Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Lombardia

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1877 del 2023, proposto da So. As. Ch., rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Como, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ch. Pi., Ma. Og., An. Ta. e An. Ro. Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - del provvedimento n. 671 del 31 luglio 2023, notificato il 2 agosto 2023, avente ad oggetto la decadenza della concessione in rinnovo n. 793 del 25 settembre 2022 sul posteggio n. 2622 del Mercato Mercerie del sabato e dell'autorizzazione all'esercizio del commercio su posteggio n. 14/2014; - del provvedimento n. 673 del 31 luglio 2023, notificato il 2 agosto 2023, avente ad oggetto la decadenza della concessione in rinnovo n. 800 del 15 settembre 2022 sul posteggio n. 5622 del Mercato Mercerie del martedì e dell'autorizzazione all'esercizio del commercio su posteggio n. 13/2014; - del provvedimento n. 676 del 31 luglio 2023, notificato il 2 agosto 2023, avente ad oggetto la decadenza della concessione in rinnovo n. 799 del 15 settembre 2022 sul posteggio n. 6622 del Mercato Mercerie del giovedì e dell'autorizzazione all'esercizio del commercio su posteggio n. 33/2014; - della determina dirigenziale n. 3147 del 29 dicembre 2020, con la quale si è dato avvio alla procedura di rinnovo delle concessioni di aree pubbliche nei mercati, nelle fiere e su parcheggi isolati e, ai fini dello svolgimento di attività artigianali, di somministrazione di alimenti e bevande e di chioschi di rivendita quotidiani e periodici in scadenza al 31 dicembre 2020, nella parte in cui prevede che "il rinnovo delle concessioni sarà consentito solo per i posteggi sui quali non insisteranno debiti relativamente alle annualità pregresse relative al canone Osap"; - di tutti gli atti e/o comportamenti presupposti, preparatori, consequenziali e/o comunque connessi e/o da questi ultimi richiamati e così le comunicazioni del 14 giugno 2023, rese ai sensi degli artt. 2 e 7 l. 241/1990 e, ove occorrer possa, le concessioni in rinnovo richiamate nei provvedimenti n. 671, 673 e 676 del 31 luglio 2023 nella parte in cui prevedono che "il presente provvedimento decade in caso di tardivo e/o omesso pagamento di una sola rata concordata in caso di piano di rientro della pregressa posizione debitoria relativa al canone osap"; nonché per la condanna al rinnovo delle concessioni n. 793, 800, e 799 del 15 settembre 2022 e delle autorizzazioni di tipo A all'esercizio del commercio sui posteggi n. 14/14, 13/14 e 33/14 o al rilascio di nuove concessioni al ricorrente. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Como; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 settembre 2024 la dott.ssa Martina Arrivi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il ricorrente era titolare di tre concessioni per l'esercizio del commercio su posteggi del "Mercato Mercerie" del Comune di Como, destinate a scadere il 31 dicembre 2020, e delle correlate autorizzazioni all'esercizio del commercio su posteggi (doc. 1-3 Comune). 1.1. Con l'art. 181, co. 4 bis, d.l. 34/2020, il legislatore ha previsto che le concessioni per l'esercizio del commercio su aree pubbliche aventi scadenza entro il 31 dicembre 2020 fossero rinnovate, per la durata di dodici anni, secondo le linee guida adottate dal Ministero dello sviluppo economico (MISE) e con le modalità stabilite dalle regioni. In attuazione della previsione di legge sono stati adottati, a livello nazionale, il decreto del MISE del 25 novembre 2020 (recante le linee guida per il rinnovo delle concessioni di aree pubbliche) e, a livello regionale, la delibera di Giunta regionale (DGR) Lombardia n. XI/4054/2020 (recante i criteri da applicare alle procedure di rinnovo delle concessioni). 1.2. La procedura di rinnovo delle concessioni in discorso è stata avviata, dal Comune di Como, con un avviso pubblico del 30 dicembre 2020 (doc. 11 Comune), al quale il ricorrente ha aderito presentando, in data 21 marzo 2021, l'istanza di rinnovo delle tre concessioni di sua spettanza (doc. 12 Comune). Dacché l'avviso pubblico del 30 dicembre 2020 subordinava il rinnovo delle concessioni alla regolarità nei pagamenti dei canoni concessori, il 17 maggio 2021 il Comune di Como ha rilevato una esposizione debitoria dell'istante per canoni di occupazione del suolo pubblico (COSAP) scaduti, diffidandolo a regolarizzare la propria posizione, pena la conclusione negativa d IC. el procedimento (doc. 13 Comune). Il ricorrente ha, quindi, convenuto con il concessionario del servizio di riscossione del canone (la società IC. s.r.l.) un piano di rientro dal debito, di complessivi 11.235,00 euro, mediante il pagamento di un acconto di 5.570,00 euro e di 19 rate mensili di 300,00 euro ciascuna (salvo l'ultima, pari a 165,00 euro), dal 20 giugno 2021 sino al 20 dicembre 2022 (doc. 14 ricorrente; doc. 15 Comune). Per l'effetto, con provvedimenti nn. 793, 799 e 800 del 15 settembre 2022, il Comune di Como ha rinnovato le concessioni del ricorrente sino al 31 dicembre 2032, ivi stabilendo, in conformità alle previsioni dell'avviso pubblico, che "(f)erme restando tutte le ipotesi di decadenza, sospensione e revoca previste nella normativa regionale e nei regolamenti comunali richiamati, il presente provvedimento: - decade in caso di tardivo e/o omesso pagamento di una sola rata concordata in caso di piano di rientro della pregressa posizione debitoria relativa al canone osap" (doc. 16 Comune). 1.3. Senonché, ottenuto il rinnovo dei titoli, il concessionario ha versato solo parte delle rate del piano di rientro dal debito per il COSAP. Pertanto, il 15 giugno 2023, il Comune gli ha comunicato l'avvio del procedimento di decadenza delle concessioni e delle relative autorizzazioni all'esercizio del commercio su posteggi (doc. 18 Comune), procedimento che si è concluso con i provvedimenti decadenziali nn. 671, 672 e 673 assunti il 31 luglio 2023 (doc. 19 Comune). 2. Con il ricorso in epigrafe, ritualmente notificato e depositato, il ricorrente ha impugnato i provvedimenti di decadenza, unitamente all'avviso pubblico del 30 dicembre 2020 di attivazione della procedura di rinnovo delle concessioni comunali per il commercio, formulando le seguenti censure. I) Violazione dell'art. 1, co. 792, l. 160/2019 (l. bilancio 2020), dell'art. 104 del Regolamento del Comune di Como per la disciplina dell'occupazione degli spazi pubblici e dell'esposizione pubblicitaria e del relativo canone (in breve, Regolamento COSAP), degli artt. 160 e 141 cod. proc. civ. e dell'art. 47 cod. civ.: i provvedimenti di decadenza delle concessioni e delle autorizzazioni sarebbero illegittimi in quanto non preceduti dalla notifica, all'indirizzo personale del ricorrente, dell'avviso di accertamento esecutivo - ex art. 1, co. 792, l. 160/2019, richiamato dall'art. 104 del Regolamento COSAP - relativo alle rate di canone rimaste insolute, tale omissione avendo impedito al concessionario di conoscere la propria esposizione debitoria verso il Comune. II) Violazione dell'art. 1, co. 792, l. 160/2019, degli artt. 19, 23, 103 e 104 del Regolamento COSAP, dell'art. 141 cod. proc. civ., dell'art. 47 cod. civ., del d.m. MISE del 25 novembre 2020, della DGR Lombardia n. XI/4054/2020 e dell'art. 4 Cost., nonché eccesso di potere per sviamento dalla funzione e travisamento dei fatti: le linee guida del MISE e i criteri dettati dalla Regione Lombardia non prevedono la possibilità di denegare il rinnovo delle concessioni per pendenza di situazioni debitorie dei concessionari; comunque, le decadenze non sarebbero state precedute dagli adempimenti prescritti dagli artt. 23 e 104 del Regolamento COSAP, cioè la notifica dell'avviso di accertamento e la diffida ad adempiere; né potrebbe qualificarsi alla stregua di rituale diffida ad adempiere la comunicazione di avvio del procedimento decadenziale del 15 giugno 2023, in quanto priva dell'indicazione dell'importo dovuto, del fondamento della pretesa, del domicilio eletto e di un congruo termine per adempiere; il Comune avrebbe, inoltre, omesso di considerare che, nel 2020 e 2021, a causa dell'emergenza derivante dall'epidemia da Covid-19, i mercati sono rimasti chiusi, ciò determinando problemi di solvibilità dei concessionari, che da marzo 2020 ad aprile 2022 i commercianti sono stati esentati dal pagamento del COSAP e che si è determinata una certa confusione nella gestione dei procedimenti di accertamento dei debiti. III) Violazione dell'art. 97 Cost. con riferimento ai principi di imparzialità e di buon andamento dell'amministrazione, poiché, con i provvedimenti avversati, il Comune di Como avrebbe discriminato il ricorrente rispetto ad altri esercenti, ammessi a proseguire i rapporti concessori nonostante la presenza di debiti insoluti, e avrebbe inefficientemente gestito la riscossione dei canoni concessori. IV) Violazione del d.m. MISE del 25 novembre 2020, della DGR Lombardia n. XI/4054/2020 e dell'art. 4 Cost., nonché eccesso di potere per sviamento dalla funzione: i provvedimenti di decadenza sarebbero afflitti da invalidità derivata dall'avviso pubblico del 30 dicembre 2020, illegittimo nella parte in cui subordina il rinnovo delle concessioni alla regolarità dell'istante nel pagamento dei canoni pregressi, giacché né il d.m. MISE del 25 novembre 2020 né la DGR Lombardia n. XI/4054/2020 contemplano siffatto requisito. 3. Si è costituito in giudizio, per resistere al ricorso, il Comune di Como. 4. Con ordinanza n. 1049 del 17 novembre 2023, è stata respinta la domanda cautelare proposta dal ricorrente, per difetto di fumus boni iuris. 5. La causa è stata, infine, trattenuta in decisione all'udienza pubblica del 24 settembre 2024, in vista della quale il Comune ha depositato una memoria in cui, oltre a dedurre l'infondatezza delle contestazioni, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per intempestiva impugnazione dell'avviso pubblico del 30 dicembre 2020 e per l'omessa contestazione del Regolamento COSAP, nonché il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulle doglianze inerenti la regolarità del procedimento di accertamento dei canoni concessori dovuti. 6. In via pregiudiziale, va affermata la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di concessioni di beni pubblici ex art. 133, co. 1, lett. b), cod. proc. amm., la quale si arresta unicamente rispetto alle vertenze meramente patrimoniali su indennità, canoni e altri corrispettivi, le quali, invece, appartengono alla sfera di cognizione del giudice ordinario (cfr., ex multis, Cass. Civ., Sez. Un., 30 luglio 2020, n. 16454; Id., 11 aprile 2023, n. 9654). Ebbene, nella fattispecie non vengono impugnati atti del procedimento di accertamento dei canoni concessori, bensì delle declaratorie di decadenza, come tali incidenti sulla stessa permanenza dei rapporti concessori. Nella misura in cui gli atti di decadenza vengono contestati per derivazione da asserite irregolarità del procedimento di accertamento dei canoni dovuti, il giudice amministrativo, ove riscontri una pregiudizialità -dipendenza tra i due procedimenti, può avvalersi del potere di accertamento incidentale di cui all'art. 8 cod. proc. amm. (cfr. T.A.R. Milano, Sez. V, 14 dicembre 2023, n. 3040). 7. Nel merito, il ricorso, le cui censure vengono analizzate assieme in quanto interconnesse, è infondato. Possono, quindi, essere assorbire le restanti eccezioni preliminari sollevate dal Comune resistente. 7.1. Come accennato, la vertenza scaturisce da una procedura di rinnovo generalizzato delle concessioni comunali per il commercio, avviata dal Comune di Como sulla scorta del d.m. del 25 novembre 2020 e della DGR Lombardia n. XI/4054/2020, atti a loro volta applicativi dell'art. 181, co. 4 bis, d.l. 34/2020, contenente la previsione generale di rinnovo delle concessioni in scadenza al 31 dicembre 2020 per ulteriori dodici anni. Invero, la previsione legislativa succitata, sottraendo l'attribuzione di diritti di esclusiva su risorse scarse all'indizione di procedure d'evidenza pubblica, si pone in contrasto con l'art. 12 della direttiva 2006/123/CE, sui servizi nel mercato interno (sul punto, cfr., Cons. Stato, Sez. VII, 19 ottobre 2023, n. 9124; T.A.R. Milano, Sez. V, 18 gennaio 2024, n. 130). Tuttavia, le problematiche connesse all'applicazione di una norma "anticomunitaria" non hanno rilievo decisionale, posto che, nella fattispecie, non è in contestazione il rinnovo delle concessioni, bensì la decadenza delle stesse, in ragione dell'esposizione debitoria del concessionario. 7.2. È dirimente, piuttosto, che, dopo aver ottenuto il rinnovo delle concessioni di posteggi mercatali (e delle connesse autorizzazioni per l'esercizio del commercio), il ricorrente non ha regolarmente pagato le rate del piano di rientro dal debito per i canoni di occupazione di suolo pubblico. Pertanto, egli è incorso nella specifica causa di decadenza, contemplata nei provvedimenti di rinnovo, del seguente tenore: "(f)erme restando tutte le ipotesi di decadenza, sospensione e revoca previste nella normativa regionale e nei regolamenti comunali richiamati, il presente provvedimento: - decade in caso di tardivo e/o omesso pagamento di una sola rata concordata in caso di piano di rientro della pregressa posizione debitoria relativa al canone osap". 7.3. In punto di fatto, è incontestato che il concessionario abbia omesso di pagare tempestivamente alcune rate del piano di rientro dal debito. Nel ricorso stesso viene, infatti, allegato che, a fronte di un debito complessivo di 11.235,00 euro, l'esponente ha effettuato dei versamenti parziali (l'acconto di 5.570 euro il 5 agosto 2021 e due pagamenti di 3.000,00 euro il 13 settembre 2021 e di 1.200,00 il 3 novembre 2021), senza comunque rispettare le singole scadenze della rateizzazione e lasciando un insoluto di 1.465,00 euro. Viene, poi, dedotto che il ricorrente "nel giugno 2023 ha regolarizzato la sua situazione per l'occupazione dei posteggi sino a tutto il 2022", ma si tratta di un fatto tardivo, quindi inidoneo a superare l'evento decadenziale ormai verificatosi in conseguenza del ritardo nell'esecuzione del piano di rientro. Nel ricorso è, invero, adombrata l'avvenuta sospensione dell'obbligo di pagamento dei canoni da marzo 2020 ad aprile 2022 a causa delle difficoltà scaturenti dalla chiusura dei mercati durante l'emergenza pandemica, ma - oltre a non esservi alcuna prova della veridicità dell'affermazione - la circostanza è irrilevante, dal momento che l'inadempimento che ha condotto alla decadenza è quello derivante non dagli originari canoni di occupazione, bensì dalle rate liberamente negoziate dalla ricorrente a maggio del 2021. 7.4. In punto di diritto si osserva che la clausola di decadenza applicata dal Comune, la quale non ha formato oggetto di contestazione, si aggiunge a ulteriori ipotesi decadenziali contemplate in altre normative ed è legata al mero dato sostanziale del mancato o anche solo dell'intempestivo pagamento delle rate del piano di rientro concluso per ottenere il rinnovo delle concessioni. Vanno, quindi, disattese tutte le censure che si appuntano su irregolarità procedurali. 7.5. In particolare, sono infondati i primi due motivi di ricorso, con i quali si lamenta l'omessa notifica di avvisi di accertamento esecutivo, previsti dall'art. 1, co. 792, l. 160/2019, in quanto ciò che rileva è l'inadempimento sostanziale dell'obbligazione, mentre l'avviso di accertamento è funzionale a cristallizzare, sotto forma di titolo esecutivo, la pretesa creditoria ai fini dell'avvio della procedura di riscossione coattiva (cfr. T.A.R. Milano, Sez. V, 14 dicembre 2023, n. 3040; Id, 26 giugno 2024, n. 1986). Era, quindi, onere del ricorrente organizzarsi per far fronte tempestivamente al pagamento delle rate del piano, onde non incorrere nella specifica causa decadenziale. 7.6. È, inoltre, inconferente l'evocazione, effettuata nel ricorso, dell'art. 104 del Regolamento COSAP, ove, al co. 3, stabilisce che "(i)l Comune o il concessionario provvedono, nell'ambito dell'attività di verifica ed accertamento di tale entrata, al recupero dei Canoni non versati alle scadenze ed all'applicazione delle indennità per occupazioni ed esposizioni abusive, mediante notifica ai debitori di apposito atto di accertamento esecutivo, ai sensi del comma 792 dell'articolo 1 della Legge 160/2019". La norma in discorso, infatti, si occupa solo del recupero coattivo dei canoni insoluti e non anche della decadenza delle concessioni. 7.7. Perde rilievo, altresì, l'art. 23 del Regolamento COSAP, per come richiamato nel terzo motivo di ricorso, il quale individua, tra le ipotesi di decadenza per fatto del concessionario, le irregolarità nel pagamento dei canoni che hanno formato oggetto di avviso di accertamento. Infatti, come già evidenziato, la clausola decadenziale inserita nei provvedimenti di rinnovo è aggiuntiva rispetto a quelle contemplate nei regolamenti comunali e ha autonomi presupposti sostanziali e procedurali. 7.8. Non hanno pregio neppure le contestazioni mosse, nel secondo e nel quarto motivo di ricorso, all'avviso pubblico di avvio della procedura di rinnovo. Infatti, il ricorrente censura la previsione dell'avviso che subordina il rinnovo delle concessioni all'assenza di insoluti sui canoni, poiché tale presupposto non sarebbe previsto né dal d.m. MISE del 25 novembre 2020 e né dalla DGR Lombardia n. XI/4054/2020, attuativi dell'art. 181, co. 4 bis, d.l. 34/2020. Senonché questa disposizione dell'avviso pubblico non viene ad evidenza, perché il Comune non l'ha applicata, avendo anzi rinnovato le concessioni del ricorrente. L'amministrazione ha, invece, esercitato l'autonoma clausola decadenziale contenuta nei provvedimenti rinnovatori, la quale è rimasta incensurata. In ogni caso, l'aggiunta di siffatta ipotesi di decadenza, ancorché non contemplata dalle linee guida ministeriali e dai criteri regionali, non pare biasimevole, costituendo legittima esplicazione dell'autonomia giuridica dell'amministrazione, titolare di ampia discrezionalità nel definire le condizioni per la concessione e per il mantenimento dell'uso particolare di un bene appartenente al suo patrimonio, tanto più ove tali condizioni siano ispirate a esigenze di tutela della finanza pubblica. D'altro canto, la clausola è allineata alle previsioni di cui all'art. 19 del Regolamento COSAP, a mente della quale "(i)l rinnovo o la proroga (delle concessioni) sono subordinati al pagamento del Canone per la concessione oggetto di rinnovo o di proroga", nonché all'art. 24 del medesimo Regolamento, secondo cui il concessionario decade dal diritto di occupare lo spazio pubblico quando vengano a mancare i requisiti di cui al precedente art. 16, il quale contempla proprio l'insussistenza di debiti nei confronti dell'amministrazione comunale (cfr. T.A.R. Milano, Sez. V, 15 febbraio 2024, n. 54). 7.9. A completamento dell'analisi delle doglianze attoree, va disatteso anche il terzo motivo di ricorso, con il quale l'esponente lamenta di essere stato discriminato rispetto ad altri concessionari, a cui il Comune avrebbe consentito di sanare ex post le proprie esposizioni debitorie onde mantenere le concessioni. Al di là della genericità della censura e dell'assenza di prove a suo supporto, è dirimente la considerazione per cui la disparità di trattamento, quale figura sintomatica dell'eccesso di potere, è ipotizzabile unicamente rispetto ai tratti discrezionali del potere amministrativo e non anche di fronte a poteri vincolati, come quello quivi esercitato (cfr. T.A.R. Milano, Sez. V, 14 maggio 2024, n. 1443). 8. S'impone, in conclusione, il rigetto del ricorso. 9. Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna parte ricorrente al pagamento, in favore del Comune resistente, delle spese di giudizio, liquidate in euro 2.000,00 per compensi, oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 24 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Daniele Dongiovanni - Presidente Silvana Bini - Consigliere Martina Arrivi - Primo Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1373 del 2024, proposto da - Na. Un So. soc. coop. soc., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Lu. To. e domiciliata ai sensi dell'art. 25 cod. proc. amm.; contro - il Comune di Como, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Ch. Pi., Ma. Og., An. Ta. e An. Ro. Ve. e domiciliato ai sensi dell'art. 25 cod. proc. amm.; nei confronti - Eu. & Pr. So. He. Ca. soc. coop. soc., in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituita in giudizio; - Al. soc. coop., in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituita in giudizio; - Kc. Ca., in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituita in giudizio; - Ro. coop. soc., in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituita in giudizio; - Consorzio Bl. soc. coop. soc., in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituita in giudizio; per l'annullamento - del provvedimento prot. 102041 del 4 giugno 2024 con cui il Comune di Como ha parzialmente rigettato l'istanza di accesso agli atti formulata dalla ricorrente nell'ambito della procedura di gara bandita per "l'affidamento del servizio di assistenza domiciliare anziani e disabili (sad) CIG: A0316208F3"; - del provvedimento prot. 103439 del 5 giugno 2024 con cui il Comune di Como ha parzialmente rigettato l'istanza di accesso agli atti formulata dalla ricorrente nell'ambito della procedura di gara bandita per "l'affidamento del servizio di assistenza domiciliare anziani e disabili (sad) CIG: A0316208F3"; - di ogni ulteriore riscontro non satisfattivo da parte della Stazione appaltante; - di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali con espressa riserva di impugnare con motivi aggiunti; - nonché per l'accertamento del diritto della ricorrente a ottenere l'integrale esibizione degli atti richiesti; - nonché per l'emanazione dell'ordine di esibizione e di rilascio dei documenti richiesti ai sensi dell'art. 116, comma 4, cod. proc. amm. e perché venga affermato ogni conseguente dovere dell'Ente intimato. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Como; Viste le istanze di passaggio in decisione della controversia sugli scritti e senza discussione presentate dai difensori della ricorrente e del Comune di Como; Visti tutti gli atti della causa; Designato relatore il consigliere Antonio De Vita; Nessun difensore presente alla camera di consiglio del 25 settembre 2024, come specificato nel verbale; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. FATTO Con ricorso notificato il 14 giugno 2024 e depositato in pari data, la società ricorrente ha chiesto l'annullamento dei provvedimenti prot. 102041 del 4 giugno 2024 e prot. 103439 del 5 giugno 2024 con cui il Comune di Como ha parzialmente rigettato l'istanza di accesso agli atti dalla stessa formulata nell'ambito della procedura di gara bandita per "l'affidamento del servizio di assistenza domiciliare anziani e disabili (sad) CIG: A0316208F3", con il conseguente accertamento del proprio diritto all'integrale esibizione degli atti richiesti. Il Comune di Como, in data 20 dicembre 2023, ha bandito una procedura di gara finalizzata all'affidamento del servizio di assistenza domiciliare anziani e disabili (sad) CIG: A0316208F3. La società ricorrente ha preso parte alla procedura unitamente ad altri quindici concorrenti. Con la determina n. 1105 del 14 maggio 2024 è stata disposta l'aggiudicazione della gara in favore della prima classificata Eu. & Pr. So. He. Ca. soc. coop. soc. La ricorrente, quinta classificata in graduatoria, con istanza datata 25 maggio 2024, ha chiesto di accedere a "1) tutti i verbali di gara inerenti le sedute pubbliche e riservate; 2) tutta la documentazione amministrativa presentata dall'operatore economico risultato aggiudicatario della gara, Società Eu. & Pr. So. He. Ca. Società Cooperativa Sociale (P.IVA (omissis)), con sede legale in Torino alla Via (omissis), (cod. ben. 66965) ed ogni eventuale altra documentazione richiamata nei documenti suddetti e/o appartenente al medesimo procedimento; 3) tutta la documentazione amministrativa presentata dagli operatori economici classificatisi meglio della scrivente società (Al. soc. coop, Kc. Ca., Consorzio Bl.), ed ogni eventuale altra documentazione richiamata nei documenti suddetti e/o appartenente al medesimo procedimento; 4) copia integrale e priva di omissis dell'offerta tecnica ed economica presentate dall'operatore economico risultato aggiudicatario Società Eu. & Pr. So. He. Ca. Società Cooperativa Sociale; 5) copia integrale e priva di omissis dell'offerta tecnica ed economica presentate dagli operatori economici (Al. soc. coop, Kc. Ca., Consorzio Bl.), classificatisi meglio della scrivente società, ed ogni eventuale altra documentazione richiamata nei documenti suddetti e/o appartenente al medesimo procedimento; 6) giustificazione all'offerta finalizzata alla verifica dell'anomalia dell'offerta ed eventuale altra documentazione richiamata nei documenti suddetti e/o appartenente al medesimo procedimento presentate dal 1° in graduatoria; 7) giustificazione all'offerta finalizzata alla verifica dell'anomalia dell'offerta ed eventuale altra documentazione richiamata nei documenti suddetti e/o appartenente al medesimo procedimento presentate dalle altre ditte summenzionate". La richiedente ha motivato la propria istanza di accesso con la necessità di accedere alla documentazione per esigenze difensive connesse alla tutela, anche in un eventuale giudizio, della propria posizione giuridica, rappresentando di avere "sommo interesse all'aggiudicazione dell'appalto de quo ed alla verifica, sia della regolarità dello svolgimento delle operazioni concorsuali relative alla procedura di gara in oggetto indicata, sia della congruità dell'offerta formulata". Con le note impugnate, il Comune di Como ha accolto solo parzialmente l'istanza di accesso, mettendo a disposizione della richiedente la documentazione amministrativa, una parte delle offerte tecniche e le offerte economiche dei quattro concorrenti meglio classificati della medesima ricorrente: più nello specifico, le offerte tecniche dei richiamati concorrenti risultano quasi completamente oscurate, mentre la documentazione amministrativa risulta parzialmente oscurata e le giustifiche non sono state trasmesse. Assumendo l'illegittimità del predetto parziale diniego di accesso, la ricorrente - previa affermazione della sussistenza della propria legittimazione nonché dell'interesse diretto, concreto e attuale ai sensi degli artt. 22 della legge n. 241 del 1990 e 53 del D. Lgs. n. 50 del 2016 - ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 22 e ss. della legge n. 241 del 1990, dell'art. 53 del D. Lgs. n. 50 del 2016 e dell'art. 97 Cost., l'eccesso di potere, il difetto di motivazione, la prevalenza del proprio diritto di difesa rispetto alle esigenze di riservatezza dei concorrenti meglio graduati, la stretta indispensabilità della documentazione richiesta e la doverosa ostensione integrale delle offerte tecniche. Poi sono stati dedotti la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 22 e ss. della legge n. 241 del 1990, dell'art. 53 del D. Lgs. n. 50 del 2016 e dell'art. 97 Cost., l'eccesso di potere e il difetto di motivazione. Sono stati altresì dedotti l'illegittimità del diniego implicito relativo alla documentazione dei concorrenti meglio graduati dell'istante relativamente alla documentazione amministrativa e la violazione dell'art. 53 del D. Lgs. n. 50 del 2016. Inoltre sono stati dedotti la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 22 e ss. della legge n. 241 del 1990, dell'art. 53 del D. Lgs. n. 50 del 2016 e dell'art. 97 Cost., in relazione alla mancata ostensione delle giustifiche, dell'offerta economica e dei documenti acquisiti a comprova dei requisiti. È stata ulteriormente contestata la mancata ostensione della documentazione richiesta anche in forza del D. Lgs. n. 33 del 2013 e dei principi espressi dal Consiglio di Stato, Ad. plen., n. 10/2020. È stata infine dedotta la violazione degli artt. 35 e 36 del D. Lgs. n. 36 del 2023. Si è costituito in giudizio il Comune di Como, che ha chiesto il rigetto del ricorso. Successivamente al deposito del ricorso, il Comune di Como ha trasmesso alla ricorrente ulteriore documentazione amministrativa, in particolare i PassOe e i D.G.U.E. dei concorrenti meglio classificati della ricorrente, oscurati solo con riguardo ai dati personali dei soggetti che non hanno poteri di rappresentanza, e ha altresì segnalato, tramite una nota, che il R.U.P. non ha effettuato nessun procedimento di verifica di anomalia, non essendo stata riscontrata alcuna incongruità nelle offerte (è stata verificata soltanto la congruità dei costi della manodopera della prima classificata). In prossimità della camera di consiglio di trattazione della controversia, i difensori delle parti hanno depositato memorie e documentazione a sostegno delle rispettive posizioni; in particolare, la difesa del Comune ha eccepito, in via preliminare, la tardività del ricorso e del motivo n. 7, in cui è stata dedotta la violazione degli artt. 35 e 36 del D. Lgs. n. 36 del 2023, mentre nel merito ne ha domandato il rigetto; la difesa della ricorrente ha replicato alle eccezioni formulate dalla difesa comunale, deducendone l'infondatezza, e ha chiesto l'accoglimento del ricorso, con il conseguente ordine di esibizione della documentazione richiesta. Alla camera di consiglio del 25 settembre 2024, fissata per la definizione della causa, il Collegio, preso atto delle istanze di passaggio in decisione della controversia sugli scritti e senza discussione presentate dai difensori della ricorrente e del Comune di Como, ha trattenuto in decisione la controversia. DIRITTO 1. In via preliminare, anche al fine di stabilire la fondatezza dell'eccezione di tardività del ricorso formulata dalla difesa del Comune di Como, deve essere individuata la normativa applicabile a una istanza di accesso afferente alla fase conclusiva di una procedura di gara bandita nel mese di dicembre 2023 (quindi regolata dal D. Lgs. n. 36 del 2023) e aggiudicata in data 14 maggio 2024; ove si ritenessero applicabili gli artt. 35 e 36 del predetto decreto, deve poi stabilirsi quale disciplina procedimentale e processuale applicare laddove la Stazione appaltante, contravvenendo all'espressa previsione di cui all'art. 36 del (vigente) Codice dei contratti pubblici, non abbia reso disponibile, attraverso la piattaforma di approvvigionamento digitale utilizzata per lo svolgimento della gara, nemmeno in parte, ai primi cinque classificati, unitamente alla comunicazione dell'aggiudicazione ai sensi del successivo art. 90, le offerte e la documentazione presentate dagli altri quattro concorrenti. 1.1. Quanto alla normativa applicabile all'accesso agli atti riferito alla fase conclusiva di una procedura di appalto bandita nel mese di dicembre 2023 (quindi regolata dal D. Lgs. n. 36 del 2023) e aggiudicata in data 14 maggio 2024, deve innanzitutto rilevarsi che l'art. 225, comma 2, del predetto attualmente vigente Codice dei contratti pubblici stabilisce che, tra gli altri, i precedenti artt. 35 e 36 acquistano efficacia a decorrere dal 1° gennaio 2024, applicandosi in via transitoria l'art. 53 del D. Lgs. n. 50 del 2016 soltanto fino al 31 dicembre 2023 (quanto alle attività relative all'accesso alla documentazione di gara). La richiamata disposizione, ossia l'artt. 225, comma 2, appare chiara nel suo significato e non ammette interpretazioni che ne possano stravolgere la portata, visto che l'ultrattività delle disposizioni contenute nel D. Lgs. n. 50 del 2016 rappresenta l'eccezione alla regola generale dell'applicabilità del D. Lgs. n. 36 del 2023 a far data dal 1° luglio 2023 (art. 229, comma 2, del D. Lgs. n. 36 del 2023). Tale conclusione risulta confermata anche dal successivo art. 226, comma 2, che prevede una deroga all'applicabilità del D. Lgs. n. 36 del 2023 soltanto per le procedure avviate antecedentemente al 1° luglio 2023, così tipizzando le fattispecie che fanno eccezione alla regola generale dell'applicabilità del D. Lgs. n. 36 del 2023 a partire da tale ultima data. Quindi soltanto per le procedure bandite nel vigore del D. Lgs. n. 50 del 2016, seppure aggiudicate nel 2024, devono applicarsi le regole contenute nel predetto decreto n. 50 del 2016, mentre per le gare bandite nel vigore del D. Lgs. n. 36 del 2023, ossia a partire dal 1° luglio 2023, la disciplina (a regime) sull'accesso è contenuta negli artt. 35 e 36, che si applicano, in relazione alle richiamate procedure, a partire dal 1° gennaio 2024. Concludendo sul punto, alle questioni afferenti all'accesso agli atti della gara oggetto di scrutinio nella presente sede - bandita nel mese di dicembre 2023 (quindi regolata dal D. Lgs. n. 36 del 2023) e aggiudicata in data 14 maggio 2024 - si applicano gli artt. 35 e 36 del D. Lgs. n. 36 del 2023. 1.2. Una volta individuata la normativa applicabile è necessario verificare le modalità con cui procedere alla soluzione del caso concreto. L'art. 36 del D. Lgs. n. 36 del 2023 regolamenta il procedimento di accesso agli atti, nella fase successiva alla conclusione della gara, in maniera peculiare, prevedendo che "l'offerta dell'operatore economico risultato aggiudicatario, i verbali di gara e gli atti, i dati e le informazioni presupposti all'aggiudicazione sono resi disponibili, attraverso la piattaforma di approvvigionamento digitale di cui all'articolo 25 utilizzata dalla stazione appaltante o dall'ente concedente, a tutti i candidati e offerenti non definitivamente esclusi contestualmente alla comunicazione digitale dell'aggiudicazione ai sensi dell'articolo 90" (comma 1) e che "agli operatori economici collocatisi nei primi cinque posti in graduatoria sono resi reciprocamente disponibili, attraverso la stessa piattaforma, gli atti di cui al comma 1, nonché le offerte dagli stessi presentate" (comma 2). Viene specificato che "nella comunicazione dell'aggiudicazione di cui al comma 1, la stazione appaltante o l'ente concedente dà anche atto delle decisioni assunte sulle eventuali richieste di oscuramento di parti delle offerte... indicate dagli operatori..." (comma 3). Con norma di carattere processuale si prevede, infine, che "le decisioni di cui al comma 3 sono impugnabili ai sensi dell'articolo 116 del codice del processo amministrativo, di cui all'allegato I al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, con ricorso notificato e depositato entro dieci giorni dalla comunicazione digitale della aggiudicazione" (comma 4). Come emerge dal delineato quadro normativo, la Stazione appaltante è obbligata, in via automatica e immediatamente, a mettere a disposizione dei primi cinque classificati nella procedura, oltre che i verbali di gara e gli atti, i dati e le informazioni presupposti all'aggiudicazione, anche le offerte degli altri quattro concorrenti, salvo procedere all'oscuramento di queste nelle parti che "costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali". Una volta messi a disposizione tali documenti, le contestazioni avverso le "decisioni assunte sulle eventuali richieste di oscuramento di parti delle offerte" sono svolte attraverso il già citato rito (super speciale) di cui al comma 4. La descritta normativa tuttavia non regolamenta in maniera espressa, né sotto il profilo sostanziale né da un punto di vista processuale, il procedimento che eventualmente avesse ad oggetto l'accesso alle offerte dei primi cinque concorrenti utilmente classificati in graduatoria in caso di omissione, integrale o parziale, della loro comunicazione da parte della Stazione appaltante (sebbene siffatta condotta risulti in contrasto con i precetti, aventi natura cogente, contenuti nei commi 1 e 2 dell'art. 36 del D. Lgs. n. 36 del 2023). Pertanto spetta all'interprete ricostruire la disciplina applicabile alla richiamata fattispecie, in modo da consentire ai concorrenti che intendessero accedere alla documentazione di gara di poter superare, sia in fase procedimentale che processuale, le omissioni, totali o parziali, della Stazione appaltante in ordine a tali aspetti. Il punto di partenza di tale ragionamento è rappresentato dalle già richiamate previsioni contenute nel comma 4 dell'art. 36 del D. Lgs. n. 36 del 2023, che stabiliscono che le decisioni avverso l'oscuramento o l'esibizione integrale del contenuto delle offerte sono impugnabili ai sensi dell'art. 116 cod. proc. amm., con ricorso notificato e depositato entro dieci giorni dalla comunicazione digitale della aggiudicazione. La richiamata disposizione però, come in precedenza rilevato, non contempla affatto l'evenienza in cui le offerte dei concorrenti (e la restante documentazione) non vengano messe a disposizione dei predetti partecipanti alla gara, contestualmente alla comunicazione digitale dell'aggiudicazione, come avvenuto nel caso oggetto di controversia. 1.2.1. Secondo una possibile interpretazione, che sembrerebbe avallata anche dalla rubrica del medesimo art. 36 ("Norme procedimentali e processuali in tema di accesso"), il procedimento di cui alla citata disposizione potrebbe applicarsi anche nel caso in cui la Stazione appaltante non metta a disposizione dei concorrenti, in tutto o in parte, la documentazione relativa alla gara appena conclusa, poiché la previsione di un rito processuale "super speciale", strettamente correlato alla necessità di garantire un sollecito svolgimento dei giudizi in materia di appalti pubblici, si riferirebbe indistintamente a tutti gli aspetti concernenti la fase dell'accesso agli atti della procedura di gara; ciò determinerebbe l'applicazione di un uniforme regime giuridico a tutte le questioni afferenti all'accesso agli atti di gara e garantirebbe una celere definizione delle stesse, considerate le previsioni contenute nel comma 7 dell'art. 36, che impongono ristrette tempistiche processuali anche in fase di decisione della controversia relativa all'accesso. Ove si accogliesse siffatta tesi, il concorrente che avesse interesse a conoscere il contenuto di un qualsivoglia documento di gara, in caso di mancata immediata e spontanea ostensione della predetta documentazione da parte della Stazione appaltante, dovrebbe incardinare il giudizio ai sensi dell'art. 116 cod. proc. amm. nel ristretto termine di dieci giorni dalla comunicazione dell'aggiudicazione della procedura, non essendo prevista (e nemmeno possibile) alcuna previa interlocuzione, in via procedimentale, tra il concorrente istante e la Stazione appaltante. 1.2.2. Tuttavia la richiamata interpretazione, sebbene funzionale a una rapida definizione delle questioni afferenti all'accesso agli atti di gara, che hanno natura incidentale e di regola sono pregiudiziali rispetto al vero e proprio contenzioso in materia di appalti, non sembra praticabile per una serie di concorrenti ragioni di carattere testuale e di sistema, che appaiono difficilmente superabili. Deve premettersi che in materia processuale vige una riserva assoluta di legge, poiché l'art. 111, primo comma, Cost. stabilisce che "la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge". Quindi non è consentito a fonti di rango secondario integrare la disciplina contenuta nella legge, poiché "la disciplina processuale dell'attività giurisdizionale è riservata alla legge in termini "assoluti" e non "relativi"" (Consiglio di Stato, Ad. plen., 12 aprile 2024, n. 5; anche, Ad. plen., 22 marzo 2024, n. 4), con ciò garantendosi altresì il rispetto dell'ampia discrezionalità di cui gode il legislatore in tema di disciplina degli istituti processuali (Corte costituzionale, sentenze n. 148 del 2021, n. 271 del 2019 e n. 94 del 2017), che sono destinati a garantire a tutti i consociati sia il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, sia il correlato diritto di difesa, in attuazione della previsione contenuta nell'art. 24 Cost. Affinché la riserva assoluta di legge sia rispettata è necessario altresì che in sede di applicazione della normativa processuale sia utilizzato un criterio di interpretazione assolutamente rispettoso della lettera della norma, dovendosi escludere la possibilità di procedere a interpretazioni di tipo estensivo o funzionale che non trovino un diretto riferimento nel senso attribuibile alla lettera della disposizione da applicare (in presenza di un univoco tenore della norma, ove si dubiti della sua conformità a Costituzione, il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale: Corte costituzionale, sentenza n. 253 del 2020). La riserva di legge processuale - in aggiunta a una interpretazione strettamente letterale delle pertinenti disposizioni - ha la finalità di garantire il diritto di azione e di difesa in giudizio a tutti i consociati in un quadro di certezze, essendo il diritto processuale strumentale alla tutela dei diritti dei singoli, anche di quelli qualificati come fondamentali (cfr. Corte costituzionale, sentenze n. 148 del 2021 e n. 77 del 2007). La modifica dello spettro applicativo della norma processuale, in assenza di una effettiva riferibilità della stessa alla fattispecie, si pone in contrasto con la richiamata finalità e determina una grave lesione della posizione giuridica di almeno una delle parti del giudizio (opera su un piano differente, ossia nel caso di mutamento nel corso del tempo dell'interpretazione di una norma processuale, l'istituto del "prospective overruling", che, ferma restando la premessa della natura meramente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali, mira a sterilizzare le conseguenze pregiudizievoli del nuovo indirizzo interpretativo: Cass. civ., SS.UU., 12 febbraio 2019, n. 4135; Consiglio di Stato, IV, 2 novembre 2023, n. 9434). Difatti, con specifico riferimento alla fattispecie de qua, una "estensione" del disposto di cui al comma 4 dell'art. 36 del D. Lgs. n. 36 del 2023 anche ai casi in cui la Stazione appaltante non ha reso disponibile nessun documento relativo alla gara appena conclusa avrebbe imposto al concorrente interessato all'accesso di incardinare, al buio, il ricorso ex art. 116 cod. proc. amm. entro il brevissimo termine di dieci giorni dalla comunicazione dell'aggiudicazione, peraltro in carenza degli elementi per contestare l'eventuale oscuramento di dati contenuti nelle offerte non materialmente disponibili (i termini processuali in materia di appalti non devono determinare una arbitraria e irragionevole compressione del diritto di agire in giudizio, secondo Corte costituzionale, sentenza n. 204 del 2021). In tal modo le facoltà del predetto concorrente sarebbero sensibilmente limitate, poiché gli si imporrebbe di incardinare, in via diretta, un giudizio, senza la previa conoscenza delle decisioni della Stazione appaltante, diversamente da quello che avviene allorquando, ai sensi del comma 3 del citato art. 36, quest'ultima dà invece atto delle decisioni assunte sulle eventuali richieste di oscuramento di parti delle offerte in seguito alle richieste degli operatori che le hanno presentate. Sebbene anche quest'ultimo sia un procedimento in cui non è consentito l'intervento dei richiedenti l'accesso, tuttavia lo stesso mette in condizione questi ultimi di conoscere in anticipo le determinazioni assunte dall'Amministrazione procedente e di contestarle puntualmente in giudizio; diversamente, ove non vi fosse l'ostensione di alcun atto della procedura di gara, le questioni eventualmente afferenti all'oscuramento dei dati sarebbero oggetto di esame direttamente in giudizio, in contrasto con l'orientamento secondo il quale il ricorso in materia di accesso ai documenti amministrativi è comunque configurato come un rimedio impugnatorio e quindi - pur avendo a oggetto un giudizio sul rapporto, in sede di giurisdizione esclusiva - non può consentire di "esaminare la prima volta avanti al giudice questo rapporto perché è il procedimento la sede prima, elettiva, immancabile, nella quale la composizione degli interessi, secondo la tecnica del bilanciamento, deve essere compiuta da parte del soggetto pubblico competente, senza alcuna inversione tra procedimento e processo" (Consiglio di Stato, Ad. plen., 2 aprile 2020, n. 10; cfr. anche, II, 3 febbraio 2022, n. 772). Da quanto evidenziato discende l'incompatibilità di una interpretazione che, oltre a porsi in contrasto con la chiara lettera della norma esaminata e quindi con i principi costituzionali, arreca un significativo vulnus alla tutela giurisdizionale del concorrente interessato all'accesso, con conseguente vantaggio per la Stazione appaltante che addirittura trarrebbe un beneficio dalla propria condotta contra legem, visto che la mancata messa disposizione delle offerte e di tutta la documentazione di gara trasgredisce in modo palese l'espressa indicazione contenuta nell'art. 36, commi 1 e 2, del D. Lgs. n. 36 del 2023. 1.2.3. Infine, non pare superfluo evidenziare che in sede di delega al Governo per l'adozione di uno o più decreti legislativi recanti la disciplina dei contratti pubblici - cfr. art. 1 della legge n. 78 del 2022, da cui è scaturita poi l'adozione del D. Lgs. n. 36 del 2023 - non si rinviene, tra i principi e criteri direttivi posti, alcun riferimento a norme processuali, sia in generale, sia con specifico riguardo alla materia dell'accesso agli atti di gara; di conseguenza, una eventuale "implementazione" della disciplina in materia di accesso agli atti della procedura ad ambiti non espressamente contemplati si porrebbe anche in contrasto con la legge delega e quindi darebbe luogo indirettamente alla violazione dei principi discendenti dall'art. 76 Cost. 1.2.4. Quindi, in conclusione, si deve ritenere che nel caso in cui la Stazione appaltante, in violazione del disposto di cui all'art. 36, commi 1 e 2, del D. Lgs. n. 36 del 2023, ometta, integralmente o parzialmente, di mettere a disposizione dei primi cinque concorrenti classificati le offerte degli altri quattro concorrenti e la restante documentazione di gara, deve applicarsi l'ordinario procedimento di accesso agli atti, disciplinato dalla legge n. 241 del 1990, e la disciplina processuale ricavabile dall'art. 116 cod. proc. amm. (senza deroghe), non essendo applicabili le previsioni contente nel rito super speciale di cui all'art. 36, commi 4 e 7, del D. Lgs. n. 36 del 2023. Non può sottacersi che tale conclusione determina delle gravi distonie nella materia dell'accesso agli atti alle procedure di gara, con rischi di legati all'efficienza e alla durata delle predette procedure di appalto e alla uniformità di trattamento tra i concorrenti, che magari potrebbero essere costretti ad avviare azioni diverse, pur a fronte di identiche situazioni (la tempestiva comunicazione del diniego dell'ostensione dell'offerta tecnica per ragioni di riservatezza soltanto a una parte dei primi cinque classificati comporta il rischio di trovarsi al cospetto di differenti procedimenti di accesso nell'ambito della medesima gara, a seconda del concorrente considerato, oppure addirittura con riguardo a un singolo partecipante potrebbe determinarsi la necessità di azionare due procedimenti differenti, ove le offerte siano in parte ostese con omissioni e in parte del tutto omesse in fase di comunicazione). Tuttavia soltanto in sede legislativa può essere posto un rimedio a tale regime che risulta poco organico e per certi aspetti anche lacunoso, spettando all'interprete l'esclusivo compito di applicare la normativa allo stato vigente. 2. L'accertata applicabilità dell'ordinario procedimento di accesso agli atti alle fattispecie in precedenza individuate rende certamente mutuabile l'orientamento giurisprudenziale (lo ritiene invece superato in seguito all'entrata in vigore del D. Lgs. n. 36 del 2023, T.A.R. Lazio, Roma, IV, 1° luglio 2024, n. 13225), formatosi nella vigenza del Codice dei contratti pubblici adottato nel 2016 (D. Lgs. n. 50 del 2016), secondo il quale, nell'ambito delle procedure a evidenza pubblica, ove la richiesta di accesso agli atti venga proposta entro un lasso temporale di quindici giorni, il termine di trenta giorni per l'impugnazione dell'atto di aggiudicazione di cui all'art. 120 cod. proc. amm. si deve incrementare di un numero di giorni (massimo quindici) pari a quello necessario per avere piena conoscenza dell'atto e dei suoi eventuali profili di illegittimità, qualora questi non siano oggettivamente evincibili dalla comunicazione di aggiudicazione (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 204 del 2021; Consiglio di Stato, Ad. plen., 2 luglio 2020, n. 12; V, 27 marzo 2024, n. 2882; V, 15 marzo 2023, n. 2736; III, 1° agosto 2022, n. 6750; V, 22 luglio 2022, n. 6448; III, 15 marzo 2022, n. 1792; T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 12 aprile 2024, n. 1083; per una diversa prospettazione, Consiglio di Stato, III, 8 novembre 2023, n. 9599). In coerenza con tali presupposti, la medesima giurisprudenza ha affermato che, poiché il termine di impugnazione comincia a decorrere dalla conoscenza del contenuto degli atti, non è necessaria la previa proposizione di un ricorso al buio, comportando la tempestiva proposizione dell'istanza di accesso agli atti di gara - si ripete, formulata nei quindici giorni dalla comunicazione dell'aggiudicazione - la dilazione temporale dei termini di impugnazione, quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l'offerta dell'aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell'ambito del procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta (per una lettura particolarmente garantista, cfr. Consiglio di Stato, V, 2 aprile 2024, n. 3008). Pertanto, in applicazione di tale indirizzo giurisprudenziale, non si può ritenere che l'operatore economico per essere legittimato all'accesso alle offerte degli altri concorrenti partecipanti debba proporre un ricorso totalmente al buio, soprattutto laddove, come nella specie, l'intera documentazione sia stata sottratta all'accesso (Consiglio di Stato, Ad. plen., 2 luglio 2020, n. 12, richiamata da Consiglio di Stato, III, 1° agosto 2022, n. 6750; anche, V, 22 luglio 2022, n. 6448; T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 15 novembre 2023, n. 2658). 3. Sulla scorta delle suesposte premesse il ricorso oggetto di scrutinio nella presente sede deve ritenersi tempestivo. Difatti, alla mancata messa a disposizione da parte della Stazione appaltante della documentazione di gara e delle offerte dei primi quattro concorrenti classificati, la ricorrente ha reagito proponendo l'istanza di accesso nel termine di dieci giorni dalla comunicazione dell'aggiudicazione (quest'ultima è avvenuta in data 14 maggio 2024 e l'istanza di accesso è stata formulata in data 25 maggio 2024: all. 3 e 4 al ricorso), cui hanno fatto seguito le comunicazioni datate 4 e 5 giugno 2024 della Stazione appaltante con cui sono stati messi a disposizione della ricorrente la documentazione amministrativa, il progetto tecnico e l'offerta economica degli operatori classificati nelle prime quattro posizioni, specificandosi che i progetti tecnici sono stati trasmessi nella versione oscurata su richiesta delle parti interessate, che hanno eccepito la sussistenza di segreti tecnici e commerciali (all. 6 e 7 al ricorso). Assumendo l'illegittimità dell'omessa trasmissione in forma integrale della documentazione, la ricorrente con ricorso proposto in data 14 giugno 2024 ne ha chiesto l'accertamento in sede giurisdizionale. Dalla descritta tempistica emerge la tempestività del ricorso oggetto di esame, da cui scaturisce il rigetto dell'eccezione di irricevibilità formulata dalla difesa del Comune di Como. 4. Prima di esaminare il merito della controversia, deve darsi atto della parziale cessazione della materia del contendere, in quanto, successivamente alla presentazione del ricorso, il Comune di Como ha trasmesso alla ricorrente ulteriore documentazione amministrativa (all. 16 e ss. del Comune), in particolare i PassOe e i D.G.U.E. dei concorrenti collocati in posizione poziore rispetto alla ricorrente, oscurati solo con riguardo ai dati personali dei soggetti che non hanno poteri di rappresentanza, e ha trasmesso la nota con cui si è specificato che il R.U.P. non ha effettuato nessun procedimento di verifica di anomalia, non essendosi riscontrata alcuna incongruità nelle offerte (è stata eseguita solo la verifica della congruità dei costi della manodopera della prima classificata). 5. Passando alla trattazione del merito del ricorso, lo stesso è meritevole di accoglimento. 6. Si possono esaminare congiuntamente tutte le censure del gravame, in quanto strettamente connesse, attraverso le quali la ricorrente ha evidenziato i propri interesse e legittimazione all'accesso integrale alla documentazione di gara e alle offerte dei concorrenti graduati nelle prime quattro posizioni, essendo prevalente il suo interesse difensivo rispetto alle asserite e indimostrate esigenze di tutela di ipotetici segreti tecnici e commerciali. 7. Deve premettersi che la società ricorrente si è classificata al quinto posto della graduatoria relativa alla procedura, indetta dal Comune di Como, per l'affidamento del servizio di assistenza domiciliare anziani e disabili, e rispetto ad essa risulta ancora possibile per la citata ricorrente contestarne in sede giurisdizionale gli esiti, operando nella specie la dilazione temporale dei termini di impugnazione (cfr. precedente punto 2). Allo scopo di valutare la fondatezza dell'istanza di accesso non è richiesta la dimostrazione della c.d. prova di resistenza, visto che la mancata conoscenza delle offerte tecniche dei concorrenti meglio classificati non consente di stabilire a priori l'eventuale fondatezza delle pretese attoree; tale conclusione trova una conferma anche nel dato normativo, che impone alla Stazione appaltante, in automatico e contestualmente alla comunicazione dell'aggiudicazione, di mettere a disposizione in favore degli operatori economici collocatisi nei primi cinque posti in graduatoria tutti gli atti di gara, ivi comprese le offerte dagli stessi presentate (art. 36, comma 2, del D. Lgs. n. 36 del 2023). Nella sostanza è stato lo stesso legislatore a conferire maggior peso all'interesse all'accesso da parte del concorrente istante - si potrebbe definire un interesse "in re ipsa" - non solo alla documentazione, ma anche ai dati, alle informazioni e soprattutto all'offerta dei concorrenti classificati nelle prime cinque posizioni. Peraltro, sul punto va sottolineato come la rilevanza della documentazione richiesta in ordine all'instaurando giudizio - il cui avvio è naturalmente subordinato all'effettiva presenza di vizi della procedura, rilevati all'esito dell'esame degli atti oggetto della richiesta di ostensione - non possa essere stabilita dall'Amministrazione detentrice del documento o dal giudice amministrativo adito nel giudizio di accesso, "poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all'autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla pubblica amministrazione o allo stesso giudice amministrativo nel giudizio sull'accesso (, non potendo questi ultimi) sostituirsi ex ante al giudice competente nella inammissibile e impossibile prognosi circa la fondatezza di una particolare tesi difensiva, alla quale la richiesta di accesso sia preordinata, salvo, ovviamente, il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell'accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990" (Consiglio di Stato, Ad. plen., 18 marzo 2021, n. 4; T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 15 novembre 2023, n. 2658). La ricorrente ha formulato istanza di accesso agli atti della procedura svolta dal Comune di Como, evidenziando di avere "sommo interesse all'aggiudicazione dell'appalto de quo ed alla verifica, sia della regolarità dello svolgimento delle operazioni concorsuali relative alla procedura di gara in oggetto indicata, sia della congruità dell'offerta formulata" e di reputare "indispensabile esercitare il diritto di accesso e di informazione (...) in vista della difesa in giudizio dei propri interessi" (all. 5 al ricorso); negli atti processuali ha poi ribadito e ulteriormente argomentato il proprio interesse, evidenziando tra l'altro che, su un punteggio massimo assegnabile all'offerta tecnica pari a 90 punti, il distacco tra essa ricorrente e l'aggiudicataria prima classificate fosse di circa 15 punti e quindi la conoscenza integrale delle offerte tecniche delle altre concorrenti avrebbe potuto consentire di rilevare "svariati fattori escludenti, quali l'offerta di proposte migliorative tali da incrementare i costi fino a rendere incongrua l'offerta, l'indicazione di elementi relativi al prezzo all'interno dell'offerta economica, la proposizione di un'offerta generica e condizionata, l'errata assegnazione del punteggio, ecc." (pag. 5 memoria del 14 settembre 2024 di Na. Un So.). Quindi, la parte ricorrente ha dato atto della sussistenza di un interesse specifico alla conoscenza delle offerte tecniche delle controinteressate, chiarendo le esigenze conoscitive e dimostrando il nesso di strumentalità necessaria tra documentazione richiesta e l'obiettivo perseguito dalla medesima parte istante (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 17 aprile 2023, n. 947; la difesa del Comune di Como ha richiamato, in senso opposto, Consiglio di Stato, V, 18 settembre 2023, n. 8382, che tuttavia ha avuto a oggetto una fattispecie in cui l'accedente non aveva partecipato alla procedura e non ne aveva nemmeno contestato gli esiti in sede giurisdizionale). In ragione di tali presupposti, deve essere fatta applicazione dell'art. 116, comma 4, cod. proc. amm., secondo il quale il Giudice amministrativo, "sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione e, ove previsto, la pubblicazione, dei documenti richiesti" (cfr. Consiglio di Stato, IV, 13 dicembre 2021, n. 8302); difatti, "il ricorso in materia di accesso ai documenti amministrativi, per come recentemente ribadito dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, veicola l'accertamento giurisdizionale del diritto dell'istante all'ostensione dei documenti amministrativi richiesti e ciò indipendentemente dai motivi opposti dalla p.a. a sostegno del diniego (cfr. Consiglio di Stato ad. plen., 02/04/2020, n. 10; Cons. St., sez. V, 19 giugno 2018, n. 3956). Il Giudice adito in sede di ricorso ex art. 116 c.p.a. è, quindi, tenuto a valutare nel merito la fondatezza della pretesa ostensiva della parte ricorrente in considerazione degli elementi da quest'ultima addotti a fondamento della stessa. Quanto sopra trova riscontro in quel consolidato orientamento (...) secondo cui "il giudizio di cui all'art. 116 c.p.a., ancorché configurato come impugnatorio, è sostanzialmente volto ad accertare la sussistenza o meno del diritto di accesso del ricorrente ai documenti amministrativi di cui ha chiesto l'ostensione, indipendentemente dalla maggiore o minore correttezza delle ragioni addotte dall'Amministrazione per giustificarne il diniego ovvero dal silenzio da questa mantenuto sull'istanza"" (così in tal senso T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 20/07/2020, n. 8369)" (T.A.R. Lazio, Roma, II quater, 7 febbraio 2022, n. 1368; anche, T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 15 novembre 2023, n. 2658; IV, 3 marzo 2022, n. 517). 8. In linea con la costante giurisprudenza, la fondatezza dell'istanza di accesso deve preliminarmente considerare, nel bilanciamento tra le esigenze di difesa e la tutela della riservatezza commerciale e industriale, se sia stata adeguatamente evidenziata la "stretta indispensabilità " della documentazione richiesta ai fini del giudizio eventualmente già pendente oppure da instaurare (cfr. Consiglio di Stato, V, 20 gennaio 2022, n. 369; T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 23 gennaio 2023, n. 203). Sul punto deve richiamarsi il comma 5 dell'art. 35 del D. Lgs. n. 36 del 2023 (Codice dei contratti pubblici) secondo il quale, "in relazione all'ipotesi di cui al comma 4, lettere a) (...), è consentito l'accesso al concorrente, se indispensabile ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi giuridici rappresentati in relazione alla procedura di gara". Procedendosi a un riscontro in concreto (sulla necessità di tale verifica concreta, cfr. Consiglio di Stato, V, 14 gennaio 2022, n. 263), secondo quanto in precedenza rilevato, la parte istante ha convincentemente dato atto, anche in fase processuale, della necessità di conoscere il contenuto integrale della documentazione e delle offerte dei concorrenti controinteressati al fine di tutelare i propri interessi in giudizio (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 8 febbraio 2022, n. 290). Del resto, la dimostrazione della "stretta indispensabilità ", per non trasformarsi in una probatio diabolica, non può risolversi nel dovere di fornire la prova concreta, circostanziata e certa dell'utilità in ambito processuale della documentazione, bastando, secondo l'id quod plerumque accidit, che la richiesta documentale risulti, ove accolta, direttamente funzionale all'accertamento in sede giurisdizionale e si prospetti come potenzialmente rilevante ai fini dell'accoglimento della proposta (o proponenda) domanda giudiziale (cfr., in generale, Consiglio di Stato, V, ord. 6 febbraio 2023, n. 1231; III, 3 novembre 2022, n. 9588; V, 22 luglio 2022, n. 6448; deve effettuarsi un giudizio prognostico ex ante, al fine di valutare l'acquisizione degli elementi di prova inerenti alla fattispecie costitutiva della situazione giuridica finale, secondo Consiglio di Stato, Ad. plen., 25 settembre 2020, n. 19). Né potrebbe configurarsi il rischio che l'accesso possa trasformarsi in un'attività meramente esplorativa finalizzata a una "caccia all'errore", tenuto conto che, necessariamente, la parte istante deve essere all'oscuro del contenuto del documento di cui chiede l'ostensione, visto che la legittimazione all'accesso si fonda proprio sulla possibilità di ottenere informazioni in grado di palesare le ragioni, non ancora note, che hanno determinato l'esito della procedura; laddove, invece, la parte avesse già conosciuto aliunde il contenuto del richiamato documento oppure vi fosse la certezza della non pertinenza o inutilità dello stesso, non sussisterebbero i presupposti per accogliere la domanda di esibizione documentale (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, IV, ord. 20 febbraio 2023, n. 425). Né in sede di accesso possono assumere decisiva rilevanza le dichiarazioni rese dai controinteressati al fine di opporsi alla ostensione di parti della loro offerta, poiché in ragione della tipologia di appalto, non connotato dall'utilizzo di peculiari tecnologie o segreti industriali, ma legato principalmente all'impiego di manodopera per attività di assistenza, non sembra che possa determinare un pregiudizio la conoscenza di tali dati da parte di un concorrente che possiede già proprie strutture e organizzazione, peraltro rispetto a un appalto già aggiudicato (l'onere di dimostrare la sussistenza di un segreto tecnico o commerciale grava su colui che lo afferma, Consiglio di Stato, III, 19 settembre 2024, n. 7650). Sul punto - a prescindere dalla irrilevanza di opposizioni all'accesso connotate da eccessiva genericità e per nulla circostanziate - può condividersi la giurisprudenza secondo la quale "la qualifica di segreto tecnico o commerciale deve essere riservata a elaborazioni e studi, di carattere specialistico, che trovino applicazione in una serie indeterminata di appalti e siano in grado di differenziare il valore del servizio offerto solo a condizione che i concorrenti non ne vengano mai a conoscenza" (T.A.R. Lombardia, Milano, I, 7 marzo 2022, n. 543; anche, IV, 23 gennaio 2023, n. 203). Peraltro, nella specie assume decisiva rilevanza la circostanza che la Stazione appaltante abbia negato l'accesso a una parte della documentazione di gara - in particolare, all'offerta tecnica integrale e alla documentazione amministrativa dei concorrenti classificati prima della ricorrente - limitandosi a recepire in maniera acritica la posizione espressa dalle parti controinteressate senza ulteriori specificazioni: nel riscontrare la richiesta di accesso, il Comune ha specificato che "le motivazioni addotte dalla più parte dei partecipanti alla gara circa la riservatezza, richiamano consolidata giurisprudenza che, anche in adesione a previsioni nazionale e comunitarie, escludono dall'ostensibilità degli atti di gara quella parte dell'offerta che contenga informazioni considerate dagli operatori economici riservate, comprese anche, ma non esclusivamente, segreti tecnici o commerciali (il know how), ossia l'insieme del "saper fare", delle esperienze maturate ed acquisite nell'esercizio professionale della propria attività che sono divenuti beni essenziali e prodotto patrimoniale delle singole imprese" (all. 6 al ricorso). L'Ente resistente non ha svolto quindi alcuna valutazione indipendente in ordine alle opposizioni formulate dai concorrenti, recependole sic et simpliciter, e ha omesso, ingiustificatamente, di effettuare un autonomo e discrezionale apprezzamento in ordine alla sussistenza dei presupposti per negare l'accesso a una parte della documentazione richiesta, ovvero sulla "fondatezza della dichiarazione dell'impresa controinteressata circa la sussistenza di specifici ambiti di segretezza industriale e commerciale" (Consiglio di Stato, III, 16 febbraio 2021, n. 1437; anche, T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 23 gennaio 2023, n. 203; IV, 8 febbraio 2022, n. 290; I, 24 gennaio 2022, n. 145). Tale modus operandi risulta illegittimo ed è stato stigmatizzato anche dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea che ha precisato come "l'amministrazione aggiudicatrice non può essere vincolata dalla semplice affermazione di un operatore economico secondo la quale le informazioni trasmesse sono riservate, ma deve esigere che tale operatore dimostri la natura realmente riservata delle informazioni alla cui divulgazione esso si oppone (v., in tal senso, sentenza del 7 settembre 2021, Klaipe dos regiono atlieku tvarkymo centras, C-927/19, EU:C:2021:700, punto 117). (...) Inoltre, al fine di rispettare il principio generale di buona amministrazione e di conciliare la tutela della riservatezza con le esigenze di effettività della tutela giurisdizionale, l'amministrazione aggiudicatrice deve non solo motivare la sua decisione di trattare determinati dati come riservati, ma deve altresì comunicare in una forma neutra, per quanto possibile e purché una siffatta comunicazione sia tale da preservare la natura riservata degli elementi specifici di tali dati per i quali una protezione è giustificata a tale titolo, il loro contenuto essenziale a un offerente escluso che li richiede, e più in particolare il contenuto dei dati concernenti gli aspetti determinanti della sua decisione e dell'offerta (essendo contraria ai principi del diritto dell'Unione Europea) una prassi delle amministrazioni aggiudicatrici consistente nell'accogliere sistematicamente le richieste di trattamento riservato motivate da segreti commerciali" (Corte di Giustizia dell'Unione Europea, IV, sentenza 17 novembre 2022, causa C-54/21). 9. In conseguenza di ciò, risulta la sussistenza di un interesse diretto, concreto e attuale della ricorrente a ottenere l'accesso all'integrale documentazione di gara, comprensiva delle offerte tecniche e della documentazione amministrativa in formato completo - compresi i D.G.U.E. e i PassOe in versione integrale - presentate dalle concorrenti classificate nelle prime quattro posizioni della procedura bandita dal Comune di Como per "l'affidamento del servizio di assistenza domiciliare anziani e disabili (sad) CIG: A0316208F3". 10. Da quanto evidenziato discende l'obbligo in capo al Comune di Como di consentire l'accesso integrale, entro il termine di 10 (dieci) giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, a tutta la documentazione richiesta nell'istanza formulata dalla ricorrente Na. Un So. soc. coop. soc. in data 25 maggio 2024 e non ancora ostesa, salva la documentazione afferente alla verifica di anomalia delle offerte che la Stazione appaltante ha segnalato non essere mai stata posta in essere e quindi risulta non essere esistente (invece il documento afferente la verifica congruità dei costi per la manodopera dell'aggiudicataria Eu. & Pr. So. He. Ca. soc. coop. soc. è stato già trasmesso alla parte ricorrente: all. 16 del Comune). 11. In conclusione, il ricorso deve essere in parte dichiarato improcedibile per cessazione della materia del contendente e in parte accolto, nei termini in precedenza specificati, con assorbimento delle ulteriori questioni non oggetto di specifica trattazione. 12. Le spese del giudizio, da porre a carico del Comune di Como, si liquidano in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, in parte dichiara improcedibile per cessazione della materia del contendere e in parte accoglie, secondo quanto specificato in motivazione, il ricorso indicato in epigrafe. Condanna il Comune di Como al pagamento delle spese di giudizio in favore della ricorrente Na. Un So. soc. coop. soc. nella misura di Euro 1.000,00 (mille/00), oltre spese e oneri generali; dispone altresì la rifusione del contributo unificato in favore della ricorrente e a carico del Comune di Como; le predette somme devono essere corrisposte direttamente al difensore del ricorrente, dichiaratosi antistatario. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del 25 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Gabriele Nunziata - Presidente Antonio De Vita - Consigliere, Estensore Silvia Torraca - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 825 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da Pi. & C. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Be., Gi. Na., Al. Vi., Lu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Na. in Milano, via (...); contro Provincia di Lecco, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato St. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di (...); nei confronti Ed. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. De. Es., Wl. Fr. Tr. Ma., Ri. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Fi. Mu. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. Ce., Ch. To., Gi. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Sa. S.r.l. ed altri, non costituiti in giudizio; Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pi. Pu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso gli uffici dell'Ente in Milano, piazza (...); Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato El. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento 1) Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - dell'ordinanza prot. 13844/2023 recante "Area Sa. in Comune di (omissis) (LC) - ART. 244 D. Lgs. 152/2006 Ordinanze - Individuazione del responsabile della contaminazione", adottata dalla Provincia di Lecco in data 8 marzo 2023; - di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale a quello impugnato, anche non conosciuto, ivi espressamente compresa la relazione istruttoria della Provincia di Lecco, Ufficio Difesa del Suolo, resa nel procedimento di cui all'art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006. 2) Per quanto riguarda il primo ricorso per motivi aggiunti depositato da Pi. & C. S.p.A. il 28/9/2023: - della comunicazione del Comune di (omissis) prot. 5345/2023 del 27 giugno 2023, ricevuta in pari data, recante "Sito "Area Ex Sa." - Via (omissis), Comune di (omissis). Mapp.li (omissis) - fg. (omissis) C.C. (omissis) Piano di indagine integrativa ai sensi del D.lgs. 152/06 e SMI trasmesso in data 5 giugno 2023, agli atti con prot. 4711/2023 del 06.06.2023"; 3) Per quanto riguarda il secondo ricorso per motivi aggiunti depositato da Pi. & C. S.p.A. il 30/1/2024: - del provvedimento della Provincia di Lecco prot. 61886/2023 del 23 novembre 2023, notificato in pari data, recante "Area Sa. in Comune di (omissis) (LC) - ART. 244 D.Lgs. 152/2006 "Ordinanze" - Modifica del provvedimento n. prot. 13844 del 08.03.2023"; 4) Per quanto riguarda il terzo ricorso per motivi aggiunti depositato da Pi. & C. S.p.A. il 29/2/2024: - del decreto del Responsabile dell'Area Tecnica del Comune di (omissis) - Provincia di Lecco n. 6/2023 del 19 dicembre 2023, recante "Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) - Misura M2C4, Investimento 3.4. Bonifica del "suolo dei siti orfani" Finanziato dall'Unione europea - Next Generation EU. Adozione della Determinazione di conclusione positiva della Conferenza di Servizi decisoria art. 14, c. 2 a art. 14bis, c.2 della L. 241/1990 e s.m.i. Approvazione, ai sensi del comma 7, art. 242 del D.lgs. 152/2006, del documento "ANALISI DI RISCHIO E PROGETTO OPERATIVO DI BONIFICA - AREA EX Sa." e Autorizzazione alla realizzazione degli interventi in esso previsti CUP G91J21000130006"; - della nota ARPA Lombardia - Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale prot. URBI 5.7.2012.3-2023.5.78.158 recante "Bonifica ex D.lgs. 152/06 e s.m.i. Insediamento Ex Sa. sita in via (omissis) del Comune di (omissis). Analisi di Rischio e Progetto operativo di bonifica ai sensi del D.lgs. 152/06 e s.m.i." e dell'allegato Contributo tecnico, quale allegato 1 al predetto decreto dirigenziale n. 6/2023 del Comune di (omissis); - della nota Provincia di Lecco - Direzione Organizzativa VII - Ambiente e Pianificazione territoriale - Servizio Ambiente, prot. 55 dell'11 dicembre 2023, recante "Comune di (omissis) (LC) - ex Area Sa. Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) - Misura M2C4, Investimento 3.4. Bonifica del "suolo dei siti orfani". Finanziato dall'Unione Europea - Next Generation EU. ANALISI DI RISCHIO E PROGETTO OPERATIVO DI BONIFICA ai sensi del d.lgs. 152/2006 e s.m.i. - Conferenza di Servizi - parere della Provincia di Lecco", quale allegato 2 al predetto decreto dirigenziale n. 6/2023 del Comune di (omissis); - della nota Regione Lombardia - ATS Brianza - Dipartimento di Igiene e Prevenzione Sanitaria - S.S. Salute e Ambiente del 14 dicembre 2023, recante "Area ex Sa. Comune di (omissis) (LC) codice Agisco LC086.0001 inserito al n. 03 nell'elenco dei siti orfani di cui al decreto MITE 32/2022 "Analisi di rischio e progetto operativo di bonifica ai sensi del D.lgs. 152/06 e s.m.i.". Comunicazioni di ATS della Brianza"; - della nota AR. - Azienda Regionale per l'Innovazione e gli Acquisti prot. IA.2023.0095079 del 6 dicembre 2023 recante "E037_PNRR-M2C4-3.4, Siti Orfani - Progetto Operativo di Bonifica ai sensi del D.lgs. 152/06 dell'Area Sa. di (omissis) (LC)- Valutazione mapp.le (omissis)"; - del Provvedimento Dirigenziale della Provincia di Lecco prot. 7977/2024 del 9 febbraio 2024, comunicato in pari data, recante "Area Sa. in Comune di (omissis) (LC) - ART. 244 D.Lgs 152/2006 "Ordinanze" - Modifica punto 2 parte ordinatoria del provvedimento n. prot. 13844 del 08.03.2023"; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provincia di Lecco e di Ed. S.p.A. e di Fi. Mu. S.p.A. e di Regione Lombardia e di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 giugno 2024 il dott. Fabrizio Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1) La vicenda in esame attiene alla bonifica dell'area ex Sa. sita nel Comune di (omissis) e identificata al Foglio (omissis), mappali nn. (omissis), ove è presente un sito industriale dismesso, che dal 1918 al 2011 ha ospitato diverse attività produttive, svolte da più operatori economici succedutisi nel tempo. In particolare, sull'area hanno operato le seguenti società : - Pi. S.p.a., dal 1918 al 1967, attiva nel settore della produzione di materie prime per la fabbricazione di pneumatici e di isotermite; - Ed. dal 1967 al 1975, attraverso le società controllate PI. S.p.a (Pr. In. Ch.), poi divenuta AC. S.p.a, attiva nella chimica industriale anche per il settore della gomma; - Sa. S.p.A., dal 1975 al 2003, che ha convertito l'attività industriale dalla chimica alla metallurgia; - Ph. S.r.l. (limitatamente ad una porzione dell'attuale mappale n. (omissis) e ad una porzione del mappale n. (omissis)), poi confluita in Fi. Mu. S.p.a., dal 1996 al 2011, attiva nel settore della metallurgia e della produzione di munizioni. Dal 2011 il sito industriale risulta inutilizzato. Vale precisare che tra il 2003 e il 2008 la Sa. S.r.l. ha ceduto lo stabilimento a El. s.r.l. ed altri. Quest'ultima nel 2005 ha proposto al Comune di (omissis) un piano integrato di intervento, diretto alla riconversione dell'intera area di stabilimento da industriale a commerciale, residenziale e alberghiero. Il piano è stato approvato con la condizione del previo completamento della bonifica del sito. Le operazioni di caratterizzazione hanno evidenziato, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, il superamento dei valori C.S.C. per diversi elementi riconducibili a quattro macrocategorie: a) gli Idrocarburi Aromatici Policiclici ("IPA"), associabili per lo più agli approvvigionamenti energetici dello Stabilimento; b) l'Amianto; c) il Rame e gli Idrocarburi C> 12, associabili all'attività metallurgica; d) i composti, come Anilina, Difenilamina, p-toulidina e Mercaptobenzotiazolo. Considerata "la presenza di "rilevanti quantità di fusti metallici contenenti sostanze speciose...la presenza di uno spezzone di condotto metallico...la presenza di macerie edili", Arpa Lombardia ha richiesto alla società proprietaria l'esecuzione di una messa in sicurezza di emergenza ("MISE"), attraverso la rimozione dei rifiuti e il loro collocamento in condizioni di sicurezza, in attesa del successivo smaltimento. Bi. s.r.l. non ha eseguito la messa in sicurezza di emergenza ed ha impugnato il relativo ordine dinanzi al Tar Lombardia. Con sentenza n. 940 del 2015, il ricorso è stato accolto dal Tribunale, che ha ordinato alla Provincia di eseguire le dovute indagini al fine di identificare i responsabili dell'inquinamento. La Provincia di Lecco il 15.07.2022 ha inviato a Pi. la comunicazione di avvio del procedimento di cui all'art. 244 del d.lgs n. 152/2006, allegando una Relazione istruttoria riassuntiva degli accertamenti condotti dalla Provincia e dalle altre amministrazioni coinvolte, nella quale si afferma la responsabilità per l'inquinamento dell'Area ex Sa. in capo alle società Pi. S.p.a. ed altri. Nel corso del contraddittorio procedimentale, Pi. ha presentato osservazioni dirette a contestare sia la sua ritenuta responsabilità nelle contaminazioni riscontrate, sia il criterio utilizzato per la ripartizione delle quote di responsabilità tra i diversi operatori economici succedutisi nel tempo. All'esito del procedimento, la Provincia di Lecco, con ordinanza n. 13844 in data 08.03.2023, ha individuato quali responsabili della contaminazione le già citate società ed ha stabilito le relative percentuali sulla base di un criterio prevalentemente temporale: - Pi. S.p.A.: anni attività 49 su 93 totali quota responsabilità 57,31 %; - Ed. S.p.A.: anni attività 8 su 93 totali quota responsabilità 9,36 %; - Sa. S.r.l.: anni attività 28 su 93 totali quota responsabilità 32,24 %; - Fi. Mu. S.p.a.: anni attività 15 su 93 totali quota responsabilità 1,09 %. Con il medesimo provvedimento, la Provincia ha ordinato alle società responsabili di presentare nel termine di 90 giorni un progetto di bonifica/messa in sicurezza operativa/permanente, nonché di eseguire e ultimare a proprio carico gli interventi di bonifica da approvare ad opera del Comune di (omissis). Avverso la predetta ordinanza Pi. ha proposto il ricorso principale, chiedendone l'annullamento. Nelle more del giudizio, la ricorrente e altre società individuate quali responsabili si sono attivate per dar seguito al provvedimento provinciale ed hanno presentato alle Amministrazioni coinvolte una proposta di progetto di bonifica. Con la nota datata 27.06.2023, impugnata dalla ricorrente con i primi motivi aggiunti depositati il 28.09.2023, il Comune di (omissis) ha comunicato alle società che il "piano non risponde(va) alle esigenze di bonifica dell'area", dato che "anzitutto, l'ordinanza provinciale 8 marzo 2023 richiedeva un progetto di bonifica/messa in sicurezza operativa/permanente prodromico all'esecuzione della bonifica: ossia un progetto sviluppato secondo quanto previsto dall'art. 242, comma 7, del d.lgs. 152/06, che è documento - per natura/contenuto/funzione - ben diverso dal mero piano di indagine che è stato presentato". Inoltre, l'Ente ha rilevato come "tale piano di indagine risulta(va) ampiamente superato, posto che, sulla scorta degli atti assunti e pubblicati dagli enti pubblici competenti, il procedimento di bonifica per il sito dell'area ex Sa. è stato ormai da tempo avviato, con intervento d'ufficio del Comune di (omissis) e della Regione Lombardia (...)" e "in tale procedimento Ar. spa, quale soggetto attuatore dell'intervento PNRR incaricato da Regione Lombardia, ha già predisposto un piano di indagine". Di seguito, con nota del 24.10.2023, Regione Lombardia ha trasmesso al Comune di (omissis) e alla Provincia di Lecco un progetto di bonifica redatto dalla società AR. s.p.a. con l'invito al Comune di indire un'apposita conferenza di servizi decisoria ai fini dell'approvazione del documento. Alla luce di quanto sopra, con provvedimento del 23.11.2023 (prot. 61886), impugnato dalla ricorrente con secondi motivi aggiunti, la Provincia ha rimodulato in parte la propria ordinanza del marzo 2023, revocando l'ordine alle Società di presentare uno specifico progetto di bonifica (in ragione dell'esistenza del progetto presentato da AR. s.p.a., nel distinto procedimento attivato da Regione Lombardia). Il provvedimento ha attestato che il Comune di (omissis) aveva nel frattempo indetto un'ulteriore conferenza di servizi, finalizzata all'approvazione del progetto di bonifica presentato dalla società Bo. S.r.l., in qualità di proprietario incolpevole, con riferimento al mappale n. (omissis) (facente parte del sito contaminato ma estraneo all'intervento PNRR). La vicenda ha presentato i seguenti sviluppi: - all'esito di un'apposita conferenza di servizi, con decreto n. 6 del 19.12.2023, il Comune di (omissis) ha approvato il progetto presentato da AR. s.p.a. per conto di Regione Lombardia nell'ambito degli interventi PNRR ed AR. s.p.a. è stata individuata quale soggetto attuatore dell'intervento di bonifica in tutte le sue fasi; - con decreto n. 2 del 9.02.2024, il Comune di (omissis) ha approvato il progetto di bonifica presentato da Bo. S.r.l. - in qualità di proprietario incolpevole - sul mappale n. (omissis), compreso nel sito contaminato ma estraneo all'intervento PNRR; - con provvedimento n. 7977, datato 09.02.2024, la Provincia ha revocato l'ordine di eseguire la bonifica rivolto alle società interessate, ferma restando l'individuazione delle stesse quali soggetti responsabili della contaminazione del sito (sulle quali grava il costo dell'intervento e della relativa progettazione) e fermo restando quanto previsto dall'art. 253 del d.lgs. n. 152/06. Quest'ultimo provvedimento della Provincia è stato impugnato da Pi. con il terzo ricorso per motivi aggiunti. 2) In via pregiudiziale, deve essere dichiarata l'inammissibilità, e in parte l'improcedibilità, delle impugnazioni per motivi aggiunti. Quanto al primo ricorso per motivi aggiunti, va osservato, come condivisibilmente eccepito dal Comune di (omissis), che esso ha ad oggetto una nota priva di valore provvedimentale, che si sostanzia in una mera comunicazione alle ricorrenti in ordine all'ormai avvenuta predisposizione del progetto di bonifica ad opera di AR. spa, sulla base di un distinto procedimento attivato da Regione Lombardia nel quadro di un intervento PNRR. Ne deriva l'inammissibilità dell'impugnazione proposta avverso tale atto perché privo di reale efficacia lesiva. Parimenti, sono rispettivamente improcedibile e inammissibile il secondo e il terzo dei ricorsi per motivi aggiunti, depositati da Pi. rispettivamente il 30.01.2024 ed il 29.02.2024 ed aventi ad oggetto i provvedimenti provinciali del 23.11.2023 (di revoca dell'ordine di progettazione della bonifica) e del 9.02.2024 (di revoca dell'ordine di esecuzione della bonifica). Difatti, si tratta di determinazioni che si limitano il primo a ridurre, il secondo ad eliminare del tutto l'ordine di bonifica in capo alla ricorrente, ferma la sua responsabilità, in ragione degli interventi già eseguiti da AR. s.p.a. e Bo. S.r.l, sicché essi non presentano alcuna portata lesiva per la ricorrente, trattandosi di atti ad essa sostanzialmente favorevoli. Va infatti rimarcato che la ricorrente, con i terzi motivi aggiunti, ha esplicitamente circoscritto la propria impugnativa alla parte degli atti sopra indicati con i quali la Provincia ha ribadito la responsabilità per l'inquinamento di Pi., senza avanzare alcuna censura in punto di sopraggiunta revoca dell'ordine di bonifica, pur dopo che la stessa Pi. si sarebbe attivata per dare corso a quest'ultimo, sopportandone "ingenti costi". Senonché, per la sola parte impugnata, gli atti hanno carattere meramente confermativo della già avvenuta individuazione del responsabile mediante l'ordinanza censurata con il ricorso introduttivo. Ne consegue che il secondo ricorso con motivi aggiunti è divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse per effetto della integrale revoca dell'ordine di bonifica disposta dal provvedimento censurato con i terzi motivi aggiunti, a propria volta ab origine inammissibili. 3) Con il ricorso principale, Pi. articola complesse censure che possono essere sintetizzate nel modo seguente: 1. Incompetenza; violazione e falsa applicazione di legge; violazione e falsa applicazione degli artt. 240, 242, 244 e 245 e dell'allegato III del d.lgs. n. 152/2006. Carenza di potere: la Provincia sarebbe titolare del potere di accertare il responsabile dell'inquinamento, mentre non avrebbe alcuna competenza ad imporre lo svolgimento di determinate attività quali la presentazione del piano di bonifica; 2. Eccesso di potere. Travisamento dei fatti. Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione degli articoli 239 ss. del d.lgs. 152/2006: per il principio generale dell'irretroattività della legge, la ricorrente non potrebbe essere ritenuta responsabile ai sensi della normativa succitata per condotte poste in essere prima dell'entrata in vigore di tale normativa, nonché prima che il bene ambiente venisse riconosciuto quale autonomo e unitario bene giuridico meritevole di tutela; 3. Eccesso di potere per carenza di istruttoria. Irragionevolezza e disparità di trattamento: il provvedimento impugnato si fonderebbe su atti istruttori insufficienti ad individuare il responsabile dell'inquinamento; 4. In via subordinata, illegittimità per contrasto con gli articoli 3, 23, 24 e 41 Cost: la Provincia avrebbe omesso di dimostrare l'esistenza di un nesso di causalità, anche solo in termini probabilistici, tra l'attività industriale di Pi. e l'inquinamento. Si sarebbe così realizzata una ipotesi di responsabilità oggettiva da posizione, contraria ai canoni costituzionali posti dagli artt. 3, 23, 24 e 41 Cost.; 5. In via ulteriormente subordinata: Violazione del diritto europeo. Contrarietà con il principio "chi inquina paga". Violazione dell'art. 191 TFUE. Violazione dell'articolo 3-ter del D.Lgs. 152/2006. Illegittimità derivata del provvedimento impugnato. Richiesta di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE: l'ordinanza impugnata contrasterebbe con il principio eurounitario "chi inquina paga" che osterebbe alla configurazione di una fattispecie di responsabilità oggettiva, fondata esclusivamente sull'appartenenza del bene; 6. Genericità . Difetto di motivazione. Contraddittorietà . Irragionevolezza. Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell'art. 242 del D.lgs. 152/2006: l'ordinanza imporrebbe la presentazione di un nuovo progetto di bonifica, senza tenere conto delle attività precedentemente espletate o in corso di svolgimento imponendo un termine di 90 giorni irragionevole in considerazione della complessità dell'elaborazione di un siffatto piano; 7. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta e carenza di istruttoria, disparità di trattamento. Violazione dell'art. 244 D.Lgs. 152/2006: la Provincia avrebbe irragionevolmente omesso di considerare la responsabilità di Bi., attuale proprietaria del sito, che non avrebbe posto in essere adeguate misure di precauzione; 4) Sono infondati il primo e il sesto motivo, da trattare congiuntamente perché strettamente connessi con i quali Pi. deduce l'incompetenza della Provincia ad adottare l'ordinanza impugnata. Secondo la ricorrente, l'art. 244 del d.lgs. n. 152/06 attribuirebbe alle Province il solo potere di diffidare il responsabile dell'inquinamento "a provvedere ai sensi del presente titolo", ma non quello di imporre l'esecuzione di "attività specifiche", come la bonifica. Il Tribunale non è tenuto a prendere posizione sul punto, poiché, come sopra ricordato, l'ordine di bonifica è stato integralmente revocato, mentre non sussiste alcun dubbio sulla competenza della Provincia ad individuare i soggetti responsabili dell'inquinamento, ai fini del successivo corso del procedimento di cui all'art. 242 del d.lgs. n. 152 del 2006. Perciò, in relazione a questo profilo non sussiste un concreto ed attuale interesse della ricorrente a coltivare la particolare censura. Analoghe considerazioni devono essere svolte in relazione al sesto motivo di impugnazione, con il quale la ricorrente ribadisce l'incompetenza della Provincia nell'imporre specifiche attività ai destinatari dell'ordinanza e contesta la scansione temporale per gli interventi, denunciando l'impossibilità di presentare un progetto entro il termine di 90 giorni. Ora fermo restando il superamento della questione sul piano dell'interesse, in ragione delle successive determinazioni provinciali assunte in autotutela, va osservato che la ricorrente neppure ha fornito concreti elementi a sostegno della ritenuta inadeguatezza del termine assegnato dall'amministrazione. Va, pertanto, ribadita l'inammissibilità delle censure in esame. 5) Con il secondo motivo, Pi. lamenta l'applicazione retroattiva delle norme che disciplinano il potere dell'amministrazione provinciale di imporre la bonifica al soggetto individuato come responsabile, sicché la misura, oltre a non trovare fondamento normativo in relazione al tempo di realizzazione dell'inquinamento, si sostanzierebbe in una sanzione. In particolare si deduce che: - all'epoca della commissione delle condotte che avrebbero dato luogo all'inquinamento (gli anni dal 1918 al 1967) l'art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997, che per primo ha introdotto l'obbligo di bonifica, non era ancora vigente; - pure accedendo alla tesi giurisprudenziale (Consiglio di Stato, Ad. Pl., n. 10 del 2019) per cui l'ordine di bonifica può essere disposto anche in relazione a fatti illeciti verificatisi in una fase antecedente al predetto decreto, l'istituto non potrebbe comunque essere invocato nel caso in esame, in quanto prima degli anni '70 del secolo scorso il bene ambiente non costituiva un autonomo e unitario bene giuridico meritevole di tutela, sicché non sarebbe configurabile l'antigiuridicità necessaria per la sussistenza della responsabilità da fatto illecito. Le censure non possono essere condivise. 5.1) L'analisi della questione impone di portare l'attenzione sul quadro normativo di riferimento in tema di contaminazioni storiche, ossia risalenti ad un tempo antecedente alle prime legislazioni in materia ambientale, al fine di individuare il fondamento giuridico dell'obbligo di bonifica in capo al soggetto responsabile. Le condotte inquinanti ascritte alla ricorrente si collocano nel periodo compreso tra il 1918 e il 1967, arco temporale in cui non era ancora vigente l'art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997 (c.d. decreto Ronchi, adottato in attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), che ha imposto l'obbligo di bonifica in capo al responsabile dell'inquinamento. Sul punto, vale ricordare che l'art. 17 cit. ha introdotto i rimedi della "messa in sicurezza", della "bonifica" e del "ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento", ciò in presenza di situazioni anche solo di "pericolo concreto ed attuale" di superamento dei livelli di concentrazione di sostanze inquinanti - fissati con il regolamento di attuazione approvato con decreto interministeriale del 25 ottobre 1999, n. 471 - causate "anche in maniera accidentale" (comma 2). La disciplina dettata dal successivo d.lgs. n. 152 del 2006 (codice dell'ambiente), in particolare agli artt. 239 e seg., si pone in una logica di continuità con quella dettata dal decreto Ronchi. L'art. 244 del codice dispone che "le pubbliche Amministrazioni che nell'esercizio delle proprie funzioni individuano siti nei quali accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione, ne danno comunicazione alla Regione, alla Provincia e al Comune competenti" (comma 1). Si aggiunge che "la Provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1°, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell'evento di superamento e sentito il Comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo" (comma 2); tale ordinanza viene, altresì, notificata, ai sensi del comma 3, "al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell'articolo 253"; norma, quest'ultima, che regola gli oneri reali e i privilegi speciali (cioè le concrete ripercussioni, in punto di esecuzione e spesa, degli interventi di ripristino ambientale). Infine, si prevede che "se il responsabile non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito né altro soggetto interessato, gli interventi che risultassero necessari ai sensi delle disposizioni di cui al presente titolo sono adottati dall'Amministrazione competente in conformità a quanto disposto dall'articolo 250" (comma 4). Il legislatore ha poi stabilito espressamente che tale normativa si applica alle "contaminazioni storiche" (art. 242, comma 1, ultimo periodo), con ciò intendendosi i fenomeni di inquinamento ambientale attuali, ma effetto di condotte od omissioni antecedenti all'entrata in vigore della disciplina concernente l'obbligo di bonifica. È il caso al quale ricondurre la fattispecie di causa, sicché, ove si intendesse accogliere il secondo motivo di ricorso, sarebbe necessario sollevare questione di legittimità costituzionale, o rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, per chiarire se disposizioni costituzionali, o principi eurounitari, ostino a tale previsione di legge, alla cui applicazione, viceversa, il giudice sarebbe tenuto. In senso contrario si è già pronunciata l'Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 10 del 2019. Diversamente da quanto sostiene la ricorrente, quest'ultima decisione si attaglia perfettamente al caso di specie, che concerne, è il caso di rammentarlo, una attività inquinante protrattasi dal 1918 al 1967. È ben vero, come osserva Pi., che la piena acquisizione del carattere unitario dell'ambiente quale autonomo bene giuridico emerge nei primi anni '70 del secolo scorso, per poi rafforzarsi progressivamente, anche ad opera del legislatore. Si è trattato, tuttavia, di un graduale processo di disvelamento di principi già incorporati in Costituzione (art. 9 e 32), e, come tali, riflessi dalla pur ampia legislazione settoriale che ha apprestato via via una tutela crescente alle specifiche componenti di cui l'ambiente si compone. L'eccedenza deontica dei principi costituzionali, in altri termini, ha germinato diacronicamente regole sempre più cogenti, ma ha costantemente permeato l'ordinamento giuridico, sicché le prime (e ormai risalenti) riflessioni sul punto hanno carattere dichiarativo, anziché costitutivo, di un bene giuridico loro preesistente. È perciò da rigettare l'idea che l'attività inquinante non possa dirsi contra ius, per il solo fatto di aver preceduto la legislazione afferente all'obbligo di bonifica. Né, si può aggiungere, la natura illecita di un fatto esige, per vincolo costituzionale, che esso sia commesso con dolo o con colpa, salve le ipotesi, pur sempre eccezionali nel nostro ordinamento, in cui la responsabilità civile piega verso uno scopo punitivo-sanzionatorio. Nell'ambito, ben più consueto, delle finalità risarcitorie e riparatrici che sono assolte da tale genere di responsabilità, è al contrario ormai di larghissima diffusione il convincimento che il legislatore, fin dal codice del'42, abbia introdotto forme di responsabilità oggettiva che esulano dal coefficiente psicologico, e che, per numero e rilievo, rivaleggiano con il desueto principio civilistico per cui non vi sarebbe responsabilità senza colpa. Non è qui neppure necessario interrogarsi se la ricorrente, alla luce della natura dell'attività esercitata e dei mezzi pericolosi adoperati (come si vedrà a breve, l'amianto, vale a dire una sostanza sulla cui pericolosità sono stati avanzati dubbi fin dagli anni '40 del secolo scorso, ben prima che ne venisse vietato l'impiego), avrebbe potuto essere soggetta ad azione risarcitoria al tempo in cui il fatto fu commesso (sull'applicabilità in materia dell'art. 2050 cod. civ. cfr CDS n. 2195 del 2020). È invece sufficiente rilevare, a fronte di una disposizione di legge che rende espressamente applicabile la normativa sui siti inquinati, che quest'ultima normativa, quand'anche calata nel prisma della responsabilità aquiliana sulla falsariga tracciata dalla Plenaria, non apparirebbe assolutamente incongrua nell'attuale quadro della responsabilità civile, per la parte in cui, perseguendo una finalità di mero rispristino, obbliga chi ha commesso il fatto inquinante, di per sé contra ius e tutt'oggi persistente negli effetti, a porvi rimedio. Non vi è quindi motivo per dubitare della legittimità costituzionale di una tale soluzione normativa, né, come si vedrà a breve, della sua compatibilità con il diritto UE. Difatti, a seguito della Plenaria, la giurisprudenza ha costantemente affermato l'applicabilità degli artt. 242 ss del d.lgs. n. 152 del 2006 alle contaminazioni storiche, quale che ne fosse l'epoca di risalenza temporale (Cons. St. n. 2195/2020 cit.; Cons. St., sez. IV, 7 gennaio 2021, n. 172; Cons. St., sez. IV, 28 febbraio 2022, n. 1388; Cons St., sez. IV, 8 febbraio 2023, n. 1397). Ciò detto, con argomenti che di per sé conducono alla infondatezza del secondo motivo del ricorso introduttivo, il Tribunale ritiene ugualmente opportuno aggiungere ulteriori considerazioni, per dare conto della piena aderenza dell'attuale assetto normativo con l'art. 23 della Costituzione. 5.1.2) Le misure di tutela ambientale introdotte nel 1997, ora disciplinate dagli artt. 239 e ss. del d.lgs. n. 152 del 2006, sottendono la finalità di salvaguardare il bene ambiente e costituiscono uno strumento pubblicistico teso non a monetizzare la diminuzione del valore ambientale, in conseguenza dell'inquinamento, ma a consentirne il recupero materiale. Le disposizioni disciplinano misure da adottare in presenza di un dato meramente oggettivo, quale l'accertamento attuale di una situazione di inquinamento ambientale, che rende necessario il recupero dell'area interessata ad opera del soggetto che lo ha causato. Le norme in esame - art. 17 del decreto Ronchi e art. 244 del codice dell'ambiente - impongono una prestazione personale al soggetto responsabile dell'inquinamento, che è obbligato a bonificare l'area sulla base del dato oggettivo dell'attualità dell'inquinamento e dell'averlo provocato sul piano causale. Si tratta di un rimedio autonomo, munito di base legislativa, che può affiancarsi a misure diverse di natura risarcitoria, senza sovrapporsi ad esse. In altre parole, se la realizzazione di uno stato di inquinamento determina in capo al responsabile l'obbligo della bonifica, secondo la disciplina già richiamata, nondimeno lo stesso fatto può essere fonte sia di responsabilità risarcitoria, qualora abbia cagionato un danno a terzi, sia di responsabilità per danno ambientale, secondo la disciplina dettata dall'art. 298 bis e segg. del codice dell'ambiente, in coerenza con il generale principio per cui lo stesso fatto può assumere rilevanza per diversi profili nell'ordinamento e determinare l'attivazione di differenti misure tra loro autonome, sempre nel rispetto, nella materia "penale" (anche ai fini CEDU) del divieto di bis in idem. L'obbligo della bonifica presenta una propria specificità, sostanziandosi in una misura personale, prevista dalla legge e legittimata sul piano costituzionale dall'art. 23 Cost.; l'adozione del relativo provvedimento amministrativo crea in capo al destinatario un obbligo di attivazione, consistente nel porre in essere determinati atti e comportamenti unitariamente finalizzati al recupero ambientale dei siti inquinati (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 1 febbraio 2023, n. 3077; già Cons. St, sez. V, 5 dicembre 2008 n. 6055; id., 23 giugno 2016, n. 2809). L'istituto non si inserisce nella reintegrazione in forma specifica disciplinata dall'ordinamento quale modalità risarcitoria, perché presenta caratteri autonomi sul piano strutturale, trattandosi di una prestazione personale imposta dalla legge a tutela dell'ambiente, laddove venga riscontrata una situazione di attuale inquinamento e che prescinde dai presupposti della responsabilità risarcitoria, salvo l'accertamento del nesso causale. In tale logica l'obbligo della bonifica in capo al responsabile è riferibile a qualunque situazione di inquinamento, anche in atto al momento dell'entrata in vigore della disciplina legislativa di riferimento (decreto Ronchi e codice dell'ambiente) indipendentemente dall'epoca, anche remota, cui dovesse farsi risalire il fatto generatore della situazione patologica. Come già evidenziato in giurisprudenza (cfr. Cons. St., sez. VI, 9 ottobre 2007, n. 5283), l'inquinamento dà infatti luogo ad una situazione di carattere permanente, che perdura fino a che non ne vengano rimosse le cause ed i parametri ambientali alterati siano riportati entro limiti normativamente accettabili Ciò non si sostanzia nell'applicazione retroattiva delle norme ora vigenti, ma nella loro applicazione attuale, poiché mirano a rimediare ad una condizione in atto di inquinamento, verificatasi nel passato ma permanente e superabile solo con la bonifica. Neppure si tratta di irrogare ora per allora una sanzione, ma di riparare, in forza di una specifica previsione legislativa, ad effetti patologici che permangono nonostante il decorso del tempo. Insomma, l'ordinanza di cui all'art. 242 del d.lgs. n. 152 del 2006, che l'Amministrazione ha il potere di adottare a carico del soggetto che sia riconosciuto responsabile della contaminazione, non ha finalità sanzionatoria di una condotta pregressa, ma natura riparatoria in relazione ad un evento di inquinamento ancora attuale (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668). Ciò che rileva è che l'evento "compromissione ambiente" sia ancora sussistente al momento dell'adozione dell'ordine di bonifica, perché le norme che lo prevedono mirano proprio a superare situazioni di inquinamento in essere, ancorché verificatesi prima della loro entrata in vigore (cfr. Cons. St., sez. IV, 28 febbraio 2022, n. 1388), secondo la logica della prestazione personale imposta all'autore dell'inquinamento. La circostanza che al tempo della causazione dell'inquinamento non sussistesse una previsione normativa impositiva della bonifica resta irrilevante ai fini indicati, mentre può assumere significato per i profili risarcitori correlati all'eventuale danno ambientale, ex d.lgs. n. 152/2006. Sotto altro profilo, va precisato che la risalenza dell'evento generatore dell'inquinamento funge da fattore di esclusione dell'applicazione della normativa del d.lgs. n. 152 del 2006 con esclusivo riferimento agli istituti delineati dalla Parte VI, dedicata alla tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente, atteso che l'art. 303, lett. f) e g), ne esclude l'applicazione sia in caso di danni derivanti da un evento occorso prima dell'entrata in vigore della Parte VI del Codice, sia in presenza di un "danno in relazione al quale siano trascorsi più di trent'anni dall'emissione, dall'evento o dall'incidente che l'hanno causato". Viceversa nessuna limitazione temporale è prevista per l'applicazione degli articoli 242 e 244, dettati nell'ambito della Parte IV del decreto n. 152, fermo restando che l'art. 242 menziona espressamente i casi di contaminazioni cosiddette "storiche" (cfr. Cons. St., sez. IV, 8 ottobre 2018, n. 5761). Tali considerazioni non sono inficiate dalla circostanza che l'art. 242 cit. faccia riferimento alle contaminazioni storiche "che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione", in quanto la specificazione deve essere intesa, per la ratio che caratterizza l'istituto, come diretta a superare situazioni di inquinamento in essere, ossia attuali, che non abbiano, pertanto, esaurito la propria portata di pericolosità ambientale (sul punto già Tar Lombardia, sez. IV, 18 luglio 2023, n. 1879). Del resto, che una condotta possa essere oggetto di conseguenze previste anche da leggi emanate in epoca successiva, purché la compromissione di un determinato bene giuridico sia ancora attuale, è costituzionalmente precluso al legislatore solo con riguardo alla pena e, in generale, alle misure amministrative a contenuto sanzionatorio, il che nel caso di specie non sussiste considerata la natura della misura che, per le caratteristiche sopra esposte, esula dall'ambito del diritto lato sensu punitivo. Come già evidenziato, le norme in esame sono chiare nel porre l'obbligo della bonifica in capo al responsabile della contaminazione, da individuare sulla base di un criterio solo oggettivo, integrato dalla connessione eziologica tra la condotta e l'inquinamento. Tale assetto riflette il principio "chi inquina paga" di matrice eurounitaria, la cui applicazione - contrariamente a quanto pure sostenuto dalla ricorrente - non postula l'accertamento di un presupposto soggettivo, che correli la condotta a dolo o a colpa, ma esige unicamente la materiale causazione dello stato di inquinamento. La stessa direttiva 2004/35/CE, pur non applicabile ratione temporis all'inquinamento per cui è causa, pone in luce (considerando n. 13) che il requisito minimo, imprescindibile affinché l'imputazione di responsabilità sia compatibile con il diritto UE, è la sola sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell'agente e l'evento inquinante (CG, Grande Sezione, C.-378/08; CG C.-188/07; id. C.-534/15), In particolare, il punto 62 della sentenza della Grande Sezione appena citata ha chiarito che gli Stati membri sono tenuti a rilevare la responsabilità degli operatori professionali, senza necessità di dimostrare la natura dolosa o colposa della condotta, mentre il punto 69 ha aggiunto che è conforme al diritto UE l'eventuale scelta nazionale di estendere il regime di responsabilità oggettiva per danno ambientale a chiunque altro. Ne deriva con ogni evidenza che il principio "chi inquina paga" non esige necessariamente che l'inquinatore sia rimproverabile per la condotta lui addebitabile. Così, l'art. 311 del d.lgs. n. 152 del 2016, nel conferire attuazione alla direttiva, tiene ferma la responsabilità oggettiva, fondata sul nesso eziologico, dell'operatore professionale, e la mitiga, introducendo il requisito del dolo o della colpa, per ogni altro inquinatore. Il principio "chi inquina paga" (ora sancito dall'art. 191 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea e dall'art. 3-ter del d.lgs. n. 152 del 2006) ha proprio lo scopo di assicurare che i costi delle compromissioni ambientali ricadano sui soggetti che vi hanno dato luogo per mezzo della propria condotta, piuttosto che sulla collettività o su soggetti che, seppur incolpevoli, si trovano in una qualche relazione materiale o giuridica con il sito inquinato. Ciò vale anche per le fattispecie di inquinamento risalenti nel tempo, poiché, seppure le direttive europee in materia di obblighi di bonifica disciplinino solo fatti commessi dopo la rispettiva entrata in vigore, nondimeno il diritto dell'Unione non esclude la possibilità per i legislatori nazionali di introdurre regimi di maggior tutela dell'ambiente, correlando obblighi di bonifica anche a contaminazioni storiche (cfr. ex multis Cons. St. 2195/2020). Quanto all'accertamento del nesso causale, la giurisprudenza amministrativa, sulla scorta delle indicazioni derivanti dalla Corte di Giustizia UE (cfr. già CGUE 9 marzo 2010, in C-378/08) ripudia un'impostazione "penalistica" (incentrata sul "superamento del ragionevole dubbio") e fa invece applicazione, ai fini della sussistenza del nesso di causalità tra attività svolta sull'area ed inquinamento dell'area medesima, del canone civilistico del "più probabile che non"; pertanto, l'individuazione del responsabile può basarsi anche su elementi indiziari, giacché la prova può essere fornita anche in via indiretta, potendo in tal caso l'amministrazione avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all'art. 2727 c.c. (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 8 ottobre 2018, n. 5761; nello stesso senso ex multis Cons. St. 2018 n. 7121 e Cons. St. 2017 n. 5668). 5.2) Le considerazioni svolte palesano l'infondatezza del motivo in esame, centrato sull'illegittima applicazione retroattiva dell'art. 244 del d.l.gs 2006 n. 152, che trasformerebbe la bonifica in una sanzione. In sintesi: - la tesi dell'applicazione retroattiva della disciplina in esame non è coerente con la struttura della fattispecie normativa, che configura una prestazione personale imposta, secondo il paradigma dell'art. 23 Cost.; - non sussiste alcuna retroazione di istituti giuridici introdotti in epoca successiva alla realizzazione dell'inquinamento, ma solo l'applicazione attuale di istituti previsti dalla legge nel momento in cui si accerta una situazione di inquinamento in atto; - è inconferente, oltre che infondata come già precisato sopra, l'osservazione secondo cui il rimedio della bonifica non sarebbe applicabile prima degli anni '70 del secolo scorso per l'impossibilità prima di tale periodo di qualificare la condotta del privato come contra ius; - invero, il presupposto dell'ordine di bonifica non è la qualificazione della condotta di inquinamento in termini di fatto antigiuridico fonte di responsabilità risarcitoria da soddisfare mediante la reintegrazione in forma specifica, come pure ritenuto dalla ricorrente, ma unicamente l'esistenza attuale della situazione patologica e la sua derivazione causale da una condotta del soggetto indicato come responsabile; - la bonifica non è una sanzione, perché non si tratta di una misura "punitiva", ma di uno strumento teso a porre rimedio, in forza di una specifica previsione legislativa, ad effetti patologici che permangono nonostante il decorso del tempo; rimedio posto a carico dell'autore dell'inquinamento, sulla base dell'accertamento del nesso causale tra la condotta e la contaminazione, in coerenza con il principio "chi inquina paga". 6) Parimenti è infondato il motivo con il quale la ricorrente contesta il difetto di istruttoria, l'irragionevolezza e la disparità di trattamento. In particolare, secondo Pi.: - l'attività svolta dalla Provincia per individuare i responsabili dell'inquinamento sarebbe insufficiente e approssimativa, sicché fonderebbe la responsabilità della società ricorrente unicamente sul presupposto della proprietà del sito e dell'esercizio di attività produttiva in loco; - l'Amministrazione avrebbe omesso di considerare il criterio spaziale che rileverebbe nel caso di specie in considerazione del fatto che il sito si è ingrandito nel corso degli anni, passando dalla misura di 12.300 mq nel 1918, alla dimensione di 14.800 mq nel 1922, sino a raggiungere l'estensione finale di 32.100 mq nel 1954. A fronte di questi mutamenti di entità, la responsabilità di Pi. dovrebbe essere ridimensionata, in relazione alla ridotta quantità di spazio che la società occupava inizialmente. Del resto, argomenta la ricorrente, il criterio temporale è stato invece considerato nel valutare la responsabilità della Ph. S.r.l., creando così un'ingiustificata disparità di trattamento tra le due società ; - non sarebbe imputabile a sua responsabilità la contaminazione da amianto, da attribuirsi al contrario alle operazioni di adeguamento impiantistico svolte in periodi successivi al 1967 e dalle linee coibentate interrate, che non sarebbero state oggetto di manutenzione da parte dei soggetti che si sono avvicendati nella proprietà del sito; - la responsabilità della contaminazione sarebbe da addebitarsi sulla base del criterio del più probabile che non alla Sa. S.r.l., che avrebbe omesso di rimuovere il materiale di scarto dal sito, il quale deteriorandosi avrebbe generato la suddetta contaminazione. Sarebbe peraltro, "con maggiore probabilità ", la Sa. ad avere inquinato le aree occupate dalle trincee esterne, nel momento di realizzazione delle vasche di decantazione; - e ancora, la Provincia non avrebbe considerato la peculiarità del periodo storico in cui Pi. ha occupato il sito, nonché le specificità delle diverse tipologie di attività produttive che si sono succedute nel tempo e non avrebbe tenuto in conto del periodo di sospensione della produzione, verificatosi in occasione della Seconda Guerra Mondiale. Giova ribadire, in primo luogo, che l'accertamento del nesso causale fra una determinata attività e la contaminazione si basa sul criterio del "più probabile che non", ovvero richiede che il nesso eziologico ipotizzato dall'autorità competente sia più probabile della sua negazione (in questo senso la costante giurisprudenza, per tutte Cons. Stato, Ad. plen. n. 10 del 2019; successivamente ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 18/12/2023, n. 10964). La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, nell'interpretare il principio "chi inquina paga", ha fornito una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ovvero come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell'inquinamento. Per affermare l'esistenza del nesso di causalità "l'autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività . Quando disponga di indizi di tal genere, l'autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l'inquinamento diffuso rilevato. Conformemente all'art. 4, n. 5, della direttiva 2004/35, un'ipotesi del genere può rientrare pertanto nella sfera d'applicazione di questa direttiva, a meno che detti operatori non siano in condizione di confutare tale presunzione" (Corte giust. UE, 4 marzo 2015, in causa C- 534/13; cfr. in precedenza la decisione del 9 marzo 2010, in causa C - 378/08). Come già evidenziato, la prova del nesso eziologico può essere fornita in via diretta o indiretta, potendo l'amministrazione avvalersi anche di presunzioni semplici ex art. 2727 c.c. (Consiglio di Stato, sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885). Non solo, laddove l'amministrazione abbia fornito elementi indiziari sufficienti a dimostrare, sebbene in via presuntiva, l'ascrivibilità dell'inquinamento ad un soggetto, spetta a quest'ultimo l'onere di fornire la prova contraria, per la quale non è sufficiente ventilare genericamente il dubbio di una possibile responsabilità di terzi o di un'incidenza di eventi esterni alla propria attività, bensì è necessario provare - con pari analiticità - la reale dinamica degli avvenimenti e indicare lo specifico fattore cui debba addebitarsi la causazione dell'inquinamento (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668). Nella fattispecie in esame, gli elementi valorizzati dall'amministrazione, oltre a non essere superati dalle deduzioni difensive nel loro oggettivo valore indiziario, sono convergenti, in termini di gravità, precisione e concordanza, nel ricondurre l'inquinamento alle attività della società ricorrente. Nella Relazione ARPA del 28 luglio 2015 viene dimostrata la coerenza tra la contaminazione delle matrici ambientali (polverino di amianto e mercaptobenzotiazolo, anilina, difenilamina, etc.) e l'attività industriale svolta sul sito da Pi. (produzione di isotermite e chimica della gomma), che ha gestito in esclusiva l'impianto a partire dal 1918 fino al 1967. In particolare, la predetta relazione nelle conclusioni evidenzia che: - le analisi effettuate sui terreni e sulle acque sotterranee (esclusa l'area Ph., non ancora indagata) hanno rilevato la presenza di sostanze riconducibili alla chimica della gomma (es. mercaptobenzotiazolo, anilina, difenilamina). Le zone più critiche sono risultate l'ex reparto di sintesi, la zona di interramento fusti contenenti rifiuti e subordinatamente la zona delle vasche di decantazione, realizzate a monte dello scarico delle acque reflue a lago attivo nel periodo di gestione Pi./PIC-ACNA; la zona delle vasche risulta peraltro prossima al secondo reparto di sintesi; - le elevate concentrazioni di sostanze riconducibili alla chimica della gomma rilevate nel terreno e nelle acque sotterranee si ricollegano alle attività Pi./PIC-AC. in quanto non risulta che la Sa. abbia proseguito la produzione delle eveiti; - le materie prime, i prodotti e i rifiuti connessi in via esclusiva alla chimica della gomma ed alla produzione di manufatti contenenti amianto "non sono sovrapponibili alle materie prime, ai prodotti ed ai rifiuti connessi all'attività produttiva Sa., che lavorava la vergella acquistata da acciaierie" (cfr. Relazione ARPA 28 luglio 2018). Quanto all'inquinamento da amianto, come emerge dalla documentazione in atti, è provato che Pi. svolgeva sul sito anche attività di produzione di isotermite (cfr. Brevetto isotermite, depositato dalla Provincia). A tal proposito, le indagini svolte da ARPA hanno accertato che il materiale denominato "isotermite" "era un impasto di amianto amosite probabilmente con gesso; la prima fase della lavorazione prevedeva l'impasto del gesso e dell'amianto in mescolatore aperto tipo molazza seguito da colata in stampi o estrusione per la formazione di coppelle che venivano essiccate e poi tagliate mediante sega a nastro" (in questo senso Relazione ARPA 28 luglio 2018). Pertanto, anche la contaminazione da amianto è riconducibile, in base al criterio "più probabile che non", alle lavorazioni svolte nello stabilimento da Pi.. In questo senso è indicativo quanto riferito nelle due note della ASL di Lecco, allegate alla relazione ARPA, in ordine alla malattia professionale correlata alla presenza di amianto relativamente a due lavoratori, di cui uno in servizio nel sito sin dagli anni quaranta del secolo scorso (quale addetto al taglio di materiale contenente amianto che si utilizzava per la produzione di coibentazione di tubi idraulici). Quanto alla pericolosità delle lavorazioni e le modalità di eliminazioni dei rifiuti contenti amianto, occorre inoltre evidenziare che i molteplici campionamenti effettuati da ARPA hanno dimostrato "in numerosi punti la presenza di amianto nel terreno (sia sotto il pavimento dei capannoni che nei piazzali), prevalentemente amosite, depositato in blocchi di impasto gessoso. Questo ha confermato la procedura utilizzata dalla ditta, riferita da numerosi ex-dipendenti e da abitanti della zona circostante, di "eliminazione" dei rifiuti contenenti amianto, mediante interramento del materiale di scarto al fine, fra l'altro, di consolidare il terreno piuttosto cedevole intorno allo stabilimento posto sulla riva del lago (...). In sintesi, si può concludere che nello stabilimento in questione per parecchi anni sono stati utilizzati rilevanti quantitativi di amianto, con scarse o nulle misure di prevenzione sia per i lavoratori che per l'ambiente circostante. A riprova di quanto sopra, abbiamo riscontrato un quadro "epidemico" di patologie asbesto-correlate fra i lavoratori esposti, e si rimanda pertanto alle conoscenze di letteratura in ordine al potenziale rischio ambientale (...)" (cfr. relazione in data 11.07. 2008, prot. n. 52551, con cui la ASL di Lecco riscontrava una richiesta avanzata dal Registro Mesoteliomi della Lombardia). Gli elementi ora richiamati rendono del tutto verosimile, per la pregnanza indiziaria che esprimono, che i rifiuti contenenti amianto venissero eliminati mediante interramento con conseguente contaminazione dei terreni. Le analisi svolte e le testimonianze dei lavoratori raccolte integrano elementi che valutati congiuntamente inducono a ritenere "più probabile che non" la derivazione causale dell'inquinamento dalla condotta della ricorrente e smentiscono la tesi secondo cui la contaminazione di amianto sarebbe stata causata esclusivamente dalle condotte manchevoli dei successivi gestori del sito, mentre Pi. non avrebbe in alcun modo concorso a cagionare l'evento, per la propria quota di responsabilità . Del resto, le affermazioni sviluppate in tal senso da Pi. non sono adeguatamente supportate sul piano dimostrativo e, come già evidenziato, per costante giurisprudenza, la prova contraria alle risultanze indiziarie fornite dall'amministrazione non può consistere in allegazioni generiche, ma deve sostanziarsi in elementi dotati di adeguata analiticità, in grado di esprimere secondo parametri di verosimiglianza la reale dinamica degli avvenimenti, indicando lo specifico fattore cui debba addebitarsi la causazione dell'inquinamento. 7) La ricorrente contesta, per diversi profili, anche la ripartizione di responsabilità fra i soggetti che si sono succeduti nella gestione del sito. Le censure sono in parte infondate e in parte inammissibili. E' infondata la doglianza con la quale si adombra che l'individuazione di più responsabili indebolirebbe la ritenuta responsabilità di Pi., privandola di un reale fondamento istruttorio. Contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, l'individuazione di altri soggetti come corresponsabili dell'inquinamento non elide la responsabilità di Pi., atteso che le risultanze istruttorie che palesano la sua responsabilità restano ferme e non sono private di valore indiziario per effetto delle ulteriori circostanze poste a fondamento della responsabilità degli altri operatori che hanno utilizzato l'area. Del resto, l'individuazione di più soggetti responsabili non è indice di perplessità o contraddittorietà dell'azione amministrativa e l'obbligo di bonifica, che resta immutato nel suo contenuto oggettivo, grava solidalmente sui responsabili dell'inquinamento. Nelle ipotesi in cui più soggetti abbiano concorso a causare l'inquinamento, ciascun responsabile è tenuto ad ottemperare integralmente all'obbligo di bonifica trattandosi di un obbligo di carattere solidale e non parziario (sul punto ex multis, T.A.R. Veneto, sez. IV, 6 maggio 2024, n. 896). La ricorrente contesta anche la ripartizione in quote operata dall'amministrazione, lamentandone l'irragionevolezza e contestando i criteri utilizzati. Le censure sono inammissibili, perché non sottendono un concreto ed attuale interesse della ricorrente. Va premesso che l'obbligo di bonifica grava solidalmente su tutti i soggetti ritenuti responsabili, poiché, nel caso di specie, non è possibile isolare "danni-conseguenza ontologicamente distinti" (cfr CDS n. 172 del 2021; Tar Milano, n. 2236 del 2021; Tar Torino, n. 717/2017), nel senso che Pi. ha contribuito causalmente, insieme con altri soggetti, a generare un unico danno ambientale, stratificatosi con il decorrere del tempo, ma non frazionabile, neppure in sede di bonifica. Ne segue che la ripartizione in quote effettuata dalla Provincia vale a descrivere l'ambito di responsabilità di ciascun operatore secondo le valutazioni dell'amministrazione, ma, da un lato, tale ripartizione non è necessaria ai fini del provvedimento ex art. 242 del codice dell'ambiente, dall'altro, non si riverbera sui rapporti interni tra i soggetti coobbligati. Il riparto effettuato dall'amministrazione non incide sull'eventuale azione di rivalsa che la ricorrente potrà esperire dinanzi al giudice ordinario, trattandosi di un provvedimento amministrativo che non determina alcun vincolo per il giudice adito in sede di rivalsa, sicché solo in quella sede la ricorrente avrà interesse a dimostrare quale sia la sua quota di responsabilità nei rapporti interni. Interesse che non sussiste nel presente giudizio, in quanto il riparto operato dall'amministrazione assume valore descrittivo, ma non modifica la struttura della responsabilità, che resta solidale, né incide sull'eventuale futuro giudizio di rivalsa. Invero, nel giudizio eventualmente instaurato con azione di rivalsa dinanzi al giudice ordinario, la sussistenza, o meno, degli elementi a sostegno dell'azione e la prova di essi saranno affidati ai principi civilistici in punto di riparto dell'onere probatorio (cfr. Tar Lombardia, sez. III, 21 maggio 2024, n. 1560). Ne deriva che l'eventuale annullamento dell'atto impugnato, per i profili in esame, non arrecherebbe alcun vantaggio giuridicamente rilevante alla ricorrente, sicché le censure sono inammissibili per carenza di interesse, specie a seguito della revoca dell'ordine di bonificare. Solo in via di ulteriore precisazione, va rilevata l'infondatezza della tesi della ricorrente che, nel contestare l'utilizzo del "criterio spaziale" per l'individuazione delle quote di responsabilità, lamenta una disparità di trattamento rispetto alla posizione di Ph. s.r.l.. In primo luogo, è del tutto irrilevante la circostanza secondo la quale l'attività di Pi. non è stata svolta ab origine sull'intera area, ma su porzioni via via maggiori sino all'integrale utilizzazione di essa, poiché ciò che rileva è, come accertato in sede istruttoria, che proprio l'attività industriale di Pi. abbia contaminato le matrici ambientali su tutta l'area oggetto dell'obbligo di bonifica. La circostanza che in un primo tempo l'area utilizzata fosse di minore estensione integra un dato indifferente, poiché resta fermo l'accertamento della contaminazione su tutta l'area, per inquinanti compatibili con le attività svolte da Pi. sul sito complessivamente gestito sino al momento della sua cessione. La situazione riferibile a Ph. (oggi Fi. Mu. S.p.a) è diversa, perché la società ha avuto la disponibilità sempre e soltanto di una piccola porzione del sito ed è stato escluso il suo coinvolgimento nell'inquinamento rispetto a quasi tutte le sostanze contaminanti rinvenute. Si tratta di due situazioni diverse in relazioni alle quali, pertanto, non può essere predicata alcuna disparità di trattamento. 8) Sono infondati e possono essere trattati congiuntamente, per la connessione che li caratterizza, i motivi (quarto e quinto) tesi contestare che l'amministrazione avrebbe in concreto imputato alla ricorrente una "responsabilità da posizione". Pi. sostiene, in primo luogo, che l'ordinanza impugnata le avrebbe attribuito una "responsabilità di tipo oggettivo fondata esclusivamente sulla qualificazione della Società come uno dei soggetti proprietari del sito", in violazione dei canoni costituzionali posti dagli artt. 3, 23, 24 e 41 Cost. Si afferma, inoltre, che la determinazione impugnata esprimerebbe "un automatismo tipico della responsabilità da posizione", sicché, ove così interpretate, le disposizioni di cui agli artt. 242 e ss., d.lgs. n. 152/06 sarebbero in contrasto con il principio europeo "chi inquina paga" previsto dall'art. 191, par. 2 del TFUE, nonché dalla Direttiva n. 35 del 21 aprile 2004. Sul punto Pi. formula una richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, per il seguente quesito: "se osti con i requisiti imposti dal principio "chi inquina paga", previsto dall'art. 191, par. 2 del TFUE, nonché dalla Direttiva n. 35 del 21 aprile 2004 ed il quale richiede che la responsabilità per l'inquinamento di un sito sia accertata in capo al soggetto inquinatore senza fare ricorso a meccanismi di attribuzione automatica su base oggettiva, la disciplina della bonifica dei siti contaminati così come stabilita dal Titolo V del D. Lgs. 152/2006 (articoli 239-253) ove interpretata nel senso per cui la responsabilità ambientale ed i conseguenti obblighi di bonifica possono essere imposti ad un dato operatore economico per il solo fatto di essere stato in passato proprietario dell'area risultante inquinata". Come anticipato, le censure sono destituite di fondamento. Invero, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, nel caso de quo l'attribuzione di responsabilità è stata operata non in ragione del mero dato della proprietà del sito, ma in forza di una puntuale istruttoria, basata su una pluralità di elementi, gravi, precisi e concordanti, riportati nella relazione allegata al provvedimento impugnato (oltre che nella relazione di ARPA) che, come sopra esposto, evidenziano sulla base del criterio del "più probabile che non", la sussistenza del nesso di causalità tra le attività industriali della Società e la contaminazione dei luoghi. Non sussiste alcuna responsabilità di "posizione", né la violazione del principio "chi inquina paga", poiché Pi. non è destinataria dell'obbligo di bonifica in quanto "proprietario incolpevole", ma perché soggetto responsabile della contaminazione. Nel contesto delle censure in esame, la ricorrente lamenta, sul piano soggettivo, che all'epoca dei fatti difettavano "obblighi" ambientali specifici, dotati di base normativa, sicché non sarebbe ipotizzabile la "consapevolezza del disvalore" delle condotte tenute dalla Società . Anche queste deduzioni non meritano condivisione, perché muovono da un'irragionevole commistione tra istituti diversi e non tengono conto della natura dell'obbligo di bonifica quale prestazione personale imposta, fondata, in base alla legge, su profili esclusivamente oggettivi, quali l'attualità della contaminazione e la sua derivazione causale dall'attività svolta dalla ricorrente, come più volte evidenziato. Si tratta di una misura diversa dal risarcimento per danno ambientale, rispetto alla quale non assume alcuna rilevanza l'imputabilità dell'azione inquinante a titolo di dolo o di colpa, in coerenza con il più volte richiamato principio "chi inquina paga". Si ribadisce che l'identificazione del responsabile ai fini della bonifica ex art. 244, comma 2, del d.lgs. 152/2006 presuppone soltanto l'accertamento del nesso causale tra l'attività del soggetto e la contaminazione - nel caso di specie dimostrato - sicché non assume alcuna rilevanza la circostanza che il responsabile conoscesse o dovesse conoscere e quindi prevenire la portata inquinante della propria attività . Le considerazioni svolte escludono la rilevanza della questione di pregiudizialità comunitaria, in quanto la tesi della ricorrente muove dall'asserzione per cui l'amministrazione le avrebbe imputato una responsabilità "da posizione" in quanto proprietaria del sito, ma tale circostanza è smentita dal contenuto del provvedimento impugnato e dall'istruttoria svolta dall'amministrazione, che ha accertato la relazione eziologica tra l'attività svolta da Pi. e la situazione di attuale inquinamento, che giustifica l'obbligo di bonifica. E' manifestamente infondata la questione di costituzionalità sollevata in relazione agli artt. 242 e segg del d.lgs 2006 n. 152 e diretta a denunciare la violazione degli artt. 3, 23, 24 e 41 Cost., come già si evince da quanto finora detto. Pi. sostiene l'irragionevolezza delle norme in quanto tese a fondare una responsabilità di posizione in capo al proprietario incolpevole, con correlata violazione del diritto di difesa e della libertà di iniziativa economica privata. Il Tribunale ha già osservato che le eccezioni di incostituzionalità sarebbero manifestamente infondate, nel quadro della responsabilità civile. Analoga conclusione va tratta in presenza di una prestazione personale imposta, stabilita dalla legge in base alla previsione dell'art. 23 Cost.. Tenendo ferma quest'ultima configurazione dell'istituto, le norme censurate non palesano alcuna delle violazioni contestate, atteso che, in primo luogo, l'autore della contaminazione si trova in una situazione del tutto diversa dal proprietario incolpevole, sicché le norme non realizzano alcuna disparità di trattamento, né risultano viziate sul piano della ragionevolezza, poiché pongono l'obbligo di bonifica proprio a carico del responsabile della contaminazione. Sotto altro profilo, quest'ultimo è tenuto alla bonifica perché ha dato causa con la sua condotta alla contaminazione. In tale logica, l'obbligo di bonifica è coerente con la previsione dell'art. 41 Cost. che limita l'iniziativa economica in funzione dell'utilità sociale, consistente nelle fattispecie in esame nell'evitare che i costi del ripristino ambientale ricadano sulla collettività anziché sul soggetto che, sfruttando economicamente l'area a suo vantaggio, ne abbia provocato l'inquinamento (in argomento anche Cass. Civ., Sez. unite, 1 febbraio 2023, n. 3077). Del resto, è palese che gli obblighi imposti corrispondano alla tutela di beni di rilievo costituzionale certamente non inferiore alla libertà di iniziativa economica. Nessuna violazione è configurabile rispetto al diritto di difesa, ex art. 24 Cost., poiché le norme che impongono la bonifica non muovono da una presunzione assoluta di responsabilità in capo ad un determinato soggetto, ma impongono all'amministrazione di individuare il responsabile della contaminazione, sulla base di una prova che, seppure indiretta, deve riflettere criteri di gravità precisione e concordanza e palesare la sussistenza del nesso eziologico secondo il criterio "più probabile che non". Non solo, il soggetto interessato - come già ampiamente evidenziato - è ammesso alla prova contraria, sicché è posto in condizione di dimostrare, anch'egli mediante elementi indiziari dotati della necessaria attendibilità, l'inconsistenza della ricostruzione operata dall'amministrazione. Quanto poi alla dedotta violazione dell'art. 23 Cost., anche tale eccezione è manifestamente infondata, perché attribuisce a tale previsione costituzionale la portata di escludere l'imposizione di obblighi con effetto retroattivo. Al contrario, l'art. 23 Cost. si limita a vietare che una prestazione personale o patrimoniale possa essere imposta in difetto di una previa norma di legge, mentre il limite alla retroattività si colloca negli artt. 3 e 25 Cost.. E' poi manifesto che tali parametri non siano violati dalle norme censurate, per le ampie ragioni già esposte, tra le quali l'assenza di una retroattività propria nelle norme oggetto della eccezione di incostituzionalità . 9) Con l'ultima delle censure articolate, Pi. lamenta l'illegittimità dell'ordinanza impugnata per non avere preso in considerazione la responsabilità di Bi., attuale proprietaria del sito, la quale, a detta della ricorrente, non avrebbe posto in essere le adeguate misure di precauzione, così rendendosi responsabile della degenerazione dell'inquinamento. Anche questa censura non è condivisibile. In particolare, va osservato che: - la censura è connotata da spiccata genericità, in quanto si limita ad asserire che Bi., non adottando le misure di messa in sicurezza indicate dall'amministrazione, avrebbe provocato la degenerazione della situazione di inquinamento; - si tratta di un'affermazione non sorretta da alcun elemento dimostrativo, neppure a livello indiziario, volto a palesare l'effettiva degenerazione dello stato di inquinamento e a dimostrarne la derivazione causale dalle omissioni riferite a Bi.; - non solo, la ricorrente non considera che l'ordinanza con la quale l'amministrazione ha ordinato a Bi. di provvedere alla MISE è stata annullata dal Tribunale con la già richiamata sentenza n. 940 del 2015; - in ogni caso, l'ipotetica partecipazione di Bi. all'inquinamento non incide sulla responsabilità accertata in capo a Pi., ma potrebbe assumere rilevanza solo in sede di rivalsa dinanzi al giudice ordinario; - nondimeno, in quest'ultima ipotesi l'identificazione del convenuto quale soggetto parimenti responsabile dell'inquinamento "ricade nel giudizio di fatto del giudice che procede e l'eventuale identificazione che sia intervenuta per opera dell'amministrazione rileva sul piano esclusivamente probatorio, da valutare insieme alle altre prove, non essendo previsto che l'identificazione amministrativa del responsabile faccia stato nel processo giurisdizionale" (Cass. civ., Sez. III, ord., 22 gennaio 2019, n. 1573); - ne deriva che la censura in esame non è neppure supportata da un concreto ed attuale interesse della ricorrente, perché non è diretta ad escludere la sua responsabilità, ma ad ipotizzare in modo generico la responsabilità di un terzo soggetto, che potrebbe però assumere rilevanza solo nell'eventuale giudizio di rivalsa. 10) In definiva, il ricorso introduttivo è infondato e deve essere respinto; il primo e il terzo dei ricorsi per motivi aggiunti sono inammissibili per carenza di interesse, mentre il secondo ricorso per motivi aggiunti è improcedibile. La complessità fattuale e giuridica delle questioni trattate consente di disporre la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Terza definitivamente pronunciando: 1) respinge il ricorso introduttivo; 2) dichiara inammissibili il primo e il terzo ricorso per motivi aggiunti; 3) dichiara improcedibile il secondo ricorso per motivi aggiunti; 4) compensa tra le parti le spese della lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 13 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Marco Bignami - Presidente Fabrizio Fornataro - Consigliere, Estensore Mauro Gatti - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 589 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Lu. Bo., con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, corso (...); contro Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Milano, via (...); Questura di Pavia, non costituito in giudizio; per l'annullamento del provvedimento prot. n. 0009052 adottato dalla Questura di Pavia in data del 15.02.2024 e notificato a mani in pari data (doc. 2 decreto inammissibilità ; doc. 3 notifica), con il quale è stata dichiarata inammissibile e dunque implicitamente rigettata l''istanza di conversione del permesso di soggiorno per protezione speciale n. I17957145, rilasciato dalla Questura di Pavia il 21.07.2022 in permesso di soggiorno per lavoro subordinato, presentata dalla ricorrente in data 08.02.2024 (doc. 4 appuntamento) e acquisita dalla Questura di Pavia il 15.02.2024, nonché di ogni altro atto, anche non conosciuto dalla ricorrente, ad esso conseguente, presupposto, applicativo e/o comunque connesso a quello impugnato. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 settembre 2024 il dott. Marco Bignami e uditi per le parti i difensori I difensori hanno depositato richiesta di passaggio in decisione della causa. La causa passa in decisione; Parte ricorrente, di cittadinanza extracomunitaria, impugna il provvedimento con il quale ne è stata rigettata la domanda di conversione del permesso di soggiorno per protezione speciale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Allo oggi, l'amministrazione ha meramente "riattivato" il procedimento, sicché la causa va decisa allo stato degli atti. É pacifico in causa che parte ricorrente è titolare di un permesso di soggiorno per protezione speciale rilasciato dal Questore ai sensi dell'art. 32, comma 3, del d.lgs. n. 25 del 2008.Tale ultima disposizione prevede che, per le ipotesi di diniego della domanda di protezione internazionale, si proceda al rilascio del titolo, in presenza dei requisiti indicati dall'art. 19, comma 1.1, del d.lgs. n. 286 del 1998. Siffatta previsione accomunava due ipotesi nelle quali non si poteva procedere ad espulsione dello straniero, vale a dire a) il rischio che quest'ultimo fosse sottoposto a tortura o trattamenti inumani o degradanti, o che l'espulsione comportasse la violazione di obblighi internazionali della Repubblica e b) la lesione del diritto al rispetto della privata e familiare che sarebbe conseguita all'allontanamento dal territorio nazionale. L'art. 7 del d.l. n. 20 del 2023 ha abrogato il terzo periodo dell'art. 19, comma 1.1 appena citato, nella parte in cui stabiliva quest'ultima porzione del divieto di espulsione; in disparte la questione concernente il perdurante obbligo della Repubblica di osservare l'art. 8 della CEDU, la figura del permesso di protezione speciale al fine di assicurare la permanenza dello straniero in Italia è comunque venuta meno, quando sussiste un'esigenza di tutela concernente il solo svolgimento della vita privata. Ciò premesso, va osservato che il comma 2 dell'art. 7 garantisce la ultrattività della previgente disciplina quanto alle domande di rilascio dei permessi di soggiorno per protezione speciale per tali casi, se già presentate alla data di entrata in vigore del decreto legge, che si colloca al 6 maggio 2023. Si tratta, vale a dire, di una previsione legislativa concernente il procedimento di rilascio del titolo, che permette la conclusione dei procedimenti avviati in forza della disciplina abrogata. Altra funzione riveste invece il successivo comma 3, che reca la disciplina applicabile ai permessi di soggiorno per protezione speciale già attribuiti, sulla base della normativa pregressa, nella sussistenza delle condizioni di cui all'art. 19, comma 1.1. Tale comma 3, a sua volta, contiene due distinte ipotesi per le quali il legislatore ha ritenuto opportuno intervenire. Con la prima, si è preso le mosse dall'intervenuta abrogazione dei permessi collegati alle condizioni di cui al terzo periodo dell'art. 19, comma 1,1, per disciplinarne la sorte, prevedendone il rinnovo per una sola volta. Con la seconda, si è aggiunto che "resta ferma la facoltà di conversione del titolo di soggiorno". Tale ultima norma si ricollega alla abrogazione dell'art. 6, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 296 del 1998 da parte dello stesso d.l. n. 20 del 2023, vale a dire della disposizione che ammetteva a conversione, senza alcuna ulteriore distinzione, tutti i permessi per protezione speciale rilasciati ai sensi dell'art. 32, comma 3, del d.lgs. n. 25 del 2008, e quindi aventi base nell'art. 19, comma 1.1, del d.lgs. n. 286 del 1998. Come la portata abrogativa dell'art. 6, comma 1, lett. a), disposta dallo stesso art. 7, comma 1, del d.l n. 20 del 2023, ha travolto integralmente a regime la convertibilità dei permessi per protezione speciale, così la norma di salvezza, quanto ai permessi già rilasciati per qualsivoglia dei presupposti specificati dall'art. 19, comma 1.1, ne ha salvaguardato la facoltà di conversione in ogni caso. Non è certamente irragionevole che il legislatore abbia deciso di non frustare l'affidamento già riposto dallo straniero, titolare di un permesso di soggiorno per protezione speciale, nella evoluzione di esso in un titolo idoneo a rafforzarne il radicamento nella comunità nazionale. E, una volta optato per tale via, sarebbe stato incongruo distinguere, ai fini della conversione, a seconda delle ragioni che avevano determinato il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, giacché per tutte le ipotesi di cui al comma 1.1 dell'art. 19, testo originario, risponde alla medesima finalità di politica legislativa, in presenza di un divieto di espulsione, la scelta di ancorare la presenza dello straniero sul territorio nazionale ad un legittimo titolo di permanenza di carattere ordinario, che superi il regime eccezionale di protezione speciale. Del resto, non si può pensare che il legislatore abbia voluto assicurare un regime più favorevole (la convertibilità ) proprio alla tipologia di permessi per protezione speciale che contestualmente sono abrogati, rispetto alle altre tipologie, che invece persistono nell'ordinamento. L'art. 7, comma 3, ultimo periodo del d.l. n. 20 del 2023 è dunque la disposizione che rileva in causa, posto che parte ricorrente ha sollecitato la conversione del permesso di soggiorno per protezione speciale (ottenuto prima dell'entrata in vigore del dl n. 20 del 2023) in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, sulla base di tale disciplina di favore. Né ha alcun rilievo, ai presenti fini, la varietà di permessi per protezione speciale previsti dall'ordinamento, ovvero la tipologia di procedimento osservato per attribuirli, a condizione che essi siano stati rilasciati in ragione dei motivi indicati dall'art. 19, comma 1.1 citato. L'amministrazione, con il provvedimento impugnato, non ha preso in considerazione l'art. 7, comma 3 citato, incorrendo nel denunciato vizio di violazione di legge, che ha carattere assorbente, e che la Sezione ha già avuto modo di rilevare in termini pressoché analoghi (da ultimo, sentenza n. 793 del 2024), in accordo con l'orientamento invalso nella giurisprudenza dei Tar sul punto controverso. L'atto impugnato va perciò annullato. La relativa novità della questione trattata giustifica la compensazione delle spese. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie ed annulla l'atto impugnato. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Marco Bignami - Presidente, Estensore Mauro Gatti - Consigliere Giuseppe Nicastro - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 619 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Em. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Milano, via (...); per l'annullamento del decreto n. 265/2023 in data 28.12.2023 con il quale il Questore di Milano ha disposto il rigetto del istanza di conversione del permesso di soggiorno per protezione speciale in lavoro subordinato per la dichiarazione di illegittimità del silenzio inadempimento/diniego della Pubblica Amministrazione-Questura di Milano ovvero contro il silenzio/diniego sull''istanza di conversione del permesso di soggiorno da motivi di protezione speciale in motivi di lavoro subordinato richiesta con ricevuta nr. con ricevuta 055981768735; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 settembre 2024 il dott. Marco Bignami Parte ricorrente, di cittadinanza extracomunitaria, impugna il provvedimento con il quale ne è stata rigettata la domanda di conversione del permesso di soggiorno per protezione speciale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Allo stato, l'amministrazione ha meramente "riattivato" il procedimento, sicché la causa va decisa allo stato degli atti. É pacifico in causa che parte ricorrente è titolare di un permesso di soggiorno per protezione speciale rilasciato dal Questore ai sensi dell'art. 32, comma 3, del d.lgs. n. 25 del 2008.Tale ultima disposizione prevede che, per le ipotesi di diniego della domanda di protezione internazionale, si proceda al rilascio del titolo, in presenza dei requisiti indicati dall'art. 19, comma 1.1, del d.lgs. n. 286 del 1998. Siffatta previsione accomunava due ipotesi nelle quali non si poteva procedere ad espulsione dello straniero, vale a dire a) il rischio che quest'ultimo fosse sottoposto a tortura o trattamenti inumani o degradanti, o che l'espulsione comportasse la violazione di obblighi internazionali della Repubblica e b) la lesione del diritto al rispetto della privata e familiare che sarebbe conseguita all'allontanamento dal territorio nazionale. L'art. 7 del d.l. n. 20 del 2023 ha abrogato il terzo periodo dell'art. 19, comma 1.1 appena citato, nella parte in cui stabiliva quest'ultima porzione del divieto di espulsione; in disparte la questione concernente il perdurante obbligo della Repubblica di osservare l'art. 8 della CEDU, la figura del permesso di protezione speciale al fine di assicurare la permanenza dello straniero in Italia è comunque venuta meno, quando sussiste un'esigenza di tutela concernente il solo svolgimento della vita privata. Ciò premesso, va osservato che il comma 2 dell'art. 7 garantisce la ultrattività della previgente disciplina quanto alle domande di rilascio dei permessi di soggiorno per protezione speciale per tali casi, se già presentate alla data di entrata in vigore del decreto legge, che si colloca al 6 maggio 2023. Si tratta, vale a dire, di una previsione legislativa concernente il procedimento di rilascio del titolo, che permette la conclusione dei procedimenti avviati in forza della disciplina abrogata. Altra funzione riveste invece il successivo comma 3, che reca la disciplina applicabile ai permessi di soggiorno per protezione speciale già attribuiti, sulla base della normativa pregressa, nella sussistenza delle condizioni di cui all'art. 19, comma 1.1. Tale comma 3, a sua volta, contiene due distinte ipotesi per le quali il legislatore ha ritenuto opportuno intervenire. Con la prima, si è preso le mosse dall'intervenuta abrogazione dei permessi collegati alle condizioni di cui al terzo periodo dell'art. 19, comma 1,1, per disciplinarne la sorte, prevedendone il rinnovo per una sola volta. Con la seconda, si è aggiunto che "resta ferma la facoltà di conversione del titolo di soggiorno". Tale ultima norma si ricollega alla abrogazione dell'art. 6, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 296 del 1998 da parte dello stesso d.l. n. 20 del 2023, vale a dire della disposizione che ammetteva a conversione, senza alcuna ulteriore distinzione, tutti i permessi per protezione speciale rilasciati ai sensi dell'art. 32, comma 3, del d.lgs. n. 25 del 2008, e quindi aventi base nell'art. 19, comma 1.1, del d.lgs. n. 286 del 1998. Come la portata abrogativa dell'art. 6, comma 1, lett. a), disposta dallo stesso art. 7, comma 1, del d.l n. 20 del 2023, ha travolto integralmente a regime la convertibilità dei permessi per protezione speciale, così la norma di salvezza, quanto ai permessi già rilasciati per qualsivoglia dei presupposti specificati dall'art. 19, comma 1.1, ne ha salvaguardato la facoltà di conversione in ogni caso. Non è certamente irragionevole che il legislatore abbia deciso di non frustare l'affidamento già riposto dallo straniero, titolare di un permesso di soggiorno per protezione speciale, nella evoluzione di esso in un titolo idoneo a rafforzarne il radicamento nella comunità nazionale. E, una volta optato per tale via, sarebbe stato incongruo distinguere, ai fini della conversione, a seconda delle ragioni che avevano determinato il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, giacché per tutte le ipotesi di cui al comma 1.1 dell'art. 19, testo originario, risponde alla medesima finalità di politica legislativa, in presenza di un divieto di espulsione, la scelta di ancorare la presenza dello straniero sul territorio nazionale ad un legittimo titolo di permanenza di carattere ordinario, che superi il regime eccezionale di protezione speciale. Del resto, non si può pensare che il legislatore abbia voluto assicurare un regime più favorevole (la convertibilità ) proprio alla tipologia di permessi per protezione speciale che contestualmente sono abrogati, rispetto alle altre tipologie, che invece persistono nell'ordinamento. L'art. 7, comma 3, ultimo periodo del d.l. n. 20 del 2023 è dunque la disposizione che rileva in causa, posto che parte ricorrente ha sollecitato la conversione del permesso di soggiorno per protezione speciale (ottenuto prima dell'entrata in vigore del dl n. 20 del 2023) in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, sulla base di tale disciplina di favore. Né ha alcun rilievo, ai presenti fini, la varietà di permessi per protezione speciale previsti dall'ordinamento, ovvero la tipologia di procedimento osservato per attribuirli, a condizione che essi siano stati rilasciati in ragione dei motivi indicati dall'art. 19, comma 1.1 citato. L'amministrazione, con il provvedimento impugnato, non ha preso in considerazione l'art. 7, comma 3 citato, incorrendo nel denunciato vizio di violazione di legge, che ha carattere assorbente, e che la Sezione ha già avuto modo di rilevare in termini pressoché analoghi (da ultimo, sentenza n. 793 del 2024), in accordo con l'orientamento invalso nella giurisprudenza dei Tar sul punto controverso. L'atto impugnato va perciò annullato. La relativa novità della questione trattata giustifica la compensazione delle spese. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie ed annulla l'atto impugnato. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità di parte ricorrente. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Marco Bignami - Presidente, Estensore Mauro Gatti - Consigliere Giuseppe Nicastro - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2496 del 2023 proposto dal Sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Gu. Si. e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato e domiciliato ex lege in Milano, via (...); per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia, del decreto del 13/11/2023 con cui è stata respinta l'istanza del ricorrente volta ad ottenere l'assegnazione temporanea ex art. 42-bis D. Lgs. n. 151/2001. Visti il ricorso e i relativi allegati; Vista la memoria dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato; Visti i motivi aggiunti avverso il decreto del 29/1/2024 di conferma del rigetto della domanda di trasferimento formulata da parte ricorrente; Vista la costituzione dell'Avv. Si. in sostituzione dell'Avv. Ga.; Vista la memoria dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato; Vista la memoria di parte ricorrente; Vista l'ordinanza di questo Tribunale n. 243 del 2024 di accoglimento della domanda di sospensione e di fissazione dell'udienza pubblica; Vista l'istanza, successivamente rinunziata, di esecuzione dell'ordinanza cautelare; Vista la documentazione depositata dall'avvocatura Distrettuale dello Stato; Viste le note di udienza di parte ricorrente; Visti tutti gli atti della causa; Data per letta nella Udienza pubblica del 25 settembre 2024 la relazione del dott. Gabriele Nunziata; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1.Con il ricorso in epigrafe il ricorrente espone di essere Vigile del fuoco assegnato al Comando Provinciale di Milano e di aver in data 17/10/2023 presentato richiesta di assegnazione temporanea presso la sede di -OMISSIS-ai sensi dell'art. 42-bis D. Lgs. n. 151/2001, essendo coniugato con la sig.ra-OMISSIS- dipendente del Ministero per i beni e le attività culturali a -OMISSIS-e padre della minore -OMISSIS-nata il -OMISSIS-; sebbene fossero state presentate osservazioni al preavviso di diniego, è stato adottato l'impugnato provvedimento di diniego in quanto nella provincia di -OMISSIS- vi sono numerose aziende a rischio di incidente rilevante e sono presenti tratti autostradali ad alto tasso incidentale e l'aeroporto internazionale di (omissis), nonché un elevato rischio di tipo idrogeologico. Avverso il provvedimento impugnato è insorta parte ricorrente chiedendone l'annullamento siccome illegittimo rassegnando la seguente censura: 1.1 VIOLAZIONE DELL'ART.42-BIS D. LGS. N.151/2001 E DELL'ART.3 DELLA LEGGE N.241/1990. 1.2 Con motivi aggiunti è stato poi impugnato il decreto del 29/1/2024 di conferma del rigetto della domanda di trasferimento. 2. L'Avvocatura Distrettuale dello Stato si è costituita per dedurre circa le esigue unità operative presenti presso il Comando di -OMISSIS-, la molteplicità degli interventi di soccorso ed i rischi antropici del territorio in questione, replicando alle censure articolate in sede ricorsuale. 3. Con ordinanza n. 243 del 13/3/2024 il Tribunale ha accolto la domanda di sospensione con la seguente motivazione: "Considerato, anche avuto riguardo alla memoria depositata e agli elementi in atti con cui l'Amministrazione ha motivato i provvedimenti oggetto di impugnazione anche mediante motivi aggiunti, che il Giudice di appello (es. ord.ze n. 6077 del 2021 e n. 7432 del 2020) - proprio in sede di accoglimento di appello avverso ordinanze rese in sede cautelare da questa Sezione (cfr. n. 899 del 2021 e n. 1271 del 2020) - ha prospettato una diversa interpretazione della normativa di riferimento in tema di diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, nonché di scopertura dell'organico; Ritenuto, pertanto, che l'istanza cautelare meriti accoglimento con fissazione dell'udienza di merito ove potranno essere più adeguatamente esaminate le ulteriori questioni dedotte dall'Amministrazione, mentre le spese della presente fase processuale possono essere compensate, P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta Accoglie l'istanza cautelare proposta da parte ricorrente e, per l'effetto, sospende l'efficacia dei provvedimenti impugnati anche a mezzo di motivi aggiunti. Fissa per la trattazione del merito l'udienza pubblica del 25 settembre 2024. Spese della fase cautelare compensate." 3.1 In previsione dell'Udienza pubblica è stato rappresentato dalle parti che con decreto dell'11.6.2024 il ricorrente è stato formalmente assegnato presso il Comando di-OMISSIS-. Da ultimo parte ricorrente ha evidenziato che dal 17.9.2024 è stata trasferita temporaneamente a-OMISSIS-. 4. All'udienza pubblica del 25 settembre 2024 il Collegio si è riservata la decisione allo stato degli atti. 4.1 Il presente giudizio ha ad oggetto il diniego dell'istanza di trasferimento temporaneo ex art. 42-bis del D. Lgs. n. 151/2001, avuto riguardo alle esigenze istituzionali dell'Amministrazione ed alle possibili conseguenze dell'eventuale avvicendamento di parte ricorrente. Così sinteticamente riassunte le questioni oggetto di contenzioso, appare opportuno richiamare in questa sede le coordinate ermeneutiche elaborate dalla giurisprudenza in materia. 4.2 In via preliminare va evidenziato che sul citato art. 42-bis la giurisprudenza amministrativa - condivisa dalla scrivente Sezione - appare orientata nel senso che: "La disposizione in esame, allora, in una all'interpretazione accolta dal terzo degli orientamenti richiamati, va intesa in un'accezione che consenta alle Amministrazioni di tenere conto di esigenze organizzative anche non direttamente o esclusivamente connesse con le competenze professionali dell'istante e con l'insostituibilità delle mansioni da questi svolte in sede, ma neppure banalmente riferite alla mera scopertura di organico che, ove si mantenga entro un limite numerico tutto sommato contenuto, appaia fronteggiabile con una migliore riorganizzazione del servizio e, dunque, con gli ordinari strumenti giuridici previsti dall'ordinamento, senza che venga perciò negata al lavoratore-genitore la tutela approntata dall'ordinamento" (Cons. Stato, IV, n. 8180/2020; questa Sezione n. 377/2020, che richiama a sua volta Cons. Stato, IV, n. 961/2020). Anzi la Corte Costituzionale (4 giugno 2024, n. 99) ha da ultimo dichiarato l'illegittimità della norma in questione ove prevede che il trasferimento temporaneo del dipendente pubblico, con figli minori fino a tre anni di età, possa essere disposto "ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l'altro genitore esercita la propria attività lavorativa", anziché "ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale è fissata la residenza della famiglia o nella quale l'altro genitore eserciti la propria attività lavorativa": in altri termini è stato riconosciuto il diritto dei dipendenti pubblici, con figli fino a tre anni di età, a richiedere il trasferimento temporaneo nella provincia o regione nella quale è fissata la residenza della famiglia o nella quale l'altro genitore eserciti la propria attività lavorativa, ciò perché l'ampliamento dell'ambito di applicazione dell'istituto dell'assegnazione temporanea, oltre a risultare coerente con la finalità di protezione della famiglia e di sostegno all'infanzia, risponde all'esigenza di preservare la più ampia autonomia dei genitori nelle scelte concernenti la definizione dell'indirizzo familiare. La Sezione ancora di recente (ex multis, 2.3.2023, n. 532; 16.2.2023, n. 410; 30.1.2023, n. 243; 20.1.2023, n. 192; 4.2.2022, nn. 269 e 268; 26.1.2022, n. 166; 17.12.2021, n. 2824; 30.6.2021, n. 1635; 15.4.2021, n. 937; 24.3.2021, n. 765) ha ritenuto che, avuto riguardo alla novità legislativa rappresentata dall'art. 45, comma 31-bis del D. Lgs. n. 95/2017, l'applicazione di tale norma, e quindi anche l'esatta individuazione delle "motivate esigenze organiche o di servizio", presuppongono in ogni caso un'attenta valutazione della fattispecie concreta, avendo però sempre riguardo all'interesse del minore all'unità ed alla vicinanza dell'intero nucleo familiare. Non va, infatti, trascurato che le esigenze del minore trovano un'esplicita tutela non solo a livello costituzionale (si veda, ad esempio, l'articolo 31 della Costituzione), ma anche in fonti di rango sovranazionale, quali la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (c.d. Carta di Nizza), precisamente all'art. 24, e la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo del 20.11.1989 (ratificata con legge 27.5.1991, n. 176) all'art. 3. 4.2.1 In diversa prospettiva la Sezione (3.4.2023, n. 813) ha anche richiamato la distinta giurisprudenza che - in applicazione dell'art. 45, comma 31 bis, del D. Lgs. n. 95 del 2017, inserito dall'art. 40, comma 1, lett. q, del D. Lgs. n. 172 del 2019 che ha modificato per le Forze armate e di Polizia le condizioni di applicabilità delle disposizioni di cui all'art. 42-bis, comma 1, del D. Lgs. n. 151 del 2001, prevedendo che l'Amministrazione di appartenenza possa negare il beneficio "... per motivate esigenze organiche o di servizio..." e superando quindi il precedente regime che limitava la possibilità di diniego ai soli casi di esigenze eccezionali (Cons. Stato, II, 21.2.2023, n. 1756; 7.11.2022, n. 9708) - ha giustificato il diniego di assegnazione temporanea del dipendente laddove siano state individuate "come ostative le preminenti esigenze della sede di titolarità la quale, pur non presentando una scopertura elevata o patologica, presenta comunque un significativo vuoto di organico ed è ubicata in un contesto connotato da peculiari esigenze operative" (Cons. Stato, II, 26.1.2023, n. 917; 3.1.2023, n. 61; 7.11.2022, n. 9708; 11.5.2022, n. 3719; 7.2.2022, n. 811). 4.3 La giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, III, 17.3.2021, n. 2304) ha esemplificativamente elencato alcuni casi, nei quali ravvisare quella eccezionalità che consente all'Amministrazione, gravata dal relativo onere probatorio, di negare legittimamente il beneficio: "a) quando la sede di assegnazione sia chiamata a fronteggiare una significativa e patologica scopertura di organico, che, in mancanza di un dato normativo di supporto, il Collegio individua, equitativamente, nella percentuale pari o superiore al 40% della dotazione organica dell'ufficio di assegnazione, che potrà essere presa in considerazione, ai fini del diniego, sia riferendola a tutte le unità di personale assegnate a quella sede sia riferendola al solo personale appartenente al medesimo ruolo del soggetto istante; tale criterio corrisponde, ad avviso del Collegio, a quei "casi ed esigenze eccezionali", perché impedisce la fruizione del beneficio laddove si palesi la necessità di evitare che la sede di appartenenza venga sguarnita oltremodo, al di là di quella che può essere una contingente e fronteggiabile carenza di personale, oppure si prospetti la necessità di evitare che la qualifica di appartenenza non sia oltremodo depauperata di unità, il che, pur a fronte della presenza in servizio di altro personale con diversa qualifica, non consentirebbe un equilibrato funzionamento dell'unità operativa di appartenenza; b) quando, pur non essendovi una scopertura come quella descritta in seno alla sede di appartenenza dell'istante, nondimeno, nell'ambito territoriale del comando direttamente superiore a quello di appartenenza (ad es., l'ambito provinciale, ove la singola sede faccia gerarchicamente riferimento ad un comando provinciale) si ravvisino, all'interno della maggioranza delle altre sedi di servizio, scoperture di organico valutate secondo i parametri indicati alla precedente lettera a); invero, la descritta situazione di sottorganico generalizzato, ancorché non direttamente riferibile alla sede di servizio dell'istante, renderebbe, nondimeno, eccessivamente difficoltosa all'amministrazione la riorganizzazione funzionale dell'attività istituzionale, ove fosse necessario attingere alla sede di assegnazione del lavoratore per colmare i vuoti di organico che persistono nelle sedi limitrofe della stessa area di riferimento; c) quando la sede di assegnazione, pur non presentando una scopertura significativa e patologica, qual è quella innanzi indicata, presenta comunque un vuoto di organico, ed è ubicata in un contesto connotato da peculiari esigenze operative: si pensi all'ipotesi in cui l'unità impiegata nella sede di appartenenza si trovi a fronteggiare emergenze di tipo terroristico (come nel caso scrutinato da Cons. Stato, Sez. IV, 28 luglio 2017 n. 3198), oppure pervasivi fenomeni di criminalità organizzata di stampo mafioso, o sia di supporto a reparti impiegati in missioni all'estero, sempre che non vi siano nello stesso comprensorio del comando gerarchicamente superiore altre sedi dalle quali sia possibile attingere, temporaneamente, un agente in sostituzione; d) quando, effettivamente, l'istante svolge un ruolo di primaria importanza nell'ambito della sede di appartenenza e non sia sostituibile con altro personale presente in essa o in altra sede da cui sia possibile il trasferimento; in questo caso, la ragione ostativa andrà ravvisata non nel possesso in sé di una particolare qualifica da parte dell'interessato, ma nel fatto che quella qualifica sia necessaria nell'ambito di specifiche operazioni in essere o nell'ambito di operazioni che è ragionevole prevedere dovranno essere espletate (a cagione del contesto ambientale che implica lo svolgimento di quel servizio o l'impiego di militari o agenti dotati di quella qualifica; di un criterio storico-statistico, quando quel genere di attività è stata già espletata in passato nell'ambito di quella sede di servizio e l'amministrazione attesti possa verificarsi in futuro, perché non collegata con un'esigenza del tutto irripetibile); e) quando il ricorrente, pur non in possesso di una peculiare qualifica, è comunque impiegato in un programma o in una missione speciale ad altissima valenza operativa, dalla quale l'amministrazione ritenga non possa essere proficuamente distolto, che deve essere compiutamente indicata nel provvedimento (salvi, ovviamente, i profili di riservatezza che dovessero emergere per la tutela della suddetta operazione)". 4.4 Orbene, nella fattispecie per cui è controversia, dall'esame degli atti risulta che il diniego di assegnazione temporanea ai sensi dell'art. 42 bis D.Lgs. 151/2001 è stato motivato con riferimento alla specificità delle funzioni del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, nonché alle circostanze che nella provincia di -OMISSIS- vi sono numerose aziende a rischio di incidente rilevante e sono presenti tratti autostradali ad alto tasso incidentale e l'aeroporto internazionale di (omissis), nonché un elevato rischio di tipo idrogeologico. In realtà - senza ovviamente porre in discussione la professionalità di parte ricorrente - non pare che l'attività dalla stessa attualmente svolta presso la sede di -OMISSIS- non potrebbe essere assicurata da un altro operatore di pari ruolo, atteso che l'istante non svolge alcuna attività specializzata non essendo impiegato in una missione speciale né adibito a mansioni con altissima valenza operativa. 5. In conclusione, anche considerato che il citato art. 42 bis richiede, ai fini dell'ammissione al beneficio del lavoratore, che vi sia un "posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva" e non che il posto riguardi le stesse mansioni o un identico incarico rispetto a quello assegnato al dipendente nella sede di provenienza (TAR Trentino - Alto Adige, Trento, 29.1.2019, n. 27; cfr. Cons. Stato, III, 3.8.2015, n. 3805; 8.4.2014, n. 1677), nell'atto ivi gravato l'Amministrazione non risulta avere adeguatamente motivato l'esistenza delle esigenze di servizio ostative all'assegnazione temporanea dell'esponente. In particolare non è stata provata la natura degli interventi effettuati quale giustificherebbe il rischio antropico, né sono stati forniti elementi oggettivi circa la reale criticità organizzativa del Comando dei Vigili del Fuoco di -OMISSIS- che è solo una delle 12 sedi in Regione Lombardia del Corpo Nazionale. Ne consegue l'accoglimento del ricorso, con annullamento del provvedimento impugnato e salvo il nuovo esercizio del potere, nel rispetto delle statuizioni della presente pronuncia. Per le considerazioni sopraindicate l'accoglimento va esteso anche ai motivi aggiunti come proposti avverso il decreto del 29/1/2024 di conferma del rigetto della domanda di trasferimento. 6. Le spese di lite possono essere interamente compensate, attesi la parziale novità delle questioni affrontate ed i non sempre univoci orientamenti giurisprudenziali in materia. Resta a carico dell'Amministrazione soccombente l'onere del contributo unificato, ai sensi di legge (art. 13 comma 6-bis1 del DPR n. 115/2002). P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto anche a mezzo di motivi aggiunti, lo accoglie nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione e, per l'effetto, annulla il provvedimento impugnato. Spese compensate, salvo l'onere del contributo unificato ai sensi di legge (DPR n. 115/2002). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente. Così deciso in Milano nella Camera di consiglio del giorno 25 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Gabriele Nunziata - Presidente, Estensore Antonio De Vita - Consigliere Silvia Torraca - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 735 del 2024, proposto da Am. It. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Zo. e Ga. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Azienda Socio Sanitaria Territoriale (ASST) Santi Paolo e Carlo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Do. Gi. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio fisico presso l'Avvocatura aziendale in Milano, via (...); Azienda Socio Sanitaria Territoriale Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Azienda Socio Sanitaria Territoriale Fatebenefratelli Sacco, Azienda Socio Sanitaria Territoriale Ovest Milanese, Azienda Socio Sanitaria Territoriale Rhodense, Azienda Socio Sanitaria Territoriale di Lodi, Azienda Socio Sanitaria Territoriale Nord Milano, Fondazione Irccs Cà Gr. Ospedale Maggiore Policlinico, Azienda Socio Sanitaria Territoriale - Centro Specialistico Ortopedico Traumatologico Gaetano Pini, Azienda Socio Sanitaria Territoriale Melegnano e della Martesana, Fondazione Irccs Is. Na. dei Tu., Fondazione Irccs Istituto Ne. Ca. Be., Agenzia Regionale Emergenza Urgenza - Areu e Azienda Socio Sanitaria Territoriale della Brianza, tutte non costituite in giudizio; nei confronti Al. It. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Si. Ca., Ja. Na., Ch. Nu. e Ca. Tr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - della Delibera D.G. n. 278 del 19.2.2024, pubblicata sulla piattaforma Sintel in data 23.2.2024 e in pari data comunicata via pec ad Am. It. S.r.l., con la quale l'Azienda Socio Sanitaria Territoriale Santi Paolo e Carlo ha disposto l'aggiudicazione del Lotto n. 1 (CIG 9516926FC4) della "procedura aperta multilotto svolta in forma aggregata per l'affidamento della fornitura quinquennale di lenti intraoculari e dispositivi medici correlati (suddivisa in n. 19 lotti) per un periodo di 60 messi con clausola di rinnovo per 12 mesi e proroga per 6 mesi" a favore di Al. It. S.p.A.; - della proposta del Direttore della S.C. Gestione Acquisti n. 224 del 2024, nella parte in cui è stata proposta l'aggiudicazione del Lotto n. 1 della "procedura aperta multilotto svolta in forma aggregata per l'affidamento della fornitura quinquennale di lenti intraoculari e dispositivi medici correlati (suddivisa in n. 19 lotti) per un periodo di 60 messi con clausola di rinnovo per 12 mesi e proroga per 6 mesi" a favore di Al. It. S.p.A.; - di tutti i verbali della procedura concorsuale de qua, ivi inclusi i relativi allegati, e in particolare di quelli: (i) delle sedute riservate del 18.9.2023 e del 6.11.2023, nel corso delle quali la Commissione giudicatrice ha esaminato le offerte tecniche di AM. It. S.p.A. e di Al. It. S.p.A. per il Lotto in contestazione; (ii) della seduta pubblica del 20.12.2023, nel corso della quale il Seggio di gara ha dato lettura dei punteggi assegnati dai Commissari di gara ed ha aperto le offerte economiche dei concorrenti, redigendo al termine delle operazioni concorsuali la graduatoria finale del Lotto n. 1; - di ogni altro atto e provvedimento presupposto, conseguente o ad essi connesso, anche non cognito e condanna della Stazione appaltante al risarcimento del danno patito dalla società ricorrente; per quanto riguarda il ricorso incidentale presentato da Al. It. S.p.A. il 26/4/2024: della delibera n. 278 del 19 febbraio 2024 e della graduatoria allegata, nonché per quanto occorrer possa della proposta di aggiudicazione n. 226/2024, adottate dalla Stazione Appaltante, nella parte in cui ASST non ha escluso AM. It. dalla gara per l'affidamento del lotto n. 1 (CIG 9516926FC4), rientrante nella più ampia "procedura aperta multilotto svolta in forma aggregata per l'affidamento della fornitura quinquennale di lenti intraoculari e dispositivi medici correlati (suddivisa in n. 19 lotti) per un periodo di 60 messi con clausola di rinnovo per 12 mesi e proroga per 6 mesi", ma l'ha collocata al secondo posto in graduatoria, così implicitamente accogliendo la dichiarazione di equivalenza funzionale del prodotto dalla stessa offerto; di tutti i verbali della procedura di gara de qua, ivi inclusi i relativi allegati, nella parte cui non hanno escluso AM. It. dalla partecipazione alla gara per il lotto n. 1, e in particolare: (i) il verbale della prima seduta pubblica del seggio di gara del 21 febbraio 2023 nel quale si è provveduto all'ammissione con riserva di tutte le imprese partecipanti; (ii) i verbali delle sedute riservate del 18 settembre 2023 e del 6 novembre 2023, nel corso delle quali la commissione giudicatrice ha esaminato le offerte tecniche per il lotto in contestazione, nonché le tabelle riepilogative dei punteggi assegnati ad essi allegate; (iii) il verbale della seduta riservata del seggio di gara del 13 dicembre 2023, nella quale è stata sciolta la riserva e in cui tutte le società partecipanti sono state dichiarate ammesse alla successiva fase di apertura della busta economica; (iv) il verbale della seduta pubblica del 20 dicembre 2023, nel corso della quale il seggio di gara ha dato lettura dei punteggi assegnati dai commissari di gara e ha aperto le offerte economiche dei concorrenti, redigendo al termine delle operazioni concorsuali la graduatoria finale del lotto n. 1, ad esso allegata; di ogni altro atto e provvedimento presupposto, conseguente o ad essi connesso, anche non conosciuto. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'ASST - Azienda Socio Sanitaria Territoriale Santi Paolo e Carlo e di Al. It. S.p.A.; Visto il ricorso incidentale; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 settembre 2024 il dott. Giovanni Zucchini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO L'Azienda Socio Sanitaria Territoriale (ASST) Santi Paolo e Carlo (di seguito anche solo "Azienda" oppure "ASST"), indiceva una gara in forma aggregata con procedura aperta per l'affidamento della fornitura di lenti intraoculari e dispositivi medici correlati. La gara era disciplinata dall'allora vigente D.Lgs. n. 50 del 2016 (codice dei contratti pubblici o anche solo "codice") ed era divisa in diversi lotti. Il solo lotto che interessa la presente controversia è quello n. 1 (uno), avente ad oggetto la fornitura di lente intraoculare da sacco (IOL) asferica pieghevole in materiale acrilico idrofobo a basso contenuto di acqua con filtro UV e filtro per luce blu. Il criterio di aggiudicazione era quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa, con l'assegnazione di un massimo di 70 punti per l'offerta tecnica e di 30 punti per quella economica. Al termine della procedura per il lotto n. 1 si classificava al primo posto la società Al. It. Spa (di seguito anche solo "Al.") con complessivi 96,4 punti, mentre AM. It. Srl (di seguito anche solo "Am.") si collocava al secondo posto con 78,4 punti. Al. otteneva quindi l'aggiudicazione attraverso la deliberazione del Direttore Generale dell'ASST n. 278 del 2024. Am. proponeva di conseguenza il ricorso principale in epigrafe, con domanda di sospensiva. Si costituivano in giudizio l'ASST e Al., concludendo entrambe per il rigetto del gravame. Al. notificava altresì ricorso incidentale avente carattere escludente nei confronti della ricorrente principale. All'udienza cautelare del 7.5.2024 l'istanza di sospensiva era rinunciata. Alla successiva pubblica udienza del 17.9.2024 la causa era discussa e spedita in decisione. DIRITTO 1.1 Nel primo motivo di ricorso Am. lamenta l'illegittimità dell'aggiudicazione con particolare riguardo al criterio premiale n. 2, relativo alle caratteristiche funzionali della lente, quali ad esempio la facilità di utilizzo, la maneggevolezza e la resistenza meccanica (cfr. per tale criterio il doc. 1 della ricorrente, vale a dire il disciplinare di gara o anche "DUP", pag. 43/78). Secondo l'esponente, ai fini dell'attribuzione del punteggio relativo a tale parametro - pari a 40 punti massimi su 70 complessivi - la commissione di gara avrebbe necessariamente dovuto effettuare prove pratiche sui pazienti: tali prove, sempre secondo parte attrice, costituiscono l'unica modalità per apprezzare le caratteristiche dei prodotti offerti e inoltre le stesse sarebbero normalmente effettuate da altri enti sanitari o ospedalieri. Am. evidenzia che tali prove non sono state effettuate nel caso di specie e che, inoltre, i verbali della commissione sul punto sono lacunosi ed incompleti. La censura, per quanto suggestiva, non merita condivisione. Innanzi tutto la stessa si pone in contrasto con quanto risulta dal disciplinare/DUP, che all'art. 1.2, sulla campionatura e sulle prove pratiche, prevede la facoltà ma non l'obbligo per la commissione di disporre prove tecniche in presenza della commissione stessa o di uno o più componenti all'uopo delegati (cfr. ancora il doc. 1 della ricorrente, pag. 13/78). La legge di gara non impone quindi alcun tipo di prova diretta sui pazienti, limitandosi ad assegnare alla commissione la mera facoltà ("potrà disporre", si legge nel DUP) di effettuare prove tecniche sui campioni ma non prove per così dire dal vivo sui pazienti dell'azienda sanitaria. Ovviamente l'esercizio della suddetta facoltà costituisce manifestazione dell'ampia discrezionalità di cui gode la commissione, censurabile davanti al giudice amministrativo soltanto in caso di evidenti errori o di palesi illogicità . Inoltre e contrariamente a quanto sostenuto del gravame, non risulta che l'effettuazione di prove delle lenti sui pazienti costituisca una prassi costante delle Amministrazioni; al contrario, a fronte dell'aumento degli operatori del settore delle lenti (si veda a tale proposito il doc. 7 della ricorrente, dal quale risulta la partecipazione alla presente gara di numerose imprese), l'esecuzione di prove "in vivo" richiederebbe un elevato numero di pazienti, che sarebbero fra l'altro esposti ai rischi legati all'impianto di lenti spesso mai testate né conosciute dalle stazioni appaltanti. A tale proposito la controinteressata ha depositato una serie di bandi di gare svoltesi in quattro Regioni diverse dalla Lombardia, nelle quali non è previsto alcun obbligo di svolgere prove "in vivo" (cfr. i documenti di Al. dal n. 7 al n. 10; si noti che si tratta di gare recenti, tutte indette dopo il 2020). La ricorrente produce invece, a sostegno della sua tesi, documentazione concernente due altre differenti gare svoltesi presso altre Amministrazioni (cfr. i suoi documenti dal n. 26 al n. 29); tuttavia non viene dall'esponente in alcun modo provato che l'esame "in vivo" costituisce la sola modalità di valutazione delle caratteristiche tecniche della lente, anzi tale asserzione pare smentita dalla ben più copiosa documentazione depositata da Al.. Quanto poi alla verbalizzazione delle operazioni della commissione, preme ricordare il pacifico indirizzo giurisprudenziale secondo cui i verbali di gara - costituenti atti pubblici facenti fede ai sensi degli articoli 2699 e 2700 del codice civile - non richiedono una analitica specificazione delle attività svolte, ben potendo essere redatti anche in maniera sintetica, purché sia dato atto di quanto svoltosi davanti alla commissione giudicatrice (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 13.5.2014, n. 2444; TAR Lombardia, Milano, sez. I, 7.5.2014, n. 1167; TAR Lazio, Latina, 8.2.2011, n. 105; TAR Abruzzo, L'Aquila, 2.1.2017, n. 2 e TAR Lombardia, Milano, Sezione IV, 22.6.2017, n. 1398 e 3.12.2019, n. 2576). Nel caso di specie la commissione ha dato atto, nel verbale del 18.9.2023, di avere nella stessa giornata esaminato la campionatura presentata e la documentazione pervenuta. Nella successiva seduta del 6.11.2023 la commissione ha effettuato l'esame dei progetti presentati dai concorrenti sulla base della documentazione degli stessi prodotta (cfr. per la copia dei citati verbali il doc. 5 della ricorrente ed il doc. 3 della resistente). La commissione ha certamente eseguito prove sui prodotti offerti, tanto è vero che sono stati convocati i tecnici di tutte le società che avevano presentato offerta per il lotto n. 1, ai fini di una prova "demo" senza impianto sul paziente (cfr. il doc. 14 della ricorrente ed il doc. 11 di Al.). Ancora, risulta dalla lettura dei suindicati verbali che, in sede di definitiva valutazione della lente della ricorrente per l'attribuzione del punteggio per il suindicato criterio n. 2, è stato riscontrato dai commissari che la lente di Am. è fornita di un sistema pre-caricato, tuttavia sussistono difficoltà nello staccare le anse della IOL che spesso si sovrappongono e si incollano fra loro, con il conseguente rischio di verticalizzazione della IOL e precipitazione della stessa nella camera vitrea (cfr. ancora il doc. 5 della ricorrente, pag. 9 di 31). Tale carattere non ottimale della lente ha indotto la commissione all'attribuzione alla società istante del punteggio di 24 su 40 punti massimi previsti dalla legge di gara (cfr. il doc. 5 della ricorrente ed il doc. 3 della resistente, pag. 9 di 31). In ordine poi all'attività di assegnazione del punteggio tecnico da parte della commissione, preme richiamare il pacifico orientamento della giurisprudenza amministrativa, secondo cui l'assegnazione costituisce manifestazione dell'ampia discrezionalità di cui godono le stazioni appaltanti, sicché il giudice amministrativo può censurare soltanto evidenti errori, non potendo invece la parte ricorrente pretendere di sostituire la propria personale valutazione con quella dell'Amministrazione (cfr., fra le più recenti, TAR Puglia, Bari, Sezione I, sentenza n. 918 dell'1.8.2024). Ciò premesso, considerato nuovamente che non vi era alcun obbligo di effettuare prove "in vivo" e che la commissione ha offerto una congrua motivazione dell'attribuzione del punteggio di 24/40 in relazione al criterio valutativo n. 2, l'asserzione della ricorrente sull'erroneità del punteggio assegnatole e sulla necessità delle prove "in vivo" appare meramente apodittica, a nulla rilevando i punteggi ottenuti dalla stessa Am. in altre gare indette da differenti stazioni appaltanti. Il primo mezzo del ricorso principale deve quindi rigettarsi. 1.2 Nel secondo motivo Am. contesta l'assegnazione del punteggio per il parametro valutativo n. 1, vale a dire quello sulla qualità del prodotto (ad esempio, materiali, caratteristiche tecniche e innovazioni tecnologiche, cfr. ancora il doc. 1 della ricorrente, pag. 43/78). Per tale criterio Am. ha ottenuto 8 punti su 10, corrispondenti al giudizio di "buono", mentre Al. ha ottenuto i 10 punti massimi, pari al giudizio di "ottimo" (cfr. ancora il doc. 5 della ricorrente, pag. 9 ed anche il doc. 3 della resistente). La commissione ha ritenuto che il prodotto di Al. rispetta tutti i requisiti richiesti dal bando, mentre la lente offerta da Am. difetto di un requisito, in particolare manca il filtraggio della luce blu, per cui la lente consente il passaggio di tale luce (si veda il citato doc. 5, pag. 9). In effetti, fra i requisiti tecnici specifici previsti dalla lex specialis per il lotto n. 1, vi è quello della presenza di un "Filtro UV di almeno 375 nm e filtro per luce BLU fino a 550 nm" (cfr. il doc. 2 della ricorrente, pag. 1 di 4). Am. ammette che la propria lente è priva del filtro per luce blu (si veda pag. 16 del ricorso principale), tanto è vero che, ai fini dell'ammissione alla gara, la società ha presentato all'ASST una dichiarazione di equivalenza ai sensi dell'art. 68 del D.Lgs. n. 50 del 2016, dichiarazione accettata dall'Amministrazione (cfr. il doc. 16 della ricorrente). Ciò premesso, la ricorrente rivendica però la maggiore bontà tecnica del suo prodotto rispetto a quello di Al., lamentando quindi l'illegittimità della valutazione della commissione, che non avrebbe tenuto conto delle superiori caratteristiche della sua lente, con particolare riguardo al filtro per la luce viola (cfr. in particolare la pag. 17 del ricorso). La controinteressata contesta decisamente tali argomenti difensivi, ritenendo addirittura che Am. doveva essere esclusa dalla procedura per mancanza di un requisito essenziale di partecipazione (appunto, il filtraggio della luce blu), a nulla rilevando la dichiarazione di equivalenza; sul punto Al. ha pertanto ritualmente proposto un'impugnazione incidentale. Sulla questione il Collegio, dopo avere richiamato la giurisprudenza sul carattere ampiamente discrezionale dell'attività valutativa della commissione indicata al precedente punto 1.1 della narrativa, conclude nel senso della non illogicità del giudizio espresso con riguardo al citato criterio n. 1. Infatti, appare evidente che la lente offerta dall'esponente sia priva di un requisito previsto espressamente dalla legge di gara, per cui la commissione, pur reputando esistente l'equivalenza, ha per così dire "premiato" il prodotto di Al. che possiede il requisito del filtraggio della luce blu. Qualora poi Am. avesse ritenuto tale requisito illogico o erroneo rispetto ad altre eventuali caratteristiche tecniche della sua lente (come, appunto, il filtraggio della luce viola), avrebbe dovuto impugnare la legge di gara sul punto, ma ciò non è avvenuto. L'esponente sostiene che la propria lente avrebbe meritato un giudizio di "ottimo", pari a 10 punti, mentre il prodotto di Al., per le sue reali caratteristiche, doveva ottenere appena 6 punti, pari al giudizio di "sufficiente". Tuttavia, considerato il rigetto del primo motivo e quindi la corretta attribuzione ad Am. di 24 punti per il parametro n. 2, anche a voler ammettere, per assurdo, l'attribuzione alla ricorrente di due punti in più (da 8 a 10) per il parametro n. 1 e togliendo ad Al. per lo stesso parametro quattro punti (da 10 a 6), il risultato finale della graduatoria non muterebbe, posto che le due società sono separate da diciotto punti (96,4 contro 78,4, cfr. il doc. 7 della ricorrente). Quanto sopra senza contare che Am. tende sempre a sostituire la propria personale valutazione tecnica a quella espressa discrezionalmente dalla commissione di gara. Ne conseguono il rigetto del secondo motivo e quindi dell'intero gravame principale. 2. Tenuto conto della complessiva infondatezza del ricorso principale per le ragioni sopra esposte, non sussiste più alcun interesse in capo ad Al. allo scrutinio del proprio ricorso incidentale, che deve quindi essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, ai sensi dell'art. 35 comma 1 lettera c) del c.p.a. 3. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo a favore delle sole parti costituite, mentre non occorre provvedere per il resto. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, - respinge il ricorso principale; - dichiara improcedibile il ricorso incidentale. Condanna la società AM. It. Srl al pagamento delle spese di lite, che così liquida: - euro 3.000,00 (tremila/00) oltre accessori di legge (IVA e CPA se dovute e spese generali nella misura del 15%) a favore dell'ASST Santi Paolo e Carlo; - euro 3.000,00 (tremila/00) oltre accessori di legge (IVA, CPA e spese generali nella misura del 15%) a favore di Al. It. Spa. Nulla per il resto. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Maria Ada Russo - Presidente Giovanni Zucchini - Consigliere, Estensore Stefano Celeste Cozzi - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 827 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Ce., Fi. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fi. Pa. in Milano, via (...); contro Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Milano, via (...); U.T.G. - Prefettura di Milano, non costituito in giudizio; per l'annullamento del decreto di respingimento n. "Prot. Interno del 30/01/2023 - Numero -OMISSIS- Classifica: PA-1000ARMI/PDA. Proc", emesso dal Prefetto della Provincia di Milano in data 30 gennaio 2023 e notificato il successivo 7 marzo 2023, avente ad oggetto l'istanza di rinnovo di porto di pistola per difesa personale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 giugno 2024 il dott. Alberto Di Mario e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il ricorrente ha impugnato il decreto di respingimento n. "Prot. Interno del 30/01/2023 - Numero -OMISSIS- - Classifica: PA-1000ARMI/PDA. Proc", emesso dal Prefetto della Provincia di Milano in data 30 gennaio 2023 e notificato il successivo 7 marzo 2023, avente ad oggetto l'istanza di rinnovo di porto di pistola per difesa personale, motivata con riferimento al fatto che il ricorrente non avrebbe dato dimostrazione di un "effettivo bisogno" di portare l'arma. Contro il suddetto atto ha sollevato i seguenti motivi di ricorso. I. Violazione e falsa applicazione dell'art. 42 TULPS; eccesso di potere per travisamento dei fatti, illogicità e contraddittorietà . Secondo il ricorrente l'attualità del suo bisogno di portare l'arma per la difesa personale risiederebbe non nella mera appartenenza dello stesso alla categoria professionale di avvocato, bensì alle specifiche area di specializzazione (diritto del lavoro e sindacale) e modalità di esecuzione della professione legale da parte dello stesso che, come dimostrato (docc. 5, 6, 15, 17), sono idonee ad esporre il ricorrente a vicende delittuose. Inoltre sussiste prova delle attenzioni rivolte all'avv. -OMISSIS- da parte del movimento -OMISSIS-, cui hanno fatto seguito ulteriori e gravissimi episodi d'intrusione nel domicilio del ricorrente (docc. 5, 6, 15, 17), che non possono che essere direttamente ricondotti all'attività lavorativa da lui svolta, come riconosciuto dalla stessa Prefettura convenuta. A ciò si aggiunge che le diverse denunce-querele proposte non hanno mai condotto all'individuazione da parte delle Forze dell'Ordine e degli Inquirenti dei soggetti che si celavano dietro a tali pericolose condotte. In altri termini, la Prefettura di Milano e le Forze dell'Ordine non hanno mai dato dimostrazione (e ancora oggi non la danno) circa l'avvenuta neutralizzazione delle minacce e delle vicende delittuose che incombono sulla persona del ricorrente. La difesa dello Stato ha chiesto la reiezione del ricorso. All'udienza del 5 giugno 2024 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione. 2. Il ricorso è fondato. L'art. 42 del R.D. del 18 giugno 1931 n. 773 espressamente prescrive che: "Il Questore ha facoltà di dare licenza per porto d'armi lunghe da fuoco e il Prefetto ha facoltà di concedere, in caso di dimostrato bisogno, licenza di portare rivoltelle o pistole di qualunque misura o bastoni animati la cui lama non abbia una lunghezza inferiore a centimetri 65. La licenza, la cui durata non sia diversamente stabilita dalla legge, ha validità annuale." In via generale, il Collegio condivide la ricorrente affermazione della giurisprudenza amministrativa secondo cui: "Il rilascio o il rinnovo, da parte del Prefetto, della licenza di porto di pistola per difesa personale ha carattere eccezionale, costituendo principio generale dell'ordinamento quello per cui l'autotutela può essere consentita soltanto nei casi di estrema necessità, qualora ogni altra via sia preclusa." (T.A.R. Campania Napoli Sez. V, 06/09/2023, n. 4979; T.A.R. Campania Salerno Sez. I, 10/07/2023, n. 1650 T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, 04/07/2023, n. 1709). Quanto al perimetro del sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, è stato poi affermato che: "Il provvedimento con cui il Prefetto ritiene insufficienti le condizioni per il rilascio o il rinnovo della licenza di porto di pistola per difesa personale è sindacabile in sede giurisdizionale soltanto sotto lo spettro filtrante della manifesta illogicità e del palese travisamento dei fatti, tenuto anche conto che il dimostrato bisogno del porto d'armi deve integrare un'eccezionale necessità di autodifesa, non altrimenti surrogabile con altri rimedi." (T.A.R. Campania Napoli Sez. V, 06/09/2023, n. 4979). Come già evidenziato in fase cautelare, l'Amministrazione in passato ritenuto la sussistenza dei presupposti per il rilascio di un'arma per difesa personale in favore del ricorrente, a fronte di episodi verificatisi nel luogo di sua dimora, che, anche in tempi recenti, ha subito più intrusioni nel proprio domicilio, debitamente denunciate all'Autorità, senza asporto di denaro o altri oggetti, e potenzialmente idonee ad evidenziare la sussistenza di un pericolo a suo carico. Si tratta nel caso specifico di un avvocato che rappresenta società datrici di lavoro nelle procedure di stipulazione e rinnovo di contratti collettivi di primo e secondo livello e nelle controversie individuali e collettive di lavoro. Si tratta di un settore di attività che presenta rischi di minacce e pressioni fisiche e psichiche, effettivamente denunciati, rispetto ai quali la mancata individuazione dei responsabili o la mancanza di un danno nei confronti della persona dell'avvocato non costituiscono elementi da soli sufficienti a negare l'esistenza di un pericolo attuale che non è stato adeguatamente valutato dall'amministrazione. 3. In definitiva quindi il ricorso va accolto con conseguente annullamento dell'atto impugnato. 4. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto annulla l'atto impugnato. Condanna l'Amministrazione resistente a corrispondere al ricorrente la somma di euro 2.500,00 /duemilacinquecento per le spese processuali, maggiorata di IVA e CPA come per legge, oltre al rimborso del contributo unificato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Antonio Vinciguerra - Presidente Alberto Di Mario - Consigliere, Estensore Luca Iera - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1483 del 2023, proposto da Da. Ca. ed altri, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Ma. Lu. Di To. e Ma. Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio fisico presso il loro studio in Milano, viale (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio fisico presso il suo studio in Milano, corso di (...); nei confronti Va. S.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Gu. Gr., Ma. Mu., Ma. Sa. e Pa. Pr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio fisico presso lo studio dei primi due in Milano, piazzale (...); per l'annullamento - del verbale di deliberazione della Giunta Comunale n. 101 del 17 aprile 2023 avente ad oggetto "esame osservazioni e controdeduzioni - approvazione della Variante al Piano di Lottizzazione delle aree site in via (omissis) e via (omissis) - Villa Al. ai sensi dell'articolo 14 della L.R. n. 12/2005" in pubblicazione dal 24/04/2023 sino al 11/05/2023, completa degli allegati ivi richiamati e con gli ulteriori allegati l'"elaborato X - scheda controdeduzione" ed elaborato allegati l'"elaborato y - emendamento"; - di ogni altro atto comunque presupposto, connesso e/o conseguente ed in particolare di tutti gli allegati e gli elaborati richiamati nella delibera di approvazione impugnata: allegati A, B, C, D1, D2, E, F1, F2, G ed Elaborati Grafici Tav. da 1 a 16. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di Va. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 settembre 2024 il dott. Giovanni Zucchini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Gli esponenti sono tutti consiglieri comunali di minoranza a (omissis) (MI). Con il ricorso in epigrafe, contenente domanda di sospensiva, gli stessi impugnavano la deliberazione di Giunta Comunale n. 101 dei 2023 di approvazione di una variante al piano di lottizzazione (PdL) delle aree site in via (omissis) e in via (omissis), dove è collocato il complesso di Villa Al.. Nel gravame si sostiene che la competenza all'approvazione della variante sarebbe stata in realtà del Consiglio e non della Giunta, il che avrebbe leso le prerogative dei ricorrenti quali componenti dell'organo consiliare. Si costituivano in giudizio il Comune intimato e la società Va. Srl, quest'ultima quale proprietaria del compendio interessato al PdL, concludendo entrambi per l'inammissibilità sotto vari profili ed in ogni caso per l'infondatezza nel merito del gravame. All'udienza cautelare dell'8.9.2023 l'istanza di sospensiva era rinunciata. Alla successiva pubblica udienza del 17.9.2024 la causa era discussa e trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Deve essere affrontata in via pregiudiziale l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione e di interesse ad agire in capo ai consiglieri comunali, eccezione sollevate da entrambe le parti evocate in giudizio. L'eccezione merita accoglimento, per le ragioni che seguono. Con il provvedimento ivi impugnato (cfr. il doc. 9 dei ricorrenti) la Giunta di (omissis) ha approvato in via definitiva la variante al piano di lottizzazione del compendio denominato Villa Al., in applicazione dell'art. 14 della legge regionale (LR) sul governo del territorio n. 12 del 2005. A detta degli esponenti, che sono consiglieri comunali, la variante di cui è causa sarebbe in deroga allo strumento urbanistico generale comunale (Piano di Governo del Territorio o PGT ai sensi della citata LR n. 12 del 2005), sicché la sua approvazione sarebbe stata riservata al Consiglio Comunale e non alla Giunta. In pratica, viene lamentata l'incompetenza della Giunta a favore del Consiglio. Sul punto occorre però richiamare l'orientamento della giurisprudenza amministrativa, dal quale il Collegio non riviene ragione per discostarsi, secondo cui il giudizio amministrativo non è rivolto a risolvere controversie fra organi o componenti di organi dello stesso ente (c.d. conflitti interorganici), bensì controversie fra enti diversi (si vedano in tal senso, fra le tante, Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza n. 6031 del 2018 e TAR Sicilia, Catania, Sezione I, sentenza n. 2978 del 2024). Di conseguenza i consiglieri comunali sono legittimati ad impugnare le deliberazioni dell'Amministrazione di appartenenza soltanto in caso di lesione diretta alle loro prerogative individuali inerenti l'ufficio svolto ("munus"); si pensi ad esempio alla deliberazione consiliare adottata senza la rituale convocazione dei componenti dell'organo. Nel caso del lamentato vizio di incompetenza della Giunta a favore del Consiglio, la giurisprudenza esclude la legittimazione dei consiglieri all'impugnazione del provvedimento della Giunta, in quanto non viene in considerazione la lesione diretta di una prerogativa del singolo consigliere comunale. Si vedano sull'argomento la condivisibile sentenza del TAR Sicilia, Catania, Sezione III, n. 698 del 2022, secondo cui: "...l'opinione manifestata dal Collegio trova avallo in una autorevole giurisprudenza che esclude la legittimazione dei Consiglieri Comunali, in quanto tali, ad agire contro l'Amministrazione comunale, poiché il processo amministrativo non è di regola aperto alle controversie tra organi o componenti di organi di uno stesso ente, ma è diretto a risolvere controversie intersoggettive ed atteso che i conflitti interorganici trovano la loro composizione in via amministrativa; conseguentemente, tale indirizzo ha escluso l'ammissibilità di un'azione di singoli consiglieri in relazione ad un contrasto funzionale tra consiglio comunale e giunta, dal momento che tale contrasto non riguarda in modo diretto il singolo consigliere, ma i consessi dei quali i consiglieri fanno parte, che, come organi della stessa persona giuridica, non sono legittimati a ricorrere dinanzi al giudice amministrativo, l'uno contro gli atti dell'altro (in termini, Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza31 gennaio 2001, n. 358; Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19 aprile 2013, n. 2213)"; oltre alla sentenza dello stesso TAR di Catania, Sezione I, n. 1639 del 2020: "Consolidata giurisprudenza, infatti, afferma che l'impugnativa di singoli consiglieri comunali può ipotizzarsi soltanto allorché vengano in rilievo atti incidenti in via diretta sul diritto all'ufficio dei medesimi e, quindi, su un diritto spettante alla persona investita della carica di consigliere; i consiglieri comunali, in quanto tali, non sono invece legittimati ad agire contro l'Amministrazione di appartenenza, dato che il giudizio amministrativo non è di regola aperto alle controversie tra organi o componenti di organi dello stesso ente, ma è rivolto a risolvere controversie intersoggettive (cfr., ex plurimis, T.A.R. Veneto, sez. I 26 novembre 2018 n. 1078; Cons. Stato, sez. V, 2 dicembre, 2015, n. 5459; Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2018, n. 1549; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 25 gennaio 2019 n. 153). Come anche di recente ribadito dalla giurisprudenza, deve ritenersi privo di legittimazione a ricorrere il consigliere comunale che insorga avverso una deliberazione di giunta comunale su argomento ritenuto di competenza del consiglio comunale, in quanto il contrasto non riguarderebbe in modo diretto il consigliere, ma, al più, il consesso del quale lo stesso faccia parte (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 12 marzo 2018, n. 1549; T.A.R. Veneto, Venezia, sez. I, 246 novembre 2018, n. 1078). I conflitti interorganici all'interno di uno stesso ente trovano composizione in via amministrativa, laddove invece non sembra ammissibile un'azione di singoli consiglieri in relazione ad un contrasto funzionale tra Consiglio e Giunta, che non può essere risolto prescindendo dalla volontà dei rispettivi organi (Cons. St., sez. V, 31 gennaio 2001, n. 358)" ed anche TAR Campania, Salerno, Sezione I, sentenza n. 2958 del 2023 e TAR Campania, Napoli, Sezione II, sentenza n. 2989 del 2022. Si conferma, in definitiva, l'inammissibilità del ricorso in epigrafe. 2. Il carattere meramente processuale della presente pronuncia e la natura delle parti coinvolte inducono il Collegio a compensare interamente fra le parti le spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Maria Ada Russo - Presidente Giovanni Zucchini - Consigliere, Estensore Stefano Celeste Cozzi - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1092 del 2024, proposto da ME. IN. IT. s.r.l. Unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati En. Di Ie. e Lu. Li., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro A.S.S.T. FATEBENEFRATELLI SACCO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Si. Ul., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; AZIENDA SOCIO SANITARIA (ASST) FATEBENEFRATELLI SACCO - S.C. GESTIONE ACQUISTI PROVVEDITORATO ECONOMATO, in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio; AZIENDA RE. PER L'I. E GLI AC. s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio; nei confronti MÖ LN. HE. CA. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento prot. n. 0019547 del 10 aprile 2024 di diniego serbato dall'ASST Fatebenefratelli Sacco in relazione all'istanza di accesso ai documenti amministrativi ai sensi dell'art. 22 e ss. legge n. 241 del 1990, dell'art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016 e dell'art. 5 del d.lgs. n. 33 del 2013 presentata da ME. IN. IT. s.r.l. Unipersonale; per quanto occorrer possa di ogni altro atto, anche istruttorio, presupposto, precedente, annesso, connesso, consequenziale ancorché non conosciuto; per l'accertamento e declaratoria del diritto della Ricorrente all'ostensione di tutti gli atti e documenti oggetto di istanza di accesso anche civico, ossia la documentazione inerente alla convenzione in essere, nessuna esclusa, comprovante: a) l'avvenuta regolare installazione del software gestionale amministrato e condotto direttamente dall'Aggiudicataria; b) la nomina, e la data, del Responsabile di Magazzino da parte della Mo. He. Ca.; c) dell'attivazione della gestione della fornitura in conto deposito; d) la espletata verifica delle giacenze e riordini settimanali; e) ogni altro eventuale documento comprovante la corretta esecuzione delle prescrizioni contenute nell'art. 3.3 del Capitolato speciale d'appalto, ivi compresa la corretta fatturazione in conformità dell'utilizzo del software gestionale, richiesti con istanza 3 di accesso agli atti anche civico inoltrata il 30 gennaio 2024; e per la condanna dell'ASST Fatebenefratelli Sacco all'ostensione e rilascio copia degli atti richiesti con la suddetta istanza di accesso agli atti anche civico. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'A.S.S.T. Fatebenefratelli Sacco e di Mö LN. HE. CA. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2024 il dott. Stefano Celeste Cozzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con determina n. 581 dell'8 luglio 2022, l'Azienda RE. PER L'I. E GLI AC. s.p.a. (d'ora innanzi anche "AR.") ha aggiudicato in favore di Mö LN. HE. CA. s.r.l. (d'ora innanzi anche "MH.") la gara indetta per la stipulazione di una convenzione finalizzata alla fornitura di set in TNT sterili e servizi connessi a favore degli enti e delle aziende del servizio sanitario regionale. AR. e MH. hanno quindi stipulato la relativa convenzione alla quale ha aderito, fra gli altri enti sanitari regionali, la A.S.S.T. FATEBENEFRATELLI SACCO (d'ora innanzi anche "ASST"). In data 30 gennaio 2024, la società ME. IN. IT. s.r.l. (d'ora innanzi anche "Me."), collocatasi al secondo posto della graduatoria della suddetta gara, ha presentato all'ASST istanza di accesso ai documenti amministrativi ai sensi degli artt. 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990, dell'art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016 e dell'art. 5 del d.lgs. n. 33 del 2013, con cui ha chiesto di "poter accedere alla documentazione inerente la convenzione in essere, agli ordini di fornitura e a tutta la documentazione intercorsa in merito alla corretta applicazione da parte dell'Aggiudicatario MÖ LN. HE. CA. S.R.L. di quanto prescritto all'art. 3.3. del Capitolato Speciale d'appalto rubricato "GESTIONE DEL MAGAZZINO, SERVIZIO POST-VENDITA E COSTITUZIONE DELLA SCORTA MINIMA". In particolare la documentazione richiesta è la seguente: a) documentazione comprovante l'avvenuta regolare installazione del software gestionale amministrato e condotto direttamente dall'Aggiudicataria; b) documentazione comprovante la nomina, e la data di nomina, del responsabile di magazzino da parte di MH.; c) documentazione comprovante la gestione della fornitura in conto deposito; d) documentazione comprovante la espletata verifica delle giacenze e riordini settimanali; e) ogni eventuale documento comprovante la corretta esecuzione delle prescrizioni contenute nell'art. 3.3 del Capitolato d'appalto, ivi compresa la fatturazione in conformità dell'utilizzo del software gestionale. Con nota del 10 aprile 2024, l'ASST ha dato riscontro all'istanza comunicando che il contratto viene eseguito da MH. nel rispetto della legge speciale di gara e pertanto in conformità a quanto previsto dalla Convenzione di riferimento. Ritenendo che, con questa nota, l'Amministrazione abbia respinto la sua istanza di accesso agli, con il ricorso in esame, Me. impugna principalmente tale atto. Si sono costituite in giudizio, per opporsi all'accoglimento del ricorso, l'A.S.S.T. FATEBENEFRATELLI SACCO e Mö LN. HE. CA. s.r.l. La causa è stata trattenuta in decisione in esito alla camera di consiglio del 17 settembre 2024. Il Collegio deve preliminarmente osservare che, così come eccepito dalla difesa dell'Amministrazione resistente e come eccepito d'ufficio nel corso dell'udienza camerale del 17 settembre 2024, il presente ricorso è divenuto improcedibile, non avendo l'interessata impugnato tempestivamente il provvedimento di rigetto definitivo dell'istanza di accesso agli atti del 30 gennaio 2024, provvedimento comunicato via PEC alla stessa controinteressata in data 16 giugno 2024. In ogni caso il ricorso è anche infondato. Come anticipato, con istanza del 30 gennaio 2024, Me. ha chiesto l'ostensione di tutta la documentazione inerente l'esecuzione della fornitura di cui è causa, seppure limitatamente ai servizi di cui all'art. 3.3 del Capitolato Tecnico. L'esponente sostiene di avere avuto "contezza" (così testualmente a pag. 5 del ricorso) che l'aggiudicataria MH. non avrebbe eseguito tali servizi, che sarebbero previsti dalla legge di gara a pena di esclusione. Me. afferma quindi di essere legittimata alla richiesta di accesso sulla base delle seguenti considerazioni. L'inadempimento contrattuale di cui si parla nel ricorso potrebbe indurre l'Amministrazione alla risoluzione del contratto d'appalto e di conseguenza Me., quale operatore secondo graduato, potrebbe subentrare a MH. nella fornitura oppure, qualora l'Azienda decidesse invece di indire una nuova procedura di gara, Me. potrebbe prendervi parte ed avere una chance di ottenere l'aggiudicazione (c.d. interesse strumentale alla rinnovazione della gara). La società istante richiama a fondamento della sua pretesa la sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 2020. La tesi dell'esponente non trova condivisione nel Collegio. Va invero osservato che la Sezione (con diverse recenti sentenze, fra cui la sentenza n. 1602 del 27 maggio 2024), si è di recente pronunciata su cause identiche a quella oggetto del presente giudizio (peraltro proposta dalla stessa Me.), affermando che"...se è pur vero che la pronuncia dell'Adunanza Plenaria n. 10 del 2020 ammette l'accesso agli atti della fase esecutiva da parte di un concorrente in relazione a vicende che potrebbero portare alla risoluzione del contratto e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, parimenti nella stessa sentenza i Supremi Giudici Amministrativi hanno chiarito che: "...occorre però, ai fini dell'accesso, che l'interesse dell'istante, pur in astratto legittimato, possa considerarsi concreto, attuale, diretto, e, in particolare, che preesista all'istanza di accesso e non ne sia, invece, conseguenza; in altri termini, che l'esistenza di detto interesse - per il verificarsi, ad esempio, di una delle situazioni che legittimerebbe o addirittura imporrebbe la risoluzione del rapporto con l'appaltatore, ai sensi dell'art. 108, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, e potrebbero indurre l'amministrazione a scorrere la graduatoria - sia anteriore all'istanza di accesso documentale che, quindi, non deve essere impiegata e piegata a "costruire" ad hoc, con una finalità esplorativa, le premesse affinché sorga ex post. 15.1. Diversamente, infatti, l'accesso documentale assolverebbe ad una finalità, espressamente vietata dalla legge, perché preordinata ad un non consentito controllo generalizzato sull'attività, pubblicistica o privatistica, delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 4, della l. n. 241 del 1990). 15.2. Invero, la situazione dell'operatore economico che abbia partecipato alla gara, collocandosi in graduatoria, non gli conferisce infatti, nemmeno ai fini dell'accesso, una sorta di superlegittimazione di stampo popolare a conoscere gli atti della fase esecutiva, laddove egli non possa vantare un interesse corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al cui accesso aspira (art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990)". Ciò premesso, deve rilevarsi che, come nel caso affrontato nei citati precedenti, anche nel caso di specie la società istante non offre alcun elemento di prova, neppure indiziario, circa l'asserito inadempimento contrattuale che, a detta della ricorrente, potrebbe indurre addirittura la stazione appaltante alla risoluzione del rapporto contrattuale. Nel ricorso si parla di "contezza" della mancata attivazione dei servizi di cui all'art. 3.3 del CT, senza altro addurre o aggiungere. Nella domanda di accesso depositata presso la Fondazione, Me. è altrettanto generica (per non dire assolutamente vaga), affermando di avere "ragione di ritenere" che l'aggiudicataria non stia adempiendo alle previsioni contrattuali (cfr. il doc. 2 della ricorrente). Così come formulata, pertanto, l'istanza di ostensione di Me. ha un carattere meramente esplorativo, essendo finalizzata soltanto ad un controllo sull'esecuzione dell'appalto nella speranza di individuare una o più circostanze che potrebbero assurgere a causa di risoluzione del contratto. L'accesso c.d. esplorativo è però espressamente vietato dall'art. 24 comma 3 della legge n. 241 del 1990. Del resto, anche nella succitata sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 10 del 2020 la domanda di accesso ex lege n. 241 del 1990 era stata rigettata perché meramente esplorativa: "16.1. Una volta chiarito che la posizione sostanziale è la causa e il presupposto dell'accesso documentale e non la sua conseguenza e che la sua esistenza non può quindi essere costruita sulle risultanze, eventuali, dell'accesso documentale, va rilevato, per contro, che, nel caso di specie, l'istanza di accesso è tesa all'acquisizione di documenti che non impediscono od ostacolano il soddisfacimento di una situazione sostanziale, già delineatasi chiaramente, ed è volta a invocare circostanze, da verificare tramite l'accesso, che in un modo del tutto eventuale, ipotetico, dubitativo potrebbero condurre al subentro nel contratto, nemmeno delineando una seria prospettiva di risoluzione del rapporto, sempre necessaria per radicare un interesse concreto e attuale (Cons. St., sez. V, 11 giugno 2012, n. 3398). 16.2. Si rivela, così, nella fattispecie in esame, un'istanza di accesso con finalità meramente esplorativa, finalizzata ad acclarare se un inadempimento vi sia, che presupporrebbe, in capo agli altri operatori economici, un inammissibile ruolo di vigilanza sulla regolare esecuzione delle prestazioni contrattuali e sull'adempimento delle proprie obbligazioni da parte dell'aggiudicatario. 16.3. Si avrebbe così una sorta di interesse oggettivo, seppure ai fini dell'accesso, che non può essere accolta pur tenendo conto, come si è detto, della lettura che di questo interesse offrono, in quel dia incessante che costituisce l'osmosi tra il diritto interno e quello europeo, le Corti nazionali e quelle sovranazionali"". Il ricorso in epigrafe, pertanto, deve essere respinto laddove Me. lamenta la presunta violazione della legge n. 241 del 1990. Il gravame appare infondato anche avendo riguardo al d.lgs. n. 33 del 2013 sul c.d. accesso civico. Invero, l'accesso civico pur costituendo uno strumento di tutela dei diritti dei cittadini e di promozione della loro partecipazione all'attività amministrativa, non può essere impiegato in maniera distorta e divenire causa di intralcio all'azione della pubblica amministrazione. Sul punto si vedano, in primo luogo, la sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 2020, punti da 36.4 a 36.6 della narrativa, oltre a TAR Lombardia, Milano, Sezione III, sentenza n. 1951 del 2017; Sezione IV, sentenza n. 669 del 2018 e Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza n. 6589 del 2023, secondo cui: "...l'accesso civico generalizzato ex art. 5 del d.lgs. n. 33/2013 soddisfa un'esigenza di cittadinanza attiva, incentrata sui doveri inderogabili di solidarietà democratica, di controllo sul funzionamento dei pubblici poteri e di fedeltà alla Repubblica e non su libertà singolari, onde tale accesso non può mai essere egoistico (cfr. Cons. Stato, VI, 13 agosto 2019, n. 5702), mentre nella fattispecie in questione la richiesta di accesso civico è dichiaratamente finalizzata alla realizzazione di un asserito interesse meramente personale, sicché, per come formulata, si appalesa quale mero surrogato dell'accesso documentale ex art. 22 della l. n. 241/1990, sottendendo, quindi, una finalità esclusivamente egoistica, incompatibile con le finalità di trasparenza e di interesse generale proprie dell'accesso civico". Lo strumento non può essere quindi utilizzato in contrasto con il principio di buona fede previsto in via generale dall'art. 1175 del codice civile (da leggersi alla luce del parametro di solidarietà di cui all'art. 2 della Costituzione). La stessa Autorità Anticorruzione (ANAC), nelle proprie Linee Guida approvate con determinazione n. 1309 del 28 dicembre 2016, ha reputato non ammissibile la c.d. richiesta massiva, vale a dire quella per "un numero manifestamente irragionevole di documenti (...), tale da paralizzare (...) il buon funzionamento dell'amministrazione (...)" (cfr. il punto 4.2 dell'Allegato alle Linee Guida)". Nella presente fattispecie, come già sopra indicato, l'istanza di accesso appare meramente esplorativa se non addirittura emulativa (cfr. l'art. 833 del codice civile), per cui non può trovare applicazione il suindicato d.lgs. n. 33 del 2013. Parimenti privo di pregio è il richiamo all'art. 53 dell'abrogato d.lgs. n. 50 del 2016 sull'accesso agli atti nei contratti pubblici. L'art. 53 comma 1 richiama, infatti, la legge n. 241 del 1990 e il Tribunale ha già sopra chiarito che tale normativa non può applicarsi nel caso di specie. Quanto al comma 6 dello stesso art. 53, lo stesso ammette il c.d. accesso difensivo "in relazione alla procedura di affidamento del contratto", ma è evidente che si tratta di una fattispecie differente da quella dedotta nel presente giudizio, nel quale non si ravvisa alcun interesse concreto ed attuale all'ostensione. In conclusione, l'intero ricorso deve rigettarsi. La novità e la peculiarità delle questioni dedotte inducono il Tribunale a compensare interamente fra le parti le spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Maria Ada Russo - Presidente Giovanni Zucchini - Consigliere Stefano Celeste Cozzi - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 978 del 2024, proposto da Va. Bo., rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ri., Ni. Za., Fa. Ga., Wa. Mi. e Fr. Li., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domiciliata ex lege in Milano, via (...); per l'esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 1352/2023 del Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, pubblicata in data 14.04.2023 e notificata in data 13.6.2023. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione e del Merito; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2024 il dott. Giovanni Zucchini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.1. Il Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, con la sentenza in epigrafe ha condannato il Ministero dell'Istruzione e del Merito a corrispondere in favore della parte ricorrente, a titolo di carta docente per gli anni 2020/2021 e 2021/2022, la somma complessiva di euro 1.000,00, oltre spese legali distratte a favore dei difensori antistatari. 1.2. La sentenza è passata in giudicato come risulta da attestazione ex art. 124 delle disposizioni di attuazione del c.p.c. ed è stata notificata in data 13.6.2023 (cfr. i documenti dal n. 1 al n. 4 della parte ricorrente). 1.3. L'Amministrazione non ha soddisfatto la pretesa recata dal titolo e la parte creditrice ha allora proposto il ricorso per ottemperanza in esame, con cui è stato chiesto a questo giudice di: a) ordinare al Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro-tempore, di conformarsi al giudicato di cui alla sentenza del Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, n. 1352/2023, e, quindi, ordinare alla medesima Amministrazione di corrispondere alla Prof.ssa Va. Bo. la somma complessiva di euro 1.000,00; b) nominare fin d'ora un commissario ad acta che, in caso di perdurante inottemperanza del Ministero, provveda in via sostitutiva, previa adozione di tutti i necessari atti contabili; c) condannare l'intimato al pagamento delle spese del presente giudizio oltre accessori di legge, con distrazione in favore dei sottoscritti patroni antistatari. 2.1. La pretesa fatta valere è sorretta da idonea documentazione, né è stata adeguatamente contrastata dall'Ente debitore e si fonda su titolo avente valore ed efficacia di giudicato nel giudizio di ottemperanza, ex art. 112, comma 2, lett. c), c.p.a. 2.2. Poiché, peraltro, il giudizio di ottemperanza non ha contenuto costitutivo, quanto al diritto di credito inadempiuto, ma ha soltanto la funzione di consentire il soddisfacimento di tale diritto, la cui esatta dimensione discende dal titolo, dalle ulteriori norme applicabili, e dagli eventuali adempimenti parziali, va riaffermato che l'entità delle somme qui richieste, così come calcolata da parte ricorrente, non è definitivamente vincolante per l'Amministrazione: e ciò, in particolare, per il capitale residuo e gli interessi, dei quali andrà comunque verificata l'esatta misura, quanto a misura e decorrenza, secondo i parametri costituiti dal titolo e dalla legge (artt. 1283 e ss. cod. civ.). 2.3. È comunque decorso il termine dilatorio di 120 giorni per il pagamento, di cui all'art. 14 del d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito dalla L. 28 febbraio 1997, n. 30, per il quale le Amministrazioni dello Stato, e gli enti pubblici non economici, dispongono, dalla notificazione del titolo esecutivo, di tale intervallo per eseguire i provvedimenti giurisdizionali che li obbligano al pagamento di somme di danaro, prima che possa essere avviata l'azione per il recupero coattivo. 3.1. Il ricorso per ottemperanza va dunque senz'altro accolto, dichiarando l'inottemperanza dell'Ente resistente, e assegnandogli un termine di sessanta giorni, decorrente dalla comunicazione, ovvero dalla notificazione della presente decisione, per il pagamento: 1) delle somme tutte indicate nel provvedimento giudiziale di cui si chiede l'ottemperanza, quali sopra esposte sub a), dedotti gli importi che fossero stati comunque versati, fermo che i conteggi degli interessi legali e di mora, prodotti dal creditore non sono vincolanti per l'Amministrazione resistente se non nei limiti di cui agli artt. 1282 segg. c.c. e delle ulteriori disposizioni di legge applicabili; 2) degli ulteriori accessori di legge, maturati in seguito, legittimamente richiesti e tuttora dovuti, nonché degli oneri di registrazione, delle spese di esame, di copia e di notificazione, per lo stesso provvedimento in quanto abbiano titolo in esso (cfr. T.A.R. Calabria - Reggio Calabria, 22 marzo 2016, n. 290); 3) degli interessi legali maturati dopo la presentazione del ricorso per ottemperanza in esame, negli stessi limiti di cui al precedente punto 1). 3.2. Nel caso d'inutile decorso del termine assegnato per l'ottemperanza, è sin d'ora nominato commissario ad acta il Direttore della "Direzione Generale per le risorse umane e finanziarie" presso il Ministero dell'Istruzione e del Merito: questi ne assumerà le funzioni solo qualora investito direttamente dal creditore con propria istanza, trascorso il termine assegnato all'Amministrazione per adempiere, e provvederà, entro i successivi centoventi giorni, all'esecuzione dell'incarico, determinando definitivamente l'importo ancora complessivamente dovuto e provvedendo quindi ad adottare quegli atti (variazioni di bilancio, stipulazione di mutui e prestiti, e quant'altro) necessari all'assolvimento del suo mandato, direttamente o, sotto la sua responsabilità, attraverso un funzionario delegato, anche avvalendosi, per quanto occorra, della struttura organizzativa regionale e coordinandosi con le strutture straordinarie, comunque denominate e a qualsiasi amministrazione appartenenti. L'attività demandata al commissario ad acta rientra nei compiti istituzionali di quest'ultimo, sicché non appare dovuto alcun compenso al commissario stesso. 4. Infine, quanto alle spese del presente giudizio di ottemperanza, non essendo controverso l'inadempimento al momento della presentazione del ricorso, l'Amministrazione resistente va condannata al pagamento delle spese di causa, negli importi liquidati in dispositivo, determinati anche tenendo conto che le controversie, in questa materia, richiedono attività minime e stereotipate. Le spese devono distrarsi a favore dei difensori avv.ti Fr. Li., Ni. Za., Gi. Ri., Wa. Mi. e Fa. Ga., dichiaratisi antistatari ai sensi dell'art. 93 del c.p.c. e degli articoli 26 e 39 del c.p.a. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto: a) dichiara l'inottemperanza del giudicato in epigrafe, ordinando all'Ente resistente di darvi esecuzione nei termini e nelle forme stabilite in motivazione; b) nomina, per il caso di perdurante inerzia, il commissario ad acta nella persona del dirigente indicato in motivazione; c) condanna l'Amministrazione resistente alla rifusione delle spese del presente giudizio, nell'importo di Euro 1.000,00 (mille/00) per compensi, oltre IVA, CPA, spese generali nella misura del 15% e onere del contributo unificato come per legge solo se dovuto nel presente giudizio (art. 13 comma 6bis.1 del DPR n. 115/2002), spese da distrarsi a favore degli avv.ti Fr. Li., Ni. Za., Gi. Ri., Wa. Mi. e Fa. Ga. dichiaratisi antistatari. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Maria Ada Russo - Presidente Giovanni Zucchini - Consigliere, Estensore Stefano Celeste Cozzi - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 980 del 2024, proposto da Al. Ba., rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ri., Ni. Za., Fa. Ga., Wa. Mi. e Fr. Li., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domiciliata ex lege in Milano, via (...); per l'esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 730/2023 del Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, pubblicata in data 09.03.2023 e notificata il 25.5.2023. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione e del Merito; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2024 il dott. Giovanni Zucchini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.1. Il Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, con la sentenza in epigrafe ha condannato il Ministero dell'Istruzione e del Merito a corrispondere in favore della parte ricorrente, a titolo di carta docente per gli anni 2017/2018, 2018/2019, 2019/2020, 2020/2021, 2021/2022 e 2022/2023, la somma complessiva di euro 3.000,00, oltre spese legali distratte a favore dei difensori antistatari. 1.2. La sentenza è passata in giudicato come risulta da attestazione ex art. 124 delle disposizioni di attuazione del c.p.c. ed è stata notificata in data 25.5.2023 (cfr. i documenti dal n. 1 al n. 4 della parte ricorrente). 1.3. L'Amministrazione non ha soddisfatto la pretesa recata dal titolo e la parte creditrice ha allora proposto il ricorso per ottemperanza in esame, con cui è stato chiesto a questo giudice di: a) ordinare al Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro-tempore, di conformarsi al giudicato di cui alla sentenza del Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, n. 730/2023, e, quindi, ordinare alla medesima Amministrazione di corrispondere alla Prof.ssa Al. Ba. la somma complessiva di euro 3.000,00; b) nominare fin d'ora un commissario ad acta che, in caso di perdurante inottemperanza del Ministero, provveda in via sostitutiva, previa adozione di tutti i necessari atti contabili; c) condannare l'intimato al pagamento delle spese del presente giudizio oltre accessori di legge, con distrazione in favore dei sottoscritti patroni antistatari. 2.1. La pretesa fatta valere è sorretta da idonea documentazione, né è stata adeguatamente contrastata dall'Ente debitore e si fonda su titolo avente valore ed efficacia di giudicato nel giudizio di ottemperanza, ex art. 112, comma 2, lett. c), c.p.a. 2.2. Poiché, peraltro, il giudizio di ottemperanza non ha contenuto costitutivo, quanto al diritto di credito inadempiuto, ma ha soltanto la funzione di consentire il soddisfacimento di tale diritto, la cui esatta dimensione discende dal titolo, dalle ulteriori norme applicabili, e dagli eventuali adempimenti parziali, va riaffermato che l'entità delle somme qui richieste, così come calcolata da parte ricorrente, non è definitivamente vincolante per l'Amministrazione: e ciò, in particolare, per il capitale residuo e gli interessi, dei quali andrà comunque verificata l'esatta misura, quanto a misura e decorrenza, secondo i parametri costituiti dal titolo e dalla legge (artt. 1283 e ss. cod. civ.). 2.3. È comunque decorso il termine dilatorio di 120 giorni per il pagamento, di cui all'art. 14 del d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito dalla L. 28 febbraio 1997, n. 30, per il quale le Amministrazioni dello Stato, e gli enti pubblici non economici, dispongono, dalla notificazione del titolo esecutivo, di tale intervallo per eseguire i provvedimenti giurisdizionali che li obbligano al pagamento di somme di danaro, prima che possa essere avviata l'azione per il recupero coattivo. 3.1. Il ricorso per ottemperanza va dunque senz'altro accolto, dichiarando l'inottemperanza dell'Ente resistente, e assegnandogli un termine di sessanta giorni, decorrente dalla comunicazione, ovvero dalla notificazione della presente decisione, per il pagamento: 1) delle somme tutte indicate nel provvedimento giudiziale di cui si chiede l'ottemperanza, quali sopra esposte sub a), dedotti gli importi che fossero stati comunque versati, fermo che i conteggi degli interessi legali e di mora, prodotti dal creditore non sono vincolanti per l'Amministrazione resistente se non nei limiti di cui agli artt. 1282 segg. c.c. e delle ulteriori disposizioni di legge applicabili; 2) degli ulteriori accessori di legge, maturati in seguito, legittimamente richiesti e tuttora dovuti, nonché degli oneri di registrazione, delle spese di esame, di copia e di notificazione, per lo stesso provvedimento in quanto abbiano titolo in esso (cfr. T.A.R. Calabria - Reggio Calabria, 22 marzo 2016, n. 290); 3) degli interessi legali maturati dopo la presentazione del ricorso per ottemperanza in esame, negli stessi limiti di cui al precedente punto 1). 3.2. Nel caso d'inutile decorso del termine assegnato per l'ottemperanza, è sin d'ora nominato commissario ad acta il Direttore della "Direzione Generale per le risorse umane e finanziarie" presso il Ministero dell'Istruzione e del Merito: questi ne assumerà le funzioni solo qualora investito direttamente dal creditore con propria istanza, trascorso il termine assegnato all'Amministrazione per adempiere, e provvederà, entro i successivi centoventi giorni, all'esecuzione dell'incarico, determinando definitivamente l'importo ancora complessivamente dovuto e provvedendo quindi ad adottare quegli atti (variazioni di bilancio, stipulazione di mutui e prestiti, e quant'altro) necessari all'assolvimento del suo mandato, direttamente o, sotto la sua responsabilità, attraverso un funzionario delegato, anche avvalendosi, per quanto occorra, della struttura organizzativa regionale e coordinandosi con le strutture straordinarie, comunque denominate e a qualsiasi amministrazione appartenenti. L'attività demandata al commissario ad acta rientra nei compiti istituzionali di quest'ultimo, sicché non appare dovuto alcun compenso al commissario stesso. 4. Infine, quanto alle spese del presente giudizio di ottemperanza, non essendo controverso l'inadempimento al momento della presentazione del ricorso, l'Amministrazione resistente va condannata al pagamento delle spese di causa, negli importi liquidati in dispositivo, determinati anche tenendo conto che le controversie, in questa materia, richiedono attività minime e stereotipate. Le spese devono distrarsi a favore dei difensori avv.ti Fr. Li., Ni. Za., Gi. Ri., Wa. Mi. e Fa. Ga., dichiaratisi antistatari ai sensi dell'art. 93 del c.p.c. e degli articoli 26 e 39 del c.p.a. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto: a) dichiara l'inottemperanza del giudicato in epigrafe, ordinando all'Ente resistente di darvi esecuzione nei termini e nelle forme stabilite in motivazione; b) nomina, per il caso di perdurante inerzia, il commissario ad acta nella persona del dirigente indicato in motivazione; c) condanna l'Amministrazione resistente alla rifusione delle spese del presente giudizio, nell'importo di Euro 1.000,00 (mille/00) per compensi, oltre IVA, CPA, spese generali nella misura del 15% e onere del contributo unificato come per legge solo se dovuto nel presente giudizio (art. 13 comma 6bis.1 del DPR n. 115/2002), spese da distrarsi a favore degli avv.ti Fr. Li., Ni. Za., Gi. Ri., Wa. Mi. e Fa. Ga. dichiaratisi antistatari. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Maria Ada Russo - Presidente Giovanni Zucchini - Consigliere, Estensore Stefano Celeste Cozzi - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1008 del 2024, proposto da Co. Ca., rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ri., Ni. Za., Fa. Ga., Wa. Mi. e Fr. Li., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domiciliata ex lege in Milano, via (...); PER L'ESECUZIONE DEL GIUDICATO formatosi sulla sentenza n. 1390/2023 del Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, pubblicata in data 18.04.2023 e notificata il 13.6.2023. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione e del Merito; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2024 il dott. Giovanni Zucchini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.1. Il Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, con la sentenza in epigrafe ha condannato il Ministero dell'Istruzione e del Merito a corrispondere in favore della parte ricorrente, a titolo di carta docente per gli anni 2017/2018, 2018/2019, 2019/2020, 2020/2021, 2021/2022 e 2022/2023, la somma complessiva di euro 3.000,00, oltre spese legali distratte a favore dei difensori antistatari. 1.2. La sentenza è passata in giudicato come risulta da attestazione ex art. 124 delle disposizioni di attuazione del c.p.c. ed è stata notificata in data 13.6.2023 (cfr. i documenti dal n. 1 al n. 4 della parte ricorrente). 1.3. L'Amministrazione non ha soddisfatto la pretesa recata dal titolo e la parte creditrice ha allora proposto il ricorso per ottemperanza in esame, con cui è stato chiesto a questo giudice di: a) ordinare al Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro-tempore, di conformarsi al giudicato di cui alla sentenza del Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, n. 1390/2023, e, quindi, ordinare alla medesima Amministrazione di corrispondere alla Prof.ssa Co. Ca. la somma complessiva di euro 3.000,00; b) nominare fin d'ora un commissario ad acta che, in caso di perdurante inottemperanza del Ministero, provveda in via sostitutiva, previa adozione di tutti i necessari atti contabili; c) condannare l'intimato al pagamento delle spese del presente giudizio oltre accessori di legge, con distrazione in favore dei sottoscritti patroni antistatari. 2.1. La pretesa fatta valere è sorretta da idonea documentazione, né è stata adeguatamente contrastata dall'Ente debitore e si fonda su titolo avente valore ed efficacia di giudicato nel giudizio di ottemperanza, ex art. 112, comma 2, lett. c), c.p.a. 2.2. Poiché, peraltro, il giudizio di ottemperanza non ha contenuto costitutivo, quanto al diritto di credito inadempiuto, ma ha soltanto la funzione di consentire il soddisfacimento di tale diritto, la cui esatta dimensione discende dal titolo, dalle ulteriori norme applicabili, e dagli eventuali adempimenti parziali, va riaffermato che l'entità delle somme qui richieste, così come calcolata da parte ricorrente, non è definitivamente vincolante per l'Amministrazione: e ciò, in particolare, per il capitale residuo e gli interessi, dei quali andrà comunque verificata l'esatta misura, quanto a misura e decorrenza, secondo i parametri costituiti dal titolo e dalla legge (artt. 1283 e ss. cod. civ.). 2.3. È comunque decorso il termine dilatorio di 120 giorni per il pagamento, di cui all'art. 14 del d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito dalla L. 28 febbraio 1997, n. 30, per il quale le Amministrazioni dello Stato, e gli enti pubblici non economici, dispongono, dalla notificazione del titolo esecutivo, di tale intervallo per eseguire i provvedimenti giurisdizionali che li obbligano al pagamento di somme di danaro, prima che possa essere avviata l'azione per il recupero coattivo. 3.1. Il ricorso per ottemperanza va dunque senz'altro accolto, dichiarando l'inottemperanza dell'Ente resistente, e assegnandogli un termine di sessanta giorni, decorrente dalla comunicazione, ovvero dalla notificazione della presente decisione, per il pagamento: 1) delle somme tutte indicate nel provvedimento giudiziale di cui si chiede l'ottemperanza, quali sopra esposte sub a), dedotti gli importi che fossero stati comunque versati, fermo che i conteggi degli interessi legali e di mora, prodotti dal creditore non sono vincolanti per l'Amministrazione resistente se non nei limiti di cui agli artt. 1282 segg. c.c. e delle ulteriori disposizioni di legge applicabili; 2) degli ulteriori accessori di legge, maturati in seguito, legittimamente richiesti e tuttora dovuti, nonché degli oneri di registrazione, delle spese di esame, di copia e di notificazione, per lo stesso provvedimento in quanto abbiano titolo in esso (cfr. T.A.R. Calabria - Reggio Calabria, 22 marzo 2016, n. 290); 3) degli interessi legali maturati dopo la presentazione del ricorso per ottemperanza in esame, negli stessi limiti di cui al precedente punto 1). 3.2. Nel caso d'inutile decorso del termine assegnato per l'ottemperanza, è sin d'ora nominato commissario ad acta il Direttore della "Direzione Generale per le risorse umane e finanziarie" presso il Ministero dell'Istruzione e del Merito: questi ne assumerà le funzioni solo qualora investito direttamente dal creditore con propria istanza, trascorso il termine assegnato all'Amministrazione per adempiere, e provvederà, entro i successivi centoventi giorni, all'esecuzione dell'incarico, determinando definitivamente l'importo ancora complessivamente dovuto e provvedendo quindi ad adottare quegli atti (variazioni di bilancio, stipulazione di mutui e prestiti, e quant'altro) necessari all'assolvimento del suo mandato, direttamente o, sotto la sua responsabilità, attraverso un funzionario delegato, anche avvalendosi, per quanto occorra, della struttura organizzativa regionale e coordinandosi con le strutture straordinarie, comunque denominate e a qualsiasi amministrazione appartenenti. L'attività demandata al commissario ad acta rientra nei compiti istituzionali di quest'ultimo, sicché non appare dovuto alcun compenso al commissario stesso. 4. Infine, quanto alle spese del presente giudizio di ottemperanza, non essendo controverso l'inadempimento al momento della presentazione del ricorso, l'Amministrazione resistente va condannata al pagamento delle spese di causa, negli importi liquidati in dispositivo, determinati anche tenendo conto che le controversie, in questa materia, richiedono attività minime e stereotipate. Le spese devono distrarsi a favore dei difensori avv.ti Fr. Li., Ni. Za., Gi. Ri., Wa. Mi. e Fa. Ga., dichiaratisi antistatari ai sensi dell'art. 93 del c.p.c. e degli articoli 26 e 39 del c.p.a. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto: a) dichiara l'inottemperanza del giudicato in epigrafe, ordinando all'Ente resistente di darvi esecuzione nei termini e nelle forme stabilite in motivazione; b) nomina, per il caso di perdurante inerzia, il commissario ad acta nella persona del dirigente indicato in motivazione; c) condanna l'Amministrazione resistente alla rifusione delle spese del presente giudizio, nell'importo di Euro 1.000,00 (mille/00) per compensi, oltre IVA, CPA, spese generali nella misura del 15% e onere del contributo unificato come per legge solo se dovuto nel presente giudizio (art. 13 comma 6bis.1 del DPR n. 115/2002), spese da distrarsi a favore degli avv.ti Fr. Li., Ni. Za., Gi. Ri., Wa. Mi. e Fa. Ga. dichiaratisi antistatari. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Maria Ada Russo - Presidente Giovanni Zucchini - Consigliere, Estensore Stefano Celeste Cozzi - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1012 del 2024, proposto da Da. Bo., rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ri., Ni. Za., Fa. Ga., Wa. Mi. e Fr. Li., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domiciliata ex lege in Milano, via (...); PER L'ESECUZIONE DEL GIUDICATO formatosi sulla sentenza n. 1499/2023 del Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, pubblicata in data 27.04.2023 e notificata il 13.6.2023. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione e del Merito; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2024 il dott. Giovanni Zucchini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.1. Il Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, con la sentenza in epigrafe ha condannato il Ministero dell'Istruzione e del Merito a corrispondere in favore della parte ricorrente, a titolo di carta docente per gli anni 2018/2019, 2019/2020, 2020/2021, 2021/2022 e 2022/2023, la somma complessiva di euro 2.500,00, oltre spese legali distratte a favore dei difensori antistatari. 1.2. La sentenza è passata in giudicato come risulta da attestazione ex art. 124 delle disposizioni di attuazione del c.p.c. ed è stata notificata in data 13.6.2023 (cfr. i documenti dal n. 1 al n. 3 della parte ricorrente). 1.3. L'Amministrazione non ha soddisfatto la pretesa recata dal titolo e la parte creditrice ha allora proposto il ricorso per ottemperanza in esame, con cui è stato chiesto a questo giudice di: a) ordinare al Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro-tempore, di conformarsi al giudicato di cui alla sentenza del Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, n. 1499/2023, e, quindi, ordinare alla medesima Amministrazione di corrispondere al Prof. Da. Bo. la somma complessiva di euro 2.500,00; b) nominare fin d'ora un commissario ad acta che, in caso di perdurante inottemperanza del Ministero, provveda in via sostitutiva, previa adozione di tutti i necessari atti contabili; c) condannare l'intimato al pagamento delle spese del presente giudizio oltre accessori di legge, con distrazione in favore dei sottoscritti patroni antistatari. 2.1. La pretesa fatta valere è sorretta da idonea documentazione, né è stata adeguatamente contrastata dall'Ente debitore e si fonda su titolo avente valore ed efficacia di giudicato nel giudizio di ottemperanza, ex art. 112, comma 2, lett. c), c.p.a. 2.2. Poiché, peraltro, il giudizio di ottemperanza non ha contenuto costitutivo, quanto al diritto di credito inadempiuto, ma ha soltanto la funzione di consentire il soddisfacimento di tale diritto, la cui esatta dimensione discende dal titolo, dalle ulteriori norme applicabili, e dagli eventuali adempimenti parziali, va riaffermato che l'entità delle somme qui richieste, così come calcolata da parte ricorrente, non è definitivamente vincolante per l'Amministrazione: e ciò, in particolare, per il capitale residuo e gli interessi, dei quali andrà comunque verificata l'esatta misura, quanto a misura e decorrenza, secondo i parametri costituiti dal titolo e dalla legge (artt. 1283 e ss. cod. civ.). 2.3. È comunque decorso il termine dilatorio di 120 giorni per il pagamento, di cui all'art. 14 del d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito dalla L. 28 febbraio 1997, n. 30, per il quale le Amministrazioni dello Stato, e gli enti pubblici non economici, dispongono, dalla notificazione del titolo esecutivo, di tale intervallo per eseguire i provvedimenti giurisdizionali che li obbligano al pagamento di somme di danaro, prima che possa essere avviata l'azione per il recupero coattivo. 3.1. Il ricorso per ottemperanza va dunque senz'altro accolto, dichiarando l'inottemperanza dell'Ente resistente, e assegnandogli un termine di sessanta giorni, decorrente dalla comunicazione, ovvero dalla notificazione della presente decisione, per il pagamento: 1) delle somme tutte indicate nel provvedimento giudiziale di cui si chiede l'ottemperanza, quali sopra esposte sub a), dedotti gli importi che fossero stati comunque versati, fermo che i conteggi degli interessi legali e di mora, prodotti dal creditore non sono vincolanti per l'Amministrazione resistente se non nei limiti di cui agli artt. 1282 segg. c.c. e delle ulteriori disposizioni di legge applicabili; 2) degli ulteriori accessori di legge, maturati in seguito, legittimamente richiesti e tuttora dovuti, nonché degli oneri di registrazione, delle spese di esame, di copia e di notificazione, per lo stesso provvedimento in quanto abbiano titolo in esso (cfr. T.A.R. Calabria - Reggio Calabria, 22 marzo 2016, n. 290); 3) degli interessi legali maturati dopo la presentazione del ricorso per ottemperanza in esame, negli stessi limiti di cui al precedente punto 1). 3.2. Nel caso d'inutile decorso del termine assegnato per l'ottemperanza, è sin d'ora nominato commissario ad acta il Direttore della "Direzione Generale per le risorse umane e finanziarie" presso il Ministero dell'Istruzione e del Merito: questi ne assumerà le funzioni solo qualora investito direttamente dal creditore con propria istanza, trascorso il termine assegnato all'Amministrazione per adempiere, e provvederà, entro i successivi centoventi giorni, all'esecuzione dell'incarico, determinando definitivamente l'importo ancora complessivamente dovuto e provvedendo quindi ad adottare quegli atti (variazioni di bilancio, stipulazione di mutui e prestiti, e quant'altro) necessari all'assolvimento del suo mandato, direttamente o, sotto la sua responsabilità, attraverso un funzionario delegato, anche avvalendosi, per quanto occorra, della struttura organizzativa regionale e coordinandosi con le strutture straordinarie, comunque denominate e a qualsiasi amministrazione appartenenti. L'attività demandata al commissario ad acta rientra nei compiti istituzionali di quest'ultimo, sicché non appare dovuto alcun compenso al commissario stesso. 4. Infine, quanto alle spese del presente giudizio di ottemperanza, non essendo controverso l'inadempimento al momento della presentazione del ricorso, l'Amministrazione resistente va condannata al pagamento delle spese di causa, negli importi liquidati in dispositivo, determinati anche tenendo conto che le controversie, in questa materia, richiedono attività minime e stereotipate. Le spese devono distrarsi a favore dei difensori avv.ti Fr. Li., Ni. Za., Gi. Ri., Wa. Mi. e Fa. Ga., dichiaratisi antistatari ai sensi dell'art. 93 del c.p.c. e degli articoli 26 e 39 del c.p.a. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto: a) dichiara l'inottemperanza del giudicato in epigrafe, ordinando all'Ente resistente di darvi esecuzione nei termini e nelle forme stabilite in motivazione; b) nomina, per il caso di perdurante inerzia, il commissario ad acta nella persona del dirigente indicato in motivazione; c) condanna l'Amministrazione resistente alla rifusione delle spese del presente giudizio, nell'importo di Euro 1.000,00 (mille/00) per compensi, oltre IVA, CPA, spese generali nella misura del 15% e onere del contributo unificato come per legge solo se dovuto nel presente giudizio (art. 13 comma 6bis.1 del DPR n. 115/2002), spese da distrarsi a favore degli avv.ti Fr. Li., Ni. Za., Gi. Ri., Wa. Mi. e Fa. Ga. dichiaratisi antistatari. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Maria Ada Russo - Presidente Giovanni Zucchini - Consigliere, Estensore Stefano Celeste Cozzi - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1030 del 2024, proposto da Li. Fr. Gi., rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ri., Ni. Za., Fa. Ga., Wa. Mi. e Fr. Li., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domiciliata ex lege in Milano, via (...); PER L'ESECUZIONE DEL GIUDICATO formatosi sulla sentenza n. 1453/2023 del Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, pubblicata in data 21.04.2023 e notificata il 29.6.2023. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione e del Merito; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2024 il dott. Giovanni Zucchini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.1. Il Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, con la sentenza in epigrafe ha condannato il Ministero dell'Istruzione e del Merito a corrispondere in favore della parte ricorrente, a titolo di carta docente per gli anni 2016/2017, 2017/2018, 2018/2019, 2019/2020, 2020/2021, 2021/2022 e 2022/2023, la somma complessiva di euro 3.500,00, oltre spese legali distratte a favore dei difensori antistatari. 1.2. La sentenza è passata in giudicato come risulta da attestazione ex art. 124 delle disposizioni di attuazione del c.p.c. ed è stata notificata in data 29.6.2023 (cfr. i documenti dal n. 1 al n. 3 della parte ricorrente). 1.3. L'Amministrazione non ha soddisfatto la pretesa recata dal titolo e la parte creditrice ha allora proposto il ricorso per ottemperanza in esame, con cui è stato chiesto a questo giudice di: a) ordinare al Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro-tempore, di conformarsi al giudicato di cui alla sentenza del Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, n. 1453/2023, e, quindi, ordinare alla medesima Amministrazione di corrispondere alla Prof.ssa Li. Fr. Gi. la somma complessiva di euro 3.500,00; b) nominare fin d'ora un commissario ad acta che, in caso di perdurante inottemperanza del Ministero, provveda in via sostitutiva, previa adozione di tutti i necessari atti contabili; c) condannare l'intimato al pagamento delle spese del presente giudizio oltre accessori di legge, con distrazione in favore dei sottoscritti patroni antistatari. 2.1. La pretesa fatta valere è sorretta da idonea documentazione, né è stata adeguatamente contrastata dall'Ente debitore e si fonda su titolo avente valore ed efficacia di giudicato nel giudizio di ottemperanza, ex art. 112, comma 2, lett. c), c.p.a. 2.2. Poiché, peraltro, il giudizio di ottemperanza non ha contenuto costitutivo, quanto al diritto di credito inadempiuto, ma ha soltanto la funzione di consentire il soddisfacimento di tale diritto, la cui esatta dimensione discende dal titolo, dalle ulteriori norme applicabili, e dagli eventuali adempimenti parziali, va riaffermato che l'entità delle somme qui richieste, così come calcolata da parte ricorrente, non è definitivamente vincolante per l'Amministrazione: e ciò, in particolare, per il capitale residuo e gli interessi, dei quali andrà comunque verificata l'esatta misura, quanto a misura e decorrenza, secondo i parametri costituiti dal titolo e dalla legge (artt. 1283 e ss. cod. civ.). 2.3. È comunque decorso il termine dilatorio di 120 giorni per il pagamento, di cui all'art. 14 del d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito dalla L. 28 febbraio 1997, n. 30, per il quale le Amministrazioni dello Stato, e gli enti pubblici non economici, dispongono, dalla notificazione del titolo esecutivo, di tale intervallo per eseguire i provvedimenti giurisdizionali che li obbligano al pagamento di somme di danaro, prima che possa essere avviata l'azione per il recupero coattivo. 3.1. Il ricorso per ottemperanza va dunque senz'altro accolto, dichiarando l'inottemperanza dell'Ente resistente, e assegnandogli un termine di sessanta giorni, decorrente dalla comunicazione, ovvero dalla notificazione della presente decisione, per il pagamento: 1) delle somme tutte indicate nel provvedimento giudiziale di cui si chiede l'ottemperanza, quali sopra esposte sub a), dedotti gli importi che fossero stati comunque versati, fermo che i conteggi degli interessi legali e di mora, prodotti dal creditore non sono vincolanti per l'Amministrazione resistente se non nei limiti di cui agli artt. 1282 segg. c.c. e delle ulteriori disposizioni di legge applicabili; 2) degli ulteriori accessori di legge, maturati in seguito, legittimamente richiesti e tuttora dovuti, nonché degli oneri di registrazione, delle spese di esame, di copia e di notificazione, per lo stesso provvedimento in quanto abbiano titolo in esso (cfr. T.A.R. Calabria - Reggio Calabria, 22 marzo 2016, n. 290); 3) degli interessi legali maturati dopo la presentazione del ricorso per ottemperanza in esame, negli stessi limiti di cui al precedente punto 1). 3.2. Nel caso d'inutile decorso del termine assegnato per l'ottemperanza, è sin d'ora nominato commissario ad acta il Direttore della "Direzione Generale per le risorse umane e finanziarie" presso il Ministero dell'Istruzione e del Merito: questi ne assumerà le funzioni solo qualora investito direttamente dal creditore con propria istanza, trascorso il termine assegnato all'Amministrazione per adempiere, e provvederà, entro i successivi centoventi giorni, all'esecuzione dell'incarico, determinando definitivamente l'importo ancora complessivamente dovuto e provvedendo quindi ad adottare quegli atti (variazioni di bilancio, stipulazione di mutui e prestiti, e quant'altro) necessari all'assolvimento del suo mandato, direttamente o, sotto la sua responsabilità, attraverso un funzionario delegato, anche avvalendosi, per quanto occorra, della struttura organizzativa regionale e coordinandosi con le strutture straordinarie, comunque denominate e a qualsiasi amministrazione appartenenti. L'attività demandata al commissario ad acta rientra nei compiti istituzionali di quest'ultimo, sicché non appare dovuto alcun compenso al commissario stesso. 4. Infine, quanto alle spese del presente giudizio di ottemperanza, non essendo controverso l'inadempimento al momento della presentazione del ricorso, l'Amministrazione resistente va condannata al pagamento delle spese di causa, negli importi liquidati in dispositivo, determinati anche tenendo conto che le controversie, in questa materia, richiedono attività minime e stereotipate. Le spese devono distrarsi a favore dei difensori avv.ti Fr. Li., Ni. Za., Gi. Ri., Wa. Mi. e Fa. Ga., dichiaratisi antistatari ai sensi dell'art. 93 del c.p.c. e degli articoli 26 e 39 del c.p.a. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto: a) dichiara l'inottemperanza del giudicato in epigrafe, ordinando all'Ente resistente di darvi esecuzione nei termini e nelle forme stabilite in motivazione; b) nomina, per il caso di perdurante inerzia, il commissario ad acta nella persona del dirigente indicato in motivazione; c) condanna l'Amministrazione resistente alla rifusione delle spese del presente giudizio, nell'importo di Euro 1.000,00 (mille/00) per compensi, oltre IVA, CPA, spese generali nella misura del 15% e onere del contributo unificato come per legge solo se dovuto nel presente giudizio (art. 13 comma 6bis.1 del DPR n. 115/2002), spese da distrarsi a favore degli avv.ti Fr. Li., Ni. Za., Gi. Ri., Wa. Mi. e Fa. Ga. dichiaratisi antistatari. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. 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