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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9178 del 2023, proposto da Ma. Or. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ba., Si. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Condominio Vi. Bo., rappresentato e difeso dagli avvocati Ri. Mo., An. In., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ro. De Mu. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Gi. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 703/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis), del Condominio Vi. Bo. e di Ro. De Mu. e altri come sopra individuati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini e uditi per le parti gli avvocati Ma. Al.; Ma. Si.; Ga. Gi.; In. An.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza n. 77 in data 1 giugno 2022, assunta dal Segretario del Comune di (omissis), avente ad oggetto la sospensione dei lavori di ricostruzione di un muro di sostegno di area retrostante comprendente la linea ferroviaria (omissis) - (omissis) nonché un edificio residenziale. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze. I ricorrenti sono proprietari di un compendio immobiliare nel Comune di (omissis), frazione (omissis), costituito da un antico edificio residenziale ("villa del Ve.") e un'area pertinenziale che si estende fino al litorale. Con provvedimento del 27 novembre 2019, il Comandante della Capitaneria di porto di Imperia autorizzava uno dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 55 cod. nav. e fatto salvo il necessario titolo edilizio, ad effettuare i lavori di ricostruzione di un muro di protezione dal mare; secondo le risultanze catastali, il manufatto da erigere rientrava nel perimetro della proprietà privata. Previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, gli interessati presentavano al Comune di (omissis), in data 18 febbraio 2020, una s.c.i.a. per la ricostruzione del muro in cemento armato, qualificando l'intervento come manutenzione straordinaria. Con nota del 11 maggio 2022, considerato che i lavori non erano stati ancora realizzati e che lo stato dei luoghi poteva aver subito mutamenti nel periodo trascorso dal rilascio dell'autorizzazione, il Comandante della Capitaneria di porto sospendeva l'efficacia del titolo medesimo, diffidando gli interessati a non realizzare l'intervento. Con successiva nota del 16 maggio 2022, la stessa Autorità comunicava che, alla luce delle risultanze emerse in apposita riunione cui avevano partecipato i rappresentanti del Provveditorato alle opere pubbliche e dell'Agenzia del demanio, la diffida era stata revocata. I lavori sono stati avviati nello stesso mese di maggio del 2022. Tuttavia, essendo emersi elementi di incertezza in ordine alla titolarità dell'area di intervento (che, secondo alcuni esposti pervenuti all'Ente locale, sarebbe appartenuta al demanio marittimo), il Comune di (omissis) disponeva l'immediata sospensione dei lavori con ordinanza del 1 giugno 2022. In pari data, il Comune presentava alla Capitaneria di porto un'istanza urgente per la rideterminazione della dividente demaniale ex art. 32 cod. nav. Il Comandante della Capitaneria di porto riscontrava l'istanza con nota del 14 giugno 2022, significando che la questione inerente alla persistente attualità dell'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. rilasciata ai ricorrenti era già stata affrontata e positivamente definita nella menzionata riunione cui il Comune non aveva ritenuto di partecipare. A questo punto, preso atto che i solleciti volti all'esercizio del potere di autotutela erano rimasti privi di riscontro, gli interessati hanno impugnato l'ordine di sospensione dei lavori con ricorso notificato e depositato in data 8 luglio 2022. In via preliminare il Tar ha fatto riferimento all'affermazione di parte ricorrente secondo cui, essendo decorso il termine di 45 giorni stabilito dall'art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, l'impugnata ordinanza di sospensione dei lavori sarebbe divenuta inefficace nel corso del giudizio e, in conseguenza, dovrebbe essere dichiarata l'improcedibilità del ricorso. È evidente che, in questa prospettiva, l'invocata declaratoria di improcedibilità risulterebbe sostanzialmente satisfattiva della pretesa azionata in giudizio, poiché implica l'accertamento della sopravvenuta inefficacia del provvedimento che impedisce la ripresa dei lavori avviati dai ricorrenti. Il Tar ha condiviso, a tale riguardo, la stigmatizzazione operata dai primi intervenienti, non essendo plausibile che il ricorso, cui accedeva la domanda di tutela cautelare anche monocratica, fosse stato proposto avverso un provvedimento la cui efficacia, in tesi, sarebbe venuta meno appena otto giorni dopo: l'atto introduttivo del presente giudizio, infatti, è stato notificato e depositato in data 8 luglio 2022, laddove il preteso termine di efficacia del provvedimento impugnato sarebbe scaduto il successivo 16 luglio. In ogni caso, anche volendo ammettere che i pochi giorni residui di "paralisi del cantiere" fossero forieri di gravi pregiudizi per i ricorrenti, la tardiva segnalazione di una circostanza potenzialmente idonea a consentire la sollecita definizione del giudizio già in sede cautelare configura un abuso dello strumento processuale. Il Tar ha poi evidenziato l'infondatezza della tesi inerente alla sopravvenuta inefficacia dell'impugnata ordinanza. Nel caso in esame, infatti, l'Amministrazione ha disposto la sospensione dei lavori "fino al provvedimento di delimitazione ex articolo 32 cod. nav. richiesto, in via di urgenza, con nota prot. n. 23171 del 1 giugno 2022". La scadenza dell'efficacia dell'atto dipendeva, quindi, da un evento futuro e incerto nel quando, ma non nell'an, poiché il Comune di (omissis) non aveva ragioni per dubitare, anche in un'ottica di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni, che la propria istanza di rideterminazione della dividente demaniale avrebbe dato impulso ad un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento espresso. Non risulta, d'altronde, che l'istanza predetta sia stata formalmente rigettata, atteso che la nota del 14 giugno 2022 della Capitaneria di porto si pronunciava in merito alla diversa questione concernente l'invarianza dei presupposti sottesi all'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. già rilasciata ai ricorrenti. Alla luce di tali precisazioni, può farsi questione della legittimità di un termine diverso da quello previsto dalla fonte primaria, ma non dubitare della sua esistenza e, dunque, della perdurante efficacia del provvedimento impugnato, con conseguente insussistenza delle condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso. Il Tar ha fatto riferimento all'indagine relativa all'effettivo stato dei luoghi interessati dall'attività edificatoria, in funzione dell'accertamento incidentale della demanialità dell'area di intervento. Trattasi di accertamento sicuramente non eccedente l'ambito della competenza del giudice amministrativo, poiché l'ipotizzato carattere demaniale del bene costituisce presupposto del provvedimento impugnato. Il Tar ha ricordato che ai sensi dell'art. 822, primo comma, cod. civ., il lido del mare e la spiaggia "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico". I beni che assumono i connotati naturali di "lido del mare" o di "spiaggia" sono acquisiti al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della pubblica amministrazione. Per univoco orientamento giurisprudenziale, il lido del mare è la porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, mentre la spiaggia comprende i tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26877). Rientra nel demanio marittimo necessario anche l'arenile, vale a dire quel tratto di terraferma relitto dal naturale ritirarsi delle acque che resti idoneo ai pubblici usi del mare (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2020, n. 22567). Il verificatore pur non avendo risposto espressamente al quesito che chiedeva di accertare se il muro da erigere insista, in tutto o in parte, sul lido del mare o sulla spiaggia, ha fornito informazioni che consentono di ravvisare gli elementi costitutivi della demanialità con riguardo al terreno interessato dall'intervento edilizio, rimanendo irrilevante la sua iscrizione in catasto come proprietà privata. Riferisce innanzitutto il verificatore che il muro dovrebbe sorgere sull'appezzamento di terreno identificato a catasto al foglio (omissis), mappali (omissis), "posto fronte mare al di sotto della linea ferroviaria" (pag. 6). Le fotografie interfogliate nella relazione rivelano che il terreno in questione è privo di scogli e coperto da ciottoli fino al terrapieno posto a monte; si nota "la presenza sulla linea di battigia di blocchi di cemento e numerosi tondini di ferro installati lungo una linea che rappresenterebbe il tracciato dove far sorgere il muro" (pag. 8). Tale tratto di litorale "è caratterizzato da fenomeni di mareggiate particolarmente intense e saltuarie" (pag. 15), come dimostrato anche dall'erosione del terrapieno predetto cagionata dal "frangersi del moto ondoso durante le mareggiate" (pag. 28). Infine, per quanto concerne l'esatta ubicazione del muro, il verificatore precisa che esso si collocherebbe a circa 11 metri dalla linea di battigia nella parte più distante e ad un paio di metri in quella più prossima al mare (pag. 28). Tali elementi dimostrano che la porzione di riva sulla quale dovrebbe sorgere il muro, restando coperta nella sua interezza da mareggiate non eccezionali, non consente altro uso che non sia quello marittimo e, in conseguenza, ha qualità intrinseca di "lido del mare" o di "spiaggia", comunque riconducibile alle categorie indicate dall'art. 822, primo comma, cod. civ. Anzi, considerando che le operazioni peritali sono state effettuate in condizioni di mare calmo, vento assente e bassa marea (pag. 28), è verosimile che la parte di muro più vicina al mare sorga direttamente sulla battigia, ossia sulla fascia costiera interessata dal movimento ordinario di flusso e riflusso delle onde, come dimostra chiaramente anche la fotografia inserita alla pag. 8 della relazione peritale. La sicura qualificazione dell'area come bene appartenente al demanio marittimo necessario rende irrilevanti le ulteriori questioni afferenti la sua potenziale attitudine a realizzare i pubblici usi del mare. Discende da tali considerazioni la diagnosi di fondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso espressamente sollevata dai primi intervenienti (ma insita anche nelle argomentazioni difensive delle altre parti resistenti). In assenza di concessione, infatti, i ricorrenti non avevano alcun titolo di legittimazione per realizzare l'opera su un bene del demanio marittimo, sicché la s.c.i.a. edilizia, di per sé inidonea ad esplicare effetti sul piano del governo dei diritti demaniali, deve considerarsi tamquam non esset. Ne consegue che, non disponendo del bene della vita, i ricorrenti non possono vantare un interesse astrattamente meritevole di tutela o, più precisamente, un interesse legittimo oppositivo nei confronti del provvedimento adottato dal Comune di (omissis) che, inibendo la prosecuzione dei lavori (a prescindere dalla natura del potere concretamente esercitato), non determina alcun effetto restrittivo della sfera giuridica dei soggetti privi dello ius aedificandi. 2. Si sono costituiti in giudizio per resistere all'appello il Comune di (omissis), Ro. De Mu. ed altri e il Condominio "Vi. Bo.". 3. Parte appellante fa presente che nel corso del giudizio di primo grado i ricorrenti odierni appellanti hanno chiesto che il ricorso venisse dichiarato improcedibile per sopravvenuta inefficacia dell'ordine di sospensione lavori, essendo decorso il termine di 45 giorni stabilito dall'art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001. Contesta la tesi del Tar secondo cui, stante la perdurante efficacia del provvedimento impugnato di sospensione lavori, difetterebbero le condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso. Ritiene che: - la dichiarazione di improcedibilità del ricorso avverso l'ordine di sospensione non sia in alcun modo satisfattiva delle ragioni dei ricorrenti in quanto se è vero che ciò avrebbe consentito di riprendere i lavori è altrettanto vero che gli stessi sarebbero rimasti pur sempre esposti alla vigilanza del Comune e alla emissione di atti repressivi di eventuali illeciti; - la proposizione del ricorso in questione non sarebbe abuso del processo, ma invece normale esercizio del diritto di difesa al fine di ottenere l'annullamento nel merito dell'ordinanza di sospensione lavori o quantomeno la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta inefficacia dell'atto per decorso del termine stabilito dalla legge anche in funzione della proponenda azione risarcitoria dei danni causati dall'arbitraria sospensione lavori. Ritiene che il giudice di prime cure abbia ignorato che la stessa ordinanza ha esplicitamente riconosciuto la propria natura cautelare e ha richiamato le disposizioni del D.P.R. n. 380/2001. Sulla base di ciò non potrebbero sussistere dubbi sull'applicabilità nel caso di specie dell'art. 27 del D.P.R. n. 380/2001 (il cui contenuto è trasfuso anche nella Legge Regionale sull'edilizia n. 16 del 2008 all'art. 40) ed in particolare del termine di efficacia di 45 giorni per la sospensione lavori. Il provvedimento del Comune di (omissis) non sarebbe semplicemente illegittimo per violazione delle norme che stabiliscono il termine di efficacia dell'ordinanza di sospensione, ma diverrebbe addirittura nullo per difetto assoluto di attribuzione. Parte appellante ribadisce pertanto l'improcedibilità del ricorso originario per sopravvenuta inefficacia del provvedimento di sospensione lavori atteso che nel termine perentorio di 45 giorni - ma neppure successivamente - non è stato adottato alcun provvedimento definitivo comunale. 3 - bis. L'appello è infondato e pertanto il collegio può prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari. Le censure sono infondate. Infatti, l'Amministrazione ha disposto la sospensione dei lavori "fino al provvedimento di delimitazione ex articolo 32 cod. nav. richiesto, in via di urgenza, con nota prot. n. 23171 del 1 giugno 2022". La scadenza dell'efficacia dell'atto dipendeva, quindi, da un evento futuro e incerto nel quando, ma non nell'an, poiché il Comune di (omissis) non aveva ragioni per dubitare, anche in un'ottica di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni, che la propria istanza di rideterminazione della dividente demaniale avrebbe dato impulso ad un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento espresso. Non risulta, d'altronde, che l'istanza predetta sia stata formalmente rigettata, atteso che la nota del 14 giugno 2022 della Capitaneria di porto si pronunciava in merito alla diversa questione concernente l'invarianza dei presupposti sottesi all'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. già rilasciata ai ricorrenti. Alla luce di tali precisazioni, come affermato dal Tar, può farsi questione della legittimità di un termine diverso (ossia fino alla data di adozione del provvedimento di delimitazione) da quello previsto dalla fonte primaria, ma non dubitare della sua esistenza e, dunque, della perdurante efficacia del provvedimento impugnato, con conseguente insussistenza delle condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso o la cessata materia del contendere. 4. Parte appellante lamenta poi l'illegittimità dell'accertamento incidentale sulla proprietà contenuto nella sentenza appellata. Infatti la natura stessa dell'ordinanza di sospensione lavori non presuppone alcun accertamento definitivo sulla titolarità dell'area oggetto di intervento edilizio impedendo che si possa instaurare un rapporto di pregiudizialità tra esame del ricorso giurisdizionale attinente la legittimità del provvedimento e l'accertamento in via incidentale del diritto di proprietà sul terreno in questione. L'impossibilità di un accertamento incidentale sarebbe reso ancor più evidente dal fatto che parte ricorrente all'udienza del 24 maggio 2023 ha concentrato la subordinata azione di annullamento insistendo solo sulla violazione del termine finale della sospensione lavori legato nel suo termine finale ad un evento incertus an et quando. 4 - bis. Le censure sono infondate. Il Tar ha fatto riferimento all'indagine relativa all'effettivo stato dei luoghi interessati dall'attività edificatoria, in funzione dell'accertamento incidentale della demanialità dell'area di intervento. Trattasi di accertamento sicuramente non eccedente l'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, poiché l'ipotizzato carattere demaniale del bene costituisce presupposto del provvedimento impugnato e non questione principale. Infatti sul punto l'ordinanza impugnata in primo grado fa specifico riferimento alla descrizione dei luoghi e alla conseguente possibilità che le opere sono state previste ed eseguite sul demanio marittimo. Nel caso di specie oggetto principale della contestazione è proprio l'ordine di sospensione dei lavori e la connessa sopra richiamata motivazione. L'accertamento della proprietà demaniale costituisce questione incidentale scrutinabile dal giudice amministrativo ai sensi del primo comma dell'art. 8 del cod. del proc. amm. secondo cui il giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale (così Cons. di Stato, Sez. VII, 23 settembre 2022, n. 8225). 5. Parte appellante ritiene che la sentenza appellata sia illegittima perché il giudice di prime cure si sarebbe discostato dalle determinazioni in materia di confine demaniale delle Amministrazioni competenti. Fa riferimento alla circostanza che: - la Capitaneria di Porto, dopo aver esaminato la questione con nota del 16 maggio 2022 prot. n. 9424 aveva esplicitamente consentito la prosecuzione dei lavori; - l'Agenzia del Demanio ha avuto modo di chiarire che il muro in corso di realizzazione, una volta completato, avrebbe rappresentato "il confine demaniale aggiornato". Il giudice di prime cure, pur in presenza di queste valutazioni delle competenti Amministrazioni sul profilo della demanialità, se ne sarebbe inopinatamente discostato e avrebbe provveduto in autonomia ad individuare di fatto un nuovo confine tra proprietà privata e demanio marittimo, quando la legge assegna tale compito all'Amministrazione nella figura del Capitaneria di Porto competente o al giudice ordinario. Secondo parte appellante la controversia in esame riguarderebbe un'ordinanza di sospensione lavori che non comporta alcun accertamento sulla regolarità o meno dell'opera edilizia con conseguente impossibilità da parte del giudice di prime cure di esaminare la legittimità ovvero l'esistenza della SCIA edilizia che ha assentito il muro di protezione dagli eventi meteo-marini. 5 - bis. Le censure sono infondate. La sentenza appellata è congruamente motivata sul punto anche con riferimento agli esiti della verificazione espletata nel giudizio di primo grado. Infatti il Tar ha premesso che ai sensi dell'art. 822, primo comma, cod. civ., il lido del mare e la spiaggia "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico". I beni che assumono i connotati naturali di "lido del mare" o di "spiaggia" sono acquisiti al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della pubblica amministrazione. Per univoco orientamento giurisprudenziale, il lido del mare è la porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, mentre la spiaggia comprende i tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26877). Rientra nel demanio marittimo necessario anche l'arenile, vale a dire quel tratto di terraferma relitto dal naturale ritirarsi delle acque che resti idoneo ai pubblici usi del mare (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2020, n. 22567). Il verificatore pur non avendo risposto espressamente al quesito che chiedeva di accertare se il muro da erigere insista, in tutto o in parte, sul lido del mare o sulla spiaggia, ha fornito informazioni che consentono di ravvisare gli elementi costitutivi della demanialità con riguardo al terreno interessato dall'intervento edilizio, rimanendo irrilevante la sua iscrizione in catasto come proprietà privata. Riferisce innanzitutto il verificatore che il muro dovrebbe sorgere sull'appezzamento di terreno identificato a catasto al foglio (omissis), mappali (omissis), "posto fronte mare al di sotto della linea ferroviaria" (pag. 6). Le fotografie interfogliate nella relazione rivelano che il terreno in questione è privo di scogli e coperto da ciottoli fino al terrapieno posto a monte; si nota "la presenza sulla linea di battigia di blocchi di cemento e numerosi tondini di ferro installati lungo una linea che rappresenterebbe il tracciato dove far sorgere il muro" (pag. 8). Tale tratto di litorale "è caratterizzato da fenomeni di mareggiate particolarmente intense e saltuarie" (pag. 15), come dimostrato anche dall'erosione del terrapieno predetto cagionata dal "frangersi del moto ondoso durante le mareggiate" (pag. 28). Infine, per quanto concerne l'esatta ubicazione del muro, il verificatore precisa che esso si collocherebbe a circa 11 metri dalla linea di battigia nella parte più distante e ad un paio di metri in quella più prossima al mare (pag. 28). Tali elementi dimostrano che la porzione di riva sulla quale dovrebbe sorgere il muro, restando coperta nella sua interezza da mareggiate non eccezionali, non consente altro uso che non sia quello marittimo e, in conseguenza, ha qualità intrinseca di "lido del mare" o di "spiaggia", comunque riconducibile alle categorie indicate dall'art. 822, primo comma, cod. civ. Anzi, considerando che le operazioni peritali sono state effettuate in condizioni di mare calmo, vento assente e bassa marea (pag. 28), è verosimile che la parte di muro più vicina al mare sorga direttamente sulla battigia, ossia sulla fascia costiera interessata dal movimento ordinario di flusso e riflusso delle onde, come dimostra chiaramente anche la fotografia inserita alla pag. 8 della relazione peritale. La sicura qualificazione dell'area come bene appartenente al demanio marittimo necessario rende irrilevanti le ulteriori questioni afferenti la sua potenziale attitudine a realizzare i pubblici usi del mare. Discende da tali considerazioni la diagnosi di fondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso espressamente sollevata dai primi intervenienti (ma insita anche nelle argomentazioni difensive delle altre parti resistenti). In assenza di concessione, infatti, i ricorrenti non avevano alcun titolo di legittimazione per realizzare l'opera su un bene del demanio marittimo, sicché la s.c.i.a. edilizia, di per sé inidonea ad esplicare effetti sul piano del governo dei diritti demaniali, deve considerarsi tamquam non esset. Ne consegue che, non disponendo del bene della vita, i ricorrenti non possono vantare un interesse astrattamente meritevole di tutela o, più precisamente, un interesse legittimo oppositivo nei confronti del provvedimento adottato dal Comune di (omissis) che, inibendo la prosecuzione dei lavori (a prescindere dalla natura del potere concretamente esercitato), non determina alcun effetto restrittivo della sfera giuridica dei soggetti privi dello ius aedificandi. Contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, l'accertato difetto di legittimazione ad eseguire le opere comporta necessariamente la non regolarità delle opere edilizie di cui alla Scia. In conclusione l'appello deve essere respinto. La condanna alle spese dell'appello segue la soccombenza con liquidazione nella misura di: - Euro 2.000 a favore del Comune di (omissis); - Euro 2.000 per i seguenti intervenienti costituitisi in appello con unico atto: Ro. De Mu.ed altri; - Euro 2.000 a favore del Condominio "Vi. Bo.". P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante al pagamento delle spese dell'appello nella misura di: Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Comune di (omissis); Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore dei seguenti intervenienti costituitisi in appello con unico atto: Ro. De Mu. ed altri; Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Condominio "Vi. Bo.". Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 353 del 2023, proposto da El. Za., rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Ar. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Regione Emilia-Romagna, Provincia di Reggio Emilia, non costituiti in giudizio; per l'annullamento - dell''atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 con oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell''art. 14 comma 6 LR 15/2013"; - della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Paola Pozzani, nessuno presente per le parti come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso introduttivo la ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 recante in oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell'art. 14 comma 6 LR 15/2013", e dell'ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi n. 80 del 27.10.2023. Il Comune di (omissis), costituitosi in giudizio il 28 dicembre 2023, ha speso le proprie difese con memoria del 18 gennaio 2024 ed ha depositato memoria ex art. 73 C.p.a. il 4 aprile 2024. La ricorrente ha precisato la propria posizione con memoria depositata in giudizio il 19 aprile 2024. Entrambe le parti hanno depositato copiosa documentazione. Alla pubblica udienza del 22 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO La ricorrente, proprietaria, in (omissis) (RE), via (omissis), di un edificio residenziale in zona agricola, rappresenta che presentava al Comune di (omissis), in data 8.7.2023, prot. n. 8753, una s.c.i.a. in sanatoria avente ad oggetto la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina, del relativo locale tecnico, della pavimentazione perimetrale, di un piccolo fabbricato in legno ad uso spogliatoio e di una tettoia; ricevuti i documenti ed i chiarimenti richiesti, il Comune di (omissis), con atto 11.10.2023 prot. n. 13122 della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio, comunicava alla ricorrente l'inefficacia della s.c.i.a., "verificata l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP; verificata la non applicabilità dell'art. 4.1.3. comma 6 del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq. di SU". Faceva seguito l'ordinanza 27.10.2023 n. 80, con la quale l'Amministrazione comunale ha disposto la demolizione delle opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria ed anche di una recinzione, accertando, altresì, la sussistenza di una lottizzazione abusiva: "...Confermando quanto relazionato dalla comunicazione di inefficacia trasmessa dal Comune di (omissis) con Prot. n. 13122 del 11.10.2023 si precisa che dagli atti trasmessi risulta quanto segue: 1. Accertata difformità urbanistica ed edilizia sul mappale (omissis) (ex (omissis)) ad uso piscina e manufatti diversi (spogliatoio e wc, locale tecnico, tettoia); le dimensioni della difformità riguardano la piscina di mq. 132,92 di superficie, uno spogliatoio e wc di mq. 8,00, un locale tecnico di mq. 12,00 e una tettoia di mq. 35,02; 2. Accertata difformità urbanistica ed edilizia di muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis); 3. Accertata difformità urbanistica ed edilizia della pavimentazione realizzata sul mappale (omissis); 4. I succitati lavori di esecuzione dei manufatti e della recinzione risultano terminati da tempo, a maggio 2019, come da dichiarazione allegata alla scia 2023/041/S; 5. Accertata difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis) Pratica n. RE0065467 in atti dal 11.5.2023 Protocollo NSD n. ENTRATE.AGEV-STI.REGISTRO UFFICIALE.20433-58.11/05/2023 presentato il 11.5.2023 (n. 65467.1/2023)". Con il primo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" la ricorrente evidenzia, con riguardo alle opere di cui alla s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023, che l'art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, nel prevedere l'accertamento di conformità, mediante s.c.i.a. in sanatoria, degli interventi edilizi di cui all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività, non detta alcuna disposizione volta a disciplinare il relativo procedimento e prospetta che in materia sussistano due orientamenti giurisprudenziali, l'uno rivolto a riconoscere l'applicabilità dell'istituto del silenzio assenso, l'altro a negarla. In particolare la difesa attorea si riferisce, quanto al primo, alle pronunce che affermano che "la s.c.i.a. in sanatoria, presentata ex art. 37 D.P.R. n. 380 del 2001, si presta a rendere operanti le correlate prescrizioni di cui all'art. 19 e ss., legge n. 241 del 1990, in materia di silenzio assenso, dovendo essere ragionevolmente riconosciuto a tale segnalazione carattere e natura confessoria, diretta a provare la verità dei fatti attestati e a produrre, con l'inutile decorso del tempo per l'emanazione di provvedimenti inibitori, effetti direttamente stabiliti dalla legge, indipendentemente da una diversa volontà delle parti, ossia l'avvenuta formazione del titolo abilitativo in sanatoria... Di talché, non essendo intervenuto alcun motivato provvedimento inibitorio allo spirare del trentesimo giorno dalla segnalazione, il titolo in sanatoria deve essere considerato esistente...". (facendo riferimento a T.A.R. Campania, Salerno, 24.3.2022 n. 809; T.A.R. Campania, Napoli, 9.12.2019 n. 5789; T.A.R. Lazio, Roma, 9.1.2018 n. 156; T.A.R. Calabria 29.5.2019 n. 1085; Cons. Stato, Sez. V, 31.3.2014 n. 1534). Nel caso di specie, tale silenzio significativo si sarebbe formato in quanto il Comune di (omissis), a seguito della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria in data 8.7.2023, ha chiesto tempestivamente alla ricorrente, in data 7.8.2023, prima della scadenza del termine di 30 giorni, chiarimenti e determinata documentazione e, ottenute, in data 6.9.2023, le precisazioni richieste, l'Amministrazione comunale si è pronunciata con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, successivamente alla scadenza del termine di 30 giorni dal ricevimento delle integrazioni e, pertanto, quando il titolo edilizio in sanatoria sarebbe ormai venuto ad esistenza. Parte attrice da atto che un diverso orientamento qualifica la fattispecie come silenzio rigetto (facendo riferimento a T.A.R. Lombardia, Milano, 21.3.2017 n. 676) o come silenzio inadempimento (in riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20.2.2023 n. 1708), ma ne contesta il fondamento poiché la prima declinazione ermeneutica replicherebbe la disciplina dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, precisando che nelle relative sentenze si farebbe riferimento anche al termine di 60 giorni previsto dall'art. 36, comma 3, quando, invece, il legislatore avrebbe tenuto ben distinte le fattispecie, prevedendo: - la disciplina dell'art. 36 per i casi di "interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio di attività nelle sole ipotesi di cui all'art. 23, comma 01, o in difformità da essa"; - la disciplina di cui all'art. 37 per la diversa fattispecie riguardante "la realizzazione di interventi di cui all'art. 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla s.c.i.a.", senza operare alcun riferimento, neppure indirettamente, all'art. 36 né prevedere che il mancato, tempestivo, pronunciamento della Amministrazione sia da qualificarsi come silenzio rigetto. Quanto alla seconda declinazione interpretativa dell'orientamento in disamina, la difesa attorea sottolinea che sarebbe stato affermato (in riferimento a Cons. Stato, n. 1708/2023 cit.) che "il procedimento può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento" in considerazione del fatto che "dalla lettura della norma emerge che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall'intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell'aumento di valore dell'immobile compiuta dall'Agenzia del Territorio": sul punto la ricorrente sottolinea che nella impossibilità, sulla base di detta impostazione, di far riferimento, per il pronunciamento dell'Amministrazione comunale, ad alcun termine determinato - non al termine dell'art. 19 della L. n. 241/1990, la cui inosservanza comporterebbe il silenzio assenso, non al termine di cui all'art. 36, la cui inosservanza è qualificata come silenzio rigetto, e neppure al termine previsto in via generale dall'art. 2, comma 2, della L. n. 241/1990, atteso che, sulla base della giurisprudenza citata, 30 giorni non sarebbero sufficienti per accertare la duplice conformità urbanistica di un'opera abusiva - verrebbe a determinarsi una situazione di assoluta incertezza, non essendo dato comprendere quando possa configurarsi l'inadempimento, così da consentire all'interessato di attivarsi giudizialmente per contrastare l'inerzia della Amministrazione. Né tale tesi sarebbe percorribile, ad avviso del patrocinio attoreo, sulla scorta del fatto che, in caso di esito favorevole, il quantum della somma da corrispondersi a titolo di oblazione debba essere determinato dal responsabile del procedimento medesimo, poiché non sussisterebbe alcuna preclusione a che la somma dovuta venga determinata in un momento successivo alla formazione, per decorso del termine di 30 giorni, del titolo edilizio in sanatoria: tale tesi sarebbe ancora meno spendibile con riferimento al caso di specie, avuto riguardo alla normativa regionale di riferimento. La ricorrente fa riferimento all'art. 17, comma 3, della L. Reg. 21.10.2004 n. 23 laddove prevede per le nuove costruzioni il pagamento di un importo a titolo di oblazione predeterminato dalla stessa norma, commisurato "al contributo di costruzione in misura doppia ovvero, in caso di esonero, in misura pari a quella prevista dalla normativa regionale e comunale, e comunque per un ammontare non inferiore a 2.000 euro": pertanto, assume la difesa attorea, l'intervento del responsabile del procedimento, nel caso considerato, non sarebbe a rigore necessario e il modulo relativo alla s.c.i.a. in sanatoria prevede che l'importo della oblazione sia indicato dal privato e preventivamente versato. L'esponente contesta l'impostazione della decisione del Consiglio di Stato n. 1708/2023 laddove si legge, altresì, che il silenzio inadempimento è soluzione che "appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio", poiché la disciplina di cui all'art. 19 della L. n. 241/1990 non esclude una valutazione espressa della Amministrazione, prevedendo anzi, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti prescritti, l'adozione di "motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa". Inoltre, aggiunge parte attrice, la s.c.i.a. in sanatoria ha per oggetto opere di minore impatto e rilevanza, per le quali l'accertamento della doppia conformità rispetto alla disciplina urbanistico - edilizia può essere adeguatamente effettuato nel termine di 30 giorni previsto dalla legge, tenuto conto anche del fatto che il termine in questione è suscettibile di essere interrotto per chiarimenti e integrazioni, per poi, una volta ottenuto quanto richiesto, riprendere nuovamente il suo corso. In conclusione, la difesa attorea prospetta che la comunicazione di cui all'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, in quanto pervenuta oltre il termine di 30 giorni dall'inoltro delle integrazioni richieste dall'Amministrazione comunale, sarebbe da ritenersi, sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale che ritiene preferibile, priva di efficacia, come previsto anche dall'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 (in riferimento al comma 8-ter) che il Comune di (omissis), a dimostrazione della ritenuta applicabilità della norma in questione anche nel caso di specie, avrebbe richiamato espressamente in detta comunicazione: il titolo edilizio in sanatoria sarebbe, pertanto, venuto ad esistenza e l'inefficacia dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 si riverberebbe sulla ordinanza 27.10.2023 n. 80, determinandone l'illegittimità per vizio derivato ed anche per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, difettando il presupposto per ordinare il ripristino dello stato dei luoghi, costituito dalla abusività delle opere considerate. Nella memoria finale la difesa attorea aggiunge che la tesi volta ad escludere la possibile formazione del silenzio assenso sulla s.c.i.a. in sanatoria confliggerebbe anche con quanto previsto dal D.Lgs. 25.11.2016 n. 222 ("Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124") sottolineando che l'art. 2 del D.Lgs. citato sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990": la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" indica la "S.c.i.a. in sanatoria" prospettando, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria è da considerarsi soggetta al regime del silenzio assenso, secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Con il secondo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Violazione dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione degli artt. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. del Comune di (omissis). Eccesso di potere per travisamento. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" parte ricorrente ritiene che nel caso di specie sussista il presupposto della doppia conformità posto che, a differenza di quanto ritenuto dal Comune di (omissis), le opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023 sarebbero conformi alla disciplina urbanistico - edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione, sia alla data di presentazione di detta segnalazione: precisa, infatti, che si tratterebbe della medesima disciplina, atteso che le opere di cui trattasi sono state realizzate nel maggio del 2019 e il vigente R.U.E. del Comune di (omissis) è stato approvato con delibera di C.C. 21.12.2011 n. 72. La determinazione del Comune sarebbe erronea nel ritenere non sanabili le opere ridette, adducendo "l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP" ed anche la "non applicabilità dell'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" poiché la s.c.i.a. in sanatoria di cui si discute riguarda la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina e delle relative strutture accessorie costituite dal locale tecnico ove sono alloggiati gli impianti della piscina, da uno spogliatoio in legno, da una tettoia a bordo piscina per la sosta e il riparo delle persone e dalla pavimentazione perimetrale alla piscina: le opere descritte - prospetta l'esponente - sarebbero state realizzate in stretta contiguità spaziale rispetto all'attiguo edificio abitativo (la piscina è posta di fronte a detto edificio, alla distanza di una ventina di metri), per il quale, con autorizzazione edilizia 7.1.2000 n. 47/99/A, è stato assentito il mutamento di destinazione d'uso da fabbricato rurale a edificio residenziale. A sostegno della pertinenzialità la ricorrente adduce che la Regione Emilia-Romagna, con nota 24.6.2020 n. PG/2020/463171 del Servizio giuridico del territorio, disciplina dell'edilizia, sicurezza e legalità (in actis al documento n. 8), ha precisato che costituisce pertinenza dell'edificio residenziale la piscina posta a servizio dell'edificio medesimo, "con dimensioni non superiori al 20% del volume dell'edificio principale, che non ha una potenziale autonoma utilizzazione economica" e, come si evincerebbe dalla relazione tecnica del Geom. Al. Be. del 5.12.2003 (in actis al documento n. 9), la piscina di cui trattasi ha un volume di 152 mc. inferiore al 20% del volume del fabbricato principale, pari a 1462,27 mc. (1462,27mc x 20% = 292,45 mc.). Inoltre, aggiunge la ricorrente, la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonoma utilizzazione economica, considerato che la stessa, come risulterebbe dalla relazione succitata, ha le dimensioni di una piscina ad uso privato destinata a soddisfare le esigenze delle persone residenti nell'edificio abitativo, risultando, altresì, strettamente connessa all'edificio medesimo non solo per la sua ubicazione, ma anche per il fatto che la piscina è dotata di impianti derivanti dalla abitazione ridetta, sia per l'adduzione idrica, sia per l'energia elettrica: la pertinenzialità sarebbe implicitamente - ad avviso della difesa attorea - riconosciuta dallo stesso Comune di (omissis) che nulla avrebbe eccepito in ordine al fatto che, per la sua sanatoria, sia stata presentata una s.c.i.a. Inoltre, sottolinea la esponente, il riferimento operato dal Comune di (omissis), con l'atto impugnato, alla assenza di titolo per intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E., non sarebbe corretto trattandosi di pertinenza di un edificio residenziale, e avrebbe, perciò, titolo per intervenire il proprietario dell'edificio medesimo, ancorché privo della qualifica di imprenditore agricolo. A sostegno della tesi, la ricorrente evidenzia che l'art. 4.1.3. del R.U.E. del Comune di (omissis) prevede la possibilità di ottenere il mutamento di destinazione d'uso degli edifici rurali in edifici residenziali, così che, una volta assentito detto mutamento, deve ritenersi consentita, per il proprietario, la realizzazione di opere pertinenziali dell'edificio principale: questa prospettazione sarebbe confermata dalla giurisprudenza, essendosi ritenuta legittima la realizzazione, in ragione del riconosciuto carattere pertinenziale, di una piscina di dimensioni contenute a corredo di un edificio a destinazione residenziale sito in zona agricola (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. V, 16.4.2014 n. 1951; idem, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Puglia, Lecce, 1.6.2018 n. 931; idem, 14.1.2019 n. 40; T.A.R. Liguria 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Sicilia, Palermo, 13.2.2015 n. 441). Sarebbero, così, suscettibili di sanatoria anche il locale tecnico, lo spogliatoio in legno, la tettoia e la pavimentazione perimetrale, trattandosi di elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina (citando con riferimento al locale tecnico, Cons. Stato, n. 1951/2014), insuscettibili, per le loro dimensioni contenute, di alterare in modo significativo l'assetto del territorio. Quanto al fatto che il Comune di (omissis), con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, ha addotto altresì, che, nel caso di specie, non sarebbe applicabile l'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. "in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" la difesa attorea ne contesta l'assunto in quanto la disposizione medesima disciplinerebbe l'ampliamento delle unità edilizie abitative e delle superfici accessorie esistenti, senza escludere la possibilità di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: nel caso in esame, detto limite, come sarebbe evidenziato nella relazione sopra del Geom. Be., sarebbe stato rispettato anche considerando i locali accessori (spogliatoio e locale tecnico), mentre la tettoia non sarebbe computabile a fini volumetrici, essendo aperta su tutti i lati. Aggiunge l'esponente che il locale spogliatoio e il locale tecnico hanno, rispettivamente, una volumetria di 17,78 mc. e di 27 mc. che sommata al volume della piscina (152 mc.) porta ad una volumetria complessiva di 196,78 mc., inferiore al 20% del volume del fabbricato principale (292,45 mc.) concludendo che le opere oggetto di sanatoria sarebbero da considerarsi conformi alla disciplina urbanistico-edilizia di riferimento e, così, suscettibili di sanatoria. Con il terzo motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di rimessione in pristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione degli artt. 31 e 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23, nonchè per eccesso di potere per travisamento sotto altro profilo" la ricorrente lamenta che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha disposto la demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", ma la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, per alcune difformità riguardanti l'edificio principale e anche la recinzione anzidetta: su tale s.c.i.a. l'Amministrazione comunale non si sarebbe ancora pronunciata, avendo chiesto integrazioni, da ultimo, con nota 26.9.2023 prot. n. 12395, alla quale ha fatto seguito, in data 26.10.2023, la trasmissione delle integrazioni richieste; anche in tale caso si sarebbe formato il silenzio assenso, dovendosi, così, escludere la possibilità di ordinare la demolizione dell'opera medesima. Inoltre, l'ordinanza 27.10.2023 n. 80 oggetto di gravame sarebbe da considerarsi illegittima anche nell'ipotesi in cui il procedimento di sanatoria dovesse considerarsi ancora pendente poiché per giurisprudenza consolidata - prospetta la difesa attorea - è "illegittima l'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive emessa in pendenza della già avvenuta presentazione di una domanda in sanatoria; questo in quanto nelle more della definizione di tali domande i procedimenti sanzionatori in materia edilizia sono sospesi" (citando Cons. Stato, Sez. VI, 9.11.2021 n. 7448). I Con il quarto motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione e falsa applicazione dell'art. 30 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380 e dell'art. 12 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Eccesso di potere sotto i profili della illogicità e del travisamento sotto ulteriore profilo" evidenzia l'esponente che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha contestato anche una "difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis)", la quale nel caso di specie non sussisterebbe. La difesa attorea sottolinea che la lottizzazione c.d. "cartolare", come espressamente sancito dall'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 e dall'art. 12 della L. Reg. n. 23/2004, è ravvisabile allorquando la trasformazione del suolo sia predisposta "mediante il frazionamento e la vendita, ovvero mediante atti negoziali equivalenti, del terreno frazionato in lotti", i quali, per le loro oggettive caratteristiche - con riguardo soprattutto alla dimensione correlata alla natura dei terreni ed alla destinazione degli appezzamenti considerata sulla base degli strumenti urbanistici, al numero, all'ubicazione o all'eventuale previsione di opere di urbanizzazione - rivelino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio degli atti adottati dalle parti (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20 maggio 2019, n. 3215, Sez. V, 3 agosto 2012, n. 4429, Sez. IV, 13 maggio 2011, n. 2937). Nel caso di specie, precisa il patrocinio della ricorrente, mancherebbe il presupposto fondamentale per la sussistenza di una lottizzazione "cartolare", atteso che al frazionamento dell'originario mappale n. (omissis) non ha fatto seguito alcuna vendita del terreno frazionato, vendita che non sarebbe configurabile, considerato che la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonomo sfruttamento economico: il frazionamento di cui trattasi è stato effettuato in data 16.5.2023, dandone comunicazione anche al Comune di (omissis) (con riferimento al documento n. 13 in actis), in funzione della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria riguardante la piscina, al fine di distinguere catastalmente la piscina medesima dalla restante area di proprietà, in cui era presente un magazzino, anch'esso realizzato in assenza di titolo edilizio, per il quale è stata presentata dalla ricorrente, in data 7.7.2023, prot. n. 8752, una c.i.l.a. ai fini della sua demolizione. Pertanto, conclude sul punto l'esponente, ancorché l'Amministrazione comunale, con l'atto impugnato, pare essersi riferita esclusivamente alla lottizzazione c.d. "cartolare", sarebbe da escludersi che possano configurarsi anche la lottizzazione "materiale" e la lottizzazione c.d. mista, caratterizzata, quest'ultima, dalla compresenza delle attività negoziali e delle attività materiali volte alla edificazione del terreno dovendosi, in base alla giurisprudenza, considerare che la fattispecie lottizzatoria nella veste "materiale" implica la realizzazione di "opere finalizzate alla trasformazione urbanistica di terreni in zona non adeguatamente urbanizzata in violazione della disciplina a quest'ultima impartita dalla legislazione e dagli strumenti pianificatori; siffatti interventi devono risultare globalmente apprezzabili in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, di aggravio del relativo carico insediativo e di pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita all'amministrazione" (citando Cons. stato, Sez. VI, 4.11.2019 n. 7530): deve, pertanto, trattarsi di una radicale trasformazione del suolo a fini edificatori che non può riscontrarsi, a prescindere dalla dimostrata legittimità dell'intervento, nella realizzazione di una piscina a servizio di un edificio residenziale in zona agricola, non comportando tale opera, tra l'altro, alcun aggravio del carico urbanistico (rinviando a Cons. Stato, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142). Il Comune resistente precisa in fatto che la ricorrente è proprietaria di un complesso immobiliare sito in via (omissis) a (omissis) (RE), che consta di un'abitazione principale (già fabbricato rurale, oggi edificio residenziale) e di un'ampia porzione di terreno agricolo, compendio su cui - nel corso degli anni - sono stati fatti diversi interventi di trasformazione edilizia in assenza di valido titolo. In particolare, in data 28.04.2023 la ricorrente depositava presso il Comune di (omissis) la comunicazione di avvenuto frazionamento dell'ex mappale (omissis) nei nuovi mappali (omissis) e (omissis), frazionamento che era stato presentato all'Agenzia delle Entrate - Ufficio Provinciale di Reggio Emilia - in data 18.04.2023; sul mappale (omissis), secondo la difesa dell'Ente, sono stati commessi svariati abusi edilizi, che - di fatto - lo caratterizzano in modo del tutto differente rispetto al mappale (omissis), sul quale pure sono stati commessi abusi edilizi che la ricorrente ha dichiarato di voler demolire con CILA presentata al Comune in data 08.07.2023, prot. n. 8752, ripristinando in tal modo l'originaria connotazione agricola del terreno (con riferimento ai documenti nn 3, 4, 5, 6, 7 e 8 in actis). Inoltre, prosegue l'Amministrazione, al fine di sanare le opere abusive non rimosse con la CILA di cui sopra, la ricorrente presentava al Comune due distinte pratiche di Segnalazione Certificata di Inizio Attività : la n. 2023/029/S, acquisita con prot. n. 5985 del 12.05.2023, relativa alla sanatoria di opere eseguite su edificio residenziale e sulla recinzione esterna dell'area cortiliva (immobile identificato catastalmente al foglio 20, mappale 205) e la n. 2023/041/S, acquisita con prot. n. 8753 del 08.07.2023, relativa alla sanatoria di una piscina - di oltre 112 mq. di superficie - e di manufatti annessi (su terreno agricolo, identificato catastalmente al foglio 20, mappale (omissis)). Quindi, sottolinea l'Amministrazione, emerge che le opere realizzate sul mappale (omissis) (piscina, tettoia, pavimentazione, locali tecnici, spogliatoio, recinzioni perimetrali alla piscina) sono dalla ricorrente medesima qualificate come "pertinenze" dell'edificio residenziale di cui al mappale 205, ma non sono state inserite nella stessa comunicazione di SCIA in sanatoria. Il Comune resistente aggiunge che dalla relazione fotografica e dagli elaborati grafici allegati alla SCIA prot. 8753, peraltro, si evince che gli interventi abusivamente realizzati sul mappale (omissis) hanno determinato la creazione di un autonomo lotto, con piscina e locali accessori, oltre ad una tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo (di oltre 35 mq. di superficie coperta), lotto del tutto indipendente rispetto all'abitazione principale, al punto che da questa è separata da due cancelli e da uno stradello carrabile (rinviando ai documenti nn. 20 e 21 in actis): ciò comporterebbe che gli abusi edilizi e i frazionamenti dei mappali catastali hanno determinato la creazione di tre distinti lotti all'interno della proprietà della ricorrente, tutti serviti da uno stradello privato interno: uno con abitazione a area cortiliva di pertinenza, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale 205), uno con piscina, zona relax, tettoia con zona pranzo-cucina e locali accessori, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale (omissis)) ed uno che - a seguito della demolizione dei fabbricati abusivi che vi insistono - riacquisterà la sua originaria natura di terreno agricolo (mappale (omissis)). Inoltre, le due SCIA menzionate hanno avuto una sorte tra loro differente: - la n. 2023/029/S, prot. n. 5985, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale 205, dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata accettata dal Comune con atto prot. n. 602/2024; - la n. 2023/041/S, prot. n. 8753, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale (omissis), dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata dichiarata inefficace dal Comune con atto prot. n. 13122 del 11.10.2023. Quest'ultima, oggetto di impugnazione, è stata dal Comune motivata con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti (rinviando all'estratto del PSC di cui al documento n. 25 ed all'estratto del RUE di cui al documento n. 26 in actis) per i seguenti motivi: - assenza di titolo ad intervenire in zona agricola, ai sensi dell'art. 4.1.1 e seguenti del RUE (in quanto intervento in zona agricola effettuato da non imprenditore agricolo - IAP); - per l'inapplicabilità dell'art. 4.1.3 comma 6 del RUE, in quanto l'intervento è stato eseguito su edificio non di recente costruzione e con ampliamento superiore ai 30 mq. di superficie (la sola tettoia sarebbe di 35,02 mq. con riferimento al documento n. 20 in actis). Con l'ordinanza impugnata il Comune ingiungeva di demolire le opere abusive, non sanabili perché in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (PSC e RUE) realizzate in assenza di valido titolo edilizio sul mappale (omissis), e di ripristinare lo stato dei luoghi, con precisa identificazione delle opere da demolire: piscina, spogliatoio-wc, locale tecnico, tettoia, muri perimetrali, pavimentazione esterna e recinzioni sul lato ovest, sud ed est. Sul primo motivo l'Amministrazione precisa che le tesi della ricorrente non sono condivise dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha invece affermato essere necessario un espresso pronunciamento del Comune sulla SCIA in sanatoria: "... il procedimento (relativo alla sanatoria di abusi edilizi tramite SCIA, n. d.r.) può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento. Innanzitutto, infatti, l'art. 37 non prevede esplicitamente un'ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell'art. 36 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento... Al tempo stesso la soluzione appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio" (citando Cons. Stato, sez. II, 20.02.2023, n. 1708 e per una puntuale ricostruzione dell'istituto della SCIA in sanatoria riferendosi a T.A.R. Lazio Roma, sez. II-quater, 07.12.2023, n. 18386): di conseguenza, sottolinea la resistente, il procedimento avviato dalla ricorrente con la SCIA prot. n. 8753/2023 è stato correttamente concluso dal Comune con la comunicazione di inefficacia della SCIA stessa (prot. n. 13122, del 11.10.2023), atto motivato con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti. Sul secondo motivo, il Comune precisa che la nota della Regione citata dalla ricorrente si riferisce al quantum del contributo e non al concetto di pertinenzialità e che la declaratoria di inefficacia della SCIA impugnata è corretta in quanto non sussiste nel caso di specie la consistenza della misura inferiore ai 30 mq sostanziandosi l'intervento in un'opera che non sarebbe sanabile nemmeno da un imprenditore agricolo; la pertinenzialità sarebbe esclusa in quanto si tratta di un opera non contenuta ma di una piscina di 112 mq, e ai fini IMU (l'art. 1, comma 741, lett. b) della L. n. 160/2019 individua le pertinenze dell'abitazione principale nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7), e le piscine, che sono da ricomprendere ai sensi delle descrizioni contenute nella Circolare del Ministero delle Finanze n. 5 del 14.03.1992 "Revisione generale della qualificazione della classificazione e del classamento del N.C.E.U." nella categoria C/4 (Fabbricati e locali per esercizi sportivi), sono escluse dal concetto di pertinenza. Inoltre, sottolinea l'Amministrazione, la giurisprudenza citata dalla ricorrente, al fine di affermare la pertinenzialità della piscina rispetto all'edificio principale, ha comunque quale presupposto per l'applicazione del regime di SCIA la circostanza che la piscina stessa sia costituita da un elemento prefabbricato e non determini modifiche al territorio, circostanze che non ricorrono nel caso de quo. Di conseguenza, controdeduce sul punto l'Amministrazione, risulterebbe irrilevante la tesi sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: non si tratterebbe di una questione di limite percentuale, ma è la natura stessa delle opere abusive che non ne consentirebbe la sanatoria tramite SCIA. Infine, conclude il Comune, l'argomento relativo all'implicito riconoscimento della piscina quale pertinenza dell'abitazione da parte del Comune stesso, che nulla avrebbe eccepito in ordine alla sanatoria dell'abuso tramite SCIA, non terrebbe conto del tenore della "comunicazione di inefficacia" della SCIA stessa, che - attraverso il richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE - implicitamente affermerebbe che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, avrebbero potuto essere realizzate solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Sul terzo motivo di ricorso il Comune di (omissis) precisa che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, Prot. n. 5985 e ciò sarebbe agevolmente rilevabile dalla tavola di raffronto tra la porzione di recinzione sanata con la SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985, segnata in viola, e la porzione di recinzione - non sanata - oggetto dell'ordinanza di demolizione n. 80/2023, segnata in giallo (con riferimento al documento n. 28 in actis): sarebbero secondo la resistente, pertanto, irrilevanti le argomentazioni del ricorso relative alla "pendenza" del procedimento SCIA n. 2023/029/S poiché la eventuale pendenza del medesimo non rileverebbe, avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Sul quarto motivo di ricorso l'Amministrazione sottolinea che il frazionamento di più opere abusive censurate in via sostanziale integrerebbe una fattispecie di lottizzazione abusiva mista rinviando alla pronuncia del T.A.R. Sardegna, Sez. II, 20.03.2023, n. 194, che la descrive come categoria dogmatica "... caratterizzata dalla compresenza delle attività materiali e negoziali individuate dall'art. art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, consistente nell'attività negoziale di frazionamento di un terreno in lotti e nella successiva edificazione dello stesso...": nel caso in esame, conclude sul punto l'Amministrazione, è stato accertato un disegno unitario, con un rilevante impatto negativo sul territorio rurale, con aggravio del relativo carico urbanistico e con pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita al Comune a garanzia del corretto uso del territorio deponendo per la correttezza della qualificazione della fattispecie come "lottizzazione abusiva". Illustrate brevemente le posizioni delle parti, il Collegio ritiene che le questioni poste dalla ricorrente sugli effetti del decorso del termine di 30 giorni dalla presentazione della s.c.i.a. in sanatoria non siano rilevanti nel caso de quo in quanto la fattispecie concreta non rientra in tale istituto di semplificazione in base ad un consolidato principio espresso dalla giurisprudenza in materia. Va premesso che l'art. 2 del D.Lgs. n. 222 del 2016, richiamato dal ricorrente, sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990", prevedendo la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" il richiamo alla "S.c.i.a. in sanatoria"; in ragione di ciò prospetta, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria sarebbe da considerarsi soggetta al regime del "silenzio assenso", secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Sul punto il Collegio rileva che il citato n. 41 della tabella A, Sez. II, si riferisce alla s.c.i.a. in sanatoria per interventi realizzati in assenza di s.c.i.a. o in difformità da essa, mentre nel caso concreto, si tratta, come sarà approfondito nel prosieguo della presente decisione, di attività esclusa dai procedimenti semplificati: la costruzione delle opere di cui è causa avrebbe necessitato il permesso di costruire e non la s.c.i.a e, perciò, nel caso di specie, è assente il presupposto stesso - previsto dalla norma - per l'applicazione della disposizione invocata con la conseguenza che alla declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. impugnata non è applicabile il regime amministrativo previsto dall'art. 19 della Legge n. 241 del 1990. Il Collegio, sul punto richiama la sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, n. 1055 del 10 aprile 2024 laddove precisa in via generale che dalla necessaria applicazione dell'istituto del permesso di costruire alla fattispecie concreta "deriva l'inapplicabilità dell'art. 19 della legge 241/1990: "L'errore sui requisiti soggettivi o oggettivi della d.i.a. (oggi SCIA) poiché frutto di una dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica che si limita a riceverla, per il solo fatto che quest'ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare un'eventuale responsabilità amministrativa, non già la sanatoria della d.i.a. mancante di un requisito essenziale; di conseguenza, il provvedimento con cui l'Amministrazione accerta che le opere edili non potevano essere realizzate mediante d.i.a., occorrendo il permesso di costruire, non è espressione di autotutela, ma ha valore meramente accertativo di un abuso doverosamente rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il limite di dover agire entro un termine ragionevole, chiaramente inapplicabile all'attività di vigilanza edilizia, tanto più che il dichiarante non può, per le ragioni anzidette, vantare nessun affidamento" (cfr.: T.a.r. Puglia Bari, sez. II, 20.02.2017 n. 147)". In particolare, sulla s.c.i.a. in sanatoria, la sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, n. 809 del 24 marzo 2022, ritiene che non è ricollegabile portata infirmante all'inosservanza del termine di 30 giorni ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990 quando le opere abusive esulano dal perimetro del regime abilitativo della SCIA, essendo subordinate al previo rilascio del permesso di costruire: la pronuncia precisa che a tale premessa consegue "l'assenza di effetti legittimanti ricollegabili alla SCIA in sanatoria prot. n. 67995 del 21 novembre 2019, la quale, dacché formata al di fuori del corrispondente modello legale tipico (stante l'assoggettamento dell'opera eseguita ad un più rigoroso regime abilitativo), era da considerarsi 'tamquam non esset', così da giustificare l'impugnata determinazione reiettiva senza l'operatività della preclusione temporale ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990". Quanto alla sussistenza nel caso concreto della necessità del permesso di costruire anziché dell'applicabilità degli istituti di semplificazione, vanno considerati sia gli aspetti definitori del concetto di pertinenzialità rilevante in materia sia l'orientamento ermeneutico sulla qualificazione della specifica opera abusiva, nonché la concreta consistenza dell'intervento edilizio di cui è causa. Sul concetto generale di pertinenzialità il Collegio rinvia a quanto precisato dal T.A.R. Lazio, Sez II Stralcio, n. 7463 del 16 aprile 2024, in adesione al pacifico orientamento giurisprudenziale che "assegna al concetto di "pertinenza", in campo urbanistico-edilizio, un significato più ristretto e meno ampio rispetto alla definizione civilistica di cui all'art. 817 c.c., essendo configurabili come tali "solo le opere prive di autonoma destinazione e che esauriscono la loro destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico, e dovendosi altresì tener conto, oltre che della necessità e oggettività del rapporto pertinenziale, anche della consistenza dell'opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l'assetto del territorio, essendo il vincolo pertinenziale caratterizzato oltre che dal nesso funzionale, anche dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui soggiace a permesso di costruire la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa" (cfr. ex multis T.A.R. Lazio, Sez. II S, 17 novembre 2023, n. 17168; T.A.R Lazio, II quater, 21 novembre 2022, n. 15371; id., 12 luglio 2022, n. 9594; 26 aprile 2021, n. 4824)". In particolare, sulle piscine l'esegesi cui intende aderire il Collegio ritiene che l'opera interrata costituisca una nuova costruzione assoggettata al permesso di costruire e non sia qualificabile in termini di pertinenza dell'edificio principale in ragione della significativa trasformazione del territorio che comporta e della non necessaria complementarità all'uso delle abitazioni poiché non riveste un'obiettiva funzione di migliore utilizzazione della res principalis, tale che in sua assenza risulterebbero impedite o sacrificate talune delle materiali possibilità di sfruttamento o godimento di quest'ultima (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, n. 993 del 24.10.2022; T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 9.9.2020, n. 3730; T.A.R. Emilia-Romagna Bologna, sez. II, n. 800 del 30.09.2021). In coerenza con tale indirizzo interpretativo, si è di recente rilevato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 02/01/2024, n. 44) che la piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata e perciò configura una nuova costruzione, non potendo essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, atteso che, sul piano funzionale, non è esclusivamente complementare all'uso delle abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo installati nei giardini o nei luoghi di divertimento; in effetti, la realizzazione della piscina comporta una "durevole trasformazione del territorio" e, sotto il profilo urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto a quella propria dell'edificio cui accede, sì che non può coincidere con la relativa nozione civilistica di pertinenza, nel presupposto che la nozione di pertinenza urbanistica è invocabile per opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, viceversa tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e specifica utilizzazione. Nel caso di specie, una piscina di oltre 112 mq. di superficie, assistita da opere ulteriori (locali accessori e tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo di oltre 35 mq. di superficie coperta), non può essere definita come "di dimensioni contenute" incidendo, pertanto, significativamente sulla trasformazione del territorio e non riveste il carattere di intrinseca funzionalità rispetto alla res principalis sopra delineato; nel provvedimento impugnato di declaratoria di inefficacia della s.c.i.a., infatti, emerge, attraverso il riferimento all'istruttoria svolta in contraddittorio endoprocedimentale ed al richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE, sia che le opere costituiscono un ampliamento superiore ai 30 mq di SU in edificio di non recente costruzione sia che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, si sarebbero potute realizzare solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Di conseguenza, risulta inconferente la tesi attorea sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale, in quanto difetta nel caso concreto la natura stessa di opera pertinenziale. Infine, la nota della Regione Emilia-Romagna invocata a sostegno della pertinenzialità della piscina è chiaramente rivolta alla definizione della medesima esclusivamente ai fini del pagamento e alla qualificazione del contributo di costruzione e, pertanto, la relativa portata interpretativa è confinata in tale ambito: nella nota medesima, infatti, si chiarisce che la natura pertinenziale di una piscina di volume inferiore al 20% dell'abitazione principale rileva al fine di considerarla quale Superficie accessoria che non richiede il versamento della quota degli oneri di urbanizzazione (U1 e U2) ma è soggetta al solo versamento della quota relativa al costo di costruzione (QCC) da calcolarsi non sulla classificazione catastale, bensì, in relazione alla tipologia OMI, formulando un chiarimento di connotazione sostanzialmente tecnico-economica ai fini dell'imposizione della prestazione patrimoniale imposta, che risponde a presupposti diversi da quelli rilevanti nella presente sede. Quanto, poi, al locale tecnico, allo spogliatoio in legno, alla tettoia e alla pavimentazione perimetrale, che la stessa ricorrente qualifica come elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina, vale il consolidato orientamento per cui la valutazione dell'abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 11/03/2024, n. 2321). Pertanto, al regime edilizio della piscina, necessitante di un permesso di costruire, si associano evidentemente le altre opere alla stessa collegate. Sul terzo motivo di ricorso, relativo all'ordine di demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", proposto in base all'assunto attoreo secondo il quale la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, il Collegio ritiene che l'Amministrazione abbia ampiamente chiarito, con precisazioni sulle quali la difesa attorea non ha ulteriormente coltivato il motivo in disamina, che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985: pertanto, la eventuale "pendenza" di quest'ultima è irrilevante nel presente giudizio avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Il Collegio, infine, ritiene che l'esame dell'ultima doglianza possa dichiararsi assorbito in considerazione della dirimente questione esaminata, relativa all'inconfigurabilità della consistenza pertinenziale delle opere de quibus quale elemento fondante della declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. presentata dalla ricorrente e di per sé idoneo a sorreggere il conseguente ordine di ripristino dello stato dei luoghi. Il Collegio ritiene che, in considerazione della peculiarità della materia, le spese di lite possano essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese di lite compensate. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6841 del 2021, proposto da Gi. Eu. Ga., rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fe. Te. in Roma, largo (...); contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 00023/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 aprile 2024 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e preso atto della richiesta di passaggio in decisione, senza preventiva discussione, depositata in atti di parte dell'Avvocato Gr.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria ha respinto il ricorso proposto da Gi. Eu. Ga. contro il Comune di (omissis) per ottenere il risarcimento dei danni provocati dal provvedimento comunale n. 3557 del 29 ottobre 2002, che gli aveva intimato di rimuovere una serie di ostacoli installati sulla strada vicinale (omissis). Il provvedimento era stato ritenuto illegittimo e perciò annullato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3292 del 22 maggio 2019 che, in riforma della sentenza del T.a.r. n. 799 del 19 maggio 2011, aveva accolto l'originario ricorso introduttivo. 1.1.Il "danno emergente" era indicato come consistente nelle spese sostenute per le prestazioni dei geometri incaricati di redigere le perizie di parte prodotte nel giudizio di annullamento e negli onorari degli avvocati che avevano assicurato assistenza e rappresentanza in tale giudizio. Il tribunale ha statuito, in base al criterio della "regolarità causale", che "non è possibile riconoscere, quale danno cagionato da un provvedimento, le spese che il privato ha sostenuto per impugnarlo in giudizio, in quanto esse non rientrano tra le conseguenze abituali e probabili dell'atto, ma dipendono direttamente dalla strategia difensiva scelta dalla parte (come tali, questa avrebbe se mai potuto chiederne il rimborso nel giudizio annullatorio)". 1.2. Il "lucro cessante" era indicato come derivante dal non aver potuto escludere dal proprio fondo i terzi, che lo utilizzavano come parcheggio. Il tribunale ha ritenuto non dimostrato l'assunto, "sia perché assolutamente generico - oltre che non provato - il riferimento all'uso del terreno da parte di terzi quale parcheggio, sia perché non viene specificato quale guadagno egli avrebbe ottenuto se avesse potuto impedirne l'accesso". 1.3. Respinto il ricorso, le spese sono state dichiarate irripetibili, data la soccombenza del ricorrente e la mancata costituzione del Comune. 2. Il signor Gi. Eu. Ga. ha proposto appello con un unico, articolato, motivo. Il Comune di (omissis) non si è costituito. 2.1. All'udienza del 4 aprile 2024 la causa è stata assegnata a sentenza, senza discussione, su richiesta dell'appellante. 3. Con l'unico motivo di appello, relativamente al "danno emergente" si sostiene quanto segue: - il signor Ga. ha ottenuto la sentenza favorevole del Consiglio di Stato grazie a tutte le relazioni tecniche che aveva commissionato ai vari professionisti al fine di dimostrare in giudizio le proprie ragioni, pur essendo queste palesi; - con tale attività istruttoria si è sostituito al Comune di (omissis) che, invece, aveva emesso il provvedimento senza svolgere alcuna istruttoria, assumendo perciò un atteggiamento "a dir poco non collaborativo"; - data l'acclarata negligenza dell'amministrazione comunale sarebbe irrazionale ritenere che le spese sostenute dal ricorrente per tutelare i propri interessi non siano state conseguenza del provvedimento amministrativo; - si tratta di spese ammontanti complessivamente all'importo di Euro 26.378,10, indicate nel dettaglio e documentate con le fatture prodotte in atti, rilasciate sia da tecnici che da avvocati. 3.1. Quanto al "lucro cessante", l'appellante ribadisce che, a causa del provvedimento adottato, non ha potuto recingere il proprio fondo, tutelandolo dall'ingresso di estranei, i quali, addirittura, lo avrebbero usato come parcheggio. La circostanza sarebbe dimostrata dalle denunce presentate alle autorità e prodotte nel giudizio di primo grado. L'appellante chiede comunque disporsi la consulenza d'ufficio "tecnico contabile" già richiesta, e non accordata, in primo grado, che quantifichi il danno economico subito dal mancato utilizzo del fondo di proprietà . 4. Il motivo è infondato sotto entrambi i profili. Va premesso che con il provvedimento in data 29 ottobre 2002 prot. n. 3557 il Comune di (omissis) ha contestato al signor Ga. di avere "arbitrariamente chiuso con catena" la strada vicinale (omissis) e di avere realizzato, proseguendo per detta strada all'altezza della propria casa, una "pavimentazione in piastrelle di cemento invadenti la sede stradale" e, per il successivo tratto di sentiero, di avere determinato la "chiusura di una strada interpoderale con una cancellata in legno di colore verde"; perciò il Comune aveva intimato al ricorrente di "rimuovere tutti gli ostacoli descritti" entro dieci giorni. La sentenza del Consiglio di Stato, valorizzando la produzione documentale del ricorrente, ha annullato il provvedimento comunale, compensando le spese processuali. 4.1. Lo stesso appellante deduce che le spese indicate come "danno emergente" sono state affrontate per "per dimostrare l'illegittimità dell'operato dell'Amministrazione e riconosciuto dall'Ecc.mo Consiglio di Stato". Ne risulta confermata la natura di spese processuali, tali dovendosi intendere tutte quelle sostenute dalla parte per difendersi in giudizio, come ritenuto già in sentenza. Il dato è riscontrato dal contenuto dello stesso atto di appello che, al fine di dimostrare l'utilità delle difese spiegate nella controversia conclusa con la detta sentenza di annullamento, torna a trattare questioni, sulle caratteristiche oggettive del sentiero vicinale e sulle emergenze delle perizie versate in atti, attinenti al merito di quella controversia, ma estranee al presente contenzioso risarcitorio. Né può indurre a diversa conclusione la circostanza - sulla quale molto insiste l'appellante - che l'attività istruttoria e difensiva del medesimo sia servita a colmare le lacune istruttorie dell'attività amministrativa comunale, dal momento che l'Amministrazione avrebbe dovuto valutare se vi erano i presupposti per intervenire, mediante lo svolgimento di un'adeguata istruttoria precedente l'adozione del provvedimento. Orbene il difetto di istruttoria, posto a base dell'annullamento del provvedimento impugnato, ne costituisce un vizio e, nella prospettiva della fattispecie risarcitoria dei danni c.d. da atto amministrativo illegittimo che fonda l'azione di condanna ex art. 30 c.p.a., integra il fatto che, se doloso o colposo (come il ricorrente assume essere stato nel caso di specie), è uno degli elementi costitutivi di detta fattispecie. Essendo il danno ingiusto, cioè il c.d. danno evento, costituito dalla lesione della posizione soggettiva del privato proprietario, le spese affrontate per difendere tale posizione in giudizio non rientrano nelle serie causali contemplate dall'art. 1223 cod. civ. al fine di individuare le conseguenze patrimoniali pregiudizievoli risarcibili perché legate all'evento lesivo da un nesso di causalità immediata e diretta. Esse trovano infatti la loro fonte immediata e diretta -come già ritenuto dal giudice di primo grado - nella "strategia difensiva della parte" e vanno rimborsate nel giudizio annullatorio, secondo le regole dell'art. 26 c.p.a. In proposito rileva la distinzione, dovuta ad un indirizzo della Corte di Cassazione oramai consolidato (cfr. già Cass. n. 997 del 2010 e Cass. n. 6422 del 2017), tra spese di assistenza stragiudiziale che hanno natura di danno emergente, consistente nel costo sostenuto per l'attività svolta dai periti e dai legali nella fase precontenziosa, e spese di assistenza giudiziale, che invece trovano collocazione nella sede processuale. Pertanto, mentre le spese stragiudiziali, pur dovendo essere liquidate (per gli avvocati) secondo le tariffe forensi, restano soggette ai normali oneri di domanda, allegazione e prova secondo l'ordinaria scansione processuale, al pari delle altre voci di danno emergente (Cass. n. 9548 del 2017, nonché Cass. n. 30732 del 2019, nel senso che "La richiesta di rimborso delle spese di assistenza legale stragiudiziale non è compresa né nella generica domanda di risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali né nella nota spese e, ove venga formulata per la prima volta in appello, costituisce domanda nuova"), le spese invece dovute dal danneggiato/cliente al proprio avvocato in relazione all'attività giudiziale sono soggette al regime delle spese processuali di cui agli artt. 91 e seg. (così Cass. S.U. n. 16990 del 2017, che ha dichiarato di superare definitivamente il contrario indirizzo sulle spese stragiudiziali di cui a Cass. n. 14594 del 2005; cfr., nello stesso senso anche Cass. ord. n. 2644 del 2018 e n. 24481 del 2020). Va precisato che rientrano tra le spese processuali anche quelle sostenute dalla parte per le allegazioni difensive tecniche, quali sono le consulenze di parte; la relativa disciplina si rinviene negli artt. 91 e seg. c.p.c., sicché vanno rimborsate alla parte vittoriosa, a meno che il giudice non si avvalga della facoltà di escluderle dalla ripetizione perché eccessive o superflue (Cass. n. 84 del 2013 e n. 3380 del 2015 e, più recentemente, Cass. n. 21402 del 2022 e n. 30293 del 2023) ovvero di compensarle. Si tratta di principi applicabili al processo amministrativo, anche in forza del richiamo degli articoli 91, 92, 93, 94, 96 e 97 c.p.c., di cui all'art. 26 c.p.a. Nel caso di specie, il ricorrente ha chiesto il rimborso a titolo di danno emergente delle spese per assistenza tecnica e legale, non solo senza distinguere tra spese giudiziali e spese stragiudiziali, ma anzi imputando espressamente tutti gli esborsi sostenuti alla vicenda processuale. Pertanto, il relativo rimborso era di competenza del giudice del processo annullatorio. Dal momento che, con la sentenza n. 3292/2019 del Consiglio di Stato le spese processuali sono state compensate per entrambi i gradi di quel giudizio, va confermata la statuizione di rigetto di cui alla sentenza appellata. 4.2. Quest'ultima va confermata anche per quanto riguarda la richiesta di risarcimento del lucro cessante. L'uso del terreno da parte di terzi quale parcheggio, per essere idoneo a provocare il danno lamentato - consistente secondo l'allegazione del danneggiato nell'impedimento assoluto ad un uso proprio - avrebbe dovuto essere continuativo ed abituale, laddove una sola delle denunce in atti appare riferibile a tale arbitraria condotta di terzi, che si configura perciò come occasionale. In ogni caso, non è stato fornito dal ricorrente nemmeno un principio di prova in merito ai possibili usi alternativi, né ai potenziali guadagni. La corrispondente affermazione della sentenza non è stata puntualmente censurata in appello, se non ribadendo la richiesta istruttoria di consulenza tecnico-contabile. La richiesta non può essere accolta, dovendo in proposito essere ribadito che le parti non possono sottrarsi all'onere probatorio e rimettere l'accertamento dei propri diritti all'attività del consulente tecnico d'ufficio neppure nel caso di consulenza cosiddetta "percipiente", che può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, demandandosi al consulente l'accertamento di determinate situazioni di fatto, giacché, anche in siffatta ipotesi, è necessario che le parti stesse deducano quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti (così Cons. Stato, Ad. Plen. 12 maggio 2017, n. 2 e numerose altre). 5. L'appello va quindi respinto. 5.1. Non vi è luogo a provvedere sulle spese processuali, attesa la mancata costituzione del Comune di (omissis). P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Nulla sulle spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Rosanna De Nictolis - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Alberto Urso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere, Estensore Sara Raffaella Molinaro - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sui seguenti ricorsi in appello: 1) numero di registro generale 9357 del 2022, proposto dalla Regione Liguria, in persona del Presidente della G.R. pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Pi. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro la Società Po. di Mo. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Ru. e Fr. Da. Pi., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Fr. Da. Pi. in Roma, via (...); 2) numero di registro generale 9900 del 2022, proposto dalla Società Po. di Mo. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Ru. e Fr. Da. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro la Regione Liguria, in persona del Presidente della G.R. pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Pi. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, per la riforma, per quanto di rispettivo interesse, della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 746/2022, resa tra le parti. Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Società Po. di Mo. S.p.a. e della Regione Liguria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 25 maggio 2023, il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Con deliberazione n. 1231 del 28 dicembre 2017, avente ad oggetto "Affidamento in regime di concessione della gestione ospedali St. Ch. di Bo. (ASL 1), S. Ma. della Mi. e S. Gi. di Ca. Mo. (ASL 2). Conferimento ad A.Li.Sa. di incarico per predisposiz. documentazione di gara", la Giunta Regionale della Regione Liguria ha conferito ad A.Li.Sa. l'incarico per la predisposizione della documentazione di gara funzionale all'affidamento in regime di concessione della gestione ospedali St. Ch. di Bo. (ASL 1), S. Ma. della Mi. e S. Gi. di Ca. Mo. (ASL 2). 1.1. Con la successiva deliberazione n. 67 dell'8 febbraio 2018, avente ad oggetto "DGR n 1231/17. Conferimento ad A.Li.Sa. di incarico predisposizione documentazione di gara. Ulteriori provvedimenti conseguenti", la medesima Giunta Regionale ha dato mandato ad A.Li.Sa. - ad avvenuto espletamento dell'incarico conferito con la menzionata D.G.R. n. 1231/2017 - di provvedere alla trasmissione alla Stazione Unica Appaltante Regionale (S.U.A.R.) della documentazione necessaria all'avvio della procedura di gara, da espletarsi in collaborazione con A.Li.Sa. e gli Enti interessati del sistema sanitario regionale. 1.2. Con il decreto dirigenziale n. 754 del 20 febbraio 2018, avente ad oggetto "Indizione procedura di gara per l'affidamento in concessione di tre Presidi ospedalieri nel ponente ligure. Codici CIG Lotto 1 7392820C0C Lotto 2 739284832A", il Dirigente del Settore Affari generali della Regione Liguria ha indetto, per conto dell'Azienda ASL 1 Imperiese (lotto 1) e dell'Azienda ASL 2 Savonese (lotto 2), una gara europea a procedura aperta per l'affidamento in regime di concessione, ai sensi degli artt. 164 ss d.lvo n. 50/2016, dei presidi ospedalieri Ospedale S. Ch. - (omissis) (IM) (afferente al lotto 1), Ospedale S. Ma. della Mi. - (omissis) (SV) ed Ospedale S. Gi. - (omissis) (SV) (afferenti al lotto 2). 1.3. Con il decreto dirigenziale n. 732 del 18 febbraio 2019, il medesimo Dirigente del Settore Affari generali ha aggiudicato il lotto 1 al costituendo RTI Ma. Ce. Ho. mentre, con il decreto dirigenziale n. 793 del 21 febbraio 2019, ha aggiudicato il lotto 2 alla Società Is. Or. Ga. S.p.a.. 2. Il Policlinico di Mo., con il ricorso di cui al R.G. n. 214/2019 proposto dinanzi al T.A.R. per la Liguria, ha impugnato gli atti di gara relativamente al lotto 2, sostenendo l'illegittimità della valutazione di anomalia dell'offerta presentata dalla aggiudicataria Is. Or. Ga. S.p.a., ed il T.A.R. adito, con la sentenza n. 688 del 13 agosto 2019 - passata in cosa giudicata - ha accolto la relativa domanda di annullamento. 2.1. A seguito delle rinnovate valutazioni svolte dalla Commissione di gara, il lotto 2, con il decreto dirigenziale n. 27 del 7 gennaio 2020, è stato nuovamente aggiudicato alla Is. Or. Ga. S.p.a.. 2.2. Anche il nuovo provvedimento di aggiudicazione è stato impugnato dalla Po. di Mo. S.p.a., sempre per profili attinenti alla congruità ed alla sostenibilità dell'offerta della aggiudicataria, con il ricorso di cui al R.G. n. 143/2020, accolto dal T.A.R. per la Liguria con la sentenza n. 371 del 13 giugno 2020. 2.3. La sentenza è stata impugnata in appello sia dalla Regione Liguria che dalla Is. Or. Ga. S.p.a., ed il Consiglio di Stato ha disposto incombenti istruttori, nelle forme della C.T.U.. 3. Nelle more del giudizio di appello, la Giunta Regionale della Liguria ha adottato la deliberazione n. 852 del 28 settembre 2021, avente ad oggetto "Procedura aperta per l'affidamento, in regime di concessione, della gestione delle strutture ospedaliere Ospedale S. Ma. della Mi. - (omissis) (SV), Ospedale S. Gi. - (omissis) (SV) (Lotto 2). Indicazioni relative alla riprogrammazione dell'offerta sanitaria e mandato al Settore Stazione unica appaltante regionale di avvio del procedimento di revoca". 3.1. Con la citata deliberazione, la Regione ha preliminarmente evidenziato che l'emergenza sanitaria causata dall'evento pandemico da SARS-CoV2 ha determinato la necessità di riprogrammazione dell'attività di cura ed assistenza, attraverso l'individuazione di nuove priorità e la revisione dell'intera rete di offerta delle prestazioni, al fine di adeguare l'offerta sanitaria ai nuovi bisogni di salute espressi dalla popolazione. 3.2. Essa ha inoltre rilevato che il PNRR - Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), presentato dall'Italia alla Commissione europea il 30 aprile 2021 e definitivamente approvato con Decisione di esecuzione del Consiglio dell'Unione Europea del 13 luglio 2021, nel quadro del programma di finanziamento straordinario europeo "Next Generation EU", prevede tre specifici interventi finalizzati a dare attuazione al nuovo modello di assistenza territoriale e di prossimità, ovvero: - l'implementazione delle Case della Comunità ; - la previsione della casa come primo luogo di cura, assistenza domiciliare e telemedicina; - il rafforzamento dell'assistenza sanitaria intermedia e delle sue strutture (in particolare gli Ospedali di Comunità ). 3.3. La Regione Liguria quindi, ai fini attuativi delle indicazioni programmatiche nazionali, ha dato atto della necessità di attivare: 1. la Casa di Comunità, la quale si configura come una struttura sanitaria, promotrice di un modello di intervento multidisciplinare e luogo privilegiato per la progettazione di interventi di carattere sociale e di integrazione sociosanitaria, attraverso la quale coordinare tutti i servizi offerti sul territorio, in particolare ai malati cronici anche tramite le Centrali Operative Territoriali; 2. l'Ospedale di Comunità, il quale si presenta come il principale strumento per il rafforzamento dell'assistenza intermedia, essendo una struttura sanitaria della rete territoriale a ricovero breve e destinata a pazienti che necessitano di interventi sanitari a media/bassa intensità clinica e per degenze di breve durata, a gestione prevalentemente infermieristica. 3.4. Evidenzia inoltre la deliberazione suindicata che le indicazioni contenute nel P.N.R.R. hanno trovato ulteriore sviluppo, con particolare riferimento alla realtà sanitaria regionale, attraverso il "Programma Restart Sanità - Piano di Risposta al fabbisogno sanitario: domanda, criticità e principali azioni nel breve-medio periodo (2021/2022)", il quale ha individuato le azioni di potenziamento dell'offerta e le relative risorse a disposizione, al fine di permettere la ripresa e l'implementazione delle attività sanitarie non COVID-19 correlate, in attuazione degli indirizzi e delle indicazioni del P.N.R.R. e, conseguentemente: - recuperare nel breve termine le liste d'attesa generate dalla domanda arretrata latente accumulatasi a seguito della contrazione dell'offerta di prestazioni sanitarie non COVID-19, verificatasi nel corso del 2020 e nei primi mesi del 2021; - recuperare la mobilità passiva. 3.5. Tra le altre, in particolare, il "Programma Restart" ha individuato le seguenti "Azioni di sistema" per contrastare gli effetti della pandemia e attuare la ripartenza dei servizi sanitari: - ridefinire l'offerta identificando competenze e mission per alcune strutture, perseguendo la specializzazione e le economie di scala, cliniche ed economiche; - prevedere un nuovo ruolo dei MMG all'interno del network territoriale "Case della Comunità ", "Ospedali di Comunità ", "Centrali Operative Territoriali" prefigurato dal P.N.R.R.; - potenziare l'offerta per le prestazioni che presentano indicatori di mobilità più critici, attraverso l'azione combinata di rafforzamento della rete territoriale e l'adozione di modelli erogativi innovativi. 3.6. Sulla scorta delle indicazioni nazionali contenute nel P.N.R.R. e nell'ambito del quadro programmatorio delineato nel "Programma Restart", la Regione Liguria, con la delibera suindicata, ha quindi ravvisato la necessità di implementare l'offerta territoriale, "mediante un'azione di conversione di strutture preesistenti, al fine di rendere l'assistenza di prossimità più diffusa sul territorio regionale, per garantire cure primarie e intermedie soprattutto alle categorie più fragili, perseguendo così il potenziamento del network territoriale "Case della Comunità ", "Ospedali di Comunità ", "Centrali Operative Territoriali", anche con ripercussioni positive sulla riduzione dello stress nei reparti di degenza per acuti". 3.7. La deliberazione de qua richiama quindi la nota di A.Li.Sa. prot. n. 26492 del 10 settembre 2021, con la quale si rappresenta che: - il pattern demografico ed epidemiologico che caratterizza la Regione Liguria determina la necessità di percorsi di presa in carico più complessi rivolti al paziente con multicronicità ed elevata fragilità, e, quindi, di un'offerta che garantisca: 1) il potenziamento dell'offerta territoriale in primis con Case di Comunità in grado di offrire Servizi diagnostici e ambulatoriali potenziati e introdurre servizi di prossimità ; 2) strutture per l'assistenza riabilitativa post-acuti in grado di accompagnare la domiciliarizzazione del paziente in continuità fisica e funzionale con gli Ospedali di Comunità ; - la strategia regionale prevede il potenziamento dell'offerta territoriale nelle valli interne, più distanti dai presidi ospedalieri e caratterizzate da un accentuato pattern di invecchiamento e fragilità, la quale comprenda: Case della Comunità, Ospedali di Comunità con posti letto di media intensità e post-acuti di tipo riabilitativo, potenziati servizi di radiologia e specialistica ambulatoriale, continuità assistenziale. Tra le aree da implementare all'uopo individuate vi è la Val Bormida - ASL2, nella quale insiste il presidio di (omissis), il quale garantisce la continuità strutturale e funzionale degli strumenti del modello di offerta, presentando, per dimensioni, localizzazione e interventi necessari per la riconversione della funzione, caratteristiche ideali al fine di garantire l'offerta territoriale sopradescritta. Esso - rileva la nota citata - perderebbe la configurazione di presidio ospedaliero per assumere la connotazione di centro per l'assistenza intermedia e offerta territoriale, assumendo la seguente configurazione: - Ospedale di Comunità (20 posti letto); - Reparto di riabilitazione post-acuti (40 posti letto); - Casa di Comunità che comprenda Servizi di cure primarie erogati attraverso é quipe multidisciplinari (MMG, PLS, SAI, ecc.), Punto Unico di Accesso, Servizio di assistenza domiciliare, Servizi di specialistica ambulatoriale per le patologie ad elevata prevalenza, Servizi infermieristici, Sistema integrato di prenotazione collegato al CUP aziendale, Programmi di screening, Servizi diagnostici con potenziamento dell'offerta radiologica, Continuità Assistenziale, Punto prelievi, Servizi Sociali Servizi per la salute mentale, le dipendenze patologiche e la neuropsichiatria infantile e dell'adolescenza, Attività Consultoriali, Vaccinazioni. La suddetta nota di A.Li.Sa. così conclude: "Alla luce di quanto sopraesposto ed in considerazione dell'attuale layout dello stabilimento di Sa. Gi. a (omissis) è difficilmente compatibile la contestuale presenza delle funzioni ospedaliera, così come definita dal lotto 2 del disciplinare di gara, e territoriale così come prevista dalla programmazione regionale in corso sulla base di quanto previsto dal PNRR". 3.8. La G.R. rileva quindi che "il progetto originario di affidamento in regime di concessione della gestione dei presidi ospedalieri Ospedale S. Ma. della Mi. - (omissis), Ospedale S. Gi. - (omissis), come delineato negli atti di gara, prevede che la produzione dello stabilimento oggetto di concessione ricomprenda: - la funzione di Pronto Soccorso; - l'attività di medicina interna e recupero rieducazione funzionale in regime di ricovero ordinario e di day hospital; - l'attività di day surgery multisciplinare in ambito di chirurgia generale e ortopedia; - la specialistica ambulatoriale di Oculistica, ORL, dialisi e dermatologia (Allegato C del disciplinare)". Essa evidenzia che "pertanto, il progetto non risulta più rispondente alle mutate esigenze assistenziali attualmente espresse dalla collettività, non soddisfacendo gli attuali bisogni di salute cui la programmazione regionale deve far fronte" e che "alla luce delle esigenze assistenziali sopra esposte, appare necessaria - sulla base delle indicazioni tecniche di A.Li.Sa. - la conversione della struttura ospedaliera di (omissis), che costituisce l'unica sede idonea ad assumere la connotazione di centro per l'assistenza intermedia e per l'offerta territoriale". 3.9. La G.R. ravvisa quindi la necessità di "formulare indirizzi affinché si provveda alla revoca della procedura di affidamento in regime di concessione della gestione dei suddetti presidi ospedalieri in ragione dei sopravvenuti motivi di pubblico interesse e del mutamento dei presupposti che avevano determinato l'esperimento della procedura di gara", all'uopo anche richiamando l'art. 23 del Disciplinare di gara, ai sensi della quale "L'Amministrazione si riserva, mediante adeguata motivazione, di annullare e/o revocare la presente procedura di scelta del contraente nonché di non addivenire ad aggiudicare ovvero di non stipulare il contratto, senza incorrere in richiesta di danni, indennità o compensi da parte dei concorrenti e/o dell'aggiudicatario, nemmeno ai sensi degli articoli 1337 - 1338 del codice civile". 3.10. Essa dà conseguentemente mandato: 1) al Settore Stazione unica appaltante regionale di avviare il procedimento di revoca; 2) al Dipartimento Salute e Servizi Sociali e ad A.Li.Sa. per quanto di rispettiva competenza e nell'ambito del coordinamento garantito dalla Struttura di Missione per la Sanità di cui all'art. 6 della L.R. n. 2/2021, di ridefinire i ruoli delle strutture ospedaliere di S. Ma. della Mi. di (omissis) e S. Gi. di (omissis). 4. La predetta deliberazione di G.R. n. 852/2021 costituisce oggetto del ricorso (rubricato con il n. 1/2022 del R.G.) proposto dinanzi al T.A.R. per la Liguria dalla Società Po. di Mo. S.p.a., la quale ha anche richiesto, in via subordinata, la condanna dell'Amministrazione al risarcimento del danno da mancata aggiudicazione o, in ulteriore subordine, del danno da illecito precontrattuale. 4.1. Nelle more del giudizio incardinato con il ricorso suindicato, è stato adottato il decreto del Dirigente del Settore S.U.A.R. n. 8071 del 29 dicembre 2021, avente ad oggetto "Revoca ex art. 21 quinquies della legge n. 241/1990 della procedura di affidamento della gestione delle strutture ospedaliere Ospedale S. Ma. della Mi. - (omissis) (SV), Ospedale S. Gi. - (omissis) (SV) ex art. 164 e ss. D.Lgs. n. 50/2016 (lotto 2)", con il quale, a conclusione del procedimento avviato con decreto n. 7499 del 7 dicembre 2021 ed in esecuzione della sopracitata Deliberazione di Giunta Regionale n. 852/2021, è stata disposta la "revoca ex art. 21 quinquies della legge n. 241/1990 della procedura di affidamento della gestione delle strutture ospedaliere Ospedale S. Ma. della Mi. - (omissis) (SV), Ospedale S. Gi. - (omissis) (SV) ex art. 164 e ss. D.Lgs. n. 50/2016 -739284832A (Lotto 2) per le motivazioni, che si intendono quivi integralmente richiamate, riportate nella Deliberazione di Giunta Regionale n. 852 del 28/09/2021, allegata al presente provvedimento quale parte integrante e sostanziale". 4.2. Il Decreto suindicato è stato impugnato dalla Società Po. di Mo. S.p.a. con i motivi aggiunti depositati nell'ambito del predetto giudizio, complessivamente definito dal T.A.R. con la sentenza n. 746 del 22 luglio 2022. 4.3. Con tale pronuncia il T.A.R., respinte le eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate dall'Amministrazione resistente, ha preliminarmente respinto la domanda di annullamento formulata dalla parte ricorrente, ritenendo che l'impugnato provvedimento di ritiro trovasse idoneo fondamento nella sopravvenuta necessità di riorganizzare la rete delle prestazioni sanitarie in ragione della diffusione del virus Sars-CoV-2 e dei conseguenti nuovi bisogni di salute della popolazione, attraverso il potenziamento della c.d. assistenza di prossimità, secondo le indicazioni del programma regionale "Restart" approvato con la D.G.R. n. 717 del 6 agosto 2021 e della "Missione 6 Salute" del Piano nazionale di ripresa e resilienza (che ha stanziato fondi per la realizzazione di "ospedali di comunità " e di "case di comunità "), e la conseguente riconversione del nosocomio di (omissis) in relazione alle suindicate nuove funzioni, come da progetto definitivamente approvato con la D.G.R. n. 1057 del 19 novembre 2021: siffatte ragioni giustificative dello ius poenitendi dell'Amministrazione sono state quindi ritenute dal T.A.R. non "manifestamente illogiche o irrazionali, né viziate da travisamento dei fatti". 4.4. Il T.A.R. ha invece ravvisato la fondatezza della domanda subordinata di risarcimento del danno derivante dalla mancata aggiudicazione della gara oggetto di revoca. 4.4.1. Premesso che, con la sentenza del medesimo T.A.R. n. 688 del 13 agosto 2019, era stato disposto, in accoglimento del ricorso proposto dalla Società Po. di Mo. S.p.a., l'annullamento del provvedimento del 21 febbraio 2019 (con il quale, avendo avuto esito positivo il sub-procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta presentata dalla prima classificata Is. Or. Ga. S.p.a., la gara era stata aggiudicata in via definitiva alla suddetta concorrente), evidenziato altresì che, con la sentenza n. 371 del 13 giugno 2020, lo stesso T.A.R. aveva statuito l'annullamento del decreto n. 21 del 7 gennaio 2020 (con il quale, all'esito della rinnovata verifica di anomalia, era stata disposta nuovamente l'aggiudicazione della gara a favore della Is. Or. Ga. S.p.a.) e rilevato infine che, con la sentenza n. 6820 dell'11 ottobre 2021, il Consiglio di Stato aveva respinto - previa riunione - gli appelli della Regione e della controinteressata avverso la sentenza suindicata, attesa l'inattendibilità - acclarata dal nominato C.T.U. - del piano economico dell'aggiudicataria e l'anomalia della relativa offerta, ha evidenziato il giudice di primo grado, con la sentenza n. 746/2022, che "se la stazione appaltante avesse operato legittimamente, nel febbraio 2019 o, al più tardi, nel gennaio 2020 (dopo la rinnovata verifica dell'anomalia dell'offerta), Is. Or. Ga. s.p.a. sarebbe stata estromessa dalla procedura e la gara sarebbe stata aggiudicata a Po. di Mo. s.p.a., in quanto seconda classificata in graduatoria". 4.4.2. Il T.A.R. ha altresì ritenuto che fosse "parimenti palese la colpa della resistente per aver emanato gli atti illegittimi annullati in via giurisdizionale. Infatti, tutti gli errori del R.U.P. e della Commissione appaiono rimproverabili e non scusabili: sia quelli commessi anteriormente alla prima pronunzia del Tribunale, per la superficialità dell'istruttoria condotta dal solo R.U.P. in spregio alla legge di gara; sia quelli compiuti nel rieditato sub-procedimento di verifica, apparendo indubbiamente stigmatizzabile il mancato rilievo della spiccata inattendibilità dei dati e delle prospettazioni posti alla base del piano economico-finanziario e rilevanti sul piano dell'anomalia dell'offerta". 4.4.3. Il T.A.R. ha quindi evidenziato che "poiché oggi la ricorrente non può più ottenere l'affidamento, avendo l'Amministrazione revocato la gara, essa ha tuttavia diritto di essere risarcita per il danno derivante dagli atti di aggiudicazione illegittimi reiteratamente emanati dalla stazione appaltante in seno alla procedura competitiva ed annullati da questo T.A.R.". 4.4.4. Ha inoltre osservato il T.A.R. che "nella specie è indubitabile che la mancata tempestiva aggiudicazione della concessione del servizio di gestione degli ospedali abbia precluso a Policlinico il conseguimento di un lucro. Se avesse ottenuto l'affidamento a tempo debito, infatti, anche nell'ipotesi di cessazione anticipata del rapporto concessorio (che la Regione avrebbe pur sempre potuto disporre per far fronte alla pandemia, ai sensi dell'art. 176, comma 4, del d.lgs. n. 50/2016), la ricorrente avrebbe comunque gestito i nosocomi almeno fino al dicembre 2021 e, per il periodo successivo, avrebbe ricevuto l'indennizzo di legge (perché la revoca avrebbe inciso su un contratto di concessione già siglato ed in corso di esecuzione)". 4.4.5. Ai fini quantificatori, quindi, il T.A.R., premesso, con particolare riguardo al mancato guadagno, che l'art. 124, comma 1, c.p.a. statuisce che il danno riparabile per equivalente deve essere "subito e provato" dal ricorrente e che "il profitto perduto non può farsi coincidere automaticamente con gli utili preventivati nel piano economico-finanziario", atteso che, da un lato, "le stime di fatturato, costi e utili contenute nel p.e.f., seppur in sé attendibili, scontano il margine di rischio fisiologico che caratterizza i rapporti concessori e, nella specie, avrebbero verosimilmente subito variazioni rilevanti in ragione dell'emergenza pandemica da covid-19 (che ha portato all'incremento degli oneri per la sicurezza, alla contrazione dei ricoveri di elezione ed alla limitazione degli accessi alle strutture sanitarie)", dall'altro lato, "non può escludersi che le mutate pregnanti esigenze del contesto sanitario avrebbero comunque indotto la Regione a revocare il rapporto concessorio per motivi di pubblico interesse, ai sensi dell'art. 176, comma 4, del d.lgs. n. 50/2016, riconoscendo alla concessionaria l'indennizzo contemplato dalla lett. c) della medesima disposizione", evidenziato altresì che "anche tale importo non risulta determinabile con esattezza, perché la norma fa riferimento al "10 per cento...del valore attuale dei ricavi risultanti dal piano economico-finanziario allegato alla concessione per gli anni residui di gestione", per cui "in base ai principi della matematica finanziaria, i ricavi appostati nel p.e.f. avrebbero dovuto essere diminuiti mediante l'applicazione di fattori di attualizzazione tarati sul tempo e sugli scostamenti dalle previsioni del business plan concretamente verificatisi", ha ritenuto che il guadagno che l'impresa avrebbe potuto conseguire fosse quantificabile in via equitativa, ai sensi degli artt. 1226 e 2056 cod. civ., riconoscendo alla ricorrente la somma di Euro 314.887,95, "pari al 15% dei guadagni ipotizzati nel piano economico-finanziario elaborato ante pandemia per il settennio iniziale (Euro 2.099.253,00), tenuto conto dei seguenti elementi: - il periodo di durata del rapporto concessorio va considerato solo per sette anni, e non per dodici, perché la proroga di un lustro era meramente facoltativa e rimessa alla discrezionalità dell'Amministrazione (cfr. art. 4.1 del disciplinare di gara, sub doc. 5 produzioni 3.1.2022 della ricorrente); - per la prima fase di gestione dei nosocomi la Società Po. di Mo. S.p.a. non avrebbe ritratto utili, perché i costi sarebbero stati superiori al fatturato, come si desume dallo stesso piano economico presentato dall'impresa, secondo cui i guadagni sarebbero iniziati solo negli ultimi mesi del terzo anno di concessione (cfr. doc. 4 produzioni 3.1.2022 della ricorrente); - se nel dicembre 2021 fosse intervenuto il provvedimento di revoca del negozio concessorio, per gli anni restanti la società concessionaria avrebbe ottenuto solamente l'indennizzo ex art. 176, comma 4, lett. c) del d.lgs. n. 50/2016; - il risarcimento deve essere diminuito in ragione dell'aliunde perceptum vel percipiendum, non avendo la ricorrente dimostrato di avere rinunciato ad altre commesse in vista della possibile vittoria della gara". 4.4.6. Ha altresì precisato il T.A.R. che "l'importo riconosciuto non va aumentato della rivalutazione e degli interessi legali anteriormente al deposito della sentenza, perché la somma - che surroga il mancato profitto - viene liquidata per intero prima del momento in cui il rapporto si sarebbe dovuto concludere, dando luogo perciò, almeno in parte, ad un vantaggio per l'impresa, che vale nel complesso a bilanciare il pregiudizio per il ritardo nella ricezione del quantum corrispondente ai primi (virtuali) utili (cfr. Cons. St., sez. V, 19 maggio 2021, n. 3892)", mentre ha statuito che "sulla somma liquidata sono dovuti, invece, gli interessi di natura corrispettiva al tasso legale ex art. 1282 cod. civ., con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza e fino all'effettivo soddisfo". 4.4.7. Con riferimento, invece, al c.d. danno curriculare, il T.A.R. ha respinto la relativa domanda risarcitoria, non avendo la società ricorrente dimostrato, "nemmeno mediante presunzioni, il pregiudizio che asserisce di aver subito sotto il profilo in esame, non fornendo alcun indizio delle lamentate ricadute negative, in termini di minore capacità competitiva e redditività, sulle sue credenziali tecniche e commerciali". 4.5. Infine, il T.A.R. si è pronunciato sulla domanda risarcitoria per responsabilità precontrattuale della Regione, avanzata dalla ricorrente in via ulteriormente subordinata, statuendone la reiezione sul rilievo che "nel caso in esame non è possibile predicare la colpa della resistente per avere deciso di dare corso al procedimento di revoca della gara nel settembre 2021 e non in data anteriore. Infatti, come emerge dalle D.G.R. n. 400 del 7 maggio 2021, n. 541 del 22 giugno 2021 e n. 717 del 6 agosto 2021 (docc. 19-20-21 resistente), solo nell'anno 2021 la Regione Liguria ha ridefinito l'offerta sanitaria alla luce dei bisogni di salute emersi con la pandemia e dei finanziamenti stanziati con il Piano nazionale di ripresa e resilienza, approvato dal Consiglio U.E. in data 13 luglio 2021. Va, quindi, disattesa la tesi ricorsuale secondo cui il comportamento dell'Amministrazione dovrebbe qualificarsi scorretto, secondo i canoni civilistici, per il fatto che l'ente ha difeso in giudizio l'aggiudicazione operata in favore della controinteressata fino al 15 settembre 2021, ossia fino alla data in cui ha manifestato l'intendimento di ritirare in autotutela la procedura di affidamento (doc. 15 resistente) e, per il tramite del proprio difensore, ha chiesto il rinvio dell'udienza di discussione fissata avanti al Consiglio di Stato per il 23 settembre 2021 (doc. 14 resistente). Invero, l'indubbiamente curiosa coincidenza cronologica tra il deposito della C.T.U. in data 30 luglio 2021 e la (di poco successiva) decisione di modificare il presidio ospedaliero di (omissis) non consente di ritenere che l'Amministrazione avesse l'onere di rideterminarsi in epoca antecedente, perché, come si è visto, la riprogrammazione sanitaria regionale è avvenuta proprio nel corso del 2021, anche in concomitanza con l'approvazione del P.N.R.R. da parte dell'Unione europea". 5. La sentenza n. 746/2021, di cui sono stati tratteggiati i principali profili motivazionali e dispositivi, costituisce oggetto della domanda di riforma proposta, sulla scorta dei motivi di seguito analizzati, dalla Regione Liguria con l'appello n. 9357/2022 e dalla Società Po. di Mo. S.p.a. con l'appello n. 9900/2022, dei quali deve preliminarmente disporsi la riunione, oltre che per evidenti ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva, ai sensi dell'art. 96, comma 1, c.p.a.. 5.1. Si sono costituite nei giudizi originariamente separati, per resistere agli appelli in relazione ai quali sono parti resistenti, rispettivamente, la Società Po. di Mo. S.p.a. e la Regione Liguria. 6. Assume carattere preliminare l'esame dell'appello proposto dalla Società Po. di Mo. S.p.a., in quanto diretto, in via principale, ad ottenere la riforma della sentenza appellata nella parte in cui ha respinto la domanda di annullamento del provvedimento (decreto dirigenziale n. 8071 del 29 dicembre 2021) con il quale la SUAR ha disposto la revoca della gara per l'affidamento in concessione degli Ospedali S. Ma. della Mi. e S. Gi. di Ca. Mo. (lotto 2) e della presupposta delibera di G.R. n. 852 del 28 settembre 2021. 7. Deve premettersi che il T.A.R., al fine di respingere le corrispondenti censure della parte ricorrente, ha fatto leva sugli argomenti di seguito schematizzati: - la motivazione del provvedimento di ritiro è incentrata sulla sopravvenuta necessità di riorganizzare la rete delle prestazioni sanitarie in ragione della diffusione del virus Sars-CoV-2 e dei conseguenti nuovi bisogni di salute della popolazione, al fine di potenziare la c.d. assistenza di prossimità, secondo le indicazioni del programma regionale "Restart" approvato con la D.G.R. n. 717 del 6 agosto 2021 e della "Missione 6 Salute" del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza; - funzionale al rafforzamento della medicina di prossimità è appunto la decisione di riconvertire il nosocomio di (omissis) in una struttura atta a garantire l'assistenza intermedia e primaria, insediandovi un "ospedale di comunità " (con 20 posti letto) per pazienti che necessitano di interventi sanitari a media/bassa intensità clinica, un "reparto di riabilitazione post-acuti" (con 40 posti letto) ed una "casa di comunità " (per servizi di cure primarie, continuità assistenziale, assistenza domiciliare, specialistica ambulatoriale, prestazioni infermieristiche, programmi di screening, punto prelievi, vaccinazioni e attività consultoriali); - il suddetto progetto è stato definitivamente approvato con la D.G.R. n. 1057 del 19 novembre 2021 e il nuovo "ospedale di comunità " è entrato in funzione il 30 giugno 2022; - l'esercizio dello jus poenitendi, conformemente all'art. 21-quinquies l. n. 241/1990, è appunto giustificato da una sopraggiunta situazione di fatto (la pandemia da Sars-CoV-2), che ha mutato il quadro degli interessi e che non era prevedibile al momento dell'indizione della gara (risalente al febbraio 2018); - il fatto che la decisione di revoca sia stata assunta subito dopo che l'Amministrazione ha appreso l'esito a sé sfavorevole della C.T.U. espletata nel giudizio d'appello avente ad oggetto il provvedimento di aggiudicazione della gara a favore della Is. Or. Ga. S.p.a. "non è sufficiente ad inficiare il provvedimento avversato, perché le ragioni sottese alla revoca non appaiono manifestamente illogiche o irrazionali, né viziate da travisamento dei fatti, uniche ipotesi in cui il giudice amministrativo può sindacare la determinazione della stazione appaltante di non proseguire la gara"; - "sconfinano nel merito dell'azione amministrativa e, quindi, si appalesano inammissibili i rilievi mossi dalla deducente alla scelta di ridefinire i servizi sanitari e, segnatamente, di trasformare il presidio di (omissis) in struttura per le cure di prossimità, senza mantenere la funzione ospedaliera con il pronto soccorso e gli altri reparti previsti nel progetto a base di gara" (...). Invero, dall'istruttoria condotta dall'Azienda Ligure Sanitaria (doc. 2 produzioni 3.1.2022 della ricorrente), i cui esiti sono stati versati nell'atto di revoca, è emerso che i residenti delle valli interne, tra cui la Val Bormida (ove è ubicata la cittadina di (omissis)), presentano un'elevata età media e, dunque, abbisognano con maggiore probabilità di percorsi di presa in carico dedicati ai pazienti con multicronicità ed elevata fragilità . Ne discende che, in base al quadro demografico ed epidemiologico della popolazione della zona, la scelta di riconvertire l'ospedale cairese non risulta manifestamente illogica o irrazionale. Per contro, la ricorrente non ha dimostrato, sulla base di dati e/o fatti concreti, la necessità di un nosocomio tradizionale, attrezzato per la medicina d'urgenza. Analogamente, anche se, come segnalato da Policlinico (v. pag. 7 memoria di replica 11.7.2022), il programma regionale "Restart" contempla forme di partnership con i privati convenzionati ed un'allocazione di risorse nell'area dell'ortopedia (specialità prevista nel progetto di affidamento degli ospedali di (omissis) e Cairo), questo giudice non può sostituirsi all'Amministrazione nella scelta delle azioni più opportune da assumere presso le strutture di cui si tratta (peraltro, nel presidio cairese è stato inserito un reparto di riabilitazione, che riguarda anche pazienti ortopedici)". 8. Ciò premesso, deduce in primo luogo la società appellante che l'Amministrazione regionale ha instaurato il giudizio d'appello - conclusosi con la sentenza n. 6820/2021 - sempre insistendo per aggiudicare la gara, rendendo necessario l'espletamento di una istruttoria tecnica inerente all'anomalia dell'offerta presentata in gara dalla Is. Or. Ga. S.p.a., disposta all'esito dell'udienza pubblica del 10 dicembre 2020, allorché risultava già prorogato lo stato di emergenza pandemico sino al 31 dicembre 2020 a seguito della Deliberazione del Consiglio dei Ministri del 7 ottobre 2020, poi nuovamente prorogato fino al 30 aprile 2021 con la Deliberazione del Consiglio dei Ministri del 13 gennaio 2021. Pertanto, deduce la parte appellante, l'esigenza di riorganizzare l'intera rete ospedaliera, al fine di efficientare le prestazioni sanitarie, da un lato per contrastare la pandemia, dall'altro lato per garantire la "normale" assistenza sanitaria, non è maturata affatto nel corso dell'anno 2021, ma era già ben nota all'Amministrazione regionale da prima che fosse avviata la fase istruttoria del giudizio d'appello, risultandone a suo avviso inficiata la tesi, recepita dal T.A.R., secondo la quale la Regione Liguria avrebbe motivatamente revocato la gara de qua in virtù di una sopraggiunta ed imprevedibile situazione di fatto e di una nuova valutazione degli interessi pubblici coinvolti. Deduce inoltre la parte appellante che la Regione ha sostenuto in primo grado di aver dato attuazione "... alle previsioni del P.N.R.R. tramite le Delibere della Giunta regionale n. 400 del 7 maggio 2021 (doc. n. 19), n. 541 del 22 giugno 2021 (doc. n. 20) e n. 717 del 6 agosto 2021 (doc. n. 21). Segnatamente, con la Delibera n. 717 del 6 agosto 2021 (doc. n. 21) la Regione Liguria ha approvato il documento "Programma Restart Sanità - Risposta al fabbisogno sanitario: domanda, criticità e principali azioni nel breve-medio periodo (2021/2022)", nel quale, in relazione alle diverse prestazioni in cui si articola l'offerta sanitaria regionale, viene sottolineata la necessita` di "ridefinire il governo del percorso di presa in carico e gestione del paziente da parte dei M.M.G. e integrarlo nell'offerta di assistenza sanitaria prevista dalle Case della Comunità ed Ospedali di Comunità "". Allega quindi la parte appellante che secondo la ricostruzione dell'Amministrazione regionale, erroneamente accolta dal T.A.R., la riorganizzazione del sistema sanitario regionale sarebbe stata addirittura imposta dagli obiettivi del P.N.R.R., contestualizzati nel Piano "Restart", di cui alle D.G.R. n. 1055/2021 e n. 1057/2021, laddove, per contro, il P.N.R.R. è stato definitivamente approvato con Decisione di esecuzione del Consiglio Europeo, il quale ha recepito la proposta della Commissione europea, in data 13 luglio 2021: pertanto, la necessità di dover adottare, a livello regionale, le misure attuative del suddetto Piano Nazionale era circostanza nota all'Amministrazione ben prima del deposito in giudizio della relazione del CTU. La parte appellante sottolinea inoltre la contraddittorietà dell'argomentazione regionale, non rilevata dal T.A.R., secondo cui con le D.G.R. del "7 maggio 2021" e del "22 giugno 2021" sarebbe stata data attuazione al P.N.R.R. il quale, però, è stato approvato "nel Luglio 2021". Aggiunge la parte appellante che i provvedimenti riguardanti direttamente il presidio ospedaliero di (omissis) (e di (omissis)), compresi quelli impugnati in primo grado, sono tutti successivi al deposito della relazione del CTU e, quindi, alla conclusione del giudizio in appello che ha visto la soccombenza della Regione; in data 13 luglio 2021, inoltre, la Regione Liguria ha depositato nel giudizio di appello le osservazioni alla relazione del CTU, contestando le conclusioni della medesima e continuando a perorare la legittimità della procedura e l'intenzione di aggiudicare la gara in favore della Istituto Terapeutico Galeazzi S.p.a.. Ne consegue, evidenzia la parte appellante, che nel luglio del 2021, allorquando aveva già adottato le Deliberazioni della Giunta Regionale n. 400 del 7 maggio 2021 e n. 541 del 22 giugno 2021 (in asserita attuazione dell'approvando P.N.R.R.) e stava programmando l'adozione delle Deliberazioni n. 717 del 6 agosto 2021 e n. 852 del 28 settembre 2021, la Regione Liguria ha sostenuto innanzi al Consiglio di Stato che la volontà di attivare la concessione era rimasta invariata, così come gli obiettivi originari sottesi all'indizione della procedura di gara. 8.1. Espone ancora la parte appellante, quanto al "Piano Restart", presentato nel mese di agosto 2021, che tra i suoi obiettivi principali figurano sia lo sviluppo della rete territoriale come indicato dal P.N.R.R., sia lo sviluppo della rete ospedaliera con coinvolgimento dei privati per il recupero della mobilità passiva e delle liste di attesa: dunque, l'obiettivo del Piano di riorganizzazione sanitaria regionale è duplice e prevede espressamente il coinvolgimento dei soggetti privati - come previsto nell'ambito della concessione revocata - tant'è che, rispetto ai 24 milioni di euro di stanziamento a sostegno degli sviluppi a breve e medio termine, ben Euro 8,8 milioni (37%) sono stati assegnati all'ortopedia, specialità alla base dell'affidamento in concessione degli Ospedali di (omissis) e di (omissis). Deduce ancora la parte appellante che l'Ospedale di (omissis), per la sua strutturazione, non rappresenta un centro nevralgico per la sanità ligure o un sito particolarmente importante per rispondere alle esigenze della collettività : infatti, l'affidamento della concessione aveva proprio la finalità di rivalutare il presidio ospedaliero de quo, posto che il progetto originario comprendeva anche la funzione di Pronto Soccorso, del tutto assente nel territorio di riferimento. 8.2. Allega inoltre la parte appellante che la Regione, nel corso del giudizio innanzi al T.A.R., ha affermato che "la scelta... di revocare la procedura di gara in questione... non (ricadeva) nell'ambito applicativo dell'art. 21-quinquies della L. n. 241/1990" e, conseguentemente, che "non (richiedeva) una comparazione tra l'interesse pubblico e l'interesse privato dei partecipanti alla gara", nonostante la citata norma sia stata espressamente richiamata nei provvedimenti impugnati in primo grado: quindi, la stessa Amministrazione resistente ha pacificamente confermato di non aver disposto la revoca a seguito della valutazione di un superiore e sopravvenuto interesse pubblico, in quanto ritenuta non necessaria. 8.3. Deduce altresì la parte appellante che, dando eccessiva rilevanza all'istruttoria dell'Azienda Ligure Sanitaria (A.Li.Sa.), comunque compiuta dopo il deposito delle predette risultanze della CTU, il T.A.R. non ha nemmeno riconosciuto la manifesta illogicità sottesa ai provvedimenti impugnati in primo grado, i quali sono del tutto immotivati, oltre che sproporzionati in relazione ai fini perseguiti e non rispondenti all'interesse pubblico ed alle effettive esigenze della collettività, impedendo l'attivazione di un - necessario - Pronto Soccorso presso il sito ("che perderebbe la configurazione di presidio ospedaliero"), per realizzare solamente un "centro per l'assistenza intermedia". 9. Alla luce della esposizione che precede dei motivi di appello, deve premettersi che la parte appellante si prefigge di dimostrare che la scelta di revocare la gara non è dipesa dall'esigenza di adeguare l'offerta di prestazioni sanitarie erogabili presso l'Ospedale (omissis) alle mutate esigenze assistenziali rilevate in sede programmatoria, connesse alla vicenda pandemica, alle conseguenti indicazioni programmatiche di matrice europea, così come trasfuse nel P.N.R.R., ed ai nuovi bisogni di cura manifestati dalla popolazione ligure (attraverso, essenzialmente, la dismissione delle funzioni proprie dei presidi ospedalieri tradizionali, sul modello dei quali era stato previsto l'affidamento in concessione della relativa gestione, e l'assunzione del ruolo di Centro per l'assistenza intermedia e per l'offerta territoriale, funzionale alla erogazione di servizi di prossimità e di assistenza riabilitativa post-acuti preordinati alla domiciliarizzazione del paziente, destinati essenzialmente ai pazienti con multicronicità ed elevata fragilità ), ma dalla volontà di "sterilizzare" l'esito vittorioso per la Società Po. di Mo. S.p.a. del giudizio da questa instaurato avverso il (rinnovato) provvedimento di aggiudicazione della concessione a favore della Is. Or. Ga. S.p.a., quale si profilava sulla scorta della CTU disposta da questa Sezione al fine di verificare l'effettiva sussistenza dei denunciati profili di anomalia nell'offerta della aggiudicataria. 10. Le censure della parte appellante si inseriscono quindi, complessivamente considerate, nel solco della denuncia del vizio di sviamento a carico della contestata scelta revocatoria, il quale tipicamente si manifesta allorquando l'esercizio del potere sia piegato al perseguimento di una finalità estranea a quella caratterizzante la sua causa tipica, divenendo strumentale al soddisfacimento di interessi esulanti dal quadro teleologico in vista del quale il medesimo potere è attribuito all'Amministrazione, se non addirittura dal novero di quelli da essa legittimamente perseguibili con gli strumenti previsti dall'ordinamento. E' altresì noto che il vizio di eccesso di potere non deve costituire oggetto di una prova piena da parte del ricorrente, il quale sovente non dispone dei mezzi probatori necessari ad offrirne una rappresentazione plastica ed inconfutabile, purché la sua deduzione in giudizio sia accompagnata dalla allegazione di significativi elementi sintomatici, atti ad offrire una attendibile dimostrazione, anche solo di carattere presuntivo, dello sviamento della funzione pubblica dai suoi obiettivi istituzionali e legittimamente perseguibili. Trattasi di un vizio che, pur attenendo alla fattispecie sostanziale di invalidità del provvedimento impugnato, è destinato tipicamente ad emergere e delinearsi sul piano processuale, intersecando profili di carattere squisitamente probatorio e costituendo il punto di confluenza finale degli apporti istruttori delle parti e della valutazione conclusiva che ne opera il giudicante. 11. Ciò premesso, ritiene il Collegio che le circostanze allegate dalla parte appellante non raggiungano la soglia di perspicuità e congruenza necessaria a configurare gli estremi del vizio allegato. 11.1. In primo luogo, deve osservarsi che la parte appellante si prefigge di desumere la strumentalità della scelta revocatoria dal comportamento processuale della Regione Liguria nel giudizio di appello dalla stessa proposto avverso la sentenza (n. 371 del 13 giugno 2020) del T.A.R. per la Liguria, con la quale era stato disposto l'annullamento del Decreto Dirigenziale n. 27 del 7 gennaio 2020, recante l'aggiudicazione a favore della Società Is. Or. Ga. S.p.a. della gara per l'affidamento in concessione degli Ospedali S. Ma. della Mi. - (omissis) e S. Gi. - (omissis), avendo la stessa insistito per l'accoglimento dell'appello nonostante fosse già stata - recte, avrebbe già dovuto essere - rilevata l'esigenza di riorganizzazione della rete di offerta delle prestazioni sanitarie che, come si è visto, è stata posta a fondamento del successivo provvedimento di revoca degli atti di gara. Ebbene, l'impostazione della parte appellante è, già in radice, intrinsecamente minata nella sua persuasività esplicativa delle effettive ragioni della determinazione impugnata dalla diversità tra il soggetto deputato al compimento delle scelte difensive nell'ambito di un giudizio in corso di svolgimento - identificabile nel titolare del relativo ministero difensivo - e l'organo/gli organi di amministrazione attiva preposto/i al perseguimento degli interessi pubblici affidati all'Amministrazione ed alla adozione dei provvedimenti consequenziali alla loro sovente mutevole percezione, sulla scorta dei cambiamenti verificatisi nella realtà - amplificati, nella fattispecie in esame, dalla rapida evoluzione del contesto pandemico e delle misure adottate anche a livello sovranazionale al fine di contenerne gli effetti devastanti sul piano economico e sociale - e delle ricadute degli stessi sulla selezione e graduazione degli obiettivi da realizzare: diversità cui si correla quella dei piani sui quali si svolgono le relative valutazioni e delle finalità rispettivamente perseguite, con le connesse implicazioni in termini di responsabilità soggettiva ed istituzionale, siccome relative, nel primo caso, alla difesa in giudizio della legittimità del provvedimento originariamente impugnato, laddove (e finché ) non emergano circostanze (o siano adottati i conseguenti provvedimenti) oggettivamente dimostrative della sua non più attuale rispondenza alle nuove esigenze dell'Amministrazione, così come apprezzate dagli organi competenti della stessa, nel secondo, come si è detto, all'adeguamento dinamico dell'assetto provvedimentale alle mutevoli valutazioni circa la sua aderenza al quadro dei fatti e degli interessi rilevanti venuto di volta in volta a determinarsi nella realtà socio-economica e più in particolare, come nella specie, sanitaria. 11.2. Da questo punto di vista, se si vuole operare una ricostruzione della fattispecie in esame aderente alla realtà amministrativa, non può attribuirsi soverchia importanza alla unitarietà soggettiva dell'Amministrazione cui sono imputabili, in ultima analisi, sia le scelte difensive che quelle sostanziali, una volta che, alla luce dei rilievi che precedono, sia chiaro che le prime si caratterizzano per la loro intrinseca staticità /storicità, essendo come si è detto preordinate alla dimostrazione della piena legittimità del provvedimento impugnato ed alla preservazione della sua integrità giuridico-effettuale, mentre le seconde sono connotate da ineliminabile dinamicità, in quanto bisognevoli di continuo aggiornamento in parallelo con i nova verificatisi nella realtà e nell'apprezzamento degli interessi che questa è idonea ad esprimere. In tale (realistico) contesto ricostruttivo, è evidente che, così come il dovere del giudice di pronunciarsi nel merito della res iudicanda - ergo, sulla legittimità del provvedimento in iudicio deducto - cessa solo in presenza di atti e/o fatti univocamente indicativi del venir meno dell'interesse del ricorrente all'ottenimento di una siffatta decisione, quale può desumersi, emblematicamente, dalla sopravvenienza di un assetto provvedimentale incompatibile con quello oggetto di giudizio e tale da determinarne il radicale superamento, allo stesso modo, il mandato conferito al difensore dell'Amministrazione di sostenere le ragioni di quest'ultima, e quindi la legittimità del provvedimento impugnato, recede - in mancanza di diverse indicazioni dei competenti organi di amministrazione attiva - solo quando siano stati adottati provvedimenti tali da rendere sostanzialmente indifferente per la medesima Amministrazione l'esito della controversia. 11.3. Calando tali coordinate interpretative nella fattispecie in esame, deve osservarsi che è solo con l'adozione del provvedimento revocatorio (n. 8071 del 29 dicembre 2021) da parte del competente organo dirigenziale regionale, preceduto dalla delibera "di indirizzo" della G.R. (n. 852 del 28 settembre 2021), che si è reso palese e tangibile alla difesa regionale nel giudizio avente ad oggetto il provvedimento di aggiudicazione a favore della Is. Or. Ga. S.p.a. il venir meno dell'interesse dell'Amministrazione patrocinata a confutare le deduzioni dell'originaria ricorrente Po. di Mo. S.p.a. (recepite dal T.A.R. con la sentenza n. 371/2020) avverso il provvedimento suindicato ed a proteggerlo dalla scure della caducazione giurisdizionale (che sullo stesso ormai, mercé la sentenza di primo grado, già si era abbattuta). Consegue, dalle considerazioni che precedono, che la persistente linea difensiva regionale, pur in costanza dei provvedimenti (sovranazionali, nazionali e regionali) richiamati a fondamento della decisione revocatoria e sintomatici della progressiva maturazione di un orientamento inteso alla revisione del quadro programmatico all'interno del quale era stato disposto l'avvio della procedura di gara per l'affidamento in concessione della gestione dell'Ospedale S. Gi. - (omissis), non può essere assunta a prova, dotata dei necessari requisiti di precisione e concordanza, dello sviamento inficiante la deliberazione n. 852/2021 ed il conseguente provvedimento dirigenziale n. 8071/2021: ciò quantomeno laddove non si dimostri (ma su tale aspetto si dirà meglio infra) che la scelta revocatoria non costituisca lo sbocco coerente di quella concatenazione e successione provvedimentale che ne ha preceduto l'espressione finale. 11.4. Deve inoltre rilevarsi che, sebbene la revoca degli atti della gara potesse ritenersi in germe nei provvedimenti che l'hanno preceduta, essa è comunque espressiva di valutazioni ed acquisizioni istruttorie che non consentivano, finché non è stata perfezionata, di attribuire carattere ineluttabile e scontato alla riconfigurazione della mission dell'Ospedale di (omissis), tale da renderla incompatibile con il modello di affidamento in concessione posto a base della gara. In quest'ottica, è in primo luogo insufficiente a costituire un sintomo concreto di sviamento il fatto che, con le Delibere del Consiglio dei Ministri innanzi richiamate, alla data (28 dicembre 2020, come da ordinanza n. 8445) in cui è stata disposta l'istruttoria da parte di questa Sezione, fosse già stato (dichiarato e) prorogato lo stato di emergenza connesso alla pandemia da SARS-CoV-2. Basti osservare che, già sul piano delle scelte di carattere sostanziale (e quindi, a fortiori, nell'ottica delle scelte processuali dell'Amministrazione, che per quanto detto alle prime tengono dietro, non potendo né indirizzarle né tantomeno precederle), la mera dichiarazione dello stato di emergenza non poteva ritenersi indicativa delle conseguenti ricadute che lo stesso avrebbe avuto sulla programmazione sanitaria e, quindi, sulla ri-definizione della funzione delle strutture sanitarie nel complessivo panorama dell'offerta assistenziale, tanto più se connesse, come accaduto nella fattispecie in esame, a decisioni in fieri, maturate all'esito di un complesso percorso istruttorio e decisorio teso a verificare l'incidenza della pandemia sui bisogni di salute della popolazione interessata e ad individuare le concrete misure correttive finalizzate ad aggiornare l'offerta assistenziale alle esigenze sopravvenute. Deve infatti ribadirsi che la decisione di riconvertire la struttura di (omissis) da Ospedale a struttura integrata con funzione di Ospedale di Comunità, Reparto di riabilitazione post-acuti e Casa di Comunità, tale, cioè, da rendere incompatibile il relativo nuovo ruolo assistenziale in campo sanitario e socio-sanitario con quello avuto presente allorché era stato stabilito di affidarne la gestione in concessione, è scaturita da un complesso iter procedimentale scandito dai seguenti provvedimenti: - il P.N.R.R. - Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, presentato dall'Italia alla Commissione europea il 30 aprile 2021 e definitivamente approvato con Decisione di esecuzione del Consiglio dell'Unione Europea del 13 luglio 2021, nel quadro del programma di finanziamento straordinario europeo "Next Generation EU", laddove prevede tre specifici interventi finalizzati a dare attuazione al nuovo modello di assistenza territoriale e di prossimità, ovvero: 1) l'implementazione delle Case della Comunità ; 2) la previsione della casa come primo luogo di cura, assistenza domiciliare e telemedicina; 3) il rafforzamento dell'assistenza sanitaria intermedia e delle sue strutture (in particolare gli Ospedali di Comunità ); - il "Programma Restart Sanità - Piano di Risposta al fabbisogno sanitario: domanda, criticità e principali azioni nel breve-medio periodo (2021/2022)", approvato con deliberazione della G.R. della Liguria n. 717 del 6 agosto 2021, recante le azioni e relative risorse finalizzate a permettere la ripresa e l'implementazione delle attività sanitarie non COVID-19 correlate, in attuazione degli indirizzi e delle indicazioni del P.N.R.R.; - la nota di A.Li.Sa. prot. n. 26492 del 10 settembre 2021, con la quale si rappresenta, sulla scorta del pattern demografico ed epidemiologico della Regione Liguria, la necessità di percorsi di presa in carico più complessi rivolti al paziente con multicronicità ed elevata fragilità, attraverso il potenziamento dell'offerta territoriale con Case di Comunità, in grado di offrire Servizi diagnostici e ambulatoriali potenziati e introdurre servizi di prossimità, e strutture per l'assistenza riabilitativa post-acuti in grado di accompagnare la domiciliarizzazione del paziente in continuità fisica e funzionale con gli Ospedali di Comunità . La medesima nota inoltre, come si è visto, indica le aree del territorio regionale per le quali, alla luce delle relative caratteristiche demografiche ed epidemiologiche, si prevede il potenziamento dell'offerta territoriale nel senso innanzi prefigurato, ovvero la Val Bormida - ASL2, la Valle Scrivia - ASL3 e la Val di Vara - ASL5, precisandosi, per quanto riguarda la prima, nella quale insiste il presidio di (omissis), che questo garantisce la continuità strutturale e funzionale degli strumenti del modello di offerta, presentando, per dimensioni, localizzazione e interventi necessari per la riconversione della funzione, caratteristiche ideali al fine di garantire l'offerta territoriale sopradescritta; - la stessa deliberazione di G.R. n. 852/2021, la quale porta a compimento il percorso suindicato, dando atto che l'attuale configurazione dello stabilimento di Sa. Gi. a (omissis), che "costituisce l'unica sede idonea ad assumere la connotazione di centro per l'assistenza intermedia e per l'offerta territoriale", è "difficilmente compatibile" con la contestuale presenza delle funzioni ospedaliera e, quindi, con il progetto originario di affidamento in regime di concessione della relativa gestione. 11.5. Dalla ricostruzione che precede discende quindi che è solo con la deliberazione n. 852/2021 che, sulla scorta della presupposta nota di A.Li.Sa., i nuovi indirizzi strategici regionali approdano alla individuazione dell'Ospedale S. Gi. di (omissis) quale sito idoneo a realizzare le nuove funzioni assistenziali atte a soddisfare le esigenze di cura della popolazione appartenente al relativo bacino di utenza e, nel contempo, alla presa d'atto del venir meno dell'interesse pubblico all'affidamento in concessione della relativa gestione sulla base della configurazione ospedaliera originaria: con la conseguenza che, fino a tale momento, la scelta difensiva di insistere per l'accoglimento dell'appello proposto dalla Regione Liguria avverso la sentenza n. 746/2022 deve considerarsi coerente con il parallelo evolvere del rapporto sostanziale, che non era culminato ancora nell'adozione di atti univocamente indicativi della sopravvenuta carenza dell'interesse della parte appellante alla riforma della statuizione appellata. 11.6. Quanto poi alla deduzione della parte appellante, intesa ad evidenziare che la Regione, nel corso del giudizio innanzi al T.A.R., ha affermato che "la scelta... di revocare la procedura di gara in questione... non (ricadeva) nell'ambito applicativo dell'art. 21-quinquies della L. n. 241/1990" e, conseguentemente, che "non (richiedeva) una comparazione tra l'interesse pubblico e l'interesse privato dei partecipanti alla gara", desumendone che la stessa Amministrazione resistente avrebbe ammesso di non aver disposto la revoca a seguito della valutazione di un superiore e sopravvenuto interesse pubblico, è sufficiente osservare che essa è smentita dal chiaro tenore testuale dei provvedimenti impugnati, che a quella disposizione - ed alla ratio del potere di revoca da essa contemplano - fanno riferimento. 12. Inidonei, infine, a dimostrare l'irragionevolezza del provvedimento impugnato, come correttamente rilevato dal T.A.R., sono i rilievi attorei intesi ad evidenziare che il menzionato "Programma Restart" contemplava anche il potenziamento delle funzioni assistenziali ospedaliere, come quella ortopedica, ed il ricorso a forme di partenariato pubblico - privato ai fini del loro svolgimento, dal momento che la scelta tra più obiettivi strategici, tutti ugualmente validi da un punto di vista astratto, non può che appartenere all'area del merito amministrativo, senza che la preferenza manifestata a favore di uno di essi, laddove non se ne deduca né dimostri l'inidoneità a realizzare efficacemente l'interesse pubblico perseguito in concreto, sia idonea a disvelare profili di illogicità della scelta compiuta. Quanto invece all'assunto secondo cui l'Ospedale di (omissis) non avrebbe avuto rilevanza strategica nel complessivo assetto sanitario ligure e che la prevista istituzione presso lo stesso del Pronto Soccorso aveva appunto la finalità di rivalutarlo, deve osservarsi che la deduzione, lungi dal dimostrarne l'illogicità, rafforza la scelta revocatoria (e quella presupposta di riconvertire il predetto nosocomio), atteso che proprio la sua non essenzialità come Ospedale ne giustificava la funzionalizzazione ad una nuova mission assistenziale, coerente con gli specifici bisogni di salute della popolazione di riferimento. Lo stesso dicasi per la deduzione di parte appellante secondo cui sarebbe illogica la scelta di privare il territorio interessato del presidio di Pronto Soccorso, impingendo nelle valutazioni di merito dell'Amministrazione in ordine alla scelta degli obiettivi assistenziali da privilegiare. 13. L'avvenuto esame dell'appello proposto dalla Società Po. di Mo. S.p.a., relativamente alla domanda di riforma della sentenza appellata nella parte in cui ha respinto quella di annullamento dei provvedimenti impugnati formulata con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (ed i successivi motivi aggiunti), può a questo punto cedere il passo, prima di analizzare le censure concernenti la domanda risarcitoria (con le quali si lamenta il carattere non pienamente satisfattivo della sentenza appellata, che pur l'ha parzialmente accolta), al concorrente appello proposto dalla Regione Liguria, in quanto rivolto a contestare lo stesso an della pretesa risarcitoria della suddetta società . 14. Con il primo motivo di appello, l'appellante Regione Liguria contesta la sentenza appellata nella parte in cui ha respinto l'eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio da essa formulata in primo grado - così come, di riflesso, quella di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse dei motivi aggiunti - sulla scorta della dedotta tardiva impugnazione, da parte della società ricorrente, della delibera n. 852 del 28 settembre 2021, con la quale la Giunta regionale, come si è visto, ha dato "mandato al Settore Stazione unica appaltante regionale di avviare il procedimento di revoca" della procedura di affidamento in regime di concessione della gestione dei presidi ospedalieri Ospedale S. Ma. della Mi. di (omissis) e Ospedale S. Gi. - (omissis) (Lotto 2), in ragione dei sopravvenuti motivi di pubblico interesse connessi alla conversione dell'Ospedale S. Gi. di (omissis) in un Centro per l'assistenza intermedia e per l'offerta territoriale. 14.1. Premesso che la suddetta eccezione è stata respinta dal T.A.R. sul rilievo che la deliberazione suindicata "costituisce un atto interno privo di effetti immediatamente lesivi, che si colloca in posizione speculare alla determina a contrarre e, segnatamente, alla D.G.R. n. 67 dell'8 febbraio 2018, con cui il medesimo organo regionale aveva conferito mandato ad A.Li.Sa. di trasmettere al Settore S.U.A.R. la documentazione necessaria all'avvio della gara", la Regione appellante deduce il carattere meramente esecutivo del decreto dirigenziale n. 8071 del 29 dicembre 2021 rispetto alla decisione della Giunta regionale (esternata con la delibera suindicata) di revocare la procedura di gara, quale contrarius actus rispetto alla decisione, assunta dalla medesima Giunta regionale (ed in concreto manifestata con le delibere n. 26 del 20 gennaio 2017, n. 1231 del 28 dicembre 2017 e n. 67 dell'8 febbraio 2018) di indire la gara medesima: carattere che costituirebbe il riflesso, secondo la prospettazione della parte appellante, del rapporto di natura organizzativa esistente tra la Regione e la S.U.A.R., che della prima costituirebbe una mera articolazione interna. 14.2. Il motivo è inammissibile. Deve infatti osservarsi che, sebbene abbia dichiarato l'ammissibilità dell'impugnazione avente ad oggetto i provvedimenti suindicati, respingendo le correlative eccezioni della Regione resistente, il giudice di primo grado ha statuito la reiezione della relativa domanda di annullamento: la domanda risarcitoria della parte ricorrente è stata infatti accolta - non quale conseguenza dell'annullamento dei menzionati provvedimenti revocatori, ma - relativamente ai danni conseguenti ai provvedimenti di aggiudicazione illegittimamente adottati (e per questo annullati con pregresse sentenze passate in giudicato) a favore della Is. Or. Ga. S.p.a.. Nessun concreto interesse può quindi predicarsi in capo alla parte appellante in ordine all'accoglimento delle suindicate eccezioni di inammissibilità (quanto al ricorso introduttivo del giudizio)/improcedibilità (quanto ai motivi aggiunti), essendo i provvedimenti impugnati (ed in particolare la delibera di Giunta regionale n. 852 del 28 settembre 2021, che la ricorrente avrebbe tardivamente impugnato secondo la prospettazione regionale) estranei alla serie causale che ha condotto alla produzione del danno di cui il T.A.R. ha riconosciuto il risarcimento a favore della ricorrente Società Po. di Mo. S.p.a. (avente appunto, nella ricostruzione della fattispecie risarcitoria operata dal giudice di primo grado e dalla quale questo ha fatto derivare l'appellata statuizione di condanna, il suo perno determinante nei precedenti provvedimenti di aggiudicazione della gara a favore dell'altra concorrente). 14.3. Il motivo, peraltro, è anche infondato. Deve invero osservarsi che, mediante la citata deliberazione n. 852/2021, la Giunta regionale, coerentemente con la funzione di indirizzo politico-amministrativo dell'organo, si è limitata a "formulare indirizzi affinché si provveda alla revoca della procedura di affidamento in regime di concessione della gestione dei suddetti presidi ospedalieri in ragione dei sopravvenuti motivi di pubblico interesse e del mutamento dei presupposti che avevano determinato l'esperimento della procedura di gara", disponendo, come si è visto, di "dare mandato al Settore Stazione unica appaltante regionale di avviare il procedimento di revoca". Quindi, pur non potendo condividersi l'assunto della parte resistente, secondo cui la delibera n. 852/2021 non sarebbe parte della sequenza procedimentale il cui approdo finale è rappresentato dal decreto dirigenziale n. 8071/2021, la Giunta regionale, con la delibera suindicata, non ha "prescritto" al Settore S.U.A.R. di provvedere alla revoca della procedura di affidamento, ma si è limitata, coerentemente con la sua posizione nel complessivo assetto organizzativo-istituzionale regionale e con la correlata natura delle sue funzioni, a dare impulso al relativo procedimento, solo all'esito del quale, anche alla luce del contraddittorio instaurato (sebbene di fatto, in ragione della contingente volontà non partecipativa delle concorrenti, non realizzatosi), è stata valutata (dal competente organo dirigenziale) la sussistenza dei presupposti, di segno squisitamente discrezionale, per procedere alla revoca. Sebbene, infatti, la delibera n. 852/2021 ponga in evidenza la necessità - alla luce del mutato quadro programmatorio regionale - di procedere alla revoca, è solo con il decreto dirigenziale suindicato che essa, sebbene richiamando le ragioni addotte con la delibera suindicata, è stata finalmente disposta, sulla scorta della rilevata necessità di adeguare le funzioni assistenziali svolte dal presidio di S. Gi. di (omissis) alle nuove esigenze di cura imposte dalla pandemia e dal programma di ripresa della ordinaria attività sanitaria (ritenuta implicitamente prevalente sull'interesse privato - facente capo ai due soggetti concorrenti all'affidamento della concessione ma ormai, per effetto della sentenza del Consiglio di Stato n. 6820 dell'11 ottobre 2021 e del definitivo accertamento, da questa recato, della insostenibilità dell'offerta economica della Is. Or. Ga. S.p.a., imputabile alla sola Po. di Mo. S.p.a. - all'aggiudicazione ed alla esecuzione della concessione). Ne consegue che il decreto dirigenziale n. 8071 del 29 dicembre 2021, lungi dall'atteggiarsi a conseguenza ineluttabile della deliberazione di G.R. n. 852/2021, costituisce lo sbocco affatto vincolato di un autonomo procedimento di autotutela gestito dalla competente S.U.A.R. (sebbene, come si è detto, esso abbia sostanzialmente mutuato, anche in conseguenza del mancato apporto procedimentale dei soggetti interessati, le motivazioni emergenti dalla delibera presupposta). 15. Con il successivo motivo di appello, la Regione appellante lamenta che il T.A.R. ha omesso di considerare che, nell'ipotesi in cui la stazione appaltante proceda legittimamente - come avvenuto nella specie, secondo la stessa sentenza appellata - alla revoca della procedura di gara, e non sussistano i presupposti previsti dall'art. 1337 c.c., il concorrente aggiudicatario ha diritto esclusivamente ad ottenere l'indennizzo previsto dall'art. 21-quinquies l. n. 241/1990: la revoca della procedura di gara, infatti, produce l'effetto di interrompere il nesso di causalità tra il provvedimento di aggiudicazione, ritenuto illegittimo dal giudice amministrativo, ed il danno derivante alla ricorrente in conseguenza della mancata aggiudicazione della gara medesima. Deduce inoltre la parte appellante che il giudice di prime cure non ha tenuto conto delle seguenti circostanze: a) nemmeno l'aggiudicataria Is. Or. Ga. S.p.a. ha mai effettivamente gestito gli Ospedali Sa. Ma. della Mi. di (omissis) e Sa. Gi. di (omissis), stante la prassi della stazione appaltante di non stipulare alcun contratto in pendenza di contenzioso; b) la stessa Is. Or. Ga. S.p.a. ha impugnato la sentenza del T.A.R. Liguria n. 371 del 13 giugno 2020, con la quale è stato annullato il Decreto dirigenziale n. 27 del 7 gennaio 2020, di talché il contenzioso si sarebbe protratto, comunque, fino all'ottobre 2021 (cfr. sentenza del Consiglio di Stato n. 6820 dell'11 ottobre 2021), ossia fino ad epoca successiva rispetto all'adozione dei provvedimenti di revoca; c) anche l'offerta della Società Po. di Mo. S.p.a. avrebbe dovuto essere sottoposta alla verifica di anomalia. Di conseguenza, conclude la parte appellante, non risulta né "praticamente certo", né "indubitabile" che la mancata aggiudicazione alla Società Po. di Mo. S.p.a. - nel febbraio 2019 ovvero nel gennaio 2020, come ipotizzato dal TAR - le abbia cagionato un danno. 15.1. Il motivo è meritevole di accoglimento. 15.2. Occorre premettere che il T.A.R., al fine di respingere la corrispondente allegazione difensiva regionale, e quindi escludere che l'atto di revoca costituisca "un fattore sopravvenuto idoneo ad interrompere il rapporto eziologico tra i provvedimenti viziati annullati dal T.A.R. e l'evento lesivo, consistito nell'omessa aggiudicazione della gara a Policlinico in un momento anteriore alla decisione regionale di mutare la configurazione dell'ospedale cairese per via della sopravvenuta situazione sanitaria", ha evidenziato che "è praticamente certo che, se l'Amministrazione non avesse illegittimamente aggiudicato - per ben due volte - la procedura alla controinteressata, Po. di Mo. s.p.a. sarebbe divenuta affidataria della concessione nel febbraio 2019 o, al massimo, nel gennaio 2020", altresì osservando, quanto alla (necessaria) correlazione causale tra fatto lesivo e danni-conseguenza, che, secondo il criterio della c.d. causalità adeguata, "nella specie è indubitabile che la mancata tempestiva aggiudicazione della concessione del servizio di gestione degli ospedali abbia precluso a Policlinico il conseguimento di un lucro. Se avesse ottenuto l'affidamento a tempo debito, infatti, anche nell'ipotesi di cessazione anticipata del rapporto concessorio (che la Regione avrebbe pur sempre potuto disporre per far fronte alla pandemia, ai sensi dell'art. 176, comma 4, del d.lgs. n. 50/2016), la ricorrente avrebbe comunque gestito i nosocomi almeno fino al dicembre 2021 e, per il periodo successivo, avrebbe ricevuto l'indennizzo di legge (perché la revoca avrebbe inciso su un contratto di concessione già siglato ed in corso di esecuzione)". 15.2. Ebbene, deve in primo luogo osservarsi che l'interesse giuridico della ricorrente che la sentenza appellata ha inteso tutelare sul piano risarcitorio, così come le conseguenze pregiudizievoli che il T.A.R., accertata l'ingiusta lesione da parte dell'Amministrazione di quell'interesse e l'impossibilità di soddisfacimento in forma specifica dello stesso, ha inteso ristorare è inquadrabile - ed è stato di fatto inquadrato dal T.A.R., come si è detto - come interesse, di matrice pretensiva, al conseguimento del bene della vita, rappresentato nella specie dalla concessione de qua, che l'Amministrazione, mediante i provvedimenti di aggiudicazione della stessa a favore della Is. Or. Ga. S.p.a., ha illegittimamente sacrificato. L'interesse in discorso, con i profili di danno che ne costituiscono il corredo sul piano risarcitorio, si inscrive quindi, nella summa divisio che gli interpreti sono soliti operare ai fini della ricostruzione del sistema risarcitorio coinvolgente la responsabilità della P.A., nella categoria dell'interesse legittimo pretensivo all'ottenimento dell'aggiudicazione e la lesione che esso tipicamente subisce è quella derivante dall'adozione da parte dell'Amministrazione di un illegittimo provvedimento di aggiudicazione a favore di terzi: ad esso fa da contraltare, per l'ipotesi in cui l'Amministrazione abbia invece ritenuto di non dare corso all'aggiudicazione e quindi determinare l'arresto del procedimento di gara, quello, foriero di riflessi risarcitori di segno "negativo", all'esercizio da parte della stessa del suo jus poenitendi conformemente ai canoni di buona fede e correttezza che devono ispirare lo svolgimento della relazione pre-contrattuale, anche quando si sviluppi entro l'alveo procedimentale governato dalle norme di azione. Alla diversità della posizione giuridica azionata - nell'un caso, come si è detto, classificabile come interesse legittimo al coretto esercizio da parte dell'Amministrazione del suo potere di selezione dell'impresa aggiudicataria, nell'altro caso, come diritto soggettivo del concorrente a non essere coinvolto in trattative inutili o dannose - si associa quella delle conseguenze pregiudizievoli suscettibili di risarcimento, comprensive nel primo della perdita, sub specie di mancato guadagno, dei vantaggi connessi al conseguimento dell'aggiudicazione e limitate nel secondo alle spese sostenute per partecipare alla gara ed alle occasioni di guadagno che la frustranea partecipazione ha impedito di cogliere. 15.3. Deve altresì rilevarsi che l'accertamento della posizione giuridica tutelabile spetta al giudice adito in sede risarcitoria, il quale la identifica sulla scorta delle allegazioni della parte ricorrente e dei fatti acquisiti in giudizio, in correlazione con le pertinenti coordinate giuridiche. Uno dei criteri cui il giudice deve attenersi, nel compimento di siffatta opera ricostruttiva, è quello della unitarietà della situazione giuridica tutelabile sul piano risarcitorio, quale si delinea sulla scorta ed a conclusione del complessivo sviluppo procedimentale concernente il medesimo episodio di gara: ciò anche tenuto conto che l'interesse concretamente leso costituisce il presupposto soggettivo della fattispecie risarcitoria, atto ad illuminare anche quello oggettivo dell'ingiustizia dell'evento dannoso, e che esso deve quindi costituire, nella sua attualità, oggetto di accertamento nell'ambito del giudizio risarcitorio. Da tale impostazione discende il ruolo centrale che l'esito dell'azione di annullamento riveste anche ai fini della definizione del giudizio risarcitorio e la sostanziale ancillarità di quest'ultimo rispetto alla prima: ciò non nel senso del carattere marginale e secondario del rimedio risarcitorio rispetto a quello costitutivo (assumendo essi la medesima dignità di concorrenti strumenti di difesa del cittadino nei confronti dei provvedimenti illegittimi della P.A.), ma dal punto di vista del necessario concorso dell'esito dell'azione di annullamento alla ricostruzione dei presupposti giuridici della fattispecie risarcitoria. Invero, al carattere autoritativo dell'azione amministrativa, nel senso proprio della sua idoneità a conformare le situazioni giuridiche dei cittadini (salvo, appunto, l'intervento correttivo del G.A. adito con azione di annullamento), consegue che, ai fini dell'accertamento dei presupposti della fattispecie risarcitoria, e quindi in primo luogo della situazione giuridica tutelabile con tale rimedio, non possa prescindersi dagli effetti costitutivi/modificativi/estintivi dei provvedimenti adottati: sì che, laddove, come nella specie, l'interesse giuridico pretensivo al conseguimento dell'aggiudicazione risulti paralizzato per effetto del provvedimento di autotutela che abbia vanificato lo stesso procedimento di gara e questo sia passato indenne al vaglio di legittimità del giudice amministrativo, esso non potrà più essere addotto a fondamento di una azione risarcitoria ai fini del ristoro dei danni conseguenti al suo mancato soddisfacimento in rerum natura. E' vero che le peculiari modalità di svolgimento del procedimento di gara possono dare luogo all'intersecarsi di fattispecie provvedimentali diverse e che, a seconda della prospettiva (anche temporale) adottata, in modo altrettanto diverso si atteggino le situazioni giuridiche di cui le imprese concorrenti sono titolari e gli strumenti di tutela di cui le stesse possono avvalersi: così, con riferimento alla vicenda in esame, non può negarsi che l'interesse giuridico della Po. di Mo. S.p.a. si configuri, nel tratto procedimentale antecedente all'adozione del provvedimento di revoca della gara, come "positivamente" rivolto al conseguimento dell'aggiudicazione. Tuttavia, se ciò può valere sul piano squisitamente descrittivo, laddove l'attenzione dell'interprete si sposti sul piano ricostruttivo dei profili risarcitori della vicenda, è necessario fare affidamento sul criterio unificante della situazione giuridica soggettiva tutelabile ai suddetti fini, il quale impone, come si è detto, di avere riguardo alla conformazione finale che essa abbia ricevuto per effetto dei plurimi e consecutivi provvedimenti dell'Amministrazione, così come si staglia sul proscenio giurisdizionale. Invero, solo lo smarrimento di tale criterio può indurre ad attribuire soverchio risalto ai danni-conseguenza, a discapito del preliminare accertamento del danno-evento, il quale funge da parametro selettivo delle conseguenze pregiudizievoli meritevoli di tutela risarcitoria, secondo il binomio in precedenza delineato. 15.4. Con riferimento alla fattispecie in esame, quindi, solo in chiave fittiziamente retrospettiva potrebbe sostenersi che la Società Po. di Mo. S.p.a. è titolare - e fa quindi valere in giudizio in chiave risarcitoria - dell'interesse al conseguimento dell'aggiudicazione, con i vantaggi che ad essa si connettono (ed i riflessi risarcitori conseguenti alla definitiva perdita degli stessi), mentre, avendo riguardo alla vicenda complessiva così come si presenta all'osservazione del giudicante, quell'interesse è ormai fossilizzato dal sopravvenuto (e definitivo) provvedimento di revoca, che ha fatto sorgere, sulle ceneri dello stesso, l'interesse al rispetto da parte della P.A. delle regole di correttezza che essa deve osservare in contrahendo (le quali, tuttavia, non hanno rilievo nel presente grado di giudizio, non avendo la Po. di Mo. S.p.a. impugnato la sentenza n. 746/2022 nella parte in cui ha respinto la domanda di risarcimento da responsabilità pre-contrattuale dalla stessa proposta). Risulta pertanto condivisibile - pur nella sinteticità della formula - la critica che la Regione Liguria ha mosso alla sentenza appellata, imputandole di non aver considerato l'effetto interruttivo del nesso causale tra gli illegittimi provvedimenti di aggiudicazione ed i danni (positivi) lamentati, conseguente al provvedimento di revoca degli atti di gara da essa adottato: è infatti evidente che, nella accennata prospettiva unitaria in cui deve essere collocata la vicenda complessiva ai fini della emersione della fattispecie risarcitoria, la perdita dei guadagni connessi all'aggiudicazione della concessione da parte della Po. di Mo. S.p.a. non è derivata, se non, appunto, in un'ottica parziale di carattere storicizzato ed inattuale, dai provvedimenti di aggiudicazione adottati a favore della Is. Or. Ga. S.p.a., ma dalla revoca degli atti di gara successivamente disposta dalla Regione Liguria, la quale ha determinato il travolgimento della situazione giuridica pretensiva al conseguimento dell'aggiudicazione e, con essa, dei danni-conseguenza (da mancato guadagno) ad essa riconducibili. 16. L'accoglimento del suindicato motivo dell'appello proposto dalla Regione Liguria consente di prescindere dagli altri dalla stessa formulati: sia di quelli intesi a contestare, sotto diversi profili, la fondatezza della domanda risarcitoria, sia, a fortiori, di quelli inerenti al quantum del danno liquidato dal T.A.R.. 17. Allo stesso modo, divengono improcedibili i motivi dell'appello proposti dalla Po. di Mo. S.p.a., essenzialmente diretti alla contestazione del quantum liquidato ed al riconoscimento di voci di danno (come quella curriculare ed all'immagine), il cui ristoro potrebbe avvenire esclusivamente nell'ottica della tutela dell'interesse (positivo) all'aggiudicazione della gara. 18. La peculiare complessità, oltre ai tratti originali, della controversia giustificano la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sugli appelli n. 9357/2022 e n. 9900/2022, previa riunione degli stessi, accoglie il primo, respinge il secondo e per l'effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, respinge integralmente il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Pierfrancesco Ungari - Consigliere Paolo Carpentieri - Consigliere Ezio Fedullo - Consigliere, Estensore Antonio Massimo Marra - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10243 del 2018, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Mo. Bu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Signori Lu. Ma., Pa. Ca., rappresentati e difesi dall'avvocato Fr. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Signora Ma. Ma., non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 645/2018, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori Lu. Ma. e Pa. Ca.; Visto l'appello incidentale della signora Pa. Ca.; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 14 aprile 2023 il Cons. Raffaello Sestini, nessuno presente per le parti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - La sentenza impugnata ha accolto in parte il ricorso proposto dagli attuali appellati, nonché appellanti incidentali, per l'annullamento del diniego di condono edilizio in relazione al manufatto sito nel Comune di (omissis), in Via (omissis). 2 - In particolare il TAR ha annullato gli atti impugnati disponendo l'obbligo a carico dell'amministrazione comunale di procedere al riesame del procedimento, stante la qualifica dei ricorrenti quale legittima parte istante. 3 - Il Comune di (omissis) ha proposto appello articolando le seguenti censure in diritto: "I) Invalidità della sentenza appellata per contraddittorietà, travisamento, irragionevolezza e difetto di motivazione. II) Erroneità della gravata sentenza per travisamento dei presupposti in fatto e in diritto e per difetto di motivazione". 4 - Gli originari ricorrenti si sono costituiti in giudizio per resistere al gravame proponendo appello incidentale avverso la sentenza di primo grado nella parte in cui ha respinto il primo motivo di ricorso e chiedendo, pertanto, la conferma della sentenza di accoglimento con diversa motivazione. 5 - In data 3 marzo 2023 è stata peraltro depositata dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse sottoscritta dai difensori di entrambe le parti in giudizio, con la quale è stata dedotta l'intervenuta composizione stragiudiziale della controversia in esame. 6 - Le parti hanno, dunque, chiesto dichiararsi l'improcedibilità dei ricorsi in appello principale ed incidentale per sopravvenuta carenza di interesse, con contestuale richiesta di compensazione delle spese. 7 - Ciò premesso, il Collegio non può che prendere atto della suddetta dichiarazione. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile. Compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Sergio Zeuli - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 152 del 2022, proposto dai signori -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Gi. St., Gi. Br., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro l’Azienda Ospedaliera Universitaria Ospedali Riuniti di Foggia, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti delle signore -OMISSIS-, non costituite in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti, per l'annullamento, previo accoglimento dell'istanza cautelare, - del bando concorso pubblico per titoli ed esami per 137 posti di Operatore socio sanitario (OSS) - CTG. B – LIV. ECON. BS. Riapertura termini e indizione con modifiche del bando di concorso unico regionale, pubblicato sul BURP della Regione Puglia n. 131 del 11.10.2018; - di ogni altro atto presupposto, attuativo ed integrativo connesso e consequenziale dell'impugnato provvedimento, ancorché non conosciuto, Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Ospedali Riuniti di Foggia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2023 il Cons. Antonella De Miro e uditi per le parti gli avvocati come da verbale di udienza; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.Con il bando di concorso pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n. 144 del 21 dicembre 2017, ed in attuazione della deliberazione del direttore generale n. 608 del 13 dicembre 2017, l’Azienda Ospedaliero – Universitaria ‘Ospedali Riuniti’ di Foggia indiceva il concorso per l’assunzione di n. 137 posti di lavoro per Operatori Socio Sanitari. I posti a concorso venivano successivamente portati a n. 2445 per coprire l’intero fabbisogno regionale, con riapertura dei termini e altre modifiche. Gli odierni appellanti sono dipendenti delle società in house -OMISSIS- e -OMISSIS- che hanno conseguito il titolo di Operatore Socio Sanitario (OSS) dopo aver frequentato con profitto i corsi di riqualificazione professionale, indetti dalla Regione Puglia con la determina dirigenziale del Servizio di formazione professionale -OMISSIS-, in approvazione dell’avviso -OMISSIS-, concludendo il tirocinio di 400 ore nel -OMISSIS-. Il bando di selezione per la partecipazione al concorso subiva una duplice modifica: dapprima, nella sua formulazione originaria, escludeva di fatto dalla partecipazione al concorso coloro i quali avessero una formazione pratica corrispondente ad un tirocinio inferiore alle mille ore; poi, con una successiva modifica, tale requisito era eliminato - permettendo quindi la partecipazione al concorso degli odierni appellanti che avevano concluso un percorso formativo pratico di quattrocento ore – pur rimanendo invariato l’art. 2) della lex specialis, che prevedeva una riserva di posto in favore dei dipendenti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere del territorio pugliese. A parità, quindi, di percorso formativo, i dipendenti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere erano preferiti nella redazione della graduatoria. Con ricorso principale proposto innanzi al Tar Puglia - Bari, gli odierni appellanti impugnavano il bando di concorso summenzionato e, con motivi aggiunti, la determina dirigenziale n.1962 del 17.6.2020, avente ad oggetto "determina dirigenziale n.1961 del 16 giugno 2020 avente ad oggetto: Concorso pubblico regionale per titoli ed esami per la copertura di n. 2445 posti di operatore Socio Sanitario. Recepimento atti della commissione Esaminatrice e presa d'atto della relativa graduatoria di merito; riforma e conseguenti determinazioni a seguito delle certificazioni prodotte dai candidati. Annullamento e Riadozione" lamentando violazione di legge per non aver l’amministrazione tenuto conto della necessità di inserire, nella platea dei beneficiari delle riserve a parità di punteggio, i dipendenti delle società in house nonché l’esclusione fra i titoli utili al punteggio la prestazione lavorativa presso le medesime società. Dopo la proposizione dei motivi aggiunti - in sede di ricorso principale, i ricorrenti avevano rinunciato all’istanza cautelare in quanto erano state eliminate le prove preselettive - il Tar Puglia, respingeva l’appello cautelare per carenza di fumus, motivando la decisione su un pacifico indirizzo giurisprudenziale secondo cui “si è esclusa l’assimilazione tra servizio prestato presso società in house ed enti pubblici”. Avverso tale pronuncia proponevano appello cautelare gli odierni appellanti e il Consiglio di Stato, con ordinanza -OMISSIS- del 25 gennaio 2021, ordinava la sollecita definizione del ricorso nel merito, ritenendo: “che l’appello appare assistito da fumus boni iuris in relazione alla mancata valutazione tra i titoli di servizio, secondo quanto previsto dal bando e dalla tabella allegata, del lavoro prestato dai ricorrenti nel profilo professionale di operatore socio sanitario (o qualifica corrispondente –cat. Bs- o nel profilo della categoria inferiore) alle dipendenze delle società in house costituite dalla ASL Taranto e dalla ASL Brindisi, in quanto servizio equiparabile sostanzialmente, secondo il criterio di ragionevolezza, nonché per i principi di buon andamento e imparzialità dell’Amministrazione, a quello prestato “presso Aziende Sanitarie Locali - Aziende Ospedaliere - Pubbliche amministrazioni - Enti ex artt. N. 09590/2020 REG.RIC. 21/22 del DPR 220/2001, con contratto a tempo determinato o indeterminato”, stante la qualificazione di tale personale e la riconducibilità delle società “in house” all’organizzazione pubblica, in virtù del “controllo analogo” che l’Amministrazione svolge sulle stesse e della circostanza che le società esplicano la propria attività principale a favore degli enti partecipanti, tanto più che il bando impugnato ha ammesso la valutazione del servizio prestato alle dipendenze di Case di cura convenzionate/accreditate; Ritenuto, sotto il profilo del danno grave e irreparabile, che le ragioni dei ricorrenti, attualmente occupati, possano trovare adeguata tutela attraverso la trattazione nel merito della causa dinnanzi al TAR in tempi brevissimi, ai sensi dell’art. 55, comma 10, cod. proc. amm.”. Il Tar Puglia, in sede di merito, respingeva il ricorso in ragione delle caratteristiche del reclutamento dei dipendenti delle società in house, tutti assunti, nelle fattispecie esaminate, mediante la c.d. clausola sociale, senza aver superato una selezione pubblica. Secondo il Giudice di prime cure l’art. 2 del bando di concorso censurato sarebbe legittimo e, di conseguenza, l’esclusione dalla riserva ragionevole, in quanto i dipendenti delle società in house non avevano la qualifica di operatore socio sanitario al momento dell’assunzione e l’avrebbero conseguita successivamente, nell’ambito di successioni nei contratti di appalto. Secondo il TAR Puglia, infatti: “All’orientamento già seguito la Sezione intende dare continuità, non emergendo ragioni per discostarsene, a fronte della pressocchè totale sovrapponibilità delle vicende di fatto inerenti il reclutamento degli odierni ricorrenti, per i quali, con allegazione rimasta incontestata, l’Azienda ha chiarito che tutti sono passati -OMISSIS-, senza soluzione di continuità, dalle dipendenze di società (-OMISSIS- e -OMISSIS-) affidatarie di servizi di ausiliarato, a quelle di -OMISSIS-, a seguito dell’internalizzazione del relativo servizio da parte dell’Amministrazione Sanitaria (memoria conclusionale del -OMISSIS- dell’Azienda resistente, pagg. 7 e ss). I ricorrenti, pertanto, erano dipendenti di cooperative e società affidatarie del servizio di pulizia ed ausiliarato e sono transitati alle dipendenze delle società in house, senza aver superato alcuna selezione o concorso pubblico”. Avverso la sentenza di primo grado sono insorti i ricorrenti, con appello notificato il 14 dicembre 2021 e depositato in data 10 gennaio 2022, con cui sono state riprodotte le censure non accolte in primo grado in chiave critica rispetto alla sentenza impugnata. L’Azienda Ospedaliera intimata si è costituita in data 2 febbraio 2022. Alla pubblica udienza del 9 febbraio 2023, dopo uno scambio di memorie tra le parti, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO La questione all’attenzione del Collegio attiene all’assimilazione, ai fini della riserva di posti a concorso ovvero della valutazione di titoli di preferenza, dei dipendenti della Pubblica Amministrazione – in questo caso aziende sanitarie locali e ospedaliere – con i dipendenti delle società in house che in quell’amministrazione ovvero per quell’amministrazione prestano servizio. Con due motivi di appello gli odierni appellanti censurano la violazione di legge, erronea interpretazione dell’art. 16 d.lgs. n.175/16, violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, per avere il Giudice di prime cure ritenuto legittima la mancata inclusione nel novero delle riserve di legge, dei dipendenti delle società in house in ragione della profonda diversità delle modalità di reclutamento di questi ultimi rispetto ai dipendenti di soggetti pubblici; gli appellanti si dolgono altresì dell’omessa pronuncia in quanto avrebbe “integralmente omesso di considerare il secondo motivo di ricorso (e la conseguente deduzione di illegittimità dei provvedimenti impugnati) sollevato dai ricorrenti con l’impugnazione giurisdizionale, ove si è rappresentata l’assoluta violazione di legge e dei principi di imparzialità e buon andamento della P.A. in ordine al profilo della omessa equiparazione dei titoli di servizio dei dipendenti delle società in house rispetto a quelli maturati dai dipendenti delle PP.AA. e degli enti privati di cui agli articoli 4, commi 12 e 13, e 15-undecies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 50”. Preliminarmente occorre richiamare il quadro normativo. L’ in house providing è una formula di derivazione comunitaria, teorizzata per la prima volta nella sentenza CGUE 18 novembre 1999, nella causa C-107/1198, nota comunemente come sentenza “Teckal”. In questo arresto giurisprudenziale, il giudice sovrannazionale ha fissato due punti: da un lato, l’obbligo di procedere ad aggiudicare un servizio tramite gara ad evidenza pubblica trova eccezione nei casi in cui non sussista una distinzione soggettiva tra l’amministrazione aggiudicatrice e il prestatore di servizio; dall’altro, secondo il principio della neutralità della forma giuridica, quest’ultima non è rilevante ai fini dell’attività; ciò che è dirimente è il regime giuridico cui i vari soggetti sono sottoposti. Nella sentenza richiamata, sono stati individuati i due elementi che determinato il costituirsi dell’ in house: l’ente affidante deve esercitare sul soggetto gestore un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e l’ente gestore deve svolgere la maggior parte della propria attività nei confronti dell’ente o degli enti che lo controllano. Dopo una evoluzione giurisprudenziale sia di diritto interno che di diritto comunitario sui due requisiti, il legislatore italiano ha compiutamente disciplinato l’istituto ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 16 d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 e art. 5 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50. Ai sensi dell’art. 16 d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175: 1. Le società in house ricevono affidamenti diretti di contratti pubblici dalle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo o da ciascuna delle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo congiunto solo se non vi sia partecipazione di capitali privati, ad eccezione di quella prescritta da norme di legge e che avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l'esercizio di un'influenza determinante sulla società controllata. 2. Ai fini della realizzazione dell'assetto organizzativo di cui al comma 1: a) gli statuti delle società per azioni possono contenere clausole in deroga delle disposizioni dell'articolo 2380-bis e dell'articolo 2409-novies del codice civile; b) gli statuti delle società a responsabilità limitata possono prevedere l'attribuzione all'ente o agli enti pubblici soci di particolari diritti, ai sensi dell'articolo 2468, terzo comma, del codice civile; c) in ogni caso, i requisiti del controllo analogo possono essere acquisiti anche mediante la conclusione di appositi patti parasociali; tali patti possono avere durata superiore a cinque anni, in deroga all'articolo 2341-bis, primo comma, del codice civile. 3. Gli statuti delle società di cui al presente articolo devono prevedere che oltre l'ottanta per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall'ente pubblico o dagli enti pubblici soci (...). 3-bis. La produzione ulteriore rispetto al limite di fatturato di cui al comma 3, che può essere rivolta anche a finalità diverse, è consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società.) 4. Il mancato rispetto del limite quantitativo di cui al comma 3 costituisce grave irregolarità ai sensi dell'articolo 2409 del codice civile e dell'articolo 15 del presente decreto” (…). Ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50: 1. Una concessione o un appalto pubblico, nei settori ordinari o speciali, aggiudicati da un'amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato, non rientra nell'ambito di applicazione del presente codice quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; b) oltre l'80 per cento delle attività della persona giuridica controllata è effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall'amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall'amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore di cui trattasi; c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati (le quali non comportano controllo o potere di veto) previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata. 2. Un' amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore esercita su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi del comma 1, lettera a), qualora essa eserciti un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall'amministrazione aggiudicatrice o dall'ente aggiudicatore. La giurisprudenza amministrativa – richiamata anche da parte appellante nelle memorie - ha avuto modo di precisare che “La società in house non può qualificarsi come un'entità posta al di fuori dell'Ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione interna: essa, infatti, rappresenta un'eccezione rispetto alla regola generale dell'affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica, giustificata dal diritto comunitario con il rilievo che la sussistenza delle relative condizioni legittimanti esclude che l' in house contract configuri, nella sostanza, un rapporto contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante ed affidatario, perché quest'ultimo è, in realtà, solo la longa manus del primo; talché l'Ente in house non può ritenersi terzo rispetto all'Amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'Amministrazione stessa e ciò non cambia ove si ritenga che, in linea con la più recente normativa europea e nazionale, il ricorso all'in house providing si atteggi in termini di equiordinazione - e non più di eccezionalità - rispetto alle altre forme di affidamento.” (così, Consiglio di Stato, Sezione Terza, sentenza 27 agosto 2021, n. 6062; Adunanza Plenaria, 3 marzo 2008, n. 1). Da questo quadro normativo e giurisprudenziale emerge che la società in house è una “longa manus” dell’Amministrazione, dovendo, per conseguenza, rispettare, nell’ambito della sua attività, i principi che informano l’agere amministrativo. La vicenda in esame trae origine dal processo di internalizzazione di un operatore economico privato come società in house. La società subentrante ha mantenuto il personale impiegato per effetto della cosiddetta “clausola sociale”: il personale già contrattualizzato nell’impresa permane in servizio seppure con un diverso datore di lavoro. Per quanto attiene allo specifico profilo del reclutamento del personale – qui oggetto di controversia - il Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica sopra richiamato ha avvicinato il più possibile, pur considerando le differenze sostanziali, il regime previsto per le società in house a quello delle pubbliche amministrazioni in senso stretto. L’art. 19 d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 prevede che: 1. Salvo quanto previsto dal presente decreto, ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a controllo pubblico si applicano le disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile, delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi. 2. Le società a controllo pubblico stabiliscono, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all'articolo 35, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. In caso di mancata adozione dei suddetti provvedimenti, trova diretta applicazione il suddetto articolo 35, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001.” (…) Il riferimento al comma 3 dell’articolo 35 del d.lgs. n. 165/2001 comporta che i principi cui si conformano le procedure di reclutamento nella pubblica amministrazione – pubblicità, imparzialità, economicità, decentramento delle procedure selettive, celerità, adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, rispetto delle pari opportunità di genere, professionalità ed indipendenza delle Commissioni esaminatrici – sono applicabili, rectius, sono obbligatori per le società in house. Della particolare questione dell’utilizzabilità delle clausole sociali e della conseguente compatibilità con le procedure di reclutamento di personale previste per il pubblico impiego in senso stretto ha avuto modo di esprimersi anche la giustizia contabile (cfr. Corte dei Conti Liguria, sentenza n. 14/2019 e Corte dei Conti Lombardia, sentenza n. 184/2017). Alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale summenzionato, deve rilevarsi che la compatibilità della clausola sociale con le procedure di reclutamento di personale previste per le società in house, non può risolversi nella previsione di un canale preferenziale per i lavoratori che non hanno superato una selezione pubblica. Tale conclusione si pone in linea di continuità con la recente giurisprudenza costituzionale, sentenza 2 dicembre 2021, n. 227 che, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost., dell’art. 2, comma 40, della legge reg. Sardegna n. 3 del 2009 e dell’art. 1, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 47 del 2018, nella versione vigente precedentemente alla sostituzione operata dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 34 del 2020, limitatamente alla parte in cui stabilisce «e svolge le corrispondenti funzioni mediante l’attuazione dell’articolo 2, comma 40, della legge regionale 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale), nei limiti di spesa previsti dalla medesima norma», ha precisato che: “Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, «la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del concorso pubblico deve essere delimitata in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali esse stesse al buon andamento dell’amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle» (sentenza n. 40 del 2018 e n. 110 del 2017; nello stesso senso, sentenze n. 7 del 2015 e n. 134 del 2014) e, comunque, sempre che siano previsti «adeguati accorgimenti per assicurare [...] che il personale assunto abbia la professionalità necessaria allo svolgimento dell’incarico» (sentenza n. 225 del 2010). Infatti, secondo la stessa sentenza, «la necessità del concorso per le assunzioni a tempo indeterminato discende non solo dal rispetto del principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., ma anche dalla necessità di consentire a tutti i cittadini l’accesso alle funzioni pubbliche, in base all’art. 51 Cost.». Già in passato questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del mancato ricorso a una tale «forma generale ed ordinaria di reclutamento per le amministrazioni pubbliche» (sentenza n. 40 del 2018), in relazione a norme regionali di generale e automatico reinquadramento del personale di enti di diritto privato (come le società a partecipazione regionale) nei ruoli delle Regioni, senza il previo espletamento di alcuna procedura selettiva di tipo concorsuale (ex multis, sentenza n. 225 del 2010). Un simile trasferimento automatico finirebbe, infatti, per risolversi in un privilegio indebito per i soggetti beneficiari di una procedura come quella descritta, in violazione dell’art. 97 Cost. e, di conseguenza, degli artt. 3 e 51 Cost. (ex multis, sentenze n. 227 del 2013 e n. 62 del 2012). Anche nel caso di trasferimento di funzioni da soggetti privati ad enti pubblici, come nel caso in esame, deve ritenersi che «l’automatico trasferimento dei lavoratori presuppone un passaggio di status – da dipendenti privati a dipendenti pubblici (ancorché in regime di lavoro privatizzato) – che […] non può avvenire in assenza di una prova concorsuale aperta al pubblico» (sentenza n. 167 del 2013). Se ne deve concludere che il generale ed automatico transito del personale di un ente di diritto privato nell’organico di un soggetto pubblico regionale non possa essere realizzato senza il previo espletamento di una procedura selettiva non riservata, ma aperta al pubblico, in quanto, altrimenti, si avrebbe una palese ed ingiustificata deroga al principio del concorso pubblico, al quale debbono conformarsi come più volte affermato da questa Corte – le procedure di assunzione del personale delle pubbliche amministrazioni (ex multis, sentenza n. 190 del 2005)”. Diversamente affermando, si correrebbe il rischio di determinare una discriminazione al contrario nei confronti di coloro i quali sono stati assunti a seguito di una selezione bandita secondo i criteri di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione. La scelta di prevedere titoli di preferenza in favore di dipendenti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere risulta, a parere del Collegio, in linea con il canone di proporzionalità a cui deve conformarsi l’azione amministrativa. Per quanto attiene al secondo motivo di ricorso, relativo all’omessa pronuncia da parte del Tar, preliminarmente, lo stesso è infondato, in quanto, seppur non specificato puntualmente nell’iter motivazionale della sentenza impugnata, il profilo censurato dagli appellanti è da ritenersi esaminato dal Giudice di prime cure, essendo assorbito dalle considerazioni poste alla base della decisione sul primo motivo di ricorso. Gli appellanti lamentano invero l’omessa pronuncia per “l’assoluta violazione di legge e dei principi di imparzialità e buon andamento della P.A. in ordine al profilo della 17 omessa equiparazione dei titoli di servizio dei dipendenti delle società in house rispetto quelli maturati dai dipendenti delle PP.AA. e degli enti privati di cui agli articoli 4, commi 12 e 13, e 15-undecies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502”. Ad ogni buon conto, il secondo motivo del ricorso in primo grado è comunque da ritenersi infondato perché le valutazioni espresse riguardo alla compatibilità dell’esclusione del personale dipendente delle società in house per le riserve sono conferenti anche alla questione dei titoli. Tutto quanto premesso l’appello va respinto. La complessità della controversia, anche nella prospettiva della corretta ricostruzione della situazione di fatto, integra le ragioni che per legge giustificano la compensazione tra le parti delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 9 febbraio 2023, 20 aprile 2023, 6 giugno 2023, con l'intervento dei magistrati: Michele Corradino, Presidente Pierfrancesco Ungari, Consigliere Stefania Santoleri, Consigliere Giovanni Pescatore, Consigliere Antonella De Miro, Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2641 del 2017, proposto da -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della -OMISSIS- s.r.l., rappresentato e difeso dagli avvocati Lo. Sp., Pa. Lu. e Cr. De. -OMISSIS-, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e con domicilio fisico eletto presso lo studio dell'avvocato Cr. De. -OMISSIS- in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Um. Pi., Ch. Fi. e An. Gi., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e con domicilio fisico eletto presso lo studio dell'avvocato An. Gi. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione Seconda, n. -OMISSIS- del 23 novembre 2016. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del sig. -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 30 marzo 2023 il Cons.-OMISSIS- Caponigro, e uditi per le parti gli avvocati Lo. Sp. e Um. Pi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il sig. -OMISSIS-, come ricostruito in fatto nella sentenza di primo grado, è proprietario di un'area situata nel territorio del Comune di (omissis) (Sondrio), identificata catastalmente al foglio (omissis), mappali (omissis), su cui insiste una strada che collega l'abitazione del sig. -OMISSIS- (identificata catastalmente al mappale (omissis)) alla pubblica via e che, nel tratto finale, occupa, in larghezza, anche il mappale (omissis), di proprietà del sig. -OMISSIS-. Il Comune di (omissis), con provvedimento in data 3 agosto 2015, rilevato che la suddetta strada è stata realizzata in assenza di titolo edilizio, ha ordinato al sig. -OMISSIS- la rimozione delle opere abusive e la rimessione in pristino e, successivamente, con provvedimento del 12 dicembre 2015, dopo aver constatato che dal verbale di sopralluogo del 16 novembre 2015 risultava la mancata esecuzione della suindicata ordinanza, ha avvisato dell'acquisizione gratuita dell'area di sedime della strada al proprio patrimonio. Il provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale è stato impugnato dal sig. -OMISSIS- dinanzi al Tar per la Lombardia, che, con la sentenza della Seconda Sezione n. -OMISSIS- del 23 novembre 2016, ha in parte dichiarato inammissibile ed in parte ha accolto il ricorso, nei limiti e nei sensi di cui in motivazione. Il signor -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della -OMISSIS- s.r.l., ha interposto il presente appello, articolando i seguenti motivi: Misconoscimento di elementi di fatto. Errore su un punto decisivo della controversia. Travisamento, carenza di istruttorio. Omessa motivazione della sentenza appellata. Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. L'abuso edilizio non potrebbe essere derubricato nella sola asfaltatura della strada avvenuta nei primi anni duemila, consistendo invece nell'opera edilizia stradale, realizzata nel 1993, avente proprie caratteristiche dimensionali, edilizie e funzionali, che prima della sua realizzazione non esistevano. Al di là dell'insanabile tardività che lo ha caratterizzato, il tipo di intervento eseguito dal signor -OMISSIS- non costituirebbe adempimento all'ordinanza di demolizione, ma unicamente rimozione dello strato superficiale della strada realizzata, cioè il solo fondo in asfalto, lasciando per contro in sito l'opera infrastrutturale in tutta la sua consistenza. Il Tar, trascurando se la tipologia dell'intervento potesse essere compatibile con l'identificazione dell'abuso siccome oggetto dell'ordine di demolizione, si sarebbe limitato a derubricare l'eccezione come "basata su un giudizio prognostico la cui attendibilità non può essere apprezzata a priori", laddove la valutazione del tipo di intervento eseguito non integrerebbe un giudizio prognostico, ma una semplice constatazione di elementi di fatto pacifici; il Tar avrebbe dovuto rilevare dalla documentazione in atti e senza alcun giudizio prognostico che la tipologia dei lavori non era in sé idonea a ripristinare lo stato dei luoghi precedente la costruzione della strada e, quindi, non poteva costituire adempimento all'ordinanza di demolizione, con conseguente effetto traslativo alla mano pubblica ex art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001. Travisamento dei presupposti di fatto e perplessità della motivazione su un punto decisivo della decisione. Erroneità della qualifica dell'ingiunto quale proprietario incolpevole non detentore, anziché quale autore dell'abuso e detentore dell'opera. Il signor -OMISSIS-, proprietario del vigneto sub mappale (omissis) ha ivi edificato la propria abitazione nel 1993 e, per collegarla alla pubblica via, realizzò, o comunque concorse a realizzare, la strada in discorso; il signor -OMISSIS- avrebbe riconosciuto poi che, nei primi anni duemila, ha eseguito l'asfaltatura della strada e che l'ha sempre utilizzata sino alla ricezione dei provvedimenti inibitori comunali impugnati al Tar, per cui sarebbe l'autore dell'abuso, anche solo in concorso con il padre, precedente proprietario del mappale edificato, ed in ogni caso ha completato l'opera stradale asfaltandola ed è stato sempre detentore ed utilizzatore del bene abuso-strada. In sostanza, l'interessato non potrebbe essere considerato proprietario incolpevole dell'opera. Il principio applicato in sentenza, che impedisce il trasferimento alla mano pubblica del bene dopo il decorso del termine assegnato nell'ordinanza di demolizione, non potrebbe trovare applicazione a favore dell'autore dell'abuso né di chi ha utilizzato il bene nella consapevolezza della sua irregolarità edilizia-urbanistica. Travisamento dei presupposti di fatto, difetto di ponderazione e perplessità della motivazione nell'imputare la mancata esecuzione dei lavori in termini a causa impeditiva oggettiva anziché a fatto imputabile al committente. Il privato ingiunto, pur avendo novanta giorni a disposizione dalla notifica dell'ordinanza repressiva, avrebbe scelto di programmare i lavori solo il penultimo giorno utile e tale scelta lo avrebbe esposto al rischio, prevedibile secondo l'ordinaria diligenza, di non riuscire ad adempiere all'obbligo di ripristino nel termine assegnato. L'unico dato pacifico sarebbe che è stata l'impresa a rifiutare di eseguire i lavori, sicché il principio della responsabilità per i fatti dei propri ausiliari imporrebbe di giungere a conclusione opposta a quella affermata dal Tar. ricadendo la decisione dell'appaltatore di non eseguire i lavori sul committente -OMISSIS-. Violazione dell'art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001. Violazione del principio di stretta legalità . Manifesta perplessità per omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia. Violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Contraddittorietà con principio giurisprudenziale affermato dalla stessa Sezione del Tar. Se anche al ricorrente fosse stato materialmente impedito di eseguire i lavori nel termine perentorio assegnato dall'Amministrazione, lo stesso comunque non avrebbe rappresentato la circostanza all'Amministrazione al fine di chiedere, prima della sua scadenza, una proroga del termine di legge per l'ottemperanza, né è stato rilasciato dall'Amministrazione alcun provvedimento di proroga. Il Comune di (omissis) non si è costituito in giudizio. Il signor -OMISSIS-, in rito ha eccepito l'inammissibilità dell'appello sia in quanto proposto da -OMISSIS- sia in quanto proposto dal signor -OMISSIS-; nel merito, la parte appellata ha analiticamente controdedotto concludendo per il rigetto dell'appello. Le parti hanno depositato altre memorie a sostegno delle rispettive ragioni. All'udienza pubblica del 30 marzo 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione. 2. L'appello proposto dal signor -OMISSIS-, in proprio e quale legale rappresentante della -OMISSIS- s.r.l., è inammissibile per difetto delle condizioni soggettive dell'azione. 3. Il Comune di (omissis) (Provincia di Sondrio), con l'ordinanza n. 10 del 3 agosto 2015, ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, ha ingiunto al signor -OMISSIS- la rimozione delle opere abusive (strada) descritte in premessa ed il ripristino dello stato dei luoghi precedente l'esecuzione delle opere abusive, realizzate sull'area censita catastalmente al foglio (omissis) mappali (omissis) in località -OMISSIS- in Comune di (omissis), entro 90 giorni dalla notifica dell'ordinanza. Con successivo provvedimento del 12 dicembre 2015, l'Amministrazione comunale - visto il verbale di sopralluogo da parte del responsabile dell'Area tecnica del Comune di (omissis) redatto in data 16 novembre 2015, dal quale risulta che non è stato provveduto alla demolizione della predetta opera abusiva ed al ripristino dello stato dei luoghi - ha accertato la mancata ottemperanza all'ingiunzione a demolire nel termine indicato ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 ed ha avvisato che, ai sensi e per gli effetti dell'art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, tale accertamento costituisce titolo per l'immissione nel possesso e per la trascrizione gratuita nei registri immobiliari dell'area occupata dalla sede stradale in asfalto su parte dell'area censita catastalmente in Comune di (omissis) al foglio (omissis), mappali (omissis) (per circa mq 27) e (omissis) (per circa mq 26) in località -OMISSIS- di (omissis). Il Tar per la Lombardia, Seconda Sezione, con la sentenza n. -OMISSIS- del 23 novembre 2016, ha in parte dichiarato inammissibile ed in parte ha accolto il ricorso proposto dal signor -OMISSIS- avverso tale ultimo atto, con la seguente motivazione. "28. Con il secondo motivo, il ricorrente sostiene che l'inottemperanza all'ordine di rimessione in pristino sarebbe dovuta alla condotta fortemente ostruzionistica posta in essere dal controinteressato, la quale avrebbe integrato una vera e propria causa impeditiva oggettiva. Per questa ragione, secondo la parte, il Comune non avrebbe potuto adottare la misura dell'acquisizione al proprio patrimonio dell'area di sedime della strada. 29. Ritiene il Collegio che il motivo sia fondato per le ragioni di seguite esposte. 30. In base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, l'acquisizione al patrimonio comunale non può essere disposta, nonostante l'accertata inottemperanza all'ordine di demolizione emesso per reprimere un abuso edilizio, qualora sia dimostrato che il proprietario, non autore dell'abuso, si sia attivato per dare esecuzione all'ordine stesso, ma non abbia potuto adempiere in ragione dell'impedimento opposto dal detentore del bene; e ciò sempreché il primo dimostri pure di essersi attivato nei confronti di quest'ultimo affinché anche questi esegua l'ordine impartito (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 15 aprile 2015, n. 1927; T.A.R. Liguria, sez. I, 30 marzo 2016, n. 304; T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 20 aprile 2015, n. 873). 30. Questo orientamento trova fondamento nella sentenza della Corte Costituzionale n. 345 del 15 luglio 1991, nella quale si è affermato un principio generale secondo cui l'acquisizione al patrimonio indisponibile del comune dell'area di sedime ha natura di vera e propria sanzione autonoma che non può colpire il proprietario che incolpevolmente non abbia potuto dare esecuzione dell'ordine di demolizione dell'immobile abusivamente realizzato sulla sua area. 31. Ritiene il Collegio che questi principi possano essere applicati nel caso concreto non essendo contestati i seguenti fatti: a) il ricorrente con nota del 15 ottobre 2015 ha comunicato all'Amministrazione l'intenzione di voler eseguire, con riferimento alle aree di sua proprietà, l'ordine di rimessione in pristino emesso in data 3 agosto 2015; b) con nota del 27 ottobre 2015, lo stesso ricorrente ha comunicato che i lavori sarebbero stati eseguiti il successivo 2 novembre 2015; c) in data 2 novembre 2015, i lavori non hanno potuto avere inizio, nonostante l'effettiva presenza sul cantiere dell'impresa all'uopo incaricata dal ricorrente, in ragione dell'opposizione manifestata dal controinteressato il quale, paventando la lesione di propri affermati diritti sull'area interessata dai lavori stessi, ha fatto intervenire in loco la forza pubblica. 32. Ritiene il Collegio che, in tale contesto, non possa essere mosso alcun rimprovero al ricorrente per il mancato adempimento, entro il termine di legge (anche se scadente il giorno successivo), dell'ordine ad egli impartito. 33. L'assenza di colpa del ricorrente è dimostrata anche dal fatto che, una volta venuta meno (o, perlomeno, una volta vinta) la resistenza del controinteressato, egli ha effettivamente dato corso ai lavori smantellando il manto stradale; e dal fatto che la successiva interruzione dei lavori stessi non è ascrivibile alla sua volontà ma dipende dall'ordine in tal senso impartito dal Comune. 34. In questo quadro, ritiene il Collegio che l'atto di acquisizione dell'area di sedime della strada (nella parte insistente sui mappali di proprietà del ricorrente) sia illegittimo. 35. Va dunque ribadita la fondatezza del motivo in esame. 36. Con l'ultimo motivo, la parte, deducendo l'invalidità derivata, contesta l'ordine di rimozione delle protezioni di cantiere. 37. Essendo, come visto, illegittimo l'atto di acquisizione gratuita al patrimonio comunale, ed basandosi l'atto di cui si discute proprio sulla ritenuta avvenuta acquisizione dell'aera di sedime della strada al patrimonio comunale, anche questo motivo deve essere accolto. 38. In conclusione, per le ragioni illustrate, il ricorso va dichiarato in parte inammissibile ed in parte va accolto e, per l'effetto, l'atto del 12 dicembre 2015 (con cui è stato accertato l'inadempimento all'ordine di rimessione in pristino ed è stata acquisita al patrimonio del Comune l'area di sedime) e l'atto dell'11 gennaio 2011 (con cui è stata ordinata la rimozione delle protezioni di cantiere) devono essere annullati". 4. Le condizioni soggettive dell'azione, sia per quanto attiene la legittimazione ad appellare sia per quanto attiene all'interesse al ricorso in appello, non sussistono. Il signor -OMISSIS- ha proposto il presente appello, sia in proprio che quale legale rappresentante della -OMISSIS-, ma, in nessuna delle due qualità, è titolare di una pozione giuridica tutelabile e di un interesse immediato e diretto derivante dall'accoglimento dell'impugnativa, vale a dire dalla reiezione del ricorso proposto in primo grado dal signor -OMISSIS- e dalla conseguente efficacia del provvedimento che ha accertato l'inottemperanza di quest'ultimo all'ordine di demolizione ed ha disposto l'acquisizione gratuita dell'area di sedime al patrimonio del Comune di (omissis). Infatti, l'interesse del signor-OMISSIS- e della Società di cui è legale rappresentante può essere colto nel fatto che, al fine di utilizzare l'area in discorso per l'accesso al proprio fondo, ritiene preferibile che l'area stessa divenisse di proprietà comunale e non fosse più in proprietà del signor -OMISSIS-. Il perseguimento di tale interesse, tuttavia, come ben posto in rilievo dalla parte appellata, si rivela del tutto eventuale, futuro ed incerto, in quanto l'utilizzo dell'area, una volta divenuta comunale, come accesso al fondo costituirebbe una mera aspettativa, priva di un attuale ancoraggio. Di talché, l'interesse ad ottenere che l'area in discorso, di proprietà del signor -OMISSIS-, diventi di proprietà comunale, a fronte della condotta processuale del Comune che non ha impugnato il capo di sentenza direttamente lesivo del pubblico interesse all'acquisizione, allo stato, può definirsi di tipo emulativo e, in quanto tale, non è idoneo a fondare una posizione giuridica meritevole di tutela in sede giurisdizionale. Di qui, l'inammissibilità del presente ricorso in appello. 5. Nel merito, l'appello si presenta comunque inammissibile ed infondato anche per altre distinte ragioni. 5.1 La parte ha prospettato che il tipo di intervento eseguito dal signor -OMISSIS- non costituirebbe in ogni caso adempimento dell'ordinanza di demolizione, atteso che l'abuso edilizio non potrebbe essere derubricato nella sola asfaltatura della strada avvenuta nei primi anni duemila, consistendo invece nell'opera edilizia stradale, realizzata nel 1993, avente proprie caratteristiche dimensionali, edilizie e funzionali. La doglianza è inammissibile per carenza di interesse. Sono gli atti successivi a quelli impugnati ad essere ancora fonte di contenzioso. Infatti, con un primo atto in data 2 dicembre 2016, il Comune di (omissis) ha attestato che il signor -OMISSIS- ha ottemperato all'ordinanza di demolizione n. 10/2015 del 3 agosto 2015. Successivamente, in data 23 marzo 2017, anche in questo caso antecedentemente al deposito del ricorso in appello proposto dal signor-OMISSIS- - vista la nota del 10 dicembre 2016 con cui quest'ultimo, in proprio e quale rappresentante di -OMISSIS- s.r.l., ha chiesto di accertare in via di autotutela che le opere realizzate dal signor -OMISSIS- in data 1° dicembre 2016 non rappresentano demolizione della strada insistente sul mappale (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis) del foglio (omissis) del Comune siccome oggetto dell'ordinanza n. 10/2015 e, quindi, che non vi è stata ottemperanza al ripristino dello stato dei luoghi ed il signor -OMISSIS- è definitivamente inadempiente rispetto all'ordine di ripristino ingiuntogli - ha concluso "che lo stato dei luoghi alla data odierna ricalca la condizione (in parte esistente da tempo immemore ed in parte creatasi a seguito di regolari autorizzazioni rilasciate dal Comune di (omissis)) degli stessi prima della realizzazione (non autorizzata) dello strato di asfalto e quindi si conferma l'ottemperanza da parte del signor -OMISSIS--OMISSIS- all'ordine di ripristino ingiuntogli con l'ordinanza n. 10/2015". Tali provvedimenti, che disciplinano oggi il rapporto nella parte in contestazione con il motivo di appello in esame, sono stati impugnati dal signor-OMISSIS- con ricorso R.G. n. 301 del 2017 pendente dinanzi al Tar per la Lombardia, mentre non costituiscono oggetto del presente giudizio. Sarà in quel giudizio eventualmente accertato se l'obiettiva modalità dell'esecuzione mediante la rimozione dell'asfaltatura sia idonea a rispristinare lo stato dei luoghi. Una cosa è certa: si tratta di vicende successive al contenzioso in esame. 5.2. Quanto ai restanti motivi di appello va rilevato che l'art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, prevede, quale conseguenza della mancata ottemperanza all'ordine di demolizione, un'automatica fattispecie acquisitiva al patrimonio del comune dell'opera abusiva e della relativa area di sedime. Infatti i suoi commi 3 e 4 così dispongono: "3. Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita. 4. L'accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al comma 3, previa notifica all'interessato, costituisce titolo per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente". Come affermato dalla Corte Costituzionale con riferimento all'omologa previsione contenuta nell'art. 15, comma 3, della l. 28 gennaio 1977, n. 10, "l'acquisizione, a titolo gratuito, dell'area sulla quale insiste la costruzione abusiva al patrimonio indisponibile del comune rappresenta la reazione dell'ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi, dapprima, esegue un'opera in totale difformità od in assenza della concessione e, poi, non adempie l'obbligo di demolire l'opera stessa" (Corte cost., ordinanza n. 82 del 15 febbraio 1991)". L'acquisizione gratuita dell'area, quindi, non è una misura strumentale, per consentire al comune di eseguire la demolizione, né una sanzione accessoria di questa, ma costituisce una sanzione autonoma che consegue all'inottemperanza all'ingiunzione. Di talché, trattandosi di una sanzione autonoma, la stessa non può conseguire, non configurandosi la fattispecie illecita dell'inottemperanza, laddove il destinatario dell'ordine di demolizione, ancorché eventualmente responsabile dell'abuso, non abbia provveduto nei termini al ripristino dello stato dei luoghi, pur prestando la dovuta diligenza volta all'adempimento, per cause indipendenti dalla sua volontà . Pertanto, la prospettazione di parte secondo cui il principio applicato in sentenza, che impedisce il trasferimento alla mano pubblica del bene dopo il decorso del termine assegnato nell'ordinanza di demolizione, non potrebbe mai trovare applicazione a favore dell'autore dell'abuso né di chi ha utilizzato il bene nella consapevolezza della sua irregolarità edilizia-urbanistica, non può essere condivisa quando vi sia stata la dimostrazione di una concreta volontà volta all'adempimento e, parimenti, la dimostrazione di un'oggettiva impossibilità ad eseguire l'ordine di demolizione e ripristino nel termine perentorio di legge, c.d. factum principis. 5.3. Né la circostanza che il destinatario dell'ordine di demolizione abbia scelto di programmare i lavori solo il penultimo giorno utile non assume rilievo atteso che i lavori stessi in quel pur breve arco temporale avrebbero potuto utilmente essere eseguiti. Le circostanze di fatto riassunte nella sentenza di primo grado, che hanno determinato l'impossibilità oggettiva, o comunque un'estrema difficoltà in concreto coincidente con l'impossibilità, di eseguire l'ordine demolitorio nel termine perentorio di novanta giorni per causa non imputabile al signor -OMISSIS- emergono dagli atti di causa e consistono nelle vicende inerenti al contenzioso fra le parti private che continua a dispetto della circostanza dell'assenza in questo giudizio dell'amministrazione. In proposito, è sufficiente richiamare la dichiarazione resa dal signor -OMISSIS--OMISSIS-, fratello dell'appellante, prodotta in primo grado, che riassume i fatti accaduti il lunedì 2 novembre 2015, evidenziando che sul posto era presente l'impresario che, ricevuta dal signor -OMISSIS- una copia cartacea dell'atto di significazione e diffida per l'inizio dei lavori, non ha avviato i lavori per non assumersi responsabilità in relazione al contenzioso sulla strada di cui era venuto in quello stesso giorno a conoscenza. In sostanza, la volontà del destinatario dell'ordine demolitorio di eseguire l'ingiunzione emerge con significativa evidenza dagli atti di causa, né, per lo svolgimento e la concatenazione dei fatti, può ritenersi che la decisione dell'appaltatore di non eseguire i lavori avrebbe dovuto ricadere sul committente -OMISSIS-. 5.4. Con riferimento all'ultima doglianza, secondo cui l'appellante ha evidenziato che, se anche al ricorrente fosse stato materialmente impedito di eseguire i lavori nel termine perentorio assegnato dall'Amministrazione, lo stesso comunque non avrebbe rappresentato la circostanza all'Amministrazione al fine di chiedere, prima della sua scadenza, una proroga del termine di legge per ottemperanza, né sarebbe stato rilasciato dall'Amministrazione alcun provvedimento di proroga, è sufficiente rilevare che, in data 3 novembre 2015, il legale del signor -OMISSIS- ha rappresentato all'Ufficio tecnico comunale che "i lavori di ripristino dello stato dei luoghi... non hanno potuto avere inizio a causa dell'indisponibilità manifestata in limine dalla ditta incaricata (e dovuta al comportamento ostile posto in essere dal sig.-OMISSIS-)" ed ha confermato la "ferma intenzione del mio assistito di dar seguito alle prescrizioni contenute nell'ordinanza n. 10/2015", comunicando l'incarico fornito ad altra ditta. 6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, sono poste a carico dell'appellante ed a favore del sig. -OMISSIS-. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, dichiara inammissibile l'appello in epigrafe (R.G. n. 2641 del 2017). Condanna l'appellante al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, a favore del sig. -OMISSIS-. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i soggetti privati, persone fisiche o giuridiche, citati nella presente sentenza. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2023, con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Montedoro - Presidente Alessandro Maggio - Consigliere Roberto Caponigro - Consigliere, Estensore Lorenzo Cordà - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3420 del 2021, proposto da MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via (...); contro GI. MA., rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Tu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 174 del 2021; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor GI. MA.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 maggio 2023 il Cons. Dario Simeoli; Nessuno è comparso per le parti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.? I fatti principali, utili ai fini del decidere, possono essere così sintetizzati: - il dottor GI. MA., in servizio presso la stazione elicotteri di (omissis) in La Spezia, presentava domanda di partecipazione al concorso per la scuola di specializzazione universitaria area medica, non in quota di riserva; - venuto a conoscenza, a seguito della pubblicazione della graduatoria, di essere risultato vincitore di una borsa di studio statale presso la Scuola di specializzazione in medicina d'emergenza d'urgenza presso l'Università degli Studi di Parma (con inizio dei corsi in data 26 gennaio 2021), presentava istanza di congedo straordinario senza assegni, ai sensi dell'art. 1506, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 66 del 2010; - sennonché, in data 29 gennaio 2021, gli veniva notificato provvedimento definitivo di rigetto che l'istante provvedeva a impugnare con il ricorso oggetto del presente giudizio; - a fondamento della domanda di annullamento, il ricorrente deduceva: i) la violazione dell'art. 1506 del d.lgs. n. 66 del 2010; ii) la violazione degli articoli 1 e 3 della legge n. 241 del 1990, in relazione agli articoli 97 e 3 della costituzione, nonché il vizio di eccesso di potere anche in relazione alla circolare PERSOMIL del 15 novembre 2012; iii) il difetto di congrua e valida motivazione. 2.? Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, con sentenza n. 174 del 2021, ha accolto il ricorso e, per l'effetto, ha annullato il provvedimento impugnato, con condanna alle spese dell'amministrazione resistente. In particolare, il giudice di prime cure ? premesso che "(...) effettivamente l'art. 1506 comma 1 lettera d) d.lgs. 66/90 si riferisce alle scuole di specializzazione diverse da quelle mediche che, attesa la loro specialità, rispetto al genus delle scuole di specializzazione non sono regolate dalla l. 398/89 ma dal diverso compendio normativo di cui al d.lgs. 368/99 ad esse specificamente dedicato" ? ha affermato che l'art. 40, comma 2, del d.lgs. n. 368 del 1999, stante il suo tenore letterale e in assenza di un espressa previsione di incompatibilità, deve ritenersi applicabile anche al personale appartenente alle forze armate, non ostandovi il disposto dell'art. 757 del d.lgs. n. 66 del 2010 (il cui comma 3, nella parte in cui esclude l'applicazione dell'art. 40, comma 2, d.lgs. n. 368 del 1999, si riferirebbe esclusivamente al personale militare che usufruisce di una riserva di posti complessivamente non superiore al 5 per cento per le esigenze di formazione specialistica della sanità militare). 3.? Avverso la sentenza di primo grado ha proposto appello il Ministero della Difesa, contestando: a) la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, avendo il giudice di prime cure applicato una disposizione ? l'art. 40, comma 2, del d.lgs. n. 368 del 1999 ? mai invocata dal ricorrente; b) l'erroneità della interpretazione restrittiva dell'articolo 757, comma 3, del d.lgs. n. 66 del 2010; c) la non consentita applicazione analogica al personale militare dell'art. 40, comma 2, del d.lgs. n. 368 del 1999, riferito al solo pubblico impiego privatizzato. 4.? Si è costituito il signor GI. MA., chiedendo che l'appello principale venga respinto perché infondato, nonché proponendo appello incidentale avverso il capo della sentenza di primo grado che ha respinto il primo motivo incentrato sulla violazione dell'articolo 1506 del d.lgs. n. 66 del 2010. 5.? Con ordinanza n. 2494 dell'11 maggio 2021, la Sezione ? "(c)onsiderato che l'appellato ha già frequentato alcuni mesi della scuola di specializzazione e che, in mancanza di specifiche allegazioni da parte del Ministero appellante circa il danno grave ed irreparabile derivante dalla esecuzione della sentenza appellata, allo stato, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, appare prevalente l'interesse alla prosecuzione della frequenza della scuola di specializzazione, nelle more della trattazione del merito del giudizio" ? ha respinto l'istanza di sospensione della esecutività della sentenza appellata. 6.? All'odierna udienza del 30 maggio 2023, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione. 7.? In via pregiudiziale, osserva il Collegio che, in data 16 maggio 2023, l'appellato ha depositato il decreto con cui l'Amministrazione militare ha disposto che il "Tenente di vascello del ruolo normale del corpo sanitario militare marittimo GI. MA. (...) cessa dal servizio permanente, a domanda, a decorrere dal 30/03/2023 e, sotto la stessa data, è collocato nel corrispondente ruolo degli Ufficiali di complemento della Marina Militare, ai sensi dell'articolo 933, comma 6 del Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66". Il predetto deposito, tuttavia, non è stato accompagnato da alcuna dichiarazione di rinuncia (al ricorso di primo grado) o di sopravvenuta carenza di interesse, in assenza della quale l'appello va quindi deciso nel merito. 8.? L'appello principale del Ministero della Difesa deve essere accolto. Il Collegio non ritiene di doversi discostare dall'orientamento giurisprudenziale sinora seguito dalla Sezione (confermato da ultimo dalle sentenze n. 1536 del 2023, n. 4540 del 2023, n. 4541 del 2023, n. 4542 del 2023, oltre che dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, con sentenza 6 ottobre 2022, n. 1009) in giudizi analoghi. 8.1.? Le richiamate decisioni escludono la possibilità di un'interpretazione restrittiva dell'art. 757, comma 3, del d.lgs. n. 66 del 2010, recante il codice dell'ordinamento militare, che ne delimiti l'ambito di operatività ai soli ufficiali medici che accedono alle scuole di specializzazione con la riserva di posti prevista ai sensi del comma 1 del medesimo articolo. Al contrario, la norma va intesa in termini necessariamente ampi, ovverosia applicabile a tutto il personale in formazione specialistica appartenente ai ruoli della sanità militare, per i quali non trova pertanto applicazione, giusta l'esplicita indicazione ivi contenuta, l'art. 40, comma 2, del d.lgs. n. 368 del 1999, concernente la possibilità di usufruire dell'aspettativa senza assegni. I su richiamati precedenti hanno precisato che, con la riforma della formazione dei medici specialisti, attuata con il d.lgs. n. 368 del 1999, è divenuto inapplicabile ai medici specializzandi (anche non militari) l'articolo 6, comma 7, della legge n. 398 del 1989, giacché l'art. 46 (rubricato "Disposizioni finali"), comma 3, del d.lgs. n. 368 del 1999 ha disposto l'abrogazione tra l'altro del "decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257", il cui art. 5, comma 2, prevedeva che "lo specializzando, ove sussista un rapporto di pubblico impiego, fatta eccezione per i dipendenti di cui all'art. 2, comma 5, è collocato in posizione di congedo straordinario ai sensi dell'art. 6 della legge 30 novembre 1989, n. 398". Il medesimo art. 46 ha previsto la graduale applicazione della nuova disciplina, individuando l'anno accademico 2006-2007 quale spartiacque temporale che segna l'avvio della riforma, a partire da cui si applicano "gli articoli da 37 a 42", tra i quali pertanto l'art. 40, comma 2, che così statuisce: "Il medico in formazione specialistica, ove sussista un rapporto di pubblico impiego, è collocato, compatibilmente con le esigenze di servizio, in posizione di aspettativa senza assegni, secondo le disposizioni legislative contrattuali vigenti". Tale norma non è applicabile ai medici militari per effetto della deroga espressa originariamente stabilita dall'articolo 42 del d.lgs. n. 368 del 1999, poi trasfuso nell'articolo 757, comma 3, del d.lgs. n. 66 del 2010. 8.2.? In sintesi, va quindi rilevato che la disciplina invocata dall'appellato, che troverebbe fondamento nell'art. 1506 del d.lgs. n. 66 del 2010, non è suscettibile di applicazione nei confronti dei medici militari per i quali vige una disciplina speciale che preclude, sulla base di una precisa opzione del legislatore, il collocamento in posizione di aspettativa senza assegni previsto per i medici specializzandi. Siffatta possibilità non riaffiora per effetto dell'applicazione dell'art. 6, comma 7, della legge n. 398 del 1989, essendo a sua volta preclusa dall'abrogazione del d.lgs. n. 257 del 1991 (il cui art. 5 prevedeva il congedo straordinario di cui all'art. 6 della legge n. 398/1989) a opera dell'art. 46, comma 2, del d.lgs. n. 368 del 1999. Infine, a sua volta l'art. 757, comma 3, del codice dell'ordinamento militare non è suscettibile di interpretazione restrittiva, riferendosi testualmente "a tutto il personale in formazione specialistica appartenente ai ruoli della sanità militare", senza alcuna distinzione a seconda delle modalità di accesso alle scuole di specializzazione. Da un lato, dunque il medesimo d.lgs. n. 368 del 1999 ha previsto, all'art. 40, comma 2, la fruibilità dell'aspettativa senza assegni, con una norma che tuttavia non trova applicazione per i medici militari (art. 757, comma 3, del codice dell'ordinamento militare); dall'altro il congedo straordinario di cui all'art. 6, comma 7, della legge n. 398 del 1989, seppure letteralmente ancora richiamato dall'art. 1506, comma 1, lettera d), del codice dell'ordinamento militare, non può più a sua volta trovare applicazione in quanto, con specifico riferimento a questa categoria, la norma è venuta meno, essendo stata abrogata, come poc'anzi detto, la disposizione speciale dell'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 257 del 1991, che la consentiva. 8.3.? A fronte di detta disciplina non può assumere rilievo neppure la richiamata circolare M_D GMIL II5 1 0416819, datata 15 novembre 2012, peraltro relativa alla (differente) fattispecie dei dottorati di ricerca. Rilevano anche le considerazioni dei richiamati precedenti di questa Sezione inerenti alle esigenze di semplificazione normativa sottese alla stesura dell'art. 757 del codice dell'ordinamento militare in cui sono confluite le autonome disposizioni del d.lgs. n. 368 del 1999 e segnatamente l'art. 35 nel comma 1 e l'art. 42 nel comma 3, cosicché la ricaduta applicativa di tale già precedentemente vigente disciplina non può subire, peraltro rilevanti, variazioni, per la sola diversa collocazione topografica della stessa. Non vi è pertanto alcuna ragione tangibile che giustifichi un diverso trattamento tra chi abbia fatto o meno accesso alle scuole di specializzazione mediante la riserva di posti di cui al comma 1 dell'art. 757, comma 1, del codice dell'ordinamento militare, la cui formulazione non ha conseguentemente alcuna incidenza sulla latitudine applicativa della deroga sancita dal comma 3 del medesimo articolo. La ratio sottesa a tale generalizzata preclusione si fonda sul fatto che, a decorrere dall'anno accademico 2006-2007, i medici specializzandi sono chiamati a stipulare un contratto di formazione specialistica, in luogo della borsa di studio prevista in precedenza, con attribuzione di un vero e proprio trattamento economico annuo omnicomprensivo, che andrebbe a minare il principio di esclusività che connota il rapporto di lavoro pubblico in ambito militare. Se dunque è innegabile che le prestazioni svolte dai medici specializzandi, in quanto finalizzate al loro accrescimento formativo, non vanno a vantaggio dell'università, ma dell'amministrazione di appartenenza (cfr. Corte Cassazione, sez. lavoro, ordinanza 8 settembre 2020, n. 18667), che in tale logica continua a farsene carico in una percentuale sostenibile e predeterminata, lo è altrettanto nei casi dove lo specializzando, in virtù del nuovo ordinamento delle scuole di specializzazione di cui al d.lgs. n. 368 del 1999, beneficia di un trattamento economico ben più elevato con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa ed una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti ministeriali, con obbligo di versamento dei contributi previdenziali previa iscrizione alla gestione separata dell'INPS, prevista dall'art. 1, comma 300, della legge finanziaria per il 2006. L'art. 40, comma 1, del d.lgs. n. 368 del 1999 stabilisce peraltro che "l'impegno richiesto per la formazione specialistica è pari a quello previsto per il personale medico del Servizio sanitario nazionale a tempo pieno, assicurando la facoltà dell'esercizio della libera professione intramuraria", che si risolve in un preciso numero di ore lavorative settimanali nonché in un onere gravoso ed assorbente che mal si concilia con le caratteristiche del servizio esclusivo reso in favore dell'amministrazione militare. Inoltre l'art. 1506 del d.lgs. n. 66 del 2010, nell'economia complessiva del codice dell'ordinamento militare, ha natura soltanto residuale (come traspare dall'uso della formula "oltre a quanto già previsto dal presente codice") e comunque dalla sua formulazione non si evince alcuna volontà di apportare una deroga all'art. 40, comma 2, del decreto legislativo n. 368/1999. 8.4.? Le richiamate pronunce di questa Sezione hanno altresì escluso la sussistenza di alcuna violazione dei principi costituzionali di cui agli articoli 3, 33 e 34 della Costituzione, in quanto le disposizioni di legge sopra esaminate non impediscono infatti l'accesso ai corsi delle scuole di specializzazione mediche, ma si limitano a regolamentarne la possibilità di frequenza con riferimento all'impatto sul rapporto di lavoro con l'amministrazione militare e non privano in alcun modo, neanche di fatto, il dipendente dei mezzi economici di sostentamento in quanto durante la frequenza dei corsi stessi è ormai previsto un effettivo trattamento economico. 9.? In definitiva, alla luce degli argomenti sopra svolti, l'appello principale deve essere accolto, mentre l'appello incidentale va respinto. Per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado deve essere respinto. 10.? Le spese di lite del doppio grado di giudizio ? tenuto conto della peculiarità della fattispecie e dei precedenti giurisprudenziali non univoci dei tribunali amministrativi regionali ? vanno compensate interamente tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando: - accoglie l'appello principale e respinge l'appello incidentale; - per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado; - compensa interamente tra le parti le spese di lite del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Oberdan Forlenza - Presidente Dario Simeoli - Consigliere, Estensore Carmelina Addesso - Consigliere Giancarlo Carmelo Pezzuto - Consigliere Ugo De Carlo - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4757 del 2017, proposto da Società Im. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Cr. Ba., El. Va. Za., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Fr. Pa. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Or., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Do. Ia. in Roma, corso (...); nei confronti Regione Toscana, Provincia di Lucca, non costituite in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Prima n. 1727/2016; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 aprile 2023 il consigliere Paolo Marotta e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale; Viste le conclusioni delle parti presenti o considerate tali ai sensi di legge; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso in appello, ritualmente notificato e depositato in giudizio, l'odierna appellante ha impugnato la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, Sez. I, ha respinto il ricorso di primo grado, avente ad oggetto la domanda di annullamento (in parte qua) del nuovo Regolamento urbanistico del Comune di (omissis), approvato con la deliberazione consiliare del 14 luglio 2014 n. 31 (pubblicata sul B.U.R.T. n. 33 del 20 agosto 2014) e, in particolare, dell'art. 40 del predetto Regolamento nonché, ove occorra, della delibera consiliare di adozione del Regolamento urbanistico del 21 febbraio 2013 n. 8. 1.1. In punto di fatto, la società appellante premette di essere proprietaria di un complesso immobiliare denominato "Pe. Vi. Pr.", sito in (omissis) - loc. (omissis), Viale (omissis) (censito al NCEU di Lucca al Foglio (omissis), mappali (omissis)), composto da un edificio principale e da una serie di volumetrie annesse; l'intera proprietà è classificata come "struttura ricettiva" sia nel nuovo Regolamento urbanistico che nel previgente Piano comunale delle strutture turistico - ricettive, ed è tuttora assoggettato a vincolo di destinazione alberghiera, nonostante la pensione sia ormai chiusa e in disuso da diversi anni. Secondo la prospettazione della società appellante l'esercizio di attività alberghiera nella predetta struttura avrebbe perso nel tempo la sua convenienza economica, anche in ragione della sua ridotta capacità ricettiva (solo 15 camere); si tratterebbe di una struttura alberghiera inadeguata agli standard richiesti dalla normativa attualmente vigente in materia di strutture ricettive e comunque priva di una superficie fondiaria sufficiente ad un intervento di adeguamento, difettando dei parametri urbanistici minimi per parcheggi, zone verde a corredo e altri servizi analoghi. Oltre a ciò, un eventuale investimento di riqualificazione immobiliare e impiantistica dell'esercizio alberghiero sarebbe economicamente insostenibile per la società e difficilmente remunerabile anche tramite una locazione della struttura a terzi. La società appellante vorrebbe dunque ottenere lo svincolo della destinazione alberghiera del complesso immobiliare, per poi procedere ad una ristrutturazione edilizia dello stesso e alla sua utilizzazione per usi residenziali. 1.2. La società evidenzia che, con deliberazione consiliare del 21 febbraio 2013 n. 8, il Comune di (omissis), nell'adottare il nuovo Regolamento urbanistico, ha sottoposto il cambio di destinazione d'uso degli alberghi ad una serie di condizioni; in particolare l'art. 40, comma 4, delle n. t.a. del R.u. adottato, ha previsto quanto segue: "È consentito il mutamento della destinazione d'uso per quelle strutture che soddisfino contemporaneamente le seguenti condizioni: 1. la superficie utile lorda alla data di adozione del presente RU non superi i 600 mq ammettendo una tolleranza del 5%; 2. la superficie territoriale del lotto di pertinenza non superi i 1000 mq ammettendo una tolleranza del 5%. Per tali strutture è ammesso il mutamento nelle seguenti destinazioni d'uso in: - Residenziale di dimensione minima per unità immobiliare di mq 130 di Sul; - Commerciale per negozi di vicinato e direzionale; Per il mutamento della destinazione d'uso è necessario garantire: - il reperimento di standards urbanistici per spazi pubblici e aree previste dal D.M. 1444/1968 e dell'art 106 del Piano Strutturale (24 mq per abitante), da misurarsi sulla base degli abitanti insediabili; - il reperimento dei parcheggi previsti dalla legge 122/89; - il reperimento degli spazi a parcheggio, aggiuntivi e/o integrativi di quelli ai punti precedenti, previsti da specifiche discipline di settore nel caso di destinazione d'uso non residenziale". 1.3. In sede procedimentale, la Società Im. s.p.a. ha formulato una serie di osservazioni, che sono state tuttavia disattese dal Comune di (omissis), in sede di approvazione definitiva del Regolamento urbanistico, con la conseguenza che l'art. 40 del predetto Regolamento è stato approvato dall'organo consiliare nella sua formulazione originaria. 1.4. La Società Im. s.p.a. ha quindi proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, contestando la legittimità degli atti impugnati (sopra richiamati) con tre articolati motivi. 1.5. Con la sentenza n. 1727/2016, il T.a.r. per la Toscana ha respinto il ricorso, condannando la parte ricorrente al pagamento in favore del Comune di (omissis) delle spese di giudizio, liquidate in Euro 4.000,00, oltre accessori di legge. 1.6. Tanto premesso, la società appellante ha censurato la sentenza impugnata sotto diversi profili, che nel prosieguo del presente provvedimento saranno oggetto di specifica disamina. 2. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), eccependo, in via preliminare, l'inammissibilità del ricorso in appello, per la mancata impugnazione da parte della odierna appellante dell'atto di rigetto dell'osservazione n. 8/2017 e della deliberazione consiliare 63/2017, di approvazione della Variante normativa del Regolamento urbanistico del Comune di (omissis); l'annullamento degli atti impugnati con il ricorso in esame non sarebbe idoneo ad incidere sulla disciplina urbanistica sopravvenuta, di cui alla deliberazione consiliare n. 63/2017 (rimasta inoppugnata). 2.1. Nel merito, l'amministrazione comunale ha richiamato la sentenza di questa Sezione n. 1317/2023, con cui è stato respinto un ricorso di ana tenore, avente ad oggetto la domanda di annullamento dei medesimi atti. 3. Con memoria di replica depositata in data 15 marzo 2023, la società appellante ha contestato l'eccezione di inammissibilità, sollevata dalla amministrazione appellata, sostenendo che: - la nuova disciplina urbanistica non recherebbe alcuna sostituzione della disciplina precedentemente vigente, ma sarebbe meramente confermativa delle disposizioni di cui all'art. 40 delle norme tecniche di attuazione del Regolamento urbanistico; ne deriverebbe che la società non aveva l'onere di procedere alla impugnazione della deliberazione consiliare n. 63/2017; - in ogni caso residuerebbe l'interesse all'accertamento della legittimità degli atti impugnati, ai fini della eventuale condanna della amministrazione al risarcimento del danno. 4. All'udienza pubblica del 6 aprile 2023 il ricorso è stato trattenuto in decisione. 5. In via preliminare, ritiene il Collegio che non possa essere integralmente condivisa l'eccezione di inammissibilità dell'atto di appello, con riguardo alla domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati. Se è vero infatti la deliberazione consiliare del Comune di (omissis) n. 63/2017 non può considerarsi (in parte qua) un atto meramente confermativo della precedente disciplina urbanistica, essendo stata preceduta da una rinnovata istruttoria (nel corso della quale la stessa società appellante ha presentato nuove osservazioni in ordine all'art. 40 del Regolamento urbanistico, che sono state respinte dall'amministrazione comunale), tuttavia, permane l'interesse della parte appellante all'accertamento della legittimità degli atti impugnati, ai sensi dell'art. 34, comma 3, del c.p.a., ai fini della eventuale proposizione di un'azione risarcitoria, prospettata dalla parte appellante nella memoria di replica depositata in data 15 marzo 2023. 6. Con il primo motivo, l'appellante deduce: error in iudicando, erroneità e contraddittorietà della motivazione, travisamento dei documenti prodotti nel giudizio di primo grado. 6.1. La società appellante premette di aver formulato in sede procedimentale una serie di osservazioni strutturandole (non considerando la n. 1, che, a detta della stessa appellante, non assumerebbe rilievo ai fini del presente contenzioso) in tre ipotesi subordinate, che possono essere così riassunte: - Osservazione n. 2: dopo aver evidenziato che la Regione Toscana non ha attualmente dettato una specifica disciplina in materia di vincolo di destinazione alberghiero e che, in carenza di una previsione normativa di rango primario in proposito, le amministrazioni comunali non possono imporre vincoli alberghieri con una norma di rango secondario, qual è il regolamento urbanistico, la società aveva chiesto (in sede procedimentale) che il comma 4 dell'art. 40 delle n. t.a. del Regolamento urbanistico venisse modificato, rendendo libero il mutamento di destinazione delle strutture ricettive e quindi eliminando le condizioni ivi indicate; - Osservazione n. 3: dopo aver fatto rilevare che, per costante giurisprudenza (amministrativa e costituzionale), l'apposizione del vincolo alberghiero deve ritenersi costituzionalmente ammissibile, solo in quanto esso non sia destinato a perpetuarsi indefinitamente nel tempo e che i parametri cui l'amministrazione comunale - nell'ambito della pianificazione urbanistica - subordina il superamento del vincolo alberghiero, devono configurarsi come indici probanti della redditività o meno dell'esercizio, la Società Im. s.p.a. aveva chiesto, in via subordinata, che le condizioni, cui il comma 4 dell'art. 40 delle n. t.a. del R.u. subordina il mutamento di destinazione delle strutture ricettive, venissero sostituite con altre oggettivamente sintomatiche del venir meno della convenienza economica della struttura ricettiva (quali - a mero titolo esemplificativo - anni di inattività della struttura ricettiva, situazione di perdita dei bilanci negli ultimi tre anni, oggettive potenzialità di ampliamento e di realizzazione di servizi accessori, numero di camere, localizzazione, ecc.). - Osservazione n. 4: per la denegata ipotesi in cui, in sede di approvazione del R.u., fossero stati confermati i parametri, cui il comma 4 dell'art. 40 delle n. t.a. subordina il mutamento di destinazione delle strutture ricettive, l'appellante aveva chiesto che la condizione di cui al punto 2 del comma 4 dell'art. 40 delle n. t.a. adottate (secondo cui ai fini di consentire il mutamento di destinazione "la superficie territoriale del lotto di pertinenza non deve superare i 1.000 mq ammettendo una tolleranza del 5%"), venisse modificata, sostituendo il limite di "1.000 mq", con un limite di almeno "1.500 mq". Come sopra evidenziato, le osservazioni presentate dalla società sono state disattese dal Comune di (omissis), in sede di approvazione definitiva del Regolamento urbanistico, e l'art. 40 del predetto Regolamento è stato approvato nella sua formulazione originaria. 6.2. Tanto premesso, con il primo motivo di appello, riproponendo le censure del ricorso introduttivo del giudizio, la società appellante si duole anzitutto del fatto che la Commissione che ha esaminato le osservazioni fosse composta unicamente da consiglieri comunali, (a suo dire) sprovvisti di competenze tecniche o giuridiche nel settore alberghiero. Lamenta l'insufficienza della motivazione addotta dalla amministrazione comunale nel respingere la osservazione n. 2 e l'assoluta carenza di motivazione con riguardo alla reiezione delle osservazioni nn. 3 e 4. 6.3. Le censure sono infondate. 6.4. In primo luogo, l'approvazione degli strumenti urbanistici comunali è atto che l'ordinamento giuridico ascrive alla competenza dell'organo consiliare (art. 42, comma 2, lett. b) del d.lgs. n. 267/2000). Il fatto che, nel caso di specie, la valutazione delle osservazioni formulate in merito al Regolamento urbanistico sia stata effettuata da una Commissione composta di Consiglieri comunali non infirma la legittimità degli atti impugnati, in quanto, da un lato, le valutazioni in materia di pianificazione urbanistica rientrano nella sfera di competenza degli organi di governo del Comune (e, nel caso di specie, del Consiglio comunale), dall'altro, le commissioni consiliari si avvalgono del supporto tecnico degli Uffici comunali preposti alla gestione dei servizi di urbanistica e pianificazione territoriale, senza trascurare l'ulteriore considerazione secondo la quale gli atti deliberativi di competenza degli organi collegiali del Comune (Giunta comunale; Consiglio comunale) sono corredati dal parere di regolarità tecnica del Dirigente/Responsabile del Servizio competente ratione materiae e per gli atti comportati oneri finanziari da quello di regolarità contabile, espresso dal Dirigente/Responsabile del Servizio finanziario. 6.5. In linea generale, secondo un consolidato orientamento di questa Sezione, le osservazioni presentate in occasione dell'adozione di un nuovo strumento di pianificazione del territorio costituiscono un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento medesimo, con conseguente assenza in capo all'amministrazione di un obbligo puntuale di motivazione, oltre a quella evincibile dai criteri desunti dalla relazione illustrativa del piano stesso in ordine alle proprie scelte discrezionali assunte per la destinazione delle singole aree. Pertanto, ancorché sia tenuta ad esaminare le osservazioni pervenute, non può però l'amministrazione essere obbligata ad una analitica confutazione di ciascuna di esse (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 21 aprile 2022 n. 3018; 22 marzo 2021 n. 2422 e 30 gennaio 2020, n. 751). Né a diverse conclusioni si può pervenire per effetto della disposizione normativa invocata dalla società appellante (art. 17, comma 5, l.r. della Toscana n. 1/2005), vigente ratione temporis, a norma della quale "il provvedimento di approvazione (degli strumenti di pianificazione) contiene il riferimento puntuale alle osservazioni pervenute e l'espressa motivazione delle determinazioni conseguentemente adottate". Nell'ambito di una congerie davvero complessa di osservazioni (come si evince dalla delibera consiliare di approvazione definitiva del Regolamento urbanistico), le osservazioni formulate dalla società (odierna appellante) infatti sono state esaminate dalla amministrazione comunale e disattese con motivazione (per relationem) con riferimento ad una osservazione di ana tenore; in particolare, l'amministrazione ha evidenziato, in riferimento ad analoga osservazione (la n. 740 presentata dal signor Ca.), che "il presupposto fondamentale della norma è non incentivare il cambio di destinazione d'uso se non per quelle strutture che non hanno possibilità di adeguamento alle richieste del mercato..." (documento n. 15 depositato in data 29 settembre 2016 dal Comune di (omissis) nel giudizio di primo grado). 6.6. Il Comune di (omissis) non ha escluso la possibilità del cambio di destinazione d'uso da parte delle strutture alberghiere, ma l'ha subordinata alla sussistenza di determinate condizioni; ha inoltre esplicitato le ragioni per le quali ha ritenuto di disattendere le osservazioni di ana tenore rispetto a quelle formulate dalla odierna appellante, rappresentate dall'interesse pubblico ad evitare un impoverimento della offerta alberghiera (per effetto del cambio di destinazione d'uso delle strutture ricettive esistenti), se non nelle ipotesi in cui non vi sia possibilità della struttura di adeguamento alla richiesta del mercato. Nel caso di specie, la società appellante non ha fornito né in sede procedimentale né in sede processuale dimostrazione, ma solo allegazioni generiche, in merito alla presunta scarsa redditività della struttura ricettiva di cui è titolare. 7. Con il secondo motivo, la società appellante deduce: error in iudicando; erroneità della motivazione. 7.1. La parte appellante ripropone il secondo motivo del ricorso introduttivo del giudizio, con il quale era stata censurata la disposizione contenuta nel comma 4 dell'art. 40 delle n. t.a. del nuovo Regolamento urbanistico e in sostanza la conservazione del vincolo alberghiero, per carenza di potere dell'amministrazione comunale di imporre vincoli alberghieri con una norma secondaria, qual è il Regolamento urbanistico, in mancanza di una fonte normativa di rango primario (sia essa regionale o statale). 7.2. La parte appellante contesta le conclusioni del giudice di primo grado, evidenziando che il vincolo di destinazione alberghiera era previsto dalla legge statale n. 217/1983 (art. 8, comma 5), che tuttavia è stata abrogata dalla legge 135/2001 e attualmente la relativa disciplina è stata trasferita a livello regionale. La Regione Toscana, però, dal canto suo non avrebbe provveduto alla emanazione di una specifica disciplina in materia di vincoli alberghieri, cosicché - in carenza di una previsione normativa di rango primario - l'amministrazione comunale non potrebbe imporre vincoli alberghieri con una norma di carattere secondario (qual è il Regolamento urbanistico). 7.3. A sostegno di quanto dedotto, la società appellante richiama l'art. 2, comma 2, della legge regionale della Liguria n. 1/2008, che prevede che i proprietari degli immobili soggetti al vincolo di destinazione d'uso alberghiero possano presentare istanza di svincolo con riferimento alla sopravvenuta inadeguatezza della struttura ricettiva rispetto alle esigenze del mercato; richiama altresì la legge regionale Emilia Romagna 9 aprile 1990, n. 28, rubricata "Disciplina del vincolo di destinazione delle aziende ricettive in Emilia-Romagna", anch'essa avente contenuti simili a quella della legge regionale ligure. 7.4. Le censure sono infondate. 7.5. La legge nazionale 17 maggio 1983 n. 217 (legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell'offerta turistica) all'art. 8, rubricato Vincolo di destinazione, disponeva quanto segue: "Ai fini della conservazione e della tutela del patrimonio ricettivo, in quanto rispondente alle finalità di pubblico interesse e della utilità sociale, le regioni, con specifiche leggi, sottopongono a vincolo di destinazione le strutture ricettive indicate dall'articolo 6, in conformità anche con le indicazioni derivanti dagli atti della programmazione regionale. Sono esclusi dal vincolo gli alloggi rurali, gli alloggi gestiti da affittacamere e le case e gli appartamenti per vacanze. Nell'à mbito delle previsioni dei piani regolatori regionali i comuni provvedono ad individuare le aree destinate ad attività turistiche e ricettive e a determinare la disciplina di tutela e utilizzazione di tali aree, tenendo conto dei piani di sviluppo predisposti dalle regioni. Entro un anno dall'entrata in vigore delle leggi regionali i comuni provvedono ad adeguare i propri strumenti urbanistici, secondo quanto previsto al primo comma del presente articolo e individuano in essi le aree destinate agli insediamenti turistici produttivi che a tal fine sono vincolate. Per rispondere ad esigenze di miglioramento dell'assetto territoriale e di sviluppo del settore turistico, destinazioni diverse da quella originaria di aree e strutture turistiche e ricettive possono essere previste dai piani regolatori generali e loro varianti. Il vincolo di destinazione può essere rimosso su richiesta del proprietario solo se viene comprovata la non convenienza economico-produttiva della struttura ricettiva e previa restituzione di contributi e agevolazioni pubbliche eventualmente percepiti e opportunamente rivalutati ove lo svincolo avvenga prima della scadenza del finanziamento agevolato. Le regioni, con proprie leggi, fissano criteri e modalità per la rimozione del vincolo di destinazione, le sanzioni per i casi di inadempienza ed i necessari raccordi con le norme ed i piani urbanistici". L'art. 11 comma 6 della l. 29 marzo 2001 n. 135 (Riforma della legislazione nazionale del turismo) ha abrogato la legge 17 maggio 1983, n. 217 a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 2, comma 4, della presente legge (in attuazione della predetta previsione normativa è stato emanato il d.P.C.M. 13 settembre 2002 recante: "Recepimento dell'accordo fra lo Stato, le regioni e le province autonome sui princì pi per l'armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico"). La legge n. 135/2001 è stata a sua volta abrogata dal d.lgs. 23 maggio 2011 n. 79 "Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio". Con legge regionale del 23 marzo 2000 n. 42, la Regione Toscana ha approvato il "Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo", in attuazione del quale è stato emanato, con decreto del Presidente della Giunta regionale della Toscana del 23 aprile 2001 n. 18, il Regolamento di attuazione del Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo, che, all'art. 11, comma 3, nel testo vigente al momento della adozione degli atti impugnati, disponeva quanto segue: "Le strutture ricettive di cui al presente capo sono realizzate su aree con destinazione d'uso turistico-ricettiva, conformemente a quanto indicato negli strumenti urbanistici del comune". Dalla ricostruzione del quadro normativo di riferimento, deve ritenersi che il potere esercitato ratione temporis dal Comune di (omissis) non fosse privo di fondamento giuridico (a livello di normazione primaria), essendo stata sostanzialmente rimessa dal legislatore regionale al potere pianificatorio dei Comuni in materia urbanistica la disciplina della destinazione d'uso turistico - ricettiva. 8. Con il terzo motivo, l'appellante deduce: error in iudicando, manifesta erroneità della motivazione. 8.1. In estrema sintesi, la società appellante contesta la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice di primo grado ha dichiarato inammissibile il terzo motivo di ricorso, in quanto l'annullamento delle impugnate norme tecniche di attuazione non recherebbe alcuna utilità alla soc. Immobileffe, poiché comporterebbe la reviviscenza della normativa locale precedentemente in vigore, ugualmente ostativa alla realizzazione dell'assetto edilizio propugnato dalla stessa ricorrente. 8.2. In particolare, con il terzo motivo del ricorso introduttivo del giudizio, era stata dedotta l'illegittimità della disposizione contenuta nel comma 4 dell'art. 40 delle n. t.a. del nuovo R.u. per irragionevolezza, illogicità, ma soprattutto incompatibilità costituzionale, dei parametri cui tale disposizione subordina lo svincolo alberghiero, tra l'altro richiedendone la ricorrenza contestuale, in quanto, a detta della appellante, tali parametri non risulterebbero oggettivamente sintomatici della sopravvenuta insostenibilità economica nella gestione della struttura ricettiva e dunque di fatto comporterebbero una limitazione sine die alla possibilità di mutamento di destinazione d'uso, mentre nell'apposizione e disciplina del vincolo alberghiero, le amministrazioni comunali sono tenute al rispetto del canone di temporaneità e modificabilità intrinseco a tale vincolo, risultando esso, in caso contrario, costituzionalmente incompatibile. La società appellante ha contestato le conclusioni del giudice di primo grado (di inammissibilità della censura), evidenziando che l'annullamento in parte qua del Regolamento urbanistico imporrebbe al Comune la riedizione del potere pianificatorio in conformità ai principi enunciati della sentenza. 8.3. Con il quarto motivo, la società appellante ripropone il terzo motivo del ricorso introduttivo del giudizio non esaminato dal giudice di primo grado (in quanto ritenuto inammissibile per difetto di interesse), deducendo: violazione dei principi desumibili dagli artt. 23, 41, 42 e 97 della Cost.; violazione dei principi desumibili dall'art. 7 della l. 17 agosto 1942 n. 1150; violazione dei principi desumibili dagli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990; violazione e falsa applicazione dei principi desumibili dalla legge regionale della Toscana n. 42/2000; eccesso di potere per errore o travisamento dei fatti, per illogicità manifesta e per sviamento; eccesso di potere per violazione dei principi di imparzialità e non discriminazione; eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione. 8.4. L'appellante richiama i due parametri cui la disposizione contenuta nel comma 4 dell'art. 40 delle NTA del nuovo R.u. approvato dal Comune di (omissis) subordina lo svincolo alberghiero, richiedendone, peraltro, la ricorrenza contestuale (1. la superficie utile lorda alla data di adozione del presente RU non superi i 600 mq ammettendo una tolleranza del 5%; 2. la superficie territoriale del lotto di pertinenza non superi i 1000 mq ammettendo una tolleranza del 5%). Detti parametri non solo non troverebbero alcun riscontro né nella legislazione urbanistica né nella normazione della Regione Toscana in materia di strutture ricettive (l.r. della Toscana n. 42/2000 e relativo regolamento di attuazione), ma soprattutto non risulterebbero oggettivamente sintomatici della sopravvenuta insostenibilità economica nella gestione della struttura ricettiva. A suo giudizio, sotto il profilo dell'economicità dell'impresa alberghiera, non vi sarebbe alcun elemento per differenziare una struttura insistente su un terreno di superficie maggiore a 1000 mq - come quella di proprietà della ricorrente - con quelle insistenti su lotti di terreno di superficie inferiore a 1000 mq. Oltre a ciò, nell'apposizione e disciplina del vincolo alberghiero, le amministrazioni comunali sarebbero tenute al rispetto del canone di temporaneità e modificabilità intrinseco a tale vincolo (risultando altrimenti il vincolo costituzionalmente incompatibile). I due parametri cui l'art. 40 delle NTA del nuovo R.U. in oggetto subordinano il mutamento della destinazione alberghiera, sarebbero ingiustamente discriminatori. 8.5. Le censure articolate nel terzo motivo del ricorso di primo grado e riproposte nel terzo e nel quarto motivo di appello, pur ammissibili, sono infondate. 8.6. La materia dei vincoli alberghieri è stata analiticamente esaminata dalla Prima Sezione del Consiglio di Stato, nel parere del 25 marzo 2021 n. 475, le cui coordinate ermeneutiche il Collegio ritiene opportuno richiamare in questa sede, ai fini del corretto inquadramento sotto il profilo sistematico della fattispecie dedotta in giudizio. Dopo aver richiamato la disciplina normativa pregressa (legge 24 luglio 1936, n. 1692, di conversione, con modificazioni, del r.d.l. 2 gennaio 1936, n. 274; l'articolo 1 del d.lgs. lt. 19 marzo 1945, n. 117, che ha prorogato l'efficacia della legge n. 1692/1936) e l'art. 8 della l. 17 maggio 1983 n. 217, sulla scorta dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale (sentenza 8 gennaio 1981 n. 4) e dalla giurisprudenza amministrativa successiva (Consiglio di Stato, sez. IV, 15 marzo 2012, n. 1449; Consiglio di Stato, sez. IV, 23 novembre 2018, n. 6626), la Prima Sezione è pervenuta alle seguenti conclusioni: "La previsione del vincolo deriva dalla volontà del legislatore di accordare una tutela prioritaria allo sviluppo del settore turistico, ritenuto strategico per l'economia nazionale, e trova giustificazione nel fatto che occorre evitare di snaturare i tessuti turistico-ricettivi già esistenti - particolarmente importanti per un Paese a vocazione turistica qual è il nostro - e impedire forme di speculazione derivanti dalla trasformazione delle predette strutture in immobili destinati ad usi abitativi, anche in considerazione del fatto che spesso le strutture ricettive si trovano in luoghi di particolare pregio ambientale, paesaggistico o anche solo turistico......La previsione del vincolo alberghiero, dunque, per essere costituzionalmente legittima, deve essere il frutto di un accorto bilanciamento tra valori egualmente tutelati in Costituzione, in modo da rendere compatibile il principio di funzionalizzazione della proprietà enunciato dall'art. 42 Cost., con la sussistenza stessa del diritto di proprietà (in modo da evitare che un vincolo stringente nella destinazione ed indefinito nel tempo possa costituire un intervento di fatto espropriativo), e con la libertà di iniziativa economica che - fermi i limiti imposti dall'art. 41 Cost.- impedisce l'"imposizione coattiva" dello svolgimento di attività allorché non sussista la convenienza economica delle stesse". 8.7. Tanto premesso, le deduzioni di parte appellante non possono essere condivise nel caso di specie. 8.8. Conformemente a quanto già statuito da questa Sezione in fattispecie analoghe (sentenza 2 gennaio 2023 n. 21; sentenza 7 febbraio 2023 n. 1317), occorre ribadire anche in questa sede che le scelte urbanistiche circa la disciplina del territorio costituiscono espressione del più ampio potere discrezionale dell'amministrazione; di conseguenza, esse possono formare oggetto di sindacato giurisdizionale nei soli casi di abnormità ovvero di palese travisamento dei fatti. In particolare nella sentenza della sezione 2 gennaio 2023 n. 21 è stato evidenziato che, con riferimento all'esercizio dei poteri pianificatori urbanistici, la tutela dell'affidamento è riservata ai seguenti casi eccezionali: a) superamento degli standard minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona; b) pregresse convenzioni edificatorie già stipulate; c) giudicati (di annullamento di dinieghi edilizi o di silenzio rifiuto su domande di rilascio di titoli edilizi), recanti il riconoscimento del diritto di edificare; d) modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo. 8.8. Orbene, come sopra evidenziato, con le contestate norme del Regolamento urbanistico il Comune di (omissis), ricompreso in un'area notoriamente a vocazione turistica, ha inteso incentivare il mantenimento e la riqualificazione delle strutture ricettive, indicando quali obiettivi della pianificazione locale il sostegno e la promozione dell'economia e dell'offerta turistica. Il Comune non ha escluso il cambio di destinazione d'uso delle strutture turistico ricettive, ma lo ha subordinato alla sussistenza di determinate condizioni (sopra richiamate), con la conseguenza che non si configura violato il principio della tendenziale temporaneità dei vincoli alberghieri. Le condizioni per il cambio di destinazione d'uso delle strutture turistico - ricettive, individuate dal Comune di (omissis), pur avendo una valenza prevalentemente urbanistica, possono assumere carattere sintomatico della capacità reddituale delle strutture ricettive, se lette in combinato disposto le disposizioni del medesimo Regolamento, che consentono, in una prospettiva di promozione della offerta turistica: i) la realizzazione di ampliamenti e di miglioramenti delle strutture ricettive e delle aree pertinenziali; ii) la possibilità di consistenti sopraelevazioni e di realizzazione di piani interrati; iii) la creazione di parcheggi pertinenziali completamente interrati; iv) le attività proprie degli alberghi; v) altre attività (comportanti, se del caso, anche il cambio di destinazione d'uso e di mutamento funzionale) purché ricomprese, sempre e comunque, nella categoria "turistico-ricettiva", come le case per ferie, gli ostelli della gioventù, le residenze turistico-alberghiere (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV sentenza n. 1317/2023). In altre parole, le scelte adottate dal Comune di (omissis) in materia di cambio di destinazione d'uso delle strutture turistico - ricettive non si presentano in insanabile contrasto con i principi enunciati in materia di vincolo alberghiero dalla Corte Costituzionale e debbono ritenersi, in relazione ai limiti al sindacato giurisdizionale in subiecta materia (sopra richiamati), immuni dal vizio di eccesso di potere, in relazione ai dedotti profili. A ciò si aggiunga l'ulteriore considerazione, secondo la quale la società appellante non ha fornito adeguata dimostrazione né in sede procedimentale né in sede processuale della non convenienza economico - produttiva (sul piano oggettivo) della struttura ricettiva (cui pure faceva riferimento, ai fini della rimozione del vincolo alberghiero, l'art. 8, comma 6, della l. n. 217/1983), limitandosi ad allegazioni generiche e non suffragate da elementi probatori. 9. In conclusione, l'atto di appello è infondato e va respinto; la complessità delle questioni dedotte in giudizio giustifica nondimeno l'equa compensazione delle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Vincenzo Lopilato - Consigliere Luca Lamberti - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Paolo Marotta - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8254 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Lu. Co. e Ge. Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ge. Ta. in Genova, via (...) contro -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via (...); Ministero dell'Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, e Università degli Studi -OMISSIS-, in persona del Rettore pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (...) per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, n. -OMISSIS-, resa tra le parti Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti l'atto di costituzione in giudizio e l'appello incidentale di -OMISSIS-; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Università degli Studi -OMISSIS- e del Ministero dell'Università e della Ricerca; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 marzo 2023 il Cons. Daniela Di Carlo; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con il ricorso proposto dinanzi al TAR della Liguria e recante il numero di registro generale -OMISSIS-, integrato da motivi aggiunti, la dottoressa -OMISSIS-, ha impugnato, chiedendone, l'annullamento: 1.1. per quanto riguarda il ricorso principale introduttivo: i) il decreto rettorale dell'Università degli Studi -OMISSIS- n. -OMISSIS- del 13 settembre 2021, n. -OMISSIS-, con cui è stata accertata la regolarità degli atti relativi alla procedura di selezione finalizzata al reclutamento di un ricercatore a tempo determinato, mediante conferimento di contratto di lavoro subordinato di durata triennale, ai sensi dell'art. 24, comma 3, lett. b) della legge n. 240/2010, presso il Dipartimento di Scienze della Formazione (DISFOR), per il settore scientifico-disciplinare BIO/08 - Antropologia, settore concorsuale 05/B1 - Zoologia e Antropologia ed è stata dichiarata vincitrice la dottoressa -OMISSIS-; ii) ogni altro atto presupposto, conseguente o connesso, ivi inclusi i verbali delle sedute della Commissione giudicatrice e la relazione riassuntiva dei lavori, nonché, per quanto possa occorrere, il D.R. n. -OMISSIS- del 9 dicembre 2020, recante il bando di concorso, e il D.R. n. -OMISSIS- dell'11 marzo 2021, recante la nomina della Commissione; 1.2. per quanto riguarda i motivi aggiunti al ricorso principale: i) gli atti già impugnati con il ricorso introduttivo; ii) il verbale del Consiglio di Dipartimento di Scienze della Formazione n. -OMISSIS- 2021, nella parte in cui ha deliberato la chiamata della dottoressa -OMISSIS-. 2. A sostegno del ricorso principale, la ricorrente, che ha conseguito il secondo miglior punteggio dopo quello della vincitrice, ha articolato i seguenti motivi: I) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. Eccesso di potere per errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, macroscopico travisamento e difetto di motivazione, illogicità manifesta. Con riferimento alla voce n. 3 della griglia di valutazione, relativa a formazione e ricerca, la commissione avrebbe pretermesso i titoli della dott.ssa -OMISSIS- di coordinatore del Centro di ricerca in Osteoarcheologia e Paleontologia dell'Università degli Studi dell'-OMISSIS-, di assegnataria di incarico di ricerca dell'Università di -OMISSIS- e di tutor dei tirocini in "Archeobiologia". II) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010 sotto altro profilo. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. Violazione del D.M. n. 855 del 30 ottobre 2015. Violazione e falsa applicazione dell'art. 4, comma 2, del d.p.r. n. 117/2000. Eccesso di potere per manifesto travisamento. Illogicità manifesta della motivazione. L'apprezzamento dei titoli e delle pubblicazioni della dott.ssa -OMISSIS- risulterebbe inficiata da errori macroscopici, perché l'attività didattica e scientifica della vincitrice non sarebbe congruente con il s.s.d. BIO/08 - Antropologia né con discipline affini, alla stregua dei decreti ministeriali recanti le declaratorie dei settori, ma afferirebbe alla Sociologia di cui al s.s.d. SPS/07 ed all'Antropologia della salute, costituente una branca dell'Antropologia culturale e, quindi, appartenente al s.s.d. M-DEA/01. Inoltre, quasi nessuna delle opere presentate dalla controinteressata risulterebbe censita nei canali indicizzati "Sc." e "We. of sc." e, in relazione a due lavori, l'organo giudicatore avrebbe travisato l'apporto dell'autrice. III) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010 sotto altro profilo. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. Violazione del D.M. n. 243 del 25 maggio 2011 e dell'art. 97 Cost. Violazione e falsa applicazione dell'art. 4, comma 2, del d.p.r. n. 117/2000. Falsa applicazione dei criteri di valutazione ed eccesso di potere per travisamento. Contraddittorietà con atti della stessa procedura e illogicità manifesta. Il collegio esaminatore avrebbe violato la griglia cui si era autovincolato, perché non avrebbe esplicitato i sotto-punteggi né per i titoli delle categorie nn. 3, 4 e 5, né per i parametri dell'originalità, congruenza, diffusione e apporto individuale delle singole pubblicazioni. IV) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010. Violazione del D.M. n. 243 del 25 maggio 2011 sotto altro profilo. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 anche in relazione all'art. 4, comma 2, del d.p.r. n. 117/2000. Eccesso di potere per difetto di presupposto essenziale. Carenza e illogicità di motivazione. I commissari non avrebbero redatto la relazione riassuntiva finale, con conseguente impossibilità di comprendere le ragioni della preferenza accordata ad una candidata priva di abilitazione scientifica nazionale per il s.s.d. BIO/08, con un profilo curriculare in settori diversi dalla materia oggetto di concorso e con il minor punteggio di tutti i partecipanti nella produzione scientifica. Inoltre, sarebbe stata omessa la verbalizzazione della prova di inglese. V) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010 e del D.M. n. 243 del 25 maggio 2011. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13, comma 2, del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. Difetto di istruttoria e travisamento. Sviamento e illogicità manifesta della motivazione. In subordine, si rivelerebbe viziata la valutazione preliminare, perché non sarebbe stata apprezzata la tesi di dottorato dei candidati, non sarebbe stato operato un giudizio analitico dei titoli e delle pubblicazioni secondo gli indicatori bibliometrici e sarebbe mancata la motivata sintesi comparativa prevista dall'art. 2 del D.M. n. 243/2011. 3. A sostegno dei motivi aggiunti, la ricorrente ha invece dedotto i seguenti ulteriori motivi: VI) Invalidità derivata del verbale del Consiglio di Dipartimento di Scienze della Formazione n. -OMISSIS- 2021 nella parte in cui ha deliberato la chiamata della dott.ssa -OMISSIS-. La delibera del Consiglio di Dipartimento di chiamata della vincitrice a ricoprire il posto di ricercatore risulterebbe affetta in via derivata dai vizi degli atti della selezione già censurati con il ricorso introduttivo. VII) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010, dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. Eccesso di potere per errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, macroscopico travisamento. Illogicità e ingiustizia manifeste. La commissione avrebbe obliterato la posizione di tecnico di laboratorio dell'esponente, che si sostanzierebbe in un incarico di ricerca antropologica. VIII) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010, dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. sotto altro profilo. Eccesso di potere per errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, macroscopico travisamento. Illogicità manifesta. Ad integrazione del primo mezzo del ricorso introduttivo, i titoli di coordinatore del Centro di ricerca in Osteoarcheologia e Paleontologia e di tutor dei tirocini in "Archeobiologia" avrebbero dovuto essere inseriti, perlomeno, fra le attività organizzative di gruppi di ricerca e fra i contratti di supporto alla didattica. Inoltre, ad integrazione del secondo motivo, a causa degli apprezzamenti generici e/o erronei dell'organo giudicatore dovrebbero essere decurtati i punti attribuiti alla controinteressata per i contratti per lezioni integrative, i congressi, i premi, le singole pubblicazioni con riferimento ai sotto-criteri della diffusione, congruenza e apporto del candidato, nonché per la duplice valutazione delle opere n. 1 e n. 7. IX) In subordine. Violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e 24 della legge n. 240/2010, dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e degli artt. 7 e 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. sotto altro profilo. Violazione e falsa applicazione del D.M. 4 ottobre 2000 e del D.M. n. 855 del 30 ottobre 2015. Intrinseca illogicità dei criteri di valutazione adottati con verbale del 6 maggio 2021. Sviamento e difetto assoluto di motivazione. Il criterio dell'attinenza a tematiche interdisciplinari correlate al s.s.d. BI0/08, adottato dai commissari nella prima seduta, violerebbe la normativa primaria e secondaria, nonché la lex specialis della procedura, perché il reclutamento dei ricercatori potrebbe avvenire con esclusivo riferimento ai settori scientifico-disciplinari predefiniti dal bando. In ogni caso, ove reputato ammissibile, il parametro dell'interdisciplinarietà dovrebbe essere inteso come affinità di settori ai sensi dell'allegato D al D.M. 4 ottobre 2000, sì che, risultando affine al s.s.d. BIO/08 unicamente il s.s.d. L-ANT/01 (Preistoria e Protostoria), l'incongruenza dei titoli e delle pubblicazioni della controinteressata permarrebbe. X) In ulteriore gradato subordine. Violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e 24 della legge n. 240/2010, dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. Violazione e falsa applicazione del D.M. 4 ottobre 2000 e del D.M. n. 855 del 30 ottobre 2015. Eccesso di potere per illogicità manifesta dei criteri di valutazione adottati con verbale del 6 maggio 2021 e conseguente sviamento. L'abilitazione scientifica nazionale a professore di seconda fascia nel s.s.d. BIO/08, non posseduta solamente dalla dott.ssa -OMISSIS- fra tutti i partecipanti alla selezione, sarebbe stata illogicamente svalutata con l'attribuzione di un solo punto rispetto al punteggio totale di cinquanta assegnabile per i titoli. XI) In ultimo e gradato subordine. Impugnazione in parte qua del bando emanato con D.R. n. -OMISSIS-/2020 per violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010, dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i., del D.M. 4 ottobre 2000, del D.M. n. 855 del 30 ottobre 2015 e dell'art. 15 della legge n. 240/2010. Intrinseca illogicità e sviamento. Lo stesso bando escluderebbe ogni finalità valutativa della prevista destinazione del vincitore allo svolgimento di ricerche nell'ambito dell'antropologia della salute, in collegamento con la Cattedra Un. (di cui la dott.ssa -OMISSIS- è cofondatrice) e con il Museo di Etnomedicina "-OMISSIS-" (di cui la dott.ssa -OMISSIS- è responsabile scientifico). In subordine, qualora si ritenesse che il bando abbia ricondotto la materia dell'antropologia della salute al s.s.d. BIO/08, lo stesso infrangerebbe le declaratorie del relativo settore disciplinare e concorsuale di cui ai DD.MM. 4 ottobre 2000 e 30 ottobre 2015 n. 855. 4. Con ricorso incidentale notificato in data 3 dicembre 2021 e depositato il successivo 15 dicembre, la dottoressa -OMISSIS- ha impugnato, a sua volta, gli atti della procedura, articolando i seguenti motivi: I) Violazione dei criteri stabiliti nel verbale n. 1. Difetto del presupposto e/o travisamento dei fatti. Violazione degli artt. 46, 47 e 75 del d.p.r. n. 445/2000. Con riferimento ai titoli della voce n. 4, il punteggio ottenuto dalla dott.ssa -OMISSIS- si rivelerebbe erroneo sotto vari aspetti: - sarebbe stata computata la responsabilità di due semplici borse di studio o, in subordine, stimata doppiamente l'attività concernente l'area della -OMISSIS-, sotto forma di responsabile di borsa e di progetto di ricerca; - le proposte progettuali relative ai bandi "Arte & Cultura" della Fondazione Comunitaria del -OMISSIS- avrebbero ricevuto i finanziamenti con mera procedura a sportello e non, come dichiarato dalla candidata, con selezione competitiva; - per tre progetti, aventi ad oggetto la chiesa di San Biagio in -OMISSIS- ed il sito di Sant'Agostino di -OMISSIS-, sarebbe stata responsabile la prof.ssa -OMISSIS-; per altri due progetti, riguardanti la cripta dei frati francescani di -OMISSIS-, la dott.ssa -OMISSIS- avrebbe svolto semplici ricerche; - gli studi presso la chiesa di San Biagio farebbero parte di una ricerca unitaria, onde le varie fasi non avrebbero potuto essere conteggiate più volte. II) Violazione dei criteri stabiliti nel verbale n. 1. Difetto del presupposto e/o travisamento dei fatti. In relazione alla categoria n. 2, la commissione avrebbe illegittimamente tralasciato, per la dott.ssa -OMISSIS-, i contratti di supporto alla didattica e il titolo di cultore della materia. III) Violazione dei criteri stabiliti nel verbale n. 1. Difetto del presupposto e/o travisamento dei fatti. I punteggi assegnati alla dott.ssa -OMISSIS- per le pubblicazioni risulterebbero viziati, in quanto: - l'opera "-OMISSIS-", premiata con il massimo di quattro punti, sarebbe sovrapponibile per circa il 40% alla tesi di dottorato, a sua volta valorizzata con due punti; - sarebbero state valutate come distinte ed autonome le due pubblicazioni "-OMISSIS-" e "-OMISSIS-", nonostante quest'ultima fosse già sostanzialmente contenuta nella prima, come riconosciuto dalla commissione di un'altra procedura di reclutamento. IV) Violazione dei criteri stabiliti nel verbale n. 1. Difetto del presupposto e/o travisamento dei fatti. Illogicità . In sede di apprezzamento della produzione scientifica complessiva, i dati bibliometrici delle citazioni e dell'indice H, tratti dalla banca dati "Sc.", non sarebbero stati depurati dalle autocitazioni: ne sarebbe derivata una sopravvalutazione della dott.ssa -OMISSIS-, per la quale si registrerebbe un tasso di autocitazioni (pari al 60% circa) molto superiore a quello medio del s.s.d. BIO/08 (inferiore al 12%). V) In subordine. Violazione dei criteri stabiliti nel verbale n. 1. Difetto del presupposto e/o travisamento dei fatti. Nell'ipotesi subordinata in cui si ritenesse precluso il vaglio di titoli e pubblicazioni congruenti con tematiche interdisciplinari connesse con il settore BIO/08, si rivelerebbe illegittima anche la valutazione della tesi di dottorato, di sette opere (le nn. 1, 2, 5, 6, 9, 10 e 11 dell'elenco) e di tre incarichi di insegnamento (in "Storia della Medicina" ed in "Archeobiologia") della dott.ssa -OMISSIS-, in quanto totalmente o parzialmente attinenti al s.s.d. MED/02 - Storia della medicina, secondo gli atti di un concorso per ricercatore nel prefato ambito in cui la candidata si è cimentata. 5. Il Tar della Liguria: - ha respinto i motivi I), VII) e VIII) dell'impugnativa principale, ritenendo infondate le doglianze circa la mancata obliterazione di quattro suoi titoli; - ha accolto, nei sensi di cui in motivazione, i motivi II), IX) e XI) sempre dell'impugnativa principale, con cui erano state censurate l'incongruenza dei titoli e delle pubblicazioni della dottoressa -OMISSIS- con il s.s.d. BIO/08 - Antropologia e la loro valutabilità sotto il profilo dell'interdisciplinarietà ; - ha accolto il I) motivo dell'impugnativa incidentale limitatamente al profilo concernente la illegittimità nella valutazione dei titoli della dottoressa -OMISSIS- di cui alla categoria n. 4 della griglia (si tratta del "Coordinamento di progetti di ricerca nazionali ammessi al finanziamento sulla base di un bando competitivo", e della "Organizzazione, direzione e coordinamento di gruppi di ricerca nel contesto di progetti di ricerca nazionali"), respingendo invece le contestazioni del punteggio assegnato in relazione a due borse di studio per l'analisi dei resti umani in -OMISSIS- e al coordinamento del progetto di creazione di un percorso archeologico in tale area del -OMISSIS-; - ha accolto sempre parzialmente il II) motivo dell'impugnativa incidentale, ovverossia limitatamente alla mancata considerazione del titolo di cultore nello specifico s.s.d. BIO/08 dall'a.a. 2018/19, ritenendo invece infondata quella relativa alla asserita pretermissione dei contratti di supporto alla didattica; - ha respinto il III) motivo del ricorso incidentale; - ha accolto integralmente il IV) motivo; - ha accolto il V) motivo del gravame incidentale nella sola parte in cui si era contestato il computo in favore della dottoressa -OMISSIS-, fra i titoli della voce n. 2, degli insegnamenti di "Storia della Medicina", nonché, fra le pubblicazioni, della n. 9 dell'elenco. 5.1. Infine, il Tar ha indicato all'Ateneo i principi conformativi in vista della nuova valutazione e attribuzione del punteggio (Pertanto, la commissione dovrà rinnovare la valutazione di tutti i titoli delle categorie nn. 2-3-4-5-6 e di tutte le pubblicazioni della dott.ssa -OMISSIS-, seguendo le coordinate illustrate ed esplicitando le ragioni dell'eventuale giudizio di congruità, piena o parziale, con il s.s.d. BIO/08, nonché emendando gli errori rilevati in parte motiva. Inoltre, dovrà apprezzare nuovamente i titoli delle categorie nn. 2-4 e la pubblicazione n. 9 della dott.ssa -OMISSIS-, secondo le direttrici sopra tracciate e con specificazione dei motivi dell'eventuale giudizio di congruità, piena o parziale, con il s.s.d. BIO/08; dovrà altresì tenere specificamente conto del possesso dell'A.S.N. per il s.s.d. BIO/08. Infine, per entrambe le candidate riesaminerà la produzione scientifica complessiva alla luce di quanto indicato, precisandosi che, nella stima dell'effetto delle autocitazioni, andranno estrapolati i soli dati presenti in "Sc." (ed eventualmente in "We. of sc.") alla data del concorso, eliminando le opere inserite e le citazioni registrate in epoca successiva") ed ha compensato le spese di lite. 6. La sentenza è stata impugnata, nei limiti del rispettivo interesse, in via principale dalla originaria controinteressata, e in via incidentale dalla originaria ricorrente, attraverso la riproposizione degli originari motivi di ricorso principale, di motivi aggiunti all'impugnativa principale e di ricorso incidentale, quali censure specifiche avverso la sentenza medesima. 7. L'Università degli Studi -OMISSIS- ha resistito al gravame. 8. Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive. 9. All'udienza pubblica del 7 marzo 2023, la causa è stata trattenuta in decisione. 10. L'appello principale e l'appello incidentale non sono fondati. 11. Più in particolare, non è fondato il primo motivo di appello principale con cui si censura la violazione del DM 243/2011, del DM 4 ottobre 2000 e del DM 855/2015, l'illogicità e la violazione del principio di proporzionalità e la violazione dei limiti del sindacato giurisdizionale amministrativo, sotto il profilo dell'eccesso di potere giurisdizionale e del difetto di giurisdizione. Il Tar ha compiutamente ricostruito il quadro normativo di riferimento: - sulla base dell'art. 24, comma 2, del d.lgs. n. 240/2010, nel testo vigente ratione temporis, è previsto che i ricercatori a tempo determinato sono scelti mediante procedure pubbliche di selezione disciplinate dalle Università con regolamento, nel rispetto di una serie di criteri, tra cui la "specificazione del settore concorsuale e di un eventuale profilo esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari"; - gli artt. 2 e 3, del D.M. n. 243 del 25 maggio 2011, recano i criteri e i parametri per la valutazione preliminare degli aspiranti, fra cui quello che le commissioni giudicatrici comparano il curriculum e i titoli dei candidati "facendo riferimento allo specifico settore concorsuale e all'eventuale profilo definito esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari, debitamente documentati", nonché le pubblicazioni "tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari, ovvero con tematiche interdisciplinari ad essi correlate"; - sulla base dell'art. 15 del d.lgs. n. 240/2010, i settori concorsuali e i relativi settori scientifico-disciplinari sono definiti, secondo criteri di affinità, con apposito decreto ministeriale. Sulla base delle suddette coordinate normative, il ragionamento del Tar ha preso le mosse dalla legittima e condivisa premessa secondo cui, per un verso, la congruenza dell'attività del candidato con i contenuti del settore scientifico-disciplinare per il quale è bandita la procedura rappresenta uno dei parametri specificatamente indicati dalla normativa per misurare il profilo scientifico dei partecipanti ad un concorso universitario a posti di docente o ricercatore, mentre, per un altro verso, l'individuazione del nesso di interdisciplinarietà non può essere rimesso alla scelta soggettiva dei commissari, ma deve invece basarsi su una preventiva tipizzazione operata a livello normativo. Sulla base di queste premesse, il Tar ha tratto delle considerazioni corrette, ovverossia che: i) dalla piana lettura delle declaratorie dei due settori scientifico-disciplinari BIO/08 - Antropologia e M-DEA/01 - Discipline demoetnoantropologiche, nonché dei relativi settori concorsuali 05/B1 - Zoologia e Antropologia e 11/A5 - Scienze demoetnoantropologiche, è possibile distinguere due diverse branche di antropologia: l'antropologia fisica o biologica (settore scientifico-disciplinare BIO/08 - Antropologia, settore concorsuale 05/B1 - Zoologia e Antropologia), che studia l'uomo come "fenomeno biologico" e, quindi, la storia naturale del genere umano, approfondendone l'origine, l'evoluzione sotto l'aspetto organico e naturalistico, nonché le caratteristiche biologiche, la variabilità genetica tra le popolazioni e le modalità di adattamento all'ambiente; e l'antropologia culturale o demoetnoantropologia (settore scientifico-disciplinare M-DEA/01 - Discipline demoetnoantropologiche, settore concorsuale 11/A5 - Scienze demoetnoantropologiche), che studia l'uomo come "fenomeno culturale" e, quindi, i processi socio-culturali delle civiltà umane, antiche e contemporanee; ii) dal curriculum prodotto dalla originaria controinteressata nella procedura in contestazione, emerge che il suo profilo scientifico e didattico, senza alcun dubbio pregevole, si è tuttavia sviluppato negli ambiti della sociologia, con particolare riferimento al campo educativo, e dell'antropologia della salute, nelle sue declinazioni culturali ed etnomediche (in particolare, la dottoressa -OMISSIS- è dottore di ricerca in "Valutazione dei processi e dei sistemi educativi", titolo conseguito presso la Scuola di dottorato in Scienze umane e sociali dell'Università degli Studi -OMISSIS-; è in possesso dell'abilitazione scientifica nazionale a professore di seconda fascia per i settori concorsuali 14/C1 - Sociologia generale e 14/C2 - Sociologia dei processi culturali e comunicativi; nella descrizione della propria attività di ricerca, la stessa candidata scrive che "Lavora sui temi della promozione della salute, della cura centrata sulla persona e dell'applicazione dell'antropologia nel contesto dell'assistenza sociosanitaria. I suoi interessi principali sono le interconnessioni tra migrazione, salute, vulnerabilità sociale e disuguaglianze nell'accesso ai servizi sanitari. Collabora stabilmente con centri di ricerca internazionali nella valorizzazione e promozione del patrimonio culturale materiale e immateriale legato alle pratiche tradizionali di cura dei popoli"; dall'a.a. 2014/2015, la dottoressa -OMISSIS- è professore a contratto degli insegnamenti di "Antropologia della Salute" e di "Approccio alle professioni sanitarie: uno sguardo antropologico" nei corsi di laurea delle Professioni Sanitarie presso l'Università -OMISSIS- afferenti al settore scientifico disciplinare M-DEA/01 - Discipline demoetnoantropologiche; i suoi progetti di ricerca concernono principalmente tematiche di carattere educativo e socio-culturale e non biologico-naturalistico). Infine, il Tar ha spiegato anche le ragioni per le quali non sono fondate le difese dell'Ateneo e della originaria controinteressata incentrate sull'assunto che la materia dell'antropologia della salute dovrebbe ritenersi pienamente congruente con il posto messo a concorso e che la commissione avrebbe stabilito di valutare la congruenza dei titoli e delle pubblicazioni non solo con il s.s.d. BIO/08, ma anche rispetto a "tematiche interdisciplinari correlate", fra le quali si collocherebbero quelle dell'antropologia della salute. Innanzitutto, sul piano formale e tassonomico, le declaratorie di cui ai DD.MM. 4 ottobre 2000 e 30 ottobre 2015 n. 855 distinguono nettamente l'antropologia fisica di cui al s.s.d. BIO/08 dall'antropologia culturale di cui al s.s.d. M-DEA/01. In secondo luogo, l'autonomia didattica e scientifica riconosciuta all'Università non può sortire l'effetto di dilatare il perimetro delle esperienze scientifiche e didattiche rilevanti ai fini della selezione pubblica di un ricercatore in Antropologia BIO/08, che deve rispettare il preciso e vincolante sistema ministeriale delle classificazioni per settori scientifico-disciplinari, al fine di evitare che si introducano elementi di giudizio che renderebbero relativistica, soggettivistica e, in definitiva, eccessivamente opinabile, la valutazione da esprimere. Inoltre, l'antropologia culturale e, all'interno di essa, quella della salute, non possono essere ricondotte nemmeno alle "tematiche interdisciplinari correlate" con il s.s.d. BIO/08, in quanto non è normativamente prevista un'affinità con il s.s.d. M-DEA/01 - Discipline demoetnoantropologiche, che appartiene alla differente area disciplinare 11 (Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche) e, all'interno di questa, al settore concorsuale delle scienze demoetnoantropologiche. 12. Pure infondato è il secondo motivo di appello principale, con cui si ripropone la censura concernente l'asserita violazione del DM 4 ottobre 2000 e la violazione dei limiti del sindacato giurisdizionale amministrativo, nonché l'eccesso di potere giurisdizionale e il difetto di giurisdizione. Ci si riporta, per ragioni di celerità e sinteticità degli atti processuali, a tutte le considerazioni illustrate nel punto precedente, in quanto il Tar ha correttamente ricostruito il quadro normativo di riferimento all'interno del quale si colloca la fattispecie concreta, e ne ha tratto ragionevoli conclusioni in punto di classificazione dei relativi settori scientifico-disciplinari, rimanendo all'interno del perimetro proprio dell'esegesi normativa e rappresentandone, anzi, la diretta ed immediata attuazione, a fronte di un operato amministrativo che aveva esondato dai propri limiti, superando le classificazioni tassonomiche disegnate dal legislatore. 13. Pure infondato è il terzo motivo dell'appello principale, con cui si reitera nuovamente la censura della violazione dei limiti del sindacato giurisdizionale amministrativo, dell'eccesso di potere giurisdizionale e del difetto di giurisdizione, sotto il profilo dell'erroneità dei principi conformativi dettati dal Tar in vista del riesercizio del potere valutativo. In realtà, i principi conformativi enunciati dal Tar rappresentano la diretta e necessitata conseguenza logico-giuridica della premessa distintiva fra i due settori dell'antropologia naturale e dell'antropologia culturale, sicché il ragionamento del Tar si appalesa del tutto corretto anche in tale parte e, di conseguenza, l'Ateneo dovrà valutare i titoli e le pubblicazioni della dottoressa -OMISSIS- per stabilire se gli stessi siano o meno congruenti con il settore BIO/08 e le tematiche interdisciplinari. 14. Alla luce delle suddette considerazioni, sono infondati pure il quarto e il quinto motivo di appello principale, con cui si contestano, più nello specifico, alcune argomentazioni poste dal Tar a supporto del proprio ragionamento logico-giuridico, che va dunque complessivamente confermato. 15. Anche il sesto motivo di appello principale, che deduce l'eccesso di potere giurisdizionale sotto il profilo della violazione e del travisamento dei criteri valutativi predeterminati dalla Commissione, non è fondato. La censura investe, in particolare, il capo di sentenza che ha riconosciuto la illogicità del giudizio di "ottima diffusione" assegnato a 7 pubblicazioni su 12 della originaria controinteressata, che non risultano indicizzate nelle principali banche dati dei settori scientifico bibliometrici, quali il settore di interesse BIO/08. A questo proposito, il Collegio rileva che il ragionamento seguito dal primo giudice, secondo cui il criterio della diffusione corrisponde nella sostanza a quello della rilevanza scientifica della collocazione editoriale, sia corretto, essendo del tutto logica e condivisibile la considerazione, oggettiva e dunque positivamente riscontrabile, che "essendo il s.s.d. BIO/08 un settore bibliometrico, è evidente che - per valutare la circolazione e l'impatto delle pubblicazioni - non può prescindersi (perlomeno, non completamente) dal censimento della fonte in "Sc." o in altre banche dati di comune riferimento". 16. Pure il settimo motivo di appello principale è infondato. Il Collegio, condividendo sul punto i rilievi mossi dal Tar dall'operato della Commissione, ritiene irragionevole che non sia dato risalto al possesso della specifica abilitazione a professore di seconda fascia (ASN) per il settore BIO/08 conseguita dalla originaria ricorrente, svilendosi, di fatto, un titolo di specifico rilievo per la selezione di un ricercatore di tipo B, nell'ampia e generica categoria dei "premi e riconoscimenti", alla quale è riconosciuto un solo punto massimo conseguibile. Correttamente, dunque, il Tar ha ritenuto che detta scelta della Commissione sia stata connotata da una irrazionalità di fondo, non potendosi porre sullo stesso piano una concorrente dotata di ASN e una del tutto sfornita, come l'odierna appellante. 17. Vanno ora esaminati congiuntamente i motivi VIII, IX e X dell'appello principale. Le doglianze sono tutte infondate in quanto: i) occorre fare riferimento alla dizione con cui l'originaria ricorrente figurava nelle pubblicazioni, ossia come primo o ultimo autore; ii) la Commissione ha il potere di non valutare i titoli che non presentano i requisiti previsti, venendo in rilievo una fattispecie di mancata attribuzione di punteggio piuttosto che di esclusione non tipizzata; iii) il bando non osta a che un'opera monografica origini da una rielaborazione e uno sviluppo di una precedente tesi di dottorato; iv) il giudizio di congruenza espresso dalla Commissione in quanto una pubblicazione è stata ritenuta come "appartenente principalmente al SSD BIO/08" riguarda il contenuto di quella specifica pubblicazione e non può costituire argomento per affermare la interdisciplinarietà con il settore MED/02. 18. Infine, sulla base delle succitate considerazioni, è pure infondato il decimo e ultimo motivo di appello principale, che si limita a contestare i precetti conformativi dettati dal Tar a conclusione del proprio ragionamento, i quali dunque vanno anch'essi pienamente confermati e ai quali si dovrà attenere l'Ateneo nel ripetere il giudizio valutativo. 19. Va ora esaminato l'appello incidentale. 20. È innanzitutto infondato il primo motivo con cui l'originaria ricorrente ripropone la censura dell'omessa decisiva valutazione nei propri confronti (nell'ambito delle categorie n. 3 e, in subordine, n. 4 della griglia di valutazione predisposta dalla Commissione) di quattro documentati titoli che le avrebbero permesso di sopravanzare in graduatoria la originaria controinteressata, e segnatamente: 1. l'essere stata Coordinatore del Centro di Ricerca universitario in Osteoarcheologia e Paleopatologia del Dipartimento di Biotecnologia e Scienze della Vita dell'Università dell'-OMISSIS-; 2. l'incarico di ricerca presso l'"Insitut fu r Assyriologie un Hethitologie" dell'Università di -OMISSIS-; 3. l'incarico di Tutor del tirocinio in Archeobiologia per i corsi di laurea in Biotecnologie e Scienze Biologiche presso l'Università dell'-OMISSIS-; 4. l'essere tecnico di laboratorio presso il Dipartimento di Biotecnologie e Scienze 22 della Vita dell'Università dell'-OMISSIS-. Il Collegio rileva che il ragionamento logico-giuridico seguito dal primo giudice sfugga alle critiche mosse in quanto: 1. le funzioni statutarie del Coordinatore della ricerca non consistono in attività di ricerca attiva o in attività di coordinamento degli studiosi, bensì in attività di coordinamento delle presenze in laboratorio, e quindi di assistenza alla ricerca; 2. l'attività di formazione e ricerca presso qualificati istituti italiani o stranieri doveva essere documentata, oltre che dichiarata nel curriculum; 3. i criteri valutativi stabiliti dalla Commissione contemplavano l'assegnazione di punteggi per la titolarità di contratti per lo svolgimento di attività di supporto alla didattica in corsi universitari, ma non anche per l'attività di tutorato, fra l'altro a supporto dei tirocini; 4. la conduzione del laboratorio menzionata nel contratto individuale non è attività corrispondente o equivalente alla direzione scientifica del laboratorio, trattandosi di attività materiale ed esecutiva finalizzata alla conduzione tecnica del medesimo (ad esempio, attraverso l'acquisto, la catalogazione, l'organizzazione, la dislocazione dei materiali e delle attrezzature, il periodico riordino). 21. È poi infondato il secondo motivo di appello incidentale con cui ci si duole del parziale accoglimento del ricorso incidentale della originaria controinteressata, per la semplice evidenza che: i) fra i titoli valutabili nel concorso vi era quello dei progetti assegnati con procedure competitive, per cui non possono essere annoverati in tale categoria i bandi a sportello che si risolvono nel finanziamento dei progetti nell'odine cronologico di presentazione "fino ad esaurimento disponibilità "; ii) il bando di concorso non richiedeva ai partecipanti di dimostrare il possesso dei titoli autodichiarati, quale quello di cultore della materia dichiarato dalla originaria controinteressata; iii) il dato relativo alle citazioni ha natura intrinsecamente oggettiva ed è finalizzato ad evidenziare l'interesse (terzo ed imparziale) che la comunità scientifica nutre verso un determinato elaborato, sicché è ragionevole che il suddetto dato sia epurato dalle autocitazioni, che sono di per sé espressione di un punto di vista personalistico ed interessato; iv) il giudizio della Commissione è insufficiente e non esplicita le argomentazioni oggettive sulla base delle quali talune produzioni della originaria ricorrente sarebbero congruenti con il s.s.d. BIO/08 o con un settore affine, sicché in tale parte il giudizio va ripetuto ed emendato del difetto istruttorio e motivazionale. 22. In definitiva, alla luce delle suddette considerazioni, vanno respinti sia l'appello principale, sia quello incidentale. 23. Di conseguenza, vanno assorbite tutte le restanti censure riproposte dalla odierna appellante incidentale in via subordinata, ovverossia per la sola ipotesi di accoglimento dell'appello principale. 24. Le spese del giudizio sono compensate in considerazione della reciproca soccombenza parziale. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello n. 8254/2022, come in epigrafe proposto, respinge l'appello principale e quello incidentale e compensa le spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Vista la richiesta dell'interessato e ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'appellante principale e l'appellante incidentale. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere, Estensore Sergio Zeuli - Consigliere Maurizio Antonio Pasquale Francola - Consigliere Marco Valentini - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9631 del 2016, proposto da Ma. Ca. Ad., Gi. Ca. Ad., rappresentati e difesi dagli avvocati Lu. Co. e Gi. Co., con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo, in Roma, via (...); contro Comune di Genova, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. De Pa., Ga. Pa., con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 436/2016 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Genova; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 28 marzo 2023 il Cons. Sergio Zeuli e uditi per le parti, ai sensi dell'art. 87, comma 4-bis c.p.a. e dell'art. 13-quater disp. att. c.p.a. (articolo aggiunto dall'art. 17, comma 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113.), gli avvocati De Pa., Co. e Co.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il presente procedimento origina dal crollo che, a causa del maltempo, ha interessato il muro di contenimento a secco, sulla via (omissis) del comune di Genova, che, a sua volta, ha ostruito il cancello di ingresso del civico (omissis) di detta via, impedendone l'accesso ai residenti. Dal rapporto tecnico redatto dall'Ufficio Pubblica Incolumità del comune, il 12 ottobre del 2010, si rileva che, dopo il sinistro, si era ritenuto necessario chiudere un tratto di quella via, di circa 15 metri, nonché sgombrare due unità abitative, contrassegnate dagli interni nn. (omissis), dello stesso civico (omissis). 2. In via preliminare vanno accolti i primi due motivi di appello e, per l'effetto, riformata, in parte qua, la pronuncia di primo grado, che ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso, per omessa notifica, nei termini, ai controinteressati nonché la sua inammissibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, perché, al provvedimento impugnato, sarebbe seguito un ulteriore provvedimento avente ad oggetto un ordine di ripristino del muro crollato, mai impugnato dagli interessati. 2.1. Quanto alla prima, si osserva che è troppo generica, in parte erronea, e comunque non pienamente dimostrata, la deduzione della parte appellata secondo cui sarebbero stati agevolmente individuabili i controinteressati al ricorso introduttivo. Innanzitutto perché, in tesi, i controinteressati erano i soggetti per la cui incolumità ha agito il comune, ossia l'intera comunità dallo stesso rappresentata, il che rendeva difficile, se non impossibile, la pretesa individuazione. In secondo luogo, anche a voler identificare questi ultimi negli abitanti del civico (omissis) di via (omissis) di Genova, non vi è prova che la frana fosse colposamente addebitabile alla parte appellante e, dunque, è dubitabile che sussista, nel senso corretto del termine, un (o più ) effettivo/i controinteressato/i. 2.2. Quanto alla seconda dichiarazione, fondata sul successivo provvedimento n. 11312 del 25 marzo del 2016, che avrebbe sostituito il precedente, caducando l'interesse della parte a gravarlo, in disparte la considerazione, pure assorbente, che detto provvedimento non risulta essere stato notificato a Gi. Ca. Ad., uno degli appellanti, si osserva che il contenuto di quest'ultimo era quanto meno ambiguo: infatti è vero che conteneva un ordine di ripristino, ma si concludeva rappresentando alla parte che quella comunicazione valeva ai sensi dell'art. 7 della L. 241 del 1990. In considerazione della non particolare chiarezza del suo contenuto, non è possibile far derivare da esso un profilo di improcedibilità sopravvenuta del gravame, anche considerando che la parte insiste per la sua definizione nel merito. 3. Il terzo motivo di appello sostiene che, essendo trascorsi alcuni giorni tra l'evento pericoloso, verificatosi il 6 ottobre del 2010, e l'ordinanza impugnata, che è stata emessa solo il 3 novembre successivo, questo escluderebbe di per sé solo il presupposto dell'urgenza palesando, oltre che, una carenza di potere in concreto a carico dell'autorità procedente, anche la violazione dell'articolo 7 della l. 241 del 1990 perché l'amministrazione aveva il tempo di inviare la comunicazione di avvio del procedimento. 3.1. Il motivo è infondato, innanzitutto perché il lasso temporale indicato, inferiore ad un mese, non presenta una durata tale da escludere la sussistenza delle ragioni d'urgenza. D'altro canto l'atto impugnato ha espressamente indicato in cosa consistessero queste ultime, puntualmente richiamando il ricordato rapporto tecnico del 12 ottobre, redatto nella quasi immediatezza del sinistro, in base al quale si era provveduto ad adottare, in fatto, le necessarie misure e cioè transennare la pubblica via, interdicendo il relativo accesso, e sgomberare le due abitazioni private. Dunque può osservarsi che l'ordinanza impugnata è a sua volta intervenuta su attività urgente di fatto, già posta in essere dal Comune, convalidando la stessa, in termini provvedimentali, attribuendole la corretta veste di un'ordinanza di necessità ed urgenza. E' allora incontestabile che il ricorso a quest'ultima tipologia fosse adeguatamente giustificato nell'atto, che, come detto, ha puntualmente allegato, quali eventi imprevisti e non altrimenti fronteggiabili, le descritte situazioni." (cfr. Cons. Stato, Sez. V, Sentenza, 23/09/2015, n. 4466). Lo stato di fatto e di diritto ivi rappresentato consentiva, peraltro in conformità a quanto previsto dall'art. 7 comma 2 della L. 241 del 1990, all'ente locale di prescindere dall'invio agli interessati della comunicazione di avvio del procedimento che, per le segnalate ragioni di urgenza, si sarebbe risolto in un inutile aggravio del procedimento, rischiando anche di incidere sull'efficienza delle misure adottate. D'altronde, anche per quanto si dirà in prosieguo, il contenuto dell'atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, con definitiva dequotazione della censura in esame. 4. Il quarto motivo di appello contesta alla sentenza impugnata di non aver rilevato che l'ordinanza contingibile ed urgente non era stata comunicata, in violazione di quanto previsto dalla legge, al Prefetto territorialmente competente. 4.1. Il motivo è infondato perché in conformità alla prevalente giurisprudenza amministrativa, dalla quale non v'è motivo di discostarsi in questa sede si osserva che la comunicazione preventiva al prefetto non costituisce requisito di legittimità dell'ordinanza contingibile ed urgente emessa dal Sindaco ex art. 54 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (T.U. Enti locali); detta comunicazione, infatti, non è volta all'acquisizione di un parere preventivo o di altro apporto istruttorio, ma ha soltanto finalità organizzative per consentire al prefetto la predisposizione degli strumenti necessari alla sua attuazione e fargli conoscere in anticipo il suo contenuto al fine di esonerare l'amministrazione statale da eventuali profili di responsabilità derivanti dall'aver concesso l'uso della forza pubblica per l'esecuzione di ordinanze illegittime" (sul punto, ex multis Consiglio Di Stato, Sez. IV, sent. n. 4802/2021 5. Il quinto motivo di appello lamenta il difetto di istruttoria nell'ordinanza impugnata, segnalando, da un lato, che il Comune appellato, una volta venute meno, con l'effettuazione dello sgombero, le ragioni di urgenza, avrebbe potuto provvedere anche con gli strumenti ordinari e, dall'altro, che in relazione al muro caduto, essendo esso pertinenziale alla pubblica via, ed essendo stata la frana provocata da terzi e non dai destinatari dell'ordinanza, competente a provvedere, in quanto tenuto alla manutenzione ordinaria del bene, avrebbe dovuto essere lo stesso comune e non la parte appellante. 6.1. Il motivo, nella sua duplice articolazione, non è fondato. Quanto all'essere venute meno le ragioni di urgenza, una volta effettuato lo sgombero dell'edificio, la deduzione è contraddittoria e pertanto non accoglibile. Innanzitutto perché lo sgombero rappresentò la diretta conseguenza dell'evento dannoso verificatosi, e dunque, lungi dal rappresentarne una causa risolutiva, semmai aveva aggravato l'emergenza. D'altronde, proprio in ragione della inagibilità delle unità abitative, permaneva lo stato di urgenza, il che legittimava e, addirittura, imponeva al comune di adottare l'ordinanza contingibile, rendendo, per contro, inefficiente il ricorso agli strumenti ordinari. 6.2. Quanto al chi fosse competente per l'intervento di rifacimento del muro, basti osservare - come condivisibilmente rappresentato dalla parte appellata - che, seppure le cause della frana fossero rinvenibili in fatti non imputabili alla parte appellante, quest'ultima, in quanto proprietaria del fondo sovrastante, sarebbe comunque tenuta a metterlo in sicurezza, come previsto dall'art. 30 del codice della strada. In questo senso: "Ove le opere di sostegno insistano sulle ripe, esse sono sempre e comunque a carico del proprietario del fondo, in linea con la disciplina generale in materia di responsabilità aquiliana secondo cui "ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia (art. 2051 c.c.). In definitiva, l'art. 31 del D.Lgs. n. 285 del 1992 contiene una disciplina speciale e derogatoria per le ripe rispetto a quella dell'art. 30 con riferimento alla ripartizione "ordinaria" degli oneri delle opere di sostegno: le norme di cui agli artt. 30 e 31 del Codice della Strada delineano, infatti, un quadro stabile dei rapporti tra proprietari dei fondi finitimi e enti proprietari delle strade, addossando ai primi gli oneri della manutenzione delle ripe dei fondi laterali ovvero la realizzazione di opere di mantenimento" (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 31/05/2021, n. 4184; conforme Sez. III, 26/01/2017, n. 329). 8. Questi motivi inducono al rigetto dell'appello. Le ragioni della controversia, così come la constatazione che non vi è prova che il crollo fu dovuto all'incuria della parte appellante, giustificano la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 28 marzo 2023, tenuta da remoto ai sensi dell'art. 17, comma 6, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giovanni Sabbato - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Giorgio Manca - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10342 del 2021, proposto dai signori Ch. Am. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Gu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Ministero dell'Istruzione, Ufficio Scolastico Regionale Campania, Ufficio Scolastico Regionale Lazio, Ufficio Scolastico Regionale Friuli Venezia Giulia, Ufficio Scolastico Regionale Puglia, Ufficio Scolastico Regionale Toscana, Ufficio Scolastico Regionale Lombardia, Ufficio Scolastico Regionale Sardegna, Ufficio Scolastico Regionale Marche, Ufficio Scolastico Regionale Veneto, Ufficio Scolastico Regionale Liguria, Usr - Ufficio Scolastico Regionale Sicilia - Direzione Generale, Ufficio Scolastico Regionale Piemonte, Ufficio Scolastico Regionale Calabria, Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Regionale Basilicata, Ufficio Scolastico Regionale Umbria, Ufficio Scolastico Regionale Molise, Ufficio Scolastico Regionale Abruzzo, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via (...); Ufficio Scolastico Regionale per L'Abruzzo, non costituito in giudizio; nei confronti Signora An. Li., non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 10905/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio degli Uffici del Ministero dell'Istruzione; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 marzo 2023 il Cons. Raffaello Sestini, nessuno presente per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Gli appellanti impugnano la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sez. III bis, n. 10905/2021 depositata in data 25 ottobre 2021, con la quale veniva dichiarato inammissibile il ricorso collettivo proposto avverso le graduatorie definitive ed il d.D.G. 23 aprile 2020 n. 510, recante bando di indizione della procedura straordinaria di reclutamento del personale ai sensi dell'art. 1 del d.l. 29 ottobre 2019 n. 126 (conv. dalla L. 20 dicembre 2019 n. 159), nella parte in cui prevede una prova scritta selettiva da intendersi superata con il conseguimento del punteggio minimo pari a 56/80 (art. 13), nonché nella parte in cui prevede la formazione di una graduatoria di vincitori e/o idonei all'assunzione (art. 15). 2 - Il Ministero argomenta ampiamente circa l'inammissibilità del ricorso collettivo di primo grado e, comunque, circa la legittimità della previsione della soglia di sbarramento impugnata in primo grado. 3 - In sede di sommaria delibazione il Consiglio di Stato, con ordinanza del 24 gennaio 2022, ha respinto la domanda cautelare motivando circa l'assenza del fumus. 4 - In particolare, con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado gli odierni appellanti rappresentavano di essere tutti docenti precari in possesso di un'anzianità di servizio pre-ruolo almeno triennale, maturata su posti vacanti e disponibili, e quindi chiedevano di veder stabilizzato il proprio rapporto lavorativo sulla base di procedure di assunzioni di tipo idoneativo e non selettivo. Essi pertanto impugnavano le graduatorie definitive nonché il d.D.G. 23 aprile 2020 n. 510, recante bando di indizione della procedura straordinaria di reclutamento del personale ai sensi dell'art. 1 del d.l. 29 ottobre 2019 n. 126 (conv. dalla L. 20 dicembre 2019 n. 159), siccome delineavano un meccanismo concorsuale altamente competitivo che determinava la concorrenza su un novero di posti estremamente limitato. Al riguardo venivano articolate plurime censure intese a contestare l'impianto della procedura, alla quale gli odierni appellanti avevano comunque partecipato non superando la prova scritta. Veniva inoltre dedotta una specifica questione incidentale di legittimità costituzionale. Costituitosi il Ministero resistente, a seguito della Camera di Consiglio cautelare del 6 settembre 2021, con ordinanza interlocutoria n. 9548/2021 del 7 settembre 2021 il giudice di primo grado sottoponeva al contraddittorio delle parti la questione di ammissibilità del ricorso collettivo per asserita carenza dei presupposti, e all'esito della Camera di consiglio del 19 ottobre 2021, con sentenza n. 10905/2021 depositata in data 25 ottobre 2021 emessa in forma breve ex art. 60 cod. proc. amm., dichiarava il ricorso inammissibile in quanto collettivo e cumulativo, confermando un precedente in termini della medesima Sezione. 5 - Avverso la predetta sentenza viene proposto appello, deducendo gli appellanti i motivi di seguito sintetizzati. 5.1 - In primo luogo viene dedotta l'erroneità della sentenza appellata per "error in iudicando. violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 111 e 113 cost. violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 35 e 40 cod. proc. amm. violazione e falsa applicazione dei principi in tema di proposizione del ricorso in forma collettiva. motivazione incongrua e perplessa". La sentenza impugnata, infatti, dichiarerebbe inammissibile la domanda giudiziale sulla scorta di motivazioni che non attengono al merito della controversia o alla sussistenza dei presupposti di accesso alla tutela interinale, ma si fondano invece sull'ammissibilità del ricorso per la proposizione dell'azione in forma collettiva, con una visione ritenuta rispondente a "meri schemi formali ed atomistici", il cui effetto sarebbe solo la produzione di decine o centinaia, di cause-fotocopia, sulla base dell'erroneo assunto secondo cui il ricorso sarebbe e finalizzato ad impugnare graduatorie distinte e non riferibili a ciascun candidato e, quindi, alla parte processuale collettivamente intesa. Vi sarebbe però un manifesto errore di percezione in ordine all'oggetto del giudizio, tenuto conto del petitum sostanziale del ricorso proposto. Il diritto azionato, infatti, era da individuarsi nella pretesa ad ottenere la stabilizzazione della propria posizione lavorativa, siccome docenti muniti di anzianità di servizio almeno triennale, mediante procedure idoneative e non selettive. Di talché, da un lato, con impugnazione parziale del bando concorsuale volta quindi all'eliminazione della soglia di idoneità della prova scritta ed alla previsione di una graduatoria di soli vincitori, gli odierni appellanti intendevano ottenere la trasformazione della procedura in canale a scorrimento integrale, e, dall'altro, con espressa domanda di accertamento, essi chiedevano il riconoscimento del diritto in parola sulla base della costante giurisprudenza europea e nazionale. In tal modo l'accoglimento del ricorso avverso l'atto generale non sarebbe stato suscettibile di caducare integralmente le graduatorie medio tempore approvate. 5.2 - In secondo luogo vengono dedotti i vizi di "error in iudicando. violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 60, 74 e 88 cod. proc. amm. omessa pronuncia sui motivi di ricorso". Ciò in quanto la sentenza impugnata ometterebbe qualsiasi disamina delle censure sollevate nel ricorso introduttivo del giudizio di prime cure, ritenendo erroneamente che ogni valutazione sia impedita dalla sussistenza di una questione preliminare di inammissibilità . Gli appellanti al riguardo rinviano quindi ai motivi di impugnazione (di seguito sintetizzati) non esaminati dal TAR. 5.3 - In particolare in primo grado gli odierni appellanti, premessa la giurisdizione del TAR, la competenza del TAR del Lazio e l'ammissibilità del ricorso in forma collettiva, deducevano la "violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 97 e 117 cost. violazione e falsa applicazione della direttiva 1999/70/ce. violazione e falsa applicazione dell'art. 19 del d.lgs. 15 giugno 2015 n. 81. violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 70 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165. violazione e falsa applicazione dell'art. 9 del d.l. 13 maggio 2011 n. 70 (conv. con l. 12 luglio 2011 n. 106). violazione e falsa applicazione dell'art. 1 del d.l. 25 settembre 2009 n. 134 (conv. con l. 24 novembre 2009 n. 167)", ritenendo i provvedimenti impugnati non idonei ad assicurare piena ed integrale tutela nei confronti dei docenti precari che avevano maturato un'anzianità di servizio pari a 36 mesi ovvero tre annualità complete ai sensi dell'art. 11, co. 14 della L. 3 maggio 1999 n. 124, e pertanto non consentivano il ristoro dei pregiudizi patiti a causa dell'illecita reiterazione di contratti a tempo determinato. 5.4 - Veniva inoltre dedotta la "violazione e falsa applicazione dei principi di ragionevolezza, congruità e proporzionalità di cui agli artt. 3 e 97 cost. violazione e falsa applicazione dei principi di par condicio, trasparenza ed imparzialità di cui all'art. 1 della l. 7 agosto 1990 n. 241. violazione e falsa applicazione delle regole della concorsualità e del principio meritocratico. violazione e falsa applicazione del principio del favor partecipationis. violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 14 e 16 della direttiva comunitaria 2005/36/ce (modificata dalla direttiva 2013/55/ue). violazione del principio di proporzionalità . mancata valutazione dell'esperienza professionale maturata. eccesso di potere. irragionevolezza. manifesta illogicità . difetto di motivazione. difetto istruttorio. illegittimità della soglia di idoneità in quanto sensibilmente superiore alla sufficienza", dal momento che i provvedimenti impugnati comportavano l'esclusione di candidati che, all'esito della prova, avevano comunque conseguito un giudizio positivo, avendo ottenuto un punteggio almeno pari - se non superiore - alla sufficienza aritmetica espressa in centesimi (60/100). In tal senso, il mancato adeguamento della soglia di ammissione al reale fabbisogno di personale avrebbe prodotto una ingiustificata lesione del favor partecipationis nonché una evidente vanificazione del confronto concorrenziale fra i candidati rimasti nel concorso, il cui numero sarebbe stato corrispondente o, in alcuni casi, inferiore ai posti vacanti e disponibili messi a concorso. 5.5 - Da ultimo, veniva altresì proposta una questione incidentale di legittimità costituzionale, in quanto i provvedimenti impugnati violerebbero il diritto alla stabilizzazione dei ricorrenti scaturito dall'illecita reiterazione di incarichi a tempo determinato per un periodo complessivo pari ad almeno 36 mesi, in patente violazione della direttiva 1999/70/Ce secondo quanto già accertato dalla Corte di Giustizia UE. Le disposizioni normative contenute nell'art. 1 del d.l. 29 ottobre 2019 n. 126 (conv. con L. 20 dicembre 2019, n. 159), così come modificato e integrato dall'art. 2 del d.l. 8 aprile 2020 n. 22 (conv. con L. 6 giugno 2020 n. 22), si porrebbero pertanto in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza e trasparenza (art. 3 Cost.), imparzialità e buon andamento (art. 97 Cost.), di tutela del lavoro (art. 4 Cost.), di uguaglianza di accesso alle cariche pubbliche (art. 51 Cost.) nonché di conformità ai principi e delle norme dell'ordinamento europeo (art. 117 Cost.). 7 - L'Amministrazione contro deduce, con propria ampia relazione, la piena legittimità della procedura concorsuale, l'esattezza della sentenza impugnata e l'inammissibilità ed infondatezza dell'appello. 8 - Osserva il Collegio, preliminarmente, che, come rilevato dagli appellanti, il Tar ha errato nel dichiarare inammissibile il ricorso in quanto collettivo. Al riguardo, come recentemente affermato dalla Sezione in fattispecie analoghe (Cons. Stato, VII, n. 3998/2023), deve essere in primo luogo considerato che il ricorso originario appartiene ad una ricorrente serialità di impugnazioni aventi ad oggetto questioni identiche o analoghe. In relazione a ciò, non è infondato considerare legittimo un approccio giurisdizionale c.d. sostanzialistico che, in linea con quanto affermato nella sentenza n. 7045/2021 di questo Consiglio, richiamata da parte appellante sebbene afferente ad altro contesto, consenta di realizzare i principi di concentrazione e ragionevole durata del processo, evitando il proliferare di innumerevoli ricorsi identici su medesime censure di legittimità . Si tratta, come pure evidenziato dalla richiamata giurisprudenza, di accedere a una concezione non formalistica, fondata sull'identità del bene della vita oggetto del ricorso in riferimento all'interesse azionato dai ricorrenti. Nella controversia di cui è causa, sebbene le graduatorie impugnate non sono comuni a tutti i ricorrenti e le posizioni sono relative a ognuno di essi, non può essere condivisa la conclusione del primo giudice che fa discendere da ciò il difetto di qualsiasi interesse a impugnare, mediante ricorso cumulativo, graduatorie per le quali non è stata presentata domanda di inserimento. Si tratta, evidentemente, di prendere in considerazione un'eccezione al principio secondo cui ogni distinto provvedimento si impugna con distinto ricorso, eccezione tuttavia giustificata alla luce delle richiamate circostanze di contesto che, in questo come in altri casi analoghi, senza rappresentare un vulnus per i principi in materia di ricorsi collettivi, correttamente indicati dal giudice di primo grado, consenta tuttavia di non confliggere con altri rilevanti principi dello svolgimento del processo, come quelli richiamati di concentrazione e ragionevole durata. D'altro canto, va pure considerato che, nell'atto d'appello, con il quale si impugna il bando, viene rappresentato come la finalità dell'impugnazione fosse diretta a lamentare la disciplina generale del procedimento concorsuale, ritenuta lesiva, e come rispetto a questa, specificamente, sussistano l'identità della posizione sostanziale dei ricorrenti, l'identità dei motivi di censura, l'identità del tipo di pronuncia richiesto al giudice ed infine l'identità degli atti impugnati. E' pur vero che oggetto di impugnazione avanti il primo giudice sono state anche le distinte graduatorie. Tuttavia, può essere accolta la deduzione di parte appellante che la circostanza dell'impugnazione anche di distinte graduatorie non sia sufficiente a determinare nel caso di specie l'inammissibilità del ricorso collettivo, tenuto conto dell'affermata impugnazione tuzioristica di queste, al solo fine di evitare pronunce di inammissibilità, ma soprattutto alla luce della disamina dei motivi di ricorso e degli argomenti a tal fine sviluppati, che effettivamente non pongono in diretta contestazione la formazione di dette graduatorie. 9 - Con gli ulteriori motivi di appello, vengono riproposte le censure sollevate nel primo giudizio e non esaminate dal giudice, in quanto impedite dalla preliminare pronuncia di inammissibilità . Tali censure sono infondate e, conseguentemente, va respinto il ricorso di primo grado. 9.1 - La giurisprudenza amministrativa si è, infatti, già pronunciata nel senso della legittimità della previsione di una soglia di sbarramento, sotto forma di punteggio concorsuale minimo, ai fini dell'inserimento nella graduatoria di riferimento. In particolare, il decreto legge 29 ottobre 2019 n. 126, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 2019, n. 159, recante "Misure di straordinaria necessità ed urgenza in materia di reclutamento del personale scolastico e degli enti di ricerca e di abilitazione dei docenti", e il decreto legge 08 aprile 2020, n. 22, recante "Misure urgenti sulla regolare conclusione e l'ordinato avvio dell'anno scolastico e sullo svolgimento degli esami di Stato" convertito, con modificazioni, dalla legge 06 giugno 2020, n. 41, hanno dettato la disciplina della procedura concorsuale straordinaria finalizzata all'immissione in ruolo del personale docente della scuola secondaria di primo e secondo grado in numero di 32.000 insegnanti in organico dall'a.s. 2021/22, bandita con decreto dipartimentale del Ministero dell'istruzione 23 aprile 2020 n. 510 e ulteriormente modificata con D.D. 8 luglio 2020 n. 783. In tale quadro, l'art. 1, comma 10, prevede espressamente il superamento della prova scritta della predetta selezione per i soli candidati "che conseguano il punteggio minimo di sette decimi o equivalente". La pretesa di vedere eliminare la predetta soglia comporterebbe pertanto l'eliminazione del carattere concorsuale della procedura in materia di reclutamento stabile nei ruoli dell'Amministrazione, in violazione dell'art. 97 Cost. con la corrispondente violazione dei principi del merito, del pubblico concorso e del buon andamento dell'amministrazione perseguibile attraverso la scelta del miglior candidato. 9.2 - Con riferimento alla ragionevolezza della soglia stabilita, considera altresì il Collegio che, avendo il procedimento in oggetto carattere concorsuale e non di abilitazione, l'amministrazione ben poteva stabilire una soglia rapportata al numero dei candidati piuttosto che al numero di risposte giuste fornite da parte del candidato. 9.3 - Quanto, poi, alla previsione del requisito di conoscenza al livello B2 della lingua inglese, la stessa non appare né ultronea né irragionevole rispetto alla previsione dell'art. 37 del d.lgs. 165/2001, come modificato dall'art. 7 d.lgs. 75/2017, secondo la quale i bandi di concorso per l'accesso alle pubbliche amministrazioni prevedono l'accertamento della conoscenza della lingua inglese nonché, ove opportuno in relazione al profilo professionale richiesto, di altre lingue straniere. La citata disposizione normativa, infatti, da un lato indica espressamente la lingua inglese quale idioma straniero di cui si prevede l'accertamento della conoscenza, dall'altro si riferisce ad altre lingue straniere a condizione che sia ritenuto opportuno in relazione al profilo professionale richiesto. In tale cornice primaria, risulta evidentemente rimessa alla discrezionalità dell'amministrazione, che nel caso di specie è stata esercitata in modo ragionevole, determinare in sede di bando di concorso la lingua prescelta, mentre per converso non risulta provato che le relative prove richiedano o abbiano richiesto una conoscenza "eccezionalmente approfondita", come lamentato da parte appellante. 9.4 -Neppure risultano fondate le censure di violazione della normativa e della giurisprudenza euro unitaria in tema di abusiva reiterazione dei contratti a termine, risultando manifestamente infondata la dedotta questione di legittimità costituzionale. Gli appellanti contestano la legittimità dei provvedimenti impugnati in quanto non idonei ad assicurare piena e integrale tutela nei confronti dei docenti precari che hanno maturato un'anzianità di servizio pari a 36 mesi ovvero tre annualità complete ai sensi dell'art. 11, co. 14 della legge 3 maggio 1999, n. 124, e pertanto non idonei a soddisfare la pretesa al ristoro dei pregiudizi patiti a causa dell'illecita reiterazione di contratti a tempo determinato. La questione è stata già affrontata in plurime decisioni di questa Sezione, qui richiamate e condivise, alla luce delle quali (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sezione VII, n. 3699/2023) " (....) l'Adunanza Plenaria, 20 dicembre 2017, n. 11 ha chiarito che "la normativa in esame, così come interpretata e ricostruita non solleva...dubbi di illegittimità costituzionale o di contrarietà con l'ordinamento dell'Unione Europea", evidenziando in proposito che "nella situazione in esame appare ragionevole ed ispirato a consistenti ragioni di interesse pubblico il ripristino a regime del sistema di reclutamento degli insegnanti attraverso selezione concorsuale per esami, con salvaguardia delle sole più antiche posizioni di "precariato storico", per evidenti ragioni sociali. Ragioni, quelle appena indicate, che giustificano pienamente l'attuale disciplina anche in rapporto al diritto comunitario, con particolare riguardo alla clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio in data 28 giugno 1999, che esclude ogni discriminazione dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato e postula estensione ai primi degli istituti propri del rapporto dei secondi (...). Come chiarito dalla giurisprudenza, tuttavia, spetta al giudice nazionale una delicata valutazione - da condurre caso per caso - al fine di verificare la sussistenza, o meno, di "ragioni oggettive", che a norma della medesima direttiva possono giustificare un trattamento differenziato dei lavoratori a tempo determinato (Corte di Giustizia, Valenza e a. - da C-302/11 a C-305/11). Per l'individuazione di tali ragioni, in effetti, non si rinvengono parametri di riscontro nella direttiva 1999/70/CE, ma la Corte di Giustizia (Grande sezione, sentenza del 4 luglio 2006, causa C-212/04 -Adeneler) ha precisato che il significato e la portata della relativa nozione debbono essere determinati in funzione dell'obiettivo perseguito dall'accordo-quadro e, in particolare, del contesto in cui si inserisce la clausola 5, n. 1, lettera a) dello stesso (...) "È di tutta evidenza che le disposizioni normative in esame rispondono pienamente alla disciplina comunitaria, in quanto, appunto, volte ad eliminare il precariato (pur nel rispetto di parametri di gradualità, introdotti a tutela di situazioni a lungo protrattesi nel tempo e destinate alla stabilizzazione), con tendenziale, generalizzato ritorno ai contratti di lavoro a tempo indeterminato, previa selezione concorsuale per merito, nel già ricordato interesse pubblico alla formazione culturale dei giovani, che la scuola deve garantire attraverso personale docente qualificato (....)". Ed inoltre (Consiglio di Stato, Sezione VII, n. 3077/2023) " (....) - nella stessa sentenza Mascolo la Corte di Giustizia ha ritenuto aleatoria la possibilità per un docente che abbia effettuato supplenze, ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 124/1999, in una scuola statale di ottenere la trasformazione dei suoi contratti di lavoro a tempo determinato successivi in un contratto o in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con immissione in ruolo per effetto dell'avanzamento in graduatoria; con la conseguenza che tale possibilità non potrebbe comunque essere considerata una sanzione a carattere sufficientemente effettivo e dissuasivo ai fini di garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (punti 116 e 117); - in ogni caso, dall'accordo quadro in esame e dalla sentenza Mascolo non è possibile evincere un dovere di stabilizzazione in favore degli appellanti in termini di effetti reali (cfr. anche Corte Cost. n. 187 del 2016) (.....) Tale pronuncia (Mascolo) si limita a prevedere che "quando, come nel caso di specie, il diritto dell'Unione non prevede sanzioni specifiche nell'ipotesi in cui vengano nondimeno accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere non solo proporzionato, ma anche sufficientemente energico e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell'accordo quadro" (punto 77). 27.3 In riferimento a quest'ultima precisazione, va ricordato, dovendosi sul punto escludere ogni contrasto con i principi generali di uguaglianza e di non discriminazione tra dipendenti pubblici e privati, che la diversità di tutele tra lavoro pubblico e privato - dove l'illegittimo ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato comporta, in caso di violazione delle prescrizioni dettate dal d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, la conversione del rapporto (ex plurimis, Cass., 23 agosto 2006, n. 18378) - è stata ritenuta legittima non soltanto dalla Corte costituzionale (sentenza n. 89 del 2003), ma anche dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea, che ha ritenuto la disciplina nazionale astrattamente compatibile con il diritto europeo, purché sia assicurata altra analoga misura sanzionatoria effettiva, proporzionata e dissuasiva (Corte di Giustizia 12 dicembre 2013, Papalia, C-50/13, cfr. anche sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a., C-212/04 e del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C-53/04) (......) parimenti, la previsione di piani straordinari di assunzione è volta a fornire una soluzione, sia pur graduale, del fenomeno del precariato, contemperando la pressante esigenza di stabilizzazione di esso con la regola generale del pubblico concorso; a tali fini risulta differente la posizione dei soggetti iscritti a pieno titolo nelle graduatorie ad esaurimento, avuto riguardo all'esigenza di salvaguardare le "sole più antiche posizioni di "precariato storico" per evidenti ragioni sociali" (Cons. Stato, Ad. Plen., 20 dicembre 2017, n. 11) (....)". Va aggiunto che l'assimilazione al servizio di "ruolo" di quello "pre-ruolo" quale requisito per l'ammissione a procedure concorsuali è possibile soltanto se prevista espressamente (Cons. Stato sez. VI, 10/7/2013 n. 3658; 19/10/2009 n. 6384), atteso che il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. impone di trattare in modo uguale situazioni ragionevolmente uguali ed in modo diverso situazioni ragionevolmente diverse. Neppure la prospettata questione di legittimità costituzionale palesa pertanto i necessari profili di non manifesta infondatezza. 10 - Alla stregua delle pregresse considerazioni, pronunciando sul ricorso in appello, deve essere respinto il ricorso di primo grado. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara ammissibile il ricorso di primo grado e lo respinge. Condanna gli appellanti alla rifusione in favore delle amministrazioni appellate delle spese del giudizio di appello, che liquida in Euro 4.000 (quattromila/00), oltre ad IVA e CPA. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. BIANCHI Michele - Consigliere Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. CURAMI Micaela - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA presso il TRIBUNALE di IMPERIA; avverso l'ordinanza del 04/11/2022 del GIP del Tribunale di Imperia in funzione di giudice dell'esecuzione; emessa nel procedimento a carico di (OMISSIS), nato il (OMISSIS); udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Micaela Serena CURAMI; lette le richieste del Sostituto Procuratore generale, Dott. CIMMINO Alessandro, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1.Con l'ordinanza impugnata il GIP del Tribunale di Imperia, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha dichiarato la prescrizione del credito relativo alla cartella esattoriale emessa dall'Agenzia delle Entrate Riscossione relativamente alla sentenza del GIP del Tribunale di Sanremo n. 2/2007 del 11/01/2007, irrevocabile il 03/03/2007. 2. Avverso detto provvedimento ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Imperia chiedendo l'annullamento dell'ordinanza, senza o con rinvio degli atti al GIP del Tribunale di Imperia per nuova decisione. 2.1. Deduce il P.M. ricorrente, quale primo motivo di ricorso, la carenza di legittimazione del Giudice dell'Esecuzione a provvedere, stante il disposto normativo di cui all'articolo 666 c.p.p. che individua quali unici legittimati a proporre incidente di esecuzione il P.M. o l'interessato; nel caso in esame, invero, l'atto di impulso dell'incidente risulta essere una nota proveniente da ente amministrativo (Direzione Regionale della Liguria dell'Agenzia della Riscossione) indirizzata all'Ufficio Campione Penale del Tribunale di Sanremo, che a sua volta ha trasmesso la nota al Giudice dell'Esecuzione, comunicando che il debitore aveva formulato una istanza di sospensione dell'esecuzione ai sensi della L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 358, deducendo, in sede amministrativa, la prescrizione del credito. 2.2. Secondariamente il P.M. ricorrente deduce difetto di giurisdizione in capo al Giudice dell'Esecuzione: la procedura introdotta dall'istanza dell'interessato ex L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 358, disciplinata dal comma successivo, prevede infatti una mera interlocuzione tra Uffici amministrativi. 2.3. Da ultimo deduce il P.M. ricorrente la manifesta illogicita' e contraddittorieta' rispetto agli atti del procedimento del provvedimento impugnato: il G.E. ha errato nel ritenere che il credito di cui alla cartella esattoriale oggetto della richiesta formulata dalla Direzione Regionale della Liguria dell'Agenzia della Riscossione riguardasse le spese di giustizia, dal momento che esso, in realta', atteneva alla pena pecuniaria della multa inflitta con la sentenza, per la cui estinzione doveva tenersi conto di quanto disposto dall'articolo 172 c.p., u.c.: essendo infatti stata ritenuta sussistente in capo allo (OMISSIS) la recidiva ex articolo 99 c.p., comma 4 la pena della multa inflittagli e' imprescrittibile. 3. Il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, A. Cimmino, ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto l'annullamento senza rinvio, ritenendo fondato il primo motivo di ricorso avanzato dal P.M. ricorrente. 4. Il difensore di (OMISSIS) ha depositato memoria difensiva con la quale chiede dichiararsi inammissibile il ricorso del PM di Imperia per avere introdotto con il ricorso per cassazione questioni non dedotte innanzi al G.E; nonche' il rigetto del medesimo ricorso sotto il duplice profilo, da un lato, della legittimazione dell'Agenzia delle Entrate Riscossione a proporre incidente di esecuzione in quanto da ritenersi soggetto interessato (nell'accezione data dalla Suprema Corte); dall'altro, dell'impulso all'intero procedimento da. ritenersi riconducibile all'istanza proposta dallo (OMISSIS) di sgravio della cartella esattoriale per intervenuta prescrizione del credito sottostante. MOTIVI DELLA DECISIONE Il primo motivo di ricorso e' fondato. Il procedimento di esecuzione esige l'impulso di parte, salvo che per l'applicazione dell'amnistia o dell'indulto, per cui il provvedimento del giudice dell'esecuzione adottato di ufficio, al di fuori di tali ipotesi, e' viziato da nullita' insanabile, ai sensi dell'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera b), (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23525 del 18/05/2021 Cc. (dep. 16/06/2021) Rv. 281396 - 01) L'articolo 666 c.p.p., comma 1 dispone che il Giudice dell'esecuzione procede a richiesta del Pubblico Ministero, dell'interessato o del difensore. L'interessato e' dunque un soggetto che puo' instaurate il procedimento di esecuzione. Secondo una risalente, ma condivisibile pronuncia, il termine volutamente generico ed indeterminato si riferisce a qualsiasi soggetto, che abbia partecipato o meno al giudizio di cognizione e sia titolare di situazioni giuridiche soggettive alle quali potrebbe derivare un vantaggio o un pregiudizio in seguito al consolidamento o alla rimozione di un determinato deliberato (Sez. 3, n. 225 del 23/01/1996, Lega Ambiente in proc. Lodigiani ed altro, Rv. 205382 - 01, richiamata recentemente da Sez. 3, Sentenza n. 2013 del 21/11/2019 Cc. (dep. 20/01/2020) Rv. 277725 - 01). Nel caso in esame, l'incidente di esecuzione risulta attivato dal Giudice dell'Esecuzione su domanda proveniente dal medesimo Tribunale di Imperia. Trattasi di rilievo avente carattere preliminare e assorbente, deducibile anche in via officiosa dalla Corte: priva di rilevanza appare pertanto la censura mossa dal ricorrente nella memoria difensiva laddove lamenta l'introduzione da parte del Pubblico Ministero ricorrente di questioni non dedotte innanzi al G.E.; neppure coglie nel segno l'affermazione della difesa di (OMISSIS) per cui l'impulso dato all'intero procedimento sarebbe riconducibile all'istanza proposta dallo (OMISSIS) di sgravio della cartella esattoriale per intervenuta prescrizione del credito sottostante: detta istanza era infatti rivolta dal condannato ad ente amministrativo, la Direzione Regionale della Liguria dell'Agenzia della Riscossione, e non puo' all'evidenza essere qualificata come domanda rivolta al Giudice dell'Esecuzione. Nel caso di specie, deve quindi ritenersi che l'ordinanza con la quale il GIP del Tribunale di Imperia ha dichiarato la prescrizione del credito relativo alla cartella esattoriale emessa dall'Agenzia delle Entrate Riscossione relativamente alla sentenza del GIP del Tribunale di Sanremo n. 2/2007 del 11/01/2007, irrevocabile il 03/03/2007, sia stata emessa dal Giudice dell'Esecuzione in assenza di una valida richiesta, idonea a dare inizio al procedimento, poiche' proveniente dal medesimo Tribunale di Imperia. Il provvedimento emesso deve essere pertanto annullato. Tale esito assorbe ogni altra censura avanzata dal Pubblico Ministero ricorrente. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. APRILE Ercole - Consigliere Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - rel. Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 4. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 5. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 6. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 7. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 8. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 9. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 10. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 11. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 12. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 13. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 14. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 15. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 16. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 17. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 18. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 19. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 20. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 21. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 22. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 23. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 24. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 25. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 26. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 27. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 28. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 29. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 30. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 31. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 32. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 33. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 34. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 35. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 36. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza emessa il 13 luglio 2021 dalla Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dai Consiglieri Dott.ssa TRIPICCIONE Debora e Dott. DI GERONIMO Paolo; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. MOROSINI Piergiorgio, che ha concluso ha chiedendo il rigetto dei ricorsi di tutti i ricorrenti ad eccezione di quello relativo a (OMISSIS), per il quale ha chiesto l'inammissibilita'; udito il difensore della parte civile, Regione Lombardia, avv. FORLONI Antonella, che ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi degli imputati nei confronti dei quali e' ancora costituita; uditi i difensori degli imputati: avv. DIODA' Nerio Giuseppe, in difesa di (OMISSIS); avv. AIELLO Domenico, in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); avv. LUNGHINI Giacomo Umberto, in difesa di (OMISSIS); avv. CORSO Piermaria in difesa di (OMISSIS), e, quale sostituto processuale dell'avv. ROSSI Claudio in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS) e dell'avv. PENSA Jacopo Giuseppe Alessandro in difesa di (OMISSIS); avv. DINACCI Filippo, in difesa di (OMISSIS); avv. QUADRI Gianluca, in difesa di (OMISSIS); avv. NEGRINI Marco Giuseppe, in difesa di (OMISSIS); avv. BRUNO Pierfrancesco, in difesa di (OMISSIS); avv. FORONI Pietro, in difesa di (OMISSIS); avv. MAIONE Luigi, in difesa di (OMISSIS); avv. SCALVI Gianbattista Ludovico, in difesa di (OMISSIS); avv. BIGNOTTI Antonio, in difesa di (OMISSIS), e, quale sostituto processuale dell'avv. PISONI Luigi in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS); avv. MANCUSI Davide in difesa di (OMISSIS); avv. SFORZA Claudio, quale sostituto processuale dell'avv. MARINI Massimo, in difesa di (OMISSIS); avv. ODDI Silvia, anche in sostituzione dell'avv. APICELLA Michele, in difesa di (OMISSIS); avv. SILVA Franco Claudio, in difesa di (OMISSIS); avv. MORRA Piermario, quale sostituto processuale dell'avv. AVIDANO Alberto, in difesa di (OMISSIS); avv. GATTO Simone, in difesa di (OMISSIS), e quale sostituto processuale dell'avv. BELTRANI Carlo in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS) e dell'avv. Cammarata Leonardo in difesa di (OMISSIS); avv. PROIETTI Daria, quale sostituto processuale dell'avv. RONCORONI Simona, in difesa di (OMISSIS); avv. FERABECOLI Gabriele, quale sostituto processuale dell'avv. VINCI Paolo, in difesa di (OMISSIS); i quali hanno insistito per l'accoglimento dei ricorsi proposti. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano del 18 gennaio 2019, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati di seguito indicati rilevando la sopravvenuta estinzione per prescrizione delle condotte di peculato commesse nel 2008 e rideterminato il trattamento sanzionatorio in relazione alle condotte commesse successivamente. In particolare, la dichiarazione di prescrizione ha riguardato le seguenti posizioni: (OMISSIS), quanto al capo 6 e, limitatamente ai fatti commessi nell'anno 2008, (OMISSIS) (capo 11), (OMISSIS) (capo 20), (OMISSIS) (capi 21 e 61), (OMISSIS) (capo 22), (OMISSIS) (capi 6, 27 e 61), (OMISSIS) (capo 28), (OMISSIS) (capo 31), (OMISSIS) (capo 37), (OMISSIS) (capo 24), (OMISSIS) (capo 42), (OMISSIS) (capi 48 e 48 A), (OMISSIS) (capi 6, 50 e 61), (OMISSIS) (capo 52), (OMISSIS) (capi 6, 56 e 61) e (OMISSIS) (capo 62). La medesima sentenza ha, invece, assolto (OMISSIS) dai fatti ascritti al capo 23 limitatamente alle spese sostenute nelle date del 25/11/2011, 4/3/2011, 29/4/2011, 6/3/2012 e 19/4/2012, perche' il fatto non sussiste e dichiarato non doversi procedere in ordine ai fatti commessi nell'anno 2008 per intervenuta prescrizione, rideterminando il trattamento sanzionatorio; ha assolto (OMISSIS) dai reati ascritti al capo 55, limitatamente alla spesa sostenuta il 12/11/2009, perche' il fatto non sussiste e dichiarato non doversi procedere in ordine ai fatti commessi nell'anno 2008 per intervenuta prescrizione, rideterminando il trattamento sanzionatorio. La sentenza ha, inoltre, revocato la confisca disposta nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS). Quanto alle statuizioni civili, ha, infine, revocato quanto disposto a carico di (OMISSIS) ed ha, invece, confermato le ulteriori statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado, ovvero: - la condanna generica al risarcimento del danno cagionato alla Regione Lombardia e l'assegnazione di una provvisionale diversamente quantificata in relazione alle posizioni dei singoli imputati, nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); - la condanna di (OMISSIS) al risarcimento del danno cagionato alla Regione Lombardia, quantificato in Euro 673,00 e titolo di danno patrimoniale e in Euro 1000,00 a titolo di danno non patrimoniale; - la condanna di (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido tra loro, al risarcimento del danno cagionato alla medesima Regione Lombardia liquidato in Euro 127.000,00 a titolo di danno patrimoniale e in Euro 12.000,00 a titolo di danno non patrimoniale. 2. Va premesso che, per quanto rileva in questa Sede, la sentenza impugnata ha confermato la condanna per il reato di peculato in relazione alle condotte di appropriazione, poste in essere dagli imputati nella qualita' di consiglieri regionali presso la Regione Lombardia e, limitatamente agli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), quali Presidenti dei Gruppi consiliari, avente ad oggetto somme di denaro prelevate dal contributo stanziato al gruppo di appartenenza ai sensi della Legge Regionale 27 ottobre 1972, n. 34, articolo 2-ter, impiegato per spese estranee e non funzionali all'espletamento del mandato consiliare. Il tutto, con riferimento alle legislature dal 2009 al 2012. 2.1. In particolare, secondo la concorde ricostruzione delle due sentenze di merito, sulla base della legislazione regionale all'epoca vigente (L. n. 34 del 1972 e L. n. 17 del 1992) nonche' della disciplina relativa al trattamento economico ed ai rimborsi dei consiglieri regionali lombardi, le spese che potevano essere imputate al fondo per il funzionamento del gruppo erano solo quelle connesse alle funzioni istituzionali dei gruppi. Occorre, dunque, il collegamento teleologico-funzionale tra l'attivita' del singolo consigliere e la vita e le esigenze del gruppo. Si e' ritenuto, sulla base della citata disciplina regionale, che il denaro del fondo fosse nella disponibilita' materiale del Presidente di ciascun gruppo, gravato dell'onere di vigilanza e di rendicontazione contabile, e nella disponibilita' giuridica dei singoli consiglieri, i quali potevano accedere al rimborso delle spese sostenute attraverso una mera autodichiarazione, corredata dalla relativa documentazione contabile; tale "autodichiarazione" fungeva sostanzialmente da ordine di spesa rivolto alla struttura amministrativa del gruppo consiliare che, limitandosi a svolgere controlli di carattere esclusivamente formale, circoscritti alla corrispondenza della spesa con quella rimborsabile, operava come "tesoreria" o cassa. La prova della condotta appropriativa e' stata, pertanto, desunta sulla base di una valutazione logica degli elementi documentali prodotti, ponendo soprattutto l'accento sulla indeterminatezza e "plurivocita'" della documentazione prodotta dagli interessati in allegato alle richieste di rimborso, giudicata priva di elementi suscettibili di rendere possibile la verifica circa l'inerenza della spesa al fine istituzionale. 2.2. La sentenza impugnata ha, inoltre disatteso la lettura estensiva proposta dagli appellanti della "inerenza" delle spese al mandato consiliare, comprensiva anche dell'attivita' politica svolta dal consigliere e di tutti gli esborsi che siano comunque correlati all'esercizio del mandato consiliare, con esclusione delle sole spese volte a soddisfare gli interessi egoistici e personali. Si e', infatti, adottata una nozione di "inerenza" circoscritta alle sole spese "connesse ad iniziative del gruppo, decise dal gruppo, volte al funzionamento del gruppo" e, per quanto riguarda le spese di rappresentanza, alle sole spese correlate con le finalita' istituzionali dell'ente e rispondenti ai requisiti desumibili dalla giurisprudenza della Corte dei conti (scopo promozionale per l'immagine o per l'attivita' dell'ente, rispondenza a criteri di ragionevolezza, sobrieta', ufficialita', eccezionalita', destinazione all'esterno e non nei confronti di politici o di dipendenti pubblici). Sulla base di tali canoni di giudizio, la sentenza ha escluso l'inerenza delle spese di ristorazione alle spese di rappresentanza del gruppo ove non connesse ad un incontro istituzionale debitamente documentato ed organizzato dal gruppo consiliare. Sono state, pertanto, qualificate come spese di rappresentanza solo quelle destinate a coprire esigenze organizzative ed eventi pubblici (convegni, tavole rotonde, comizi), o a fornire ospitalita' (pranzi, cene..) a personalita' istituzionali in occasione di tali avvenimenti, con esclusione di quelle personali o volte alla promozione dell'attivita' politica del singolo consigliere, sostenute in occasione di incontri con singoli cittadini, imprenditori, politici, giornalisti, ivi compresi i pranzi o le cene su "politiche regionali", in quanto di per se' non collegate con la finalita' istituzionale prescritta di proiezione dell'immagine esterna del gruppo. Analogo criterio e' stato adottato con riferimento alle spese di viaggio che, tenuto conto dei rimborsi gia' previsti per i singoli consiglieri dalla Legge Regionale 23 luglio 1996, n. 17, articoli 3 e 5, sono state ritenute "inerenti" e dunque quali spese di rappresentanza solo se strettamente connesse ad eventi o rappresentanze istituzionali collegate all'attivita' istituzionale del gruppo. Sono state, infine, escluse le spese sostenute dal personale per trasferte, vitto e alloggio e cio' alla luce della disciplina regionale vigente all'epoca dei fatti (Legge Regionale n. 21 del 1996, articolo 21 poi trasfuso nella Legge Regionale n. 20 del 2008, articolo 67) che prevedeva lo stanziamento di un budget, prestabilito ed omnicomprensivo, per il personale di staff e segreterie. 2.3. La sentenza, inoltre, disattendendo le deduzioni difensive in merito alla rilevanza "scusante" della prassi amministrativa e del vademecum che ogni gruppo consiliare distribuiva agli eletti, privo di puntuali e specifiche indicazioni sulla rendicontazione delle spese, ha ritenuto sussistente l'elemento psicologico del reato. In particolare, ha rilevato che, a fronte della ipotizzata incertezza della interpretazione di talune nozione, quale quella di spese di rappresentanza, i singoli consiglieri avevano fatto affidamento sulla prassi deformalizzata adottata dal personale amministrativo e sulla presenza dei controlli successivi, anziche' attivarsi attraverso lo strumento del quesito ad organi qualificati o del ricorso all'autorita' giurisdizionale contabile. 3. Propongono ricorso per cassazione (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Si procedera' ad illustrare il contenuto dei ricorsi analizzando, innanzitutto, le questioni comuni a piu' ricorrenti per poi affrontare le questioni relative alle specifiche posizioni dei singoli ricorrenti. 4. La disponibilita' del denaro e la configurabilita' del peculato. Una prima questione dedotta dai ricorrenti, con esclusione della posizione di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), censura la qualificazione giuridica delle condotte contestate come peculato in relazione alla ritenuta disponibilita' giuridica del denaro e, conseguentemente, alla sua illecita appropriazione. Si deducono, infatti, la violazione dell'articolo 314 c.p., l'erronea interpretazione delle leggi regionali (Legge Regionale Lombardia n. 34 del 1972, articoli 1 e 2-ter e Legge Regionale Lombardia n. 17 del 1992, articolo 4, comma 1, nonche' dell'articolo 6 del regolamento attuativo di entrambe le leggi approvato con delibera n. 192 del 19/6/2001 dal Consiglio Regione Lombardia) e vizi di motivazione in relazione alla ritenuta disponibilita' giuridica del denaro da parte dei singoli consiglieri. Si assume, infatti, che, alla stregua della citata disciplina regionale, i fondi regionali su cui gravavano i rimborsi non erano nella disponibilita' immediata dei singoli consiglieri ma del Presidente del Gruppo, cui competeva sia l'autorizzazione della concessione del rimborso a seguito di specifica istanza del consigliere che l'obbligo di redigere e depositare il rendiconto annuale presso l'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale cui spettavano le successive verifiche in merito alla regolarita' (formale) nella sua redazione. Pertanto, sulla base dell'iter che regolava il rimborso delle spese ai consiglieri, occorre distinguere tra lo stanziamento del fondo a favore del gruppo consiliare, nella persona del suo Presidente, ed il rimborso delle spese, che, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, non viene direttamente "ordinata" e, sostanzialmente "autoliquidata" dal singolo consigliere, ma sottoposto ad un controllo preliminare di carattere formale da parte della struttura amministrativa del gruppo e ad una successiva autorizzazione del presidente stesso. 4.1. A conferma di tale diverso inquadramento del rapporto esistente tra il singolo consigliere ed il denaro pubblico, si segnala, da un lato, che i consiglieri non avevano a disposizione una carta di credito regionale e, dall'altro, non avevano alcun potere di autorizzare i rimborsi. Il consigliere, dunque, era un mero creditore e non un "ordinatore di spesa". Cio' sarebbe emerso dall'istruttoria dibattimentale in cui i testi, sia della struttura amministrativa del gruppo (tra i tanti, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) che della Regione (il funzionario regionale (OMISSIS)) hanno confermato i controlli effettivi cui erano sottoposte le richieste rimborso, hanno riferito anche di rimborsi non accolti e della non necessita', confermata anche dalle informazioni assunte presso l'Ufficio Bilancio del Consiglio Regionale ed il Presidente del Gruppo di riferimento (v. teste (OMISSIS)) di una specifica rendicontazione delle spese, all'epoca non prevista dalla legge regionale, essendo sufficiente la presentazione di un documento attestante l'esborso. 4.2. Nel ricorso degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si deduce, inoltre, l'illogicita' e contraddittorieta' della sentenza impugnata laddove afferma la colpevolezza degli imputati in assenza del contributo del presidente del gruppo consiliare, pur riconoscendo che solo quest'ultimo aveva la disponibilita' materiale del fondo e che solo attraverso questa il singolo consigliere avrebbe potuto definitivamente appropriarsi del denaro pubblico. 4.3. Altri profili di illogicita' segnalati da alcuni ricorrenti attengono: a) alla incompatibilita' tra la necessaria "autodichiarazione" del consigliere e la ritenuta disponibilita' giuridica del bene pubblico che richiede, invece, la possibilita' di disporne in autonomia; b) all'assenza di una contestazione di concorso da parte dei funzionari amministrativi che omettevano i controlli. 4.5. Sotto altro profilo, il ricorrente (OMISSIS) rileva che, anche a voler ammettere che il consigliere regionale aveva la disponibilita' giuridica del denaro, non vi sarebbe stata, secondo le coordinate della giurisprudenza di legittimita', una appropriazione con la distrazione del denaro per finalita' di carattere privato in quanto le spese sostenute, rispetto alle quali la sentenza impugnata considera legittime solo quelle specificamente asservite alle finalita' istituzionali del Consiglio regionale e del gruppo consiliare, riguardavano, comunque, spese per ristorazione e trasporti in relazione ad incontri sul territorio con il collegio elettorale di riferimento del gruppo consiliare e dunque correlate al ruolo istituzionale del consigliere. 5. La diversa qualificazione del fatto. Quale logica conseguenza della dedotta censura appena esaminata, molti ricorsi invocano una riqualificazione delle condotte contestate ora nel reato di cui all'articolo 316-ter c.p. o in quello di cui all'articolo 640-bis c.p., ora nel delitto di abuso di ufficio - avendo i consiglieri sostenuto le spese per finalita' non di carattere privato - ora, infine, sul presupposto che non essendo stato contestato il concorso da parte dei funzionari amministrativi addetti al controllo ed alla successiva erogazione dei rimborsi, il singolo consigliere approfittando dell'errore del funzionario amministrativo deputato al controllo delle richieste, abbia indebitamente ricevuto detto rimborso, del reato di cui all'articolo 316 c.p.. In particolare, con riferimento all'ipotesi prospettata nella maggior parte dei ricorsi, ovvero l'articolo 316-ter c.p., in considerazione della filiera di controlli cui era sottoposta l'istanza, si pone l'accento sulle effettive risultanze probatorie ovvero che i singoli consiglieri avrebbero, al piu', depositato documenti falsi o attestanti cose non vere per ottenere la liquidazione dei rimborsi. Con riferimento a tale diversa qualificazione della condotta si rileva in taluni casi (ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS)) che le somme mensili di cui e' stato chiesto il rimborso non hanno superato la soglia di punibilita' prevista dall'articolo 316-ter c.p., comma 2, la carenza dell'elemento soggettivo del reato e, comunque la sua prescrizione (ricorso proposto da (OMISSIS)). 6. L'onere della prova. I ricorrenti hanno, inoltre, contestato, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, il criterio probatorio applicato dalla Corte di appello, sottolineando come - pur essendo stato formalmente ribadito il principio per cui l'onere della prova ricade sul pubblico ministero - in concreto si e' determinata una vera e propria inversione del suddetto onere. Occorre premettere che tale tematica e' strettamente collegata a quella che si trattera' in seguito, concernente la mancata ammissione dei testi indicati dalle difese degli imputati. E' utile evidenziare fin da subito, infatti, come i ricorrenti hanno concordemente dedotto che, da un lato, sono stati valorizzati meri indizi, spesso privi dei requisiti di gravita' e precisione, in ordine alla non riferibilita' dei rimborsi ad attivita' istituzionali e, al contempo, si e' impedito agli imputati di fornire la prova della legittimita' dei contributi percepiti. I ricorrenti partono dall'assunto secondo cui la Corte di appello avrebbe unicamente menzionato, senza in concreto applicarlo, il consolidato orientamento secondo cui, in tema di peculato, la prova del reato non puo' discendere dalla sola carenza di formale giustificazione della spesa, ne' dall'insufficienza della documentazione prodotta a sostegno della richiesta di rimborso, essendo onere della pubblica accusa dimostrare che i fondi sono stati, in concreto, destinati a finalita' incompatibili con il perseguimento dell'interesse pubblico. 6.1 Nella sentenza impugnata, si e' dato atto di come molte delle spese per le quali i ricorrenti hanno ottenuto il rimborso avevano un giustificato sostanzialmente "neutro", nel senso che la voce di spesa di per se' non e' indicativa della concreta destinazione del denaro, potendo essere compatibile tanto con un impiego lecito, quanto con una distrazione di fondi. Cio' si sarebbe verificato, in particolare, per le numerosissime spese per "ristorazione", rispetto alle quali la Corte di appello avrebbe dovuto richiedere dalla pubblica accusa la prova specifica dell'estraneita' di tali esborsi a finalita' pubblicistiche del tipo di quelle contemplate dalla normativa in tema di contributi ai gruppi regionali. La Corte di appello, invece, si sarebbe affidata ad elementi indiziari privi dei necessari caratteri di gravita', univocita' e precisione, enucleando una serie di elementi fattuali che, in realta', sarebbero privi di un'effettiva capacita' probatoria. In particolare, i ricorrenti deducono che, con riguardo alle spese di ristorazione per "consumazioni singole", la Corte di appello ha ritenuto che queste dissimulassero un mero rimborso indebitamente ottenuto dal consigliere in relazione a pasti dal medesimo consumati, al di fuori di qualsivoglia evento avente rilevanza esterna. In altre circostanze, invece, e' stato stigmatizzato il fatto che le consumazioni, in quanto avvenute presso bar, autogrill, pizzerie, trattorie o, comunque, esercizi commerciali per loro natura destinati a fornire un servizio non "di rappresentanza", non potessero rientrare tra le finalita' per le quali era consentito il rimborso. Ulteriore indice sintomatico della sussistenza del reato e' stato individuato in relazione al luogo o alla data della consumazione, ritenendo sufficiente il fatto che la spesa fosse stata fatta al di fuori della Regione Lombardia, ovvero in giorni festivi. Come pure si e' ritenuto che la reiterazione nello stesso giorno o in piu' giorni consecutivi di consumazioni presso i medesimi bar e ristoranti fosse circostanza dimostrativa del fatto che le spese erano inerenti alle ordinarie e quotidiane necessita' dei consiglieri, piuttosto che allo svolgimento di attivita' collegata a quella dei gruppi. Sostengono i ricorrenti, pertanto, che la Corte di appello avrebbe basato la propria decisione su elementi indiziari equivoci e, comunque, inidonei a fornire quel grado di affidabilita' richiesto dall'articolo 192 c.p.p., peraltro omettendo anche di considerare che, per gran parte delle spese in questione, non era possibile ritenere provata la sussistenza dell'appropriazione senza consentire agli imputati di dimostrare le ragioni della spesa. 6.2. Ulteriore critica al ragionamento probatorio seguito dalla Corte risiede nell'aver ritenuto non giustificate le spese effettuate in assenza della correlativa documentazione di una iniziativa organizzata dal gruppo. Anche in tal caso, infatti, l'inferenza probatoria non conseguirebbe alla corretta valutazione di un quadro indiziario univoco e preciso, bensi' sarebbe il frutto di una non consentita inversione dell'onere probatorio. A ben vedere, infatti, la Corte si sarebbe limitata a prendere atto della "mancata giustificazione", in tal modo rinnegando la premessa secondo cui la prova del peculato non puo' discendere dalla mera carenza della documentazione prodotta dal pubblico agente, occorrendo la dimostrazione, in concreto, della destinazione a finalita' non consentite. In conclusione, i ricorrenti lamentano - sia pur con diversita' di formulazione della medesima doglianza - che la Corte di appello avrebbe sopperito alla mancanza di accertamento specifico dell'utilizzo delle somme valorizzando elementi indiziari risultanti, in realta', privi dei requisiti di cui all'articolo 192 c.p.p., non fosse altro che la mera indicazione della causale del rimborso poteva al piu' costituire un elemento di dubbio circa la finalita' della spesa, ma non fondare di per se' il presupposto per una sentenza di condanna. 7. Illegittimita' dell'ordinanza di esclusione dei testi e del rigetto di rinnovazione dell'istruttoria. Strettamente collegato al tema dell'inversione dell'onere probatorio e della insussistenza di un valido apparato indiziario, e' la questione relativa alla sostanziale mancata ammissione dei plurimi testi che i ricorrenti avevano indicato, fin dal primo grado, al fine di fornire giustificazione delle spese sostenute (questione sollevata da tutti i ricorrenti, esclusi gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)). Occorre premettere che, sul punto, le situazioni dei singoli ricorrenti sono sostanzialmente allineate, posto che per alcuni non e' stata ammessa alcuna prova a discarico, per altri vi e' stata una parziale e limitata ammissione dei testi indicati, peraltro in gran parte comuni, chiamati a riferire sulle modalita' del rimborso, piuttosto che sulla giustificazione e sulla finalita' delle spese. I ricorrenti lamentano che la scelta compiuta nel giudizio di primo grado e confermata in appello avrebbe leso il fondamentale diritto di difendersi provando, riconosciuto anche dalla CEDU. 7.1. Rappresentano i ricorrenti che l'ordinanza adottata dal Tribunale di Milano in data 19 aprile 2016 era stata ritualmente oggetto di impugnazione, unitamente alla sentenza di primo grado, essendo stata dedotta la mancanza di idonea motivazione in ordine all'omessa ammissione delle testimonianze richieste. Il Tribunale, infatti, si sarebbe limitato ad ammettere un numero limitatissimo di testi, senza motivare specificamente sulle ragioni per cui i testi chiamati a deporre sulla finalita' delle spese e l'occasione in relazione alle quali erano state sostenute non fossero rilevanti ai fini del giudizio. La Corte di appello, anziche' esaminare nel merito il motivo di impugnazione, avrebbe ritenuto l'intervenuta sanatoria della nullita', sul presupposto che le parti, in quanto presenti al compimento dell'atto, avrebbero dovuto eccepirne la nullita' immediatamente dopo, ai sensi dell'articolo 182 c.p.p., e al momento della chiusura del dibattimento (si veda pg. 80 della sentenza di appello). In tal modo, la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un error in procedendo, applicando al caso di specie un principio, costantemente applicato dalla giurisprudenza, ma con riguardo alla diversa ipotesi di revoca della prova orale gia' ammessa. A fronte della mancata ammissione ab origine delle prove testimoniali indicate dagli imputati, la nullita' dell'ordinanza, essendo a regime intermedio e collocandosi nella fase del giudizio, era stata correttamente eccepita con l'impugnazione della sentenza. 7.2. Ulteriore argomento adotto dalle difese dei ricorrenti attiene alla manifesta contraddittorieta' della motivazione con la quale la Corte di appello ha ritenuto di condividere l'esclusione di gran parte dei testi indicati dalle difese, ritenendo che l'ordinanza del Tribunale avrebbe comportato un "implicito" rigetto delle richieste di prova orale stante la superfluita' della stessa, anche con riguardo al collegamento tra la spesa contestata "l'attivita' politica del consigliere, i suoi rapporti con la base elettorale e le organizzazioni territoriali" (si vedano pg. 79-81 della sentenza). Deducono i ricorrenti che, invero, l'oggetto delle testimonianze, proprio perche' concernente il collegamento tra la funzione ricoperta ed il contesto nell'ambito del quale la spesa veniva sostenuta, ricadeva su un profilo probatorio centrale e necessario per ritenere o escludere la sussistenza del reato. Premesso che le spese sostenute - specie quelle per ristorazione - sono per loro natura "neutre", la prova testimoniale costituiva il mezzo tipico mediante il quale gli imputati potevano riempire di contenuto il mero documento contabile e dimostrare la legittimita' della spesa. 7.3. Ulteriore contraddittorieta' della motivazione e' stata dedotta in ordine al fatto che la Corte di appello, pur dando atto del fatto che, secondo la prassi invalsa, i rimborsi venivano elargiti a seguito della mera presentazione della documentazione di spesa, avrebbe erroneamente negato la necessita' dell'istruttoria orale, nonostante questo fosse l'unico strumento mediante il quale gli imputati, a distanza di anni e non essendo tenuti alla conservazione di documentazione comprovante l'attivita' svolta, potevano dimostrare la legittimita' della spesa (ricorso (OMISSIS)). 8. L'individuazione delle spese ammesse a rimborso. Questione proposta da una pluralita' di ricorrenti, sia pur con diversita' di prospettive ed impostazioni, e' quella concernente l'esatta individuazione delle spese ammesse a rimborso. In particolare, si e' sostenuto che la Corte di appello avrebbe dato una lettura riduttiva e non conforme alla legislazione regionale in materia del novero delle spese suscettibili di rimborso, ritenendo che sarebbero tali solo quelle collegate ad un incontro istituzionale ed organizzato dal Gruppo consiliare di appartenenza. Sarebbero, pertanto, sicuramente insuscettibili di rimborso tutte quelle spese sostenute dai singoli consiglieri e connesse non solo all'attivita' prettamente politica, ma anche allo svolgimento del mandato consiliare che si manifestava in forme essenzialmente individuali ed al di fuori di iniziative concordate dal Gruppo. Secondo l'impostazione recepita nella sentenza di appello, pertanto, non erano rimborsabili le spese relative al mantenimento dei rapporti tra i singoli Consiglieri ed i territori regionali, come pure il confronto con la societa' civile, con specifiche categorie di soggetti interessati dall'attivita' normativa del Consiglio regionale e con gli organi di informazione. 8.1. Avverso tale impostazione e' stato in primo luogo evidenziato come la Legge Regionale 27 ottobre 1972, n. 34 e Legge Regionale 7 maggio 1992, n. 17, non contengono affatto un elenco tassativo delle spese rimborsabili, bensi' enucleano quelle che sono le categorie di maggior ricorrenza, salvo restando che il presupposto del rimborso sarebbe costituito dalla mera "inerenza" della spesa rispetto all'espletamento del mandato consigliare. Quanto detto, comporterebbe che la Corte di appello avrebbe errato nel valutare le singole spese raffrontandole con le esemplificazioni contenute nelle predette leggi, mentre avrebbe dovuto verificare in concreto l'inerenza della spesa all'attivita' svolta dal singolo Consigliere. La Corte di appello si sarebbe sottratta a tale onere, limitandosi ad affermare che il dato oggettivo legittimamente la spesa dipenda dall'esistenza di una "iniziativa" del gruppo, in assenza della quale l'attivita' del singolo Consigliere, pur se inerente alle funzioni svolte, non poteva comportare l'imputazione dell'esborso ai fondi regionali 8.2. Ulteriore equivoco nel quale sarebbe incorsa la Corte di appello risiederebbe nell'aver acriticamente equiparato l'attivita' partitica all'attivita' politica del gruppo, omettendo di considerare che mentre la prima e' volta essenzialmente all'affermazione del partito di appartenenza, la seconda e' insita nello svolgimento del ruolo di Consigliere regionale, nella misura in cui questi e' portatore di istanze politiche (da intendersi quale selezione degli interessi e delle modalita' di perseguimento degli stessi) nell'ambito dell'assemblea regionale (profilo dedotto, in particolare, da (OMISSIS)). 8.3. Occorre segnalare, inoltre, l'argomentazione prospettata principalmente dal ricorrente (OMISSIS) che tuttavia, pur se formulata in maniera implicita, e' comune anche ad altri ricorrenti (in particolare (OMISSIS) e (OMISSIS)). Si e' sostenuto che la Corte di appello ha dato una lettura parziale della disciplina in tema di contributi regionali, omettendo di valorizzare quanto previsto dall'arti della Legge Regionale n. 17 del 1992, secondo la quale i contributi potevano essere utilizzati non solo dal gruppo consiliare in quanto tale, ma anche dai singoli Consiglieri i quali, con riferimento all'attivita' di "informazione e comunicazione" erano legittimati ad organizzare il proprio le attivita' ritenute utili. La Corte di appello avrebbe omesso di confrontarsi con tale norma, non specificando il contenuto dell'attivita' di "informazione e comunicazione", ritenendo che le spese rimborsabili fossero solo quelle riferite ad iniziative assunte dal Gruppo ed omettendo di valutare come la richiamata normativa consentisse espressamente anche lo svolgimento della "promozione istituzionale" propria di ciascun Consigliere. Sulla base di tale prospettazione, ne conseguirebbe l'erroneita' del ragionamento induttivo operato dalla Corte di appello, secondo cui sarebbero oggetto di appropriazione tutte le somme per le quali mancherebbe un collegamento funzionale con la rappresentanza del gruppo, proprio perche' la legislazione regionale consentiva il rimborso delle spese concernenti l'attivita' svolta direttamente dal Consigliere ed inerenti al mandato, senza che cio' comportasse necessariamente un'iniziativa del gruppo di appartenenza. 8.4. Sempre con riguardo all'individuazione delle spese ammesse a rimborso, ulteriori censure comuni riguardano la dedotta duplicazione tra i rimborsi per trasporto e ristorazione rispetto alle diarie riconosciute al Consigliere. Sul punto i ricorrenti hanno dedotto che non vi fosse alcuna duplicazione, posto che la diaria concerneva l'attivita' del Consigliere svolta nell'ambito delle attribuzioni proprie dell'attivita' consiliare, mentre le spese di trasporto e ristorazione sostenute nell'esercizio dell'attivita' "esterna", in quanto direttamente funzionali all'organizzazione dei gruppi, erano autonomamente rimborsabili. 8.5. Questione analoga viene posta anche in relazione alle spese sostenute per il costo del personale di staff e segreterie, avendo la Corte di appello erroneamente ritenuto che per tali voci i consiglieri avevano a disposizione un contributo omnicomprensivo, sicche' qualsivoglia rimborso di spese ulteriori doveva ritenersi non consentito. In tal modo, non si sarebbe tenuto conto del fatto che le spese, a prescindere dalla regolarita' contabile, non erano state comunque dettate da finalita' privatistiche. Inoltre, con il primo motivo di ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), si deduce che le spese contestate riguarderebbero rimborsi disposti non gia' in favore della (OMISSIS), bensi' di collaboratori volontari che, sia pur in assenza di un formale contratto di lavoro, prestavano la loro attivita' in favore del gruppo. 8.6 Taluni ricorsi hanno, inoltre, dedotto specifiche censure in relazione a singole spese. Nell'ambito dell'ampio primo motivo di ricorso formulato nell'interesse di (OMISSIS), si deduce specificamente l'erronea valutazione di non rimborsabilita' della spesa sostenuta per l'acquisto di tre cellulari, motivata dalla Corte di appello sul presupposto che i beni non fossero stati inventariati e che, comunque, si trattava di beni non necessari, posto che ai Consiglieri regionali era stato gia' dato in un uso un telefono cellulare. Il ricorrente contesta che il giudice di merito sia intervenuto a sindacare l'opportunita' della spesa, escludendo che un Consigliere regionale potesse legittimamente decidere di avvalersi di piu' telefoni. 8.6.1 Nel contesto del piu' ampio quinto motivo volto a censurare l'inversione dell'onere probatorio e la mancata ammissione dei testi a difesa, il ricorrente (OMISSIS) ha espressamente contestato, oltre alla ricostruzione relativa alla non spettanza del rimborso per spese di ristorazione, anche la ritenuta incompatibilita' con le finalita' istituzionali di un rimborso per spese di ristorazione datato 15 agosto, sul mero presupposto che la giornata festiva fosse incompatibile con l'attivita' di rappresentanza. Sostiene il ricorrente che in quell'occasione ebbe modo di incontrare i consiglieri comunali di (OMISSIS), ove risiedeva. Contesta, inoltre, le spese per libri ammontante ad Euro 262,00 riferendo che si trattava di acquisti per esigenze di aggiornamento, nonche' per offrire un modesto omaggio ai partecipanti ad incontri politico-istituzionali. Infine, contesta anche la spesa di Euro 11,00 per taxi, evidenziando come si trattasse di una spesa portata a rimborso una sola volta e sostanzialmente irrilevante. 8.6.2 Con il nono motivo di ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), si deduce violazione di legge in ordine alla ritenuta configurabilita' del reato di peculato con riguardo alle consumazioni di pranzi presso il ristorante "(OMISSIS)". In particolare, il ricorrente eccepisce che la Corte di appello avrebbe errato nell'escludere l'inerenza di tale spesa al "funzionamento" del gruppo, non considerando che si trattava di spese autorizzate dal capogruppo e finalizzate a consentire la preparazione dell'attivita' consiliare. Peraltro, la mera sottoscrizione della ricevuta costituiva una mera attestazione della sua presenza, senza che cio' abbia comportato richieste di rimborso e l'effettiva percezione di somme di denaro. 8.6.3 Nell'ambito del complessivo motivo di ricorso (n. 4) dedicato all'individuazione delle spese suscettibili di rimborso, (OMISSIS) ha sollevato puntuali contestazioni in ordine alla ritenuta esclusione di determinate spese tra quelle collegate allo svolgimento di attivita' esterna svolta in qualita' di Consigliere. In particolare, contesta che alcune ricevute non riguardavano, come sostenuto dai giudici di merito, un singolo pasto, bensi' una consumazione per piu' persone. In altri casi, invece, il ricorrente ha prodotto documentazione a riprova degli incontri svolti sul territorio e collegati all'attivita' consiliare. 8.6.4 Con il quarto motivo di ricorso (OMISSIS) deduce l'"errore logico" nella valutazione della illiceita' della spesa di pernotto dell'11/9/2010 presso il (OMISSIS) attesa l'attestazione scritta del citato Patronato da cui risulta che il (OMISSIS) non venne mai ospitato presso tale struttura. Con il quinto motivo deduce analogo vizio con riferimento alle spese di pernotto presso (OMISSIS) nei giorni 20/11 e 25/11, giustificate dalla partecipazione del (OMISSIS) alla trasmissione televisiva (OMISSIS) in onda su Rai 1 in cui fu invitato ad esporre i progetti nelle politiche agricole regionali di cui si occupava nel gruppo consiliare (OMISSIS). Il (OMISSIS) non ha potuto dimostrare tale circostanza a causa della riduzione della lista testimoniale da parte del Tribunale; la Corte territoriale ha peraltro affermato la illiceita' tout court di tale spese considerandola attivita' di autopromozione. Con l'ottavo motivo di ricorso (OMISSIS) deduce, inoltre, il vizio di mancata applicazione dell'attenuante di cui all'articolo 323-bis c.p., posto che nel giudizio contabile il danno ascritto al (OMISSIS) e' stato quantificato in Euro 13.768,88. 8.6.5 Con il primo motivo di ricorso (OMISSIS) ha dedotto i vizi di violazione dell'articolo 314 c.p. e manifesta illogicita' della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del delitto di peculato in relazione alle c.d. spese informatiche rimborsate all'imputato. Come dichiarato dallo stesso (OMISSIS) all'udienza dell'8 marzo 2017, dette spese erano destinate a dotare i suoi quattro collaboratori di strumenti tecnologici idonei a lavorare in sinergia con questo (effettuando ricerche, preparando materiale che veniva caricato sul suo sito internet, integrando la mailing list) ed a diffondere nel territorio notizie dell'attivita' svolta. Tali spese sono state ritenute astrattamente pertinenti dal Tribunale che ha, comunque, affermato la responsabilita' del (OMISSIS) in considerazione della mancata inventariazione di detti beni all'atto dell'acquisto e della loro mancata riconsegna. Tale ultimo assunto e' stato contestato con l'atto di appello al quale e' stata allegata la "lettera del gruppo Consiliare Lombardia" del 25/2/2014 da cui risulta che detti beni sono stati inventariati alla data del 25/272014 e dunque erano nella disponibilita' del Gruppo (OMISSIS). In relazione a tale profilo si deduce l'illogicita' della motivazione della sentenza impugnata che laddove non desume da tale lettera la prova della restituzione dei beni da parte dell'imputato. 8.6.6 Con l'ottavo motivo di ricorso (OMISSIS) deduce violazione di legge in relazione al ritenuto concorso nella condotta commessa dal capogruppo (OMISSIS) (capo 61), atteso che la sottoscrizione sporadica della ricevuta dei pranzi "(OMISSIS)" non costituiva autorizzazione della spesa ma attestazione della propria presenza e di quella altrui, preliminare alla procedura di controllo. Il controllo e la successiva autorizzazione non spettavano infatti al (OMISSIS) ma alla struttura amministrativa del Gruppo. 8.6.7 Con il secondo motivo di ricorso (OMISSIS) ha dedotto il vizio di violazione di legge nella parte in cui la sentenza ha escluso che la L. 20 luglio 2008, n. 20, articolo 67 consentisse ai gruppi di trasferire risorse dal fondo di funzionamento del gruppo a quello per le spese di retribuzione del personale ma solo in base ad un apposito trasferimento ed incremento del fondo per il personale, requisito che non e' previsto dalla legge. 9. Insussistenza dell'elemento soggettivo ed errore sul fatto. I ricorrenti hanno dedotto il vizio di motivazione e violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Corte di appello nel disconoscere la mancanza del dolo in capo agli imputati. Si assume che i rimborsi erano stati chiesti sulla base delle puntuali indicazioni ricevute dai funzionari regionali preposti al controllo ed all'erogazione delle somme, i quali avevano sempre fatto affidamento su prassi consolidate e criteri ritenuti validi anche in precedenti legislature. Segnalano concordemente i ricorrenti che, all'atto del loro insediamento, avevano ricevuto un apposito vademecum, contenente specifiche indicazioni in ordine sia alle spese per le quali era possibile ottenere il rimborso, sia alla documentazione di supporto che doveva essere prodotta. Il fatto che gli imputati si fossero costantemente attenuti alla prassi amministrativa consolidata, nonche' alle indicazioni appositamente impartite sul punto fin dall'insediamento, dimostrerebbe l'assoluta buona fede nel richiedere i rimborsi. La Corte di appello non avrebbe adeguatamente valorizzato tali elementi e, con argomentazioni contraddittorie, ha affermato che il vademecum conteneva indicazioni generiche, ma, al contempo, ne ha richiamato il contenuto per giustificare la non inerenza delle spese portate a rimborso. 9.1. Erronea sarebbe stata anche la valutazione sull'effettivita' dei controlli, non avendo la Corte di appello considerato che non tutte le richieste di rimborso erano accolte, a dimostrazione di come i Consiglieri potevano far legittimo affidamento sul fatto che, ove pure fossero state indicate spese non inerenti, le stesse non sarebbero state rimborsate. Per converso, il mancato rilievo da parte dei funzionari amministrativi preposti al controllo aveva determinato l'assoluta convinzione circa la legittimita' dei rimborsi e la corretta individuazione delle categorie di spese per le quali era possibile attingere ai fondi assegnati ai gruppi. Si assume, infine, che non sarebbero pertinenti i richiami alla giurisprudenza della Corte dei Conti, posto che in quel giudizio la responsabilita' presuppone la colpa e non la dolosa distrazione nell'uso dei fondi pubblici. 9.2. Secondo una prospettazione comune a gran parte dei ricorrenti, nel caso di specie sarebbe stato configurabile un errore su legge diversa da quella penale che, ai sensi dell'articolo 47 c.p., comma 3, escluderebbe la punibilita'. Si censura la motivazione recepita dalla Corte di appello, secondo cui nel caso di specie non si verterebbe in tema di errore su legge extrapenale, bensi' nell'ipotesi di errore su legge richiamata dalla norma incriminatrice e, quindi, integrativa della stessa, rispetto alla quale l'errore non rileverebbe se non nei limitatissimi casi di cui all'articolo 5 c.p.. I ricorrenti contestano tale ricostruzione, deducendo che l'errore non concernerebbe il profilo normativo, rappresentato dalla necessaria inerenza delle spese all'esercizio del mandato, bensi' sul dato fattuale relativo al fatto che le spese erano state sostenute in un contesto comunque ricollegabile all'attivita' esterna svolta dai singoli Consiglieri. Si tratterebbe, quindi, non gia' di un errore sulla nozione di "spese di rappresentanza", bensi' nella erronea percezione, in punto di fatto, di determinati contesti come rientranti nell'attivita' esterna svolta dai gruppi e dai singoli Consiglieri. 9.3. Strettamente collegato al profilo inerente la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato e' la doglianza concernete la mancata valorizzazione dei mutamenti giurisprudenziali intervenuti, dopo la commissione dei fatti, in ordine all'esatta individuazione degli elementi costitutivi del delitto di peculato, con specifico riferimento all'indebito utilizzo di somme di denaro da parte dei Consiglieri regionali. E' stato sottolineato come, all'epoca dei fatti, la giurisprudenza di legittimita' era assestata sul principio affermato con la sentenza "Tretter", nella quale era stata esclusa la configurabilita' del peculato nel caso di impiego dei fondi "per sostenere spese di propaganda politica o di rappresentanza (nella specie, per l'acquisto di materiale propagandistico e di oggetto-regalo di modesto valore per gli elettori, per pranzi e rinfreschi in occasione di incontri pre-elettorali), trattandosi di attivita', benche' non istituzionali, comunque legate da nesso funzionale con la vita e le esigenze del gruppo" (Sez.6, n. 33069 del 12/5/2003, Rv. 226531). Evidenziano i ricorrenti che solo per effetto di un'evoluzione giurisprudenziale sopravvenuta a distanza di anni dal compimento dei fatti per i quali si procede, la Cassazione aveva rivisitato, in senso maggiormente rigoroso, i principi sostenuti nella sentenza "Tretter". La Corte di appello, pertanto, nel valutare l'elemento soggettivo avrebbe dovuto tener conto di tale evoluzione giurisprudenziale, rilevante al fine di stabilire se - al momento del fatto - gli imputati potessero o meno avere effettiva consapevolezza della illegalita' della loro condotta. Il ricorso proposto da (OMISSIS). 10. Una considerazione a parte va riservata, per la peculiarita' delle questioni proposte rispetto a quelle dedotte dagli altri imputati, al ricorso proposto da (OMISSIS) nel quale sono stati dedotti tre motivi di ricorso. 10.1 Con il primo e secondo motivo, si deduce il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del concorso doloso nel reato di peculato commesso con i capogruppo (OMISSIS) e (OMISSIS)- (OMISSIS). Ai predetti si contesta di aver indebitamente ottenuto il rimborso dei pranzi sostenuti presso il ristorante "(OMISSIS)", trattandosi di consumazioni svolte al di fuori di qualsivoglia evento esterno, al quale partecipavano solo i Consiglieri. Sostiene il ricorrente che le spese in questione avvenivano nell'ambito di una convenzione stipulata con il predetto ristorante, abitualmente frequentato dai Consiglieri in quanto vicino alla sede regionale. Per effetto della convenzione, i singoli Consiglieri si limitavano a sottoscrivere le ricevute senza anticipare la spesa; successivamente le ricevute venivano direttamente inviate all'ufficio di presidenza che procedeva al rimborso, imputando la relativa spesa alla quota di rimborso prevista per ciascun Consiglieri. Sostiene il ricorrente che i pranzi in questione si svolgevano nelle pause di lavoro dell'ordinaria attivita' consiliare ed erano momenti di lavoro e confronto, sicche' non poteva certamente sostenersi la finalita' privatistica della spesa. Inoltre, si contesta anche la configurabilita' di un contributo morale rispetto al reato di peculato, sul presupposto che (OMISSIS) si era limitato ad apporre una firma sulle ricevute, seguendo una prassi ultradecennale e con il conforto e l'avallo del Presidente del gruppo e dell'ufficio preposto al controllo. 10.2. Con il terzo motivo, inoltre, deduce il vizio di motivazione in relazione all'eccessivo aumento disposto a titolo di continuazione. Le questioni sul trattamento sanzionatorio. 11. Nell'interesse degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente con i motivi di ricorso indicati sub D) ed E), e' stata dedotta la violazione dell'articolo 62-bis c.p. sul presupposto che la riduzione della pena, in considerazione del riconoscimento dell'attenuante, non e' avvenuta nella sua massima estensione, nonostante il contributo conoscitivo offerto dai ricorrenti. 11.1 Nell'interesse dell'imputato (OMISSIS), oltre ai motivi comuni gia' illustrati, con il settimo motivo di ricorso si deduce il vizio di motivazione con riguardo alla determinazione degli aumenti a titolo di continuazione. In particolare, si lamenta l'omessa indicazione del reato piu' grave, nonche' la mancanza di motivazione sugli aumenti disposti per ciascun reato posto in continuazione. 11.2 Con il quarto motivo (OMISSIS) ha dedotto la violazione dell'articolo 133 c.p. in relazione alla riduzione della pena non nella misura proporzionale di un terzo, nonostante la prescrizione del reato in relazione all'anno 2008, in relazione al quale le spese rimborsate erano pari ad un terzo di quelle totali ascritte all'imputato. 11.3 Anche nel ricorso proposto da (OMISSIS) si censura l'eccessivita' del trattamento sanzionatorio ed omessa motivazione su invocata riduzione del trattamento sanzionatorio e su aumento a titolo di continuazione. In particolare, con il quarto motivo deduce la violazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2, censurando: a) l'eccessivita' del trattamento sanzionatorio; b) le statuizioni civili e la somma ingente assegnata a titolo di provvisionale di cui chiede la revoca o la sospensione. 11.4 Con il primo motivo di ricorso (OMISSIS) deduce i vizi di violazione di legge e contraddittorieta' della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della continuazione tra i reati oggetto della sentenza impugnata (capi 6, 50 e 61) e quelli di cui alla sentenza di condanna n. 6297/13 della Corte di appello di Milano in quanto relativa a reati della medesima natura (peculato e truffa in danno della Regione Lombardia) commessi dall'imputato nella qualita' di consigliere regionale nel periodo immediatamente antecedente (2006-2008). E' erronea al riguardo la considerazione espressa dalla sentenza impugnata in merito alla impossibilita' per il (OMISSIS) di prevedere la propria rielezione e, dunque, di programmare gli ulteriori reati, in quanto, (OMISSIS) era gia' consigliere regionale alla data del 2006 e la 8 legislatura e' durata dal 3 aprile 2005 fino al 10 maggio 2010 per cui non era necessaria alcuna previsione di elezione. 11.5 Con i motivi 10-11 (OMISSIS) deduce i vizi violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al riconoscimento della continuazione interna in relazione ad ogni singolo rimborso ed alla continuazione esterna in relazione al reato di cui al capo 61. Se si accede alla tesi della disponibilita' giuridica del denaro, la condotta deve essere considerata unitariamente in relazione al fatto che l'erogazione dei fondi al singolo consigliere avveniva in un'unica soluzione e su base annuale. Il momento consumativo del reato va dunque individuato in quello di elargizione del rimborso e non in quello di anticipazione della singola spesa. Quindi si tratta di una condotta unitaria sia in relazione alla sottoscrizione delle ricevute dei pranzi (OMISSIS) (capo 61 in concorso con il capogruppo) che per le altre voci di spesa. Con i motivi 12-13) l'imputato deduce i vizi di travisamento della prova in ordine all'intervenuto risarcimento del danno e violazione di legge con riferimento al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6, illogicita' della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio e mancanza di motivazione in merito alla possibilita' di concedere le attenuanti generiche nella misura massima. Nonostante la produzione, a sostegno dei motivi di appello, della documentazione attestante l'avvenuto rimborso del danno erariale, comprensivo di interessi e spese, ed il versamento "volontario" di Euro 3940,06, per un totale di Euro 74.293,30 oltre Euro 1990,53 per le spese di giudizio, la sentenza impugnata, omettendo ogni valutazione al riguardo, ha escluso la possibilita' di una rideterminazione del trattamento sanzionatorio in senso favorevole al (OMISSIS) in considerazione dell'entita' del danno cagionato, della reiterazione delle condotte (gia' considerate ai fini della continuazione), della natura voluttuaria delle spese e dell'assenza di qualsiasi condotta riparatoria nonostante l'intervenuta condanna in sede contabile. Le questioni relative alle statuizioni civili. 12. (OMISSIS) deduce un motivo unico avverso le sole statuizioni civili deducendo vizi cumulativi di violazione di legge e di mancanza e manifesta illogicita' della motivazione nella parte in cui ha escluso la sussistenza di elementi per pervenire ad una pronuncia favorevole all'imputato in considerazione del fatto che la norma in vigore all'epoca dei fatti, Legge Regionale n. 20 del 2008, articolo 67, comma 9, non richiedeva alcun titolo ai fini dell'assunzione come collaboratori esterni. 12.1 Con i motivi 19-20 (OMISSIS) deduce la violazione dell'articolo 185 c.p. con riferimento al riconoscimento del danno patrimoniale alla parte civile e vizio di motivazione in merito al mancato riconoscimento del risarcimento del danno erariale. Si reitera la censura sulla erronea individuazione del danno risarcibile nella misura pari alle somme oggetto di indebita appropriazione ed al pregiudizio cagionato al buon andamento della Pubblica Amministrazione, trattandosi di danno di esclusiva competenza della Corte dei conti e gia' risarcito in tale sede. Si deduce, pertanto, anche la illegittimita' della provvisionale determinata nella misura ari al 50% delle somme oggetto di indebita appropriazione. Poiche' il danno erariale e' stato gia' risarcito in sede contabile, si censura la violazione del ne bis in idem. Le memorie e i motivi aggiunti. 13. Con memoria trasmessa unitamente al mandato difensivo, l'avv. Avidano Alberto, codifensore di (OMISSIS), ha presentato i seguenti motivi aggiunti: - Violazione di legge in relazione alla erronea qualificazione giuridica della condotta ascritta ai capi 43 e 61, da sussumere nel reato di cui all'articolo 640 bis c.p. o in subordine in quello di cui all'articolo 316-ter c.p. non avendo il (OMISSIS) la disponibilita' del denaro. In relazione a tale motivo si eccepisce la prescrizione del reato. - Mancanza di motivazione sulla configurabilita' di un concorso doloso del (OMISSIS) nella condotta del Presidente del gruppo consiliare. 13.1 Con memoria depositata il 7/6/2022, pervenuta il 17/6/2022, il difensore di (OMISSIS) ha ulteriormente illustrato i primi due motivi di ricorso insistendo per il suo accoglimento. 13.2 Con memoria trasmessa il 10/6/2022 il difensore di (OMISSIS) ha presentato un motivo aggiunto deducendo il vizio di violazione di legge in relazione alla qualificazione giuridica della condotta come peculato anziche' a sensi dell'articolo 316-ter c.p. rispetto al quale, ad avviso della difesa, difetterebbe, comunque, l'elemento psicologico del reato. 13.3 Il difensore di (OMISSIS) ha depositato memoria illustrando ulteriormente i motivi di ricorso; in particolare si prospetta la possibile riqualificazione della condotta ai sensi dell'articolo 640-bis c.p. o dell'articolo 316-ter c.p.. Con riferimento alle censure relative alla ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico doloso, si insiste sull'applicazione retroattiva di un principio di diritto difforme da quello affermato dalla giurisprudenza di legittimita' all'epoca dei fatti in tema di spese rimborsabili (si richiama nuovamente la sentenza Tretter) che ha legittimato l'affidamento dell'imputato sulla correttezza e liceita' del proprio operato con inevitabili ricadute in termini di accessibilita' e prevedibilita' della sanzione. Sotto tale profilo si insite sulla configurabilita' dell'errore ai sensi dell'articolo 47 c.p.. 13.4 Con memoria del 13 giugno 2022 il difensore di (OMISSIS) ha illustrato ulteriormente i motivi di ricorso allegando documentazione a sostegno delle argomentazioni esposte (ovvero, programma convegno a Venezia dal 23 al 25 giugno 2011; ricevute spese sostenute personalmente dall'imputato). In particolare, quanto al secondo motivo, si deduce che il ragionamento della Corte territoriale e' viziato in quanto introduce un requisito formale non previsto dalla legge e una inversione dell'onere della prova. Si segala, altresi', che anche la Corte dei Conti ha ritenuto legittime le spese per i pasti dei collaboratori e che il contenuto della sentenza e' stato travisato dalla Corte territoriale. Sempre in relazione a tali spese si censura il passaggio della sentenza sulla loro non rimborsabilita' in considerazione del fatto che il D.P.C.M. 21 dicembre 2012 e' successivo ai fatti per cui si procede. Segnala, infatti, la difesa che la stessa Corte dei Conti ha ritenuto le spese del 2012, antecedenti detto D.P.C.M., rimborsabili. 14. Il Sostituto Procuratore Generale, Dott. Morosini Piergiorgio, ha depositato una requisitoria scritta, da considerare come memoria, con la quale ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi presentati da (OMISSIS) e (OMISSIS) e per il rigetto di tutti gli altri ricorsi. 15. La parte civile, Regione Lombardia, ha depositato memoria in cui ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi degli imputati nei cui confronti permane la costituzione di parte civile. 16. All'udienza del 28 giugno 2022, in considerazione dell'adesione all'astensione dalle udienze proclamata dalle Camere penali da parte della maggior parte dei difensori, e' stato disposto il rinvio all'odierna udienza con la dichiarazione di sospensione dei termini di prescrizione per tutti gli imputati. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Preliminarmente, occorre dichiarare l'inammissibilita' dei ricorsi proposti nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS). Per quanto concerne il primo, si rileva la tardivita' del ricorso, posto che la sentenza impugnata era stata depositata il 6 ottobre 2021 e il termine assegnato per il deposito della motivazione, pari a 90 giorni, scadeva il successivo 11 ottobre; calcolando il termine per impugnare pari a 45 giorni, ne consegue che il termine ultimo e' maturato il 25 novembre 2021, mentre il ricorso risulta depositato mediante PEC - il 13 gennaio 2022. 1.1 Diverse le ragioni che, invece, rendono inammissibile il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS). Con attestazione apposta dalla cancelleria della Corte di appello di Milano, risulta che il ricorso, presentato a mezzo PEC, risulta sottoscritto digitalmente, mentre difetta la sottoscrizione tanto della nomina del difensore, che degli allegati al ricorso. La disciplina emergenziale, che ha consentito la proposizione dei mezzi di impugnazione mediante PEC, ha introdotto specifici requisiti, previsti a pena di inammissibilita', finalizzati a garantire la certezza e la regolarita' degli atti inoltrati per via telematica. Il Decreto Legge 29 ottobre 2020, articolo 24, cosi' come modificato in sede di conversione dalla L. 28 dicembre 2020, n. 176, al comma 6-bis prevede che " l'atto in forma di documento informatico e' sottoscritto digitalmente...omissis... e contiene la specifica indicazione degli allegati, che sono trasmessi in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore per conformita' all'originale"; il successivo comma 6-sexies, lettera b), precisa ulteriormente che l'impugnazione e' inammissibile "quando le copie informatiche per immagine di cui al comma 6-bis non sono sottoscritte digitalmente dal difensore per conformita' all'originale". La giurisprudenza - Sez. 6, n. 37704 dell'11/7/2022 - ha gia' avuto modo di pronunciarsi sulla norma in questione e, nell'evidente finalita' di contenerne il formalismo, ha affermato che non costituisce causa di inammissibilita' dell'impugnazione la mancata sottoscrizione digitale da parte del difensore degli allegati che siano autonomi ed indipendenti rispetto al contenuto dell'atto di impugnazione (fattispecie in cui la mancata sottoscrizione riguardava una certificazione medica allegata ad una richiesta di differimento dell'udienza). Seguendo tale impostazione, l'inammissibilita' si verifica solo qualora la mancata sottoscrizione da parte del difensore per conformita' all'originale delle copie informatiche allegate al ricorso riguardi atti che devono tuttavia essere essenziali ai fini della completezza e al perfezionamento dell'impugnazione proposta. Quest'ultima ipotesi ricorre sicuramente nel caso di specie, nel quale difetta la sottoscrizione digitale della nomina del difensore, elemento evidentemente necessario a garantire la conformita' all'originale dell'atto e la conseguente legittimazione a proporre l'impugnazione. Per completezza, occorre aggiungere che nel vigore della disciplina emergenziale, l'inammissibilita' per mancanza di valida sottoscrizione digitale, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 24, comma 6-sexies, doveva essere dichiarata, anche d'ufficio, dal giudice del provvedimento impugnato. La mancata dichiarazione di inammissibilita' da parte della Corte di appello, tuttavia, non esclude il potere della Cassazione di rivalutare autonomamente la sussistenza di un motivo di inammissibilita' del ricorso. 2. Gli altri ricorsi, con l'unica eccezione delle posizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), pongono delle questioni comuni concernenti: a) la natura giuridica dei gruppi consiliari; b) la disponibilita' da parte dei consiglieri regionali del denaro del fondo per il funzionamento del gruppo consiliare; c) la qualificazione giuridica della condotta; d) la valutazione di non inerenza delle spese rimborsate e la ripartizione dell'onere della prova; e) la configurabilita' di un errore di errore di fatto idoneo ad escludere la punibilita' della condotta ai sensi dell'articolo 47 c.p.. Si procedera', pertanto, ad esaminare tali questioni comuni per poi procedere all'esame delle singole posizioni dei ricorrenti e degli eventuali ulteriori motivi di ricorso nei limiti di quanto necessario, nonche', da ultimo, all'esame delle specifiche posizioni degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS). 3. La natura giuridica dei gruppi consiliari. I gruppi consiliari sono stati qualificati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale come organi del Consiglio regionale e proiezioni dei partiti politici in assemblea regionale (cfr. Corte Cost. nn. 130 del 2014, 39 del 2014; 187 del 1990; n. 1130 del 1988), ovvero come uffici comunque necessari e strumentali alla formazione degli organi interni del consiglio (Corte Cost. n. 1130 del 1988). Essi pertanto contribuiscono in modo determinante al funzionamento e all'attivita' dell'assemblea, assicurando l'elaborazione di proposte, il confronto dialettico fra le diverse posizioni politiche e programmatiche, realizzando in una parola quel pluralismo che costituisce uno dei requisiti essenziali della vita democratica" (Corte Cost. n. 187 del 1990). Nello stesso senso Corte Cost. n. 107 del 2015 ha, inoltre, aggiunto, che l'attivita' di gestione amministrativa e contabile dei contributi pubblici assegnati ai gruppi consiliari e' funzionale all'esercizio della sfera di autonomia istituzionale che ai gruppi consiliari medesimi e ai consiglieri regionali deve essere garantita (sentenza n. 187 del 1990), affinche' siano messi in grado di "concorrere all'espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale e, in particolare, all'elaborazione dei progetti di legge, alla preparazione degli atti di indirizzo e di controllo, all'acquisizione di informazioni sull'attuazione delle leggi e sui problemi emergenti dalla societa', alla stesura di studi, di statistiche e di documentazioni relative alle materie sulle quali si svolgono le attivita' istituzionali del Consiglio regionale" (sentenza n. 1130 del 1988). La giurisprudenza delle Sezioni civili di questa Corte, ha avuto modo di precisare la duplice natura giuridica del gruppo consiliare regionale ritenuta, al pari di quella del gruppo parlamentare, privatistica limitatamente all'attivita' direttamente connessa alla matrice partitica dalla quale traggono origine, e pubblicistica, in rapporto all'attivita' che li attrae nell'orbita della funzione istituzionale del soggetto giuridico, assemblea parlamentare o regionale, nel cui ambito sono destinati ad operare (cfr. Cass. civ., Sez. U, n. 23257 del 31/10/2014, Rv. 632757; Sez. U., n. 3335 del 19/2/2004 con riferimento ai gruppi parlamentari). Ne consegue che, mentre con riferimento al primo piano di azione, i gruppi consiliari assumono una veste analoga a quella dei partiti politici di riferimento, allorche', invece, svolgono le attivita' strettamente correlate al funzionamento dell'assemblea regionale, assumono una natura pubblicistica, partecipando, quali strutture interne agli organi assembleari, all'esercizio della funzione legislativa pubblica. In considerazione di tale multiforme natura giuridica dei gruppi dei Consigli regionali, le Sezioni unite civili di questa Corte hanno, pertanto, affermato che la gestione dei fondi pubblici a questi erogati e' soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilita' erariale, sia perche' a tali gruppi - pur in presenza di elementi di natura privatistica connessi alla loro matrice partitica - va riconosciuta natura essenzialmente pubblicistica, in quanto strumentale al funzionamento dell'organo assembleare da essi svolta, sia in ragione dell'origine pubblica delle risorse e della definizione legale del loro scopo, senza che rilevi il principio dell'insindacabilita' di opinioni e voti ai sensi dell'articolo 122 Cost., comma 4, non estensibile alla gestione dei contributi (Sez. U, n. 5589 del 28/02/2020, Rv. 657218). In tale prospettiva, e' stata, pertanto, riconosciuta la qualifica di pubblico ufficiale al Presidente del gruppo consiliare regionale, in quanto partecipa alle modalita' progettuali e attuative della funzione legislativa, nonche' alla procedura di controllo del vincolo di destinazione dei contributi erogati al gruppo medesimo (Sez. 6, n. 1561 del 11/09/2018, dep. 2019, Fiorito, Rv. 274940; Sez. 6, n. 14580 del 02/02/2017, Narduzzi, Rv. 269536). Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riferimento ai consiglieri componenti del gruppo, in relazione a tutte le attivita' correlate all'esercizio della funzione pubblicistica e che trovano esplicazione per il tramite del gruppo stesso e delle iniziative che in tale ambito vengono assunte. 4. Il contributo per il funzionamento dei gruppi consiliari della regione Lombardia. La L. 6 dicembre 1973, n. 853, concernente l'autonomia contabile e funzionale dei Consigli Regionali a statuto ordinario, ha espressamente previsto, nell'ambito delle spese generali del Consiglio, i contributi per il funzionamento dei gruppi consiliari, inquadrati nell'ambito della categoria di spese per "Servizi degli organi statutari" (articoli 1 e 2). La L. n. 853 del 1973, articolo 3 ha, inoltre, rinviato alle specifiche leggi regionali gli stanziamenti da iscrivere nel capitolo di spesa relativo, tra l'altro, ai contributi in esame. Per quanto attiene alla Regione Lombardia, la specifica disciplina relativa all'erogazione del contributo per il funzionamento dei gruppi consiliari nel periodo in contestazione (anni 2008-2012) e' contenuta nella Legge Regionale 27 ottobre 1972, n. 34, in tema di provvidenze e contributi per il funzionamento dei gruppi consiliari, e nella Legge Regionale 7 maggio 1992, n. 17, contenente modifiche ed integrazioni alla L. n. 34 del 1972 ed alla Legge Regionale 23 giugno 1977, n. 31 relativa all'assegnazione di personale ai gruppi consiliari e norme in materia di rendiconto dei gruppi consiliari. Tali leggi sono state successivamente abrogate con decorrenza dal 1 luglio 2013 dalla Legge Regionale 24 giugno 2013, n. 3, articolo 23. Tuttavia, nel valutare le condotte contestate ai ricorrenti si fara' riferimento al quadro normativo, oggi abrogato, vigente all'epoca dei fatti. Dall'esame delle due leggi regionali del 1972 e del 1992 emerge, innanzitutto, che il contributo per il funzionamento di ciascun gruppo consiliare e' assegnato sulla base di una previa deliberazione consiliare che fissa: i criteri generali sui tempi e le modalita' delle erogazioni, la natura delle spese per cui i contributi possono essere utilizzati e le forme di rendicontazione periodica che, ove non eseguita nelle forme prescritte, comporta la sospensione delle erogazioni successive (Legge Regionale n. 34 del 1972, articolo 2, comma 2). Il contributo viene erogato mensilmente dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio, si compone di una quota fissa, uguale per ogni gruppo e tale da garantire le attivita' fondamentali, e da una quota commisurata, anche in modo non direttamente proporzionale, alla consistenza numerica di ogni singolo gruppo sulla base di una tabella allegata alla Legge Regionale n. 34 del 1972 (Legge Regionale n. 34 del 1972, articolo 2, comma 1). Analogo contributo spetta anche al gruppo misto, ma, in tal caso, il consigliere che, successivamente alla costituzione dei gruppi, aderisca al gruppo misto, non ha diritto alla quota costante mensile di cui alla tabella 1 punto 1 allegata alla Legge Regionale n. 34 del 1972 (articolo 2-bis). Ai sensi del successivo articolo 2-ter, comma 2, "Il contributo di cui al comma 1 e' erogato per il tramite del gruppo consiliare di appartenenza in base alle modalita' deliberate dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio". 4.1 La Legge Regionale del 1972 ha inizialmente vincolato la destinazione del contributo mensile per il funzionamento del gruppo consiliare alle seguenti finalita': a) assicurare l'espletamento del mandato consiliare; b) spese di formazione, aggiornamento, consulenze esterne occasionali, documentazione, rappresentanza, divulgazione e accesso e utilizzo delle nuove tecnologie (articolo 2-ter). Le finalita' del contributo in esame sono state successivamente estese dalla Legge Regionale n. 17 del 1992, articolo 1, comma 2, oltre che alle spese di funzionamento, di aggiornamento, studio e documentazione, anche alle attivita' di diffusione della conoscenza delle attivita' del gruppo attraverso azioni di informazione e comunicazione. Per tale ragione, il successivo comma 2-ter ha previsto la costituzione nel bilancio del Consiglio regionale di un fondo per la comunicazione dei consiglieri e dei gruppi consiliari le cui risorse sono assegnate annualmente dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio ai gruppi regionali secondo il criterio della consistenza numerica dei gruppi consiliari costituiti. Si demanda, infine, ad un regolamento dell'Ufficio di Presidenza la disciplina dell'utilizzo del fondo in esame in relazione al quale, il comma 2-bis della norma in esame prevede espressamente che "per le attivita' di informazione e comunicazione i gruppi consiliari o i singoli consiglieri possono organizzare le attivita' in proprio o acquistare direttamente sul mercato i servizi". Ai sensi dei successivi articoli 2 e 3 e', comunque, esclusa la possibilita' di utilizzare, anche parzialmente, i contributi erogati dal Consiglio regionale: - per finanziare direttamente o indirettamente le spese di funzionamento degli organi centrali o periferici di partiti o movimenti politici e delle loro articolazioni politiche e amministrative o di altri raggruppamenti interni ai partiti o ai movimenti (fatta salva la possibilita' per i gruppi di disporre pagamenti, a titolo di quota di partecipazione a spese effettivamente sostenute per specifiche e documentate iniziative svolte congiuntamente ed aventi ad oggetto materie che rientrano nella competenza regionale); - in favore di membri del parlamento nazionale o Europeo, dei consiglieri regionali, provinciali e comunali, dei candidati alle cariche predette, nonche' di coloro che rivestono cariche di presidenza, di segreteria e di direzione politica e amministrativa a livello nazionale, regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale, nei partiti politici, movimenti e loro articolazioni politico amministrative (con l'eccezione, tuttavia, dei pagamenti eseguiti a titolo di corrispettivo per collaborazioni o di rimborso di spese vive effettuate per acquisire collaborazioni di persone aventi particolare competenza o specifiche conoscenze utili allo svolgimento delle attivita' istituzionali del gruppo consiliare); per corrispondere ai consiglieri regionali compensi per prestazioni d'opera intellettuale o per qualsiasi altro tipo di collaborazione. La legge regionale del 1992 contiene, inoltre, una generica disposizione disciplinante le modalita' di erogazione del contributo in esame al singolo consigliere componente del gruppo, prevedendo un meccanismo fondato sull'anticipo del costo da parte dell'interessato e sul successivo rimborso delle spese "adeguatamente documentate" (articolo 2, comma 4). Spetta, infine, al presidente del gruppo consiliare redigere ed approvare, entro il 31 marzo di ogni anno, il rendiconto delle spese sostenute nell'anno precedente (Legge Regionale n. 17 del 1992, articoli 4 e 6); tale rendiconto e' soggetto al controllo dell'ufficio di presidenza del consiglio regionale che ne verifica la regolarita' della redazione, anche attraverso una interlocuzione con il presidente del gruppo al quale puo' chiedere chiarimenti e l'esibizione della documentazione relativa alle spese sostenute dal gruppo (articolo 7). Qualora non venga adempiuto l'obbligo di deposito del rendiconto ovvero emergano delle irregolarita', l'ufficio di presidenza dispone l'immediata sospensione del contributo assegnando un temine non superiore a trenta giorni per la regolarizzazione; qualora l'irregolarita' non sia sanata entro tale termine, l'ufficio di presidenza trattiene dai contributi relativi all'anno successivo una somma pari agli importi ritenuti non regolarmente spesi dal gruppo. 4.2 La specifica disciplina delle modalita' di erogazione dei contributi gravanti sul fondo per il funzionamento dei gruppi consiliari e sul fondo per la comunicazione e' stata adottata dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale della Lombardia con le delibere n. 192 del 19 giugno 2001 e n. 68 del 2 marzo 2009. Con la prima delibera e' stata disciplinata la modalita' di erogazione del contributo mensile spettante ai gruppi consiliari. Innanzitutto, all'articolo 1 viene specificata la destinazione del contributo mensile spettante a ciascun grippo consiliare per due categorie di spese: a) spese di funzionamento, di aggiornamento, di studio e documentazione nonche' per diffondere la conoscenza del gruppo consiliare; b) spese di formazione, di aggiornamento, di consulenze esterne occasionali, di documentazione, di rappresentanza, di divulgazione, di accesso e di utilizzo delle nuove tecnologie sostenute dai consiglieri regionali per l'espletamento del mandato consiliare. Si prevede, inoltre, che tali spese devono essere supportate da regolare documentazione e che i presidenti dei gruppi sono responsabili della regolarita' della documentazione prodotta e della corrispondenza della stessa alle finalita' sopra esaminate (articolo 6). La successiva delibera del 2 marzo 2009 contiene, invece, la disciplina delle modalita' di utilizzo del fondo per l'espletamento delle attivita' di informazione e comunicazione dei consiglieri e dei gruppi consiliari, istituito dalla Legge Regionale n. 17 del 1992, articolo 2-ter. Innanzitutto, all'articolo 1, comma 2, si ribadisce la previsione gia' contenuta all'articolo 1, comma 2-bis della citata legge regionale, che consente ai gruppi consiliari ai singoli consigliari di organizzare le attivita' di informazione e comunicazione in proprio o di acquistare direttamente sul mercato i servizi, secondo le modalita' definite da ciascun gruppo. In particolare, il successivo articolo 2 contiene una disciplina delle tipologie di attivita' rientranti nell'ambito delle attivita' di informazione e comunicazione. La norma prevede, infatti, che i gruppi consiliari o i singoli consiglieri possono: - organizzare attivita' ed eventi a rilevanza esterna o interna quali, ad esempio, convegni e seminari; tenere rapporti a tutti i livelli di responsabilita' con gli organi della stampa d'informazione quotidiana e periodica, della radio e della televisione, in ordine alla pubblicazione di articoli ed alla diffusione di notizie; organizzare conferenze stampa; - stendere e diffondere articoli e comunicati stampa; curare attivita' editoriali e di comunicazione multimediale; svolgere ogni altra attivita' similare, connessa e strumentale alle precedenti. Anche i contributi gravanti sul fondo in questione vengono erogati ai gruppi consiliari dalla competente struttura organizzativa in rate mensili l'ultimo giorno lavorativo di ogni mese, salva diversa richiesta formulata dal presidente del gruppo (articolo 6). Entrambi i regolamenti prevedono, inoltre, che le spese gravanti sui due fondi devono essere supportate da regolare documentazione e devono essere rendicontate dal presidente del gruppo consiliare, responsabile della regolarita' della documentazione prodotta e della sua rispondenza alle specifiche finalita' del contributo, secondo una disciplina analoga, quanto a termini per la redazione e approvazione del rendiconto (31 marzo di ogni anno) e poteri di verifica spettanti all'Ufficio di Presidenza, a quella generale contenuta nella Legge Regionale n. 17 del 1992 (cfr. articoli 4, 6, 7, 8). 5. Il trattamento economico dei consiglieri regionali Il trattamento economico dei consiglieri regionali e' regolato dalla Legge Regionale 23 luglio 1996, n. 17 (in vigore all'epoca dei fatti) e si compone di quattro voci: a) indennita' di funzione; b) diaria a titolo di rimborso spese; c) rimborso spese di trasporto sostenute per gli spostamenti dal comune di residenza a quello sede del consiglio regionale; d) indennita' e rimborso spese di missione. In particolare per quanto rileva in questa sede, va considerato che la L. n. 17 del 1996, articolo 6, nel disciplinare il trattamento di missione dei consiglieri regionali, prevede che per le missioni nel territorio regionale funzionali all'espletamento del mandato, per le quali il consigliere e' autorizzato di diritto, spetta un rimborso spese omnicomprensivo pari al 35% dell'indennita' di funzionale. Ove, invece, il consigliere regionale sia inviato in missione fuori dal territorio della Regione Lombardia, per l'espletamento delle funzioni esercitate o per ragioni delle cariche ricoperte, ai sensi del comma 1, sara' corrisposta: a) per le missioni all'estero, un'indennita' giornaliera di trasferta pari a quella stabilita per il personale dello stato compreso nel gruppo 2) della tabella A allegata al decreto del Ministro del tesoro del 24 maggio 1990 e successive modificazioni; b) per le missioni nel territorio nazionale, un'indennita' giornaliera di trasferta pari a quella stabilita per il personale dello Stato di cui alla lettera a); c) sia per le missioni all'estero che nel territorio nazionale, spetta il rimborso delle spese di alloggio, vitto e di trasporto effettivamente sostenute e documentate, previa contestuale riduzione dell'indennita' giornaliera di trasferta da determinarsi dall'ufficio di presidenza del consiglio regionale. Il successivo comma 3 disciplina, infine, il rimborso spettante al consigliere regionale per le attivita' connesse al mandato, ma non coperte da indennita' di missione, espletate nel territorio nazionale o presso le istituzioni dell'Unione Europea. La disciplina di tali voci sara' analizzata specificamente nel par. 12 dedicato all'esame delle tipologie di spese oggetto di imputazione. 6. Le spese per le segreterie e gli staff di assistenza ai consiglieri. La Legge Regionale 7 luglio 2008, n. 20, articolo 67 prevede, infine, che per lo svolgimento delle attivita' necessarie all'esercizio delle proprie funzioni i gruppi consiliari si avvalgono di specifiche unita' organizzative, denominate segreterie e staff assistenza ai consiglieri, scelte in virtu' di un rapporto di natura fiduciaria. Ai sensi del comma 3 le risorse finanziarie necessarie per l'acquisizione del personale per le segreterie di ciascun gruppo consiliare e per gli staff di ciascun consigliere sono determinate dall'Ufficio di Presidenza con riferimento ai limiti e alle disponibilita' di bilancio concernenti le spese dei gruppi consiliari. Il budget dei singoli gruppi viene diviso in due quote (segreteria e staff) quantificate secondo la tabella di cui al comma 5. Le specifiche disposizioni relative alle modalita' di assunzione del personale ed al rimborso delle spese sostenute dai consiglieri per il personale del proprio staff saranno esaminate nei paragrafi relativi ai motivi di ricorso proposti da (OMISSIS) e da (OMISSIS). 7. La disponibilita' del denaro. Una volta esaminata la disciplina regionale vigente all'epoca dei fatti, si puo' passare all'esame della questione relativa alla configurabilita' in capo ai singoli consiglieri del possesso del denaro conferito al gruppo di appartenenza a titolo di contributo per il suo funzionamento e per le attivita' di informazione e comunicazione. Come emerge dalla disciplina regionale sopra esaminata, il contributo veniva erogato direttamente al gruppo consiliare attraverso l'accreditamento degli importi su un conto corrente intestato al gruppo, in relazione al quale il potere di firma spettava al Presidente del gruppo stesso, cui competeva anche un potere di vigilanza da esercitare sia in via preventiva sulla documentazione presentata a corredo delle istanze di rimborso che in via successiva attraverso la redazione del rendiconto annuale delle spese. Dalla ricostruzione delle due sentenze di merito non risulta, inoltre, che i consiglieri avessero a disposizione una carta di credito "regionale", dovendo, in ogni caso, anticipare le singole spese per poi presentare, con cadenza mensile, l'istanza di rimborso corredata da adeguata documentazione. La sentenza impugnata, riprendendo le argomentazioni di quella di primo grado, ha ritenuto che, poiche' i consiglieri si limitavano a presentare una "autodichiarazione" corredata da documentazione contabile, che veniva sottoposta ad un mero controllo formale da parte della competente struttura amministrativa, limitato alla sola rispondenza della spesa a quelle rimborsabili, i singoli consiglieri avevano di fatto la disponibilita' giuridica del denaro agendo come ordinatori di spesa nei confronti della struttura amministrativa, che operava come "tesoreria" o cassa. 7.1 Ad avviso del Collegio tale inquadramento giuridico del rapporto consigliere-fondo per il funzionamento del gruppo non puo' essere condiviso, dovendosi differenziare le posizioni dei ricorrenti in ragione del ruolo rivestito e delle modalita' di consumazione della condotta appropriativa contestata. Come meglio si illustrera' di seguito, infatti, la rilevanza penale e la qualificazione giuridica delle condotte in esame deve essere accertata tenendo conto della diversa posizione dei presidenti dei gruppi rispetto ai singoli consiglieri, nonche' delle condotte poste in essere in concorso tra i predetti. Va, innanzitutto, premesso che, in linea generale, il consolidato orientamento di questa Corte, dal quale il Collegio non intende discostarsi, interpreta la nozione di possesso assunta dall'articolo 314 c.p. attribuendole un significato piu' ampio di quello civilistico. Si ritiene, infatti, non necessario che il pubblico ufficiale abbia la materiale detenzione o la diretta disponibilita' del denaro, essendo sufficiente la disponibilita' giuridica, ossia la possibilita' di disporne, mediante un atto di sua competenza o connesso a prassi e consuetudini invalse nell'ufficio, e di conseguire quanto poi costituisca oggetto di appropriazione (tra le tante, Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, Orsi, Rv. 257385; Sez. 6, n. 7492 del 18/10/2012, Bartolotta, Rv. 255529; Sez. 6, n. 11633 del 22/01/2007, Guida, Rv. 236146). Nella nozione di possesso qualificato dalla ragione dell'ufficio o del servizio e' stato, inoltre, ricompreso non solo quello che rientra nella competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, ma anche quello che si basa su un rapporto che consenta al soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio o nella disponibilita' della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o nel servizio anche la sola occasione per un tale comportamento (Sez. 6, n. 19424 del 3/5/2022, Grasso, Rv. 283161). La giurisprudenza di legittimita' ha ulteriormente ampliato la nozione penalistica di possesso con riferimento alle c.d. procedure complesse, quali le ordinarie procedure di spesa. Si e', infatti, ritenuto che il possesso del denaro della pubblica amministrazione puo' anche essere mediato e far capo congiuntamente a piu' pubblici ufficiali quando la disciplina di natura pubblicistica prevede che l'atto dispositivo sia di competenza di un organo collegiale ovvero richieda l'intervento di piu' organi (Sez. 5, n. 15951 del 16/1/2015, Bandettini, Rv. 263263; Sez. 6, n. 39039 del 15/4/2013, Malvaso, Rv. 257096). Si e', pertanto, affermato che l'inversione del titolo del possesso e la conseguente appropriazione del denaro, rilevante ai fini della consumazione del delitto di peculato, puo' realizzarsi anche attraverso l'atto dispositivo di competenza del pubblico agente che consenta di conseguire materialmente il bene. Cio' anche, con riferimento alle procedure complesse, allorche' l'atto finale del procedimento e' emesso da un organo che non concorre nel reato in quanto indotto in errore da coloro che si sono occupati della fase istruttoria, configurandosi, in tal caso, il delitto di peculato mediante induzione in errore ai sensi degli articoli 48 e 341 c.p. (Sez. 6, n. 30637 del 22/10/2020, De Luca, Rv. 279884; Sez. 6, n. 39039 del 15/04/2013, Malvaso, Rv. 257096). 7.2 Va rilevato che la nozione penalistica di "possesso" e' stata declinata dalla giurisprudenza di questa Corte in termini non omogenei con riferimento all'utilizzo dei fondi assegnati ai gruppi consiliari. Sin dai primi casi affrontati da questa Corte si e', infatti, posto il problema della configurabilita' o meno di una disponibilita' di detti fondi da parte dei singoli consiglieri e, in ultima analisi, della qualificazione giuridica della condotta come peculato ovvero quale indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (articolo 316-ter c.p.). Premessa comune ai diversi orientamenti emersi sul tema e' la indiscussa natura pubblicistica dei contributi erogati ai gruppi, trattandosi di fondi gravanti sul bilancio regionale e destinati alla realizzazione della funzione primaria dei gruppi medesimi in seno al Consiglio regionale (cfr. in relazione alla sussistenza della giurisdizione della Corte dei Conti, Cass. civ., Sez. U, n. 5589 del 28/02/2020, Rv. 657218; Cass. civ., Sez. U., n. 21927 del 07/09/2018, Rv. 650450). Va, inoltre, considerato che, con riferimento all'ipotesi piu' comune nelle singole realta' regionali - l'assegnazione del fondo al capogruppo ovvero, come nella fattispecie in esame, direttamente al gruppo ma con l'attribuzione del potere di gestione al capogruppo - la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale il Collegio non intende discostarsi, ha costantemente ravvisato la configurabilita' del reato di peculato in relazione a condotte del presidente del gruppo, appropriative o di utilizzo del denaro per finalita' esclusivamente privatistiche o comunque non riconducibili, neppure indirettamente, all'attivita' politica ed istituzionale (Sez. 6, n. 1561 del 11/09/2018, dep. 2019, Fiorito, Rv. 274940). Cio' sia nel caso in cui il presidente del gruppo abbia agito nel proprio esclusivo interesse sia nel caso in cui abbia autorizzato il rimborso ai singoli consiglieri delle c.d. "spese minute", nonostante la mancanza di qualsiasi giustificativo comprovante la causale e il beneficiario della spesa, essendo egli obbligato, dalla vigente normativa regionale in tema di obbligo di rendicontazione, al controllo della destinazione dei fondi a lui resi disponibili in ragione del ruolo istituzionale ricoperto (Sez. 6, n. 14580 del 02/02/2017, Narduzzi, Rv. 269536). In buona sostanza, nessun dubbio puo' porsi in ordine alla diretta disponibilita' dei fondi in capo al Presidente del gruppo, essendo questi - salvo le ipotesi di delega ad altri - l'unico soggetto legittimato a prelevare il denaro sia direttamente, sia autorizzando il rimborso delle spese sostenute dai consiglieri. 7.3 Gli orientamenti della giurisprudenza di questa Corte si sono, invece, differenziati allorche' si e' esaminata la posizione del singolo consigliere regionale al quale la legislazione regionale non assegni direttamente il potere di gestione del fondo. Un primo orientamento, condiviso dalla sentenza impugnata ed affermato da questa Corte in relazione all'esame della posizione di uno dei coimputati la cui posizione e' stata stralciata in ragione del rito speciale prescelto, ha posto l'accento sulla modalita' di conseguimento del rimborso delle spese anticipate dai consiglieri regionali, basata sulla presentazione di un'autodichiarazione corredata da documentazione e su un controllo di carattere meramente formale da parte della struttura amministrativa. Si e', pertanto, ritenuto, anche sulla base dell'ampia nozione di "possesso" elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte, che tale meccanismo replicasse quello ordinario delle spese pubbliche che vede, da un lato, un soggetto "ordinatore" della spesa, che ha la disponibilita' giuridica del denaro, e, dall'altro, un soggetto "esecutore", il "tesoriere". In buona sostanza, secondo questo orientamento, il consigliere regionale, presentando un'autodichiarazione corredata dalla documentazione, agisce come "ordinatore di spesa" nei confronti della struttura amministrativa che opera alla stregua di un ufficio cassa (Sez. 6 n. 4990 del 11/7/2018, (OMISSIS), Rv.274227). Tale soluzione ermeneutica e' stata successivamente condivisa e sviluppata da Sez. 6, n. 11001 del 15/11/2019, Valenti, Rv. 278809, che, pronunciandosi in relazione ad una fattispecie molto simile a quella oggetto del presente procedimento, ha ravvisato in capo ai singoli consiglieri una disponibilita' "mediata" del fondo, ponendo l'attenzione sul meccanismo di rimborso emerso dall'attivita' istruttoria. Nella fattispecie, infatti, risultava accertato che le richieste di rimborso, corredate da documentazione a sostegno, erano state presentate e liquidate dalla competente struttura organizzativa senza alcuna ingerenza da parte dei presidenti dei gruppi, investiti per legge dei compiti di vigilanza e rendicontazione, nell'erogazione delle somme. Ad analoghe conclusioni e' pervenuta anche Sez. 6, n. 167675 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418, ma in una fattispecie non sovrapponibile a quelle oggetto delle altre pronunce. Nella fattispecie concreta, infatti, la legge regionale attribuiva indistintamente al presidente del gruppo regionale e ai singoli consiglieri la disponibilita' giuridica del contributo stanziato per il funzionamento del gruppo consiliare che veniva trasferito mensilmente in un conto corrente intestato al gruppo. In relazione a tale peculiare fattispecie, si e', pertanto, affermato che integra il reato di peculato e non quello di indebita percezione di erogazioni pubbliche, aggravato dall'abuso delle qualita' del pubblico ufficiale, come modificato dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, articolo 1, comma 1, lettera l), la richiesta di rimborso avanzata dal consigliere regionale, relativa a spese sostenute per finalita' estranee all'esercizio del mandato, da imputare al fondo pubblico assegnato al proprio gruppo consiliare, poiche' in tal caso la disponibilita' giuridica del danaro intesa quale possibilita' di disporne con proprio atto - e' un antecedente della condotta e la falsa rappresentazione della realta' (attraverso la produzione di giustificativi di spesa volti ad accreditare la legittimita' del rimborso) e' diretta a mascherare l'interversione del possesso, laddove nel reato di cui all'articolo 316-ter c.p. l'impossessamento del bene o del danaro costituisce l'effetto della condotta decettiva, necessariamente susseguente ad essa (Rv. 279418-10). Per mera completezza, va, infine, chiarito che le pronunce, ascrivibili all'orientamento in esame, richiamano altro precedente di questa Corte, Sez. 6, n. 53331 del 19/9/2017, Piredda, che, tuttavia, ha ravvisato la configurabilita' del delitto di peculato in relazione ad un differente quadro normativo regionale (Liguria) in cui i contributi per il funzionamento dei gruppi consiliari, venivano erogati dall'Ufficio di presidenza del Consiglio regionale a ciascun gruppo e, sin dal conferimento, ripartiti tra i singoli consiglieri che ne potevano, dunque, disporre direttamente salvo poi presentare, ai fini della redazione del rendiconto annuale da parte del Presidente del gruppo, i relativi documenti giustificativi. 7.4 A difformi conclusioni e', invece, pervenuto altro orientamento che, pur riprendendo la nozione penalistica di possesso sopra esaminata, ha sottolineato la necessita', affinche' possa configurarsi una disponibilita' giuridica del bene, che il rapporto tra il pubblico ufficiale e la "cosa" sia connotato, da un lato, dal dovere di custodia del bene, e, dall'altro, dal potere, esercitabile in autonomia, di attribuire alla stessa una diversa destinazione (Sez. 6, n. 40595 del 2/3/2021, Bernardini, in motivazione). Sulla base di tale premessa ermeneutica, la Corte ha dunque, ritenuto che la disponibilita' giuridica del denaro spetta soltanto a chi ha un "potere di firma". Si e', pertanto, escluso che la presentazione della richiesta di rimborso - che nella fattispecie concreta veniva direttamente autorizzata dal presidente del gruppo il quale si limitava a controllare solo le spese "maggiori" - possa rilevare ai fini della configurabilita' in capo al richiedente di una disponibilita' giuridica dei fondi, anticipando, cosi', al momento della sua presentazione il momento consumativo della condotta appropriativa. Ad avviso della Corte, dunque, cio' che rileva, in assenza di un affidamento di fatto del potere di disporre del denaro stanziato per il gruppo consiliare, non e' il mancato esercizio del dovere di vigilanza e controllo, quanto, piuttosto, l'analisi delle regole di gestione del fondo medesimo. L'assegnazione dei fondi ai gruppi consiliari avviene, infatti, secondo due schemi tipici: 1) l'assegnazione dei fondi ad un soggetto "tesoriere" che autorizza i rimborsi delle spese anticipate dai singoli, se del caso previa verifica formale e sostanziale delle spese; 2) l'attribuzione a ciascun componente del gruppo consiliare, di regola tramite l'utilizzo di carte di credito, di un diritto ad un fondo cassa con un vincolo di destinazione e successivi obblighi di rendicontazione e di restituzione dell'eventuale residuo. Nella fattispecie esaminata nella sentenza "Bernardini" (relativa alla Regione Emilia-Romagna), considerando che, sulla base della disciplina regionale, i contributi erano affidati al Presidente del gruppo, con l'eccezione dei gruppi misti in cui ogni consigliere era assegnatario di una quota, la Corte ha escluso la configurabilita' del delitto di peculato in relazione alla condotta del consigliere regionale che, senza avere la disponibilita' di fondi per il funzionamento del gruppo consiliare, ottenga rimborsi gravanti sul fondo del gruppo di appartenenza per spese non rimborsabili (Rv. 282742-01). Sulla base di tali considerazioni, escluso, dunque, che il ricorrente avesse il possesso o la disponibilita' dei fondi, la Corte ha riqualificato una parte della condotta, consistita nel presentare documentazione giustificativa falsa per ottenere rimborsi non spettanti, nel reato di truffa aggravata di cui all'articolo 640 c.p. e articolo 61 c.p., n. 9, dichiarandolo estinto per prescrizione, ed ha, invece, annullato senza rinvio la sentenza impugnata in relazione ad altre richieste di rimborso, rispetto alle quali la valutazione di non inerenza della spese portata a rimborso si fondava su un mero giudizio di inopportunita' ovvero mancava un'adeguata motivazione del carattere fraudolento della condotta. E' opportuno evidenziare, peraltro, come in una piu' risalente pronuncia si era gia' ritenuto che l'indennita' elargita dalla Regione, tramite il meccanismo del rimborso, in favore dei propri consiglieri, per le spese di trasporto da questi sostenute per il raggiungimento del luogo di esercizio del mandato, rientra, ove indebitamente percepita, tra le erogazioni rilevanti ai sensi dell'articolo 316-ter c.p. (Sez. 6, n. 50255 del 13/11/2015, Tripodi, Rv. 265406). La soluzione ermeneutica adottata da Sez. 6, n. 40595 del 2021, e' stata successivamente condivisa da Sez. 6, n. 29678 del 7/7/2022, Villani, in cui la Corte, sulla base della medesima disciplina regionale gia' analizzata dalla sentenza Bernardini, preso atto della intervenuta assoluzione dei capigruppo per difetto dell'elemento psicologico del reato del reato di peculato in concorso con i singoli consiglieri, ha escluso che questi ultimi avessero la disponibilita' giuridica del fondo per il funzionamento del gruppo, non avendo un potere di firma ne' altra forma di delega individuale che consentisse loro di operare direttamente sul conto corrente del gruppo. Sulla base di tale premessa ermeneutica, la Corte ha, pertanto, riqualificato le condotte ascritte ai consiglieri, escludendo la configurabilita' del reato di peculato. In definitiva, secondo il piu' recente orientamento giurisprudenziale, l'elemento di discrimine, sulla base del quale ritenere sussistente o escludere il delitto di peculato, e' fondato sull'esame delle modalita' concrete mediante le quali i consiglieri ottengono l'erogazione del denaro proveniente dal fondo. Li' dove tale erogazione non consiste in un mero "prelievo" dal fondo, bensi' si inserisce in un meccanismo di anticipo della spesa da parte del consigliere e dalla successiva richiesta di rimborso, viene meno il requisito della disponibilita' del denaro. A ben vedere, e' proprio lo schema dell'anticipazione di spesa e del rimborso che si pone in antitesi con lo schema della disponibilita' - sia pur mediata - del denaro, nella misura in cui il rimborso consiste necessariamente in una richiesta rivolta ad un organo diverso (di norma il Presidente del gruppo) che, evidentemente, e' l'unico a poter formalmente disporre del denaro. 7.5. Il Collegio intende dare continuita' a tale secondo orientamento, dovendosi dare atto che questo costituisce il frutto di una evoluzione giurisprudenziale che, per affinamenti successivi, e' pervenuta ad una tipizzazione della fattispecie di peculato, valorizzando il dato relativo alla effettiva disponibilita' del denaro. Ai fini della configurabilita' del delitto di peculato mediante indebito utilizzo dei fondi per il funzionamento dei gruppi consiliari e', infatti, necessario che il rapporto tra il consigliere regionale ed il denaro sia connotato da una disponibilita', materiale o giuridica, ma, in ogni caso, diretta del bene. A tal fine, dunque, cio' che rileva e' il conferimento - per legge, in virtu' di specifica delega o anche di una prassi interna all'ufficio - di un autonomo potere di "firma" che consenta al pubblico agente di disporre liberamente del denaro nel rispetto del vincolo legale di destinazione del denaro che, come visto, nel caso di specie, attiene al funzionamento del gruppo consiliare ed alle attivita' di informazione e comunicazione. Va, invece, esclusa la configurabilita' della disponibilita' del denaro qualora il pubblico agente sia privo di tale autonomo potere di spesa e possa accedere al contributo stanziato solo previa presentazione di un'istanza di rimborso, corredata da documentazione giustificativa e soggetta a forme piu' o meno incisive di controllo. Contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, dunque, la prassi interna all'ufficio, qualora non consista nel conferimento di un autonomo potere di spesa del denaro, ma nel mancato esercizio della funzione di controllo spettante alle singole strutture amministrative sulle richieste di rimborso ovvero nel carattere meramente formale del controllo svolto, non puo' mai costituire una forma di disponibilita' giuridica del denaro. Ad avviso del Collegio, tale impostazione ermeneutica e' frutto di una erronea sovrapposizione dei piani concernenti, da un lato, il potere di disporre del denaro, e, dall'altro, i controlli funzionali al rispetto del vincolo di destinazione pubblicistica dello stesso. In buona sostanza, si finisce per considerare la prassi interna sui controlli preventivi quale fatto costitutivo della disponibilita' giuridica del denaro. Tale soluzione impone, tuttavia, la creazione di una figura ibrida di disponibilita' giuridica in cui il rapporto tra il pubblico agente e la res non e' diretto, ma "mediato" da un terzo, ovvero il soggetto preposto al controllo. Il terzo, nel caso in esame il Presidente del gruppo con l'ausilio della struttura amministrativa competente, viene, dunque, considerato come lo strumento attraverso il quale il pubblico agente esercita il proprio potere di disposizione del denaro, replicando sostanzialmente lo schema comune nelle procedure di pagamento in caso di maneggio di denaro pubblico, connotate dall'emissione di ordini di pagamento diretti alla banca incaricata del servizio di tesoreria che provvede materialmente alla loro esecuzione. Cosi' facendo, si adotta un'interpretazione della nozione di disponibilita' che rischia di creare frizioni con il principio di tassativita' e con il divieto di analogia nell'interpretazione dell'articolo 314 c.p.. La soluzione ermeneutica qui censurata omette di considerare che, con riferimento allo schema di utilizzazione del fondo per il funzionamento del gruppo consiliare, connotato dalla assenza di un autonomo potere di spesa da parte del singolo consigliere, ogni qualvolta il rimborso di una spesa non sia automatico, ma sia sottoposto ad un controllo che puo' anche condurre all'esclusione dell'imputazione al fondo di talune spese per difetto di inerenza, la posizione del consigliere regionale non puo' essere assimilata a quella di un ordinatore di spesa, quanto, piuttosto, a quella di un creditore. Trattasi, peraltro, di una situazione creditoria "condizionata", essendo il soddisfacimento del preteso rimborso subordinato al positivo espletamento del controllo di inerenza della spesa. Un'interpretazione costituzionalmente orientata impone, dunque, di restringere l'area della disponibilita' giuridica del denaro, necessaria precondizione ai fini della configurabilita' del reato di peculato, alle sole ipotesi in cui il pubblico agente abbia, per ragioni di ufficio o di servizio, la disponibilita' diretta del denaro e, dunque, la capacita' giuridica, svincolata da controlli preventivi, di utilizzarlo "uti dominus". 7.6. Venendo al caso di specie, l'istruttoria svolta ha rivelato l'assenza di tale disponibilita' diretta in capo ai singoli consiglieri regionali i quali potevano accedere al denaro dei due fondi del gruppo consiliare di appartenenza solo all'esito di un procedimento amministrativo interno connotato: a) dalla presentazione dell'istanza di rimborso delle spese anticipate (con cadenza mensile); b) dal controllo svolto dalla struttura amministrativa interna al gruppo e dalla ulteriore verifica da parte del presidente del gruppo cui i funzionari potevano rivolgersi in caso di dubbio sull'inerenza della spesa portata a rimborso; c) dal materiale rimborso delle spese ritenute inerenti, di regola tramite bonifico bancario in favore del singolo consigliere ovvero tramite assegni bancari sottoscritti dal presidente del gruppo. Sebbene la maggior parte dei testi escussi abbia riferito che i controlli eseguiti dalla struttura amministrativa erano di carattere meramente formale, limitandosi alla mera corrispondenza della spesa a quelle coperte dai due fondi, mentre quelli dei Presidenti dei gruppi erano sostanzialmente assenti o limitati ad un mero confronto con i funzionari sull'inerenza di talune spese dubbie, l'analisi dell'intero compendio istruttorio contenuta nelle due sentenze di merito ha, comunque, evidenziato che non venivano accolte tutte le istanze. Cio' e' emerso, ad esempio dalle deposizioni dei testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). In particolare, la teste (OMISSIS) ha riferito che circa il trenta per cento delle istanze di rimborso venivano respinte. Tali risultanze istruttorie rivelano, dunque, una situazione di fatto ben diversa da quella esaminata dal precedente di questa Corte relativo al giudizio abbreviato celebrato nei confronti del coimputato (OMISSIS), essendosi chiaramente acclarato nel corso dell'istruttoria dibattimentale che ne' la legge regionale, ne' la prassi interna a ciascun gruppo consiliare ne', infine, i singoli capigruppo hanno conferito ai singoli consiglieri un autonomo e diretto potere di utilizzazione dei due fondi per il funzionamento dei gruppi consiliari e per le attivita' di comunicazione ed informazione. Mentre, dunque, non vi e' alcun dubbio, alla luce della specifica disciplina regionale, che i capigruppo avessero la disponibilita' giuridica del denaro, deve, invece, escludersi che ad analoghe conclusioni possa pervenirsi in relazione al rapporto, ove autonomamente considerato, tra il singolo consigliere ed il fondo in esame. L'applicazione delle coordinate ermeneutiche appena esposte alla fattispecie in esame conduce, pertanto, ad una differente qualificazione giuridica delle condotte ascritte ai singoli ricorrenti dovendosi, a tal fine, distinguere tra le condotte contestate esclusivamente al singolo consigliere regionale e quelle contestate, invece, al presidente del gruppo consiliare, da solo o in concorso con taluni consiglieri. 8. La qualificazione giuridica delle condotte: le appropriazioni ascritte ai singoli Consiglieri. Procedendo, innanzitutto, all'esame delle condotte appropriative contestate ai singoli consiglieri regionali (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) rileva il Collegio che, in assenza della contestazione di un concorso con il capogruppo, dette condotte non possono integrare il contestato delitto di peculato, difettando in capo ai singoli consiglieri la condizione essenziale del possesso o della disponibilita' giuridica diretta del denaro del fondo. Alla luce della concorde ricostruzione dei fatti contenuta nelle due sentenze di merito, si ritiene che le condotte tenute dagli imputati sopra individuati debbano devono essere qualificate quale indebita percezione di erogazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 316-ter c.p.. Tali condotte, infatti, sono consistite nel conseguimento del rimborso delle spese sostenute sulla base di specifiche istanze corredate da documentazione contabile (scontrini o fatture), senza alcun ricorso a condotte fraudolente idonee a sussumere dette condotte nell'ambito del reato di truffa aggravata. L'erogazione risulta, infatti, conseguita senza alcuna induzione in errore da parte della competente struttura amministrativa, sulla base di un'istanza corredata da documentazione inadeguata a giustificare la spesa sostenuta ed approfittando delle maglie larghe dei controlli che avrebbero dovuto essere espletati sull'inerenza delle spese al funzionamento del gruppo o alle attivita' di comunicazione ed informazione. 8.1. Rileva, tuttavia, il Collegio che, a seguito della derubricazione del reato contestato ai singoli consiglieri nella meno grave ipotesi prevista dall'articolo 316-ter c.p., e' maturata la prescrizione per tutte le condotte ascritte; applicando, infatti, il termine massimo di 7 anni e 6 mesi, pur tenendo conto dei periodi di sospensione, anche i fatti commessi in epoca piu' recente e risalenti al 2012, risultano ampiamente prescritti. Va, inoltre, aggiunto che non sussistono elementi per giungere ad una piu' favorevole sentenza di assoluzione nel merito. Dal quadro probatorio descritto dalle due sentenze di merito emerge, infatti, l'esistenza di plurimi rimborsi - in particolare per consumazioni singole, spese di carburante e viaggi, spese per l'acquisto di beni voluttuari - che, in base alle osservazioni che nel prosieguo verranno svolte in ordine alla perimetrazione delle spese legittimamente rimborsabili (si vedano i parr. 10, 11 e 12), sono sicuramente riferibili a spese personali dei singoli consiglieri e, pertanto, rientrano appieno nella previsione del reato di cui all'articolo 316-ter c.p., trattandosi di rimborsi indebitamente conseguiti per spese con certezza non imputabili ai fondi destinati ai gruppi consiliari. Quanto detto comporta che, con riguardo all'aspetto penale va rilevata l'intervenuta prescrizione, ma al contempo deve ritenersi che il fatto di reato, produttivo dell'obbligo risarcitorio, e' stato accertato e richiedera' l'ulteriore esame da parte del giudice civile al fine di circoscrivere - secondo le indicazioni fornite nel prosieguo - l'effettiva entita' dei rimborsi indebitamente conseguiti. 8.2. La possibilita' di una pronuncia assolutoria va, inoltre esaminata sotto l'altro profilo, dedotto da alcuni dei ricorrenti, relativo al superamento o meno della soglia (Euro 3.999,96) che, in base al comma 2 della predetta norma, determinano la configurabilita' del reato, piuttosto che del mero illecito di natura amministrativa. Ritiene il Collegio che la questione vada risolta considerando che le richieste di rimborso e la conseguente percezione delle erogazioni avveniva su base mensile e, quindi, non deve tenersi conto delle singole spese - il piu' delle volte di minima entita' - bensi' del totale mensile indicato dai consiglieri, posto che l'indebita percezione era riferita all'ammontare mensile frutto della sommatoria delle singole spese. Nel caso di specie non sarebbe in alcun caso possibile far riferimento alle singole voci di spesa poste a fondamento della richiesta di rimborso, proprio perche' l'elemento costitutivo del reato va valutato con riguardo alla somma indicata nel rendiconto mensile, essendo questo il dato rilevante ai fini della richiesta di rimborso e della conseguente erogazione. Si puo' affermare, conseguentemente, che ove la condotta di indebita percezione si fondi su una richiesta di rimborso unitaria, nella quale confluiscono plurimi elementi di spesa sostenuti nell'arco di un periodo temporale predeterminato, il superamento della soglia deve essere valutato con riguardo all'entita' complessiva della somma richiesta a rimborso (la fattispecie in esame, proprio perche' presuppone un'unica richiesta di rimborso mensile, non consente di applicare i principi affermati in relazione alle diverse ipotesi di plurime e autonome richieste di erogazione, anche se basate su un titolo unitario, si veda: Sez. 6, n. 45917 del 23/9/2021, Prigitano, Rv. 282293; Sez. 6, n. 24890 del 20/2/2019, Giorgio, Rv. 277283; Sez. 6, n. 7963 del 26/11/2019, dep. 2020, Romano, Rv. 278455-02; Sez. 6, n. 31223 del 24/6/2021, Ciccarini, Rv. 282105). Cosi' impostata la questione, viene meno la possibilita' di pronunciare una sentenza assolutoria, anziche' il proscioglimento per intervenuta prescrizione, proprio perche' l'insussistenza del reato derivante dal mancato superamento della soglia prevista dall'articolo 316-ter c.p., comma 2, non emerge ictu oculi ed imporrebbe un non consentito accertamento di merito, rispetto al quale prevale il fatto estintivo. 9. Le appropriazioni contestate ai Presidenti dei gruppi consiliari. Le osservazioni svolte in ordine alla necessaria disponibilita' diretta del denaro sono funzionali all'esame delle posizioni dei Presidenti dei gruppi consiliari, nonche' dei singoli consiglieri imputati a titolo di concorso con i primi e, come si dira' di seguito, consentono di ravvisare la configurabilita' dei reati di peculato loro ascritti. Preliminarmente si rileva che i fatti commessi in epoca antecedente al 29 dicembre 2009, considerando il termine massimo di prescrizione previsto per il reato di cui all'articolo 314 c.p., maggiorato dei periodi di sospensione, risultano prescritti. Deve, pertanto, pronunciarsi sentenza di annullamento senza rinvio nei confronti di (OMISSIS) in relazione ai fatti di cui al capo 61). Analoga decisione deve essere adottata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con riferimento ai fatti di cui ai capi 48), 48a), 61) e 62), con riferimento ai soli fatti commessi in epoca antecedente al 29 dicembre 2009. Nei confronti dei predetti imputati, pertanto, l'esame del reato di peculato, deve essere svolto limitatamente alle imputazioni non coperte dall'intervenuta prescrizione, nonche' nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), con riferimento al capo 61), e nei confronti di (OMISSIS), con riferimento al capo 17), essendo a costoro contestati fatti commessi in epoca successiva al dicembre 2009. 9.1. Cosi' delimitato l'ambito dell'accertamento e tenendo presenti i principi affermati in precedenza, ad avviso del Collegio e' necessario valutare in primo luogo le ragioni della configurabilita' del peculato, distinguendo tra la posizione dei presidenti di gruppo ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) e quella dei consiglieri ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) per la parte di imputazione concernente il peculato contestato a titolo di concorso del singolo consigliere con il presidente del gruppo. Nell'esaminare la posizione dei consiglieri, si e' gia' avuto modo di chiarire le ragioni per le quali la disponibilita' del denaro - sulla base delle legislazione regionale all'epoca vigente - doveva essere riconosciuta esclusivamente in capo ai presidenti dei gruppi regionali. Solo costoro, infatti, avevano il potere di firma necessario per consentire la materiale erogazione dei rimborsi e, soprattutto, erano onerati di uno specifico compito di vigilanza circa l'effettiva riconducibilita' delle spese di cui si chiedeva il rimborso a quelle afferenti l'attivita' consigliare. Premesso, pertanto, che i presidenti dei gruppi erano coloro cui competeva la disponibilita' diretta delle somme stanziate per il funzionamento dei gruppi, ne consegue che l'utilizzo di tali risorse per finalita' diverse da quelle previste dalle leggi regionali integra necessariamente il delitto di peculato. Analoga fattispecie e', inoltre, configurabile nei confronti dei singoli consiglieri che, sottoscrivendo il documento contabile posto a fondamento delle richieste di rimborso materialmente presentate dal capogruppo (si fa riferimento alle condotte indicate al capo 61), hanno posto in essere il presupposto fattuale necessario per la successiva commissione del reato di peculato. Quanto detto consente di chiarire la sostanziale differenza esistente tra gli imputati del presente procedimento, atteso che nei confronti di alcuni consiglieri non e' stato contestato il concorso con il Presidente del gruppo di appartenenza, per altri, invece, l'imputazione era basata sul predetto concorso e, quindi, non e' possibile giungere alla derubricazione del reato di peculato in quello di cui all'articolo 316-ter c.p., proprio perche' l'effetto estensivo della fattispecie concorsuale consente di ritenere sussistente, anche nei confronti del consigliere, il presupposto della disponibilita' del denaro da parte del presidente del gruppo. La contestazione del peculato nella forma del concorso dei consiglieri con i rispettivi presidenti dei gruppi consiglieri pone l'ulteriore problematica di verificare la sussistenza dell'elemento dell'utilizzo dei fondi per finalita' esulanti da quelle consentite dalla legislazione regionale e, conseguentemente, di stabilire quali fossero le spese legittimamente rimborsabili. 10. L'onere della prova e la mancata ammissione dei testi a discarico. Superata la questione inerente alla qualificazione giuridica, in termini di peculato, delle appropriazioni di denaro da parte dei Presidenti dei gruppi e dei Consiglieri con questi concorrenti, si puo' procedere all'esame del motivo di ricorso proposto da tutti gli imputati e relativo alla ritenuta violazione del riparto dell'onere probatorio da parte dei giudici di merito. La sentenza di appello ha affrontato espressamente tale aspetto (p. 57 e seg.), evidenziando come gli appellanti avessero contestato l'inversione dell'onere probatorio, insito nel fatto che - a fronte di documentazione di spesa incompleta o dal contenuto ambiguo - si era preteso che fossero gli imputati a dimostrare le finalita' delle spese portate a rimborso. La Corte di appello ha escluso la lamentata inversione dell'onere probatorio, richiamando la giurisprudenza costituzionale (C. Cost., sent. n. 39 del 2014), nonche' la giurisprudenza della Corte dei conti, concordemente inclini a ritenere che - a prescindere dall'esistenza o meno di una specifica previsione normativa l'impiego di fondi pubblici impone una precisa rendicontazione. Sulla base di tale premessa, la Corte ha ritenuto condivisibile il principio affermato da Sez. 6, n. 23066 del 14/5/2009, Provenzano, Rv. 244061, secondo cui sarebbe configurabile il delitto di peculato qualora non si dia una giustificazione certa e puntuale del suo impiego per finalita' strettamente corrispondenti alle specifiche attribuzioni e competenze istituzionali del soggetto che ne dispone, tenuto conto delle norme generali della contabilita' pubblica, ovvero di quelle specificamente previste dalla legge (in senso conforme, Sez. 6, n. 14580 del 2/2/2017, Narduzzi, Rv. 269536). In una fattispecie similare a quella in esame, si e' anche affermato che in tema di peculato per distrazione delle somme percepite quali contributi dai gruppi consiliari regionali, deve escludersi la legittimita' dell'impiego di fondi pubblici in relazione a spese non giustificate o rispetto alle quali siano prodotti scontrini o fatture privi di giustificazione o recanti indicazioni talmente generiche da impedire la verifica della loro riconducibilita' all'attivita' istituzionale, quali scontrini di acquisto di beni, titoli di viaggio o ricevute di consumazioni presso bar e ristoranti senza alcuna menzione dell'identita' degli ospiti o dell'occasione (Sez. 6, n. 53331 del 19/9/2017, Piredda, Rv. 271654). Si tratta di un'impostazione che, invero, e' stata superata da questa Corte, proprio sulla base di un'attenta applicazione del riparto dell'onere probatorio che caratterizza il giudizio penale. L'indirizzo attualmente consolidato, ritiene che non sia configurabile il delitto di peculato nel caso di inadeguatezza o incompletezza dei giustificativi contabili relativi a spese di rappresentanza, che non permettano di riferire gli esborsi a finalita' istituzionali dell'ente, gravando sull'accusa l'onere della prova dell'appropriazione del denaro pubblico e della sua destinazione a finalita' privatistiche (Sez. 6, n. 21166 del 9/4/2019, Marino, Rv. 276067). Il profilo della carente giustificazione e' stato al piu' valorizzato in termini indiziari, essendosi sostenuto che in tema di indebito utilizzo di contributi erogati ai gruppi consiliari regionali, la prova del reato di peculato non puo' desumersi dalla mera irregolare tenuta della documentazione contabile, essendo necessario l'accertamento dell'illecita appropriazione delle somme, pur potendo l'assoluta inadeguatezza giustificativa del supporto contabile acquisire una valenza altamente significativa dell'utilizzo indebito del denaro, per l'impossibilita' di collegare lo stesso alle funzioni istituzionali del gruppo (Sez. 6, n. 3664 del 26/11/2021, dep. 2022, Mucilli, Rv. 28287; Sez. 6, n. 11001 del 15/11/2019, dep. 2020, Valenti, Rv. 278809-03). Si e' anche precisato che non e' configurabile il delitto di peculato nel caso in cui il pubblico agente non fornisca giustificazione in ordine all'utilizzo del contributo erogato per l'esercizio delle funzioni del gruppo consiliare regionale, non potendo derivare l'illiceita' della spesa da tale mancanza, occorrendo comunque la prova dell'appropriazione e dell'offensivita' della condotta, quantomeno in termini di alterazione del buon andamento della pubblica amministrazione (Sez. 6, n. 38245 del 3/7/2019, De Luca, Rv. 276712). 10.1. L'indirizzo consolidatosi nella piu' recente giurisprudenza di legittimita' sopra richiamata deve essere ribadito, posto che i principi generali in tema di riparto dell'onere probatorio nel processo penale non consentono surrettizie inversioni della regola secondo cui compete all'accusa dimostrare i presupposti di fatto della fattispecie di reato. E' la pubblica accusa, pertanto, a dover dimostrare l'utilizzo in concreto di ciascuna somma di denaro di provenienza pubblicistica, provando che le risorse sono state impiegate per finalita' diverse da quelle consentite. Il Collegio e' consapevole che - a fronte di migliaia di spese, molte delle quali per importi minimali - la prova richiesta all'accusa e' estremamente onerosa, ma tale difficolta' non puo' essere superata invertendo l'onere della prova e gravando gli imputati di una giustificazione puntuale delle spese che, a ben vedere, e' di altrettanto difficile dimostrazione, tanto piu' in un sistema che ab origine non imponeva la dettagliata predisposizione di documentazione giustificativa. Individuato il principio applicabile nel disciplinare l'onere della prova con riguardo alla specifica fattispecie di peculato in esame, e' agevole rilevare come la Corte di appello - pur non contestando apertamente la regola di giudizio sopra evidenziata - ha in concreto operato una vera e propria inversione della stessa, ritenendo che tutte le spese per le quali non emergesse ictu oculi la compatibilita' con le finalita' istituzionali, dovessero essere imputate a titolo di peculato. Nella sentenza impugnata si afferma, infatti, che sarebbe onere della difesa allegare documentazione giustificativa delle spese, in presenza di elementi significativamente idonei a corroborare sul piano logico l'ipotesi accusatoria, per cui l'onere della prova a carico dell'accusa sorgerebbe solo a fronte di allegazioni difensive idonee a dimostrare un'adeguata destinazione (p. 62). Tale paradigma di giudizio, invero, nasconde una vera e propria inversione dell'onere della prova, nella misura in cui si afferma che la pubblica accusa sarebbe onerata di fornire dimostrazione dell'indebito utilizzo del denaro solo nel caso in cui vi sia un'allegazione difensiva a sostegno del legittimo utilizzo dei fondi. In tal modo, tuttavia, si fa gravare in prima battuta sull'imputato l'onere di indicare le ragioni e le modalita' della spesa di cui ha ottenuto il rimborso, invertendo la regola secondo cui e' sempre la pubblica accusa a dover fornire la prova degli elementi costitutivi del reato. Tale erronea impostazione trascura, tuttavia, di considerare che nel processo penale l'imputato puo' rimanere anche totalmente inerte, eventualmente confidando nell'incompleta o insufficiente prova data dall'accusa. Il principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio comporta che l'incertezza probatoria ricada a carico dell'accusa. Ritenendo, invece, che l'insufficiente allegazione di elementi giustificativi delle spese faccia presumere l'indebito utilizzo dei fondi pubblici, l'equivocita' della prova si tradurrebbe nella dimostrazione del fatto costituente reato. Occorre dare atto che, nel tentativo di contemperare i principi in tema di onere della prova e carenza dell'allegazione difensiva, la Corte di appello ha valorizzato la possibilita' di dimostrare la distrazione sulla base di elementi indiziari (quali la tipologia di spesa e di esercizio commerciale, il numero dei commensali, la ripetitivita' delle consumazioni) che, tuttavia, per le ragioni che si illustreranno nell'individuare quali erano le spese legittimamente rimborsabili, non presentano affatto quei requisiti di univocita' e specificita' richiesti dall'articolo 192 c.p.p.. Va, innanzitutto, chiarito che la prova indiziaria puo' essere utilizzata ai fini dell'accertamento della destinazione dei fondi per il rimborso di spese esulanti dalle finalita' istituzionali, ma cio' solo a condizione che la tipologia delle spese sia di per se' inequivocabilmente incompatibile con l'espletamento del mandato consiliare (Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418-08). Sul tema deve ribadirsi il principio, gia' affermato da questa Corte, secondo cui solo le spese ontologicamente incompatibili con le finalita' istituzionali dell'ente integrano di per se' una distrazione punibile, mentre le spese di natura ambivalente, astrattamente compatibili sia con dette finalita', sia con il soddisfacimento di un interesse esclusivamente personale dell'agente, integrano il reato solo ove la pubblica accusa dimostri che le stesse siano state effettuate non gia' in correlazione con eventi di promozione dell'ente, bensi' per il soddisfacimento di un interesse meramente privatistico (Sez. 6, n. 2226 del 13/11/2019, dep. 2020, Schiavone, Rv. 278217). 10.2. La sentenza impugnata non solo non ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, ma e' incorsa in un'ulteriore alterazione della dinamica probatoria, li' dove - proprio valorizzando la ritenuta autoevidenza della illegittimita' dei rimborsi - ha condiviso l'ordinanza istruttoria con la quale il Tribunale di Milano aveva sostanzialmente escluso gran parte dei testi a discarico addotti dagli imputati e che avrebbero dovuto deporre sulle occasioni in cui le spese erano state sostenute, fornendo la dimostrazione del loro collegamento con le funzioni proprie dei Presidenti di gruppo e dei Consiglieri regionali. La Corte di appello ha rigettato le istanze di riapertura dell'istruttoria presentata da plurimi imputati, escludendo, altresi', la nullita' dell'ordinanza adottata dal Tribunale all'udienza del 19 aprile 2016, con la quale non venivano ammessi gran parte dei testi a discarico indicati dagli imputati. La questione concernente la violazione del diritto di difesa, per effetto della mancata ammissione dei testi a discarico, e' stata ritenuta infondata sul presupposto che il Tribunale avrebbe, sia pur implicitamente, rigettato le richieste di prova ritenendo le testimonianze superflue. Precisa la Corte di appello che, ove pure si volesse ritenere sussistente la nullita' dell'ordinanza per difetto di motivazione, il vizio non sarebbe stato tempestivamente dedotto dai ricorrenti, dato che la nullita', essendosi verificata in udienza ed alla presenza delle parti, doveva essere immediatamente dedotta dopo la pronuncia dell'ordinanza ritenuta viziata, con conseguente applicazione della preclusione prevista dall'articolo 182 c.p.p., comma 2. A supporto di tale soluzione, il giudice di appello ha richiamato anche un precedente di questa Corte che, con riferimento alla diversa ipotesi della revoca di testimoni di cui era stata gia' disposta l'ammissione, ha ritenuto che l'ordinanza, resa in difetto di motivazione sulla superfluita' della prova, produce una nullita' di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell'articolo 182 c.p.p., comma 2, con la conseguenza che in caso contrario essa e' sanata (Sez. 5, n. 51522 del 30/9/2013, Abatelli, Rv. 257891). Tale principio, secondo una isolata pronuncia (Sez. 5, n. 39764 del 29/5/2017, Rhafor, Rv. 271849) che la Corte di appello richiama, sarebbe applicabile anche al caso di specie, in cui il difetto di motivazione concerne l'ordinanza ammissiva delle richieste istruttorie. 10.3. La soluzione recepita nella sentenza impugnata non e' condivisibile. Invero, il profilo concernente la mancanza di motivazione in ordine al rigetto delle richieste istruttorie non rileva esclusivamente sotto il profilo formale del vizio di omessa motivazione dell'atto, avendo i ricorrenti contestato nel merito la ritenuta superfluita' delle prove orali, posta a fondamento dell'implicito rigetto da parte del giudice di primo grado, nonche' della mancata rinnovazione in appello. La Corte di appello, invece, si e' limitata essenzialmente a risolvere la questione sotto il profilo della nullita' dell'atto, in tal modo non confrontandosi con i motivi di appello con i quali ci si doleva non tanto dell'invalidita' formale, quanto dell'errore di giudizio sotteso alla mancata ammissione delle prove. Si ritiene, pertanto, che gli imputati hanno correttamente impugnato l'ordinanza che negava loro l'ammissione dei testi unitamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell'articolo 586 c.p.p., proprio perche' l'impugnazione concerneva il merito della decisione di rigetto e le sue conseguenze sull'accertamento della penale responsabilita'. Ne' e' dubitabile che i motivi formulati dagli appellanti concernessero espressamente il merito della decisione, piuttosto che la validita' della stessa sotto il profilo della nullita' dell'ordinanza, posto che le impugnazioni erano dichiaratamente finalizzate a condurre ad una riapertura dell'istruttoria, proprio per colmare quella lacuna che si era determinata per effetto della ritenuta erroneita' dell'esclusione dei testi indicati dagli imputati. 10.4. La Corte di appello, dopo aver ritenuto l'insussistenza della nullita' dell'ordinanza istruttoria, ha esaminato nel merito le richieste di rinnovazione probatoria ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., ritenendo che le prove non fossero rilevanti in quanto volte a dimostrare la mera riconducibilita' delle spese ad esigenze di carattere "politico", anziche' a dimostrare l'indefettibile collegamento delle spese allo svolgimento di iniziative del gruppo consiliare. Tale impostazione e' stata contestata dai ricorrenti, i quali hanno sottolineato come le prove testimoniali di cui lamentavano l'esclusione erano volte a dimostrare le occasioni e le ragioni per cui le spese erano state sostenute. Si tratta, a ben vedere, di un dato probatorio che doveva essere dimostrato dalla pubblica accusa, al fine di provare l'estraneita' della spesa alle finalita' pubblicistiche, ma ove l'imputato abbia chiesto comunque di fornire una prova potenzialmente liberatoria, la stessa non poteva essere esclusa, sulla base di una valutazione di irrilevanza svolta a priori. Invero, la Corte di appello, nell'elencare l'oggetto delle singole impugnazioni sul tema della prova (p. 84-91), da' atto di come - pur nella genericita' della capitolazione delle circostanze - i testi erano chiamati a deporre essenzialmente sulla natura degli incontri conviviali, sui partecipanti e sul collegamento con l'attivita' consigliare. Orbene, tali elementi fattuali sono necessariamente rilevanti ai fini dell'accertamento del reato, proprio perche' consentono di cogliere il contesto e le ragioni per le quali sono state sostenute le spese oggetto di rimborso, sicche' non e' condivisibile il giudizio di irrilevanza espresso dalla Corte di appello sul punto. In definitiva, puo' ben affermarsi che nel presente procedimento si e' avuta una duplice violazione in tema di prova, la prima concernente la sostanziale inversione dell'onere probatorio, conseguente alla sopravvalutazione della carente giustificazione documentale delle spese e sull'apprezzamento di meri elementi indiziari, in gran parte privi del carattere della gravita' ed univocita'; al contempo, agli imputati e' stato sostanzialmente impedito di fornire elementi a discarico, in tal modo limitando indebitamente il diritto di difesa. 10.5. Alla luce di tali considerazioni, si ritiene non solo la fondatezza dei motivi di ricorso - sostanzialmente proposti da tutti i ricorrenti - in relazione all'inversione dell'onere della prova, ma anche dei motivi concernenti l'omessa ammissione dei testi a discarico. La sentenza impugnata va, dunque annullata con rinvio nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con riferimento ai fatti di cui ai capi 48), 48a), 61) e 62), commessi in epoca successiva al 29 dicembre 2009, nonche' nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), con riferimento al capo 61), e nei confronti di (OMISSIS), con riferimento al capo 17), affinche' si proceda a nuovo esame delle condotte loro ascritte e, in particolare, della inerenza o meno ai due fondi destinati ai gruppi consiliari delle spese per cui detti imputati hanno conseguito i relativi rimborsi. Rispetto a quest'ultimo aspetto, il giudice del rinvio dovra' anche farsi carico di rivalutare - alla luce dei parametri sopra indicati - le posizioni relativa ai ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno specificamente proposto ricorso in cassazione in relazione alla mancata ammissione, fin dal primo grado, delle prove testimoniali. I restanti imputati per i quali e' stata pronunciato annullamento con rinvio, invece, non hanno impugnato sul punto la sentenza di appello, sicche' nei loro confronti non occorrera' rivalutare la rilevanza delle prove orali. 11. I motivi concernenti l'inerenza delle spese rispetto al mandato consiliare. La problematica centrale del giudizio in esame e' costituita dall'individuazione di quali fossero le spese per le quali i Presidenti dei gruppi potevano legittimamente disporre il rimborso delle spese sostenute dai consiglieri. La Corte di appello ha individuato (p. 64 e seg.) il perimetro delle spese rimborsabili, ritenendo che fossero tali solo quelle "connesse ad iniziative del gruppo, decise dal gruppo, volte al funzionamento del gruppo", escludendo dal rimborso le spese sostenute per l'attivita' politica del singolo consigliere, volte alla cura del proprio consenso politico, ovvero a tenere contatti con esponenti della societa' civile, al di fuori di un'iniziativa del gruppo. In buona sostanza, il discrimine tra le spese rimborsabili e quelle aventi natura meramente personale e' stato individuato nella "esistenza o meno di una iniziativa del gruppo". Con specifico riferimento alle cosiddette spese di rappresentanza, la Corte di appello ha individuato ulteriori limiti, ritenendo che possano considerarsi lecite solo le spese che attengono alla funzione di rappresentanza dell'ente, che, per consuetudine o per motivi di reciprocita', sono sostenute in occasione di rapporti di carattere ufficiale tra soggetti aventi veste rappresentativa del gruppo e soggetti esterni, appartenenti ad altri enti o rappresentativi della societa' civile, nonche' le spese connesse ad eventi ed iniziative di carattere istituzionale (principio tratto da Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep.2020, Giovine, Rv. 279418-06). Partendo da tali presupposti, la Corte di appello ha ritenuto che fossero sicuramente non rimborsabili - con conseguente integrazione del peculato - tutte quelle spese che, sulla base di una pluralita' di elementi indiziari, non risultavano compatibili con spese di rappresentanza sostenute in occasione di incontri organizzati dal gruppo consiliare. Ragionando in tal senso, la Corte di appello ha escluso che potessero essere legittimamente ricondotte alle spese di rappresentanza tutte le spese di ristorazione presso locali aventi caratteristiche incompatibili con la funzione di rappresentanza (trattorie, pizzerie, bar, autogrill); le spese concernenti consumazioni "singole" o per un numero limitato di persone, evidentemente incompatibili con un evento "pubblico"; le spese sostenute a favore dei soli componenti del gruppo. 11.1. Con riguardo alle spese per viaggi e soggiorni alberghieri si e' valorizzata la carenza di prova in ordine al collegamento di tali spese con incontri ed eventi organizzati dal gruppo, soprattutto con riguardo ai soggiorni svolti fuori regione. Sono state oggetto di contestazione anche le cosiddette spese per il personale di staff, impiegato dai singoli consiglieri, in assenza ed al di fuori delle regole per lo svolgimento di attivita' lavorativa all'interno dell'ente regionale. In relazione alle spese per acquisto di biglietti ferroviari o per rifornimento di carburante, la Corte di appello ha ritenuto sussistente una duplicazione di rimborso, posto che i consiglieri regionali godevano gia' di un autonomo trattamento di missione. 12. Attivita' del gruppo e dei singoli consiglieri. I criteri utilizzati dalla Corte di appello sono solo parzialmente condivisibili. Prendendo le mosse dalle spese di ristorazione, occorre precisare che queste, rientrano tutte nella categoria delle spese di natura ambivalente, essendo astrattamente compatibili sia con finalita' pubbliche, sia con il soddisfacimento di un interesse esclusivamente personale dell'agente. Tale dato rendeva necessaria una valutazione maggiormente attenta sia in punto di prova, ma ancor prima in ordine all'individuazione di quali attivita' il singolo consigliere poteva o meno svolgere anche al di fuori di un'iniziativa di gruppo. La Corte di appello, rifacendosi a principi elaborati con riguardo a leggi regionali diverse, ha ritenuto che fossero consentite le sole spese di ristorazione collegate ad eventi organizzati dal gruppo. Si tratta di un'affermazione non condivisibile, in quanto si pone in contrasto con la legislazione regionale lombarda che, invero, riconosceva espressamente la possibilita' per i singoli consiglieri di organizzare incontri ed eventi della piu' varia natura, finalizzati a garantire il costante rapporto dei consiglieri con i territori, nonche' con una pluralita' di categorie di soggetti potenzialmente interessati dall'attivita' normativa regionale, oltre che con gli organi dell'informazione. Rinviando per la compiuta disamina della legislazione regionale al p. 3, e' qui sufficiente richiamare la Legge Regionale n. 34 del 1972, articolo 2-ter, in base al quale i contributi erano erogati "al fine di assicurare l'espletamento del mandato consigliare", dizione che, pur sinteticamente, fa gia' riferimento al mandato del singolo, posto che i gruppi consigliari in quanto tali non possono ritenersi onerati dello svolgimento del mandato, trattandosi di mere strutture di sostegno ed aggregazione tra piu' consiglieri. Maggiore chiarezza e' stata fatta con il Regolamento relativo alle modalita' di erogazione del contributo (adottato il 19 giugno 2001), li' dove all'articolo 1 espressamente si precisa che il contributo mensile era finalizzato non solo a coprire le spese di funzionamento del gruppo, di aggiornamento, di studio e di documentazione, nonche' per diffondere la conoscenza del gruppo consigliare (lettera a), ma anche per far fronte alle spese di formazione, aggiornamento, consulenze esterne, rappresentanza, divulgazione ed accesso alle nuove tecnologie sostenute dai Consiglieri regionali per l'espletamento del mandato (lettera b). La lettura congiunta della Legge Regionale n. 34 del 1972 e del relativo regolamento rendono evidente come, accanto all'attivita' del gruppo in quanto tale, era prevista anche un'attivita' del singolo consigliere, cui si riconosceva la possibilita' di accedere al fondo per far fronte ad una pluralita' di spese, ivi comprese quelle di rappresentanza. Tale ambito e' stato ulteriormente esteso dalla Legge Regionale n. 17 del 1992, il cui articolo 1, comma 2-bis consentiva ai gruppi consiliari e ai singoli consigliari di organizzare le attivita' di informazione e comunicazione in proprio o di acquistare direttamente sul mercato i servizi, secondo le modalita' definite da ciascun gruppo. Nello svolgimento di tali funzioni, il successivo articolo 2 elencava, in maniera peraltro non tassativa, le tipologie di attivita' rientranti nell'ambito delle attivita' di informazione e comunicazione, ricomprendendovi quelle volte a: organizzare attivita' ed eventi a rilevanza esterna o interna quali, ad esempio, convegni e seminari; tenere rapporti a tutti i livelli di responsabilita' con gli organi della stampa d'informazione quotidiana e periodica, della radio e della televisione, in ordine alla pubblicazione di articoli ed alla diffusione di notizie; organizzare conferenze stampa; stendere e diffondere articoli e comunicati stampa; curare attivita' editoriali e di comunicazione multimediale; svolgere ogni altra attivita' similare, connessa e strumentale alle precedenti." Orbene, ritiene la Corte che sulla base del dato normativo sopra richiamato e' del tutto riduttiva l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui i consiglieri erano privi di una sfera di azione autonoma, potendo svolgere le sole attivita' concordate ed organizzate dall'intero gruppo. Il richiamato quadro normativo, invece, dimostra l'esatto contrario e, cioe', che i singoli consiglieri potevano gestire personalmente ed in autonomia tutta una articolata serie di attivita', ricomprendenti incontri sul territorio, organizzazione di convegni ed eventi di vario genere, incontri con rappresentanti di enti locali e di categorie portatori di interessi diffusi, rapporti con la stampa ed altri mezzi di informazione. In buona sostanza, l'adempimento del mandato consigliare contemplava il continuo raccordo con la realta' esterna, senza che cio' richiedesse alcuna preventiva organizzazione da parte del gruppo consiliare. La Corte di appello, pertanto, e' incorsa in una riduttiva lettura delle richiamate norme, ritenendo che tutta l'attivita' che i consiglieri svolgevano singolarmente andasse ricondotta nell'attivita' politica genericamente intesa quale propaganda, supporto e diffusione di aspetti di interesse partitico, per cio' solo non ricompresa nello svolgimento del mandato consiliare. Si tratta di un'assimilazione errata che non trova alcuna giustificazione ne' su un piano logico generale, ne' su quello strettamente giuridico. La sfera propriamente politica, infatti, e' necessariamente diversa rispetto all'attivita' consiliare, posto che solo quest'ultima presuppone un diretto collegamento con la funzione legislativa svolta dai consiglieri. A mero titolo esemplificativo, deve ritenersi che ove un consigliere si fosse recato presso un ente locale, per incontrare rappresentati dell'ente stesso, piuttosto che cittadini, per discutere di iniziative legislative o, comunque, di problematiche di competenza dell'amministrazione regionale, tale attivita' rientrerebbe appieno nell'adempimento del mandato consiliare e non potrebbe riduttivamente qualificarsi quale attivita' volta all'aumento della visibilita' del consigliere in quanto politico. Diversamente, ha natura esclusivamente politica qualsivoglia iniziativa legata essenzialmente alla sfera della propaganda e dell'affermazione di un determinato partito, quali possono essere gli incontri preelettorali, lo svolgimento di assemblee limitate agli aderenti e simpatizzanti di una determinata parte politica, l'organizzazione di convegni su tematiche che esulano dalla competenza dell'ente di appartenenza. Orbene, tenendo presente tali coordinate, deve ritenersi che tutta la valutazione compiuta dai giudici di merito e' inficiata in radice dal fatto che la quasi totalita' delle spese sostenute sono state ritenute non rientranti tra quelle rimborsabili per il solo fatto che riguardavano attivita' svolte individualmente dal consigliere regionale e non organizzate dal gruppo di appartenenza. 12.1. Una volta superata tale impostazione, la natura ambivalente delle spese di ristorazione diviene ancor piu' evidente e, al contempo, il ragionamento sillogistico su cui si fonda la sentenza impugnata mostra appieno l'equivocita' degli elementi indiziari sui quali si basa. I dati probatori sui quali si sono basati i giudici di merito, infatti, consistono semplicemente in un elenco di spese, recanti l'indicazione della data, dell'importo e del locale presso il quale e' avvenuta la consumazione. Tali elementi, invero, non consentono affatto - da soli - di ritenere dimostrato che, in concomitanza con quella determinata spesa, il consigliere che ne ha chiesto il rimborso non ha svolto una di quelle varie attivita' che, secondo le richiamate previsioni normative, rientravano nella sua esclusiva e personale facolta' di azione. Uno degli elementi che e' stato illogicamente valorizzato dai giudici di merito e' quello concernente la tipologia di esercizio commerciale presso il quale la consumazione e' avvenuta. Si e' ritenuto, infatti, che la spesa sostenuta presso bar, pizzerie e osterie, dovesse ritenersi di per se' inconciliabile con le cosiddette spese di rappresentanza, presupponendo queste necessariamente un contesto ambientale formale ed incompatibile con i locali sopra menzionati. L'elemento indiziario sopra indicato e' fallace per due motivi. In primo luogo, nulla esclude che locali denominati quali "osteria", piuttosto che "trattoria" o pizzeria, offrano un servizio di standard elevato e quindi - secondo la tesi dei giudici di merito - compatibili con la funzione di rappresentanza. Ma, a ben vedere, vi e' un dato ancor piu' dirimente. I giudici di merito, anche richiamando la giurisprudenza della Corte dei conti, hanno ritenuto che la scelta di svolgere incontri con soggetti istituzionali in ristoranti, anziche' nelle sedi proprie, non puo' legittimare il consigliere regionale a riversare sul fondo per la gestione dei gruppi gli oneri conseguenti. Tanto meno potrebbero ricondursi nel concetto di spese di rappresentanza gli incontri privi dei caratteri dell'ufficialita' e della eccezionalita'. Si tratta di affermazioni che, pur pienamente condivisibili nell'ambito del controllo demandato alla giurisdizione contabile, non possono essere direttamente traslate in ambito penale, nel quale la configurazione del reato di peculato presuppone esclusivamente un utilizzo dei fondi per finalita' diverse da quelle consentite, mentre e' precluso al giudice di compiere qualsivoglia valutazione circa la scelta discrezionale in ordine alle modalita' ed entita' della spesa sostenuta. In buona sostanza, al giudice penale compete esclusivamente di valutare se la spesa sia correlata o meno all'assolvimento del mandato consiliare, non potendo anche sindacare, nel merito e su profili prettamente discrezionali, la necessita' e l'adeguatezza della spesa, in relazione alla possibilita' di svolgere il medesimo incontro in altra sede e senza affrontare esborsi, ovvero sostenendo costi piu' limitati. Parimenti non sindacabile e' l'eccessivita' della spesa sostenuto, posto che il necessario contenimento della spesa pubblica e' gia' garantito dalla legislazione regionale nella parte in cui stabilisce un tetto massimo al contributo mensile, esulando del tutto dall'ambito di valutazione del giudice penale se tale spesa sia adeguata o meno rispetto alla finalita' pubblicistica perseguita dal soggetto che si e' avvalso del rimborso. Per completezza, si rappresenta che, sia pur con riguardo ad un diverso contesto normativo, questa Corte ha ipotizzato la possibilita' che il giudice penale valuti l'indebito utilizzo dei contributi erogati ai gruppi consiliari anche con riferimento all'entita' delle spese sostenute ed alla loro rispondenza a parametri di ragionevolezza e proporzionalita', sul presupposto che la verifica in ordine alle modalita' di utilizzo dei fondi non attiene al merito delle scelte ovvero dell'attivita' politica, ma alla conformita' alla legge dell'azione amministrativa (Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418-02). Si tratta di un principio condivisibile a condizione che la non riferibilita' della spesa alle finalita' pubbliche - costituente l'elemento costitutivo del reato di peculato - non venga desunta dalla sola eccessivita' dell'esborso. Quest'ultimo aspetto, invero, attiene sicuramente al rispetto dei principi generali in tema di corretto svolgimento dell'attivita' amministrativa, ma non puo' integrare, di per se', l'elemento costitutivo richiesto dalla fattispecie di cui all'articolo 314 c.p., rispetto al quale rileva esclusivamente la "distrazione" del denaro dalla finalita' per la quale viene messo a disposizione del pubblico agente, mentre le violazioni relative alle modalita' del suo utilizzo, a patto che non venga violato il vincolo di destinazione, potranno al piu' rilevare solo sotto il profilo della responsabilita' contabile. 12.2. Sulla base di tali parametri, al giudice del rinvio competera' l'esame delle singole voci di spesa per ristorazione, verificando se ed in che misura risulti l'estraneita' della spesa rispetto alle finalita' istituzionali come sopra individuate e riferite anche all'attivita' del singolo consigliere o presidente del gruppo. Nel compiere tale valutazione, non ci si potra' basare su elementi indiziari privi di adeguata certezza ed univocita' (quali, ad esempio, il numero dei commensali, la tipologia di locale in cui la spesa e' stata sostenuta, la vicinanza tra piu' spese di ristorazione, l'acquisto di generi alimentari, tra cui dolci, bibite ed altri beni potenzialmente utilizzabili in occasione di incontri pubblici), sicche', nel caso in cui la natura ambivalente della spesa non consenta di affermare, in termini di certezza, che la stessa non era ricollegata ad alcuna delle molteplici attivita' consentite dalla normativa regionale, non potra' che prendersi atto del mancato raggiungimento della prova del reato, a prescindere dal fatto che l'imputato abbia o meno offerto giustificazione della causale della spesa. 12.3. Diverse considerazioni vanno fatte, invece, per le cosiddette consumazioni singole, consistenti in spese per le quali la documentazione attesta inequivocabilmente - sia per l'indicazione numerica della consumazione, sia per l'importo speso - la fruizione del servizio da parte di un solo soggetto. Rispetto a tali esborsi, infatti, potra' valorizzarsi l'elemento indiziario della presumibile mancanza di una pluralita' di soggetti con i quali il pubblico agente ha avuto modo di relazionarsi, potendosi presumere che la spesa copriva un mero consumo personale del consigliere, in quanto tale non rientrante in alcuna delle attivita' contemplate nella legislazione regionale. 12.4. Discorso a parte va fatto anche per le spese di ristorazione dei consiglieri sostenute presso ristoranti convenzionati (in particolare il ristorante "(OMISSIS)"). In tal caso, e' stato contestato il delitto di peculato commesso dal presidente del gruppo in concorso con il singolo consigliere che, partecipando al pranzo, poneva in essere il presupposto di fatto per il successivo pagamento dello stesso con i fondi del gruppo. Secondo la ricostruzione operata in punto di fatto dalla Corte di appello e, sostanzialmente, neppure contestata dai ricorrenti, alcuni gruppi consiliari avevano stipulato una convenzione con ristoranti collocati nelle vicinanze della sede della Regione, concordando un prezzo forfettario e, soprattutto, che il singolo fruitore del pranzo non dovesse anticipare alcuna somma di denaro, limitandosi a sottoscrivere lo scontrino fiscale attestante la consumazione del pranzo. Successivamente, era lo stesso ristoratore a presentare la richiesta di pagamento al gruppo consiliare ed il presidente autorizzava il pagamento, imputando le somme ai singoli consiglieri che avevano partecipato al pranzo. Orbene, poiche' tale modalita' veniva seguita dai soli consiglieri ed in concomitanza con la loro partecipazione all'attivita' consiliare, deve condividersi la tesi sostenuta dai giudici di merito, secondo cui in tal modo i presidenti dei gruppi interessati hanno consentito l'indebito utilizzo dei fondi messi a loro disposizione per far fronte alle ordinarie spese dei consiglieri, per i quali questi gia' percepivano un'apposita diaria, con conseguente duplicazione del rimborso (per la normativa sul punto si veda p. 4). Ne' puo' dubitarsi della sussistenza del dolo in capo al singolo consigliere (motivo dedotto da (OMISSIS) e comune anche a (OMISSIS)), dovendosi dare continuita' al principio secondo cui, ai fini del concorso doloso del capogruppo che autorizzi il rimborso di spese sostenute dal consigliere per finalita' non istituzionali, e' necessario l'accertamento della piena consapevolezza da parte del primo dell'uso illecito del danaro pubblico, che non puo' desumersi dall'assenza di adeguate verifiche della conformita' tra giustificativi di spesa ed iniziative del gruppo, ne' dall'ampiezza dei rimborsi consentiti (Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418-09). Nel caso di specie, deve ritenersi che il presidente del gruppo ed il singolo consigliere avevano necessariamente contezza dell'indebito utilizzo dei fondi, posto che la convenzione con il ristoratore era espressamente finalizzata a consentire ai singoli di consiglieri di consumare dei pasti che non provvedevano a pagare, in tal modo conseguendo un vantaggio patrimoniale indebito, posto che le spese collegate allo svolgimento dell'attivita' presso il Consiglio regionale erano gia' coperte dalla diaria. 12.5. Nell'esaminare il quadro normativo di riferimento, si e' richiamata la disciplina concernente il rimborso per le spese di viaggio, in particolare, la L. n. 17 del 1996, articolo 6, relativa al il trattamento di missione dei consiglieri regionali, prevedeva che per le missioni nel territorio regionale funzionali all'espletamento del mandato, per le quali il consigliere e' autorizzato di diritto, spetta un rimborso spese omnicomprensivo pari al 35% dell'indennita' di funzione. Per le spese di missione al di fuori del territorio regionale, invece, l'articolo 6 stabiliva un autonomo trattamento di missione per il consigliere "inviato in missione fuori dalla regione Lombardia"; in tale ultimo caso si trattava, quindi, di un'indennita' spettante solo a fronte di uno specifico incarico. Sulla base di tali norme, quindi, deve ritenersi che correttamente la Corte di appello ha escluso la possibilita' di ottenere un ulteriore rimborso per le spese di carburante e di viaggio, per gli spostamenti intra-regionali, proprio perche' si trattava di spese gia' coperte dal trattamento di missione sopra richiamato. Analoghe considerazioni valgono per le missioni fuori regione che, a prescindere dal fatto che dovevano essere espressamente autorizzate, non potevano in alcun caso consentire la richiesta di rimborso con imputazione della spesa sul fondo per il funzionamento dei gruppi, trovando una diversa ed apposita disciplina nella Legge Regionale n. 17 del 1996. 12.6. Ultima voce di rimborso che richiede uno specifico esame e' quella concernente le spese sostenute in favore del personale di staff nominato a supporto dell'attivita' dei gruppi. Si tratta di una problematica che si pone, in particolare, in relazione all'imputata (OMISSIS), all'epoca dei fatti presidente del gruppo "(OMISSIS)" che, in tale veste, si sarebbe indebitamente appropriata della somma complessiva di Euro 66.319,00, gran parte della quale utilizzata (oltre che per effettuare rifornimenti di carburante e pagare biglietti ferroviari) per rimborsare spese sostenute da "collaboratori volontari". Sostiene la ricorrente che tale condotta non potrebbe integrare il reato di peculato, sia perche' il denaro era stato materialmente riversato in favore dei collaboratori, sia perche' questi ultimi erano pienamente legittimati a svolgere attivita' di supporto ai gruppi, erano autorizzati ad accedere agli uffici regionali e ad avvalersi degli strumenti informatici messi a loro disposizione. Deduce la ricorrente che la Legge Regionale n. 17 del 1992, articolo 3, comma 2, prevedeva espressamente che i divieti di erogazione di rimborsi "non si applicano ai pagamenti eseguiti a titolo di corrispettivo per collaborazioni, nonche' per pagamenti eseguiti a titolo di rimborso di spese vive incontrate per acquisire collaborazioni di persone aventi particolari competenze o specifiche conoscenze utili allo svolgimento delle attivita' istituzionali dei gruppi consiliari". Nel caso di specie, quindi, dovrebbero ritenersi del tutto leciti i rimborsi delle spese vive sostenute dai collaboratori, individuati fiduciariamente dal Presidente del gruppo. La tesi difensiva non e' condivisibile, in quanto non si confronta con la legislazione regionale che disciplinava specificamente l'assunzione di collaboratori fiduciari da parte dei gruppi consiliari (Legge Regionale n. 20 del 2008, articoli 66 e 67), ne' con il dettato del regolamento relativo alle modalita' di utilizzo del fondo per le attivita' di informazione dei gruppi consiliari, con il quale si dava attuazione alla Legge Regionale n. 17 del 1992. L'articolo 3 del regolamento precisava, infatti, che la stipula di contratti, anche aventi ad oggetto forme di collaborazione occasionale, doveva ritenersi disciplinata dalla Legge Regionale n. 20 del 2008, in tal modo escludendo la possibilita' di collaborazioni volontarie, prive di qualsiasi forma di contrattualizzazione e senza una puntuale disciplina dei compensi spettanti ai collaboratori. Sul punto, pertanto, devono condividersi appieno le considerazioni svolte dalla Corte di appello sia nel trattare in generale la tematica in questione (si veda, in particolare, p. 75-77), sia la motivazione specificamente riferita all'imputata (OMISSIS). 13. Le spese sicuramente incompatibili con le finalita' pubbliche. Il giudice del rinvio, nel procedere alla ricognizione delle spese riconducibili o meno alle finalita' pubbliche contemplate dalla legislazione regionale, dovra' valorizzare quelle ipotesi in cui e' stato chiesto ed ottenuto il rimborso con riguardo all'acquisto di beni intrinsecamente non riconducibili ad un rapporto di strumentalita' con lo svolgimento delle funzioni di consigliere. L'indebita appropriazione potra' essere ritenuta sussistente - senza il rischio di incorrere nell'inversione dell'onere della prova, ne' di applicare criteri inferenziali privi dei requisiti di gravita' e non equivocita' - con riguardo a tutti quegli esborsi che sono ictu oculi destinati a soddisfare esigenze personali del fruitore, senza possibilita' che possa essere fornita alcuna spiegazione alternativa. A mero titolo esemplificativo e salvo restando che la verifica, per ciascuna spesa, non puo' che essere rimessa al giudice del merito, non appaiono in alcun modo compatibili con l'assolvimento del mandato elettorale i rimborsi che risultano siano stati ottenuti per acquistare sigarette, caramelle, biglietti della lotteria, gratta e vinci, nonche' beni voluttuari di vario genere, ma comunque dimostrativi del soddisfacimento di esigenze personali slegate dall'assolvimento del mandato elettorale. Tali spese rientrano a pieno titolo tra quelle per le quali la finalita' appropriativa del denaro e' sostanzialmente autoevidente, dal che consegue la configurabilita' del reato di peculato. Peraltro, i medesimi criteri atti a dimostrare il carattere indebito dell'erogazione percepita, avrebbero dovuto trovare applicazione anche in relazione alle condotte riqualificate ai sensi dell'articolo 316-ter c.p. ove non fosse stata dichiarata l'intervenuta prescrizione. 14. Dolo ed errore sul fatto. Gli imputati, sia pur con varieta' di formulazione, hanno eccepito l'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato, anche in conseguenza dell'errore sul fatto ingenerato dalle indicazioni ricevute in ordine all'individuazione delle spese rimborsabili. Si afferma, infatti, che la legislazione all'epoca in vigore, letta congiuntamente alle indicazioni che erano state fornite ai consiglieri fin dal momento del loro insediamento, li avrebbe indotti a confidare nella legittimita' delle richieste di rimborso. In tal caso, quindi, sarebbe configurabile un errore sul fatto e non sul precetto penale. La doglianza e' infondata, dovendosi dare continuita' al principio secondo cui l'errore dei consiglieri circa la facolta' di disposizione del pubblico denaro, asseritamente indotto da regolamenti interni dei singoli gruppi che consentano il rimborso per una vasta tipologia di spese, con causale generica ed in assenza di un effettivo controllo, si risolve in un errore sulla legge penale e, pertanto, non esclude l'elemento soggettivo del reato (Sez. 6, n. 167675 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418 - 07). Peraltro, all'esito della diversa perimetrazione delle spese per le quali puo' ritenersi lecito il rimborso, anche la questione attinente alla sussistenza del dolo perde gran parte della sua valenza. In base alle osservazioni in precedenza svolte, infatti, si e' ritenuto che possano integrare il delitto di peculato solo quelle spese che - in mancanza di prove ulteriori - appaiono per loro natura assolutamente incompatibili con l'espletamento del mandato consiliare. Si tratta, pertanto, di spese rispetto alle quali non e' sostanzialmente ipotizzabile - pur a fronte delle indicazioni che i consiglieri avevano ricevuto - la loro riconducibilita' alla funzione pubblica, essendo intrinsecamente destinate a soddisfare esigenze meramente personali. Se queste sono le spese il cui rimborso integra il delitto di peculato, sul versante del dolo ne consegue l'impossibilita' di configurare un effettivo dubbio circa la natura illecita delle stesse. 15. La posizione dell'imputato (OMISSIS) richiede una ulteriore specificazione, avendo questi eccepito che - a seguito del differimento dell'udienza del 28 giugno 2022 per l'adesione di alcuni difensori all'astensione dalle udienze - nei suoi confronti non poteva tenersi conto della sospensione del termine di prescrizione, non avendo avanzato istanza di rinvio. La questione deve ritenersi assorbita, posto che le ipotesi di reato contestate a (OMISSIS) al capo 61, in concorso con il capogruppo (OMISSIS), sono ugualmente tutte prescritte. Vi sarebbe, infatti, un'unica spesa indicata nell'annualita' 2010 che, tuttavia, risulta effettuata a fine 2009 e, quindi, rientra nel periodo coperto dalla prescrizione. 16. L'annullamento con rinvio per la rivalutazione della sussistenza del fatto, determina l'assorbimento dei motivi concernenti il trattamento sanzionatorio ed il riconoscimento della continuazione. 17. Il ricorso di (OMISSIS). Passando all'esame del ricorso proposto da (OMISSIS), la sentenza impugnata, pur dichiarando estinto per prescrizione il reato di truffa aggravata ascritto all'imputato in concorso con il consigliere regionale (OMISSIS), ha confermato le statuizioni civili in favore della Regione Lombardia (condanna al risarcimento dei danni liquidati in Euro 127.600 a titolo di danno patrimoniale ed Euro 12.000 a titolo di danno morale). Secondo il ricorrente tale capo della sentenza sarebbe affetto da vizi cumulativi di violazione di legge e di mancanza ed illogicita' della motivazione in quanto sulla base della disciplina all'epoca vigente (la Legge Regionale n. 20 del 2008, articolo 67, comma 9) non era richiesto alcun titolo ai fini dell'assunzione come collaboratori esterni. Il motivo e' infondato per le ragioni di seguito esposte. Va, innanzitutto, considerato che la Legge Regionale n. 20 del 2008 prevede che per lo svolgimento delle attivita' necessarie all'esercizio delle proprie funzioni i gruppi consiliari si avvalgono di specifiche unita' organizzative denominate segreterie e staff assistenza ai consiglieri scelte in virtu' di un rapporto di natura fiduciaria. Erroneamente il ricorrente afferma che la costituzione di tali rapporti di collaborazione esterna fosse governata esclusivamente da tale carattere intuitus personae del rapporto. Come gia' rilevato dalla sentenza impugnata, l'articolo 67 della citata legge regionale, nel consentire l'acquisizione a tale titolo di personale esterno all'amministrazione regionale con contratto di diritto privato a tempo determinato, ivi compreso il contratto di collaborazione professionale o di consulenza professionale, prevede espressamente che tale rapporto viene costituito con la sottoscrizione del contratto individuale, sottoscritto per l'amministrazione dal presidente del Consiglio regionale o dal suo delegato, sulla base di schemi contrattuali approvati dall'Ufficio di Presidenza, che tengono conto della professionalita' richiesta, dei diversi ambiti di autonomia e responsabilita' del personale interessato (comma 12). In ogni caso, anche a prescindere da tale chiara disposizione normativa, va considerato che, con il contratto stipulato, il (OMISSIS) si era impegnato a svolgere una prestazione altamente specialistica rispetto alla quale, come risulta dalla sentenza impugnata, lo stesso ha dolosamente taciuto di non essere in possesso del corrispondente grado di professionalita'; che l'importo della retribuzione era stato determinato proprio in ragione della natura di tale prestazione e che detto importo e' stato percepito dal (OMISSIS) a fronte dello svolgimento di attivita' di diversa natura. Risulta, infatti, dalla sentenza impugnata che il contratto di collaborazione del (OMISSIS) aveva ad oggetto la "valutazione dell'attivita' legislativa attinente i rapporti tra Regione ed Enti Locali con particolare attenzione alla provincia di Lecco a supporto dell'attivita' del Consigliere (OMISSIS)". Come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, l'oggetto del contratto implicava un'elevata professionalita' del collaboratore esterno, essendo imprescindibile, a tal fine, quanto meno un titolo di laurea, mentre il (OMISSIS), operaio imbottigliatore, possedeva solo un diploma di licenza media. Risulta, inoltre, che lo stesso (OMISSIS), nel corso dell'esame dibattimentale, ha ammesso che il ricorrente aveva svolto un'attivita' diversa da quella oggetto del contratto, consistente nel mantenimento dei rapporti del Consigliere regionale con il territorio. Pertanto, considerati l'elevata professionalita' richiesta dal contratto di collaborazione del (OMISSIS), la sua totale inadeguatezza, la difforme prestazione svolta e le attestazioni sottoscritte dal (OMISSIS) in merito alla congruita' della retribuzione erogata (Euro 8.000 al mese circa, pari ad un importo complessivo di Euro 196.000), ritiene il Collegio che la sentenza impugnata, senza incorrere in alcuna violazione di legge e con motivazione immune da vizi, ha legittimamente escluso la possibilita' di pervenire ad un proscioglimento dell'imputato, essendo ravvisabile nella condotta tenuta gli estremi degli artifici e raggiri, consistiti nel silenzio maliziosamente serbato sulle competenze professionali del (OMISSIS) e sulla sua totale inadeguatezza rispetto all'oggetto dell'incarico, reputando tale condotta idonea a configurare un fatto illecito civile e, in particolare, un vizio del consenso della pubblica amministrazione che, ove fosse stata informata delle effettive competenze del (OMISSIS), non avrebbe concluso il contratto di collaborazione avente l'oggetto sopra riportato. Va, infatti, ribadito che anche il silenzio, maliziosamente serbato su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, integra l'elemento del raggiro, idoneo ad influire sulla volonta' negoziale del soggetto passivo (cfr. da ultimo, Sez. 6, n. 13411 del 05/03/2019, Rv. 275463 - 04). Tale definizione del dolo della truffa contrattuale rileva, nei medesimi termini, anche ai fini della individuazione del vizio del contratto concluso per effetto di siffatta condotta. Secondo il costante orientamento delle Sezioni civili di questa Corte, infatti, il contratto concluso per effetto di truffa di uno dei contraenti in danno dell'altro e' annullabile ai sensi dell'articolo 1439 c.c., atteso che il dolo costitutivo di tale delitto non e' ontologicamente diverso, neanche sotto il profilo dell'intensita', da quello che vizia il consenso negoziale, entrambi risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati dall'agente e diretti ad indurre in errore l'altra parte e cosi' a viziarne il consenso (cfr. Cass. civ.: Sez. 1, n. 18930 del 27/09/2016, Rv. 641831; Sez. 2, n. 7468 del 31/03/2011, Rv. 617294; Sez. 2, n. 13566 del 26/05/2008, Rv. 603359). Si e', inoltre, aggiunto che il dolo che vizia la volonta' e causa l'annullamento del contratto implica necessariamente la conoscenza da parte dell'agente delle false rappresentazioni che si producono nella vittima e il convincimento che sia possibile determinare con artifici, menzogne e raggiri la volonta' altrui, inducendola specificamente in inganno (Cass. civ., Sez. 2, n. 13034 del 24/05/2018, Rv. 650830). 18. Le sorti delle statuizioni civili. La presenza delle statuizioni civili disposte nei confronti degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nei cui confronti, a seguito della riqualificazione delle condotte ascritte ai sensi dell'articolo 316-ter c.p. e' stata dichiarata la prescrizione dei reati, impone di valutare le rispettive impugnazioni ai sensi dell'articolo 578 c.p.p.. Ritiene il Collegio che benche', come affermato nel par. 8, non sussistano i presupposti per un proscioglimento nel merito degli imputati sopra citati, non e' possibile confermare le statuizioni civili disposte nei loro confronti. Cio' in quanto, la valutazione della fondatezza o meno della pretesa risarcitoria della Regione Lombardia richiede un nuovo giudizio in fatto, per le ragioni gia' esposte nei parr. 10, 11 e 12, al fine di selezionare per quali spese gli imputati abbiano indebitamente riscosso il relativo rimborso. La sentenza impugnata va conseguentemente annullata con rinvio agli effetti civili nei confronti dei citati imputati, in relazione alle imputazioni come riqualificate nel precedente paragrafo. 18.1. Quanto alla individuazione del giudice competente in sede di rinvio, va innanzitutto considerato che sulla questione esiste un contrasto giurisprudenziale. Secondo un primo orientamento maggioritario, tale giudice va individuato, ai sensi dell'articolo 622 c.p.p., nel giudice civile competente in grado di appello (in tal senso, si veda, tra le tante, Sez. 5, n. 28848 del 21/09/2020, D'Alessandro, Rv. 279599; Sez. 5, n. 26217 del 13/07/2020, Rv. 279598 - 02; Sez. 4, n. 13869 del 05/03/2020, Sassi, Rv. 278761). Secondo altro orientamento, invece, il giudice del rinvio va individuato nello stesso giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 21251 del 26/03/2013, Rv. 255654) presupponendo l'articolo 622 c.p.p. il gia' definitivo accertamento della responsabilita' penale o l'accoglimento dell'impugnazione proposta dalla sola parte civile avverso sentenza di proscioglimento (Sez. 3, n. 15653 del 27/02/2008, Colombo, Rv. 239865). Nell'ambito di tale orientamento possono iscriversi anche le pronunce che individuano nel giudice penale il giudice competente per la fase rescissoria in caso di annullamento con rinvio della sentenza di appello che abbia dichiarato la prescrizione del reato con affermazione della responsabilita' dell'imputato ai soli effetti civili per violazione dell'obbligo previsto dall'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, (Sez. 6, n. 28215 del 25/09/2020, Rv. 279574 - 02; Sez. 2, n. 9542 del 19/02/2020, Rv. 278589). Va, infine, considerato un terzo orientamento secondo il quale in tema di giudizio per cassazione, il rinvio al giudice civile, ai sensi dell'articolo 622 c.p.p., non puo' essere disposto qualora l'annullamento delle disposizioni o dei capi della sentenza impugnata concernenti l'azione civile dipenda dalla fondatezza del ricorso dell'imputato agli effetti penali (Sez. 3, n. 15216 del 24/01/2022, Sparta, Rv. 283229; Sez. 6, n. 31921 del 06/06/2019, De Angelis, Rv. 277285). 18.2 P Collegio intende dare continuita' al primo orientamento per il seguente ordine di ragioni. Occorre, innanzitutto, considerare la ratio dell'articolo 622 c.p.p., da individuarsi nel principio di economia in ragione del quale va esclusa la perdurante attrazione delle pretese civili nel processo penale, una volta che siano definitive le statuizioni di carattere penale, tra le quali rientrano anche quelle che dichiarano l'estinzione del reato per prescrizione. Invero, come gia' autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 40109 del 18/07/2013, Sciortino, Rv. 256087), l'inciso iniziale "fermi gli effetti penali" dell'articolo 622 c.p.p. non implica un riferimento esclusivo a un "accertamento" della responsabilita' penale in quanto tra gli "effetti penali della sentenza" rientrano certamente quelli scaturenti da una declaratoria di estinzione del reato. Le Sezioni Unite hanno, pertanto, individuato nel giudice civile il giudice del rinvio in caso di accoglimento del ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui il giudice di appello dichiari non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato (o per intervenuta amnistia) senza motivare in ordine alla responsabilita' dell'imputato ai fini delle statuizioni civili (Sez. U, n. 40109 del 18/07/2013, Sciortino, Rv. 256087). Coerentemente con tale impostazione ermeneutica, inoltre, in una successiva pronuncia il Supremo Consesso ha individuato nel giudice civile competente per valore in grado di appello il giudice del rinvio in caso di annullamento agli effetti civili della sentenza che, in accoglimento dell'appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, abbia condannato l'imputato al risarcimento dei danni senza procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva (Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, Cremonesi, Rv. 281228). Secondo l'interpretazione della norma qui condivisa, l'articolo 622 c.p.p. disciplina, dunque, la fase in cui, all'esito del giudizio di cassazione, la regiudicanda penale si sia esaurita (essendosi prescritto il reato), ed il giudizio debba proseguire con riferimento alle sole statuizioni civili. In tale ipotesi, infatti, non essendovi piu' alcuno spazio per il giudice penale, viene meno la ragione della sua competenza promiscua conseguente alla costituzione di parte civile. Tale soluzione appare coerente con la connotazione di accessorieta' dell'azione civile rispetto al processo penale, recentemente sottolineate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 182 del 2021 in cui ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 578 c.p.p., sollevata in riferimento all'articolo 117 Cost., comma 1, in relazione all'articolo 6, paragrafo 2, della CEDU nonche' in riferimento allo stesso articolo 117 Cost., comma 1, e all'articolo 11 Cost., in relazione agli articoli 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, e all'articolo 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. In tale pronuncia la Corte costituzionale, premettendo che l'articolo 622 c.p.p. costituisce una marcata deviazione dal principio generale di accessorieta' dell'azione civile nel processo penale, ha tenuto conto dell'ermeneusi della norma consacrata nelle due citate pronunce delle Sezioni Unite in forza della quale il giudizio rescissorio di rinvio dinanzi al giudice civile puo' assumere non solo carattere meramente "prosecutorio", ma anche carattere "restitutorio" (si fa riferimento a Sez. U. n. 40109 del 2013, Sciortino). Sulla base delle considerazioni sopra esposte e, in particolare dell'interpretazione dell'incipit dell'articolo 622 c.p.p. fatta propria dalle Sezioni Unite, puo', dunque, affermarsi che questo si riferisce anche alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, consentendo il rinvio al giudice civile anche nelle ipotesi in cui, per un vizio della motivazione o per un errore di diritto, il giudice dell'impugnazione non possa determinare con certezza l'an della responsabilita'. In tale ipotesi, dunque, il giudizio rescissorio di rinvio avra' ad oggetto sia l'an che il quantum della pretesa risarcitoria. 19. Tenuto conto delle considerazioni sopra esposte, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS) con riferimento ai fatti di cui al capo 61) perche' il reato e' estinto per intervenuta prescrizione; annullata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con riferimento ai fatti di cui ai capi 48), 48a), 61) e 62), commessi in epoca antecedente al 29 dicembre 2009, perche' i reati sono estinti per intervenuta prescrizione; annullata, nei confronti dei predetti ricorrenti, con riferimento ai medesimi capi, relativi ai fatti commessi in epoca successiva, nonche' nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), con riferimento al capo 61), e nei confronti di (OMISSIS), con riferimento al capo 17), con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Al rigetto del ricorso proposto da (OMISSIS) consegue la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali. All'inammissibilita' dei ricorsi proposti da (OMISSIS) ed (OMISSIS) segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila da versare in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi ritenere che gli stessi abbiano proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. n. 186 del 2000). (OMISSIS) e (OMISSIS) vanno, inoltre, condannati, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, Regione Lombardia, che si liquidano in complessivi Euro 3.900,00. Alla riqualificazione delle condotte ascritte a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nei reati di cui all'articolo 316-ter c.p., consegue, invece, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perche' tali reati sono estinti per intervenuta prescrizione; quanto alle statuizioni civili relative alle imputazioni come riqualificate, nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), va disposto l'annullamento agli effetti civili della sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) con riferimento ai fatti di cui al capo 61) perche' il reato e' estinto per intervenuta prescrizione. Annulla senza rinvio la medesima sentenza nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con riferimento ai fatti di cui ai capi 48), 48a), 61) e 62), commessi in epoca antecedente al 29 dicembre 2009, perche' i reati sono estinti per intervenuta prescrizione; annulla altresi' la stessa sentenza nei confronti dei predetti ricorrenti, con riferimento ai medesimi capi, relativi ai fatti commessi in epoca successiva, nonche' nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), con riferimento al capo 61), e nei confronti di (OMISSIS), con riferimento al capo 17), e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta il ricorso proposto da (OMISSIS) e lo condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Condanna (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, Regione Lombardia, che liquida in complessivi Euro 3.900,00. Riqualificati gli ulteriori fatti contestati a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nei reati di cui all'articolo 316-ter c.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche' tali reati sono estinti per intervenuta prescrizione; annulla agli effetti civili la medesima sentenza, in relazione alle imputazioni come riqualificate, nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Venezia sezione PRIMA Penale composta dai Magistrati: 1. Dott. Francesco Giuliano - Presidente 2. Dott. Alberta Beccaro - Consigliere 3. Dott. David Calabria - Consigliere Udita la relazione della causa fatta alla udienza pubblica/camerale, odierna dai Dott.ri Beccaro e Calabria Inteso il P.G. dott. appellant (...) difensor come da verbale, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: GI.EM. Nato a Roma il 03.06.1969 Elettivamente domiciliato presso Avv. Or.Do. del Foro di Milano Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Or.Do. del Foro di Difensore di fiducia Avv. Co.Mi. del Foro di Milano MA.PA. Nato a (...) Domiciliato presso l'Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza PE.MA. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna PI.AN. Nato (...) Domiciliato presso Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Difeso di fiducia dall'Avv. Gi.To. del Foro di Milano ZI.GI. Nato a (...) Residente a (...) Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza ZO.GI. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. En.Am. del Foro dì Vicenza Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. En.Am. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Tu.Pa. del Foro di Pisa RESPONSABILE AMMINISTRATIVO BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona del legale rappresentante pro tempore Difensore Avv. Fr.Mu. del Foro di Milano - non presente, sostituito dall'Avv. Ro.Bo. del Foro di Padova per delega orale PRESENTE RESPONSABILE CIVILE - ESTROMESSO con ordinanza depositata all'udienza del 22/04/2022. BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona dei legali rappresentanti pro tempore Di.Gi., Fe.Cl. e Vi.Fa. Parti civili: + 229 (omissis) IMPUTATI: Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. stralciato ad altro procedimento, Zi.Gi. e Zo.Gi., a.1) in ordine al reato previsto e punito dagli arti 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., e 2637 c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amava), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie di seguito descritta, attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della. Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta piassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., stralciato ad altro procedimento in qualità di direttore generale delia medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione. Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuatone della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, della segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; in tempi diversi, diffondevano notizie false e ponevano in essere operazioni simulate ed altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni B. (deliberato annualmente - ai sensi dell'art. 6 dello Statuto sociale e dell'art 2528 c.c. -dall'assemblea dei soci su proposta del consiglio di amministrazione, formulata sulla scorta di una perizia di stima del valore del relativo soprapprezzo elaborata da un esperto indipendente appositamente incaricato), e ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della medesima Banca (...) e dell'omonimo Groppo bancario. Operazioni simulate ed altri artifici consistite (condotte poste in essere da ciascuna delle persone indagate, secondo il rispettivo ruolo): i) nella ripetuta concessione di finanziamenti a favore di terzi soggetti finalizzati all'acquisto (nel mercato secondario) ed alla sottoscrizione (in occasione delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014) di azioni B., per un controvalore complessivo di circa Euro 963 mln (di cui circa Euro 545 mln sino al 31.122012, circa Euro 155 nel 2013, circa Euro 255 nel 2014 e circa Euro 8 mln nel primo trimestre 2015), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito (per talune operazioni formalizzato per iscritto, per un complessivo controvalore azionario di circa Euro 160 mln), cosi determinando una apparenza di liquidità del titolo sul mercato secondario e, al contempo, cosi consentendo la riduzione contabile del controvalore delle azioni proprie detenute; ii) nella omessa iscrizione al passivo dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014 di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., pari all'importo complessivo delle operazioni di finanziamento finalizzate all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. sopra indicato; iii) nella mancata comunicazione all'esperto incaricato della stima del valore del soprapprezzo dell'azione B., dell'esistenza e dell'entità della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come sopra descritta. Diffusione di notizie false compiuta mediante la pubblicazione di comunicati stampa, di comunicazioni al pubblico, anche ex art. 114, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, di comunicazioni ai soci e dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014, contenenti mendaci indicazioni circa (condotte materiali poste in essere da Zo.Gi., Zi.Gi., So.Sa. (Stralciato ad altro procedimento) e Pe.Ma., con il contributo di GI.Em., Pi.An. e Ma.Pa., che partecipavano alla attuazione della prassi dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. sopra descritta): - la reale entità del patrimonio (nei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014), a causa della mancata iscrizione di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., per un importo corrispondente all'ammontare dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. (pari a circa Euro 545 mln al 31.12.2012, circa Euro700 mln al 31.12.2013 e circa Euro 955 mln al 31.12.2014); - la solidità patrimoniale della Banca (comunicati stampa e comunicazioni ai soci del 30/3/2012; 8/8/2012; 3/9/2012; 19/3/2013; 27/4/2013; 27/4/2013; 10/9/2013; 2/4/2014; 9/9/2014; 26/10/2014; 4/12/2014; 19/3/2014) enfatizzata a dispetto della reale situazione derivante dal sopra descritto fenomeno di concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizioni di azioni B. e di lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle medesime e/o di garanzia del rendimento dell'investimento; - la crescita progressiva della compagine sociale (comunicati 27/8/2013; 18/3/2014; 29/8/2014; 26/10/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), lasciando intendere che essa derivasse dalla progressiva maggiore appetibilità dell'azione B. quale strumento di investimento, omettendo di rappresentare resistenza e l'entità della prassi della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie sopra descritta; - il buon esito delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014 (comunicati 9/8/2013; 27/8/2013; 18/3/2014; 8/8/2014; 29/8/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), tacendo la circostanza relativa al massiccio ricorso al finanziamento per la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione nell'ambito dei c.d. Aucap; Con raggravante di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone. In (...), nel corso degli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014. Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) a.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. r) D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - ZO.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società a capo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenite reati della stessa specie, commettevano il reato sub a.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nel mantenimento del valore dell'azione e dell'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto, realizzati anche attraverso un artificioso funzionamento del mercato secondario delle azioni B. e mediante una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca. In (...), nel corso degli anni (...), alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa., (stralciato ed altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., b1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 81, co. II 110, 112, n. 1, c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a., in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1), e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale e traendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti, e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalatone e comunicazioni air Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, durante l'attività ispettiva compiuta dalla stessa Autorità presso la sede sociale, occultavano con mezzi fraudolenti - l'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario, per un controvalore complessivo di circa Euro 250 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di oltre Euro 300 mln, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - l'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. c/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; e, comunque, omettevano di dare comunicazione di tali circostanze, cosi determinando effettivamente, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, che, conseguentemente, non dava luogo ad approfondimenti conoscitivi in sede ispettiva ed alla quale, di fatto, era impedito di accertare l'esistenza della suddetta prassi. Mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale sia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58. In (...) dal (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) b.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub b.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. c.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81 co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.6.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.9.2012) contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 268 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2012), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 280 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia medesima, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2012, stabiliva, con Lettera di intervento datata 5.3.2013, un obiettivo patrimoniale (c.d. Target ratio, in termini di Core Tier 1 capital ratio pari o superiore all'8%) non coerente con la situazione patrimoniale della stessa B. e, comunque, ometteva di assumere ulteriori misure ed iniziative di vigilanza coerenti rispetto alla reale situazione patrimoniale della B., Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.pa, in liquidazione coatta amm.va (già Sc.p.a.) c.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett., a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub al), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad atro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. d.1) reato previsto e punito dagli artt. 61 n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., 2638, co. II e III, c.., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 5.3.2013 - n. 228149, di fornire "dettagliate informazioni in ordine alle motivazioni sottostanti l'incremento, sia a livello individuale che consolidato, delle azioni o quote proprie ricomprese tra gli elementi negativi del patrimonio di base, passate da Euro 30,48 mln a Euro 239,85 mln" nel periodo 30.6/30.9.2012), nella Comunicazione 20.3.2013, con la quale era rappresentato falsamente che "L'incremento ... registrato al 30 settembre 2012 rispetto al 30 giugno 2012 è da ascrivere principalmente a fenomeni di ciclicità legati alle procedure di gestione delle azioni proprie. Le domande di acquisto di azioni della banca si sono invece concentrate nel IV trimestre, anche in relazione alla consueta maggiore propensione e convenienza sotto il profilo finanziario di procedere, da parte dei soci, all'acquisto nell'ultimo periodo dell'anno... I dati al 31 dicembre 2012 evidenziano un Core Tier 1 ratio e un Total Capital ratio rispettivamente all'8,37% e all'11,40%, ipotizzando l'integrale capitalizzazione dell'utile. Nell'ipotesi di distribuire un dividendo pari al 50% dell'utile distribuibile, il Tier 1 ratio si posizionerebbe all'8,23% comunque al di sopra del target minimo". - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.12.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.3.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 545 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistato da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 544 mln; ed inoltre, - nella Informativa preventiva 23.4.2013 relativa alla imminente operazione dì aumento di capitale (mediante emissione di azioni ordinarie e contestuale emissione di prestito obbligazionario convertibile, per l'importo complessivo di Euro 506 mln), nella quale non era indicato che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione di finanziamenti correlati alla sottoscrizione medesima ed era rappresentato, pertanto contrariamente al vero, che il relativo "impatto... sul Tier 1 ratio " era stimato in un incremento complessivo di 175 punti base; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della B., adottava la Lettera di intervento datata 24.6.2013 con la quale (rilevato che "alla data del 30 settembre 2012" B. deteneva azioni proprie per un controvalore complessivo superiore al limite del "5% del capitale" in assenza della necessaria autorizzazione) prescriveva a B. l'adozione di "ogni Iniziativa sul piano procedurale e dei controlli alfine di assicurare uno scrupoloso rispetto dei limiti previsti per il riacquisto o rimborso di proprie azioni" e di richiedere "la prescritta autorizzazione, laddove ne ricorrano i presupposti" senza assumere ulteriori misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, DI L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.p.a.) d.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub d. 1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. e.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, il 2,81, co. II, 110 e 112, n. 1, cp., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione delia medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30-6-2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.9.2013), contraente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 555 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca, anteriore e prossima al 25.10.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 626 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.3.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 700 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e dì garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) e.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di prendente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sube.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. f.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. n. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai scasi della L. 1 settembre 1993, a 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; -- So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delie operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella Informativa preventiva datata 5.3.2014 relativa alla imminente operazione di aumento di capitale mediante emissione di azioni ordinarie per l'importo complessivo massimo di Euro 700 min, tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima e rappresentando, pertanto falsamente, die "nell'ipotesi di effettuazione dell'importo massimo", l'Aucap determinerebbe un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma" del 10,89% (rispetto a quello esistente dell'8,50%) e del ''Total Capital ratio" del 13,85% (rispetto a quello esistente dell'11,41%) con un incremento "quantificabile in circa 239" punti base; - nella Informativa integrativa datata 11.4.2014 relativa alla operazione di aumento di capitale sopra indicata (contenente la precisazione che la stessa sarebbe stata compiuta per un importo massimo di Euro 683,754 mln), tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima ed attestando, pertanto falsamente, che le azioni di nuova emissione soddisfano "tutte le condizioni previste dagli artt. 28 e 29 della CRR" e rappresentando, pertanto ancora falsamente, che la relativa "stima dell'impatto patrimoniale" evidenziava un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma post aucap" del'11,65% (rispetto a quello esistente del 9,21%) e del "Total Capital ratio pro-forma post aucap" del 14,25 (rispetto a quello esistente dell'11,81%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, a seguito della "istanza di autorizzazione a classificare gli strumenti di capitale come strumenti di capitale primario di classe 1 ai sensi dell'art 26 par. 3, del Regolamento (UE) n. 575/2013" (contenuta nella Informativa integrativa suddetta), sulla scorta della mendaci informazioni ricevute, adottava il provvedimento autorizzato richiesto con atto del 15.4.2014, in difetto dei prescritti presupposti (trattandosi, in parte, di c.d. azioni finanziate). Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) BANCA (...) S.p.a. in liquidatone coatta amm.va (già S.c.p.a.) f.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s) D. L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub f1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nella autorizzata classificazione delle azioni di nuova emissione sottoscritte come strumenti di capitale primario di classe 1". In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. g.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co, II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi die precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella Use di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione dì vigilanza periodica al 31.3.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 728 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica ai 30.6.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in data 11.8.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra, indicata, per un importo complessivo di circa Euro 718 mln; - nella Comunicazione 1.9.2014, nella quale era rappresentato falsamente che "con riferimento alla segnalazione di vigilanza prudenziale al 30 giugno 2014... si è ravvisato il mancato soddisfacimento a livello consolidato del requisito combinato di riserva di capitale... con un deficit di euro 85 milioni rispetto al livello minimo previsto.... l'aumento dì capitale di euro 607,8 milioni - già in corso alla data del 30 giugno, completato lo scorso 8 agosto con l'integrale sottoscrizione dello stesso... consentiva di coprire ampiamente il deficit registrato... tenendo conto dell'aumento di capitale già regolato, la posizione patrimoniale del Gruppo risulta in surplus di euro 550,8 milioni..." ed era attestato falsamente il livello dei "Fondi Propri" (indicato in Euro 2,989 mld e, quelli "pro-forma" in Euro 3,635 mld) e dei ratios patrimoniali (ovverosia, 8,55% CET1 Ratio e 10,67% CET1 Ratio pro-forma; 8,55% Tier 1 Ratio e 10,67% Tier 1 Ratio pro-forma; 10,21% Total Capitai Ratio e 12,38% Total Capital Ratio pro-fonna); - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 886 mln; - (a seguito della richiesta di Banca d'Italia, formulata con Nota datata 25.10.2014 - n. 1053731/14 nella quale, dato atto che "Banca (...) ha eseguito dall'inizio del 2014 operazioni di riacquisto di azioni proprie (buybacks) per un ammontare complessivo netto di Euro 195 mln. Le segnalazioni prudenziali di codesta banca confermano il progressivo aumento delle deduzioni per azioni proprie in portafoglio dal common equity tier 1: Euro 32,3 mln a dicembre 2013; Euro 91,7 mln a marzo 2014; Euro 178,2 mln, di cui 52,4 mln detenute indirettamente, a giugno 2014.... (la B.) ha altresì proceduto al rimborso e successivo annullamento di azioni proprie per complessivi Euro 61,7 mln, a motivo di successioni ed escussioni per recupero crediti", era domandata "la puntuale verifica della correttezza dei dati segnalati tempistica e modalità di esecuzione dei buybacks; ... le informazioni necessarie alla comprensione delle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie, precisando le controparti (società veicolo/OICR) presso le quali ì titoli sono depositati; chiarimenti circa la coerenza dei riacquisti effettuati con le disposizioni della Capital Requirement Regulation e delle successive norme tecniche di attuazione") nella Comunicazione datata 4.11.2014, ove era rappresentato falsamente che "La Banca... ha proceduto ai riacquisti da Soci e agli annullamenti delle azioni proprie nella consapevolezza che la riduzione di capitale connessa ai medesimi era più che compensata dalla sottoscrizione degli aumenti di capitale in corso.... le predette operazioni di riacquisto e annullamento di azioni proprie eseguite dalla banca dall'inizio del 2014... sono comunque avvenute nell'ambito dì un complessivo rafforzamento patrimoniale del Gruppo Bancario, che ha visto il proprio Common Equity Tier 1 Ratio incrementarsi dal 1° gennaio 2014 di circa 141 bps"; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) g2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità, di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub g.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., h1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a, in liquidatone cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposte alla vigilanza della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a. 1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente fa predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberatone degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca Centrale Europea, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2014 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 15.3.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2015 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 25.4.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 963 mln; - nella Informativa al Pubblico al 31.12.2014, contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa delia mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln e, di conseguenza, l'indicazione falsata dei requisiti patrimoniali prudenziali (CET 1 ratio pari al 10,44% e Total Capital ratio pari all'11,55%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca Centrale Europea che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a., in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) h.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001. n. 231, perché, in concorso tra loro. - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di (fingente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub h1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. i) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a-1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente si processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinalo ed attuato concretamente la predetta prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alte proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Dividerne Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili relativa alle operazioni di aumento di capitale realizzate nel corso del 2013 (c.d. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2012 e nel primo quadrimestre 2013 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a.1), ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo (felle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo, la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancate evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sui prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In Vicenza, in data 10 giugno 2013 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. 1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a.1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predette prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predispostone dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalatone e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di adoni di nuova emissione relativa alle operazioni di aumento di capitate realizzate nel corso del 2014 (c.c. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2013 e nel primo quadrimestre 2014 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a1) ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo delle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo" la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancata evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sin prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., m.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110, 112, n. 1, c.p. e 2638 co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche in riferimento alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 RGNR - Mod. 21, (allegata al presente Avviso) in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione Della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, e della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di numerosi finanziamenti finalizzati air acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie (operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito, per talune operazioni formalizzato per iscritto), attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallalo la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. Srl, operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attualo concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase dì istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazioni e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea, nell'ambito dello svolgimento dell'esercizio di valutazione approfondita (c.d. "Comprehensive Assessment") previsto dall'art. 33, par. 4, del Regolamento (UE) n. 1024/2013 cit. ed oggetto della Decisione della Banca centrale Europea del 4 febbraio 2014 i) durante l'attività ispettiva compiuta dalla Banca d'Italia presso la sede sociale nel periodo marzo/agosto 2014 (consistita nel c.d. "Asset Quality Rewiev") occultavano con mezzi fraudolenti e, comunque, omettevano di dare comunicazione, - dell'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario e/o alla sottoscrizione delle medesime azioni in sede di operazioni di aumento di capitale, per un controvalore complessivo di circa Euro 728 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di circa 6 886 min, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - dell'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale aia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate; ii) esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 9.6.2014 - il 590133/14 di compilare un "questionario... (Preliminary Capital Plan)" contenente "informazioni idonee a valutare, distintamente per i vari annali di raccolta (interni ed esterni) l'ammontare aggiuntivo di capitale e di strumenti di ATI che potrebbero essere ottenuti in tempi rapidi (6 o 9 mesi) per fronteggiare eventuali shortfall" precisando "sia le operazioni già pianificate o in corso di attuazione, sia le misure aggiuntive che potrebbero essere perfezionate in caso di necessità entro i termini sopra indicati") nella Comunicazione datata 20.6.2014 ove erano indicati, quali interventi di rafforzamento patrimoniale realizzabili celermente, il "rimborso anticipato in azioni del prestito obbligazionario 2013-2018 convertibile di tipo soft mandatory... per un importo di euro 253 milioni e "l'incremento di CET" per effetto degli aumenti di capitale attualmente in corso per un importo totale di euro 673 milioni, di cui euro 608 milioni di aumento in opzione ai soci", omettendo di rappresentare che la sottoscrizione del suddetto prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni dì nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra descritta; - nelle comunicazioni trasmesse alle Autorità di vigilanza nell'ambito dell'esercizio di "stress test", contenenti l'indicazione, contrariamente al vero, di ratios patrimoniali e dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quelli reali, a causa della mancata considerazione, quale cimento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln; - nel Capital Plan comunicato in data 10.11.2014, relativo alle misure programmate per la copertura del deficit di capitale emerso all'esito dell'esercizio di "stress test" (nello scenario avverso, pari a Euro 223 mln), contenente l'indicazione, contrariamente al vero, dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln, ed omettendo di precisare che la sottoscrizione del prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni di nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea medesime, le quali, conseguentemente, non davano luogo, neppure in sede ispettiva, ad approfondimenti conoscitivi, e la BCE valutava idonee le misure di rafforzamento patrimoniale indicate da B. per fare fronte alla deficienza emersa all'esito del c.d. "Comprehensive Assessment" ed all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2014 stabiliva (con la relativa decisione SREP) requisiti prudenziali non coerenti con la reale situazione patrimoniale della stessa B. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richieda di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), dal marzo ad agosto 2014 (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) m.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n, 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em. in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub m.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) SO.SA. (stralciato ad altro procedimento) e GI.EM. n.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso rispetto al capo che precede ed alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 (allegata al presente Avviso), - SO.SA. in qualità di direttore generale, - GI.EM., in qualità di vice direttore generale responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), società sottoposta alla vigilanza della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa ai sensi del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, con riferimento alla operazione di aumento di capitale compiuta nel periodo 12.5/8.8.2014, avente in oggetto una offerta in opzione agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili di azioni ordinarie di nuova emissione e di obbligazioni nominative (e anche una offerta al pubblico indistinto dell'eventuale inoptato), a seguito della richiesta di dati e notizie di CONSOB datata 16.5.2014, nella successiva interlocuzione con la medesima Autorità di Vigilanza, comunicavano, contrariamente al vero (condotta materiale di So.Sa., quale firmatario delle missive, compiuta d'intesa con Gi.Em.), i) nella Nota datata 23.5.2014, - la decisione assunta dalla Banca "di astenersi, con riferimento all'Offerta in opzione, dalla prestazione di raccomandazioni personalizzate all'investimento" e, pertanto, del "divieto di prestare qualsivoglia attività consulenziale a favore dei titolari del diritto di opzione"; - l'adozione da parte della Banca "allo scopo di dare effettività alla menzionata prescrizione interna ed evitare forme surrettizie di raccomandazione personalizzata all'investimento... " di "modalità specifiche di adesione all'offerta idonee a contenere occasioni di contatto diretto tra gli addetti alla rete ed i titolari del diritto di opzione" (costituite, "a seguito della comunicazione informativa" neutra da parte della Banca contenente indicazione delle "caratteristiche principali dell'operazione e le modalità richieste per l'adesione", dalla preventiva manifestatone di interesse alla sottoscrizione da parte degli interessati "accedendo ad una apposita sezione del sito internet della Banca" oppure tramite l'invio per posta di un modulo prestampato, preventivamente trasmesso agli aventi diritto in allegato alla suddetta comunicazione informativa preliminare); - che la Banca si sarebbe astenuta dalla erogazione di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione di azioni B., essendo questa possibilità limitata all'operazione di aumento di capitale riservato a nuovi soci e finalizzato all'ampliamento della base sociale (c.d. "mini Aucap"); ii) nella Nota datata 4.7.2014, che - erano "immutate le modalità di offerta in opzione, agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili... " e, nel fornire i dati relativi all'andamento della operazione, che l'offerta in opzione aveva registrato adesioni da parte di 20.448 clienti, tutte perfezionate ad "iniziativa cliente", con valutazione positiva della appropriatezza nella misura del 83,9%; iii) nella Nota 15.10.2014, - che l'unica operatività effettuata nell'ambito dell'Offerta in opzione, era quella ad "iniziativa cliente"; - che tutti i 29,364 sottoscrittori "aventi diritto" avevano aderito all'offerta previa valutazione di appropriatezza, il cui esito era stato positivo nella misura del 82% circa; - che (nella unita Nota di osservazioni della funzione di Compliance), "la Banca ha inteso presidiare il rischio di consulenze surrettizie prevedendo un meccanismo volto a fare in modo che il contatto tra banca e clienti titolari del diritto di opzione si stabilisse solo in seguito ad una comunicazione preliminare"; e omettevano dunque, di rappresentare alla Commissione medesima, la realizzazione da parte della Banca, sino dal febbraio 2014 (e, dunque, prima dell'approvazione del prospetto previsto dall'art. 94, D.L.vo n. 58/98 cit.), di una strutturata azione commerciale finalizzata alla promozione della partecipazione all'aumento di capitale e concretizzatasi in consigli personalizzati di investimento, cosi ostacolando consapevolmente le funzioni di vigilanza della CONSOB, cui era conseguentemente impedita l'emanazione degli opportuni provvedimenti e l'adozione delle pertinenti iniziative di Vigilanza. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell'art. 116, D.L.vo n. 58/98 cit. ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) n. 2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e punito dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato indicato sub e.l) commesso da - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale, responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), in concorso tra loro, in difetto di un modello di organizzazione idoneo (comunque non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi, e nell'interesse ed a vantaggio della stessa BANCA (...) S.c.p.a., consistiti nel rafforzamento patrimoniale dell'ente perseguito ed attuato con l'operazione dì aumento di capitale compiuta nel corso dell'anno 2014. In (...), in data (...) CONCLUSIONI PEL PROCURATORE GENERALE: Con riferimento agli appelli proposti dagli imputati ZO., MA. e PI. chiede dichiararsi l'improcedibilità con riguardo alle fattispecie medio tempore prescritte, con conseguente rideterminazione della pena, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, Per il resto chiede confermarsi la sentenza. Con riferimento all'appello proposto dall'imputato GI. chiede affermarsi la penale responsabilità del predetto, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando la pena richiesta come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. Con riferimento all'appello proposto da B. in L.c.a. chiede ridursi l'entità della sanzione ex art. 12 comma 2 lett. a) D.Lgs. 231/2001 nella misura massima della metà, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, con irrogazione, per l'effetto, della sanzione pecuniaria nella misura di euro 324.000,00= e conferma nel resto. Con riferimento, infine, agli appelli proposti dal Pubblico Ministero nei confronti degli imputati PE. e ZI. chiede affermarsi la penale responsabilità dei predetti, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando le pene richieste come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di equivalenza. CONCLUSIONI PELLE PARTI CIVILI: Il difensore della parte civile Banca d'Italia, Avv. St.Ce., conclude chiedendo che la Corte rigetti gli appelli degli imputati Gi., Ma., Pi. e Zo. e confermi la sentenza per quanto riguarda le statuizioni civili a favore delta Banca d'Italia, inclusa la conferma della condanna in solido alla provvisionale. In accoglimento degli appelli della Pubblica Accusa, proposti contro gli imputati Pe. e Zi., chiede estendersi ai medesimi le statuizioni civili in favore della Banca d'Italia e per l'effetto la loro condanna in solido al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da liquidarsi in separato giudizio, con condanna a una provvisionale pari a quella stabilita in primo grado. Per il resto conclude come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022. Il difensore della parte civile CONSOB, Avv. Va.Ci., in sostituzione dell'Avv. Deborah Spedicati, chiede la conferma dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato Gi. per il reato di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza svolte da CONSOB, contestato nel capo d'imputazione NI, e la conferma delle statuizioni civili pronunciate in favore della stessa CONSOB, con condanna al pagamento delle spese per questo grado dì giudizio. Si richiama per il resto alla memoria depositata all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Pa.Ci. (67), chiede l'accoglimento delle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Re.Be. (24), si associa alle conclusioni della Procura Generale e si riporta alle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9,2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca. (55), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca., in sostituzione dell'Avv. Br.Ba. (16), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce. (62), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ca.Sp. (205), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimene deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ro.Pa. (163), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ca.Ma. (140), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delie parti civili, Avv. Ca.Ma., in sostituzione dell'Avv. Ni.D'A. (80), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co. (72), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. An.Bu. (42), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. Na.De. (84), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Si.Ba. (13), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ve.Bo. (40), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. An.Ca. (44), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ma.Ma. (139), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Gi.Vi. (219), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa. (160), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa., in sostituzione dell'Avv. Da.Tr. (211), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Pi.Ce. (63), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. St.An. (7), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Lu.Be. (22), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Al.Le. (127), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23,9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Mo. (156), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Sa., in sostituzione dell'Avv. Pi.Lu. (136), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ra.Di. (92), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Si dà altresì atto che all'udienza del 23.9.2022 le parti civili sotto elencate, su invito del Presidente e con l'accordo delle parti, hanno depositano le rispettive conclusioni scritte con allegate note spese, alle quali si riportano integralmente chiedendone l'accoglimento: (omissis) Il difensore delle parti civili, Avv. Fr.Ra., in sostituzione dell'Avv. An.Fi. (105), dichiara di non presentare conclusioni scritte dei propri assistiti e di riportarsi alle conclusioni già depositate in primo grado, chiedendone l'accoglimento, senza ulteriore deposito, CONCLUSIONI DELLE DIFESE MA., PI. e ZO.: Chiedono in principalità l'assoluzione dei rispettivi assistiti, avanzando richieste subordinate come da rispettivi atti di appello e motivi nuovi successivamente depositati, giusta conclusioni rispettivamente rassegnate alle udienze del 28.9.2022 (ZO.), del 30.9.2022 (MA.) e del 5.10.2022 (PI.), alle quali si riportano. CONCLUSIONI DELLA DIFESA GI.: Dichiara di rinunciare espressamente a tutti i motivi enunciati nell'atto di appello tranne che ai motivi nn. II, III, XIII, XX (quest'ultimo peraltro reso oggetto di rinuncia implicita, come da verbale d'udienza 23.9.2022, quanto alla svolta eccezione di nullità della sentenza), XXI, XXII e XXIII. Quanto al trattamento sanzionatorio invoca la rideterminazione in senso più favorevole come da verbale d'udienza 23.9.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA ZI.: Conclude per l'accoglimento del proprio appello e per il rigetto di quello del Pubblico Ministero, come da verbale d'udienza 5.10.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA PE.: Conclude chiedendo il rigetto dell'appello del Pubblico Ministero e la conferma della sentenza di assoluzione, come da verbale d'udienza 30.9.2022. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. La sentenza Con sentenza 19.3.2021, il Tribunale di Vicenza: - dichiarava Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. responsabili, nelle qualità dai predetti rispettivamente rivestite all'interno della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in LCA.), dei reati, siccome loro rispettivamente ascritti in rubrica (il capo NI era ascritto, fra essi, al solo GI.), di aggiotaggio ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 2637 c.c. (reato di cui al capo A1, commesso in Vicenza nel periodo successivo al 27.4,2013 e sino al 2015, in occasione della pubblicazione dei bilanci di esercizio degli anni 2013 e 2014), di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr 1 c.p., 2638 co. II, III c.c., aggravato dalla natura di società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116 D.L.vo 58/98 (capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1, posti in essere in Vicenza, dal maggio del 2012 all'anno 2015, nelle date di cui ai rispettivi capi di imputazione), di falso in prospetto, ex artt. 61 nr. 2, 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 173 bis D.L.vo 58/98 (capi I ed L, posti in essere, in Vicenza, rispettivamente, il 10 giugno del 2013 ed il 9 maggio del 2014) e, esclusa l'aggravante di cui all'art. 112 nr. 1 c.p., riconosciute a tutti gli imputati le attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alle residue aggravanti contestate ed unificati detti reati sotto il vincolo della continuazione, ritenuto più grave il delitto di cui al capo H1, condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione; - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno; - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Dichiarava i predetti imputati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Disponeva nei confronti dei medesimi la confisca per equivalente sino a concorrenza dell'importo di euro 963.000.000. - Dichiarava non doversi procedere nei confronti degli stessi imputati, con riferimento ai reati di aggiotaggio di cui al capo A1 (limitatamente alle condotte contestate fino alla data del 27.4.2013), perché estinti per prescrizione. - Condannava i suddetti imputati, nei termini seguenti, al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili: - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili private di cui all'elenco allegato alla sentenza (con esclusione, relativamente agli imputati GI. e MA., del risarcimento in favore delle parti private Al.Br., Lo.Al., Lo.Da., Lo.Tr., Pi.So. e To.La.), con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute da dette parti; - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile Banca d'Italia, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore della medesima parte, pari ad euro 601,017,39 oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte civile; - Gi.Em. era condannato al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile CONSOB, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore di detta parte nella misura dì euro 186.570,00, oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte avite. - Assolveva Pe.Ma. e Zi.Gi. dai reati loro ascritti perché il fatto non costituisce reato. - Dichiarava, inoltre, Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) e, riconosciuta l'attenuante ex art. 12, co. II, lett. a) D.L.vo 231/01 ed applicata la disciplina della pluralità di illeciti ex art. 21 D.L.vo cit., condannava detto ente al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 364.000,00, oltre al pagamento delle spese processuali, disponendo inoltre, nei confronti del medesimo ente, la confisca della somma di euro 74.212.687,50. - Disponeva, con riferimento alla posizione di Zo.Gi., la trasmissione degli atti al P.M. in relazione all'ipotesi di reato contestata sub capo N1; - Dichiarava improcedibile la domanda risarcitoria avanzata nei confronti del responsabile civile Banca (...) in L.C.A. 1.1 Gli addebiti L'affermazione di penale responsabilità attiene alle vicende emerse a seguito dell'ispezione avviata dalla squadra inviata presso l'istituto di credito vicentino dalla BCE nel febbraio del 2015 in relazione a irregolarità emerse nella gestione dell'attività d'impresa bancaria, irregolarità rappresentate: - dal sistematico ricorso della banca al sostegno finanziario concesso ai clienti/soci per l'acquisto di azioni proprie sul mercato primario e su quello secondario; - dal rilascio, in favore dei soci, di lettere con le quali l'istituto assumeva l'impegno al riacquisto delle azioni ovvero forniva garanzie di rendimento dei titoli; - dagli "storni" di interessi, autorizzati dagli organi di vertice dell'istituto onde neutralizzare i costi dei finanziamenti all'uopo erogati dalla Banca; - dagli investimenti di consistenti risorse in fondi esteri poi utilizzati, almeno in parte, per la detenzione indiretta dì azioni proprie. Tali anomalie operative, per effetto dei provvedimenti adottati all'esito dell'ispezione BCE del febbraio del 2015, avevano generato un impatto negativo sotto il profilo patrimoniale, stimato in circa un miliardo di euro di deduzioni dal patrimonio di vigilanza, come confermato dalla stessa banca verificata nella relazione semestrale del 30.6.2015 e, quindi, nel bilancio d'esercizio 2015. Ne era seguita anche l'iscrizione di rettifiche relative a crediti deteriorati per circa 1,3 miliardi di euro. Quindi, nel 2016, la banca aveva deliberato un piano di rafforzamento patrimoniale che tuttavia non era andato a buon fine (con particolare riferimento all'aumento di capitale, previsto nella consistente misura di 1,5 miliardi, tanto che il Fondo (...) aveva rilevato la proprietà dell'istituto sottoscrivendo aumenti di capitale per complessivi 2,3 miliardi). Di qui la dichiarazione, da parte della BCE, dello stato di dissesto o di rischio di dissesto e, successivamente, ravvio della procedura di LCA, decisa con decreto del Ministro dell'Economia del 25.6.2017. Con sentenza 21.12.2018, poi, il tribunale di Vicenza aveva dichiarato lo stato di insolvenza dell'istituto di credito. E' in questo contesto di crisi - successivamente sfociato, come appena precisato, nella dichiarazione dello stato di insolvenza - che si inscrivono le condotte di aggiotaggio manipolativo ed informativo, di ostacolo alla vigilanza della Banca d'Italia, della BCE e (quanto al solo imputato GI.) della CONSOB, nonché di falso in prospetto, condotte che costituiscono (oltre agli illeciti amministrativi contestati all'ente Banca (...) in L.C.A.) gli addebiti ritenuti provati nella pronunzia del tribunale di Vicenza. In particolare gli imputati, nelle loro rispettive qualità di esponenti di vertice dell'istituto bancario, avrebbero posto in essere una serie di azioni coordinate finalizzate alla manipolazione del mercato, attraverso una artificiosa rappresentazione di una solidità patrimoniale della banca in realtà inesistente e della liquidità del titolo azionario, mediante la sistematica concessione di assistenza finanziaria ai clienti per l'acquisto di azioni della banca, l'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo del valore delle azioni finanziate ed il mantenimento di un valore sovradimensionato del suddetto titolo (aggiotaggio manipolativo). Avrebbero, altresì, diffuso informazioni mendaci (prevalentemente attraverso la emissione di comunicati stampa indirizzati al mercato ed ai soci) inerenti alla situazione della banca, alla liquidità del titolo azionario e al pieno successo delle operazioni di aumento di capitale effettuate negli anni 2013 e 2014 (aggiotaggio informativo). Inoltre avrebbero posto in essere condotte di ostacolo alla vigilanza ai danni della Banca d'Italia e della BCE occultando la sistematica attività di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie e in tal guisa impedendo l'adozione di tempestivi piani di vigilanza coerenti con la reale situazione della banca, conseguendo, inoltre, l'autorizzazione alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale primario di classe 1 e superando positivamente, infine, il Camprehensive Assessment (ovverosia l'esercizio di valutazione approfondita con il quale la BCE aveva verificato lo stato di salute delle principali banche europee) con l'effetto di accedere al Meccanismo Unico di Vigilanza. Il solo GI., poi, avrebbe ostacolato la vigilanza della CONSOB in relazione all'aumento di capitale 2014, omettendo la rappresentazione delle operazioni commerciali finalizzate alla promozione dell'aumento di capitale in questione. Ulteriori condotte delittuose poste in essere dagli imputati, infine, sarebbero state quelle di falso in prospetto in relazione alla predisposizione e diffusione dei prospetti informativi inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni all'atto degli aumenti di capitale degli anni 2013 e 2014. Nell'occasione, infatti, per un verso, sarebbero state occultate le informazioni inerenti al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie; e, per altro verso, sarebbero state comunicate informazioni fuorvianti in merito all'andamento del mercato secondario delle azioni stesse. Nel complesso si sarebbe trattato di condotte tutte avvinte da un evidente nesso di strumentalità in quanto sistematicamente ispirate dalla medesima intenzione, da un lato, di creare un'apparenza di liquidità del titolo azionario e, dall'altro, di accreditare la solidità patrimoniale dell'istituto di credito. Solo in quest'ottica, del resto, nella prospettiva d'accusa, sarebbero interpretabili le condotte dei singoli imputati, altrimenti del tutto prive di senso, posto che le corrette attività di appostazione della riserva di bilancio e di scomputo del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza avrebbero reso prive di ogni effetto le operazioni correlate. Di qui la contestazione della responsabilità concorsuale degli imputati. 1.2 Il compendio probatorio Il giudizio di penale responsabilità scaturiva dalla valutazione coordinata di un panorama probatorio assai vasto e composito, segnatamente costituito da elementi di natura testimoniale (deposizioni degli agenti operanti, di ex dirigenti dell'istituto di credito, nonché di funzionari e dipendenti della banca, di clienti, ecc.) e documentale (e-mail, documenti contabili, verbali del CdA, piani industriali, ecc.), dagli esiti di operazioni di intercettazione telefonica, nonché dalle conclusioni cui erano pervenute approfondite attività di ispezione; conclusioni, queste ultime, che erano state dapprima documentate attraverso l'acquisizione delle relative relazioni e, quindi, confermate e precisate in sede di escussione dibattimentale degli ispettori e dei funzionari di vigilanza. Inoltre un rilievo significativo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato anche all'approdo cui era pervenuta la meticolosa attività di ricostruzione di quegli aspetti della gestione aziendale rilevanti ai fini della compiuta comprensione delle reali dinamiche e della esatta portata del fenomeno delle operazioni di capitale finanziato siccome effettuata dai consulenti tecnici del P.M.. Costoro, in effetti, avevano ripercorso, attraverso uno scrupoloso vaglio della notevole mole della documentazione disponibile, tutte le singole operazioni giungendo ad una precisa quantificazione del fenomeno; quantificazione, peraltro, sostanzialmente allineata, seppure per difetto, ai dati indicati dalla stessa banca nella Relazione sulla Gestione dei bilanci 2015-2016 (euro 1086,9 mln). Le indagini della GdF, poi, avevano consentito di riscontrare le evidenze ispettive e di delineare compiutamente il contributo fornito dai singoli imputati. Infine, anche la relazione ex art 33 L.f. - nella quale erano stati compendiati gli esiti di un accurato esame dei bilanci e degli indici di redditività, efficienza e solidità patrimoniale, nonché dei margini di struttura essenziale dell'istituto di credito - aveva rappresentato un prezioso contributo (peraltro convergente con le ulteriori risultanze processuali) per l'esatta comprensione del fenomeno del capitale finanziato. 1.3 La competenza Il tribunale, dopo avere premesso che la questione della competenza territoriale avrebbe dovuto essere valutata alla stregua delle indicazioni contenute nell'imputazione nonché delle allegazioni delle parti unicamente relative al fatto storico siccome stigmatizzato nell'imputazione medesima (fatta salva l'ipotesi - espressamente esclusa dal primo giudice - che dal capo di incolpazione emergessero macroscopici errori, immediatamente rilevabili come tali), ribadiva la competenza territoriale dell'a.g. vicentina, siccome già affermata (in sede di udienza preliminare e, quindi, negli atti preliminari al dibattimento), ritenendo le eccezioni difensive inammissibili e, comunque, infondate. Sotto il primo profilo il tribunale di Vicenza, per un verso, richiamava il contenuto della decisione della Corte di Cassazione (Cass. Sez. I, nr. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018) che - già investita della questione a seguito di conflitto negativo sollevato dal GIP di Milano - aveva in tal senso deliberato, la trama argomentativa della quale veniva dal primo giudice puntualmente ripercorsa; per altro verso evidenziava il difetto di fatti nuovi idonei a superare tale decisione (posto che il capo di incolpazione, medio tempore, non aveva subito sostanziali modifiche), concludendo, quindi, per la vincolatività della decisione medesima. In ogni caso, sotto il secondo profilo (quello dell'infondatezza delle eccezioni di incompetenza), il tribunale respingeva le ricostruzioni difensive che individuavano in Roma il luogo di commissione del più grave reato contestato sub B1, trattandosi del luogo nel quale aveva sede la Banca d'Italia e ove, pertanto, detto istituto aveva ricevuto il rendiconto ICAAP (Internal Capital Adequacy Assessment Process), al momento della ricezione (ovvero della valutazione) del quale - sempre secondo le prospettazioni difensive -, atteso il contenuto asseritamente decettivo del documento in questione, si sarebbe verificato l'evento di ostacolo. Ciò in ragione del fatto che la falsa informazione - sub specie di "occultamento fraudolento" - contenuta in tale documento non rientrava affatto nel perimetro dell'imputazione di riferimento; imputazione che - precisava il primo giudice - circoscriveva al periodo ricompreso tra l'inizio e la fine dell'ispezione il momento di commissione delle attività di intralcio alla vigilanza. Assegnare rilievo, sul punto, all'invio del citato documento da parte del coimputato So.Sa. (posizione stralciata e giudicata separatamente), infatti, avrebbe significato modificare indebitamente il capo di imputazione (peraltro inserendovi una condotta che, nella sua materialità, sarebbe stata espressione di una differente modalità di aggressione al bene giuridico presidiato dalla fattispecie incriminatrice), con conseguente contestazione di un fatto nuovo. Più nel dettaglio il tribunale non condivideva le osservazioni difensive, le quali: - da un lato evidenziavano come il capo di imputazione sub B1, là dove faceva riferimento all'occultamento o, comunque, alla mancata comunicazione di informazioni, necessariamente ricomprendesse, tra le comunicazioni "fuorvianti", anche la suddetta comunicazione ICAAP (sulla base della quale, del resto, l'ente incaricato della vigilanza aveva determinato l'oggetto dell'attività ispettiva che di lì a poco avrebbe svolto presso la sede dell'istituto vigilato); - dall'altro lato contestavano che dall'indicazione del tempus commissi delicti siccome precisato in imputazione potessero desumersi effetti decisivi in ordine alla delimitazione del perimetro dell'imputazione, trattandosi di indicazione - espressione dell'avvenuta, censurabile selezione, da parte del P.M., di una sorta di "finestra temporale" non corrispondente alle evidenze disponibili - non certo prevalente, sempre secondo le difese, rispetto alla descrizione del fatto siccome esposto nel capo di imputazione medesimo. Ad avviso del primo giudice, invero, la prospettazione d'accusa era chiara nell'individuare l'oggetto dell'addebito nelle condotte poste in essere nel corso dell'attività ispettiva, condotte rispetto alle quali l'invio della citata comunicazione ICAAP costituiva un fatto autonomo, estraneo a quello contestato sub B1 e neppure preso in considerazione come antecedente causale delle medesime condotte incriminate. Conclusivamente, l'eccezione di incompetenza territoriale, avanzata in relazione all'asserito rilievo da assegnarsi, sul punto, alla citata comunicazione ICAAP, oltre ad essere inammissibile per difetto di sopravvenienze rilevanti ex art, 25 c.p.p. (l'addebito di riferimento essendo rimasto inalterato rispetto all'imputazione provvisoria valutata dalla citata Cass. 15537/2018), era comunque infondata. Infine, neanche poteva sostenersi la competenza territoriale dell'a.g. milanese, pure prospettata da talune difese facendo leva sulle contestazioni di falso in prospetto di cui ai capi I ed L della rubrica. Si era in presenza, infatti, di reati puniti con pena edittale inferiore rispetto a quella prevista per il reato ex art. 2638 c.c., siccome nella specie aggravato ai sensi del comma terzo. In effetti, il raddoppio delle pene previsto dall'art. 39 co. 1 L. 262/05 non poteva ritenersi applicabile alla fattispecie in esame, in quanto modificata, anche in punto di trattamento sanzionatorio, dal medesimo intervento legislativo, come arguibile dalla ratio di detto intervento, quale ricavabile tanto dal tenore della disposizione ex art. 39, co. 3 L. cit., quanto dai relativi lavori preparatori. In ogni caso - e fermo, comunque, il principio di irretrattabilità del foro commissorio sancito dall'art. 25 c.p.p., - anche i reati di cui ai predetti capi I ed L erano stati commessi in Vicenza, presso la sede della banca vicentina, all'atto della pubblicazione dei prospetti informativi, tale essendo il momento consumativo del reato (e non già in Milano, sede della CONSOB, presso la quale detti prospetti erano stati depositati per l'approvazione). Donde la conferma della competenza del tribunale berico. 1.4 Il patrimonio di vigilanza e l'acquisto di azioni proprie: quadro normativo di riferimento Il tribunale, dopo avere esplicitamente richiamato il quadro normativo in ordine alla vigilanza informativa, regolamentare ed ispettiva sul settore bancario ed avere puntualmente delineato nozione e caratteristiche del "patrimonio di vigilanza" (nella sua accezione più ampia rispetto al semplice "patrimonio aziendale", in quanto ricomprendente, oltre al capitale sociale e alle riserve, anche gli strumenti di natura non strettamente patrimoniale ma rappresentanti "canali di patrimonializzazione"), precisava come, alia stregua delle disposizioni in materia, il "patrimonio di vigilanza" dovesse necessariamente corrispondere quantomeno all'ammontare del patrimonio interno assorbito dalle attività bancarie, in ragione della funzione assegnatagli di copertura dei rischi di mercato, operativo e di credito. Quindi, richiamati gli indici di riferimento per la valutazione delia capacità degli istituti di credito di sostenere le proprie attività in presenza dei rischi tipici ed evocata, altresì, la più recente disciplina di riferimento, il primo giudice precisava come il patrimonio di vigilanza complessivo dovesse intendersi costituito dalla somma algebrica tra il "patrimonio di base o capitale di classe 1" (Tier 1) e il "patrimonio supplementare o capitale di classe 2" (Tier 2), intesi come insieme di risorse capaci di assorbire le perdite, rispettivamente, in condizioni di continuità di impresa, ovvero di stato di crisi-In un siffatto contesto - proseguiva il tribunale - l'attività di vigilanza della Banca d'Italia assolveva, tra l'altro, alla funzione di valutare se gli strumenti finanziari emessi dagli istituti di credito fossero o meno computabili come strumenti di capitale primario, con la precisazione che, tra gli strumenti destinati ad essere integralmente dedotti dal capitale primario, rientravano certamente gli investimenti in azioni proprie (ivi comprese quelle che la banca fosse stata contrattualmente obbligata ad acquistare), e questo all'evidente fine di evitare il doppio computo del capitale. Con specifico riferimento al periodo interessato dalle imputazioni (2012-2015), poi, il giudice di prime cure puntualizzava come la composizione del patrimonio di vigilanza fosse disciplinata dalle Circolari della Banca d'Italia n. 263 del 27.12.2006 e n. 155 del 18.12.1991, circolari che, identificando il patrimonio di vigilanza come la somma algebrica tra il patrimonio di base (Tier 1) e il patrimonio supplementare (Tier 2), al netto delle deduzioni, esigevano che il rapporto tra il Tier 1 ed il totale delle esposizioni creditizie ponderate non dovesse essere inferiore al 4,00% e che il patrimonio di vigilanza, inteso come la somma di patrimonio di base Ver 1 e patrimonio supplementare Tier 2, dovesse essere almeno pari all'8% delle attività ponderate per il rischio. La Circolare n. 263/2006, poi, non prevedeva alcuna autorizzazione della Banca d'Italia per la computabilità delle azioni proprie nel patrimonio di vigilanza. Inoltre, a decorrere dal 2014, la disciplina di riferimento era costituita dal regolamento UE n. 575/2013 (Capital Requirements Regulation - CRR) e dalla Circolare della Banca d'Italia n. 286 del 17 dicembre 2013, con l'effetto che alla nozione di patrimonio di vigilanza era subentrata quella di "fondi propri" (costituiti dalle tre componenti: CET1, Additional Tier 1 e Tier 2), Secondo il CRR le banche avrebbero dovuto disporre di un requisito di capitale primario di classe 1 (CET) pari al 4,5% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio, di un requisito di capitale di classe 1 (Tier 1) pari al 6% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio e, infine, di un patrimonio di vigilanza totale (patrimonio di base più patrimonio supplementare) pari all'8% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio. Ciò posto, il primo giudice, con riferimento al tema dell'acquisto delle azioni proprie da parte di un istituto di credito, richiamava i limiti progressivamente sempre più stringenti introdotti sul punto, oltre alle specifiche condizioni legittimanti le autorizzazioni in materia da parte dell'autorità di vigilanza, sottolineando come il principio dell'obbligatoria deduzione dal patrimonio di vigilanza delle azioni riacquistate fosse rimasto immutato nel tempo, trattandosi di principio (nel periodo 2006-2013 previsto dalle citate circolari della Banca d'Italia, come progressivamente aggiornate) essenziale per la tutela dei terzi, posto che, nel momento in cui la banca finanziava l'acquisto di azioni proprie, l'apporto patrimoniale era destinato ad assumere carattere fittizio, inidoneo a incrementare il patrimonio destinato alla copertura di rischi e perdite aziendali. E, in proposito, il primo giudice delineava puntualmente il regime prudenziale previsto successivamente all'1.1.2014, regime nel cui ambito rilevava anche il processo interno di autodeterminazione dell'adeguatezza patrimoniale che gli istituti di credito erano chiamati ad effettuare e di cui avrebbero dovuto comunicare gli esiti alfa Banca d'Italia attraverso una apposita comunicazione (ICAAP) - la responsabilità della quale era rimessa agli organi societari di amministrazione e di controllo - destinata ad illustrare le caratteristiche di tale processo. Era proprio il resoconto ICAAP - proseguiva il tribunale - a consentire all'organo di vigilanza di effettuare una valutazione completa (destinata a concludersi con l'attribuzione di un punteggio ricompreso tra 1 e 5) delle caratteristiche qualitative fondamentali (attraverso un'attività di supervisione denominata SREP/Supervisory Review Evaluation Process, caratterizzata anche da un confronto diretto tra organo di vigilanza ed istituto vigilato). 1.5 La ricostruzione dei fatti. 1.5.1 L'ispezione della BCE del febbraio 2015 ed i riscontri all'analisi BCE. In ordine all'ispezione BCE del febbraio 2015 - avviata dopo che una serie di evidenze (ivi compresa la pubblicazione, a ottobre del 2014, di un articolo sul quotidiano "Il Sole 24 Ore", a firma Cl.Ga., nel quale si era fatto espresso riferimento proprio al tema del finanziamento delle azioni) avevano fatto emergere come la B. avesse riacquistato azioni proprie in difetto della previa autorizzazione alla vigilanza - il Tribunale precisava che detta ispezione, svoltasi dal febbraio al luglio del 2015, aveva effettivamente dimostrato il diffuso ricorso da parte dell'istituto di credito ad operazioni di assistenza finanziaria ai soci per l'acquisto di azioni proprie; azioni che, proprio in quanto acquistate con finanziamenti concessi dall'emittente, non avrebbero dovuto essere conteggiate nel patrimonio di vigilanza (ovverosia nei "fondi propri", secondo la terminologia adottata dall'art. 28, par. 1, lett. B, CRR). Sulla base, in particolare, della puntuale deposizione dell'ispettore Em.Ga. (responsabile del team della vigilanza), il primo giudice ricostruiva dettagliatamente natura, svolgimento ed esiti dell'ispezione in questione. Ebbene, si era trattato di una ispezione sul rischio di mercato, finalizzata, nell'ordine: - a verificare eventuali fenomeni di assistenza finanziaria relativi alle operazioni di aumento di capitale; - a controllare la corretta valutazione del prezzo delle azioni; s ad analizzare, infine, le operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi sottoscritti alla fine del 2012 dalla banca vigilata. L'arco temporale di riferimento assunto dagli ispettori era stato quello tra il 1.1.2014 ed il 28.2.2015. Il c.d. "mini aucap", poi, non era stato incluso nell'accertamento perché, in tale occasione, la banca aveva effettuato operazioni dì taglio piccolo (6250 euro/100 azioni) per le quali aveva espressamente previsto la possibilità di finanziamento da parte dello stesso istituto di credito, con corretta deduzione delle azioni acquistate dal patrimonio di vigilanza. Per il mercato secondario, poi, erano state analizzate tutte le operazioni per un controvalore superiore ai 250.000 euro. Quanto alla metodologia operativa seguita per intercettare le operazioni di capitale finanziato erano stati adottati criteri dì tipo quantitativo e qualitativo. Sotto il primo profilo erano state tracciate le operazioni caratterizzate da "una relazione forte" tra ammontare finanziato e sottoscritto (nel senso che il "finanziato" avrebbe dovuto essere superiore al "sottoscritto", sia con riferimento alle operazioni "full", ovverosia quelle in cui l'intero finanziamento era stato utilizzato per l'acquisto delle azioni; sia a quelle cc.dd. "fifty-fifty", ovverosia nelle quali solo una parte del finanziamento era stato impiegato per l'acquisto dei titoli). In ordine al dato temporale erano stati analizzati, in relazione al mercato primario, solo i finanziamenti concessi nel "periodo sospetto", ricompreso tra la data di inizio del collocamento e il giorno della consegna del titolo al cliente (c.d. delivery date), pari a circa tre mesi. Diversamente, in ordine al mercato secondario, erano state analizzate tutte le operazioni di acquisto in cui i finanziamenti erano stati erogati nei tre mesi antecedenti (posto che dai colloqui avuti con Se.Ro., addetto all'ufficio soci, gli ispettori avevano appreso che la tempistica media seguita dalla banca per evadere un ordine di acquisto di azioni non superava, per t'appunto, ì 90 giorni circa). In ogni caso - precisava il tribunale - gli ispettori avevano verificato che, generalmente, ì finanziamenti erano risultati concessi pochi giorni prima dell'esecuzione dell'ordine di acquisto. Altri elementi considerati ai fini ispettivi erano stati l'analisi dei conti, quasi tutti caratterizzati da bassissima operatività, nonché la valutazione delle P.E.F., (ovverosia le pratiche elettroniche di fido), risultate costantemente connotate dall'indicazione di causali estremamente generiche e ripetitive e, pertanto, ritenute sintomatiche di "operazioni eccentriche". Inoltre, anche la circostanza che le operazioni fossero "operazioni in bianco" (ovverosia prive di garanzia) costituiva una prassi anomala rispetto ai normali standard creditizi di sana e prudente gestione del portafogli creditizio di una banca. Quindi, con specifico riferimento agli esiti dell'ispezione, il tribunale illustrava le seguenti evidenze: a) l'esistenza di capitale finanziato per un importo complessivo di 506 milioni, capitale che, proprio in quanto oggetto di finanziamento, avrebbe dovuto essere detratto dal patrimonio di vigilanza; b) il rilascio di lettere di impegno collegate ad acquisti sul mercato secondario (peraltro non registrate nella contabilità aziendale né rappresentate nei documenti di bilancio) con le quali l'istituto si era vincolato al rimborso del capitale investito dagli azionisti nella banca, A fine ispezione, in relazione a tali lettere di impegno (la scoperta delle quali - precisava il tribunale sulla scorta della deposizione del teste Em.Ga. - aveva rappresentato un vero e proprio punto di svolta nell'ispezione, trattandosi della prova documentale della consapevolezza, da parte del management, del carattere finanziato dell'acquisto delle azioni), l'istituto era stato costretto a dedurre dal CET 1 circa 21 milioni di euro; c) il fenomeno degli storni di interessi alla clientela fonde tenerla indenne dei costi derivanti dal finanziamento correlato all'acquisto delle azioni). In alcuni casi si era trattato di storni non "baciati" da finanziamenti e, pertanto, sintomatici di un comportamento concludente dell'azienda finalizzato a riconoscere al cliente un corrispettivo per il possesso delle azioni, con conseguente accrescimento dei rischi legale e reputazionale a carico dell'azienda medesima. Peraltro la pratica degli "storni" aveva generato un vincolo sul rendimento delle azioni tale da precluderne la computabilità nel patrimonio di vigilanza; d) la sopravvalutazione del valore dell'azione, valore deciso a monte dal CdA senza considerare i dati fondamentali dell'azienda sotto il profilo economico-patrimoniale; profilo, in effetti, caratterizzato da risultati economici modesti; e) lo squilibrio del mercato secondario delle azioni, in quanto connotato da una marcata asimmetria tra ordini di acquisto e ordini di vendita (572,5 milioni contro 1.000.000,000, nel periodo gennaio 2013 - dicembre 2014); asimmetria, peraltro, risultata all'origine proprio del ricorso al capitale finanziato, quale strumento per contrastare l'illiquidità del titolo; f) l'investimento per euro 350,000.000 nei fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" ad esposizione sconosciuta, effettuato in modo non prudente né trasparente. Si trattava, in effetti, di fondi ad esposizione non comunicata, dei quali, sostanzialmente, B. era sottoscrittore unico (sicché, più che di fondi, si era in presenza di una gestione patrimoniale delle risorse dell'istituto di credito). Né i dirigenti della banca avevano fornito delucidazioni agli ispettori sulla natura degli investimenti in detti fondi se non a seguito della comunicazione che la mancata disclosure avrebbe comportato lo scomputo dell'intero importo di 350 milioni di euro dal patrimonio di vigilanza. Solo a quel punto, infatti, erano stati comunicati gli investimenti sottostanti ed era così emerso non solo che detti fondi avevano investito in asset in buona parte legati allo stesso istituto di credito ma, soprattutto, che i fondi medesimi erano stati lo strumento utilizzato per l'acquisto di azioni proprie, nel 2012, per un importo di 60 milioni di euro (in luogo di quello dichiarato di 54 milioni circa), titoli poi dismessi al 31 dicembre del 2014; g) l'esistenza della società di diritto irlandese B.Fi., utilizzata anche per alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato (operazioni relative, segnatamente: a) alla campagna "svuota fondo" 2012, tradottasi nell'acquisto dì azioni proprie, per il valore complessivo di 30 milioni di euro, per il tramite delie società italiane denominate Pe., Gi. e Lu., all'uopo provviste del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate da B.Fi.; b) alla dismissione delle azioni proprie detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" ed "(...)" ed acquistate, per una rilevante percentuale, dalla società So. Ltd. a mezzo di un finanziamento erogatole dalla predetta società di diritto irlandese B.Fi.). In definitiva - precisava il primo giudice - gli esiti cui era pervenuta l'attività ispettiva avevano generato un impatto deflagrante sul patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito, comportandone la riduzione per un valore di 607 milioni di euro (come da tabella riassuntiva riportata a pag. 288 della sentenza impugnata). Ne era seguita la predisposizione di un radicale piano di rafforzamento del capitale, onde consentire alla banca di rientrare immediatamente nei parametri richiesti dalla BCE. Nondimeno, nel prosieguo, la verificata impraticabilità degli interventi necessari a ripristinare la corretta operatività dell'istituto ne aveva imposto la liquidazione coatta amministrativa. Quindi, in ordine alla capacità probatoria da riconoscersi, nei limiti delineati dalla giurisprudenza di legittimità, agli accertamenti ispettivi, il tribunale precisava che tale capacità derivava, segnatamente, dalla competenza del personale dell'organo di vigilanza; dalla imparzialità propria dì tale organo (le cui valutazioni, del resto, avevano determinato un nuovo assetto di governance dell'istituto di credito); dalla coerenza, infine, tra gli esiti dell'ispezione e quanto verificato dai consulenti del P.M.. Peraltro anche il dott. Fe.Pa., consulente della difesa dell'imputato PE., aveva rimarcato il carattere "profondamente innovativo" e metodologicamente "ineccepibile" dei criteri seguiti dal team ispettivo nel corso della vigilanza, sottolineando anche la natura prudenziale dell'accertamento (sottostimato) che ne era derivato in punto di quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre - precisava il tribunale - numerosi erano stati i riscontri all'analisi della BCE. Trattavasi: a) dello squilibrio del mercato secondario, siccome manifestatosi a partire dal 2011 (squilibrio che, in difetto del ricorso al finanziamento delle azioni, avrebbe portato al "blocco della liquidità" già dal secondo trimestre del 2012; b) delle dichiarazioni di numerosi esponenti del management aziendale (segnatamente: i testi Fi.Ro., responsabile dell'Ufficio Soci, e Se.Ro., addetto allo stesso Ufficio Soci, i quali avevano rievocato l'incremento della richiesta di vendita delle azioni a partire dagli anni 2011/2012 e l'abbandono del relativo criterio cronologico a decorrere dallo stesso 2011; il teste Co.Tu., il quale aveva riferito che già dal 2009 erano state effettuate "operazioni svuota fondo" - rivolte cioè ad azzerare il fondo acquisto azioni proprie della banca - a ridosso della fine dell'anno per abbellire il bilancio; il teste Ma.Ba., il quale aveva dichiarato che dalla metà del 2011 aveva iniziato a sentire parlare di "operazioni K", finanziamenti correlati e operazioni c.d. "baciate" nel corso delle riunioni della Divisione Mercati con i capi area; l'ex direttore generale dal 2001 al 2005 e dal 2008 all'ottobre 2011, Di.Gr., il quale aveva confermato le tensioni sul mercato a causa della scarsità di domande di acquisto delle azioni, tensioni da lui fronteggiate rivolgendosi a investitori istituzionali che avevano comprato azioni B. con intesa verbale di riacquisto); c) degli appunti del segretario generale Ma.So. relativi alle operazioni c.d. "baciate", dal medesimo teste definite come operazioni sulle quali, dietro indicazione dei vertici aziendali, occorreva "spingere" per aumentare il capitale; d) degli ulteriori riscontri documentali in ordine all'andamento asimmetrico del mercato secondario (in particolare la e-mail di cui al documento nr. 166 e l'appunto di cui al documento 881 prodotti dal P.M. - cfr. pag. 304 della sentenza impugnata); e) delle attività "svuota fondo", attuate anche attraverso le operazioni c.d. "baciate" (per un importo stimato dai CCTT del P.M., con riferimento all'anno 2012, pari a 287 milioni di euro), delle quali avevano complessivamente riferito svariati testi (segnatamente i testi Fi.Ro., En.Da., Gi.Ca., Ma.Ba., Co.Tu. e Fr.Pi.); f) delle stesse dichiarazioni rese, nel corso del suo esame, dall'imputato Gi.Zi. (il quale aveva riferito che alla fine del 2012, attraverso la sua società Ze. s.r.l. aveva acquistato azioni dell'istituto di credito per "dare una mano alla banca" e consentire lo sblocco di richieste di vendita inevase); g) della ricostruzione del fenomeno del capitale finanziato siccome effettuata dall'Internal audit (e compendiata nel documento nr. 22 prodotto dal P.M.); h) delle dichiarazioni dibattimentali del teste Ro.Ri., gestore private di Contrà Porti (il quale aveva riferito delle modalità di attuazione delle operazioni più consistenti di capitale finanziato - i cc.dd. "big ticket" -caratterizzate da un arco temporale ristretto di 6/12 mesi e dalla corresponsione di un compenso variabile tra lo 0,50% e il 2%); i) delle articolate modalità di occultamento delle operazioni correlate, costituite, segnatamente: dal divieto di comunicazioni scritte (come riferito dai testi Co.Tu., Al.Cu. e Gi.Gi.; il teste Fr.Te., dal canto suo, aveva parlato di un eccesso di riservatezza al riguardo); dall'utilizzo di formule generiche nelle causali degli affidamenti (in particolare "cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare e/o immobiliare") tali da occultare all'esterno - ma, al contempo, da rendere immediatamente riconoscibili all'interno - le operazioni correlate; dal distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni; dalla cura prestata nell'evitare l'assoluta coincidenza di importo tra finanziamento ed azioni acquistate; e, infine, dall'inserimento nel portafoglio titoli dei clienti anche di azioni diverse; j) dell'esistenza delle lettere di impegno (l'Internal audit ne aveva censite in numero di 65); k) degli "storni" di interessi, siccome verificati anche dalle attività di audit (il documento richiamato era quello nr. 18 della produzione del P.M.) e oggetto di deposizione testimoniale (segnatamente, le deposizioni di Da.Es., funzionario addetto al "Risk Management", nonché quelle di Co.Tu., di Gi.Ca. e di Lu.Ve.); l) delle modalità seguite per il collocamento delle azioni quali evidenziate, ancora, dalla relazione di audit (modalità costituite: dall'acquisto con mezzi propri a fronte della promessa di una remunerazione proveniente dal pagamento dei dividendi, associata all'eventuale plusvalenza del prezzo dell'azione con eventuali scostamenti compensati attraverso storni di competenze non giustificati; dall'acquisto con mezzi propri di azioni B. per circa il 50% dell'importo disponibile e sottoscrizione per la parte rimanente di un time deposit a tasso di favore, in linea di massima del 4%, acquisto, questo, proposto a partire dal 2013; da finanziamenti "baciati" con storno competenze/spese e rendimento garantito, con durata, in genere, di 6/12 mesi; da fidi per "operazioni K" concessi a clienti cui era proposto un affidamento per ragioni proprie del cliente e con erogazione condizionata alla sottoscrizione di almeno il 10% dell'operazione per acquisto di azioni proprie; operazione, questa, poi estesa anche alle posizioni con fidi a revoca da revisionare su clienti individuati in tabulati forniti dalla Divisione Mercati; dall'acquisto di azioni proprie proposto in occasione di affidamenti su clientela con rating compreso tra 1 e 5 per il retati (ovverosia per i singoli clienti) e tra 1 e 6 per il corporate (ovverosia per le imprese); m) dei riscontri dibattimentali in ordine alla prassi adottata dai vertici dell'istituto per dare attuazione alle operazioni correlate con l'obiettivo di raggiungere, sia in occasione dei nuovi finanziamenti che nelle procedure di rinnovo, il rapporto del 10% tra il capitale sottoscritto e l'importo erogato. Dalle dichiarazioni dei testi, invero, era emersa la forte pressione praticata sulla rete aziendale per la conclusione delle operazioni "baciate" (deposizioni Al.Ba., Gi.Gi., Co.Tu., Ma.Ni., Di.Ip., Al.Cu.) al punto tale che alcuni collaboratori, come i private banker An.Vi. e Fr.Te., avevano rassegnato le dimissioni (il Te. proprio sul rilievo della contrarietà etica rispetto alle operazioni di capitale finanziato). Il verbale di conciliazione successivo alle dimissioni del Te., peraltro, aveva previsto l'inserimento di una clausola di riservatezza. Anche i bollettini sindacali acquisti nel corso del dibattimento, infine, avevano comprovato, così come le e-mail parimenti acquisite, le pressioni per il raggiungimento degli obiettivi di capitale assegnati (cfr. pagg. 317-318 della sentenza); n) delle dichiarazioni dibattimentali rese da clienti di rilievo (cfr. dep. Lo., Fe., Mo., Ro., To., Ti., Ma., Ca., Ma., Br., Ca., Gi. e Si.Ra.) che avevano concluso le operazioni aventi ad oggetto i "big ticket', là dove costoro avevano concordemente delineato lo schema operativo di riferimento (operazione a termine/apertura conto corrente dedicato/remunerazione variabile tra lo 0,5% e l'1%); o) delle dichiarazioni rese dall'ispettore Gi.Ma. (confermate dalla testimonianza del direttore regionale B. della Lombardia, della Liguria e del Piemonte, Gi.Gi. e dal direttore di B.Fi. Pi.Ra.) con specifico riferimento alle modalità operative seguite per realizzare lo "svuota fondo" del 2012 attraverso la società controllata irlandese B.Fi. per il tramite delle tre società italiane Pe., Lu. e Gi., all'uopo provviste -come detto sopra - del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate, per l'appunto, da B.Fi.; p) dell'operazione di acquisto di un'importante frazione delle azioni B. già detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", effettuata dalla società So. Ltd. per l'importo di 25 milioni di euro, secondo quanto emerso dalle stesse risultanze delle attività di revisione interna nonché dal contenuto delle deposizioni dibattimentali, ivi compresa quella di Iorio Francesco, amministratore delegato e d.g. di B. dal 1.6.2015 al 4,12,2016; questi aveva confermato come, di fatto, i suddetti fondi esteri fossero stati utilizzati sia per acquistare in origine azioni della banca sia per effettuare investimenti in società riconducibili a soggetti già finanziati dall'istituto (investimenti, questi ultimi, che, generando un rischio aggiuntivo, avrebbero imposto che fosse seguito un iter autorizzativo ben diverso, con competenza al rilascio del benestare da parte del CdA - cfr. pagine 325-329 della sentenza); q) delle dimissioni del private banker An.Vi., generate dalle pressioni ricevute per concludere le operazioni "baciate" e dall'atteggiamento dilatorio assunto dal d.g. Sa.So. a seguito delle conseguenti richieste di approfondimento della vicenda provenienti dal responsabile dell'audit Ma.Bo. (cfr. deposizione Vi. e documentazione di riferimento); r) della denunzia del fenomeno degli acquisti correlati effettuata, nel corso dell'assemblea del 26 Aprile 2014, dal socio Ma.Da. e della conseguente inerzia degli organi societari; s) delle anomalie riscontrate in occasione della revisione legale del bilancio della banca da parte della società K. in punto di adeguatezza patrimoniale con particolare riferimento alle operazioni fatte in contestualità, anomalie che avevano indotto la responsabile dell'ufficio legale interno a sollecitare l'esecuzione di un apposito audit ottenendo, tuttavia, un fermo diniego da parte del d.g. So. e di Pi.An., responsabile della Divisione Finanza (il quale ultimo aveva replicato: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa" - cfr. deposizione An.Pa., responsabile dell'ufficio legale interno); t) del contenuto del file audio (ritenuto dal tribunale utilizzabile, trattandosi di documento registrato dagli addetti informatici a ciò deputati e non già di abusiva registrazione effettuata da ignoti, donde il rigetto della relativa eccezione avanzata dal difensore dell'imputato MA.) inerente allo svolgimento dei lavori del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Tale registrazione aveva inequivocabilmente documentato tanto l'esistenza del fenomeno delle operazioni "baciate" quanto l'approntamento di strategie per occultare tale fenomeno alla vigilanza (cfr. pagg. 335-336 della sentenza); u) dell'allestimento della "Task Force gestione soci" che, nelle intenzioni dei vertici della banca, avrebbe dovuto approntare, in extremis, una strategia difensiva in relazione ai diversi profili di irregolarità emersi nel corso degli accertamenti ispettivi e favorire l'assunzione di una posizione comune a fronte delle sempre più pressanti richieste da parte dei clienti, dei reclami relativi al deprezzamento delle azioni e del rischio di fuga dei correntisti. Era stata proprio la questione, emersa sin dalle prime interlocuzioni, del fenomeno del capitale finanziato, peraltro di dimensioni notevolissime (pari a un miliardo di euro, secondo il teste Ma.Li.) che, di fatto, aveva impedito alla Task Force di esplicare qualsivoglia concreta attività (cfr. deposizione del teste Gi.Am.; e-mail di cui ai documenti nn.ri 525, 528 del P.M:); v) della quantificazione del capitale finanziato chef determinata dall'audit interno, su incarico BCE, nella misura di euro 941.335.883 e riferita a nr. 917 posizioni correlate, era poi stata fissata dalla società Er. (all'esito di una accurata ricostruzione del fenomeno, a partire dall'anno 2008, che aveva visto coinvolti il personale della Divisione Mercati ed i singoli capi area, questi ultimi richiesti di confermare/integrare i dati che andavano emergendo) nella misura di euro 1.086.892.062; w) della relazione redatta ex art. 33 l.f. dai commissari giudiziali che avevano individuato le cause del dissesto dell'istituto di credito, segnatamente: nella fissazione di un prezzo delle azioni sovrastimato (anche a causa della predisposizione di piani economico-finanziari mirabolanti, se non addirittura fantasiosi e per l'effetto dell'ausilio di professionisti incuranti dei dati utilizzati per le loro stime e valutazioni); nel massiccio ricorso alle operazioni correlate; nell'effettuazione di operazioni non strettamente riconducibili all'attività di erogazione del credito alla clientela bensì consistenti in investimenti in altre società, partecipazioni, ovvero in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) quali i fondi lussemburghesi (che avevano anche agito da "società veicolo" per operazioni "back to back") e, quindi, in definitiva, in operazioni eccessivamente speculative, rischiose o addirittura illecite; nella continua pratica di sollecitare il mercato azionario stimolando gli acquisti di azioni proprie grazie ai finanziamenti correlati, occultando le perdite e sovrastimando i titoli; e, infine, nella decisione di celare il continuo peggioramento della qualità del credito attraverso la sottostima delle rettifiche e l'occultamento delle perdite a bilancio. 1.5.2 La consulenza tecnica dei P.M. Assoluto rilievo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato agli esiti della consulenza tecnica disposta - nel corso delle indagini - dagli inquirenti. In particolare i consulenti dott.ssa La.Ca. e prof. Ro.Ta., all'esito di una valutazione analitica della documentazione a disposizione riferibile a ciascuno dei 965 clienti che erano stati segnatati per avere operato tramite finanziamento - valutazione, peraltro, fondata sull'adozione di un approccio prudenziale (caratterizzato, per evitare duplicazioni nel caso di finanziamenti indiretti, dall'attribuzione all'organo deliberante il finanziamento del controvalore di uno solo degli acquisti) - avevano evidenziato: con riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati (quesito nr. 1): - che dei 965 clienti segnalati solamente 91 non erano stati finanziati da B., sicché le posizioni finanziate erano pari a nr. 874; - che l'ammontare degli acquisti finanziati era pari a complessivi 1.031,6 milioni di euro (per un totale di azioni B. acquistate tramite finanziamento pari a 15.426.391), di cui euro 963 milioni riferiti ad acquisti di azioni B. ed euro 68 milioni riferiti a sottoscrizioni di prestito obbligazionario convertibile; - che la quota prevalente degli acquisti era riferibile a operazioni finanziate da B. (essendo imputabili alle controllate B.Fi. e Ba.Nu., rispettivamente, acquisti per euro 55,4 milioni e per euro 5,2 milioni); - che, quanto all'aumento di 506 milioni di euro di capitale effettuato nel 2013, la banca aveva finanziato il 28% dell'operazione, per un valore complessivo di euro 143 milioni; - che, quanto all'aumento di capitale nell'anno 2014 per euro 607,8 milioni, l'ammontare finanziato era stato di 136 milioni (pari al 22%); - che nel 64% degli acquisti il rapporto tra finanziamento e acquisto delle azioni era risultato pari o superiore al 90%; - che, quanto all'ammontare del valore dei titoli suddiviso per ciascun organo deliberante in relazione al periodo oggetto di indagine (30.6.2012-31-3.2015), al CdA andava "attribuito" un valore di euro 414.193.319 (pari al 35% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al Comitato Crediti un valore di euro 160-029.069 (pari al 13% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile Divisione Crediti, Ma.Pa., un valore di euro 108.418.754 (pari al 9% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile della Divisione Mercati, Gi.Em., un valore di euro 32.941.194; al Comitato Esecutivo un valore di euro 63.196.606; al Comitato Centrale Fidi, infine, un valore di euro 49.936.575; con riferimento al fenomeno della vendita delle azioni con patto di riacquisto (quesito nr. 2): - che tale fenomeno si era concretizzato nel rilascio di lettere in favore di 14 azionisti, trattandosi dei soggetti nei confronti dei quali la banca si era incontrovertibilmente impegnata al riacquisto delle azioni, il tutto per un valore complessivo di 46,6 milioni di euro (le restanti lettere non erano state prudenzialmente considerate in quanto contenenti un impegno "più debole", ovvero perché mai consegnate agli azionisti); con riferimento alla determinazione del patrimonio di vigilanza e del livello dei coefficienti patrimoniali prudenziali (quesito nr. 3) : - che, doverosamente detratti dall'ammontare del patrimonio di vigilanza (ovvero dall'ammontare dei "fondi propri", secondo la terminologia introdotta dal CRR), quale comunicato dalla Banca all'organo di vigilanza, tanto l'importo complessivo degli acquisti di azioni B. effettuati dai clienti considerati finanziati, quanto l'ammontare degli impegni al riacquisto di azioni ritenuti effettivamente vincolanti e prudenzialmente diminuite anche le attività ponderate per il rischio (RWA) del medesimo ammontare (sul rilievo che le operazioni di finanziamento non sarebbero state ragionevolmente poste in essere se non per il raggiungimento dello scopo in questione), la differenza tra il Total Capital Ratio comunicato e quello rettificato andava da un minimo di 1,16% a un massimo del 3,4% (31.3.2015). Inoltre: il CET 1 ratio rettificato al 31.3.2014 (6,63%) ed al 30.6.2014 (6,24%) si attestava a un livello inferiore alla soglia minima regolamentare del 7%; il Tier 1 Ratio rettificato si attestava ad un livello inferiore rispetto alla soglia target comunicata alla Banca d'Italia, pari all'8%, per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013 (valore minimo 6,32%, valore massimo 7,34%); per il Total Capital Ratio, infine, il dato rettificato al 31.3.2014 (8,51%), al 30.6.2014 (7,94%), al 30.9.2014 (9,57%), al 31,12.2014 (8,47%) e, infine, al 31,3,2015 (8,51%), si posizionava costantemente sotto la soglia minima regolamentare del 10,5%. con riferimento all'effetto distorsivo del fenomeno di assistenza finanziaria all'acquisto di azioni sul funzionamento ed andamento del mercato secondario (quesito nr. 5): - che il fenomeno del ricorso al capitale finanziato - risultato massiccio in coincidenza della fine dell'anno, con conseguenti, repentine diminuzioni del fondo acquisto azioni proprie - aveva comportato una profonda distorsione del mercato. In effetti la dettagliata ricostruzione delle dinamiche di acquisto dei titoli sul mercato secondario aveva reso evidente come il ricorso ai finanziamenti degli acquisti di azioni avesse consentito alla banca di mantenere il funzionamento del mercato secondario solo fino al 2012, A partire dall'anno successivo, infatti, l'istituto non era più stato in grado di garantire la liquidità del titolo; con riferimento alla stima del valore dell'azione (quesito nr. 4): - che il prof. Ma.Bi. (l'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) aveva basato il suo giudizio sui criteri, rispettivamente, reddituale (c.d. Income Approach), di mercato (c.d. Market Approach) e del costo (c.d. Cost Approach). Il CdA dell'istituto, dal canto suo, nel determinare il valore del titolo aveva assegnato rilievo pressoché esclusivo al criterio reddituale (Income Approach). Peraltro, l'assemblea, nel triennio di riferimento, aveva approvato il valore dell'azione allineandosi al valore massimo calcolato dal predetto professionista con riferimento al parametro in questione. Ebbene, l'approccio del prof. Bi. non era condivisibile in quanto non conforme alle raccomandazioni della dottrina e della prassi professionale, avendo comportato una sopravvalutazione del capitale economico di B. nel periodo 31.12.2012 - 31.12.2013. Quanto all'anno successivo, sebbene il professionista avesse preso atto di una riduzione del valore del titolo, si era comunque in presenza di una sovrastima dell'azione, in considerazione degli effettivi risultati economici consuntivi dell'attività dell'istituto e del marcato disallineamento con le quotazioni di borsa delle principali banche italiane. Pertanto, doverosamente considerato il fenomeno del capitale finanziato, era stato necessario procedere ad effettuare una nuova stima del capitale economico della banca e, quindi, del valore delle azioni, sia non rettificando gli RWA sia operando tale rettifica (ricostruzione, quest'ultima, più favorevole agli imputati). Il risultato era stato, in entrambi i casi, quello di una significativa riduzione di valore del titolo, stimato nei seguenti termini: al 31.12.2012 tra euro 21,94 e euro 22,49 (a fronte dì un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 55,77 euro e 56,31 euro); al 31.12.2013 tra euro 26,78 ed euro 27,45 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 54,40 e 55,05 euro); al 31.12.2014 tra euro 23,87 ed euro 24,94 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 41,68 euro e 42,70 euro). In definitiva, secondo il tribunale, i consulenti del P.M., avevano compiuto una ricostruzione dei fenomeni analizzati esaustiva e affidabile in quanto espressione di metodologia ispirata a prudenza; ricostruzione, peraltro, significativamente coerente con il perimetro già tracciato dagli ispettori BCE. In particolare ì consulenti avevano verificato che gli acquisti di azioni e obbligazioni fossero avvenuti attingendo, in tutto o in parte, a risorse fornite dalla banca mediante un nuovo affidamento concesso prima dell'operazione, ovvero mediante l'impiego di eventuali preesistenti erogazioni non ancora utilizzate. Inoltre avevano rispettato la normativa prudenziale in materia. In particolare la riprova dello scrupolo che aveva guidato l'azione dei consulenti era costituita dal fatto che i predetti avessero espunto ben 91 posizioni rispetto al numero di operazioni finanziate originariamente individuati dall'Internai audit. La diversa quantificazione del capitale finanziato compiuta dagli ispettori BCE, poi, era essenzialmente dipesa dal differente arco temporale oggetto di verifica (sul punto il tribunale, a pagina 380 della sentenza, riportava una tabella sinottica). Gli esiti di consulenza, inoltre, erano risultati coerenti con il materiale probatorio acquisito, non solo di tipo testimoniale ma anche documentale (davvero inequivoco, sul punto, ad avviso del primo giudice, era il contenuto della registrazione audio della seduta del Comitato di Direzione del 10 novembre 2014, là dove il d.g. So. aveva affermato espressamente "...abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare..."). Né, del resto, i consulenti delle difese avevano proposto una quantificazione alternativa del fenomeno del capitale finanziato in esame, sostanzialmente essendosi limitati a sostenere come i cc.tt. del P.M. avessero effettuato una stima in eccesso. Per converso emergevano dati inequivoci del fatto che si fosse trattato di una stima prudenziale, attuata per difetto. A riscontro di ciò il Tribunale richiamava la vicenda dell'operazione finanziata conclusa con la El. (operazione avente un valore, ad avviso dei consulenti, di 17 milioni di euro ma ammontante, secondo il teste Pi.Ca., a ben 20 milioni di euro). Infine, neppure le ulteriori censure difensive erano fondate ad avviso del primo giudice. In particolare, nella prospettiva del tribunale, era errata la tesi secondo la quale l'obbligo di detrazione dal capitale di vigilanza avrebbe presupposto l'esistenza di un "nesso teleologico" tra il finanziamento erogato e l'acquisto delle azioni (tesi che i consulenti delle difese ZO. e ZI. ancoravano alla circolare n. 263/2006 della Banca d'Italia). In effetti la ratio della normativa prudenziale - precisava il primo giudice - era quella di tutelare l'effettiva integrità del patrimonio aziendale, sicché non era affatto sostenibile un'interpretazione tale da rimettere alla volontà dei contraenti l'individuazione delie operazioni di finanziamento destinate all'acquisto delle azioni, esponendo a scontate elusioni le regole poste a presidio dell'integrità del patrimonio dì vigilanza. In realtà tutta la normativa di riferimento (a partire dalla circolare di Banca d'Italia n. 155/91 fino al Regolamento UE 575/13 e, ancora, al Regolamento UE 241/14) assegnava rilievo unicamente al dato oggettivo dell'utilizzo del finanziamento per l'acquisto delle azioni. Parimenti oggettivi, del resto, erano i criteri di cui alla circolare n. 263/2006 evocata dalle difese (contenente, sul punto, disposizioni che suggerivano di porre a confronto elementi meramente oggettivi, quali il dato temporale dell'erogazione del finanziamento e quello dell'acquisto delle azioni, nonché i relativi importi, senza assegnare rilievo alcuno alla finalità perseguita dalle parti). Anche l'ulteriore prospettazione difensiva secondo cui la deduzione del valore del finanziamento dal patrimonio di vigilanza non si sarebbe dovuta effettuare con riferimento all'acquisto di azioni sul mercato secondario (in quanto, in tal caso, la banca, avendo finanziato un cliente dotato di merito creditizio, non si sarebbe esposta al rischio di impresa) era destituita di fondamento. Questo non solo per l'assenza di un regime differenziato (tanto nella normativa comunitaria quanto in quella nazionale) con riferimento agli acquisti sul mercato primario, ovvero secondario, ma, soprattutto, per ragioni logiche. Anche in caso di acquisto di azioni proprie sul mercato secondario, infatti, l'omessa decurtazione del valore delle azioni dal patrimonio di vigilanza avrebbe determinato l'effetto distorsivo di annacquamento di tale presidio di garanzia. Senza considerare, poi, che subordinare alla ponderazione del merito creditizio la computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza avrebbe significato, in ultima analisi, rimettere a valutazioni discrezionali l'effettiva entità del patrimonio di vigilanza medesimo. Infine, nella prospettiva del primo giudice, neppure la censura relativa alla mancata specifica considerazione - nel valutare l'esistenza di operazioni correlate - del fattore temporale coglieva nel segno. Questo, solo a considerare il fatto che larghissima parte (circa l'86%) degli acquisti di azioni che, secondo i consulenti del P.M., erano stati finanziati aveva avuto luogo entro novanta giorni dal finanziamento. Conclusivamente, le stime effettuate dai predetti consulenti erano affidabili e semmai peccavano per difetto piuttosto che per eccesso nella quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. 1.6 Il reato di aggiotaggio Il tribunale di Vicenza riteneva provata la commissione di una pluralità di reati di aggiotaggio, posti in essere tra l'anno 2012 e l'anno 2015 e concretizzatisi: - nella sistematica concessione di assistenza finanziaria per l'acquisto e la sottoscrizione di azioni della banca onde determinare l'apparenza di liquidità del titolo; nell'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo delle azioni finanziate; e, infine, nella mancata comunicazione all'esperto incaricato di stimare il sovrapprezzo delle azioni B. dell'esistenza della prassi del capitale finanziato (aggiotaggio manipolativo): - nella diffusione di mendaci informazioni relative all'entità del patrimonio societario, alla solidità patrimoniale della banca, alla crescita della compagine sociale e al buon esito delle operazioni di aumento di capitale (aggiotaggio informativo. In particolare, dopo una accurata ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, il tribunale, quanto all'ipotesi di "aggiotaggio manipolativo", indicava come simulate le sistematiche operazioni di capitale finanziato effettuate, trattandosi di operazioni, per l'appunto, di natura simulata o, comunque, artificiosa. Simulata, più precisamente, doveva ritenersi tale natura con riferimento alle operazioni di finanziamento per importi corrispondenti al valore delle azioni e caratterizzate non già dal rimborso del finanziamento da parte del cliente bensì dall'impegno (orale, ovvero assunto per iscritto) al riacquisto delle azioni stesse da parte della banca, senza costi per il cliente (e talvolta con un rendimento garantito), essendosi in presenza, in tal caso, di un mutamento solo apparente della titolarità delle azioni, in realtà sempre rimaste nella proprietà della banca (con conseguente rischio derivante dalla fluttuazione del valore del titolo non già in capo al cliente, ma all'istituto di credito), donde una radicale estraneità di siffatte operazioni rispetto all'ipotesi ex art. 2358 c.c.. Analogamente simulate erano anche le operazioni di acquisto di azioni proprie effettuate tramite i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", trattandosi - di fatto - di una gestione patrimoniale di risorse interne, attuata al solo fine di svuotare il "fondo acquisto azioni proprie". Artificiosa, con riferimento alle altre operazioni di capitale finanziato, doveva ritenersi la loro natura sia quanto allo scopo (costituito, al solito, dal finanziamento dell'acquisto con risorse della banca) sia quanto alle modalità di gestione del trattamento contabile (in ragione dell'omessa appostazione a riserva del controvalore, dell'omessa decurtazione del patrimonio di vigilanza ed anche dell'occultamento al mercato), il tutto al fine di fare apparire tali acquisti come espressione della dinamica fisiologica di un attivo mercato secondario. Peraltro - precisava il tribunale - era emersa la mancata comunicazione al prof. Bi. (ovverosia all'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie, con l'effetto che detta stima (come, del resto, precisato dallo stesso Bi.) ne era risultata pesantemente condizionata (cfr. pagg. 419-422 della sentenza). Quanto, poi, agli addebiti di "aggiotaggio informativo" costituiti dalla diffusione di notizie false, si trattava - secondo la valutazione del primo giudice, pienamente adesiva, anche sul punto, rispetto all'impostazione d'accusa - di informazioni comunicate con una pluralità di mezzi che, per diffusività e platea dei destinatari di riferimento, erano obiettivamente risultate idonee a raggiungere praticamente tutte le tipologie di operatori. Più nel dettaglio, la falsità era risultata effettivamente attinente: - ai bilanci d'esercizio al 31.12.2012, al 31.12.2013 ed al 31.12.2014, stante la mancata iscrizione di una quota di riserva pari al valore delle azioni proprie; -ai comunicati stampa (taluni dei quali - quelli emessi ex art. 114 TUF - valevoli anche come comunicazioni al pubblico) dell'8.8.2012 diffuso ex art. 114 D.L.vo 58/98 (ove si evidenziavano, in particolare, valori falsati quanto alla solidità patrimoniale del gruppo e al miglioramento della liquidità strutturale, il tutto in un contesto nel quale si rimarcavano l'espansione della rete di vendita, l'incremento della clientela e l'aumento della compagine sociale); del 19.3.2013 (nel quale, comunicandosi i risultati del bilancio di esercizio e consolidato al 31.12.2012, si evidenziavano "Il rafforzamento della posizione di liquidità" e "l'ulteriore incremento della solidità patrimoniale" e si riportava l'entusiastico messaggio del presidente ZO.); del 27.4.2013 (di comunicazione del risultato del bilancio al 31.12.2012, nel quale si sottolineava la stabilità del valore dell'azione a 62,50 euro sulla base di un'approfondita perizia formulata da un autorevole consulente esterno", si riportava l'apprezzamento dell'assemblea per i risultati positivi conseguiti dalla banca e, ancora, si citava il giudizio lusinghiero del presidente ZO.); del 27.8.2013 (significativamente dedicato alla comunicazione del "miglioramento della gestione operativa" e del significativo rafforzamento patrimoniale", per effetto della positiva conclusione dell'operazione di raccolta di ingenti risorse, in ragione di un consistente aumento di capitale e di una altrettanto consistente raccolta di ben 253 milioni di prestito convertibile, comunicandosi che l'istituto poteva vantare un Core Tier al 30 giugno pari al 9%; anche in tal caso la comunicazione riportava il consueto messaggio positivo dei presidente ZO.); deH'8.8.2014, effettuato ai sensi dell'art. 114 D.L.vo 58/98 (con il quale si comunicavano i risultati dell'aumento di capitale 2014, conclusosi con "pieno successo", e si riferiva il giudizio del presidente ZO. in ordine al fatto che l'istituto potesse vantare "coefficienti patrimoniali particolarmente elevati"); del 29,8,2014 (nel quale si illustravano ì risultati della semestrale del 2014, ribadendosi il successo dell'aumento di capitale di tale anno, segnalandosi l'accrescimento della base sociale e della clientela e l'incremento "significativo" dei proventi derivanti dall'attività bancaria tradizionale e, complessivamente, si enfatizzavano gli elementi di crescita); del 26.10.2014 (nel quale si comunicava il positivo superamento del Comprehensive Assessment si evidenziavano, altresì, gli effetti positivi delle iniziative di patrimonializzazione esperite nel 2013 e nel 2014 e, infine, si informavano i destinatari che tali iniziative avevano portato l'istituto di credito a poter vantare una *eccedenza di CET1 pari a circa 30 milioni di euro"); del 10.2.2015 (avente ad oggetto i risultati preliminari del bilancio al 31.12.2014, nel quale si evidenziava la politica particolarmente prudenziale adottata dal CdA su indicazione della BCE, con aumento degli accantonamenti su crediti e rettifica degli avviamenti; si precisava che il risultato negativo era conseguente proprio all'adozione di una politica improntata a misura e all'origine, secondo il presidente ZO., di scelte al contempo *coraggiose e prudenziali"; si ribadiva il successo delle iniziative di rafforzamento patrimoniale; si sottolineava, infine, la crescita dei proventi derivanti dall'attività tradizionale in favore di una clientela ulteriormente aumentata); del 3.3.2015 (avente ad oggetto i risultati definitivi al 31.12.2014, nel quale, pur dandosi atto dei rilievi della BCE in ordine alla possibile riduzione del requisito minimo di CET 1, si rassicuravano gli interlocutori con la precisazione che i requisiti minimi erano stati ripristinati e, anzi, superati "già prima della citata riduzione del requisito di Cet1 Ratio"); - alle comunicazioni ai soci (tutte confezionate sulla base di un apposito format e sottoscritte dal presidente ZO.) in data 30.3.2012, 3.9.2012, 19.3.2013, 10.9.2013, 2.4.2014, 9.9.2014, 4.12.2014 e 19.3.2015, tutte costantemente caratterizzate da informazioni rassicuranti in punto di patrimonializzazione dell'istituto, di sicurezza dell'investimento azionario, di enfatizzazione della stabilità del titolo e nelle quali, inoltre, si minimizzava il profilo dell'allungamento dei tempi di vendita dell'azione. Ebbene, tutte le citate condotte manipolative e informative avevano avuto l'effetto di alterare sensibilmente il prezzo delle azioni B.. Se ciò, in effetti, era di immediata percezione per le condotte manipolative (l'investitore essendo stato evidentemente influenzato dalla vivacità degli scambi del titolo sul mercato secondario e dalle valutazioni conseguentemente alterate del valore del titolo medesimo siccome assegnato dall'esperto prof. Bi., la stima del quale aveva prodotto effetti anche sul mercato primario, sollecitato artificiosamente), altrettanto doveva dirsi per quanto riguardava le condotte di alterazione informativa. Questo, in ragione della marcata influenza della comunicazione di dati falsati inerenti a profili di assoluto rilievo nell'economia della scelta di un soggetto interessato all'investimento azionario, in particolare con riferimento ai dati inerenti alla patrimonializzazione dell'emittente (prospettata come particolarmente solida) e alla liquidità del titolo (presentato come appetibile, tanto sul mercato primario quanto su quello secondario). Di qui la conclusione, alla quale coerentemente perveniva il tribunale, in ordine all'efficacia decettiva delle comunicazioni effettuate, nelle occasioni sopra indicate, dall'istituto dì credito. Del resto gli effetti concreti prodotti da tali comportamenti manipolativi e di falsa informazione erano agevolmente riscontrabili - proseguiva il tribunale -analizzando le vicende societarie dell'epoca: - da un lato, infatti, gli investitori avevano perseverato nel riporre fiducia nell'istituto di credito, continuando a investire, ovvero astenendosi dal disinvestimento; - dall'altro, gli aumenti di capitale confluiti senza assistenza finanziaria erano stati comunque consistenti (nell'aucap 2013, su un totale di 506 milioni, 363 milioni erano confluiti senza finanziamenti; nel mini aucap 2013, su 100 milioni, 44 erano confluiti senza assistenza finanziaria; nell'aucap 2014 il rapporto era stato di 471,8 milioni confluiti senza assistenza su un totale di 607,8 milioni; nel mini aucap 2014, infine, il rapporto era stato di 60 milioni su 102 milioni). Inoltre la movimentazione sul mercato secondario, depurata dalle azioni finanziate, sì era attestata sul significativo valore di 900 milioni di euro. Tutto ciò aveva consentito di mantenere il valore del titolo artificiosamente alto. In effetti, a fronte dei valori stimati dal prof. Bi., erano emersi - all'esito di una rinnovata valutazione, posta in essere con criteri prudenziali - valori decisamente inferiori. In particolare: - nel 2012 l'azione era stata sovrastimata di un valore tra 6,73 euro e 6,19 euro rispetto al valore reale, da ridursi, rispettivamente, di una percentuale tra il 10,8% e il 9%; - al 31.12.2013 la sovrastima era stata ricompresa tra 8,10 e 7,20 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 13% alni,9%; - al 31.12.2014 la sovrastima era stata ricompresa tra 6,32 e 5,30 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 18,9% al 16,9%. Inoltre le condotte di aggiotaggio informativo avevano contribuito a rafforzare l'affidamento sulla stabilità patrimoniale dell'istituto di credito. Infatti i dati rettificati avevano evidenziato, anche nell'ipotesi più favorevole, un CET 1 ratio al 31.3.2014 del 6,63% e, al 30.6.2014, del 6,24% (valori, entrambi, al di sotto della soglia regolamentare del 7%); un Tier 1 Ratio dal 6,32% al 7,345% per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013, inferiore, pertanto, rispetto alla soglia-target comunicata alla Banca d'Italia pari all'8%; un Total Capital Ratio al 31.3.2014 dell'8,51%, al 30,6,2014 del 7,94%, al 30.9.2014 del 9,57%, al 31.12.2014 dell'8,47%, al 31.3.2015 dell'8,51% (ovverosia sempre inferiore rispetto alla soglia regolamentare dei 10,5%), Analogamente, le condotte di aggiotaggio manipolativo avevano contribuito ad accreditare l'immagine della banca come credibile e sostenuta del mercato, secondo quanto puntualmente evidenziato dai consulenti del P.M.. Con riferimento, poi, al profilo del concorso dei reati, il tribunale precisava come l'art. 2637 c.c prevedesse tre diverse modalità di esplicazione della condotta delittuosa, all'origine, rispettivamente, delle ipotesi di aggiotaggio informativo e aggiotaggio manipolativo o operativo. Di qui la natura della disposizione in esame quale disposizione contenente "norme penali miste cumulative", ovverosia inerenti a condotte non equipollenti o alternative, bensì costituenti differenti elementi materiali di altrettanti reati, con la conseguenza, nel caso di realizzazione di tali diverse condotte, della sussistenza di una pluralità di reati. Questo con la doverosa precisazione che, mentre tra aggiotaggio manipolativo e informativo era ravvisabile unicamente il concorso materiale di reati, nel caso di pluralità di condotte omogenee, per concludere nel senso dell'unicità ovvero della pluralità di reati, sarebbe stato necessario verificarne l'appartenenza o meno ad un'unica manovra manipolativa, ovvero informativa. E, a tale fine, il tribunale precisava come il momento consumativo del reato dovesse individuarsi nel tempo e nel luogo in cui si fossero verificate la sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario e la destabilizzazione del sistema bancario. In applicazione di tali criteri il primo giudice concludeva nel senso della ravvisabilità di ben 16 reati, posti in essere nel periodo tra il 2012 ed il 2015 e, segnatamente: -di 4 reati di aggiotaggio finanziario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio finanziario operativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario operativo (2012, 2013, 2014, 2015) traendone, peraltro, la conseguenza che le condotte poste in essere sino al 27.4.2013 (data di approvazione del bilancio 2012) dovessero ritenersi prescritte. Infine, quanto alle posizioni soggettive degli imputati - successivamente oggetto di separata, dettagliata analisi - il tribunale precisava che dovevano ritenersi responsabili dei reati di aggiotaggio: - Zo.Gi., per avere egli sostenuto e condiviso l'operatività del capitale finanziato; per avere sottoscritto personalmente i comunicati ai soci rappresentativi dì uno stato patrimoniale, finanziario ed economico, totalmente contrario a quello effettivo; nonché per avere approvato, in qualità di presidente del CdA, il bilancio privo dell'appostazione delle riserve previste per legge, oltre ai comunicati che contenevano le mendaci informazioni della situazione della banca e degli esiti degli aucap, in tal guisa rafforzando con le proprie dichiarazioni, l'apparenza di solidità dell'istituto di credito; - Gi.Em., Ma.Pa. e Pi.An., in ragione del totale coinvolgimento dei predetti nell'operatività dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie, e ciò nella piena, effettiva consapevolezza (stanti le modalità di occultamento) della finalizzazione di tale operatività ad alterare gli equilibri del mercato, ad annacquare il capitale e, infine, ad ingannare il pubblico. 1.7 I reati di ostacolo alla vigilanza Dopo avere effettuato una ricostruzione degli esiti delle attività di vigilanza della Banca d'Italia poste in essere, nei confronti dell'istituto di credito, nel periodo 2007-2012 - esiti che avevano evidenziato delle criticità, poi parzialmente superate dall'istituto - il tribunale collocava le condotte di ostacolo alla vigilanza ravvisabili nella vicenda sub iudice nel periodo che aveva avuto inizio con le ispezioni poste in essere a decorrere dal 2012. Al riguardo il primo giudice premetteva come la fattispecie di reato in esame consistesse, per un verso, nell'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero nonché nell'occultamento, con mezzi fraudolenti, di fatti che avrebbero dovuto essere comunicati all'autorità di vigilanza (2638 co. 1 c.c.); e, per altro verso, nella frapposizione di ostacoli alla vigilanza, posti in essere in qualsiasi forma, anche omissiva (2638, co. 2 c.c.). Segnatamente, la fattispecie di cui al primo comma della disposizione in esame prevedeva un reato di mera condotta, integrato, in via alternativa, da taluni specifici comportamenti; il secondo comma, invece, delineava un reato a forma libera, di danno (consistente nell'evento naturalistico dell'ostacolo). Ciò posto, nell'ipotesi di condotta di omessa comunicazione con mezzi fraudolenti che avesse creato ostacoli rilevanti all'autorità di vigilanza, il tribunale riteneva sussistente unicamente l'ipotesi di reato ex art. 2638, co. 2, c.c., dovendo farsi applicazione, in tal caso, dei principi di sussidiarietà e consunzione (valorizzati anche dalla Corte EDU e riconosciuti nell'art. 4 protocollo 7 CEDU e nell'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea), posto che emergeva con evidenza come l'evento di ostacolo previsto dalla fattispecie di cui all'art. 2638 co. 2 c.p. esaurisse l'intero disvalore della condotta. Nel pervenire a siffatta conclusione, peraltro, il tribunale si discostava motivatamente dalla ricostruzione effettuata, in fattispecie analoga, dalla giurisprudenza di legittimità, là dove la corte regolatrice (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, n. 42778 del 26/05/2017, Consoli e altro) aveva invece ravvisato, tra le due fattispecie in esame, un rapporto riconducibile al concorso formale. Tanto premesso, il primo giudice precisava come la contestazione sub B1 avesse ad oggetto la vigilanza ispettiva a differenza delle condotte stigmatizzate ai successivi capi C1, D1, E1, F1, G1 ed H1, dal primo giudice indicate come inerenti alla vigilanza informativa. Ebbene, nel caso dell'addebito sub B1 si era in presenza sia di attività di occultamento, con mezzi fraudolenti, delle operazioni di capitale finanziato e delle lettere di impegno al riacquisto, al fine di ostacolare l'autorità di vigilanza (attraverso, segnatamente, l'indicazione di una causale generica, la mancata contabilizzazione delle operazioni finanziate e il materiale occultamento delle lettere), sia dell'omessa comunicazione delle suddette operazioni alla squadra ispettiva. Diversamente - proseguiva il tribunale - gli addebiti di cui ai capi C1, D1, G1, H1 avevano ad oggetto l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in relazione alle segnalazioni ed alle interlocuzioni con le autorità di vigilanza (Banca d'Italia e BCE) intercorse negli anni 2012, 2013, 2014, 2015 e, quanto all'addebito di cui al capo F1, l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in occasione dell'aumento di capitale del 2014. Ciò posto, il tribunale: - esclusa, con riferimento alle condotte predette, la ravvisabilità dell'esimente fondata sul principio del nemo tenetur se detegere in relazione al precedente delitto di aggiotaggio (trattandosi di principio unicamente disciplinato nell'art. 384 c.p., ovverosia in una disposizione contenente una norma eccezionale derogatoria rispetto a quella di cui all'art. 61 nr. 2 c.p. e, in ogni caso, di esimente avente valore eminentemente processuale); s escluso, del pari, che quelli oggetto di contestazione fossero addebiti frutto di u una sorta di "replicazione" di contestazioni in realtà aventi ad oggetto una unitaria condotta di ostacolo alla vigilanza, protrattasi per un triennio (essendosi piuttosto in presenza di condotte che erano state realizzate nel corso di plurime attività di vigilanza, ciascuna compiutamente esauritasi), ricostruiva i singoli fatti di reato nei termini di seguito esposti. 1.7.1 L'ostacolo alla vigilanza durante l'ispezione di Banca d'Italia 2012 (capo B1) Nel corso dell'anno 2012 (segnatamente tra il 28 maggio e il 12 ottobre 2012) era stata effettuata una attività di ispezione avente ad oggetto la governance dell'istituto, gli standard creditizi, i meccanismi di sorveglianza e di controllo delle singole posizioni, la correttezza dei criteri di classificazione all'interno delle regole di vigilanza e l'osservanza delle regole di provisioning (attività, questa, di correzione del valore dei crediti con impatto sul conto economico della banca e sul bilancio), ispezione che si era conclusa con un giudizio parzialmente sfavorevole fondato sulla constatazione di un complessivo degrado del portafoglio accompagnato da inefficienze nei processi allocativi e di gestione dell'erogato. Ebbene, alla stregua delle testimonianze degli ispettori (e, segnatamente, di quanto riferito dal teste Gi.Sc., responsabile della squadra ispettiva), poteva dirsi pacifico che ove agli ispettori fossero state esibite le lettere di impegno al riacquisto e fosse stata comunicata l'esistenza del capitale finanziato - come sarebbe stato doveroso, peraltro, nell'ottica di una leale collaborazione tra vigilato e autorità vigilante - sarebbe effettivamente emersa l'irrealizzabilità del piano industriale approntato dall'istituto per migliorare la gestione del credito. La prassi del ricorso al capitale finanziato (e, nell'ambito di tale prassi, quella del rilascio delle lettere di impegno), infatti, era già consolidata nel 2012, come pure documentalmente provato. Né, d'altro canto, poteva sostenersi che tale fenomeno fosse comunque emerso nel corso dell'ispezione, in quanto le dichiarazioni rese, sul punto, dal teste Cl.Am. della Divisione Crediti - là dove questi aveva sostenuto di avere riferito in proposito all'ispettore Ge.Sa. - erano - state decisamente smentite tanto dal predetto Sa. quanto dai restanti componenti della squadra ispettiva. Peraltro - puntualizzava il tribunale - la versione dell'Am., finalizzata a ridimensionare il coinvolgimento della Divisione Crediti nell'operatività illecita della banca sul capitale finanziato, scontava plurimi profili di incertezza e contraddittorietà (segnatamente in relazione al ricorso alla formula generica "cogliere opportunità mobiliari o immobiliari" quale causale dei finanziamenti, nonché in ordine alle motivazioni per le quali il predetto Am. non avrebbe comunicato al collega Bo., responsabile dell'audit, le rivelazioni asseritamente fatte all'ispettore Sa.), Era certamente vero che anche la deposizione del Sa. si presentava scandita da contestazioni e da incertezze circa la corretta individuazione dei documenti esibiti, nel corso dell'ispezione, con riferimento alle posizioni finanziate. Nondimeno, mentre le dichiarazioni dell'Ambrosino in ordine alla presunta rivelazione agli ispettori delle operazioni finanziate non avevano trovato riscontro alcuno, neppure nelle dichiarazioni del collega De. (il quale aveva riferito che l'Am. gli aveva confidato di avere consegnato agli ispettori medesimi documenti che avrebbero potuto loro consentire di verificare l'esistenza di operazioni "baciate", negando, tuttavia, detto teste che l'Am. gli avesse rivelato di avere esplicitamente palesato tale prassi agli ispettori), le stesse erano anzi state smentite dai testi Lu.Br., Fr.Fe. e Sa. Re., dei quali i primi due erano appartenenti alla squadra ispettiva; quanto riferito dal Sa. era stato del resto confermato dalla narrazione dei fatti proposta tanto dal responsabile delia squadra ispettiva, Gi.Sc., quanto dagli altri componenti del team oltre che dal responsabile del servizio di vigilanza ispettiva, Ca.Ba.. Pertanto il tribunale, valorizzando altresì la puntuale deposizione del teste ispettore Gi.Ma., traeva la conclusione che la prassi del capitale finanziato non fosse stata "intercettata" nel corso dell'ispezione del 2012 poiché si era trattato di fenomeno che aveva essenzialmente interessato clienti affidabili sotto il profilo del rischio creditizio, rispetto ai quali, quindi, non emergeva alcuna anomalia (sicché, tenuto conto del perimetro del mandato ricevuto dagli ispettori, non v'era stata ragione di effettuare, con riferimento a costoro, alcun approfondimento ispettivo). Del resto, sul piano logico, la circostanza che nessun dirigente dell'istituto di credito (né il menzionato Cl.Am., né l'imputato Pa.Ma. e neppure l'imputato Em.Gi.) avesse fatto cenno alcuno, in occasione delle successive verifiche ispettive (compresa quella, decisiva, effettuata dalla BCE nel 2015), al fenomeno in esame, nonché il fatto che tutti i predetti dirigenti avessero pervicacemente negato, interloquendo con l'ispettore Ma., la natura finanziata delle operazioni in questione, costituivano formidabili riscontri dell'infondatezza delle dichiarazioni rese dal predetto teste Am.; infondatezza, del resto - soggiungeva il tribunale - ulteriormente avvalorata dal rinvenimento, negli appunti contenuti nell'agenda sequestrata al teste Al.Ba., dell'inequivoca ed assai significativa annotazione, redatta in prossimità del 23.4.2015: "evitare di fare ammissioni. Giustificare creditiziamente le operazioni". Di qui la conclusione della sussistenza dei presupposti tutti del reato di ostacolo contestato, essendosi in presenza, per un verso, del fraudolento occultamento dell'illecita operatività realizzata nel contesto temporale in cui si era svolta l'ispezione del 2012; e, per altro verso, della sistematica omissione della comunicazione agli ispettori tanto delle operazioni di finanziamento correlato quanto delle lettere di impegno al riacquisto delle azioni. 1.7.2 Le condotte di ostacolo successive all'ispezione del 2012 Quindi il tribunale evidenziava come, con riferimento ai periodo successivo all'ispezione del 2012 (e, segnatamente, all'arco temporale ricompreso tra il 30.6,2012 ed il 31.3.2015), fosse stato effettivamente possibile ricostruire documentalmente il dipanarsi del dialogo tra l'istituto bancario vicentino e l'autorità di vigilanza attraverso l'acquisizione dei flussi informativi inviati da B.. A tale riguardo era costantemente emerso l'occultamento della reale situazione patrimoniale del gruppo, in particolare con riferimento all'incidenza del fenomeno del capitale finanziato sui coefficienti del patrimonio di vigilanza in tale ampio periodo. Sul punto le conclusioni cui erano pervenuti i consulenti del P.M. - peraltro, precisava il primo giudice, all'esito di una valutazione particolarmente prudente (in quanto caratterizzata dallo scomputo dal CET 1 anche dell'ammontare degli RWA) - non consentivano davvero di nutrire perplessità. Si era in presenza, in effetti, di violazioni costanti dei requisiti patrimoniali, peraltro mai comunicate nelle informazioni rese all'autorità di vigilanza (comunicazioni, tutte, puntualmente riportate nella tabella riassuntiva di cui al documento nr. 485 prodotto dal P.M. all'udienza del 21.11.2019). Più nel dettaglio: - con riferimento all'anno 2012 (capo CI) si trattava della comunicazione del 17.9,2012, riferita al 30.6.2012, e di quella del 21.11.2012, riferita al 30.9.2012, nelle quali venivano indicati, rispettivamente, valori delle azioni proprie nella misura di 30 milioni e di 240 milioni. In entrambi i casi, infatti, era stata omessa la comunicazione delle operazioni di capitale finanziato per i significativi valori di 268 milioni a giugno e di 280 milioni a fine settembre. L'effetto distorsivo che ne era derivato era evidente, posto che il Tier Ratio, tenuto conto dei valori non comunicati, si sarebbe abbassato al 30 giugno dall'8,20% ai 7,34% nonché, al 30 settembre, dal 7,38% al 6,48%. Analogamente il TCR (Total Capital Ratio) si sarebbe ridotto dall'I 1,33% al 10,50% e dal 10,46% al 9,59%. La falsa comunicazione, poi, era stata all'origine del target patrimoniale deciso dalla Banca d'Italia, come precisato dal teste Ma.Pa.. In effetti, qualora i dati omessi fossero stati comunicati, ciò avrebbe comportato un immediato innalzamento del livello di monitoraggio e l'adozione di provvedimenti restrittivi concernenti operatività dell'istituto, distribuzione degli utili e fissazione di limiti all'importo totale della parte variabile delle remunerazioni della banca. Di assoluta evidenza, quindi, era l'ostacolo frapposto alla vigilanza; con riferimento al primo semestre dell'anno 2013 (capo DI) si trattava: - della falsa rappresentazione dei dati patrimoniali contenuta nelle segnalazioni relative al 31.12.2012 ed al 31.3.2013 (in effetti, con riferimento alia segnalazione relativa al 31.12.2012, la comunicazione del capitale finanziato per 545 milioni, ove effettuata, avrebbe comportato la flessione del Tier 1 Ratio dall'8,23% al 6,46% e del Total Capital Ratio dall'll,26% al 9,55%; nella comunicazione del 31.3.2013, poi, non erano state segnalate azioni proprie); - della falsità della comunicazione inoltrata il 20.3.2013 e relativa al superamento del limite del 5% degli acquisti (comunicazione con la quale, nel rispondere al rilievo critico della Banca d'Italia risalente al 5.3.2013, l'istituto di credito aveva rassicurato la vigilanza sostenendo che l'incremento del valore del fondo acquisto azioni proprie fosse imputabile a una mera contingenza, legata alla gestione delle attività dì compravendita delle azioni proprie con i soci e sostenendo, in particolare, che vi era stata una vendita di azioni da parte di pochi clienti con successivo ricollocamento dei titoli presso clienti soci). Inoltre l'istituto aveva inserito un ulteriore elemento di rassicurazione, là dove aveva dichiarato che era in corso la valutazione di un rafforzamento patrimoniale il quale avrebbe portato il Core Tier 1 al 9% già entro la fine del 2013; aveva prospettato, infine, il raggiungimento del 10% nel biennio successivo. Ne era seguita la lettera di richiamo del 24.6.2013, lettera nella quale era stato stigmatizzato il superamento, a causa dell'acquisto di azioni proprie, del limite del 5% del capitale sociale. A seguito dell'ispezione del 2015, poi, era emersa la falsità delle circostanze esposte nella missiva a firma Sa.So. del 20.3.2013 e, segnatamente, si era compreso come l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie non fosse stato affatto la conseguenza contingente di un'impennata nelle richieste di acquisto di azioni concentrate nel quarto trimestre, bensì l'effetto dell'illiquidità del titolo azionario; illiquidità che, infatti, proprio a partire dal 2012, aveva indotto l'istituto di credito a fare massiccio ricorso alle operazioni di capitale finanziato onde azzerare il fondo acquisto azioni proprie che impattava negativamente sul capitale di vigilanza; - della falsità, infine, dell'informativa preventiva del 23 aprile 2013 relativa al programmato aumento di capitale (informativa, a firma Sa.So., nella quale erano stati illustrati gli effetti del rafforzamento patrimoniale, segnalandosi che dopo tale operazione il Tier Ratio 1 sarebbe passato dall'8,23% al 9,1% e, quindi, al 9,98%, a seguito della conversione del soft mandatory). Peraltro neppure a seguito delle successive interlocuzioni dì Banca d'Italia, inerenti anche al profilo della liquidabilità del titolo, erano stati effettuati riferimenti, da parte dei rappresentanti di B., al fenomeno del capitale correlato. Infatti sì era sempre sostenuto, da parte dell'istituto di credito, che l'operazione di aumento di capitale si sarebbe presto conclusa con pieno successo. Sul punto - precisava il tribunale - il teste Ma.Pa. aveva chiarito che se la prassi delle operazioni di capitale finanziato fosse stata riferita, come doveroso, la Banca d'Italia sarebbe certamente intervenuta esercitando i poteri di controllo derivanti dalla legge. In particolare l'ente di vigilanza avrebbe imposto sia lo scomputo dell'ammontare del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza sia l'adozione di misure di risanamento. Invece, tacendo queste informazioni, l'istituto di credito aveva lucrato effetti favorevoli immediati: la Banca d'Italia aveva deciso di non avviare un procedimento sanzionatorio e neppure aveva adottato interventi che avrebbero precluso la distribuzione dei dividendi ed imposto il decremento della parte variabile della remunerazione dei dirigenti come previsto dalla normativa della stessa Banca d'Italia. La stessa operazione di aumento di capitale, poi, sarebbe stata valutata diversamente; ° con riferimento al secondo semestre dell'anno 2013 (capo E1) si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza relative al 30.6.2013, al 30.9.2013 e al 31.12.2013 (nelle quali mai era stato ricompreso l'ammontare delle operazioni di capitale finanziato per gli importi calcolati dai consulenti tecnici nella misura di 555 milioni a fine giugno, di 626 milioni a fine settembre e di 700 milioni a fine dicembre del 2013). Conseguentemente, senza l'effetto distorsivo prodotto dall'omessa rappresentazione della corretta quantificazione dei coefficienti patrimoniali, il T1 Ratio sarebbe passato a fine giugno dall'8,1% al 6,32%; al 30.9.2013 dall'8,50% al 6,50%; al 31.12.2013 dal 9,1% al 6,89%. Analogamente il TCR si sarebbe ridotto dall'I 1,06% al 9,32% al 30 giugno; dall'11,41% al 9,48% nel settembre; dall'11,8% al 9,55% al 31 dicembre. In definitiva in tutto il periodo in esame il Tier 1 Ratio sarebbe stato ben inferiore alla soglia-target dell'8%, siccome fissata dall'autorità di vigilanza; con riferimento all'aumento di capitale 2014 (capo F1) si trattava: - dell'informativa preventiva del 5.3.2014 e dell'informativa integrativa dell'11.4.2014. In entrambi i casi era stata omessa l'indicazione che l'operazione di aumento di capitale sarebbe stata portata a termine anche mediante la concessione di forme di assistenza finanziaria ai clienti, con conseguente indicazione di ratios patrimoniali post-aucap del tutto falsati. Quanto al c.d. miniaucap (ovverosia ad un aumento di capitale destinato a nuovi soci), previsto anche nel 2014, si era precisato che le quote di capitale finanziato non sarebbero state computate nel patrimonio di vigilanza. Vi era stato anche, in data 9.4.2014, un incontro tra i vertici dell'istituto di credito e la vigilanza. All'esito delle interlocuzioni la Banca d'Italia aveva autorizzato la classificazione patrimoniale richiesta. Solo a seguito dell'ispezione BCE e CONSOB del 2015, infatti, era emerso come l'operazione di aumento di capitale fosse stata pianificata con erogazione di finanziamenti correlati, per un importo accertato di euro 136.314.287 (pari al 22% dell'operazione). I dati dell'aumento di capitale erano stati, pertanto, gravemente falsati. Di qui la conclusione che il provvedimento autorizzativo della Banca d'Italia fosse stato ottenuto a seguito dello sviamento della funzione di vigilanza. Il teste Ma.Pa., del resto, aveva anche in tal caso precisato come, se la Banca d'Italia avesse avuto contezza dei dati occultati, non avrebbe di certo autorizzato l'operazione nei termini in cui ciò era avvenuto. Per contro, sarebbe palesemente emersa la grave difficoltà della banca di collocare i propri titoli sul mercato; - con riferimento alla vigilanza prudenziale della banca d'Italia nel 2014 (capo G1), si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza alla data del 31.3.2014, del 30.6.2014, del 30.9.2014 (per l'omessa indicazione tra gli elementi negativi delle quote di capitale finanziato, pari a 728 milioni alla data del 31 marzo, a 718 milioni alla data del 30 giugno e a 886 milioni alla data del 30 settembre. Conseguentemente il CET 1 ratio era passato, a fine marzo, dall'8,99% al 6,63%; a fine giugno dall'8,55% al 6,24%; a fine settembre dal 10,8% all'8,01%); - della falsità della comunicazione 1.9.2014 nella parte in cui si era attestato il raggiungimento degli obiettivi di raccolta aucap 2014 per l'importo di 607,8 milioni e, di conseguenza, il livello dei fondi propri e dei ratios patrimoniali. In particolare la comunicazione dell'istituto di credito di avere già riassorbito, attraverso la chiusura dell'aumento di capitale, il temporaneo mancato rispetto del "buffer" - ovverosia della riserva obbligatoria di conservazione del capitale pari al 2,5% - aveva indotto l'autorità di vigilanza a non assumere iniziative in ordine a tale violazione (dovuta ai riacquisti di azioni proprie che, dì fatto, avevano neutralizzato, per il valore corrispondente, l'aumento di capitale, come precisato dal teste En.Se.) perché, per l'appunto, immediatamente "riassorbita"; - nonché della falsità della comunicazione 4.11.2014, relativa alle giustificazioni fornite all'organo di vigilanza in relazione al fenomeno di riacquisto delle azioni proprie (per l'ammontare di 194 milioni nel primo semestre del 2014) nonché in relazione ai 52,4 milioni di euro di azioni detenuti indirettamente attraverso i fondi lussemburghesi "(...)" e, "(...)". In particolare la banca, da un lato, aveva ribadito che sì era trattato di riacquisti imposti dalla necessità di evadere (e domande di investimento dei clienti nella consapevolezza che il disavanzo sarebbe stato coperto dall'aumento di capitale in corso; aumento di capitale che, peraltro, aveva portato ad un incremento proprio del CET Ratio di circa 141 bps (punti base). Dall'altro lato la banca aveva confermato la correttezza dei dati contenuti nelle segnalazioni di vigilanza sulle operazioni svolte attraverso i fondi esteri. Diversamente, ove la Banca d'Italia avesse avuto contezza di quanto occultatole (e cioè, complessivamente, delle operazioni di capitale finanziato e dell'impegno al riacquisto delle azioni), avrebbe preso atto di una situazione patrimoniale radicalmente differente. La falsità della comunicazione, quindi, aveva prodotto l'effetto di impedire interventi dì vigilanza coerenti con l'effettiva situazione patrimoniale dell'istituto di credito. 1.7.3 Le condotte di ostacolo alfa vigilanza BCE (capo H1) Al riguardo il tribunale, premesso che a seguito dell'entrata in vigore, in data 4.11.2014, del Sistema di Vigilanza Unico, talune competenze primarie in materia di vigilanza erano state trasferite alla BCE, con conseguente ricomprensione anche della predetta Banca Centrale tra i soggetti destinatari della tutela ex art. 2638 c.c., individuava, alla stregua dell'imputazione, le condotte di ostacolo rispettivamente: - nella segnalazione di vigilanza al 31.12.2014 (in ragione della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dall'11,73% all'8,04%) e nella segnalazione di vigilanza al 31.3.2015 (in ragione, anche in tal caso, della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dal 10,67% al 7,49%). Tali condotte decettive, in entrambi i casi, avevano impedito alla vigilanza l'adozione di tempestivi provvedimenti; - nonché nella informativa al pubblico al 31.12.2014; 1.7.4 Le condotte di ostacolo relative al Comprehensive Assessment (capo M1) Con riferimento alle condotte di ostacolo poste in essere in danno di Banca d'Italia e BCE impegnate nella vigilanza in fase di valutazione approfondita (Comprehensive Assessment), svoltasi nel periodo tra il febbraio e l'agosto del 2014, il tribunale riteneva provate condotte di ostacolo tradottesi tanto nell'omessa comunicazione di informazioni essenziali (inerenti al fenomeno dell'assistenza finanziaria e al rilascio della lettere di impegno al riacquisto) quanto nell'esposizione di fatti non veritieri sulla situazione patrimoniale del gruppo come descritta nella nota 20,6.2014 e nel capital pian inviato in data 10.11.2014. In particolare nel corso della Asset Quality Review - AQR (ovverosia della Revisione della Qualità degli Attivi di bilancio), dopo che erano stati formulati rilievi molto critici per la banca da parte delle autorità di vigilanza (con l'ispettore Vi.Ca. che aveva esposto forti perplessità in ordine alla patrimonializzazione dell'istituto di credito, evidenziando come il progettato aumento di capitale sarebbe sostanzialmente servito solo a colmare il deficit; e aveva anche avanzato seri dubbi sulla stessa concreta possibilità di portare a compimento l'operazione di aumento di capitale), i vertici dell'istituto avevano rassicurato la vigilanza stessa sotto tutti i profili. Nel corso dell'ispezione, tuttavia, non era emerso in alcun modo il fenomeno del capitale finanziato né era venuta alla luce l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto; elementi che, se conosciuti, avrebbero portato ad esiti del Comprehensive Assessment ben diversi. Anche il Preliminary Capital Plan - predisposto dall'istituto di credito su richiesta della Banca d'Italia in data 9.6.2014, in previsione dell'entrata in vigore del meccanismo unico di vigilanza, e inviato all'autorità di vigilanza il 20.6.2014 - era stato caratterizzato dalla prospettazione di un obiettivo di patrimonializzazione rassicurante (euro 608 milioni per effetto dell'aumento di capitale); prospettazione, tuttavia, radicalmente falsata dalla mancata precisazione che anche tale risultato era dovuto al massiccio ricorso al capitale finanziato. Quindi, con il Capital Pian elaborato il 10.11.2014 (e, pertanto, successivamente agli esiti del Comprehensive Assessment che, pubblicati il 26.10.2014, avevano evidenziato la necessità dell'adozione di misure di implementazione del capitale, posto che gli Stress Test avevano rivelato un deficit da scenario avverso di 223 milioni), l'istituto di credito vicentino aveva adottato delle contromisure (segnatamente: l'utilizzo dell'aumento di capitale già collocato e la conversione del soft mandatory per 223 milioni) che avevano portato la BCE ad adottare una decisione SREP (ovverosia una decisione inerente al processo di revisione e valutazione prudenziale, consistente nell'analisi dei profili di rischio delle banche) con la quale veniva fissato un requisito minimo di CET1 ratio pari ad almeno il 10,25% ed erano stati richiesti l'adozione di un piano di capitale, da realizzarsi entro l'aprile del 2016, nonché il rafforzamento delle strutture organizzative dei processi e delle strategie di controllo interno. Al solito, la mancata comunicazione delle essenziali informazioni in ordine al massiccio ricorso al capitale finanziato, anche in occasione dell'aumento di capitale, aveva avuto lo scopo - effettivamente raggiunto - di procrastinare l'emersione delle situazioni di illiquidità del titolo e di sotto-patrimonializzazione dell'istituto di credito, di fatto seriamente ostacolando le funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della BCE, tenute all'oscuro delia esatta situazione patrimoniale e finanziaria del gruppo. Di qui l'adozione da parte degli organi di vigilanza di provvedimenti (la citata decisione SREP del febbraio 2015) incoerenti con tale situazione e, per contro, la mancata adozione di contromisure impellenti e indifferibili (come precisato dal teste ispettore En.Se.). Solo in occasione dell'ispezione BCE del 2015 - concludeva il tribunale - sarebbe effettivamente emersa la macroscopica divergenza tra i flussi informativi indirizzati alla vigilanza nel triennio 2012-2015 e la reale situazione patrimoniale della banca. 1.7.5 L'ostacolo alla vigilanza nei confronti di CONSOB (capo N1 - posizione G1) Il tribunale riteneva provato anche l'addebito stigmatizzato sub N1), inerente alle condotte di ostacolo alla vigilanza poste in essere, nei confronti di CONSOB, in relazione all'operazione di aumento di capitale 2014. In estrema sintesi, dopo avere dettagliatamente illustrato - in relazione tanto alla disciplina generale quanto al modello concretamente adottato da B. - il quadro normativo delle attività di intermediazione finanziaria (con particolare riguardo agli obblighi incombenti sugli intermediari nella relazione con la clientela sia nella fase precontrattuale, sia in quella di conclusione del contratto, sia nel corso dell'esecuzione del rapporto in un'ottica di tutela dell'investitore al fine di agevolarlo nella comprensione delle caratteristiche, dei rischi e dei costi dei prodotti finanziari offerti in un mercato di libera concorrenza), il primo giudice ricostruiva puntualmente l'episodio in questione. Nel caso di specie B. aveva pianificato una operazione che prevedeva un'offerta a pagamento mediante emissione di azioni ordinarie in opzione ai soci per un importo massimo di euro 700.000.000, nonché un aumento di capitale ordinario a pagamento mediante emissioni di azioni ordinarie finalizzata all'ampliamento della base sociale da offrire ai non soci per un importo massimo di 300.000.000 di euro. Nel corso della seduta del CdA 15.4.2014, poi, era stata definitivamente approvata l'operazione in questione, con l'individuazione dell'ammontare definitivo dell'aumento di capitale (aumento di capitale scindibile fino al controvalore massimo di 608.000,000 dì euro), la definizione del rapporto di opzione (una nuova azione ogni nove possedute con definizione del rapporto di attribuzione del premio fedeltà nella misura di un'azione ogni quattro) e la decisione che le azioni eventualmente inoptate sarebbero state offerte al pubblico indistinto e assegnate a coloro che ne avessero fatto richiesta durante il perìodo di offerta. Le azioni erano state emesse al prezzo di 62,5 euro, determinato sulla base della relazione di stima dell'esperto indipendente. Solo con riferimento al mini aucap, poi, era stato previsto che potessero essere concessi ai nuovi soci finanziamenti correlati alla sottoscrizione dell'aumento di capitale. In relazione a tale operazione l'istituto di credito aveva rappresentato, nelle relative comunicazioni inviate alla CONSOB, siccome specificamente richiamate in imputazione (trattasi della comunicazione formale 23.5.2014 in risposta alla richiesta di dati e notizie del 16.5.2014; della nota 4.7.2014; dell'ulteriore nota 15.10.2014), l'adozione di un modello operativo fondato su un atteggiamento neutro in ordine alla collocazione dei propri titoli nei confronti dei titolari dei diritti di opzione, attestando di avere predisposto modelli procedurali tesi a garantire la genuinità dell'iniziativa del cliente e sottolineando altresì che, come deciso, eventuali operazioni dì finanziamento sarebbero state previste solo con riferimento all'operazione di mini aucap. Tali modelli prevedevano, per i soci titolari del diritto di opzione: - da un lato l'esclusione dell'applicabilità della valutazione di adeguatezza, onde non interferire con l'esercizio del predetto diritto di opzione; - dall'altro lato l'astensione dalla prestazione di raccomandazioni all'investimento e di consulenza per i medesimi titolari del diritto di opzione e della connessa prelazione, i quali, infatti, onde contenere le occasioni di contatto diretto tra costoro e gli addetti di rete, avrebbero potuto aderire autonomamente all'aumento di capitale inviando richieste via internet, inserendo il proprio codice fiscale in una apposita pagina web, ovvero a mezzo raccomandata. In altri termini l'istituto di credito aveva rappresentato, nella comunicazione formale 23.5.2014, che avrebbe compensato il "sacrificio" della valutazione di adeguatezza (sacrificio resosi necessario per evitare che tale "filtro", posto a presidio dell'investitore, potesse pregiudicare il libero esercizio del diritto di opzione - e della connessa prelazione - nel caso di soggetto che, già socio e interessato ad avvalersi dell'opzione, non avesse superato detto vaglio) con l'assicurazione che i titolari di opzione sarebbero stati messi al riparo da influenze di sorta da parte della rete dell'istituto di credito, onde scongiurare qualsivoglia rischio che le determinazioni dei clienti potessero essere influenzate da consigli dì investimento fomiti dalla rete della banca in una situazione di conflitto di interesse. La CONSOB aveva approvato il prospetto relativo all'aucap 2014 in data 8.5.2014 e il successivo 9.5.2014 la banca aveva comunicato agli azionisti i dettagli delle operazioni informandoli della facoltà di esercitare i! diritto di opzione. In linea con l'originaria comunicazione alla CONSOB, por, si collocavano le successive comunicazioni dell'istituto all'ente di vigilanza rese nelle date del 4.7.2014 e del 15.10.2014. Ebbene, precisava il primo giudice, contrariamente a quanto comunicato a COIMSOB ed alla stregua di inequivoche prove tanto testimoniali (oltre alla deposizione del dirigente CONSOB, Francesco Adria, il tribunale valorizzava quelle dei dirigenti B. Al.Mo. e Gi.Am.) quanto documentali (tra le quali plurime, assai significative, comunicazioni via e-mail intercorse tra dirigenti B.), era emersa la natura meramente formale dei presidi organizzativi adottati dall'istituto di credito, peraltro sistematicamente aggirati nella pratica commerciale in attuazione di un'attività di pianificazione che si era caratterizzata per una fortissima pressione commerciale sulla rete (come precisato da numerosi dirigenti B. e, segnatamente, dai testi Gi.Ca., Ma.Ni., Lu.Ve., Ro.Pr. e Fu.Bo.), posto che: a) ben lungi dall'essere riconducibili alla spontanea iniziativa dei clienti, gli acquisti erano stati sollecitati dalla rete commerciale dell'istituto, appositamente istruita e sistematicamente resa oggetto di forti pressioni per la collocazione dei titoli; b) circa il 60% delle richieste di acquisto di azioni inviate via internet (modalità che, come detto, secondo il modello predisposto, unitamente all'invio della richiesta in modalità cartacea attraverso la spedizione di lettera raccomandata, avrebbe dovuto essere seguita dalla clientela interessata alla sottoscrizione di azioni onde evitare contatti inappropriati con la rete dell'istituto) erano risultate inviate da indirizzi IP di computer in uso a dipendenti della banca. Inoltre era emersa la prassi della presentazione brevi manu delle missive, in luogo dell'invio per raccomandata; c) contrariamente a quanto esposto all'autorità di vigilanza, in larghissima parte le adesioni all'offerta da parte degli opzionisti (26.000 su 29.000) si erano concretizzate al di fuori del sistema nella preventiva raccolta delle manifestazioni di interesse; d) mediante le modalità predisposte dalla banca, infatti, avevano aderito solo 2778 del 29.360 titolari del diritto di opzione, inviando 1695 lettere e 1083 manifestazioni di interesse via web; e) erano state create vere e proprie liste di clienti da contattare per supportare° la rete di vendita, nell'ambito di un'accurata pianificazione commerciale volta a favorire al massimo la collocazione delle azioni (ben 7434 soci che avevano aderito all'iniziativa, infatti, erano risultati inseriti nelle liste predisposte dalla banca); f) il 32% degli aderenti all'aucap censiti nel database delle manifestazioni di interesse aveva richiesto al momento dell'adesione un quantitativo di azioni esattamente corrispondente a quanto registrato nell'applicativo predisposto dalla banca nella fase di preadesione; g) era emersa la prassi di aggirare il test di adeguatezza (previsto per le adesioni del pubblico indistinto sino al 9.7.2014) facendo acquistare sul mercato secondario al cliente 100 azioni prima dell'aucap, in modo che il medesimo cliente potesse rientrare tra i soci e, quindi, potesse partecipare all'aumento di capitale senza effettuare le valutazioni di adeguatezza. Più nel dettaglio, i casi di consulenza surrettizia accertati - come precisato dall'ispettore An.Me. - erano risultati corrispondenti ad operazioni di acquisto per un valore pari a 143,17 milioni di euro su 497,98 milioni di euro complessivi. Secondo gli esiti della replica del test di adeguatezza standard effettuato in sede ispettiva (test che, infatti, sarebbe stato doveroso effettuare in caso di consulenza) era poi emerso che in almeno il 72% dei casi per un controvalore di 83 milioni di euro si sarebbe trattato di operazioni non adeguate, in quanto tali destinate ad essere bloccate dalla procedura. Inoltre si era acquisita contezza di agevolazioni (segnatamente, time deposit a tassi vantaggiosi) e anche di massicci finanziamenti concessi per l'acquisto di azioni proprie, non solo per garantire l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie ma anche per conseguire gli obiettivi di aumento di capitale, peraltro nell'ambito di iniziative commerciali che erano state taciute alla CONSOB e che avevano portato alla conclusione di operazioni di vendita di titoli in assenza delle doverose informazioni circa la natura e le caratteristiche delle operazioni medesime. Pertanto l'incremento di rischio per la clientela era stato del tutto privo di presidi nei sistemi di verifica di adeguatezza degli investimenti. In definitiva - concludeva il primo giudice - B. aveva fornito alla CONSOB, con riferimento alla predetta operazione di aumento di capitale, un quadro informativo falso e gravemente fuorviante, tanto in ordine al modello di servizio adottato per rapportarsi alla clientela quanto in punto di erogazione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie. La rilevanza decettiva di tali condotte era stata indubbia: ove la CONSOB fosse stata informata della pianificazione commerciale all'origine del collocamento delle azioni, infatti, avrebbe sicuramente esercitato in modo più pervasivo i propri poteri, sia di controllo che istruttori ex art. 94 TUF, e avrebbe imposto un più rigoroso modello di operatività fondato sulla consulenza e sull'obbligo di somministrazione di test di adeguatezza bloccante. Né, ad avviso del giudice di prime cure, poteva aderirsi alla tesi difensiva proposta dall'imputato Em.Gi.. Costui - risultato il dirigente che aveva maggiormente supportato e coadiuvato il direttore generale Sa.So. nell'iniziativa commerciale tesa a garantire il buon esito dell'aumento di capitale - aveva sostenuto, infatti, di avere agito nella convinzione dell'esistenza di una pregressa pianificazione commerciale concordata dall'istituto di credito con l'autorità di vigilanza. Tale tesi difensiva, tuttavia, era stata nettamente smentita dalle emergenze istruttorie. Da un lato, infatti, la banca aveva sempre attestato alla vigilanza che le operazioni di sottoscrizione erano avvenute ad iniziativa dei clienti; dall'altro lato era emersa un'operatività volta alla pianificazione commerciale dell'operazione non verbalizzata e, quindi, evidentemente elaborata e attuata nella piena consapevolezza di agire al di fuori del perimetro di regolarità tracciato dalla normativa Mifid. Né - proseguiva il tribunale - poteva accedersi alla tesi difensiva dell'imputato GI. secondo cui questi non era responsabile del reato in esame essendosi limitato a dare attuazione alle direttive impartitegli; in contrario deponevano la sua veste di dirigente apicale (responsabile della Divisione Mercati e vice direttore generale) nonché la prova - da considerarsi raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio - dell'incondizionato allineamento del GI. all'illecita politica gestoria ideata dal direttore generale So., cui il GI. medesimo aveva contribuito materialmente offrendo un fondamentale apporto partecipativo. Peraltro - concludeva, sul punto, il primo giudice - lo stesso presidente Zo.Gi. aveva preso parte tanto alla riunione del 3 aprile 2014, nel corso della quale il d.g. So. aveva illustrato alla rete le modalità operative pianificate per l'aucap e la campagna di contatto della clientela (al riguardo il riferimento era alla e-mail di cui al doc. 241 del P.M. in cui si esplicitava chiaramente la "campagna di contatto" all'uopo programmata), quanto alla precedente seduta del CdA del 4 marzo, in occasione della quale aveva fatto esplicito riferimento alla necessità dì "fare formazione sulla rete", chiarendo che "non devono parlare", ovverosia all'esigenza di stimolare i clienti ad aderire all'aumento di capitale e alla congiunta necessità di occultare tale prassi operativa. Donde la trasmissione degli atti al P.M. con riferimento alla posizione di tale imputato. 1.8. I reati di falso in prospetto In proposito va premesso che oggetto dei capì di imputazione sub I) ed L) sono i prospetti informativi redatti dall'istituto dì credito e depositati presso la CONSOB relativi agli aumenti di capitale realizzati negli anni 2013 e 2014 ed inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni La condotta di falso, secondo le suddette imputazioni, sarebbe consistita nell'occultamento di informazioni rilevanti in merito all'esistenza, all'entità e agli effetti del fenomeno degli investimenti correlati all'acquisto di azioni B., nonché nella comunicazione dì informazioni fuorvianti in ordine all'andamento del mercato secondario delle stesse azioni. Sul punto il tribunale, dopo avere richiamato il quadro normativo di riferimento (artt. 94, 94 bis, 173 bis D.Lvo 58/98 - TUF), evidenziava gli elementi costituivi della fattispecie delittuosa in esame precisando trattarsi di "reato comune", finalizzato ad approntare tutela al risparmio nella sua accezione "dinamica" e caratterizzato da una condotta reticente o fuorviante idonea a trarre in inganno l'investitore (senza peraltro la necessità della causazione di danno, come invece previsto dalla previgente fattispecie ex art. 2623 c.c.). In siffatta prospettiva la falsità non avrebbe dovuto necessariamente avere a oggetto dati materiali necessari ma anche notizie e valutazioni fondanti l'offerta (con l'ovvia precisazione che, in tal caso, più che di falsità delle predette valutazioni si sarebbe trattato di un difetto di genuinità e di imparzialità delle stesse). Anche l'occultamento di informazioni, poi, avrebbe potuto integrare la condotta materiale della fattispecie in questione, qualora inerente a dati o informazioni parimenti rilevanti. In ogni caso, essendosi in presenza dì reato di pericolo concreto, requisito essenziale della condotta decettiva era l'idoneità a trarre in inganno il destinatario; quest'ultimo, nella concretezza del caso sub iudice, non si sarebbe dovuto identificare nell'investitore professionale e neppure - ed a fortiori - in quello istituzionale, bensì nel piccolo/medio risparmiatore, ovverosia in quel soggetto che, generalmente, si limita alla lettura della sola "nota di sintesi", decisamente più breve e predisposta proprio al fine di renderlo edotto del contenuto "concreto" della proposta di investimento. Sotto il profilo soggettivo, poi, la norma era caratterizzata dalla combinazione del dolo specifico e di quello intenzionale: alla volontà e rappresentazione del fatto tipico commesso con l'intenzione di ingannare i destinatari del prodotto finanziario, infatti, si accompagnava lo scopo di conseguire un ingiusto profitto, per sé ovvero per altri. Tanto premesso - proseguiva il tribunale - negli anni 2013 e 2014 la banca vicentina aveva realizzato due aumenti di capitale, il primo deliberato il 16.4.2013 ed il secondo, caratterizzato da due offerte, il 15.4.2014. In entrambi i casi i prospetti comunicati dalla banca erano risultati caratterizzati dall'occultamento dell'esistenza, dell'entità e degli effetti del fenomeno della concessione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. e, quindi, dall'occultamento di informazioni essenziali perché l'investitore potesse determinarsi correttamente. Questo benché la prassi della concessione di siffatta tipologia di finanziamenti risalisse al 2009 (quando l'istituto aveva iniziato a proporre a clienti "amici" acquisto dì azioni proprie in grandi quantità - i c.d. "big ticket" - nell'ambito di operazioni "baciate", ovvero caratterizzate dalla tendenziale corrispondenza tra importo del finanziamento concesso e controvalore delle azioni acquistate, al fine di procedere allo svuotamento periodico del fondo acquisto azioni proprie) e benché detto fenomeno, che aveva interessato tanto il mercato primario quanto quello secondario, avesse raggiunto dimensioni consistenti già a partire dal 2012 (nel quarto trimestre de) 2012, infatti, il numero dì azioni finanziate era risultato corrispondere ad un controvalore di euro 545.520.996). Ora, con riferimento al mercato primario, nell'ambito degli aumenti di capitale finalizzati all'ampliamento della base sociale (mini aucap 2013 e 2014), l'istituto di credito aveva previsto espressamente l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie. Analoga informativa, invece, non era stata inserita nei prospetti relativi agli aumenti di capitale destinati ai titolari del diritto di opzione, ovvero al pubblico indistinto, sebbene, poi, in concreto, gli accertamenti ispettivi BCE e CONSOB avessero dimostrato come gli aumenti di capitale 2013 e 2014 fossero stati in larga parte realizzati proprio ricorrendo al massiccio finanziamento degli investitori che sottoscrivevano azioni di nuova emissione (nel 2013, su un controvalore totale di euro 506 milioni, le operazioni finanziate erano ammontate a 136.034,044,00 euro; nel 2014, poi, i finanziamenti concessi dall'istituto avevano riguardato azioni per un controvalore di 146,451.259 euro). Solo a seguito dell'ispezione BCE del 2015, infatti, l'istituto aveva ammesso l'esistenza delle operazioni di finanziamento correlato, per un valore complessivo determinato, in sede di internai audit, di 1.086 milioni di euro alla data del 31.10.2015, informazione che, come inevitabile, aveva provocato effetti dirompenti. Di qui la conclusione cui perveniva il primo giudice circa la penale responsabilità derivante dalla radicale assenza, nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento di capitale, dell'esistenza e dell'entità del fenomeno delle operazioni finanziate, trattandosi di informazioni che, ove conosciute, avrebbero evidentemente indotto un investitore ragionevole ad una ben maggiore ponderazione nella decisione di sottoscrivere gli aumenti di capitale. L'occultamento di tali informazioni, poi, aveva ovviamente alterato anche i dati di bilancio e, di conseguenza, le informazioni ad essi inerenti che erano state riportate nei prospetti relativi agli aumenti di capitale in questione. L'effetto che ne era derivato era stato, anche in tal caso, quello di distorcere gravemente la conoscenza degli investitori circa la rappresentazione dei livelli patrimoniali della società. Per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2012, infatti, il Tier 1 Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia dell'8% quale prescritta dalla Banca d'Italia nella lettera di intervento del 2.3.2012. Anche nel 2013, poi, si era registrata analoga violazione di detto requisito target. Così come durante il successivo esercizio 2014, quando il CET Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia regolamentare del 7% e il Total Capital Ratio aveva parimenti raggiunto un livello inferiore a quello minimo regolamentare del 10,5%. I dati di bilancio richiamati nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento del capitale, quindi, avevano indotto i risparmiatori a confidare in un livello di solidità patrimoniale dell'istituto di credito in realtà ben inferiore a quello prescritto. Donde l'idoneità decettiva delle informazioni fornite sul punto. Infine, anche le informazioni inerenti ai volumi delle azioni scambiate nell'ambito del mercato secondario erano risultate del tutto inattendibili per effetto della mancata comunicazione del fenomeno delle operazioni finanziate (fenomeno al quale la banca aveva fatto ricorso massicciamente, a partire dal 2012, proprio allo scopo di assicurare la negoziabilità del titolo, provocando, tuttavia, in tal guisa, una grave alterazione della dinamica del mercato secondario) e avevano ingenerato nei terzi la convinzione di una solo apparente liquidità delle azioni. In questo contesto era stata occultata al mercato - sostenendosi, nei prospetti, che le richieste di cessioni delle azioni sarebbero state sottoposte appena possibile al CdA - la persistente situazione di grave ritardo nell'evasione delle richieste di vendita di azioni provenienti dai soci (nel corso del 2013, in effetti, il time to sell era passato dai 28 giorni del mese di gennaio ai 311 giorni della fine dell'anno); richieste, peraltro, neppure sempre evase in ordine cronologico. In definitiva la mancata comunicazione di tali informazioni aveva ingenerato l'apparenza di un'appetibilità del titolo in realtà inesistente. Donde, anche sotto tale profilo, la sussistenza della condotta di reato di falso in prospetto. Quanto, poi, alle singole posizioni soggettive, il tribunale evidenziava come Zo.Gi., presidente del CdA dal 1996 al 2015, fosse certamente responsabile delle operazioni di aumento di capitale del 2013 e anche della redazione dei relativi prospetti, per avere egli, su incarico del CdA, conferito al d.g. So. e al vice d.g. PI. i poteri all'uopo necessari, nonché per avere egli sottoscritto il documento di registrazione e la dichiarazione di responsabilità. Analogamente, con riferimento all'aumento di capitale 2014, i poteri conferiti allo ZO. dal CdA in ordine all'operazione di aumento di capitale rendevano evidente la responsabilità del predetto nella falsificazione dei prospetti illustrativi di detta operazione Considerazioni del medesimo tenore, poi, venivano dal tribunale svolte con riferimento alla posizione del PI., trattandosi di un vice direttore B. nonché del responsabile della Divisione Finanza, ovverosia di una divisione alla quale, secondo l'organigramma dell'istituto di credito, competeva proprio l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi. Infine anche gli imputati GI. e MA. venivano giudicati responsabili del reato in questione, avendo i predetti, sebbene non coinvolti - secondo il primo giudice - nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, partecipato attivamente ad assicurare, conoscendone perfettamente le esigenze sottostanti, l'operatività del meccanismo dei finanziamenti correlati all'acquisto delle azioni B. mediante massiccio ricorso al capitale finanziato; meccanismo del quale avevano contribuito a occultare l'esistenza e l'entità. 1.9. Le singole posizioni processuali. 1.9.1 Zo.Gi. Il tribunale, dopo avere richiamato la normativa di dettaglio emanata da Banca d'Italia per disciplinare gli assetti del governo societario dell'impresa bancaria (assetti che attribuivano al presidente del CdA il ruolo di garanzia in ordine al corretto funzionamento dell'organo, precisando come costui non dovesse essere un componente esecutivo e non dovesse svolgere, neppure di fatto, funzioni gestionali) e dopo avere ricostruito la composizione, all'epoca dei fatti, del CdA di B., precisava che Zo.Gi. era stato presidente dell'istituto di credito dal 1996 al novembre del 2015 nonché presidente del comitato esecutivo. Tutti gli elementi disponibili, poi, convergevano nel delineare il ruolo dominante e pervasivo svolto dall'imputato nell'organizzazione dell'attività della banca, tanto che l'attenzione degli organi di vigilanza, sin dal 2007, aveva evidenziato tale criticità, stigmatizzando l'autoreferenzialità dei meccanismi di governance instaurati dall'imputato. Peraltro era stata proprio la strategia di crescita (aumento degli sportelli; continua espansione dimensionale) imposta alla banca dal Presidente a porsi all'origine delle problematiche degli aspetti patrimoniali del gruppo che, infatti, proprio per fare fronte alla progressiva crescita dei costi di gestione, era stato costretto a ricorrere sistematicamente ad aumenti di capitale. Inoltre i meccanismi di governo societario - e, in particolare, il ruolo predominante rivestito, nel consiglio di amministrazione, dall'imputato nonché la visione maturata e attuata dallo stesso dì un successo imprenditoriale commisurato alla continua espansione dimensionale dell'istituto - erano stati sistematicamente censurati dall'autorità di vigilanza (in particolare: in occasione del rapporto ispettivo del 2008; dell'ispezione di follow up del 2009; dell'ispezione sul credito del 2012; della vigilanza in relazione all'aumento di capitale del 2013). Del resto la struttura verticistica del governo aziendale era emersa da tutte le risultanze probatorie disponibili. In effetti - precisava il primo giudice - l'imputato esercitava una forma pervasiva di controllo sulle dinamiche del consiglio, nel cui seno le decisioni assunte non erano mai state oggetto di discussione o dibattito, il tutto mentre il controllo assicurato dal collegio sindacale era risultato meramente formale, come verificato da Banca d'Italia nell'ispezione 2008. Di fatto era lo ZO., con riferimento tanto al consiglio di amministrazione, quanto al collegio sindacale, a selezionare i candidati (dep. Zi., Gr., Lo.), scegliendoli, per cooptazione, tra esponenti dell'imprenditoria locale (individuando, peraltro, soggetti inesperti dei complessi meccanismi dell'impresa bancaria) e ad affiancare loro professionisti già legati alla persona dello stesso presidente da pregresse esperienze professionali. In particolare il tribunale, sulla base di puntuali deposizioni al riguardo (trattasi, segnatamente, della deposizione resa dal teste Da.Lo.), ricostruiva una situazione caratterizzata dall'assenza di obiezioni di sorta alle proposte presidenziali, da un clima dì effettiva intimidazione - se non di vero e proprio terrore - che rendeva difficile manifestare qualsiasi dissenso, nonché da modalità di votazione, in assemblea, che rendevano identificabili le singole manifestazioni di voto. In effetti il CdA si era costantemente limitato ad approvare le proposte del presidente e tutte le decisioni erano state sempre unanimi, sicché lo stesso ruolo del consiglio era stato, di fatto, svuotato di ogni profilo sostanziale. Emblematica di ciò - ad avviso del tribunale - era stata la vicenda dell'acquisizione di un immobile da adibire a sportello bancario nella località turistica di Cortina, operazione fortemente voluta dallo ZO. (in particolare per il ritorno di immagine che, a suo giudizio, ne sarebbe derivato) e che era stata conseguentemente accettata dal d.g. So. contro ogni logica dì convenienza economica, tanto che aveva portato all'esito fallimentare di una perdita di oltre venti milioni di euro (come peraltro comprovato dal contenuto della conversazione telefonica intercettata riportata a pag. 589 della sentenza impugnata e come confermato dalla relazione ex art. 33 l.f.). Altrettanto significativa del ruolo predominante dell'imputato in seno al CdA, poi, era la vicenda - la cui ricostruzione esatta era stata resa possibile dalla documentazione costituita dal relativo file audio - inerente alla determinazione del prezzo dell'azione in deroga alle stesse regole procedurali dell'istituto deliberata in occasione della seduta 1.4.2014. Connotato da analoga "impronta padronale", inoltre, era anche il rapporto tra l'imputato, da un lato, ed il management e le strutture aziendali, dall'altro. Infatti, ripetutamente, gli incarichi di vertice erano stati assegnati a soggetti indicati dal presidente (era il caso dei d.g. Gr. e So., di Ro., di Fa., consulente nel settore degli affari internazionali; di Ra., al quale era stato affidato l'incarico di presidente della società Mo. che gestiva il patrimonio immobiliare della banca), con il CdA che si era limitato a ratificarne le decisioni. Era lo ZO. a decidere su tutto: retribuzioni, posizioni, crediti, affidamenti, parco automobili (si veda la deposizione di Um.Se., direttore della controllata siciliana Ba.Nu. dal 2012), L'imputato si era occupato anche delle campagne pubblicitarie (cfr. la deposizione del teste Ma.Pa.) e addirittura della concessione, agli amici, di tassi di interesse fuori mercato ed in perdita per la banca (come nel caso dell'imprenditore amico Re.Ca., secondo la deposizione del teste Gi.Am.). Più nel dettaglio, il coinvolgimento dello ZO. nell'attività gestionale era stato confermato da numerose, convergenti deposizioni. Era il caso, in particolare, delle testimonianze di Al.Sa., Iv.Me. e Gi.Am., quest'ultima relativa anche alla riunione tenutasi l'il.11.2014 a seguito della pubblicazione dell'articolo del Sole 24 Ore che aveva messo in discussione il valore del titolo. In detta riunione ZO. aveva esplicitamente affermato, tra l'altro, che ì soci che avessero voluto vendere i titoli avrebbero potuto essere sostenuti con finanziamenti e la trascrizione della già menzionata seduta del Comitato di Direzione 10.11.2014 (doc. P.M. nr. 110) riscontra tali indicazioni del presidente. Le e-mail acquisite al fascicolo del dibattimento (docc. P.M. nr. 298, 299, 322, 320, 521), al pari degli appunti di Ma.So. contenuti nel "maxi quaderno giallo", poi, confermavano il ruolo operativo del presidente. Il teste Se.Ro., inoltre, aveva riferito al teste Ma.Pa. - cfr. la deposizione di quest'ultimo - che le decisioni di vendita delle azioni andavano ricondotte allo ZO. e, sul punto, non mancavano conferme documentali: la e-mail del 16.6.2014 (allegato 31 relazione CONSOB), avente ad oggetto il sollecito rivolto dalla segreteria del presidente ZO. al Ro. circa un reclamo - indirizzato direttamente al medesimo presidente ZO. -riguardante i ritardi nella vendita di azioni della sig.ra Ro.Sa.; il documento del P.M. nr. 321 (relativo a una corrispondenza e-mail tra Fi.Ro. e Da.Fa. del 20.1.2014); gli appunti del So.; infine le stesse dichiarazioni ammissive rese dall'imputato nel corso dell'interrogatorio del 24.3.2017. Lo strettissimo rapporto tra lo ZO. ed il d.g. So. (quest'ultimo, peraltro, proposto dallo stesso ZO. come consigliere delegato nel 2015, ovverosia poco prima dell'ispezione BCE, quando oramai la banca versava in condizioni di forte criticità ed aveva superato solo per il "rotto della cuffia" il Comprehensive Assessment tramite la conversione del prestito obbligazionario deliberata d'urgenza dal CdA nella seduta del 26.10.2014, convocata presso la tenuta toscana del presidente sita in (...) era stato delineato da numerosi testi escussi (Di.Gr., Se.Ro., Ad.Ca., Pa.An., Vi.Do., Ma.So.) e confermato dallo stralcio della conversazione intercettata tra Gi.Zi. e il suo interlocutore Pa.Ba. nello del 26.8.2015 (riportata a pag. 599 della gravata sentenza), dove si affermava che i due erano sostanzialmente inscindibili e "viaggiavano a braccetto". Lo stesso So. del resto, in occasione di talune conversazioni intercettate, si era riferito spesso al diretto coinvolgimento del Presidente nelle vicende gestorie della banca (il richiamo era ai progressivi 459, 300, 610, 845, 1570, 1587, nonché agli SMS di cui ai documenti nn.ri 653, 654, 655 - pagg. 600-603 della gravata sentenza). Con riferimento all'aucap del 2014, poi, la scheda file audio della seduta del CdA del 4.3-2014 aveva documentato il diretto coinvolgimento del presidente nella pianificazione dell'operazione in questione, mentre le dichiarazioni del coimputato GI. avevano ribadito tale coinvolgimento, peraltro confermato anche dalla documentazione disponibile (era il caso della e-mail costituente l'allegato nr. 75 alla relazione CONSOB). Lo ZO., inoltre, aveva avuto un ruolo attivo anche durante il comitato di direzione "allargato" del 20.4.2015 nel quale erano state affrontate, tra gli altri temi, le questioni dei soci finanziati e della creazione di una task force che avrebbe dovuto gestire il problema dei soci che chiedevano di vendere le proprie azioni. In tal senso deponeva il documento nr. 362 del P.M. costituito dagli appunti di Gi.Am., siccome "interpretati" dallo stesso Am. durante la propria deposizione. Nel corso di tale comitato di direzione, infatti, si era discusso anche del problema costituito dall'impossibilità di ricorrere all'impiego del fondo acquisto azioni proprie, ovvero allo strumento che, ad avviso del Presidente, doveva servire - secondo quanto riferito dal teste Am. - "a rendere più liquido l'investimento in azioni della (...)". Del resto le modalità della risoluzione del rapporto con il d.g. So. (risoluzione intervenuta solo quando, nel corso dell'ispezione BCE, la situazione era divenuta insostenibile a seguito dell'emersione della vicenda dei fondi lussemburghesi, della prassi delle lettere di impegno e dei finanziamenti correlati) dovevano ritenersi sintomatiche - nella ricostruzione dell'episodio fattane dal primo giudice - delle modalità gestorie dello ZO. e della volontà di assicurare al So. un commodus discessus. L'imputato, infatti, aveva fulmineamente risolto il contratto con il direttore generale (al quale, nondimeno, era stato riconosciuto di avere operato "con diligenza e correttezza nell'interesse della banca" e, soprattutto, era stata attribuita una buonuscita di ben 4 milioni di euro); questo era avvenuto nonostante il contrario parere del consigliere Gi.Zi. (documentato dal file audio della seduta del CdA) il quale aveva chiesto di valutare il licenziamento, al posto della risoluzione consensuale, al fine di salvaguardare la posizione dello stesso CdA. Peraltro dell'intervento dello ZI. il verbale consiliare non recava traccia alcuna (e questo nonostante la esplicita richiesta avanzata, in tal senso, dal menzionato consigliere). Si era trattato, quindi, di una decisione unilaterale di ZO., non preceduta da alcun dibattito in seno asl CdA (come riferito dallo stesso ZI. e come, del resto, confermato dalla deposizione del teste Ad.Ca.). Nell'occasione la finalità perseguita dallo ZO. - ad avviso del tribunale - era stata evidentemente quella di assicurarsi, "attraverso il fulmineo e ben retribuito congedo del direttore generale infedele", "un salvacondotto a fronte delle condotte illecite in fase di accertamento da parte della squadra ispettiva" (così si legge a pagina 611 della sentenza impugnata). Solo in quest'ottica, pertanto, poteva essere ragionevolmente interpretato quanto avvenuto in occasione delle successive sedute del CdA del 15 maggio, 27 maggio, 9 giugno e 11 giugno 2015, allorché sì era discusso della possibilità di intraprendere azioni legali nei confronti del So. per poi alla fine decidere, su proposta dello stesso ZO., di non procedere in alcun modo nei confronti dell'ex direttore generale. In definitiva l'accordo per la risoluzione del contratto con il manager con riconoscimento di una buonuscita multimilionaria - accordo deciso e repentinamente attuato dallo ZO. non solo in contrasto con le previsioni statutarie (che attribuivano al CdA la competenza in materia) e con la normativa di vigilanza in materia di remunerazione dei dirigenti, ma anche in radicale conflitto con l'interesse dell'istituto di credito - costituiva un elemento di prova della corresponsabilità dell'imputato. Sintomatiche dell'interesse (a proteggere il So.) perseguito, con detto accordo, dallo ZO. - significativamente definito, in un colloquio captato dagli investigatori, uno che ha governato come un monarca assoluto" e che, quindi, non era certo all'oscuro di quanto andava emergendo nel corso dell'ispezione - erano proprio alcune conversazioni intercettate (cfr. stralci riportati alle pagg. 611-613 della sentenza). Quindi il primo giudice, ad ulteriore sostegno della conclusione cui perveniva in ordine alla piena responsabilità dello ZO. nella gestione dell'istituto di credito con riferimento specifico alle condotte oggetto di imputazione, richiamava specificamente le operazioni correlate effettuate da taluni imprenditori. Trattasi, segnatamente: - di Se.Pi. (presidente del CdA della società It.). Costui, nel corso della deposizione resa in dibattimento, aveva ricostruito gli acquisti "baciati" dì azioni B. effettuati, originariamente su proposta dello ZO., con il ricorso ad affidamenti da parte dell'istituito di credito (il tutto per un'operatività di euro 4.400.000). Secondo detto teste lo ZO. era a conoscenza dell'esistenza dei finanziamenti correlati a lui concessi, iniziati nel 2005. Nel 2013, quando il teste era stato ospite dell'imputato a Castello di Albola, lo ZO. si era dimostrato soddisfatto dell'aumento di capitale e nell'occasione avevano parlato, tra l'altro, delle operazioni finanziate effettuate dal Pitacco, facendo anche specifico riferimento all'importo complessivo; - di Al.Be., imprenditore del settore dell'editoria legato da risalente rapporto di amicizia con l'imputato. Anche tale dichiarante (cfr. verbale di s.i.t. acquisito ex art. 493, co, 3, c.p,p.) aveva ricostruito le operazioni finanziate effettuate al fine di acquistare le azioni di B., per un valore complessivo di euro 1,25 milioni a fronte di un finanziamento di pari importo. Sebbene detto teste avesse riferito di non avere mai parlato con lo ZO. di tali operazioni "baciate", le relative dichiarazioni - sul punto - erano state smentite dai testi Gi.Gi. (direttore regionale della Lombardia) e Al.Ba. (responsabile della Divisione Crediti di B. dal gennaio 2015). Il primo, dopo avere ricostruito le operazioni "baciate" effettuate da detto imprenditore in condizioni di neutralità economica (donde i relativi storni che gli avevano garantito il totale rimborso degli interessi maturati), aveva precisato che il Be. gli aveva riferito di avere parlato con lo ZO. di una di tali operazioni (quella effettuata tramite la B.Me.), Il teste Al.Ba., dal canto suo, aveva dichiarato di avere discusso con l'imputato ZO. della posizione del Be., ragguagliandolo circa gli acquisiti di azioni tramite finanziamenti "baciati" effettuati in precedenza dallo stesso Be. per "Vare una cortesia alla banca". Ciò era avvenuto nel corso di un incontro cui aveva partecipato lo stesso imprenditore, il quale, nell'occasione, aveva espressamente chiesto che l'operazione "fosse smontata"; - di Do.Ir.. presidente di C., società del settore delle costruzioni e amica di famiglia dello ZO.. In questo caso le azioni B. erano state acquistate, per un valore di 1 milione di euro, impiegando parte di un più consistente finanziamento (5 milioni) concesso dall'istituto. A detta della Ir. la proposta iniziale le era stata avanzata, con riferimento all'aumento di capitale allora in fieri, proprio dallo ZO. il quale, poi, l'aveva "dirottata" sul d.g. So.. Dal canto suo il figlio della Ir., Ha.Mi. (vicepresidente e amministratore delegato di C.), il quale aveva poi portato avanti la trattativa, escusso in dibattimento non aveva ricordato con chi avesse effettivamente trattato (sebbene in sede di indagini, come emerso dalla contestazione del P.M., avesse riferito di avere interloquito, in proposito, con lo ZO. oppure con il manager Al.Cu.; soggetto, quest'ultimo, che - parimenti escusso in dibattimento - aveva smentito di essersi personalmente occupato della questione); - dei fratelli Ra.. In particolare Ra.Si., imprenditore del settore abbigliamento e cliente storico di B., aveva riferito di avere aderito, unitamente ad alcuni suoi familiari, alla proposta di operazioni "baciate". Più volte costui (al pari dei fratelli) aveva chiesto rassicurazioni al riguardo allo ZO. ed era stato sempre tranquillizzato. Nel 2013 i Ra. avevano iniziato a sollecitare la chiusura delle operazioni, al che Fu.Bo. ed Em.Gi. avevano tentato di dissuaderli. Dichiarazioni di analogo tenore, poi, erano state rese da Ra.Gi., sebbene costui avesse riferito, diversamente dal fratello, che le discussioni con lo ZO. avevano riguardato la solidità della banca e non già le operazioni "baciate" in corso. Nondimeno - precisava il tribunale - la conversazione nr. 560 intercettata sull'utenza in uso al So., nella quale costui, esprimendo disappunto sull'atteggiamento negazionista dello ZO., riferiva in termini coincidenti con la narrazione di Ra. Silvano, confermava la tesi di quest'ultimo in ordine al contenuto dei colloqui - aventi ad oggetto proprio il tema dell'acquisto delle azioni della banca - intercorsi tra i fratelli Ra. e il presidente ZO.; - di Fr.Zu. e Fe.Ri.. Il primo, cognato di ZO., aveva riferito di un fido concessogli per partecipare, a titolo di amicizia e senza alcun rischio, all'aucap 2014, operazione della quale, tuttavia, non aveva parlato con lo ZO.. Nondimeno dalle schede di analisi dei consulenti del P.M. erano emersi, complessivamente, acquisti di azioni effettuati dalla famiglia Zu. per 984 mila euro con risorse erogate all'uopo dall'istituto. Quanto al Ri., amico dell'imputato da decenni, ex direttore di musei e consulente della banca per la stima delle opere d'arte, aveva effettuato operazioni per gli aucap 2013 (300 mila euro) e 2014 (200 mila euro) e aveva riferito che lo ZO., quando aveva appreso di una di tali operazioni, aveva espresso il proprio compiacimento, sebbene il teste avesse pure precisato che con l'imputato aveva interloquito solo in relazione alla sua sottoscrizione dell'aucap, non già circa le modalità di acquisto delle azioni. Quando poi, nel 2015, aveva manifestato allo ZO. le proprie preoccupazioni per gli acquisti finanziati, l'imputato aveva ribattuto in modo brusco ("Ma chi ti ha detto di farli?"), lasciandolo perplesso; s di Gi.Ro., noto imprenditore del settore della valigeria. In tal caso le operazioni finanziate erano state molteplici (la prima per l'ammontare di 700,000 euro; successivamente anche per l'importo di 5 milioni). Ripetutamente aveva incontrato lo ZO. in occasione di cene e pranzi e, quando gli aveva chiesto rassicurazioni, era stato costantemente tranquillizzato. Richiesto di precisare se l'imputato fosse a conoscenza delle modalità seguite per l'acquisto delle azioni, il teste aveva risposto affermativamente sulla base di considerazioni di tipo logico (basate, per un verso, sulla posizione di vertice rivestita dall'interlocutore, definita dal teste quella del "capo", del "padre-padrone della banca" e, per altro verso, sull'importanza di dette operazioni nell'ambito della gestione dell'istituto di credito). Peraltro, precisava il tribunale, la registrazione del file audio del 18.6,2013 relativo alla breve conversazione intercorsa tra lo ZO. ed il coimputato GI. poco prima dell'inizio della seduta del CdA - conversazione della quale lo stesso GI. aveva poi chiarito il significato (inerente all'interesse manifestato da un imprenditore catanese, tale Riccardo Coffa, per una operazione "baciata") - dimostrava la piena consapevolezza, in capo allo ZO., della prassi esistente in relazione a tale tipologia di operazioni. Altro significativo elemento a carico dello ZO. era rappresentato, nella prospettiva del tribunale, dall'elevatissima concentrazione di operazioni correlate presso il "gestore private" Ro.Ri. nella filiale di Contrà Porti, la stessa ove l'imputato aveva acceso i propri conti correnti. In effetti lo strettissimo rapporto tra i due (ulteriormente comprovato dalla riassunzione de) "gestore" dopo che questi si era dimesso a seguito del trasferimento ad altra filiale; riassunzione, con immediata ricollocazione presso la filiale di Contrà Porti, conseguente a una semplice visita dello stesso Ri. presso l'abitazione dell'imputato) avrebbe avvalorato la conclusione circa la piena consapevolezza, in capo al presidente, della prassi delle operazioni "baciate" che il predetto Ri. effettuava in favore di una selezionatissima cliente, peraltro per importi estremamente ingenti. Questo benché il medesimo Ri. avesse negato di avere parlato di tali operazioni con l'imputato e, a maggior ragione, di avere da questi ricevuto, al riguardo, autorizzazioni di sorta. Del resto - precisava il tribunale - il teste Da.Ti. aveva dichiarato di essere stato rassicurato dallo stesso presidente ZO. - all'uopo interpellato dal "gestore private" Ri. che aveva sostanzialmente fatto da tramite - circa ii fato che le operazioni "baciate" di sua pertinenza sarebbero state chiuse. Anche l'inerzia dell'imputato a seguito della segnalazione di anomalie inerenti ad operazioni correlate ricevuta nella primavera-estate del 2014 deponeva nel senso della fondatezza dell'impostazione d'accusa, al pari, del resto, delle dimissioni del consulente private banker An.Vi., dimessosi in conseguenza delle insostenibili pressioni che riceveva dai superiori (a loro volta in tal senso istruiti dai vertici aziendali) proprio con riferimento alla conclusione di operazioni "baciate". Peraltro, una pec contenente l'esposizione delle ragioni delle dimissioni era stata trasmessa dal Vi., su consiglio del proprio avvocato, sia al CdA che allo stesso ZO., il quale ultimo l'aveva letta in data 7.7.2014 senza, tuttavia, sollecitare approfondimenti al riguardo. Del resto era significativo che la vicenda si fosse poi definita con un accordo transattivo e con l'impegno alla riservatezza. Di spiccato rilievo probatorio, poi, erano tanto l'inerzia manifestata dallo ZO. a seguito della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 26.4.2014, dal socio B. Da. con riferimento alla prassi degli acquisti finanziati, quanto l'atteggiamento, altrettanto inerte, assunto dallo stesso imputato a seguito della ricezione di due lettere anonime che denunziavano il fenomeno della pressione della rete commerciale per favorire la sottoscrizione di operazioni correlate. Conclusivamente, a fronte di tali convergenti elementi, le dichiarazioni rese dall'imputato in occasione degli interrogatori resi in fase di indagine e, successivamente, nel corso dell'esame dibattimentale svoltosi alle udienze - 23,6.2020 e 26.11.2020 - là dove questi aveva sostenuto di essere stato tenuto all'oscuro dell'esistenza del fenomeno delle operazioni correlate, di essersi fidato della valutazione di un esperto di indiscusso prestigio con riferimento al valore assegnato al titolo azionario e, infine, di avere avviato le operazioni di aumento di capitale facendo affidamento sul giudizio della Banca d'Italia in ordine alla solidità dell'istituto di credito - venivano dal tribunale giudicate come destituite di fondamento e scopertamente difensive. I fenomeni del capitale finanziato, delle lettere di impegno e degli investimenti effettuati tramite fondi esteri, infatti, erano stati espressione di prassi note, avallate e, anzi, incentivate dal presidente, vero e proprio dominus assoluto dell'istituto di credito. Egli aveva ricoperto, per circa un ventennio, una posizione di dominio incontrastato, aveva selezionato e fidelizzato il management, anche con trattamenti economici più che generosi (cfr. sul punto, la deposizione del teste Ma.Ma.), aveva imposto la regola dell'approvazione unanime delle sue proposte in CdA ed aveva sistematicamente agito (in forza di una asimmetria di poteri che, peraltro, trovava plastico riscontro anche nell'ammontare delle rispettive retribuzioni, quella dell'imputato risultando quasi dieci volte superiore a quelle degli altri consiglieri) in modo tale da indirizzare l'espansione territoriale dell'istituto nelle aree del Paese ove egli aveva i suoi insediamenti imprenditoriali (Toscana, Friuli, Sicilia), ovvero nelle località di vacanza da lui frequentate (Cortina). In definitiva tutte le dinamiche inerenti alla vita dell'istituto di credito erano state determinate dallo ZO., a partire dalle più importanti strategie d'impresa e fino alle attività più spicciole (posto che era emerso che all'imputato veniva sottoposta, per approvazione, finanche la lista degli invitati alle cene "istituzionali" periodicamente organizzate a casa Lo.), In siffatta prospettiva le conversazioni telefoniche intercettate nelle quali il d.g. Sa.So. evidenziava la piena riconducibilità delle scelte operative al Presidente, ben lungi dall'essere interpretabili come attuazione di una callida determinazione del predetto So., ispirata da logica autodifensiva (come invece sostenuto dalla difesa dello ZO.), costituivano coerente riscontro del pieno coinvolgimelo dell'imputato nell'attività delittuosa. Del resto talune conversazioni significative erano state effettuate impiegando utenze riconducibili a terzi (trattasi dell'utenza 3311650993 intestata a De.Mi.), donde, anche sotto tale profilo, l'insostenibilità della tesi della artificiosità di tali colloqui, il tenore dei quali, peraltro, era del tutto coerente con le richiamate acquisizioni probatorie testimoniali e documentali. Inoltre le affermazioni fatte dal So. in ordine al coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni dì capitale finanziato avevano trovato conforto anche negli SMS inviati dai coimputati MA. e GI. al predetto So., messaggi attraverso i quali costoro sollecitavano il benestare del presidenti su alcune operazioni correlate (trattasi dei documenti nn.ri 653 "ricordati di messaggiare il presidente per le pratiche di oggi in CdA - quelle su acquisto, valori mobiliari... Fe. 11 milioni, Mo. 14 milioni, Fe. 20 milioni"; 654: "il presidente sta arrivando bisogna parlargli di Da. e Ca."; 655: "Ti ricordo Zi. da parlarne al pres per il fido da farsi alla sua finanziaria". Di qui la conclusione in ordine alla sussistenza dei presupposti tutti per affermare il coinvolgimento dell'imputato, a titolo di concorso, in tutti i reati ascrittigli. 1.9.2 Gi.Em. Con riferimento a Gi.Em. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Mercati (della quale egli, a far tempo dalla fine del 2007, era stato il responsabile -spettandogli in tale veste, fino alla cessazione del rapporto avvenuta nel giugno 2015, la direzione e il coordinamento dell'attività commerciale della banca - oltre a rivestire in B. il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma di cui ai docc. nr. 262-267 del Pubblico Ministero. Evidenziava poi come il GI. fosse anche membro del Comitato Soci, ossia dell'organo endoconsiliare deputato alla disamina preventiva delle richieste di acquisto e cessione delle azioni B. prima che le stesse fossero sottoposte al CdA. Ciò premesso il tribunale, nel rinviare al cap. X della sentenza quanto alla disamina della penale responsabilità del GI. per il reato di cui al capo N1, affermava che l'istruttoria dibattimentale consentiva di ritenere "emerso in modo univoco" il diretto coinvolgimento del GI. "in tutti gli aspetti della illecita operatività della Banca", elencando al riguardo le seguenti condotte dal predetto poste in essere: - aveva significativamente contribuito alla definizione e all'attuazione delle prassi operative in tema di capitale finanziato: - aveva partecipato direttamente alle più rilevanti operazioni di capitale finanziato (c.d. "big ticket"); - aveva personalmente sottoscritto alcune lettere di impegno di B. al riacquisto delle azioni precedentemente vendute ai clienti cui esse erano indirizzate, autorizzando altresì in via preventiva la sottoscrizione di analoghe lettere da parte dei funzionari a lui sottoposti; - aveva co-organizzato e programmato una capillare attività di monitoraggio della produttività della rete commerciale, esercitando forti pressioni sui dipendenti della stessa al fine di stimolare il raggiungimento degli obiettivi di raccolta del capitale; - aveva personalmente autorizzato storni di interessi come forma di remunerazione dell'investimento in azioni B.; - aveva, in molteplici occasioni, ostacolato l'accertamento dell'illecita operatività della banca non soltanto nei confronti delle autorità di vigilanza esterna ma altresì nei confronti delle società di revisione (cfr. in particolare l'episodio che aveva coinvolto la società di revisione K.) e della vigilanza interna (audit). Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il primo giudice anzitutto illustrava i contenuti - evidenziati in particolar modo negli appunti manoscritti redatti dal segretario generale Ma.So. (doc. nr. 389 del P.M.), il quale ne aveva riferito nel suo esame dibattimentale - della riunione del Comitato di Direzione tenutasi l'8.11.2011, cui avevano partecipato fra gli altri, oltre al GI., il direttore generale Sa.So., il presidente Zo.Gi., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. (dirigente altresì preposto alla redazione dei documenti contabili), il responsabile della Divisione Finanza An.Pi., il direttore generale della controllata toscana Ca. Fr.To., il vicedirettore generale della controllata siciliana Ba.Nu. Um.Se.. In quella sede, dopo che il PE. aveva evidenziato la necessità di collocare più di 100 milioni di azioni, il To. e il Se. (secondo quanto ricostruito nel suo esame dibattimentale dal teste assistito To., il quale peraltro evidenziava come all'epoca si ritenesse in generale inapplicabile l'art. 2358 c.c. alle banche popolari in quanto cooperative) avevano prospettato espressamente la necessità di ricorrere ad operazioni c.d. "baciate" - benché "non facili da proporre come nell'occasione riconosciuto dal To. - al fine di aumentare il collocamento delle azioni, tenuto conto anche del fatto che mancavano ormai solo poco più di 30 giorni alla chiusura natalizia. Indi il primo giudice evidenziava come al GI. fosse ben nota -quantomeno dal giugno 2011 - la situazione, documentata in atti e altresì, riferita da vari testi, di crescente disallineamento tra le domande di acquisto di azioni e le richieste di vendita delle stesse (le quali sopravanzavano le domande di acquisto in maniera sempre più accentuata ed evidente), il che aveva determinato sin dal 2011 un incremento progressivo ed esponenziale del ricorso al capitale finanziato, secondo un "cambio di passo" riscontrabile proprio all'indomani della menzionata riunione del comitato di direzione tenutasi l'8.11.2011. In tale contesto - proseguiva il tribunale - Em.Gi. si era distinto in modo particolare per l'attivo ruolo svolto nell'organizzazione e nel coordinamento delle iniziative c.d. "svuota fondo", rivolte cioè ad attuare il sistematico svuotamento del fondo acquisto azioni proprie di B. (portato infatti a zero tanto alla fine del 2012 quanto alla fine del 2013) nonché per le pressioni - sempre più accentuate specie a partire dalla fine dell'anno 2012 - da lui esercitate sulla rete commerciale affinché fosse incrementato il collocamento delle azioni. Ampio spazio veniva dato al riguardo, in sentenza, alla deposizione dei testi Fi.Ro. (responsabile dell'Ufficio Soci) e Co.Tu. (funzionario in staff alla Divisione Mercati), secondo i quali il direttore generale So. e il GI. - che veicolava le direttive del So. all'intera rete - monitoravano congiuntamente l'andamento delle domande di acquisto e cessione delle azioni e prendevano le decisioni su quante azioni la banca potesse riacquistare, al che conseguiva il sorgere di un'esigenza di occultamento del capitale finanziato. Indi il primo giudice illustrava gli elementi probatori (fra cui le deposizioni dei testi Co.Tu., Gi.Gi., Ma.Ni., Al.Ba., Al.Cu., En.Da., Lu.Ve., Se.Ro., Ro.Ri. e altri) in base ai quali emergeva il ruolo del GI. nell'organizzazione delle attività di occultamento del capitale finanziato, segnatamente: - mediante il divieto, imposto alla rete, di comunicare per iscritto informazioni sul capitale finanziato; - mediante l'utilizzo nelle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) di una formula - estremamente generica ("necessità per investimenti immobiliari e mobiliari"); - mediante la raccomandazione di attuare un distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni e/o di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche azioni diverse da quelle di B.. La promozione e sollecitazione da parte del GI. dell'occultamento del capitale finanziato, posta in essere nei modi sopra indicati, ad avviso del primo Giudice si traduceva in un rilevante contributo dato dall'imputato all'alterazione della veridicità dei flussi informativi indirizzati all'autorità di vigilanza. In particolare tre episodi, secondo il tribunale, evidenziavano quella che in sentenza (cfr. pag. 647) veniva definita come la * pervicace condotta di Em.Gi. tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delle autorità di vigilanza ovvero della società di revisione": - la vicenda del private banker An.Vi., oggetto di una segnalazione da parte dell'avv. Es. che aveva a sua volta dato luogo ad accertamenti effettuati dall'audit, il cui responsabile Ma.Bo. (sentito come teste in dibattimento) aveva consegnato il 4.9.2014 il relativo report al direttore generale So., che dapprima assumeva un atteggiamento dilatorio salvo poi, pressato dal Bo., convocare il GI. nel gennaio 2015 e consegnargli il report dell'audit; di quest'ultimo, secondo il teste Co.Tu., il GI. aveva detto allo stesso Tu. - il quale pure aveva avuto in visione il report - che non avrebbe dovuto parlare con nessuno; s l'episodio della società di revisione K. (ricostruito all'udienza del 19.12.2019 dal teste Vi.An., partner di detta società; allo stesso episodio aveva altresì fatto riferimento l'avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., ricordando di essere stata zittita in malo modo tanto dal direttore generale So. quanto dal responsabile della Divisione Finanza PI. quando aveva cercato di sollecitare un audit su ciò che era stato riscontrato dalla società di revisione); per la precisione K. aveva, nel corso del suo controllo, individuato 17 posizioni a suo avviso sospette a causa della sostanziale coincidenza tra il valore delle azioni sottoscritte e l'utilizzo dei fidi concessi nonché a causa della vicinanza temporale tra la concessione del finanziamento e la data di acquisto delle azioni; il teste An. aveva dapprima informato il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio, Ma.Pe., e il collegio sindacale; indi, unitamente al PE., aveva presentato l'elenco delle 17 posizioni al direttore generale So. che lo aveva indirizzato al GI.; questi aveva rassicurato l'An. di K. circa la regolarità delle operazioni, l'assenza di criticità, il' rispetto del merito creditizio, l'assenza di correlazioni tra gli acquisti delle azioni e le erogazioni dei finanziamenti; tuttavia K. aveva insistito per ottenere un parere favorevole della direzione affari legali della banca (parere che l'avv. Pa. non riteneva di poter rilasciare), sicché si era giunti a un compromesso - secondo quanto riferito dalla stessa teste Pa. - basato sull'invio a K. di una lettera interlocutoria (elaborata con il contributo anche del GI. che aveva insistito per evidenziare in essa il rispetto del requisito del merito creditizio) contenente l'impegno a svolgere le operazioni necessarie per chiarire le operazioni segnalate; - le modalità di interlocuzione tenute dal GI. con la squadra ispettiva della BCE nel 2015, allorquando l'ispettore Gi.Ma., sentito come teste, aveva cercato di instaurare un contraddittorio preliminare con i vertici aziendali su poco meno di una cinquantina di posizioni già emerse, durante l'ispezione, come connotate dal compimento di operazioni correlate. Secondo quanto riferito dal teste Ma. il GI., nell'incontro con lui avuto il 12.5.2015 (presente anche il teste Al.Ba., la cui agenda conteneva al riguardo appunti idonei a riscontrare appieno il teste Ma.) aveva escluso trattarsi di operazioni correlate, ribadendo all'ispettore che tutti i finanziamenti erano giustificati dal merito creditizio; il GI. aveva anche preso parte alla predisposizione, sempre in relazione a quella cinquantina di posizioni emerse come critiche, di schede da consegnare all'ispettore Ma., il quale però le aveva giudicate inadeguate e insufficienti (analoga valutazione delle schede era stata previamente compiuta dal teste Ma.Bo., responsabile dell'audit). Indi il tribunale passava in rassegna le risultanze istruttorie - indicate in sentenza come plurime e convergenti (fra esse si citavano le deposizioni dei testi Gi.Ca., capo area; Gi.Gi., direttore regionale; Ma.Ni., capo area, Al.Cu., capo area, ed altri ancora) - circa il ruolo svolto dai GI. nell'azione di coordinamento e impulso della rete commerciale tesa a promuovere la stipula, a ritmi sempre più incalzanti, di operazioni correlate. Il primo Giudice evidenziava altresì come il GI. risultasse avere personalmente sottoscritto 16 - per un totale di 80 milioni di euro - fra le 65 lettere B. di impegno al riacquisto delle proprie azioni (tali lettere - in alcuni casi particolarmente impegnative per la banca - avevano l'evidente funzione di rassicurare i soci) consegnate alla squadra ispettiva BCE nella primavera del 2015. Sul punto la sentenza dava ampio risalto, in particolare, alla deposizione del teste Co.Tu. e a quella del teste Lo.Be., capo area. Sempre sul tema delle lettere di impegno il primo giudice indicava come particolarmente significativa, riportandone il contenuto (leggibile a pag. 95 della relativa perizia), la trascrizione della conversazione telefonica n. progr. 359 dell'1.9.2015 intercorsa tra il GI. e il sindaco La.Pi.. Sulle lettere di impegno il tribunale citava altresì - più avanti nel tessuto motivazionale della sentenza: cfr. sue pagg. 671-672 - il contenuto della deposizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'Internal audit, nella parte in cui riferiva di un incontro tenutosi con l'avv. An.Ge. - col quale il d.g. So. voleva concordare una linea difensiva - il 24.4,2015 a Vicenza (presenti, oltre allo stesso Bo. e al So., l'imputato GI. per la Divisione Mercati nonché An.Pi. per la Divisione Finanza, Ma.Pe. per la Divisione Pianificazione e Bilancio, l'avv. An.Pa. dell'ufficio legale e altri ancora); in tale occasione era stato proprio il GI. a parlare espressamente delle lettere di impegno dicendo che erano una ventina (in realtà, come detto, ne emersero oltre il triplo di cui 16 sottoscritte dallo stesso GI.), ammettendo di averne sottoscritte alcune e precisando che la situazione era grave, avendo ormai il fenomeno dei finanziamenti correlati raggiunto dimensioni rilevanti che avrebbero messo in crisi la banca. Il collegio vicentino passava indi ad esaminare le risultanze istruttorie (in particolare le deposizioni dei testi Gi.Ca., Co.Tu., Lu.Ve., nonché la e-mail - doc. 755 del P.M. - inviata il 29.9.2014 da Vi.Ga. al GI.) inerenti al ruolo concretamente svolto dallo stesso GI. nell'attuazione degli storni di interessi. Il primo giudice evidenziava poi come talune fra le operazioni correlate - soprattutto le c.d. big ticket, ossia quelle più importanti per rilevanza ed entità - vedessero un diretto coinvolgimento del GI. in prima persona nella loro conduzione (unitamente al direttore generale So.: i due si recavano appositamente in visita congiunta ai clienti - per lo più imprenditori - maggiormente patrimonializzati), menzionando le evidenze probatorie raccolte al riguardo e in particolare le deposizioni rese dai testi, fra cui Ro.Ri. (gestore private della filiale di Contrà Porti), Tr.Lo. (cliente), Gi.Ra. (cliente), Luca Fe.ni (cliente), Sa.Bu. (cliente), Lu.Mo. (cliente), Gi.Ro. (cliente), Pi.Ca. (cliente) e altri. Indi il tribunale passava in rassegna le deposizioni rese da parecchi testi (Di.Ip., Ma.Ni., Lu.Ve., Fu.Bo.) - fra i quali molti capi area ma anche due private banker come An.Vi. e Fr.Te., dimessisi entrambi, a loro dire, proprio a causa delle pressioni ricevute - dalle quali emergevano, a suo avviso, le sistematiche pressioni esercitate non soltanto dal direttore generale So. ma anche dall'imputato GI. sulla rete commerciale - a partire dal 2012 - affinché fossero raggiunti gli obiettivi di raccolta del capitale prefissati. L'effettivo esercizio di tali pressioni - proseguivano i giudici vicentini - trovava comunque plurimi riscontri documentali, in particolare nelle produzioni di cui ai docc. nn. 22, 91-95, 298, 657, 660 del P.M.. Altro elemento probatorio di pregnante rilevanza a carico del GI., secondo il primo giudice, era rappresentato dalla trascrizione del file audio corrispondente alla registrazione dì quanto detto nell'ambito del Comitato di Direzione tenutosi il 10.11.2014, al quale il GI. aveva preso parte unitamente al direttore generale So. e agli altri immediati suoi sottoposti. Ampi stralci di tale trascrizione sono riportati alle pagg. 666-667 della gravata sentenza. In particolare il direttore generale So., alla pag. 34 della trascrizione, dichiarava fra l'altro agli astanti che la banca aveva "fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare ... Noi dobbiamo selezionare molto di più i nostri impieghi (...). Non possiamo smontarli perché ci sono azioni dietro, ma non possiamo neanche tenerci questo popò di problema. Quindi dobbiamo risolvere il problema delle azioni appiccicate a questi e poi andiamo a vedere nominativo per nominativo (...)". Alla pag. 27 della trascrizione il responsabile della Divisione Finanza, An.Pi., parlava della necessità di collocare 27 milioni residui di azioni detenute dai fondi esteri trovando qualcuno che le compra a sconto"; il GI. gli replicava prospettando un possibile scambio con (...) (già (...)) che deteneva a sua volta titoli di (...) Banca. Alla pag. 67 della trascrizione il GI. si rivolgeva al So. nei seguenti termini: "Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? (...)". Al riguardo il tribunale vicentino affermava che, a differenza di quanto sostenuto dagli imputati in dibattimento, non emergeva dalla trascrizione (e ancor meno dall'ascolto diretto del file audio) alcun disallineamento degli astanti rispetto alla posizione espressa dal direttore generale So., né era dato cogliere, per converso, alcuna supina subordinazione dei predetti alla volontà dello stesso So., trattandosi piuttosto di un dialogo ove ognuno dei presenti prospettava - alla pari - problemi e ipotesi di soluzione. Il primo giudice passava quindi a valutare il complesso delle affermazioni rese dall'imputato GI. in sede di esame dibattimentale, sostenendo che l'assunto di questi circa la sua non consapevolezza delle reali dimensioni quantitative del capitale finanziato era ampiamente smentito da varie convergenti emergenze probatorie fra le quali spiccavano, oltre al tenore della trascrizione del menzionato file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014, alcune produzioni documentali (segnatamente le tabelle di rendicontazione sub docc. nn. 272, 273, 274, 275 del Pubblico Ministero) e varie deposizioni testimoniali (tra cui quelle dei testi Ma.So., Co.Tu., Cl.Gi. e Ro.Pr., quest'ultimo responsabile della direzione private dall'ottobre 2014, ma anche le deposizioni dei testi Gi.Am. e Ma.Li.); veniva riportato al riguardo in sentenza anche il tenore della già sopra menzionata deposizione del teste Ma.Bo. - responsabile dell'Internal audit - in ordine ai contenuti dell'incontro con l'avv. An.Ge. tenutosi in data 24.4.2015. Il tribunale - dopo avere illustrato alle pagg. 672-676 la versione resa dall'imputato GI. su vari argomenti (oltre al tema delle lettere di impegno anche quello degli storni di interessi, quello dell'episodio della società di revisione K., quello dei propri rapporti con il d.g. So. del quale eseguiva le direttive, quello delle pesanti pressioni provenienti a suo dire dallo stesso So. e dal CdA della banca e rivolte a sé come a tutti gli altri manager, sempre a suo dire tutti coinvolti, senza esclusione di alcuno, nella vicenda delle operazioni correlate) - riteneva tale versione smentita, tanto sulla piena consapevolezza dell'illegittimità delle svolte operazioni correlate (che il GI. - a suo dire - pensava fossero invece legittime, specie dopo che l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 non aveva mosso rilievi circa l'operatività dell'art. 2358 c.c.) quanto sul loro occultamento al mercato e alla vigilanza, da una serie di risultanze probatorie di segno contrario, così sunteggiate dai giudici vicentini: - il divieto di dare indicazioni scritte, l'utilizzo della P.E.F. generica, lo scostamento temporale tra delibera di fido e acquisto delle azioni; le indicazioni date di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche titoli diversi dalle azioni di B.; - l'inserimento nelle delibere autorizzale e nei documenti di offerta - in occasione dei miniaucap 2013 e 2014 - del richiamo al rispetto dei limiti di cui all'art 2358 c.c.; - l'omesso riferimento, nel corso dei colloqui con gli ispettori Vi.Ca. (AQR - Asset Quality Review) e Gi.Ma. (BCE), tanto al capitale finanziato quanto, in alternativa, agli esiti - di presunta rassicurazione circa l'inapplicabilità a B. dell'art. 2358 c.c. - dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012; - la valenza dei tre episodi relativi alle vicende del private banker An.Vi., della società di revisione K. e delle schede consegnate all'ispettore Ma.. Il primo giudice escludeva altresì la fondatezza dell'assunto del GI. circa il suo essere convinto che lo scorporo delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza avesse avuto luogo, definendolo come una "tesi (...) assolutamente inverosimile; è evidente che lo scopo delle operazioni finanziate era quello di dissimulare riliquidità del titolo, in ipotesi di corretta appostazione delle stesse esse sarebbero state inutili" (cfr. pag. 677 sentenza gravata). Non poteva avere infine alcuna valenza scriminante, secondo il tribunale, la necessità, dedotta dal GI., di dare esecuzione a direttive impartitegli dal CdA e/o dal direttore generale So., tenuto conto della sua veste di dirigente apicale membro della struttura esecutiva e investito ex lege di dirette responsabilità di gestione. 1.9.3 Ma.Pa. Con riferimento a Ma.Pa. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Crediti (della quale egli era stato il responsabile dal giugno 2010 sino al dicembre 2014, il che lo rendeva membro di diritto del Comitato Centrale Fidi e del Comitato Crediti) oltre a rivestire in B., a far tempo dal 18 ottobre 2011, anche il ruolo di vice direttore generale; citava a tal proposito la relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia nonché (con apparente riguardo alla sola gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati) il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale n. 262 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Crediti erano così descritte dal tribunale: - assicurare, in materia di erogazione del credito, il rispetto delle norme e disposizioni dell'Organo di Vigilanza, dello statuto nonché delle delibere degli organi superiori; - garantire l'analisi e la valutazione degli affidamenti secondo quanto previsto dalla normativa interna, nonché il loro perfezionamento e quello delle relative garanzie; - verificare la regolarità dell'iter di delibera delle concessioni di credito, nei limiti delle facoltà delegate, avvalendosi dell'attività delle strutture preposte che dipendevano dalla Divisione Crediti stessa; - presentare le proposte di finanziamento di competenza degli organi superiori, avvalendosi dell'attività della UO Analisi, anche alla luce dell'andamento del Gruppo e del settore economico di appartenenza; s garantire alla rete delle filiali un adeguato supporto di consulenza sulle tematiche di competenza, in particolare attraverso le strutture delle UO crediti di area e della U.O. Analisi; s assicurare la gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati. Nel far ciò il collegio vicentino affermava più in generale che "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito, compreso il rispetto della normativa in materia, sia di fonte "esterna" (norme e disposizioni delie Autorità di vigilanza) sia di fonte "interna"(statuto e delibere degli organi sovraordinati). In particolare, oltre a curare, per quanto di competenza, la fase di analisi e valutazione degli affidamenti, la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (e delle relative garanzie) e di gestione dell'anagrafe generale (...). In ogni caso la Divisione Crediti era chiamata a stabilire - sulla base degli indirizzi dei CdA e della Direzione Generale e per quanto di competenza - le politiche di gestione del credito" (cfr. pagg. 678-679 sentenza gravata). Nondimeno - proseguiva il tribunale - nel suo esame dibattimentale del "13.6.2013" (rectius 13.6.2019) il teste Cl.Gi., indicato in tale passo della sentenza impugnata come capo area di Vicenza, aveva dettagliatamente spiegato che la struttura dei Crediti era articolata su base territoriale: vi erano una funzione crediti dedicata in capo a ogni singolo capo area e una funzione crediti in capo alla direzione regionale; ciascuna direzione regionale a sua volta coordinava le proprie quattro aree di riferimento; entro certi limiti tali strutture decentrate godevano anche di una potestà deliberativa autonoma, di talché il processo di elaborazione del credito era definito in autonomia quanto agli aspetti relativi all'analisi e alla definizione della delibera; solo se esso eccedeva la potestà deliberativa si faceva luogo a una mera verifica di adeguatezza della proposta che la struttura decentrata inviava alla Divisione Crediti, deputata in quel caso a valutare in autonomia la relativa pratica. Ciò premesso il tribunale affermava che la svolta istruttoria dibattimentale consentiva dì ritenere univocamente provata la penale responsabilità dell'imputato, dimostratosi pienamente consapevole di tutte le condotte di reato ascrittegli. Premetteva al riguardo il collegio che, a detta del teste Em.Ga. (responsabile del team ispettivo che aveva operato nei confronti di B. nell'anno 2015), l'analisi delle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) condotta in sede ispettiva ne aveva subito evidenziato l'assenza di garanzie nonché l'estrema genericità e ripetitività delle causali indicate (le quali per lo più utilizzavano espressioni come cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare o immobiliare), il che era indice di sospettosità dal momento che in genere una banca, in caso di erogazione di fidi destinati ad acquisti di strumenti finanziari, era ben informata su quale tipologia di strumento finanziario il cliente desiderasse acquistare, su quali ne fossero le caratteristiche principali di rischio e su quali beni fossero costituiti in garanzia (essi corrispondevano per lo più agli stessi strumenti finanziari acquistati o ad altri di valore equivalente). Affermava il primo giudice che la svolta istruttoria aveva evidenziato in capo a Pa.Ma. un ruolo di centralità nel garantire che la rete si uniformasse all'istruzione operativa di utilizzare, nelle P.E.F. aventi ad oggetto capitale finanziato, la sopra evidenziata causale improntata a una formula generica e di stile (dal tribunale indicata come "causale sentinella" proprio in quanto consentiva di rendere immediatamente riconoscibile ai diversi addetti l'effettiva finalità dell'operazione di finanziamento). Il collegio giudicante citava al riguardo le deposizioni rese da vari testi. Quanto alla genesi della ed. "causale generica sentinella" il primo giudice evidenziava quanto segue: il capo area Gi.Ca. affermava che l'uso della causale generica gli era stato consigliato dai suoi superiori Ro.Pr., Lu.Ve. e Gi.Gi.; il capo area Lu.Ve. affermava che l'uso della causale generica era stato raccomandato da una direttiva di area illustrata nelle riunioni, probabilmente ad opera del responsabile della Divisione Mercati Em.Gi., ma che la Direzione Crediti ne era a sua volta a conoscenza tanto che in un'occasione egli aveva parlato direttamente con Pa.Ma. - e in maniera esplicita - dell'effettiva natura di un'operazione di finanziamento che andava a perfezionarsi con il titolare di un noto pastificio; il capo area Ma.Ni. indicava Cl.Gi. ed Em.Gi. come i soggetti dai quali proveniva l'indicazione di usare la causale generica aggiungendo che comunque la Divisione Crediti sapeva che un'operazione connotata da siffatta causale era un'operazione correlata all'acquisto di azioni della banca (in alcuni casi gli analisti della Divisione Crediti avevano anche chiesto al capo area di confermare che l'operazione fosse "baciata"); il capo area En.Da. ricordava che in alcune occasioni il direttore di filiale non aveva inserito la causale indicata (al che - a suo dire - l'Ufficio Crediti aveva restituito la pratica per il cambio della causale); il capo area e indi direttore regionale Cl.Gi. affermava di avere parlato - in alcune occasioni - di finanziamenti correlati con la Divisione Crediti e precisamente con il suo responsabile Pa.Ma. (la formula generica era stata a suo dire suggerita forse da Em.Gi. o forse da Co.Tu., funzionario in staff alla Divisione Mercati), fermo restando che - sempre a detta del Gi. - in alcune occasioni lo stesso Comitato Crediti, al quale partecipavano i direttori regionali, aveva deliberato operazioni di finanziamento in tutto o in parte correlate; il capo area e indi direttore regionale Al.Ca. (escusso ex art 210 c.p.p.) aveva attribuito - a seguito di contestazione - al MA. l'indicazione, data nel corso di alcune riunioni operative, di utilizzare la causale generica; anche secondo il teste Co.Tu. l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data dal MA., e ciò ancora alla fine dell'anno 2012 (secondo il teste Tu. il MA. aveva dato tale consiglio "perché questo tipo di operazioni era borderline e poteva destare l'attenzione della CONSOB e della Banca d'Italia"); il teste Gi.Am., responsabile nel periodo 2013-2014 della divisione retail, affermava che l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data da Em.Gi. ma era stata ripresa e ribadita anche da Pa.Ma., il quale - sempre a detta del teste Am. - aveva altresì respinto alcune pratiche in cui era indicata in modo esplicito la destinazione del finanziamento all'acquisto delle azioni di B.. Quanto poi all'altro espediente emerso durante l'istruttoria dibattimentale, ossia la precauzione di mantenere - per prevenire eventuali sospetti - una qual certa sfasatura temporale tra l'erogazione del fido e l'acquisto delle azioni B., il teste Co.Tu. affermava che il consiglio di far intercorrere un lasso di tempo alquanto lungo tra la delibera di affidamento, la sottoscrizione delle azioni e l'addebito sul conto era venuto da Ma.Pa. (peraltro nel corso del controesame il teste Tu. aveva dichiarato che lo scopo dell'indicazione di mantenere una sfasatura temporale non era quello di occultare l'effettiva finalità del finanziamento bensì, "principalmente", quello di evitare sconfinamenti sul c/c); il teste Lu.Ve. ricordava che la raccomandazione di far rispettare la sfasatura temporale era stata del GI., il quale aveva comunque precisato trattarsi di una linea operativa concordata con la Divisione Crediti. A memoria del teste En.Da. il consiglio di osservare la sfasatura temporale era venuto - benché di fatto i fidi non venissero gestiti dalla loro divisione di appartenenza che era la Divisione Mercati - da Em.Gi. e Co.Tu., i quali a loro volta dissero che ciò era stato specificamente concordato con la Divisione Crediti; sempre il teste capo area Da. ricordava che il MA. in una o due occasioni lo aveva contattato per operazioni correlate ove il teste stesso aveva mandato contestualmente alla Divisione Crediti sia la pratica di finanziamento sia il modulo già compilato di acquisto delle azioni, restituendogli tali pratiche con il seguente rimprovero: "non voglio vedere queste cose qua, mandi la pratica in maniera corretta e le azioni le acquisti quando la pratica è stata deliberata". Il teste Se.Ro., dell'Ufficio Soci, affermava che, a seguito dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012, il direttore generale So. e i vicedirettori GI. e MA. avevano raccomandato alla rete di fare in modo che la data di acquisto delle azioni fosse successiva alla data di delibera dei finanziamenti, ma ciò solo per evitare - a suo dire - sconfinamenti sul c/c. Il primo giudice affermava che vi era anche una prova documentale -rappresentata dal sopra illustrato file audio della registrazione dello svolgimento del Comitato di Direzione dd. 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.) - del fatto che la linea di indirizzo in tema di rispetto della sfasatura temporale nelle operazioni "baciate" fosse stata concordata con la Divisione Crediti diretta da Pa.Ma.; ne riportava al riguardo (cfr. pagg. 685-686 sentenza gravata) un lungo stralcio - a suo dire particolarmente eloquente - relativo a un dialogo tra lo stesso MA. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.. Il tribunale procedeva quindi a illustrare la ed. "campagna riqualificazione impieghi", deliberata dal CdA il 21.10.2014 (giusta doc. nr. 102 del P.M.) e presentata al Consiglio proprio da Pa.Ma.; trattavasi di un'iniziativa finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate - in sede di rinnovo o di revisione degli affidamenti - in base al peso percentuale delle azioni B. detenute dal cliente. Il primo giudice, sempre al fine dì illustrare il ritenuto protagonismo della posizione rivestita da Pa.Ma. nell'attuazione delle operazioni correlate, ricordava un episodio narrato da Um.Se., già direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu.: dalla capogruppo B. era giunta (su indicazione di Em.Gi. e Co.Tu. della Divisione Mercati, condivisa dalla Divisione Crediti nella persona di Pa.Ma.) una lista di nominativi ai quali la stessa Ba.Nu. avrebbe dovuto concedere affidamenti accompagnati dall'acquisto di azioni B. per un controvalore pari al 10-15-20% dell'intero affidamento; il teste Se., notando che alcuni dei nomi compresi nell'elenco corrispondevano a società sottoposte a procedura concorsuale, aveva parlato con Cl.Am. - della Divisione Crediti di B., subalterno del MA. - per chiedere spiegazioni; l'Am., dopo aver conferito con il suo superiore Pa.Ma., aveva replicato che Ba.Nu. doveva limitarsi a eseguire le direttive senza discuterle e che un tanto gli era stato detto dal MA.: "Guarda, il dottor Ma. mi ha urlato e mi ha detto che questa cosa la dovete fare. Punto e basta". Il collegio vicentino passava quindi ad illustrare gli estremi di una operazione correlata di finanziamento proposta personalmente nell'ottobre 2012 da Pa.Ma. a un imprenditore da lui conosciuto nel 2007 (quindi tre anni prima di entrare in B.), ossia Ez.Ci. del gruppo (...), del quale veniva acquisito in dibattimento ex art. 493 comma 3 c.p.p. il verbale delle s.i.t. rese il 24.10.2016. Il Ci. aveva dichiarato a s.i.t. che nell'occasione il MA. si era presentato a lui proponendogli di sottoscrivere azioni B. per complessivi 5 milioni di euro; alle perplessità del Ci., che aveva risposto di non disporre delle risorse a ciò necessarie. Il MA. aveva a sua volta replicato che B. avrebbe erogato un finanziamento di pari importo, a termine con scadenza di un anno, destinato ad essere garantito dalle stesse azioni B. che poi sarebbero state tenute in custodia dalla banca. Il Ci. si era risolto ad accettare la proposta dopo che MA. lo aveva rassicurato dicendogli che operazioni analoghe erano del tutto lecite ed erano state proposte anche ad altri imprenditori (da lui non nominati trattandosi a suo dire di notizia riservata); a ottobre 2013 detta operazione era stata rinnovata annualmente e così pure l'anno seguente. Nel maggio-giugno del 2013 B. aveva proposto al Ci. di partecipare all'aumento di capitale di quell'anno, il che anche in tal caso era avvenuto grazie a un finanziamento concessogli dalla stessa B.. Un pieno riscontro alle s.i.t. del Ci. era rappresentato - ad avviso del tribunale - dalla deposizione del teste Fr.Pi., capo area del distretto Veneto occidentale (indicato al Ci., nel racconto di questi, dal MA. come colui che avrebbe seguito la sua pratica, e così era stato). Il primo giudice individuava ulteriori elementi probatori del coinvolgimento a pieno titolo di Pa.Ma. nelle operazioni correlate effettuate da B. mediante c.d. "baciate" nelle deposizioni dei testi Gi.Gi., in B. con il ruolo di direttore regionale di Lombardia, Liguria e Piemonte (secondo il quale le pratiche di fido relative a operazioni "baciate" erano preannunciate alla Divisione Crediti e condivìse con i componenti di essa incluso il suo vertice MA., il quale partecipava altresì al comitato crediti ove pure veniva sempre evidenziata - dai componenti la Divisione Crediti che vi partecipavano - l'eventuale natura "baciata" delle pratiche di fido ivi presentate), e Fu.Bo., capo area (che rendeva sul punto dichiarazioni di analogo tenore), nonché in alcuni messaggi sms (in particolare il doc. nr, 653 del Pubblico Ministero, relativo a un sms del 27.9.2011, e il suo doc. nr. 655, relativo a un sms del 26.10.2012) nei quali il MA. ricordava al direttore generale So. di riferire al Presidente circa alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato, indicandogli nominativamente i soggetti suscettibili di essere finanziati - effettivamente risultati tali in seguito - nonché, in molti casi, il relativo importo). Ulteriore elemento probatorio indicato dal primo giudice a carico del MA. erano le risultanze degli accertamenti interni svolti dall'audit di B. sul capitale finanziato, in particolare la nota 7.5.2015 dell'Internaf audit (doc. nr. 23 del Pubblico Ministero) nella quale si evidenziava tra l'altro come la maggior parte delle numerose posizioni correlate rinvenute nel portafoglio di Ro.Ri., gestore private della filiale di Contrà Porti, fossero state deliberate da organi collegiali su presentazione proprio di Pa.Ma. (87%) oppure fossero state deliberate dallo stesso responsabile della Divisione Crediti. Il collegio vicentino passava quindi a ricostruire le interlocuzioni avute dal MA. con la vigilanza, rinviando - quanto a quelle inerenti all'ispezione della Banca d'Italia del 2012 - all'apposito cap. IX della sentenza, interamente dedicato a tale ispezione. In particolare tanto il teste Ma.Pa. (nel riferire di due incontri interlocutori da lui condotti cui aveva partecipato il MA. nel luglio 2013, il primo assieme al segretario generale Ma.So. e il secondo assieme al direttore generale Sa.So.) quar°z(il teste Vi.Ca. (nel riferire dell'accesso da lui condotto da febbraio ad agosto 2014 nell'ambito dell'AQR - Asset Quality Review, ove si era stabilmente relazionato con il MA.) precisavano che in tali occasioni nessuno aveva fatto il benché minimo riferimento al ricorso all'assistenza finanziaria per il collocamento delle azioni. Il primo giudice indi illustrava la versione dell'imputato, resa in occasione dell'esame dibattimentale tenutosi nelle udienze dell'11 e del 16 giugno 2020, evidenziando come essa da un lato fosse difforme dalle stesse dichiarazioni rese dal MA. in sede di indagini preliminari (interrogatori del 28 aprile e del 2 maggio 2017) e dall'altro lato configgesse in più punti - ad esempio nella parte in cui egli affermava che la causale generica "acquisto valori mobiliari e immobiliari", in uso almeno dal 2006, fosse un mero espediente tecnico per garantire il perfezionamento del fido in quanto, a suo dire, non esisteva il prodotto "finanziamento per acquisto azioni", o nella parte in cui egli affermava di non essere mai stato informato del fatto che i finanziamenti fossero destinati all'acquisto delle azioni - con il sopra delineato quadro probatorio. Il primo giudice evidenziava come l'esame dibattimentale del MA. divergesse radicalmente dai suoi interrogatori resi in sede dì indagine preliminare, in particolare dall'interrogatorio del 28.4,2017 in relazione alla vicenda dell'Operazione Sorgente (in tesi accusatoria si trattava di un'operazione "baciata" attraverso la quale la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato un finanziamento di 25 milioni di euro alla società So. Ltd., facente parte del gruppo Mainetti, che era stato utilizzato per acquisto di azioni B. al fine di consentirne la dismissione dal fondo estero "(...)"). In sede di esame dibattimentale il MA. negava trattarsi di operazione correlata mentre durante le indagini preliminari l'aveva definita "un'operazione baciata imposta da PI. al So. (...) Sono venuto a conoscenza di questa operazione con la proposta di affidamento giunta in Divisione Crediti. Ho compreso che si trattava di un'operazione baciata in quanto la causale dell'affidamento era indicata con la generica dicitura di cui ho detto prima, "cogliere opportunità di mercato" o analoghe, e inoltre vi era l'impegno al deposito dei titoli presso B.". Che la versione rispondente al vero fosse quella resa dal MA. in sede di indagini preliminari - proseguiva il tribunale - lo si evinceva da due elementi di prova rappresentati dal più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014 (nella trascrizione prodotta dal Pubblico Ministero quale suo doc. nr. 110, cfr. ieri particolare sua pag. 43) e da una conversazione intercettata Io.-Ma. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. Il tribunale evidenziava altresì come un ulteriore assunto del MA. - secondo cui egli e il suo sottoposto Cl.Am. avevano disvelato agli ispettori della Banca d'Italia nel 2012 il carattere correlato delle operazioni effettuate da almeno una quindicina circa dei clienti dì cui alla lista dei primi trenta soci di B. - fosse stato smentito dalle deposizioni dei predetti ispettori (che avevano concordemente negato la circostanza) e non avesse trovato il benché minimo riscontro in atti. Né - significativamente, secondo il collegio vicentino - il MA., soggetto da ritenersi nel complesso del tutto inattendibile, aveva mai accennato a tale preteso disvelamento neppure nei suoi atti giudiziari relativi alle cause di lavoro e all'azione di responsabilità dinanzi al tribunale delle imprese. Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono il primo giudice riteneva indubitabili il rilevante apporto causale concorsuale del MA. a tutti i reati ascrittigli (in base alla tabella n. 1 allegata al supplemento di consulenza tecnica del Pubblico Ministero dd. 14.11.2019 egli risultava avere partecipato consapevolmente alla fase deliberativa di finanziamenti correlati per un importo di circa 800 milioni di euro, di cui 414 milioni deliberati dal CdA su pratiche presentate dall'imputato, 160 milioni deliberati dal Comitato Crediti di cui il MA. era membro, 108 milioni deliberati dallo stesso MA. quale organo monocratico dotato di autonoma potestà deliberativa, 63 e 49 milioni rispettivamente deliberati dal Comitato esecutivo e dal Comitato Centrale fidi, anche in tal caso sulla base della presentazione di pratiche effettuata dal MA.) e il pieno ricorrere dell'elemento soggettivo del reato. 1.9.4 Pi.An. Con riferimento all'imputato Pi.An. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Finanza (nella quale egli operava con tale qualifica dal 2009 oltre a rivestire in B. anche il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale nr. 261 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Finanza erano così descritte dal tribunale: - partecipare al coordinamento e allo sviluppo delle attività del mercato primario e secondario su comparti azionari e obbligazionari: - curare l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi e l'emissione dei prestiti obbligazionari del gruppo, coordinandosi con le Unità competenti; - collaborare con la Divisione Mercati nell'adeguare i prodotti e i servizi finanziari da offrire alla clientela, sulla base delle esigenze/opportunità rilevate, tenendo conto delle linee guida definite dal Comitato Prodotti e Wealth Management; s all'interno della Divisione Finanza poi il nucleo "Documentation" si occupava di valutare l'adeguatezza e l'allineamento degli strumenti finanziari e dei processi alla normativa primaria (TUF, TUB, Regolamenti CONSOB e Banca d'Italia) e secondaria nonché alla normativa interna nella prestazione dei servizi d'investimento o comunque nello svolgimento dell'attività della Divisione Finanza, con precipuo riferimento alla materia dei servizi di investimento, supportando la divisione nei rapporti con le funzioni di compliance, legale, auditing e organizzativa; - l'Unità svolgeva inoltre un ruolo di supporto alle funzioni responsabili del processo di gestione delle informative da fornire alla clientela prima della negoziazione di strumenti finanziari, in conformità al dettato dell'art, 31 del Regolamento intermediari, nelle fasi di aggiornamento delle stesse; - partecipazione, per la parte di competenza della Divisione Finanza, alla redazione della relazione per le Autorità di vigilanza sulle procedure di svolgimento dei servizi di investimento; s assicurare l'informativa e le segnalazioni istituzionali di propria competenza, coordinandosi con le Unità competenti. Il primo giudice affermava (cfr. pag. 703 sentenza gravata) che dall'istruttoria dibattimentale era emersa "la prova del ruolo svolto da An.Pi. in alcune operazioni di capitale finanziato di rilevante importo effettuate attraverso la controllata irlandese B.Fi. e nella sottoscrizione dei fondi lussemburghesi utilizzati come strumento di detenzione indiretta delle azioni proprie da parte della banca vicentina, in particolare - attraverso i fondi esteri - nell'ambito dell'iniziativa svuota fondo 2012 furono collocati 60 milioni di euro di azioni B.". Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il collegio vicentino individuava plurime condotte ritenute penalmente rilevanti a carico del PI. e in particolare: - operazioni di capitale finanziato effettuate, estero su estero, dalle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" - tre società denominate Ma., Ju. e Br. - tanto nel 2012 (in occasione della relativa campagna svuota fondo) quanto nel 2013 (in occasione dell'aumento di capitale di quell'anno). Per la precisione - in base alla ricostruzione effettuata in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma., riscontrato dalle deposizioni rese dai testi Gi.Gi. (in B., come detto, con la veste di direttore regionale per Lombardia-Liguria-Piemonte) e Pi.Ra. (d.g. di B.Fi.) - nel novembre/dicembre 2012 la controllata irlandese B.Fi., il cui direttore era il teste Pi.Ra., risultava avere erogato tre fidi c.d. "bullet", di 10 milioni di euro l'uno, alle suddette società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali a loro volta avevano girato la liquidità cosi ricevuta a tre società italiane neocostituite e denominate Pe. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime (facenti capo al gruppo Fi., il cui direttore finanza era Ma.Sb.) avevano provveduto ad acquistare azioni B. per importi corrispondenti ai finanziamenti erogati. Indi, nel luglio 2013, la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato nuovi finanziamenti per 3 milioni di euro alle tre società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali anche in tale occasione avevano girato la liquidità così ricevuta alle tre società italiane denominate Pe.In. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime a loro volta avevano sottoscritto azioni e obbligazioni convertibili per un ammontare equivalente; i testi Gi. e Ra. avevano delineato il ruolo attivo dell'imputato PI. in entrambe le operazioni (la cui istruttoria era stata seguita dalla Divisione Crediti della capogruppo B.) e in particolare il teste Ra., direttore della controllata irlandese B.Fi., aveva indicato il PI. come colui che gli aveva richiesto di impostare i suddetti finanziamenti, affermando altresì essersi trattato di operazioni atipiche per B.Fi., la quale generalmente finanziava aziende produttrici dì beni e non concludeva operazioni strettamente finanziarie (cosa questa obiettata dal Ra. al PI., il quale tuttavia gli aveva replicato - nella prima delle due occasioni - che occorreva fare l'operazione "per aiutare la banca a comprare le proprie azioni" e riuscire così a svuotare il fondo acquisto azioni proprie entro la fine dell'anno 2012). Un altro teste, Gi.Fe., direttore della Divisione Compliance, ricordava che, nel corso di un'attività ispettiva svolta dalla Compliance a Dublino nel 2013 nei confronti di B.Fi., i finanziamenti concessi alle "tre sorelle" lussemburghesi erano emersi, il che lo aveva indotto a rivolgersi al direttore generale So. che a sua volta lo aveva indirizzato al PI.; questi aveva rassicurato il Fe. dicendogli che in quel periodo B. stava acquistando molte azioni (...) e che in contropartita la Save stava comprando azioni B.; s investimento della somma complessiva di 350 milioni di euro (di cui 200 milioni investiti dalla capogruppo B., 100 per ciascun fondo, e i restanti 150 milioni investiti dalla controllata irlandese B.Fi. in due fondi lussemburghesi denominati "(...)" e "(...)" (sotto-fondi (...) Multistrateqy I e II). utilizzati quale strumento di detenzione indiretta delle azioni di B. (per tale tramite nel 2012 erano state concluse operazioni c,d. "svuota fondo" - atte cioè ad alleggerire il fondo acquisto azioni proprie di B. - del valore di 60 milioni di euro). La delibera di investimento nei fondi in oggetto, adottata dal CdA di B. in data 21.2.2012 (in atti quale doc. n. 325 del Pubblico Ministero), era stata sottoscritta dal PI. quale responsabile della Divisione Finanza dopo che lo stesso aveva illustrato al CdA i termini dell'operazione, a sua volta in precedenza pianificata nel corso di una riunione tenutasi il 5.12,2011 tra Ma.So., Fi.Ro. e An.Pi. per B. e la coppia di rappresentanti del fondo "(...)" formata da Al.Ma. - sentito quale teste ex art, 507 c.p.p. su richiesta della difesa del PI. - e Gi.Ma.. Ciò risultava dalle deposizioni del teste ispettore Gi.Ma., dei testi Ma.So. e - soprattutto - Fi.Ro. nonché dai messaggi sms (in atti quale doc. nr. 311 del P.M.) intercorsi nel novembre 2012 - pochi giorni prima della sottoscrizione dei contratti con i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" avvenuta il 28.11.2012 - fra An.Pi. e i gestori dei fondi stessi. Subito dopo aver ricevuto tali capitali i due fondi "(...)" e "(...)" avevano comprato azioni B.. Secondo il tribunale vicentino il fatto che tale investimento di B. nei fondi lussemburghesi - lungi dall'indicare un interesse di questi ultimi a diventare soci della banca, come ammesso, secondo il teste Fi.Ro., anche dal direttore generale So. durante il comitato soci del 18.12.2012 - fosse stato puramente strumentale all'esigenza della stessa banca dì svuotare il proprio fondo acquisto azioni emergeva non soltanto dalla stretta consequenzialità temporale fra tutte le operazioni come sopra descritte ma altresì dalla deposizione dello stesso teste Fi.Ro. (facente parte dell'Ufficio Soci di B.), che ricordava di avere assistito al riguardo - nel novembre 2012 -a un breve incontro sul tema tra il direttore generale Sa.So., il responsabile della Divisione Mercati Em.Gi. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi. (nell'occasione il So., secondo la ricostruzione del teste Ro., aveva esposto la necessità di svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B. per un ammontare di 100 milioni di euro; il PI. si era Impegnato a effettuare operazioni "svuota fondo" per 60 milioni di euro e il GI. aveva assicurato che avrebbe fatto altrettanto per un valore di 40 milioni di euro). Sempre il teste Ro. affermava che, come preannunciatogli dall'imputato PI., egli era stato contattato poco prima della fine del 2012 dagli intermediari dei fondi (per il fondo "(...)" trattavasi del broker inglese Ma.Sp.; l'operazione sul piano amministrativo era stata gestita per Ma.Sp. da Ti.Ch., anch'egli sentito come teste); - di questi, gli investimenti nel sotto-fondo (...) Multistrategy II erano stati posti in essere, come sopra accennato, dalla controllata irlandese B.Fi.. Nel luglio 2013 il CdA della capogruppo B. aveva infatti ampliato il portafoglio di investimento della controllata irlandese B.Fi. portandolo dalla somma di 35 milioni a quella di 300 milioni di euro, dei quali 150 milioni erano stati dalla stessa controllata investiti, nei due mesi seguenti, nel sotto-fondo (...) Multistrategy II in due tranche rispettivamente da 100 e da 50 milioni di euro; tale investimento era avvenuto - in base alla deposizione del teste Pietro Ra., direttore di B.Fi. - su precisa indicazione di An.Pi., il quale, sempre a detta del Ra. (che evidenziava altresì l'anomalia dell'ingente importo degli investimenti in un singolo fondo rispetto a quanto era usuale per B.Fi. nonché l'anomalia relativa alla non visibilità dei sottostanti), aveva messo quest'ultimo in contatto con Gi.St. (membro del CdA di (...) Evolution Fund SIF e funzionario senior di (...) Asset Management), soggetto che - citato a deporre quale teste dalla difesa del PI. nel presente procedimento con le garanzie ex art. 210 c.p.p. in quanto indagato per reato connesso di bancarotta fraudolenta a seguito della dichiarazione di insolvenza di B. - si era avvalso della facoltà di non rispondere. Dal canto suo il teste Pi.Ra. - che aveva evidenziato una progressivamente crescente ingerenza di B. nell'autonomia gestionale di B.Fi. - affermava di essere stato rassicurato dal PI. circa le sue perplessità e preoccupazioni derivanti dalle anomalie come sopra illustrate. Le articolate modalità della successiva dismissione (avvenuta nel corso del 2014, in parte mediante operazione di equity swap in compenso tra azioni B. e azioni Veneto Banca) delle azioni B. detenute dai fondi esteri in oggetto venivano illustrate dal collegio vicentino alle pagg. 712-713 della gravata sentenza (la dismissione, accertata in sede ispettiva, era riscontrata - al pari del ruolo svolto in essa da An.Pi. - anche dalle dichiarazioni del teste Ro.Ri., gestore private della filiale B. di Contrà Porti); s operazione correlata di finanziamento effettuata in favore della società So. Ltd. (appartenente al gruppo MainettO attraverso la controllata irlandese B.Fi., che le aveva erogato un fido c.d. "bullet" per un importo di circa 25 milioni di euro. Con tale liquidità la So. Ltd. a sua volta aveva acquistato, nel dicembre 2014, 13,5 milioni dì euro di azioni B. dal fondo "(...)" di milioni di euro di azioni B. dal fondo "(...)". Il tutto emergeva dall'ispezione BCE del 2015 e anche in questo caso - osservava il primo giudice - il ruolo centrale nell'organizzazione della relativa operazione era stato rivestito da An.Pi., secondo quanto dichiarato in sede dibattimentale dai testi Pi.Ra. - direttore della controllata irlandese B.Fi. - e Wa.Ma., amministratore delegato del gruppo So. (quest'ultimo precisava che era stato il PI. a proporgli un finanziamento di 25 milioni di euro "siccome dobbiamo collocare un po' delle nostre azioni" e affermava che, vinta la propria iniziale perplessità, alla fine aveva accettato); un solido riscontro a tali deposizioni - e non solo ad esse ma altresì, ad esempio, al coinvolgimento del PI. nella decisione della banca di ricorrere alle lettere di impegno nonché al suo attivarsi per reperire una soluzione atta a consentire la dismissione delle azioni B. detenute dai fondi - era individuato dal primo giudice nel più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione tenutosi in data 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.); un ulteriore riscontro veniva individuato nella conversazione intercettata Io./MA. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. A tutto ciò si aggiungeva la deposizione resa da Al.Ma. - fondatore di (...) Asset Management - il quale, sentito come teste ex art, 507 c.p.p., su richiesta della difesa del PI., confermava che i fondi (...) Multistrategy I e II erano stati costituiti nell'interesse esclusivo di B. quale unico investitore del fondo. Il tribunale vicentino proseguiva la propria disamina indicando come dimostrati anche gli investimenti, operati dai fondi esteri in questione, su indicazione del PI., in obbligazioni emesse da società legate ai gruppi imprenditoriali Ma., Fu. e De., già fortemente esposti nei confronti di B.; contestualmente anche gli impieghi in equity risultavano essere stati indirizzati, su indicazione dello stesso PI., nei confronti di società illiquide clienti di B.: la Me.Ca. SpA (legata ad Al.Ma.) e la Ital-Finance SpA (riconducibile al gruppo De Gennaro). Inoltre - notava il primo giudice - il PI. risultava coinvolto più in generale nell'intera illecita operatività di B., risultando egli essere stato fra l'altro presente (giusta appunti manoscritti redatti dal teste Ma.So., in atti quale doc. nr. 389 del P.M.) al Comitato di Direzione tenutosi l'8.11.2011 nel quale erano stati effettuati inequivoci riferimenti alle c.d. operazioni "baciate" quale strumento da adottare per svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B.. Allo stesso modo, sempre secondo la ricostruzione operata dal primo giudice, il PI. doveva ritenersi coinvolto anche nel rilascio delle lettere di impegno da parte di B. oltre che in altre operazioni di capitale finanziato, come riferito dai testi An.Fa. (imprenditore del settore tessile) ed Ed.Ta. (altro imprenditore). Ancora, il teste Ma.So. aveva riferito di avere presenziato a un colloquio tra il direttore generale So. e il PI. su come strutturare "operazioni volte ad acquisire capitale" con l'imprenditore Luca Fe.ni (sentito a sua volta quale teste) e con il Fondo Ag. (in quest'ultimo caso l'operazione - ricostruita in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma. -in sede ispettiva non era stata considerata finanziata pur essendo assistita da una lettera di impegno). Il collegio vicentino richiamava altresì l'episodio della società di revisione K. (già esaminato sopra in relazione alla posizione dell'imputato GI.) evidenziando come, in base alla deposizione resa dalla teste avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., risultasse essere stato presente anche il PI. - assieme al direttore generale So. e al responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. - a una riunione convocata a seguito delle richieste dì delucidazioni rivolte alla banca da K.; nell'occasione, come già detto, l'avv. Pa. si era rifiutata di fornire il parere legale richiestole, suggerendo invece al So. (che aveva reagito in malo modo) di fare subito un audit, al che il PI. - come già evidenziato supra - aveva, a suo dire, ribattuto: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa". L'imputato PI. risultava aver fatto parte anche della già citata "Task Force Gestione Soci" costituita e attivata - ufficialmente - a seguito dell'entrata in vigore del Regolamento UE n. 575/2013 (c.d. CRR) e del Regolamento Delegato UE n. 241/2014 nonché del D.L. n. 3/2015; la costituzione di tale Task Force trasversale alle varie Divisioni, che avrebbe dovuto reperire e adottare misure atte a ripristinare l'interazione con la base sociale attraversata da crescente disorientamento e scontento, era stata preceduta da una documentata riunione operativa tenutasi il 24.4.2015 (il relativo resoconto è in atti quale doc. nn. 525 del P.M.). In realtà - proseguiva il primo giudice - la partecipazione e il coinvolgimento del PI., responsabile della Divisione Finanze, nella Task Force in questione apparivano funzionalmente eccentrici rispetto agli scopi di essa e si spiegavano solo "in ragione dei suo coinvolgimento in tutti gli aspetti relativi all'anomala operatività della banca" (cfr. pag 724 sentenza gravata). Il primo giudice si diffondeva altresì sulle occasioni nelle quali il PI. aveva avuto interlocuzioni con la vigilanza. Per la precisione si trattava di due riunioni interlocutorie tenutesi nel 2013 (durante la fase preparatoria dell'aumento di capitale di quell'anno) e nell'autunno del 2014 (allorquando erano emerse le problematiche relative ai riacquisti effettuati da B. nonché al deficit patrimoniale a seguito del Comprehensive Assessment). Il tribunale affermava che in ambedue le occasioni il PI. aveva fornito alla vigilanza indicazioni false e fuorvianti circa i livelli di patrimonializzazione di B.; era stato altresì omesso in tali occasioni qualsiasi accenno agli squilibri del capitale azionario e al fenomeno del capitale finanziato. Sulla prima riunione interlocutoria, tenutasi il 27 marzo 2013 su richiesta j della stessa B. (e alla quale avevano partecipato per la banca il direttore° generale Sa.So., il segretario generale Ma.So., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. e per l'appunto il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.), il teste Ma.Pa. - nel precisare che si trattava dì una riunione finalizzata a fornire, da parte della banca, aggiornamenti circa gli interventi pianificati per rafforzare il livello di patrimonializzazione del gruppo - aveva affermato che gli esponenti di B. gli avevano illustrato le caratteristiche principali dell'operazione programmata; queste ultime corrispondevano a quelle dell'aucap 2013 poi effettivamente realizzato, compresa la "campagna soci volta all'ampliamento della base azionaria (Euro 100 mln)", con "associata l'erogazione di finanziamenti, ai sensi dell'art. 2358 c.c. riservata ai nuovi soci. Sempre secondo il teste Pa., inoltre, tanto il PI. quanto il PE. avevano dimostrato di essere già a conoscenza del fatto che il capitale sottoscritto mediante finanziamenti concessi dalla banca non potesse essere computato ai fini del patrimonio di vigilanza se non nella quota del finanziamento nel frattempo oggetto di rimborso. A null'altro di quanto fino a quel momento accaduto si era fatto cenno, da parte dei predetti, in tale prima riunione come pure nella seconda riunione, tenutasi il 20.10.2014 tra Banca d'Italia e B. (in rappresentanza di quest'ultima erano stati presenti if PI. e il PE.). In base alla deposizione del teste ispettore Em.Ga., poi, risultava un contegno estremamente reticente del PI. in relazione alla sua conoscenza di quali investimenti fossero sottostanti ai fondi esteri dei quali sopra si è detto. Interpellato al riguardo dal team ispettivo il PI. si era limitato a giustificare tale assenza di informazioni con la reticenza dei gestori. Era stato allora rappresentato al direttore generale So., da parte della vigilanza, che in caso di mancata disclosure degli investimenti sottostanti si sarebbe scomputato l'intero importo di Euro 350 milioni dal patrimonio di vigilanza, al che le informazioni richieste erano prontamente pervenute. Il tribunale vicentino, dopo aver illustrato i contenuti della deposizione resa dal teste Massimo Castelluccio - all'epoca dei fatti in forza alla Divisione Finanza e dunque subalterno del PI. - circa le modalità della predisposizione dei documenti di offerta, passava in rassegna i contenuti di alcune conversazioni telefoniche e messaggi sms oggetto di intercettazione, contenenti, a suo avviso, significative ammissioni dello stesso PI. in ordine al proprio pieno coinvolgimento nei fatti per i quali qui si procede: conversazione progr. n. 360 dell'1.9.2015 tra il PI. e Mo.An.di UBS; messaggi sms scambiati il 3 maggio 2015 dal PI. con Em.Gi. (il primo scriveva ivi al secondo: "Deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori"). Indi il primo giudice illustrava i contenuti della versione dei fatti resa dall'imputato PI. - in sede di esame dibattimentale dd. 3.3.2020 - sui vari temi sopra ampiamente passati in rassegna (fra questi: prassi gestionale dei finanziamenti correlati, a suo dire appresa solo a seguito dell'ispezione BCE; lettera di impegno al riacquisto rilasciata all'imprenditore tessile Fa., in relazione alla quale il PI. sosteneva di avere detto all'imprenditore - che la pretendeva - di non poter fare nulla e di essersi limitato per parte sua a metterlo in contatto con il direttore generale So., che in effetti risultava essere il sottoscrittore della lettera di impegno poi concretamente emessa; operazione "So.", in relazione alla quale il PI. sosteneva non trattarsi di una operazione correlata; triangolazione coinvolgente le società c.d. "tre sorelle lussemburghesi", in relazione alla quale il PI. sosteneva di non aver mai saputo che alle anzidette società fosse stato erogato un finanziamento correlato per l'acquisto di azioni, scoprendolo solo dopo l'erogazione, allorquando si era avveduto che nel portafoglio titoli delle società stesse vi erano azioni B.; episodio, già più volte citato, dello scontro con l'avv. Pa. dell'ufficio legale di B. riguardo alla vicenda della società di revisione K., in relazione alla quale il PI. sosteneva di essersi limitato a dire alla Pa. che, come dirigente dell'ufficio legale alla quale era stato richiesto di redigere un parere, si sarebbe dovuta assumere le sue responsabilità; vicenda fondi "(...)" e "(...)", in relazione alla quale il PI. affermava che si era trattato di un'idea del direttore generale So. in vista dell'aucap 2013, che comunque i fondi erano stati sottoscritti dal So. sulla base del parere favorevole tanto dell'ufficio legale quanto della compliancet che in relazione alla seconda delle due operazioni egli si era limitato a presentare Gi.St. di (...) Asset Management al direttore generale della controllata irlandese B.Fi., Pi.Ra. e che, - in ogni caso - egli non era stato mai coinvolto dai fondi nella scelta degli investimenti sottostanti). Secondo il collegio vicentino tutte le anzidette affermazioni di esclusione della propria responsabilità rese dal PI. in sede di esame trovavano smentita nel complesso delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale come sopra passate in rassegna nel ricostruire i vari episodi ritenuti dallo stesso primo giudice idonei a rivestire rilevanza penale a carico dell'imputato. Quanto poi alla linea difensiva del PI. riguardo a numerosi fra i testi a suo carico (in particolare i testi Pi.Ra. e Fi.Ro.), ossia che si sarebbe trattato di testi del tutto inattendibili perché interessati a incolpare lo stesso PI. pur di allontanare ogni sospetto nei loro confronti, il tribunale ribatteva che le loro deposizioni risultavano munite di plurimi riscontri, indicati nel dettaglio alle pagg. 730-732 della gravata sentenza, 1.9.5 Pe.Ma. Con riferimento a Pe.Ma. il primo giudice - dopo avere richiamato l'ipotesi d'accusa, secondo la quale costui avrebbe concorso nei reati di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza nella sua qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili rilevanti nella prassi aziendale della concessione dì finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. ed avrebbe, altresì, fornito un concreto contributo alla realizzazione dei reati di falso in prospetto in ragione della sua responsabilità nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazioni all'autorità di vigilanza - evidenziava come l'imputato, nel periodo d'interesse 2011-2014, avesse ricoperto l'incarico di responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione nonché quello di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, donde la sua estraneità alla esecuzione delle operazioni di capitale finanziato. La responsabilità del PE., pertanto, avrebbe richiesto la verifica, per un verso, "a monte", della consapevolezza, in capo al predetto, dell'esistenza e della consistenza del fenomeno in esame; e, per altro verso, "a valle", dell'apporto da questi fornito alla realizzazione delle attività delittuose attraverso la predisposizione di documenti, diretti al mercato ed alle autorità di vigilanza, contenenti informazioni caratterizzate dall'occultamento di detto fenomeno. Sotto il primo profilo il tribunale premetteva una analitica individuazione del ruolo concretamente svolto dall'imputato all'interno delia compagine bancaria, sottolineando come il PE., nella sua qualità di direttore della suddetta Divisione, dipendesse gerarchicamente dal solo d.g. So.. Nella sua qualifica di dirigente preposto, poi, il predetto riferiva direttamente al CdA per il tramite del comitato di controllo. Più nel dettaglio, l'imputato costituiva il vertice di una divisione che comprendeva due uffici di staff (l'ufficio studi e lo staff del dirigente preposto), disponeva di ben 75 unità e che, attraverso le sue articolazioni (segnatamente attraverso la Direzione Pianificazione Strategica, diretta da An.Fa.), svolgeva una pluralità di attività che andavano dal supporto alla direzione generale nella redazione dei piani economici pluriennali e dei budget annuali di tutte le strutture della banca, alla gestione dei rapporti con le società di consulenza e con la struttura dell'esperto indipendente incaricato annualmente di effettuare la valutazione dell'azione; dal monitoraggio teso a verificare il rispetto dei ratios patrimoniali della banca in relazione agli attivi ponderati (RWA) e all'andamento del fondo acquisto azioni proprie, al controllo costante dell'andamento della rete commerciale (verificato attraverso l'attività dell'ufficio CRM). Per il tramite della Direzione Ragioneria Generale - diretta da Lu.Tr. e facente parte anch'essa della Divisione Bilancio - poi, venivano curati gli adempimenti fiscali, gestita la contabilità, predisposto il bilancio di esercizio e quello consolidato e, infine, redatte le segnalazioni all'autorità di vigilanza. Ebbene, in un contesto tanto articolato era giocoforza che il PE. svolgesse un ruolo di coordinamento, occupandosi anche di assicurare una garanzia di coerenza fra i dati gestionali e quelli contabili, mentre la gestione dei dati di dettaglio e le attività correnti erano necessariamente demandate alla struttura nel suo complesso, adeguatamente dotata di risorse umane (numerose unità; plurimi dirigenti) e materiali. Quanto, poi, alle funzioni attribuite al dirigente preposto (figura prevista e disciplinata dall'art. 154 bis TUF), tale soggetto si occupava non già della redazione materiale dei documenti contabili societari, bensì della "predisposizione di adeguate procedure amministrative e contabili per la formazione del bilancio di esercizio e, ove previsto, del bilancio consolidato, nonché di ogni altra comunicazione di carattere finanziario" (art. 154 bis co. 3). Inoltre a costui competeva attestare la corrispondenza degli atti e delle comunicazioni "alle risultanze documentali ai libri e alle scritture contabili", come previsto dall'art. 154 bis TUF. Nello specifico, all'interno di B., in linea con la normativa di riferimento, la figura del dirigente preposto era disciplinata dal "Modello del Dirigente Preposto alla redazione dei documenti contabili societari"; modello che prevedeva che ciascuna funzione aziendale di controllo trasmettesse al dirigente preposto i risultati delle verifiche di propria competenza. Di qui la necessità, affinché il dirigente preposto potesse svolgere correttamente il proprio ruolo, della correttezza e veridicità delle informazioni che ciascuna struttura aziendale trasmetteva al suddetto dirigente. Tanto premesso, nessuno degli organi di controllo (collegio sindacale, audit, organismo di vigilanza, compliance) - precisava il primo giudice - aveva segnalato al PE. l'esistenza dì prassi scorrette nell'operatività del mercato interno delle azioni proprie. Quando il responsabile dell'Internal audit Ma.Bo. aveva tentato di portare a compimento la prima attività ispettiva sui finanziamenti correlati, infatti, era stato bloccato dal d.g. Sa.So., il quale gli aveva impedito di divulgare il relativo report. Il collegio sindacale, dal canto suo, pur avendo ricevuto vari segnali (sul punto il riferimento specifico del tribunale era al caso del socio Dalla Grana), non aveva effettuato alcuna comunicazione in proposito. Altrettanto doveva dirsi per la funzione di compliance che, chiamata a gestire la vicenda Vi., non aveva segnalato nulla al riguardo. In definitiva, nessuna informazione in ordine al fenomeno delle operazioni correlate era pervenuta al PE. attraverso i canali istituzionali. Né tale fenomeno era stato percepito nell'ambito dell'attività - parimenti di competenza della Divisione facente capo all'imputato - di gestione della contabilità adottata dalla banca. Il teste Lu.Tr., infatti, aveva dichiarato di avere appreso per la prima volta del fenomeno del capitale finanziato nel marzo del 2015, nel corso di una riunione tra le società di revisione e il collegio sindacale in vista della redazione della relazione al bilancio 2014. Prima di allora, infatti, secondo tale teste, il suddetto fenomeno non era rappresentato nei sistemi contabili, né era comunque noto alla struttura, né, infine, vi erano possibilità che potesse essere rilevato dalla Ragioneria Generale attraverso l'analisi dei dati disponibili. Inoltre, neppure erano emersi elementi che consentissero di concludere che il PE. avesse acquisito aliunde (rispetto ai canali istituzionali) la consapevolezza circa l'operatività dei finanziamenti correlati. Anzi, in senso opposto orientavano le deposizioni dei testi An.Fa., Lu.Tr. e Al.Mo.. Del teste Tr. si è già detto. Il teste Fa., dal canto suo, aveva riferito di avere appreso delle operazioni correlate solo nel corso della ispezione BCE del 2015, precisando che anche il PE., fino ad allora, si trovava nella medesima situazione di ignoranza del fenomeno in questione. Il teste Mo., infine, aveva sostenuto che prima dell'ispezione vi fosse consapevolezza delle "baciate" ma non della loro diffusività e, con riferimento al PE., aveva precisato che costui era a conoscenza solo dello slogan del d.g, Sa.So. secondo il quale ogni cliente affidato avrebbe dovuto possedere azioni B. pari almeno al 10% del finanziamento. Aggiungasi che anche il teste Ma.Li. - all'epoca vicedirettore di Ba.Nu. ed in rapporto di wbuona colleganza" con l'imputato durante la precedente esperienza in B. - aveva dichiarato di avere avuto con costui un colloquio confidenziale nel mese di aprile 2015 (ovverosia in piena ispezione BCE e poco prima dell'avvio della Task Force voluta dal d.g. So.) traendone la convinzione che l'imputato non fosse a conoscenza "di questa rilevanza del problema". Anche la vicenda della comunicazione delle 17 posizioni sospette da parte di K. e la deposizione dell'avvocato Pa. (vicenda oggetto di puntuale ricostruzione da parte del primo giudice alle pagg. 746-748 della sentenza) deponevano tanto per la mancata consapevolezza, in capo al PE., dell'entità del problema del capitale finanziato (problema del quale lo stesso imputato, apprendendone in occasione della qui più volte menzionata riunione nell'ufficio del So., si era poi dimostrato seriamente preoccupato, al pari della suddetta Pa.), quanto per l'estraneità del medesimo PE. rispetto alle macchinazioni tese ad occultarlo. Analoghe conclusioni dovevano trarsi, ad avviso del tribunale, con riferimento alla disclosure sui fondi "(...)" e "(...)". In proposito era stato dall'ufficio del PE. che era partita la richiesta di disclosure sui sottostanti dei fondi (richiesta, peraltro, più volte ripetuta, come precisato dal teste Lu.Tr.). Quindi, in presenza di una risposta solo parziale, l'ufficio ricompreso nella Divisione diretta dall'imputato aveva applicato il trattamento previsto dalla normativa, segnalando l'intera esposizione verso quei fondi come una "esposizione sconosciuta". Peraltro, quando, successivamente, era entrato in vigore il CRR che imponeva alla banca di avere piena conoscenza anche degli investimenti sottostanti, era stato proprio l'imputato a segnalare che, in difetto di disclosure, l'istituto avrebbe dovuto detrarre integralmente l'intero investimento dal CET 1 e solo per effetto di tale segnalazione era stato finalmente comunicato l'investimento in azioni B., come segnalato dal teste ispettore Em.Ga.. Anche l'intervento effettuato dal PE. nel corso della seduta del CdA 1.4.2014 - allorché questi non si era affatto allineato alle valutazioni del prof. Bi. in ordine al valore da assegnare all'azione, ma, al contrario, aveva mosso delle critiche al riguardo - deponeva in senso favorevole all'imputato. Ove costui fosse stato coinvolto nell'illecita operatività del capitale finanziato, infatti, sarebbe stato lecito attendersi che non dissentisse rispetto alla metodologia applicata nella stima del valore del titolo. Né, a fronte di tali plurime emergenze probatorie favorevoli, gli elementi valorizzati in senso contrario dal P.M. potevano legittimare differenti conclusioni circa la consapevolezza, da parte del PE., del fenomeno in esame. Non l'episodio del Comitato di Direzione dell'8 novembre 2011, nel quale pure v'era prova che si fosse parlato delle "operazioni baciate" in presenza del PE., poiché l'affermazione fatta, nell'occasione, da costui, secondo quanto riportato negli appunti del teste Ma.So. ("Avrei bisogno di 110 milioni andare a 8 con capitalizzazione dell'utile trimestrale") e, più in generale, ciò che era stato sostenuto nel corso della riunione, anche dal d.g. So. ("dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. abbiamo degli impegni nei confronti di Banca d'Italia e del Consiglio di Amministrazione"), non consentivano di concludere che il medesimo PE. fosse consapevole delle specifiche caratteristiche di quella tipologia di operazioni, né della diffusività del fenomeno e, quindi, della sua incidenza sul patrimonio della banca. Tutt'altro che inverosimile, infatti, appariva quanto sostenuto, al riguardo, dallo stesso imputato, là dove il predetto aveva precisato di non avere dato adeguato peso agli interventi effettuati, in tale occasione, dal Se. e dal Tonato in quanto, all'epoca, neppure conosceva il significato della parola "baciata". Peraltro - precisava il primo giudice - a tale riunione era stata presente anche l'avv. An.Pa., la quale tuttavia aveva dichiarato di essere venuta a conoscenza del fenomeno solo nel 2015, in occasione della citata comunicazione della società di revisione K.. Non le dichiarazioni rese dal teste So. - sebbene costui avesse narrato di colloqui con figure apicali dell'istituto nei quali si era fatto ripetutamente riferimento alle "baciate" a partire dagli anni 2010-2011 - in quanto detto teste non aveva riferito di colloqui intercorsi, a tale specifico riguardo, con il PE.. E neppure le deposizioni - sostanzialmente analoghe e, comunque, assolutamente vaghe ed incerte - rese dei testi Gi.Am., Al.Ba. e Co.Tu.. Quanto, poi, al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (del quale nel corso dell'istruttoria dibattimentale era stata ascoltata la registrazione audio), il primo giudice precisava, per un verso, che si era trattato di riunione alla quale il PE. non aveva partecipato (in quanto si trovava a Francoforte) e, per altro verso, che il riferimento alla necessità di confrontarsi con il predetto, nell'occasione chiamato in causa da GI. ("... però dobbiamo confrontarci con Ma..."), costituiva un elemento insuscettibile di univoca lettura. Era lecito ipotizzare, infatti, che il predetto GI. - come, peraltro, da questi sostenuto - intendesse riferirsi alla necessità di "tagliare gli attivi", donde, in questa prospettiva, la regolarità del coinvolgimento del PE., in quanto titolare della Divisione "competente in materia". Inoltre, con riferimento alla deposizione rese dal teste Co.Tu. in relazione alla riunione del 7 gennaio 2015 (deposizione nel corso della quale detto testimone, dapprima, aveva riferito che si era trattato della prima occasione nella quale sì era parlato di "baciate" anche in presenza di PE. e successivamente, in sede di controesame, aveva smentito le precedenti dichiarazioni, negando che nel corso di questo incontro fosse stato affrontato tale argomento), si era evidentemente in presenza, ad avviso del primo giudice, di un contributo dichiarativo del tutto inattendibile. Infine il tribunale esaminava la tesi del coimputato GI. (tesi secondo la quale: il fenomeno del capitale finanziato era noto a tutti all'interno della banca; lo stesso GI. ne ignorava la dimensione; il medesimo dichiarante aveva confidato nella regolare appostazione a bilancio dei dati relativi a detto fenomeno) evidenziandone: - per un verso, il contrasto con gli elementi probatori in precedenza citati; ° per altro verso, la intrinseca contraddittorietà (posto che non era dato comprendere cosa avrebbe dovuto appostare a bilancio la ragioneria se neppure il GI. era a conoscenza di dati precisi al riguardo e se difettavano flussi informativi interni sul punto); - e, peraltro verso ancora, la palese illogicità (in quanto la contabilizzazione di tale fenomeno avrebbe vanificato la finalità di evitare la decurtazione del valore delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza). In definitiva - concludeva il primo giudice - il compendio probatorio non consentiva di giungere all'affermazione di responsabilità del PE.. Non solo l'imputato era del tutto estraneo alla strutturazione dell'operatività delle c.d. "baciate", ma neppure era provato che fosse consapevole di tale fenomeno. Al più erano emerse una vaga e generica conoscenza, da parte del predetto, della tematica in esame e la conseguente sottovalutazione della serietà delle relative implicazioni sul patrimonio di vigilanza, non già la consapevolezza delle caratteristiche e della diffusività della illecita operatività in esame, necessarie per fondare l'elemento psicologico dei reati oggetto di addebito. Di qui l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato 1.9.6 Zi.Gi. Con riferimento alla posizione processuale di Zi.Gi., al quale era addebitato il concorso nei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto (concorso estrinsecatosi nell'avere egli avallato la prassi aziendale del capitale finanziato, avendo compiuto per il tramite di Ze. s.r.l. operazioni di tale natura), il tribunale premetteva, alla stregua della deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma., la seguente ricostruzione delie operazioni riferibili all'imputato: - il 13 novembre 2012 il CdA aveva deliberato ex art. 136 TUB un affidamento di 12,5 milioni di euro in favore di Ze. s.r.l.. La causale era: "cogliere eventuali opportunità sia nel settore industriale che nel settore finanziario, nello specifico è in fase di avanzata trattativa l'acquisizione di un rilevante pacchetto di quote di Ar.Li. s.p.a. sono inoltre nell'intenzione degli imprenditori ulteriori significativi investimenti che al momento non sono ancora nel complesso definiti". Il fido era stato accreditato il 21 novembre e, lo stesso giorno, era stato effettuato un giroconto di 10 milioni di euro utilizzati per l'acquisto di azioni B. per un pari importo; - quindi, nel luglio del 2013, la Ze. S.r.l. aveva beneficiato di un finanziamento di 1.5 milioni di euro, fido erogato il 2.9.2013 sul conto corrente (...), intestato alla predetta società. Si trattava di un incremento del fido già concesso nel 2012. In data 2 settembre 2013 - data di regolamento dell'aucap 2013 - risultava poi un'erogazione di 1,13 milioni di euro su altro conto corrente intestato alla medesima società con l'impiego di detta somma per l'acquisto di azioni B. di pari valore; - ancora, il 4.12.2014, Zi.Gi. aveva ricevuto un affidamento di 5.200.000,00 euro. La P.E.F. indicava, quale causale: "finalizzato ad intercettare alcune opportunità immobiliari e di partecipazione". Non appena ricevuta l'erogazione, il relativo importo era stato bonificato su un conto U.It. s.p.a., filiale di Padova; - il 16.2.2015, infine, Ze. s.r.l. aveva venduto 5,5 milioni di azioni sul secondario e, con il ricavato, aveva ridotto parte del debito relativo al finanziamento di 15 milioni di euro. Tale ricostruzione - precisava il tribunale - coincideva con le conclusioni dei cc.tt. del P.M. dove sì attestava che l'importo delle azioni acquistate dalla società Ze. s.r.l. tramite finanziamenti era pari a 10 milioni di euro dal 31.12.2012 al 30.6.2013, ad euro 10.565.250 dal 30.9.2013 al 30.6.2014, ad euro 10.355.250 dal 30.9.2014 al 31.12.2014 e, infine, ad euro 4.855.250 al 31.3.2015. Così ricostruite le evidenze contabili, il primo giudice concludeva per la natura "correlata" delle operazioni effettuate dalla Ze. s.r.l. sulla scorta, in particolare, delle dichiarazioni rese dai testi Ma.Ba. e An.Cr.. Il primo, infatti, aveva rievocato (peraltro coerentemente con gli / esiti della consulenza dei cc.tt. del P.M.) l'operazione (da lui stesso curata su input di Em.Gi. ovvero di Al.Ba.) effettuata alla fine del 2012 e relativa al fido da 12,5 milioni di euro, parte dei quali (2,5 milioni), destinata all'acquisto della partecipazione in Ar.Li., la restante parte riservata a investimenti in azioni della banca. La pratica, poi, era stata materialmente seguita dal Criscuolo. L'operazione avrebbe dovuto avere carattere temporaneo, la liquidità essendo stata "parcheggiata" in azioni B. in attesa di un differente impiego, da effettuare previa liquidazione delle azioni. Nel 2013, poi, in occasione dell'aumento di capitale, il fido era stato esteso di ulteriori 1,5 milioni e con la relativa provvista Ze. s.r.l. aveva aderito all'iniziativa in questione. Il secondo teste (Cr.), poi, aveva sostanzialmente confermato la versione del collega Ba.. Infine anche il teste Al.Ba., responsabile della divisione "Corporate", aveva rievocato l'operazione posta in essere dallo ZI., operazione della quale, in parte, si era anche personalmente occupato allorquando, nel 2012, vi era stato un apposito incontro con lo stesso ZI. e con GI. per discuterne l'impostazione. Il teste Ba. ha precisato che vi era urgenza di effettuare l'operazione con rapidità in quanto si avvicinava la fine dell'anno 2012; che era impellente l'esigenza di liberare il fondo acquisto azioni; che, nell'occasione, ZI. aveva acconsentito ad effettuare l'operazione purché la cosa fosse gradita allo ZO.. Successivamente lo stesso ZI. gli aveva confidato di essersi prestato ad effettuare l'operazione a richiesta dì So. e GI., i quali "in sostanza gli avevano chiesto un favore e che lui si era messo a disposizione della banca". Dal canto suo lo stesso ZI. aveva ricordato di avere agito aderendo alla proposta di GI. e solo dopo avere ricevuto esplicite rassicurazioni in ordine al fatto che l'operazione non fosse intesa dal presidente ZO. come una iniziativa ostile. Il messaggio SMS inviato da MA. a So. il 26.10.2012 (doc. nr. 665 del P.M.) "ti ricordo Zi. di parlarne con il presidente per il fido da farsi sulla sua finanziaria", nonché il precedente' messaggio trasmesso, il 17.10.2012, dal GI. allo stesso So. "faccio anche ZI., Ma. d'accordo. Vedi problemi?" "il fratello ha già in atto l'operazione" costituivano, poi, significativi riscontri documentali dell'operazione in questione. Quindi il tribunale precisava, sulla scorta della deposizione del Criscuolo, che, con rifermento al finanziamento concesso allo ZI., erano stati applicati tassi differenziati per l'importo destinato all'acquisto di Ar. e per la parte destinata all'acquisto delle azioni e che i tassi erano stati "sistemati" con il consueto sistema dello storno. Alcuni documenti disponibili, peraltro, confermavano tale circostanza. Trattasi, segnatamente: - della richiesta di storno di cui al documento nr. 103 del P.M.; - dell'annotazione redatta da Zi.Gi. (doc nr. 730 del P.M.), contenente l'elenco delle azioni acquistate tramite finanziamento con l'indicazione di importi e tasse non deducibili "che avanziamo dalla banca" e con l'indicazione finale rimane da risolvere la vendita delle altre 80.000 azioni"; - del prospetto riassuntivo dell'applicazione del tasso di interesse (doc, nr. 737 del P.M.), estratto dal computer della segretaria della Ze. S.r.l., Ca.Ro., la quale aveva riferito di averlo redatto probabilmente su incarico di Gi.ZI. (questi, tuttavia, non aveva confermato la circostanza). In detto documento veniva riportato il tasso di interesse del 4,5% con riferimento al finanziamento di 2,5 milioni di euro relativo all'acquisizione di Ar.Li. e in esso si leggeva "calcolo eseguito non considerando il milione di aumento di capitale che si riferisce ai 10 milioni". Quanto, poi, al finanziamento di 10 milioni destinati all'acquisto delle azioni, nel consuntivo finale, alle competenze addebitate, comprensive di interessi ed imposte, venivano sottratti gli interessi "effettivamente dovuti" in ordine al finanziamento di 2,5 milioni destinato ad Ar.Li. e la differenza tra queste due somme era indicata come "differenza da rimb"; - della e-mail 15.7.2014 inviata dalla Ca. alla filiale B. in cui si precisava che le imposte di bollo andranno a confluire nel famoso rimborso concordato a suo tempo", così confermandosi l'esistenza dell'accordo per rimborsare a Ze. s.r.l. tutte le spese. La natura correlata delle operazioni effettuate dagli ZI. del resto emergeva, ad avviso del tribunale, anche da un appunto (doc. nr. 731 del P.M.) redatto dallo stesso imputato per ricostruire le operazioni effettuate con la banca. In detto appunto si legge che in data 8 maggio, a colloquio con ZO., Br. e l'avv. Am., ZI. aveva affermato essergli stato chiesto "in due occasioni di comprare azioni (2011 e 2012) con finanziamenti dove non ho percepito utili ma ho anticipato interessi passivi. La prima si è chiusa nel 2014 e la seconda per il 50% nel 2015". "Attualmente ci perdo 280.000 più oltre un milione di calo di valore: quindi la banca non è danneggiata ma ci ha guadagnato. Operazioni proposte da E. ma definite in ufficio da SS che mi ringraziava per l'aiuto. Ho sempre messo due condizioni, di non guadagnarci e che il Presidente fosse informato". Lo stesso imputato, poi, nel corso dell'esame, ha ricordato che il finanziamento era stato strutturato per l'acquisto di azioni dell'istituto e che egli lo aveva effettuato, sollecitato da GI., "per dare una mano alla banca". Del resto, nel corso della conversazione telefonica nr. 153 del 25.8.2015 intercorsa tra l'imputato e Lu.Bo., il primo aveva ammesso di essere stato finanziato dalla banca per l'acquisto delle azioni. Sicché la natura correlata dell'operazione di acquisto finanziato di azioni per 10 milioni di euro non poteva essere fondatamente revocata in dubbio. Altra operazione correlata era stata quella effettuata, per l'importo di 5 milioni di euro, da Zi.Gi. (finanziamento del 27.12.2011 ed acquisto delle azioni effettuato due giorni dopo). Con analoghe modalità, poi, lo stesso Zi.Gi. aveva partecipato all'aumento di capitale del 2013 per l'importo di 500.000 euro. La prima operazione era stata chiusa il 29.5.2014 con rimborso e annullamento delle azioni, ovverosia con un ricorso surrettizio - come emerso anche dalla deposizione del teste Ro. il quale aveva confermato che l'annullamento era un espediente al quale si ricorreva in casi eccezionali per chiudere operazioni correlate - ad uno strumento (quello dell'annullamento) previsto in caso di "inadempienza grave" del socio, inadempienza che, nel caso dì specie, non si era affatto verificata. Quindi il tribunale richiamava il finanziamento di 5 milioni di euro concesso da B. a Ze. s.r.l. e girato sul conto UBS il 5.12.2014. Nell'occasione al dipendente UBS Visentin, il quale si era relazionato con So., PI. e GI., l'imputato aveva riferito che aveva un "credito nei loro confronti" e che questa operazione "gli era dovuta" in quanto "aveva fatto molti favori alla banca". Infine il primo giudice evocava la e-mail inviata dallo ZI. a Em.Gi. e a Cl.Gi. con, in calce, l'analoga missiva inviatagli da Mi.Ga., il quale si lamentava del fatto che un dipendente B. gli avesse comunicato che il rinnovo di un secondo fido era stato anch'esso subordinato, al pari del primo, alla sottoscrizione di 50.000 azioni dell'istituto di credito. Nell'occasione l'imputato si era limitato a spiegare che "B. non opera con questa politica e che forse o hanno capito male o il funzionario si è espresso male". Ebbene, in presenza di tali evidenze probatorie lo ZI., come detto, aveva bensì ammesso di avere effettuato operazioni correlate per dare una mano alla banca ma aveva negato di essere stato consapevole delle problematiche connesse al capitale finanziato e, meno che mai, delle sue dimensioni, protestando altresì la propria totale inconsapevolezza circa la necessità dello scomputo delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza. Pertanto il tribunale riteneva certamente provato che l'imputato, attraverso Ze. s.r.l., avesse posto in essere operazioni correlate. Nondimeno, sempre secondo il tribunale, non soltanto lo ZI. non aveva minimamente preso parte alla concertazione - intercorsa, ai massimi livelli, tra il management della banca ed il presidente ZO. - che aveva reso possibile la manipolazione del mercato e le condotte di false informazioni alla vigilanza, ma neppure vi era prova affidabile circa la consapevolezza, in capo ai membri del CdA (e, quindi, allo stesso ZI.), in ordine alla diffusività dell'operatività illecita in questione. Il teste ispettore Em.Ga., invero, aveva puntualmente evidenziato la difficoltà di percepire se una operazione fosse o meno correlata da parte del CdA. Dal canto suo lo stesso coimputato MA., in sede di esame, aveva ammesso che, quando presentava le pratiche di acquisti correlati in Consiglio, era solito non esplicitare mai la natura delle operazioni, limitandosi a riportare sinteticamente i dati della P.E.F.. In buona sostanza - secondo il tribunale - la valutazione circa la sussumibilità o meno delia condotta dello ZI. nell'alveo della penale responsabilità implicava, necessariamente, la esatta comprensione dei termini della questione inerente al complesso tema della responsabilità dei componenti del CdA non esecutivi, estranei a qualsivoglia funzione gestoria dell'impresa bancaria, questione che, nel caso sub iudice, andava poi "calata" in un contesto obiettivamente peculiare in quanto caratterizzato, per un verso, dalla concreta fisionomia di un organo collegiale - il CdA di B. - sottoposto alla direzione di un presidente "assolutamente operativo"; e, per altro verso, dall'assenza, in capo ai consiglieri, della effettiva conoscenza della situazione di reale illiquidità del titolo azionario. In effetti, solo in presenza di segnali di allarme effettivamente percepibili (e realmente percepiti) come tali dai consiglieri sarebbe stato possibile ritenere costoro - e, quindi, tra essi, lo ZI., il quale non si trovava affatto in una situazione dissimile rispetto a quella dei "colleghi" che avevano posto in essere anch'essi operazioni correlate - responsabili, ex art. 40 c.p., per non avere impedito attività delittuose in itinere, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità. Nel caso di specie, tuttavia, nulla consentiva di affermare che l'imputato avesse volontariamente omesso di intervenire per scongiurare la consumazione dei reati, all'uopo non potendosi ritenere sufficiente la partecipazione, da parte del predetto, ad operazioni di capitale finanziato; operazioni, peraltro, da costui poste in essere su sollecitazione dei vertici dell'istituto e senza alcun tornaconto personale. In definitiva difettavano prove univocamente sintomatiche di un consapevole concorso materiale di Zi.Gi. nei reati ascrittigli, in difetto di adeguati riscontri circa la consapevolezza, in capo al predetto, delle condotte manipolatorie e decettive poste in essere dalle figure apicali dell'istituto di credito e, ancor meno, circa la dimensione del fenomeno del capitale finanziato. Donde l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non costituisce reato 1.10 La responsabilità amministrativa di B. in L.C.A. Il tribunale, inoltre, riteneva Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) in relazione ai reati dì aggiotaggio ex art, 2637 c.c. e di ostacolo alla vigilanza ex art. 2638 c.c. (ovverosia con riferimento a fattispecie incluse nell'art. 25 ter lett. R ed S del D.L.vo 231/01) posti in essere da soggetti sia di vertice che sottoposti alla direzione e vigilanza di posizioni apicali. In proposito, dopo avere richiamato, in ordine alla sussistenza delle ipotesi delittuose di riferimento, quanto già in precedenze esposto al riguardo, il tribunale in primo luogo evidenziava come, ai fini della responsabilità dell'ente, non rivestisse rilievo alcuno la sottoposizione della banca a procedura concorsuale, trattandosi di evento non ricompreso tra le cause dì estinzione dell'illecito da reato previste dalla disciplina in materia (come del resto era evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, che assegnava rilievo, al riguardo, unicamente al decorso del termine di legge, ovvero all'improcedibilità in caso di amnistia in relazione al reato presupposto). Fino alla cancellazione conseguente all'esito della procedura concorsuale, infatti, la società avrebbe dovuto ritenersi esistente. Né, d'altro canto, era possibile opinare diversamente sulla base di una sorta di giudizio prognostico fondato sul prevedibile esito della procedura fallimentare. Tanto premesso, neppure poteva dubitarsi che gli imputati avessero agito nell'interesse e a vantaggio dell'ente. Al riguardo il tribunale premetteva che l'interesse (da valutarsi, ex ante, secondo criteri "soggettivi" che, sebbene non coincidenti con l'elemento psicologico della fattispecie delittuosa di riferimento, dovevano comunque essere tali da esprimere la tensione finalistica dell'operato dell'autore del reato presupposto) avrebbe dovuto individuarsi nella prefigurabilità di un risultato positivo per la società. Quanto poi al vantaggio (da apprezzarsi, ex post, secondo criteri oggettivi), tale requisito si sarebbe dovuto identificare negli effetti favorevoli derivati dalla realizzazione degli illeciti. Questo con la precisazione, per un verso, che la mancata considerazione del criterio del vantaggio secondo la formulazione della disposizione vigente all'epoca dei fatti (art. 25 ter D.L.vo cit.) era circostanza di ben scarso rilievo, posto che, nel caso di specie, tutti i reati perpetrati erano caratterizzati dal correlativo interesse dell'istituto di credito; per altro verso, che l'antieconomicità a posteriori dell'operazione era ininfluente; e, peraltro verso ancora, che l'interesse dell'ente avrebbe potuto essere anche parziale o marginale, dovendosi escludere la responsabilità della società solo nel caso di interesse esclusivo dell'autore del reato (in ragione, in tal caso, della rottura "dello schema di immedesimazione organica" che costituiva il fondamento teorico dell'istituto in questione). Ebbene, nella vicenda sub iudice, le condotte delittuose erano state pacificamente poste in essere nell'interesse (anche) dell'istituto di credito. In effetti la contraria tesi difensiva (secondo la quale dette condotte si sarebbero poste in conflitto con il reale interesse della banca, in quanto, da un lato, avrebbero precluso l'effettuazione di ulteriori operazioni e in tal guisa avrebbero cagionato, fin dal momento genetico, un grave nocumento all'istituto di credito, mentre, dall'altro lato, sarebbero state realizzate nell'esclusivo interesse degli imputati, al di fuori di una politica di impresa e per finalità di mantenimento del potere gestionale da parte dei vertici amministrativi) non poteva affatto essere accolta. Ciò avrebbe infatti rappresentato l'espressione di un'interpretazione atomistica, fuorviante e retrospettiva del fenomeno delittuoso in esame e non già di una doverosa visione prospettica delle azioni criminose. Le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, infatti, erano state funzionali a far conseguire all'ente un beneficio, occultando le operazioni di capitale finanziato e così consentendo all'istituto di credito di mantenere standard elevati nell'esercizio dell'attività bancaria e di acquisire nuovo capitale o mantenere quello esistente. Si era trattato, quindi, di condotte che, a tutto discapito del mercato, avevano generato indubbi benefici per la banca, assicurandone la continuità e garantendone la competitività nel mercato del credito, sia pure in modo rivelatosi non sufficiente, nel lungo termine, a risolvere le carenze di un'errata politica di impresa (peraltro preesistente alle operazioni di capitale finanziato) che aveva portato ad un progressivo, inesorabile, deterioramento della situazione patrimoniale (con i relativi coefficienti che, già dal 2012, erano inferiori alla soglia target, come evidenziato dai consulenti del P.M.). Le ricadute positive per l'ente delle attività delittuose, del resto, erano state convincentemente delineate dalla deposizione del teste ispettore Em.Ga.. In assenza delle condotte delittuose, in effetti, la banca si sarebbe trovata nella necessità di impegnare le risorse disponibili per reintegrare i requisiti patrimoniali, oppure di disvelare una situazione di crisi che avrebbe inevitabilmente impattato negativamente, al contempo, tanto sul capitale (trattandosi di banca cooperativa), quanto sull'operatività (trattandosi di banca commerciale). In definitiva - precisava il primo giudice - occorreva distinguere tra le singole condotte operative di capitale finanziato (che costituivano solo una parte della politica imprenditoriale e non erano indicative della proiezione finalistica del reato) e le soprastanti condotte delittuose delle false prospettazioni al mercato e alla vigilanza, nelle quali si sostanziavano i reati presupposto che erano stati funzionali a favorire l'ente, consentendo alla società di conseguire un vantaggio economico. Ponendosi in questa prospettiva, diveniva allora evidente l'interesse (se non esclusivo, quantomeno prevalente) della banca alla commissione dei delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, in quanto espressione di una politica d'impresa funzionale a garantire la prosecuzione dell'attività dell'istituto, assicurando, per un verso, l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, il mantenimento di quello esistente. D'altronde, il peggioramento delle condizioni economiche dell'ente non era stato certo effetto della commissione dei reati, bensì del ricorso dissennato al capitale finanziato nell'ambito di un meccanismo divenuto progressivamente ingovernabile, il tutto mentre le condotte delittuose (che si ponevano a valle di tale fenomeno) avevano per un certo periodo di tempo consentito di contenere, limitare e ritardare gli ulteriori effetti negativi per l'ente che dal disvelamento di una siffatta realtà sarebbero inevitabilmente derivati. Quanto poi al criterio soggettivo di imputazione dell'illecito, costituito dalla colpa di organizzazione, il primo giudice ne ravvisava il ricorrere in ragione del fatto che l'ente non si fosse strutturato in modo idoneo a prevenire le condotte in questione. Nel caso di specie, infatti, non solo il modello organizzativo, nella versione aggiornata a febbraio del 2012 (documento nr. 269 del P.M.), non era stato predisposto in modo adeguato (essendo prevalentemente strutturato ai fini di anti-riciclaggio), ma neppure era stato applicato ed implementato convenientemente. Nulla era stato previsto in relazione alle modalità di predisposizione dei bilanci, al computo dei requisiti patrimoniali, anche ai fini del patrimonio di vigilanza, all'attività di erogazione del credito, ovvero alla gestione operativa, contabile e patrimoniale delle azioni (proprie e non) che, pure, costituiva l'attività su cui si focalizzava l'operatività della banca. Nessuna procedimentalizzazione delle attività di acquisto e vendita delle azioni, inoltre, era stata programmata nel modello. Né detto modello era mai stato implementato in tal senso. Si aggiunga che erano risultate assenti modalità operative per garantire la tracciabilità dei finanziamenti per l'acquisto dì azioni proprie e che neppure era stato previsto alcunché per assicurare la corretta registrazione dei collegamenti tra affidamenti e acquisto/sottoscrizione di azioni, ovvero per disciplinare le comunicazioni all'esterno, ovvero ancora per regolamentare gli aspetti afferenti al patrimonio di vigilanza. Inoltre il modello aveva previsto un Organismo dì Vigilanza collegiale composto da tre soggetti e, segnatamente, da due avvocati esterni all'istituto di credito, nonché dal responsabile interno dell'audit, soggetto, quest'ultimo, dipendente gerarchicamente dal d.g. e funzionalmente dal CdA, ovverosia proprio da coloro che egli avrebbe dovuto controllare. Donde un evidente deficit di autonomia di tale organismo. Quanto, poi, al Collegio sindacale, era risultato composto da soggetti alcuni dei quali (Za., Za., Ca.) legati personalmente allo ZO., ovvero a società riconducibili a tale imputato. Le stesse relazioni ispettive di Banca d'Italia, del resto, avevano censurato la logica di cooptazione alla base della composizione dell'organo in questione, stigmatizzandone l'attività di mero controllore formale. Di qui il giudizio di complessiva grave inadeguatezza dei presidi organizzativi predisposti da B. per fronteggiare i rischi operativi assunti e la conseguente affermazione della responsabilità dell'ente. Quindi, passando alla quantificazione della sanzione, il primo giudice stabiliva, quanto al più grave delitto di aggiotaggio, il numero di 600 quote (a fronte di una forbice di riferimento tra le 400 e le 1000 quote), ridotte a 400 in ragione dell'attenuante ex art. 12, co, 2, D.L.vo 231/01, essendosi l'ente adoperato (con una proposta di transazione rivolta agli azionisti ed avente ad oggetto l'offerta di una somma a titolo di indennizzo) per ridurre le conseguenze dannose dell'illecito. Considerata, poi, la pluralità di illeciti, il tribunale determinava nella misura di 150 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter R ed in 360 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter S, Conseguentemente, precisato che la prescrizione di talune condotte delittuose non poteva rivestire alcun rilievo in relazione all'illecito amministrativo dell'ente, quantificava le quote complessive nella misura di 910 quote e, determinato il valore di ciascuna quota in euro 400, fissava la sanzione pecuniaria complessiva nella misura di euro 364.000,00. Infine, evidenziato che il profitto del reato andava identificato nel vantaggio economico (inteso come benefìcio aggiunto di tipo patrimoniale) causalmente derivato dal reato presupposto, e sottolineato, inoltre, come una stima in tal senso fosse stata unicamente effettuata con riferimento al reato di cui al capo N2, all'origine del sequestro, disposto dal GIP del tribunale di Vicenza in data 18.5.2017, con riferimento al valore di euro 106.012.687,50 (corrispondente all'ammontare delle sottoscrizioni di capitale versate alla banca, a seguito dell'aucap, dai soci il cui acquisto era stato sollecitato dalla banca stessa e che non avrebbero potuto sottoscriverlo ove fosse stato applicato il "test di adeguatezza bloccante"), il tribunale disponeva la confisca in tal senso, detraendo tuttavia l'importo di euro 31,8 milioni, oggetto di restituzione effettuata a titolo transattivo, e fissando, quindi, l'ammontare della confisca nella misura di euro 74.212.687,50 (con conseguente parziale revoca del sequestro). 1.11 Il trattamento sanzionatorio Con riferimento ai reati commessi dagli imputati ZO., PI., MA. e GI., dei quali andava ad affermare la penale responsabilità, il tribunale ravvisava la sussistenza del vincolo della continuazione, trattandosi di reati espressione di un'unitaria determinazione criminosa. Quindi: - esclusa quanto ai reati di cui ai capi A1, B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1 l'aggravante ex art. 112 nr. 1 c.p., in ragione del numero inferiore a cinque degli autori delle relative condotte; - riconosciuta, quanto ai reati di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1 l'aggravante ad effetto speciale ex art. 2638 co. 3, c.c., essendosi in presenza di istituto di credito emittente strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ex art. 116 D.L.vo 58/98; - riconosciuta, altresì, in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1, N1, l'aggravante di cui all'art. 61 nr. 2 c.p., trattandosi di condotte di ostacolo, susseguitesi nel tempo, al fine di occultare l'illecita manipolazione del prezzo sia di nascondere la falsità dei precedenti flussi informativi; - riconosciute, inoltre, a tutti gli imputati le attenuanti generiche, trattandosi di soggetti incensurati che avevano anche tenuto corrette condotte processuali (in effetti, presenti a tutte le udienze, costoro si erano anche sottoposti ad esame, eccezion fatta per ZO. il quale, peraltro, aveva reso dichiarazioni spontanee); - valutate le predette attenuanti in regime di mera equivalenza rispetto alle ravvisate aggravanti, in considerazione della notevole entità dei danni cagionati con le condotte delittuose; - ritenuto più grave il reato di cui al capo H1, in ragione della pena edittale di riferimento e del tempo significativo di protrazione della relativa condotta (esauritasi solo nell'aprile del 2015); - considerati, infine, i criteri tutti di cui agli art. 132, 133 c.p. (e, segnatamente: il ruolo apicale rivestito dagli imputati; il numero e la varietà delle condotte delittuose, protrattesi per anni; l'intensità del dolo all'origine delle medesime condotte e, in particolare, la pervicacia e l'ostinazione che avevano orientato l'azione di occultamento al mercato e alla vigilanza della reale situazione dell'istituto di credito), condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di anni due in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 ed N1 (essendo evidentemente un errore materiale la quantificazione sintetica di tale aumento nella misura di anni uno, in ragione della specifica indicazione, nella misura di mesi tre, dell'aumento di pena irrogato per ciascuno di detti reati), con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia; aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, infine, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre e mesi sei di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati). Gli imputati, infine, erano dichiarati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. 1.12 La confisca per equivalente. Il tribunale, premesso che la disposizione di cui all'art. 2641 c.c., prevedeva, in relazione ai reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c,, la confisca (diretta, ovvero, in via sussidiaria, per equivalente) non solo del prodotto/profitto dei reati, ma anche dei beni utilizzati per commetterlo, precisava, a tale ultimo riguardo (richiamando sul punto la sentenza della Corte Costituzionale nr. 112/2019 e la giurisprudenza di legittimità espressasi in fattispecie analoga), come in tale categoria di beni non rientrassero unicamente i tradizionali "instrumenta sceleris", ovverosia le cose intrinsecamente pericolose (il grimaldello, la stampante utilizzata per la produzione di cartamoneta falsa, ecc..) bensì qualsivoglia res l'impiego della quale avesse reso possibile la commissione del reato e, pertanto, con riferimento alla vicenda sub iudice, anche le risorse finanziarie concesse dall'istituto a titolo di finanziamento ed impiegate per l'acquisto delle azioni dell'istituto medesimo; risorse che, nella specie, erano state convincentemente quantificate dai consulenti del P.M. nella misura di euro 963,000,000,00. Nella prospettiva del primo giudice, infatti, erano proprio i finanziamenti concessi per le operazioni di capitale finanziato che avevano reso possibili i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, trattandosi di reati che erano stati commessi comunicando un patrimonio di vigilanza non veritiero, in quanto non corrispondentemente decurtato. Erano detti finanziamenti, quindi, che, nel caso in esame, costituivano "i beni utilizzati per commettere i reati". A legittimare, poi, la confisca per equivalente nei confronti degli imputati era il mancato rinvenimento della somma oggetto dì confisca diretta e, quindi, l'impossibilità (peraltro da ritenersi all'uopo rilevante anche ove soltanto transitoria) di tale ablazione diretta. Nel caso di specie la confisca diretta era impedita dall'assoggettamento dell'istituto di credito, al momento della pronuncia, a liquidazione coatta amministrativa, trattandosi di procedura per effetto della quale era venuta meno in capo all'ente la disponibilità del patrimonio societario, destinato esclusivamente ad essere gestito, evitandone il depauperamento, in vista delle finalità della procedura medesima. Di qui la confisca disposta, per il valore di euro 963.000.000, nei confronti degli imputati ZO., PI., GI. e MA., con la precisazione che il principio solidaristico posto a fondamento della disciplina del concorso di persone, da un lato, e la natura eminentemente sanzionatoria della confisca per equivalente, dall'altro, implicavano che il provvedimento ablatorio fosse pronunziato, a carico di ciascuno di costoro, con riferimento all'intero importo. 1.13 Le questioni civilistiche Quindi, con riferimento alla posizione della Banca (...), citata da numerose parti civili in qualità di responsabile civile e in questa veste costituitasi in udienza preliminare, il tribunale riteneva la validità delle argomentazioni poste dall'istituto di credito a fondamento della relativa richiesta di esclusione (originariamente respinta per tardività) ex art. 83 TUB. In effetti la circostanza che l'istituto di credito fosse stato sottoposto a procedura di liquidazione coatta amministrativa con decreto ministeriale nr. 185 del 25 giugno 2017, ove debitamente valutata alla luce delle disposizioni di legge in materia, rispettivamente, di estensione alla procedura in esame delle disposizioni in materia di fallimento (art. 201), di disciplina dell'opposizione allo stato passivo (art. 83 TUB) e di improseguibilità delle pretese creditorie avanzate innanzi al tribunale ordinario (52 TUB), comportava la improcedibilità delle domande avanzate nei confronti della banca. Tutte le ragioni di credito, infatti, avrebbero dovuto essere fatte valere in sede concorsuale e, segnatamente, nell'ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, nel solco, peraltro, di quanto affermato ripetutamente dal giudice di legittimità. Di qui la declaratoria di improcedibilità della domanda avanzata dalle parti civili nei confronti del responsabile civile. Evidenziava infine il tribunale come esulassero dai poteri di ius dicere del giudice penale le domande (in taluni casi affiancate alle richieste risarcitone) volte a ottenere pronunce di accertamento della nullità e/o inefficacia dei contratti di finanziamento sottoscritti per l'acquisto di azioni. Quanto, poi, alle domande risarcitone da talune parti riproposte, in sede di conclusioni, nei confronti dell'Istituto di credito in qualità di ente incolpato ex D.L.vo 231/01, il Tribunale, richiamando i provvedimenti che non avevano ammesso la relativa costituzione di parte civile (sul rilievo della non esperibilità dì azioni civili volte ad ottenere il risarcimento del danno nei confronti degli enti in qualità di responsabili degli illeciti amministrativi), in tal senso espressamente motivava le ragioni che avevano indotto il collegio a non esaminare le relative richieste. Infine, con riferimento alle domande risarcitorie avanzate nei confronti degli imputati, il primo giudice pronunziava sentenza di condanna generica di questi ultimi in favore delle parti civili istituzionali (Banca d'Italia e CONSOB) e di quelle private (azionisti e obbligazionisti di B., siccome indicati negli elenchi, allegati al dispositivo, depurati delle parti le cui costituzioni erano state espressamente revocate, ovvero dovevano intendersi revocate per mancata presentazione delle conclusioni). In ordine ai primi, precisato che il pregiudizio patrimoniale consisteva negli esborsi e nel complessivo dispendio di risorse che le autorità di vigilanza avevano dovuto sostenere per ottenere quelle informazioni che erano state loro occultate, mentre il pregiudizio non patrimoniale doveva identificarsi nella compromissione delle finalità istituzionali delle suddette autorità e nella lesione dell'immagine che ne era derivata, il tribunale evidenziava la necessità di rimessione, per la quantificazione di dette voci dì danno, innanzi al giudice civile, in difetto di concreti elementi probatori idonei ad orientare la relativa determinazione. Nondimeno riconosceva una provvisionale nella misura di euro 601.017,39 in favore di Banca d'Italia e di euro 186.570 in favore di CONSOB, in entrambi i casi parametrandone l'entità ai costi (siccome quantificati dagli uffici interni di detti enti) sostenuti per l'aggravio di attività strettamente conseguenti alle condotte delittuose. Con riferimento, poi, alle parti civili private, osservato come il D.L. 99/17 che aveva posto in liquidazione coatta amministrativa l'istituto di credito avesse conservato i diritti dei titolari di obbligazioni subordinate nella liquidazione, sicché i predetti avrebbero potuto trovare soddisfazione solo una volta soddisfatti gli altri creditori, il primo giudice sottolineava che tutti gli investitori avevano subito un danno dalle condotte manipolative, in quanto indotti all'investimento sul presupposto di una situazione patrimoniale dell'istituto artatamente presentata come positiva e, quindi, senza essere stati posti nelle condizioni dì valutare la rischiosità dell'investimento stesso e la solvibilità della banca nell'estinguere il credito e nell'effettuare il rimborso. Segnatamente, con riferimento al delitto di aggiotaggio, il pregiudizio andava individuato nell'avere acquistato o conservato gli strumenti finanziari a prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, ovvero nell'avere effettuato un investimento che, senza le condotte manipolative, non sarebbe stato posto in essere. Analogamente, con riferimento al reato di falso in prospetto, gli investitori erano stati pregiudicati da condotte delittuose che avevano avuto l'effetto di mantenere artificiosamente alto il valore delle azioni, al contempo rappresentando una solidità patrimoniale dell'istituto in realtà insussistente. Più nel dettaglio, ad essere stati danneggiati - precisava il tribunale - non erano solo coloro che, nel periodo di commissione delle condotte delittuose, avevano acquistato azioni ad un prezzo superiore al reale valore dei titoli, ma anche gli investitori che, già in possesso di detti strumenti finanziari, si erano astenuti dal disinvestimento per effetto delle richiamate condotte manipolative. Di maggiore complessità, poi, era la questione inerente a coloro (peraltro una minima parte degli investitori, prevalentemente acquirenti di obbligazioni subordinate) che avevano acquistato le azioni successivamente alle condotte delittuose, sebbene anche con riferimento a tale categoria di investitori fosse effettivamente prospettabile un pregiudizio derivante dai reati, tenuto conto del periodo apprezzabile intercorso tra la cessazione delle condotte delittuose ed il disvelamento di quanto avvenuto (trattandosi di circostanza che aveva determinato il protrarsi di effetti di errata rappresentazione al mercato della reale situazione dell'istituto di credito, con indubbio svantaggio informativo). Infine vi erano i clienti dell'istituto che avevano effettuato gli acquisti con il denaro erogato dalla banca. Costoro non avevano subito una lesione diretta, non avendo impiegato risorse proprie nell'investimento (se non nel caso di investimento solo parzialmente finanziato); nondimeno, al di là della sussistenza o meno dell'obbligazione restitutoria, l'esposizione debitoria segnalata alla centrale rischi che ne era seguita e l'addebito dei costi di finanziamento costituivano pur sempre un pregiudizio effettivo. Conclusivamente, con riferimento alle parti civili private, emergeva un quadro composito, caratterizzato da posizioni eterogenee. Ebbene - precisava il tribunale - dette parti avevano quantificato: - il pregiudizio patrimoniale nel controvalore del pacchetto azionario calcolato sul valore dell'azione pari a 62,50 euro, ovvero all'ammontare della somma investita nelle operazioni di investimento (e, quindi, sostanzialmente, nella perdita dell'investimento); - ed il danno non patrimoniale in una quota parte di quello patrimoniale. Nondimeno tali parametri non potevano ritenersi appaganti, posto, per un verso, che il danno non si poteva meccanicamente identificare nella perdita del valore dell'azione in quanto i reati di aggiotaggio e falso in prospetto presentavano profili peculiari che non consentivano di determinare il relativo pregiudizio facendo ricorso a siffatto automatismo; e, per altro verso, che le parti civili si erano limitate a documentare i titoli sottoscritti (ovvero acquistati) e il prezzo pagato, senza fornire ulteriori elementi utili per la esatta quantificazione del pregiudizio. Peraltro, nulla era dato conoscere in ordine all'indennizzo corrisposto agli investitori dal FIR (Fondo Indennizzo Risparmiatori). Di qui la condanna generica al risarcimento ed il riconoscimento di una provvisionale nella misura del 5% dell'importo nominale del valore delle azioni od obbligazioni acquistate risultante dagli atti di costituzione di parte civile e, in ogni caso, onde evitare sperequazioni (tenuto conto del fatto che le cifre più consistenti erano quelle inerenti alle operazioni di capitale finanziato), non superiore ad euro 20.000,00 per ciascuna parte (importo dal primo giudice ritenuto tale da coprire almeno il danno non patrimoniale). Infine il primo giudice respingeva la domanda risarcitoria avanzata dagli enti esponenziali (Confconsumatori, Federconsumatori Friuli Venezia Giulia, Federconsumatorì Veneto, Codacons, Cittadinanza Onlus) per difetto di prova alcuna in ordine al pregiudizio non patrimoniale asseritamente subito a seguito delle condotte delittuose. 2. GLI APPELLI DEGLI IMPUTATI 2.1. Appello proposto da Gi.Em. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello la difesa di Gi.Em.. 2.1.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al capitolo I della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari), l'appellante - anteponendogli una premessa nella quale ha censurato in via generale il metodo argomentativo assertivo seguito nella sentenza impugnata, carente nell'enunciazione degli specifici "motivi di fatto e di diritto" attributiva delia responsabilità all'imputato GI. e tendente all'esposizione solo di alcune risultanze processuali senza nel contempo citarne molte altre, pur decisive su aspetti imprescindibili - ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018 del 7.12.2017 dep. 6.4.2018, emessa in sede cautelare, che aveva risolto in favore del foro vicentino il conflitto di competenza; conflitto sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore rispetto all'attuale e oltretutto connotato da una formulazione del capo B1 frattanto considerevolmente modificatasi). Le argomentazioni esposte in questo primo motivo d'appello dalla difesa del GI. a fondamento della dedotta competenza territoriale del Tribunale di Roma sono di tenore sostanzialmente analogo a quelle dell'appello ZO. (v. infra), cui si rinvia per il resto, fermo restando che dalla difesa dell'appellante GI. vengono particolarmente sviluppati i seguenti due argomenti: - il capo B1 contempla in sé, in realtà, sia il delitto di false informazioni (art. 2638 comma 1 c.c.) che quello di ostacolo (art. 2638 comma 2 c.c.) e i suddetti due delitti non si sono realizzati nel medesimo contesto temporale in quanto l'ispezione maggio-ottobre 2012 è stata per l'appunto preceduta dall'invio, in data 26.4.2012, della comunicazione di vigilanza (a firma del d.g. Sa.So.) avente ad oggetto il rendimento ICAAP sulla determinazione del patrimonio di vigilanza della banca al 31.12.2011; - nel decidere la questione di competenza la verifica del giudice non può essere limitata - diversamente da quanto ritenuto dal tribunale vicentino - alla mera enunciazione così come testualmente prospettata nel capo di imputazione, dovendo invece estendersi alla perimetrazione del fatto così come risultante dall'insieme di tutti gli atti allegati dalle parti (la comunicazione ICAAP inviata a Banca d'Italia il 26.4,2012 rientrerebbe per l'appunto fra gli atti di indagine specificamente relativi all'imputazione contestata sub capo B1 trattandosi di atti depositati dal Pubblico Ministero - segnatamente nel faldone n. 7 - e messi a disposizione del giudice con la richiesta di rinvio a giudizio); al riguardo vengono citati arresti giurisprudenziali di legittimità. L'appellante ha ribadito altresì - dopo averla prospettata già in primo grado nelle note d'udienza 2.4.2019 alle quali ha rinviato per tutti gli approfondimenti del caso - la possibilità di individuare in alternativa come territorialmente competente il Tribunale di Milano in quanto sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (ciò solo qualora i sia ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge n. 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile, trattandosi di questione tuttora dibattuta). 2.1.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione al capitolo II della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari) l'appellante ha dedotto la violazione degli art. 185 c.p. e 74 c.p.p. ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p. pronunciata dal tribunale in data 21.3.2019 (parzialmente reiettiva della richiesta di esclusione delle parti civili) e di tutte le parti della sentenza che la richiamano. L'impugnazione dell'anzidetta ordinanza si riferisce, per la precisione, ai suoi paragrafi 1.5, 1-6 e 1.7: s quanto al paragrafo 1.5 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile in capo agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti di causa. Essendo costoro divenuti azionisti od obbligazionisti (puri, subordinati o convertibili) in epoca successiva ai fatti che qui occupano non possono - conseguentemente - lamentare di avere subito un danno immediato e diretto (alcuni di essi, anzi, appaiono piuttosto avere messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti); quanto al paragrafo 1.6 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle c.d. operazioni "baciate"; tali soggetti non possono infatti che definirsi carenti di legitimatio ad causam essendo consapevoli di partecipare a un'operazione asseritamente illecita nella prospettazione d'accusa, a differenza di quanto affermato dal tribunale; al riguardo l'appellante ha ricordato come nella stessa costruzione generale dell'impianto accusatorio si dia indicazione della sottoscrizione, da parte dei clienti/soci/finanziati, di lettere di impegno - dal tenore chiaro ed esplicito - contenenti, per l'appunto, l'impegno da parte della banca al riacquisto delle azioni B. e/o contenenti la garanzia di un determinato rendimento; s quanto al paragrafo 1.7 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno messo in vendita le loro azioni. Nei confronti di tali soggetti si è infatti verificata l'interruzione - a seguito delia vendita - del nesso causale, con il conseguente carattere solo indiretto del danno da reato (commisurato al deprezzamento fra il momento di acquisto dell'azione e la realizzazione effettiva). Ebbene, lo stesso tribunale vicentino più volte ha fatto riferimento, nel contesto dell'ordinanza impugnata, proprio alla consequenzialità immediata fra reato e danno (enunciata negli artt. 1223 e 1227 comma 2 c.c.) dalla quale far discendere la sussistenza della legittimazione. Consequenzialità immediata che, nel caso di danno indiretto, per l'appunto non ricorre. - conseguentemente si è richiesta l'esclusione di tutte le parti civili rientranti nell'una o nell'altra delle suindicate tre categorie. 2.1.3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al capitolo III della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erronea ricostruzione -all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - della posizione del GI. nell'organigramma di B., dovuta tanto a un'erronea valutazione degli elementi ritenuti a carico quanto alla mancata valutazione di molti altri elementi pur esistenti a discarico. Segnatamente: la sentenza impugnata, nel sostenere che il GI. avrebbe svolto un ruolo primario agendo congiuntamente al direttore generale Sa.So. (l'operatività era gestita dal direttore generale So. e dal suo vice Gi."), contrasterebbe con un dato conclamato alla luce dell'intera vasta istruttoria dibattimentale e in particolare testimoniale, ossia il fatto che Sa.So. fosse in realtà da lungo tempo portatore, nei confronti del GI., di un sentimento - da lui apertamente manifestato - di sfiducia, contrarietà e desiderio di causarne l'emarginazione, come riferito - fra gli altri - dai testi Di.Gr., Co.Tu., Cl.Gi., Da.Es., Pa.An. (quest'ultimo in particolare, nell'evidenziare come tale connotazione del rapporto fra i due fosse evidente anche per i componenti del CdA, aveva dichiarato: Sostenere che So. facesse tandem con Gi. anche se poi il fenomeno delle baciate potrebbe anche farlo pensare, è un qualcosa che era assolutamente irreale per chi un minimo respirava la banca, anche perché era notorio che So. non amasse la professionalità di Gi..."). Tutt'altre invero erano le persone che all'interno di B. frequentavano abitualmente l'ufficio del So., menzionate nominativamente - ad esempio - dal teste Esposito in sede dibattimentale; da tale "salotto buono" (cfr, pag. 31 atto di appello) ovvero "cerchio magico" (Ibidem) il GI., in altri termini, era rigorosamente escluso; - la stessa elencazione delle funzioni e competenze tanto della Divisione Mercati quanto del suo responsabile Em.Gi., così come sunteggiata alla pag. 639 della sentenza impugnata, non risponde al vero poiché ignora il fatto che gli organigrammi e i funzionigrammi di B. hanno subito nel tempo, proprio per volere del So., accentuati cambiamenti il cui scopo era esattamente quello di emarginare il GI. coinvolgendo, nel contempo, personale fedele al direttore generale; sono state citate al riguardo tanto l'analisi condotta dal consulente tecnico della difesa prof. Pe. quanto le deposizioni rese da vari testimoni (Al.Mo., Co.Tu., Ma.Ba., Gi.Am., Cl.Am., Cl.Gi., Fi.Ro.); - sempre l'istruttoria dibattimentale, in particolare testimoniale (cfr le deposizioni dei testi Al.Ba., Co.Tu., Cl.Gi., Ma.Ni., Se.Ro., Lu.Ve., En.Da., Di.Ip., Al.Cu.), ha consentito di appurare che le scelte riguardanti le operazioni qui in discussione e le loro modalità erano decise in piena autonomia dal solo So., il quale impartiva alle strutture della banca le conseguenti direttive o in prima persona oppure avvalendosi, a guisa però di mero tramite, del GI. e/o del direttore commerciale Gi.Am.; - sempre l'istruttoria dibattimentale (cfr. le deposizioni dei testi Cl.Gi., En.Da., Co.Tu.) ha evidenziato come anche lo stesso GI. - tratteggiato nella gravata sentenza come l'autore in prima persona di pressioni estreme sulla rete commerciale - fosse in realtà destinatario di minacce e pressioni provenienti direttamente dal So.. Quanto alle fonti di prova citate in sentenza con riguardo alle pretese pressioni esercitate dal GI. (cfr. in particolare le dichiarazioni dei testi Di.Ip. e Ma.Ni.) la difesa ha argomentato nel senso del loro fraintendimento e/o vaglio solo parziale e decontestualizzato da parte del tribunale; - la sentenza gravata ha completamente omesso di considerare i seguenti due episodi - definiti gravi e inquietanti dalla difesa - in danno del GI., i y quali ben evidenziano quanto egli fosse "estraneo al milieu compatto e ristretto di gestione reale della Banca" (cfr. pag. 34 atto di appello): a) riguardo alla questione degli storni è emerso che - in seno alla Divisione Mercati diretta dal GI. - era stato ordinato da Gi.Am. al suo subalterno Al.Fe. di correggere le lettere di storno sottoscritte dallo stesso Am. obliterando la firma di questi e lasciando inalterate solo le lettere firmate dal GI., quando per converso l'estraneità di questi alla procedura degli storni deve ritenersi dimostrata anche dal rigetto, nei suoi confronti, della domanda cautelare presentata in sede civile dalla banca (cfr. documento n. 668 prodotto dallo stesso Pubblico Ministero, corrispondente al provvedimento n. 4414/2015 del Giudice del lavoro presso il Tribunale di Vicenza); b) a detta del teste Co.Tu. il collega Ad.Ca. - uno dei componenti la ristretta cerchia di frequentatori abituali dell'ufficio del d.g. Sa.So. - all'inizio del mese di maggio 2015 aveva minacciato lo stesso Tu. di licenziamento perché si era rifiutato di scrivere una relazione nella quale si dicesse falsamente che il GI. era il responsabile di tutta l'operatività illecita; - l'ostilità nei confronti del GI. si era finanche acuita dopo l'inizio dell'attività ispettiva, essendo sorta - per effetto di quanto andava ivi emergendo - l'esigenza di catalizzare sul predetto ogni responsabilità. 2.1.4 Con il quarto, il quinto e il sesto motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IV, V e VI della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erroneità dell'attribuzione al GI. - all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - dell'ideazione e attuazione delle operazioni di finanziamento correlato, rivendicando altresì in capo al predetto la genuina convinzione che tali operazioni non solo fossero lecite ma altresì che venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. Si è evidenziato in particolare al riguardo quanto segue: - il GI. era entrato in B. nel novembre 2007 allorquando la prassi delle operazioni correlate già era in essere (circostanza riferita non solo dall'imputato nel suo esame dibattimentale ma altresì dai testi Di.Gr. e Alessandro Ba. fra gli altri); - il GI. inizialmente era perplesso, e del resto si trattava di perplessità diffusa all'interno di B., circa l'applicabilità dell'art. 2358 cc. alle banche popolari come società cooperative e ciò quantomeno fino all'anno 2012, anno in cui aveva avuto luogo l'ispezione della Banca d'Italia; in tal senso del resto si era espresso anche un parere legale esterno acquisito dalla stessa B.; - la sentenza impugnata ha comunque errato nel ritenere non credibile il teste Cl.Am. circa l'andamento del suo colloquio con l'ispettore Ge.Sa. (del quale va tenuta in considerazione, in particolare, una conversazione captata - la n. 281 progn del 19.3.2017 - con il consulente tecnico del Pubblico Ministero, Pa., ove il primo diceva al suo interlocutore: "Poi, vedendo le carte, effettivamente alcune operazioni baciate c'erano", il che dimostrerebbe l'effettività dei disvelamento affermato dal teste Am.); né il tribunale ha valutato con adeguato rigore i plurimi elementi istruttori che depongono nel senso di un rapporto istituzionale "non esemplare" intrattenuto dalla Banca d'Italia, nella specifica occasione, con il So.; - plurime sono le evidenze testimoniali - citate nominativamente nell'atto di appello - di una "piana e pacifica conoscenza dell'esistenza delle operazioni correlate in capo a tutti i settori di B., incluso il settore legale nella persona dell'avv. An.Pa. (diversamente da quanto costei ha sostenuto in sede dibattimentale) e incluso soprattutto il settore bilancio e pianificazione di cui era responsabile il coimputato Ma.Pe., che oltretutto faceva parte - circostanza ben nota al Gi. - del milieu ristretto di dirigenti che avevano un rapporto esclusivo con il So. (al riguardo l'appellante ha lamentato il fatto che il PE. sia stato mandato assolto dal tribunale sull'assunto che in capo allo stesso PE. fosse insufficiente la prova dell'elemento soggettivo del reato); - il GI., atteso tutto quanto sopra (in particolare quanto osservato in relazione alla posizione del PE. e al contegno da questi tenuto), non poteva che maturare la convinzione che le operazioni correlate - a tutti note in B. - venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza; - non può condividersi per converso l'argomento, svolto a pag. 216 dalla sentenza impugnata, secondo cui è evidente che le operazioni correlate in oggetto non venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza in quanto, in caso contrario, sarebbero state del tutto inutili; tale argomento prova troppo, giacché, se davvero così fosse stato, tutti coloro che si erano occupati di operazioni correlate in B. (inclusi tutti gli esponenti dell'alta e media dirigenza, ivi compresi quelli più vicini al So.) sarebbero stati raggiunti dalle medesime imputazioni; ciò non è invece avvenuto proprio perché la Procura della Repubblica vicentina ha ritenuto mancante in capo a costoro la consapevolezza dell'intero disegno strategico intessuto al riguardi dal So. (e, con ogni probabilità, da questi tenuto riservato entro la ristretta cerchia delle persone per lui fidate, la quale non comprendeva - come detto - l'imputato GI., tenuto lontano dalle "strategie decisionali" del direttore generale stante il rapporto di emarginazione, sfiducia e contrarietà del quale egli era reso oggetto); - esistono inoltre ragioni prettamente tecniche, illustrate anche dal c.t, della difesa prof, Pe. (e passate in rassegna alle pagg. 50-51 dell'atto di appello), che rafforzano ulteriormente la conclusione da trarsi circa la genuina convinzione, in capo al GI., che le note operazioni correlate venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. 2.1.5 Con il settimo e l'ottavo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli VII e VIII della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha passato dettagliatamente in rassegna le numerose emergenze processuali già evidenziate in prime cure dalla difesa - ma ignorate dalla sentenza impugnata - che a suo avviso depongono nel senso della non consapevolezza, in capo al GI., dell'entità del fenomeno, censurando simmetricamente l'erronea valutazione, da parte del primo giudice, di quegli ulteriori elementi probatori che lo stesso tribunale ha ritenuto pesare a carico dell'imputato. In particolare si è evidenziato che: quanto al contenuto del file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, le frasi ivi pronunciate dal GI. e da altri partecipanti non sono state adeguatamente contestualizzate (a quell'epoca era ormai diffusa in B. una sensazione di "quasi defaul" manifesta e recepita da tutti con ovvie preoccupazioni); in alcuni altri casi invece - come ad esempio è a dirsi per la quantificazione da parte del So. dei "finanziamenti" in oltre un miliardo di euro - sono state travisate nel significato (in realtà sarebbe chiaro, a detta dell'appellante, che il So. non si riferiva al capitale finanziato bensì alla campagna pre-affidamenti, il che emergerebbe da vari elementi della svolta istruttoria); - del tutto neutro è il fatto che il So. prima del 2013 avesse fatto fare un report a Co.Tu. (circostanza evidenziata a pag. 668 della sentenza gravata), dato che la stessa sentenza ha ricordato come tale report - al pari delle tabelle di monitoraggio mensili diffuse nel corso delle riunioni della Divisione Mercati - riguardasse tutti i soci, anche quelli non finanziati; - anche la deposizione del teste Ro.Pr., valorizzata in sentenza quale dato significativo a carico del GI., non sarebbe stata letta ed esaminata nella sua interezza dai giudici vicentini; - le prove a discarico in punto "consapevolezza" del GI. sono state completamente ignorate dal primo giudice, pur provenendo esse a volte finanche da testi altrimenti rivelatisi alquanto "ostili" nei suoi confronti come Lu.Ve., Gi.Ca., En.Da., Se.Ro., Pa.An. (dei quali l'appellante ha riportato gli stralci di deposizione favorevoli al GI.); - quanto agli elementi probatori indicati in sentenza come "a carico" dell'imputato, invece, ivi non si è specificato neppure a quali fra i plurimi distinti reati contestatigli essi si riferiscano; - attesa la sopra ben evidenziata conoscenza diffusa a tutti i livelli, in B., del ricorso a operazioni di capitale finanziato, si svuotano di valenza probatoria "a carico" elementi come gli appunti del teste Ma.So. circa i contenuti del Comitato di Direzione 8.11.2011 e come l'incontestato ruolo di coordinamento della rete che il GI. esercitava in quanto direttamente afferente alla sua qualifica di responsabile della Divisione Mercati; - vari testi, ancora una volta ignorati dalla sentenza gravata, hanno riferito circa il reiterato attivarsi del GI. per favorire l'informatizzazione della procedura (il che avrebbe reso impossibile la prassi contestata), incontrando però sempre la ferma resistenza della Divisione Risorse; - non sono minimamente risolutivi gli asseriti indici di consapevolezza evidenziati in sentenza (il divieto alla rete di comunicare informazioni per iscritto; il ricorso alla ed. "clausola sentinella" generica nelle P.E.F.; l'invito a rispettare un distanziamento temporale tra fido e acquisto delle azioni), posto che, a tacer d'altro, la formula generica - preesistente all'ingresso di GI. in B. - è risultata non essere stata utilizzata in una cospicua percentuale delle stesse operazioni correlate (circa il 35,50%) e che pure la prassi del distanziamento temporale non era stata certo introdotta, come dimostrato dalla svolta istruttoria, dal GI., in capo al quale - diversamente da quanto ritenuto in sentenza - non può affatto di dimostrata una "pervicace condotta tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delie autorità di vigilanza" (cfr. pag. 647 sentenza gravata); - la sentenza impugnata, nell'indicare come elementi a carico significativi la vicenda Vi. (e relativo report Bo.), la richiesta di chiarimenti da parte della società di revisione KP. e le schede consegnate all'ispettore Gi.Ma., ha riportato solo alcuni aspetti della relativa vicenda ignorando le risultanze processuali utili a contestualizzarli e a inquadrarli; aspetti che l'appellante ha illustrato e analizzato alle pagg. 62-66 dell'atto di impugnazione. 2.1.6. Con il nono, decimo, undicesimo e dodicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IX, X, XI e XII della parte III dell'impugnazione) l'appellante ha illustrato quelli che a suo avviso sono fondamentali errori metodologici commessi dal primo giudice nella ricostruzione probatoria dei fatti, con particolare riguardo: - a una visibile confusione fatta tra gli elementi costitutivi della fattispecie legale dell'operazione correlata e l'individuazione dei mezzi probatori atti a verificarne l'effettiva realizzazione in una determinata situazione; all'utilizzo di "criteri" (nomenclatura estranea al diritto delle prove penali) non identificabili con le circostanze indiziarie disciplinate quali mezzi di prova dall'art. 192 comma 2 c.p.p., di talché si sarebbe persa di vista, in sentenza, la necessità che il quadro indiziario risulti connotato dai necessari requisiti di gravità, precisione, concordanza e necessità di adeguati riscontri; in altri termini la sentenza gravata non ha rispettato il citato canone processual-penalistico (cui era tenuta ad attenersi) bensì ha, piuttosto, utilizzato il metodo amministrativistico di cui alla circolare n. 263 della Banca d'Italia, e ciò benché le finalità perseguite dai vari metodi e dai differenti criteri in gioco (BCE, consulenti tecnici del P.M., CONSOB) si differenzino considerevolmente fra loro; - all'utilizzo in particolare, da parte della sentenza gravata, dei criteri impiegati dapprima da BCE e indi dai consulenti tecnici del P.M., che tuttavia sono estranei alla metodologia del processo penale di cui al citato art. 192 comma 2 c.p.p. in tema di valutazione critica delle prove indiziarie; metodologia che, se utilizzata, avrebbe dato esiti finali ben diversi e favorevoli all'imputato. 2.1.7 Con il tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo e sedicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XIII, XIV, XV e XVI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha censurato la sentenza impugnata laddove ha ritenuto di ravvisare una responsabilità concorsuale del GI. ex art, 110 c.p.p., anzitutto, nei reati di aggiotaggio manipolativo-operativo (articolato in una prima condotta relativa alla concessione del capitale finanziato, in una seconda condotta relativa alla mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014 e in una terza condotta relativa alla mancata comunicazione all'esperto prof. Ma.Bi. della prassi aziendale in tema di operazioni correlate), non prima peraltro di avere stigmatizzato l'illegittima "moltiplicazione", operata in sentenza, dei reati di aggiotaggio di cui al capo Al, da ritenersi attuata in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale. Ha evidenziato come l'apoditticità dell'argomentare dei giudici vicentini circa il ravvisato apporto concorsuale del GI. emerga a più riprese dalla lettura della sentenza, fermo restando che, ad applicare uguale metodologia argomentativa a svariati fra i soggetti escussi come testi in dibattimento, gli stessi sarebbero a loro volta dovuti figurare quali coimputati in ragione della loro conoscenza diretta del "fenomeno" del capitale finanziato e della loro altrettanto diretta operatività all'interno del fenomeno medesimo. Ha indicato come profondamente errata, alla stregua di tali considerazioni e della necessità di rispettare i principi generali in tema di concorso nel reato, l'attribuzione generalizzata al GI. (del tutto disancorata dalle prove acquisite al processo, anche per quanto riguarda i dati numerici) della penale responsabilità con riguardo a tutte le 874 operazioni emerse, pur frammentate negli anni oggetto di contestazione. In realtà - ha proseguito l'appellante - sarebbe stato necessario dimostrare, per ciascuna singola operazione correlata, che il GI. ne aveva deliberato il finanziamento per essa specificamente utilizzato; che ne aveva seguito l'intera evoluzione; che infine aveva avuto consapevolezza della non deduzione di tale finanziamento dal patrimonio di vigilanza. L'appellante ha escluso che le generiche affermazioni contenute in sentenza riescano a evidenziare in capo al GI. la prova della sua ravvisata penale responsabilità anche per la condotta di mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014; per converso il primo giudice ha completamente ignorato, ad avviso dell'appellante, una serie di prove a discarico (documentali e testimoniali) che, conducono a non poter ascrivere al GI. tale condotta, per vero del tutto estranea alle competenze della Divisione Mercati. Né - ha proseguito l'appellante - può ritenersi soddisfacente il generico e indistinto ricorso, da parte del primo giudice in aderenza alla formulazione dell'imputazione, alla nozione di "agevolazione", essendo noto che, nella interpretazione giurisprudenziale dell'art. 110 c.p., la c.d. "agevolazione" o il "rafforzamento del convincimento" (dato dal concorrente nel reato a colui che materialmente pone in essere la condotta) deve comunque estrinsecarsi in una condotta individuata nei suoi tratti essenziali. Indi l'appellante ha censurato come ancora una volta apodittico, e anzi in aperto contrasto con le risultanze dell'istruttoria dibattimentale, l'argomentare della sentenza impugnata circa l'asserito apporto concorsuale del GI. al reato di aggiotaggio manipolativo quanto alla condotta di mancata comunicazione all'esperto stimatore esterno incaricato da B. nel 2010, prof. Ma.Bi., della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie. Ha comunque evidenziato che in base alla stessa relazione dei cc.tt del P.M. - pur ampiamente citata e utilizzata in sentenza sotto altri profili e viceversa pressoché ignorata su questo specifico punto - emerge come l'erronea stima del sovrapprezzo dell'azione B. da parte del prof. Bi., lungi dal dipendere esclusivamente dall'omessa comunicazione al predetto esperto circa l'esistenza del capitale finanziato così come adombrato in sentenza, fosse conseguita anche, e soprattutto, a una serie di errori metodologici commessi dallo stesso prof. Bi., il cui operato è in effetti ampiamente stato criticato anche dai cc.tt. del P.M. senza che il primo giudice si sia tuttavia soffermato adeguatamente su tale pur fondamentale parte della relazione di consulenza tecnica dell'accusa. Ad avviso dell'appellante la suddetta omissione del tribunale si è riverberata in maniera determinante sulla valutazione circa l'esistenza o meno di un nesso causale tra la contestata condotta di asserito nascondimento al prof. Bi. del fenomeno delle operazioni correlate e la sovrastima del valore dell'azione da parte dell'esperto, fermo restando che nessun elemento depone nel senso di un qualsivoglia apporto causale, da parte del GI., al suddetto nascondimento (lo stesso prof. Bi., nel suo esame dibattimentale, ha escluso di essersi interfacciato con il predetto). 2.1.8 Con il diciassettesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XVII della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'estraneità del GI. anche al reato di aggiotaggio informativo, posto che il primo giudice, ancora una volta mantenendosi su di un piano di assoluta indeterminata genericità, non ha dato alcuna indicazione (né tantomeno ha indicato elementi probatori a carico) su quale possa essere stato il "contributo" dell'imputato - non meglio specificato nel capo di imputazione - alla materiale diffusione di notizie false nei vari canali informativi. Né certo la prova e la determinazione del preteso "contributo" del GI. a tale specifica condotta possono trarsi, secondo l'appellante, dalla pur data per scontata - ma a sua volta contestata - "consapevolezza", in capo al predetto, delle modalità di occultamento delle operazioni correlate (consapevolezza che in ogni caso attiene al piano dell'elemento soggettivo e non già a quello - ben distinto - dell'individuazione dell'apporto causale), ferma restando l'esatta distinzione giurisprudenziale tra connivenza non punibile e concorso manifestabile nella sua forma minima, ossia appunto nella agevolazione. Ancora una volta difetta totalmente, in tesi difensiva, il rispetto dell'esigenza di individuare in termini ben delineati quale sia stata in concreto la condotta del GI. inteso quale asserito concorrente "agevolatore". 2.1.9 Con il diciottesimo e il diciannovesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XVIII e XIX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'insussistenza di una condotta concorsuale del GI. nei reati di ostacolo alle funzioni di vigilanza di Banca d'Italia e BCE (capi da B1 a MI), evidenziandone in particolare l'obiettiva estraneità alla produzione dei flussi di informazione decettivi destinati alla vigilanza e a nulla potendo valere la sistematica trasposizione reiterata - di stile - operata, in ciascun capo di imputazione, di quello che altro non è se non il criterio di imputazione soggettiva della distinta condotta di aggiotaggio manipolativo di cui al capo A1. Anche in questo caso difetta totalmente in sentenza, secondo l'appellante, l'individuazione per il GI. di una specifica condotta, dotata di tipicità, atta a individuare in capo al predetto la meramente dedotta condotta agevolativa, tanto più ponendo mente al fatto che in questo specifico caso il GI. si pone quale extraneus rispetto a un reato proprio e che pertanto andrebbero semmai applicate le stringenti regole in tema di responsabilità dell'estraneo nel reato proprio. In ogni caso - ha proseguito la difesa concludendo con una disamina analitica, capo per capo dal B1 fino al MI, del compendio istruttorio acquisito in sede dibattimentale - il tribunale ha fatto malgoverno delle prove ignorando, anche per i suddetti reati di ostacolo, i pur esistenti elementi a discarico. 2.1.10 Con il ventesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il tribunale condannato il GI., in relazione al capo N1, per un fatto totalmente nuovo, naturalisticamente autonomo e non enunciato in alcun modo nel decreto che dispone il giudizio: non gli è infatti più stata ascritta una intesa, al riguardo, con il d.g. Sa.So. ma un contegno attuativo di condotte decisionali esclusive e autonome del So. stesso. In altri termini - ha proseguito la difesa - la condotta per la quale il GI. ha riportato condanna non è sovrapponibile a quella originariamente descritta nel decreto che dispone il giudizio. Di qui l'eccepita nullità. 2.1.11 Con il ventunesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p. avendo il tribunale condannato il GI., in relazione ai capi I e L (reati di falso in prospetto), per un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio. In quest'ultimo infatti gli si contestava di avere preso parte alla materiale predisposizione dei testi dei due prospetti. La sentenza gravata, invece, pur dando atto (perché un tanto emerge dalla svolta istruttoria) che il contenuto dei prospetti è direttamente riconducibile alla condotta dolosa degli imputati ZO. e PI., e pur dando atto che il GI. - come pure l'altro imputato MA. - non era direttamente coinvolto nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, ancora una volta ne ha fondato erroneamente la penale responsabilità (come già aveva fatto in relazione ai reati di ostacolo) sulla mera asserita consapevolezza dell'occultamento delle operazioni finanziate. 2.1.12 Con il ventiduesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXII della parte V dell'impugnazione) l'appellante in subordine ha censurato il trattamento sanzionatorio sotto i seguenti profili: non corretta individuazione del reato più grave (ravvisato nel capo H1 quando viceversa, al momento di determinare la competenza territoriale dell'autorità giudiziaria vicentina, esso era stato identificato con il capo B1); mancata determinazione della pena base nei limiti di legge; mancata determinazione degli aumenti per la continuazione nel minimo di legge; mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. Illegittima deve ritenersi infine - e se ne è chiesta la revoca - la disposta confisca per equivalente non avendo il tribunale indicato le ragioni per le quali il GI. sia stato ritenuto responsabile dell'erogazione di tutti i finanziamenti strumentali alla formazione del capitale finanziato de quo. 2.1.13 Con il ventitreesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXIII della parte VI dell'impugnazione) l'appellante, in relazione alle statuizioni civili, ha chiesto la revoca delle stesse; in ogni caso, e in subordine, ha chiesto sospendersi - sussistendo gravi motivi ex art. 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le partì civili. Riassuntivamente l'appellante GI. ha rassegnato le seguenti conclusioni: 1) In via preliminare principale di rito, riconosciuta l'incompetenza per territorio del Tribunale di Vicenza, pronunciarsi sentenza di annullamento ex art. 24 comma 1 c.p.p., della sentenza impugnata ordinando la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ovvero, in subordine, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano. 2) In via preliminare subordinata di rito annullarsi la sentenza impugnata ex art. 603 comma 4 c.p.p. sia in relazione al capo N1 che in relazione ai capi I e L per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il Tribunale di Vicenza condannato per fatti nuovi non enunciati nel decreto che dispone il giudizio. 3) In via principale di merito assolvere l'imputato GI. da tutti i reati a lui ascritti per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato o con altra formula ritenuta di giustizia. 4) In via subordinata di merito quanto al trattamento sanzionatorio, previa individuazione del reato più grave fra quelli ascritti nel capo B1, riduzione ai minimi di legge della pena base nonché di tutti gli aumenti operati per la continuazione interna con riconoscimento del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle residue aggravanti contestate. 5) In via subordinata quanto alle statuizioni civili, escludere quelli - fra soggetti costituitisi parti civili - da valutarsi come carenti di legittimazione attiva nei termini illustrati nel relativo motivo di gravame. In ogni caso revocare tutte le statuizioni civili e sospendere - sussistendo gravi motivi ex art 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le parti civili. 2.2 Appello proposto da Ma.Pa. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Ma.Pa.. 2.2.1 In particolare con il primo motivo, assai articolato, l'appellante ha censurato l'affermazione di responsabilità del MA. in relazione a tutti i reati contestati nel capo di imputazione sotto più profili che vengono qui di seguito illustrati. 2.2.1.1 Preliminarmente l'appellante ha eccepito la nullità della richiesta di rinvio a giudizio reiterando la già sollevata eccezione, respinta dal tribunale vicentino, di nullità delle notifiche dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p. e dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare effettuate - nel domicilio da lui eletto in data 28.4.2017 nell'ambito del solo procedimento n. 5628/2015 RGNR, allora unico procedimento pendente a suo carico - con riguardo afte imputazioni relative alle condotte criminose che lo stesso MA., in tesi d'accusa, avrebbe posto in essere nell'anno 2015 (condotte che dapprima avevano costituito l'oggetto di un distinto procedimento recante il n. 5851/2017 RGNR, iscritto dalla Procura della Repubblica vicentina - a seguito del deposito dell'informativa finale 6.7,2017 della GdF di Vicenza estesa per la prima volta alle condotte commesse nell'anno 2015 - mediante stralcio dal già pendente procedimento n. 5628/2015 RGNR; indi riunito al suddetto procedimento n, 5628/2015 RGNR solo in occasione dell'udienza preliminare tenutasi nell'aprile 2018) per violazione dell'art. 157 c.p.p.. Ciò in applicazione del principio secondo cui l'elezione di domicilio effettuata dall'imputato ha validità unicamente nell'ambito del procedimento in relazione al quale essa viene effettuata, con divieto quindi di una sua ultrattività anche nei procedimenti connessi. 2.2.1.2 Indi l'appellante ha formulato richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, comprensiva in particolare del confronto tra il teste Cl.Am. (già responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B.) e il teste Ge.Sa. (componente del tea/77 ispettivo di Banca d'Italia che aveva operato nel 2012); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, sul file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (ciò solo per il caso di rigetto dell'eccezione di sua inutilizzabilità sulla quale v. infra); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, atta a valutare l'importo complessivo del capitale ritenuto finanziato, a individuare l'effettiva disciplina della sua deducibilità dal patrimonio di vigilanza e - prima ancora - a individuare i criteri che debbono essere utilizzati al fine di stabilire se un'operazione di finanziamento possa o meno dirsi correlata/finalizzata all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni. A tale ultimo proposito la difesa ha affermato di richiamarsi anzitutto alle articolate argomentazioni svolte dalla difesa ZO. (v. infra); ha evidenziato in ogni caso come emblematico, in ordine alla necessità di disporre perizia, il fatto che, mentre il tribunale ha avallato acriticamente il criterio temporale dei tre mesi (criterio basato su una indicazione del teste Ro. nonché adottato dall'ispettore Ma. e indi dai consulenti tecnici del P.M.), nondimeno l'espletata istruttoria dibattimentale ha in realtà consentito di appurare come il concretamente riscontrato intervallo temporale - a detta dello stesso teste Ma. - si fosse di fatto attestato attorno a un massimo di un mese circa. 2.2.1.3 L'appellante ha poi rinnovato la già svolta eccezione di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014; nel caso di specie, infatti, l'autore materiale della registrazione (uno o forse più tecnici all'uopo incaricati, a suo dire, dal segretario generale Ma.So.) era un soggetto - estraneo alla conversazione tra presenti in questione - che aveva operato da una consolle di registrazione sita all'esterno dell'aula consiliare e non vi era neppure stato ammesso ad assistere da alcuno se non eventualmente dal solo So. a insaputa di tutti gli altri partecipanti. 2.2.1.4 L'appellante ha lamentato un malgoverno delle prove in quanto la gravata sentenza, nonostante la mole ponderosa, si caratterizzerebbe: a) per una costante sottrazione di elementi, pur presenti all'interno dell'istruttoria dibattimentale ma nemmeno considerati nella motivazione; b) per una elusione delle questioni di fondo poste dalla difesa dell'imputato. In primo luogo, comunque, non è dato comprendere perché tutta una serie di soggetti (si sono indicati esemplificativamente i testi Cl.Gi., Co.Tu., Gi.Am. e altri), pacificamente resisi autori materiali delle medesime condotte contestate all'imputato, non siano mai stati nemmeno indagati in relazione a tali loro condotte. La suddetta considerazione è prodromica all'ulteriore doglianza difensiva concernente la totale assenza, nella gravata sentenza, di ogni e qualsiasi valutazione in ordine alla componente psicologica dei reati contestati. A tale ultimo proposito la difesa ha evidenziato in particolare come il MA. mai abbia sostenuto di ignorare l'esistenza in B. di operazioni di finanziamento correlato; egli in effetti ha costantemente dichiarato ben altro, ossia di essere sempre stato genuinamente convinto della piena liceità delle operazioni stesse: non solo tale tipologia di operazione veniva eseguito in B. già prima del 2009, anno di assunzione del MA., ma altresì egli, da neoarrivato, aveva ricevuto assicurazioni da vari colleghi, tra cui il GI., il Co. e il Se. (all'epoca responsabile della Divisione Crediti), sul fatto che - trattandosi di una banca cooperativa - non trovasse ad essa applicazione l'art. 2358 c.c.; in tale ultimo senso anzi la banca aveva a suo tempo richiesto e acquisito pure un parere legale formulato da uno studio incaricato ad hoc (trattavasi dello studio Erede-Bonelli; il parere, redatto da uno dei massimi esperti nella materia, era stato favorevole alla tesi della inapplicabilità dell'art. 2358 c.c. alle banche cooperative); in effetti la dottrina e la stessa giurisprudenza fino ad epoca assai recente si erano dimostrate tutt'altro che univoche sul punto. A ciò si aggiunge la circostanza che l'effettuazione di operazioni correlate fosse emersa, alla luce della svolta istruttoria dibattimentale, quale dato pienamente noto anche all'interna audit della banca (il che renderebbe assai precaria, sotto il profilo dell'attendibilità, la posizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'audit) nonché al suo ufficio legale (considerazioni analoghe a quelle relative al teste Bo. andrebbero dunque svolte anche con riguardo alla sua responsabile, l'altra teste avv. An.Pa.): né l'una né l'altra struttura avevano mar avvisato alcuno in B. circa il fatto che si stesse con ciò ponendo in essere un'attività illecita. Anzi la teste Pa. in sede dibattimentale si era trovata costretta ad ammettere che aveva effettivamente potuto visionare la pratica (pacificamente correlata) Ca.-Lu. ma che, essendosi essa positivamente conclusa, non aveva ritenuto di fare nulla. 2.2.1.5 L'appellante ha indi lamentato l'errata ricostruzione operata dal tribunale - alla pag. 678 della gravata sentenza - delle competenze della Divisione Crediti, affermando che i giudici vicentini si sono basati, al riguardo, essenzialmente su quanto affermato dal teste Gi.Sc. nella relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia (laddove lo stesso Sc. in sede dibattimentale ha ammesso di non conoscere le facoltà deliberative autonome riconosciute alla rete), mentre sarebbe stata obliterata la delibera del CdA 7.2.2012 (pur acquisita al fascicolo del dibattimento) la quale aveva ridisegnato le competenze e le funzioni della Divisione Crediti istituendo le Direzioni Regionali. In particolare non risponde affatto al vero - ha proseguito l'appellante - l'assunto del primo giudice secondo cui "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito (...) la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (affida menti) (e delle relative garanzie)". In rea Ita i I perfezionamento e l'erogazione degli affidamenti, come pure l'acquisizione delle eventuali garanzie ad essi relative, erano - nel periodo in esame - demandati a una società controllata da B. e denominata Servizi Bancari, come riferito concordemente in sede dibattimentale dai testi Cl.Am. e Sa.R. oltre che dallo stesso imputato MA.. La difesa del MA. ha affermato altresì che, sempre in tale passo dell'impugnata sentenza, i giudici vicentini hanno equivocato anche sul ruolo svolto dal teste Cl.Gi. indicandolo come "capo area di Vicenza" Al di là del refuso "13.6.2013" in luogo di "13.6.2019" riguardo alla data dell'esame testimoniale del Gi. (che pure - a detta dell'appellante - non depone a favore della precisione ricostruttiva complessivamente impiegata dal collegio giudicante), io stesso Gi. nel corso del suo esame testimoniale aveva chiaramente detto di avere assunto la carica di Direttore regionale Ve.Oc. all'indomani della modifica dell'organizzazione commerciale della banca, disposta nell'aprile - maggio 2012 con l'istituzione delle direzioni territoriali. Infine, e più gravemente, il passo in oggetto della gravata sentenza avrebbe totalmente travisato la stessa spiegazione, in sé completa ed esatta, fornita dal teste Gi.. Dalla parafrasi del tribunale pare che ad essere articolata su base territoriale decentrata fosse la Divisione Crediti ma ciò è difforme da quanto riferito dal teste Gi. (nonché da altri testi come ad esempio il teste Ma.Ba., il teste Lu.Ve. e il teste Gi.Am.): gli Uffici Crediti articolati su base territoriale erano infatti alle dipendenze delle Direzioni Regionali, le quali a loro volta erano gerarchicamente inquadrate all'interno della Divisione Mercati. In altri termini nel periodo 2012-2015 successivo all'ispezione della Banca d'Italia la situazione era la seguente: a) la Divisione Crediti non era coinvolta in alcun modo nell'erogazione e perfezionamento dei finanziamenti; b) ciò che al riguardo veniva deliberato -in piena autonomia - dalle Direzioni Regionali era completamente estraneo al perimetro conoscitivo della Divisione Crediti. Soltanto nel 2015, come riferito con chiarezza dal teste Cl.Am., l'assetto organizzativo di B. era variato nuovamente con il ritorno alla Divisione Crediti della competenza gerarchica sui crediti in rete. Nel periodo 2012-2015, viceversa, alla stregua delle suesposte considerazioni, essendo il processo del credito non accentrato, diversamente da quanto sostenuto nella gravata sentenza, la Divisione Crediti (il cui ruolo e la cui funzione erano circoscritti alla necessità di assicurare la qualità del credito e il recupero di esso) non aveva - né poteva avere - contezza della complessiva entità del capitale finanziato. 2.2.1.6 L'appellante ha poi evidenziato come nessun rilievo fosse stato sollevato dalla vigilanza nei confronti della Divisione Crediti, tanto all'esito dell'ispezione del 2012 quanto all'esito di quella del 2015, mentre per converso erano stati formulati i seguenti rilievi per omissioni e carenze a vario titolo: contro i consiglieri di amministrazione in carica all'epoca dei fatti; contro i sindaci in carica all'epoca dei fatti; contro il direttore generale (Sa.So.) in carica all'epoca dei fatti; contro i vice direttori generali in carica all'epoca dei fatti An.Pi. (Divisione Finanza) ed Em.Gi. (Divisione Mercati); contro le funzioni aziendali di controllo - ossia contro i responsabili della funzione Internai Audit (Ma.Bo.) e della funzione Compliance (Gi.Fe.) - in carica all'epoca dei fatti. 2.2.1.7 L'appellante, con riguardo alla questione della c.d. "causale sentinella" connotata da estrema genericità, ha sollevato forti dubbi sulla valenza sintomatica attribuita in tesi d'accusa - e fatta propria dal tribunale vicentino - alla causale stessa, posto che: s lo stesso teste Gi.Sc., capo team dell'ispezione 2012, aveva affermato che 'le carenze nella causale non erano un fatto sistematico, perché altrimenti lo avremmo registrato nel rapporto o, perlomeno, non mi è stato restituito come un fatto sistematico, poi non posso evidentemente immaginare che tutte le PEF siano state esaustive (...)"; - anche il teste Ge.Sa., altro membro del team dell'ispezione 2012, aveva manifestato, sotto altro profilo, considerevoli dubbi sulla natura effettiva di "sentinella" in capo alla suddetta causale generica; - l'assoluta mancanza di rilievi in merito alla presunta genericità di tale, proposta di fido contenuta nella P.E.F. era stata confermata anche dal teste Ma.D.Bo. (all'epoca direttore dei Crediti Anomali nonché uno dei diretti interlocutori con il team ispettivo); - nemmeno l'ispettore Em.Ga. nel 2015, benché le regole da seguire e applicare fossero frattanto divenute più stringenti (in quanto non più di, matrice nazionale bensì europea), aveva proposto sanzioni al riguardo nemmeno aveva invitato la banca a modificare modulistica, procedura e altro in tema di credito; - la formula generica "cogliere opportunità di investimenti mobiliari e immobiliari", lungi dall'essere stata introdotta dal MA. come poteva sembrare leggendo la sentenza impugnata, preesisteva al suo arrivo in B. e d'altra parte non era applicata unicamente ad operazioni c.d. "baciate" (lo stesso teste Fr.Io., ossia il nuovo direttore generale succeduto a Sa.So., lo aveva confermato in sede dibattimentale al pari del teste Co.Tu.); - in relazione a tutte le operazioni finanziate, così come individuate dalla consulenza tecnica Ta.-Pa.-Ca., l'esame delle P.E.F. faceva emergere il dato statistico secondo cui circa il 40% dell'importo finanziato (esattamente il 41,44%) portava causali diverse da quella sopra indicata. 2.2.1.8 L'appellante ha confutato come non rispondente al contenuto complessivo dell'espletata istruttoria dibattimentale anche l'ulteriore assunto - di cui alle pagg. 680 e ss. della sentenza impugnata - secondo il quale le pratiche riguardanti le operazioni correlate dovevano necessariamente essere predisposte su un format fornito dalla Divisione Crediti, e ciò a pena di essere rifiutate, su disposizione apparentemente impartita dal MA., in caso contrario. In realtà tutti i testi sentiti al riguardo si erano espressi de relato riportando asserite affermazioni rese loro in tal senso dall'uno o dall'altro esponente della Divisione Mercati; non a caso l'espressione utilizzata al riguardo in sentenza - "Inoltre, si disse che tale dicitura era condivisa con la Divisione Crediti e avrebbe consentito l'approvazione della pratica" (cfr. pag. 680 cit.) - era quanto mai generica e impersonale. Anche quanto all'altro preteso indicatore univoco della natura correlata dell'operazione, oltre alla c.d. "clausola sentinella", ossia la c.d. "sfasatura temporale" tra l'erogazione del fido e l'acquisto di azioni, la difesa ha osservato che la sentenza impugnata pare volutamente confondere i piani intersecando l'unica disposizione data dal MA. al riguardo (ossia che il denaro del finanziamento erogato dovesse risultare già accreditato nel c/c prima di poter procedere all'acquisto delle azioni) con il fenomeno - del quale il MA. non era in alcun modo partecipe - dell'occultamento di tale procedura agli occhi dell'eventuale controllore. In altri termini il monito in questione, rivolto dal MA. al personale a seguito della reiterata disinvoltura dimostrata in passato da B. sull'argomento (cfr. ad esempio l'operazione Lu.-Ca.), disinvoltura che come tale era stata censurata dal team ispettivo del 2012, aveva il solo fine di evitare eventuali sconfinamenti in c/c come aveva ad esempio ben spiegato fra gli altri il teste Co.Tu.. Le stesse deposizioni che sul punto vanno apparentemente in senso sfavorevole al MA., segnatamente quelle rese dai testi En.Da., Gi.Am. e Al.Cu., sarebbero state riportate in sentenza dal tribunale vicentino solo per brevi stralci completamente decontestualizzati, sì da stravolgerne il senso. 2.2.1.9 L'appellante indi ha affrontato un altro tema (svolto dalla sentenza impugnata alle pagg. 686-687), quello della "campagna riqualificazione impieghi" - intendendosi per impieghi i prestiti - anche detta "pre-deliberato", connotata semplicemente dallo stanziamento, ad opera di B., di una rilevante somma finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate (ossia più vantaggiose) in sede di rinnovo o revisione degli affidamenti di clienti meritevoli di un particolare rating creditizio. Il compito della Divisione Crediti, a detta dell'appellante, era esclusivamente tecnico e riguardava solo l'individuazione dei criteri di rating da utilizzare per selezionare i clienti ai quali riqualificare il prestito, formare apposite liste e inviarle alla rete per la definitiva verifica. Il tutto - ha proseguito la difesa del MA. - è stato esaustivamente spiegato in dibattimento dai testi Cl.Am. e Ma.Ba. mentre l'appellante, contrariamente a quanto parrebbe desumersi dalla sentenza gravata, non aveva nulla a che vedere con le modalità, più o meno corrette, attraverso cui tale iniziativa era poi stata presentata dalla rete commerciale ai propri clienti, non potendo ascriversi all'imputato le eventuali pressioni esercitate dalla rete medesima ° nei confronti della clientela per accompagnare l'iniziativa con inviti ad acquistare azioni B.. Al riguardo, ad esempio, la sentenza impugnata valorizzerebbe al massimo grado la deposizione del teste Um.Se. ma da un lato trattasi di soggetto che risulta avere deliberato, egli sì, numerosi finanziamenti destinati all'acquisto di azioni (sia come predecessore del MA. alla Divisione Crediti - anteriormente all'introduzione delle Direzioni Regionali - e sia in seguito come direttore generale della controllata Ba.Nu.) mentre dall'altro lato la reale natura dell'iniziativa (di per sé priva di qualsivoglia rilievo nell'alveo del problema del capitale finanziato) risulterebbe assai meglio illustrata nella relativa delibera acquisita al fascicolo del dibattimento. Anche in tal caso comunque - secondo quanto ha lamentato la difesa - il tribunale avrebbe selezionato gli elementi istruttori omettendo di menzionare quelli favorevoli all'imputato. 2.2.1.10 L'appellante ha censurato altresì il grande rilievo attribuito dalla sentenza impugnata a una serie di note e di approfondimenti provenienti dall'audit nella persona del suo responsabile Ma.Bo., posto che - come già sopra accennato - questi, al pari dell'ufficio legale della banca, era perfettamente al corrente dell'esistenza della prassi delle operazioni di finanziamento correlato e che mai tali strutture avevano segnalato alcunché, fermo restando quanto già detto in ordine al convincimento del MA. circa la liceità di tali operazioni ed esulando dall'ambito delle sue competenze quella di controllare se poi il capitale finanziato con tali operazioni venisse correttamente scomputato dal patrimonio di vigilanza. Analogamente - ha proseguito l'appellante - si sarebbe dovuto considerare l'atteggiamento di fuga dalla responsabilità tenuto dal CdA (composto non già da persone digiune della materia ma da docenti universitari, da imprenditori di primo piano e finanche da un ex Ragioniere Generale dello Stato), il quale, sottoscrivendo ogni delibera, aveva a sua volta scelto di abdicare al proprio compito di vigilare sul rispetto degli adempimenti e sulla corretta deduzione del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza. Oltretutto - ha notato la difesa - diversi altri componenti del CdA, e non solo l'imputato Gi.ZI., avevano sottoscritto essi stessi dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni B. 2.2.1.11 L'appellante si è diffuso a lungo sulle due ispezioni (Banca d'Italia 2012; BCE 2015) - in particolare sulla prima - evidenziando la necessità di un confronto tra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. che avevano reso deposizioni tra loro inconciliabili ed erano stati entrambi definiti "debolmente attendibili" dal tribunale (il primo aveva sostenuto che l'effettuazione delle operazioni correlate di finanziamento non fosse stata affatto taciuta al team ispettivo del 2012, con i quali egli aveva avuto una diretta interlocuzione; il secondo - incorso peraltro in pesantissime contraddizioni nelle diverse occasioni in cui era stato sentito durante le indagini preliminari e finanche sottoposto a intercettazione telefonica dagli inquirenti - era tornato, in sede dibattimentale, ad affermare il contrario, ritrattando quanto aveva detto da ultimo agli stessi inquirenti). Ad avviso dell'appellante, comunque, l'Am., responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B. nonché vice - assieme a Ma.D.Bo. - del MA., sarebbe assai più credibile del Sa. e più in generale dell'intero team ispettivo della stessa Banca d'Italia, la quale, dopo avere incentivato la crescita di B., non potrebbe, secondo la difesa, "permettere che qualcuno o qualcosa possa accusarla di essere stata omissiva of peggio, connivente" (cfr. pag. 103 atto di appello). Sul punto la difesa dell'appellante MA. ha menzionato l'esistenza nel web, quale fonte aperta, della registrazione di un colloquio intercorso nei primi mesi del 2014 fra il presidente di B. Zo.Gi., l'allora presidente di Ve.Ba. e l'allora capo della vigilanza della Banca d'Italia da cui si evinceva che quest'ultimo, nel ricordare ai suoi interlocutori che dal 4 novembre di quello stesso anno Banca d'Italia avrebbe dovuto passare ex lege la mano al SSM (Single Supervisory Mechanism) e che dunque i controlli sarebbero stati più severi, stava cercando di convincere Ve.Ba. ad unirsi con B.. 2.2.1.12 L'appellante ha evidenziato altresì come il tribunale non abbia riferito, nell'occuparsi della successiva ispezione del 2015, che in realtà il MA. non vi aveva nemmeno preso parte in quanto trasf