fra le diverse posizioni politiche e programmatiche, realizzando in una parola quel pluralismo che costituisce uno dei requisiti essenziali della vita democratica". Dunque, i gruppi consigliari sono organi del Consiglio regionale al cui interno esprimono i partiti o le correnti che hanno presentato liste di candidati. I gruppi contribuiscono al funzionamento dell'attivita' assemblare ed ogni consigliere deve essere messo in condizione di concorrere, nel modo indicato, all'espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale; un'attivita', quella dei gruppi consigliari, funzionale a quella del Consiglio regionale. Ha, quindi, ulteriormente precisato: " Si tratta di affermazioni riprese in seguito dalla stessa Corte costituzionale che, con la sentenza n. 39 del 2014, richiamando una precedente pronuncia delle Sezioni Unite civili di questa Corte (Sez. U, n. 609 del 01/09/1999, Rv. 529547), ha chiarito e valorizzato ulteriormente la connotazione pubblicistica delle funzioni svolte dai gruppi 5 costituiti in seno ai consigli regionali, definendoli non solo come organi del consiglio e proiezioni dei partiti politici in assemblea regionale, ma anche "come uffici comunque necessari e strumentali alla formazione degli organi interni del consiglio", in quanto funzionalmente inerenti all'istituzione regionale. Nello stesso senso Corte Cost. n. 107 del 2015, in cui si e' aggiunto significativamente che i gruppi consiliari contribuiscono in modo determinante al funzionamento ed all'attivita' dell'assemblea regionale, assicurando "l'elaborazione di proposte, il confronto dialettico fra le diverse posizioni politiche e programmatiche, realizzando in una parola quel pluralismo che costituisce uno dei requisiti essenziali della vita democratica". Si tratta di principi recepiti dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 8145 del 2010, ha concorso a delineare ulteriormente la connessione tra gruppi consigliari e partiti politici. Secondo il giudice amministrativo infatti: "(...) in via generale il gruppo consiliare non e' un'appendice del partito politico di cui e' esponenziale, ma ha una specifica configurazione istituzionale come articolazione del consiglio regionale, i cui componenti esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato dai partiti e dagli elettori (...)". Il Gruppo consigliare non e' un'appendice del partito politico a cui appartiene il singolo consigliere. Non diversamente, le Sezioni Unite civili sono giunte alle stesse conclusioni con l'ordinanza 31 ottobre 2014, n. 23257 (cui hanno fatto seguito le ordinanze 21 aprile 2015, n. 8077, 28 aprile 2015, n. 8570, e 29 aprile 2015, n. 8622) con riguardo alla gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali ed alla ritenuta giurisdizione della Corte dei conti in ordine alla responsabilita' erariale del componente del gruppo, autore di "spese di rappresentanza" prive di giustificativi. Si e' affermato che: a) i gruppi consiliari hanno "natura pubblicistica" "in rapporto all'attivita' che li attrae nell'orbita della funzione istituzionale del soggetto giuridico, assemblea... regionale, nel cui ambito sono destinati ad operare"; b) i contributi pubblici sono erogati ai gruppi consiliari "con gli specifici vincoli ad essi impressi dalla legge": vincoli "dettagliatamente predefiniti... con esplicito esclusivo asservimento a finalita' istituzionali del consiglio regionale e non a quelle delle associazioni partitiche o, tanto meno, alle esigenze personali di ciascun componente"; c) tenuto conto della qualifica di pubblico ufficiale, ai sensi dell'articolo 357 c.p., comma 1, che la giurisprudenza penale della Corte attribuisce al presidente del gruppo partitico del consiglio regionale, questi, nel suo ruolo, partecipa alle modalita' progettuali ed attuative della funzione legislativa regionale, nonche' alla procedura di controllo del vincolo di destinazione dei contributi erogati al gruppo". (in tal senso, Sez. 6, n. 1561 del 14/01/2019, Fiorito, Rv. 274940). In questo contesto assume rilevante valenza Sez. U. civ. n. 12 marzo 2019, n. 10772 in cui la Corte, richiamando le proprie precedenti pronunce (Sez. U, 31 ottobre 2014, n. 23257; Sez. U, 21 aprile 2015, n. 8077; Sez. U, 28 aprile 2015, n. 8570; Sez. U, 29 6 aprile 2015, n. 8622; Sez. U, 8 aprile 2016, n. 6895; Sez. U, 7 settembre 2018, n. 21927; Sez. U., 17 dicembre 2018, n. 32618; Sez. U, 16 gennaio 2019, n. 1035 e 1034, quest'ultima con riferimento alla Regione Emilia Romagna) ha ulteriormente chiarito che "la gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali e' soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilita' erariale, sia perche' a tali gruppi - pur in presenza di elementi di natura privatistica connessi alla loro matrice partitica - va riconosciuta natura essenzialmente pubblicistica in relazione alla funzione strumentale al funzionamento dell'organo assembleare da essi svolta, sia in ragione dell'origine pubblica delle risorse e della definizione legale del loro scopo". Nell'occasione, le Sezioni unite, richiamando Corte Cost. n. 235 del 2015, hanno ulteriormente precisato che: a) in ordine alla gestione delle somme erogate a titolo di contributi pubblici ai gruppi consiliari, i capigruppo dei Consigli regionali e tutti i consiglieri regionali, anche se sottratti alla giurisdizione di conto, restano assoggettati alla responsabilita' amministrativa e contabile (oltre che penale, ricorrendone i presupposti); b) l'accertamento rimesso in tale ambito alla Corte dei conti, affinche' non debordi dai limiti esterni imposti alla sua giurisdizione, non puo' investire l'attivita' politica del presidente del gruppo consiliare o le scelte di "merito" dal medesimo effettuate nell'esercizio del mandato, ma deve mantenersi nell'alveo di un giudizio di conformita' alla legge dell'azione amministrativa (articolo 1 della L. n. 20 del 1994), come ribadito anche dalla Corte costituzionale (n. 235 e 107 del 2015) e che la riconducibilita' delle spese sostenute dai singoli consiglieri a determinate categorie di spesa, pur astrattamente previste, non vale, di per se', a fare escludere necessariamente la possibilita' che le singole spese siano "non inerenti" all'attivita' del gruppo, nei casi in cui non sia rispettato il parametro di ragionevolezza, soprattutto con riferimento alla entita' o proporzionalita', oltre che all'effettivita' delle spese, anche sotto il profilo della veridicita' della relativa documentazione; c) in siffatto alveo rimane la verifica, rimessa alla Corte dei conti, della "manifesta difformita'", in cio' consistendo propriamente il giudizio di non "inerenza" delle attivita' di gestione del contributo erogato ai gruppi consiliari rispetto alle finalita', di preminente interesse pubblico, che allo stesso imprime la normativa vigente, in termini di congruita' e di collegamento teologico delle singole voci di spesa ammesse al rimborso alle finalita' pubblicistiche dei gruppi. Dunque: 1) un collegamento teleologico tra spese e finalita' di preminente interesse pubblico da verificare in termini di congruita'; 2) una verifica che non attiene al merito delle scelte ovvero all'attivita' politica, ma alla conformita' alla legge dell'azione amministrativa, in cui l'astratta riconducibilita' delle spese a determinate categorie, pur teoricamente previste, non esclude che le stesse siano non inerenti rispetto all'attivita' dei gruppo, come definita dalla Corte costituzionale; 3) una verifica che si realizza anche attraverso il parametro di ragionevolezza, in relazione all'entita', alla proporzionalita', alla effettivita' delle spese, alla veridicita' della relativa documentazione e che puo' condurre 7 alla manifesta difformita' della spesa rispetto al perseguimento delle finalita' sottese al funzionamento del Gruppi consigliari. Un denaro, quello attribuito ai gruppi consigliari regionali, pubblico, gestito da pubblici ufficiali, funzionalmente vincolato nel senso indicato; il gruppo consigliare non e' un'appendice del partito politico a cui appartiene il singolo consigliere. Non e' in discussione il principio secondo cui, a seguito delle modifiche apportate alla norma incriminatrice di cui all'articolo 314 co. pen., con la L. n. 86 del 1990, l'origine o - se si preferisce-la natura pubblica o privata del denaro altrui e/o delle altre cose mobili altrui, che costituiscono l'oggetto materiale del peculato, e' un dato irrilevante ai fini del perfezionamento del reato, che e' integrato dal fatto appropriativo di denaro o cosa mobile "altrui" di pertinenza di qualunque soggetto giuridico, pubblico o privato, individuale o collettivo, e non piu' dal denaro o dalla cosa mobile "appartenente alla p.a." secondo la previgente disciplina normativa. Il tema, decisivo rispetto ai fatti oggetto del processo, attiene invece al se ed in che limiti l'attivita' del singolo consigliere componente di un gruppo consiliare, esterna rispetto alla diretta partecipazione ai lavori dell'assemblea dell'ente pubblico territoriale, debba essere scandita da nessi di collegamento funzionale con la vita e le esigenze del gruppo, nel senso indicato dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza richiamata. La questione e' quella di definire la portata del vincolo di destinazione impresso ai contributi erogati dall'ente al gruppo consiliare e, quindi, i limiti entro cui di quei contributi e' possibile fare uso legittimo da parte del singolo consigliere. Limiti in relazione ai quali divenga possibile tracciare, con criteri compatibili con il principio di determinatezza delle condotte pena/mente rilevanti, la pertinenzialita' dell'avvenuto impiego (spendita) da parte del gruppo (e per esso del suo presidente e dei singoli consiglieri) dei contributi gli scopi e obiettivi che di essi contributi costituiscono causa. Sulla base della ricostruzione normativa compiuta e dei principi richiamati, discende in negativo che: a) non possono essere imputate al fondo per il funzionamento dei Gruppi consigliari le spese connesse all'attivita' politica dei partiti, di cui i consiglieri sono espressione, che non siano espressione e connesse ad iniziative del gruppo, volte, cioe', al funzionamento del gruppo; b) non possono essere imputate al fondo le spese che i singoli consiglieri sostengono per la loro personale attivita' politica, spese volte alla "cura" del proprio consenso politico, delle relazioni personali sul territorio con esponenti della societa' civile, con l'informazione, con gli elettori; rapporti finalizzati alla conservazione o all'incremento del consenso politico soggettivo, della visibilita' personale del consigliere, ma del tutto scissi da iniziative e dalle funzioni del gruppo consigliare, nel senso indicato; 8 c) non possono essere imputate al fondo le spese che i consiglieri hanno in ragione dei rapporti personali tra essi, ovvero per l'organizzazione di iniziative politiche che non trovino nel gruppo consigliare la fonte di riferimento e di legittimazione; d) non possono chiaramente essere imputate le spese connesse alle esigenze private del consigliere. Affermare che anche il singolo consigliere possa dare attuazione alle attivita' del gruppo non consente di ritenere che le spese derivanti da ogni atto o comportamento del consigliere possano essere imputate al fondo solo in ragione del rapporto con lo status di consigliere; affermare che le iniziative del gruppo consigliare possano essere attuate anche attraverso il singolo consigliere non consente di ritenere che ogni condotta, ogni comportamento, ogni partecipazione del singolo consigliere ad un evento, anche pubblico, sia espressione dell'iniziativa del gruppo consigliare e che quindi ogni spesa- in quanto di per se' legata all'attivita' del singolo consigliere- sia imputabile al Fondo per il funzionamento. Sul tema si evoca spesso un precedente giurisprudenziale di questa Sezione (Sez. 6, n. 33069 del 12/5/2003, Tretter, Rv. 226531), secondo cui l'attivita' di un gruppo consiliare, estranea alla diretta partecipazione ai lavori dell'assemblea dell'ente pubblico territoriale, sarebbe sempre scandita da nessi di collegamento funzionale con la vita e le esigenze del gruppo, inteso come proiezione del partito politico dei cui progetti e interessi e' portatore". Nell'osservare che con la sentenza impugnata la Corte di merito aveva affermato il principio secondo cui " non risponde del delitto di peculato il presidente di un gruppo consiliare provinciale che si appropri di contributi ottenuti dalla provincia per l'esplicazione dei compiti del proprio gruppo, impiegandoli per sostenere spese di propaganda politica o di rappresentanza (nella specie, per l'acquisto di materiale propagandistico e di oggetto-regalo di modesto valore per gli elettori, per pranzi e rinfreschi in occasione di incontri pre-elettorali), trattandosi di attivita', benche' non istituzionali, comunque legate da nesso funzionale con la vita e le esigenze del gruppo" ha evidenziato la necessita' di una rivisitazione di dette considerazioni in ragione dei principi generali evidenziati. 2.2. In ordine al concetto di spese rimborsabili ed al tema delle spese "c.d. di rappresentanza e di quelle di ristorazione" la Corte di Cassazione ha precisato che il legislatore ha individuato le singole categorie di spesa di rappresentanza ed e' stata la giurisprudenza, soprattutto contabile, a specificare una serie di criteri e principi necessari per delimitarne l'ammissibilita' e la liceita', precisando che vi sono cioe' degli elementi sostanziali e formali che consentono di delimitare la nozione di spesa di rappresentanza e chiarendo che: " La spesa deve essere strettamente correlata con le finalita' istituzionali dell'ente; pertanto, "le spese di rappresentanza possono essere ritenute lecite, solo se sono rigorosamente giustificate e documentate, con l'esposizione, caso per caso, dell'interesse istituzionale perseguito, della dimostrazione del rapporto tra l'attivita' dell'ente e la spesa, della qualificazione del soggetto destinatario e dell'occasione della spesa" (cfr., Corte dei conti, Sez. 2, 20 marzo 2007, n. 64). La spesa deve avere inoltre uno scopo anche promozionale per l'ente; essa deve essere effettuata per l'immagine o per l'attivita' dell'ente: "Le attivita' di rappresentanza, in altri termini, garantiscono una proiezione esterna dell'amministrazione verso la collettivita' amministrata e sono finalizzate ad apportare vantaggi che l'ente trae dall'essere conosciuto"(cfr. Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, 30 luglio 2012, n. 356) Se, quindi, la spesa viene effettuata a fini promozionali di un singolo, per quanto rappresentativo dell'ente (es. il sindaco), la stessa non e' ammissibile e non puo' essere considerata quale spesa di rappresentanza appena delineata (cosi', testualmente, Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione 5 novembre 2012, n. 466). Inoltre, si sottolinea, la spesa deve rispondere a criteri di ragionevolezza, sobrieta', sia con riguardo all'evento eventualmente realizzato, sia con riferimento ai valori di mercato. (cfr., fra gli altri, Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per l'Abruzzo, sentenza 30 ottobre 2008, n. 394). Ancora, secondo la Corte dei conti, affinche' possano essere considerate legittime le spese di rappresentanza, esse devono avere i caratteri dell'ufficialita' e dell'eccezionalita'. Nel primo senso, devono, quindi, finanziare "manifestazioni della pubblica amministrazione idonee ad attrarre l'attenzione di ambienti qualificati o dei cittadini amministrati al fine di ricavare i vantaggi correlati alla conoscenza dell'attivita' amministrativa. L'attivita' di rappresentanza ricorre in ogni manifestazione ufficiale attraverso gli organi muniti, per legge o per statuto, del potere di spendita del nome della pubblica amministrazione di riferimento" (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione 5 novembre 2012, n. 466, citata.) Ovviamente, come ripetuto sovente dalla giurisprudenza, la spesa non puo' essere rivolta nei confronti di politici o di dipendenti interni all'ente, ma dev'essere rivolta all'esterno (cfr., fra le altre, Corte dei conti, sezione giurisdizionale per l'Umbria, sentenza 30 marzo 2000, n. 160). Si aggiunge che, alla luce dei principi di trasparenza e del generale obbligo di motivazione, e' necessario fornire una rigorosa giustificazione del fine istituzionale perseguito e del rapporto tra l'attivita' dell'ente e la spesa; le spese devono essere rendicontate analiticamente, evidenziandone, in modo documentale, la natura, le circostanze che hanno generato la spesa, i modi e i tempi di tali erogazioni (Cfr. Corte 10 dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, sentenza 5 luglio 2013, n. 246). Una nozione di spesa di rappresentanza rigorosa ma coerente con i principi generali in precedenza indicati; una nozione di spesa conforme alla consolidata definizione che di essa fornisce anche la Corte di cassazione secondo cui per "spese di rappresentanza" devono intendersi solo quelle destinate a soddisfare la funzione rappresentativa esterna dell'ente pubblico al fine di accrescere il prestigio dell'immagine dello stesso e darvi lustro nel contesto sociale in cui si colloca (fra le tante, Sez. 6, n. 36827 del 04/07/2018, M, Rv. 274023; Sez. 6, n. 16529 del 23/02/2017, Ardigo', Rv. 270794; Sez. 6, n. 10135 Raimondi, Rv, 254763). Si tratta di principi che certo non possono essere derogati per i gruppi consigliari regionali, atteso che: a) questi non sono "altro" o "cosa diversa" rispetto all'ente Regione; b) i gruppi consigliari gestiscono denaro pubblico della stessa Regione; c) le somme erogate per il fondo per il funzionamento dei gruppi fanno parte del bilancio della Regione; d) le somme erogate devono essere utilizzate per le finalita' di cui si e' detto; e) rispetto a quelle somme vi era un intrinseco dovere di giustificazione e di controllo. Il tema non e' quello del se l'iniziativa e l'attivita' del gruppo possa essere attuata dal singolo consigliere, quanto, piuttosto, come gia' detto, del se esista una "iniziativa" del gruppo in ragione della quale il singolo consigliere regionale opera. Le somme erogate per il funzionamento dei Gruppi consigliari non costituiscono una sorta di "zona franca", di elargizione liberale di denaro da parte della Regione che i singoli consiglieri possono "modellare" e "piegare" liberamente in ragione del senso politico personale, del loro status, come se fossero state somme di cui si possa disporre per creare o gestire il consenso politico del singolo o per tessere relazioni personali in prospettiva di convenienze e di utilita' della propria carriera politica, all'interno o all'esterno del partito di appartenenza. Dunque, ad esempio, non sono spese di rappresentanza e non sono spese di ristorazione rimborsabili quelle prive di uno specifico collegamento con il gruppo, quelle cioe' non imputabili al gruppo nel senso indicato, quelle aventi ad oggetto donativi del singolo consigliere in occasione di feste o ricorrenze, quelle giustificate in ragione dell'attivita' politica e della visibilita' della sola persona; non sono spese di rappresentanza quelle relative ad incontri con colleghi interni all'ente di appartenenza; non sono spese di rappresentanza quelle sostenute in occasione di incontri con avventori casuali, quelle sostenute per cene o pasti con i propri collaboratori, quelle sostenute in occasioni di incontri con politici, ma pur sempre sganciate da funzioni di visibilita' del gruppo consigliare. Non sono spese di rappresentanza, cioe', tutte quelle estranee alla rappresentanza del gruppo, all'accrescimento della sua capacita' operativa all'interno del Consiglio, e connesse solo alla proiezione esterna ed alle esigenze di visibilita' del consigliere o del partito di appartenenza". Ha, infine, chiarito che: "le considerazioni esposte assumono rilievo anche per le altre categorie di spese, nel senso che, pur volendo prescindere dal tema del se all'epoca in cui i fatti sarebbero stati commessi, fosse o meno previsto un trattamento economico onnicomprensivo anche per quel che concerne le spese rimborsabili, il tema che deve essere verificato e' se le "ulteriori" spese, anche diverse da quelle espressamente disciplinate, siano sostenute per il funzionamento del gruppo consigliare e per il perseguimento delle finalita' ad esso sottese, cosi' come indicate". 2.3. Per quanto concerne la prova della condotta appropriativa, nel rilevarevtale concetto "non coincide affatto con l'assenza di giustificazione della spesa" ha evidenziato che ai fini della prova della responsabilita' penale e della condotta di appropriazione, secondo quanto affermato costantemente dalla giurisprudenza di legittimita': " a) non puo' darsi di per se' rilievo alla mancanza di coeva giustificazione, nel senso che non puo' intendersi come intrinsecamente illecita la spesa per il solo profilo formale, salva la sua concreta verifica; b) la prova della condotta appropriativa deve essere fornita dalla Pubblica Accusa. (Sez. 6, n. 38245 del 03/07/2019, De Luca Cateno, Rv. 276712; Sez. 6, n. 35683 del 01/06/2017, Adamo, Rv. 270549). In tale contesto, si pone il tema: a) delle c.d. spese ambivalenti, cioe' di spese la cui natura strutturale non sia di per se' rivelatrice della loro incompatibilita' ontologica rispetto alle finalita' pubbliche attributive del potere di spesa; b) della impossibilita', ai fini penali, di far discendere la prova della condotta appropriativa per le c.d. spese ambivalenti da una giustificazione incerta, incompleta dubbia, non univoca (Sez. 6, n. 2166 del 09/04/2019, Marino, Rv. 276067). Si tratta di un tema che risente tuttavia di quanto gia' in precedenza detto in ordine: a) all'onere oggettivo in capo ai consiglieri di documentazione della spesa e della sua giustificazione, derivante dalla natura del denaro e dalla sua destinazione funzionale; b) alla necessita' che la spesa sia finalizzata al perseguimento degli scopi per cui le somme erano erogate al fondo di funzionamento dei gruppi consigliari; c) all'esatta individuazione delle finalita' del Fondo, di cui pure si e' detto. Il giudizio di ambivalenza, ovvero quello della strutturale incompatibilita' della spesa rispetto alle finalita' istituzionali del gruppo, e' un giudizio di relazione che viene formulato avendo come polo di riferimento la corretta individuazione, nel senso indicato, della 12 finalita' dei gruppi consigliari; la spesa e' davvero ambivalente se e' in astratto compatibile con le reali finalita' del fondo, queste ultime correttamente individuate. Quanto alle spese effettivamente ambivalenti, il tema dell'appropriazione deve senza dubbio prescindere da meccanismi presuntivi e di distribuzione dell'onere della prova; in tal senso va in parte rimodulato il principio affermato da Sez. 6, n. 23066 del 2009, Provenzano, secondo cui integra il delitto di peculato l'utilizzazione di denaro pubblico accreditato su un capitolo di bilancio intestato a "spese riservate", quando non si dia una giustificazione certa e puntuale del suo impiego per finalita' strettamente corrispondenti alle specifiche attribuzioni e competenze istituzionali del soggetto che ne dispone, tenuto conto delle norme generali della contabilita' pubblica, ovvero di quelle specificamente previste dalla legge. La questione ha una dimensione fattuale e probatoria, oltre che giuridica. La prova della finalita' illecita della spesa per cui si chiede ed ottiene il rimborso e' innanzitutto direttamente proporzionale alla "distanza", al "quantum" che intercorre tra la causa apparente della spesa rispetto alla ragione giustificativa dell'attribuzione del potere di spesa. La necessita' di approfondire sul piano probatorio la causale della spesa si pone dunque in senso progressivo rispetto alla capacita' dimostrativa della documentazione "ex ante" prodotta, cioe' al momento in cui viene chiesto il rimborso; quanto piu' sara' neutra o ambigua la documentazione originaria, tanto piu' potra' essere evidente la necessita' di approfondire ed investigare. E' possibile che le indagini colorino di significato indiziario l'originaria documentazione, ed allora, davanti a richieste di spiegazioni, puo' assumere rilievo la capacita' dimostrativa della documentazione "ex post", eventualmente prodotta nell'ambito dello sviluppo dialettico del procedimento, ovvero le giustificazioni fornite. In situazioni come quella in esame, la prova dell'appropriazione e' connessa innanzitutto alla rilevanza causale apparente della spesa, alla sua specificita' originaria, per come rappresentata al momento in cui fu richiesto il rimborso, nel senso che e' possibile che sin dall'inizio la spesa abbia una giustificazione documentale pienamente compatibile ovvero, viceversa, strutturalmente incompatibile con le finalita' giustificative del potere di spesa (es., in astratto, spesa per una festa di compleanno di un parente, per pagare stanze di albergo a soggetti terzi, o per un regalo privato) In questi ultimi casi la prova della condotta appropriativa, per certi versi, e' docu mentale. Nel caso in cui, invece, la documentazione originaria sia causalmente muta (uno scontrino relativo ad una consumazione tra due o piu' persone, o ad un acquisto da un dato negozio, una ricevuta di ristorazione) ovvero sia indicativa di una causale astrattamente compatibile con quelle giustificanti la spesa, ma tuttavia generica (es. "spese di rappresentanza" "spese di ristorazione"), il tema della prova della condotta 13) appropriativa assume una valenza indiziaria e si sposta all'interno dell'accertamento processuale. La questione si pone nei casi in cui, a fronte di una documentazione originaria muta od opaca, vi siano risultanze di indagini che colorino quella documentazione originaria di significato penalmente rilevante sotto molteplici profili; ci si puo' riferire: a) ai casi in cui venga accertato che il consigliere si trovasse in un posto diverso da quello in cui risulta emesso il documento contabile per il quale si e' chiesto il rimborso; b) ai casi in cui, nel corso dello stesso giorno, risultino emessi piu' scontrini in luoghi diversi e distanti tra loro; c) ai casi in cui risultino una quantita' di scontrini o di documenti che, per frequenza e sistematicita', riveli una finalita' non compatibile con quella istituzionale, perche' esplicita la sostanziale inesistenza di una iniziativa del gruppo; d) ai casi in cui la documentazione contabile riguardi spese avvenute in luoghi ovvero in giorni che solitamente si frequentano in periodi di vacanza, quando l'attivita' istituzionale dei gruppi consigliari e' sospesa; e) ai casi in cui le contabili di prelievi dal conto corrente del gruppo siano anticipate e temporalmente distanti dalla data della documentazione per cui si chiede il rimborso. Si tratta di situazioni in cui le risultanze investigative si sviluppano sulla base di una documentazione "neutra" e portano a far emergere una situazione in cui il difetto di giustificazione della spesa si manifesta in modo chiaro e stringente, atteso il numero, il tipo, la sequenza, la sistematicita', l'oggetto, le coordinate di tempo e di luogo delle spese, le modalita' di gestione complessiva del denaro. In tali contesti la dialettica probatoria puo' rivelare e fare emergere l'esistenza di situazioni altamente significative sul piano probatorio della condotta appropriativa. Non si intende fare riferimento ai casi in cui, a fronte di situazioni come quelle appena indicate ed ad una fisiologica richiesta di spiegazioni a seguito delle risultanze di indagini, il soggetto interessato produca documenti o alleghi circostanze che, pur incomplete, pur non decisive, lascino il fondato, ragionevole dubbio che quella spesa possa essere stata comunque sostenuta per il conseguimento delle finalita' istituzionali. Assumono invece i casi in cui l'interessato, in situazioni come quelle descritte, non fornisca nessuna spiegazione - ad esempio del perche' sia stato chiesto il rimborso di una spesa sostenuta in un luogo ed in un tempo in cui egli era altrove - ovvero adduca spiegazioni o produca documenti che, al di la' dei convincimenti soggettivi (che al piu' possono assumere rilievo sul piano dell'accertamento del dolo), confermino, anche solo implicitamente, la causale esterna della spesa rispetto alle finalita' attributive del potere e finiscono per provare l'interversione del possesso. Un procedimento probatorio indiziario complesso, in cui il requisito della molteplicita' degli indizi, che consente una valutazione di concordanza, e quello di gravita' si completano a vicenda; un ragionamento indiziario in cui elementi singoli di limitata valenza possono assumere rilievo per il loro numero elevato e per la loro cadenza 14 sistematica e possono accompagnarsi ad altri indizi, forse numericamente minori, ma di maggiore consistenza dimostrativa del fatto da provare. (ex multis Sez. 5, n. 16397 del 21/2/2014, P.G. in proc. Maggi, Rv. 259552) ". 3. Cio' premesso occorre muovere da un primo dato che inficia la tenuta logica della sentenza impugnata con riferimento alla posizione di entrambi gli imputati, non risultando rispettato il dictum della Cassazione quanto alla esatta individuazione delle "spese non rimborsabili". 3.1. Secondo quanto stabilito in dispositivo (OMISSIS) e' stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 80), 125) e 126): "limitatamente alle spese postali e convegnistiche" e (OMISSIS) e' stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 72), 73), 74), 75) e 76) "limitatamente alle spese per i periodici "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" e per la messaggistica "(OMISSIS)" e per quelle di ristorazione meglio indicate in motivazione", risultando evidente la (parziale) "indeterminatezza" del dispositivo. Orbene i rapporti che regolano la motivazione ed il dispositivo della sentenza penale sono complessi e non sono soggetti ad un'unica disciplina, perche' la regola secondo la quale il rapporto esistente nel processo penale tra il dispositivo e la motivazione della sentenza, regola che si risolve nel ritenere quest'ultima inidonea a svolgere una autonoma efficacia giuridica, capace di incidere, a posteriori, sul contenuto essenziale del dispositivo, puo' essere derogata nei casi in cui, essendo la motivazione ed il dispositivo emessi contestualmente, la prima puo' possedere l'attitudine ad incidere sul comando giuridico che dalla sentenza penale deriva, posto che entrambe le parti essenziali di essa trovano una simultanea origine, capace di rendere intelligibile il comando stesso. Tuttavia, fuori dai casi di emanazione contestuale di motivazione e dispositivo della sentenza penale, e' alla pronuncia di quest'ultimo che e' affidata nel processo penale la funzione dell'applicazione della legge al fatto contestato all'imputato, mentre la motivazione adempie ad una finalita' meramente strumentale per cui e' improduttiva di conseguenze giuridiche diverse da quelle coerenti col dispositivo. Ne consegue che la motivazione non puo', di regola, supplire alle eventuali omissioni del dispositivo. Nel caso in esame la mancata esatta indicazione delle spese "non rimborsabili" oggetto delle contestate condotte di peculato nel dispositivo non poteva essere integrata dalla motivazione ove, peraltro, i giudici di merito, quanto alla specifica posizione del (OMISSIS), hanno introdotto un altro elemento di confusione ed incertezza in quanto hanno indicato come non consentite "spese per ristorazione" che non possono logicamente ricomprendersi nelle speSe "convegnistiche", non comprendendosi, quindi, per quali esatti fatti, alla lettura del dispositivo, il suindicato imputato e' stato ritenuto responsabile. Altrettanto "anomala" appare la condanna dello (OMISSIS) ritenuto responsabile per fatti di peculato individuati solo ex posta fronte di una ben piu' ampia contestazione contenuta nel capo di imputazione riguardante numerose spese. Sotto questo profilo, ove non volesse ritenersi sussistente una vera e propria nullita' ex articolo 546 c.p.p., sussiste certamente un vizio di motivazione decisivo in quanto la suddetta carenza si ripercuote sulla coerenza e logicita' del complessivo impianto motivazionale. 4. Risultano, parimenti, fondate le censure relative alle gravi carenze motivazionali della pronunzia de qua con la quale e' stato operato un parziale "overturning" rispetto alla pronunzia assolutoria di primo grado, senza che la Corte territoriale si sia, peraltro, conformata al thema decidendum come delineato nella sentenza di annullamento. La giurisprudenza di questa Corte si e' ripetutamente occupata del tema del "ribaltamento" della sentenza assolutoria di primo grado. Secondo una prima elaborazione giurisprudenziale la sentenza che, in riforma totale della decisione di primo grado, sostituisce l'assoluzione dell'imputato con l'affermazione di colpevolezza, deve contenere una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni raggiunte. Ne discende che il giudice di appello dovra' confrontarsi con le ragioni addotte a sostegno della decisione impugnata, giustificandone l'integrale riforma senza limitarsi ad inserire delle generiche notazioni critiche di dissenso, ma riesaminando, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito, per offrire un percorso argomentativo, nuovo e compiuto, che dimostri, in primo luogo, con una rigorosa analisi, "l'incompletezza o l'incoerenza" della decisione appellata, "non essendo altrimenti razionalmente giustificata la riforma" (Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. U, n. 6682 del 4/2/1992, Musumeci, Rv. 191229; Sez. U, n. 45276 del 30/10/200.3, Andreotti, Rv. 226093). Per la riforma di una sentenza assolutoria nel giudizio di appello non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio gia' acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, ma occorre invece una "forza persuasiva superiore", tale da far venire meno "ogni ragionevole dubbio". La condanna, infatti, come significativamente evidenziato da Sez. 6, n. 40159 del 3/11/2011, Galante, Rv. 251066 "presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza". Orbene appare evidente che la corte territoriale ha posto a fondamento i medesimi elementi di prova gia' valorizzati dal Tribunale per pervenire ad una pronuncia liberatoria, fornendone una lettura prospettata come piu' plausibile. Nel delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio, non ha, pero', proceduto alla necessaria confutazione delle difformi valutazioni del primo giudice, mettendone in luce le carenze o le aporie o, quanto meno, dando conto delle ragioni dell'incompletezza o incoerenza dei piu' rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza. In particolare la Corte territoriale, senza affrontare funditus il tema delle spese c.d. ambivalenti e di quelle del tutto scisse da iniziative e dalle funzioni del gruppo consiliare (ed in tal modo violando anche il disposto di cui all'articolo 627 c.p.), si e' limitata a richiamare genericamente il tenore della documentazione in atti ed ha ritenuto ininfluenti le dichiarazioni rese dagli imputati sulle quali era stata fondata la pronunzia assolutoria proprio in ragione dei chiarimenti forniti circa la legittimita' delle stesse, pervenendo, del tutto apoditticamente, alla conclusione circa la finalita' di "propaganda politica personale" delle spese per cui e' intervenuta la statuizione di condanna. E sebbene il G.U.P., nel pervenire alla pronunzia assolutoria, aveva anche esaminato la documentazione prodotta dagli imputati e le loro memorie (vedi, in particolare, quanto al (OMISSIS) memoria con allegato provvedimento di archiviazione da parte della Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale delle (OMISSIS) della Corte dei Conti in data 19/11/2015 e quanto allo (OMISSIS) la messagistica (OMISSIS) e le riviste con allegate memorie) la Corte di appello di Perugia non ne ha fatto cenno alcuno (se non per sommi capi) ovvero ne ha richiamato il contenuto con considerazioni del tutto generiche ed apodittiche Il ribaltamento dello scrutinio di responsabilita' compiuto nel processo di appello sullo stesso materiale probatorio acquisito in primo grado doveva essere, comunque, sorretto da 20 argomenti dirimenti, conseguenti alla rinnovata disamina delle prove tale da rendere evidente l'errore della sentenza assolutoria, la quale deve rivelarsi, rispetto a quella di appello, non piu' razionalmente sostenibile, per essere stato del tutto fugato ogni ragionevole dubbio sull'affermazione di responsabilita', procedimento nel caso in esame non correttamente seguito. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, in accoglimento dei motivi sin qui esaminati dedotti dai suindicati ricorrenti, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Firenze, che, nella piena liberta' delle valutazioni di merito di sua competenza, dovra' porre rimedio alle rilevate carenze motivazionali, uniformandosi ai richiamati principi di diritto. Giova rilevare che, a fronte dei cennati vizi e delle anzidette gravi lacune motivazionali, la questione relativa alla nullita' della sentenza impugnata in ragione della mancata rinnovazione della prova dichiarativa in violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. rimane di fatto assorbita: spettera' al giudice del rinvio valutare, se a fronte di quanto argomentato dal primo giudice - le cui argomentazioni dovranno costituire punto di partenza ed oggetto "adeguato confronto" - appaia indispensabile, per esigenze legate ad una rivalutazione di prove dichiarative ritenute decisive, disporre la rinnovazione dell'attivita' istruttoria. Rimangono assorbiti tutti i rimanenti motivi perche' afferenti a questioni la cui delibazione resta logicamente subordinata all'esito del nuovo scrutinio del tema, principale, della responsabilita', fermo restando che gia' in questa sede deve rilevarsi che, alla luce del devoluto e di quanto statuito dalla Suprema Corte con la suddetta sentenza, non potra' piu' essere messa in discussione la qualificazione dei fatti in questione quale ipotesi di peculato ex articolo 314 c.p. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Firenze.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE STEFANO Franco - Presidente Dott. TATANGELO Augusto - Consigliere Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere Dott. GUIZZI Stefano Giaime - rel. Consigliere Dott. ROSSI Raffaele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 24956/2020 proposto da: (OMISSIS), domiciliato ex lege in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall'Avvocato (OMISSIS); - ricorrente - contro AGENZIA DI TUTELA DELLA SALUTE (ATS) DELLA (OMISSIS), in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'Avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende; - controricorrente - e contro AGENZIA DELLE ENTRATE E RISCOSSIONE, gia' (OMISSIS) S.p.a., gia' (OMISSIS) S.p.a.; - intimata - avverso la sentenza n. 76/2020 del Tribunale di MANTOVA, pubblicata il 31/01/2020; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/1/2023 dal Consigliere Dott. Stefano Giaime GUIZZI; udito il Sostituto Procuratore Generale della Repubblica, Dott. Anna Maria SOLDI, che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi gli Avvocati (OMISSIS), ed (OMISSIS), per delega degli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS). FATTI DI CAUSA 1. (OMISSIS) ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 76/20, del 31 gennaio 2020, del Tribunale di Mantova, che - accogliendo il gravame esperito dall'Agenzia di Tutela della Salute (ATS) della (OMISSIS) (d'ora in poi "ATS (OMISSIS)"), avverso la sentenza n. 609/17, del 22 settembre 2017, del Giudice di Pace di Mantova - ha rigettato l'opposizione ex articolo 615 c.p.c., dallo stesso proposta contro una cartella di pagamento emessa, per l'importo di Euro 3.287,64, dalla societa' (OMISSIS) S.p.a. (oggi, Agenzia delle Entrate e Riscossione). 2. Riferisce, in punto di fatto, l'odierno ricorrente che, in relazione al mancato pagamento di prestazioni veterinarie di controllo, effettuate - tra il 2004 ed il 2012 - dalla ASL di Mantova (poi confluita, unitamente alla ASL Cremona, nell'ATS (OMISSIS)), la ridetta societa' (OMISSIS) emetteva, a suo carico, la cartella di pagamento di cui sopra, assumendo la debenza della somma di Euro 3.287,64, ai sensi del Decreto Legislativo 19 novembre 2008, n. 194, articolo 1, comma 3. L' (OMISSIS) proponeva opposizione all'esecuzione ex articolo 615 c.p.c., dinanzi al Giudice di Pace di Mantova, contestando la debenza delle somme, per violazione della L. 4 giugno 2010, n. 96 (ovvero, la c.d. "legge comunitaria" per l'anno 2009) e del regolamento comunitario n. 882/2004/CE, del 29 aprile 2004. Assumeva, infatti, l'allora opponente che della suddetta L. n. 96 del 2010, articolo 48, comma 5, nell'introdurre del Decreto Legislativo n. 194 del 2008, articolo 1, comma 3-bis, in forza del quale gli imprenditori agricoli venivano esclusi dall'ambito applicativo di tale Decreto Legislativo, avrebbe dichiaratamente operato in applicazione del richiamato regolamento comunitario, sicche' la disposta esclusione avrebbe avuto efficacia retroattiva, sin dall'anno di entrata in vigore del medesimo regolamento. Costituitasi in giudizio la sola ATS (OMISSIS), contestando tale interpretazione, il giudice di prime cure - nella contumacia dell'agente per la riscossione - faceva propria la tesi dell'opponente, sul presupposto che la L. n. 96 del 2010, articolo 48, comma 5, avrebbe operato un'interpretazione autentica del suddetto regolamento, sottraendo, con efficacia retroattiva, gli imprenditori agricoli, e dunque anche l' (OMISSIS), alla "disciplina delle modalita' di rifinanziamento dei controlli sanitari ufficiali in attuazione del regolamento (CE) n. 882/2004". Esperiva gravame l'ATS (OMISSIS), sulla base di due motivi, lamentando, con il primo, l'errata applicazione della legge, evidenziando, con il secondo, come l' (OMISSIS) non avrebbe avuto, comunque, diritto all'esenzione, in quanto privo dei requisiti di cui all'articolo 2135 c.c.. Il giudice di appello, nella perdurante contumacia dell'agente per la riscossione, accoglieva il gravame con riguardo alle prestazioni eseguite in favore dell' (OMISSIS) antecedentemente al 10 luglio 2010 (recependo la tesi dell'appellante che escludeva l'efficacia retroattiva dell'indicato "ius superveniens", non trattandosi di una legge di interpretazione autentica del regolamento), dichiarandolo, invece, inammissibile per le prestazioni successive. 3. Avverso la sentenza del Tribunale mantovano ha proposto ricorso per cassazione l' (OMISSIS), sulla base - come detto - di un unico motivo. 3.1. Esso denuncia - ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) - violazione del Decreto Legislativo n. 194 del 2008, articolo 1, comma 3-bis, della L. n. 96 del 2010, articolo 48, comma 5, e del regolamento comunitario n. 882/2004/CE. Insiste l' (OMISSIS) nel sostenere che la previsione normativa di cui alla L. n. 96 del 2010, articolo 48, comma 5, nell'esentare gli imprenditori agricoli dalla disciplina di cui al Decreto Legislativo n. 194 del 2008, avrebbe natura "attuativi e retroattiva e/o applicativa d'interpretazione autentica" del regolamento n. 882/2004/CEE, essendo intervenuta "non innovando la disciplina in materia, bensi' al solo fine di dare corretta applicazione al Regolamento di cui sopra" (peraltro, oggi abrogato). Richiama, a riscontro, la circolare del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociale del 17 aprile 2009, insistendo, pertanto, nel sottolineare come l'esenzione degli esercenti l'attivita' agricola da tutte le prestazioni obbligatorie di certificazione sanitaria avesse avuto efficacia retroattiva, e cio' "in considerazione della ratio legis di adeguare l'ordinamento interno a quello comunitario". 4. Ha resistito all'avversaria impugnazione, con controricorso, l'ATS (OMISSIS), chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata. 5. Entrambe le parti hanno depositato memoria, a norma dell'articolo 378 c.p.c.. RAGIONI DELLA DECISIONE 6. Il ricorso va rigettato. 6.1. Il solo motivo di ricorso, infatti, non e' fondato. 6.1.1. A tale esito conducono, accanto a considerazioni di ordine generale, taluni rilievi specificamente riferibili al contenuto del regolamento comunitario del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 882/2004/CE, del 29 aprile 2004, regolamento peraltro - come gia' sottolineato - ormai abrogato, ad opera del successivo regolamento n. 625/2017/CE, del 15 marzo 2017. Nella prospettazione del ricorrente, la L. 4 giugno 2010, n. 96, articolo 48, comma 5 - nell'inserire nel testo del Decreto Legislativo 19 novembre 2008, n. 194, articolo 1, comma 3-bis, (Decreto Legislativo, peraltro, anch'esso abrogato, ad opera del successivo Decreto Legislativo 2 febbraio 2021, n. 32) - avrebbe avuto natura "attuativi e retroattiva e/o applicativa d'interpretazione autentica" del suddetto regolamento n. 882/2004/CEE. Orbene, nell'esaminare tale questione, non sembra inutile osservare - a titolo di premessa - come piu' che di "attuazione" di un regolamento comunitario, dal momento che tale atto normativo ha efficacia diretta nell'ordinamento nazionale (articolo 288, p. 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea), sia corretto discutere di "adeguamento", ad esso, della normativa interna; fermo, peraltro, restando che tale "adeguamento" presenta carattere "automatico", in caso di contrasto tra l'una e l'altro, in virtu' della c.d. "non applicazione" della norma nazionale contrastante con quella unionale (cosi', nella giurisprudenza di questa Corte, Cass. Sez. 1, sent. 22 aprile 1999, n. 3999, Rv. 525619-01; quanto alla giurisprudenza costituzionale, valga per tutti il rinvio a Corte Cost., sent. 8 giugno 1984, n. 170). Sempre su un piano generale, dal momento che il ricorrente fa pure riferimento ad una pretesa natura "applicativa di interpretazione autentica" della norma suddetta, non pare inutile rammentare a quali condizioni la giurisprudenza costituzionale subordini l'ammissibilita' di norme siffatte. Sul punto, deve osservarsi come la legge di interpretazione autentica non trovi espressa previsione nel vigente dettato costituzionale, al contrario di quanto accadeva nell'ordinamento prerepubblicano, nel quale era lo stesso Statuto albertino, all'articolo 73, a stabilire - in ossequio all'antico brocardo "cuius est condere eius est interpretari" - che "L'interpretazione della legge in modo per tutti obbligatorio spetta esclusivamente al potere legislativo". Cio' nondimeno, la Corte delle leggi, sin dai suoi primi arresti, ebbe ad affermare che le leggi interpretative, "e come tali retroattive", sono costituzionalmente legittime, in quanto sono, tra l'altro, "comunemente ammess(e) da altri ordinamenti statali, che posseggono i caratteri di Stato di diritto e Stato democratico"; peraltro, la circostanza di non essere espressamente previste nel testo costituzionale non ne costituisce una preclusione, ma, semmai, sta a significare la mancanza "di qualsiasi limitazione al riguardo" (Corte Cost., sent. 2 luglio 1957, n. 118). Cio' detto, la Corte costituzionale ritiene, tuttavia, ammissibile tale tipo di intervento legislativo sempre nella prospettiva della preservazione dei principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento dei cittadini, da considerarsi come principi di "civilta' giuridica". Pertanto, l'intervento legislativo interpretativo risulta, per lo piu', ammissibile nella misura in cui - sebbene destinato ad incidere sulle posizioni giuridiche soggettive dei singoli - sia tale da garantire una compensazione ragionevole allo svantaggio arrecato, sicche' e' proprio la ragionevolezza della norma interpretativa la principale condizione legittimante siffatta modalita' di intervento normativo. Significativa in tal senso, tra le altre, quella pronuncia in cui si afferma la necessita' che "tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto" (cosi', Corte Cost., sent. 20 giugno 2012, n. 166). Tanto premesso in termini generali, nel caso di specie, la pretesa di applicare retroattivamente la norma che esenta(va) gli imprenditori agricoli dalla remunerazione delle prestazioni veterinarie di controllo, dovrebbe giustificarsi, secondo il ricorrente, con la necessita' di assicurarne l'interpretazione che si assume come (la sola) compatibile con il regolamento comunitario n. 882/2004/CE. 6.1.2. Tale tesi, pero', non e' fondata. Colgono, infatti, nel segno i rilievi svolti dalla controricorrente (e ancor piu' compiutamente sviluppati dalla stessa nella propria memoria illustrativa), anche perche', come si dira', confortati dalla stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Osserva, infatti, correttamente l'ATS (OMISSIS) come la scelta di esentare gli imprenditori agricoli dai costi degli interventi di cui al regolamento 882/2004/CE (e, con essi, pure i soggetti ai medesimi equiparati, in forza di quanto stabilito da un ulteriore intervento legislativo di cui si dira', sebbene con norma che subordinava la loro esenzione a delle condizioni restrittive, rispetto a quelle previste per gli esercenti l'attivita' di cui all'articolo 2135 c.c.), si poneva fuori del perimetro d'intervento del legislatore unionale, costituendo espressione, invece, di discrezionalita' del legislatore nazionale. Rileva, invero, fondatamente ATS (OMISSIS) come il suddetto regolamento comunitario n. 882/2004/CE vincolasse gli Stati dell'Unione soltanto a disciplinare "controlli ufficiali intesi a verificare la conformita' alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali", sul presupposto che la "salute e il benessere degli animali sono fattori importanti che contribuiscono alla qualita' e alla sicurezza degli alimenti" (cosi' il considerando n. 5). In questa prospettiva, l'articolo 27, prevedeva che i singoli Stati potessero "riscuotere tasse o diritti a copertura dei costi sostenuti per i controlli ufficiali", senza nulla, invece, statuire quanto ad eventuali esenzioni in favore di imprenditori agricoli o categorie affini, sicche' - quando il legislatore italiano ha introdotto, con il Decreto Legislativo n. 194 del 2008, una disciplina organica sul finanziamento di tali controlli - si determino', nella propria discrezionalita', a porre il costo degli stessi a carico, indifferenziatamente, "degli operatori dei settori interessati dai controlli" (articolo 1, comma 3). Pertanto, anche la successiva scelta - operata con la L. n. 96 del 2010, articolo 48, comma 5 (in particolare, attraverso l'inserzione nel testo del Decreto Legislativo n. 194 del 2008, articolo 1, comma 3-bis) - di esentare da tali costi gli imprenditori agricoli, deve considerarsi espressione di discrezionalita', e non della necessita' di "adeguarsi" al suddetto regolamento, dovendo, dunque, ritenersi tale opzione solo come espressione di un diverso orientamento politico-legislativo. Altrettanto e' a dirsi, dunque, per l'ulteriore decisione - effettuata dal Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, articolo 8, comma 14, convertito con modificazioni dalla L. 8 novembre 2012, n. 189, mediante l'inserzione di una seconda alinea del gia' del Decreto Legislativo n. 194 del 2008, articolo 1, citato comma 3-bis - di applicare (sebbene a condizioni piu' restrittive) questo stesso regime di esenzione anche agli esercenti di attivita' connesse a quelle di cui all'articolo 2135 c.c.. 6.1.3. Tale conclusione - come anticipato - trova, del resto, conferma in quanto ritenuto dalla stessa Corte di Giustizia dell'Unione Europea, nella sentenza 12 settembre 2019, pronunciata all'esito delle cause riunite C-199/18, C-200/18 e C-343/18. La vicenda processuale deve essere, qui, brevemente riassunta. Alcune imprese emiliano-romagnole, operanti negli ambiti dell'allevamento, della macellazione e della commercializzazione del pollame, impugnavano, innanzi al giudice amministrativo, la Delib. Giunta Regionale Emilia Romagna n. 1844 del 2011. Essa aveva stabilito di esentare dal pagamento delle tariffe, di cui al Decreto Legislativo n. 194 del 2008, solo gli imprenditori agricoli, come definiti dall'articolo 2135 c.c., e non pure gli esercenti attivita' di macellazione, sezionamento, lavorazione della selvaggina cacciata, produzione di latte, e immissione in commercio dei prodotti della pesca e dell'acquicoltura (ovvero, proprio quei soggetti ai quali, sebbene a condizioni piu' restrittive rispetto agli imprenditori agricoli, la - sopravvenuta, rispetto alla Delibera impugnata - previsione normativa di cui al Decreto Legge n. 158 del 2012, articolo 8, comma 14, aveva esteso l'esenzione). Ritenendo illegittima tale Delibera, le predette imprese si rivolgevano dapprima al TAR dell'Emilia Romagna e poi, essendo state disattese le loro ragioni dal primo giudice, al Consiglio di Stato. Quest'ultimo (cfr. Cons. St., Sez. 3, sent. 27 ottobre 2020, n. 6548), pur rilevando che la sopravvenienza normativa di cui a Decreto Legge n. 158 del 2012, articolo 8, comma 14, dovesse valere "solo per il futuro", ricorreva allo strumento del rinvio pregiudiziale alla CGUE, sul rilievo che detto ius superveniens non avesse fatto "venire meno l'opzione interpretativa in forza della quale, prima dell'entrata in vigore dello stesso", si dovessero gia' "considerare agricole - ove consentito dalla normativa sovranazionale - anche ulteriori attivita' "accessorie"" ad essa, occorrendo, in altri termini, stabilire se al Decreto Legge n. 158 del 2012, dovesse "essere assegnata una valenza innovativa o interpretativa, riferibile anche alle vicende pregresse". Orbene, la Corte di Lussemburgo ha ritenuto che la risposta a tale interrogativo dovesse essere fornita "conformemente al tenore letterale dell'articolo 26 del regolamento n. 882/2004", a mente del quale "gli Stati membri garantiscono che, per predisporre il personale e le altre risorse necessarie per i controlli ufficiali, siano resi disponibili adeguati finanziamenti con ogni mezzo ritenuto appropriato, anche mediante imposizione fiscale generale o stabilendo diritti o tasse", soggiungendo, altresi', come tale articolo dovesse essere "letto alla luce del considerando 32 di tale regolamento, nel senso che gli Stati membri dispongono di un ampio margine discrezionale quanto alla messa a disposizione di adeguati finanziamenti per la predisposizione del personale e delle altre risorse necessarie per i controlli ufficiali" (cosi' il p. 34). Su tali basi, essa ha poi affermato che, in relazione alle attivita' diverse da quelle agricole "stricto sensu" intese (individuate in appositi allegati al regolamento), dalla "chiara formulazione dell'articolo 27, comma 2" del regolamento si evince "da un lato, che gli Stati membri sono tenuti a riscuotere una tassa per coprire i costi sostenuti per le attivita' di cui ai suddetti allegati e, dall'altro, che il legislatore dell'Unione non ha espressamente identificato in tale paragrafo il soggetto tenuto al pagamento di tale tassa" (p. 37). Ne risulta, in questo modo, confermata, anche da parte della Corte di Lussemburgo, l'ampia discrezionalita' della quale il legislatore nazionale ha sempre goduto in tale ambito, nell'individuare il sistema di finanziamento di tali controlli, ed i soggetti esentati dal dovervi contribuire, e, cosi', l'infondatezza del motivo di ricorso qui scrutinato, che pretenderebbe di riconoscere efficacia retroattiva alla scelta di escludere gli imprenditori agricoli dal pagamento di quanto dovuto per lo svolgimento di detta attivita', in ragione della supposta necessita' di dare attuazione ad un (invece, inesistente) vincolo comunitario. 7. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. 8. In ragione del rigetto del ricorso, sussiste, a carico del ricorrente, l'obbligo di versare, se dovuto secondo un accertamento spettante all'amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, condannando (OMISSIS) a rifondere, all'Agenzia di Tutela della Salute (ATS) della (OMISSIS), le spese del presente giudizio di legittimita', che liquida in Euro 2.800,00, piu' Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, la Corte da' atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari, in ipotesi, a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. APRILE Ercole - Consigliere Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - rel. Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 4. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 5. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 6. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 7. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 8. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 9. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 10. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 11. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 12. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 13. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 14. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 15. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 16. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 17. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 18. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 19. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 20. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 21. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 22. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 23. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 24. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 25. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 26. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 27. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 28. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 29. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 30. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 31. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 32. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 33. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 34. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 35. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 36. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza emessa il 13 luglio 2021 dalla Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dai Consiglieri Dott.ssa TRIPICCIONE Debora e Dott. DI GERONIMO Paolo; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. MOROSINI Piergiorgio, che ha concluso ha chiedendo il rigetto dei ricorsi di tutti i ricorrenti ad eccezione di quello relativo a (OMISSIS), per il quale ha chiesto l'inammissibilita'; udito il difensore della parte civile, Regione Lombardia, avv. FORLONI Antonella, che ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi degli imputati nei confronti dei quali e' ancora costituita; uditi i difensori degli imputati: avv. DIODA' Nerio Giuseppe, in difesa di (OMISSIS); avv. AIELLO Domenico, in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); avv. LUNGHINI Giacomo Umberto, in difesa di (OMISSIS); avv. CORSO Piermaria in difesa di (OMISSIS), e, quale sostituto processuale dell'avv. ROSSI Claudio in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS) e dell'avv. PENSA Jacopo Giuseppe Alessandro in difesa di (OMISSIS); avv. DINACCI Filippo, in difesa di (OMISSIS); avv. QUADRI Gianluca, in difesa di (OMISSIS); avv. NEGRINI Marco Giuseppe, in difesa di (OMISSIS); avv. BRUNO Pierfrancesco, in difesa di (OMISSIS); avv. FORONI Pietro, in difesa di (OMISSIS); avv. MAIONE Luigi, in difesa di (OMISSIS); avv. SCALVI Gianbattista Ludovico, in difesa di (OMISSIS); avv. BIGNOTTI Antonio, in difesa di (OMISSIS), e, quale sostituto processuale dell'avv. PISONI Luigi in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS); avv. MANCUSI Davide in difesa di (OMISSIS); avv. SFORZA Claudio, quale sostituto processuale dell'avv. MARINI Massimo, in difesa di (OMISSIS); avv. ODDI Silvia, anche in sostituzione dell'avv. APICELLA Michele, in difesa di (OMISSIS); avv. SILVA Franco Claudio, in difesa di (OMISSIS); avv. MORRA Piermario, quale sostituto processuale dell'avv. AVIDANO Alberto, in difesa di (OMISSIS); avv. GATTO Simone, in difesa di (OMISSIS), e quale sostituto processuale dell'avv. BELTRANI Carlo in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS) e dell'avv. Cammarata Leonardo in difesa di (OMISSIS); avv. PROIETTI Daria, quale sostituto processuale dell'avv. RONCORONI Simona, in difesa di (OMISSIS); avv. FERABECOLI Gabriele, quale sostituto processuale dell'avv. VINCI Paolo, in difesa di (OMISSIS); i quali hanno insistito per l'accoglimento dei ricorsi proposti. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano del 18 gennaio 2019, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati di seguito indicati rilevando la sopravvenuta estinzione per prescrizione delle condotte di peculato commesse nel 2008 e rideterminato il trattamento sanzionatorio in relazione alle condotte commesse successivamente. In particolare, la dichiarazione di prescrizione ha riguardato le seguenti posizioni: (OMISSIS), quanto al capo 6 e, limitatamente ai fatti commessi nell'anno 2008, (OMISSIS) (capo 11), (OMISSIS) (capo 20), (OMISSIS) (capi 21 e 61), (OMISSIS) (capo 22), (OMISSIS) (capi 6, 27 e 61), (OMISSIS) (capo 28), (OMISSIS) (capo 31), (OMISSIS) (capo 37), (OMISSIS) (capo 24), (OMISSIS) (capo 42), (OMISSIS) (capi 48 e 48 A), (OMISSIS) (capi 6, 50 e 61), (OMISSIS) (capo 52), (OMISSIS) (capi 6, 56 e 61) e (OMISSIS) (capo 62). La medesima sentenza ha, invece, assolto (OMISSIS) dai fatti ascritti al capo 23 limitatamente alle spese sostenute nelle date del 25/11/2011, 4/3/2011, 29/4/2011, 6/3/2012 e 19/4/2012, perche' il fatto non sussiste e dichiarato non doversi procedere in ordine ai fatti commessi nell'anno 2008 per intervenuta prescrizione, rideterminando il trattamento sanzionatorio; ha assolto (OMISSIS) dai reati ascritti al capo 55, limitatamente alla spesa sostenuta il 12/11/2009, perche' il fatto non sussiste e dichiarato non doversi procedere in ordine ai fatti commessi nell'anno 2008 per intervenuta prescrizione, rideterminando il trattamento sanzionatorio. La sentenza ha, inoltre, revocato la confisca disposta nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS). Quanto alle statuizioni civili, ha, infine, revocato quanto disposto a carico di (OMISSIS) ed ha, invece, confermato le ulteriori statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado, ovvero: - la condanna generica al risarcimento del danno cagionato alla Regione Lombardia e l'assegnazione di una provvisionale diversamente quantificata in relazione alle posizioni dei singoli imputati, nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); - la condanna di (OMISSIS) al risarcimento del danno cagionato alla Regione Lombardia, quantificato in Euro 673,00 e titolo di danno patrimoniale e in Euro 1000,00 a titolo di danno non patrimoniale; - la condanna di (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido tra loro, al risarcimento del danno cagionato alla medesima Regione Lombardia liquidato in Euro 127.000,00 a titolo di danno patrimoniale e in Euro 12.000,00 a titolo di danno non patrimoniale. 2. Va premesso che, per quanto rileva in questa Sede, la sentenza impugnata ha confermato la condanna per il reato di peculato in relazione alle condotte di appropriazione, poste in essere dagli imputati nella qualita' di consiglieri regionali presso la Regione Lombardia e, limitatamente agli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), quali Presidenti dei Gruppi consiliari, avente ad oggetto somme di denaro prelevate dal contributo stanziato al gruppo di appartenenza ai sensi della Legge Regionale 27 ottobre 1972, n. 34, articolo 2-ter, impiegato per spese estranee e non funzionali all'espletamento del mandato consiliare. Il tutto, con riferimento alle legislature dal 2009 al 2012. 2.1. In particolare, secondo la concorde ricostruzione delle due sentenze di merito, sulla base della legislazione regionale all'epoca vigente (L. n. 34 del 1972 e L. n. 17 del 1992) nonche' della disciplina relativa al trattamento economico ed ai rimborsi dei consiglieri regionali lombardi, le spese che potevano essere imputate al fondo per il funzionamento del gruppo erano solo quelle connesse alle funzioni istituzionali dei gruppi. Occorre, dunque, il collegamento teleologico-funzionale tra l'attivita' del singolo consigliere e la vita e le esigenze del gruppo. Si e' ritenuto, sulla base della citata disciplina regionale, che il denaro del fondo fosse nella disponibilita' materiale del Presidente di ciascun gruppo, gravato dell'onere di vigilanza e di rendicontazione contabile, e nella disponibilita' giuridica dei singoli consiglieri, i quali potevano accedere al rimborso delle spese sostenute attraverso una mera autodichiarazione, corredata dalla relativa documentazione contabile; tale "autodichiarazione" fungeva sostanzialmente da ordine di spesa rivolto alla struttura amministrativa del gruppo consiliare che, limitandosi a svolgere controlli di carattere esclusivamente formale, circoscritti alla corrispondenza della spesa con quella rimborsabile, operava come "tesoreria" o cassa. La prova della condotta appropriativa e' stata, pertanto, desunta sulla base di una valutazione logica degli elementi documentali prodotti, ponendo soprattutto l'accento sulla indeterminatezza e "plurivocita'" della documentazione prodotta dagli interessati in allegato alle richieste di rimborso, giudicata priva di elementi suscettibili di rendere possibile la verifica circa l'inerenza della spesa al fine istituzionale. 2.2. La sentenza impugnata ha, inoltre disatteso la lettura estensiva proposta dagli appellanti della "inerenza" delle spese al mandato consiliare, comprensiva anche dell'attivita' politica svolta dal consigliere e di tutti gli esborsi che siano comunque correlati all'esercizio del mandato consiliare, con esclusione delle sole spese volte a soddisfare gli interessi egoistici e personali. Si e', infatti, adottata una nozione di "inerenza" circoscritta alle sole spese "connesse ad iniziative del gruppo, decise dal gruppo, volte al funzionamento del gruppo" e, per quanto riguarda le spese di rappresentanza, alle sole spese correlate con le finalita' istituzionali dell'ente e rispondenti ai requisiti desumibili dalla giurisprudenza della Corte dei conti (scopo promozionale per l'immagine o per l'attivita' dell'ente, rispondenza a criteri di ragionevolezza, sobrieta', ufficialita', eccezionalita', destinazione all'esterno e non nei confronti di politici o di dipendenti pubblici). Sulla base di tali canoni di giudizio, la sentenza ha escluso l'inerenza delle spese di ristorazione alle spese di rappresentanza del gruppo ove non connesse ad un incontro istituzionale debitamente documentato ed organizzato dal gruppo consiliare. Sono state, pertanto, qualificate come spese di rappresentanza solo quelle destinate a coprire esigenze organizzative ed eventi pubblici (convegni, tavole rotonde, comizi), o a fornire ospitalita' (pranzi, cene..) a personalita' istituzionali in occasione di tali avvenimenti, con esclusione di quelle personali o volte alla promozione dell'attivita' politica del singolo consigliere, sostenute in occasione di incontri con singoli cittadini, imprenditori, politici, giornalisti, ivi compresi i pranzi o le cene su "politiche regionali", in quanto di per se' non collegate con la finalita' istituzionale prescritta di proiezione dell'immagine esterna del gruppo. Analogo criterio e' stato adottato con riferimento alle spese di viaggio che, tenuto conto dei rimborsi gia' previsti per i singoli consiglieri dalla Legge Regionale 23 luglio 1996, n. 17, articoli 3 e 5, sono state ritenute "inerenti" e dunque quali spese di rappresentanza solo se strettamente connesse ad eventi o rappresentanze istituzionali collegate all'attivita' istituzionale del gruppo. Sono state, infine, escluse le spese sostenute dal personale per trasferte, vitto e alloggio e cio' alla luce della disciplina regionale vigente all'epoca dei fatti (Legge Regionale n. 21 del 1996, articolo 21 poi trasfuso nella Legge Regionale n. 20 del 2008, articolo 67) che prevedeva lo stanziamento di un budget, prestabilito ed omnicomprensivo, per il personale di staff e segreterie. 2.3. La sentenza, inoltre, disattendendo le deduzioni difensive in merito alla rilevanza "scusante" della prassi amministrativa e del vademecum che ogni gruppo consiliare distribuiva agli eletti, privo di puntuali e specifiche indicazioni sulla rendicontazione delle spese, ha ritenuto sussistente l'elemento psicologico del reato. In particolare, ha rilevato che, a fronte della ipotizzata incertezza della interpretazione di talune nozione, quale quella di spese di rappresentanza, i singoli consiglieri avevano fatto affidamento sulla prassi deformalizzata adottata dal personale amministrativo e sulla presenza dei controlli successivi, anziche' attivarsi attraverso lo strumento del quesito ad organi qualificati o del ricorso all'autorita' giurisdizionale contabile. 3. Propongono ricorso per cassazione (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Si procedera' ad illustrare il contenuto dei ricorsi analizzando, innanzitutto, le questioni comuni a piu' ricorrenti per poi affrontare le questioni relative alle specifiche posizioni dei singoli ricorrenti. 4. La disponibilita' del denaro e la configurabilita' del peculato. Una prima questione dedotta dai ricorrenti, con esclusione della posizione di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), censura la qualificazione giuridica delle condotte contestate come peculato in relazione alla ritenuta disponibilita' giuridica del denaro e, conseguentemente, alla sua illecita appropriazione. Si deducono, infatti, la violazione dell'articolo 314 c.p., l'erronea interpretazione delle leggi regionali (Legge Regionale Lombardia n. 34 del 1972, articoli 1 e 2-ter e Legge Regionale Lombardia n. 17 del 1992, articolo 4, comma 1, nonche' dell'articolo 6 del regolamento attuativo di entrambe le leggi approvato con delibera n. 192 del 19/6/2001 dal Consiglio Regione Lombardia) e vizi di motivazione in relazione alla ritenuta disponibilita' giuridica del denaro da parte dei singoli consiglieri. Si assume, infatti, che, alla stregua della citata disciplina regionale, i fondi regionali su cui gravavano i rimborsi non erano nella disponibilita' immediata dei singoli consiglieri ma del Presidente del Gruppo, cui competeva sia l'autorizzazione della concessione del rimborso a seguito di specifica istanza del consigliere che l'obbligo di redigere e depositare il rendiconto annuale presso l'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale cui spettavano le successive verifiche in merito alla regolarita' (formale) nella sua redazione. Pertanto, sulla base dell'iter che regolava il rimborso delle spese ai consiglieri, occorre distinguere tra lo stanziamento del fondo a favore del gruppo consiliare, nella persona del suo Presidente, ed il rimborso delle spese, che, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, non viene direttamente "ordinata" e, sostanzialmente "autoliquidata" dal singolo consigliere, ma sottoposto ad un controllo preliminare di carattere formale da parte della struttura amministrativa del gruppo e ad una successiva autorizzazione del presidente stesso. 4.1. A conferma di tale diverso inquadramento del rapporto esistente tra il singolo consigliere ed il denaro pubblico, si segnala, da un lato, che i consiglieri non avevano a disposizione una carta di credito regionale e, dall'altro, non avevano alcun potere di autorizzare i rimborsi. Il consigliere, dunque, era un mero creditore e non un "ordinatore di spesa". Cio' sarebbe emerso dall'istruttoria dibattimentale in cui i testi, sia della struttura amministrativa del gruppo (tra i tanti, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) che della Regione (il funzionario regionale (OMISSIS)) hanno confermato i controlli effettivi cui erano sottoposte le richieste rimborso, hanno riferito anche di rimborsi non accolti e della non necessita', confermata anche dalle informazioni assunte presso l'Ufficio Bilancio del Consiglio Regionale ed il Presidente del Gruppo di riferimento (v. teste (OMISSIS)) di una specifica rendicontazione delle spese, all'epoca non prevista dalla legge regionale, essendo sufficiente la presentazione di un documento attestante l'esborso. 4.2. Nel ricorso degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si deduce, inoltre, l'illogicita' e contraddittorieta' della sentenza impugnata laddove afferma la colpevolezza degli imputati in assenza del contributo del presidente del gruppo consiliare, pur riconoscendo che solo quest'ultimo aveva la disponibilita' materiale del fondo e che solo attraverso questa il singolo consigliere avrebbe potuto definitivamente appropriarsi del denaro pubblico. 4.3. Altri profili di illogicita' segnalati da alcuni ricorrenti attengono: a) alla incompatibilita' tra la necessaria "autodichiarazione" del consigliere e la ritenuta disponibilita' giuridica del bene pubblico che richiede, invece, la possibilita' di disporne in autonomia; b) all'assenza di una contestazione di concorso da parte dei funzionari amministrativi che omettevano i controlli. 4.5. Sotto altro profilo, il ricorrente (OMISSIS) rileva che, anche a voler ammettere che il consigliere regionale aveva la disponibilita' giuridica del denaro, non vi sarebbe stata, secondo le coordinate della giurisprudenza di legittimita', una appropriazione con la distrazione del denaro per finalita' di carattere privato in quanto le spese sostenute, rispetto alle quali la sentenza impugnata considera legittime solo quelle specificamente asservite alle finalita' istituzionali del Consiglio regionale e del gruppo consiliare, riguardavano, comunque, spese per ristorazione e trasporti in relazione ad incontri sul territorio con il collegio elettorale di riferimento del gruppo consiliare e dunque correlate al ruolo istituzionale del consigliere. 5. La diversa qualificazione del fatto. Quale logica conseguenza della dedotta censura appena esaminata, molti ricorsi invocano una riqualificazione delle condotte contestate ora nel reato di cui all'articolo 316-ter c.p. o in quello di cui all'articolo 640-bis c.p., ora nel delitto di abuso di ufficio - avendo i consiglieri sostenuto le spese per finalita' non di carattere privato - ora, infine, sul presupposto che non essendo stato contestato il concorso da parte dei funzionari amministrativi addetti al controllo ed alla successiva erogazione dei rimborsi, il singolo consigliere approfittando dell'errore del funzionario amministrativo deputato al controllo delle richieste, abbia indebitamente ricevuto detto rimborso, del reato di cui all'articolo 316 c.p.. In particolare, con riferimento all'ipotesi prospettata nella maggior parte dei ricorsi, ovvero l'articolo 316-ter c.p., in considerazione della filiera di controlli cui era sottoposta l'istanza, si pone l'accento sulle effettive risultanze probatorie ovvero che i singoli consiglieri avrebbero, al piu', depositato documenti falsi o attestanti cose non vere per ottenere la liquidazione dei rimborsi. Con riferimento a tale diversa qualificazione della condotta si rileva in taluni casi (ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS)) che le somme mensili di cui e' stato chiesto il rimborso non hanno superato la soglia di punibilita' prevista dall'articolo 316-ter c.p., comma 2, la carenza dell'elemento soggettivo del reato e, comunque la sua prescrizione (ricorso proposto da (OMISSIS)). 6. L'onere della prova. I ricorrenti hanno, inoltre, contestato, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, il criterio probatorio applicato dalla Corte di appello, sottolineando come - pur essendo stato formalmente ribadito il principio per cui l'onere della prova ricade sul pubblico ministero - in concreto si e' determinata una vera e propria inversione del suddetto onere. Occorre premettere che tale tematica e' strettamente collegata a quella che si trattera' in seguito, concernente la mancata ammissione dei testi indicati dalle difese degli imputati. E' utile evidenziare fin da subito, infatti, come i ricorrenti hanno concordemente dedotto che, da un lato, sono stati valorizzati meri indizi, spesso privi dei requisiti di gravita' e precisione, in ordine alla non riferibilita' dei rimborsi ad attivita' istituzionali e, al contempo, si e' impedito agli imputati di fornire la prova della legittimita' dei contributi percepiti. I ricorrenti partono dall'assunto secondo cui la Corte di appello avrebbe unicamente menzionato, senza in concreto applicarlo, il consolidato orientamento secondo cui, in tema di peculato, la prova del reato non puo' discendere dalla sola carenza di formale giustificazione della spesa, ne' dall'insufficienza della documentazione prodotta a sostegno della richiesta di rimborso, essendo onere della pubblica accusa dimostrare che i fondi sono stati, in concreto, destinati a finalita' incompatibili con il perseguimento dell'interesse pubblico. 6.1 Nella sentenza impugnata, si e' dato atto di come molte delle spese per le quali i ricorrenti hanno ottenuto il rimborso avevano un giustificato sostanzialmente "neutro", nel senso che la voce di spesa di per se' non e' indicativa della concreta destinazione del denaro, potendo essere compatibile tanto con un impiego lecito, quanto con una distrazione di fondi. Cio' si sarebbe verificato, in particolare, per le numerosissime spese per "ristorazione", rispetto alle quali la Corte di appello avrebbe dovuto richiedere dalla pubblica accusa la prova specifica dell'estraneita' di tali esborsi a finalita' pubblicistiche del tipo di quelle contemplate dalla normativa in tema di contributi ai gruppi regionali. La Corte di appello, invece, si sarebbe affidata ad elementi indiziari privi dei necessari caratteri di gravita', univocita' e precisione, enucleando una serie di elementi fattuali che, in realta', sarebbero privi di un'effettiva capacita' probatoria. In particolare, i ricorrenti deducono che, con riguardo alle spese di ristorazione per "consumazioni singole", la Corte di appello ha ritenuto che queste dissimulassero un mero rimborso indebitamente ottenuto dal consigliere in relazione a pasti dal medesimo consumati, al di fuori di qualsivoglia evento avente rilevanza esterna. In altre circostanze, invece, e' stato stigmatizzato il fatto che le consumazioni, in quanto avvenute presso bar, autogrill, pizzerie, trattorie o, comunque, esercizi commerciali per loro natura destinati a fornire un servizio non "di rappresentanza", non potessero rientrare tra le finalita' per le quali era consentito il rimborso. Ulteriore indice sintomatico della sussistenza del reato e' stato individuato in relazione al luogo o alla data della consumazione, ritenendo sufficiente il fatto che la spesa fosse stata fatta al di fuori della Regione Lombardia, ovvero in giorni festivi. Come pure si e' ritenuto che la reiterazione nello stesso giorno o in piu' giorni consecutivi di consumazioni presso i medesimi bar e ristoranti fosse circostanza dimostrativa del fatto che le spese erano inerenti alle ordinarie e quotidiane necessita' dei consiglieri, piuttosto che allo svolgimento di attivita' collegata a quella dei gruppi. Sostengono i ricorrenti, pertanto, che la Corte di appello avrebbe basato la propria decisione su elementi indiziari equivoci e, comunque, inidonei a fornire quel grado di affidabilita' richiesto dall'articolo 192 c.p.p., peraltro omettendo anche di considerare che, per gran parte delle spese in questione, non era possibile ritenere provata la sussistenza dell'appropriazione senza consentire agli imputati di dimostrare le ragioni della spesa. 6.2. Ulteriore critica al ragionamento probatorio seguito dalla Corte risiede nell'aver ritenuto non giustificate le spese effettuate in assenza della correlativa documentazione di una iniziativa organizzata dal gruppo. Anche in tal caso, infatti, l'inferenza probatoria non conseguirebbe alla corretta valutazione di un quadro indiziario univoco e preciso, bensi' sarebbe il frutto di una non consentita inversione dell'onere probatorio. A ben vedere, infatti, la Corte si sarebbe limitata a prendere atto della "mancata giustificazione", in tal modo rinnegando la premessa secondo cui la prova del peculato non puo' discendere dalla mera carenza della documentazione prodotta dal pubblico agente, occorrendo la dimostrazione, in concreto, della destinazione a finalita' non consentite. In conclusione, i ricorrenti lamentano - sia pur con diversita' di formulazione della medesima doglianza - che la Corte di appello avrebbe sopperito alla mancanza di accertamento specifico dell'utilizzo delle somme valorizzando elementi indiziari risultanti, in realta', privi dei requisiti di cui all'articolo 192 c.p.p., non fosse altro che la mera indicazione della causale del rimborso poteva al piu' costituire un elemento di dubbio circa la finalita' della spesa, ma non fondare di per se' il presupposto per una sentenza di condanna. 7. Illegittimita' dell'ordinanza di esclusione dei testi e del rigetto di rinnovazione dell'istruttoria. Strettamente collegato al tema dell'inversione dell'onere probatorio e della insussistenza di un valido apparato indiziario, e' la questione relativa alla sostanziale mancata ammissione dei plurimi testi che i ricorrenti avevano indicato, fin dal primo grado, al fine di fornire giustificazione delle spese sostenute (questione sollevata da tutti i ricorrenti, esclusi gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)). Occorre premettere che, sul punto, le situazioni dei singoli ricorrenti sono sostanzialmente allineate, posto che per alcuni non e' stata ammessa alcuna prova a discarico, per altri vi e' stata una parziale e limitata ammissione dei testi indicati, peraltro in gran parte comuni, chiamati a riferire sulle modalita' del rimborso, piuttosto che sulla giustificazione e sulla finalita' delle spese. I ricorrenti lamentano che la scelta compiuta nel giudizio di primo grado e confermata in appello avrebbe leso il fondamentale diritto di difendersi provando, riconosciuto anche dalla CEDU. 7.1. Rappresentano i ricorrenti che l'ordinanza adottata dal Tribunale di Milano in data 19 aprile 2016 era stata ritualmente oggetto di impugnazione, unitamente alla sentenza di primo grado, essendo stata dedotta la mancanza di idonea motivazione in ordine all'omessa ammissione delle testimonianze richieste. Il Tribunale, infatti, si sarebbe limitato ad ammettere un numero limitatissimo di testi, senza motivare specificamente sulle ragioni per cui i testi chiamati a deporre sulla finalita' delle spese e l'occasione in relazione alle quali erano state sostenute non fossero rilevanti ai fini del giudizio. La Corte di appello, anziche' esaminare nel merito il motivo di impugnazione, avrebbe ritenuto l'intervenuta sanatoria della nullita', sul presupposto che le parti, in quanto presenti al compimento dell'atto, avrebbero dovuto eccepirne la nullita' immediatamente dopo, ai sensi dell'articolo 182 c.p.p., e al momento della chiusura del dibattimento (si veda pg. 80 della sentenza di appello). In tal modo, la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un error in procedendo, applicando al caso di specie un principio, costantemente applicato dalla giurisprudenza, ma con riguardo alla diversa ipotesi di revoca della prova orale gia' ammessa. A fronte della mancata ammissione ab origine delle prove testimoniali indicate dagli imputati, la nullita' dell'ordinanza, essendo a regime intermedio e collocandosi nella fase del giudizio, era stata correttamente eccepita con l'impugnazione della sentenza. 7.2. Ulteriore argomento adotto dalle difese dei ricorrenti attiene alla manifesta contraddittorieta' della motivazione con la quale la Corte di appello ha ritenuto di condividere l'esclusione di gran parte dei testi indicati dalle difese, ritenendo che l'ordinanza del Tribunale avrebbe comportato un "implicito" rigetto delle richieste di prova orale stante la superfluita' della stessa, anche con riguardo al collegamento tra la spesa contestata "l'attivita' politica del consigliere, i suoi rapporti con la base elettorale e le organizzazioni territoriali" (si vedano pg. 79-81 della sentenza). Deducono i ricorrenti che, invero, l'oggetto delle testimonianze, proprio perche' concernente il collegamento tra la funzione ricoperta ed il contesto nell'ambito del quale la spesa veniva sostenuta, ricadeva su un profilo probatorio centrale e necessario per ritenere o escludere la sussistenza del reato. Premesso che le spese sostenute - specie quelle per ristorazione - sono per loro natura "neutre", la prova testimoniale costituiva il mezzo tipico mediante il quale gli imputati potevano riempire di contenuto il mero documento contabile e dimostrare la legittimita' della spesa. 7.3. Ulteriore contraddittorieta' della motivazione e' stata dedotta in ordine al fatto che la Corte di appello, pur dando atto del fatto che, secondo la prassi invalsa, i rimborsi venivano elargiti a seguito della mera presentazione della documentazione di spesa, avrebbe erroneamente negato la necessita' dell'istruttoria orale, nonostante questo fosse l'unico strumento mediante il quale gli imputati, a distanza di anni e non essendo tenuti alla conservazione di documentazione comprovante l'attivita' svolta, potevano dimostrare la legittimita' della spesa (ricorso (OMISSIS)). 8. L'individuazione delle spese ammesse a rimborso. Questione proposta da una pluralita' di ricorrenti, sia pur con diversita' di prospettive ed impostazioni, e' quella concernente l'esatta individuazione delle spese ammesse a rimborso. In particolare, si e' sostenuto che la Corte di appello avrebbe dato una lettura riduttiva e non conforme alla legislazione regionale in materia del novero delle spese suscettibili di rimborso, ritenendo che sarebbero tali solo quelle collegate ad un incontro istituzionale ed organizzato dal Gruppo consiliare di appartenenza. Sarebbero, pertanto, sicuramente insuscettibili di rimborso tutte quelle spese sostenute dai singoli consiglieri e connesse non solo all'attivita' prettamente politica, ma anche allo svolgimento del mandato consiliare che si manifestava in forme essenzialmente individuali ed al di fuori di iniziative concordate dal Gruppo. Secondo l'impostazione recepita nella sentenza di appello, pertanto, non erano rimborsabili le spese relative al mantenimento dei rapporti tra i singoli Consiglieri ed i territori regionali, come pure il confronto con la societa' civile, con specifiche categorie di soggetti interessati dall'attivita' normativa del Consiglio regionale e con gli organi di informazione. 8.1. Avverso tale impostazione e' stato in primo luogo evidenziato come la Legge Regionale 27 ottobre 1972, n. 34 e Legge Regionale 7 maggio 1992, n. 17, non contengono affatto un elenco tassativo delle spese rimborsabili, bensi' enucleano quelle che sono le categorie di maggior ricorrenza, salvo restando che il presupposto del rimborso sarebbe costituito dalla mera "inerenza" della spesa rispetto all'espletamento del mandato consigliare. Quanto detto, comporterebbe che la Corte di appello avrebbe errato nel valutare le singole spese raffrontandole con le esemplificazioni contenute nelle predette leggi, mentre avrebbe dovuto verificare in concreto l'inerenza della spesa all'attivita' svolta dal singolo Consigliere. La Corte di appello si sarebbe sottratta a tale onere, limitandosi ad affermare che il dato oggettivo legittimamente la spesa dipenda dall'esistenza di una "iniziativa" del gruppo, in assenza della quale l'attivita' del singolo Consigliere, pur se inerente alle funzioni svolte, non poteva comportare l'imputazione dell'esborso ai fondi regionali 8.2. Ulteriore equivoco nel quale sarebbe incorsa la Corte di appello risiederebbe nell'aver acriticamente equiparato l'attivita' partitica all'attivita' politica del gruppo, omettendo di considerare che mentre la prima e' volta essenzialmente all'affermazione del partito di appartenenza, la seconda e' insita nello svolgimento del ruolo di Consigliere regionale, nella misura in cui questi e' portatore di istanze politiche (da intendersi quale selezione degli interessi e delle modalita' di perseguimento degli stessi) nell'ambito dell'assemblea regionale (profilo dedotto, in particolare, da (OMISSIS)). 8.3. Occorre segnalare, inoltre, l'argomentazione prospettata principalmente dal ricorrente (OMISSIS) che tuttavia, pur se formulata in maniera implicita, e' comune anche ad altri ricorrenti (in particolare (OMISSIS) e (OMISSIS)). Si e' sostenuto che la Corte di appello ha dato una lettura parziale della disciplina in tema di contributi regionali, omettendo di valorizzare quanto previsto dall'arti della Legge Regionale n. 17 del 1992, secondo la quale i contributi potevano essere utilizzati non solo dal gruppo consiliare in quanto tale, ma anche dai singoli Consiglieri i quali, con riferimento all'attivita' di "informazione e comunicazione" erano legittimati ad organizzare il proprio le attivita' ritenute utili. La Corte di appello avrebbe omesso di confrontarsi con tale norma, non specificando il contenuto dell'attivita' di "informazione e comunicazione", ritenendo che le spese rimborsabili fossero solo quelle riferite ad iniziative assunte dal Gruppo ed omettendo di valutare come la richiamata normativa consentisse espressamente anche lo svolgimento della "promozione istituzionale" propria di ciascun Consigliere. Sulla base di tale prospettazione, ne conseguirebbe l'erroneita' del ragionamento induttivo operato dalla Corte di appello, secondo cui sarebbero oggetto di appropriazione tutte le somme per le quali mancherebbe un collegamento funzionale con la rappresentanza del gruppo, proprio perche' la legislazione regionale consentiva il rimborso delle spese concernenti l'attivita' svolta direttamente dal Consigliere ed inerenti al mandato, senza che cio' comportasse necessariamente un'iniziativa del gruppo di appartenenza. 8.4. Sempre con riguardo all'individuazione delle spese ammesse a rimborso, ulteriori censure comuni riguardano la dedotta duplicazione tra i rimborsi per trasporto e ristorazione rispetto alle diarie riconosciute al Consigliere. Sul punto i ricorrenti hanno dedotto che non vi fosse alcuna duplicazione, posto che la diaria concerneva l'attivita' del Consigliere svolta nell'ambito delle attribuzioni proprie dell'attivita' consiliare, mentre le spese di trasporto e ristorazione sostenute nell'esercizio dell'attivita' "esterna", in quanto direttamente funzionali all'organizzazione dei gruppi, erano autonomamente rimborsabili. 8.5. Questione analoga viene posta anche in relazione alle spese sostenute per il costo del personale di staff e segreterie, avendo la Corte di appello erroneamente ritenuto che per tali voci i consiglieri avevano a disposizione un contributo omnicomprensivo, sicche' qualsivoglia rimborso di spese ulteriori doveva ritenersi non consentito. In tal modo, non si sarebbe tenuto conto del fatto che le spese, a prescindere dalla regolarita' contabile, non erano state comunque dettate da finalita' privatistiche. Inoltre, con il primo motivo di ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), si deduce che le spese contestate riguarderebbero rimborsi disposti non gia' in favore della (OMISSIS), bensi' di collaboratori volontari che, sia pur in assenza di un formale contratto di lavoro, prestavano la loro attivita' in favore del gruppo. 8.6 Taluni ricorsi hanno, inoltre, dedotto specifiche censure in relazione a singole spese. Nell'ambito dell'ampio primo motivo di ricorso formulato nell'interesse di (OMISSIS), si deduce specificamente l'erronea valutazione di non rimborsabilita' della spesa sostenuta per l'acquisto di tre cellulari, motivata dalla Corte di appello sul presupposto che i beni non fossero stati inventariati e che, comunque, si trattava di beni non necessari, posto che ai Consiglieri regionali era stato gia' dato in un uso un telefono cellulare. Il ricorrente contesta che il giudice di merito sia intervenuto a sindacare l'opportunita' della spesa, escludendo che un Consigliere regionale potesse legittimamente decidere di avvalersi di piu' telefoni. 8.6.1 Nel contesto del piu' ampio quinto motivo volto a censurare l'inversione dell'onere probatorio e la mancata ammissione dei testi a difesa, il ricorrente (OMISSIS) ha espressamente contestato, oltre alla ricostruzione relativa alla non spettanza del rimborso per spese di ristorazione, anche la ritenuta incompatibilita' con le finalita' istituzionali di un rimborso per spese di ristorazione datato 15 agosto, sul mero presupposto che la giornata festiva fosse incompatibile con l'attivita' di rappresentanza. Sostiene il ricorrente che in quell'occasione ebbe modo di incontrare i consiglieri comunali di (OMISSIS), ove risiedeva. Contesta, inoltre, le spese per libri ammontante ad Euro 262,00 riferendo che si trattava di acquisti per esigenze di aggiornamento, nonche' per offrire un modesto omaggio ai partecipanti ad incontri politico-istituzionali. Infine, contesta anche la spesa di Euro 11,00 per taxi, evidenziando come si trattasse di una spesa portata a rimborso una sola volta e sostanzialmente irrilevante. 8.6.2 Con il nono motivo di ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), si deduce violazione di legge in ordine alla ritenuta configurabilita' del reato di peculato con riguardo alle consumazioni di pranzi presso il ristorante "(OMISSIS)". In particolare, il ricorrente eccepisce che la Corte di appello avrebbe errato nell'escludere l'inerenza di tale spesa al "funzionamento" del gruppo, non considerando che si trattava di spese autorizzate dal capogruppo e finalizzate a consentire la preparazione dell'attivita' consiliare. Peraltro, la mera sottoscrizione della ricevuta costituiva una mera attestazione della sua presenza, senza che cio' abbia comportato richieste di rimborso e l'effettiva percezione di somme di denaro. 8.6.3 Nell'ambito del complessivo motivo di ricorso (n. 4) dedicato all'individuazione delle spese suscettibili di rimborso, (OMISSIS) ha sollevato puntuali contestazioni in ordine alla ritenuta esclusione di determinate spese tra quelle collegate allo svolgimento di attivita' esterna svolta in qualita' di Consigliere. In particolare, contesta che alcune ricevute non riguardavano, come sostenuto dai giudici di merito, un singolo pasto, bensi' una consumazione per piu' persone. In altri casi, invece, il ricorrente ha prodotto documentazione a riprova degli incontri svolti sul territorio e collegati all'attivita' consiliare. 8.6.4 Con il quarto motivo di ricorso (OMISSIS) deduce l'"errore logico" nella valutazione della illiceita' della spesa di pernotto dell'11/9/2010 presso il (OMISSIS) attesa l'attestazione scritta del citato Patronato da cui risulta che il (OMISSIS) non venne mai ospitato presso tale struttura. Con il quinto motivo deduce analogo vizio con riferimento alle spese di pernotto presso (OMISSIS) nei giorni 20/11 e 25/11, giustificate dalla partecipazione del (OMISSIS) alla trasmissione televisiva (OMISSIS) in onda su Rai 1 in cui fu invitato ad esporre i progetti nelle politiche agricole regionali di cui si occupava nel gruppo consiliare (OMISSIS). Il (OMISSIS) non ha potuto dimostrare tale circostanza a causa della riduzione della lista testimoniale da parte del Tribunale; la Corte territoriale ha peraltro affermato la illiceita' tout court di tale spese considerandola attivita' di autopromozione. Con l'ottavo motivo di ricorso (OMISSIS) deduce, inoltre, il vizio di mancata applicazione dell'attenuante di cui all'articolo 323-bis c.p., posto che nel giudizio contabile il danno ascritto al (OMISSIS) e' stato quantificato in Euro 13.768,88. 8.6.5 Con il primo motivo di ricorso (OMISSIS) ha dedotto i vizi di violazione dell'articolo 314 c.p. e manifesta illogicita' della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del delitto di peculato in relazione alle c.d. spese informatiche rimborsate all'imputato. Come dichiarato dallo stesso (OMISSIS) all'udienza dell'8 marzo 2017, dette spese erano destinate a dotare i suoi quattro collaboratori di strumenti tecnologici idonei a lavorare in sinergia con questo (effettuando ricerche, preparando materiale che veniva caricato sul suo sito internet, integrando la mailing list) ed a diffondere nel territorio notizie dell'attivita' svolta. Tali spese sono state ritenute astrattamente pertinenti dal Tribunale che ha, comunque, affermato la responsabilita' del (OMISSIS) in considerazione della mancata inventariazione di detti beni all'atto dell'acquisto e della loro mancata riconsegna. Tale ultimo assunto e' stato contestato con l'atto di appello al quale e' stata allegata la "lettera del gruppo Consiliare Lombardia" del 25/2/2014 da cui risulta che detti beni sono stati inventariati alla data del 25/272014 e dunque erano nella disponibilita' del Gruppo (OMISSIS). In relazione a tale profilo si deduce l'illogicita' della motivazione della sentenza impugnata che laddove non desume da tale lettera la prova della restituzione dei beni da parte dell'imputato. 8.6.6 Con l'ottavo motivo di ricorso (OMISSIS) deduce violazione di legge in relazione al ritenuto concorso nella condotta commessa dal capogruppo (OMISSIS) (capo 61), atteso che la sottoscrizione sporadica della ricevuta dei pranzi "(OMISSIS)" non costituiva autorizzazione della spesa ma attestazione della propria presenza e di quella altrui, preliminare alla procedura di controllo. Il controllo e la successiva autorizzazione non spettavano infatti al (OMISSIS) ma alla struttura amministrativa del Gruppo. 8.6.7 Con il secondo motivo di ricorso (OMISSIS) ha dedotto il vizio di violazione di legge nella parte in cui la sentenza ha escluso che la L. 20 luglio 2008, n. 20, articolo 67 consentisse ai gruppi di trasferire risorse dal fondo di funzionamento del gruppo a quello per le spese di retribuzione del personale ma solo in base ad un apposito trasferimento ed incremento del fondo per il personale, requisito che non e' previsto dalla legge. 9. Insussistenza dell'elemento soggettivo ed errore sul fatto. I ricorrenti hanno dedotto il vizio di motivazione e violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Corte di appello nel disconoscere la mancanza del dolo in capo agli imputati. Si assume che i rimborsi erano stati chiesti sulla base delle puntuali indicazioni ricevute dai funzionari regionali preposti al controllo ed all'erogazione delle somme, i quali avevano sempre fatto affidamento su prassi consolidate e criteri ritenuti validi anche in precedenti legislature. Segnalano concordemente i ricorrenti che, all'atto del loro insediamento, avevano ricevuto un apposito vademecum, contenente specifiche indicazioni in ordine sia alle spese per le quali era possibile ottenere il rimborso, sia alla documentazione di supporto che doveva essere prodotta. Il fatto che gli imputati si fossero costantemente attenuti alla prassi amministrativa consolidata, nonche' alle indicazioni appositamente impartite sul punto fin dall'insediamento, dimostrerebbe l'assoluta buona fede nel richiedere i rimborsi. La Corte di appello non avrebbe adeguatamente valorizzato tali elementi e, con argomentazioni contraddittorie, ha affermato che il vademecum conteneva indicazioni generiche, ma, al contempo, ne ha richiamato il contenuto per giustificare la non inerenza delle spese portate a rimborso. 9.1. Erronea sarebbe stata anche la valutazione sull'effettivita' dei controlli, non avendo la Corte di appello considerato che non tutte le richieste di rimborso erano accolte, a dimostrazione di come i Consiglieri potevano far legittimo affidamento sul fatto che, ove pure fossero state indicate spese non inerenti, le stesse non sarebbero state rimborsate. Per converso, il mancato rilievo da parte dei funzionari amministrativi preposti al controllo aveva determinato l'assoluta convinzione circa la legittimita' dei rimborsi e la corretta individuazione delle categorie di spese per le quali era possibile attingere ai fondi assegnati ai gruppi. Si assume, infine, che non sarebbero pertinenti i richiami alla giurisprudenza della Corte dei Conti, posto che in quel giudizio la responsabilita' presuppone la colpa e non la dolosa distrazione nell'uso dei fondi pubblici. 9.2. Secondo una prospettazione comune a gran parte dei ricorrenti, nel caso di specie sarebbe stato configurabile un errore su legge diversa da quella penale che, ai sensi dell'articolo 47 c.p., comma 3, escluderebbe la punibilita'. Si censura la motivazione recepita dalla Corte di appello, secondo cui nel caso di specie non si verterebbe in tema di errore su legge extrapenale, bensi' nell'ipotesi di errore su legge richiamata dalla norma incriminatrice e, quindi, integrativa della stessa, rispetto alla quale l'errore non rileverebbe se non nei limitatissimi casi di cui all'articolo 5 c.p.. I ricorrenti contestano tale ricostruzione, deducendo che l'errore non concernerebbe il profilo normativo, rappresentato dalla necessaria inerenza delle spese all'esercizio del mandato, bensi' sul dato fattuale relativo al fatto che le spese erano state sostenute in un contesto comunque ricollegabile all'attivita' esterna svolta dai singoli Consiglieri. Si tratterebbe, quindi, non gia' di un errore sulla nozione di "spese di rappresentanza", bensi' nella erronea percezione, in punto di fatto, di determinati contesti come rientranti nell'attivita' esterna svolta dai gruppi e dai singoli Consiglieri. 9.3. Strettamente collegato al profilo inerente la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato e' la doglianza concernete la mancata valorizzazione dei mutamenti giurisprudenziali intervenuti, dopo la commissione dei fatti, in ordine all'esatta individuazione degli elementi costitutivi del delitto di peculato, con specifico riferimento all'indebito utilizzo di somme di denaro da parte dei Consiglieri regionali. E' stato sottolineato come, all'epoca dei fatti, la giurisprudenza di legittimita' era assestata sul principio affermato con la sentenza "Tretter", nella quale era stata esclusa la configurabilita' del peculato nel caso di impiego dei fondi "per sostenere spese di propaganda politica o di rappresentanza (nella specie, per l'acquisto di materiale propagandistico e di oggetto-regalo di modesto valore per gli elettori, per pranzi e rinfreschi in occasione di incontri pre-elettorali), trattandosi di attivita', benche' non istituzionali, comunque legate da nesso funzionale con la vita e le esigenze del gruppo" (Sez.6, n. 33069 del 12/5/2003, Rv. 226531). Evidenziano i ricorrenti che solo per effetto di un'evoluzione giurisprudenziale sopravvenuta a distanza di anni dal compimento dei fatti per i quali si procede, la Cassazione aveva rivisitato, in senso maggiormente rigoroso, i principi sostenuti nella sentenza "Tretter". La Corte di appello, pertanto, nel valutare l'elemento soggettivo avrebbe dovuto tener conto di tale evoluzione giurisprudenziale, rilevante al fine di stabilire se - al momento del fatto - gli imputati potessero o meno avere effettiva consapevolezza della illegalita' della loro condotta. Il ricorso proposto da (OMISSIS). 10. Una considerazione a parte va riservata, per la peculiarita' delle questioni proposte rispetto a quelle dedotte dagli altri imputati, al ricorso proposto da (OMISSIS) nel quale sono stati dedotti tre motivi di ricorso. 10.1 Con il primo e secondo motivo, si deduce il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del concorso doloso nel reato di peculato commesso con i capogruppo (OMISSIS) e (OMISSIS)- (OMISSIS). Ai predetti si contesta di aver indebitamente ottenuto il rimborso dei pranzi sostenuti presso il ristorante "(OMISSIS)", trattandosi di consumazioni svolte al di fuori di qualsivoglia evento esterno, al quale partecipavano solo i Consiglieri. Sostiene il ricorrente che le spese in questione avvenivano nell'ambito di una convenzione stipulata con il predetto ristorante, abitualmente frequentato dai Consiglieri in quanto vicino alla sede regionale. Per effetto della convenzione, i singoli Consiglieri si limitavano a sottoscrivere le ricevute senza anticipare la spesa; successivamente le ricevute venivano direttamente inviate all'ufficio di presidenza che procedeva al rimborso, imputando la relativa spesa alla quota di rimborso prevista per ciascun Consiglieri. Sostiene il ricorrente che i pranzi in questione si svolgevano nelle pause di lavoro dell'ordinaria attivita' consiliare ed erano momenti di lavoro e confronto, sicche' non poteva certamente sostenersi la finalita' privatistica della spesa. Inoltre, si contesta anche la configurabilita' di un contributo morale rispetto al reato di peculato, sul presupposto che (OMISSIS) si era limitato ad apporre una firma sulle ricevute, seguendo una prassi ultradecennale e con il conforto e l'avallo del Presidente del gruppo e dell'ufficio preposto al controllo. 10.2. Con il terzo motivo, inoltre, deduce il vizio di motivazione in relazione all'eccessivo aumento disposto a titolo di continuazione. Le questioni sul trattamento sanzionatorio. 11. Nell'interesse degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente con i motivi di ricorso indicati sub D) ed E), e' stata dedotta la violazione dell'articolo 62-bis c.p. sul presupposto che la riduzione della pena, in considerazione del riconoscimento dell'attenuante, non e' avvenuta nella sua massima estensione, nonostante il contributo conoscitivo offerto dai ricorrenti. 11.1 Nell'interesse dell'imputato (OMISSIS), oltre ai motivi comuni gia' illustrati, con il settimo motivo di ricorso si deduce il vizio di motivazione con riguardo alla determinazione degli aumenti a titolo di continuazione. In particolare, si lamenta l'omessa indicazione del reato piu' grave, nonche' la mancanza di motivazione sugli aumenti disposti per ciascun reato posto in continuazione. 11.2 Con il quarto motivo (OMISSIS) ha dedotto la violazione dell'articolo 133 c.p. in relazione alla riduzione della pena non nella misura proporzionale di un terzo, nonostante la prescrizione del reato in relazione all'anno 2008, in relazione al quale le spese rimborsate erano pari ad un terzo di quelle totali ascritte all'imputato. 11.3 Anche nel ricorso proposto da (OMISSIS) si censura l'eccessivita' del trattamento sanzionatorio ed omessa motivazione su invocata riduzione del trattamento sanzionatorio e su aumento a titolo di continuazione. In particolare, con il quarto motivo deduce la violazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2, censurando: a) l'eccessivita' del trattamento sanzionatorio; b) le statuizioni civili e la somma ingente assegnata a titolo di provvisionale di cui chiede la revoca o la sospensione. 11.4 Con il primo motivo di ricorso (OMISSIS) deduce i vizi di violazione di legge e contraddittorieta' della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della continuazione tra i reati oggetto della sentenza impugnata (capi 6, 50 e 61) e quelli di cui alla sentenza di condanna n. 6297/13 della Corte di appello di Milano in quanto relativa a reati della medesima natura (peculato e truffa in danno della Regione Lombardia) commessi dall'imputato nella qualita' di consigliere regionale nel periodo immediatamente antecedente (2006-2008). E' erronea al riguardo la considerazione espressa dalla sentenza impugnata in merito alla impossibilita' per il (OMISSIS) di prevedere la propria rielezione e, dunque, di programmare gli ulteriori reati, in quanto, (OMISSIS) era gia' consigliere regionale alla data del 2006 e la 8 legislatura e' durata dal 3 aprile 2005 fino al 10 maggio 2010 per cui non era necessaria alcuna previsione di elezione. 11.5 Con i motivi 10-11 (OMISSIS) deduce i vizi violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al riconoscimento della continuazione interna in relazione ad ogni singolo rimborso ed alla continuazione esterna in relazione al reato di cui al capo 61. Se si accede alla tesi della disponibilita' giuridica del denaro, la condotta deve essere considerata unitariamente in relazione al fatto che l'erogazione dei fondi al singolo consigliere avveniva in un'unica soluzione e su base annuale. Il momento consumativo del reato va dunque individuato in quello di elargizione del rimborso e non in quello di anticipazione della singola spesa. Quindi si tratta di una condotta unitaria sia in relazione alla sottoscrizione delle ricevute dei pranzi (OMISSIS) (capo 61 in concorso con il capogruppo) che per le altre voci di spesa. Con i motivi 12-13) l'imputato deduce i vizi di travisamento della prova in ordine all'intervenuto risarcimento del danno e violazione di legge con riferimento al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6, illogicita' della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio e mancanza di motivazione in merito alla possibilita' di concedere le attenuanti generiche nella misura massima. Nonostante la produzione, a sostegno dei motivi di appello, della documentazione attestante l'avvenuto rimborso del danno erariale, comprensivo di interessi e spese, ed il versamento "volontario" di Euro 3940,06, per un totale di Euro 74.293,30 oltre Euro 1990,53 per le spese di giudizio, la sentenza impugnata, omettendo ogni valutazione al riguardo, ha escluso la possibilita' di una rideterminazione del trattamento sanzionatorio in senso favorevole al (OMISSIS) in considerazione dell'entita' del danno cagionato, della reiterazione delle condotte (gia' considerate ai fini della continuazione), della natura voluttuaria delle spese e dell'assenza di qualsiasi condotta riparatoria nonostante l'intervenuta condanna in sede contabile. Le questioni relative alle statuizioni civili. 12. (OMISSIS) deduce un motivo unico avverso le sole statuizioni civili deducendo vizi cumulativi di violazione di legge e di mancanza e manifesta illogicita' della motivazione nella parte in cui ha escluso la sussistenza di elementi per pervenire ad una pronuncia favorevole all'imputato in considerazione del fatto che la norma in vigore all'epoca dei fatti, Legge Regionale n. 20 del 2008, articolo 67, comma 9, non richiedeva alcun titolo ai fini dell'assunzione come collaboratori esterni. 12.1 Con i motivi 19-20 (OMISSIS) deduce la violazione dell'articolo 185 c.p. con riferimento al riconoscimento del danno patrimoniale alla parte civile e vizio di motivazione in merito al mancato riconoscimento del risarcimento del danno erariale. Si reitera la censura sulla erronea individuazione del danno risarcibile nella misura pari alle somme oggetto di indebita appropriazione ed al pregiudizio cagionato al buon andamento della Pubblica Amministrazione, trattandosi di danno di esclusiva competenza della Corte dei conti e gia' risarcito in tale sede. Si deduce, pertanto, anche la illegittimita' della provvisionale determinata nella misura ari al 50% delle somme oggetto di indebita appropriazione. Poiche' il danno erariale e' stato gia' risarcito in sede contabile, si censura la violazione del ne bis in idem. Le memorie e i motivi aggiunti. 13. Con memoria trasmessa unitamente al mandato difensivo, l'avv. Avidano Alberto, codifensore di (OMISSIS), ha presentato i seguenti motivi aggiunti: - Violazione di legge in relazione alla erronea qualificazione giuridica della condotta ascritta ai capi 43 e 61, da sussumere nel reato di cui all'articolo 640 bis c.p. o in subordine in quello di cui all'articolo 316-ter c.p. non avendo il (OMISSIS) la disponibilita' del denaro. In relazione a tale motivo si eccepisce la prescrizione del reato. - Mancanza di motivazione sulla configurabilita' di un concorso doloso del (OMISSIS) nella condotta del Presidente del gruppo consiliare. 13.1 Con memoria depositata il 7/6/2022, pervenuta il 17/6/2022, il difensore di (OMISSIS) ha ulteriormente illustrato i primi due motivi di ricorso insistendo per il suo accoglimento. 13.2 Con memoria trasmessa il 10/6/2022 il difensore di (OMISSIS) ha presentato un motivo aggiunto deducendo il vizio di violazione di legge in relazione alla qualificazione giuridica della condotta come peculato anziche' a sensi dell'articolo 316-ter c.p. rispetto al quale, ad avviso della difesa, difetterebbe, comunque, l'elemento psicologico del reato. 13.3 Il difensore di (OMISSIS) ha depositato memoria illustrando ulteriormente i motivi di ricorso; in particolare si prospetta la possibile riqualificazione della condotta ai sensi dell'articolo 640-bis c.p. o dell'articolo 316-ter c.p.. Con riferimento alle censure relative alla ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico doloso, si insiste sull'applicazione retroattiva di un principio di diritto difforme da quello affermato dalla giurisprudenza di legittimita' all'epoca dei fatti in tema di spese rimborsabili (si richiama nuovamente la sentenza Tretter) che ha legittimato l'affidamento dell'imputato sulla correttezza e liceita' del proprio operato con inevitabili ricadute in termini di accessibilita' e prevedibilita' della sanzione. Sotto tale profilo si insite sulla configurabilita' dell'errore ai sensi dell'articolo 47 c.p.. 13.4 Con memoria del 13 giugno 2022 il difensore di (OMISSIS) ha illustrato ulteriormente i motivi di ricorso allegando documentazione a sostegno delle argomentazioni esposte (ovvero, programma convegno a Venezia dal 23 al 25 giugno 2011; ricevute spese sostenute personalmente dall'imputato). In particolare, quanto al secondo motivo, si deduce che il ragionamento della Corte territoriale e' viziato in quanto introduce un requisito formale non previsto dalla legge e una inversione dell'onere della prova. Si segala, altresi', che anche la Corte dei Conti ha ritenuto legittime le spese per i pasti dei collaboratori e che il contenuto della sentenza e' stato travisato dalla Corte territoriale. Sempre in relazione a tali spese si censura il passaggio della sentenza sulla loro non rimborsabilita' in considerazione del fatto che il D.P.C.M. 21 dicembre 2012 e' successivo ai fatti per cui si procede. Segnala, infatti, la difesa che la stessa Corte dei Conti ha ritenuto le spese del 2012, antecedenti detto D.P.C.M., rimborsabili. 14. Il Sostituto Procuratore Generale, Dott. Morosini Piergiorgio, ha depositato una requisitoria scritta, da considerare come memoria, con la quale ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi presentati da (OMISSIS) e (OMISSIS) e per il rigetto di tutti gli altri ricorsi. 15. La parte civile, Regione Lombardia, ha depositato memoria in cui ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi degli imputati nei cui confronti permane la costituzione di parte civile. 16. All'udienza del 28 giugno 2022, in considerazione dell'adesione all'astensione dalle udienze proclamata dalle Camere penali da parte della maggior parte dei difensori, e' stato disposto il rinvio all'odierna udienza con la dichiarazione di sospensione dei termini di prescrizione per tutti gli imputati. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Preliminarmente, occorre dichiarare l'inammissibilita' dei ricorsi proposti nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS). Per quanto concerne il primo, si rileva la tardivita' del ricorso, posto che la sentenza impugnata era stata depositata il 6 ottobre 2021 e il termine assegnato per il deposito della motivazione, pari a 90 giorni, scadeva il successivo 11 ottobre; calcolando il termine per impugnare pari a 45 giorni, ne consegue che il termine ultimo e' maturato il 25 novembre 2021, mentre il ricorso risulta depositato mediante PEC - il 13 gennaio 2022. 1.1 Diverse le ragioni che, invece, rendono inammissibile il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS). Con attestazione apposta dalla cancelleria della Corte di appello di Milano, risulta che il ricorso, presentato a mezzo PEC, risulta sottoscritto digitalmente, mentre difetta la sottoscrizione tanto della nomina del difensore, che degli allegati al ricorso. La disciplina emergenziale, che ha consentito la proposizione dei mezzi di impugnazione mediante PEC, ha introdotto specifici requisiti, previsti a pena di inammissibilita', finalizzati a garantire la certezza e la regolarita' degli atti inoltrati per via telematica. Il Decreto Legge 29 ottobre 2020, articolo 24, cosi' come modificato in sede di conversione dalla L. 28 dicembre 2020, n. 176, al comma 6-bis prevede che " l'atto in forma di documento informatico e' sottoscritto digitalmente...omissis... e contiene la specifica indicazione degli allegati, che sono trasmessi in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore per conformita' all'originale"; il successivo comma 6-sexies, lettera b), precisa ulteriormente che l'impugnazione e' inammissibile "quando le copie informatiche per immagine di cui al comma 6-bis non sono sottoscritte digitalmente dal difensore per conformita' all'originale". La giurisprudenza - Sez. 6, n. 37704 dell'11/7/2022 - ha gia' avuto modo di pronunciarsi sulla norma in questione e, nell'evidente finalita' di contenerne il formalismo, ha affermato che non costituisce causa di inammissibilita' dell'impugnazione la mancata sottoscrizione digitale da parte del difensore degli allegati che siano autonomi ed indipendenti rispetto al contenuto dell'atto di impugnazione (fattispecie in cui la mancata sottoscrizione riguardava una certificazione medica allegata ad una richiesta di differimento dell'udienza). Seguendo tale impostazione, l'inammissibilita' si verifica solo qualora la mancata sottoscrizione da parte del difensore per conformita' all'originale delle copie informatiche allegate al ricorso riguardi atti che devono tuttavia essere essenziali ai fini della completezza e al perfezionamento dell'impugnazione proposta. Quest'ultima ipotesi ricorre sicuramente nel caso di specie, nel quale difetta la sottoscrizione digitale della nomina del difensore, elemento evidentemente necessario a garantire la conformita' all'originale dell'atto e la conseguente legittimazione a proporre l'impugnazione. Per completezza, occorre aggiungere che nel vigore della disciplina emergenziale, l'inammissibilita' per mancanza di valida sottoscrizione digitale, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 24, comma 6-sexies, doveva essere dichiarata, anche d'ufficio, dal giudice del provvedimento impugnato. La mancata dichiarazione di inammissibilita' da parte della Corte di appello, tuttavia, non esclude il potere della Cassazione di rivalutare autonomamente la sussistenza di un motivo di inammissibilita' del ricorso. 2. Gli altri ricorsi, con l'unica eccezione delle posizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), pongono delle questioni comuni concernenti: a) la natura giuridica dei gruppi consiliari; b) la disponibilita' da parte dei consiglieri regionali del denaro del fondo per il funzionamento del gruppo consiliare; c) la qualificazione giuridica della condotta; d) la valutazione di non inerenza delle spese rimborsate e la ripartizione dell'onere della prova; e) la configurabilita' di un errore di errore di fatto idoneo ad escludere la punibilita' della condotta ai sensi dell'articolo 47 c.p.. Si procedera', pertanto, ad esaminare tali questioni comuni per poi procedere all'esame delle singole posizioni dei ricorrenti e degli eventuali ulteriori motivi di ricorso nei limiti di quanto necessario, nonche', da ultimo, all'esame delle specifiche posizioni degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS). 3. La natura giuridica dei gruppi consiliari. I gruppi consiliari sono stati qualificati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale come organi del Consiglio regionale e proiezioni dei partiti politici in assemblea regionale (cfr. Corte Cost. nn. 130 del 2014, 39 del 2014; 187 del 1990; n. 1130 del 1988), ovvero come uffici comunque necessari e strumentali alla formazione degli organi interni del consiglio (Corte Cost. n. 1130 del 1988). Essi pertanto contribuiscono in modo determinante al funzionamento e all'attivita' dell'assemblea, assicurando l'elaborazione di proposte, il confronto dialettico fra le diverse posizioni politiche e programmatiche, realizzando in una parola quel pluralismo che costituisce uno dei requisiti essenziali della vita democratica" (Corte Cost. n. 187 del 1990). Nello stesso senso Corte Cost. n. 107 del 2015 ha, inoltre, aggiunto, che l'attivita' di gestione amministrativa e contabile dei contributi pubblici assegnati ai gruppi consiliari e' funzionale all'esercizio della sfera di autonomia istituzionale che ai gruppi consiliari medesimi e ai consiglieri regionali deve essere garantita (sentenza n. 187 del 1990), affinche' siano messi in grado di "concorrere all'espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale e, in particolare, all'elaborazione dei progetti di legge, alla preparazione degli atti di indirizzo e di controllo, all'acquisizione di informazioni sull'attuazione delle leggi e sui problemi emergenti dalla societa', alla stesura di studi, di statistiche e di documentazioni relative alle materie sulle quali si svolgono le attivita' istituzionali del Consiglio regionale" (sentenza n. 1130 del 1988). La giurisprudenza delle Sezioni civili di questa Corte, ha avuto modo di precisare la duplice natura giuridica del gruppo consiliare regionale ritenuta, al pari di quella del gruppo parlamentare, privatistica limitatamente all'attivita' direttamente connessa alla matrice partitica dalla quale traggono origine, e pubblicistica, in rapporto all'attivita' che li attrae nell'orbita della funzione istituzionale del soggetto giuridico, assemblea parlamentare o regionale, nel cui ambito sono destinati ad operare (cfr. Cass. civ., Sez. U, n. 23257 del 31/10/2014, Rv. 632757; Sez. U., n. 3335 del 19/2/2004 con riferimento ai gruppi parlamentari). Ne consegue che, mentre con riferimento al primo piano di azione, i gruppi consiliari assumono una veste analoga a quella dei partiti politici di riferimento, allorche', invece, svolgono le attivita' strettamente correlate al funzionamento dell'assemblea regionale, assumono una natura pubblicistica, partecipando, quali strutture interne agli organi assembleari, all'esercizio della funzione legislativa pubblica. In considerazione di tale multiforme natura giuridica dei gruppi dei Consigli regionali, le Sezioni unite civili di questa Corte hanno, pertanto, affermato che la gestione dei fondi pubblici a questi erogati e' soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilita' erariale, sia perche' a tali gruppi - pur in presenza di elementi di natura privatistica connessi alla loro matrice partitica - va riconosciuta natura essenzialmente pubblicistica, in quanto strumentale al funzionamento dell'organo assembleare da essi svolta, sia in ragione dell'origine pubblica delle risorse e della definizione legale del loro scopo, senza che rilevi il principio dell'insindacabilita' di opinioni e voti ai sensi dell'articolo 122 Cost., comma 4, non estensibile alla gestione dei contributi (Sez. U, n. 5589 del 28/02/2020, Rv. 657218). In tale prospettiva, e' stata, pertanto, riconosciuta la qualifica di pubblico ufficiale al Presidente del gruppo consiliare regionale, in quanto partecipa alle modalita' progettuali e attuative della funzione legislativa, nonche' alla procedura di controllo del vincolo di destinazione dei contributi erogati al gruppo medesimo (Sez. 6, n. 1561 del 11/09/2018, dep. 2019, Fiorito, Rv. 274940; Sez. 6, n. 14580 del 02/02/2017, Narduzzi, Rv. 269536). Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riferimento ai consiglieri componenti del gruppo, in relazione a tutte le attivita' correlate all'esercizio della funzione pubblicistica e che trovano esplicazione per il tramite del gruppo stesso e delle iniziative che in tale ambito vengono assunte. 4. Il contributo per il funzionamento dei gruppi consiliari della regione Lombardia. La L. 6 dicembre 1973, n. 853, concernente l'autonomia contabile e funzionale dei Consigli Regionali a statuto ordinario, ha espressamente previsto, nell'ambito delle spese generali del Consiglio, i contributi per il funzionamento dei gruppi consiliari, inquadrati nell'ambito della categoria di spese per "Servizi degli organi statutari" (articoli 1 e 2). La L. n. 853 del 1973, articolo 3 ha, inoltre, rinviato alle specifiche leggi regionali gli stanziamenti da iscrivere nel capitolo di spesa relativo, tra l'altro, ai contributi in esame. Per quanto attiene alla Regione Lombardia, la specifica disciplina relativa all'erogazione del contributo per il funzionamento dei gruppi consiliari nel periodo in contestazione (anni 2008-2012) e' contenuta nella Legge Regionale 27 ottobre 1972, n. 34, in tema di provvidenze e contributi per il funzionamento dei gruppi consiliari, e nella Legge Regionale 7 maggio 1992, n. 17, contenente modifiche ed integrazioni alla L. n. 34 del 1972 ed alla Legge Regionale 23 giugno 1977, n. 31 relativa all'assegnazione di personale ai gruppi consiliari e norme in materia di rendiconto dei gruppi consiliari. Tali leggi sono state successivamente abrogate con decorrenza dal 1 luglio 2013 dalla Legge Regionale 24 giugno 2013, n. 3, articolo 23. Tuttavia, nel valutare le condotte contestate ai ricorrenti si fara' riferimento al quadro normativo, oggi abrogato, vigente all'epoca dei fatti. Dall'esame delle due leggi regionali del 1972 e del 1992 emerge, innanzitutto, che il contributo per il funzionamento di ciascun gruppo consiliare e' assegnato sulla base di una previa deliberazione consiliare che fissa: i criteri generali sui tempi e le modalita' delle erogazioni, la natura delle spese per cui i contributi possono essere utilizzati e le forme di rendicontazione periodica che, ove non eseguita nelle forme prescritte, comporta la sospensione delle erogazioni successive (Legge Regionale n. 34 del 1972, articolo 2, comma 2). Il contributo viene erogato mensilmente dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio, si compone di una quota fissa, uguale per ogni gruppo e tale da garantire le attivita' fondamentali, e da una quota commisurata, anche in modo non direttamente proporzionale, alla consistenza numerica di ogni singolo gruppo sulla base di una tabella allegata alla Legge Regionale n. 34 del 1972 (Legge Regionale n. 34 del 1972, articolo 2, comma 1). Analogo contributo spetta anche al gruppo misto, ma, in tal caso, il consigliere che, successivamente alla costituzione dei gruppi, aderisca al gruppo misto, non ha diritto alla quota costante mensile di cui alla tabella 1 punto 1 allegata alla Legge Regionale n. 34 del 1972 (articolo 2-bis). Ai sensi del successivo articolo 2-ter, comma 2, "Il contributo di cui al comma 1 e' erogato per il tramite del gruppo consiliare di appartenenza in base alle modalita' deliberate dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio". 4.1 La Legge Regionale del 1972 ha inizialmente vincolato la destinazione del contributo mensile per il funzionamento del gruppo consiliare alle seguenti finalita': a) assicurare l'espletamento del mandato consiliare; b) spese di formazione, aggiornamento, consulenze esterne occasionali, documentazione, rappresentanza, divulgazione e accesso e utilizzo delle nuove tecnologie (articolo 2-ter). Le finalita' del contributo in esame sono state successivamente estese dalla Legge Regionale n. 17 del 1992, articolo 1, comma 2, oltre che alle spese di funzionamento, di aggiornamento, studio e documentazione, anche alle attivita' di diffusione della conoscenza delle attivita' del gruppo attraverso azioni di informazione e comunicazione. Per tale ragione, il successivo comma 2-ter ha previsto la costituzione nel bilancio del Consiglio regionale di un fondo per la comunicazione dei consiglieri e dei gruppi consiliari le cui risorse sono assegnate annualmente dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio ai gruppi regionali secondo il criterio della consistenza numerica dei gruppi consiliari costituiti. Si demanda, infine, ad un regolamento dell'Ufficio di Presidenza la disciplina dell'utilizzo del fondo in esame in relazione al quale, il comma 2-bis della norma in esame prevede espressamente che "per le attivita' di informazione e comunicazione i gruppi consiliari o i singoli consiglieri possono organizzare le attivita' in proprio o acquistare direttamente sul mercato i servizi". Ai sensi dei successivi articoli 2 e 3 e', comunque, esclusa la possibilita' di utilizzare, anche parzialmente, i contributi erogati dal Consiglio regionale: - per finanziare direttamente o indirettamente le spese di funzionamento degli organi centrali o periferici di partiti o movimenti politici e delle loro articolazioni politiche e amministrative o di altri raggruppamenti interni ai partiti o ai movimenti (fatta salva la possibilita' per i gruppi di disporre pagamenti, a titolo di quota di partecipazione a spese effettivamente sostenute per specifiche e documentate iniziative svolte congiuntamente ed aventi ad oggetto materie che rientrano nella competenza regionale); - in favore di membri del parlamento nazionale o Europeo, dei consiglieri regionali, provinciali e comunali, dei candidati alle cariche predette, nonche' di coloro che rivestono cariche di presidenza, di segreteria e di direzione politica e amministrativa a livello nazionale, regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale, nei partiti politici, movimenti e loro articolazioni politico amministrative (con l'eccezione, tuttavia, dei pagamenti eseguiti a titolo di corrispettivo per collaborazioni o di rimborso di spese vive effettuate per acquisire collaborazioni di persone aventi particolare competenza o specifiche conoscenze utili allo svolgimento delle attivita' istituzionali del gruppo consiliare); per corrispondere ai consiglieri regionali compensi per prestazioni d'opera intellettuale o per qualsiasi altro tipo di collaborazione. La legge regionale del 1992 contiene, inoltre, una generica disposizione disciplinante le modalita' di erogazione del contributo in esame al singolo consigliere componente del gruppo, prevedendo un meccanismo fondato sull'anticipo del costo da parte dell'interessato e sul successivo rimborso delle spese "adeguatamente documentate" (articolo 2, comma 4). Spetta, infine, al presidente del gruppo consiliare redigere ed approvare, entro il 31 marzo di ogni anno, il rendiconto delle spese sostenute nell'anno precedente (Legge Regionale n. 17 del 1992, articoli 4 e 6); tale rendiconto e' soggetto al controllo dell'ufficio di presidenza del consiglio regionale che ne verifica la regolarita' della redazione, anche attraverso una interlocuzione con il presidente del gruppo al quale puo' chiedere chiarimenti e l'esibizione della documentazione relativa alle spese sostenute dal gruppo (articolo 7). Qualora non venga adempiuto l'obbligo di deposito del rendiconto ovvero emergano delle irregolarita', l'ufficio di presidenza dispone l'immediata sospensione del contributo assegnando un temine non superiore a trenta giorni per la regolarizzazione; qualora l'irregolarita' non sia sanata entro tale termine, l'ufficio di presidenza trattiene dai contributi relativi all'anno successivo una somma pari agli importi ritenuti non regolarmente spesi dal gruppo. 4.2 La specifica disciplina delle modalita' di erogazione dei contributi gravanti sul fondo per il funzionamento dei gruppi consiliari e sul fondo per la comunicazione e' stata adottata dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale della Lombardia con le delibere n. 192 del 19 giugno 2001 e n. 68 del 2 marzo 2009. Con la prima delibera e' stata disciplinata la modalita' di erogazione del contributo mensile spettante ai gruppi consiliari. Innanzitutto, all'articolo 1 viene specificata la destinazione del contributo mensile spettante a ciascun grippo consiliare per due categorie di spese: a) spese di funzionamento, di aggiornamento, di studio e documentazione nonche' per diffondere la conoscenza del gruppo consiliare; b) spese di formazione, di aggiornamento, di consulenze esterne occasionali, di documentazione, di rappresentanza, di divulgazione, di accesso e di utilizzo delle nuove tecnologie sostenute dai consiglieri regionali per l'espletamento del mandato consiliare. Si prevede, inoltre, che tali spese devono essere supportate da regolare documentazione e che i presidenti dei gruppi sono responsabili della regolarita' della documentazione prodotta e della corrispondenza della stessa alle finalita' sopra esaminate (articolo 6). La successiva delibera del 2 marzo 2009 contiene, invece, la disciplina delle modalita' di utilizzo del fondo per l'espletamento delle attivita' di informazione e comunicazione dei consiglieri e dei gruppi consiliari, istituito dalla Legge Regionale n. 17 del 1992, articolo 2-ter. Innanzitutto, all'articolo 1, comma 2, si ribadisce la previsione gia' contenuta all'articolo 1, comma 2-bis della citata legge regionale, che consente ai gruppi consiliari ai singoli consigliari di organizzare le attivita' di informazione e comunicazione in proprio o di acquistare direttamente sul mercato i servizi, secondo le modalita' definite da ciascun gruppo. In particolare, il successivo articolo 2 contiene una disciplina delle tipologie di attivita' rientranti nell'ambito delle attivita' di informazione e comunicazione. La norma prevede, infatti, che i gruppi consiliari o i singoli consiglieri possono: - organizzare attivita' ed eventi a rilevanza esterna o interna quali, ad esempio, convegni e seminari; tenere rapporti a tutti i livelli di responsabilita' con gli organi della stampa d'informazione quotidiana e periodica, della radio e della televisione, in ordine alla pubblicazione di articoli ed alla diffusione di notizie; organizzare conferenze stampa; - stendere e diffondere articoli e comunicati stampa; curare attivita' editoriali e di comunicazione multimediale; svolgere ogni altra attivita' similare, connessa e strumentale alle precedenti. Anche i contributi gravanti sul fondo in questione vengono erogati ai gruppi consiliari dalla competente struttura organizzativa in rate mensili l'ultimo giorno lavorativo di ogni mese, salva diversa richiesta formulata dal presidente del gruppo (articolo 6). Entrambi i regolamenti prevedono, inoltre, che le spese gravanti sui due fondi devono essere supportate da regolare documentazione e devono essere rendicontate dal presidente del gruppo consiliare, responsabile della regolarita' della documentazione prodotta e della sua rispondenza alle specifiche finalita' del contributo, secondo una disciplina analoga, quanto a termini per la redazione e approvazione del rendiconto (31 marzo di ogni anno) e poteri di verifica spettanti all'Ufficio di Presidenza, a quella generale contenuta nella Legge Regionale n. 17 del 1992 (cfr. articoli 4, 6, 7, 8). 5. Il trattamento economico dei consiglieri regionali Il trattamento economico dei consiglieri regionali e' regolato dalla Legge Regionale 23 luglio 1996, n. 17 (in vigore all'epoca dei fatti) e si compone di quattro voci: a) indennita' di funzione; b) diaria a titolo di rimborso spese; c) rimborso spese di trasporto sostenute per gli spostamenti dal comune di residenza a quello sede del consiglio regionale; d) indennita' e rimborso spese di missione. In particolare per quanto rileva in questa sede, va considerato che la L. n. 17 del 1996, articolo 6, nel disciplinare il trattamento di missione dei consiglieri regionali, prevede che per le missioni nel territorio regionale funzionali all'espletamento del mandato, per le quali il consigliere e' autorizzato di diritto, spetta un rimborso spese omnicomprensivo pari al 35% dell'indennita' di funzionale. Ove, invece, il consigliere regionale sia inviato in missione fuori dal territorio della Regione Lombardia, per l'espletamento delle funzioni esercitate o per ragioni delle cariche ricoperte, ai sensi del comma 1, sara' corrisposta: a) per le missioni all'estero, un'indennita' giornaliera di trasferta pari a quella stabilita per il personale dello stato compreso nel gruppo 2) della tabella A allegata al decreto del Ministro del tesoro del 24 maggio 1990 e successive modificazioni; b) per le missioni nel territorio nazionale, un'indennita' giornaliera di trasferta pari a quella stabilita per il personale dello Stato di cui alla lettera a); c) sia per le missioni all'estero che nel territorio nazionale, spetta il rimborso delle spese di alloggio, vitto e di trasporto effettivamente sostenute e documentate, previa contestuale riduzione dell'indennita' giornaliera di trasferta da determinarsi dall'ufficio di presidenza del consiglio regionale. Il successivo comma 3 disciplina, infine, il rimborso spettante al consigliere regionale per le attivita' connesse al mandato, ma non coperte da indennita' di missione, espletate nel territorio nazionale o presso le istituzioni dell'Unione Europea. La disciplina di tali voci sara' analizzata specificamente nel par. 12 dedicato all'esame delle tipologie di spese oggetto di imputazione. 6. Le spese per le segreterie e gli staff di assistenza ai consiglieri. La Legge Regionale 7 luglio 2008, n. 20, articolo 67 prevede, infine, che per lo svolgimento delle attivita' necessarie all'esercizio delle proprie funzioni i gruppi consiliari si avvalgono di specifiche unita' organizzative, denominate segreterie e staff assistenza ai consiglieri, scelte in virtu' di un rapporto di natura fiduciaria. Ai sensi del comma 3 le risorse finanziarie necessarie per l'acquisizione del personale per le segreterie di ciascun gruppo consiliare e per gli staff di ciascun consigliere sono determinate dall'Ufficio di Presidenza con riferimento ai limiti e alle disponibilita' di bilancio concernenti le spese dei gruppi consiliari. Il budget dei singoli gruppi viene diviso in due quote (segreteria e staff) quantificate secondo la tabella di cui al comma 5. Le specifiche disposizioni relative alle modalita' di assunzione del personale ed al rimborso delle spese sostenute dai consiglieri per il personale del proprio staff saranno esaminate nei paragrafi relativi ai motivi di ricorso proposti da (OMISSIS) e da (OMISSIS). 7. La disponibilita' del denaro. Una volta esaminata la disciplina regionale vigente all'epoca dei fatti, si puo' passare all'esame della questione relativa alla configurabilita' in capo ai singoli consiglieri del possesso del denaro conferito al gruppo di appartenenza a titolo di contributo per il suo funzionamento e per le attivita' di informazione e comunicazione. Come emerge dalla disciplina regionale sopra esaminata, il contributo veniva erogato direttamente al gruppo consiliare attraverso l'accreditamento degli importi su un conto corrente intestato al gruppo, in relazione al quale il potere di firma spettava al Presidente del gruppo stesso, cui competeva anche un potere di vigilanza da esercitare sia in via preventiva sulla documentazione presentata a corredo delle istanze di rimborso che in via successiva attraverso la redazione del rendiconto annuale delle spese. Dalla ricostruzione delle due sentenze di merito non risulta, inoltre, che i consiglieri avessero a disposizione una carta di credito "regionale", dovendo, in ogni caso, anticipare le singole spese per poi presentare, con cadenza mensile, l'istanza di rimborso corredata da adeguata documentazione. La sentenza impugnata, riprendendo le argomentazioni di quella di primo grado, ha ritenuto che, poiche' i consiglieri si limitavano a presentare una "autodichiarazione" corredata da documentazione contabile, che veniva sottoposta ad un mero controllo formale da parte della competente struttura amministrativa, limitato alla sola rispondenza della spesa a quelle rimborsabili, i singoli consiglieri avevano di fatto la disponibilita' giuridica del denaro agendo come ordinatori di spesa nei confronti della struttura amministrativa, che operava come "tesoreria" o cassa. 7.1 Ad avviso del Collegio tale inquadramento giuridico del rapporto consigliere-fondo per il funzionamento del gruppo non puo' essere condiviso, dovendosi differenziare le posizioni dei ricorrenti in ragione del ruolo rivestito e delle modalita' di consumazione della condotta appropriativa contestata. Come meglio si illustrera' di seguito, infatti, la rilevanza penale e la qualificazione giuridica delle condotte in esame deve essere accertata tenendo conto della diversa posizione dei presidenti dei gruppi rispetto ai singoli consiglieri, nonche' delle condotte poste in essere in concorso tra i predetti. Va, innanzitutto, premesso che, in linea generale, il consolidato orientamento di questa Corte, dal quale il Collegio non intende discostarsi, interpreta la nozione di possesso assunta dall'articolo 314 c.p. attribuendole un significato piu' ampio di quello civilistico. Si ritiene, infatti, non necessario che il pubblico ufficiale abbia la materiale detenzione o la diretta disponibilita' del denaro, essendo sufficiente la disponibilita' giuridica, ossia la possibilita' di disporne, mediante un atto di sua competenza o connesso a prassi e consuetudini invalse nell'ufficio, e di conseguire quanto poi costituisca oggetto di appropriazione (tra le tante, Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, Orsi, Rv. 257385; Sez. 6, n. 7492 del 18/10/2012, Bartolotta, Rv. 255529; Sez. 6, n. 11633 del 22/01/2007, Guida, Rv. 236146). Nella nozione di possesso qualificato dalla ragione dell'ufficio o del servizio e' stato, inoltre, ricompreso non solo quello che rientra nella competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, ma anche quello che si basa su un rapporto che consenta al soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio o nella disponibilita' della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o nel servizio anche la sola occasione per un tale comportamento (Sez. 6, n. 19424 del 3/5/2022, Grasso, Rv. 283161). La giurisprudenza di legittimita' ha ulteriormente ampliato la nozione penalistica di possesso con riferimento alle c.d. procedure complesse, quali le ordinarie procedure di spesa. Si e', infatti, ritenuto che il possesso del denaro della pubblica amministrazione puo' anche essere mediato e far capo congiuntamente a piu' pubblici ufficiali quando la disciplina di natura pubblicistica prevede che l'atto dispositivo sia di competenza di un organo collegiale ovvero richieda l'intervento di piu' organi (Sez. 5, n. 15951 del 16/1/2015, Bandettini, Rv. 263263; Sez. 6, n. 39039 del 15/4/2013, Malvaso, Rv. 257096). Si e', pertanto, affermato che l'inversione del titolo del possesso e la conseguente appropriazione del denaro, rilevante ai fini della consumazione del delitto di peculato, puo' realizzarsi anche attraverso l'atto dispositivo di competenza del pubblico agente che consenta di conseguire materialmente il bene. Cio' anche, con riferimento alle procedure complesse, allorche' l'atto finale del procedimento e' emesso da un organo che non concorre nel reato in quanto indotto in errore da coloro che si sono occupati della fase istruttoria, configurandosi, in tal caso, il delitto di peculato mediante induzione in errore ai sensi degli articoli 48 e 341 c.p. (Sez. 6, n. 30637 del 22/10/2020, De Luca, Rv. 279884; Sez. 6, n. 39039 del 15/04/2013, Malvaso, Rv. 257096). 7.2 Va rilevato che la nozione penalistica di "possesso" e' stata declinata dalla giurisprudenza di questa Corte in termini non omogenei con riferimento all'utilizzo dei fondi assegnati ai gruppi consiliari. Sin dai primi casi affrontati da questa Corte si e', infatti, posto il problema della configurabilita' o meno di una disponibilita' di detti fondi da parte dei singoli consiglieri e, in ultima analisi, della qualificazione giuridica della condotta come peculato ovvero quale indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (articolo 316-ter c.p.). Premessa comune ai diversi orientamenti emersi sul tema e' la indiscussa natura pubblicistica dei contributi erogati ai gruppi, trattandosi di fondi gravanti sul bilancio regionale e destinati alla realizzazione della funzione primaria dei gruppi medesimi in seno al Consiglio regionale (cfr. in relazione alla sussistenza della giurisdizione della Corte dei Conti, Cass. civ., Sez. U, n. 5589 del 28/02/2020, Rv. 657218; Cass. civ., Sez. U., n. 21927 del 07/09/2018, Rv. 650450). Va, inoltre, considerato che, con riferimento all'ipotesi piu' comune nelle singole realta' regionali - l'assegnazione del fondo al capogruppo ovvero, come nella fattispecie in esame, direttamente al gruppo ma con l'attribuzione del potere di gestione al capogruppo - la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale il Collegio non intende discostarsi, ha costantemente ravvisato la configurabilita' del reato di peculato in relazione a condotte del presidente del gruppo, appropriative o di utilizzo del denaro per finalita' esclusivamente privatistiche o comunque non riconducibili, neppure indirettamente, all'attivita' politica ed istituzionale (Sez. 6, n. 1561 del 11/09/2018, dep. 2019, Fiorito, Rv. 274940). Cio' sia nel caso in cui il presidente del gruppo abbia agito nel proprio esclusivo interesse sia nel caso in cui abbia autorizzato il rimborso ai singoli consiglieri delle c.d. "spese minute", nonostante la mancanza di qualsiasi giustificativo comprovante la causale e il beneficiario della spesa, essendo egli obbligato, dalla vigente normativa regionale in tema di obbligo di rendicontazione, al controllo della destinazione dei fondi a lui resi disponibili in ragione del ruolo istituzionale ricoperto (Sez. 6, n. 14580 del 02/02/2017, Narduzzi, Rv. 269536). In buona sostanza, nessun dubbio puo' porsi in ordine alla diretta disponibilita' dei fondi in capo al Presidente del gruppo, essendo questi - salvo le ipotesi di delega ad altri - l'unico soggetto legittimato a prelevare il denaro sia direttamente, sia autorizzando il rimborso delle spese sostenute dai consiglieri. 7.3 Gli orientamenti della giurisprudenza di questa Corte si sono, invece, differenziati allorche' si e' esaminata la posizione del singolo consigliere regionale al quale la legislazione regionale non assegni direttamente il potere di gestione del fondo. Un primo orientamento, condiviso dalla sentenza impugnata ed affermato da questa Corte in relazione all'esame della posizione di uno dei coimputati la cui posizione e' stata stralciata in ragione del rito speciale prescelto, ha posto l'accento sulla modalita' di conseguimento del rimborso delle spese anticipate dai consiglieri regionali, basata sulla presentazione di un'autodichiarazione corredata da documentazione e su un controllo di carattere meramente formale da parte della struttura amministrativa. Si e', pertanto, ritenuto, anche sulla base dell'ampia nozione di "possesso" elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte, che tale meccanismo replicasse quello ordinario delle spese pubbliche che vede, da un lato, un soggetto "ordinatore" della spesa, che ha la disponibilita' giuridica del denaro, e, dall'altro, un soggetto "esecutore", il "tesoriere". In buona sostanza, secondo questo orientamento, il consigliere regionale, presentando un'autodichiarazione corredata dalla documentazione, agisce come "ordinatore di spesa" nei confronti della struttura amministrativa che opera alla stregua di un ufficio cassa (Sez. 6 n. 4990 del 11/7/2018, (OMISSIS), Rv.274227). Tale soluzione ermeneutica e' stata successivamente condivisa e sviluppata da Sez. 6, n. 11001 del 15/11/2019, Valenti, Rv. 278809, che, pronunciandosi in relazione ad una fattispecie molto simile a quella oggetto del presente procedimento, ha ravvisato in capo ai singoli consiglieri una disponibilita' "mediata" del fondo, ponendo l'attenzione sul meccanismo di rimborso emerso dall'attivita' istruttoria. Nella fattispecie, infatti, risultava accertato che le richieste di rimborso, corredate da documentazione a sostegno, erano state presentate e liquidate dalla competente struttura organizzativa senza alcuna ingerenza da parte dei presidenti dei gruppi, investiti per legge dei compiti di vigilanza e rendicontazione, nell'erogazione delle somme. Ad analoghe conclusioni e' pervenuta anche Sez. 6, n. 167675 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418, ma in una fattispecie non sovrapponibile a quelle oggetto delle altre pronunce. Nella fattispecie concreta, infatti, la legge regionale attribuiva indistintamente al presidente del gruppo regionale e ai singoli consiglieri la disponibilita' giuridica del contributo stanziato per il funzionamento del gruppo consiliare che veniva trasferito mensilmente in un conto corrente intestato al gruppo. In relazione a tale peculiare fattispecie, si e', pertanto, affermato che integra il reato di peculato e non quello di indebita percezione di erogazioni pubbliche, aggravato dall'abuso delle qualita' del pubblico ufficiale, come modificato dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, articolo 1, comma 1, lettera l), la richiesta di rimborso avanzata dal consigliere regionale, relativa a spese sostenute per finalita' estranee all'esercizio del mandato, da imputare al fondo pubblico assegnato al proprio gruppo consiliare, poiche' in tal caso la disponibilita' giuridica del danaro intesa quale possibilita' di disporne con proprio atto - e' un antecedente della condotta e la falsa rappresentazione della realta' (attraverso la produzione di giustificativi di spesa volti ad accreditare la legittimita' del rimborso) e' diretta a mascherare l'interversione del possesso, laddove nel reato di cui all'articolo 316-ter c.p. l'impossessamento del bene o del danaro costituisce l'effetto della condotta decettiva, necessariamente susseguente ad essa (Rv. 279418-10). Per mera completezza, va, infine, chiarito che le pronunce, ascrivibili all'orientamento in esame, richiamano altro precedente di questa Corte, Sez. 6, n. 53331 del 19/9/2017, Piredda, che, tuttavia, ha ravvisato la configurabilita' del delitto di peculato in relazione ad un differente quadro normativo regionale (Liguria) in cui i contributi per il funzionamento dei gruppi consiliari, venivano erogati dall'Ufficio di presidenza del Consiglio regionale a ciascun gruppo e, sin dal conferimento, ripartiti tra i singoli consiglieri che ne potevano, dunque, disporre direttamente salvo poi presentare, ai fini della redazione del rendiconto annuale da parte del Presidente del gruppo, i relativi documenti giustificativi. 7.4 A difformi conclusioni e', invece, pervenuto altro orientamento che, pur riprendendo la nozione penalistica di possesso sopra esaminata, ha sottolineato la necessita', affinche' possa configurarsi una disponibilita' giuridica del bene, che il rapporto tra il pubblico ufficiale e la "cosa" sia connotato, da un lato, dal dovere di custodia del bene, e, dall'altro, dal potere, esercitabile in autonomia, di attribuire alla stessa una diversa destinazione (Sez. 6, n. 40595 del 2/3/2021, Bernardini, in motivazione). Sulla base di tale premessa ermeneutica, la Corte ha dunque, ritenuto che la disponibilita' giuridica del denaro spetta soltanto a chi ha un "potere di firma". Si e', pertanto, escluso che la presentazione della richiesta di rimborso - che nella fattispecie concreta veniva direttamente autorizzata dal presidente del gruppo il quale si limitava a controllare solo le spese "maggiori" - possa rilevare ai fini della configurabilita' in capo al richiedente di una disponibilita' giuridica dei fondi, anticipando, cosi', al momento della sua presentazione il momento consumativo della condotta appropriativa. Ad avviso della Corte, dunque, cio' che rileva, in assenza di un affidamento di fatto del potere di disporre del denaro stanziato per il gruppo consiliare, non e' il mancato esercizio del dovere di vigilanza e controllo, quanto, piuttosto, l'analisi delle regole di gestione del fondo medesimo. L'assegnazione dei fondi ai gruppi consiliari avviene, infatti, secondo due schemi tipici: 1) l'assegnazione dei fondi ad un soggetto "tesoriere" che autorizza i rimborsi delle spese anticipate dai singoli, se del caso previa verifica formale e sostanziale delle spese; 2) l'attribuzione a ciascun componente del gruppo consiliare, di regola tramite l'utilizzo di carte di credito, di un diritto ad un fondo cassa con un vincolo di destinazione e successivi obblighi di rendicontazione e di restituzione dell'eventuale residuo. Nella fattispecie esaminata nella sentenza "Bernardini" (relativa alla Regione Emilia-Romagna), considerando che, sulla base della disciplina regionale, i contributi erano affidati al Presidente del gruppo, con l'eccezione dei gruppi misti in cui ogni consigliere era assegnatario di una quota, la Corte ha escluso la configurabilita' del delitto di peculato in relazione alla condotta del consigliere regionale che, senza avere la disponibilita' di fondi per il funzionamento del gruppo consiliare, ottenga rimborsi gravanti sul fondo del gruppo di appartenenza per spese non rimborsabili (Rv. 282742-01). Sulla base di tali considerazioni, escluso, dunque, che il ricorrente avesse il possesso o la disponibilita' dei fondi, la Corte ha riqualificato una parte della condotta, consistita nel presentare documentazione giustificativa falsa per ottenere rimborsi non spettanti, nel reato di truffa aggravata di cui all'articolo 640 c.p. e articolo 61 c.p., n. 9, dichiarandolo estinto per prescrizione, ed ha, invece, annullato senza rinvio la sentenza impugnata in relazione ad altre richieste di rimborso, rispetto alle quali la valutazione di non inerenza della spese portata a rimborso si fondava su un mero giudizio di inopportunita' ovvero mancava un'adeguata motivazione del carattere fraudolento della condotta. E' opportuno evidenziare, peraltro, come in una piu' risalente pronuncia si era gia' ritenuto che l'indennita' elargita dalla Regione, tramite il meccanismo del rimborso, in favore dei propri consiglieri, per le spese di trasporto da questi sostenute per il raggiungimento del luogo di esercizio del mandato, rientra, ove indebitamente percepita, tra le erogazioni rilevanti ai sensi dell'articolo 316-ter c.p. (Sez. 6, n. 50255 del 13/11/2015, Tripodi, Rv. 265406). La soluzione ermeneutica adottata da Sez. 6, n. 40595 del 2021, e' stata successivamente condivisa da Sez. 6, n. 29678 del 7/7/2022, Villani, in cui la Corte, sulla base della medesima disciplina regionale gia' analizzata dalla sentenza Bernardini, preso atto della intervenuta assoluzione dei capigruppo per difetto dell'elemento psicologico del reato del reato di peculato in concorso con i singoli consiglieri, ha escluso che questi ultimi avessero la disponibilita' giuridica del fondo per il funzionamento del gruppo, non avendo un potere di firma ne' altra forma di delega individuale che consentisse loro di operare direttamente sul conto corrente del gruppo. Sulla base di tale premessa ermeneutica, la Corte ha, pertanto, riqualificato le condotte ascritte ai consiglieri, escludendo la configurabilita' del reato di peculato. In definitiva, secondo il piu' recente orientamento giurisprudenziale, l'elemento di discrimine, sulla base del quale ritenere sussistente o escludere il delitto di peculato, e' fondato sull'esame delle modalita' concrete mediante le quali i consiglieri ottengono l'erogazione del denaro proveniente dal fondo. Li' dove tale erogazione non consiste in un mero "prelievo" dal fondo, bensi' si inserisce in un meccanismo di anticipo della spesa da parte del consigliere e dalla successiva richiesta di rimborso, viene meno il requisito della disponibilita' del denaro. A ben vedere, e' proprio lo schema dell'anticipazione di spesa e del rimborso che si pone in antitesi con lo schema della disponibilita' - sia pur mediata - del denaro, nella misura in cui il rimborso consiste necessariamente in una richiesta rivolta ad un organo diverso (di norma il Presidente del gruppo) che, evidentemente, e' l'unico a poter formalmente disporre del denaro. 7.5. Il Collegio intende dare continuita' a tale secondo orientamento, dovendosi dare atto che questo costituisce il frutto di una evoluzione giurisprudenziale che, per affinamenti successivi, e' pervenuta ad una tipizzazione della fattispecie di peculato, valorizzando il dato relativo alla effettiva disponibilita' del denaro. Ai fini della configurabilita' del delitto di peculato mediante indebito utilizzo dei fondi per il funzionamento dei gruppi consiliari e', infatti, necessario che il rapporto tra il consigliere regionale ed il denaro sia connotato da una disponibilita', materiale o giuridica, ma, in ogni caso, diretta del bene. A tal fine, dunque, cio' che rileva e' il conferimento - per legge, in virtu' di specifica delega o anche di una prassi interna all'ufficio - di un autonomo potere di "firma" che consenta al pubblico agente di disporre liberamente del denaro nel rispetto del vincolo legale di destinazione del denaro che, come visto, nel caso di specie, attiene al funzionamento del gruppo consiliare ed alle attivita' di informazione e comunicazione. Va, invece, esclusa la configurabilita' della disponibilita' del denaro qualora il pubblico agente sia privo di tale autonomo potere di spesa e possa accedere al contributo stanziato solo previa presentazione di un'istanza di rimborso, corredata da documentazione giustificativa e soggetta a forme piu' o meno incisive di controllo. Contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, dunque, la prassi interna all'ufficio, qualora non consista nel conferimento di un autonomo potere di spesa del denaro, ma nel mancato esercizio della funzione di controllo spettante alle singole strutture amministrative sulle richieste di rimborso ovvero nel carattere meramente formale del controllo svolto, non puo' mai costituire una forma di disponibilita' giuridica del denaro. Ad avviso del Collegio, tale impostazione ermeneutica e' frutto di una erronea sovrapposizione dei piani concernenti, da un lato, il potere di disporre del denaro, e, dall'altro, i controlli funzionali al rispetto del vincolo di destinazione pubblicistica dello stesso. In buona sostanza, si finisce per considerare la prassi interna sui controlli preventivi quale fatto costitutivo della disponibilita' giuridica del denaro. Tale soluzione impone, tuttavia, la creazione di una figura ibrida di disponibilita' giuridica in cui il rapporto tra il pubblico agente e la res non e' diretto, ma "mediato" da un terzo, ovvero il soggetto preposto al controllo. Il terzo, nel caso in esame il Presidente del gruppo con l'ausilio della struttura amministrativa competente, viene, dunque, considerato come lo strumento attraverso il quale il pubblico agente esercita il proprio potere di disposizione del denaro, replicando sostanzialmente lo schema comune nelle procedure di pagamento in caso di maneggio di denaro pubblico, connotate dall'emissione di ordini di pagamento diretti alla banca incaricata del servizio di tesoreria che provvede materialmente alla loro esecuzione. Cosi' facendo, si adotta un'interpretazione della nozione di disponibilita' che rischia di creare frizioni con il principio di tassativita' e con il divieto di analogia nell'interpretazione dell'articolo 314 c.p.. La soluzione ermeneutica qui censurata omette di considerare che, con riferimento allo schema di utilizzazione del fondo per il funzionamento del gruppo consiliare, connotato dalla assenza di un autonomo potere di spesa da parte del singolo consigliere, ogni qualvolta il rimborso di una spesa non sia automatico, ma sia sottoposto ad un controllo che puo' anche condurre all'esclusione dell'imputazione al fondo di talune spese per difetto di inerenza, la posizione del consigliere regionale non puo' essere assimilata a quella di un ordinatore di spesa, quanto, piuttosto, a quella di un creditore. Trattasi, peraltro, di una situazione creditoria "condizionata", essendo il soddisfacimento del preteso rimborso subordinato al positivo espletamento del controllo di inerenza della spesa. Un'interpretazione costituzionalmente orientata impone, dunque, di restringere l'area della disponibilita' giuridica del denaro, necessaria precondizione ai fini della configurabilita' del reato di peculato, alle sole ipotesi in cui il pubblico agente abbia, per ragioni di ufficio o di servizio, la disponibilita' diretta del denaro e, dunque, la capacita' giuridica, svincolata da controlli preventivi, di utilizzarlo "uti dominus". 7.6. Venendo al caso di specie, l'istruttoria svolta ha rivelato l'assenza di tale disponibilita' diretta in capo ai singoli consiglieri regionali i quali potevano accedere al denaro dei due fondi del gruppo consiliare di appartenenza solo all'esito di un procedimento amministrativo interno connotato: a) dalla presentazione dell'istanza di rimborso delle spese anticipate (con cadenza mensile); b) dal controllo svolto dalla struttura amministrativa interna al gruppo e dalla ulteriore verifica da parte del presidente del gruppo cui i funzionari potevano rivolgersi in caso di dubbio sull'inerenza della spesa portata a rimborso; c) dal materiale rimborso delle spese ritenute inerenti, di regola tramite bonifico bancario in favore del singolo consigliere ovvero tramite assegni bancari sottoscritti dal presidente del gruppo. Sebbene la maggior parte dei testi escussi abbia riferito che i controlli eseguiti dalla struttura amministrativa erano di carattere meramente formale, limitandosi alla mera corrispondenza della spesa a quelle coperte dai due fondi, mentre quelli dei Presidenti dei gruppi erano sostanzialmente assenti o limitati ad un mero confronto con i funzionari sull'inerenza di talune spese dubbie, l'analisi dell'intero compendio istruttorio contenuta nelle due sentenze di merito ha, comunque, evidenziato che non venivano accolte tutte le istanze. Cio' e' emerso, ad esempio dalle deposizioni dei testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). In particolare, la teste (OMISSIS) ha riferito che circa il trenta per cento delle istanze di rimborso venivano respinte. Tali risultanze istruttorie rivelano, dunque, una situazione di fatto ben diversa da quella esaminata dal precedente di questa Corte relativo al giudizio abbreviato celebrato nei confronti del coimputato (OMISSIS), essendosi chiaramente acclarato nel corso dell'istruttoria dibattimentale che ne' la legge regionale, ne' la prassi interna a ciascun gruppo consiliare ne', infine, i singoli capigruppo hanno conferito ai singoli consiglieri un autonomo e diretto potere di utilizzazione dei due fondi per il funzionamento dei gruppi consiliari e per le attivita' di comunicazione ed informazione. Mentre, dunque, non vi e' alcun dubbio, alla luce della specifica disciplina regionale, che i capigruppo avessero la disponibilita' giuridica del denaro, deve, invece, escludersi che ad analoghe conclusioni possa pervenirsi in relazione al rapporto, ove autonomamente considerato, tra il singolo consigliere ed il fondo in esame. L'applicazione delle coordinate ermeneutiche appena esposte alla fattispecie in esame conduce, pertanto, ad una differente qualificazione giuridica delle condotte ascritte ai singoli ricorrenti dovendosi, a tal fine, distinguere tra le condotte contestate esclusivamente al singolo consigliere regionale e quelle contestate, invece, al presidente del gruppo consiliare, da solo o in concorso con taluni consiglieri. 8. La qualificazione giuridica delle condotte: le appropriazioni ascritte ai singoli Consiglieri. Procedendo, innanzitutto, all'esame delle condotte appropriative contestate ai singoli consiglieri regionali (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) rileva il Collegio che, in assenza della contestazione di un concorso con il capogruppo, dette condotte non possono integrare il contestato delitto di peculato, difettando in capo ai singoli consiglieri la condizione essenziale del possesso o della disponibilita' giuridica diretta del denaro del fondo. Alla luce della concorde ricostruzione dei fatti contenuta nelle due sentenze di merito, si ritiene che le condotte tenute dagli imputati sopra individuati debbano devono essere qualificate quale indebita percezione di erogazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 316-ter c.p.. Tali condotte, infatti, sono consistite nel conseguimento del rimborso delle spese sostenute sulla base di specifiche istanze corredate da documentazione contabile (scontrini o fatture), senza alcun ricorso a condotte fraudolente idonee a sussumere dette condotte nell'ambito del reato di truffa aggravata. L'erogazione risulta, infatti, conseguita senza alcuna induzione in errore da parte della competente struttura amministrativa, sulla base di un'istanza corredata da documentazione inadeguata a giustificare la spesa sostenuta ed approfittando delle maglie larghe dei controlli che avrebbero dovuto essere espletati sull'inerenza delle spese al funzionamento del gruppo o alle attivita' di comunicazione ed informazione. 8.1. Rileva, tuttavia, il Collegio che, a seguito della derubricazione del reato contestato ai singoli consiglieri nella meno grave ipotesi prevista dall'articolo 316-ter c.p., e' maturata la prescrizione per tutte le condotte ascritte; applicando, infatti, il termine massimo di 7 anni e 6 mesi, pur tenendo conto dei periodi di sospensione, anche i fatti commessi in epoca piu' recente e risalenti al 2012, risultano ampiamente prescritti. Va, inoltre, aggiunto che non sussistono elementi per giungere ad una piu' favorevole sentenza di assoluzione nel merito. Dal quadro probatorio descritto dalle due sentenze di merito emerge, infatti, l'esistenza di plurimi rimborsi - in particolare per consumazioni singole, spese di carburante e viaggi, spese per l'acquisto di beni voluttuari - che, in base alle osservazioni che nel prosieguo verranno svolte in ordine alla perimetrazione delle spese legittimamente rimborsabili (si vedano i parr. 10, 11 e 12), sono sicuramente riferibili a spese personali dei singoli consiglieri e, pertanto, rientrano appieno nella previsione del reato di cui all'articolo 316-ter c.p., trattandosi di rimborsi indebitamente conseguiti per spese con certezza non imputabili ai fondi destinati ai gruppi consiliari. Quanto detto comporta che, con riguardo all'aspetto penale va rilevata l'intervenuta prescrizione, ma al contempo deve ritenersi che il fatto di reato, produttivo dell'obbligo risarcitorio, e' stato accertato e richiedera' l'ulteriore esame da parte del giudice civile al fine di circoscrivere - secondo le indicazioni fornite nel prosieguo - l'effettiva entita' dei rimborsi indebitamente conseguiti. 8.2. La possibilita' di una pronuncia assolutoria va, inoltre esaminata sotto l'altro profilo, dedotto da alcuni dei ricorrenti, relativo al superamento o meno della soglia (Euro 3.999,96) che, in base al comma 2 della predetta norma, determinano la configurabilita' del reato, piuttosto che del mero illecito di natura amministrativa. Ritiene il Collegio che la questione vada risolta considerando che le richieste di rimborso e la conseguente percezione delle erogazioni avveniva su base mensile e, quindi, non deve tenersi conto delle singole spese - il piu' delle volte di minima entita' - bensi' del totale mensile indicato dai consiglieri, posto che l'indebita percezione era riferita all'ammontare mensile frutto della sommatoria delle singole spese. Nel caso di specie non sarebbe in alcun caso possibile far riferimento alle singole voci di spesa poste a fondamento della richiesta di rimborso, proprio perche' l'elemento costitutivo del reato va valutato con riguardo alla somma indicata nel rendiconto mensile, essendo questo il dato rilevante ai fini della richiesta di rimborso e della conseguente erogazione. Si puo' affermare, conseguentemente, che ove la condotta di indebita percezione si fondi su una richiesta di rimborso unitaria, nella quale confluiscono plurimi elementi di spesa sostenuti nell'arco di un periodo temporale predeterminato, il superamento della soglia deve essere valutato con riguardo all'entita' complessiva della somma richiesta a rimborso (la fattispecie in esame, proprio perche' presuppone un'unica richiesta di rimborso mensile, non consente di applicare i principi affermati in relazione alle diverse ipotesi di plurime e autonome richieste di erogazione, anche se basate su un titolo unitario, si veda: Sez. 6, n. 45917 del 23/9/2021, Prigitano, Rv. 282293; Sez. 6, n. 24890 del 20/2/2019, Giorgio, Rv. 277283; Sez. 6, n. 7963 del 26/11/2019, dep. 2020, Romano, Rv. 278455-02; Sez. 6, n. 31223 del 24/6/2021, Ciccarini, Rv. 282105). Cosi' impostata la questione, viene meno la possibilita' di pronunciare una sentenza assolutoria, anziche' il proscioglimento per intervenuta prescrizione, proprio perche' l'insussistenza del reato derivante dal mancato superamento della soglia prevista dall'articolo 316-ter c.p., comma 2, non emerge ictu oculi ed imporrebbe un non consentito accertamento di merito, rispetto al quale prevale il fatto estintivo. 9. Le appropriazioni contestate ai Presidenti dei gruppi consiliari. Le osservazioni svolte in ordine alla necessaria disponibilita' diretta del denaro sono funzionali all'esame delle posizioni dei Presidenti dei gruppi consiliari, nonche' dei singoli consiglieri imputati a titolo di concorso con i primi e, come si dira' di seguito, consentono di ravvisare la configurabilita' dei reati di peculato loro ascritti. Preliminarmente si rileva che i fatti commessi in epoca antecedente al 29 dicembre 2009, considerando il termine massimo di prescrizione previsto per il reato di cui all'articolo 314 c.p., maggiorato dei periodi di sospensione, risultano prescritti. Deve, pertanto, pronunciarsi sentenza di annullamento senza rinvio nei confronti di (OMISSIS) in relazione ai fatti di cui al capo 61). Analoga decisione deve essere adottata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con riferimento ai fatti di cui ai capi 48), 48a), 61) e 62), con riferimento ai soli fatti commessi in epoca antecedente al 29 dicembre 2009. Nei confronti dei predetti imputati, pertanto, l'esame del reato di peculato, deve essere svolto limitatamente alle imputazioni non coperte dall'intervenuta prescrizione, nonche' nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), con riferimento al capo 61), e nei confronti di (OMISSIS), con riferimento al capo 17), essendo a costoro contestati fatti commessi in epoca successiva al dicembre 2009. 9.1. Cosi' delimitato l'ambito dell'accertamento e tenendo presenti i principi affermati in precedenza, ad avviso del Collegio e' necessario valutare in primo luogo le ragioni della configurabilita' del peculato, distinguendo tra la posizione dei presidenti di gruppo ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) e quella dei consiglieri ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) per la parte di imputazione concernente il peculato contestato a titolo di concorso del singolo consigliere con il presidente del gruppo. Nell'esaminare la posizione dei consiglieri, si e' gia' avuto modo di chiarire le ragioni per le quali la disponibilita' del denaro - sulla base delle legislazione regionale all'epoca vigente - doveva essere riconosciuta esclusivamente in capo ai presidenti dei gruppi regionali. Solo costoro, infatti, avevano il potere di firma necessario per consentire la materiale erogazione dei rimborsi e, soprattutto, erano onerati di uno specifico compito di vigilanza circa l'effettiva riconducibilita' delle spese di cui si chiedeva il rimborso a quelle afferenti l'attivita' consigliare. Premesso, pertanto, che i presidenti dei gruppi erano coloro cui competeva la disponibilita' diretta delle somme stanziate per il funzionamento dei gruppi, ne consegue che l'utilizzo di tali risorse per finalita' diverse da quelle previste dalle leggi regionali integra necessariamente il delitto di peculato. Analoga fattispecie e', inoltre, configurabile nei confronti dei singoli consiglieri che, sottoscrivendo il documento contabile posto a fondamento delle richieste di rimborso materialmente presentate dal capogruppo (si fa riferimento alle condotte indicate al capo 61), hanno posto in essere il presupposto fattuale necessario per la successiva commissione del reato di peculato. Quanto detto consente di chiarire la sostanziale differenza esistente tra gli imputati del presente procedimento, atteso che nei confronti di alcuni consiglieri non e' stato contestato il concorso con il Presidente del gruppo di appartenenza, per altri, invece, l'imputazione era basata sul predetto concorso e, quindi, non e' possibile giungere alla derubricazione del reato di peculato in quello di cui all'articolo 316-ter c.p., proprio perche' l'effetto estensivo della fattispecie concorsuale consente di ritenere sussistente, anche nei confronti del consigliere, il presupposto della disponibilita' del denaro da parte del presidente del gruppo. La contestazione del peculato nella forma del concorso dei consiglieri con i rispettivi presidenti dei gruppi consiglieri pone l'ulteriore problematica di verificare la sussistenza dell'elemento dell'utilizzo dei fondi per finalita' esulanti da quelle consentite dalla legislazione regionale e, conseguentemente, di stabilire quali fossero le spese legittimamente rimborsabili. 10. L'onere della prova e la mancata ammissione dei testi a discarico. Superata la questione inerente alla qualificazione giuridica, in termini di peculato, delle appropriazioni di denaro da parte dei Presidenti dei gruppi e dei Consiglieri con questi concorrenti, si puo' procedere all'esame del motivo di ricorso proposto da tutti gli imputati e relativo alla ritenuta violazione del riparto dell'onere probatorio da parte dei giudici di merito. La sentenza di appello ha affrontato espressamente tale aspetto (p. 57 e seg.), evidenziando come gli appellanti avessero contestato l'inversione dell'onere probatorio, insito nel fatto che - a fronte di documentazione di spesa incompleta o dal contenuto ambiguo - si era preteso che fossero gli imputati a dimostrare le finalita' delle spese portate a rimborso. La Corte di appello ha escluso la lamentata inversione dell'onere probatorio, richiamando la giurisprudenza costituzionale (C. Cost., sent. n. 39 del 2014), nonche' la giurisprudenza della Corte dei conti, concordemente inclini a ritenere che - a prescindere dall'esistenza o meno di una specifica previsione normativa l'impiego di fondi pubblici impone una precisa rendicontazione. Sulla base di tale premessa, la Corte ha ritenuto condivisibile il principio affermato da Sez. 6, n. 23066 del 14/5/2009, Provenzano, Rv. 244061, secondo cui sarebbe configurabile il delitto di peculato qualora non si dia una giustificazione certa e puntuale del suo impiego per finalita' strettamente corrispondenti alle specifiche attribuzioni e competenze istituzionali del soggetto che ne dispone, tenuto conto delle norme generali della contabilita' pubblica, ovvero di quelle specificamente previste dalla legge (in senso conforme, Sez. 6, n. 14580 del 2/2/2017, Narduzzi, Rv. 269536). In una fattispecie similare a quella in esame, si e' anche affermato che in tema di peculato per distrazione delle somme percepite quali contributi dai gruppi consiliari regionali, deve escludersi la legittimita' dell'impiego di fondi pubblici in relazione a spese non giustificate o rispetto alle quali siano prodotti scontrini o fatture privi di giustificazione o recanti indicazioni talmente generiche da impedire la verifica della loro riconducibilita' all'attivita' istituzionale, quali scontrini di acquisto di beni, titoli di viaggio o ricevute di consumazioni presso bar e ristoranti senza alcuna menzione dell'identita' degli ospiti o dell'occasione (Sez. 6, n. 53331 del 19/9/2017, Piredda, Rv. 271654). Si tratta di un'impostazione che, invero, e' stata superata da questa Corte, proprio sulla base di un'attenta applicazione del riparto dell'onere probatorio che caratterizza il giudizio penale. L'indirizzo attualmente consolidato, ritiene che non sia configurabile il delitto di peculato nel caso di inadeguatezza o incompletezza dei giustificativi contabili relativi a spese di rappresentanza, che non permettano di riferire gli esborsi a finalita' istituzionali dell'ente, gravando sull'accusa l'onere della prova dell'appropriazione del denaro pubblico e della sua destinazione a finalita' privatistiche (Sez. 6, n. 21166 del 9/4/2019, Marino, Rv. 276067). Il profilo della carente giustificazione e' stato al piu' valorizzato in termini indiziari, essendosi sostenuto che in tema di indebito utilizzo di contributi erogati ai gruppi consiliari regionali, la prova del reato di peculato non puo' desumersi dalla mera irregolare tenuta della documentazione contabile, essendo necessario l'accertamento dell'illecita appropriazione delle somme, pur potendo l'assoluta inadeguatezza giustificativa del supporto contabile acquisire una valenza altamente significativa dell'utilizzo indebito del denaro, per l'impossibilita' di collegare lo stesso alle funzioni istituzionali del gruppo (Sez. 6, n. 3664 del 26/11/2021, dep. 2022, Mucilli, Rv. 28287; Sez. 6, n. 11001 del 15/11/2019, dep. 2020, Valenti, Rv. 278809-03). Si e' anche precisato che non e' configurabile il delitto di peculato nel caso in cui il pubblico agente non fornisca giustificazione in ordine all'utilizzo del contributo erogato per l'esercizio delle funzioni del gruppo consiliare regionale, non potendo derivare l'illiceita' della spesa da tale mancanza, occorrendo comunque la prova dell'appropriazione e dell'offensivita' della condotta, quantomeno in termini di alterazione del buon andamento della pubblica amministrazione (Sez. 6, n. 38245 del 3/7/2019, De Luca, Rv. 276712). 10.1. L'indirizzo consolidatosi nella piu' recente giurisprudenza di legittimita' sopra richiamata deve essere ribadito, posto che i principi generali in tema di riparto dell'onere probatorio nel processo penale non consentono surrettizie inversioni della regola secondo cui compete all'accusa dimostrare i presupposti di fatto della fattispecie di reato. E' la pubblica accusa, pertanto, a dover dimostrare l'utilizzo in concreto di ciascuna somma di denaro di provenienza pubblicistica, provando che le risorse sono state impiegate per finalita' diverse da quelle consentite. Il Collegio e' consapevole che - a fronte di migliaia di spese, molte delle quali per importi minimali - la prova richiesta all'accusa e' estremamente onerosa, ma tale difficolta' non puo' essere superata invertendo l'onere della prova e gravando gli imputati di una giustificazione puntuale delle spese che, a ben vedere, e' di altrettanto difficile dimostrazione, tanto piu' in un sistema che ab origine non imponeva la dettagliata predisposizione di documentazione giustificativa. Individuato il principio applicabile nel disciplinare l'onere della prova con riguardo alla specifica fattispecie di peculato in esame, e' agevole rilevare come la Corte di appello - pur non contestando apertamente la regola di giudizio sopra evidenziata - ha in concreto operato una vera e propria inversione della stessa, ritenendo che tutte le spese per le quali non emergesse ictu oculi la compatibilita' con le finalita' istituzionali, dovessero essere imputate a titolo di peculato. Nella sentenza impugnata si afferma, infatti, che sarebbe onere della difesa allegare documentazione giustificativa delle spese, in presenza di elementi significativamente idonei a corroborare sul piano logico l'ipotesi accusatoria, per cui l'onere della prova a carico dell'accusa sorgerebbe solo a fronte di allegazioni difensive idonee a dimostrare un'adeguata destinazione (p. 62). Tale paradigma di giudizio, invero, nasconde una vera e propria inversione dell'onere della prova, nella misura in cui si afferma che la pubblica accusa sarebbe onerata di fornire dimostrazione dell'indebito utilizzo del denaro solo nel caso in cui vi sia un'allegazione difensiva a sostegno del legittimo utilizzo dei fondi. In tal modo, tuttavia, si fa gravare in prima battuta sull'imputato l'onere di indicare le ragioni e le modalita' della spesa di cui ha ottenuto il rimborso, invertendo la regola secondo cui e' sempre la pubblica accusa a dover fornire la prova degli elementi costitutivi del reato. Tale erronea impostazione trascura, tuttavia, di considerare che nel processo penale l'imputato puo' rimanere anche totalmente inerte, eventualmente confidando nell'incompleta o insufficiente prova data dall'accusa. Il principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio comporta che l'incertezza probatoria ricada a carico dell'accusa. Ritenendo, invece, che l'insufficiente allegazione di elementi giustificativi delle spese faccia presumere l'indebito utilizzo dei fondi pubblici, l'equivocita' della prova si tradurrebbe nella dimostrazione del fatto costituente reato. Occorre dare atto che, nel tentativo di contemperare i principi in tema di onere della prova e carenza dell'allegazione difensiva, la Corte di appello ha valorizzato la possibilita' di dimostrare la distrazione sulla base di elementi indiziari (quali la tipologia di spesa e di esercizio commerciale, il numero dei commensali, la ripetitivita' delle consumazioni) che, tuttavia, per le ragioni che si illustreranno nell'individuare quali erano le spese legittimamente rimborsabili, non presentano affatto quei requisiti di univocita' e specificita' richiesti dall'articolo 192 c.p.p.. Va, innanzitutto, chiarito che la prova indiziaria puo' essere utilizzata ai fini dell'accertamento della destinazione dei fondi per il rimborso di spese esulanti dalle finalita' istituzionali, ma cio' solo a condizione che la tipologia delle spese sia di per se' inequivocabilmente incompatibile con l'espletamento del mandato consiliare (Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418-08). Sul tema deve ribadirsi il principio, gia' affermato da questa Corte, secondo cui solo le spese ontologicamente incompatibili con le finalita' istituzionali dell'ente integrano di per se' una distrazione punibile, mentre le spese di natura ambivalente, astrattamente compatibili sia con dette finalita', sia con il soddisfacimento di un interesse esclusivamente personale dell'agente, integrano il reato solo ove la pubblica accusa dimostri che le stesse siano state effettuate non gia' in correlazione con eventi di promozione dell'ente, bensi' per il soddisfacimento di un interesse meramente privatistico (Sez. 6, n. 2226 del 13/11/2019, dep. 2020, Schiavone, Rv. 278217). 10.2. La sentenza impugnata non solo non ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, ma e' incorsa in un'ulteriore alterazione della dinamica probatoria, li' dove - proprio valorizzando la ritenuta autoevidenza della illegittimita' dei rimborsi - ha condiviso l'ordinanza istruttoria con la quale il Tribunale di Milano aveva sostanzialmente escluso gran parte dei testi a discarico addotti dagli imputati e che avrebbero dovuto deporre sulle occasioni in cui le spese erano state sostenute, fornendo la dimostrazione del loro collegamento con le funzioni proprie dei Presidenti di gruppo e dei Consiglieri regionali. La Corte di appello ha rigettato le istanze di riapertura dell'istruttoria presentata da plurimi imputati, escludendo, altresi', la nullita' dell'ordinanza adottata dal Tribunale all'udienza del 19 aprile 2016, con la quale non venivano ammessi gran parte dei testi a discarico indicati dagli imputati. La questione concernente la violazione del diritto di difesa, per effetto della mancata ammissione dei testi a discarico, e' stata ritenuta infondata sul presupposto che il Tribunale avrebbe, sia pur implicitamente, rigettato le richieste di prova ritenendo le testimonianze superflue. Precisa la Corte di appello che, ove pure si volesse ritenere sussistente la nullita' dell'ordinanza per difetto di motivazione, il vizio non sarebbe stato tempestivamente dedotto dai ricorrenti, dato che la nullita', essendosi verificata in udienza ed alla presenza delle parti, doveva essere immediatamente dedotta dopo la pronuncia dell'ordinanza ritenuta viziata, con conseguente applicazione della preclusione prevista dall'articolo 182 c.p.p., comma 2. A supporto di tale soluzione, il giudice di appello ha richiamato anche un precedente di questa Corte che, con riferimento alla diversa ipotesi della revoca di testimoni di cui era stata gia' disposta l'ammissione, ha ritenuto che l'ordinanza, resa in difetto di motivazione sulla superfluita' della prova, produce una nullita' di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell'articolo 182 c.p.p., comma 2, con la conseguenza che in caso contrario essa e' sanata (Sez. 5, n. 51522 del 30/9/2013, Abatelli, Rv. 257891). Tale principio, secondo una isolata pronuncia (Sez. 5, n. 39764 del 29/5/2017, Rhafor, Rv. 271849) che la Corte di appello richiama, sarebbe applicabile anche al caso di specie, in cui il difetto di motivazione concerne l'ordinanza ammissiva delle richieste istruttorie. 10.3. La soluzione recepita nella sentenza impugnata non e' condivisibile. Invero, il profilo concernente la mancanza di motivazione in ordine al rigetto delle richieste istruttorie non rileva esclusivamente sotto il profilo formale del vizio di omessa motivazione dell'atto, avendo i ricorrenti contestato nel merito la ritenuta superfluita' delle prove orali, posta a fondamento dell'implicito rigetto da parte del giudice di primo grado, nonche' della mancata rinnovazione in appello. La Corte di appello, invece, si e' limitata essenzialmente a risolvere la questione sotto il profilo della nullita' dell'atto, in tal modo non confrontandosi con i motivi di appello con i quali ci si doleva non tanto dell'invalidita' formale, quanto dell'errore di giudizio sotteso alla mancata ammissione delle prove. Si ritiene, pertanto, che gli imputati hanno correttamente impugnato l'ordinanza che negava loro l'ammissione dei testi unitamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell'articolo 586 c.p.p., proprio perche' l'impugnazione concerneva il merito della decisione di rigetto e le sue conseguenze sull'accertamento della penale responsabilita'. Ne' e' dubitabile che i motivi formulati dagli appellanti concernessero espressamente il merito della decisione, piuttosto che la validita' della stessa sotto il profilo della nullita' dell'ordinanza, posto che le impugnazioni erano dichiaratamente finalizzate a condurre ad una riapertura dell'istruttoria, proprio per colmare quella lacuna che si era determinata per effetto della ritenuta erroneita' dell'esclusione dei testi indicati dagli imputati. 10.4. La Corte di appello, dopo aver ritenuto l'insussistenza della nullita' dell'ordinanza istruttoria, ha esaminato nel merito le richieste di rinnovazione probatoria ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., ritenendo che le prove non fossero rilevanti in quanto volte a dimostrare la mera riconducibilita' delle spese ad esigenze di carattere "politico", anziche' a dimostrare l'indefettibile collegamento delle spese allo svolgimento di iniziative del gruppo consiliare. Tale impostazione e' stata contestata dai ricorrenti, i quali hanno sottolineato come le prove testimoniali di cui lamentavano l'esclusione erano volte a dimostrare le occasioni e le ragioni per cui le spese erano state sostenute. Si tratta, a ben vedere, di un dato probatorio che doveva essere dimostrato dalla pubblica accusa, al fine di provare l'estraneita' della spesa alle finalita' pubblicistiche, ma ove l'imputato abbia chiesto comunque di fornire una prova potenzialmente liberatoria, la stessa non poteva essere esclusa, sulla base di una valutazione di irrilevanza svolta a priori. Invero, la Corte di appello, nell'elencare l'oggetto delle singole impugnazioni sul tema della prova (p. 84-91), da' atto di come - pur nella genericita' della capitolazione delle circostanze - i testi erano chiamati a deporre essenzialmente sulla natura degli incontri conviviali, sui partecipanti e sul collegamento con l'attivita' consigliare. Orbene, tali elementi fattuali sono necessariamente rilevanti ai fini dell'accertamento del reato, proprio perche' consentono di cogliere il contesto e le ragioni per le quali sono state sostenute le spese oggetto di rimborso, sicche' non e' condivisibile il giudizio di irrilevanza espresso dalla Corte di appello sul punto. In definitiva, puo' ben affermarsi che nel presente procedimento si e' avuta una duplice violazione in tema di prova, la prima concernente la sostanziale inversione dell'onere probatorio, conseguente alla sopravvalutazione della carente giustificazione documentale delle spese e sull'apprezzamento di meri elementi indiziari, in gran parte privi del carattere della gravita' ed univocita'; al contempo, agli imputati e' stato sostanzialmente impedito di fornire elementi a discarico, in tal modo limitando indebitamente il diritto di difesa. 10.5. Alla luce di tali considerazioni, si ritiene non solo la fondatezza dei motivi di ricorso - sostanzialmente proposti da tutti i ricorrenti - in relazione all'inversione dell'onere della prova, ma anche dei motivi concernenti l'omessa ammissione dei testi a discarico. La sentenza impugnata va, dunque annullata con rinvio nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con riferimento ai fatti di cui ai capi 48), 48a), 61) e 62), commessi in epoca successiva al 29 dicembre 2009, nonche' nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), con riferimento al capo 61), e nei confronti di (OMISSIS), con riferimento al capo 17), affinche' si proceda a nuovo esame delle condotte loro ascritte e, in particolare, della inerenza o meno ai due fondi destinati ai gruppi consiliari delle spese per cui detti imputati hanno conseguito i relativi rimborsi. Rispetto a quest'ultimo aspetto, il giudice del rinvio dovra' anche farsi carico di rivalutare - alla luce dei parametri sopra indicati - le posizioni relativa ai ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno specificamente proposto ricorso in cassazione in relazione alla mancata ammissione, fin dal primo grado, delle prove testimoniali. I restanti imputati per i quali e' stata pronunciato annullamento con rinvio, invece, non hanno impugnato sul punto la sentenza di appello, sicche' nei loro confronti non occorrera' rivalutare la rilevanza delle prove orali. 11. I motivi concernenti l'inerenza delle spese rispetto al mandato consiliare. La problematica centrale del giudizio in esame e' costituita dall'individuazione di quali fossero le spese per le quali i Presidenti dei gruppi potevano legittimamente disporre il rimborso delle spese sostenute dai consiglieri. La Corte di appello ha individuato (p. 64 e seg.) il perimetro delle spese rimborsabili, ritenendo che fossero tali solo quelle "connesse ad iniziative del gruppo, decise dal gruppo, volte al funzionamento del gruppo", escludendo dal rimborso le spese sostenute per l'attivita' politica del singolo consigliere, volte alla cura del proprio consenso politico, ovvero a tenere contatti con esponenti della societa' civile, al di fuori di un'iniziativa del gruppo. In buona sostanza, il discrimine tra le spese rimborsabili e quelle aventi natura meramente personale e' stato individuato nella "esistenza o meno di una iniziativa del gruppo". Con specifico riferimento alle cosiddette spese di rappresentanza, la Corte di appello ha individuato ulteriori limiti, ritenendo che possano considerarsi lecite solo le spese che attengono alla funzione di rappresentanza dell'ente, che, per consuetudine o per motivi di reciprocita', sono sostenute in occasione di rapporti di carattere ufficiale tra soggetti aventi veste rappresentativa del gruppo e soggetti esterni, appartenenti ad altri enti o rappresentativi della societa' civile, nonche' le spese connesse ad eventi ed iniziative di carattere istituzionale (principio tratto da Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep.2020, Giovine, Rv. 279418-06). Partendo da tali presupposti, la Corte di appello ha ritenuto che fossero sicuramente non rimborsabili - con conseguente integrazione del peculato - tutte quelle spese che, sulla base di una pluralita' di elementi indiziari, non risultavano compatibili con spese di rappresentanza sostenute in occasione di incontri organizzati dal gruppo consiliare. Ragionando in tal senso, la Corte di appello ha escluso che potessero essere legittimamente ricondotte alle spese di rappresentanza tutte le spese di ristorazione presso locali aventi caratteristiche incompatibili con la funzione di rappresentanza (trattorie, pizzerie, bar, autogrill); le spese concernenti consumazioni "singole" o per un numero limitato di persone, evidentemente incompatibili con un evento "pubblico"; le spese sostenute a favore dei soli componenti del gruppo. 11.1. Con riguardo alle spese per viaggi e soggiorni alberghieri si e' valorizzata la carenza di prova in ordine al collegamento di tali spese con incontri ed eventi organizzati dal gruppo, soprattutto con riguardo ai soggiorni svolti fuori regione. Sono state oggetto di contestazione anche le cosiddette spese per il personale di staff, impiegato dai singoli consiglieri, in assenza ed al di fuori delle regole per lo svolgimento di attivita' lavorativa all'interno dell'ente regionale. In relazione alle spese per acquisto di biglietti ferroviari o per rifornimento di carburante, la Corte di appello ha ritenuto sussistente una duplicazione di rimborso, posto che i consiglieri regionali godevano gia' di un autonomo trattamento di missione. 12. Attivita' del gruppo e dei singoli consiglieri. I criteri utilizzati dalla Corte di appello sono solo parzialmente condivisibili. Prendendo le mosse dalle spese di ristorazione, occorre precisare che queste, rientrano tutte nella categoria delle spese di natura ambivalente, essendo astrattamente compatibili sia con finalita' pubbliche, sia con il soddisfacimento di un interesse esclusivamente personale dell'agente. Tale dato rendeva necessaria una valutazione maggiormente attenta sia in punto di prova, ma ancor prima in ordine all'individuazione di quali attivita' il singolo consigliere poteva o meno svolgere anche al di fuori di un'iniziativa di gruppo. La Corte di appello, rifacendosi a principi elaborati con riguardo a leggi regionali diverse, ha ritenuto che fossero consentite le sole spese di ristorazione collegate ad eventi organizzati dal gruppo. Si tratta di un'affermazione non condivisibile, in quanto si pone in contrasto con la legislazione regionale lombarda che, invero, riconosceva espressamente la possibilita' per i singoli consiglieri di organizzare incontri ed eventi della piu' varia natura, finalizzati a garantire il costante rapporto dei consiglieri con i territori, nonche' con una pluralita' di categorie di soggetti potenzialmente interessati dall'attivita' normativa regionale, oltre che con gli organi dell'informazione. Rinviando per la compiuta disamina della legislazione regionale al p. 3, e' qui sufficiente richiamare la Legge Regionale n. 34 del 1972, articolo 2-ter, in base al quale i contributi erano erogati "al fine di assicurare l'espletamento del mandato consigliare", dizione che, pur sinteticamente, fa gia' riferimento al mandato del singolo, posto che i gruppi consigliari in quanto tali non possono ritenersi onerati dello svolgimento del mandato, trattandosi di mere strutture di sostegno ed aggregazione tra piu' consiglieri. Maggiore chiarezza e' stata fatta con il Regolamento relativo alle modalita' di erogazione del contributo (adottato il 19 giugno 2001), li' dove all'articolo 1 espressamente si precisa che il contributo mensile era finalizzato non solo a coprire le spese di funzionamento del gruppo, di aggiornamento, di studio e di documentazione, nonche' per diffondere la conoscenza del gruppo consigliare (lettera a), ma anche per far fronte alle spese di formazione, aggiornamento, consulenze esterne, rappresentanza, divulgazione ed accesso alle nuove tecnologie sostenute dai Consiglieri regionali per l'espletamento del mandato (lettera b). La lettura congiunta della Legge Regionale n. 34 del 1972 e del relativo regolamento rendono evidente come, accanto all'attivita' del gruppo in quanto tale, era prevista anche un'attivita' del singolo consigliere, cui si riconosceva la possibilita' di accedere al fondo per far fronte ad una pluralita' di spese, ivi comprese quelle di rappresentanza. Tale ambito e' stato ulteriormente esteso dalla Legge Regionale n. 17 del 1992, il cui articolo 1, comma 2-bis consentiva ai gruppi consiliari e ai singoli consigliari di organizzare le attivita' di informazione e comunicazione in proprio o di acquistare direttamente sul mercato i servizi, secondo le modalita' definite da ciascun gruppo. Nello svolgimento di tali funzioni, il successivo articolo 2 elencava, in maniera peraltro non tassativa, le tipologie di attivita' rientranti nell'ambito delle attivita' di informazione e comunicazione, ricomprendendovi quelle volte a: organizzare attivita' ed eventi a rilevanza esterna o interna quali, ad esempio, convegni e seminari; tenere rapporti a tutti i livelli di responsabilita' con gli organi della stampa d'informazione quotidiana e periodica, della radio e della televisione, in ordine alla pubblicazione di articoli ed alla diffusione di notizie; organizzare conferenze stampa; stendere e diffondere articoli e comunicati stampa; curare attivita' editoriali e di comunicazione multimediale; svolgere ogni altra attivita' similare, connessa e strumentale alle precedenti." Orbene, ritiene la Corte che sulla base del dato normativo sopra richiamato e' del tutto riduttiva l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui i consiglieri erano privi di una sfera di azione autonoma, potendo svolgere le sole attivita' concordate ed organizzate dall'intero gruppo. Il richiamato quadro normativo, invece, dimostra l'esatto contrario e, cioe', che i singoli consiglieri potevano gestire personalmente ed in autonomia tutta una articolata serie di attivita', ricomprendenti incontri sul territorio, organizzazione di convegni ed eventi di vario genere, incontri con rappresentanti di enti locali e di categorie portatori di interessi diffusi, rapporti con la stampa ed altri mezzi di informazione. In buona sostanza, l'adempimento del mandato consigliare contemplava il continuo raccordo con la realta' esterna, senza che cio' richiedesse alcuna preventiva organizzazione da parte del gruppo consiliare. La Corte di appello, pertanto, e' incorsa in una riduttiva lettura delle richiamate norme, ritenendo che tutta l'attivita' che i consiglieri svolgevano singolarmente andasse ricondotta nell'attivita' politica genericamente intesa quale propaganda, supporto e diffusione di aspetti di interesse partitico, per cio' solo non ricompresa nello svolgimento del mandato consiliare. Si tratta di un'assimilazione errata che non trova alcuna giustificazione ne' su un piano logico generale, ne' su quello strettamente giuridico. La sfera propriamente politica, infatti, e' necessariamente diversa rispetto all'attivita' consiliare, posto che solo quest'ultima presuppone un diretto collegamento con la funzione legislativa svolta dai consiglieri. A mero titolo esemplificativo, deve ritenersi che ove un consigliere si fosse recato presso un ente locale, per incontrare rappresentati dell'ente stesso, piuttosto che cittadini, per discutere di iniziative legislative o, comunque, di problematiche di competenza dell'amministrazione regionale, tale attivita' rientrerebbe appieno nell'adempimento del mandato consiliare e non potrebbe riduttivamente qualificarsi quale attivita' volta all'aumento della visibilita' del consigliere in quanto politico. Diversamente, ha natura esclusivamente politica qualsivoglia iniziativa legata essenzialmente alla sfera della propaganda e dell'affermazione di un determinato partito, quali possono essere gli incontri preelettorali, lo svolgimento di assemblee limitate agli aderenti e simpatizzanti di una determinata parte politica, l'organizzazione di convegni su tematiche che esulano dalla competenza dell'ente di appartenenza. Orbene, tenendo presente tali coordinate, deve ritenersi che tutta la valutazione compiuta dai giudici di merito e' inficiata in radice dal fatto che la quasi totalita' delle spese sostenute sono state ritenute non rientranti tra quelle rimborsabili per il solo fatto che riguardavano attivita' svolte individualmente dal consigliere regionale e non organizzate dal gruppo di appartenenza. 12.1. Una volta superata tale impostazione, la natura ambivalente delle spese di ristorazione diviene ancor piu' evidente e, al contempo, il ragionamento sillogistico su cui si fonda la sentenza impugnata mostra appieno l'equivocita' degli elementi indiziari sui quali si basa. I dati probatori sui quali si sono basati i giudici di merito, infatti, consistono semplicemente in un elenco di spese, recanti l'indicazione della data, dell'importo e del locale presso il quale e' avvenuta la consumazione. Tali elementi, invero, non consentono affatto - da soli - di ritenere dimostrato che, in concomitanza con quella determinata spesa, il consigliere che ne ha chiesto il rimborso non ha svolto una di quelle varie attivita' che, secondo le richiamate previsioni normative, rientravano nella sua esclusiva e personale facolta' di azione. Uno degli elementi che e' stato illogicamente valorizzato dai giudici di merito e' quello concernente la tipologia di esercizio commerciale presso il quale la consumazione e' avvenuta. Si e' ritenuto, infatti, che la spesa sostenuta presso bar, pizzerie e osterie, dovesse ritenersi di per se' inconciliabile con le cosiddette spese di rappresentanza, presupponendo queste necessariamente un contesto ambientale formale ed incompatibile con i locali sopra menzionati. L'elemento indiziario sopra indicato e' fallace per due motivi. In primo luogo, nulla esclude che locali denominati quali "osteria", piuttosto che "trattoria" o pizzeria, offrano un servizio di standard elevato e quindi - secondo la tesi dei giudici di merito - compatibili con la funzione di rappresentanza. Ma, a ben vedere, vi e' un dato ancor piu' dirimente. I giudici di merito, anche richiamando la giurisprudenza della Corte dei conti, hanno ritenuto che la scelta di svolgere incontri con soggetti istituzionali in ristoranti, anziche' nelle sedi proprie, non puo' legittimare il consigliere regionale a riversare sul fondo per la gestione dei gruppi gli oneri conseguenti. Tanto meno potrebbero ricondursi nel concetto di spese di rappresentanza gli incontri privi dei caratteri dell'ufficialita' e della eccezionalita'. Si tratta di affermazioni che, pur pienamente condivisibili nell'ambito del controllo demandato alla giurisdizione contabile, non possono essere direttamente traslate in ambito penale, nel quale la configurazione del reato di peculato presuppone esclusivamente un utilizzo dei fondi per finalita' diverse da quelle consentite, mentre e' precluso al giudice di compiere qualsivoglia valutazione circa la scelta discrezionale in ordine alle modalita' ed entita' della spesa sostenuta. In buona sostanza, al giudice penale compete esclusivamente di valutare se la spesa sia correlata o meno all'assolvimento del mandato consiliare, non potendo anche sindacare, nel merito e su profili prettamente discrezionali, la necessita' e l'adeguatezza della spesa, in relazione alla possibilita' di svolgere il medesimo incontro in altra sede e senza affrontare esborsi, ovvero sostenendo costi piu' limitati. Parimenti non sindacabile e' l'eccessivita' della spesa sostenuto, posto che il necessario contenimento della spesa pubblica e' gia' garantito dalla legislazione regionale nella parte in cui stabilisce un tetto massimo al contributo mensile, esulando del tutto dall'ambito di valutazione del giudice penale se tale spesa sia adeguata o meno rispetto alla finalita' pubblicistica perseguita dal soggetto che si e' avvalso del rimborso. Per completezza, si rappresenta che, sia pur con riguardo ad un diverso contesto normativo, questa Corte ha ipotizzato la possibilita' che il giudice penale valuti l'indebito utilizzo dei contributi erogati ai gruppi consiliari anche con riferimento all'entita' delle spese sostenute ed alla loro rispondenza a parametri di ragionevolezza e proporzionalita', sul presupposto che la verifica in ordine alle modalita' di utilizzo dei fondi non attiene al merito delle scelte ovvero dell'attivita' politica, ma alla conformita' alla legge dell'azione amministrativa (Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418-02). Si tratta di un principio condivisibile a condizione che la non riferibilita' della spesa alle finalita' pubbliche - costituente l'elemento costitutivo del reato di peculato - non venga desunta dalla sola eccessivita' dell'esborso. Quest'ultimo aspetto, invero, attiene sicuramente al rispetto dei principi generali in tema di corretto svolgimento dell'attivita' amministrativa, ma non puo' integrare, di per se', l'elemento costitutivo richiesto dalla fattispecie di cui all'articolo 314 c.p., rispetto al quale rileva esclusivamente la "distrazione" del denaro dalla finalita' per la quale viene messo a disposizione del pubblico agente, mentre le violazioni relative alle modalita' del suo utilizzo, a patto che non venga violato il vincolo di destinazione, potranno al piu' rilevare solo sotto il profilo della responsabilita' contabile. 12.2. Sulla base di tali parametri, al giudice del rinvio competera' l'esame delle singole voci di spesa per ristorazione, verificando se ed in che misura risulti l'estraneita' della spesa rispetto alle finalita' istituzionali come sopra individuate e riferite anche all'attivita' del singolo consigliere o presidente del gruppo. Nel compiere tale valutazione, non ci si potra' basare su elementi indiziari privi di adeguata certezza ed univocita' (quali, ad esempio, il numero dei commensali, la tipologia di locale in cui la spesa e' stata sostenuta, la vicinanza tra piu' spese di ristorazione, l'acquisto di generi alimentari, tra cui dolci, bibite ed altri beni potenzialmente utilizzabili in occasione di incontri pubblici), sicche', nel caso in cui la natura ambivalente della spesa non consenta di affermare, in termini di certezza, che la stessa non era ricollegata ad alcuna delle molteplici attivita' consentite dalla normativa regionale, non potra' che prendersi atto del mancato raggiungimento della prova del reato, a prescindere dal fatto che l'imputato abbia o meno offerto giustificazione della causale della spesa. 12.3. Diverse considerazioni vanno fatte, invece, per le cosiddette consumazioni singole, consistenti in spese per le quali la documentazione attesta inequivocabilmente - sia per l'indicazione numerica della consumazione, sia per l'importo speso - la fruizione del servizio da parte di un solo soggetto. Rispetto a tali esborsi, infatti, potra' valorizzarsi l'elemento indiziario della presumibile mancanza di una pluralita' di soggetti con i quali il pubblico agente ha avuto modo di relazionarsi, potendosi presumere che la spesa copriva un mero consumo personale del consigliere, in quanto tale non rientrante in alcuna delle attivita' contemplate nella legislazione regionale. 12.4. Discorso a parte va fatto anche per le spese di ristorazione dei consiglieri sostenute presso ristoranti convenzionati (in particolare il ristorante "(OMISSIS)"). In tal caso, e' stato contestato il delitto di peculato commesso dal presidente del gruppo in concorso con il singolo consigliere che, partecipando al pranzo, poneva in essere il presupposto di fatto per il successivo pagamento dello stesso con i fondi del gruppo. Secondo la ricostruzione operata in punto di fatto dalla Corte di appello e, sostanzialmente, neppure contestata dai ricorrenti, alcuni gruppi consiliari avevano stipulato una convenzione con ristoranti collocati nelle vicinanze della sede della Regione, concordando un prezzo forfettario e, soprattutto, che il singolo fruitore del pranzo non dovesse anticipare alcuna somma di denaro, limitandosi a sottoscrivere lo scontrino fiscale attestante la consumazione del pranzo. Successivamente, era lo stesso ristoratore a presentare la richiesta di pagamento al gruppo consiliare ed il presidente autorizzava il pagamento, imputando le somme ai singoli consiglieri che avevano partecipato al pranzo. Orbene, poiche' tale modalita' veniva seguita dai soli consiglieri ed in concomitanza con la loro partecipazione all'attivita' consiliare, deve condividersi la tesi sostenuta dai giudici di merito, secondo cui in tal modo i presidenti dei gruppi interessati hanno consentito l'indebito utilizzo dei fondi messi a loro disposizione per far fronte alle ordinarie spese dei consiglieri, per i quali questi gia' percepivano un'apposita diaria, con conseguente duplicazione del rimborso (per la normativa sul punto si veda p. 4). Ne' puo' dubitarsi della sussistenza del dolo in capo al singolo consigliere (motivo dedotto da (OMISSIS) e comune anche a (OMISSIS)), dovendosi dare continuita' al principio secondo cui, ai fini del concorso doloso del capogruppo che autorizzi il rimborso di spese sostenute dal consigliere per finalita' non istituzionali, e' necessario l'accertamento della piena consapevolezza da parte del primo dell'uso illecito del danaro pubblico, che non puo' desumersi dall'assenza di adeguate verifiche della conformita' tra giustificativi di spesa ed iniziative del gruppo, ne' dall'ampiezza dei rimborsi consentiti (Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418-09). Nel caso di specie, deve ritenersi che il presidente del gruppo ed il singolo consigliere avevano necessariamente contezza dell'indebito utilizzo dei fondi, posto che la convenzione con il ristoratore era espressamente finalizzata a consentire ai singoli di consiglieri di consumare dei pasti che non provvedevano a pagare, in tal modo conseguendo un vantaggio patrimoniale indebito, posto che le spese collegate allo svolgimento dell'attivita' presso il Consiglio regionale erano gia' coperte dalla diaria. 12.5. Nell'esaminare il quadro normativo di riferimento, si e' richiamata la disciplina concernente il rimborso per le spese di viaggio, in particolare, la L. n. 17 del 1996, articolo 6, relativa al il trattamento di missione dei consiglieri regionali, prevedeva che per le missioni nel territorio regionale funzionali all'espletamento del mandato, per le quali il consigliere e' autorizzato di diritto, spetta un rimborso spese omnicomprensivo pari al 35% dell'indennita' di funzione. Per le spese di missione al di fuori del territorio regionale, invece, l'articolo 6 stabiliva un autonomo trattamento di missione per il consigliere "inviato in missione fuori dalla regione Lombardia"; in tale ultimo caso si trattava, quindi, di un'indennita' spettante solo a fronte di uno specifico incarico. Sulla base di tali norme, quindi, deve ritenersi che correttamente la Corte di appello ha escluso la possibilita' di ottenere un ulteriore rimborso per le spese di carburante e di viaggio, per gli spostamenti intra-regionali, proprio perche' si trattava di spese gia' coperte dal trattamento di missione sopra richiamato. Analoghe considerazioni valgono per le missioni fuori regione che, a prescindere dal fatto che dovevano essere espressamente autorizzate, non potevano in alcun caso consentire la richiesta di rimborso con imputazione della spesa sul fondo per il funzionamento dei gruppi, trovando una diversa ed apposita disciplina nella Legge Regionale n. 17 del 1996. 12.6. Ultima voce di rimborso che richiede uno specifico esame e' quella concernente le spese sostenute in favore del personale di staff nominato a supporto dell'attivita' dei gruppi. Si tratta di una problematica che si pone, in particolare, in relazione all'imputata (OMISSIS), all'epoca dei fatti presidente del gruppo "(OMISSIS)" che, in tale veste, si sarebbe indebitamente appropriata della somma complessiva di Euro 66.319,00, gran parte della quale utilizzata (oltre che per effettuare rifornimenti di carburante e pagare biglietti ferroviari) per rimborsare spese sostenute da "collaboratori volontari". Sostiene la ricorrente che tale condotta non potrebbe integrare il reato di peculato, sia perche' il denaro era stato materialmente riversato in favore dei collaboratori, sia perche' questi ultimi erano pienamente legittimati a svolgere attivita' di supporto ai gruppi, erano autorizzati ad accedere agli uffici regionali e ad avvalersi degli strumenti informatici messi a loro disposizione. Deduce la ricorrente che la Legge Regionale n. 17 del 1992, articolo 3, comma 2, prevedeva espressamente che i divieti di erogazione di rimborsi "non si applicano ai pagamenti eseguiti a titolo di corrispettivo per collaborazioni, nonche' per pagamenti eseguiti a titolo di rimborso di spese vive incontrate per acquisire collaborazioni di persone aventi particolari competenze o specifiche conoscenze utili allo svolgimento delle attivita' istituzionali dei gruppi consiliari". Nel caso di specie, quindi, dovrebbero ritenersi del tutto leciti i rimborsi delle spese vive sostenute dai collaboratori, individuati fiduciariamente dal Presidente del gruppo. La tesi difensiva non e' condivisibile, in quanto non si confronta con la legislazione regionale che disciplinava specificamente l'assunzione di collaboratori fiduciari da parte dei gruppi consiliari (Legge Regionale n. 20 del 2008, articoli 66 e 67), ne' con il dettato del regolamento relativo alle modalita' di utilizzo del fondo per le attivita' di informazione dei gruppi consiliari, con il quale si dava attuazione alla Legge Regionale n. 17 del 1992. L'articolo 3 del regolamento precisava, infatti, che la stipula di contratti, anche aventi ad oggetto forme di collaborazione occasionale, doveva ritenersi disciplinata dalla Legge Regionale n. 20 del 2008, in tal modo escludendo la possibilita' di collaborazioni volontarie, prive di qualsiasi forma di contrattualizzazione e senza una puntuale disciplina dei compensi spettanti ai collaboratori. Sul punto, pertanto, devono condividersi appieno le considerazioni svolte dalla Corte di appello sia nel trattare in generale la tematica in questione (si veda, in particolare, p. 75-77), sia la motivazione specificamente riferita all'imputata (OMISSIS). 13. Le spese sicuramente incompatibili con le finalita' pubbliche. Il giudice del rinvio, nel procedere alla ricognizione delle spese riconducibili o meno alle finalita' pubbliche contemplate dalla legislazione regionale, dovra' valorizzare quelle ipotesi in cui e' stato chiesto ed ottenuto il rimborso con riguardo all'acquisto di beni intrinsecamente non riconducibili ad un rapporto di strumentalita' con lo svolgimento delle funzioni di consigliere. L'indebita appropriazione potra' essere ritenuta sussistente - senza il rischio di incorrere nell'inversione dell'onere della prova, ne' di applicare criteri inferenziali privi dei requisiti di gravita' e non equivocita' - con riguardo a tutti quegli esborsi che sono ictu oculi destinati a soddisfare esigenze personali del fruitore, senza possibilita' che possa essere fornita alcuna spiegazione alternativa. A mero titolo esemplificativo e salvo restando che la verifica, per ciascuna spesa, non puo' che essere rimessa al giudice del merito, non appaiono in alcun modo compatibili con l'assolvimento del mandato elettorale i rimborsi che risultano siano stati ottenuti per acquistare sigarette, caramelle, biglietti della lotteria, gratta e vinci, nonche' beni voluttuari di vario genere, ma comunque dimostrativi del soddisfacimento di esigenze personali slegate dall'assolvimento del mandato elettorale. Tali spese rientrano a pieno titolo tra quelle per le quali la finalita' appropriativa del denaro e' sostanzialmente autoevidente, dal che consegue la configurabilita' del reato di peculato. Peraltro, i medesimi criteri atti a dimostrare il carattere indebito dell'erogazione percepita, avrebbero dovuto trovare applicazione anche in relazione alle condotte riqualificate ai sensi dell'articolo 316-ter c.p. ove non fosse stata dichiarata l'intervenuta prescrizione. 14. Dolo ed errore sul fatto. Gli imputati, sia pur con varieta' di formulazione, hanno eccepito l'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato, anche in conseguenza dell'errore sul fatto ingenerato dalle indicazioni ricevute in ordine all'individuazione delle spese rimborsabili. Si afferma, infatti, che la legislazione all'epoca in vigore, letta congiuntamente alle indicazioni che erano state fornite ai consiglieri fin dal momento del loro insediamento, li avrebbe indotti a confidare nella legittimita' delle richieste di rimborso. In tal caso, quindi, sarebbe configurabile un errore sul fatto e non sul precetto penale. La doglianza e' infondata, dovendosi dare continuita' al principio secondo cui l'errore dei consiglieri circa la facolta' di disposizione del pubblico denaro, asseritamente indotto da regolamenti interni dei singoli gruppi che consentano il rimborso per una vasta tipologia di spese, con causale generica ed in assenza di un effettivo controllo, si risolve in un errore sulla legge penale e, pertanto, non esclude l'elemento soggettivo del reato (Sez. 6, n. 167675 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418 - 07). Peraltro, all'esito della diversa perimetrazione delle spese per le quali puo' ritenersi lecito il rimborso, anche la questione attinente alla sussistenza del dolo perde gran parte della sua valenza. In base alle osservazioni in precedenza svolte, infatti, si e' ritenuto che possano integrare il delitto di peculato solo quelle spese che - in mancanza di prove ulteriori - appaiono per loro natura assolutamente incompatibili con l'espletamento del mandato consiliare. Si tratta, pertanto, di spese rispetto alle quali non e' sostanzialmente ipotizzabile - pur a fronte delle indicazioni che i consiglieri avevano ricevuto - la loro riconducibilita' alla funzione pubblica, essendo intrinsecamente destinate a soddisfare esigenze meramente personali. Se queste sono le spese il cui rimborso integra il delitto di peculato, sul versante del dolo ne consegue l'impossibilita' di configurare un effettivo dubbio circa la natura illecita delle stesse. 15. La posizione dell'imputato (OMISSIS) richiede una ulteriore specificazione, avendo questi eccepito che - a seguito del differimento dell'udienza del 28 giugno 2022 per l'adesione di alcuni difensori all'astensione dalle udienze - nei suoi confronti non poteva tenersi conto della sospensione del termine di prescrizione, non avendo avanzato istanza di rinvio. La questione deve ritenersi assorbita, posto che le ipotesi di reato contestate a (OMISSIS) al capo 61, in concorso con il capogruppo (OMISSIS), sono ugualmente tutte prescritte. Vi sarebbe, infatti, un'unica spesa indicata nell'annualita' 2010 che, tuttavia, risulta effettuata a fine 2009 e, quindi, rientra nel periodo coperto dalla prescrizione. 16. L'annullamento con rinvio per la rivalutazione della sussistenza del fatto, determina l'assorbimento dei motivi concernenti il trattamento sanzionatorio ed il riconoscimento della continuazione. 17. Il ricorso di (OMISSIS). Passando all'esame del ricorso proposto da (OMISSIS), la sentenza impugnata, pur dichiarando estinto per prescrizione il reato di truffa aggravata ascritto all'imputato in concorso con il consigliere regionale (OMISSIS), ha confermato le statuizioni civili in favore della Regione Lombardia (condanna al risarcimento dei danni liquidati in Euro 127.600 a titolo di danno patrimoniale ed Euro 12.000 a titolo di danno morale). Secondo il ricorrente tale capo della sentenza sarebbe affetto da vizi cumulativi di violazione di legge e di mancanza ed illogicita' della motivazione in quanto sulla base della disciplina all'epoca vigente (la Legge Regionale n. 20 del 2008, articolo 67, comma 9) non era richiesto alcun titolo ai fini dell'assunzione come collaboratori esterni. Il motivo e' infondato per le ragioni di seguito esposte. Va, innanzitutto, considerato che la Legge Regionale n. 20 del 2008 prevede che per lo svolgimento delle attivita' necessarie all'esercizio delle proprie funzioni i gruppi consiliari si avvalgono di specifiche unita' organizzative denominate segreterie e staff assistenza ai consiglieri scelte in virtu' di un rapporto di natura fiduciaria. Erroneamente il ricorrente afferma che la costituzione di tali rapporti di collaborazione esterna fosse governata esclusivamente da tale carattere intuitus personae del rapporto. Come gia' rilevato dalla sentenza impugnata, l'articolo 67 della citata legge regionale, nel consentire l'acquisizione a tale titolo di personale esterno all'amministrazione regionale con contratto di diritto privato a tempo determinato, ivi compreso il contratto di collaborazione professionale o di consulenza professionale, prevede espressamente che tale rapporto viene costituito con la sottoscrizione del contratto individuale, sottoscritto per l'amministrazione dal presidente del Consiglio regionale o dal suo delegato, sulla base di schemi contrattuali approvati dall'Ufficio di Presidenza, che tengono conto della professionalita' richiesta, dei diversi ambiti di autonomia e responsabilita' del personale interessato (comma 12). In ogni caso, anche a prescindere da tale chiara disposizione normativa, va considerato che, con il contratto stipulato, il (OMISSIS) si era impegnato a svolgere una prestazione altamente specialistica rispetto alla quale, come risulta dalla sentenza impugnata, lo stesso ha dolosamente taciuto di non essere in possesso del corrispondente grado di professionalita'; che l'importo della retribuzione era stato determinato proprio in ragione della natura di tale prestazione e che detto importo e' stato percepito dal (OMISSIS) a fronte dello svolgimento di attivita' di diversa natura. Risulta, infatti, dalla sentenza impugnata che il contratto di collaborazione del (OMISSIS) aveva ad oggetto la "valutazione dell'attivita' legislativa attinente i rapporti tra Regione ed Enti Locali con particolare attenzione alla provincia di Lecco a supporto dell'attivita' del Consigliere (OMISSIS)". Come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, l'oggetto del contratto implicava un'elevata professionalita' del collaboratore esterno, essendo imprescindibile, a tal fine, quanto meno un titolo di laurea, mentre il (OMISSIS), operaio imbottigliatore, possedeva solo un diploma di licenza media. Risulta, inoltre, che lo stesso (OMISSIS), nel corso dell'esame dibattimentale, ha ammesso che il ricorrente aveva svolto un'attivita' diversa da quella oggetto del contratto, consistente nel mantenimento dei rapporti del Consigliere regionale con il territorio. Pertanto, considerati l'elevata professionalita' richiesta dal contratto di collaborazione del (OMISSIS), la sua totale inadeguatezza, la difforme prestazione svolta e le attestazioni sottoscritte dal (OMISSIS) in merito alla congruita' della retribuzione erogata (Euro 8.000 al mese circa, pari ad un importo complessivo di Euro 196.000), ritiene il Collegio che la sentenza impugnata, senza incorrere in alcuna violazione di legge e con motivazione immune da vizi, ha legittimamente escluso la possibilita' di pervenire ad un proscioglimento dell'imputato, essendo ravvisabile nella condotta tenuta gli estremi degli artifici e raggiri, consistiti nel silenzio maliziosamente serbato sulle competenze professionali del (OMISSIS) e sulla sua totale inadeguatezza rispetto all'oggetto dell'incarico, reputando tale condotta idonea a configurare un fatto illecito civile e, in particolare, un vizio del consenso della pubblica amministrazione che, ove fosse stata informata delle effettive competenze del (OMISSIS), non avrebbe concluso il contratto di collaborazione avente l'oggetto sopra riportato. Va, infatti, ribadito che anche il silenzio, maliziosamente serbato su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, integra l'elemento del raggiro, idoneo ad influire sulla volonta' negoziale del soggetto passivo (cfr. da ultimo, Sez. 6, n. 13411 del 05/03/2019, Rv. 275463 - 04). Tale definizione del dolo della truffa contrattuale rileva, nei medesimi termini, anche ai fini della individuazione del vizio del contratto concluso per effetto di siffatta condotta. Secondo il costante orientamento delle Sezioni civili di questa Corte, infatti, il contratto concluso per effetto di truffa di uno dei contraenti in danno dell'altro e' annullabile ai sensi dell'articolo 1439 c.c., atteso che il dolo costitutivo di tale delitto non e' ontologicamente diverso, neanche sotto il profilo dell'intensita', da quello che vizia il consenso negoziale, entrambi risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati dall'agente e diretti ad indurre in errore l'altra parte e cosi' a viziarne il consenso (cfr. Cass. civ.: Sez. 1, n. 18930 del 27/09/2016, Rv. 641831; Sez. 2, n. 7468 del 31/03/2011, Rv. 617294; Sez. 2, n. 13566 del 26/05/2008, Rv. 603359). Si e', inoltre, aggiunto che il dolo che vizia la volonta' e causa l'annullamento del contratto implica necessariamente la conoscenza da parte dell'agente delle false rappresentazioni che si producono nella vittima e il convincimento che sia possibile determinare con artifici, menzogne e raggiri la volonta' altrui, inducendola specificamente in inganno (Cass. civ., Sez. 2, n. 13034 del 24/05/2018, Rv. 650830). 18. Le sorti delle statuizioni civili. La presenza delle statuizioni civili disposte nei confronti degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nei cui confronti, a seguito della riqualificazione delle condotte ascritte ai sensi dell'articolo 316-ter c.p. e' stata dichiarata la prescrizione dei reati, impone di valutare le rispettive impugnazioni ai sensi dell'articolo 578 c.p.p.. Ritiene il Collegio che benche', come affermato nel par. 8, non sussistano i presupposti per un proscioglimento nel merito degli imputati sopra citati, non e' possibile confermare le statuizioni civili disposte nei loro confronti. Cio' in quanto, la valutazione della fondatezza o meno della pretesa risarcitoria della Regione Lombardia richiede un nuovo giudizio in fatto, per le ragioni gia' esposte nei parr. 10, 11 e 12, al fine di selezionare per quali spese gli imputati abbiano indebitamente riscosso il relativo rimborso. La sentenza impugnata va conseguentemente annullata con rinvio agli effetti civili nei confronti dei citati imputati, in relazione alle imputazioni come riqualificate nel precedente paragrafo. 18.1. Quanto alla individuazione del giudice competente in sede di rinvio, va innanzitutto considerato che sulla questione esiste un contrasto giurisprudenziale. Secondo un primo orientamento maggioritario, tale giudice va individuato, ai sensi dell'articolo 622 c.p.p., nel giudice civile competente in grado di appello (in tal senso, si veda, tra le tante, Sez. 5, n. 28848 del 21/09/2020, D'Alessandro, Rv. 279599; Sez. 5, n. 26217 del 13/07/2020, Rv. 279598 - 02; Sez. 4, n. 13869 del 05/03/2020, Sassi, Rv. 278761). Secondo altro orientamento, invece, il giudice del rinvio va individuato nello stesso giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 21251 del 26/03/2013, Rv. 255654) presupponendo l'articolo 622 c.p.p. il gia' definitivo accertamento della responsabilita' penale o l'accoglimento dell'impugnazione proposta dalla sola parte civile avverso sentenza di proscioglimento (Sez. 3, n. 15653 del 27/02/2008, Colombo, Rv. 239865). Nell'ambito di tale orientamento possono iscriversi anche le pronunce che individuano nel giudice penale il giudice competente per la fase rescissoria in caso di annullamento con rinvio della sentenza di appello che abbia dichiarato la prescrizione del reato con affermazione della responsabilita' dell'imputato ai soli effetti civili per violazione dell'obbligo previsto dall'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, (Sez. 6, n. 28215 del 25/09/2020, Rv. 279574 - 02; Sez. 2, n. 9542 del 19/02/2020, Rv. 278589). Va, infine, considerato un terzo orientamento secondo il quale in tema di giudizio per cassazione, il rinvio al giudice civile, ai sensi dell'articolo 622 c.p.p., non puo' essere disposto qualora l'annullamento delle disposizioni o dei capi della sentenza impugnata concernenti l'azione civile dipenda dalla fondatezza del ricorso dell'imputato agli effetti penali (Sez. 3, n. 15216 del 24/01/2022, Sparta, Rv. 283229; Sez. 6, n. 31921 del 06/06/2019, De Angelis, Rv. 277285). 18.2 P Collegio intende dare continuita' al primo orientamento per il seguente ordine di ragioni. Occorre, innanzitutto, considerare la ratio dell'articolo 622 c.p.p., da individuarsi nel principio di economia in ragione del quale va esclusa la perdurante attrazione delle pretese civili nel processo penale, una volta che siano definitive le statuizioni di carattere penale, tra le quali rientrano anche quelle che dichiarano l'estinzione del reato per prescrizione. Invero, come gia' autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 40109 del 18/07/2013, Sciortino, Rv. 256087), l'inciso iniziale "fermi gli effetti penali" dell'articolo 622 c.p.p. non implica un riferimento esclusivo a un "accertamento" della responsabilita' penale in quanto tra gli "effetti penali della sentenza" rientrano certamente quelli scaturenti da una declaratoria di estinzione del reato. Le Sezioni Unite hanno, pertanto, individuato nel giudice civile il giudice del rinvio in caso di accoglimento del ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui il giudice di appello dichiari non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato (o per intervenuta amnistia) senza motivare in ordine alla responsabilita' dell'imputato ai fini delle statuizioni civili (Sez. U, n. 40109 del 18/07/2013, Sciortino, Rv. 256087). Coerentemente con tale impostazione ermeneutica, inoltre, in una successiva pronuncia il Supremo Consesso ha individuato nel giudice civile competente per valore in grado di appello il giudice del rinvio in caso di annullamento agli effetti civili della sentenza che, in accoglimento dell'appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, abbia condannato l'imputato al risarcimento dei danni senza procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva (Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, Cremonesi, Rv. 281228). Secondo l'interpretazione della norma qui condivisa, l'articolo 622 c.p.p. disciplina, dunque, la fase in cui, all'esito del giudizio di cassazione, la regiudicanda penale si sia esaurita (essendosi prescritto il reato), ed il giudizio debba proseguire con riferimento alle sole statuizioni civili. In tale ipotesi, infatti, non essendovi piu' alcuno spazio per il giudice penale, viene meno la ragione della sua competenza promiscua conseguente alla costituzione di parte civile. Tale soluzione appare coerente con la connotazione di accessorieta' dell'azione civile rispetto al processo penale, recentemente sottolineate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 182 del 2021 in cui ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 578 c.p.p., sollevata in riferimento all'articolo 117 Cost., comma 1, in relazione all'articolo 6, paragrafo 2, della CEDU nonche' in riferimento allo stesso articolo 117 Cost., comma 1, e all'articolo 11 Cost., in relazione agli articoli 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, e all'articolo 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. In tale pronuncia la Corte costituzionale, premettendo che l'articolo 622 c.p.p. costituisce una marcata deviazione dal principio generale di accessorieta' dell'azione civile nel processo penale, ha tenuto conto dell'ermeneusi della norma consacrata nelle due citate pronunce delle Sezioni Unite in forza della quale il giudizio rescissorio di rinvio dinanzi al giudice civile puo' assumere non solo carattere meramente "prosecutorio", ma anche carattere "restitutorio" (si fa riferimento a Sez. U. n. 40109 del 2013, Sciortino). Sulla base delle considerazioni sopra esposte e, in particolare dell'interpretazione dell'incipit dell'articolo 622 c.p.p. fatta propria dalle Sezioni Unite, puo', dunque, affermarsi che questo si riferisce anche alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, consentendo il rinvio al giudice civile anche nelle ipotesi in cui, per un vizio della motivazione o per un errore di diritto, il giudice dell'impugnazione non possa determinare con certezza l'an della responsabilita'. In tale ipotesi, dunque, il giudizio rescissorio di rinvio avra' ad oggetto sia l'an che il quantum della pretesa risarcitoria. 19. Tenuto conto delle considerazioni sopra esposte, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS) con riferimento ai fatti di cui al capo 61) perche' il reato e' estinto per intervenuta prescrizione; annullata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con riferimento ai fatti di cui ai capi 48), 48a), 61) e 62), commessi in epoca antecedente al 29 dicembre 2009, perche' i reati sono estinti per intervenuta prescrizione; annullata, nei confronti dei predetti ricorrenti, con riferimento ai medesimi capi, relativi ai fatti commessi in epoca successiva, nonche' nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), con riferimento al capo 61), e nei confronti di (OMISSIS), con riferimento al capo 17), con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Al rigetto del ricorso proposto da (OMISSIS) consegue la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali. All'inammissibilita' dei ricorsi proposti da (OMISSIS) ed (OMISSIS) segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila da versare in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi ritenere che gli stessi abbiano proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. n. 186 del 2000). (OMISSIS) e (OMISSIS) vanno, inoltre, condannati, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, Regione Lombardia, che si liquidano in complessivi Euro 3.900,00. Alla riqualificazione delle condotte ascritte a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nei reati di cui all'articolo 316-ter c.p., consegue, invece, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perche' tali reati sono estinti per intervenuta prescrizione; quanto alle statuizioni civili relative alle imputazioni come riqualificate, nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), va disposto l'annullamento agli effetti civili della sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) con riferimento ai fatti di cui al capo 61) perche' il reato e' estinto per intervenuta prescrizione. Annulla senza rinvio la medesima sentenza nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con riferimento ai fatti di cui ai capi 48), 48a), 61) e 62), commessi in epoca antecedente al 29 dicembre 2009, perche' i reati sono estinti per intervenuta prescrizione; annulla altresi' la stessa sentenza nei confronti dei predetti ricorrenti, con riferimento ai medesimi capi, relativi ai fatti commessi in epoca successiva, nonche' nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), con riferimento al capo 61), e nei confronti di (OMISSIS), con riferimento al capo 17), e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta il ricorso proposto da (OMISSIS) e lo condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Condanna (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, Regione Lombardia, che liquida in complessivi Euro 3.900,00. Riqualificati gli ulteriori fatti contestati a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nei reati di cui all'articolo 316-ter c.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche' tali reati sono estinti per intervenuta prescrizione; annulla agli effetti civili la medesima sentenza, in relazione alle imputazioni come riqualificate, nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. DI STASI Antonella - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro Ma - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: dal Procuratore della Repubblica del tribunale di Ancona; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Noviello; Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pietro Molino che ha concluso per l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 24 maggio 2022, il tribunale del riesame di Ancona, adito nell'interesse di (OMISSIS) ai sensi dell'articolo 322 c.p.p. avverso il decreto del 2 maggio 2022 del Gip del medesimo tribunale, con cui era stato disposto il sequestro preventivo di un'area con annessi edifici in relazione al reato di lottizzazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 ex articolo 44 lettera c), annullava il sequestro con restituzione di quanto in vinculis. 2. Avverso la predetta ordinanza il pubblico ministero del tribunale di Ancona propone ricorso deducendo un unico motivo di impugnazione. 3. Deduce il vizio di violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 articoli 30 e 44 lettera c), 3 comma 1 lettera d) e comma 2 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, 1 e 2 Legge Regionale Marche 22/09, 24 e 25 NTA del PRG del Comune di Loreto. Si contesta la decisione del tribunale del riesame che avrebbe sostenuto la legittimita' delle opere sequestrate in violazione delle predette disposizioni. Cio' perche' sarebbe erronea la qualificazione, in termini di ristrutturazione, del complessivo intervento edilizio sequestrato, sia in quanto, da una parte, la ristrutturazione impone comunque la conservazione ovvero il recupero dell'immobile preesistente nonostante le modifiche per legge consentite, sia in quanto dall'altra, l'intervento in oggetto avrebbe comportato la demolizione pura e semplice di edifici preesistenti non ricostruiti nella loro fisica esistenza, con utilizzo delle volumetrie dei manufatti demoliti, aumento di volumetria, e quindi creazione di un organismo del tutto diverso, in ultima analisi integrante una ristrutturazione urbanistica in ragione della sostituzione del preesistente tessuto urbanistico ed edilizio, in zona agricola di interesse paesistico, anche a fronte della creazione di una apposita strada e di un parcheggio. In tale quadro, si osserva che alla luce della qualificazione degli interventi contemplati nel piano di recupero assunto a riferimento per gli interventi in questione, la disciplina regionale applicabile sarebbe stata solo quella dell'articolo 2 inerente interventi di demolizione e ricostruzione e non anche come invece ritenuto, quella di cui all'articolo 1 della medesima legge. Con evidente non conformita' urbanistica degli interventi previsti dal piano di recupero, con riguardo alla prevista realizzazione di 10 - 12 unita' immobiliari a fronte delle due esistenti, posto che la possibilita' di aumento superiore ad una unita' immobiliare rispetto alle esistenti sarebbe previsto dall'articolo 1 comma 1 citato e non dall'articolo 2 citato della medesima legge regionale, inerente interventi di demolizione e ricostruzione rilevanti nel caso in esame. La non conformita' riguarderebbe anche i profili inerenti il mancato rispetto del tipo edilizio e delle caratteristiche edilizie storiche. In particolare, alla luce dell'articolo 24 e 25 delle NTA del PRG non sarebbero ammesse nuove costruzioni quali quelle in esame, ma solo essenzialmente costruzioni in termini, al piu', di ristrutturazione e ampliamento per la residenza della famiglia coltivatrice dell'imprenditore agricolo e di costruzioni accessorie e impianti strumentali per l'attivita' agricola. Laddove il piano di recupero inerente gli interventi in questione non farebbe riferimento a tipologie di intervento quali quelle da ultimo indicate. In ultima analisi emergerebbe una lottizzazione abusiva mista. Quanto al periculum in mora, esso conseguirebbe all'immediato inizio dei lavori, realizzato senza comunicazione di inizio lavori al Comune e senza affissione della cartellonistica necessaria, oltre che alla gia' intervenuta demolizione dei manufatti accessori, per i quali sussistevano dubbi sulla relativa legittimita' urbanistica, per cui i lavori all'indomani del dissequestro potranno essere ripresi trasformando l'area e pregiudicando anche ulteriori accertamenti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Premesso che e' sollevato un vizio di violazione di legge, occorre stabilire se e quale sia l'intervento in ordine al quale si contesta la ricostruzione giuridica elaborata dal tribunale. 1.1. Dal provvedimento impugnato oltre che dal ricorso proposto, emerge che l'ipotesi accusatoria attiene all'intervenuto rilascio di un permesso di costruire autorizzante la demolizione di una casa colonica costituita da due unita' immobiliari e cinque annessi agricoli di varia tipologia, con costruzione, in luogo di tali strutture, di un complesso residenziale costituito da 10 villini in linea, di cui 2 su due livelli, e un parcheggio a raso, costituito da 24 stalli con copertura fotovoltaica. 1.2. Il tema essenziale proposto, e' quello della configurabilita' o meno di un intervento di ristrutturazione edilizia; quest'ultimo rinvenuto dal tribunale del riesame, con esclusione, quindi, di ogni abusivita' dell'intervento come invece sostenuto dal ricorrente in termini di lottizzazione. 1.3. Va premesso che la nozione di ristrutturazione edilizia, introdotta inizialmente con l'articolo 31, lettera d), L. n. 457/1978, e da ultimo tradottasi nelle previsioni di cui all'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, e' stata interessata da progressivi interventi legislativi, che hanno ampliato la stessa. Di recente, con l'articolo 10 del decreto del 16 luglio 2020 n. 76, convertito con modificazioni dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, dettato "al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonche' di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo" e' stato novellato l'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, nei seguenti termini: "alla lettera d), il terzo e il quarto periodo sono sostituiti dai seguenti: "nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresi' gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilita', per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. L'intervento puo' prevedere altresi', nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purche' sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonche' a quelli ubicati nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria." Per completezza va aggiunto che con D.L.l'1 marzo 2022 n. 17, convertito in L. 27 aprile 2022 n. 34, con l'articolo 28 comma 5 bis e' stato disposto che "al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 3, comma 1, lettera d), sesto periodo, dopo le parole: "decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42," sono inserite le seguenti: "ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi dell'articolo 142 del medesimo codice". Inoltre, con Decreto Legge n. 17 maggio 2022, n. 50 convertito con modificazioni dalla L. 15 luglio 2022, n. 91 si e' disposto, con l'articolo 14, comma 1-ter, lettera a), la modifica dell'articolo 3, comma 1, lettera d) nel senso che "al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 3, comma 1, lettera d), sesto periodo, le parole: "dell'articolo 142" sono sostituite dalle seguenti: "degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142". 1.4. Purtuttavia, nonostante il riportato ampliamento, in particolare con la citata novella del 2020, dell'ambito di operativita' della nozione attuale di ristrutturazione, con particolare riferimento agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonche' a quelli ubicati nelle zone omogenee A, permane comunque la ratio qualificante l'intervento edilizio, che postulando la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, e' comunque finalizzata al recupero del medesimo, pur con le ammesse modifiche di esso. Si tratta di un indirizzo piu' volte sottolineato negli anni, oltre che dalla dottrina, anche dalla giurisprudenza. In tal senso si e' espressa anche di recente la giurisprudenza amministrativa, laddove ha evidenziato che la ristrutturazione edilizia, quale intervento sul preesistente, non puo' fare a meno di una certa continuita' con l'edificato pregresso (TAR Veneto Sez. H n. 660 del 2 maggio 2022 T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna Sez. II, 16 febbraio 2022, n. 183; Consiglio di Stato, Sez. II, 6 marzo 2020 n. 1641) e analogamente ha fatto questa Suprema Corte (Sez. 3 - n. 23010 del 10/01/2020 Rv. 280338 - 01) laddove ha precisato, ancorche' rispetto a un quadro normativo non inclusivo ancora del citato decreto legge del luglio 2020 n. 76, che l'articolo 3, comma 1, lettera d), Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, nel definire gli "interventi di ristrutturazione edilizia" non prescinde, ne' potrebbe, dalla necessita' che venga conservato l'immobile preesistente, del quale deve essere comunque garantito il recupero. Allo stesso modo la ristrutturazione dei manufatti crollati o demoliti e' possibile al solo fine del loro "ripristino", termine quest'ultimo dal significato univoco nella parte in cui esclude la mera demolizione a vantaggio di un edificio diverso. La ristrutturazione, per definizione, non puo' mai prescindere dalla finalita' di recupero del singolo immobile che ne costituisce l'oggetto. In tale quadro e' stata sottolineata, molto opportunamente, "la necessita' di un'interpretazione della definizione dell'intervento di ristrutturazione edilizia di cui alla lettera d) dell'articolo 3, comma 1, Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, che sia aderente alla (e non tradisca la) finalita' di conservazione del patrimonio edilizio esistente, finalita' che contraddistingue tale intervento rispetto a quelli di "nuova costruzione" di cui alla successiva lettera e), e non si presti all'elusione degli standard urbanistici vigenti al momento della riedificazione ed applicabili in caso di nuova costruzione. Del resto, la conferma della ontologica necessita' che l'intervento di ristrutturazione edilizia, pur con le ampie concessioni legislative in termini di diversita' tra la struttura originaria e quella frutto di "ristrutturazione", non possa prescindere dal conservare traccia dell'immobile preesistente, e' fornita dallo stesso articolo 10 sopra gia' citato, integrativo dell'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, laddove si premette che le novelle introdotte rispondono "al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonche' di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo". Anche la lettura stessa del citato articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 depone in tal senso, laddove, da una parte, definisce come ristrutturazione "gli interventi edilizi volti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso", dall'altra, distingue rispetto ad essa gli "interventi di nuova costruzione" (articolo 3 comma 1 lettera e), che sono strutturalmente connotati dalla assenza di una preesistenza edilizia. In altri termini, con riguardo alla ristrutturazione non vi e' spazio per nessun intervento che lasci scomparire ogni traccia del preesistente. 1.5. Alla luce delle precedenti considerazioni, deve essere esaminato l'intervento oggetto di sequestro. Che risulta indiscutibilmente consistente nell'abbattimento, in zona agricola, di edifici rurali accessori ad una casa colonica - composta di due unita' immobiliari - non ancora demolita, con aumenti di cubatura previsti per l'intervento finale, consistente nella creazione di un complesso residenziale costituito da 10 villini in linea, di cui 2 su due livelli, e un parcheggio a raso costituito da n. 24 stalli con copertura fotovoltaica. Si tratta di interventi edilizi in corso, funzionali, come appare evidente per quanto immediatamente sopra illustrato, non alla realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente ma pur sempre identificabile con quest'ultimo, quanto, piuttosto, di plurimi e diversi organismi, quali le villette, ancorche' in linea; laddove la previsione di una strada e di 24 parcheggi a raso conferma la predisposizione di un nuovo complesso residenziale, come tale distante dal criterio fondante della ristrutturazione, che pur con l'ampiezza operativa concessa ai sensi dell'articolo 3 attualmente vigente, impone, comunque, per rispettare la ratio dell'intervento e la distinzione rispetto ad altre operazioni edilizie, e in particolare rispetto alle "nuove costruzioni", un connubio materiale o comunque funzionale e identitario, tra l'edificio originario e l'immobile frutto di ristrutturazione. Correlazione evidentemente assente allorquando, come nel caso di specie, rispetto ad un unico edificio - quale la casa colonica comprensiva di due unita' immobiliari - si prospettano plurime e autonome unita' immobiliari, quali le 10 ville, nel contesto, peraltro, di una strada e di un parcheggio integranti interventi per i quali pare assente ogni riferimento strutturale originario, idoneo a inquadrare anche tali ultime opere nel novero di una ristrutturazione. Ne', per quanto detto, e anche per quanto di seguito si precisera' circa i rapporti tra Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e leggi regionali, appare pertinente la precisazione, in ordinanza, per cui con legge regionale sarebbe caduto il divieto di realizzare, previa demolizione e ricostruzione, diverse unita' immobiliari, atteso che qui viene in rilievo non la possibilita', consentita, che il nuovo organismo contempli, in se', altre unita' immobiliari, ma la necessita' che l'operazione di ripristino non si traduca nella moltiplicazione, da un unico edificio, di piu' distinte e autonome strutture edilizie. In altri termini, seppure la recente novella del 2020 abbia contribuito a delineare la possibilita' di interventi di ristrutturazione fortemente innovativi rispetto all'organismo preesistente, tanto che alcuni criteri prima utilizzati dalla legge e giurisprudenza, per sancire la corrispondenza tra i due organismi interessarti appaiono via via sfumati o scomparsi (quali, in sintesi, con riferimento in particolare a zone non vincolate, la fedele ricostruzione comprensiva di limitate innovazioni, oppure, poi, la medesima sagoma /volumetria o, ancora, l'identita' del sedime), permane il requisito, insuperabile, per cui deve pur sempre trattarsi di interventi di recupero del medesimo immobile ancorche' trasformato in organismo edilizio in tutto o in parte diverso. Per cui, in tale quadro va esclusa la moltiplicazione, da un unico edificio, di plurime distinte strutture o, di converso, l'assorbimento di plurimi immobili in un unico complesso edilizio. 1.6. In proposito, e' utile osservare come tale impostazione sia seguita dall'articolo 2 della L. 22/2009 della regione Marche che, nel consentire la demolizione e ricostruzione, fa chiaro riferimento al parametro, permanente, prima e dopo dell'intervento, dell'organismo edilizio preesistente, mediante le espressioni " ricostruzione" e "ricomposizione planovolumetrica" oltre che con riferimento - in zone agricole - alla realizzazione di un "nuovo edificio" (piuttosto che di plurimi edifici "generati" da un unico edificio - oltre che annessi "assorbiti" - come nel caso in esame); peraltro, si noti bene, il tutto per delineare i confini reali della fattispecie di ristrutturazione sancita dalla disciplina in esame, pur sempre "secondo il tipo edilizio e le caratteristiche edilizie storiche". Non sembra inoltre trascurabile, nel caso in esame, il seguente ulteriore dato: pur stabilendo, l'attuale articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, che la ristrutturazione puo' prevedere altresi' "nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana", tale previsione fa evidentemente riferimento, nel quadro della gia' delineata ricostruzione normativa, ad ampliamenti relativi a ciascun singolo edificio da ristrutturare. Solo entro tali limiti, dunque, e' ammesso un aumento volumetrico. Di contro, il rinvio di cui all'articolo 2 comma 8 della L. Marche 22/2009 all'articolo 1 comma 6 della stessa, appare riferibile a fattispecie diversa, quale l'accorpamento, all'edificio principale, della volumetria di accessori ad esso di pertinenza e diversi, che nella misura in cui si traduca, come pare nel caso di specie, nella demolizione di immobili accessori distinti, con acquisizione all'immobile principale della relativa volumetria, e scomparsa, di fatto, dei predetti locali si traduce in un intervento che, per quanto sopra detto, con riguardo alla necessaria identificabilita' del singolo immobile ristrutturato con il nuovo organismo realizzato, esula dalla nozione legislativamente fissata di ristrutturazione. Cosicche', pur alla luce delle piu' recenti novelle, l'utilizzazione, a favore dell'unico edificio ricostruito, delle volumetrie espresse da a(tri edifici anch'essi demoliti e' concetto totalmente estraneo - e come tale deve essere interpretato il rinvio disposto dall'articolo 2 comma 8 citato all'articolo 1 comma 6 pure citato - alla definizione detta ristrutturazione: manca infatti, in tal caso, la "ricostruzione" dell'edificio demolito (che invece scompare, con mero "acquisto", in favore dell'immobile principale, della relativa volumetria), ancorche' rinnovato e modificato (nei termini di legge consentiti). Di rilievo, in tal senso, appare il principio affermato da Cons. Stato Sez. VI Sent., 16/12/2008, n. 6214, secondo cui la trasformazione di due manufatti agricoli in villa ad uso residenziale, con accorpamento di volumi e parziale spostamento dell'area di sedime, esula dalla nozione di ristrutturazione, sia come attualmente definita del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 articolo 3, comma 1, lettera d), sia in rapporto alla elaborazione giurisprudenziale. Si tratta di decisione che, seppure formulata in un quadro giuridico piu' restrittivo rispetto a quello attualmente vigente a seguito della novella del 2020, ribadisce il senso della disciplina della ristrutturazione, nella sua correlazione tra edificio demolito ed edificio ricostruito, laddove evidenzia come "cio' che distingue, infatti, gli interventi di tipo manutentivo e conservativo da quelli di ristrutturazione e', indubbiamente, il carattere innovativo di quest'ultima in ordine all'edificio preesistente; cio' che contraddistingue, pero', la ristrutturazione dalla nuova edificazione e' la gia' avvenuta trasformazione del territorio, attraverso una edificazione di cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di un "insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente"), ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita". 1.7. Ne' osta a tale ultimo rilievo, sulla corretta interpretazione del rinvio di cui della L. Marche 22 del 2009 articolo 2 comma 8 all'articolo 1 comma 6, la previsione dell'articolo 2 comma 8 ter L. R. Marche 22/2009, per cui "gli interventi previsti da questo articolo costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia di cui alla lettera d) del comma 1 articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380", atteso che l'articolo 1, comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, stabilisce che "il presente testo unico contiene i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell'attivita' edilizia", e i commi 1 e 3 dell'articolo 2, prevedono, rispettivamente, che "le regioni esercitano la potesta' legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico" e "le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi". Di rilievo e' anche il comma 3 dell'articolo 117 Cost., secondo cui sono materie di legislazione concorrente, tra le altre, quelle relative al "governo del territorio" e, "nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato". Consegue che la nozione di ristrutturazione di cui all'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, costituendo un principio fondamentale della legislazione statale dettato in tema di caratteristiche di interventi latu sensu conservativi e di recupero, non puo' essere integrata o modificata con legge regionale. Tanto, del resto, risulta gia' stabilito da questa Suprema Corte, laddove si e' precisato che in materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale, e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi (Sez. F - n. 46500 del 30/08/2018 Rv. 274173 - 01; Sez. 3, n. 30657 del 20/12/2016 Ud. (dep. 20/06/2017) Rv. 270210 - 01). 1.8. Con riguardo, dunque, alla qualificazione giuridica dell'intervento, appare corretto il rilievo del ricorrente nel senso della esclusione di un'operazione di ristrutturazione, a fronte di un nuovo complesso residenziale dal notevole impatto edilizio ed urbanistico. Le cui caratteristiche, peraltro in area a destinazione agricola, non possono prescindere dalla considerazione dei principi piu' volte ribaditi da questa Suprema Corte, secondo i quali in materia edilizia, e' configurabile il reato di lottizzazione abusiva anche nel caso di interventi realizzati, in difetto di uno strumento pianificatorio di dettaglio, in zone gia' urbanizzate o parzialmente urbanizzate, purche' di consistenza e complessita' tali da costituire una notevole trasformazione del territorio, inammissibile in mancanza di un piano per la realizzazione degli interventi infrastrutturali, che garantisca il raccordo della nuova edificazione a quella preesistente (Sez. 3 -, n. 36616 del 07/06/2019 Rv. 277614 - 02). Inoltre, integra il reato di lottizzazione abusiva il frazionamento e la predisposizione di un terreno agricolo alla realizzazione di piu' edifici aventi natura e destinazione residenziale, in quanto trattasi di attivita' edificatoria fittiziamente connessa alla coltivazione ed allo sfruttamento produttivo del fondo ed incompatibile con l'originaria vocazione dell'area (Sez. 3, n. 15605 del 31/03/2011 Rv. 250151 - 01) ed ancora, in tema di reati urbanistici, nel caso di costruzione in zona agricola, la destinazione del manufatto alle opere dell'agricoltura ed il possesso dei requisiti soggettivi di imprenditore agricolo in capo a chi lo realizza - tanto al momento della richiesta e del rilascio del permesso di costruire, quanto al tempo della eventuale voltura del titolo abilitativo in favore di terzi - sono elementi rilevanti nella valutazione della rispondenza dell'opera alle prescrizioni dello strumento urbanistico e, di conseguenza, anche per l'eventuale valutazione di conformita' ai fini del rilascio della sanatoria (Sez. 3, n. 7681 del 13/01/2017 Rv. 269159 - 01). 1.9. Rispetto a tale ricostruzione, anche di principio, le ulteriori considerazioni critiche in ordine alla interpretazione di atti amministrativi quali le NTA del PRG vigente, citate in ricorso, muovono su un piano fattuale, inammissibile in questa sede, proponendo un'analisi non effettuabile da parte di questa Corte, atteso che in tema di misure cautelari reali, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l'inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche l'affermata erronea interpretazione di un atto amministrativo, poiche' essendo relativa ad atti privi di carattere normativo rientra, ai sensi dell'articolo 325, comma 1, c.p.p. nella valutazione del fatto (Sez. 3 - n. 14977 del 25/02/2022 Rv. 283035 - 01; Sez. 3, n. 37451 del 11/04/2017 (dep. 27/07/2017) Rv. 270543 - 01). 2. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che l'ordinanza impugnata debba essere annullata con rinvio al tribunale di Ancona per nuovo esame in relazione alla ipotesi accusatoria formulata, alla luce delle considerazioni sopra riportate. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al tribunale di Ancona competente ai sensi dell'articolo 324, comma 5, c. p. p.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. MAGRO Maria Beatric - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: dal Procuratore della Repubblica del tribunale di Ancona; nel procedimento a carico di (OMISSIS); avverso la ordinanza del 24/05/2022 del tribunale di Ancona; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Noviello; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pietro Molino che ha concluso per l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato; udite le conclusioni dei difensori dell'indagato, avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) che hanno concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 24 maggio 2022, il tribunale del riesame di Ancona, adito nell'interesse di (OMISSIS) ai sensi dell'articolo 322 c.p.p., avverso il decreto del 2 maggio 2022 del Gip del medesimo tribunale, con cui era stato disposto il sequestro preventivo di un'area con annessi edifici in relazione al reato di lottizzazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001ex articolo 44 lettera c), annullava il sequestro con restituzione di quanto in vinculis. 2. Avverso la predetta ordinanza il pubblico ministero del tribunale di Ancona propone ricorso deducendo un unico motivo di impugnazione. 3. Deduce il vizio di violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 arti. 30 e 44 lettera c), Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 art 3 comma 1 lettera d) e comma 2, Legge Regionale Marche 22/09 articoli 1 e 2, 24 e 25 NTA del PRG del Comune di (OMISSIS). Si contesta la decisione del tribunale del riesame che avrebbe sostenuto la legittimita' delle opere sequestrate in violazione delle predette disposizioni. Cio' perche' sarebbe erronea la qualificazione, in termini di ristrutturazione, del complessivo intervento edilizio sequestrato, sia in quanto, da una parte, la ristrutturazione impone comunque la conservazione ovvero il recupero dell'immobile preesistente nonostante le modifiche per legge consentite, sia in quanto dall'altra, l'intervento in oggetto avrebbe comportato la demolizione pura e semplice di edifici preesistenti non ricostruiti nella loro fisica esistenza, con utilizzo delle volumetrie dei manufatti demoliti, aumento di volumetria, e quindi creazione di un organismo del tutto diverso, in ultima analisi integrante una ristrutturazione urbanistica in ragione della sostituzione del preesistente tessuto urbanistico ed edilizio, in zona agricola di interesse paesistico, anche a fronte della creazione di una apposita strada e di un parcheggio. In tale quadro, si osserva che alla luce della qualificazione degli interventi contemplati nel piano di recupero assunto a riferimento per gli interventi in questione, la disciplina regionale applicabile sarebbe stata solo quella dell'articolo 2 inerente interventi di demolizione e ricostruzione e non anche come invece ritenuto, quella di cui all'articolo 1 della medesima legge. Con evidente non conformita' urbanistica degli interventi previsti dal piano di recupero, con riguardo alla prevista realizzazione di 10 - 12 unita' immobiliari a fronte delle due esistenti, posto che la possibilita' di aumento superiore ad una unita' immobiliare rispetto alle esistenti sarebbe previsto dall'articolo 1 comma 1 citato e non dall'articolo 2 citato della medesima legge regionale, inerente interventi di demolizione e ricostruzione rilevanti nel caso in esame. La non conformita' riguarderebbe anche i profili inerenti il mancato rispetto del tipo edilizio e delle caratteristiche edilizie storiche. In particolare, alla luce dell'articolo 24 e 25 delle NTA del PRG non sarebbero ammesse nuove costruzioni quali quelle in esame, ma solo essenzialmente costruzioni in termini, al piu', di ristrutturazione e ampliamento per la residenza della famiglia coltivatrice dell'imprenditore agricolo e di costruzioni accessorie e impianti strumentali per l'attivita' agricola. Laddove il piano di recupero inerente gli interventi in questione non farebbe riferimento a tipologie di intervento quali quelle da ultimo indicate. In ultima analisi emergerebbe una lottizzazione abusiva mista. Quanto al periculum in mora, esso conseguirebbe all'immediato inizio dei lavori, realizzato senza comunicazione di inizio lavori al Comune e senza affissione della cartellonistica necessaria, oltre che alla gia' intervenuta demolizione dei manufatti accessori, per i quali sussistevano dubbi sulla relativa legittimita' urbanistica, per cui i lavori all'indomani del dissequestro potranno essere ripresi trasformando l'area e pregiudicando anche ulteriori accertamenti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Premesso che e' sollevato un vizio di violazione di legge, occorre stabilire se e quale sia l'intervento in ordine al quale si contesta la ricostruzione giuridica elaborata dal tribunale. 1.1. Dal provvedimento impugnato oltre che dal ricorso proposto, emerge che l'ipotesi accusatoria attiene all'intervenuto rilascio di un permesso di costruire autorizzante la demolizione di una casa colonica costituita da due unita' immobiliari e cinque annessi agricoli di varia tipologia, con costruzione, in luogo di tali strutture, di un complesso residenziale costituito da 10 villini in linea, di cui 2 su due livelli, e un parcheggio a raso, costituito da 24 stalli con copertura foto vo I ta i ca. 1.2. Il tema essenziale proposto, e' quello della configurabilita' o meno di un intervento di ristrutturazione edilizia; quest'ultimo rinvenuto dal tribunale del riesame, con esclusione quindi di ogni abusivita' dell'intervento come invece sostenuto dal ricorrente. 1.3. 1.1. Va premesso che la nozione di ristrutturazione edilizia, introdotta inizialmente con l'articolo 31, lettera d), L. n. 457 del 1978, e da ultimo tradottasi nelle previsioni di cui all'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, e' stata interessata da progressivi interventi legislativi, che hanno ampliato la stessa. Di recente, con l'articolo 10 del decreto del 16 luglio 2020 n. 76, convertito con modificazioni dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, dettato "al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonche' di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo" e' stato novellato l'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, nei seguenti termini: "alla lettera d), il terzo e il quarto periodo sono sostituiti dai seguenti: "nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresi' gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilita', per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. L'intervento puo' prevedere altresi', nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purche' sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonche' a quelli ubicati nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria." Per completezza va aggiunto che con D.L.l'1 marzo 2022, convertito in L. 27 aprile 2022 n. 34, con l'articolo 28 comma 5 bis e' stato disposto che "al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 3, comma 1, lettera d), sesto periodo, dopo le parole: "decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42," sono inserite le seguenti: "ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi dell'articolo 142 del medesimo codice,". Inoltre, con Decreto Legge n. 17 maggio 2022, n. 50 convertito con modificazioni dalla L. 15 luglio 2022, n. 91 si e' disposto, con l'articolo 14, comma 1-ter, lettera a), la modifica dell'articolo 3, comma 1, lettera d) nel senso che "al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 3, comma 1, lettera d), sesto periodo, le parole: "dell'articolo 142" sono sostituite dalle seguenti: "degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142". 1.4. Purtuttavia, nonostante il riportato ampliamento, in particolare con la citata novella del 2020, dell'ambito di operativita' della nozione attuale di ristrutturazione, con particolare riferimento agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonche' a quelli ubicati nelle zone omogenee A, permane comunque la ratio qualificante l'intervento edilizio, che postulando la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, e' comunque finalizzata al recupero del medesimo, pur con le ammesse modifiche di esso. Si tratta di un indirizzo piu' volte sottolineato negli anni, oltre che dalla dottrina, anche dalla giurisprudenza. In tal senso si e' espressa anche di recente la giurisprudenza amministrativa, laddove ha evidenziato che la ristrutturazione edilizia, quale intervento sul preesistente, non puo' fare a meno di una certa continuita' con l'edificato pregresso (TAR Veneto Sez. H n. 660 del 2 maggio 2022T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna Sez. II, 16 febbraio 2022, n. 183; Consiglio di Stato, Sez. II, 6 marzo 2020 n. 1641) e analogamente ha fatto questa Suprema Corte (Sez. 3 - n. 23010 del 10/01/2020 Rv. 280338 - 01) laddove ha precisato, ancorche' rispetto a un quadro normativo non inclusivo ancora del citato decreto legge del luglio 2020 n. 76, che Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001articolo 3, comma 1, lettera d), , nel definire gli "interventi di ristrutturazione edilizia" non prescinde, ne' potrebbe, dalla necessita' che venga conservato l'immobile preesistente, del quale deve essere comunque garantito il recupero. Allo stesso modo la ristrutturazione dei manufatti crollati o demoliti e' possibile al solo fine del loro "ripristino", termine quest'ultimo dal significato univoco nella parte in cui esclude la mera demolizione a vantaggio di un edificio diverso. La ristrutturazione, per definizione, non puo' mai prescindere dalla finalita' di recupero del singolo immobile che ne costituisce l'oggetto. In tale quadro e' stata sottolineata, molto opportunamente, "la necessita' di un'interpretazione della definizione dell'intervento di ristrutturazione edilizia di cui alla lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 articolo 3, comma 1, , che sia aderente alla (e non tradisca la) finalita' di conservazione del patrimonio edilizio esistente, finalita' che contraddistingue tale intervento rispetto a quelli di "nuova costruzione" di cui alla successiva lettera e), e non si presti all'elusione degli standard urbanistici vigenti al momento della riedificazione ed applicabili in caso di nuova costruzione. Del resto, la conferma della ontologica necessita' che l'intervento di ristrutturazione edilizia, pur con le ampie concessioni legislative in termini di diversita' tra la struttura originaria e quella frutto di "ristrutturazione", non possa prescindere dal conservare traccia dell'immobile preesistente, e' fornita dallo stesso articolo 10 sopra gia' citato, integrativo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 articolo 3 comma 1 lettera d), laddove si premette che le novelle introdotte rispondono "al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonche' di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo". Anche la lettura stessa del citato articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 depone in tal senso, laddove, da una parte, definisce come ristrutturazione "gli interventi edilizi volti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso", dall'altra, distingue rispetto ad essa gli "interventi di nuova costruzione" (articolo 3 comma 1 lettera e), che sono strutturalmente connotati dalla assenza di una preesistenza edilizia. In altri termini, con riguardo alla ristrutturazione non vi e' spazio per nessun intervento che lasci scomparire ogni traccia del preesistente. 1.5. Alla luce delle precedenti considerazioni, deve essere esaminato l'intervento oggetto di sequestro. Che risulta indiscutibilmente consistente nell'abbattimento, in zona agricola, di edifici rurali accessori ad una casa colonica - composta di due unita' immobiliari - non ancora demolita, con aumenti di cubatura previsti per l'intervento finale, consistente nella creazione di un complesso residenziale costituito da 10 villini in linea, di cui 2 su due livelli, e un parcheggio a raso costituito da n. 24 stalli con copertura fotovoltaica. Si tratta di interventi edilizi in corso, funzionali, come appare evidente per quanto immediatamente sopra illustrato, non alla realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente ma pur sempre identificabile con quest'ultimo, quanto, piuttosto, di plurimi e diversi organismi, quali le villette, ancorche' in linea; laddove la previsione di una strada e di 24 parcheggi a raso conferma la predisposizione di un nuovo complesso residenziale, come tale distante dal criterio fondante della ristrutturazione, che pur con l'ampiezza operativa concessa ai sensi dell'articolo 3 attualmente vigente, impone, comunque, per rispettare la ratio dell'intervento e la distinzione rispetto ad altre operazioni edilizie, e in particolare rispetto alle "nuove costruzioni", un connubio materiale o comunque funzionale e identitario, tra l'edificio originario e l'immobile frutto di ristrutturazione. Correlazione evidentemente assente allorquando, come nel caso di specie, rispetto ad un unico edificio - quale la casa colonica comprensiva di due unita' immobiliari - si prospettano plurime e autonome unita' immobiliari, quali le 10 ville, nel contesto, peraltro, di una strada e di un parcheggio integranti interventi per i quali pare assente ogni riferimento strutturale originario, idoneo a inquadrare anche tali ultime opere nel novero di una ristrutturazione. Ne', per quanto detto, e anche per quanto di seguito si precisera' circa i rapporti tra Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e leggi regionali, appare pertinente la precisazione, in ordinanza, per cui con legge regionale sarebbe caduto il divieto di realizzare, previa demolizione e ricostruzione, diverse unita' immobiliari, atteso che qui viene in rilievo non la possibilita', consentita, che il nuovo organismo contempli, in se', altre unita' immobiliari, ma la necessita' che l'operazione di ripristino non si traduca nella moltiplicazione, da un unico edificio, di piu' distinte e autonome strutture edilizie. In altri termini, seppure la recente novella del 2020 abbia contribuito a delineare la possibilita' di interventi di ristrutturazione fortemente innovativi rispetto all'organismo preesistente, tanto che alcuni criteri prima utilizzati dalla legge e giurisprudenza, per sancire la corrispondenza tra i due organismi interessarti appaiono via via sfumati o scomparsi (quali, in sintesi, con riferimento in particolare a zone non vincolate, la fedele ricostruzione comprensiva di limitate innovazioni, oppure, poi, la medesima sagoma /volumetria o, ancora, l'identita' del sedime), permane il requisito, insuperabile, per cui deve pur sempre trattarsi di interventi di recupero del medesimo immobile ancorche' trasformato in organismo edilizio in tutto o in parte diverso. Per cui, in tale quadro va esclusa la moltiplicazione, da un unico edificio, di plurime distinte strutture o, di converso, l'assorbimento di plurimi immobili in un unico complesso edilizio. 1.6. In proposito, e' utile osservare come tale impostazione sia seguita dall'articolo 2 della L. 22/2009 della regione Marche che, nel consentire la demolizione e ricostruzione, fa chiaro riferimento al parametro, permanente, prima e dopo dell'intervento, dell'organismo edilizio preesistente, mediante le espressioni " ricostruzione" e "ricomposizione planovolumetrica" oltre che con riferimento - in zone agricole - alla realizzazione di un "nuovo edificio" (piuttosto che di plurimi edifici "generati" da un unico edificio - oltre che annessi "assorbiti" - come nel caso in esame); peraltro, si noti bene, il tutto per delineare i confini reali della fattispecie di ristrutturazione sancita dalla disciplina in esame, pur sempre "secondo il tipo edilizio e le caratteristiche edilizie storiche". Non sembra inoltre trascurabile, nel caso in esame, il seguente ulteriore dato: pur stabilendo, l'attuale articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, che la ristrutturazione puo' prevedere altresi' "nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana", tale previsione fa evidentemente riferimento, nel quadro della gia' delineata ricostruzione normativa, ad ampliamenti relativi a ciascun singolo edificio da ristrutturare. Solo entro tali limiti, dunque, e' ammesso un aumento volumetrico. Di contro, il rinvio di cui all'articolo 2 comma 8 della L. Marche 22/2009 all'articolo 1 comma 6 della stessa appare riferibile a fattispecie diversa, quale l'accorpamento, all'edificio principale, della volumetria di accessori ad esso di pertinenza e diversi, che nella misura in cui si traduca, come pare nel caso di specie, nella demolizione di immobili accessori distinti, con acquisizione all'immobile principale della relativa volumetria, e scomparsa, di fatto, dei predetti locali si traduce in un intervento che, per quanto sopra detto, con riguardo alla necessaria identificabilita' del singolo immobile ristrutturato con il nuovo organismo realizzato, esula dalla nozione legislativamente fissata di ristrutturazione. Cosicche', pur alla luce delle piu' recenti novelle, l'utilizzazione, a favore dell'unico edificio ricostruito, delle volumetrie espresse da altri edifici anch'essi demoliti e' concetto totalmente estraneo - e come tale deve essere interpretato il rinvio disposto dall'articolo 2 comma 8 citato all'articolo 1 comma 6 pure citato - alla definizione della ristrutturazione: manca infatti, in tal caso, la "ricostruzione" dell'edificio demolito (che invece scompare, con mero "acquisto" all'immobile principale della sola relativa volumetria), ancorche' rinnovato e modificato (nei termini di legge consentiti). Di rilievo, in tal senso, appare il principio affermato da Cons. Stato Sez. VI Sent., 16/12/2008, n. 6214, secondo cui la trasformazione di due manufatti agricoli in villa ad uso residenziale, con accorpamento di volumi e parziale spostamento dell'area di sedime, esula dalla nozione di ristrutturazione, sia come attualmente definita dall'articolo 3, comma 1, lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, sia in rapporto alla elaborazione giurisprudenziale. Si tratta di decisione che, seppure formulata in un quadro giuridico piu' restrittivo rispetto a quello attualmente vigente a seguito della novella del 2020, ribadisce il senso della disciplina della ristrutturazione, nella sua correlazione tra edificio demolito ed edificio ricostruito, laddove evidenzia come "cio' che distingue, infatti, gli interventi di tipo manutentivo e conservativo da quelli di ristrutturazione e', indubbiamente, il carattere innovativo di quest'ultima in ordine all'edificio preesistente; cio' che contraddistingue, pero', la ristrutturazione dalla nuova edificazione e' la gia' avvenuta trasformazione del territorio, attraverso una edificazione di cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di un "insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente"), ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita". 1.7. Ne' osta a tale ultimo rilievo, sulla corretta interpretazione del rinvio di cui all'articolo 2 comma 8 della L. Marche 22/2009 all'articolo 1 comma 6, la previsione dell'articolo 2 comma 8 ter L. R. Marche 22/2009, per cui "gli interventi previsti da questo articolo costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia di cui alla lettera d) del comma 1 articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380", atteso che l'articolo 1, comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, stabilisce che "il presente testo unico contiene i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell'attivita' edilizia", e i commi 1 e 3 dell'articolo 2, prevedono, rispettivamente, che "le regioni esercitano la potesta' legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico" e "le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuati ve dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi". Di rilievo e' anche il comma 3 dell'articolo 117 Cost., secondo cui sono materie di legislazione concorrente, tra le altre, quelle relative al "governo del territorio" e, "nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato". Consegue che la nozione di ristrutturazione di cui all'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, costituendo un principio fondamentale della legislazione statale dettato in tema di caratteristiche di interventi lato sensu conservativi e di recupero, non puo' essere integrata o modificata con legge regionale. Tanto, del resto, risulta gia' stabilito da questa Suprema Corte, laddove si e' precisato che in materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale, e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi (Sez. F - n. 46500 del 30/08/2018 Rv. 274173 - 01; Sez. 3, n. 30657 del 20/12/2016 Ud. (dep. 20/06/2017) Rv. 270210 - 01). 1.8. Con riguardo, dunque, alla qualificazione giuridica dell'intervento, appare corretto il rilievo del ricorrente nel senso della esclusione di un'operazione di ristrutturazione, a fronte di un nuovo complesso residenziale dal notevole impatto edilizio ed urbanistico. Le cui caratteristiche, peraltro in area a destinazione agricola, non possono prescindere dalla considerazione dei principi piu' volte ribaditi da questa Suprema Corte secondo i quali in materia edilizia, e' configurabile il reato di lottizzazione abusiva anche nel caso di interventi realizzati, in difetto di uno strumento pianificatorio di dettaglio, in zone gia' urbanizzate o parzialmente urbanizzate, purche' di consistenza e complessita' tali da costituire una notevole trasformazione del territorio, inammissibile in mancanza di un piano per la realizzazione degli interventi infrastrutturali, che garantisca il raccordo della nuova edificazione a quella preesistente (Sez. 3 -, n. 36616 del 07/06/2019 Rv. 277614 - 02). Inoltre integra il reato di lottizzazione abusiva il frazionamento e la predisposizione di un terreno agricolo alla realizzazione di piu' edifici aventi natura e destinazione residenziale, in quanto trattasi di attivita' edificatoria fittiziamente connessa alla coltivazione ed allo sfruttamento produttivo del fondo ed incompatibile con l'originaria vocazione dell'area (Sez. 3, n. 15605 del 31/03/2011 Rv. 250151 - 01), ed ancora, in tema di reati urbanistici, nel caso di costruzione in zona agricola, la destinazione del manufatto alle opere dell'agricoltura ed il possesso dei requisiti soggettivi di imprenditore agricolo in capo a chi lo realizza - tanto al momento della richiesta e del rilascio del permesso di costruire, quanto al tempo della eventuale voltura del titolo abilitativo in favore di terzi - sono elementi rilevanti nella valutazione della rispondenza dell'opera alle prescrizioni dello strumento urbanistico e, di conseguenza, anche per l'eventuale valutazione di conformita' ai fini del rilascio della sanatoria (Sez. 3, n. 7681 del 13/01/2017 Rv. 269159 - 01). 1.9. Rispetto a tale ricostruzione, anche di principio, le ulteriori considerazioni critiche in ordine alla interpretazione di atti amministrativi quali le NTA del PRG vigente, citate in ricorso, muovono su un piano fattuale, inammissibile in questa sede, proponendo un'analisi non effettuabile da parte di questa Corte, atteso che in tema di misure cautelari reali, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l'inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche l'affermata erronea interpretazione di un atto amministrativo, poiche' essendo relativa ad atti privi di carattere normativo rientra, ai sensi dell'articolo 325, comma 1, c.p.p. nella valutazione del fatto (Sez. 3 - n. 14977 del 25/02/2022 Rv. 283035 - 01; Sez. 3, n. 37451 del 11/04/2017 (dep. 27/07/2017) Rv. 270543 - 01). 2. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che l'ordinanza impugnata debba essere annullata con rinvio al tribunale di Ancona per nuovo esame in relazione alla ipotesi accusatoria formulata, alla luce delle considerazioni sopra riportate. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al tribunale di Ancona competete ai sensi dell'articolo 324 c.p.p. co 5 c. p. p.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Venezia sezione PRIMA Penale composta dai Magistrati: 1. Dott. Francesco Giuliano - Presidente 2. Dott. Alberta Beccaro - Consigliere 3. Dott. David Calabria - Consigliere Udita la relazione della causa fatta alla udienza pubblica/camerale, odierna dai Dott.ri Beccaro e Calabria Inteso il P.G. dott. appellant (...) difensor come da verbale, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: GI.EM. Nato a Roma il 03.06.1969 Elettivamente domiciliato presso Avv. Or.Do. del Foro di Milano Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Or.Do. del Foro di Difensore di fiducia Avv. Co.Mi. del Foro di Milano MA.PA. Nato a (...) Domiciliato presso l'Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza PE.MA. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna PI.AN. Nato (...) Domiciliato presso Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Difeso di fiducia dall'Avv. Gi.To. del Foro di Milano ZI.GI. Nato a (...) Residente a (...) Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza ZO.GI. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. En.Am. del Foro dì Vicenza Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. En.Am. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Tu.Pa. del Foro di Pisa RESPONSABILE AMMINISTRATIVO BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona del legale rappresentante pro tempore Difensore Avv. Fr.Mu. del Foro di Milano - non presente, sostituito dall'Avv. Ro.Bo. del Foro di Padova per delega orale PRESENTE RESPONSABILE CIVILE - ESTROMESSO con ordinanza depositata all'udienza del 22/04/2022. BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona dei legali rappresentanti pro tempore Di.Gi., Fe.Cl. e Vi.Fa. Parti civili: + 229 (omissis) IMPUTATI: Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. stralciato ad altro procedimento, Zi.Gi. e Zo.Gi., a.1) in ordine al reato previsto e punito dagli arti 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., e 2637 c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amava), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie di seguito descritta, attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della. Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta piassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., stralciato ad altro procedimento in qualità di direttore generale delia medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione. Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuatone della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, della segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; in tempi diversi, diffondevano notizie false e ponevano in essere operazioni simulate ed altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni B. (deliberato annualmente - ai sensi dell'art. 6 dello Statuto sociale e dell'art 2528 c.c. -dall'assemblea dei soci su proposta del consiglio di amministrazione, formulata sulla scorta di una perizia di stima del valore del relativo soprapprezzo elaborata da un esperto indipendente appositamente incaricato), e ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della medesima Banca (...) e dell'omonimo Groppo bancario. Operazioni simulate ed altri artifici consistite (condotte poste in essere da ciascuna delle persone indagate, secondo il rispettivo ruolo): i) nella ripetuta concessione di finanziamenti a favore di terzi soggetti finalizzati all'acquisto (nel mercato secondario) ed alla sottoscrizione (in occasione delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014) di azioni B., per un controvalore complessivo di circa Euro 963 mln (di cui circa Euro 545 mln sino al 31.122012, circa Euro 155 nel 2013, circa Euro 255 nel 2014 e circa Euro 8 mln nel primo trimestre 2015), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito (per talune operazioni formalizzato per iscritto, per un complessivo controvalore azionario di circa Euro 160 mln), cosi determinando una apparenza di liquidità del titolo sul mercato secondario e, al contempo, cosi consentendo la riduzione contabile del controvalore delle azioni proprie detenute; ii) nella omessa iscrizione al passivo dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014 di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., pari all'importo complessivo delle operazioni di finanziamento finalizzate all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. sopra indicato; iii) nella mancata comunicazione all'esperto incaricato della stima del valore del soprapprezzo dell'azione B., dell'esistenza e dell'entità della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come sopra descritta. Diffusione di notizie false compiuta mediante la pubblicazione di comunicati stampa, di comunicazioni al pubblico, anche ex art. 114, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, di comunicazioni ai soci e dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014, contenenti mendaci indicazioni circa (condotte materiali poste in essere da Zo.Gi., Zi.Gi., So.Sa. (Stralciato ad altro procedimento) e Pe.Ma., con il contributo di GI.Em., Pi.An. e Ma.Pa., che partecipavano alla attuazione della prassi dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. sopra descritta): - la reale entità del patrimonio (nei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014), a causa della mancata iscrizione di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., per un importo corrispondente all'ammontare dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. (pari a circa Euro 545 mln al 31.12.2012, circa Euro700 mln al 31.12.2013 e circa Euro 955 mln al 31.12.2014); - la solidità patrimoniale della Banca (comunicati stampa e comunicazioni ai soci del 30/3/2012; 8/8/2012; 3/9/2012; 19/3/2013; 27/4/2013; 27/4/2013; 10/9/2013; 2/4/2014; 9/9/2014; 26/10/2014; 4/12/2014; 19/3/2014) enfatizzata a dispetto della reale situazione derivante dal sopra descritto fenomeno di concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizioni di azioni B. e di lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle medesime e/o di garanzia del rendimento dell'investimento; - la crescita progressiva della compagine sociale (comunicati 27/8/2013; 18/3/2014; 29/8/2014; 26/10/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), lasciando intendere che essa derivasse dalla progressiva maggiore appetibilità dell'azione B. quale strumento di investimento, omettendo di rappresentare resistenza e l'entità della prassi della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie sopra descritta; - il buon esito delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014 (comunicati 9/8/2013; 27/8/2013; 18/3/2014; 8/8/2014; 29/8/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), tacendo la circostanza relativa al massiccio ricorso al finanziamento per la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione nell'ambito dei c.d. Aucap; Con raggravante di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone. In (...), nel corso degli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014. Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) a.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. r) D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - ZO.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società a capo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenite reati della stessa specie, commettevano il reato sub a.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nel mantenimento del valore dell'azione e dell'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto, realizzati anche attraverso un artificioso funzionamento del mercato secondario delle azioni B. e mediante una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca. In (...), nel corso degli anni (...), alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa., (stralciato ed altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., b1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 81, co. II 110, 112, n. 1, c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a., in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1), e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale e traendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti, e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalatone e comunicazioni air Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, durante l'attività ispettiva compiuta dalla stessa Autorità presso la sede sociale, occultavano con mezzi fraudolenti - l'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario, per un controvalore complessivo di circa Euro 250 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di oltre Euro 300 mln, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - l'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. c/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; e, comunque, omettevano di dare comunicazione di tali circostanze, cosi determinando effettivamente, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, che, conseguentemente, non dava luogo ad approfondimenti conoscitivi in sede ispettiva ed alla quale, di fatto, era impedito di accertare l'esistenza della suddetta prassi. Mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale sia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58. In (...) dal (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) b.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub b.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. c.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81 co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.6.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.9.2012) contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 268 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2012), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 280 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia medesima, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2012, stabiliva, con Lettera di intervento datata 5.3.2013, un obiettivo patrimoniale (c.d. Target ratio, in termini di Core Tier 1 capital ratio pari o superiore all'8%) non coerente con la situazione patrimoniale della stessa B. e, comunque, ometteva di assumere ulteriori misure ed iniziative di vigilanza coerenti rispetto alla reale situazione patrimoniale della B., Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.pa, in liquidazione coatta amm.va (già Sc.p.a.) c.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett., a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub al), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad atro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. d.1) reato previsto e punito dagli artt. 61 n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., 2638, co. II e III, c.., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 5.3.2013 - n. 228149, di fornire "dettagliate informazioni in ordine alle motivazioni sottostanti l'incremento, sia a livello individuale che consolidato, delle azioni o quote proprie ricomprese tra gli elementi negativi del patrimonio di base, passate da Euro 30,48 mln a Euro 239,85 mln" nel periodo 30.6/30.9.2012), nella Comunicazione 20.3.2013, con la quale era rappresentato falsamente che "L'incremento ... registrato al 30 settembre 2012 rispetto al 30 giugno 2012 è da ascrivere principalmente a fenomeni di ciclicità legati alle procedure di gestione delle azioni proprie. Le domande di acquisto di azioni della banca si sono invece concentrate nel IV trimestre, anche in relazione alla consueta maggiore propensione e convenienza sotto il profilo finanziario di procedere, da parte dei soci, all'acquisto nell'ultimo periodo dell'anno... I dati al 31 dicembre 2012 evidenziano un Core Tier 1 ratio e un Total Capital ratio rispettivamente all'8,37% e all'11,40%, ipotizzando l'integrale capitalizzazione dell'utile. Nell'ipotesi di distribuire un dividendo pari al 50% dell'utile distribuibile, il Tier 1 ratio si posizionerebbe all'8,23% comunque al di sopra del target minimo". - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.12.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.3.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 545 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistato da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 544 mln; ed inoltre, - nella Informativa preventiva 23.4.2013 relativa alla imminente operazione dì aumento di capitale (mediante emissione di azioni ordinarie e contestuale emissione di prestito obbligazionario convertibile, per l'importo complessivo di Euro 506 mln), nella quale non era indicato che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione di finanziamenti correlati alla sottoscrizione medesima ed era rappresentato, pertanto contrariamente al vero, che il relativo "impatto... sul Tier 1 ratio " era stimato in un incremento complessivo di 175 punti base; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della B., adottava la Lettera di intervento datata 24.6.2013 con la quale (rilevato che "alla data del 30 settembre 2012" B. deteneva azioni proprie per un controvalore complessivo superiore al limite del "5% del capitale" in assenza della necessaria autorizzazione) prescriveva a B. l'adozione di "ogni Iniziativa sul piano procedurale e dei controlli alfine di assicurare uno scrupoloso rispetto dei limiti previsti per il riacquisto o rimborso di proprie azioni" e di richiedere "la prescritta autorizzazione, laddove ne ricorrano i presupposti" senza assumere ulteriori misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, DI L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.p.a.) d.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub d. 1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. e.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, il 2,81, co. II, 110 e 112, n. 1, cp., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione delia medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30-6-2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.9.2013), contraente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 555 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca, anteriore e prossima al 25.10.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 626 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.3.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 700 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e dì garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) e.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di prendente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sube.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. f.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. n. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai scasi della L. 1 settembre 1993, a 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; -- So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delie operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella Informativa preventiva datata 5.3.2014 relativa alla imminente operazione di aumento di capitale mediante emissione di azioni ordinarie per l'importo complessivo massimo di Euro 700 min, tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima e rappresentando, pertanto falsamente, die "nell'ipotesi di effettuazione dell'importo massimo", l'Aucap determinerebbe un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma" del 10,89% (rispetto a quello esistente dell'8,50%) e del ''Total Capital ratio" del 13,85% (rispetto a quello esistente dell'11,41%) con un incremento "quantificabile in circa 239" punti base; - nella Informativa integrativa datata 11.4.2014 relativa alla operazione di aumento di capitale sopra indicata (contenente la precisazione che la stessa sarebbe stata compiuta per un importo massimo di Euro 683,754 mln), tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima ed attestando, pertanto falsamente, che le azioni di nuova emissione soddisfano "tutte le condizioni previste dagli artt. 28 e 29 della CRR" e rappresentando, pertanto ancora falsamente, che la relativa "stima dell'impatto patrimoniale" evidenziava un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma post aucap" del'11,65% (rispetto a quello esistente del 9,21%) e del "Total Capital ratio pro-forma post aucap" del 14,25 (rispetto a quello esistente dell'11,81%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, a seguito della "istanza di autorizzazione a classificare gli strumenti di capitale come strumenti di capitale primario di classe 1 ai sensi dell'art 26 par. 3, del Regolamento (UE) n. 575/2013" (contenuta nella Informativa integrativa suddetta), sulla scorta della mendaci informazioni ricevute, adottava il provvedimento autorizzato richiesto con atto del 15.4.2014, in difetto dei prescritti presupposti (trattandosi, in parte, di c.d. azioni finanziate). Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) BANCA (...) S.p.a. in liquidatone coatta amm.va (già S.c.p.a.) f.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s) D. L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub f1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nella autorizzata classificazione delle azioni di nuova emissione sottoscritte come strumenti di capitale primario di classe 1". In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. g.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co, II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi die precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella Use di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione dì vigilanza periodica al 31.3.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 728 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica ai 30.6.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in data 11.8.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra, indicata, per un importo complessivo di circa Euro 718 mln; - nella Comunicazione 1.9.2014, nella quale era rappresentato falsamente che "con riferimento alla segnalazione di vigilanza prudenziale al 30 giugno 2014... si è ravvisato il mancato soddisfacimento a livello consolidato del requisito combinato di riserva di capitale... con un deficit di euro 85 milioni rispetto al livello minimo previsto.... l'aumento dì capitale di euro 607,8 milioni - già in corso alla data del 30 giugno, completato lo scorso 8 agosto con l'integrale sottoscrizione dello stesso... consentiva di coprire ampiamente il deficit registrato... tenendo conto dell'aumento di capitale già regolato, la posizione patrimoniale del Gruppo risulta in surplus di euro 550,8 milioni..." ed era attestato falsamente il livello dei "Fondi Propri" (indicato in Euro 2,989 mld e, quelli "pro-forma" in Euro 3,635 mld) e dei ratios patrimoniali (ovverosia, 8,55% CET1 Ratio e 10,67% CET1 Ratio pro-forma; 8,55% Tier 1 Ratio e 10,67% Tier 1 Ratio pro-forma; 10,21% Total Capitai Ratio e 12,38% Total Capital Ratio pro-fonna); - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 886 mln; - (a seguito della richiesta di Banca d'Italia, formulata con Nota datata 25.10.2014 - n. 1053731/14 nella quale, dato atto che "Banca (...) ha eseguito dall'inizio del 2014 operazioni di riacquisto di azioni proprie (buybacks) per un ammontare complessivo netto di Euro 195 mln. Le segnalazioni prudenziali di codesta banca confermano il progressivo aumento delle deduzioni per azioni proprie in portafoglio dal common equity tier 1: Euro 32,3 mln a dicembre 2013; Euro 91,7 mln a marzo 2014; Euro 178,2 mln, di cui 52,4 mln detenute indirettamente, a giugno 2014.... (la B.) ha altresì proceduto al rimborso e successivo annullamento di azioni proprie per complessivi Euro 61,7 mln, a motivo di successioni ed escussioni per recupero crediti", era domandata "la puntuale verifica della correttezza dei dati segnalati tempistica e modalità di esecuzione dei buybacks; ... le informazioni necessarie alla comprensione delle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie, precisando le controparti (società veicolo/OICR) presso le quali ì titoli sono depositati; chiarimenti circa la coerenza dei riacquisti effettuati con le disposizioni della Capital Requirement Regulation e delle successive norme tecniche di attuazione") nella Comunicazione datata 4.11.2014, ove era rappresentato falsamente che "La Banca... ha proceduto ai riacquisti da Soci e agli annullamenti delle azioni proprie nella consapevolezza che la riduzione di capitale connessa ai medesimi era più che compensata dalla sottoscrizione degli aumenti di capitale in corso.... le predette operazioni di riacquisto e annullamento di azioni proprie eseguite dalla banca dall'inizio del 2014... sono comunque avvenute nell'ambito dì un complessivo rafforzamento patrimoniale del Gruppo Bancario, che ha visto il proprio Common Equity Tier 1 Ratio incrementarsi dal 1° gennaio 2014 di circa 141 bps"; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) g2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità, di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub g.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., h1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a, in liquidatone cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposte alla vigilanza della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a. 1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente fa predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberatone degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca Centrale Europea, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2014 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 15.3.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2015 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 25.4.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 963 mln; - nella Informativa al Pubblico al 31.12.2014, contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa delia mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln e, di conseguenza, l'indicazione falsata dei requisiti patrimoniali prudenziali (CET 1 ratio pari al 10,44% e Total Capital ratio pari all'11,55%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca Centrale Europea che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a., in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) h.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001. n. 231, perché, in concorso tra loro. - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di (fingente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub h1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. i) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a-1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente si processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinalo ed attuato concretamente la predetta prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alte proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Dividerne Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili relativa alle operazioni di aumento di capitale realizzate nel corso del 2013 (c.d. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2012 e nel primo quadrimestre 2013 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a.1), ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo (felle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo, la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancate evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sui prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In Vicenza, in data 10 giugno 2013 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. 1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a.1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predette prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predispostone dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalatone e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di adoni di nuova emissione relativa alle operazioni di aumento di capitate realizzate nel corso del 2014 (c.c. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2013 e nel primo quadrimestre 2014 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a1) ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo delle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo" la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancata evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sin prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., m.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110, 112, n. 1, c.p. e 2638 co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche in riferimento alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 RGNR - Mod. 21, (allegata al presente Avviso) in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione Della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, e della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di numerosi finanziamenti finalizzati air acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie (operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito, per talune operazioni formalizzato per iscritto), attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallalo la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. Srl, operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attualo concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase dì istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazioni e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea, nell'ambito dello svolgimento dell'esercizio di valutazione approfondita (c.d. "Comprehensive Assessment") previsto dall'art. 33, par. 4, del Regolamento (UE) n. 1024/2013 cit. ed oggetto della Decisione della Banca centrale Europea del 4 febbraio 2014 i) durante l'attività ispettiva compiuta dalla Banca d'Italia presso la sede sociale nel periodo marzo/agosto 2014 (consistita nel c.d. "Asset Quality Rewiev") occultavano con mezzi fraudolenti e, comunque, omettevano di dare comunicazione, - dell'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario e/o alla sottoscrizione delle medesime azioni in sede di operazioni di aumento di capitale, per un controvalore complessivo di circa Euro 728 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di circa 6 886 min, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - dell'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale aia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate; ii) esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 9.6.2014 - il 590133/14 di compilare un "questionario... (Preliminary Capital Plan)" contenente "informazioni idonee a valutare, distintamente per i vari annali di raccolta (interni ed esterni) l'ammontare aggiuntivo di capitale e di strumenti di ATI che potrebbero essere ottenuti in tempi rapidi (6 o 9 mesi) per fronteggiare eventuali shortfall" precisando "sia le operazioni già pianificate o in corso di attuazione, sia le misure aggiuntive che potrebbero essere perfezionate in caso di necessità entro i termini sopra indicati") nella Comunicazione datata 20.6.2014 ove erano indicati, quali interventi di rafforzamento patrimoniale realizzabili celermente, il "rimborso anticipato in azioni del prestito obbligazionario 2013-2018 convertibile di tipo soft mandatory... per un importo di euro 253 milioni e "l'incremento di CET" per effetto degli aumenti di capitale attualmente in corso per un importo totale di euro 673 milioni, di cui euro 608 milioni di aumento in opzione ai soci", omettendo di rappresentare che la sottoscrizione del suddetto prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni dì nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra descritta; - nelle comunicazioni trasmesse alle Autorità di vigilanza nell'ambito dell'esercizio di "stress test", contenenti l'indicazione, contrariamente al vero, di ratios patrimoniali e dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quelli reali, a causa della mancata considerazione, quale cimento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln; - nel Capital Plan comunicato in data 10.11.2014, relativo alle misure programmate per la copertura del deficit di capitale emerso all'esito dell'esercizio di "stress test" (nello scenario avverso, pari a Euro 223 mln), contenente l'indicazione, contrariamente al vero, dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln, ed omettendo di precisare che la sottoscrizione del prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni di nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea medesime, le quali, conseguentemente, non davano luogo, neppure in sede ispettiva, ad approfondimenti conoscitivi, e la BCE valutava idonee le misure di rafforzamento patrimoniale indicate da B. per fare fronte alla deficienza emersa all'esito del c.d. "Comprehensive Assessment" ed all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2014 stabiliva (con la relativa decisione SREP) requisiti prudenziali non coerenti con la reale situazione patrimoniale della stessa B. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richieda di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), dal marzo ad agosto 2014 (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) m.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n, 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em. in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub m.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) SO.SA. (stralciato ad altro procedimento) e GI.EM. n.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso rispetto al capo che precede ed alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 (allegata al presente Avviso), - SO.SA. in qualità di direttore generale, - GI.EM., in qualità di vice direttore generale responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), società sottoposta alla vigilanza della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa ai sensi del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, con riferimento alla operazione di aumento di capitale compiuta nel periodo 12.5/8.8.2014, avente in oggetto una offerta in opzione agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili di azioni ordinarie di nuova emissione e di obbligazioni nominative (e anche una offerta al pubblico indistinto dell'eventuale inoptato), a seguito della richiesta di dati e notizie di CONSOB datata 16.5.2014, nella successiva interlocuzione con la medesima Autorità di Vigilanza, comunicavano, contrariamente al vero (condotta materiale di So.Sa., quale firmatario delle missive, compiuta d'intesa con Gi.Em.), i) nella Nota datata 23.5.2014, - la decisione assunta dalla Banca "di astenersi, con riferimento all'Offerta in opzione, dalla prestazione di raccomandazioni personalizzate all'investimento" e, pertanto, del "divieto di prestare qualsivoglia attività consulenziale a favore dei titolari del diritto di opzione"; - l'adozione da parte della Banca "allo scopo di dare effettività alla menzionata prescrizione interna ed evitare forme surrettizie di raccomandazione personalizzata all'investimento... " di "modalità specifiche di adesione all'offerta idonee a contenere occasioni di contatto diretto tra gli addetti alla rete ed i titolari del diritto di opzione" (costituite, "a seguito della comunicazione informativa" neutra da parte della Banca contenente indicazione delle "caratteristiche principali dell'operazione e le modalità richieste per l'adesione", dalla preventiva manifestatone di interesse alla sottoscrizione da parte degli interessati "accedendo ad una apposita sezione del sito internet della Banca" oppure tramite l'invio per posta di un modulo prestampato, preventivamente trasmesso agli aventi diritto in allegato alla suddetta comunicazione informativa preliminare); - che la Banca si sarebbe astenuta dalla erogazione di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione di azioni B., essendo questa possibilità limitata all'operazione di aumento di capitale riservato a nuovi soci e finalizzato all'ampliamento della base sociale (c.d. "mini Aucap"); ii) nella Nota datata 4.7.2014, che - erano "immutate le modalità di offerta in opzione, agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili... " e, nel fornire i dati relativi all'andamento della operazione, che l'offerta in opzione aveva registrato adesioni da parte di 20.448 clienti, tutte perfezionate ad "iniziativa cliente", con valutazione positiva della appropriatezza nella misura del 83,9%; iii) nella Nota 15.10.2014, - che l'unica operatività effettuata nell'ambito dell'Offerta in opzione, era quella ad "iniziativa cliente"; - che tutti i 29,364 sottoscrittori "aventi diritto" avevano aderito all'offerta previa valutazione di appropriatezza, il cui esito era stato positivo nella misura del 82% circa; - che (nella unita Nota di osservazioni della funzione di Compliance), "la Banca ha inteso presidiare il rischio di consulenze surrettizie prevedendo un meccanismo volto a fare in modo che il contatto tra banca e clienti titolari del diritto di opzione si stabilisse solo in seguito ad una comunicazione preliminare"; e omettevano dunque, di rappresentare alla Commissione medesima, la realizzazione da parte della Banca, sino dal febbraio 2014 (e, dunque, prima dell'approvazione del prospetto previsto dall'art. 94, D.L.vo n. 58/98 cit.), di una strutturata azione commerciale finalizzata alla promozione della partecipazione all'aumento di capitale e concretizzatasi in consigli personalizzati di investimento, cosi ostacolando consapevolmente le funzioni di vigilanza della CONSOB, cui era conseguentemente impedita l'emanazione degli opportuni provvedimenti e l'adozione delle pertinenti iniziative di Vigilanza. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell'art. 116, D.L.vo n. 58/98 cit. ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) n. 2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e punito dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato indicato sub e.l) commesso da - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale, responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), in concorso tra loro, in difetto di un modello di organizzazione idoneo (comunque non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi, e nell'interesse ed a vantaggio della stessa BANCA (...) S.c.p.a., consistiti nel rafforzamento patrimoniale dell'ente perseguito ed attuato con l'operazione dì aumento di capitale compiuta nel corso dell'anno 2014. In (...), in data (...) CONCLUSIONI PEL PROCURATORE GENERALE: Con riferimento agli appelli proposti dagli imputati ZO., MA. e PI. chiede dichiararsi l'improcedibilità con riguardo alle fattispecie medio tempore prescritte, con conseguente rideterminazione della pena, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, Per il resto chiede confermarsi la sentenza. Con riferimento all'appello proposto dall'imputato GI. chiede affermarsi la penale responsabilità del predetto, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando la pena richiesta come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. Con riferimento all'appello proposto da B. in L.c.a. chiede ridursi l'entità della sanzione ex art. 12 comma 2 lett. a) D.Lgs. 231/2001 nella misura massima della metà, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, con irrogazione, per l'effetto, della sanzione pecuniaria nella misura di euro 324.000,00= e conferma nel resto. Con riferimento, infine, agli appelli proposti dal Pubblico Ministero nei confronti degli imputati PE. e ZI. chiede affermarsi la penale responsabilità dei predetti, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando le pene richieste come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di equivalenza. CONCLUSIONI PELLE PARTI CIVILI: Il difensore della parte civile Banca d'Italia, Avv. St.Ce., conclude chiedendo che la Corte rigetti gli appelli degli imputati Gi., Ma., Pi. e Zo. e confermi la sentenza per quanto riguarda le statuizioni civili a favore delta Banca d'Italia, inclusa la conferma della condanna in solido alla provvisionale. In accoglimento degli appelli della Pubblica Accusa, proposti contro gli imputati Pe. e Zi., chiede estendersi ai medesimi le statuizioni civili in favore della Banca d'Italia e per l'effetto la loro condanna in solido al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da liquidarsi in separato giudizio, con condanna a una provvisionale pari a quella stabilita in primo grado. Per il resto conclude come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022. Il difensore della parte civile CONSOB, Avv. Va.Ci., in sostituzione dell'Avv. Deborah Spedicati, chiede la conferma dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato Gi. per il reato di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza svolte da CONSOB, contestato nel capo d'imputazione NI, e la conferma delle statuizioni civili pronunciate in favore della stessa CONSOB, con condanna al pagamento delle spese per questo grado dì giudizio. Si richiama per il resto alla memoria depositata all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Pa.Ci. (67), chiede l'accoglimento delle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Re.Be. (24), si associa alle conclusioni della Procura Generale e si riporta alle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9,2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca. (55), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca., in sostituzione dell'Avv. Br.Ba. (16), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce. (62), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ca.Sp. (205), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimene deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ro.Pa. (163), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ca.Ma. (140), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delie parti civili, Avv. Ca.Ma., in sostituzione dell'Avv. Ni.D'A. (80), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co. (72), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. An.Bu. (42), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. Na.De. (84), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Si.Ba. (13), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ve.Bo. (40), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. An.Ca. (44), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ma.Ma. (139), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Gi.Vi. (219), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa. (160), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa., in sostituzione dell'Avv. Da.Tr. (211), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Pi.Ce. (63), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. St.An. (7), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Lu.Be. (22), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Al.Le. (127), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23,9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Mo. (156), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Sa., in sostituzione dell'Avv. Pi.Lu. (136), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ra.Di. (92), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Si dà altresì atto che all'udienza del 23.9.2022 le parti civili sotto elencate, su invito del Presidente e con l'accordo delle parti, hanno depositano le rispettive conclusioni scritte con allegate note spese, alle quali si riportano integralmente chiedendone l'accoglimento: (omissis) Il difensore delle parti civili, Avv. Fr.Ra., in sostituzione dell'Avv. An.Fi. (105), dichiara di non presentare conclusioni scritte dei propri assistiti e di riportarsi alle conclusioni già depositate in primo grado, chiedendone l'accoglimento, senza ulteriore deposito, CONCLUSIONI DELLE DIFESE MA., PI. e ZO.: Chiedono in principalità l'assoluzione dei rispettivi assistiti, avanzando richieste subordinate come da rispettivi atti di appello e motivi nuovi successivamente depositati, giusta conclusioni rispettivamente rassegnate alle udienze del 28.9.2022 (ZO.), del 30.9.2022 (MA.) e del 5.10.2022 (PI.), alle quali si riportano. CONCLUSIONI DELLA DIFESA GI.: Dichiara di rinunciare espressamente a tutti i motivi enunciati nell'atto di appello tranne che ai motivi nn. II, III, XIII, XX (quest'ultimo peraltro reso oggetto di rinuncia implicita, come da verbale d'udienza 23.9.2022, quanto alla svolta eccezione di nullità della sentenza), XXI, XXII e XXIII. Quanto al trattamento sanzionatorio invoca la rideterminazione in senso più favorevole come da verbale d'udienza 23.9.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA ZI.: Conclude per l'accoglimento del proprio appello e per il rigetto di quello del Pubblico Ministero, come da verbale d'udienza 5.10.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA PE.: Conclude chiedendo il rigetto dell'appello del Pubblico Ministero e la conferma della sentenza di assoluzione, come da verbale d'udienza 30.9.2022. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. La sentenza Con sentenza 19.3.2021, il Tribunale di Vicenza: - dichiarava Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. responsabili, nelle qualità dai predetti rispettivamente rivestite all'interno della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in LCA.), dei reati, siccome loro rispettivamente ascritti in rubrica (il capo NI era ascritto, fra essi, al solo GI.), di aggiotaggio ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 2637 c.c. (reato di cui al capo A1, commesso in Vicenza nel periodo successivo al 27.4,2013 e sino al 2015, in occasione della pubblicazione dei bilanci di esercizio degli anni 2013 e 2014), di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr 1 c.p., 2638 co. II, III c.c., aggravato dalla natura di società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116 D.L.vo 58/98 (capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1, posti in essere in Vicenza, dal maggio del 2012 all'anno 2015, nelle date di cui ai rispettivi capi di imputazione), di falso in prospetto, ex artt. 61 nr. 2, 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 173 bis D.L.vo 58/98 (capi I ed L, posti in essere, in Vicenza, rispettivamente, il 10 giugno del 2013 ed il 9 maggio del 2014) e, esclusa l'aggravante di cui all'art. 112 nr. 1 c.p., riconosciute a tutti gli imputati le attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alle residue aggravanti contestate ed unificati detti reati sotto il vincolo della continuazione, ritenuto più grave il delitto di cui al capo H1, condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione; - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno; - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Dichiarava i predetti imputati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Disponeva nei confronti dei medesimi la confisca per equivalente sino a concorrenza dell'importo di euro 963.000.000. - Dichiarava non doversi procedere nei confronti degli stessi imputati, con riferimento ai reati di aggiotaggio di cui al capo A1 (limitatamente alle condotte contestate fino alla data del 27.4.2013), perché estinti per prescrizione. - Condannava i suddetti imputati, nei termini seguenti, al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili: - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili private di cui all'elenco allegato alla sentenza (con esclusione, relativamente agli imputati GI. e MA., del risarcimento in favore delle parti private Al.Br., Lo.Al., Lo.Da., Lo.Tr., Pi.So. e To.La.), con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute da dette parti; - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile Banca d'Italia, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore della medesima parte, pari ad euro 601,017,39 oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte civile; - Gi.Em. era condannato al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile CONSOB, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore di detta parte nella misura dì euro 186.570,00, oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte avite. - Assolveva Pe.Ma. e Zi.Gi. dai reati loro ascritti perché il fatto non costituisce reato. - Dichiarava, inoltre, Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) e, riconosciuta l'attenuante ex art. 12, co. II, lett. a) D.L.vo 231/01 ed applicata la disciplina della pluralità di illeciti ex art. 21 D.L.vo cit., condannava detto ente al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 364.000,00, oltre al pagamento delle spese processuali, disponendo inoltre, nei confronti del medesimo ente, la confisca della somma di euro 74.212.687,50. - Disponeva, con riferimento alla posizione di Zo.Gi., la trasmissione degli atti al P.M. in relazione all'ipotesi di reato contestata sub capo N1; - Dichiarava improcedibile la domanda risarcitoria avanzata nei confronti del responsabile civile Banca (...) in L.C.A. 1.1 Gli addebiti L'affermazione di penale responsabilità attiene alle vicende emerse a seguito dell'ispezione avviata dalla squadra inviata presso l'istituto di credito vicentino dalla BCE nel febbraio del 2015 in relazione a irregolarità emerse nella gestione dell'attività d'impresa bancaria, irregolarità rappresentate: - dal sistematico ricorso della banca al sostegno finanziario concesso ai clienti/soci per l'acquisto di azioni proprie sul mercato primario e su quello secondario; - dal rilascio, in favore dei soci, di lettere con le quali l'istituto assumeva l'impegno al riacquisto delle azioni ovvero forniva garanzie di rendimento dei titoli; - dagli "storni" di interessi, autorizzati dagli organi di vertice dell'istituto onde neutralizzare i costi dei finanziamenti all'uopo erogati dalla Banca; - dagli investimenti di consistenti risorse in fondi esteri poi utilizzati, almeno in parte, per la detenzione indiretta dì azioni proprie. Tali anomalie operative, per effetto dei provvedimenti adottati all'esito dell'ispezione BCE del febbraio del 2015, avevano generato un impatto negativo sotto il profilo patrimoniale, stimato in circa un miliardo di euro di deduzioni dal patrimonio di vigilanza, come confermato dalla stessa banca verificata nella relazione semestrale del 30.6.2015 e, quindi, nel bilancio d'esercizio 2015. Ne era seguita anche l'iscrizione di rettifiche relative a crediti deteriorati per circa 1,3 miliardi di euro. Quindi, nel 2016, la banca aveva deliberato un piano di rafforzamento patrimoniale che tuttavia non era andato a buon fine (con particolare riferimento all'aumento di capitale, previsto nella consistente misura di 1,5 miliardi, tanto che il Fondo (...) aveva rilevato la proprietà dell'istituto sottoscrivendo aumenti di capitale per complessivi 2,3 miliardi). Di qui la dichiarazione, da parte della BCE, dello stato di dissesto o di rischio di dissesto e, successivamente, ravvio della procedura di LCA, decisa con decreto del Ministro dell'Economia del 25.6.2017. Con sentenza 21.12.2018, poi, il tribunale di Vicenza aveva dichiarato lo stato di insolvenza dell'istituto di credito. E' in questo contesto di crisi - successivamente sfociato, come appena precisato, nella dichiarazione dello stato di insolvenza - che si inscrivono le condotte di aggiotaggio manipolativo ed informativo, di ostacolo alla vigilanza della Banca d'Italia, della BCE e (quanto al solo imputato GI.) della CONSOB, nonché di falso in prospetto, condotte che costituiscono (oltre agli illeciti amministrativi contestati all'ente Banca (...) in L.C.A.) gli addebiti ritenuti provati nella pronunzia del tribunale di Vicenza. In particolare gli imputati, nelle loro rispettive qualità di esponenti di vertice dell'istituto bancario, avrebbero posto in essere una serie di azioni coordinate finalizzate alla manipolazione del mercato, attraverso una artificiosa rappresentazione di una solidità patrimoniale della banca in realtà inesistente e della liquidità del titolo azionario, mediante la sistematica concessione di assistenza finanziaria ai clienti per l'acquisto di azioni della banca, l'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo del valore delle azioni finanziate ed il mantenimento di un valore sovradimensionato del suddetto titolo (aggiotaggio manipolativo). Avrebbero, altresì, diffuso informazioni mendaci (prevalentemente attraverso la emissione di comunicati stampa indirizzati al mercato ed ai soci) inerenti alla situazione della banca, alla liquidità del titolo azionario e al pieno successo delle operazioni di aumento di capitale effettuate negli anni 2013 e 2014 (aggiotaggio informativo). Inoltre avrebbero posto in essere condotte di ostacolo alla vigilanza ai danni della Banca d'Italia e della BCE occultando la sistematica attività di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie e in tal guisa impedendo l'adozione di tempestivi piani di vigilanza coerenti con la reale situazione della banca, conseguendo, inoltre, l'autorizzazione alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale primario di classe 1 e superando positivamente, infine, il Camprehensive Assessment (ovverosia l'esercizio di valutazione approfondita con il quale la BCE aveva verificato lo stato di salute delle principali banche europee) con l'effetto di accedere al Meccanismo Unico di Vigilanza. Il solo GI., poi, avrebbe ostacolato la vigilanza della CONSOB in relazione all'aumento di capitale 2014, omettendo la rappresentazione delle operazioni commerciali finalizzate alla promozione dell'aumento di capitale in questione. Ulteriori condotte delittuose poste in essere dagli imputati, infine, sarebbero state quelle di falso in prospetto in relazione alla predisposizione e diffusione dei prospetti informativi inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni all'atto degli aumenti di capitale degli anni 2013 e 2014. Nell'occasione, infatti, per un verso, sarebbero state occultate le informazioni inerenti al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie; e, per altro verso, sarebbero state comunicate informazioni fuorvianti in merito all'andamento del mercato secondario delle azioni stesse. Nel complesso si sarebbe trattato di condotte tutte avvinte da un evidente nesso di strumentalità in quanto sistematicamente ispirate dalla medesima intenzione, da un lato, di creare un'apparenza di liquidità del titolo azionario e, dall'altro, di accreditare la solidità patrimoniale dell'istituto di credito. Solo in quest'ottica, del resto, nella prospettiva d'accusa, sarebbero interpretabili le condotte dei singoli imputati, altrimenti del tutto prive di senso, posto che le corrette attività di appostazione della riserva di bilancio e di scomputo del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza avrebbero reso prive di ogni effetto le operazioni correlate. Di qui la contestazione della responsabilità concorsuale degli imputati. 1.2 Il compendio probatorio Il giudizio di penale responsabilità scaturiva dalla valutazione coordinata di un panorama probatorio assai vasto e composito, segnatamente costituito da elementi di natura testimoniale (deposizioni degli agenti operanti, di ex dirigenti dell'istituto di credito, nonché di funzionari e dipendenti della banca, di clienti, ecc.) e documentale (e-mail, documenti contabili, verbali del CdA, piani industriali, ecc.), dagli esiti di operazioni di intercettazione telefonica, nonché dalle conclusioni cui erano pervenute approfondite attività di ispezione; conclusioni, queste ultime, che erano state dapprima documentate attraverso l'acquisizione delle relative relazioni e, quindi, confermate e precisate in sede di escussione dibattimentale degli ispettori e dei funzionari di vigilanza. Inoltre un rilievo significativo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato anche all'approdo cui era pervenuta la meticolosa attività di ricostruzione di quegli aspetti della gestione aziendale rilevanti ai fini della compiuta comprensione delle reali dinamiche e della esatta portata del fenomeno delle operazioni di capitale finanziato siccome effettuata dai consulenti tecnici del P.M.. Costoro, in effetti, avevano ripercorso, attraverso uno scrupoloso vaglio della notevole mole della documentazione disponibile, tutte le singole operazioni giungendo ad una precisa quantificazione del fenomeno; quantificazione, peraltro, sostanzialmente allineata, seppure per difetto, ai dati indicati dalla stessa banca nella Relazione sulla Gestione dei bilanci 2015-2016 (euro 1086,9 mln). Le indagini della GdF, poi, avevano consentito di riscontrare le evidenze ispettive e di delineare compiutamente il contributo fornito dai singoli imputati. Infine, anche la relazione ex art 33 L.f. - nella quale erano stati compendiati gli esiti di un accurato esame dei bilanci e degli indici di redditività, efficienza e solidità patrimoniale, nonché dei margini di struttura essenziale dell'istituto di credito - aveva rappresentato un prezioso contributo (peraltro convergente con le ulteriori risultanze processuali) per l'esatta comprensione del fenomeno del capitale finanziato. 1.3 La competenza Il tribunale, dopo avere premesso che la questione della competenza territoriale avrebbe dovuto essere valutata alla stregua delle indicazioni contenute nell'imputazione nonché delle allegazioni delle parti unicamente relative al fatto storico siccome stigmatizzato nell'imputazione medesima (fatta salva l'ipotesi - espressamente esclusa dal primo giudice - che dal capo di incolpazione emergessero macroscopici errori, immediatamente rilevabili come tali), ribadiva la competenza territoriale dell'a.g. vicentina, siccome già affermata (in sede di udienza preliminare e, quindi, negli atti preliminari al dibattimento), ritenendo le eccezioni difensive inammissibili e, comunque, infondate. Sotto il primo profilo il tribunale di Vicenza, per un verso, richiamava il contenuto della decisione della Corte di Cassazione (Cass. Sez. I, nr. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018) che - già investita della questione a seguito di conflitto negativo sollevato dal GIP di Milano - aveva in tal senso deliberato, la trama argomentativa della quale veniva dal primo giudice puntualmente ripercorsa; per altro verso evidenziava il difetto di fatti nuovi idonei a superare tale decisione (posto che il capo di incolpazione, medio tempore, non aveva subito sostanziali modifiche), concludendo, quindi, per la vincolatività della decisione medesima. In ogni caso, sotto il secondo profilo (quello dell'infondatezza delle eccezioni di incompetenza), il tribunale respingeva le ricostruzioni difensive che individuavano in Roma il luogo di commissione del più grave reato contestato sub B1, trattandosi del luogo nel quale aveva sede la Banca d'Italia e ove, pertanto, detto istituto aveva ricevuto il rendiconto ICAAP (Internal Capital Adequacy Assessment Process), al momento della ricezione (ovvero della valutazione) del quale - sempre secondo le prospettazioni difensive -, atteso il contenuto asseritamente decettivo del documento in questione, si sarebbe verificato l'evento di ostacolo. Ciò in ragione del fatto che la falsa informazione - sub specie di "occultamento fraudolento" - contenuta in tale documento non rientrava affatto nel perimetro dell'imputazione di riferimento; imputazione che - precisava il primo giudice - circoscriveva al periodo ricompreso tra l'inizio e la fine dell'ispezione il momento di commissione delle attività di intralcio alla vigilanza. Assegnare rilievo, sul punto, all'invio del citato documento da parte del coimputato So.Sa. (posizione stralciata e giudicata separatamente), infatti, avrebbe significato modificare indebitamente il capo di imputazione (peraltro inserendovi una condotta che, nella sua materialità, sarebbe stata espressione di una differente modalità di aggressione al bene giuridico presidiato dalla fattispecie incriminatrice), con conseguente contestazione di un fatto nuovo. Più nel dettaglio il tribunale non condivideva le osservazioni difensive, le quali: - da un lato evidenziavano come il capo di imputazione sub B1, là dove faceva riferimento all'occultamento o, comunque, alla mancata comunicazione di informazioni, necessariamente ricomprendesse, tra le comunicazioni "fuorvianti", anche la suddetta comunicazione ICAAP (sulla base della quale, del resto, l'ente incaricato della vigilanza aveva determinato l'oggetto dell'attività ispettiva che di lì a poco avrebbe svolto presso la sede dell'istituto vigilato); - dall'altro lato contestavano che dall'indicazione del tempus commissi delicti siccome precisato in imputazione potessero desumersi effetti decisivi in ordine alla delimitazione del perimetro dell'imputazione, trattandosi di indicazione - espressione dell'avvenuta, censurabile selezione, da parte del P.M., di una sorta di "finestra temporale" non corrispondente alle evidenze disponibili - non certo prevalente, sempre secondo le difese, rispetto alla descrizione del fatto siccome esposto nel capo di imputazione medesimo. Ad avviso del primo giudice, invero, la prospettazione d'accusa era chiara nell'individuare l'oggetto dell'addebito nelle condotte poste in essere nel corso dell'attività ispettiva, condotte rispetto alle quali l'invio della citata comunicazione ICAAP costituiva un fatto autonomo, estraneo a quello contestato sub B1 e neppure preso in considerazione come antecedente causale delle medesime condotte incriminate. Conclusivamente, l'eccezione di incompetenza territoriale, avanzata in relazione all'asserito rilievo da assegnarsi, sul punto, alla citata comunicazione ICAAP, oltre ad essere inammissibile per difetto di sopravvenienze rilevanti ex art, 25 c.p.p. (l'addebito di riferimento essendo rimasto inalterato rispetto all'imputazione provvisoria valutata dalla citata Cass. 15537/2018), era comunque infondata. Infine, neanche poteva sostenersi la competenza territoriale dell'a.g. milanese, pure prospettata da talune difese facendo leva sulle contestazioni di falso in prospetto di cui ai capi I ed L della rubrica. Si era in presenza, infatti, di reati puniti con pena edittale inferiore rispetto a quella prevista per il reato ex art. 2638 c.c., siccome nella specie aggravato ai sensi del comma terzo. In effetti, il raddoppio delle pene previsto dall'art. 39 co. 1 L. 262/05 non poteva ritenersi applicabile alla fattispecie in esame, in quanto modificata, anche in punto di trattamento sanzionatorio, dal medesimo intervento legislativo, come arguibile dalla ratio di detto intervento, quale ricavabile tanto dal tenore della disposizione ex art. 39, co. 3 L. cit., quanto dai relativi lavori preparatori. In ogni caso - e fermo, comunque, il principio di irretrattabilità del foro commissorio sancito dall'art. 25 c.p.p., - anche i reati di cui ai predetti capi I ed L erano stati commessi in Vicenza, presso la sede della banca vicentina, all'atto della pubblicazione dei prospetti informativi, tale essendo il momento consumativo del reato (e non già in Milano, sede della CONSOB, presso la quale detti prospetti erano stati depositati per l'approvazione). Donde la conferma della competenza del tribunale berico. 1.4 Il patrimonio di vigilanza e l'acquisto di azioni proprie: quadro normativo di riferimento Il tribunale, dopo avere esplicitamente richiamato il quadro normativo in ordine alla vigilanza informativa, regolamentare ed ispettiva sul settore bancario ed avere puntualmente delineato nozione e caratteristiche del "patrimonio di vigilanza" (nella sua accezione più ampia rispetto al semplice "patrimonio aziendale", in quanto ricomprendente, oltre al capitale sociale e alle riserve, anche gli strumenti di natura non strettamente patrimoniale ma rappresentanti "canali di patrimonializzazione"), precisava come, alia stregua delle disposizioni in materia, il "patrimonio di vigilanza" dovesse necessariamente corrispondere quantomeno all'ammontare del patrimonio interno assorbito dalle attività bancarie, in ragione della funzione assegnatagli di copertura dei rischi di mercato, operativo e di credito. Quindi, richiamati gli indici di riferimento per la valutazione delia capacità degli istituti di credito di sostenere le proprie attività in presenza dei rischi tipici ed evocata, altresì, la più recente disciplina di riferimento, il primo giudice precisava come il patrimonio di vigilanza complessivo dovesse intendersi costituito dalla somma algebrica tra il "patrimonio di base o capitale di classe 1" (Tier 1) e il "patrimonio supplementare o capitale di classe 2" (Tier 2), intesi come insieme di risorse capaci di assorbire le perdite, rispettivamente, in condizioni di continuità di impresa, ovvero di stato di crisi-In un siffatto contesto - proseguiva il tribunale - l'attività di vigilanza della Banca d'Italia assolveva, tra l'altro, alla funzione di valutare se gli strumenti finanziari emessi dagli istituti di credito fossero o meno computabili come strumenti di capitale primario, con la precisazione che, tra gli strumenti destinati ad essere integralmente dedotti dal capitale primario, rientravano certamente gli investimenti in azioni proprie (ivi comprese quelle che la banca fosse stata contrattualmente obbligata ad acquistare), e questo all'evidente fine di evitare il doppio computo del capitale. Con specifico riferimento al periodo interessato dalle imputazioni (2012-2015), poi, il giudice di prime cure puntualizzava come la composizione del patrimonio di vigilanza fosse disciplinata dalle Circolari della Banca d'Italia n. 263 del 27.12.2006 e n. 155 del 18.12.1991, circolari che, identificando il patrimonio di vigilanza come la somma algebrica tra il patrimonio di base (Tier 1) e il patrimonio supplementare (Tier 2), al netto delle deduzioni, esigevano che il rapporto tra il Tier 1 ed il totale delle esposizioni creditizie ponderate non dovesse essere inferiore al 4,00% e che il patrimonio di vigilanza, inteso come la somma di patrimonio di base Ver 1 e patrimonio supplementare Tier 2, dovesse essere almeno pari all'8% delle attività ponderate per il rischio. La Circolare n. 263/2006, poi, non prevedeva alcuna autorizzazione della Banca d'Italia per la computabilità delle azioni proprie nel patrimonio di vigilanza. Inoltre, a decorrere dal 2014, la disciplina di riferimento era costituita dal regolamento UE n. 575/2013 (Capital Requirements Regulation - CRR) e dalla Circolare della Banca d'Italia n. 286 del 17 dicembre 2013, con l'effetto che alla nozione di patrimonio di vigilanza era subentrata quella di "fondi propri" (costituiti dalle tre componenti: CET1, Additional Tier 1 e Tier 2), Secondo il CRR le banche avrebbero dovuto disporre di un requisito di capitale primario di classe 1 (CET) pari al 4,5% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio, di un requisito di capitale di classe 1 (Tier 1) pari al 6% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio e, infine, di un patrimonio di vigilanza totale (patrimonio di base più patrimonio supplementare) pari all'8% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio. Ciò posto, il primo giudice, con riferimento al tema dell'acquisto delle azioni proprie da parte di un istituto di credito, richiamava i limiti progressivamente sempre più stringenti introdotti sul punto, oltre alle specifiche condizioni legittimanti le autorizzazioni in materia da parte dell'autorità di vigilanza, sottolineando come il principio dell'obbligatoria deduzione dal patrimonio di vigilanza delle azioni riacquistate fosse rimasto immutato nel tempo, trattandosi di principio (nel periodo 2006-2013 previsto dalle citate circolari della Banca d'Italia, come progressivamente aggiornate) essenziale per la tutela dei terzi, posto che, nel momento in cui la banca finanziava l'acquisto di azioni proprie, l'apporto patrimoniale era destinato ad assumere carattere fittizio, inidoneo a incrementare il patrimonio destinato alla copertura di rischi e perdite aziendali. E, in proposito, il primo giudice delineava puntualmente il regime prudenziale previsto successivamente all'1.1.2014, regime nel cui ambito rilevava anche il processo interno di autodeterminazione dell'adeguatezza patrimoniale che gli istituti di credito erano chiamati ad effettuare e di cui avrebbero dovuto comunicare gli esiti alfa Banca d'Italia attraverso una apposita comunicazione (ICAAP) - la responsabilità della quale era rimessa agli organi societari di amministrazione e di controllo - destinata ad illustrare le caratteristiche di tale processo. Era proprio il resoconto ICAAP - proseguiva il tribunale - a consentire all'organo di vigilanza di effettuare una valutazione completa (destinata a concludersi con l'attribuzione di un punteggio ricompreso tra 1 e 5) delle caratteristiche qualitative fondamentali (attraverso un'attività di supervisione denominata SREP/Supervisory Review Evaluation Process, caratterizzata anche da un confronto diretto tra organo di vigilanza ed istituto vigilato). 1.5 La ricostruzione dei fatti. 1.5.1 L'ispezione della BCE del febbraio 2015 ed i riscontri all'analisi BCE. In ordine all'ispezione BCE del febbraio 2015 - avviata dopo che una serie di evidenze (ivi compresa la pubblicazione, a ottobre del 2014, di un articolo sul quotidiano "Il Sole 24 Ore", a firma Cl.Ga., nel quale si era fatto espresso riferimento proprio al tema del finanziamento delle azioni) avevano fatto emergere come la B. avesse riacquistato azioni proprie in difetto della previa autorizzazione alla vigilanza - il Tribunale precisava che detta ispezione, svoltasi dal febbraio al luglio del 2015, aveva effettivamente dimostrato il diffuso ricorso da parte dell'istituto di credito ad operazioni di assistenza finanziaria ai soci per l'acquisto di azioni proprie; azioni che, proprio in quanto acquistate con finanziamenti concessi dall'emittente, non avrebbero dovuto essere conteggiate nel patrimonio di vigilanza (ovverosia nei "fondi propri", secondo la terminologia adottata dall'art. 28, par. 1, lett. B, CRR). Sulla base, in particolare, della puntuale deposizione dell'ispettore Em.Ga. (responsabile del team della vigilanza), il primo giudice ricostruiva dettagliatamente natura, svolgimento ed esiti dell'ispezione in questione. Ebbene, si era trattato di una ispezione sul rischio di mercato, finalizzata, nell'ordine: - a verificare eventuali fenomeni di assistenza finanziaria relativi alle operazioni di aumento di capitale; - a controllare la corretta valutazione del prezzo delle azioni; s ad analizzare, infine, le operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi sottoscritti alla fine del 2012 dalla banca vigilata. L'arco temporale di riferimento assunto dagli ispettori era stato quello tra il 1.1.2014 ed il 28.2.2015. Il c.d. "mini aucap", poi, non era stato incluso nell'accertamento perché, in tale occasione, la banca aveva effettuato operazioni dì taglio piccolo (6250 euro/100 azioni) per le quali aveva espressamente previsto la possibilità di finanziamento da parte dello stesso istituto di credito, con corretta deduzione delle azioni acquistate dal patrimonio di vigilanza. Per il mercato secondario, poi, erano state analizzate tutte le operazioni per un controvalore superiore ai 250.000 euro. Quanto alla metodologia operativa seguita per intercettare le operazioni di capitale finanziato erano stati adottati criteri dì tipo quantitativo e qualitativo. Sotto il primo profilo erano state tracciate le operazioni caratterizzate da "una relazione forte" tra ammontare finanziato e sottoscritto (nel senso che il "finanziato" avrebbe dovuto essere superiore al "sottoscritto", sia con riferimento alle operazioni "full", ovverosia quelle in cui l'intero finanziamento era stato utilizzato per l'acquisto delle azioni; sia a quelle cc.dd. "fifty-fifty", ovverosia nelle quali solo una parte del finanziamento era stato impiegato per l'acquisto dei titoli). In ordine al dato temporale erano stati analizzati, in relazione al mercato primario, solo i finanziamenti concessi nel "periodo sospetto", ricompreso tra la data di inizio del collocamento e il giorno della consegna del titolo al cliente (c.d. delivery date), pari a circa tre mesi. Diversamente, in ordine al mercato secondario, erano state analizzate tutte le operazioni di acquisto in cui i finanziamenti erano stati erogati nei tre mesi antecedenti (posto che dai colloqui avuti con Se.Ro., addetto all'ufficio soci, gli ispettori avevano appreso che la tempistica media seguita dalla banca per evadere un ordine di acquisto di azioni non superava, per t'appunto, ì 90 giorni circa). In ogni caso - precisava il tribunale - gli ispettori avevano verificato che, generalmente, ì finanziamenti erano risultati concessi pochi giorni prima dell'esecuzione dell'ordine di acquisto. Altri elementi considerati ai fini ispettivi erano stati l'analisi dei conti, quasi tutti caratterizzati da bassissima operatività, nonché la valutazione delle P.E.F., (ovverosia le pratiche elettroniche di fido), risultate costantemente connotate dall'indicazione di causali estremamente generiche e ripetitive e, pertanto, ritenute sintomatiche di "operazioni eccentriche". Inoltre, anche la circostanza che le operazioni fossero "operazioni in bianco" (ovverosia prive di garanzia) costituiva una prassi anomala rispetto ai normali standard creditizi di sana e prudente gestione del portafogli creditizio di una banca. Quindi, con specifico riferimento agli esiti dell'ispezione, il tribunale illustrava le seguenti evidenze: a) l'esistenza di capitale finanziato per un importo complessivo di 506 milioni, capitale che, proprio in quanto oggetto di finanziamento, avrebbe dovuto essere detratto dal patrimonio di vigilanza; b) il rilascio di lettere di impegno collegate ad acquisti sul mercato secondario (peraltro non registrate nella contabilità aziendale né rappresentate nei documenti di bilancio) con le quali l'istituto si era vincolato al rimborso del capitale investito dagli azionisti nella banca, A fine ispezione, in relazione a tali lettere di impegno (la scoperta delle quali - precisava il tribunale sulla scorta della deposizione del teste Em.Ga. - aveva rappresentato un vero e proprio punto di svolta nell'ispezione, trattandosi della prova documentale della consapevolezza, da parte del management, del carattere finanziato dell'acquisto delle azioni), l'istituto era stato costretto a dedurre dal CET 1 circa 21 milioni di euro; c) il fenomeno degli storni di interessi alla clientela fonde tenerla indenne dei costi derivanti dal finanziamento correlato all'acquisto delle azioni). In alcuni casi si era trattato di storni non "baciati" da finanziamenti e, pertanto, sintomatici di un comportamento concludente dell'azienda finalizzato a riconoscere al cliente un corrispettivo per il possesso delle azioni, con conseguente accrescimento dei rischi legale e reputazionale a carico dell'azienda medesima. Peraltro la pratica degli "storni" aveva generato un vincolo sul rendimento delle azioni tale da precluderne la computabilità nel patrimonio di vigilanza; d) la sopravvalutazione del valore dell'azione, valore deciso a monte dal CdA senza considerare i dati fondamentali dell'azienda sotto il profilo economico-patrimoniale; profilo, in effetti, caratterizzato da risultati economici modesti; e) lo squilibrio del mercato secondario delle azioni, in quanto connotato da una marcata asimmetria tra ordini di acquisto e ordini di vendita (572,5 milioni contro 1.000.000,000, nel periodo gennaio 2013 - dicembre 2014); asimmetria, peraltro, risultata all'origine proprio del ricorso al capitale finanziato, quale strumento per contrastare l'illiquidità del titolo; f) l'investimento per euro 350,000.000 nei fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" ad esposizione sconosciuta, effettuato in modo non prudente né trasparente. Si trattava, in effetti, di fondi ad esposizione non comunicata, dei quali, sostanzialmente, B. era sottoscrittore unico (sicché, più che di fondi, si era in presenza di una gestione patrimoniale delle risorse dell'istituto di credito). Né i dirigenti della banca avevano fornito delucidazioni agli ispettori sulla natura degli investimenti in detti fondi se non a seguito della comunicazione che la mancata disclosure avrebbe comportato lo scomputo dell'intero importo di 350 milioni di euro dal patrimonio di vigilanza. Solo a quel punto, infatti, erano stati comunicati gli investimenti sottostanti ed era così emerso non solo che detti fondi avevano investito in asset in buona parte legati allo stesso istituto di credito ma, soprattutto, che i fondi medesimi erano stati lo strumento utilizzato per l'acquisto di azioni proprie, nel 2012, per un importo di 60 milioni di euro (in luogo di quello dichiarato di 54 milioni circa), titoli poi dismessi al 31 dicembre del 2014; g) l'esistenza della società di diritto irlandese B.Fi., utilizzata anche per alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato (operazioni relative, segnatamente: a) alla campagna "svuota fondo" 2012, tradottasi nell'acquisto dì azioni proprie, per il valore complessivo di 30 milioni di euro, per il tramite delie società italiane denominate Pe., Gi. e Lu., all'uopo provviste del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate da B.Fi.; b) alla dismissione delle azioni proprie detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" ed "(...)" ed acquistate, per una rilevante percentuale, dalla società So. Ltd. a mezzo di un finanziamento erogatole dalla predetta società di diritto irlandese B.Fi.). In definitiva - precisava il primo giudice - gli esiti cui era pervenuta l'attività ispettiva avevano generato un impatto deflagrante sul patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito, comportandone la riduzione per un valore di 607 milioni di euro (come da tabella riassuntiva riportata a pag. 288 della sentenza impugnata). Ne era seguita la predisposizione di un radicale piano di rafforzamento del capitale, onde consentire alla banca di rientrare immediatamente nei parametri richiesti dalla BCE. Nondimeno, nel prosieguo, la verificata impraticabilità degli interventi necessari a ripristinare la corretta operatività dell'istituto ne aveva imposto la liquidazione coatta amministrativa. Quindi, in ordine alla capacità probatoria da riconoscersi, nei limiti delineati dalla giurisprudenza di legittimità, agli accertamenti ispettivi, il tribunale precisava che tale capacità derivava, segnatamente, dalla competenza del personale dell'organo di vigilanza; dalla imparzialità propria dì tale organo (le cui valutazioni, del resto, avevano determinato un nuovo assetto di governance dell'istituto di credito); dalla coerenza, infine, tra gli esiti dell'ispezione e quanto verificato dai consulenti del P.M.. Peraltro anche il dott. Fe.Pa., consulente della difesa dell'imputato PE., aveva rimarcato il carattere "profondamente innovativo" e metodologicamente "ineccepibile" dei criteri seguiti dal team ispettivo nel corso della vigilanza, sottolineando anche la natura prudenziale dell'accertamento (sottostimato) che ne era derivato in punto di quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre - precisava il tribunale - numerosi erano stati i riscontri all'analisi della BCE. Trattavasi: a) dello squilibrio del mercato secondario, siccome manifestatosi a partire dal 2011 (squilibrio che, in difetto del ricorso al finanziamento delle azioni, avrebbe portato al "blocco della liquidità" già dal secondo trimestre del 2012; b) delle dichiarazioni di numerosi esponenti del management aziendale (segnatamente: i testi Fi.Ro., responsabile dell'Ufficio Soci, e Se.Ro., addetto allo stesso Ufficio Soci, i quali avevano rievocato l'incremento della richiesta di vendita delle azioni a partire dagli anni 2011/2012 e l'abbandono del relativo criterio cronologico a decorrere dallo stesso 2011; il teste Co.Tu., il quale aveva riferito che già dal 2009 erano state effettuate "operazioni svuota fondo" - rivolte cioè ad azzerare il fondo acquisto azioni proprie della banca - a ridosso della fine dell'anno per abbellire il bilancio; il teste Ma.Ba., il quale aveva dichiarato che dalla metà del 2011 aveva iniziato a sentire parlare di "operazioni K", finanziamenti correlati e operazioni c.d. "baciate" nel corso delle riunioni della Divisione Mercati con i capi area; l'ex direttore generale dal 2001 al 2005 e dal 2008 all'ottobre 2011, Di.Gr., il quale aveva confermato le tensioni sul mercato a causa della scarsità di domande di acquisto delle azioni, tensioni da lui fronteggiate rivolgendosi a investitori istituzionali che avevano comprato azioni B. con intesa verbale di riacquisto); c) degli appunti del segretario generale Ma.So. relativi alle operazioni c.d. "baciate", dal medesimo teste definite come operazioni sulle quali, dietro indicazione dei vertici aziendali, occorreva "spingere" per aumentare il capitale; d) degli ulteriori riscontri documentali in ordine all'andamento asimmetrico del mercato secondario (in particolare la e-mail di cui al documento nr. 166 e l'appunto di cui al documento 881 prodotti dal P.M. - cfr. pag. 304 della sentenza impugnata); e) delle attività "svuota fondo", attuate anche attraverso le operazioni c.d. "baciate" (per un importo stimato dai CCTT del P.M., con riferimento all'anno 2012, pari a 287 milioni di euro), delle quali avevano complessivamente riferito svariati testi (segnatamente i testi Fi.Ro., En.Da., Gi.Ca., Ma.Ba., Co.Tu. e Fr.Pi.); f) delle stesse dichiarazioni rese, nel corso del suo esame, dall'imputato Gi.Zi. (il quale aveva riferito che alla fine del 2012, attraverso la sua società Ze. s.r.l. aveva acquistato azioni dell'istituto di credito per "dare una mano alla banca" e consentire lo sblocco di richieste di vendita inevase); g) della ricostruzione del fenomeno del capitale finanziato siccome effettuata dall'Internal audit (e compendiata nel documento nr. 22 prodotto dal P.M.); h) delle dichiarazioni dibattimentali del teste Ro.Ri., gestore private di Contrà Porti (il quale aveva riferito delle modalità di attuazione delle operazioni più consistenti di capitale finanziato - i cc.dd. "big ticket" -caratterizzate da un arco temporale ristretto di 6/12 mesi e dalla corresponsione di un compenso variabile tra lo 0,50% e il 2%); i) delle articolate modalità di occultamento delle operazioni correlate, costituite, segnatamente: dal divieto di comunicazioni scritte (come riferito dai testi Co.Tu., Al.Cu. e Gi.Gi.; il teste Fr.Te., dal canto suo, aveva parlato di un eccesso di riservatezza al riguardo); dall'utilizzo di formule generiche nelle causali degli affidamenti (in particolare "cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare e/o immobiliare") tali da occultare all'esterno - ma, al contempo, da rendere immediatamente riconoscibili all'interno - le operazioni correlate; dal distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni; dalla cura prestata nell'evitare l'assoluta coincidenza di importo tra finanziamento ed azioni acquistate; e, infine, dall'inserimento nel portafoglio titoli dei clienti anche di azioni diverse; j) dell'esistenza delle lettere di impegno (l'Internal audit ne aveva censite in numero di 65); k) degli "storni" di interessi, siccome verificati anche dalle attività di audit (il documento richiamato era quello nr. 18 della produzione del P.M.) e oggetto di deposizione testimoniale (segnatamente, le deposizioni di Da.Es., funzionario addetto al "Risk Management", nonché quelle di Co.Tu., di Gi.Ca. e di Lu.Ve.); l) delle modalità seguite per il collocamento delle azioni quali evidenziate, ancora, dalla relazione di audit (modalità costituite: dall'acquisto con mezzi propri a fronte della promessa di una remunerazione proveniente dal pagamento dei dividendi, associata all'eventuale plusvalenza del prezzo dell'azione con eventuali scostamenti compensati attraverso storni di competenze non giustificati; dall'acquisto con mezzi propri di azioni B. per circa il 50% dell'importo disponibile e sottoscrizione per la parte rimanente di un time deposit a tasso di favore, in linea di massima del 4%, acquisto, questo, proposto a partire dal 2013; da finanziamenti "baciati" con storno competenze/spese e rendimento garantito, con durata, in genere, di 6/12 mesi; da fidi per "operazioni K" concessi a clienti cui era proposto un affidamento per ragioni proprie del cliente e con erogazione condizionata alla sottoscrizione di almeno il 10% dell'operazione per acquisto di azioni proprie; operazione, questa, poi estesa anche alle posizioni con fidi a revoca da revisionare su clienti individuati in tabulati forniti dalla Divisione Mercati; dall'acquisto di azioni proprie proposto in occasione di affidamenti su clientela con rating compreso tra 1 e 5 per il retati (ovverosia per i singoli clienti) e tra 1 e 6 per il corporate (ovverosia per le imprese); m) dei riscontri dibattimentali in ordine alla prassi adottata dai vertici dell'istituto per dare attuazione alle operazioni correlate con l'obiettivo di raggiungere, sia in occasione dei nuovi finanziamenti che nelle procedure di rinnovo, il rapporto del 10% tra il capitale sottoscritto e l'importo erogato. Dalle dichiarazioni dei testi, invero, era emersa la forte pressione praticata sulla rete aziendale per la conclusione delle operazioni "baciate" (deposizioni Al.Ba., Gi.Gi., Co.Tu., Ma.Ni., Di.Ip., Al.Cu.) al punto tale che alcuni collaboratori, come i private banker An.Vi. e Fr.Te., avevano rassegnato le dimissioni (il Te. proprio sul rilievo della contrarietà etica rispetto alle operazioni di capitale finanziato). Il verbale di conciliazione successivo alle dimissioni del Te., peraltro, aveva previsto l'inserimento di una clausola di riservatezza. Anche i bollettini sindacali acquisti nel corso del dibattimento, infine, avevano comprovato, così come le e-mail parimenti acquisite, le pressioni per il raggiungimento degli obiettivi di capitale assegnati (cfr. pagg. 317-318 della sentenza); n) delle dichiarazioni dibattimentali rese da clienti di rilievo (cfr. dep. Lo., Fe., Mo., Ro., To., Ti., Ma., Ca., Ma., Br., Ca., Gi. e Si.Ra.) che avevano concluso le operazioni aventi ad oggetto i "big ticket', là dove costoro avevano concordemente delineato lo schema operativo di riferimento (operazione a termine/apertura conto corrente dedicato/remunerazione variabile tra lo 0,5% e l'1%); o) delle dichiarazioni rese dall'ispettore Gi.Ma. (confermate dalla testimonianza del direttore regionale B. della Lombardia, della Liguria e del Piemonte, Gi.Gi. e dal direttore di B.Fi. Pi.Ra.) con specifico riferimento alle modalità operative seguite per realizzare lo "svuota fondo" del 2012 attraverso la società controllata irlandese B.Fi. per il tramite delle tre società italiane Pe., Lu. e Gi., all'uopo provviste -come detto sopra - del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate, per l'appunto, da B.Fi.; p) dell'operazione di acquisto di un'importante frazione delle azioni B. già detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", effettuata dalla società So. Ltd. per l'importo di 25 milioni di euro, secondo quanto emerso dalle stesse risultanze delle attività di revisione interna nonché dal contenuto delle deposizioni dibattimentali, ivi compresa quella di Iorio Francesco, amministratore delegato e d.g. di B. dal 1.6.2015 al 4,12,2016; questi aveva confermato come, di fatto, i suddetti fondi esteri fossero stati utilizzati sia per acquistare in origine azioni della banca sia per effettuare investimenti in società riconducibili a soggetti già finanziati dall'istituto (investimenti, questi ultimi, che, generando un rischio aggiuntivo, avrebbero imposto che fosse seguito un iter autorizzativo ben diverso, con competenza al rilascio del benestare da parte del CdA - cfr. pagine 325-329 della sentenza); q) delle dimissioni del private banker An.Vi., generate dalle pressioni ricevute per concludere le operazioni "baciate" e dall'atteggiamento dilatorio assunto dal d.g. Sa.So. a seguito delle conseguenti richieste di approfondimento della vicenda provenienti dal responsabile dell'audit Ma.Bo. (cfr. deposizione Vi. e documentazione di riferimento); r) della denunzia del fenomeno degli acquisti correlati effettuata, nel corso dell'assemblea del 26 Aprile 2014, dal socio Ma.Da. e della conseguente inerzia degli organi societari; s) delle anomalie riscontrate in occasione della revisione legale del bilancio della banca da parte della società K. in punto di adeguatezza patrimoniale con particolare riferimento alle operazioni fatte in contestualità, anomalie che avevano indotto la responsabile dell'ufficio legale interno a sollecitare l'esecuzione di un apposito audit ottenendo, tuttavia, un fermo diniego da parte del d.g. So. e di Pi.An., responsabile della Divisione Finanza (il quale ultimo aveva replicato: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa" - cfr. deposizione An.Pa., responsabile dell'ufficio legale interno); t) del contenuto del file audio (ritenuto dal tribunale utilizzabile, trattandosi di documento registrato dagli addetti informatici a ciò deputati e non già di abusiva registrazione effettuata da ignoti, donde il rigetto della relativa eccezione avanzata dal difensore dell'imputato MA.) inerente allo svolgimento dei lavori del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Tale registrazione aveva inequivocabilmente documentato tanto l'esistenza del fenomeno delle operazioni "baciate" quanto l'approntamento di strategie per occultare tale fenomeno alla vigilanza (cfr. pagg. 335-336 della sentenza); u) dell'allestimento della "Task Force gestione soci" che, nelle intenzioni dei vertici della banca, avrebbe dovuto approntare, in extremis, una strategia difensiva in relazione ai diversi profili di irregolarità emersi nel corso degli accertamenti ispettivi e favorire l'assunzione di una posizione comune a fronte delle sempre più pressanti richieste da parte dei clienti, dei reclami relativi al deprezzamento delle azioni e del rischio di fuga dei correntisti. Era stata proprio la questione, emersa sin dalle prime interlocuzioni, del fenomeno del capitale finanziato, peraltro di dimensioni notevolissime (pari a un miliardo di euro, secondo il teste Ma.Li.) che, di fatto, aveva impedito alla Task Force di esplicare qualsivoglia concreta attività (cfr. deposizione del teste Gi.Am.; e-mail di cui ai documenti nn.ri 525, 528 del P.M:); v) della quantificazione del capitale finanziato chef determinata dall'audit interno, su incarico BCE, nella misura di euro 941.335.883 e riferita a nr. 917 posizioni correlate, era poi stata fissata dalla società Er. (all'esito di una accurata ricostruzione del fenomeno, a partire dall'anno 2008, che aveva visto coinvolti il personale della Divisione Mercati ed i singoli capi area, questi ultimi richiesti di confermare/integrare i dati che andavano emergendo) nella misura di euro 1.086.892.062; w) della relazione redatta ex art. 33 l.f. dai commissari giudiziali che avevano individuato le cause del dissesto dell'istituto di credito, segnatamente: nella fissazione di un prezzo delle azioni sovrastimato (anche a causa della predisposizione di piani economico-finanziari mirabolanti, se non addirittura fantasiosi e per l'effetto dell'ausilio di professionisti incuranti dei dati utilizzati per le loro stime e valutazioni); nel massiccio ricorso alle operazioni correlate; nell'effettuazione di operazioni non strettamente riconducibili all'attività di erogazione del credito alla clientela bensì consistenti in investimenti in altre società, partecipazioni, ovvero in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) quali i fondi lussemburghesi (che avevano anche agito da "società veicolo" per operazioni "back to back") e, quindi, in definitiva, in operazioni eccessivamente speculative, rischiose o addirittura illecite; nella continua pratica di sollecitare il mercato azionario stimolando gli acquisti di azioni proprie grazie ai finanziamenti correlati, occultando le perdite e sovrastimando i titoli; e, infine, nella decisione di celare il continuo peggioramento della qualità del credito attraverso la sottostima delle rettifiche e l'occultamento delle perdite a bilancio. 1.5.2 La consulenza tecnica dei P.M. Assoluto rilievo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato agli esiti della consulenza tecnica disposta - nel corso delle indagini - dagli inquirenti. In particolare i consulenti dott.ssa La.Ca. e prof. Ro.Ta., all'esito di una valutazione analitica della documentazione a disposizione riferibile a ciascuno dei 965 clienti che erano stati segnatati per avere operato tramite finanziamento - valutazione, peraltro, fondata sull'adozione di un approccio prudenziale (caratterizzato, per evitare duplicazioni nel caso di finanziamenti indiretti, dall'attribuzione all'organo deliberante il finanziamento del controvalore di uno solo degli acquisti) - avevano evidenziato: con riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati (quesito nr. 1): - che dei 965 clienti segnalati solamente 91 non erano stati finanziati da B., sicché le posizioni finanziate erano pari a nr. 874; - che l'ammontare degli acquisti finanziati era pari a complessivi 1.031,6 milioni di euro (per un totale di azioni B. acquistate tramite finanziamento pari a 15.426.391), di cui euro 963 milioni riferiti ad acquisti di azioni B. ed euro 68 milioni riferiti a sottoscrizioni di prestito obbligazionario convertibile; - che la quota prevalente degli acquisti era riferibile a operazioni finanziate da B. (essendo imputabili alle controllate B.Fi. e Ba.Nu., rispettivamente, acquisti per euro 55,4 milioni e per euro 5,2 milioni); - che, quanto all'aumento di 506 milioni di euro di capitale effettuato nel 2013, la banca aveva finanziato il 28% dell'operazione, per un valore complessivo di euro 143 milioni; - che, quanto all'aumento di capitale nell'anno 2014 per euro 607,8 milioni, l'ammontare finanziato era stato di 136 milioni (pari al 22%); - che nel 64% degli acquisti il rapporto tra finanziamento e acquisto delle azioni era risultato pari o superiore al 90%; - che, quanto all'ammontare del valore dei titoli suddiviso per ciascun organo deliberante in relazione al periodo oggetto di indagine (30.6.2012-31-3.2015), al CdA andava "attribuito" un valore di euro 414.193.319 (pari al 35% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al Comitato Crediti un valore di euro 160-029.069 (pari al 13% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile Divisione Crediti, Ma.Pa., un valore di euro 108.418.754 (pari al 9% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile della Divisione Mercati, Gi.Em., un valore di euro 32.941.194; al Comitato Esecutivo un valore di euro 63.196.606; al Comitato Centrale Fidi, infine, un valore di euro 49.936.575; con riferimento al fenomeno della vendita delle azioni con patto di riacquisto (quesito nr. 2): - che tale fenomeno si era concretizzato nel rilascio di lettere in favore di 14 azionisti, trattandosi dei soggetti nei confronti dei quali la banca si era incontrovertibilmente impegnata al riacquisto delle azioni, il tutto per un valore complessivo di 46,6 milioni di euro (le restanti lettere non erano state prudenzialmente considerate in quanto contenenti un impegno "più debole", ovvero perché mai consegnate agli azionisti); con riferimento alla determinazione del patrimonio di vigilanza e del livello dei coefficienti patrimoniali prudenziali (quesito nr. 3) : - che, doverosamente detratti dall'ammontare del patrimonio di vigilanza (ovvero dall'ammontare dei "fondi propri", secondo la terminologia introdotta dal CRR), quale comunicato dalla Banca all'organo di vigilanza, tanto l'importo complessivo degli acquisti di azioni B. effettuati dai clienti considerati finanziati, quanto l'ammontare degli impegni al riacquisto di azioni ritenuti effettivamente vincolanti e prudenzialmente diminuite anche le attività ponderate per il rischio (RWA) del medesimo ammontare (sul rilievo che le operazioni di finanziamento non sarebbero state ragionevolmente poste in essere se non per il raggiungimento dello scopo in questione), la differenza tra il Total Capital Ratio comunicato e quello rettificato andava da un minimo di 1,16% a un massimo del 3,4% (31.3.2015). Inoltre: il CET 1 ratio rettificato al 31.3.2014 (6,63%) ed al 30.6.2014 (6,24%) si attestava a un livello inferiore alla soglia minima regolamentare del 7%; il Tier 1 Ratio rettificato si attestava ad un livello inferiore rispetto alla soglia target comunicata alla Banca d'Italia, pari all'8%, per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013 (valore minimo 6,32%, valore massimo 7,34%); per il Total Capital Ratio, infine, il dato rettificato al 31.3.2014 (8,51%), al 30.6.2014 (7,94%), al 30.9.2014 (9,57%), al 31,12.2014 (8,47%) e, infine, al 31,3,2015 (8,51%), si posizionava costantemente sotto la soglia minima regolamentare del 10,5%. con riferimento all'effetto distorsivo del fenomeno di assistenza finanziaria all'acquisto di azioni sul funzionamento ed andamento del mercato secondario (quesito nr. 5): - che il fenomeno del ricorso al capitale finanziato - risultato massiccio in coincidenza della fine dell'anno, con conseguenti, repentine diminuzioni del fondo acquisto azioni proprie - aveva comportato una profonda distorsione del mercato. In effetti la dettagliata ricostruzione delle dinamiche di acquisto dei titoli sul mercato secondario aveva reso evidente come il ricorso ai finanziamenti degli acquisti di azioni avesse consentito alla banca di mantenere il funzionamento del mercato secondario solo fino al 2012, A partire dall'anno successivo, infatti, l'istituto non era più stato in grado di garantire la liquidità del titolo; con riferimento alla stima del valore dell'azione (quesito nr. 4): - che il prof. Ma.Bi. (l'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) aveva basato il suo giudizio sui criteri, rispettivamente, reddituale (c.d. Income Approach), di mercato (c.d. Market Approach) e del costo (c.d. Cost Approach). Il CdA dell'istituto, dal canto suo, nel determinare il valore del titolo aveva assegnato rilievo pressoché esclusivo al criterio reddituale (Income Approach). Peraltro, l'assemblea, nel triennio di riferimento, aveva approvato il valore dell'azione allineandosi al valore massimo calcolato dal predetto professionista con riferimento al parametro in questione. Ebbene, l'approccio del prof. Bi. non era condivisibile in quanto non conforme alle raccomandazioni della dottrina e della prassi professionale, avendo comportato una sopravvalutazione del capitale economico di B. nel periodo 31.12.2012 - 31.12.2013. Quanto all'anno successivo, sebbene il professionista avesse preso atto di una riduzione del valore del titolo, si era comunque in presenza di una sovrastima dell'azione, in considerazione degli effettivi risultati economici consuntivi dell'attività dell'istituto e del marcato disallineamento con le quotazioni di borsa delle principali banche italiane. Pertanto, doverosamente considerato il fenomeno del capitale finanziato, era stato necessario procedere ad effettuare una nuova stima del capitale economico della banca e, quindi, del valore delle azioni, sia non rettificando gli RWA sia operando tale rettifica (ricostruzione, quest'ultima, più favorevole agli imputati). Il risultato era stato, in entrambi i casi, quello di una significativa riduzione di valore del titolo, stimato nei seguenti termini: al 31.12.2012 tra euro 21,94 e euro 22,49 (a fronte dì un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 55,77 euro e 56,31 euro); al 31.12.2013 tra euro 26,78 ed euro 27,45 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 54,40 e 55,05 euro); al 31.12.2014 tra euro 23,87 ed euro 24,94 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 41,68 euro e 42,70 euro). In definitiva, secondo il tribunale, i consulenti del P.M., avevano compiuto una ricostruzione dei fenomeni analizzati esaustiva e affidabile in quanto espressione di metodologia ispirata a prudenza; ricostruzione, peraltro, significativamente coerente con il perimetro già tracciato dagli ispettori BCE. In particolare ì consulenti avevano verificato che gli acquisti di azioni e obbligazioni fossero avvenuti attingendo, in tutto o in parte, a risorse fornite dalla banca mediante un nuovo affidamento concesso prima dell'operazione, ovvero mediante l'impiego di eventuali preesistenti erogazioni non ancora utilizzate. Inoltre avevano rispettato la normativa prudenziale in materia. In particolare la riprova dello scrupolo che aveva guidato l'azione dei consulenti era costituita dal fatto che i predetti avessero espunto ben 91 posizioni rispetto al numero di operazioni finanziate originariamente individuati dall'Internai audit. La diversa quantificazione del capitale finanziato compiuta dagli ispettori BCE, poi, era essenzialmente dipesa dal differente arco temporale oggetto di verifica (sul punto il tribunale, a pagina 380 della sentenza, riportava una tabella sinottica). Gli esiti di consulenza, inoltre, erano risultati coerenti con il materiale probatorio acquisito, non solo di tipo testimoniale ma anche documentale (davvero inequivoco, sul punto, ad avviso del primo giudice, era il contenuto della registrazione audio della seduta del Comitato di Direzione del 10 novembre 2014, là dove il d.g. So. aveva affermato espressamente "...abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare..."). Né, del resto, i consulenti delle difese avevano proposto una quantificazione alternativa del fenomeno del capitale finanziato in esame, sostanzialmente essendosi limitati a sostenere come i cc.tt. del P.M. avessero effettuato una stima in eccesso. Per converso emergevano dati inequivoci del fatto che si fosse trattato di una stima prudenziale, attuata per difetto. A riscontro di ciò il Tribunale richiamava la vicenda dell'operazione finanziata conclusa con la El. (operazione avente un valore, ad avviso dei consulenti, di 17 milioni di euro ma ammontante, secondo il teste Pi.Ca., a ben 20 milioni di euro). Infine, neppure le ulteriori censure difensive erano fondate ad avviso del primo giudice. In particolare, nella prospettiva del tribunale, era errata la tesi secondo la quale l'obbligo di detrazione dal capitale di vigilanza avrebbe presupposto l'esistenza di un "nesso teleologico" tra il finanziamento erogato e l'acquisto delle azioni (tesi che i consulenti delle difese ZO. e ZI. ancoravano alla circolare n. 263/2006 della Banca d'Italia). In effetti la ratio della normativa prudenziale - precisava il primo giudice - era quella di tutelare l'effettiva integrità del patrimonio aziendale, sicché non era affatto sostenibile un'interpretazione tale da rimettere alla volontà dei contraenti l'individuazione delie operazioni di finanziamento destinate all'acquisto delle azioni, esponendo a scontate elusioni le regole poste a presidio dell'integrità del patrimonio dì vigilanza. In realtà tutta la normativa di riferimento (a partire dalla circolare di Banca d'Italia n. 155/91 fino al Regolamento UE 575/13 e, ancora, al Regolamento UE 241/14) assegnava rilievo unicamente al dato oggettivo dell'utilizzo del finanziamento per l'acquisto delle azioni. Parimenti oggettivi, del resto, erano i criteri di cui alla circolare n. 263/2006 evocata dalle difese (contenente, sul punto, disposizioni che suggerivano di porre a confronto elementi meramente oggettivi, quali il dato temporale dell'erogazione del finanziamento e quello dell'acquisto delle azioni, nonché i relativi importi, senza assegnare rilievo alcuno alla finalità perseguita dalle parti). Anche l'ulteriore prospettazione difensiva secondo cui la deduzione del valore del finanziamento dal patrimonio di vigilanza non si sarebbe dovuta effettuare con riferimento all'acquisto di azioni sul mercato secondario (in quanto, in tal caso, la banca, avendo finanziato un cliente dotato di merito creditizio, non si sarebbe esposta al rischio di impresa) era destituita di fondamento. Questo non solo per l'assenza di un regime differenziato (tanto nella normativa comunitaria quanto in quella nazionale) con riferimento agli acquisti sul mercato primario, ovvero secondario, ma, soprattutto, per ragioni logiche. Anche in caso di acquisto di azioni proprie sul mercato secondario, infatti, l'omessa decurtazione del valore delle azioni dal patrimonio di vigilanza avrebbe determinato l'effetto distorsivo di annacquamento di tale presidio di garanzia. Senza considerare, poi, che subordinare alla ponderazione del merito creditizio la computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza avrebbe significato, in ultima analisi, rimettere a valutazioni discrezionali l'effettiva entità del patrimonio di vigilanza medesimo. Infine, nella prospettiva del primo giudice, neppure la censura relativa alla mancata specifica considerazione - nel valutare l'esistenza di operazioni correlate - del fattore temporale coglieva nel segno. Questo, solo a considerare il fatto che larghissima parte (circa l'86%) degli acquisti di azioni che, secondo i consulenti del P.M., erano stati finanziati aveva avuto luogo entro novanta giorni dal finanziamento. Conclusivamente, le stime effettuate dai predetti consulenti erano affidabili e semmai peccavano per difetto piuttosto che per eccesso nella quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. 1.6 Il reato di aggiotaggio Il tribunale di Vicenza riteneva provata la commissione di una pluralità di reati di aggiotaggio, posti in essere tra l'anno 2012 e l'anno 2015 e concretizzatisi: - nella sistematica concessione di assistenza finanziaria per l'acquisto e la sottoscrizione di azioni della banca onde determinare l'apparenza di liquidità del titolo; nell'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo delle azioni finanziate; e, infine, nella mancata comunicazione all'esperto incaricato di stimare il sovrapprezzo delle azioni B. dell'esistenza della prassi del capitale finanziato (aggiotaggio manipolativo): - nella diffusione di mendaci informazioni relative all'entità del patrimonio societario, alla solidità patrimoniale della banca, alla crescita della compagine sociale e al buon esito delle operazioni di aumento di capitale (aggiotaggio informativo. In particolare, dopo una accurata ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, il tribunale, quanto all'ipotesi di "aggiotaggio manipolativo", indicava come simulate le sistematiche operazioni di capitale finanziato effettuate, trattandosi di operazioni, per l'appunto, di natura simulata o, comunque, artificiosa. Simulata, più precisamente, doveva ritenersi tale natura con riferimento alle operazioni di finanziamento per importi corrispondenti al valore delle azioni e caratterizzate non già dal rimborso del finanziamento da parte del cliente bensì dall'impegno (orale, ovvero assunto per iscritto) al riacquisto delle azioni stesse da parte della banca, senza costi per il cliente (e talvolta con un rendimento garantito), essendosi in presenza, in tal caso, di un mutamento solo apparente della titolarità delle azioni, in realtà sempre rimaste nella proprietà della banca (con conseguente rischio derivante dalla fluttuazione del valore del titolo non già in capo al cliente, ma all'istituto di credito), donde una radicale estraneità di siffatte operazioni rispetto all'ipotesi ex art. 2358 c.c.. Analogamente simulate erano anche le operazioni di acquisto di azioni proprie effettuate tramite i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", trattandosi - di fatto - di una gestione patrimoniale di risorse interne, attuata al solo fine di svuotare il "fondo acquisto azioni proprie". Artificiosa, con riferimento alle altre operazioni di capitale finanziato, doveva ritenersi la loro natura sia quanto allo scopo (costituito, al solito, dal finanziamento dell'acquisto con risorse della banca) sia quanto alle modalità di gestione del trattamento contabile (in ragione dell'omessa appostazione a riserva del controvalore, dell'omessa decurtazione del patrimonio di vigilanza ed anche dell'occultamento al mercato), il tutto al fine di fare apparire tali acquisti come espressione della dinamica fisiologica di un attivo mercato secondario. Peraltro - precisava il tribunale - era emersa la mancata comunicazione al prof. Bi. (ovverosia all'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie, con l'effetto che detta stima (come, del resto, precisato dallo stesso Bi.) ne era risultata pesantemente condizionata (cfr. pagg. 419-422 della sentenza). Quanto, poi, agli addebiti di "aggiotaggio informativo" costituiti dalla diffusione di notizie false, si trattava - secondo la valutazione del primo giudice, pienamente adesiva, anche sul punto, rispetto all'impostazione d'accusa - di informazioni comunicate con una pluralità di mezzi che, per diffusività e platea dei destinatari di riferimento, erano obiettivamente risultate idonee a raggiungere praticamente tutte le tipologie di operatori. Più nel dettaglio, la falsità era risultata effettivamente attinente: - ai bilanci d'esercizio al 31.12.2012, al 31.12.2013 ed al 31.12.2014, stante la mancata iscrizione di una quota di riserva pari al valore delle azioni proprie; -ai comunicati stampa (taluni dei quali - quelli emessi ex art. 114 TUF - valevoli anche come comunicazioni al pubblico) dell'8.8.2012 diffuso ex art. 114 D.L.vo 58/98 (ove si evidenziavano, in particolare, valori falsati quanto alla solidità patrimoniale del gruppo e al miglioramento della liquidità strutturale, il tutto in un contesto nel quale si rimarcavano l'espansione della rete di vendita, l'incremento della clientela e l'aumento della compagine sociale); del 19.3.2013 (nel quale, comunicandosi i risultati del bilancio di esercizio e consolidato al 31.12.2012, si evidenziavano "Il rafforzamento della posizione di liquidità" e "l'ulteriore incremento della solidità patrimoniale" e si riportava l'entusiastico messaggio del presidente ZO.); del 27.4.2013 (di comunicazione del risultato del bilancio al 31.12.2012, nel quale si sottolineava la stabilità del valore dell'azione a 62,50 euro sulla base di un'approfondita perizia formulata da un autorevole consulente esterno", si riportava l'apprezzamento dell'assemblea per i risultati positivi conseguiti dalla banca e, ancora, si citava il giudizio lusinghiero del presidente ZO.); del 27.8.2013 (significativamente dedicato alla comunicazione del "miglioramento della gestione operativa" e del significativo rafforzamento patrimoniale", per effetto della positiva conclusione dell'operazione di raccolta di ingenti risorse, in ragione di un consistente aumento di capitale e di una altrettanto consistente raccolta di ben 253 milioni di prestito convertibile, comunicandosi che l'istituto poteva vantare un Core Tier al 30 giugno pari al 9%; anche in tal caso la comunicazione riportava il consueto messaggio positivo dei presidente ZO.); deH'8.8.2014, effettuato ai sensi dell'art. 114 D.L.vo 58/98 (con il quale si comunicavano i risultati dell'aumento di capitale 2014, conclusosi con "pieno successo", e si riferiva il giudizio del presidente ZO. in ordine al fatto che l'istituto potesse vantare "coefficienti patrimoniali particolarmente elevati"); del 29,8,2014 (nel quale si illustravano ì risultati della semestrale del 2014, ribadendosi il successo dell'aumento di capitale di tale anno, segnalandosi l'accrescimento della base sociale e della clientela e l'incremento "significativo" dei proventi derivanti dall'attività bancaria tradizionale e, complessivamente, si enfatizzavano gli elementi di crescita); del 26.10.2014 (nel quale si comunicava il positivo superamento del Comprehensive Assessment si evidenziavano, altresì, gli effetti positivi delle iniziative di patrimonializzazione esperite nel 2013 e nel 2014 e, infine, si informavano i destinatari che tali iniziative avevano portato l'istituto di credito a poter vantare una *eccedenza di CET1 pari a circa 30 milioni di euro"); del 10.2.2015 (avente ad oggetto i risultati preliminari del bilancio al 31.12.2014, nel quale si evidenziava la politica particolarmente prudenziale adottata dal CdA su indicazione della BCE, con aumento degli accantonamenti su crediti e rettifica degli avviamenti; si precisava che il risultato negativo era conseguente proprio all'adozione di una politica improntata a misura e all'origine, secondo il presidente ZO., di scelte al contempo *coraggiose e prudenziali"; si ribadiva il successo delle iniziative di rafforzamento patrimoniale; si sottolineava, infine, la crescita dei proventi derivanti dall'attività tradizionale in favore di una clientela ulteriormente aumentata); del 3.3.2015 (avente ad oggetto i risultati definitivi al 31.12.2014, nel quale, pur dandosi atto dei rilievi della BCE in ordine alla possibile riduzione del requisito minimo di CET 1, si rassicuravano gli interlocutori con la precisazione che i requisiti minimi erano stati ripristinati e, anzi, superati "già prima della citata riduzione del requisito di Cet1 Ratio"); - alle comunicazioni ai soci (tutte confezionate sulla base di un apposito format e sottoscritte dal presidente ZO.) in data 30.3.2012, 3.9.2012, 19.3.2013, 10.9.2013, 2.4.2014, 9.9.2014, 4.12.2014 e 19.3.2015, tutte costantemente caratterizzate da informazioni rassicuranti in punto di patrimonializzazione dell'istituto, di sicurezza dell'investimento azionario, di enfatizzazione della stabilità del titolo e nelle quali, inoltre, si minimizzava il profilo dell'allungamento dei tempi di vendita dell'azione. Ebbene, tutte le citate condotte manipolative e informative avevano avuto l'effetto di alterare sensibilmente il prezzo delle azioni B.. Se ciò, in effetti, era di immediata percezione per le condotte manipolative (l'investitore essendo stato evidentemente influenzato dalla vivacità degli scambi del titolo sul mercato secondario e dalle valutazioni conseguentemente alterate del valore del titolo medesimo siccome assegnato dall'esperto prof. Bi., la stima del quale aveva prodotto effetti anche sul mercato primario, sollecitato artificiosamente), altrettanto doveva dirsi per quanto riguardava le condotte di alterazione informativa. Questo, in ragione della marcata influenza della comunicazione di dati falsati inerenti a profili di assoluto rilievo nell'economia della scelta di un soggetto interessato all'investimento azionario, in particolare con riferimento ai dati inerenti alla patrimonializzazione dell'emittente (prospettata come particolarmente solida) e alla liquidità del titolo (presentato come appetibile, tanto sul mercato primario quanto su quello secondario). Di qui la conclusione, alla quale coerentemente perveniva il tribunale, in ordine all'efficacia decettiva delle comunicazioni effettuate, nelle occasioni sopra indicate, dall'istituto dì credito. Del resto gli effetti concreti prodotti da tali comportamenti manipolativi e di falsa informazione erano agevolmente riscontrabili - proseguiva il tribunale -analizzando le vicende societarie dell'epoca: - da un lato, infatti, gli investitori avevano perseverato nel riporre fiducia nell'istituto di credito, continuando a investire, ovvero astenendosi dal disinvestimento; - dall'altro, gli aumenti di capitale confluiti senza assistenza finanziaria erano stati comunque consistenti (nell'aucap 2013, su un totale di 506 milioni, 363 milioni erano confluiti senza finanziamenti; nel mini aucap 2013, su 100 milioni, 44 erano confluiti senza assistenza finanziaria; nell'aucap 2014 il rapporto era stato di 471,8 milioni confluiti senza assistenza su un totale di 607,8 milioni; nel mini aucap 2014, infine, il rapporto era stato di 60 milioni su 102 milioni). Inoltre la movimentazione sul mercato secondario, depurata dalle azioni finanziate, sì era attestata sul significativo valore di 900 milioni di euro. Tutto ciò aveva consentito di mantenere il valore del titolo artificiosamente alto. In effetti, a fronte dei valori stimati dal prof. Bi., erano emersi - all'esito di una rinnovata valutazione, posta in essere con criteri prudenziali - valori decisamente inferiori. In particolare: - nel 2012 l'azione era stata sovrastimata di un valore tra 6,73 euro e 6,19 euro rispetto al valore reale, da ridursi, rispettivamente, di una percentuale tra il 10,8% e il 9%; - al 31.12.2013 la sovrastima era stata ricompresa tra 8,10 e 7,20 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 13% alni,9%; - al 31.12.2014 la sovrastima era stata ricompresa tra 6,32 e 5,30 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 18,9% al 16,9%. Inoltre le condotte di aggiotaggio informativo avevano contribuito a rafforzare l'affidamento sulla stabilità patrimoniale dell'istituto di credito. Infatti i dati rettificati avevano evidenziato, anche nell'ipotesi più favorevole, un CET 1 ratio al 31.3.2014 del 6,63% e, al 30.6.2014, del 6,24% (valori, entrambi, al di sotto della soglia regolamentare del 7%); un Tier 1 Ratio dal 6,32% al 7,345% per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013, inferiore, pertanto, rispetto alla soglia-target comunicata alla Banca d'Italia pari all'8%; un Total Capital Ratio al 31.3.2014 dell'8,51%, al 30,6,2014 del 7,94%, al 30.9.2014 del 9,57%, al 31.12.2014 dell'8,47%, al 31.3.2015 dell'8,51% (ovverosia sempre inferiore rispetto alla soglia regolamentare dei 10,5%), Analogamente, le condotte di aggiotaggio manipolativo avevano contribuito ad accreditare l'immagine della banca come credibile e sostenuta del mercato, secondo quanto puntualmente evidenziato dai consulenti del P.M.. Con riferimento, poi, al profilo del concorso dei reati, il tribunale precisava come l'art. 2637 c.c prevedesse tre diverse modalità di esplicazione della condotta delittuosa, all'origine, rispettivamente, delle ipotesi di aggiotaggio informativo e aggiotaggio manipolativo o operativo. Di qui la natura della disposizione in esame quale disposizione contenente "norme penali miste cumulative", ovverosia inerenti a condotte non equipollenti o alternative, bensì costituenti differenti elementi materiali di altrettanti reati, con la conseguenza, nel caso di realizzazione di tali diverse condotte, della sussistenza di una pluralità di reati. Questo con la doverosa precisazione che, mentre tra aggiotaggio manipolativo e informativo era ravvisabile unicamente il concorso materiale di reati, nel caso di pluralità di condotte omogenee, per concludere nel senso dell'unicità ovvero della pluralità di reati, sarebbe stato necessario verificarne l'appartenenza o meno ad un'unica manovra manipolativa, ovvero informativa. E, a tale fine, il tribunale precisava come il momento consumativo del reato dovesse individuarsi nel tempo e nel luogo in cui si fossero verificate la sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario e la destabilizzazione del sistema bancario. In applicazione di tali criteri il primo giudice concludeva nel senso della ravvisabilità di ben 16 reati, posti in essere nel periodo tra il 2012 ed il 2015 e, segnatamente: -di 4 reati di aggiotaggio finanziario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio finanziario operativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario operativo (2012, 2013, 2014, 2015) traendone, peraltro, la conseguenza che le condotte poste in essere sino al 27.4.2013 (data di approvazione del bilancio 2012) dovessero ritenersi prescritte. Infine, quanto alle posizioni soggettive degli imputati - successivamente oggetto di separata, dettagliata analisi - il tribunale precisava che dovevano ritenersi responsabili dei reati di aggiotaggio: - Zo.Gi., per avere egli sostenuto e condiviso l'operatività del capitale finanziato; per avere sottoscritto personalmente i comunicati ai soci rappresentativi dì uno stato patrimoniale, finanziario ed economico, totalmente contrario a quello effettivo; nonché per avere approvato, in qualità di presidente del CdA, il bilancio privo dell'appostazione delle riserve previste per legge, oltre ai comunicati che contenevano le mendaci informazioni della situazione della banca e degli esiti degli aucap, in tal guisa rafforzando con le proprie dichiarazioni, l'apparenza di solidità dell'istituto di credito; - Gi.Em., Ma.Pa. e Pi.An., in ragione del totale coinvolgimento dei predetti nell'operatività dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie, e ciò nella piena, effettiva consapevolezza (stanti le modalità di occultamento) della finalizzazione di tale operatività ad alterare gli equilibri del mercato, ad annacquare il capitale e, infine, ad ingannare il pubblico. 1.7 I reati di ostacolo alla vigilanza Dopo avere effettuato una ricostruzione degli esiti delle attività di vigilanza della Banca d'Italia poste in essere, nei confronti dell'istituto di credito, nel periodo 2007-2012 - esiti che avevano evidenziato delle criticità, poi parzialmente superate dall'istituto - il tribunale collocava le condotte di ostacolo alla vigilanza ravvisabili nella vicenda sub iudice nel periodo che aveva avuto inizio con le ispezioni poste in essere a decorrere dal 2012. Al riguardo il primo giudice premetteva come la fattispecie di reato in esame consistesse, per un verso, nell'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero nonché nell'occultamento, con mezzi fraudolenti, di fatti che avrebbero dovuto essere comunicati all'autorità di vigilanza (2638 co. 1 c.c.); e, per altro verso, nella frapposizione di ostacoli alla vigilanza, posti in essere in qualsiasi forma, anche omissiva (2638, co. 2 c.c.). Segnatamente, la fattispecie di cui al primo comma della disposizione in esame prevedeva un reato di mera condotta, integrato, in via alternativa, da taluni specifici comportamenti; il secondo comma, invece, delineava un reato a forma libera, di danno (consistente nell'evento naturalistico dell'ostacolo). Ciò posto, nell'ipotesi di condotta di omessa comunicazione con mezzi fraudolenti che avesse creato ostacoli rilevanti all'autorità di vigilanza, il tribunale riteneva sussistente unicamente l'ipotesi di reato ex art. 2638, co. 2, c.c., dovendo farsi applicazione, in tal caso, dei principi di sussidiarietà e consunzione (valorizzati anche dalla Corte EDU e riconosciuti nell'art. 4 protocollo 7 CEDU e nell'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea), posto che emergeva con evidenza come l'evento di ostacolo previsto dalla fattispecie di cui all'art. 2638 co. 2 c.p. esaurisse l'intero disvalore della condotta. Nel pervenire a siffatta conclusione, peraltro, il tribunale si discostava motivatamente dalla ricostruzione effettuata, in fattispecie analoga, dalla giurisprudenza di legittimità, là dove la corte regolatrice (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, n. 42778 del 26/05/2017, Consoli e altro) aveva invece ravvisato, tra le due fattispecie in esame, un rapporto riconducibile al concorso formale. Tanto premesso, il primo giudice precisava come la contestazione sub B1 avesse ad oggetto la vigilanza ispettiva a differenza delle condotte stigmatizzate ai successivi capi C1, D1, E1, F1, G1 ed H1, dal primo giudice indicate come inerenti alla vigilanza informativa. Ebbene, nel caso dell'addebito sub B1 si era in presenza sia di attività di occultamento, con mezzi fraudolenti, delle operazioni di capitale finanziato e delle lettere di impegno al riacquisto, al fine di ostacolare l'autorità di vigilanza (attraverso, segnatamente, l'indicazione di una causale generica, la mancata contabilizzazione delle operazioni finanziate e il materiale occultamento delle lettere), sia dell'omessa comunicazione delle suddette operazioni alla squadra ispettiva. Diversamente - proseguiva il tribunale - gli addebiti di cui ai capi C1, D1, G1, H1 avevano ad oggetto l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in relazione alle segnalazioni ed alle interlocuzioni con le autorità di vigilanza (Banca d'Italia e BCE) intercorse negli anni 2012, 2013, 2014, 2015 e, quanto all'addebito di cui al capo F1, l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in occasione dell'aumento di capitale del 2014. Ciò posto, il tribunale: - esclusa, con riferimento alle condotte predette, la ravvisabilità dell'esimente fondata sul principio del nemo tenetur se detegere in relazione al precedente delitto di aggiotaggio (trattandosi di principio unicamente disciplinato nell'art. 384 c.p., ovverosia in una disposizione contenente una norma eccezionale derogatoria rispetto a quella di cui all'art. 61 nr. 2 c.p. e, in ogni caso, di esimente avente valore eminentemente processuale); s escluso, del pari, che quelli oggetto di contestazione fossero addebiti frutto di u una sorta di "replicazione" di contestazioni in realtà aventi ad oggetto una unitaria condotta di ostacolo alla vigilanza, protrattasi per un triennio (essendosi piuttosto in presenza di condotte che erano state realizzate nel corso di plurime attività di vigilanza, ciascuna compiutamente esauritasi), ricostruiva i singoli fatti di reato nei termini di seguito esposti. 1.7.1 L'ostacolo alla vigilanza durante l'ispezione di Banca d'Italia 2012 (capo B1) Nel corso dell'anno 2012 (segnatamente tra il 28 maggio e il 12 ottobre 2012) era stata effettuata una attività di ispezione avente ad oggetto la governance dell'istituto, gli standard creditizi, i meccanismi di sorveglianza e di controllo delle singole posizioni, la correttezza dei criteri di classificazione all'interno delle regole di vigilanza e l'osservanza delle regole di provisioning (attività, questa, di correzione del valore dei crediti con impatto sul conto economico della banca e sul bilancio), ispezione che si era conclusa con un giudizio parzialmente sfavorevole fondato sulla constatazione di un complessivo degrado del portafoglio accompagnato da inefficienze nei processi allocativi e di gestione dell'erogato. Ebbene, alla stregua delle testimonianze degli ispettori (e, segnatamente, di quanto riferito dal teste Gi.Sc., responsabile della squadra ispettiva), poteva dirsi pacifico che ove agli ispettori fossero state esibite le lettere di impegno al riacquisto e fosse stata comunicata l'esistenza del capitale finanziato - come sarebbe stato doveroso, peraltro, nell'ottica di una leale collaborazione tra vigilato e autorità vigilante - sarebbe effettivamente emersa l'irrealizzabilità del piano industriale approntato dall'istituto per migliorare la gestione del credito. La prassi del ricorso al capitale finanziato (e, nell'ambito di tale prassi, quella del rilascio delle lettere di impegno), infatti, era già consolidata nel 2012, come pure documentalmente provato. Né, d'altro canto, poteva sostenersi che tale fenomeno fosse comunque emerso nel corso dell'ispezione, in quanto le dichiarazioni rese, sul punto, dal teste Cl.Am. della Divisione Crediti - là dove questi aveva sostenuto di avere riferito in proposito all'ispettore Ge.Sa. - erano - state decisamente smentite tanto dal predetto Sa. quanto dai restanti componenti della squadra ispettiva. Peraltro - puntualizzava il tribunale - la versione dell'Am., finalizzata a ridimensionare il coinvolgimento della Divisione Crediti nell'operatività illecita della banca sul capitale finanziato, scontava plurimi profili di incertezza e contraddittorietà (segnatamente in relazione al ricorso alla formula generica "cogliere opportunità mobiliari o immobiliari" quale causale dei finanziamenti, nonché in ordine alle motivazioni per le quali il predetto Am. non avrebbe comunicato al collega Bo., responsabile dell'audit, le rivelazioni asseritamente fatte all'ispettore Sa.), Era certamente vero che anche la deposizione del Sa. si presentava scandita da contestazioni e da incertezze circa la corretta individuazione dei documenti esibiti, nel corso dell'ispezione, con riferimento alle posizioni finanziate. Nondimeno, mentre le dichiarazioni dell'Ambrosino in ordine alla presunta rivelazione agli ispettori delle operazioni finanziate non avevano trovato riscontro alcuno, neppure nelle dichiarazioni del collega De. (il quale aveva riferito che l'Am. gli aveva confidato di avere consegnato agli ispettori medesimi documenti che avrebbero potuto loro consentire di verificare l'esistenza di operazioni "baciate", negando, tuttavia, detto teste che l'Am. gli avesse rivelato di avere esplicitamente palesato tale prassi agli ispettori), le stesse erano anzi state smentite dai testi Lu.Br., Fr.Fe. e Sa. Re., dei quali i primi due erano appartenenti alla squadra ispettiva; quanto riferito dal Sa. era stato del resto confermato dalla narrazione dei fatti proposta tanto dal responsabile delia squadra ispettiva, Gi.Sc., quanto dagli altri componenti del team oltre che dal responsabile del servizio di vigilanza ispettiva, Ca.Ba.. Pertanto il tribunale, valorizzando altresì la puntuale deposizione del teste ispettore Gi.Ma., traeva la conclusione che la prassi del capitale finanziato non fosse stata "intercettata" nel corso dell'ispezione del 2012 poiché si era trattato di fenomeno che aveva essenzialmente interessato clienti affidabili sotto il profilo del rischio creditizio, rispetto ai quali, quindi, non emergeva alcuna anomalia (sicché, tenuto conto del perimetro del mandato ricevuto dagli ispettori, non v'era stata ragione di effettuare, con riferimento a costoro, alcun approfondimento ispettivo). Del resto, sul piano logico, la circostanza che nessun dirigente dell'istituto di credito (né il menzionato Cl.Am., né l'imputato Pa.Ma. e neppure l'imputato Em.Gi.) avesse fatto cenno alcuno, in occasione delle successive verifiche ispettive (compresa quella, decisiva, effettuata dalla BCE nel 2015), al fenomeno in esame, nonché il fatto che tutti i predetti dirigenti avessero pervicacemente negato, interloquendo con l'ispettore Ma., la natura finanziata delle operazioni in questione, costituivano formidabili riscontri dell'infondatezza delle dichiarazioni rese dal predetto teste Am.; infondatezza, del resto - soggiungeva il tribunale - ulteriormente avvalorata dal rinvenimento, negli appunti contenuti nell'agenda sequestrata al teste Al.Ba., dell'inequivoca ed assai significativa annotazione, redatta in prossimità del 23.4.2015: "evitare di fare ammissioni. Giustificare creditiziamente le operazioni". Di qui la conclusione della sussistenza dei presupposti tutti del reato di ostacolo contestato, essendosi in presenza, per un verso, del fraudolento occultamento dell'illecita operatività realizzata nel contesto temporale in cui si era svolta l'ispezione del 2012; e, per altro verso, della sistematica omissione della comunicazione agli ispettori tanto delle operazioni di finanziamento correlato quanto delle lettere di impegno al riacquisto delle azioni. 1.7.2 Le condotte di ostacolo successive all'ispezione del 2012 Quindi il tribunale evidenziava come, con riferimento ai periodo successivo all'ispezione del 2012 (e, segnatamente, all'arco temporale ricompreso tra il 30.6,2012 ed il 31.3.2015), fosse stato effettivamente possibile ricostruire documentalmente il dipanarsi del dialogo tra l'istituto bancario vicentino e l'autorità di vigilanza attraverso l'acquisizione dei flussi informativi inviati da B.. A tale riguardo era costantemente emerso l'occultamento della reale situazione patrimoniale del gruppo, in particolare con riferimento all'incidenza del fenomeno del capitale finanziato sui coefficienti del patrimonio di vigilanza in tale ampio periodo. Sul punto le conclusioni cui erano pervenuti i consulenti del P.M. - peraltro, precisava il primo giudice, all'esito di una valutazione particolarmente prudente (in quanto caratterizzata dallo scomputo dal CET 1 anche dell'ammontare degli RWA) - non consentivano davvero di nutrire perplessità. Si era in presenza, in effetti, di violazioni costanti dei requisiti patrimoniali, peraltro mai comunicate nelle informazioni rese all'autorità di vigilanza (comunicazioni, tutte, puntualmente riportate nella tabella riassuntiva di cui al documento nr. 485 prodotto dal P.M. all'udienza del 21.11.2019). Più nel dettaglio: - con riferimento all'anno 2012 (capo CI) si trattava della comunicazione del 17.9,2012, riferita al 30.6.2012, e di quella del 21.11.2012, riferita al 30.9.2012, nelle quali venivano indicati, rispettivamente, valori delle azioni proprie nella misura di 30 milioni e di 240 milioni. In entrambi i casi, infatti, era stata omessa la comunicazione delle operazioni di capitale finanziato per i significativi valori di 268 milioni a giugno e di 280 milioni a fine settembre. L'effetto distorsivo che ne era derivato era evidente, posto che il Tier Ratio, tenuto conto dei valori non comunicati, si sarebbe abbassato al 30 giugno dall'8,20% ai 7,34% nonché, al 30 settembre, dal 7,38% al 6,48%. Analogamente il TCR (Total Capital Ratio) si sarebbe ridotto dall'I 1,33% al 10,50% e dal 10,46% al 9,59%. La falsa comunicazione, poi, era stata all'origine del target patrimoniale deciso dalla Banca d'Italia, come precisato dal teste Ma.Pa.. In effetti, qualora i dati omessi fossero stati comunicati, ciò avrebbe comportato un immediato innalzamento del livello di monitoraggio e l'adozione di provvedimenti restrittivi concernenti operatività dell'istituto, distribuzione degli utili e fissazione di limiti all'importo totale della parte variabile delle remunerazioni della banca. Di assoluta evidenza, quindi, era l'ostacolo frapposto alla vigilanza; con riferimento al primo semestre dell'anno 2013 (capo DI) si trattava: - della falsa rappresentazione dei dati patrimoniali contenuta nelle segnalazioni relative al 31.12.2012 ed al 31.3.2013 (in effetti, con riferimento alia segnalazione relativa al 31.12.2012, la comunicazione del capitale finanziato per 545 milioni, ove effettuata, avrebbe comportato la flessione del Tier 1 Ratio dall'8,23% al 6,46% e del Total Capital Ratio dall'll,26% al 9,55%; nella comunicazione del 31.3.2013, poi, non erano state segnalate azioni proprie); - della falsità della comunicazione inoltrata il 20.3.2013 e relativa al superamento del limite del 5% degli acquisti (comunicazione con la quale, nel rispondere al rilievo critico della Banca d'Italia risalente al 5.3.2013, l'istituto di credito aveva rassicurato la vigilanza sostenendo che l'incremento del valore del fondo acquisto azioni proprie fosse imputabile a una mera contingenza, legata alla gestione delle attività dì compravendita delle azioni proprie con i soci e sostenendo, in particolare, che vi era stata una vendita di azioni da parte di pochi clienti con successivo ricollocamento dei titoli presso clienti soci). Inoltre l'istituto aveva inserito un ulteriore elemento di rassicurazione, là dove aveva dichiarato che era in corso la valutazione di un rafforzamento patrimoniale il quale avrebbe portato il Core Tier 1 al 9% già entro la fine del 2013; aveva prospettato, infine, il raggiungimento del 10% nel biennio successivo. Ne era seguita la lettera di richiamo del 24.6.2013, lettera nella quale era stato stigmatizzato il superamento, a causa dell'acquisto di azioni proprie, del limite del 5% del capitale sociale. A seguito dell'ispezione del 2015, poi, era emersa la falsità delle circostanze esposte nella missiva a firma Sa.So. del 20.3.2013 e, segnatamente, si era compreso come l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie non fosse stato affatto la conseguenza contingente di un'impennata nelle richieste di acquisto di azioni concentrate nel quarto trimestre, bensì l'effetto dell'illiquidità del titolo azionario; illiquidità che, infatti, proprio a partire dal 2012, aveva indotto l'istituto di credito a fare massiccio ricorso alle operazioni di capitale finanziato onde azzerare il fondo acquisto azioni proprie che impattava negativamente sul capitale di vigilanza; - della falsità, infine, dell'informativa preventiva del 23 aprile 2013 relativa al programmato aumento di capitale (informativa, a firma Sa.So., nella quale erano stati illustrati gli effetti del rafforzamento patrimoniale, segnalandosi che dopo tale operazione il Tier Ratio 1 sarebbe passato dall'8,23% al 9,1% e, quindi, al 9,98%, a seguito della conversione del soft mandatory). Peraltro neppure a seguito delle successive interlocuzioni dì Banca d'Italia, inerenti anche al profilo della liquidabilità del titolo, erano stati effettuati riferimenti, da parte dei rappresentanti di B., al fenomeno del capitale correlato. Infatti sì era sempre sostenuto, da parte dell'istituto di credito, che l'operazione di aumento di capitale si sarebbe presto conclusa con pieno successo. Sul punto - precisava il tribunale - il teste Ma.Pa. aveva chiarito che se la prassi delle operazioni di capitale finanziato fosse stata riferita, come doveroso, la Banca d'Italia sarebbe certamente intervenuta esercitando i poteri di controllo derivanti dalla legge. In particolare l'ente di vigilanza avrebbe imposto sia lo scomputo dell'ammontare del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza sia l'adozione di misure di risanamento. Invece, tacendo queste informazioni, l'istituto di credito aveva lucrato effetti favorevoli immediati: la Banca d'Italia aveva deciso di non avviare un procedimento sanzionatorio e neppure aveva adottato interventi che avrebbero precluso la distribuzione dei dividendi ed imposto il decremento della parte variabile della remunerazione dei dirigenti come previsto dalla normativa della stessa Banca d'Italia. La stessa operazione di aumento di capitale, poi, sarebbe stata valutata diversamente; ° con riferimento al secondo semestre dell'anno 2013 (capo E1) si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza relative al 30.6.2013, al 30.9.2013 e al 31.12.2013 (nelle quali mai era stato ricompreso l'ammontare delle operazioni di capitale finanziato per gli importi calcolati dai consulenti tecnici nella misura di 555 milioni a fine giugno, di 626 milioni a fine settembre e di 700 milioni a fine dicembre del 2013). Conseguentemente, senza l'effetto distorsivo prodotto dall'omessa rappresentazione della corretta quantificazione dei coefficienti patrimoniali, il T1 Ratio sarebbe passato a fine giugno dall'8,1% al 6,32%; al 30.9.2013 dall'8,50% al 6,50%; al 31.12.2013 dal 9,1% al 6,89%. Analogamente il TCR si sarebbe ridotto dall'I 1,06% al 9,32% al 30 giugno; dall'11,41% al 9,48% nel settembre; dall'11,8% al 9,55% al 31 dicembre. In definitiva in tutto il periodo in esame il Tier 1 Ratio sarebbe stato ben inferiore alla soglia-target dell'8%, siccome fissata dall'autorità di vigilanza; con riferimento all'aumento di capitale 2014 (capo F1) si trattava: - dell'informativa preventiva del 5.3.2014 e dell'informativa integrativa dell'11.4.2014. In entrambi i casi era stata omessa l'indicazione che l'operazione di aumento di capitale sarebbe stata portata a termine anche mediante la concessione di forme di assistenza finanziaria ai clienti, con conseguente indicazione di ratios patrimoniali post-aucap del tutto falsati. Quanto al c.d. miniaucap (ovverosia ad un aumento di capitale destinato a nuovi soci), previsto anche nel 2014, si era precisato che le quote di capitale finanziato non sarebbero state computate nel patrimonio di vigilanza. Vi era stato anche, in data 9.4.2014, un incontro tra i vertici dell'istituto di credito e la vigilanza. All'esito delle interlocuzioni la Banca d'Italia aveva autorizzato la classificazione patrimoniale richiesta. Solo a seguito dell'ispezione BCE e CONSOB del 2015, infatti, era emerso come l'operazione di aumento di capitale fosse stata pianificata con erogazione di finanziamenti correlati, per un importo accertato di euro 136.314.287 (pari al 22% dell'operazione). I dati dell'aumento di capitale erano stati, pertanto, gravemente falsati. Di qui la conclusione che il provvedimento autorizzativo della Banca d'Italia fosse stato ottenuto a seguito dello sviamento della funzione di vigilanza. Il teste Ma.Pa., del resto, aveva anche in tal caso precisato come, se la Banca d'Italia avesse avuto contezza dei dati occultati, non avrebbe di certo autorizzato l'operazione nei termini in cui ciò era avvenuto. Per contro, sarebbe palesemente emersa la grave difficoltà della banca di collocare i propri titoli sul mercato; - con riferimento alla vigilanza prudenziale della banca d'Italia nel 2014 (capo G1), si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza alla data del 31.3.2014, del 30.6.2014, del 30.9.2014 (per l'omessa indicazione tra gli elementi negativi delle quote di capitale finanziato, pari a 728 milioni alla data del 31 marzo, a 718 milioni alla data del 30 giugno e a 886 milioni alla data del 30 settembre. Conseguentemente il CET 1 ratio era passato, a fine marzo, dall'8,99% al 6,63%; a fine giugno dall'8,55% al 6,24%; a fine settembre dal 10,8% all'8,01%); - della falsità della comunicazione 1.9.2014 nella parte in cui si era attestato il raggiungimento degli obiettivi di raccolta aucap 2014 per l'importo di 607,8 milioni e, di conseguenza, il livello dei fondi propri e dei ratios patrimoniali. In particolare la comunicazione dell'istituto di credito di avere già riassorbito, attraverso la chiusura dell'aumento di capitale, il temporaneo mancato rispetto del "buffer" - ovverosia della riserva obbligatoria di conservazione del capitale pari al 2,5% - aveva indotto l'autorità di vigilanza a non assumere iniziative in ordine a tale violazione (dovuta ai riacquisti di azioni proprie che, dì fatto, avevano neutralizzato, per il valore corrispondente, l'aumento di capitale, come precisato dal teste En.Se.) perché, per l'appunto, immediatamente "riassorbita"; - nonché della falsità della comunicazione 4.11.2014, relativa alle giustificazioni fornite all'organo di vigilanza in relazione al fenomeno di riacquisto delle azioni proprie (per l'ammontare di 194 milioni nel primo semestre del 2014) nonché in relazione ai 52,4 milioni di euro di azioni detenuti indirettamente attraverso i fondi lussemburghesi "(...)" e, "(...)". In particolare la banca, da un lato, aveva ribadito che sì era trattato di riacquisti imposti dalla necessità di evadere (e domande di investimento dei clienti nella consapevolezza che il disavanzo sarebbe stato coperto dall'aumento di capitale in corso; aumento di capitale che, peraltro, aveva portato ad un incremento proprio del CET Ratio di circa 141 bps (punti base). Dall'altro lato la banca aveva confermato la correttezza dei dati contenuti nelle segnalazioni di vigilanza sulle operazioni svolte attraverso i fondi esteri. Diversamente, ove la Banca d'Italia avesse avuto contezza di quanto occultatole (e cioè, complessivamente, delle operazioni di capitale finanziato e dell'impegno al riacquisto delle azioni), avrebbe preso atto di una situazione patrimoniale radicalmente differente. La falsità della comunicazione, quindi, aveva prodotto l'effetto di impedire interventi dì vigilanza coerenti con l'effettiva situazione patrimoniale dell'istituto di credito. 1.7.3 Le condotte di ostacolo alfa vigilanza BCE (capo H1) Al riguardo il tribunale, premesso che a seguito dell'entrata in vigore, in data 4.11.2014, del Sistema di Vigilanza Unico, talune competenze primarie in materia di vigilanza erano state trasferite alla BCE, con conseguente ricomprensione anche della predetta Banca Centrale tra i soggetti destinatari della tutela ex art. 2638 c.c., individuava, alla stregua dell'imputazione, le condotte di ostacolo rispettivamente: - nella segnalazione di vigilanza al 31.12.2014 (in ragione della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dall'11,73% all'8,04%) e nella segnalazione di vigilanza al 31.3.2015 (in ragione, anche in tal caso, della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dal 10,67% al 7,49%). Tali condotte decettive, in entrambi i casi, avevano impedito alla vigilanza l'adozione di tempestivi provvedimenti; - nonché nella informativa al pubblico al 31.12.2014; 1.7.4 Le condotte di ostacolo relative al Comprehensive Assessment (capo M1) Con riferimento alle condotte di ostacolo poste in essere in danno di Banca d'Italia e BCE impegnate nella vigilanza in fase di valutazione approfondita (Comprehensive Assessment), svoltasi nel periodo tra il febbraio e l'agosto del 2014, il tribunale riteneva provate condotte di ostacolo tradottesi tanto nell'omessa comunicazione di informazioni essenziali (inerenti al fenomeno dell'assistenza finanziaria e al rilascio della lettere di impegno al riacquisto) quanto nell'esposizione di fatti non veritieri sulla situazione patrimoniale del gruppo come descritta nella nota 20,6.2014 e nel capital pian inviato in data 10.11.2014. In particolare nel corso della Asset Quality Review - AQR (ovverosia della Revisione della Qualità degli Attivi di bilancio), dopo che erano stati formulati rilievi molto critici per la banca da parte delle autorità di vigilanza (con l'ispettore Vi.Ca. che aveva esposto forti perplessità in ordine alla patrimonializzazione dell'istituto di credito, evidenziando come il progettato aumento di capitale sarebbe sostanzialmente servito solo a colmare il deficit; e aveva anche avanzato seri dubbi sulla stessa concreta possibilità di portare a compimento l'operazione di aumento di capitale), i vertici dell'istituto avevano rassicurato la vigilanza stessa sotto tutti i profili. Nel corso dell'ispezione, tuttavia, non era emerso in alcun modo il fenomeno del capitale finanziato né era venuta alla luce l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto; elementi che, se conosciuti, avrebbero portato ad esiti del Comprehensive Assessment ben diversi. Anche il Preliminary Capital Plan - predisposto dall'istituto di credito su richiesta della Banca d'Italia in data 9.6.2014, in previsione dell'entrata in vigore del meccanismo unico di vigilanza, e inviato all'autorità di vigilanza il 20.6.2014 - era stato caratterizzato dalla prospettazione di un obiettivo di patrimonializzazione rassicurante (euro 608 milioni per effetto dell'aumento di capitale); prospettazione, tuttavia, radicalmente falsata dalla mancata precisazione che anche tale risultato era dovuto al massiccio ricorso al capitale finanziato. Quindi, con il Capital Pian elaborato il 10.11.2014 (e, pertanto, successivamente agli esiti del Comprehensive Assessment che, pubblicati il 26.10.2014, avevano evidenziato la necessità dell'adozione di misure di implementazione del capitale, posto che gli Stress Test avevano rivelato un deficit da scenario avverso di 223 milioni), l'istituto di credito vicentino aveva adottato delle contromisure (segnatamente: l'utilizzo dell'aumento di capitale già collocato e la conversione del soft mandatory per 223 milioni) che avevano portato la BCE ad adottare una decisione SREP (ovverosia una decisione inerente al processo di revisione e valutazione prudenziale, consistente nell'analisi dei profili di rischio delle banche) con la quale veniva fissato un requisito minimo di CET1 ratio pari ad almeno il 10,25% ed erano stati richiesti l'adozione di un piano di capitale, da realizzarsi entro l'aprile del 2016, nonché il rafforzamento delle strutture organizzative dei processi e delle strategie di controllo interno. Al solito, la mancata comunicazione delle essenziali informazioni in ordine al massiccio ricorso al capitale finanziato, anche in occasione dell'aumento di capitale, aveva avuto lo scopo - effettivamente raggiunto - di procrastinare l'emersione delle situazioni di illiquidità del titolo e di sotto-patrimonializzazione dell'istituto di credito, di fatto seriamente ostacolando le funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della BCE, tenute all'oscuro delia esatta situazione patrimoniale e finanziaria del gruppo. Di qui l'adozione da parte degli organi di vigilanza di provvedimenti (la citata decisione SREP del febbraio 2015) incoerenti con tale situazione e, per contro, la mancata adozione di contromisure impellenti e indifferibili (come precisato dal teste ispettore En.Se.). Solo in occasione dell'ispezione BCE del 2015 - concludeva il tribunale - sarebbe effettivamente emersa la macroscopica divergenza tra i flussi informativi indirizzati alla vigilanza nel triennio 2012-2015 e la reale situazione patrimoniale della banca. 1.7.5 L'ostacolo alla vigilanza nei confronti di CONSOB (capo N1 - posizione G1) Il tribunale riteneva provato anche l'addebito stigmatizzato sub N1), inerente alle condotte di ostacolo alla vigilanza poste in essere, nei confronti di CONSOB, in relazione all'operazione di aumento di capitale 2014. In estrema sintesi, dopo avere dettagliatamente illustrato - in relazione tanto alla disciplina generale quanto al modello concretamente adottato da B. - il quadro normativo delle attività di intermediazione finanziaria (con particolare riguardo agli obblighi incombenti sugli intermediari nella relazione con la clientela sia nella fase precontrattuale, sia in quella di conclusione del contratto, sia nel corso dell'esecuzione del rapporto in un'ottica di tutela dell'investitore al fine di agevolarlo nella comprensione delle caratteristiche, dei rischi e dei costi dei prodotti finanziari offerti in un mercato di libera concorrenza), il primo giudice ricostruiva puntualmente l'episodio in questione. Nel caso di specie B. aveva pianificato una operazione che prevedeva un'offerta a pagamento mediante emissione di azioni ordinarie in opzione ai soci per un importo massimo di euro 700.000.000, nonché un aumento di capitale ordinario a pagamento mediante emissioni di azioni ordinarie finalizzata all'ampliamento della base sociale da offrire ai non soci per un importo massimo di 300.000.000 di euro. Nel corso della seduta del CdA 15.4.2014, poi, era stata definitivamente approvata l'operazione in questione, con l'individuazione dell'ammontare definitivo dell'aumento di capitale (aumento di capitale scindibile fino al controvalore massimo di 608.000,000 dì euro), la definizione del rapporto di opzione (una nuova azione ogni nove possedute con definizione del rapporto di attribuzione del premio fedeltà nella misura di un'azione ogni quattro) e la decisione che le azioni eventualmente inoptate sarebbero state offerte al pubblico indistinto e assegnate a coloro che ne avessero fatto richiesta durante il perìodo di offerta. Le azioni erano state emesse al prezzo di 62,5 euro, determinato sulla base della relazione di stima dell'esperto indipendente. Solo con riferimento al mini aucap, poi, era stato previsto che potessero essere concessi ai nuovi soci finanziamenti correlati alla sottoscrizione dell'aumento di capitale. In relazione a tale operazione l'istituto di credito aveva rappresentato, nelle relative comunicazioni inviate alla CONSOB, siccome specificamente richiamate in imputazione (trattasi della comunicazione formale 23.5.2014 in risposta alla richiesta di dati e notizie del 16.5.2014; della nota 4.7.2014; dell'ulteriore nota 15.10.2014), l'adozione di un modello operativo fondato su un atteggiamento neutro in ordine alla collocazione dei propri titoli nei confronti dei titolari dei diritti di opzione, attestando di avere predisposto modelli procedurali tesi a garantire la genuinità dell'iniziativa del cliente e sottolineando altresì che, come deciso, eventuali operazioni dì finanziamento sarebbero state previste solo con riferimento all'operazione di mini aucap. Tali modelli prevedevano, per i soci titolari del diritto di opzione: - da un lato l'esclusione dell'applicabilità della valutazione di adeguatezza, onde non interferire con l'esercizio del predetto diritto di opzione; - dall'altro lato l'astensione dalla prestazione di raccomandazioni all'investimento e di consulenza per i medesimi titolari del diritto di opzione e della connessa prelazione, i quali, infatti, onde contenere le occasioni di contatto diretto tra costoro e gli addetti di rete, avrebbero potuto aderire autonomamente all'aumento di capitale inviando richieste via internet, inserendo il proprio codice fiscale in una apposita pagina web, ovvero a mezzo raccomandata. In altri termini l'istituto di credito aveva rappresentato, nella comunicazione formale 23.5.2014, che avrebbe compensato il "sacrificio" della valutazione di adeguatezza (sacrificio resosi necessario per evitare che tale "filtro", posto a presidio dell'investitore, potesse pregiudicare il libero esercizio del diritto di opzione - e della connessa prelazione - nel caso di soggetto che, già socio e interessato ad avvalersi dell'opzione, non avesse superato detto vaglio) con l'assicurazione che i titolari di opzione sarebbero stati messi al riparo da influenze di sorta da parte della rete dell'istituto di credito, onde scongiurare qualsivoglia rischio che le determinazioni dei clienti potessero essere influenzate da consigli dì investimento fomiti dalla rete della banca in una situazione di conflitto di interesse. La CONSOB aveva approvato il prospetto relativo all'aucap 2014 in data 8.5.2014 e il successivo 9.5.2014 la banca aveva comunicato agli azionisti i dettagli delle operazioni informandoli della facoltà di esercitare i! diritto di opzione. In linea con l'originaria comunicazione alla CONSOB, por, si collocavano le successive comunicazioni dell'istituto all'ente di vigilanza rese nelle date del 4.7.2014 e del 15.10.2014. Ebbene, precisava il primo giudice, contrariamente a quanto comunicato a COIMSOB ed alla stregua di inequivoche prove tanto testimoniali (oltre alla deposizione del dirigente CONSOB, Francesco Adria, il tribunale valorizzava quelle dei dirigenti B. Al.Mo. e Gi.Am.) quanto documentali (tra le quali plurime, assai significative, comunicazioni via e-mail intercorse tra dirigenti B.), era emersa la natura meramente formale dei presidi organizzativi adottati dall'istituto di credito, peraltro sistematicamente aggirati nella pratica commerciale in attuazione di un'attività di pianificazione che si era caratterizzata per una fortissima pressione commerciale sulla rete (come precisato da numerosi dirigenti B. e, segnatamente, dai testi Gi.Ca., Ma.Ni., Lu.Ve., Ro.Pr. e Fu.Bo.), posto che: a) ben lungi dall'essere riconducibili alla spontanea iniziativa dei clienti, gli acquisti erano stati sollecitati dalla rete commerciale dell'istituto, appositamente istruita e sistematicamente resa oggetto di forti pressioni per la collocazione dei titoli; b) circa il 60% delle richieste di acquisto di azioni inviate via internet (modalità che, come detto, secondo il modello predisposto, unitamente all'invio della richiesta in modalità cartacea attraverso la spedizione di lettera raccomandata, avrebbe dovuto essere seguita dalla clientela interessata alla sottoscrizione di azioni onde evitare contatti inappropriati con la rete dell'istituto) erano risultate inviate da indirizzi IP di computer in uso a dipendenti della banca. Inoltre era emersa la prassi della presentazione brevi manu delle missive, in luogo dell'invio per raccomandata; c) contrariamente a quanto esposto all'autorità di vigilanza, in larghissima parte le adesioni all'offerta da parte degli opzionisti (26.000 su 29.000) si erano concretizzate al di fuori del sistema nella preventiva raccolta delle manifestazioni di interesse; d) mediante le modalità predisposte dalla banca, infatti, avevano aderito solo 2778 del 29.360 titolari del diritto di opzione, inviando 1695 lettere e 1083 manifestazioni di interesse via web; e) erano state create vere e proprie liste di clienti da contattare per supportare° la rete di vendita, nell'ambito di un'accurata pianificazione commerciale volta a favorire al massimo la collocazione delle azioni (ben 7434 soci che avevano aderito all'iniziativa, infatti, erano risultati inseriti nelle liste predisposte dalla banca); f) il 32% degli aderenti all'aucap censiti nel database delle manifestazioni di interesse aveva richiesto al momento dell'adesione un quantitativo di azioni esattamente corrispondente a quanto registrato nell'applicativo predisposto dalla banca nella fase di preadesione; g) era emersa la prassi di aggirare il test di adeguatezza (previsto per le adesioni del pubblico indistinto sino al 9.7.2014) facendo acquistare sul mercato secondario al cliente 100 azioni prima dell'aucap, in modo che il medesimo cliente potesse rientrare tra i soci e, quindi, potesse partecipare all'aumento di capitale senza effettuare le valutazioni di adeguatezza. Più nel dettaglio, i casi di consulenza surrettizia accertati - come precisato dall'ispettore An.Me. - erano risultati corrispondenti ad operazioni di acquisto per un valore pari a 143,17 milioni di euro su 497,98 milioni di euro complessivi. Secondo gli esiti della replica del test di adeguatezza standard effettuato in sede ispettiva (test che, infatti, sarebbe stato doveroso effettuare in caso di consulenza) era poi emerso che in almeno il 72% dei casi per un controvalore di 83 milioni di euro si sarebbe trattato di operazioni non adeguate, in quanto tali destinate ad essere bloccate dalla procedura. Inoltre si era acquisita contezza di agevolazioni (segnatamente, time deposit a tassi vantaggiosi) e anche di massicci finanziamenti concessi per l'acquisto di azioni proprie, non solo per garantire l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie ma anche per conseguire gli obiettivi di aumento di capitale, peraltro nell'ambito di iniziative commerciali che erano state taciute alla CONSOB e che avevano portato alla conclusione di operazioni di vendita di titoli in assenza delle doverose informazioni circa la natura e le caratteristiche delle operazioni medesime. Pertanto l'incremento di rischio per la clientela era stato del tutto privo di presidi nei sistemi di verifica di adeguatezza degli investimenti. In definitiva - concludeva il primo giudice - B. aveva fornito alla CONSOB, con riferimento alla predetta operazione di aumento di capitale, un quadro informativo falso e gravemente fuorviante, tanto in ordine al modello di servizio adottato per rapportarsi alla clientela quanto in punto di erogazione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie. La rilevanza decettiva di tali condotte era stata indubbia: ove la CONSOB fosse stata informata della pianificazione commerciale all'origine del collocamento delle azioni, infatti, avrebbe sicuramente esercitato in modo più pervasivo i propri poteri, sia di controllo che istruttori ex art. 94 TUF, e avrebbe imposto un più rigoroso modello di operatività fondato sulla consulenza e sull'obbligo di somministrazione di test di adeguatezza bloccante. Né, ad avviso del giudice di prime cure, poteva aderirsi alla tesi difensiva proposta dall'imputato Em.Gi.. Costui - risultato il dirigente che aveva maggiormente supportato e coadiuvato il direttore generale Sa.So. nell'iniziativa commerciale tesa a garantire il buon esito dell'aumento di capitale - aveva sostenuto, infatti, di avere agito nella convinzione dell'esistenza di una pregressa pianificazione commerciale concordata dall'istituto di credito con l'autorità di vigilanza. Tale tesi difensiva, tuttavia, era stata nettamente smentita dalle emergenze istruttorie. Da un lato, infatti, la banca aveva sempre attestato alla vigilanza che le operazioni di sottoscrizione erano avvenute ad iniziativa dei clienti; dall'altro lato era emersa un'operatività volta alla pianificazione commerciale dell'operazione non verbalizzata e, quindi, evidentemente elaborata e attuata nella piena consapevolezza di agire al di fuori del perimetro di regolarità tracciato dalla normativa Mifid. Né - proseguiva il tribunale - poteva accedersi alla tesi difensiva dell'imputato GI. secondo cui questi non era responsabile del reato in esame essendosi limitato a dare attuazione alle direttive impartitegli; in contrario deponevano la sua veste di dirigente apicale (responsabile della Divisione Mercati e vice direttore generale) nonché la prova - da considerarsi raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio - dell'incondizionato allineamento del GI. all'illecita politica gestoria ideata dal direttore generale So., cui il GI. medesimo aveva contribuito materialmente offrendo un fondamentale apporto partecipativo. Peraltro - concludeva, sul punto, il primo giudice - lo stesso presidente Zo.Gi. aveva preso parte tanto alla riunione del 3 aprile 2014, nel corso della quale il d.g. So. aveva illustrato alla rete le modalità operative pianificate per l'aucap e la campagna di contatto della clientela (al riguardo il riferimento era alla e-mail di cui al doc. 241 del P.M. in cui si esplicitava chiaramente la "campagna di contatto" all'uopo programmata), quanto alla precedente seduta del CdA del 4 marzo, in occasione della quale aveva fatto esplicito riferimento alla necessità dì "fare formazione sulla rete", chiarendo che "non devono parlare", ovverosia all'esigenza di stimolare i clienti ad aderire all'aumento di capitale e alla congiunta necessità di occultare tale prassi operativa. Donde la trasmissione degli atti al P.M. con riferimento alla posizione di tale imputato. 1.8. I reati di falso in prospetto In proposito va premesso che oggetto dei capì di imputazione sub I) ed L) sono i prospetti informativi redatti dall'istituto dì credito e depositati presso la CONSOB relativi agli aumenti di capitale realizzati negli anni 2013 e 2014 ed inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni La condotta di falso, secondo le suddette imputazioni, sarebbe consistita nell'occultamento di informazioni rilevanti in merito all'esistenza, all'entità e agli effetti del fenomeno degli investimenti correlati all'acquisto di azioni B., nonché nella comunicazione dì informazioni fuorvianti in ordine all'andamento del mercato secondario delle stesse azioni. Sul punto il tribunale, dopo avere richiamato il quadro normativo di riferimento (artt. 94, 94 bis, 173 bis D.Lvo 58/98 - TUF), evidenziava gli elementi costituivi della fattispecie delittuosa in esame precisando trattarsi di "reato comune", finalizzato ad approntare tutela al risparmio nella sua accezione "dinamica" e caratterizzato da una condotta reticente o fuorviante idonea a trarre in inganno l'investitore (senza peraltro la necessità della causazione di danno, come invece previsto dalla previgente fattispecie ex art. 2623 c.c.). In siffatta prospettiva la falsità non avrebbe dovuto necessariamente avere a oggetto dati materiali necessari ma anche notizie e valutazioni fondanti l'offerta (con l'ovvia precisazione che, in tal caso, più che di falsità delle predette valutazioni si sarebbe trattato di un difetto di genuinità e di imparzialità delle stesse). Anche l'occultamento di informazioni, poi, avrebbe potuto integrare la condotta materiale della fattispecie in questione, qualora inerente a dati o informazioni parimenti rilevanti. In ogni caso, essendosi in presenza dì reato di pericolo concreto, requisito essenziale della condotta decettiva era l'idoneità a trarre in inganno il destinatario; quest'ultimo, nella concretezza del caso sub iudice, non si sarebbe dovuto identificare nell'investitore professionale e neppure - ed a fortiori - in quello istituzionale, bensì nel piccolo/medio risparmiatore, ovverosia in quel soggetto che, generalmente, si limita alla lettura della sola "nota di sintesi", decisamente più breve e predisposta proprio al fine di renderlo edotto del contenuto "concreto" della proposta di investimento. Sotto il profilo soggettivo, poi, la norma era caratterizzata dalla combinazione del dolo specifico e di quello intenzionale: alla volontà e rappresentazione del fatto tipico commesso con l'intenzione di ingannare i destinatari del prodotto finanziario, infatti, si accompagnava lo scopo di conseguire un ingiusto profitto, per sé ovvero per altri. Tanto premesso - proseguiva il tribunale - negli anni 2013 e 2014 la banca vicentina aveva realizzato due aumenti di capitale, il primo deliberato il 16.4.2013 ed il secondo, caratterizzato da due offerte, il 15.4.2014. In entrambi i casi i prospetti comunicati dalla banca erano risultati caratterizzati dall'occultamento dell'esistenza, dell'entità e degli effetti del fenomeno della concessione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. e, quindi, dall'occultamento di informazioni essenziali perché l'investitore potesse determinarsi correttamente. Questo benché la prassi della concessione di siffatta tipologia di finanziamenti risalisse al 2009 (quando l'istituto aveva iniziato a proporre a clienti "amici" acquisto dì azioni proprie in grandi quantità - i c.d. "big ticket" - nell'ambito di operazioni "baciate", ovvero caratterizzate dalla tendenziale corrispondenza tra importo del finanziamento concesso e controvalore delle azioni acquistate, al fine di procedere allo svuotamento periodico del fondo acquisto azioni proprie) e benché detto fenomeno, che aveva interessato tanto il mercato primario quanto quello secondario, avesse raggiunto dimensioni consistenti già a partire dal 2012 (nel quarto trimestre de) 2012, infatti, il numero dì azioni finanziate era risultato corrispondere ad un controvalore di euro 545.520.996). Ora, con riferimento al mercato primario, nell'ambito degli aumenti di capitale finalizzati all'ampliamento della base sociale (mini aucap 2013 e 2014), l'istituto di credito aveva previsto espressamente l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie. Analoga informativa, invece, non era stata inserita nei prospetti relativi agli aumenti di capitale destinati ai titolari del diritto di opzione, ovvero al pubblico indistinto, sebbene, poi, in concreto, gli accertamenti ispettivi BCE e CONSOB avessero dimostrato come gli aumenti di capitale 2013 e 2014 fossero stati in larga parte realizzati proprio ricorrendo al massiccio finanziamento degli investitori che sottoscrivevano azioni di nuova emissione (nel 2013, su un controvalore totale di euro 506 milioni, le operazioni finanziate erano ammontate a 136.034,044,00 euro; nel 2014, poi, i finanziamenti concessi dall'istituto avevano riguardato azioni per un controvalore di 146,451.259 euro). Solo a seguito dell'ispezione BCE del 2015, infatti, l'istituto aveva ammesso l'esistenza delle operazioni di finanziamento correlato, per un valore complessivo determinato, in sede di internai audit, di 1.086 milioni di euro alla data del 31.10.2015, informazione che, come inevitabile, aveva provocato effetti dirompenti. Di qui la conclusione cui perveniva il primo giudice circa la penale responsabilità derivante dalla radicale assenza, nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento di capitale, dell'esistenza e dell'entità del fenomeno delle operazioni finanziate, trattandosi di informazioni che, ove conosciute, avrebbero evidentemente indotto un investitore ragionevole ad una ben maggiore ponderazione nella decisione di sottoscrivere gli aumenti di capitale. L'occultamento di tali informazioni, poi, aveva ovviamente alterato anche i dati di bilancio e, di conseguenza, le informazioni ad essi inerenti che erano state riportate nei prospetti relativi agli aumenti di capitale in questione. L'effetto che ne era derivato era stato, anche in tal caso, quello di distorcere gravemente la conoscenza degli investitori circa la rappresentazione dei livelli patrimoniali della società. Per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2012, infatti, il Tier 1 Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia dell'8% quale prescritta dalla Banca d'Italia nella lettera di intervento del 2.3.2012. Anche nel 2013, poi, si era registrata analoga violazione di detto requisito target. Così come durante il successivo esercizio 2014, quando il CET Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia regolamentare del 7% e il Total Capital Ratio aveva parimenti raggiunto un livello inferiore a quello minimo regolamentare del 10,5%. I dati di bilancio richiamati nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento del capitale, quindi, avevano indotto i risparmiatori a confidare in un livello di solidità patrimoniale dell'istituto di credito in realtà ben inferiore a quello prescritto. Donde l'idoneità decettiva delle informazioni fornite sul punto. Infine, anche le informazioni inerenti ai volumi delle azioni scambiate nell'ambito del mercato secondario erano risultate del tutto inattendibili per effetto della mancata comunicazione del fenomeno delle operazioni finanziate (fenomeno al quale la banca aveva fatto ricorso massicciamente, a partire dal 2012, proprio allo scopo di assicurare la negoziabilità del titolo, provocando, tuttavia, in tal guisa, una grave alterazione della dinamica del mercato secondario) e avevano ingenerato nei terzi la convinzione di una solo apparente liquidità delle azioni. In questo contesto era stata occultata al mercato - sostenendosi, nei prospetti, che le richieste di cessioni delle azioni sarebbero state sottoposte appena possibile al CdA - la persistente situazione di grave ritardo nell'evasione delle richieste di vendita di azioni provenienti dai soci (nel corso del 2013, in effetti, il time to sell era passato dai 28 giorni del mese di gennaio ai 311 giorni della fine dell'anno); richieste, peraltro, neppure sempre evase in ordine cronologico. In definitiva la mancata comunicazione di tali informazioni aveva ingenerato l'apparenza di un'appetibilità del titolo in realtà inesistente. Donde, anche sotto tale profilo, la sussistenza della condotta di reato di falso in prospetto. Quanto, poi, alle singole posizioni soggettive, il tribunale evidenziava come Zo.Gi., presidente del CdA dal 1996 al 2015, fosse certamente responsabile delle operazioni di aumento di capitale del 2013 e anche della redazione dei relativi prospetti, per avere egli, su incarico del CdA, conferito al d.g. So. e al vice d.g. PI. i poteri all'uopo necessari, nonché per avere egli sottoscritto il documento di registrazione e la dichiarazione di responsabilità. Analogamente, con riferimento all'aumento di capitale 2014, i poteri conferiti allo ZO. dal CdA in ordine all'operazione di aumento di capitale rendevano evidente la responsabilità del predetto nella falsificazione dei prospetti illustrativi di detta operazione Considerazioni del medesimo tenore, poi, venivano dal tribunale svolte con riferimento alla posizione del PI., trattandosi di un vice direttore B. nonché del responsabile della Divisione Finanza, ovverosia di una divisione alla quale, secondo l'organigramma dell'istituto di credito, competeva proprio l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi. Infine anche gli imputati GI. e MA. venivano giudicati responsabili del reato in questione, avendo i predetti, sebbene non coinvolti - secondo il primo giudice - nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, partecipato attivamente ad assicurare, conoscendone perfettamente le esigenze sottostanti, l'operatività del meccanismo dei finanziamenti correlati all'acquisto delle azioni B. mediante massiccio ricorso al capitale finanziato; meccanismo del quale avevano contribuito a occultare l'esistenza e l'entità. 1.9. Le singole posizioni processuali. 1.9.1 Zo.Gi. Il tribunale, dopo avere richiamato la normativa di dettaglio emanata da Banca d'Italia per disciplinare gli assetti del governo societario dell'impresa bancaria (assetti che attribuivano al presidente del CdA il ruolo di garanzia in ordine al corretto funzionamento dell'organo, precisando come costui non dovesse essere un componente esecutivo e non dovesse svolgere, neppure di fatto, funzioni gestionali) e dopo avere ricostruito la composizione, all'epoca dei fatti, del CdA di B., precisava che Zo.Gi. era stato presidente dell'istituto di credito dal 1996 al novembre del 2015 nonché presidente del comitato esecutivo. Tutti gli elementi disponibili, poi, convergevano nel delineare il ruolo dominante e pervasivo svolto dall'imputato nell'organizzazione dell'attività della banca, tanto che l'attenzione degli organi di vigilanza, sin dal 2007, aveva evidenziato tale criticità, stigmatizzando l'autoreferenzialità dei meccanismi di governance instaurati dall'imputato. Peraltro era stata proprio la strategia di crescita (aumento degli sportelli; continua espansione dimensionale) imposta alla banca dal Presidente a porsi all'origine delle problematiche degli aspetti patrimoniali del gruppo che, infatti, proprio per fare fronte alla progressiva crescita dei costi di gestione, era stato costretto a ricorrere sistematicamente ad aumenti di capitale. Inoltre i meccanismi di governo societario - e, in particolare, il ruolo predominante rivestito, nel consiglio di amministrazione, dall'imputato nonché la visione maturata e attuata dallo stesso dì un successo imprenditoriale commisurato alla continua espansione dimensionale dell'istituto - erano stati sistematicamente censurati dall'autorità di vigilanza (in particolare: in occasione del rapporto ispettivo del 2008; dell'ispezione di follow up del 2009; dell'ispezione sul credito del 2012; della vigilanza in relazione all'aumento di capitale del 2013). Del resto la struttura verticistica del governo aziendale era emersa da tutte le risultanze probatorie disponibili. In effetti - precisava il primo giudice - l'imputato esercitava una forma pervasiva di controllo sulle dinamiche del consiglio, nel cui seno le decisioni assunte non erano mai state oggetto di discussione o dibattito, il tutto mentre il controllo assicurato dal collegio sindacale era risultato meramente formale, come verificato da Banca d'Italia nell'ispezione 2008. Di fatto era lo ZO., con riferimento tanto al consiglio di amministrazione, quanto al collegio sindacale, a selezionare i candidati (dep. Zi., Gr., Lo.), scegliendoli, per cooptazione, tra esponenti dell'imprenditoria locale (individuando, peraltro, soggetti inesperti dei complessi meccanismi dell'impresa bancaria) e ad affiancare loro professionisti già legati alla persona dello stesso presidente da pregresse esperienze professionali. In particolare il tribunale, sulla base di puntuali deposizioni al riguardo (trattasi, segnatamente, della deposizione resa dal teste Da.Lo.), ricostruiva una situazione caratterizzata dall'assenza di obiezioni di sorta alle proposte presidenziali, da un clima dì effettiva intimidazione - se non di vero e proprio terrore - che rendeva difficile manifestare qualsiasi dissenso, nonché da modalità di votazione, in assemblea, che rendevano identificabili le singole manifestazioni di voto. In effetti il CdA si era costantemente limitato ad approvare le proposte del presidente e tutte le decisioni erano state sempre unanimi, sicché lo stesso ruolo del consiglio era stato, di fatto, svuotato di ogni profilo sostanziale. Emblematica di ciò - ad avviso del tribunale - era stata la vicenda dell'acquisizione di un immobile da adibire a sportello bancario nella località turistica di Cortina, operazione fortemente voluta dallo ZO. (in particolare per il ritorno di immagine che, a suo giudizio, ne sarebbe derivato) e che era stata conseguentemente accettata dal d.g. So. contro ogni logica dì convenienza economica, tanto che aveva portato all'esito fallimentare di una perdita di oltre venti milioni di euro (come peraltro comprovato dal contenuto della conversazione telefonica intercettata riportata a pag. 589 della sentenza impugnata e come confermato dalla relazione ex art. 33 l.f.). Altrettanto significativa del ruolo predominante dell'imputato in seno al CdA, poi, era la vicenda - la cui ricostruzione esatta era stata resa possibile dalla documentazione costituita dal relativo file audio - inerente alla determinazione del prezzo dell'azione in deroga alle stesse regole procedurali dell'istituto deliberata in occasione della seduta 1.4.2014. Connotato da analoga "impronta padronale", inoltre, era anche il rapporto tra l'imputato, da un lato, ed il management e le strutture aziendali, dall'altro. Infatti, ripetutamente, gli incarichi di vertice erano stati assegnati a soggetti indicati dal presidente (era il caso dei d.g. Gr. e So., di Ro., di Fa., consulente nel settore degli affari internazionali; di Ra., al quale era stato affidato l'incarico di presidente della società Mo. che gestiva il patrimonio immobiliare della banca), con il CdA che si era limitato a ratificarne le decisioni. Era lo ZO. a decidere su tutto: retribuzioni, posizioni, crediti, affidamenti, parco automobili (si veda la deposizione di Um.Se., direttore della controllata siciliana Ba.Nu. dal 2012), L'imputato si era occupato anche delle campagne pubblicitarie (cfr. la deposizione del teste Ma.Pa.) e addirittura della concessione, agli amici, di tassi di interesse fuori mercato ed in perdita per la banca (come nel caso dell'imprenditore amico Re.Ca., secondo la deposizione del teste Gi.Am.). Più nel dettaglio, il coinvolgimento dello ZO. nell'attività gestionale era stato confermato da numerose, convergenti deposizioni. Era il caso, in particolare, delle testimonianze di Al.Sa., Iv.Me. e Gi.Am., quest'ultima relativa anche alla riunione tenutasi l'il.11.2014 a seguito della pubblicazione dell'articolo del Sole 24 Ore che aveva messo in discussione il valore del titolo. In detta riunione ZO. aveva esplicitamente affermato, tra l'altro, che ì soci che avessero voluto vendere i titoli avrebbero potuto essere sostenuti con finanziamenti e la trascrizione della già menzionata seduta del Comitato di Direzione 10.11.2014 (doc. P.M. nr. 110) riscontra tali indicazioni del presidente. Le e-mail acquisite al fascicolo del dibattimento (docc. P.M. nr. 298, 299, 322, 320, 521), al pari degli appunti di Ma.So. contenuti nel "maxi quaderno giallo", poi, confermavano il ruolo operativo del presidente. Il teste Se.Ro., inoltre, aveva riferito al teste Ma.Pa. - cfr. la deposizione di quest'ultimo - che le decisioni di vendita delle azioni andavano ricondotte allo ZO. e, sul punto, non mancavano conferme documentali: la e-mail del 16.6.2014 (allegato 31 relazione CONSOB), avente ad oggetto il sollecito rivolto dalla segreteria del presidente ZO. al Ro. circa un reclamo - indirizzato direttamente al medesimo presidente ZO. -riguardante i ritardi nella vendita di azioni della sig.ra Ro.Sa.; il documento del P.M. nr. 321 (relativo a una corrispondenza e-mail tra Fi.Ro. e Da.Fa. del 20.1.2014); gli appunti del So.; infine le stesse dichiarazioni ammissive rese dall'imputato nel corso dell'interrogatorio del 24.3.2017. Lo strettissimo rapporto tra lo ZO. ed il d.g. So. (quest'ultimo, peraltro, proposto dallo stesso ZO. come consigliere delegato nel 2015, ovverosia poco prima dell'ispezione BCE, quando oramai la banca versava in condizioni di forte criticità ed aveva superato solo per il "rotto della cuffia" il Comprehensive Assessment tramite la conversione del prestito obbligazionario deliberata d'urgenza dal CdA nella seduta del 26.10.2014, convocata presso la tenuta toscana del presidente sita in (...) era stato delineato da numerosi testi escussi (Di.Gr., Se.Ro., Ad.Ca., Pa.An., Vi.Do., Ma.So.) e confermato dallo stralcio della conversazione intercettata tra Gi.Zi. e il suo interlocutore Pa.Ba. nello del 26.8.2015 (riportata a pag. 599 della gravata sentenza), dove si affermava che i due erano sostanzialmente inscindibili e "viaggiavano a braccetto". Lo stesso So. del resto, in occasione di talune conversazioni intercettate, si era riferito spesso al diretto coinvolgimento del Presidente nelle vicende gestorie della banca (il richiamo era ai progressivi 459, 300, 610, 845, 1570, 1587, nonché agli SMS di cui ai documenti nn.ri 653, 654, 655 - pagg. 600-603 della gravata sentenza). Con riferimento all'aucap del 2014, poi, la scheda file audio della seduta del CdA del 4.3-2014 aveva documentato il diretto coinvolgimento del presidente nella pianificazione dell'operazione in questione, mentre le dichiarazioni del coimputato GI. avevano ribadito tale coinvolgimento, peraltro confermato anche dalla documentazione disponibile (era il caso della e-mail costituente l'allegato nr. 75 alla relazione CONSOB). Lo ZO., inoltre, aveva avuto un ruolo attivo anche durante il comitato di direzione "allargato" del 20.4.2015 nel quale erano state affrontate, tra gli altri temi, le questioni dei soci finanziati e della creazione di una task force che avrebbe dovuto gestire il problema dei soci che chiedevano di vendere le proprie azioni. In tal senso deponeva il documento nr. 362 del P.M. costituito dagli appunti di Gi.Am., siccome "interpretati" dallo stesso Am. durante la propria deposizione. Nel corso di tale comitato di direzione, infatti, si era discusso anche del problema costituito dall'impossibilità di ricorrere all'impiego del fondo acquisto azioni proprie, ovvero allo strumento che, ad avviso del Presidente, doveva servire - secondo quanto riferito dal teste Am. - "a rendere più liquido l'investimento in azioni della (...)". Del resto le modalità della risoluzione del rapporto con il d.g. So. (risoluzione intervenuta solo quando, nel corso dell'ispezione BCE, la situazione era divenuta insostenibile a seguito dell'emersione della vicenda dei fondi lussemburghesi, della prassi delle lettere di impegno e dei finanziamenti correlati) dovevano ritenersi sintomatiche - nella ricostruzione dell'episodio fattane dal primo giudice - delle modalità gestorie dello ZO. e della volontà di assicurare al So. un commodus discessus. L'imputato, infatti, aveva fulmineamente risolto il contratto con il direttore generale (al quale, nondimeno, era stato riconosciuto di avere operato "con diligenza e correttezza nell'interesse della banca" e, soprattutto, era stata attribuita una buonuscita di ben 4 milioni di euro); questo era avvenuto nonostante il contrario parere del consigliere Gi.Zi. (documentato dal file audio della seduta del CdA) il quale aveva chiesto di valutare il licenziamento, al posto della risoluzione consensuale, al fine di salvaguardare la posizione dello stesso CdA. Peraltro dell'intervento dello ZI. il verbale consiliare non recava traccia alcuna (e questo nonostante la esplicita richiesta avanzata, in tal senso, dal menzionato consigliere). Si era trattato, quindi, di una decisione unilaterale di ZO., non preceduta da alcun dibattito in seno asl CdA (come riferito dallo stesso ZI. e come, del resto, confermato dalla deposizione del teste Ad.Ca.). Nell'occasione la finalità perseguita dallo ZO. - ad avviso del tribunale - era stata evidentemente quella di assicurarsi, "attraverso il fulmineo e ben retribuito congedo del direttore generale infedele", "un salvacondotto a fronte delle condotte illecite in fase di accertamento da parte della squadra ispettiva" (così si legge a pagina 611 della sentenza impugnata). Solo in quest'ottica, pertanto, poteva essere ragionevolmente interpretato quanto avvenuto in occasione delle successive sedute del CdA del 15 maggio, 27 maggio, 9 giugno e 11 giugno 2015, allorché sì era discusso della possibilità di intraprendere azioni legali nei confronti del So. per poi alla fine decidere, su proposta dello stesso ZO., di non procedere in alcun modo nei confronti dell'ex direttore generale. In definitiva l'accordo per la risoluzione del contratto con il manager con riconoscimento di una buonuscita multimilionaria - accordo deciso e repentinamente attuato dallo ZO. non solo in contrasto con le previsioni statutarie (che attribuivano al CdA la competenza in materia) e con la normativa di vigilanza in materia di remunerazione dei dirigenti, ma anche in radicale conflitto con l'interesse dell'istituto di credito - costituiva un elemento di prova della corresponsabilità dell'imputato. Sintomatiche dell'interesse (a proteggere il So.) perseguito, con detto accordo, dallo ZO. - significativamente definito, in un colloquio captato dagli investigatori, uno che ha governato come un monarca assoluto" e che, quindi, non era certo all'oscuro di quanto andava emergendo nel corso dell'ispezione - erano proprio alcune conversazioni intercettate (cfr. stralci riportati alle pagg. 611-613 della sentenza). Quindi il primo giudice, ad ulteriore sostegno della conclusione cui perveniva in ordine alla piena responsabilità dello ZO. nella gestione dell'istituto di credito con riferimento specifico alle condotte oggetto di imputazione, richiamava specificamente le operazioni correlate effettuate da taluni imprenditori. Trattasi, segnatamente: - di Se.Pi. (presidente del CdA della società It.). Costui, nel corso della deposizione resa in dibattimento, aveva ricostruito gli acquisti "baciati" dì azioni B. effettuati, originariamente su proposta dello ZO., con il ricorso ad affidamenti da parte dell'istituito di credito (il tutto per un'operatività di euro 4.400.000). Secondo detto teste lo ZO. era a conoscenza dell'esistenza dei finanziamenti correlati a lui concessi, iniziati nel 2005. Nel 2013, quando il teste era stato ospite dell'imputato a Castello di Albola, lo ZO. si era dimostrato soddisfatto dell'aumento di capitale e nell'occasione avevano parlato, tra l'altro, delle operazioni finanziate effettuate dal Pitacco, facendo anche specifico riferimento all'importo complessivo; - di Al.Be., imprenditore del settore dell'editoria legato da risalente rapporto di amicizia con l'imputato. Anche tale dichiarante (cfr. verbale di s.i.t. acquisito ex art. 493, co, 3, c.p,p.) aveva ricostruito le operazioni finanziate effettuate al fine di acquistare le azioni di B., per un valore complessivo di euro 1,25 milioni a fronte di un finanziamento di pari importo. Sebbene detto teste avesse riferito di non avere mai parlato con lo ZO. di tali operazioni "baciate", le relative dichiarazioni - sul punto - erano state smentite dai testi Gi.Gi. (direttore regionale della Lombardia) e Al.Ba. (responsabile della Divisione Crediti di B. dal gennaio 2015). Il primo, dopo avere ricostruito le operazioni "baciate" effettuate da detto imprenditore in condizioni di neutralità economica (donde i relativi storni che gli avevano garantito il totale rimborso degli interessi maturati), aveva precisato che il Be. gli aveva riferito di avere parlato con lo ZO. di una di tali operazioni (quella effettuata tramite la B.Me.), Il teste Al.Ba., dal canto suo, aveva dichiarato di avere discusso con l'imputato ZO. della posizione del Be., ragguagliandolo circa gli acquisiti di azioni tramite finanziamenti "baciati" effettuati in precedenza dallo stesso Be. per "Vare una cortesia alla banca". Ciò era avvenuto nel corso di un incontro cui aveva partecipato lo stesso imprenditore, il quale, nell'occasione, aveva espressamente chiesto che l'operazione "fosse smontata"; - di Do.Ir.. presidente di C., società del settore delle costruzioni e amica di famiglia dello ZO.. In questo caso le azioni B. erano state acquistate, per un valore di 1 milione di euro, impiegando parte di un più consistente finanziamento (5 milioni) concesso dall'istituto. A detta della Ir. la proposta iniziale le era stata avanzata, con riferimento all'aumento di capitale allora in fieri, proprio dallo ZO. il quale, poi, l'aveva "dirottata" sul d.g. So.. Dal canto suo il figlio della Ir., Ha.Mi. (vicepresidente e amministratore delegato di C.), il quale aveva poi portato avanti la trattativa, escusso in dibattimento non aveva ricordato con chi avesse effettivamente trattato (sebbene in sede di indagini, come emerso dalla contestazione del P.M., avesse riferito di avere interloquito, in proposito, con lo ZO. oppure con il manager Al.Cu.; soggetto, quest'ultimo, che - parimenti escusso in dibattimento - aveva smentito di essersi personalmente occupato della questione); - dei fratelli Ra.. In particolare Ra.Si., imprenditore del settore abbigliamento e cliente storico di B., aveva riferito di avere aderito, unitamente ad alcuni suoi familiari, alla proposta di operazioni "baciate". Più volte costui (al pari dei fratelli) aveva chiesto rassicurazioni al riguardo allo ZO. ed era stato sempre tranquillizzato. Nel 2013 i Ra. avevano iniziato a sollecitare la chiusura delle operazioni, al che Fu.Bo. ed Em.Gi. avevano tentato di dissuaderli. Dichiarazioni di analogo tenore, poi, erano state rese da Ra.Gi., sebbene costui avesse riferito, diversamente dal fratello, che le discussioni con lo ZO. avevano riguardato la solidità della banca e non già le operazioni "baciate" in corso. Nondimeno - precisava il tribunale - la conversazione nr. 560 intercettata sull'utenza in uso al So., nella quale costui, esprimendo disappunto sull'atteggiamento negazionista dello ZO., riferiva in termini coincidenti con la narrazione di Ra. Silvano, confermava la tesi di quest'ultimo in ordine al contenuto dei colloqui - aventi ad oggetto proprio il tema dell'acquisto delle azioni della banca - intercorsi tra i fratelli Ra. e il presidente ZO.; - di Fr.Zu. e Fe.Ri.. Il primo, cognato di ZO., aveva riferito di un fido concessogli per partecipare, a titolo di amicizia e senza alcun rischio, all'aucap 2014, operazione della quale, tuttavia, non aveva parlato con lo ZO.. Nondimeno dalle schede di analisi dei consulenti del P.M. erano emersi, complessivamente, acquisti di azioni effettuati dalla famiglia Zu. per 984 mila euro con risorse erogate all'uopo dall'istituto. Quanto al Ri., amico dell'imputato da decenni, ex direttore di musei e consulente della banca per la stima delle opere d'arte, aveva effettuato operazioni per gli aucap 2013 (300 mila euro) e 2014 (200 mila euro) e aveva riferito che lo ZO., quando aveva appreso di una di tali operazioni, aveva espresso il proprio compiacimento, sebbene il teste avesse pure precisato che con l'imputato aveva interloquito solo in relazione alla sua sottoscrizione dell'aucap, non già circa le modalità di acquisto delle azioni. Quando poi, nel 2015, aveva manifestato allo ZO. le proprie preoccupazioni per gli acquisti finanziati, l'imputato aveva ribattuto in modo brusco ("Ma chi ti ha detto di farli?"), lasciandolo perplesso; s di Gi.Ro., noto imprenditore del settore della valigeria. In tal caso le operazioni finanziate erano state molteplici (la prima per l'ammontare di 700,000 euro; successivamente anche per l'importo di 5 milioni). Ripetutamente aveva incontrato lo ZO. in occasione di cene e pranzi e, quando gli aveva chiesto rassicurazioni, era stato costantemente tranquillizzato. Richiesto di precisare se l'imputato fosse a conoscenza delle modalità seguite per l'acquisto delle azioni, il teste aveva risposto affermativamente sulla base di considerazioni di tipo logico (basate, per un verso, sulla posizione di vertice rivestita dall'interlocutore, definita dal teste quella del "capo", del "padre-padrone della banca" e, per altro verso, sull'importanza di dette operazioni nell'ambito della gestione dell'istituto di credito). Peraltro, precisava il tribunale, la registrazione del file audio del 18.6,2013 relativo alla breve conversazione intercorsa tra lo ZO. ed il coimputato GI. poco prima dell'inizio della seduta del CdA - conversazione della quale lo stesso GI. aveva poi chiarito il significato (inerente all'interesse manifestato da un imprenditore catanese, tale Riccardo Coffa, per una operazione "baciata") - dimostrava la piena consapevolezza, in capo allo ZO., della prassi esistente in relazione a tale tipologia di operazioni. Altro significativo elemento a carico dello ZO. era rappresentato, nella prospettiva del tribunale, dall'elevatissima concentrazione di operazioni correlate presso il "gestore private" Ro.Ri. nella filiale di Contrà Porti, la stessa ove l'imputato aveva acceso i propri conti correnti. In effetti lo strettissimo rapporto tra i due (ulteriormente comprovato dalla riassunzione de) "gestore" dopo che questi si era dimesso a seguito del trasferimento ad altra filiale; riassunzione, con immediata ricollocazione presso la filiale di Contrà Porti, conseguente a una semplice visita dello stesso Ri. presso l'abitazione dell'imputato) avrebbe avvalorato la conclusione circa la piena consapevolezza, in capo al presidente, della prassi delle operazioni "baciate" che il predetto Ri. effettuava in favore di una selezionatissima cliente, peraltro per importi estremamente ingenti. Questo benché il medesimo Ri. avesse negato di avere parlato di tali operazioni con l'imputato e, a maggior ragione, di avere da questi ricevuto, al riguardo, autorizzazioni di sorta. Del resto - precisava il tribunale - il teste Da.Ti. aveva dichiarato di essere stato rassicurato dallo stesso presidente ZO. - all'uopo interpellato dal "gestore private" Ri. che aveva sostanzialmente fatto da tramite - circa ii fato che le operazioni "baciate" di sua pertinenza sarebbero state chiuse. Anche l'inerzia dell'imputato a seguito della segnalazione di anomalie inerenti ad operazioni correlate ricevuta nella primavera-estate del 2014 deponeva nel senso della fondatezza dell'impostazione d'accusa, al pari, del resto, delle dimissioni del consulente private banker An.Vi., dimessosi in conseguenza delle insostenibili pressioni che riceveva dai superiori (a loro volta in tal senso istruiti dai vertici aziendali) proprio con riferimento alla conclusione di operazioni "baciate". Peraltro, una pec contenente l'esposizione delle ragioni delle dimissioni era stata trasmessa dal Vi., su consiglio del proprio avvocato, sia al CdA che allo stesso ZO., il quale ultimo l'aveva letta in data 7.7.2014 senza, tuttavia, sollecitare approfondimenti al riguardo. Del resto era significativo che la vicenda si fosse poi definita con un accordo transattivo e con l'impegno alla riservatezza. Di spiccato rilievo probatorio, poi, erano tanto l'inerzia manifestata dallo ZO. a seguito della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 26.4.2014, dal socio B. Da. con riferimento alla prassi degli acquisti finanziati, quanto l'atteggiamento, altrettanto inerte, assunto dallo stesso imputato a seguito della ricezione di due lettere anonime che denunziavano il fenomeno della pressione della rete commerciale per favorire la sottoscrizione di operazioni correlate. Conclusivamente, a fronte di tali convergenti elementi, le dichiarazioni rese dall'imputato in occasione degli interrogatori resi in fase di indagine e, successivamente, nel corso dell'esame dibattimentale svoltosi alle udienze - 23,6.2020 e 26.11.2020 - là dove questi aveva sostenuto di essere stato tenuto all'oscuro dell'esistenza del fenomeno delle operazioni correlate, di essersi fidato della valutazione di un esperto di indiscusso prestigio con riferimento al valore assegnato al titolo azionario e, infine, di avere avviato le operazioni di aumento di capitale facendo affidamento sul giudizio della Banca d'Italia in ordine alla solidità dell'istituto di credito - venivano dal tribunale giudicate come destituite di fondamento e scopertamente difensive. I fenomeni del capitale finanziato, delle lettere di impegno e degli investimenti effettuati tramite fondi esteri, infatti, erano stati espressione di prassi note, avallate e, anzi, incentivate dal presidente, vero e proprio dominus assoluto dell'istituto di credito. Egli aveva ricoperto, per circa un ventennio, una posizione di dominio incontrastato, aveva selezionato e fidelizzato il management, anche con trattamenti economici più che generosi (cfr. sul punto, la deposizione del teste Ma.Ma.), aveva imposto la regola dell'approvazione unanime delle sue proposte in CdA ed aveva sistematicamente agito (in forza di una asimmetria di poteri che, peraltro, trovava plastico riscontro anche nell'ammontare delle rispettive retribuzioni, quella dell'imputato risultando quasi dieci volte superiore a quelle degli altri consiglieri) in modo tale da indirizzare l'espansione territoriale dell'istituto nelle aree del Paese ove egli aveva i suoi insediamenti imprenditoriali (Toscana, Friuli, Sicilia), ovvero nelle località di vacanza da lui frequentate (Cortina). In definitiva tutte le dinamiche inerenti alla vita dell'istituto di credito erano state determinate dallo ZO., a partire dalle più importanti strategie d'impresa e fino alle attività più spicciole (posto che era emerso che all'imputato veniva sottoposta, per approvazione, finanche la lista degli invitati alle cene "istituzionali" periodicamente organizzate a casa Lo.), In siffatta prospettiva le conversazioni telefoniche intercettate nelle quali il d.g. Sa.So. evidenziava la piena riconducibilità delle scelte operative al Presidente, ben lungi dall'essere interpretabili come attuazione di una callida determinazione del predetto So., ispirata da logica autodifensiva (come invece sostenuto dalla difesa dello ZO.), costituivano coerente riscontro del pieno coinvolgimelo dell'imputato nell'attività delittuosa. Del resto talune conversazioni significative erano state effettuate impiegando utenze riconducibili a terzi (trattasi dell'utenza 3311650993 intestata a De.Mi.), donde, anche sotto tale profilo, l'insostenibilità della tesi della artificiosità di tali colloqui, il tenore dei quali, peraltro, era del tutto coerente con le richiamate acquisizioni probatorie testimoniali e documentali. Inoltre le affermazioni fatte dal So. in ordine al coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni dì capitale finanziato avevano trovato conforto anche negli SMS inviati dai coimputati MA. e GI. al predetto So., messaggi attraverso i quali costoro sollecitavano il benestare del presidenti su alcune operazioni correlate (trattasi dei documenti nn.ri 653 "ricordati di messaggiare il presidente per le pratiche di oggi in CdA - quelle su acquisto, valori mobiliari... Fe. 11 milioni, Mo. 14 milioni, Fe. 20 milioni"; 654: "il presidente sta arrivando bisogna parlargli di Da. e Ca."; 655: "Ti ricordo Zi. da parlarne al pres per il fido da farsi alla sua finanziaria". Di qui la conclusione in ordine alla sussistenza dei presupposti tutti per affermare il coinvolgimento dell'imputato, a titolo di concorso, in tutti i reati ascrittigli. 1.9.2 Gi.Em. Con riferimento a Gi.Em. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Mercati (della quale egli, a far tempo dalla fine del 2007, era stato il responsabile -spettandogli in tale veste, fino alla cessazione del rapporto avvenuta nel giugno 2015, la direzione e il coordinamento dell'attività commerciale della banca - oltre a rivestire in B. il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma di cui ai docc. nr. 262-267 del Pubblico Ministero. Evidenziava poi come il GI. fosse anche membro del Comitato Soci, ossia dell'organo endoconsiliare deputato alla disamina preventiva delle richieste di acquisto e cessione delle azioni B. prima che le stesse fossero sottoposte al CdA. Ciò premesso il tribunale, nel rinviare al cap. X della sentenza quanto alla disamina della penale responsabilità del GI. per il reato di cui al capo N1, affermava che l'istruttoria dibattimentale consentiva di ritenere "emerso in modo univoco" il diretto coinvolgimento del GI. "in tutti gli aspetti della illecita operatività della Banca", elencando al riguardo le seguenti condotte dal predetto poste in essere: - aveva significativamente contribuito alla definizione e all'attuazione delle prassi operative in tema di capitale finanziato: - aveva partecipato direttamente alle più rilevanti operazioni di capitale finanziato (c.d. "big ticket"); - aveva personalmente sottoscritto alcune lettere di impegno di B. al riacquisto delle azioni precedentemente vendute ai clienti cui esse erano indirizzate, autorizzando altresì in via preventiva la sottoscrizione di analoghe lettere da parte dei funzionari a lui sottoposti; - aveva co-organizzato e programmato una capillare attività di monitoraggio della produttività della rete commerciale, esercitando forti pressioni sui dipendenti della stessa al fine di stimolare il raggiungimento degli obiettivi di raccolta del capitale; - aveva personalmente autorizzato storni di interessi come forma di remunerazione dell'investimento in azioni B.; - aveva, in molteplici occasioni, ostacolato l'accertamento dell'illecita operatività della banca non soltanto nei confronti delle autorità di vigilanza esterna ma altresì nei confronti delle società di revisione (cfr. in particolare l'episodio che aveva coinvolto la società di revisione K.) e della vigilanza interna (audit). Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il primo giudice anzitutto illustrava i contenuti - evidenziati in particolar modo negli appunti manoscritti redatti dal segretario generale Ma.So. (doc. nr. 389 del P.M.), il quale ne aveva riferito nel suo esame dibattimentale - della riunione del Comitato di Direzione tenutasi l'8.11.2011, cui avevano partecipato fra gli altri, oltre al GI., il direttore generale Sa.So., il presidente Zo.Gi., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. (dirigente altresì preposto alla redazione dei documenti contabili), il responsabile della Divisione Finanza An.Pi., il direttore generale della controllata toscana Ca. Fr.To., il vicedirettore generale della controllata siciliana Ba.Nu. Um.Se.. In quella sede, dopo che il PE. aveva evidenziato la necessità di collocare più di 100 milioni di azioni, il To. e il Se. (secondo quanto ricostruito nel suo esame dibattimentale dal teste assistito To., il quale peraltro evidenziava come all'epoca si ritenesse in generale inapplicabile l'art. 2358 c.c. alle banche popolari in quanto cooperative) avevano prospettato espressamente la necessità di ricorrere ad operazioni c.d. "baciate" - benché "non facili da proporre come nell'occasione riconosciuto dal To. - al fine di aumentare il collocamento delle azioni, tenuto conto anche del fatto che mancavano ormai solo poco più di 30 giorni alla chiusura natalizia. Indi il primo giudice evidenziava come al GI. fosse ben nota -quantomeno dal giugno 2011 - la situazione, documentata in atti e altresì, riferita da vari testi, di crescente disallineamento tra le domande di acquisto di azioni e le richieste di vendita delle stesse (le quali sopravanzavano le domande di acquisto in maniera sempre più accentuata ed evidente), il che aveva determinato sin dal 2011 un incremento progressivo ed esponenziale del ricorso al capitale finanziato, secondo un "cambio di passo" riscontrabile proprio all'indomani della menzionata riunione del comitato di direzione tenutasi l'8.11.2011. In tale contesto - proseguiva il tribunale - Em.Gi. si era distinto in modo particolare per l'attivo ruolo svolto nell'organizzazione e nel coordinamento delle iniziative c.d. "svuota fondo", rivolte cioè ad attuare il sistematico svuotamento del fondo acquisto azioni proprie di B. (portato infatti a zero tanto alla fine del 2012 quanto alla fine del 2013) nonché per le pressioni - sempre più accentuate specie a partire dalla fine dell'anno 2012 - da lui esercitate sulla rete commerciale affinché fosse incrementato il collocamento delle azioni. Ampio spazio veniva dato al riguardo, in sentenza, alla deposizione dei testi Fi.Ro. (responsabile dell'Ufficio Soci) e Co.Tu. (funzionario in staff alla Divisione Mercati), secondo i quali il direttore generale So. e il GI. - che veicolava le direttive del So. all'intera rete - monitoravano congiuntamente l'andamento delle domande di acquisto e cessione delle azioni e prendevano le decisioni su quante azioni la banca potesse riacquistare, al che conseguiva il sorgere di un'esigenza di occultamento del capitale finanziato. Indi il primo giudice illustrava gli elementi probatori (fra cui le deposizioni dei testi Co.Tu., Gi.Gi., Ma.Ni., Al.Ba., Al.Cu., En.Da., Lu.Ve., Se.Ro., Ro.Ri. e altri) in base ai quali emergeva il ruolo del GI. nell'organizzazione delle attività di occultamento del capitale finanziato, segnatamente: - mediante il divieto, imposto alla rete, di comunicare per iscritto informazioni sul capitale finanziato; - mediante l'utilizzo nelle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) di una formula - estremamente generica ("necessità per investimenti immobiliari e mobiliari"); - mediante la raccomandazione di attuare un distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni e/o di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche azioni diverse da quelle di B.. La promozione e sollecitazione da parte del GI. dell'occultamento del capitale finanziato, posta in essere nei modi sopra indicati, ad avviso del primo Giudice si traduceva in un rilevante contributo dato dall'imputato all'alterazione della veridicità dei flussi informativi indirizzati all'autorità di vigilanza. In particolare tre episodi, secondo il tribunale, evidenziavano quella che in sentenza (cfr. pag. 647) veniva definita come la * pervicace condotta di Em.Gi. tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delle autorità di vigilanza ovvero della società di revisione": - la vicenda del private banker An.Vi., oggetto di una segnalazione da parte dell'avv. Es. che aveva a sua volta dato luogo ad accertamenti effettuati dall'audit, il cui responsabile Ma.Bo. (sentito come teste in dibattimento) aveva consegnato il 4.9.2014 il relativo report al direttore generale So., che dapprima assumeva un atteggiamento dilatorio salvo poi, pressato dal Bo., convocare il GI. nel gennaio 2015 e consegnargli il report dell'audit; di quest'ultimo, secondo il teste Co.Tu., il GI. aveva detto allo stesso Tu. - il quale pure aveva avuto in visione il report - che non avrebbe dovuto parlare con nessuno; s l'episodio della società di revisione K. (ricostruito all'udienza del 19.12.2019 dal teste Vi.An., partner di detta società; allo stesso episodio aveva altresì fatto riferimento l'avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., ricordando di essere stata zittita in malo modo tanto dal direttore generale So. quanto dal responsabile della Divisione Finanza PI. quando aveva cercato di sollecitare un audit su ciò che era stato riscontrato dalla società di revisione); per la precisione K. aveva, nel corso del suo controllo, individuato 17 posizioni a suo avviso sospette a causa della sostanziale coincidenza tra il valore delle azioni sottoscritte e l'utilizzo dei fidi concessi nonché a causa della vicinanza temporale tra la concessione del finanziamento e la data di acquisto delle azioni; il teste An. aveva dapprima informato il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio, Ma.Pe., e il collegio sindacale; indi, unitamente al PE., aveva presentato l'elenco delle 17 posizioni al direttore generale So. che lo aveva indirizzato al GI.; questi aveva rassicurato l'An. di K. circa la regolarità delle operazioni, l'assenza di criticità, il' rispetto del merito creditizio, l'assenza di correlazioni tra gli acquisti delle azioni e le erogazioni dei finanziamenti; tuttavia K. aveva insistito per ottenere un parere favorevole della direzione affari legali della banca (parere che l'avv. Pa. non riteneva di poter rilasciare), sicché si era giunti a un compromesso - secondo quanto riferito dalla stessa teste Pa. - basato sull'invio a K. di una lettera interlocutoria (elaborata con il contributo anche del GI. che aveva insistito per evidenziare in essa il rispetto del requisito del merito creditizio) contenente l'impegno a svolgere le operazioni necessarie per chiarire le operazioni segnalate; - le modalità di interlocuzione tenute dal GI. con la squadra ispettiva della BCE nel 2015, allorquando l'ispettore Gi.Ma., sentito come teste, aveva cercato di instaurare un contraddittorio preliminare con i vertici aziendali su poco meno di una cinquantina di posizioni già emerse, durante l'ispezione, come connotate dal compimento di operazioni correlate. Secondo quanto riferito dal teste Ma. il GI., nell'incontro con lui avuto il 12.5.2015 (presente anche il teste Al.Ba., la cui agenda conteneva al riguardo appunti idonei a riscontrare appieno il teste Ma.) aveva escluso trattarsi di operazioni correlate, ribadendo all'ispettore che tutti i finanziamenti erano giustificati dal merito creditizio; il GI. aveva anche preso parte alla predisposizione, sempre in relazione a quella cinquantina di posizioni emerse come critiche, di schede da consegnare all'ispettore Ma., il quale però le aveva giudicate inadeguate e insufficienti (analoga valutazione delle schede era stata previamente compiuta dal teste Ma.Bo., responsabile dell'audit). Indi il tribunale passava in rassegna le risultanze istruttorie - indicate in sentenza come plurime e convergenti (fra esse si citavano le deposizioni dei testi Gi.Ca., capo area; Gi.Gi., direttore regionale; Ma.Ni., capo area, Al.Cu., capo area, ed altri ancora) - circa il ruolo svolto dai GI. nell'azione di coordinamento e impulso della rete commerciale tesa a promuovere la stipula, a ritmi sempre più incalzanti, di operazioni correlate. Il primo Giudice evidenziava altresì come il GI. risultasse avere personalmente sottoscritto 16 - per un totale di 80 milioni di euro - fra le 65 lettere B. di impegno al riacquisto delle proprie azioni (tali lettere - in alcuni casi particolarmente impegnative per la banca - avevano l'evidente funzione di rassicurare i soci) consegnate alla squadra ispettiva BCE nella primavera del 2015. Sul punto la sentenza dava ampio risalto, in particolare, alla deposizione del teste Co.Tu. e a quella del teste Lo.Be., capo area. Sempre sul tema delle lettere di impegno il primo giudice indicava come particolarmente significativa, riportandone il contenuto (leggibile a pag. 95 della relativa perizia), la trascrizione della conversazione telefonica n. progr. 359 dell'1.9.2015 intercorsa tra il GI. e il sindaco La.Pi.. Sulle lettere di impegno il tribunale citava altresì - più avanti nel tessuto motivazionale della sentenza: cfr. sue pagg. 671-672 - il contenuto della deposizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'Internal audit, nella parte in cui riferiva di un incontro tenutosi con l'avv. An.Ge. - col quale il d.g. So. voleva concordare una linea difensiva - il 24.4,2015 a Vicenza (presenti, oltre allo stesso Bo. e al So., l'imputato GI. per la Divisione Mercati nonché An.Pi. per la Divisione Finanza, Ma.Pe. per la Divisione Pianificazione e Bilancio, l'avv. An.Pa. dell'ufficio legale e altri ancora); in tale occasione era stato proprio il GI. a parlare espressamente delle lettere di impegno dicendo che erano una ventina (in realtà, come detto, ne emersero oltre il triplo di cui 16 sottoscritte dallo stesso GI.), ammettendo di averne sottoscritte alcune e precisando che la situazione era grave, avendo ormai il fenomeno dei finanziamenti correlati raggiunto dimensioni rilevanti che avrebbero messo in crisi la banca. Il collegio vicentino passava indi ad esaminare le risultanze istruttorie (in particolare le deposizioni dei testi Gi.Ca., Co.Tu., Lu.Ve., nonché la e-mail - doc. 755 del P.M. - inviata il 29.9.2014 da Vi.Ga. al GI.) inerenti al ruolo concretamente svolto dallo stesso GI. nell'attuazione degli storni di interessi. Il primo giudice evidenziava poi come talune fra le operazioni correlate - soprattutto le c.d. big ticket, ossia quelle più importanti per rilevanza ed entità - vedessero un diretto coinvolgimento del GI. in prima persona nella loro conduzione (unitamente al direttore generale So.: i due si recavano appositamente in visita congiunta ai clienti - per lo più imprenditori - maggiormente patrimonializzati), menzionando le evidenze probatorie raccolte al riguardo e in particolare le deposizioni rese dai testi, fra cui Ro.Ri. (gestore private della filiale di Contrà Porti), Tr.Lo. (cliente), Gi.Ra. (cliente), Luca Fe.ni (cliente), Sa.Bu. (cliente), Lu.Mo. (cliente), Gi.Ro. (cliente), Pi.Ca. (cliente) e altri. Indi il tribunale passava in rassegna le deposizioni rese da parecchi testi (Di.Ip., Ma.Ni., Lu.Ve., Fu.Bo.) - fra i quali molti capi area ma anche due private banker come An.Vi. e Fr.Te., dimessisi entrambi, a loro dire, proprio a causa delle pressioni ricevute - dalle quali emergevano, a suo avviso, le sistematiche pressioni esercitate non soltanto dal direttore generale So. ma anche dall'imputato GI. sulla rete commerciale - a partire dal 2012 - affinché fossero raggiunti gli obiettivi di raccolta del capitale prefissati. L'effettivo esercizio di tali pressioni - proseguivano i giudici vicentini - trovava comunque plurimi riscontri documentali, in particolare nelle produzioni di cui ai docc. nn. 22, 91-95, 298, 657, 660 del P.M.. Altro elemento probatorio di pregnante rilevanza a carico del GI., secondo il primo giudice, era rappresentato dalla trascrizione del file audio corrispondente alla registrazione dì quanto detto nell'ambito del Comitato di Direzione tenutosi il 10.11.2014, al quale il GI. aveva preso parte unitamente al direttore generale So. e agli altri immediati suoi sottoposti. Ampi stralci di tale trascrizione sono riportati alle pagg. 666-667 della gravata sentenza. In particolare il direttore generale So., alla pag. 34 della trascrizione, dichiarava fra l'altro agli astanti che la banca aveva "fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare ... Noi dobbiamo selezionare molto di più i nostri impieghi (...). Non possiamo smontarli perché ci sono azioni dietro, ma non possiamo neanche tenerci questo popò di problema. Quindi dobbiamo risolvere il problema delle azioni appiccicate a questi e poi andiamo a vedere nominativo per nominativo (...)". Alla pag. 27 della trascrizione il responsabile della Divisione Finanza, An.Pi., parlava della necessità di collocare 27 milioni residui di azioni detenute dai fondi esteri trovando qualcuno che le compra a sconto"; il GI. gli replicava prospettando un possibile scambio con (...) (già (...)) che deteneva a sua volta titoli di (...) Banca. Alla pag. 67 della trascrizione il GI. si rivolgeva al So. nei seguenti termini: "Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? (...)". Al riguardo il tribunale vicentino affermava che, a differenza di quanto sostenuto dagli imputati in dibattimento, non emergeva dalla trascrizione (e ancor meno dall'ascolto diretto del file audio) alcun disallineamento degli astanti rispetto alla posizione espressa dal direttore generale So., né era dato cogliere, per converso, alcuna supina subordinazione dei predetti alla volontà dello stesso So., trattandosi piuttosto di un dialogo ove ognuno dei presenti prospettava - alla pari - problemi e ipotesi di soluzione. Il primo giudice passava quindi a valutare il complesso delle affermazioni rese dall'imputato GI. in sede di esame dibattimentale, sostenendo che l'assunto di questi circa la sua non consapevolezza delle reali dimensioni quantitative del capitale finanziato era ampiamente smentito da varie convergenti emergenze probatorie fra le quali spiccavano, oltre al tenore della trascrizione del menzionato file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014, alcune produzioni documentali (segnatamente le tabelle di rendicontazione sub docc. nn. 272, 273, 274, 275 del Pubblico Ministero) e varie deposizioni testimoniali (tra cui quelle dei testi Ma.So., Co.Tu., Cl.Gi. e Ro.Pr., quest'ultimo responsabile della direzione private dall'ottobre 2014, ma anche le deposizioni dei testi Gi.Am. e Ma.Li.); veniva riportato al riguardo in sentenza anche il tenore della già sopra menzionata deposizione del teste Ma.Bo. - responsabile dell'Internal audit - in ordine ai contenuti dell'incontro con l'avv. An.Ge. tenutosi in data 24.4.2015. Il tribunale - dopo avere illustrato alle pagg. 672-676 la versione resa dall'imputato GI. su vari argomenti (oltre al tema delle lettere di impegno anche quello degli storni di interessi, quello dell'episodio della società di revisione K., quello dei propri rapporti con il d.g. So. del quale eseguiva le direttive, quello delle pesanti pressioni provenienti a suo dire dallo stesso So. e dal CdA della banca e rivolte a sé come a tutti gli altri manager, sempre a suo dire tutti coinvolti, senza esclusione di alcuno, nella vicenda delle operazioni correlate) - riteneva tale versione smentita, tanto sulla piena consapevolezza dell'illegittimità delle svolte operazioni correlate (che il GI. - a suo dire - pensava fossero invece legittime, specie dopo che l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 non aveva mosso rilievi circa l'operatività dell'art. 2358 c.c.) quanto sul loro occultamento al mercato e alla vigilanza, da una serie di risultanze probatorie di segno contrario, così sunteggiate dai giudici vicentini: - il divieto di dare indicazioni scritte, l'utilizzo della P.E.F. generica, lo scostamento temporale tra delibera di fido e acquisto delle azioni; le indicazioni date di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche titoli diversi dalle azioni di B.; - l'inserimento nelle delibere autorizzale e nei documenti di offerta - in occasione dei miniaucap 2013 e 2014 - del richiamo al rispetto dei limiti di cui all'art 2358 c.c.; - l'omesso riferimento, nel corso dei colloqui con gli ispettori Vi.Ca. (AQR - Asset Quality Review) e Gi.Ma. (BCE), tanto al capitale finanziato quanto, in alternativa, agli esiti - di presunta rassicurazione circa l'inapplicabilità a B. dell'art. 2358 c.c. - dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012; - la valenza dei tre episodi relativi alle vicende del private banker An.Vi., della società di revisione K. e delle schede consegnate all'ispettore Ma.. Il primo giudice escludeva altresì la fondatezza dell'assunto del GI. circa il suo essere convinto che lo scorporo delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza avesse avuto luogo, definendolo come una "tesi (...) assolutamente inverosimile; è evidente che lo scopo delle operazioni finanziate era quello di dissimulare riliquidità del titolo, in ipotesi di corretta appostazione delle stesse esse sarebbero state inutili" (cfr. pag. 677 sentenza gravata). Non poteva avere infine alcuna valenza scriminante, secondo il tribunale, la necessità, dedotta dal GI., di dare esecuzione a direttive impartitegli dal CdA e/o dal direttore generale So., tenuto conto della sua veste di dirigente apicale membro della struttura esecutiva e investito ex lege di dirette responsabilità di gestione. 1.9.3 Ma.Pa. Con riferimento a Ma.Pa. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Crediti (della quale egli era stato il responsabile dal giugno 2010 sino al dicembre 2014, il che lo rendeva membro di diritto del Comitato Centrale Fidi e del Comitato Crediti) oltre a rivestire in B., a far tempo dal 18 ottobre 2011, anche il ruolo di vice direttore generale; citava a tal proposito la relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia nonché (con apparente riguardo alla sola gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati) il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale n. 262 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Crediti erano così descritte dal tribunale: - assicurare, in materia di erogazione del credito, il rispetto delle norme e disposizioni dell'Organo di Vigilanza, dello statuto nonché delle delibere degli organi superiori; - garantire l'analisi e la valutazione degli affidamenti secondo quanto previsto dalla normativa interna, nonché il loro perfezionamento e quello delle relative garanzie; - verificare la regolarità dell'iter di delibera delle concessioni di credito, nei limiti delle facoltà delegate, avvalendosi dell'attività delle strutture preposte che dipendevano dalla Divisione Crediti stessa; - presentare le proposte di finanziamento di competenza degli organi superiori, avvalendosi dell'attività della UO Analisi, anche alla luce dell'andamento del Gruppo e del settore economico di appartenenza; s garantire alla rete delle filiali un adeguato supporto di consulenza sulle tematiche di competenza, in particolare attraverso le strutture delle UO crediti di area e della U.O. Analisi; s assicurare la gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati. Nel far ciò il collegio vicentino affermava più in generale che "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito, compreso il rispetto della normativa in materia, sia di fonte "esterna" (norme e disposizioni delie Autorità di vigilanza) sia di fonte "interna"(statuto e delibere degli organi sovraordinati). In particolare, oltre a curare, per quanto di competenza, la fase di analisi e valutazione degli affidamenti, la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (e delle relative garanzie) e di gestione dell'anagrafe generale (...). In ogni caso la Divisione Crediti era chiamata a stabilire - sulla base degli indirizzi dei CdA e della Direzione Generale e per quanto di competenza - le politiche di gestione del credito" (cfr. pagg. 678-679 sentenza gravata). Nondimeno - proseguiva il tribunale - nel suo esame dibattimentale del "13.6.2013" (rectius 13.6.2019) il teste Cl.Gi., indicato in tale passo della sentenza impugnata come capo area di Vicenza, aveva dettagliatamente spiegato che la struttura dei Crediti era articolata su base territoriale: vi erano una funzione crediti dedicata in capo a ogni singolo capo area e una funzione crediti in capo alla direzione regionale; ciascuna direzione regionale a sua volta coordinava le proprie quattro aree di riferimento; entro certi limiti tali strutture decentrate godevano anche di una potestà deliberativa autonoma, di talché il processo di elaborazione del credito era definito in autonomia quanto agli aspetti relativi all'analisi e alla definizione della delibera; solo se esso eccedeva la potestà deliberativa si faceva luogo a una mera verifica di adeguatezza della proposta che la struttura decentrata inviava alla Divisione Crediti, deputata in quel caso a valutare in autonomia la relativa pratica. Ciò premesso il tribunale affermava che la svolta istruttoria dibattimentale consentiva dì ritenere univocamente provata la penale responsabilità dell'imputato, dimostratosi pienamente consapevole di tutte le condotte di reato ascrittegli. Premetteva al riguardo il collegio che, a detta del teste Em.Ga. (responsabile del team ispettivo che aveva operato nei confronti di B. nell'anno 2015), l'analisi delle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) condotta in sede ispettiva ne aveva subito evidenziato l'assenza di garanzie nonché l'estrema genericità e ripetitività delle causali indicate (le quali per lo più utilizzavano espressioni come cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare o immobiliare), il che era indice di sospettosità dal momento che in genere una banca, in caso di erogazione di fidi destinati ad acquisti di strumenti finanziari, era ben informata su quale tipologia di strumento finanziario il cliente desiderasse acquistare, su quali ne fossero le caratteristiche principali di rischio e su quali beni fossero costituiti in garanzia (essi corrispondevano per lo più agli stessi strumenti finanziari acquistati o ad altri di valore equivalente). Affermava il primo giudice che la svolta istruttoria aveva evidenziato in capo a Pa.Ma. un ruolo di centralità nel garantire che la rete si uniformasse all'istruzione operativa di utilizzare, nelle P.E.F. aventi ad oggetto capitale finanziato, la sopra evidenziata causale improntata a una formula generica e di stile (dal tribunale indicata come "causale sentinella" proprio in quanto consentiva di rendere immediatamente riconoscibile ai diversi addetti l'effettiva finalità dell'operazione di finanziamento). Il collegio giudicante citava al riguardo le deposizioni rese da vari testi. Quanto alla genesi della ed. "causale generica sentinella" il primo giudice evidenziava quanto segue: il capo area Gi.Ca. affermava che l'uso della causale generica gli era stato consigliato dai suoi superiori Ro.Pr., Lu.Ve. e Gi.Gi.; il capo area Lu.Ve. affermava che l'uso della causale generica era stato raccomandato da una direttiva di area illustrata nelle riunioni, probabilmente ad opera del responsabile della Divisione Mercati Em.Gi., ma che la Direzione Crediti ne era a sua volta a conoscenza tanto che in un'occasione egli aveva parlato direttamente con Pa.Ma. - e in maniera esplicita - dell'effettiva natura di un'operazione di finanziamento che andava a perfezionarsi con il titolare di un noto pastificio; il capo area Ma.Ni. indicava Cl.Gi. ed Em.Gi. come i soggetti dai quali proveniva l'indicazione di usare la causale generica aggiungendo che comunque la Divisione Crediti sapeva che un'operazione connotata da siffatta causale era un'operazione correlata all'acquisto di azioni della banca (in alcuni casi gli analisti della Divisione Crediti avevano anche chiesto al capo area di confermare che l'operazione fosse "baciata"); il capo area En.Da. ricordava che in alcune occasioni il direttore di filiale non aveva inserito la causale indicata (al che - a suo dire - l'Ufficio Crediti aveva restituito la pratica per il cambio della causale); il capo area e indi direttore regionale Cl.Gi. affermava di avere parlato - in alcune occasioni - di finanziamenti correlati con la Divisione Crediti e precisamente con il suo responsabile Pa.Ma. (la formula generica era stata a suo dire suggerita forse da Em.Gi. o forse da Co.Tu., funzionario in staff alla Divisione Mercati), fermo restando che - sempre a detta del Gi. - in alcune occasioni lo stesso Comitato Crediti, al quale partecipavano i direttori regionali, aveva deliberato operazioni di finanziamento in tutto o in parte correlate; il capo area e indi direttore regionale Al.Ca. (escusso ex art 210 c.p.p.) aveva attribuito - a seguito di contestazione - al MA. l'indicazione, data nel corso di alcune riunioni operative, di utilizzare la causale generica; anche secondo il teste Co.Tu. l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data dal MA., e ciò ancora alla fine dell'anno 2012 (secondo il teste Tu. il MA. aveva dato tale consiglio "perché questo tipo di operazioni era borderline e poteva destare l'attenzione della CONSOB e della Banca d'Italia"); il teste Gi.Am., responsabile nel periodo 2013-2014 della divisione retail, affermava che l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data da Em.Gi. ma era stata ripresa e ribadita anche da Pa.Ma., il quale - sempre a detta del teste Am. - aveva altresì respinto alcune pratiche in cui era indicata in modo esplicito la destinazione del finanziamento all'acquisto delle azioni di B.. Quanto poi all'altro espediente emerso durante l'istruttoria dibattimentale, ossia la precauzione di mantenere - per prevenire eventuali sospetti - una qual certa sfasatura temporale tra l'erogazione del fido e l'acquisto delle azioni B., il teste Co.Tu. affermava che il consiglio di far intercorrere un lasso di tempo alquanto lungo tra la delibera di affidamento, la sottoscrizione delle azioni e l'addebito sul conto era venuto da Ma.Pa. (peraltro nel corso del controesame il teste Tu. aveva dichiarato che lo scopo dell'indicazione di mantenere una sfasatura temporale non era quello di occultare l'effettiva finalità del finanziamento bensì, "principalmente", quello di evitare sconfinamenti sul c/c); il teste Lu.Ve. ricordava che la raccomandazione di far rispettare la sfasatura temporale era stata del GI., il quale aveva comunque precisato trattarsi di una linea operativa concordata con la Divisione Crediti. A memoria del teste En.Da. il consiglio di osservare la sfasatura temporale era venuto - benché di fatto i fidi non venissero gestiti dalla loro divisione di appartenenza che era la Divisione Mercati - da Em.Gi. e Co.Tu., i quali a loro volta dissero che ciò era stato specificamente concordato con la Divisione Crediti; sempre il teste capo area Da. ricordava che il MA. in una o due occasioni lo aveva contattato per operazioni correlate ove il teste stesso aveva mandato contestualmente alla Divisione Crediti sia la pratica di finanziamento sia il modulo già compilato di acquisto delle azioni, restituendogli tali pratiche con il seguente rimprovero: "non voglio vedere queste cose qua, mandi la pratica in maniera corretta e le azioni le acquisti quando la pratica è stata deliberata". Il teste Se.Ro., dell'Ufficio Soci, affermava che, a seguito dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012, il direttore generale So. e i vicedirettori GI. e MA. avevano raccomandato alla rete di fare in modo che la data di acquisto delle azioni fosse successiva alla data di delibera dei finanziamenti, ma ciò solo per evitare - a suo dire - sconfinamenti sul c/c. Il primo giudice affermava che vi era anche una prova documentale -rappresentata dal sopra illustrato file audio della registrazione dello svolgimento del Comitato di Direzione dd. 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.) - del fatto che la linea di indirizzo in tema di rispetto della sfasatura temporale nelle operazioni "baciate" fosse stata concordata con la Divisione Crediti diretta da Pa.Ma.; ne riportava al riguardo (cfr. pagg. 685-686 sentenza gravata) un lungo stralcio - a suo dire particolarmente eloquente - relativo a un dialogo tra lo stesso MA. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.. Il tribunale procedeva quindi a illustrare la ed. "campagna riqualificazione impieghi", deliberata dal CdA il 21.10.2014 (giusta doc. nr. 102 del P.M.) e presentata al Consiglio proprio da Pa.Ma.; trattavasi di un'iniziativa finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate - in sede di rinnovo o di revisione degli affidamenti - in base al peso percentuale delle azioni B. detenute dal cliente. Il primo giudice, sempre al fine dì illustrare il ritenuto protagonismo della posizione rivestita da Pa.Ma. nell'attuazione delle operazioni correlate, ricordava un episodio narrato da Um.Se., già direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu.: dalla capogruppo B. era giunta (su indicazione di Em.Gi. e Co.Tu. della Divisione Mercati, condivisa dalla Divisione Crediti nella persona di Pa.Ma.) una lista di nominativi ai quali la stessa Ba.Nu. avrebbe dovuto concedere affidamenti accompagnati dall'acquisto di azioni B. per un controvalore pari al 10-15-20% dell'intero affidamento; il teste Se., notando che alcuni dei nomi compresi nell'elenco corrispondevano a società sottoposte a procedura concorsuale, aveva parlato con Cl.Am. - della Divisione Crediti di B., subalterno del MA. - per chiedere spiegazioni; l'Am., dopo aver conferito con il suo superiore Pa.Ma., aveva replicato che Ba.Nu. doveva limitarsi a eseguire le direttive senza discuterle e che un tanto gli era stato detto dal MA.: "Guarda, il dottor Ma. mi ha urlato e mi ha detto che questa cosa la dovete fare. Punto e basta". Il collegio vicentino passava quindi ad illustrare gli estremi di una operazione correlata di finanziamento proposta personalmente nell'ottobre 2012 da Pa.Ma. a un imprenditore da lui conosciuto nel 2007 (quindi tre anni prima di entrare in B.), ossia Ez.Ci. del gruppo (...), del quale veniva acquisito in dibattimento ex art. 493 comma 3 c.p.p. il verbale delle s.i.t. rese il 24.10.2016. Il Ci. aveva dichiarato a s.i.t. che nell'occasione il MA. si era presentato a lui proponendogli di sottoscrivere azioni B. per complessivi 5 milioni di euro; alle perplessità del Ci., che aveva risposto di non disporre delle risorse a ciò necessarie. Il MA. aveva a sua volta replicato che B. avrebbe erogato un finanziamento di pari importo, a termine con scadenza di un anno, destinato ad essere garantito dalle stesse azioni B. che poi sarebbero state tenute in custodia dalla banca. Il Ci. si era risolto ad accettare la proposta dopo che MA. lo aveva rassicurato dicendogli che operazioni analoghe erano del tutto lecite ed erano state proposte anche ad altri imprenditori (da lui non nominati trattandosi a suo dire di notizia riservata); a ottobre 2013 detta operazione era stata rinnovata annualmente e così pure l'anno seguente. Nel maggio-giugno del 2013 B. aveva proposto al Ci. di partecipare all'aumento di capitale di quell'anno, il che anche in tal caso era avvenuto grazie a un finanziamento concessogli dalla stessa B.. Un pieno riscontro alle s.i.t. del Ci. era rappresentato - ad avviso del tribunale - dalla deposizione del teste Fr.Pi., capo area del distretto Veneto occidentale (indicato al Ci., nel racconto di questi, dal MA. come colui che avrebbe seguito la sua pratica, e così era stato). Il primo giudice individuava ulteriori elementi probatori del coinvolgimento a pieno titolo di Pa.Ma. nelle operazioni correlate effettuate da B. mediante c.d. "baciate" nelle deposizioni dei testi Gi.Gi., in B. con il ruolo di direttore regionale di Lombardia, Liguria e Piemonte (secondo il quale le pratiche di fido relative a operazioni "baciate" erano preannunciate alla Divisione Crediti e condivìse con i componenti di essa incluso il suo vertice MA., il quale partecipava altresì al comitato crediti ove pure veniva sempre evidenziata - dai componenti la Divisione Crediti che vi partecipavano - l'eventuale natura "baciata" delle pratiche di fido ivi presentate), e Fu.Bo., capo area (che rendeva sul punto dichiarazioni di analogo tenore), nonché in alcuni messaggi sms (in particolare il doc. nr, 653 del Pubblico Ministero, relativo a un sms del 27.9.2011, e il suo doc. nr. 655, relativo a un sms del 26.10.2012) nei quali il MA. ricordava al direttore generale So. di riferire al Presidente circa alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato, indicandogli nominativamente i soggetti suscettibili di essere finanziati - effettivamente risultati tali in seguito - nonché, in molti casi, il relativo importo). Ulteriore elemento probatorio indicato dal primo giudice a carico del MA. erano le risultanze degli accertamenti interni svolti dall'audit di B. sul capitale finanziato, in particolare la nota 7.5.2015 dell'Internaf audit (doc. nr. 23 del Pubblico Ministero) nella quale si evidenziava tra l'altro come la maggior parte delle numerose posizioni correlate rinvenute nel portafoglio di Ro.Ri., gestore private della filiale di Contrà Porti, fossero state deliberate da organi collegiali su presentazione proprio di Pa.Ma. (87%) oppure fossero state deliberate dallo stesso responsabile della Divisione Crediti. Il collegio vicentino passava quindi a ricostruire le interlocuzioni avute dal MA. con la vigilanza, rinviando - quanto a quelle inerenti all'ispezione della Banca d'Italia del 2012 - all'apposito cap. IX della sentenza, interamente dedicato a tale ispezione. In particolare tanto il teste Ma.Pa. (nel riferire di due incontri interlocutori da lui condotti cui aveva partecipato il MA. nel luglio 2013, il primo assieme al segretario generale Ma.So. e il secondo assieme al direttore generale Sa.So.) quar°z(il teste Vi.Ca. (nel riferire dell'accesso da lui condotto da febbraio ad agosto 2014 nell'ambito dell'AQR - Asset Quality Review, ove si era stabilmente relazionato con il MA.) precisavano che in tali occasioni nessuno aveva fatto il benché minimo riferimento al ricorso all'assistenza finanziaria per il collocamento delle azioni. Il primo giudice indi illustrava la versione dell'imputato, resa in occasione dell'esame dibattimentale tenutosi nelle udienze dell'11 e del 16 giugno 2020, evidenziando come essa da un lato fosse difforme dalle stesse dichiarazioni rese dal MA. in sede di indagini preliminari (interrogatori del 28 aprile e del 2 maggio 2017) e dall'altro lato configgesse in più punti - ad esempio nella parte in cui egli affermava che la causale generica "acquisto valori mobiliari e immobiliari", in uso almeno dal 2006, fosse un mero espediente tecnico per garantire il perfezionamento del fido in quanto, a suo dire, non esisteva il prodotto "finanziamento per acquisto azioni", o nella parte in cui egli affermava di non essere mai stato informato del fatto che i finanziamenti fossero destinati all'acquisto delle azioni - con il sopra delineato quadro probatorio. Il primo giudice evidenziava come l'esame dibattimentale del MA. divergesse radicalmente dai suoi interrogatori resi in sede dì indagine preliminare, in particolare dall'interrogatorio del 28.4,2017 in relazione alla vicenda dell'Operazione Sorgente (in tesi accusatoria si trattava di un'operazione "baciata" attraverso la quale la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato un finanziamento di 25 milioni di euro alla società So. Ltd., facente parte del gruppo Mainetti, che era stato utilizzato per acquisto di azioni B. al fine di consentirne la dismissione dal fondo estero "(...)"). In sede di esame dibattimentale il MA. negava trattarsi di operazione correlata mentre durante le indagini preliminari l'aveva definita "un'operazione baciata imposta da PI. al So. (...) Sono venuto a conoscenza di questa operazione con la proposta di affidamento giunta in Divisione Crediti. Ho compreso che si trattava di un'operazione baciata in quanto la causale dell'affidamento era indicata con la generica dicitura di cui ho detto prima, "cogliere opportunità di mercato" o analoghe, e inoltre vi era l'impegno al deposito dei titoli presso B.". Che la versione rispondente al vero fosse quella resa dal MA. in sede di indagini preliminari - proseguiva il tribunale - lo si evinceva da due elementi di prova rappresentati dal più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014 (nella trascrizione prodotta dal Pubblico Ministero quale suo doc. nr. 110, cfr. ieri particolare sua pag. 43) e da una conversazione intercettata Io.-Ma. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. Il tribunale evidenziava altresì come un ulteriore assunto del MA. - secondo cui egli e il suo sottoposto Cl.Am. avevano disvelato agli ispettori della Banca d'Italia nel 2012 il carattere correlato delle operazioni effettuate da almeno una quindicina circa dei clienti dì cui alla lista dei primi trenta soci di B. - fosse stato smentito dalle deposizioni dei predetti ispettori (che avevano concordemente negato la circostanza) e non avesse trovato il benché minimo riscontro in atti. Né - significativamente, secondo il collegio vicentino - il MA., soggetto da ritenersi nel complesso del tutto inattendibile, aveva mai accennato a tale preteso disvelamento neppure nei suoi atti giudiziari relativi alle cause di lavoro e all'azione di responsabilità dinanzi al tribunale delle imprese. Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono il primo giudice riteneva indubitabili il rilevante apporto causale concorsuale del MA. a tutti i reati ascrittigli (in base alla tabella n. 1 allegata al supplemento di consulenza tecnica del Pubblico Ministero dd. 14.11.2019 egli risultava avere partecipato consapevolmente alla fase deliberativa di finanziamenti correlati per un importo di circa 800 milioni di euro, di cui 414 milioni deliberati dal CdA su pratiche presentate dall'imputato, 160 milioni deliberati dal Comitato Crediti di cui il MA. era membro, 108 milioni deliberati dallo stesso MA. quale organo monocratico dotato di autonoma potestà deliberativa, 63 e 49 milioni rispettivamente deliberati dal Comitato esecutivo e dal Comitato Centrale fidi, anche in tal caso sulla base della presentazione di pratiche effettuata dal MA.) e il pieno ricorrere dell'elemento soggettivo del reato. 1.9.4 Pi.An. Con riferimento all'imputato Pi.An. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Finanza (nella quale egli operava con tale qualifica dal 2009 oltre a rivestire in B. anche il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale nr. 261 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Finanza erano così descritte dal tribunale: - partecipare al coordinamento e allo sviluppo delle attività del mercato primario e secondario su comparti azionari e obbligazionari: - curare l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi e l'emissione dei prestiti obbligazionari del gruppo, coordinandosi con le Unità competenti; - collaborare con la Divisione Mercati nell'adeguare i prodotti e i servizi finanziari da offrire alla clientela, sulla base delle esigenze/opportunità rilevate, tenendo conto delle linee guida definite dal Comitato Prodotti e Wealth Management; s all'interno della Divisione Finanza poi il nucleo "Documentation" si occupava di valutare l'adeguatezza e l'allineamento degli strumenti finanziari e dei processi alla normativa primaria (TUF, TUB, Regolamenti CONSOB e Banca d'Italia) e secondaria nonché alla normativa interna nella prestazione dei servizi d'investimento o comunque nello svolgimento dell'attività della Divisione Finanza, con precipuo riferimento alla materia dei servizi di investimento, supportando la divisione nei rapporti con le funzioni di compliance, legale, auditing e organizzativa; - l'Unità svolgeva inoltre un ruolo di supporto alle funzioni responsabili del processo di gestione delle informative da fornire alla clientela prima della negoziazione di strumenti finanziari, in conformità al dettato dell'art, 31 del Regolamento intermediari, nelle fasi di aggiornamento delle stesse; - partecipazione, per la parte di competenza della Divisione Finanza, alla redazione della relazione per le Autorità di vigilanza sulle procedure di svolgimento dei servizi di investimento; s assicurare l'informativa e le segnalazioni istituzionali di propria competenza, coordinandosi con le Unità competenti. Il primo giudice affermava (cfr. pag. 703 sentenza gravata) che dall'istruttoria dibattimentale era emersa "la prova del ruolo svolto da An.Pi. in alcune operazioni di capitale finanziato di rilevante importo effettuate attraverso la controllata irlandese B.Fi. e nella sottoscrizione dei fondi lussemburghesi utilizzati come strumento di detenzione indiretta delle azioni proprie da parte della banca vicentina, in particolare - attraverso i fondi esteri - nell'ambito dell'iniziativa svuota fondo 2012 furono collocati 60 milioni di euro di azioni B.". Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il collegio vicentino individuava plurime condotte ritenute penalmente rilevanti a carico del PI. e in particolare: - operazioni di capitale finanziato effettuate, estero su estero, dalle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" - tre società denominate Ma., Ju. e Br. - tanto nel 2012 (in occasione della relativa campagna svuota fondo) quanto nel 2013 (in occasione dell'aumento di capitale di quell'anno). Per la precisione - in base alla ricostruzione effettuata in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma., riscontrato dalle deposizioni rese dai testi Gi.Gi. (in B., come detto, con la veste di direttore regionale per Lombardia-Liguria-Piemonte) e Pi.Ra. (d.g. di B.Fi.) - nel novembre/dicembre 2012 la controllata irlandese B.Fi., il cui direttore era il teste Pi.Ra., risultava avere erogato tre fidi c.d. "bullet", di 10 milioni di euro l'uno, alle suddette società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali a loro volta avevano girato la liquidità cosi ricevuta a tre società italiane neocostituite e denominate Pe. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime (facenti capo al gruppo Fi., il cui direttore finanza era Ma.Sb.) avevano provveduto ad acquistare azioni B. per importi corrispondenti ai finanziamenti erogati. Indi, nel luglio 2013, la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato nuovi finanziamenti per 3 milioni di euro alle tre società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali anche in tale occasione avevano girato la liquidità così ricevuta alle tre società italiane denominate Pe.In. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime a loro volta avevano sottoscritto azioni e obbligazioni convertibili per un ammontare equivalente; i testi Gi. e Ra. avevano delineato il ruolo attivo dell'imputato PI. in entrambe le operazioni (la cui istruttoria era stata seguita dalla Divisione Crediti della capogruppo B.) e in particolare il teste Ra., direttore della controllata irlandese B.Fi., aveva indicato il PI. come colui che gli aveva richiesto di impostare i suddetti finanziamenti, affermando altresì essersi trattato di operazioni atipiche per B.Fi., la quale generalmente finanziava aziende produttrici dì beni e non concludeva operazioni strettamente finanziarie (cosa questa obiettata dal Ra. al PI., il quale tuttavia gli aveva replicato - nella prima delle due occasioni - che occorreva fare l'operazione "per aiutare la banca a comprare le proprie azioni" e riuscire così a svuotare il fondo acquisto azioni proprie entro la fine dell'anno 2012). Un altro teste, Gi.Fe., direttore della Divisione Compliance, ricordava che, nel corso di un'attività ispettiva svolta dalla Compliance a Dublino nel 2013 nei confronti di B.Fi., i finanziamenti concessi alle "tre sorelle" lussemburghesi erano emersi, il che lo aveva indotto a rivolgersi al direttore generale So. che a sua volta lo aveva indirizzato al PI.; questi aveva rassicurato il Fe. dicendogli che in quel periodo B. stava acquistando molte azioni (...) e che in contropartita la Save stava comprando azioni B.; s investimento della somma complessiva di 350 milioni di euro (di cui 200 milioni investiti dalla capogruppo B., 100 per ciascun fondo, e i restanti 150 milioni investiti dalla controllata irlandese B.Fi. in due fondi lussemburghesi denominati "(...)" e "(...)" (sotto-fondi (...) Multistrateqy I e II). utilizzati quale strumento di detenzione indiretta delle azioni di B. (per tale tramite nel 2012 erano state concluse operazioni c,d. "svuota fondo" - atte cioè ad alleggerire il fondo acquisto azioni proprie di B. - del valore di 60 milioni di euro). La delibera di investimento nei fondi in oggetto, adottata dal CdA di B. in data 21.2.2012 (in atti quale doc. n. 325 del Pubblico Ministero), era stata sottoscritta dal PI. quale responsabile della Divisione Finanza dopo che lo stesso aveva illustrato al CdA i termini dell'operazione, a sua volta in precedenza pianificata nel corso di una riunione tenutasi il 5.12,2011 tra Ma.So., Fi.Ro. e An.Pi. per B. e la coppia di rappresentanti del fondo "(...)" formata da Al.Ma. - sentito quale teste ex art, 507 c.p.p. su richiesta della difesa del PI. - e Gi.Ma.. Ciò risultava dalle deposizioni del teste ispettore Gi.Ma., dei testi Ma.So. e - soprattutto - Fi.Ro. nonché dai messaggi sms (in atti quale doc. nr. 311 del P.M.) intercorsi nel novembre 2012 - pochi giorni prima della sottoscrizione dei contratti con i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" avvenuta il 28.11.2012 - fra An.Pi. e i gestori dei fondi stessi. Subito dopo aver ricevuto tali capitali i due fondi "(...)" e "(...)" avevano comprato azioni B.. Secondo il tribunale vicentino il fatto che tale investimento di B. nei fondi lussemburghesi - lungi dall'indicare un interesse di questi ultimi a diventare soci della banca, come ammesso, secondo il teste Fi.Ro., anche dal direttore generale So. durante il comitato soci del 18.12.2012 - fosse stato puramente strumentale all'esigenza della stessa banca dì svuotare il proprio fondo acquisto azioni emergeva non soltanto dalla stretta consequenzialità temporale fra tutte le operazioni come sopra descritte ma altresì dalla deposizione dello stesso teste Fi.Ro. (facente parte dell'Ufficio Soci di B.), che ricordava di avere assistito al riguardo - nel novembre 2012 -a un breve incontro sul tema tra il direttore generale Sa.So., il responsabile della Divisione Mercati Em.Gi. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi. (nell'occasione il So., secondo la ricostruzione del teste Ro., aveva esposto la necessità di svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B. per un ammontare di 100 milioni di euro; il PI. si era Impegnato a effettuare operazioni "svuota fondo" per 60 milioni di euro e il GI. aveva assicurato che avrebbe fatto altrettanto per un valore di 40 milioni di euro). Sempre il teste Ro. affermava che, come preannunciatogli dall'imputato PI., egli era stato contattato poco prima della fine del 2012 dagli intermediari dei fondi (per il fondo "(...)" trattavasi del broker inglese Ma.Sp.; l'operazione sul piano amministrativo era stata gestita per Ma.Sp. da Ti.Ch., anch'egli sentito come teste); - di questi, gli investimenti nel sotto-fondo (...) Multistrategy II erano stati posti in essere, come sopra accennato, dalla controllata irlandese B.Fi.. Nel luglio 2013 il CdA della capogruppo B. aveva infatti ampliato il portafoglio di investimento della controllata irlandese B.Fi. portandolo dalla somma di 35 milioni a quella di 300 milioni di euro, dei quali 150 milioni erano stati dalla stessa controllata investiti, nei due mesi seguenti, nel sotto-fondo (...) Multistrategy II in due tranche rispettivamente da 100 e da 50 milioni di euro; tale investimento era avvenuto - in base alla deposizione del teste Pietro Ra., direttore di B.Fi. - su precisa indicazione di An.Pi., il quale, sempre a detta del Ra. (che evidenziava altresì l'anomalia dell'ingente importo degli investimenti in un singolo fondo rispetto a quanto era usuale per B.Fi. nonché l'anomalia relativa alla non visibilità dei sottostanti), aveva messo quest'ultimo in contatto con Gi.St. (membro del CdA di (...) Evolution Fund SIF e funzionario senior di (...) Asset Management), soggetto che - citato a deporre quale teste dalla difesa del PI. nel presente procedimento con le garanzie ex art. 210 c.p.p. in quanto indagato per reato connesso di bancarotta fraudolenta a seguito della dichiarazione di insolvenza di B. - si era avvalso della facoltà di non rispondere. Dal canto suo il teste Pi.Ra. - che aveva evidenziato una progressivamente crescente ingerenza di B. nell'autonomia gestionale di B.Fi. - affermava di essere stato rassicurato dal PI. circa le sue perplessità e preoccupazioni derivanti dalle anomalie come sopra illustrate. Le articolate modalità della successiva dismissione (avvenuta nel corso del 2014, in parte mediante operazione di equity swap in compenso tra azioni B. e azioni Veneto Banca) delle azioni B. detenute dai fondi esteri in oggetto venivano illustrate dal collegio vicentino alle pagg. 712-713 della gravata sentenza (la dismissione, accertata in sede ispettiva, era riscontrata - al pari del ruolo svolto in essa da An.Pi. - anche dalle dichiarazioni del teste Ro.Ri., gestore private della filiale B. di Contrà Porti); s operazione correlata di finanziamento effettuata in favore della società So. Ltd. (appartenente al gruppo MainettO attraverso la controllata irlandese B.Fi., che le aveva erogato un fido c.d. "bullet" per un importo di circa 25 milioni di euro. Con tale liquidità la So. Ltd. a sua volta aveva acquistato, nel dicembre 2014, 13,5 milioni dì euro di azioni B. dal fondo "(...)" di milioni di euro di azioni B. dal fondo "(...)". Il tutto emergeva dall'ispezione BCE del 2015 e anche in questo caso - osservava il primo giudice - il ruolo centrale nell'organizzazione della relativa operazione era stato rivestito da An.Pi., secondo quanto dichiarato in sede dibattimentale dai testi Pi.Ra. - direttore della controllata irlandese B.Fi. - e Wa.Ma., amministratore delegato del gruppo So. (quest'ultimo precisava che era stato il PI. a proporgli un finanziamento di 25 milioni di euro "siccome dobbiamo collocare un po' delle nostre azioni" e affermava che, vinta la propria iniziale perplessità, alla fine aveva accettato); un solido riscontro a tali deposizioni - e non solo ad esse ma altresì, ad esempio, al coinvolgimento del PI. nella decisione della banca di ricorrere alle lettere di impegno nonché al suo attivarsi per reperire una soluzione atta a consentire la dismissione delle azioni B. detenute dai fondi - era individuato dal primo giudice nel più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione tenutosi in data 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.); un ulteriore riscontro veniva individuato nella conversazione intercettata Io./MA. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. A tutto ciò si aggiungeva la deposizione resa da Al.Ma. - fondatore di (...) Asset Management - il quale, sentito come teste ex art, 507 c.p.p., su richiesta della difesa del PI., confermava che i fondi (...) Multistrategy I e II erano stati costituiti nell'interesse esclusivo di B. quale unico investitore del fondo. Il tribunale vicentino proseguiva la propria disamina indicando come dimostrati anche gli investimenti, operati dai fondi esteri in questione, su indicazione del PI., in obbligazioni emesse da società legate ai gruppi imprenditoriali Ma., Fu. e De., già fortemente esposti nei confronti di B.; contestualmente anche gli impieghi in equity risultavano essere stati indirizzati, su indicazione dello stesso PI., nei confronti di società illiquide clienti di B.: la Me.Ca. SpA (legata ad Al.Ma.) e la Ital-Finance SpA (riconducibile al gruppo De Gennaro). Inoltre - notava il primo giudice - il PI. risultava coinvolto più in generale nell'intera illecita operatività di B., risultando egli essere stato fra l'altro presente (giusta appunti manoscritti redatti dal teste Ma.So., in atti quale doc. nr. 389 del P.M.) al Comitato di Direzione tenutosi l'8.11.2011 nel quale erano stati effettuati inequivoci riferimenti alle c.d. operazioni "baciate" quale strumento da adottare per svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B.. Allo stesso modo, sempre secondo la ricostruzione operata dal primo giudice, il PI. doveva ritenersi coinvolto anche nel rilascio delle lettere di impegno da parte di B. oltre che in altre operazioni di capitale finanziato, come riferito dai testi An.Fa. (imprenditore del settore tessile) ed Ed.Ta. (altro imprenditore). Ancora, il teste Ma.So. aveva riferito di avere presenziato a un colloquio tra il direttore generale So. e il PI. su come strutturare "operazioni volte ad acquisire capitale" con l'imprenditore Luca Fe.ni (sentito a sua volta quale teste) e con il Fondo Ag. (in quest'ultimo caso l'operazione - ricostruita in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma. -in sede ispettiva non era stata considerata finanziata pur essendo assistita da una lettera di impegno). Il collegio vicentino richiamava altresì l'episodio della società di revisione K. (già esaminato sopra in relazione alla posizione dell'imputato GI.) evidenziando come, in base alla deposizione resa dalla teste avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., risultasse essere stato presente anche il PI. - assieme al direttore generale So. e al responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. - a una riunione convocata a seguito delle richieste dì delucidazioni rivolte alla banca da K.; nell'occasione, come già detto, l'avv. Pa. si era rifiutata di fornire il parere legale richiestole, suggerendo invece al So. (che aveva reagito in malo modo) di fare subito un audit, al che il PI. - come già evidenziato supra - aveva, a suo dire, ribattuto: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa". L'imputato PI. risultava aver fatto parte anche della già citata "Task Force Gestione Soci" costituita e attivata - ufficialmente - a seguito dell'entrata in vigore del Regolamento UE n. 575/2013 (c.d. CRR) e del Regolamento Delegato UE n. 241/2014 nonché del D.L. n. 3/2015; la costituzione di tale Task Force trasversale alle varie Divisioni, che avrebbe dovuto reperire e adottare misure atte a ripristinare l'interazione con la base sociale attraversata da crescente disorientamento e scontento, era stata preceduta da una documentata riunione operativa tenutasi il 24.4.2015 (il relativo resoconto è in atti quale doc. nn. 525 del P.M.). In realtà - proseguiva il primo giudice - la partecipazione e il coinvolgimento del PI., responsabile della Divisione Finanze, nella Task Force in questione apparivano funzionalmente eccentrici rispetto agli scopi di essa e si spiegavano solo "in ragione dei suo coinvolgimento in tutti gli aspetti relativi all'anomala operatività della banca" (cfr. pag 724 sentenza gravata). Il primo giudice si diffondeva altresì sulle occasioni nelle quali il PI. aveva avuto interlocuzioni con la vigilanza. Per la precisione si trattava di due riunioni interlocutorie tenutesi nel 2013 (durante la fase preparatoria dell'aumento di capitale di quell'anno) e nell'autunno del 2014 (allorquando erano emerse le problematiche relative ai riacquisti effettuati da B. nonché al deficit patrimoniale a seguito del Comprehensive Assessment). Il tribunale affermava che in ambedue le occasioni il PI. aveva fornito alla vigilanza indicazioni false e fuorvianti circa i livelli di patrimonializzazione di B.; era stato altresì omesso in tali occasioni qualsiasi accenno agli squilibri del capitale azionario e al fenomeno del capitale finanziato. Sulla prima riunione interlocutoria, tenutasi il 27 marzo 2013 su richiesta j della stessa B. (e alla quale avevano partecipato per la banca il direttore° generale Sa.So., il segretario generale Ma.So., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. e per l'appunto il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.), il teste Ma.Pa. - nel precisare che si trattava dì una riunione finalizzata a fornire, da parte della banca, aggiornamenti circa gli interventi pianificati per rafforzare il livello di patrimonializzazione del gruppo - aveva affermato che gli esponenti di B. gli avevano illustrato le caratteristiche principali dell'operazione programmata; queste ultime corrispondevano a quelle dell'aucap 2013 poi effettivamente realizzato, compresa la "campagna soci volta all'ampliamento della base azionaria (Euro 100 mln)", con "associata l'erogazione di finanziamenti, ai sensi dell'art. 2358 c.c. riservata ai nuovi soci. Sempre secondo il teste Pa., inoltre, tanto il PI. quanto il PE. avevano dimostrato di essere già a conoscenza del fatto che il capitale sottoscritto mediante finanziamenti concessi dalla banca non potesse essere computato ai fini del patrimonio di vigilanza se non nella quota del finanziamento nel frattempo oggetto di rimborso. A null'altro di quanto fino a quel momento accaduto si era fatto cenno, da parte dei predetti, in tale prima riunione come pure nella seconda riunione, tenutasi il 20.10.2014 tra Banca d'Italia e B. (in rappresentanza di quest'ultima erano stati presenti if PI. e il PE.). In base alla deposizione del teste ispettore Em.Ga., poi, risultava un contegno estremamente reticente del PI. in relazione alla sua conoscenza di quali investimenti fossero sottostanti ai fondi esteri dei quali sopra si è detto. Interpellato al riguardo dal team ispettivo il PI. si era limitato a giustificare tale assenza di informazioni con la reticenza dei gestori. Era stato allora rappresentato al direttore generale So., da parte della vigilanza, che in caso di mancata disclosure degli investimenti sottostanti si sarebbe scomputato l'intero importo di Euro 350 milioni dal patrimonio di vigilanza, al che le informazioni richieste erano prontamente pervenute. Il tribunale vicentino, dopo aver illustrato i contenuti della deposizione resa dal teste Massimo Castelluccio - all'epoca dei fatti in forza alla Divisione Finanza e dunque subalterno del PI. - circa le modalità della predisposizione dei documenti di offerta, passava in rassegna i contenuti di alcune conversazioni telefoniche e messaggi sms oggetto di intercettazione, contenenti, a suo avviso, significative ammissioni dello stesso PI. in ordine al proprio pieno coinvolgimento nei fatti per i quali qui si procede: conversazione progr. n. 360 dell'1.9.2015 tra il PI. e Mo.An.di UBS; messaggi sms scambiati il 3 maggio 2015 dal PI. con Em.Gi. (il primo scriveva ivi al secondo: "Deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori"). Indi il primo giudice illustrava i contenuti della versione dei fatti resa dall'imputato PI. - in sede di esame dibattimentale dd. 3.3.2020 - sui vari temi sopra ampiamente passati in rassegna (fra questi: prassi gestionale dei finanziamenti correlati, a suo dire appresa solo a seguito dell'ispezione BCE; lettera di impegno al riacquisto rilasciata all'imprenditore tessile Fa., in relazione alla quale il PI. sosteneva di avere detto all'imprenditore - che la pretendeva - di non poter fare nulla e di essersi limitato per parte sua a metterlo in contatto con il direttore generale So., che in effetti risultava essere il sottoscrittore della lettera di impegno poi concretamente emessa; operazione "So.", in relazione alla quale il PI. sosteneva non trattarsi di una operazione correlata; triangolazione coinvolgente le società c.d. "tre sorelle lussemburghesi", in relazione alla quale il PI. sosteneva di non aver mai saputo che alle anzidette società fosse stato erogato un finanziamento correlato per l'acquisto di azioni, scoprendolo solo dopo l'erogazione, allorquando si era avveduto che nel portafoglio titoli delle società stesse vi erano azioni B.; episodio, già più volte citato, dello scontro con l'avv. Pa. dell'ufficio legale di B. riguardo alla vicenda della società di revisione K., in relazione alla quale il PI. sosteneva di essersi limitato a dire alla Pa. che, come dirigente dell'ufficio legale alla quale era stato richiesto di redigere un parere, si sarebbe dovuta assumere le sue responsabilità; vicenda fondi "(...)" e "(...)", in relazione alla quale il PI. affermava che si era trattato di un'idea del direttore generale So. in vista dell'aucap 2013, che comunque i fondi erano stati sottoscritti dal So. sulla base del parere favorevole tanto dell'ufficio legale quanto della compliancet che in relazione alla seconda delle due operazioni egli si era limitato a presentare Gi.St. di (...) Asset Management al direttore generale della controllata irlandese B.Fi., Pi.Ra. e che, - in ogni caso - egli non era stato mai coinvolto dai fondi nella scelta degli investimenti sottostanti). Secondo il collegio vicentino tutte le anzidette affermazioni di esclusione della propria responsabilità rese dal PI. in sede di esame trovavano smentita nel complesso delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale come sopra passate in rassegna nel ricostruire i vari episodi ritenuti dallo stesso primo giudice idonei a rivestire rilevanza penale a carico dell'imputato. Quanto poi alla linea difensiva del PI. riguardo a numerosi fra i testi a suo carico (in particolare i testi Pi.Ra. e Fi.Ro.), ossia che si sarebbe trattato di testi del tutto inattendibili perché interessati a incolpare lo stesso PI. pur di allontanare ogni sospetto nei loro confronti, il tribunale ribatteva che le loro deposizioni risultavano munite di plurimi riscontri, indicati nel dettaglio alle pagg. 730-732 della gravata sentenza, 1.9.5 Pe.Ma. Con riferimento a Pe.Ma. il primo giudice - dopo avere richiamato l'ipotesi d'accusa, secondo la quale costui avrebbe concorso nei reati di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza nella sua qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili rilevanti nella prassi aziendale della concessione dì finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. ed avrebbe, altresì, fornito un concreto contributo alla realizzazione dei reati di falso in prospetto in ragione della sua responsabilità nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazioni all'autorità di vigilanza - evidenziava come l'imputato, nel periodo d'interesse 2011-2014, avesse ricoperto l'incarico di responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione nonché quello di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, donde la sua estraneità alla esecuzione delle operazioni di capitale finanziato. La responsabilità del PE., pertanto, avrebbe richiesto la verifica, per un verso, "a monte", della consapevolezza, in capo al predetto, dell'esistenza e della consistenza del fenomeno in esame; e, per altro verso, "a valle", dell'apporto da questi fornito alla realizzazione delle attività delittuose attraverso la predisposizione di documenti, diretti al mercato ed alle autorità di vigilanza, contenenti informazioni caratterizzate dall'occultamento di detto fenomeno. Sotto il primo profilo il tribunale premetteva una analitica individuazione del ruolo concretamente svolto dall'imputato all'interno delia compagine bancaria, sottolineando come il PE., nella sua qualità di direttore della suddetta Divisione, dipendesse gerarchicamente dal solo d.g. So.. Nella sua qualifica di dirigente preposto, poi, il predetto riferiva direttamente al CdA per il tramite del comitato di controllo. Più nel dettaglio, l'imputato costituiva il vertice di una divisione che comprendeva due uffici di staff (l'ufficio studi e lo staff del dirigente preposto), disponeva di ben 75 unità e che, attraverso le sue articolazioni (segnatamente attraverso la Direzione Pianificazione Strategica, diretta da An.Fa.), svolgeva una pluralità di attività che andavano dal supporto alla direzione generale nella redazione dei piani economici pluriennali e dei budget annuali di tutte le strutture della banca, alla gestione dei rapporti con le società di consulenza e con la struttura dell'esperto indipendente incaricato annualmente di effettuare la valutazione dell'azione; dal monitoraggio teso a verificare il rispetto dei ratios patrimoniali della banca in relazione agli attivi ponderati (RWA) e all'andamento del fondo acquisto azioni proprie, al controllo costante dell'andamento della rete commerciale (verificato attraverso l'attività dell'ufficio CRM). Per il tramite della Direzione Ragioneria Generale - diretta da Lu.Tr. e facente parte anch'essa della Divisione Bilancio - poi, venivano curati gli adempimenti fiscali, gestita la contabilità, predisposto il bilancio di esercizio e quello consolidato e, infine, redatte le segnalazioni all'autorità di vigilanza. Ebbene, in un contesto tanto articolato era giocoforza che il PE. svolgesse un ruolo di coordinamento, occupandosi anche di assicurare una garanzia di coerenza fra i dati gestionali e quelli contabili, mentre la gestione dei dati di dettaglio e le attività correnti erano necessariamente demandate alla struttura nel suo complesso, adeguatamente dotata di risorse umane (numerose unità; plurimi dirigenti) e materiali. Quanto, poi, alle funzioni attribuite al dirigente preposto (figura prevista e disciplinata dall'art. 154 bis TUF), tale soggetto si occupava non già della redazione materiale dei documenti contabili societari, bensì della "predisposizione di adeguate procedure amministrative e contabili per la formazione del bilancio di esercizio e, ove previsto, del bilancio consolidato, nonché di ogni altra comunicazione di carattere finanziario" (art. 154 bis co. 3). Inoltre a costui competeva attestare la corrispondenza degli atti e delle comunicazioni "alle risultanze documentali ai libri e alle scritture contabili", come previsto dall'art. 154 bis TUF. Nello specifico, all'interno di B., in linea con la normativa di riferimento, la figura del dirigente preposto era disciplinata dal "Modello del Dirigente Preposto alla redazione dei documenti contabili societari"; modello che prevedeva che ciascuna funzione aziendale di controllo trasmettesse al dirigente preposto i risultati delle verifiche di propria competenza. Di qui la necessità, affinché il dirigente preposto potesse svolgere correttamente il proprio ruolo, della correttezza e veridicità delle informazioni che ciascuna struttura aziendale trasmetteva al suddetto dirigente. Tanto premesso, nessuno degli organi di controllo (collegio sindacale, audit, organismo di vigilanza, compliance) - precisava il primo giudice - aveva segnalato al PE. l'esistenza dì prassi scorrette nell'operatività del mercato interno delle azioni proprie. Quando il responsabile dell'Internal audit Ma.Bo. aveva tentato di portare a compimento la prima attività ispettiva sui finanziamenti correlati, infatti, era stato bloccato dal d.g. Sa.So., il quale gli aveva impedito di divulgare il relativo report. Il collegio sindacale, dal canto suo, pur avendo ricevuto vari segnali (sul punto il riferimento specifico del tribunale era al caso del socio Dalla Grana), non aveva effettuato alcuna comunicazione in proposito. Altrettanto doveva dirsi per la funzione di compliance che, chiamata a gestire la vicenda Vi., non aveva segnalato nulla al riguardo. In definitiva, nessuna informazione in ordine al fenomeno delle operazioni correlate era pervenuta al PE. attraverso i canali istituzionali. Né tale fenomeno era stato percepito nell'ambito dell'attività - parimenti di competenza della Divisione facente capo all'imputato - di gestione della contabilità adottata dalla banca. Il teste Lu.Tr., infatti, aveva dichiarato di avere appreso per la prima volta del fenomeno del capitale finanziato nel marzo del 2015, nel corso di una riunione tra le società di revisione e il collegio sindacale in vista della redazione della relazione al bilancio 2014. Prima di allora, infatti, secondo tale teste, il suddetto fenomeno non era rappresentato nei sistemi contabili, né era comunque noto alla struttura, né, infine, vi erano possibilità che potesse essere rilevato dalla Ragioneria Generale attraverso l'analisi dei dati disponibili. Inoltre, neppure erano emersi elementi che consentissero di concludere che il PE. avesse acquisito aliunde (rispetto ai canali istituzionali) la consapevolezza circa l'operatività dei finanziamenti correlati. Anzi, in senso opposto orientavano le deposizioni dei testi An.Fa., Lu.Tr. e Al.Mo.. Del teste Tr. si è già detto. Il teste Fa., dal canto suo, aveva riferito di avere appreso delle operazioni correlate solo nel corso della ispezione BCE del 2015, precisando che anche il PE., fino ad allora, si trovava nella medesima situazione di ignoranza del fenomeno in questione. Il teste Mo., infine, aveva sostenuto che prima dell'ispezione vi fosse consapevolezza delle "baciate" ma non della loro diffusività e, con riferimento al PE., aveva precisato che costui era a conoscenza solo dello slogan del d.g, Sa.So. secondo il quale ogni cliente affidato avrebbe dovuto possedere azioni B. pari almeno al 10% del finanziamento. Aggiungasi che anche il teste Ma.Li. - all'epoca vicedirettore di Ba.Nu. ed in rapporto di wbuona colleganza" con l'imputato durante la precedente esperienza in B. - aveva dichiarato di avere avuto con costui un colloquio confidenziale nel mese di aprile 2015 (ovverosia in piena ispezione BCE e poco prima dell'avvio della Task Force voluta dal d.g. So.) traendone la convinzione che l'imputato non fosse a conoscenza "di questa rilevanza del problema". Anche la vicenda della comunicazione delle 17 posizioni sospette da parte di K. e la deposizione dell'avvocato Pa. (vicenda oggetto di puntuale ricostruzione da parte del primo giudice alle pagg. 746-748 della sentenza) deponevano tanto per la mancata consapevolezza, in capo al PE., dell'entità del problema del capitale finanziato (problema del quale lo stesso imputato, apprendendone in occasione della qui più volte menzionata riunione nell'ufficio del So., si era poi dimostrato seriamente preoccupato, al pari della suddetta Pa.), quanto per l'estraneità del medesimo PE. rispetto alle macchinazioni tese ad occultarlo. Analoghe conclusioni dovevano trarsi, ad avviso del tribunale, con riferimento alla disclosure sui fondi "(...)" e "(...)". In proposito era stato dall'ufficio del PE. che era partita la richiesta di disclosure sui sottostanti dei fondi (richiesta, peraltro, più volte ripetuta, come precisato dal teste Lu.Tr.). Quindi, in presenza di una risposta solo parziale, l'ufficio ricompreso nella Divisione diretta dall'imputato aveva applicato il trattamento previsto dalla normativa, segnalando l'intera esposizione verso quei fondi come una "esposizione sconosciuta". Peraltro, quando, successivamente, era entrato in vigore il CRR che imponeva alla banca di avere piena conoscenza anche degli investimenti sottostanti, era stato proprio l'imputato a segnalare che, in difetto di disclosure, l'istituto avrebbe dovuto detrarre integralmente l'intero investimento dal CET 1 e solo per effetto di tale segnalazione era stato finalmente comunicato l'investimento in azioni B., come segnalato dal teste ispettore Em.Ga.. Anche l'intervento effettuato dal PE. nel corso della seduta del CdA 1.4.2014 - allorché questi non si era affatto allineato alle valutazioni del prof. Bi. in ordine al valore da assegnare all'azione, ma, al contrario, aveva mosso delle critiche al riguardo - deponeva in senso favorevole all'imputato. Ove costui fosse stato coinvolto nell'illecita operatività del capitale finanziato, infatti, sarebbe stato lecito attendersi che non dissentisse rispetto alla metodologia applicata nella stima del valore del titolo. Né, a fronte di tali plurime emergenze probatorie favorevoli, gli elementi valorizzati in senso contrario dal P.M. potevano legittimare differenti conclusioni circa la consapevolezza, da parte del PE., del fenomeno in esame. Non l'episodio del Comitato di Direzione dell'8 novembre 2011, nel quale pure v'era prova che si fosse parlato delle "operazioni baciate" in presenza del PE., poiché l'affermazione fatta, nell'occasione, da costui, secondo quanto riportato negli appunti del teste Ma.So. ("Avrei bisogno di 110 milioni andare a 8 con capitalizzazione dell'utile trimestrale") e, più in generale, ciò che era stato sostenuto nel corso della riunione, anche dal d.g. So. ("dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. abbiamo degli impegni nei confronti di Banca d'Italia e del Consiglio di Amministrazione"), non consentivano di concludere che il medesimo PE. fosse consapevole delle specifiche caratteristiche di quella tipologia di operazioni, né della diffusività del fenomeno e, quindi, della sua incidenza sul patrimonio della banca. Tutt'altro che inverosimile, infatti, appariva quanto sostenuto, al riguardo, dallo stesso imputato, là dove il predetto aveva precisato di non avere dato adeguato peso agli interventi effettuati, in tale occasione, dal Se. e dal Tonato in quanto, all'epoca, neppure conosceva il significato della parola "baciata". Peraltro - precisava il primo giudice - a tale riunione era stata presente anche l'avv. An.Pa., la quale tuttavia aveva dichiarato di essere venuta a conoscenza del fenomeno solo nel 2015, in occasione della citata comunicazione della società di revisione K.. Non le dichiarazioni rese dal teste So. - sebbene costui avesse narrato di colloqui con figure apicali dell'istituto nei quali si era fatto ripetutamente riferimento alle "baciate" a partire dagli anni 2010-2011 - in quanto detto teste non aveva riferito di colloqui intercorsi, a tale specifico riguardo, con il PE.. E neppure le deposizioni - sostanzialmente analoghe e, comunque, assolutamente vaghe ed incerte - rese dei testi Gi.Am., Al.Ba. e Co.Tu.. Quanto, poi, al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (del quale nel corso dell'istruttoria dibattimentale era stata ascoltata la registrazione audio), il primo giudice precisava, per un verso, che si era trattato di riunione alla quale il PE. non aveva partecipato (in quanto si trovava a Francoforte) e, per altro verso, che il riferimento alla necessità di confrontarsi con il predetto, nell'occasione chiamato in causa da GI. ("... però dobbiamo confrontarci con Ma..."), costituiva un elemento insuscettibile di univoca lettura. Era lecito ipotizzare, infatti, che il predetto GI. - come, peraltro, da questi sostenuto - intendesse riferirsi alla necessità di "tagliare gli attivi", donde, in questa prospettiva, la regolarità del coinvolgimento del PE., in quanto titolare della Divisione "competente in materia". Inoltre, con riferimento alla deposizione rese dal teste Co.Tu. in relazione alla riunione del 7 gennaio 2015 (deposizione nel corso della quale detto testimone, dapprima, aveva riferito che si era trattato della prima occasione nella quale sì era parlato di "baciate" anche in presenza di PE. e successivamente, in sede di controesame, aveva smentito le precedenti dichiarazioni, negando che nel corso di questo incontro fosse stato affrontato tale argomento), si era evidentemente in presenza, ad avviso del primo giudice, di un contributo dichiarativo del tutto inattendibile. Infine il tribunale esaminava la tesi del coimputato GI. (tesi secondo la quale: il fenomeno del capitale finanziato era noto a tutti all'interno della banca; lo stesso GI. ne ignorava la dimensione; il medesimo dichiarante aveva confidato nella regolare appostazione a bilancio dei dati relativi a detto fenomeno) evidenziandone: - per un verso, il contrasto con gli elementi probatori in precedenza citati; ° per altro verso, la intrinseca contraddittorietà (posto che non era dato comprendere cosa avrebbe dovuto appostare a bilancio la ragioneria se neppure il GI. era a conoscenza di dati precisi al riguardo e se difettavano flussi informativi interni sul punto); - e, peraltro verso ancora, la palese illogicità (in quanto la contabilizzazione di tale fenomeno avrebbe vanificato la finalità di evitare la decurtazione del valore delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza). In definitiva - concludeva il primo giudice - il compendio probatorio non consentiva di giungere all'affermazione di responsabilità del PE.. Non solo l'imputato era del tutto estraneo alla strutturazione dell'operatività delle c.d. "baciate", ma neppure era provato che fosse consapevole di tale fenomeno. Al più erano emerse una vaga e generica conoscenza, da parte del predetto, della tematica in esame e la conseguente sottovalutazione della serietà delle relative implicazioni sul patrimonio di vigilanza, non già la consapevolezza delle caratteristiche e della diffusività della illecita operatività in esame, necessarie per fondare l'elemento psicologico dei reati oggetto di addebito. Di qui l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato 1.9.6 Zi.Gi. Con riferimento alla posizione processuale di Zi.Gi., al quale era addebitato il concorso nei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto (concorso estrinsecatosi nell'avere egli avallato la prassi aziendale del capitale finanziato, avendo compiuto per il tramite di Ze. s.r.l. operazioni di tale natura), il tribunale premetteva, alla stregua della deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma., la seguente ricostruzione delie operazioni riferibili all'imputato: - il 13 novembre 2012 il CdA aveva deliberato ex art. 136 TUB un affidamento di 12,5 milioni di euro in favore di Ze. s.r.l.. La causale era: "cogliere eventuali opportunità sia nel settore industriale che nel settore finanziario, nello specifico è in fase di avanzata trattativa l'acquisizione di un rilevante pacchetto di quote di Ar.Li. s.p.a. sono inoltre nell'intenzione degli imprenditori ulteriori significativi investimenti che al momento non sono ancora nel complesso definiti". Il fido era stato accreditato il 21 novembre e, lo stesso giorno, era stato effettuato un giroconto di 10 milioni di euro utilizzati per l'acquisto di azioni B. per un pari importo; - quindi, nel luglio del 2013, la Ze. S.r.l. aveva beneficiato di un finanziamento di 1.5 milioni di euro, fido erogato il 2.9.2013 sul conto corrente (...), intestato alla predetta società. Si trattava di un incremento del fido già concesso nel 2012. In data 2 settembre 2013 - data di regolamento dell'aucap 2013 - risultava poi un'erogazione di 1,13 milioni di euro su altro conto corrente intestato alla medesima società con l'impiego di detta somma per l'acquisto di azioni B. di pari valore; - ancora, il 4.12.2014, Zi.Gi. aveva ricevuto un affidamento di 5.200.000,00 euro. La P.E.F. indicava, quale causale: "finalizzato ad intercettare alcune opportunità immobiliari e di partecipazione". Non appena ricevuta l'erogazione, il relativo importo era stato bonificato su un conto U.It. s.p.a., filiale di Padova; - il 16.2.2015, infine, Ze. s.r.l. aveva venduto 5,5 milioni di azioni sul secondario e, con il ricavato, aveva ridotto parte del debito relativo al finanziamento di 15 milioni di euro. Tale ricostruzione - precisava il tribunale - coincideva con le conclusioni dei cc.tt. del P.M. dove sì attestava che l'importo delle azioni acquistate dalla società Ze. s.r.l. tramite finanziamenti era pari a 10 milioni di euro dal 31.12.2012 al 30.6.2013, ad euro 10.565.250 dal 30.9.2013 al 30.6.2014, ad euro 10.355.250 dal 30.9.2014 al 31.12.2014 e, infine, ad euro 4.855.250 al 31.3.2015. Così ricostruite le evidenze contabili, il primo giudice concludeva per la natura "correlata" delle operazioni effettuate dalla Ze. s.r.l. sulla scorta, in particolare, delle dichiarazioni rese dai testi Ma.Ba. e An.Cr.. Il primo, infatti, aveva rievocato (peraltro coerentemente con gli / esiti della consulenza dei cc.tt. del P.M.) l'operazione (da lui stesso curata su input di Em.Gi. ovvero di Al.Ba.) effettuata alla fine del 2012 e relativa al fido da 12,5 milioni di euro, parte dei quali (2,5 milioni), destinata all'acquisto della partecipazione in Ar.Li., la restante parte riservata a investimenti in azioni della banca. La pratica, poi, era stata materialmente seguita dal Criscuolo. L'operazione avrebbe dovuto avere carattere temporaneo, la liquidità essendo stata "parcheggiata" in azioni B. in attesa di un differente impiego, da effettuare previa liquidazione delle azioni. Nel 2013, poi, in occasione dell'aumento di capitale, il fido era stato esteso di ulteriori 1,5 milioni e con la relativa provvista Ze. s.r.l. aveva aderito all'iniziativa in questione. Il secondo teste (Cr.), poi, aveva sostanzialmente confermato la versione del collega Ba.. Infine anche il teste Al.Ba., responsabile della divisione "Corporate", aveva rievocato l'operazione posta in essere dallo ZI., operazione della quale, in parte, si era anche personalmente occupato allorquando, nel 2012, vi era stato un apposito incontro con lo stesso ZI. e con GI. per discuterne l'impostazione. Il teste Ba. ha precisato che vi era urgenza di effettuare l'operazione con rapidità in quanto si avvicinava la fine dell'anno 2012; che era impellente l'esigenza di liberare il fondo acquisto azioni; che, nell'occasione, ZI. aveva acconsentito ad effettuare l'operazione purché la cosa fosse gradita allo ZO.. Successivamente lo stesso ZI. gli aveva confidato di essersi prestato ad effettuare l'operazione a richiesta dì So. e GI., i quali "in sostanza gli avevano chiesto un favore e che lui si era messo a disposizione della banca". Dal canto suo lo stesso ZI. aveva ricordato di avere agito aderendo alla proposta di GI. e solo dopo avere ricevuto esplicite rassicurazioni in ordine al fatto che l'operazione non fosse intesa dal presidente ZO. come una iniziativa ostile. Il messaggio SMS inviato da MA. a So. il 26.10.2012 (doc. nr. 665 del P.M.) "ti ricordo Zi. di parlarne con il presidente per il fido da farsi sulla sua finanziaria", nonché il precedente' messaggio trasmesso, il 17.10.2012, dal GI. allo stesso So. "faccio anche ZI., Ma. d'accordo. Vedi problemi?" "il fratello ha già in atto l'operazione" costituivano, poi, significativi riscontri documentali dell'operazione in questione. Quindi il tribunale precisava, sulla scorta della deposizione del Criscuolo, che, con rifermento al finanziamento concesso allo ZI., erano stati applicati tassi differenziati per l'importo destinato all'acquisto di Ar. e per la parte destinata all'acquisto delle azioni e che i tassi erano stati "sistemati" con il consueto sistema dello storno. Alcuni documenti disponibili, peraltro, confermavano tale circostanza. Trattasi, segnatamente: - della richiesta di storno di cui al documento nr. 103 del P.M.; - dell'annotazione redatta da Zi.Gi. (doc nr. 730 del P.M.), contenente l'elenco delle azioni acquistate tramite finanziamento con l'indicazione di importi e tasse non deducibili "che avanziamo dalla banca" e con l'indicazione finale rimane da risolvere la vendita delle altre 80.000 azioni"; - del prospetto riassuntivo dell'applicazione del tasso di interesse (doc, nr. 737 del P.M.), estratto dal computer della segretaria della Ze. S.r.l., Ca.Ro., la quale aveva riferito di averlo redatto probabilmente su incarico di Gi.ZI. (questi, tuttavia, non aveva confermato la circostanza). In detto documento veniva riportato il tasso di interesse del 4,5% con riferimento al finanziamento di 2,5 milioni di euro relativo all'acquisizione di Ar.Li. e in esso si leggeva "calcolo eseguito non considerando il milione di aumento di capitale che si riferisce ai 10 milioni". Quanto, poi, al finanziamento di 10 milioni destinati all'acquisto delle azioni, nel consuntivo finale, alle competenze addebitate, comprensive di interessi ed imposte, venivano sottratti gli interessi "effettivamente dovuti" in ordine al finanziamento di 2,5 milioni destinato ad Ar.Li. e la differenza tra queste due somme era indicata come "differenza da rimb"; - della e-mail 15.7.2014 inviata dalla Ca. alla filiale B. in cui si precisava che le imposte di bollo andranno a confluire nel famoso rimborso concordato a suo tempo", così confermandosi l'esistenza dell'accordo per rimborsare a Ze. s.r.l. tutte le spese. La natura correlata delle operazioni effettuate dagli ZI. del resto emergeva, ad avviso del tribunale, anche da un appunto (doc. nr. 731 del P.M.) redatto dallo stesso imputato per ricostruire le operazioni effettuate con la banca. In detto appunto si legge che in data 8 maggio, a colloquio con ZO., Br. e l'avv. Am., ZI. aveva affermato essergli stato chiesto "in due occasioni di comprare azioni (2011 e 2012) con finanziamenti dove non ho percepito utili ma ho anticipato interessi passivi. La prima si è chiusa nel 2014 e la seconda per il 50% nel 2015". "Attualmente ci perdo 280.000 più oltre un milione di calo di valore: quindi la banca non è danneggiata ma ci ha guadagnato. Operazioni proposte da E. ma definite in ufficio da SS che mi ringraziava per l'aiuto. Ho sempre messo due condizioni, di non guadagnarci e che il Presidente fosse informato". Lo stesso imputato, poi, nel corso dell'esame, ha ricordato che il finanziamento era stato strutturato per l'acquisto di azioni dell'istituto e che egli lo aveva effettuato, sollecitato da GI., "per dare una mano alla banca". Del resto, nel corso della conversazione telefonica nr. 153 del 25.8.2015 intercorsa tra l'imputato e Lu.Bo., il primo aveva ammesso di essere stato finanziato dalla banca per l'acquisto delle azioni. Sicché la natura correlata dell'operazione di acquisto finanziato di azioni per 10 milioni di euro non poteva essere fondatamente revocata in dubbio. Altra operazione correlata era stata quella effettuata, per l'importo di 5 milioni di euro, da Zi.Gi. (finanziamento del 27.12.2011 ed acquisto delle azioni effettuato due giorni dopo). Con analoghe modalità, poi, lo stesso Zi.Gi. aveva partecipato all'aumento di capitale del 2013 per l'importo di 500.000 euro. La prima operazione era stata chiusa il 29.5.2014 con rimborso e annullamento delle azioni, ovverosia con un ricorso surrettizio - come emerso anche dalla deposizione del teste Ro. il quale aveva confermato che l'annullamento era un espediente al quale si ricorreva in casi eccezionali per chiudere operazioni correlate - ad uno strumento (quello dell'annullamento) previsto in caso di "inadempienza grave" del socio, inadempienza che, nel caso dì specie, non si era affatto verificata. Quindi il tribunale richiamava il finanziamento di 5 milioni di euro concesso da B. a Ze. s.r.l. e girato sul conto UBS il 5.12.2014. Nell'occasione al dipendente UBS Visentin, il quale si era relazionato con So., PI. e GI., l'imputato aveva riferito che aveva un "credito nei loro confronti" e che questa operazione "gli era dovuta" in quanto "aveva fatto molti favori alla banca". Infine il primo giudice evocava la e-mail inviata dallo ZI. a Em.Gi. e a Cl.Gi. con, in calce, l'analoga missiva inviatagli da Mi.Ga., il quale si lamentava del fatto che un dipendente B. gli avesse comunicato che il rinnovo di un secondo fido era stato anch'esso subordinato, al pari del primo, alla sottoscrizione di 50.000 azioni dell'istituto di credito. Nell'occasione l'imputato si era limitato a spiegare che "B. non opera con questa politica e che forse o hanno capito male o il funzionario si è espresso male". Ebbene, in presenza di tali evidenze probatorie lo ZI., come detto, aveva bensì ammesso di avere effettuato operazioni correlate per dare una mano alla banca ma aveva negato di essere stato consapevole delle problematiche connesse al capitale finanziato e, meno che mai, delle sue dimensioni, protestando altresì la propria totale inconsapevolezza circa la necessità dello scomputo delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza. Pertanto il tribunale riteneva certamente provato che l'imputato, attraverso Ze. s.r.l., avesse posto in essere operazioni correlate. Nondimeno, sempre secondo il tribunale, non soltanto lo ZI. non aveva minimamente preso parte alla concertazione - intercorsa, ai massimi livelli, tra il management della banca ed il presidente ZO. - che aveva reso possibile la manipolazione del mercato e le condotte di false informazioni alla vigilanza, ma neppure vi era prova affidabile circa la consapevolezza, in capo ai membri del CdA (e, quindi, allo stesso ZI.), in ordine alla diffusività dell'operatività illecita in questione. Il teste ispettore Em.Ga., invero, aveva puntualmente evidenziato la difficoltà di percepire se una operazione fosse o meno correlata da parte del CdA. Dal canto suo lo stesso coimputato MA., in sede di esame, aveva ammesso che, quando presentava le pratiche di acquisti correlati in Consiglio, era solito non esplicitare mai la natura delle operazioni, limitandosi a riportare sinteticamente i dati della P.E.F.. In buona sostanza - secondo il tribunale - la valutazione circa la sussumibilità o meno delia condotta dello ZI. nell'alveo della penale responsabilità implicava, necessariamente, la esatta comprensione dei termini della questione inerente al complesso tema della responsabilità dei componenti del CdA non esecutivi, estranei a qualsivoglia funzione gestoria dell'impresa bancaria, questione che, nel caso sub iudice, andava poi "calata" in un contesto obiettivamente peculiare in quanto caratterizzato, per un verso, dalla concreta fisionomia di un organo collegiale - il CdA di B. - sottoposto alla direzione di un presidente "assolutamente operativo"; e, per altro verso, dall'assenza, in capo ai consiglieri, della effettiva conoscenza della situazione di reale illiquidità del titolo azionario. In effetti, solo in presenza di segnali di allarme effettivamente percepibili (e realmente percepiti) come tali dai consiglieri sarebbe stato possibile ritenere costoro - e, quindi, tra essi, lo ZI., il quale non si trovava affatto in una situazione dissimile rispetto a quella dei "colleghi" che avevano posto in essere anch'essi operazioni correlate - responsabili, ex art. 40 c.p., per non avere impedito attività delittuose in itinere, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità. Nel caso di specie, tuttavia, nulla consentiva di affermare che l'imputato avesse volontariamente omesso di intervenire per scongiurare la consumazione dei reati, all'uopo non potendosi ritenere sufficiente la partecipazione, da parte del predetto, ad operazioni di capitale finanziato; operazioni, peraltro, da costui poste in essere su sollecitazione dei vertici dell'istituto e senza alcun tornaconto personale. In definitiva difettavano prove univocamente sintomatiche di un consapevole concorso materiale di Zi.Gi. nei reati ascrittigli, in difetto di adeguati riscontri circa la consapevolezza, in capo al predetto, delle condotte manipolatorie e decettive poste in essere dalle figure apicali dell'istituto di credito e, ancor meno, circa la dimensione del fenomeno del capitale finanziato. Donde l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non costituisce reato 1.10 La responsabilità amministrativa di B. in L.C.A. Il tribunale, inoltre, riteneva Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) in relazione ai reati dì aggiotaggio ex art, 2637 c.c. e di ostacolo alla vigilanza ex art. 2638 c.c. (ovverosia con riferimento a fattispecie incluse nell'art. 25 ter lett. R ed S del D.L.vo 231/01) posti in essere da soggetti sia di vertice che sottoposti alla direzione e vigilanza di posizioni apicali. In proposito, dopo avere richiamato, in ordine alla sussistenza delle ipotesi delittuose di riferimento, quanto già in precedenze esposto al riguardo, il tribunale in primo luogo evidenziava come, ai fini della responsabilità dell'ente, non rivestisse rilievo alcuno la sottoposizione della banca a procedura concorsuale, trattandosi di evento non ricompreso tra le cause dì estinzione dell'illecito da reato previste dalla disciplina in materia (come del resto era evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, che assegnava rilievo, al riguardo, unicamente al decorso del termine di legge, ovvero all'improcedibilità in caso di amnistia in relazione al reato presupposto). Fino alla cancellazione conseguente all'esito della procedura concorsuale, infatti, la società avrebbe dovuto ritenersi esistente. Né, d'altro canto, era possibile opinare diversamente sulla base di una sorta di giudizio prognostico fondato sul prevedibile esito della procedura fallimentare. Tanto premesso, neppure poteva dubitarsi che gli imputati avessero agito nell'interesse e a vantaggio dell'ente. Al riguardo il tribunale premetteva che l'interesse (da valutarsi, ex ante, secondo criteri "soggettivi" che, sebbene non coincidenti con l'elemento psicologico della fattispecie delittuosa di riferimento, dovevano comunque essere tali da esprimere la tensione finalistica dell'operato dell'autore del reato presupposto) avrebbe dovuto individuarsi nella prefigurabilità di un risultato positivo per la società. Quanto poi al vantaggio (da apprezzarsi, ex post, secondo criteri oggettivi), tale requisito si sarebbe dovuto identificare negli effetti favorevoli derivati dalla realizzazione degli illeciti. Questo con la precisazione, per un verso, che la mancata considerazione del criterio del vantaggio secondo la formulazione della disposizione vigente all'epoca dei fatti (art. 25 ter D.L.vo cit.) era circostanza di ben scarso rilievo, posto che, nel caso di specie, tutti i reati perpetrati erano caratterizzati dal correlativo interesse dell'istituto di credito; per altro verso, che l'antieconomicità a posteriori dell'operazione era ininfluente; e, peraltro verso ancora, che l'interesse dell'ente avrebbe potuto essere anche parziale o marginale, dovendosi escludere la responsabilità della società solo nel caso di interesse esclusivo dell'autore del reato (in ragione, in tal caso, della rottura "dello schema di immedesimazione organica" che costituiva il fondamento teorico dell'istituto in questione). Ebbene, nella vicenda sub iudice, le condotte delittuose erano state pacificamente poste in essere nell'interesse (anche) dell'istituto di credito. In effetti la contraria tesi difensiva (secondo la quale dette condotte si sarebbero poste in conflitto con il reale interesse della banca, in quanto, da un lato, avrebbero precluso l'effettuazione di ulteriori operazioni e in tal guisa avrebbero cagionato, fin dal momento genetico, un grave nocumento all'istituto di credito, mentre, dall'altro lato, sarebbero state realizzate nell'esclusivo interesse degli imputati, al di fuori di una politica di impresa e per finalità di mantenimento del potere gestionale da parte dei vertici amministrativi) non poteva affatto essere accolta. Ciò avrebbe infatti rappresentato l'espressione di un'interpretazione atomistica, fuorviante e retrospettiva del fenomeno delittuoso in esame e non già di una doverosa visione prospettica delle azioni criminose. Le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, infatti, erano state funzionali a far conseguire all'ente un beneficio, occultando le operazioni di capitale finanziato e così consentendo all'istituto di credito di mantenere standard elevati nell'esercizio dell'attività bancaria e di acquisire nuovo capitale o mantenere quello esistente. Si era trattato, quindi, di condotte che, a tutto discapito del mercato, avevano generato indubbi benefici per la banca, assicurandone la continuità e garantendone la competitività nel mercato del credito, sia pure in modo rivelatosi non sufficiente, nel lungo termine, a risolvere le carenze di un'errata politica di impresa (peraltro preesistente alle operazioni di capitale finanziato) che aveva portato ad un progressivo, inesorabile, deterioramento della situazione patrimoniale (con i relativi coefficienti che, già dal 2012, erano inferiori alla soglia target, come evidenziato dai consulenti del P.M.). Le ricadute positive per l'ente delle attività delittuose, del resto, erano state convincentemente delineate dalla deposizione del teste ispettore Em.Ga.. In assenza delle condotte delittuose, in effetti, la banca si sarebbe trovata nella necessità di impegnare le risorse disponibili per reintegrare i requisiti patrimoniali, oppure di disvelare una situazione di crisi che avrebbe inevitabilmente impattato negativamente, al contempo, tanto sul capitale (trattandosi di banca cooperativa), quanto sull'operatività (trattandosi di banca commerciale). In definitiva - precisava il primo giudice - occorreva distinguere tra le singole condotte operative di capitale finanziato (che costituivano solo una parte della politica imprenditoriale e non erano indicative della proiezione finalistica del reato) e le soprastanti condotte delittuose delle false prospettazioni al mercato e alla vigilanza, nelle quali si sostanziavano i reati presupposto che erano stati funzionali a favorire l'ente, consentendo alla società di conseguire un vantaggio economico. Ponendosi in questa prospettiva, diveniva allora evidente l'interesse (se non esclusivo, quantomeno prevalente) della banca alla commissione dei delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, in quanto espressione di una politica d'impresa funzionale a garantire la prosecuzione dell'attività dell'istituto, assicurando, per un verso, l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, il mantenimento di quello esistente. D'altronde, il peggioramento delle condizioni economiche dell'ente non era stato certo effetto della commissione dei reati, bensì del ricorso dissennato al capitale finanziato nell'ambito di un meccanismo divenuto progressivamente ingovernabile, il tutto mentre le condotte delittuose (che si ponevano a valle di tale fenomeno) avevano per un certo periodo di tempo consentito di contenere, limitare e ritardare gli ulteriori effetti negativi per l'ente che dal disvelamento di una siffatta realtà sarebbero inevitabilmente derivati. Quanto poi al criterio soggettivo di imputazione dell'illecito, costituito dalla colpa di organizzazione, il primo giudice ne ravvisava il ricorrere in ragione del fatto che l'ente non si fosse strutturato in modo idoneo a prevenire le condotte in questione. Nel caso di specie, infatti, non solo il modello organizzativo, nella versione aggiornata a febbraio del 2012 (documento nr. 269 del P.M.), non era stato predisposto in modo adeguato (essendo prevalentemente strutturato ai fini di anti-riciclaggio), ma neppure era stato applicato ed implementato convenientemente. Nulla era stato previsto in relazione alle modalità di predisposizione dei bilanci, al computo dei requisiti patrimoniali, anche ai fini del patrimonio di vigilanza, all'attività di erogazione del credito, ovvero alla gestione operativa, contabile e patrimoniale delle azioni (proprie e non) che, pure, costituiva l'attività su cui si focalizzava l'operatività della banca. Nessuna procedimentalizzazione delle attività di acquisto e vendita delle azioni, inoltre, era stata programmata nel modello. Né detto modello era mai stato implementato in tal senso. Si aggiunga che erano risultate assenti modalità operative per garantire la tracciabilità dei finanziamenti per l'acquisto dì azioni proprie e che neppure era stato previsto alcunché per assicurare la corretta registrazione dei collegamenti tra affidamenti e acquisto/sottoscrizione di azioni, ovvero per disciplinare le comunicazioni all'esterno, ovvero ancora per regolamentare gli aspetti afferenti al patrimonio di vigilanza. Inoltre il modello aveva previsto un Organismo dì Vigilanza collegiale composto da tre soggetti e, segnatamente, da due avvocati esterni all'istituto di credito, nonché dal responsabile interno dell'audit, soggetto, quest'ultimo, dipendente gerarchicamente dal d.g. e funzionalmente dal CdA, ovverosia proprio da coloro che egli avrebbe dovuto controllare. Donde un evidente deficit di autonomia di tale organismo. Quanto, poi, al Collegio sindacale, era risultato composto da soggetti alcuni dei quali (Za., Za., Ca.) legati personalmente allo ZO., ovvero a società riconducibili a tale imputato. Le stesse relazioni ispettive di Banca d'Italia, del resto, avevano censurato la logica di cooptazione alla base della composizione dell'organo in questione, stigmatizzandone l'attività di mero controllore formale. Di qui il giudizio di complessiva grave inadeguatezza dei presidi organizzativi predisposti da B. per fronteggiare i rischi operativi assunti e la conseguente affermazione della responsabilità dell'ente. Quindi, passando alla quantificazione della sanzione, il primo giudice stabiliva, quanto al più grave delitto di aggiotaggio, il numero di 600 quote (a fronte di una forbice di riferimento tra le 400 e le 1000 quote), ridotte a 400 in ragione dell'attenuante ex art. 12, co, 2, D.L.vo 231/01, essendosi l'ente adoperato (con una proposta di transazione rivolta agli azionisti ed avente ad oggetto l'offerta di una somma a titolo di indennizzo) per ridurre le conseguenze dannose dell'illecito. Considerata, poi, la pluralità di illeciti, il tribunale determinava nella misura di 150 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter R ed in 360 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter S, Conseguentemente, precisato che la prescrizione di talune condotte delittuose non poteva rivestire alcun rilievo in relazione all'illecito amministrativo dell'ente, quantificava le quote complessive nella misura di 910 quote e, determinato il valore di ciascuna quota in euro 400, fissava la sanzione pecuniaria complessiva nella misura di euro 364.000,00. Infine, evidenziato che il profitto del reato andava identificato nel vantaggio economico (inteso come benefìcio aggiunto di tipo patrimoniale) causalmente derivato dal reato presupposto, e sottolineato, inoltre, come una stima in tal senso fosse stata unicamente effettuata con riferimento al reato di cui al capo N2, all'origine del sequestro, disposto dal GIP del tribunale di Vicenza in data 18.5.2017, con riferimento al valore di euro 106.012.687,50 (corrispondente all'ammontare delle sottoscrizioni di capitale versate alla banca, a seguito dell'aucap, dai soci il cui acquisto era stato sollecitato dalla banca stessa e che non avrebbero potuto sottoscriverlo ove fosse stato applicato il "test di adeguatezza bloccante"), il tribunale disponeva la confisca in tal senso, detraendo tuttavia l'importo di euro 31,8 milioni, oggetto di restituzione effettuata a titolo transattivo, e fissando, quindi, l'ammontare della confisca nella misura di euro 74.212.687,50 (con conseguente parziale revoca del sequestro). 1.11 Il trattamento sanzionatorio Con riferimento ai reati commessi dagli imputati ZO., PI., MA. e GI., dei quali andava ad affermare la penale responsabilità, il tribunale ravvisava la sussistenza del vincolo della continuazione, trattandosi di reati espressione di un'unitaria determinazione criminosa. Quindi: - esclusa quanto ai reati di cui ai capi A1, B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1 l'aggravante ex art. 112 nr. 1 c.p., in ragione del numero inferiore a cinque degli autori delle relative condotte; - riconosciuta, quanto ai reati di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1 l'aggravante ad effetto speciale ex art. 2638 co. 3, c.c., essendosi in presenza di istituto di credito emittente strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ex art. 116 D.L.vo 58/98; - riconosciuta, altresì, in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1, N1, l'aggravante di cui all'art. 61 nr. 2 c.p., trattandosi di condotte di ostacolo, susseguitesi nel tempo, al fine di occultare l'illecita manipolazione del prezzo sia di nascondere la falsità dei precedenti flussi informativi; - riconosciute, inoltre, a tutti gli imputati le attenuanti generiche, trattandosi di soggetti incensurati che avevano anche tenuto corrette condotte processuali (in effetti, presenti a tutte le udienze, costoro si erano anche sottoposti ad esame, eccezion fatta per ZO. il quale, peraltro, aveva reso dichiarazioni spontanee); - valutate le predette attenuanti in regime di mera equivalenza rispetto alle ravvisate aggravanti, in considerazione della notevole entità dei danni cagionati con le condotte delittuose; - ritenuto più grave il reato di cui al capo H1, in ragione della pena edittale di riferimento e del tempo significativo di protrazione della relativa condotta (esauritasi solo nell'aprile del 2015); - considerati, infine, i criteri tutti di cui agli art. 132, 133 c.p. (e, segnatamente: il ruolo apicale rivestito dagli imputati; il numero e la varietà delle condotte delittuose, protrattesi per anni; l'intensità del dolo all'origine delle medesime condotte e, in particolare, la pervicacia e l'ostinazione che avevano orientato l'azione di occultamento al mercato e alla vigilanza della reale situazione dell'istituto di credito), condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di anni due in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 ed N1 (essendo evidentemente un errore materiale la quantificazione sintetica di tale aumento nella misura di anni uno, in ragione della specifica indicazione, nella misura di mesi tre, dell'aumento di pena irrogato per ciascuno di detti reati), con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia; aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, infine, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre e mesi sei di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati). Gli imputati, infine, erano dichiarati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. 1.12 La confisca per equivalente. Il tribunale, premesso che la disposizione di cui all'art. 2641 c.c., prevedeva, in relazione ai reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c,, la confisca (diretta, ovvero, in via sussidiaria, per equivalente) non solo del prodotto/profitto dei reati, ma anche dei beni utilizzati per commetterlo, precisava, a tale ultimo riguardo (richiamando sul punto la sentenza della Corte Costituzionale nr. 112/2019 e la giurisprudenza di legittimità espressasi in fattispecie analoga), come in tale categoria di beni non rientrassero unicamente i tradizionali "instrumenta sceleris", ovverosia le cose intrinsecamente pericolose (il grimaldello, la stampante utilizzata per la produzione di cartamoneta falsa, ecc..) bensì qualsivoglia res l'impiego della quale avesse reso possibile la commissione del reato e, pertanto, con riferimento alla vicenda sub iudice, anche le risorse finanziarie concesse dall'istituto a titolo di finanziamento ed impiegate per l'acquisto delle azioni dell'istituto medesimo; risorse che, nella specie, erano state convincentemente quantificate dai consulenti del P.M. nella misura di euro 963,000,000,00. Nella prospettiva del primo giudice, infatti, erano proprio i finanziamenti concessi per le operazioni di capitale finanziato che avevano reso possibili i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, trattandosi di reati che erano stati commessi comunicando un patrimonio di vigilanza non veritiero, in quanto non corrispondentemente decurtato. Erano detti finanziamenti, quindi, che, nel caso in esame, costituivano "i beni utilizzati per commettere i reati". A legittimare, poi, la confisca per equivalente nei confronti degli imputati era il mancato rinvenimento della somma oggetto dì confisca diretta e, quindi, l'impossibilità (peraltro da ritenersi all'uopo rilevante anche ove soltanto transitoria) di tale ablazione diretta. Nel caso di specie la confisca diretta era impedita dall'assoggettamento dell'istituto di credito, al momento della pronuncia, a liquidazione coatta amministrativa, trattandosi di procedura per effetto della quale era venuta meno in capo all'ente la disponibilità del patrimonio societario, destinato esclusivamente ad essere gestito, evitandone il depauperamento, in vista delle finalità della procedura medesima. Di qui la confisca disposta, per il valore di euro 963.000.000, nei confronti degli imputati ZO., PI., GI. e MA., con la precisazione che il principio solidaristico posto a fondamento della disciplina del concorso di persone, da un lato, e la natura eminentemente sanzionatoria della confisca per equivalente, dall'altro, implicavano che il provvedimento ablatorio fosse pronunziato, a carico di ciascuno di costoro, con riferimento all'intero importo. 1.13 Le questioni civilistiche Quindi, con riferimento alla posizione della Banca (...), citata da numerose parti civili in qualità di responsabile civile e in questa veste costituitasi in udienza preliminare, il tribunale riteneva la validità delle argomentazioni poste dall'istituto di credito a fondamento della relativa richiesta di esclusione (originariamente respinta per tardività) ex art. 83 TUB. In effetti la circostanza che l'istituto di credito fosse stato sottoposto a procedura di liquidazione coatta amministrativa con decreto ministeriale nr. 185 del 25 giugno 2017, ove debitamente valutata alla luce delle disposizioni di legge in materia, rispettivamente, di estensione alla procedura in esame delle disposizioni in materia di fallimento (art. 201), di disciplina dell'opposizione allo stato passivo (art. 83 TUB) e di improseguibilità delle pretese creditorie avanzate innanzi al tribunale ordinario (52 TUB), comportava la improcedibilità delle domande avanzate nei confronti della banca. Tutte le ragioni di credito, infatti, avrebbero dovuto essere fatte valere in sede concorsuale e, segnatamente, nell'ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, nel solco, peraltro, di quanto affermato ripetutamente dal giudice di legittimità. Di qui la declaratoria di improcedibilità della domanda avanzata dalle parti civili nei confronti del responsabile civile. Evidenziava infine il tribunale come esulassero dai poteri di ius dicere del giudice penale le domande (in taluni casi affiancate alle richieste risarcitone) volte a ottenere pronunce di accertamento della nullità e/o inefficacia dei contratti di finanziamento sottoscritti per l'acquisto di azioni. Quanto, poi, alle domande risarcitone da talune parti riproposte, in sede di conclusioni, nei confronti dell'Istituto di credito in qualità di ente incolpato ex D.L.vo 231/01, il Tribunale, richiamando i provvedimenti che non avevano ammesso la relativa costituzione di parte civile (sul rilievo della non esperibilità dì azioni civili volte ad ottenere il risarcimento del danno nei confronti degli enti in qualità di responsabili degli illeciti amministrativi), in tal senso espressamente motivava le ragioni che avevano indotto il collegio a non esaminare le relative richieste. Infine, con riferimento alle domande risarcitorie avanzate nei confronti degli imputati, il primo giudice pronunziava sentenza di condanna generica di questi ultimi in favore delle parti civili istituzionali (Banca d'Italia e CONSOB) e di quelle private (azionisti e obbligazionisti di B., siccome indicati negli elenchi, allegati al dispositivo, depurati delle parti le cui costituzioni erano state espressamente revocate, ovvero dovevano intendersi revocate per mancata presentazione delle conclusioni). In ordine ai primi, precisato che il pregiudizio patrimoniale consisteva negli esborsi e nel complessivo dispendio di risorse che le autorità di vigilanza avevano dovuto sostenere per ottenere quelle informazioni che erano state loro occultate, mentre il pregiudizio non patrimoniale doveva identificarsi nella compromissione delle finalità istituzionali delle suddette autorità e nella lesione dell'immagine che ne era derivata, il tribunale evidenziava la necessità di rimessione, per la quantificazione di dette voci dì danno, innanzi al giudice civile, in difetto di concreti elementi probatori idonei ad orientare la relativa determinazione. Nondimeno riconosceva una provvisionale nella misura di euro 601.017,39 in favore di Banca d'Italia e di euro 186.570 in favore di CONSOB, in entrambi i casi parametrandone l'entità ai costi (siccome quantificati dagli uffici interni di detti enti) sostenuti per l'aggravio di attività strettamente conseguenti alle condotte delittuose. Con riferimento, poi, alle parti civili private, osservato come il D.L. 99/17 che aveva posto in liquidazione coatta amministrativa l'istituto di credito avesse conservato i diritti dei titolari di obbligazioni subordinate nella liquidazione, sicché i predetti avrebbero potuto trovare soddisfazione solo una volta soddisfatti gli altri creditori, il primo giudice sottolineava che tutti gli investitori avevano subito un danno dalle condotte manipolative, in quanto indotti all'investimento sul presupposto di una situazione patrimoniale dell'istituto artatamente presentata come positiva e, quindi, senza essere stati posti nelle condizioni dì valutare la rischiosità dell'investimento stesso e la solvibilità della banca nell'estinguere il credito e nell'effettuare il rimborso. Segnatamente, con riferimento al delitto di aggiotaggio, il pregiudizio andava individuato nell'avere acquistato o conservato gli strumenti finanziari a prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, ovvero nell'avere effettuato un investimento che, senza le condotte manipolative, non sarebbe stato posto in essere. Analogamente, con riferimento al reato di falso in prospetto, gli investitori erano stati pregiudicati da condotte delittuose che avevano avuto l'effetto di mantenere artificiosamente alto il valore delle azioni, al contempo rappresentando una solidità patrimoniale dell'istituto in realtà insussistente. Più nel dettaglio, ad essere stati danneggiati - precisava il tribunale - non erano solo coloro che, nel periodo di commissione delle condotte delittuose, avevano acquistato azioni ad un prezzo superiore al reale valore dei titoli, ma anche gli investitori che, già in possesso di detti strumenti finanziari, si erano astenuti dal disinvestimento per effetto delle richiamate condotte manipolative. Di maggiore complessità, poi, era la questione inerente a coloro (peraltro una minima parte degli investitori, prevalentemente acquirenti di obbligazioni subordinate) che avevano acquistato le azioni successivamente alle condotte delittuose, sebbene anche con riferimento a tale categoria di investitori fosse effettivamente prospettabile un pregiudizio derivante dai reati, tenuto conto del periodo apprezzabile intercorso tra la cessazione delle condotte delittuose ed il disvelamento di quanto avvenuto (trattandosi di circostanza che aveva determinato il protrarsi di effetti di errata rappresentazione al mercato della reale situazione dell'istituto di credito, con indubbio svantaggio informativo). Infine vi erano i clienti dell'istituto che avevano effettuato gli acquisti con il denaro erogato dalla banca. Costoro non avevano subito una lesione diretta, non avendo impiegato risorse proprie nell'investimento (se non nel caso di investimento solo parzialmente finanziato); nondimeno, al di là della sussistenza o meno dell'obbligazione restitutoria, l'esposizione debitoria segnalata alla centrale rischi che ne era seguita e l'addebito dei costi di finanziamento costituivano pur sempre un pregiudizio effettivo. Conclusivamente, con riferimento alle parti civili private, emergeva un quadro composito, caratterizzato da posizioni eterogenee. Ebbene - precisava il tribunale - dette parti avevano quantificato: - il pregiudizio patrimoniale nel controvalore del pacchetto azionario calcolato sul valore dell'azione pari a 62,50 euro, ovvero all'ammontare della somma investita nelle operazioni di investimento (e, quindi, sostanzialmente, nella perdita dell'investimento); - ed il danno non patrimoniale in una quota parte di quello patrimoniale. Nondimeno tali parametri non potevano ritenersi appaganti, posto, per un verso, che il danno non si poteva meccanicamente identificare nella perdita del valore dell'azione in quanto i reati di aggiotaggio e falso in prospetto presentavano profili peculiari che non consentivano di determinare il relativo pregiudizio facendo ricorso a siffatto automatismo; e, per altro verso, che le parti civili si erano limitate a documentare i titoli sottoscritti (ovvero acquistati) e il prezzo pagato, senza fornire ulteriori elementi utili per la esatta quantificazione del pregiudizio. Peraltro, nulla era dato conoscere in ordine all'indennizzo corrisposto agli investitori dal FIR (Fondo Indennizzo Risparmiatori). Di qui la condanna generica al risarcimento ed il riconoscimento di una provvisionale nella misura del 5% dell'importo nominale del valore delle azioni od obbligazioni acquistate risultante dagli atti di costituzione di parte civile e, in ogni caso, onde evitare sperequazioni (tenuto conto del fatto che le cifre più consistenti erano quelle inerenti alle operazioni di capitale finanziato), non superiore ad euro 20.000,00 per ciascuna parte (importo dal primo giudice ritenuto tale da coprire almeno il danno non patrimoniale). Infine il primo giudice respingeva la domanda risarcitoria avanzata dagli enti esponenziali (Confconsumatori, Federconsumatori Friuli Venezia Giulia, Federconsumatorì Veneto, Codacons, Cittadinanza Onlus) per difetto di prova alcuna in ordine al pregiudizio non patrimoniale asseritamente subito a seguito delle condotte delittuose. 2. GLI APPELLI DEGLI IMPUTATI 2.1. Appello proposto da Gi.Em. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello la difesa di Gi.Em.. 2.1.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al capitolo I della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari), l'appellante - anteponendogli una premessa nella quale ha censurato in via generale il metodo argomentativo assertivo seguito nella sentenza impugnata, carente nell'enunciazione degli specifici "motivi di fatto e di diritto" attributiva delia responsabilità all'imputato GI. e tendente all'esposizione solo di alcune risultanze processuali senza nel contempo citarne molte altre, pur decisive su aspetti imprescindibili - ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018 del 7.12.2017 dep. 6.4.2018, emessa in sede cautelare, che aveva risolto in favore del foro vicentino il conflitto di competenza; conflitto sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore rispetto all'attuale e oltretutto connotato da una formulazione del capo B1 frattanto considerevolmente modificatasi). Le argomentazioni esposte in questo primo motivo d'appello dalla difesa del GI. a fondamento della dedotta competenza territoriale del Tribunale di Roma sono di tenore sostanzialmente analogo a quelle dell'appello ZO. (v. infra), cui si rinvia per il resto, fermo restando che dalla difesa dell'appellante GI. vengono particolarmente sviluppati i seguenti due argomenti: - il capo B1 contempla in sé, in realtà, sia il delitto di false informazioni (art. 2638 comma 1 c.c.) che quello di ostacolo (art. 2638 comma 2 c.c.) e i suddetti due delitti non si sono realizzati nel medesimo contesto temporale in quanto l'ispezione maggio-ottobre 2012 è stata per l'appunto preceduta dall'invio, in data 26.4.2012, della comunicazione di vigilanza (a firma del d.g. Sa.So.) avente ad oggetto il rendimento ICAAP sulla determinazione del patrimonio di vigilanza della banca al 31.12.2011; - nel decidere la questione di competenza la verifica del giudice non può essere limitata - diversamente da quanto ritenuto dal tribunale vicentino - alla mera enunciazione così come testualmente prospettata nel capo di imputazione, dovendo invece estendersi alla perimetrazione del fatto così come risultante dall'insieme di tutti gli atti allegati dalle parti (la comunicazione ICAAP inviata a Banca d'Italia il 26.4,2012 rientrerebbe per l'appunto fra gli atti di indagine specificamente relativi all'imputazione contestata sub capo B1 trattandosi di atti depositati dal Pubblico Ministero - segnatamente nel faldone n. 7 - e messi a disposizione del giudice con la richiesta di rinvio a giudizio); al riguardo vengono citati arresti giurisprudenziali di legittimità. L'appellante ha ribadito altresì - dopo averla prospettata già in primo grado nelle note d'udienza 2.4.2019 alle quali ha rinviato per tutti gli approfondimenti del caso - la possibilità di individuare in alternativa come territorialmente competente il Tribunale di Milano in quanto sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (ciò solo qualora i sia ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge n. 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile, trattandosi di questione tuttora dibattuta). 2.1.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione al capitolo II della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari) l'appellante ha dedotto la violazione degli art. 185 c.p. e 74 c.p.p. ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p. pronunciata dal tribunale in data 21.3.2019 (parzialmente reiettiva della richiesta di esclusione delle parti civili) e di tutte le parti della sentenza che la richiamano. L'impugnazione dell'anzidetta ordinanza si riferisce, per la precisione, ai suoi paragrafi 1.5, 1-6 e 1.7: s quanto al paragrafo 1.5 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile in capo agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti di causa. Essendo costoro divenuti azionisti od obbligazionisti (puri, subordinati o convertibili) in epoca successiva ai fatti che qui occupano non possono - conseguentemente - lamentare di avere subito un danno immediato e diretto (alcuni di essi, anzi, appaiono piuttosto avere messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti); quanto al paragrafo 1.6 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle c.d. operazioni "baciate"; tali soggetti non possono infatti che definirsi carenti di legitimatio ad causam essendo consapevoli di partecipare a un'operazione asseritamente illecita nella prospettazione d'accusa, a differenza di quanto affermato dal tribunale; al riguardo l'appellante ha ricordato come nella stessa costruzione generale dell'impianto accusatorio si dia indicazione della sottoscrizione, da parte dei clienti/soci/finanziati, di lettere di impegno - dal tenore chiaro ed esplicito - contenenti, per l'appunto, l'impegno da parte della banca al riacquisto delle azioni B. e/o contenenti la garanzia di un determinato rendimento; s quanto al paragrafo 1.7 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno messo in vendita le loro azioni. Nei confronti di tali soggetti si è infatti verificata l'interruzione - a seguito delia vendita - del nesso causale, con il conseguente carattere solo indiretto del danno da reato (commisurato al deprezzamento fra il momento di acquisto dell'azione e la realizzazione effettiva). Ebbene, lo stesso tribunale vicentino più volte ha fatto riferimento, nel contesto dell'ordinanza impugnata, proprio alla consequenzialità immediata fra reato e danno (enunciata negli artt. 1223 e 1227 comma 2 c.c.) dalla quale far discendere la sussistenza della legittimazione. Consequenzialità immediata che, nel caso di danno indiretto, per l'appunto non ricorre. - conseguentemente si è richiesta l'esclusione di tutte le parti civili rientranti nell'una o nell'altra delle suindicate tre categorie. 2.1.3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al capitolo III della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erronea ricostruzione -all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - della posizione del GI. nell'organigramma di B., dovuta tanto a un'erronea valutazione degli elementi ritenuti a carico quanto alla mancata valutazione di molti altri elementi pur esistenti a discarico. Segnatamente: la sentenza impugnata, nel sostenere che il GI. avrebbe svolto un ruolo primario agendo congiuntamente al direttore generale Sa.So. (l'operatività era gestita dal direttore generale So. e dal suo vice Gi."), contrasterebbe con un dato conclamato alla luce dell'intera vasta istruttoria dibattimentale e in particolare testimoniale, ossia il fatto che Sa.So. fosse in realtà da lungo tempo portatore, nei confronti del GI., di un sentimento - da lui apertamente manifestato - di sfiducia, contrarietà e desiderio di causarne l'emarginazione, come riferito - fra gli altri - dai testi Di.Gr., Co.Tu., Cl.Gi., Da.Es., Pa.An. (quest'ultimo in particolare, nell'evidenziare come tale connotazione del rapporto fra i due fosse evidente anche per i componenti del CdA, aveva dichiarato: Sostenere che So. facesse tandem con Gi. anche se poi il fenomeno delle baciate potrebbe anche farlo pensare, è un qualcosa che era assolutamente irreale per chi un minimo respirava la banca, anche perché era notorio che So. non amasse la professionalità di Gi..."). Tutt'altre invero erano le persone che all'interno di B. frequentavano abitualmente l'ufficio del So., menzionate nominativamente - ad esempio - dal teste Esposito in sede dibattimentale; da tale "salotto buono" (cfr, pag. 31 atto di appello) ovvero "cerchio magico" (Ibidem) il GI., in altri termini, era rigorosamente escluso; - la stessa elencazione delle funzioni e competenze tanto della Divisione Mercati quanto del suo responsabile Em.Gi., così come sunteggiata alla pag. 639 della sentenza impugnata, non risponde al vero poiché ignora il fatto che gli organigrammi e i funzionigrammi di B. hanno subito nel tempo, proprio per volere del So., accentuati cambiamenti il cui scopo era esattamente quello di emarginare il GI. coinvolgendo, nel contempo, personale fedele al direttore generale; sono state citate al riguardo tanto l'analisi condotta dal consulente tecnico della difesa prof. Pe. quanto le deposizioni rese da vari testimoni (Al.Mo., Co.Tu., Ma.Ba., Gi.Am., Cl.Am., Cl.Gi., Fi.Ro.); - sempre l'istruttoria dibattimentale, in particolare testimoniale (cfr le deposizioni dei testi Al.Ba., Co.Tu., Cl.Gi., Ma.Ni., Se.Ro., Lu.Ve., En.Da., Di.Ip., Al.Cu.), ha consentito di appurare che le scelte riguardanti le operazioni qui in discussione e le loro modalità erano decise in piena autonomia dal solo So., il quale impartiva alle strutture della banca le conseguenti direttive o in prima persona oppure avvalendosi, a guisa però di mero tramite, del GI. e/o del direttore commerciale Gi.Am.; - sempre l'istruttoria dibattimentale (cfr. le deposizioni dei testi Cl.Gi., En.Da., Co.Tu.) ha evidenziato come anche lo stesso GI. - tratteggiato nella gravata sentenza come l'autore in prima persona di pressioni estreme sulla rete commerciale - fosse in realtà destinatario di minacce e pressioni provenienti direttamente dal So.. Quanto alle fonti di prova citate in sentenza con riguardo alle pretese pressioni esercitate dal GI. (cfr. in particolare le dichiarazioni dei testi Di.Ip. e Ma.Ni.) la difesa ha argomentato nel senso del loro fraintendimento e/o vaglio solo parziale e decontestualizzato da parte del tribunale; - la sentenza gravata ha completamente omesso di considerare i seguenti due episodi - definiti gravi e inquietanti dalla difesa - in danno del GI., i y quali ben evidenziano quanto egli fosse "estraneo al milieu compatto e ristretto di gestione reale della Banca" (cfr. pag. 34 atto di appello): a) riguardo alla questione degli storni è emerso che - in seno alla Divisione Mercati diretta dal GI. - era stato ordinato da Gi.Am. al suo subalterno Al.Fe. di correggere le lettere di storno sottoscritte dallo stesso Am. obliterando la firma di questi e lasciando inalterate solo le lettere firmate dal GI., quando per converso l'estraneità di questi alla procedura degli storni deve ritenersi dimostrata anche dal rigetto, nei suoi confronti, della domanda cautelare presentata in sede civile dalla banca (cfr. documento n. 668 prodotto dallo stesso Pubblico Ministero, corrispondente al provvedimento n. 4414/2015 del Giudice del lavoro presso il Tribunale di Vicenza); b) a detta del teste Co.Tu. il collega Ad.Ca. - uno dei componenti la ristretta cerchia di frequentatori abituali dell'ufficio del d.g. Sa.So. - all'inizio del mese di maggio 2015 aveva minacciato lo stesso Tu. di licenziamento perché si era rifiutato di scrivere una relazione nella quale si dicesse falsamente che il GI. era il responsabile di tutta l'operatività illecita; - l'ostilità nei confronti del GI. si era finanche acuita dopo l'inizio dell'attività ispettiva, essendo sorta - per effetto di quanto andava ivi emergendo - l'esigenza di catalizzare sul predetto ogni responsabilità. 2.1.4 Con il quarto, il quinto e il sesto motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IV, V e VI della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erroneità dell'attribuzione al GI. - all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - dell'ideazione e attuazione delle operazioni di finanziamento correlato, rivendicando altresì in capo al predetto la genuina convinzione che tali operazioni non solo fossero lecite ma altresì che venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. Si è evidenziato in particolare al riguardo quanto segue: - il GI. era entrato in B. nel novembre 2007 allorquando la prassi delle operazioni correlate già era in essere (circostanza riferita non solo dall'imputato nel suo esame dibattimentale ma altresì dai testi Di.Gr. e Alessandro Ba. fra gli altri); - il GI. inizialmente era perplesso, e del resto si trattava di perplessità diffusa all'interno di B., circa l'applicabilità dell'art. 2358 cc. alle banche popolari come società cooperative e ciò quantomeno fino all'anno 2012, anno in cui aveva avuto luogo l'ispezione della Banca d'Italia; in tal senso del resto si era espresso anche un parere legale esterno acquisito dalla stessa B.; - la sentenza impugnata ha comunque errato nel ritenere non credibile il teste Cl.Am. circa l'andamento del suo colloquio con l'ispettore Ge.Sa. (del quale va tenuta in considerazione, in particolare, una conversazione captata - la n. 281 progn del 19.3.2017 - con il consulente tecnico del Pubblico Ministero, Pa., ove il primo diceva al suo interlocutore: "Poi, vedendo le carte, effettivamente alcune operazioni baciate c'erano", il che dimostrerebbe l'effettività dei disvelamento affermato dal teste Am.); né il tribunale ha valutato con adeguato rigore i plurimi elementi istruttori che depongono nel senso di un rapporto istituzionale "non esemplare" intrattenuto dalla Banca d'Italia, nella specifica occasione, con il So.; - plurime sono le evidenze testimoniali - citate nominativamente nell'atto di appello - di una "piana e pacifica conoscenza dell'esistenza delle operazioni correlate in capo a tutti i settori di B., incluso il settore legale nella persona dell'avv. An.Pa. (diversamente da quanto costei ha sostenuto in sede dibattimentale) e incluso soprattutto il settore bilancio e pianificazione di cui era responsabile il coimputato Ma.Pe., che oltretutto faceva parte - circostanza ben nota al Gi. - del milieu ristretto di dirigenti che avevano un rapporto esclusivo con il So. (al riguardo l'appellante ha lamentato il fatto che il PE. sia stato mandato assolto dal tribunale sull'assunto che in capo allo stesso PE. fosse insufficiente la prova dell'elemento soggettivo del reato); - il GI., atteso tutto quanto sopra (in particolare quanto osservato in relazione alla posizione del PE. e al contegno da questi tenuto), non poteva che maturare la convinzione che le operazioni correlate - a tutti note in B. - venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza; - non può condividersi per converso l'argomento, svolto a pag. 216 dalla sentenza impugnata, secondo cui è evidente che le operazioni correlate in oggetto non venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza in quanto, in caso contrario, sarebbero state del tutto inutili; tale argomento prova troppo, giacché, se davvero così fosse stato, tutti coloro che si erano occupati di operazioni correlate in B. (inclusi tutti gli esponenti dell'alta e media dirigenza, ivi compresi quelli più vicini al So.) sarebbero stati raggiunti dalle medesime imputazioni; ciò non è invece avvenuto proprio perché la Procura della Repubblica vicentina ha ritenuto mancante in capo a costoro la consapevolezza dell'intero disegno strategico intessuto al riguardi dal So. (e, con ogni probabilità, da questi tenuto riservato entro la ristretta cerchia delle persone per lui fidate, la quale non comprendeva - come detto - l'imputato GI., tenuto lontano dalle "strategie decisionali" del direttore generale stante il rapporto di emarginazione, sfiducia e contrarietà del quale egli era reso oggetto); - esistono inoltre ragioni prettamente tecniche, illustrate anche dal c.t, della difesa prof, Pe. (e passate in rassegna alle pagg. 50-51 dell'atto di appello), che rafforzano ulteriormente la conclusione da trarsi circa la genuina convinzione, in capo al GI., che le note operazioni correlate venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. 2.1.5 Con il settimo e l'ottavo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli VII e VIII della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha passato dettagliatamente in rassegna le numerose emergenze processuali già evidenziate in prime cure dalla difesa - ma ignorate dalla sentenza impugnata - che a suo avviso depongono nel senso della non consapevolezza, in capo al GI., dell'entità del fenomeno, censurando simmetricamente l'erronea valutazione, da parte del primo giudice, di quegli ulteriori elementi probatori che lo stesso tribunale ha ritenuto pesare a carico dell'imputato. In particolare si è evidenziato che: quanto al contenuto del file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, le frasi ivi pronunciate dal GI. e da altri partecipanti non sono state adeguatamente contestualizzate (a quell'epoca era ormai diffusa in B. una sensazione di "quasi defaul" manifesta e recepita da tutti con ovvie preoccupazioni); in alcuni altri casi invece - come ad esempio è a dirsi per la quantificazione da parte del So. dei "finanziamenti" in oltre un miliardo di euro - sono state travisate nel significato (in realtà sarebbe chiaro, a detta dell'appellante, che il So. non si riferiva al capitale finanziato bensì alla campagna pre-affidamenti, il che emergerebbe da vari elementi della svolta istruttoria); - del tutto neutro è il fatto che il So. prima del 2013 avesse fatto fare un report a Co.Tu. (circostanza evidenziata a pag. 668 della sentenza gravata), dato che la stessa sentenza ha ricordato come tale report - al pari delle tabelle di monitoraggio mensili diffuse nel corso delle riunioni della Divisione Mercati - riguardasse tutti i soci, anche quelli non finanziati; - anche la deposizione del teste Ro.Pr., valorizzata in sentenza quale dato significativo a carico del GI., non sarebbe stata letta ed esaminata nella sua interezza dai giudici vicentini; - le prove a discarico in punto "consapevolezza" del GI. sono state completamente ignorate dal primo giudice, pur provenendo esse a volte finanche da testi altrimenti rivelatisi alquanto "ostili" nei suoi confronti come Lu.Ve., Gi.Ca., En.Da., Se.Ro., Pa.An. (dei quali l'appellante ha riportato gli stralci di deposizione favorevoli al GI.); - quanto agli elementi probatori indicati in sentenza come "a carico" dell'imputato, invece, ivi non si è specificato neppure a quali fra i plurimi distinti reati contestatigli essi si riferiscano; - attesa la sopra ben evidenziata conoscenza diffusa a tutti i livelli, in B., del ricorso a operazioni di capitale finanziato, si svuotano di valenza probatoria "a carico" elementi come gli appunti del teste Ma.So. circa i contenuti del Comitato di Direzione 8.11.2011 e come l'incontestato ruolo di coordinamento della rete che il GI. esercitava in quanto direttamente afferente alla sua qualifica di responsabile della Divisione Mercati; - vari testi, ancora una volta ignorati dalla sentenza gravata, hanno riferito circa il reiterato attivarsi del GI. per favorire l'informatizzazione della procedura (il che avrebbe reso impossibile la prassi contestata), incontrando però sempre la ferma resistenza della Divisione Risorse; - non sono minimamente risolutivi gli asseriti indici di consapevolezza evidenziati in sentenza (il divieto alla rete di comunicare informazioni per iscritto; il ricorso alla ed. "clausola sentinella" generica nelle P.E.F.; l'invito a rispettare un distanziamento temporale tra fido e acquisto delle azioni), posto che, a tacer d'altro, la formula generica - preesistente all'ingresso di GI. in B. - è risultata non essere stata utilizzata in una cospicua percentuale delle stesse operazioni correlate (circa il 35,50%) e che pure la prassi del distanziamento temporale non era stata certo introdotta, come dimostrato dalla svolta istruttoria, dal GI., in capo al quale - diversamente da quanto ritenuto in sentenza - non può affatto di dimostrata una "pervicace condotta tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delie autorità di vigilanza" (cfr. pag. 647 sentenza gravata); - la sentenza impugnata, nell'indicare come elementi a carico significativi la vicenda Vi. (e relativo report Bo.), la richiesta di chiarimenti da parte della società di revisione KP. e le schede consegnate all'ispettore Gi.Ma., ha riportato solo alcuni aspetti della relativa vicenda ignorando le risultanze processuali utili a contestualizzarli e a inquadrarli; aspetti che l'appellante ha illustrato e analizzato alle pagg. 62-66 dell'atto di impugnazione. 2.1.6. Con il nono, decimo, undicesimo e dodicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IX, X, XI e XII della parte III dell'impugnazione) l'appellante ha illustrato quelli che a suo avviso sono fondamentali errori metodologici commessi dal primo giudice nella ricostruzione probatoria dei fatti, con particolare riguardo: - a una visibile confusione fatta tra gli elementi costitutivi della fattispecie legale dell'operazione correlata e l'individuazione dei mezzi probatori atti a verificarne l'effettiva realizzazione in una determinata situazione; all'utilizzo di "criteri" (nomenclatura estranea al diritto delle prove penali) non identificabili con le circostanze indiziarie disciplinate quali mezzi di prova dall'art. 192 comma 2 c.p.p., di talché si sarebbe persa di vista, in sentenza, la necessità che il quadro indiziario risulti connotato dai necessari requisiti di gravità, precisione, concordanza e necessità di adeguati riscontri; in altri termini la sentenza gravata non ha rispettato il citato canone processual-penalistico (cui era tenuta ad attenersi) bensì ha, piuttosto, utilizzato il metodo amministrativistico di cui alla circolare n. 263 della Banca d'Italia, e ciò benché le finalità perseguite dai vari metodi e dai differenti criteri in gioco (BCE, consulenti tecnici del P.M., CONSOB) si differenzino considerevolmente fra loro; - all'utilizzo in particolare, da parte della sentenza gravata, dei criteri impiegati dapprima da BCE e indi dai consulenti tecnici del P.M., che tuttavia sono estranei alla metodologia del processo penale di cui al citato art. 192 comma 2 c.p.p. in tema di valutazione critica delle prove indiziarie; metodologia che, se utilizzata, avrebbe dato esiti finali ben diversi e favorevoli all'imputato. 2.1.7 Con il tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo e sedicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XIII, XIV, XV e XVI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha censurato la sentenza impugnata laddove ha ritenuto di ravvisare una responsabilità concorsuale del GI. ex art, 110 c.p.p., anzitutto, nei reati di aggiotaggio manipolativo-operativo (articolato in una prima condotta relativa alla concessione del capitale finanziato, in una seconda condotta relativa alla mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014 e in una terza condotta relativa alla mancata comunicazione all'esperto prof. Ma.Bi. della prassi aziendale in tema di operazioni correlate), non prima peraltro di avere stigmatizzato l'illegitti