Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Puglia

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  • Il requisito attitudinale, distinto dall'idoneità psico-fisica, costituisce un elemento essenziale e imprescindibile per l'accesso e il mantenimento dell'impiego negli organi di polizia, in ragione della peculiarità delle funzioni esercitate, che richiedono doti non comuni di moderazione, senso di responsabilità, comprensione, giudizio e capacità di valutazione rapida delle circostanze. La sopravvenuta perdita del requisito attitudinale, a differenza della mera riduzione dell'idoneità psico-fisica, comporta la cessazione del rapporto di lavoro, non essendo prevista dalla legge la possibilità di un passaggio ad altri ruoli amministrativi che non richiedano tali specifici requisiti attitudinali. Tale disciplina, che non consente il transito in altri ruoli in caso di inidoneità attitudinale, non si pone in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., in quanto la perdita del requisito attitudinale è necessariamente "integrale", a differenza della mera riduzione dell'idoneità psico-fisica, e le situazioni di inidoneità attitudinale e psico-fisica non sono comparabili, costituendo doti individuali differenti.

  • Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: Il termine di decadenza per l'impugnazione di un provvedimento amministrativo decorre dalla notifica o dalla piena conoscenza dello stesso per i soggetti direttamente contemplati nell'atto, anche se l'atto è stato oggetto di pubblicazione. Inoltre, il giudicato amministrativo formatosi su una determinata questione, preclude la possibilità di una nuova pronuncia su di essa da parte del giudice amministrativo, in applicazione del principio del "ne bis in idem". Il giudicato penale, inoltre, non determina un vincolo assoluto per la Pubblica Amministrazione in ordine all'accertamento dei fatti amministrativamente rilevanti, essendo necessario un espresso provvedimento amministrativo di caducazione degli atti impugnati.

  • Il diritto di accesso agli atti amministrativi costituisce un principio generale dell'attività amministrativa, finalizzato a favorire la partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica e ad assicurare l'imparzialità e la trasparenza dell'azione amministrativa. Pertanto, sono accessibili, in linea di principio, tutti i documenti amministrativi detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale. Il diritto di accesso presuppone che colui che lo esercita sia portatore di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso, e che l'accesso non sia preordinato ad esercitare un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni. Ai fini dell'esibizione di atti amministrativi, è sufficiente che l'accesso abbia funzione strumentale e propedeutica alla tutela, da esperirsi in qualunque sede e con qualunque mezzo, di situazioni anche diverse da quelle di diritto soggettivo o di interesse legittimo, ma tali da comportare ripercussioni positive o negative nella sfera giuridica dell'istante. Il silenzio-rifiuto opposto dalla pubblica amministrazione alla richiesta di accesso a documenti amministrativi formulata dal cittadino ai sensi degli artt. 22, 24 e 25 della legge n. 241 del 1990 è illegittimo, salvo che non sussistano ragioni di riservatezza opponibili all'istante.

  • Il sopravvenuto difetto di interesse della parte ricorrente comporta la declaratoria di improcedibilità del ricorso amministrativo, con compensazione delle spese processuali. Il Tribunale Amministrativo Regionale, nell'esercizio della propria giurisdizione, è tenuto a verificare la permanenza dell'interesse della parte ricorrente all'azione, in ogni stato e grado del giudizio, anche d'ufficio. Qualora tale interesse venga meno per fatti sopravvenuti, il giudice è obbligato a dichiarare l'improcedibilità del ricorso, senza entrare nel merito della controversia. La compensazione delle spese processuali rappresenta una facoltà del giudice, esercitabile in presenza di giusti motivi, quali la particolare complessità della vicenda o l'incertezza delle questioni trattate. Il principio di economia processuale impone al giudice amministrativo di definire il giudizio nel modo più rapido ed efficiente possibile, evitando di pronunciarsi su questioni divenute prive di utilità pratica per le parti.

  • La retrocessione parziale di beni espropriati per pubblica utilità è legittima solo se l'amministrazione ne abbia previamente acquisito la proprietà mediante decreto di esproprio o cessione volontaria del privato, e qualora i beni risultino inservibili alla realizzazione dell'opera pubblica. In assenza di tali presupposti, la retrocessione disposta dall'amministrazione comunale in difetto di un valido titolo ablatorio e senza accertare l'inservibilità dei terreni, integra una violazione delle norme che disciplinano l'istituto della retrocessione parziale di cui agli artt. 47 e 48 del d.P.R. n. 327/2001. Inoltre, la domanda di indennizzo ai sensi dell'art. 42-bis del medesimo decreto, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario e non di quello amministrativo.

  • Il diritto ai sei scatti stipendiali ai fini del trattamento di fine servizio (TFS) spetta al personale delle forze di polizia, sia ad ordinamento civile che militare, che abbia maturato il requisito anagrafico di 55 anni di età e 35 anni di servizio utile, a prescindere dalla causa di cessazione dal servizio, essendo tale beneficio riconosciuto dalla legge anche in caso di collocamento a riposo su domanda dell'interessato. Il rispetto del termine del 30 giugno per la presentazione della domanda di collocamento in quiescenza non costituisce un requisito decadenziale, ma è funzionale solo a consentire la decorrenza del trattamento pensionistico dal 1° gennaio dell'anno successivo. Pertanto, il diritto al beneficio dei sei scatti stipendiali ai fini del calcolo del TFS deve essere riconosciuto anche al personale cessato dal servizio a domanda, purché in possesso dei requisiti di età e anzianità contributiva previsti dalla normativa, con conseguente obbligo per l'amministrazione di procedere alla rideterminazione dell'indennità di buonuscita, mediante l'inclusione nella relativa base di calcolo, dei sei scatti stipendiali contemplati dalla disposizione citata. Sulle somme dovute a tale titolo spettano esclusivamente gli interessi, senza cumulo con la rivalutazione monetaria, in quanto espressamente vietata dalla legge.

  • La revoca della licenza di porto di fucile per uso tiro a volo non può fondarsi sulla sola denuncia per maltrattamenti in famiglia, in assenza di una valutazione complessiva della personalità del titolare e di ulteriori elementi pregiudizievoli, essendo necessario accertare concretamente la mancanza del requisito dell'assoluta affidabilità all'uso delle armi. L'Autorità di pubblica sicurezza, prima di adottare un provvedimento di revoca, deve svolgere un'adeguata istruttoria volta a valutare la personalità del soggetto nella sua interezza, considerando anche le sue osservazioni e la possibilità di acquisire informazioni da altre fonti, al fine di verificare se effettivamente sia venuto meno il requisito dell'affidabilità, non essendo sufficiente la mera denuncia di reato, specie se non seguita da iscrizione nel registro degli indagati o da provvedimenti dell'autorità giudiziaria. Il provvedimento di revoca adottato in assenza di tale approfondita valutazione della complessiva personalità del titolare della licenza è pertanto illegittimo per difetto di istruttoria e di motivazione.

  • Il provvedimento amministrativo di annullamento in autotutela di un titolo abilitativo formatosi per silenzio-assenso deve essere sorretto da una adeguata motivazione che dia conto in modo puntuale e congruo dei presupposti di fatto e di diritto che lo giustificano, senza potersi fondare su meri rilievi di carattere estetico-paesaggistico o su generiche valutazioni di incompatibilità con il contesto urbanistico circostante, in assenza di specifiche e comprovate ragioni di tutela di interessi pubblici prevalenti. Inoltre, l'Amministrazione è tenuta a verificare con diligenza la sussistenza dei presupposti di legge per l'esercizio del potere di autotutela, non potendo fondare il provvedimento annullatorio su elementi istruttori carenti o contraddittori, né su profili di illegittimità meramente ipotizzati o non adeguatamente riscontrati. In particolare, il mero richiamo a previsioni regolamentari che vietano l'installazione di impianti in determinate aree "sensibili" non è sufficiente, ove non siano puntualmente individuate e dimostrate le concrete ragioni di incompatibilità dell'intervento con le caratteristiche del contesto urbanistico ed edilizio circostante. Parimenti, la valutazione dell'impatto visivo dell'opera deve essere condotta in modo approfondito e congruo, senza potersi fondare su mere presunzioni o su elementi istruttori lacunosi. Infine, l'Amministrazione è tenuta a verificare con diligenza la sussistenza dei presupposti di legge per l'esercizio del potere di autotutela, non potendo fondare il provvedimento annullatorio su profili di illegittimità meramente ipotizzati o non adeguatamente riscontrati.

  • Il provvedimento di revoca della licenza ex art. 134 T.U.L.P.S. rilasciata all'istituto investigativo privato è legittimo quando l'attività svolta dal titolare della licenza abbia dimostrato un grave e reiterato abuso del titolo autorizzatorio, in violazione delle prescrizioni di polizia, anche nonostante l'efficacia di un precedente provvedimento di sospensione della licenza, accertato con sentenza passata in giudicato. L'Amministrazione prefettizia, nell'ambito del suo ampio potere discrezionale in materia di pubblica sicurezza e ordine pubblico, può legittimamente revocare la licenza di polizia quando il titolare non offra il necessario affidamento in ordine al corretto uso della stessa, in presenza di gravi e reiterate violazioni, anche in assenza di condanne penali, in quanto la buona condotta dell'autorizzando deve essere accertata secondo un criterio particolarmente rigoroso, data la delicatezza dei compiti affidati. La revoca, in tali casi, non costituisce un riesame del potere pubblico ai sensi degli artt. 3 e 21-quinquies della L. n. 241/1990, ma un provvedimento amministrativo di carattere sanzionatorio, legittimamente adottato in presenza di gravi e reiterate violazioni delle prescrizioni di polizia, senza che l'Amministrazione sia tenuta a confutare puntualmente ogni singolo rilievo difensivo, essendo sufficiente che nella motivazione si dia conto di aver tenuto in considerazione le osservazioni dell'interessato e di averne esposto sinteticamente le ragioni del loro superamento.

  • Il possesso di un titolo di studio superiore rispetto a quello minimo richiesto per la partecipazione a un concorso pubblico deve essere adeguatamente valorizzato nella valutazione dei titoli, in ossequio ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, in quanto espressione della maggiore preparazione e qualificazione professionale del candidato. Pertanto, l'esclusione della valutazione di tale titolo superiore, prevista dal bando di concorso, è illegittima in quanto irragionevole e contraria ai suddetti principi generali dell'ordinamento. Al contrario, l'attribuzione di un punteggio aggiuntivo per il possesso di un titolo di studio superiore rispetto a quello minimo richiesto, pur non essendo obbligatoria, rappresenta una scelta ragionevole e proporzionata, in grado di valorizzare adeguatamente il maggior livello di preparazione del candidato. Diversamente, la mancata attribuzione di un punteggio aggiuntivo per il possesso di una abilitazione professionale, ove questa non risulti strettamente attinente al profilo professionale oggetto del concorso, non costituisce una previsione irragionevole, in quanto la diversa natura del titolo (professionale anziché di studio) giustifica un trattamento differenziato nella valutazione dei titoli.

  • Il Regolamento comunale che prevede il divieto per il concessionario di occupazione di suolo pubblico di esercitare più attività di somministrazione, imponendogli di optare per una sola attività, è illegittimo per irragionevolezza, sproporzione e discriminatorietà, in quanto comporta una ingiustificata compressione della libertà di iniziativa economica del privato, senza perseguire effettivamente finalità di interesse generale. Il limite soggettivo previsto dalla norma regolamentare non è idoneo né necessario al perseguimento di interessi pubblici, determinando un eccessivo sacrificio della libertà di concorrenza del concessionario titolare di più attività di somministrazione, in assenza di un adeguato bilanciamento con gli interessi antagonisti. L'annullamento di tale disposizione regolamentare comporta la caducazione degli atti amministrativi applicativi che ne derivano, in quanto illegittimi per illegittimità derivata. Il Giudice amministrativo, accertata l'illegittimità dei provvedimenti impugnati, può altresì dichiarare, ai sensi dell'art. 34, comma 3, c.p.a., l'illegittimità degli stessi al fine di consentire alla parte ricorrente di agire in sede risarcitoria.

  • Il diritto di accesso agli atti amministrativi non comprende la facoltà di richiedere informazioni o dati non contenuti in documenti detenuti dall'amministrazione, salvo casi eccezionali previsti dalla legge. L'amministrazione non è tenuta a comunicare i dati anagrafici dei propri dipendenti, in quanto ciò comporterebbe la violazione della normativa sulla tutela dei dati personali. Il diritto di accesso è finalizzato esclusivamente alla visione e all'estrazione di copia dei documenti amministrativi, senza poter pretendere l'elaborazione o la comunicazione di informazioni non già formalizzate in atti. L'amministrazione può legittimamente rifiutare l'accesso a dati personali dei propri dipendenti, in assenza di specifiche previsioni normative che ne impongano la divulgazione, al fine di salvaguardare il diritto alla riservatezza dei lavoratori. Il principio di trasparenza amministrativa non può prevalere incondizionatamente sulle esigenze di tutela della privacy, dovendo essere contemperato con il rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali.

  • La violazione delle prescrizioni minime stabilite nella lex specialis di gara, con particolare riferimento all'impiego di un numero di unità lavorative inferiore a quello inderogabilmente richiesto per l'espletamento dei servizi oggetto di affidamento, comporta la doverosa esclusione dell'operatore economico dalla procedura concorsuale, in quanto la mancata osservanza di tali requisiti minimi, posti a tutela dell'interesse pubblico sotteso all'appalto, determina l'inidoneità dell'offerta tecnica presentata e, conseguentemente, l'impossibilità di una sua valida valutazione. Il rispetto delle caratteristiche minime stabilite nel progetto posto a base di gara, incluse le specifiche tecniche e le clausole contrattuali relative al dimensionamento del personale necessario, costituisce, infatti, un requisito essenziale e inderogabile per la partecipazione alla procedura, la cui inosservanza determina l'automatica esclusione del concorrente, senza che l'Amministrazione possa in alcun modo procedere ad una valutazione discrezionale della sua offerta. La mancata corrispondenza dell'offerta tecnica alle prescrizioni minime della lex specialis, pertanto, preclude in radice la possibilità di una valutazione comparativa delle proposte presentate, imponendo all'Amministrazione l'obbligo di escludere il concorrente inadempiente, a tutela dell'interesse pubblico sotteso all'appalto e del principio di parità di trattamento tra i partecipanti.

  • Le opere pubbliche o di pubblica utilità possono essere realizzate in deroga alle prescrizioni previste dal Titolo VI delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale, purché in sede di autorizzazione paesaggistica o di accertamento di compatibilità paesaggistica si verifichi che dette opere siano comunque compatibili con gli obiettivi di qualità paesaggistica e non abbiano alternative localizzative e/o progettuali. Il rilascio del provvedimento di deroga è sempre di competenza della Regione, la quale deve motivare adeguatamente in ordine alla sussistenza dei requisiti di pubblica utilità dell'opera e all'assenza di soluzioni alternative, senza che sia necessaria una formale dichiarazione di pubblica utilità, essendo sufficiente che emerga l'obiettiva natura di pubblico interesse dell'intervento nel corso del procedimento. L'approvazione del progetto da parte della Regione o dell'ente delegato, ai sensi dell'art. 6, comma 14, del d.lgs. n. 152/2006, costituisce anche autorizzazione alla realizzazione o alla modifica dell'impianto e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori.

  • Il possesso di una laurea di vecchio ordinamento, equipollente a quella richiesta dal bando di concorso per l'accesso, deve essere valutato dalla commissione esaminatrice come titolo di studio "ulteriore" rispetto a quello utilizzato per l'ammissione, con conseguente attribuzione del relativo punteggio aggiuntivo previsto dal bando, in quanto la differenza sostanziale tra laurea di vecchio ordinamento e laurea triennale impone all'amministrazione di considerare la prima come titolo superiore alla seconda, in ossequio ai principi di ragionevolezza e di parità di trattamento. Ciò anche in assenza di una espressa previsione in tal senso nel bando di concorso, atteso che l'interpretazione restrittiva di quest'ultimo non può prevalere sulle superiori esigenze di tutela del candidato in possesso di un titolo di studio più elevato.

  • L'autorizzazione paesaggistica costituisce un atto autonomo rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio, in quanto i due atti di assenso, quello paesaggistico e quello edilizio, operano su piani diversi, essendo posti a tutela di interessi pubblici diversi, seppur parzialmente coincidenti. Ne consegue che il parametro di riferimento per la valutazione dell'aspetto paesaggistico non coincide con la disciplina urbanistico-edilizia, ma si individua nella specifica disciplina dettata per il vincolo paesaggistico, poiché la valutazione di compatibilità paesaggistica è connaturata all'esistenza del vincolo paesaggistico ed è autonoma dalla pianificazione edilizia. Pertanto, il diniego di autorizzazione paesaggistica non può limitarsi ad esprimere valutazioni apodittiche e stereotipate, ma deve contenere una puntuale esternazione delle ragioni tecnico-giuridiche che costituiscono il complesso impeditivo alla realizzazione dell'opera, con riferimento alla descrizione dell'edificio e del progetto, del contesto paesaggistico in cui esso si colloca e del rapporto tra edificio e contesto, teso a stabilire se esso si inserisca in maniera armonica nel paesaggio. Il diniego di autorizzazione paesaggistica, inoltre, deve esplicitare i motivi del contrasto tra le opere da realizzarsi e le ragioni di tutela dell'area interessata dall'apposizione del vincolo, senza limitarsi al mero richiamo della normativa paesaggistica di settore.

  • Il creditore che agisce per l'ottemperanza di un decreto ingiuntivo deve dimostrare la propria regolarità fiscale, in assenza della quale il debitore pubblico è legittimato a sospendere il pagamento e a effettuare le necessarie verifiche, senza che ciò integri un inadempimento imputabile al debitore. Il creditore ha l'onere di collaborare lealmente con l'amministrazione, comunicando tempestivamente l'esistenza di debiti tributari che impediscono il pagamento diretto in suo favore, in quanto il mancato assolvimento di tale dovere di collaborazione e trasparenza determina la soccombenza virtuale del creditore nell'azione di ottemperanza, con conseguente condanna alle spese processuali.

  • La realizzazione di opere edilizie senza il previo rilascio del necessario titolo abilitativo, in assenza di prova certa circa la loro anteriorità rispetto all'entrata in vigore della legge urbanistica del 1942, integra un'ipotesi di abusivismo edilizio, legittimando l'Amministrazione comunale all'adozione dei provvedimenti sanzionatori di demolizione e di revoca dell'autorizzazione commerciale, in quanto il nesso di presupposizione tra attività urbanistica e attività commerciale impone il venir meno di quest'ultima in caso di accertata irregolarità edilizia. L'onere di provare la legittimità urbanistica del manufatto grava sul privato, il quale deve fornire inconfutabili elementi di prova oggettivi, non essendo sufficiente il mero riferimento a dichiarazioni di terzi o a presunte pratiche edilizie pregresse. In assenza di un atto formale di perimetrazione, la nozione di centro abitato, ai fini dell'applicazione della disciplina urbanistica, deve intendersi quale nozione di mero fatto, individuata sulla base di elementi oggettivi, quali la presenza di un aggregato di case continue e vicine, anche distante dal centro urbano. Il mancato esercizio del potere di riesame da parte dell'Amministrazione comunale non integra una violazione delle garanzie partecipative, atteso che l'adozione dei provvedimenti sanzionatori costituisce legittimo esercizio del potere di autotutela in conseguenza dell'accertata irregolarità urbanistica.

  • Il riconoscimento del maggior punteggio per il titolo universitario e l'abilitazione professionale attinenti al profilo messo a concorso costituisce un diritto del candidato, la cui mancata attribuzione da parte della commissione esaminatrice determina l'illegittimità della graduatoria finale. La valutazione dei titoli di studio e professionali deve essere effettuata dalla commissione in conformità ai criteri predefiniti nel bando di concorso, nel rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e parità di trattamento. L'accertamento del diritto del candidato all'attribuzione del punteggio aggiuntivo e la conseguente rettifica della graduatoria rappresentano misure idonee al soddisfacimento della pretesa, da adottarsi in forma specifica dall'amministrazione competente.

  • La massima giuridica che può essere estratta dalla sentenza è la seguente: L'art. 104 delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale (PPTR) della Regione Puglia conferisce ai privati la facoltà di presentare istanza di rettifica della perimetrazione degli Ulteriori Contesti Paesaggistici (UCP), anche al fine di far rilevare un errore nell'originaria delimitazione effettuata in sede di approvazione del piano paesaggistico. L'amministrazione regionale, nel valutare tali istanze, non può limitarsi a una mera declaratoria di irricevibilità, ma deve procedere ad un'adeguata istruttoria, confrontandosi con le specifiche argomentazioni tecniche addotte dal richiedente e acquisendo il parere del competente ufficio tecnico comunale, come previsto dalla delibera della Giunta regionale n. 248 del 15 febbraio 2021. Il provvedimento di irricevibilità adottato senza il rispetto di tali prescrizioni procedimentali risulta pertanto illegittimo per violazione di legge ed eccesso di potere.

  • La revoca di agevolazioni finanziarie pubbliche concesse a seguito di irregolarità nell'esecuzione degli investimenti da parte del beneficiario, quali abusi edilizi, fatture per operazioni inesistenti e mancato completamento degli investimenti nei termini previsti, configura un'ipotesi di autotutela privatistica dell'Amministrazione, che fa valere le conseguenze derivanti dall'inadempimento del privato alle obbligazioni assunte per ottenere il finanziamento. In tali casi, la giurisdizione sulla controversia relativa alla revoca spetta al Giudice Ordinario, in quanto attinente a diritti soggettivi perfetti, e non al Giudice Amministrativo. L'Amministrazione, infatti, non esercita il proprio potere di autotutela pubblicistica, ma fa valere il proprio diritto di credito derivante dall'inadempimento del beneficiario, in un rapporto ormai paritetico. Pertanto, le contestazioni che investono l'esercizio di tale forma di autotutela privatistica, avendo consistenza di diritto soggettivo, sono sottratte alla giurisdizione del Giudice Amministrativo e sono devolute a quella del Giudice Ordinario.

  • Il diniego di concessione della cittadinanza italiana "iure matrimonii" ai sensi dell'art. 5 della Legge n. 91/1992 configura una questione relativa all'accertamento di un diritto soggettivo, la cui cognizione spetta al Giudice Ordinario e non al Giudice Amministrativo. Infatti, il riconoscimento della cittadinanza in tale ipotesi non costituisce una concessione discrezionale dell'Amministrazione, ma un diritto soggettivo dell'interessato, la cui sussistenza dei presupposti di legge deve essere accertata dall'Autorità competente con atti a carattere meramente dichiarativo e non costitutivo. Pertanto, il sindacato giurisdizionale sul diniego di conferimento della cittadinanza italiana "iure matrimonii" esula dalla competenza del Giudice Amministrativo, essendo devoluto alla cognizione del Giudice Ordinario, non rientrando tale materia nella giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo. Il Giudice Amministrativo, rilevato d'ufficio il difetto di giurisdizione, deve dichiarare l'inammissibilità del ricorso, con conseguente possibilità per la parte ricorrente di riassumere il giudizio innanzi al Giudice Ordinario nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di inammissibilità.

  • Il Tribunale Amministrativo Regionale, nel valutare la legittimità di un provvedimento comunale che ha disposto il divieto di svolgimento di cortei funebri a piedi su tutto il territorio comunale, afferma che l'Amministrazione ha operato un adeguato contemperamento tra i contrapposti interessi in gioco, limitando le modalità di esecuzione del rito funebre al fine di garantire l'agevole percorrenza veicolare e la sicurezza dei pedoni, senza compromettere significativamente le esigenze di celebrazione del rito stesso. Tale divieto trova, inoltre, specifica fonte normativa nell'art. 190 del Codice della Strada, che disciplina il comportamento pedonale. Pertanto, il provvedimento impugnato non può essere considerato irragionevole, in quanto l'Amministrazione ha operato un corretto bilanciamento tra i diversi interessi pubblici e privati coinvolti.

  • Il Questore può disporre il divieto di accesso agli impianti sportivi (D.A.SPO.) nei confronti di coloro che risultino denunciati per aver preso parte attiva a episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, anche in assenza di condanna penale, in quanto tale provvedimento amministrativo è finalizzato a prevenire il pericolo di ulteriori condotte violente e disordini negli eventi sportivi, nel rispetto del principio di proporzionalità e senza pregiudicare la libertà di circolazione del soggetto destinatario, il quale può comunque accedere alle zone circostanti gli impianti sportivi, salvo diversa e specifica limitazione. Il D.A.SPO. può essere disposto anche nei confronti di soggetti già destinatari di precedenti provvedimenti analoghi, in considerazione della reiterazione di comportamenti violenti in ambito sportivo, senza che ciò integri un'indebita duplicazione sanzionatoria. Tuttavia, il provvedimento deve essere adeguatamente motivato in relazione alla sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto che lo giustificano, nel rispetto del principio di tipicità e legalità degli atti amministrativi. Inoltre, il destinatario del D.A.SPO. può in ogni momento far valere la cessazione del proprio interesse all'annullamento del provvedimento, determinando così l'improcedibilità del relativo ricorso giurisdizionale.

  • Il diritto alla revisione dei prezzi contrattuali, ai sensi dell'art. 6 della legge n. 537/1993, in materia di contratti ad esecuzione periodica o continuativa, costituisce un debito di valuta che produce interessi di mora per il ritardato pagamento, a decorrere dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento e fino all'effettivo soddisfo. La clausola contrattuale che prevede una franchigia del 10% sull'importo delle variazioni in aumento è nulla, in quanto configura un'alea contrattuale ai sensi dell'art. 1664 c.c. Pertanto, l'amministrazione è tenuta a procedere alla revisione dei prezzi contrattuali senza applicare la predetta franchigia, determinando il quantum debeatur sulla base della variazione percentuale calcolata dall'amministrazione stessa, con l'obbligo di corrispondere gli interessi di mora sulla somma così rideterminata. L'avvio della procedura di riequilibrio finanziario pluriennale da parte dell'ente locale, ai sensi dell'art. 243-bis del d.lgs. n. 267/2000, comporta la sospensione delle procedure esecutive intraprese nei confronti dell'ente, fino all'approvazione o al diniego di approvazione del piano di riequilibrio da parte della Corte dei conti competente. Tuttavia, una volta intervenuta l'approvazione definitiva del piano di riequilibrio finanziario pluriennale, viene meno il divieto di intraprendere procedure esecutive, consentendo all'amministrazione di adempiere alla sentenza di condanna al pagamento della revisione dei prezzi. In tale contesto, l'amministrazione è tenuta a provvedere al riconoscimento del debito fuori bilancio, nel rispetto dei vincoli del vigente ordinamento contabile e delle disponibilità finanziarie annue, previa eventuale definizione transattiva della vertenza, ove compatibile con il piano di riequilibrio approvato.

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