Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Toscana

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA 1. sul ricorso numero di registro generale 1017 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro - Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, anche domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); - Questura di Perugia, non costituita in giudizio; 2. sul ricorso numero di registro generale 30 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Fo., El. Ma. e An. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, Questura di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, anche domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); nei confronti -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per l'annullamento 1. quanto al ricorso n. 1017 del 2023: per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - del decreto della Prefettura di Perugia - Ufficio Territoriale del Governo prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, Area I - Ordine e Sicurezza Pubblica e Tutela della Legalità Territoriale, notificato il -OMISSIS-, con il quale "è fatto divieto (al ricorrente) di detenere le armi e le munizioni in suo possesso, che dovranno essere ritirate dal Comando Stazione Carabinieri di -OMISSIS-, unitamente alla licenza di porto di fucile di cui il predetto è titolare, all'atto della notifica del presente decreto. Si ingiunge al predetto di cedere le stesse a persona non convivente entro e non oltre il termine di 150 giorni dalla data di notifica del presente decreto, ammonendolo che, scaduto tale termine, se inadempiente, le armi e le munizioni si intenderanno confiscate e saranno versate, a cura della Stazione Carabinieri di -OMISSIS- e in assenza di ulteriori comunicazioni da parte di questa Prefettura, alla competente Direzione Artiglieria, ai sensi e per gli effetti dell'art. 6 della Legge 22.5.1975, n. 152", con ogni riconnessa sanzione e/o conseguenza pregiudizievole; - nonché di ogni altro atto o provvedimento connesso, presupposto e/o consequenziale, anche allo stato non conosciuto ove lesivo degli interessi del ricorrente, ivi inclusa la nota della Stazione Carabinieri di -OMISSIS- n. -OMISSIS--1 del -OMISSIS-; per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 16/2/2024: - del decreto prot. n. -OMISSIS-, emesso in data -OMISSIS-, notificato il -OMISSIS-, con il quale il Questore di Perugia ha revocato al ricorrente il porto d'armi ad uso venatorio n. -OMISSIS- per quanto riguarda gli ulteriori motivi aggiunti presentati il 19/4/2024: del decreto della Prefettura di Perugia n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, notificato il -OMISSIS-, con il quale è stato definito il procedimento amministrativo avviato in esecuzione dell'Ordinanza del TAR Umbria n. -OMISSIS- e confermato il precedente provvedimento n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, con il quale è stato fatto divieto al ricorrente di detenere armi e munizioni. 2. quanto al ricorso n. 30 del 2024: - del decreto nr. -OMISSIS- del -OMISSIS- della Prefettura di Perugia - Ufficio Territoriale del Governo, notificato in pari data, con il quale è stato "fatto divieto al (ricorrente) di detenere le armi e le munizioni in suo possesso"; - del decreto prot. nr. -OMISSIS- emesso in data -OMISSIS- dal Questore della Provincia di Perugia e notificato il -OMISSIS-, con il quale è stata revocata la licenza di porto d'armi uso venatorio n. -OMISSIS-, rilasciata al (ricorrente) il -OMISSIS- dal Commissariato di P.S. di -OMISSIS-; di ogni altro atto presupposto, connesso, consequenziale o comunque collegato. Visti i ricorsi i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Perugia e Questura di Perugia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024 il dott. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. All'origine delle cause in esame vi è la conflittualità esistente tra gli odierni ricorrenti, padre e figlio, residenti in appartamenti ubicati in piani diversi dello stesso stabile. 1.1. In particolare, in data -OMISSIS-, si è verificata tra i due un'accesa lite (con minacce da parte del figlio) all'interno della stazione dei Carabinieri di -OMISSIS-; venti giorni prima, a dire del padre, il figlio lo aveva aggredito fisicamente, causandogli un ematoma all'addome. 1.2. Secondo quanto riferito nel rapporto redatto dai Carabinieri in quell'occasione (e non confutato, sotto il profilo fattuale, dagli interessati, salvo quanto appresso specificato), il figlio rimprovera al padre di intrattenere una relazione sentimentale, di aver trascurato ed offeso la madre, da cui è separato, malgrado sia affetta da una grave malattia che richiede assistenza quotidiana, e di aver sperperato il patrimonio di famiglia; mentre il padre, lamenta che il figlio non perda occasione per insultarlo ed abbia un carattere aggressivo. 1.3. Ciò ha indotto l'UTG di Perugia a disporre, nei loro confronti, mediante distinti provvedimenti in data -OMISSIS-, il divieto di detenzione di armi e munizioni, in applicazione dell'art. 39, del TULPS; e, conseguentemente, il Questore di Perugia a revocare, mediante distinti provvedimenti in data -OMISSIS-, le licenze di porto d'armi ad uso venatorio da essi possedute. 1.4. Nei provvedimenti di divieto si sottolinea che le armi di entrambi sono custodite all'interno di un caveau, ubicato nel sottoscala dell'edificio; e si afferma, in sintesi, che "La richiamata situazione di conflittualità famigliare, tenuto conto della sua attualità e gravità, risulta del tutto incompatibile con una sicura detenzione delle armi da parte di tutti i soggetti coinvolti" (nel provvedimento riguardante il figlio, viene sottolineata anche "un'insufficiente capacità di controllo dei propri impulsi ed emozioni"). 2. Il primo dei ricorsi in esame (NRG -OMISSIS-) è stato proposto dal padre nei confronti del provvedimento di divieto. 2.1. Il ricorrente ha lamentato, in sostanza: la mancanza dei presupposti richiesti dall'art. 39, in combinato disposto con l'art. 11, del TULPS, in ragione dell'omessa considerazione della sua situazione personale complessiva (ha la licenza di caccia da cinquant'anni e non ha mai dato adito a rilievi negativi); il travisamento dei fatti (essendo l'accaduto, ed in particolare l'atteggiamento violento, interamente addebitabili al figlio, abitando i due in diverse unità immobiliari ed essendo le armi custodite in un caveau di cui il ricorrente ha la esclusiva disponibilità ); l'ingiustificata omissione della partecipazione procedimentale. In conclusione, i provvedimenti risulterebbero sproporzionati, impedendo al ricorrente di svolgere la propria attività lavorativa (è -OMISSIS- di un'azienda agrituristico-venatoria). 2.2. Questo Tribunale ha esaminato il ricorso in sede cautelare, accogliendo con ordinanza n. -OMISSIS- la domanda di sospensiva, ai soli fini del riesame. 2.3. Con motivi aggiunti, il ricorrente ha poi impugnato il provvedimento di revoca, riproponendo, oltre a censure di invalidità derivata, quelle dedotte con il ricorso introduttivo. 2.4. L'UTG di Perugia ha eseguito il riesame, adottando in data -OMISSIS- un provvedimento che conferma il divieto di detenzione, sulla base di una motivazione più argomentata, che prende in considerazione (oltre all'esistenza di alcune denunce pregresse nei confronti del ricorrente, laddove nel primo divieto risultava indicata solo la pendenza di un procedimento penale per -OMISSIS-): - la situazione di conflittualità famigliare, e sottolinea, in particolare, come "la circostanza di risiedere nel medesimo immobile favorisce di per sé la possibilità di frequenti incontri tra i predetti, che potrebbero costituire occasione di ulteriori, gravi alterchi; (...) pur non risultando imputabili al (ricorrente per motivi aggiunti) i comportamenti aggressivi verificatisi in ambito familiare, la detenzione di armi da parte del predetto appare comunque inopportuna. Non può, infatti, escludersi, sulla base di un giudizio prognostico, il pericolo di abuso delle stesse, sia da parte del medesimo (...) a seguito di reazioni inconsulte che potrebbero derivare da ulteriori accesi alterchi con il figlio (...), sia da parte di quest'ultimo, il quale potrebbe impossessarsi delle armi del genitore custodite nel caveau (ad uso promiscuo) di famiglia"; - l'incidenza del divieto sull'attività lavorativa, sottolineando che non preclude il mantenimento dell'incarico di -OMISSIS- dell'azienda agrituristica venatoria, potendo la vigilanza durante le battute di caccia essere delegata a guardiacaccia, di cui l'azienda dispone. 2.5. Il ricorrente lo ha impugnato mediante ulteriori motivi aggiunti, sostenendo il carattere meramente confermativo del provvedimento, e comunque riproponendo, con argomentazioni più articolate, le censure sostanzialmente già dedotte. In particolare, ha stigmatizzato che non sia stata adeguatamente considerata la motivazione del remand, in cui era stata sottolineata la possibilità "che la doverosa cautela nel rilascio (mantenimento) dei titoli autorizzativi relativi alle armi venga assicurata mediante strumenti diversi dal divieto di detenzione nei confronti del ricorrente", ed ha ribadito le caratteristiche di sicurezza ed accesso controllato del caveau dove sono custodite le armi. 3. Il secondo ricorso (NRG n. -OMISSIS-) è stato proposto dal figlio avverso entrambi i provvedimenti che lo riguardano, il quale ha lamentato, in sostanza, l'ingiustificata omissione della partecipazione procedimentale, la mancanza dei presupposti richiesti dagli artt. 11, 39 e 43 del TULPS, il travisamento dei fatti. 3.1. Il giudizio di inaffidabilità non sarebbe supportato da un'adeguata istruttoria e motivazione, anche considerato che si è trattato di uno semplice "sfogo tra padre e figlio", senza alcun episodio di violenza (l'episodio dell'aggressione riferito dal padre sarebbe "del tutto indimostrato e privo di qualsiasi riscontro oggettivo") e senza che sia stata presa in esame la complessiva personalità e condotta di vita del ricorrente. 3.2. Il divieto difetta comunque di proporzionalità ; l'accaduto avrebbe ben potuto ed anzi dovuto indurre l'Amministrazione a disporre, in via cautelativa, la sospensione temporanea della licenza, in applicazione dell'art. 10 del TULPS, in considerazione dei rilevanti profili di incertezza e indeterminatezza che connotano la vicenda, tali da non permettere un'attendibile valutazione sulla pericolosità e non affidabilità del ricorrente. 3.3. Anche il secondo ricorrente sottolinea il pregiudizio alla propria attività lavorativa di -OMISSIS- di sistemi di sicurezza, compresi quelli di puntamento delle armi. 4. In entrambi i giudizi, l'Amministrazione si è costituita ed ha controdedotto puntualmente, ribadendo che la condotta dei ricorrenti e la situazione in cui si trovano giustificava l'adozione del divieto, e chiedendo il rigetto dei ricorsi. 5. Le parti hanno depositato memorie e repliche, puntualizzando le rispettive difese. 6. I ricorsi possono essere riuniti, risultando evidente la loro connessione oggettiva e soggettiva. 7. Occorre anzitutto precisare che il provvedimento adottato in esecuzione della misura cautelare di riesame (NRG -OMISSIS-) non ha carattere meramente confermativo, come sostiene il ricorrente, bensì confermativo in senso proprio, risultando l'esito di un approfondimento degli elementi rilevanti, supportato da una più estesa motivazione. 8. Il Collegio sottolinea poi che, a seguito dei depositi documentali in corso di giudizio, non è più in discussione l'incidenza negativa concreta del divieto sullo svolgimento delle attività lavorative dei ricorrenti. Peraltro, risulta anche accertato che tale incidenza investe solo una parte delle attività potenzialmente ricomprese nei rispettivi incarichi professionali, e sarebbe in qualche modo ovviabile (anche se, è presumibile, ciò comporterebbe oneri o svantaggi). 9. Le acquisizioni processuali hanno anche consentito di accertare che le armi erano e sono custodite in un caveau situato al piano terra dell'immobile in cui entrambi i ricorrenti (ancorché in distinte unità immobiliari) risiedono, le cui chiavi sono attualmente detenute da un altro figlio, estraneo (così come un terzo figlio) alla conflittualità in questione. 10. Occorre a questo punto ricordare, sul piano dei principi, che, secondo la giurisprudenza consolidata (cfr., di recente e riassuntivamente, Cons. Stato, III, n. 358-OMISSIS- e n. 923/2023; TAR Umbria, n. 655/2023; vedi anche, idem, n. -OMISSIS-): - il potere di rilasciare le licenze in materia di armi costituisce una deroga al divieto sancito dall'art. 699 c.p. e dall'art. 4, comma 1, legge 110/1975; la regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l'autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell'Autorità di pubblica sicurezza prevenire; - infatti, la Corte Costituzionale ha sottolineato, sin dalla sentenza n. 440/1993, che "il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, una eccezione al normale divieto di portare le armi, che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse" e che "dalla eccezionale permissività del porto d'armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell'autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli e situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti"; cosicché "deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell'ambito di bilanciamenti che - entro il limite della non manifesta irragionevolezza - mirino a contemperare l'interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d'armi per motivi giudicati leciti dall'ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l'incolumità pubblica: beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi" (sent. n. 109/2019); - la giurisprudenza amministrativa, nel solco dei principi affermati dalla Corte Costituzionale, è consolidata nel ritenere che il porto d'armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un'eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l'ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività (cfr., ex multis, Cons. Stato, III, n. 1972/2019 e n. 3435/2018); - ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del TULPS, l'Amministrazione può legittimamente fondare il giudizio di "non affidabilità " del titolare del porto d'armi valorizzando il verificarsi di situazioni genericamente non ascrivibili alla "buona condotta" dell'interessato, non rendendosi necessario al riguardo né un giudizio di pericolosità sociale del soggetto né un comprovato abuso nell'utilizzo delle armi (Cons. Stato, III, nn. 6812/2018, 4955/2018, 2404/2017, 4518/2016, 2987/2014, 4121/2014; VI, n. 107/2017) in quanto, ai fini della revoca della licenza, l'Autorità di pubblica sicurezza può apprezzare discrezionalmente, quali indici rivelatori della possibilità di abuso delle armi, fatti o episodi anche privi di rilievo penale, indipendentemente dalla riconducibilità degli stessi alla responsabilità dell'interessato, purché l'apprezzamento non sia irrazionale e sia motivato in modo congruo (Cons. Stato, VI, n. 107/2017; III, nn. 3502/2018, 2974 del 2018), trattandosi di un provvedimento, privo di intento sanzionatorio o punitivo, avente natura cautelare al fine di prevenire possibili abusi nell'uso delle armi a tutela delle esigenze di incolumità di tutti i consociati (Cons. Stato, III, n. 2974/2018); - il giudizio che riguardo a detti profili compie l'Autorità di pubblica sicurezza è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, che presuppone una analisi comparativa dell'interesse pubblico primario, degli interessi pubblici secondari, nonché degli interessi dei privati, oltre che un giudizio di completa affidabilità del soggetto istante basato su rigorosi parametri tecnici; nello specifico settore delle armi, tale valutazione comparativa si connota in modo peculiare rispetto al giudizio che tradizionalmente l'Amministrazione compie nell'adottare provvedimenti permissivi di tipo diverso; la peculiarità deriva dal fatto che, stante la ricordata assenza di un diritto assoluto al porto d'armi, nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell'Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all'incolumità delle persone, rispetto a quello del privato; - l'apprezzamento discrezionale rimesso all'Autorità di pubblica sicurezza involge soprattutto il giudizio di affidabilità del soggetto che detiene le armi o aspira ad ottenerne il porto; a tal fine, l'Amministrazione è chiamata a compiere una valutazione in ordine al pericolo di abuso delle armi, secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico; - tale esegesi è peraltro confermata sul piano legislativo dalla formulazione dell'art. 39 del TULPS, laddove, nel prevedere che "il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne", considera sufficiente l'esistenza di elementi che fondino solo una ragionevole previsione di un uso inappropriato. 11. Con specifico riferimento a vicende analoghe a quella in esame, è stato ritenuto, condivisibilmente, che una situazione di conflittualità familiare nella sua oggettività è valido motivo per l'emanazione di provvedimenti interdittivi in tema di armi, a prescindere dalla responsabilità della sua causazione (cfr. TAR Toscana, II, n. 1305/2022). In tali situazioni, infatti, ciò che l'amministrazione è chiamata a valutare è il pericolo che la situazione di conflitto familiare in atto, nella sua oggettività ed a prescindere da chi ne sia responsabile, possa degenerare in fatti antigiuridici, le cui conseguenze potrebbero essere ulteriormente aggravate dalla disponibilità delle armi (cfr. TAR Umbria, n. 303/2023). 12. Ciò stante, la conflittualità tra i ricorrenti - che, secondo quanto emerge dagli atti, è dovuta a vicende personali, ha radici profonde e non è venuta meno - la vicinanza delle abitazioni dei ricorrenti e l'ubicazione del luogo di custodia delle armi (ancorché il caveau sia sottoposto a sistemi di videosorveglianza) fanno sì che risulti tutt'altro che illogico il giudizio di inaffidabilità nella detenzione delle stesse formulato dall'Amministrazione nei confronti di entrambi, quali che possano ritenersi le responsabilità di ciascuno di essi nell'aver determinato tale situazione. 13. In altri termini, la situazione fattuale è stata presa in esame dall'Amministrazione e ritenuta, con valutazione che risulta immune dalle censure formulate dai ricorrenti, sufficiente a giustificare il divieto di detenzione delle armi e la revoca dei titoli autorizzatori di p.s. conseguenti (che del primo costituisce una conseguenza naturale e praticamente vincolata - cfr. Cons. Stato, III, nn. 3583/2024, 1292/2013). Detta situazione, si ripete, a prescindere da ogni ulteriore considerazione in ordine alle condotte dei ricorrenti, è stata reputata suscettibile di costituire il sostrato di fatti antigiuridici ben più gravi ed una simile valutazione non risulta irragionevole, tenuto conto che lo scopo del potere attribuito in materia alla pubblica amministrazione è proprio quello di evitare che tali fatti abbiano a verificarsi. Pertanto, non può nemmeno ritenersi sproporzionata l'utilizzazione dello strumento cautelare del divieto (con correlata sottrazione della disponibilità materiale delle stesse), non essendo sufficiente a conseguire lo scopo la mera sospensione della licenza di uso delle armi. 14. In conclusione, i ricorsi sono infondati e devono pertanto essere respinti. 15. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, previa riunione, li respinge. Condanna i ricorrenti al pagamento in favore dell'Amministrazione, della somma di euro 1.000,00 (mille/00), oltre agli oneri ed accessori di legge, ciascuno, per spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i ricorrenti. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente, Estensore Daniela Carrarelli - Primo Referendario Davide De Grazia - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 13 del 2024, proposto da Consorzio Stabile Re. S.C. a r.l.., La To. Co. S.r.l., in proprio e rispettivamente quale mandataria e mandante del RTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 7654584A89, rappresentate e difese dagli avvocati Al. Bo., Pa. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, ivi domiciliataria ex lege, via (...); nei confronti Impresa De. Im. S.r.l., in proprio e anche mandataria del RTI con Ri. Co. S.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Pa. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ri. Co. S.p.a., in proprio e quale mandante del RTI con De. Im. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento previa sospensiva - del Decreto Provveditoriale prot. n. 20430 del 28.11.2023, relativo all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forli` - 1° stralcio. CUP D69D07000090001 CIG 7654584A89", con cui "è stata confermata l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 06.09.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto indicato in oggetto al Raggruppamento Temporaneo tra Imprese "De. Im. s.r.l. di (omissis) (VA) CF 02692000124 - Ri. Co. s.p.a. di (omissis) (CE) CF 02217930615", risultato 1^ in graduatoria con il punteggio totale di 92,780/100 ed il ribasso del 23,290%, come da verbale di procedura aperta n. 5068 di rep. delle sedute in data 18.06.2019 e 09.07.2019 che, all'esito della disposta istruttoria, tenuto conto delle premesse sopra riferite e dell'esito della pronuncia del CDS, viene nella sostanza confermata", e con cui è stato disposto che "L'appalto è aggiudicato al suddetto RTI per l'importo complessivo netto di Euro 26.745.351,82"; - della nota prot. 20789 del 5.12.2023 con cui l'Ente appaltante ha comunicato al RTI Re. - La To. Co. l'adozione del suddetto provvedimento; - ove occorra, del provvedimento prot. 18407 del 27.10.2023 con cui la stazione appaltante ha comunicato ai sensi dell'art. 7 L. 241/1990 l'avvio del procedimento culminato con l'adozione del gravato Decreto Provveditoriale prot. n. 20430 del 28.11.2023; - ove occorra, del decreto prot. n. U.0017276 del 6.9.2019 con cui è stata disposta l'aggiudicazione nei confronti del RTI Impresa De. Im. S.r.l., nonché della nota prot. n. U0017432 del 9.9.2019 con cui siffatta aggiudicazione è stata comunicata alle odierne ricorrenti a mezzo PEC; - di tutti gli atti presupposti, connessi e successivi al soprarriferito Decreto Provveditoriale, ancorché non conosciuti. NONCHÉ per la dichiarazione di invalidità e comunque di inefficacia del contratto di appalto eventualmente stipulato con gli operatori economici illegittimi aggiudicatari (dichiarandosi, ad ogni effetto, ed ove occorra, anche la disponibilità del ricorrente a subentrare nell'esecuzione dell'appalto ai sensi di quanto previsto dall'art. 122 c.p.a.), E PER LA CONSEGUENTE CONDANNA dell'Ente intimato a risarcire il danno cagionato alla ricorrente in forma specifica ovvero, in subordine, per equivalente monetario nella misura che sarà determinata in corso di causa. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, del Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna, dell'impresa De. Im. S.r.l. e di Ri. Co. S.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2024 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.-Con il ricorso in esame il Consorzio stabile Re. s.c. a r.l. ha impugnato il Decreto del Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia e la Emilia Romagna del 28.11.2023 relativo all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forlì - 1° Stralcio" con il quale è stata confermata l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 6.9.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto al RTI formato da Ri. Co. s.p.a.(mandante) e De. Im. s.r.l. (mandataria) risultato primo in graduatoria. Come evidenziato in ricorso la prima aggiudicazione era a suo tempo stata impugnata dall'odierno istante, Consorzio Stabile Re. e da La To. Co., in proprio e quali imprese componenti il relativo R.T.I, nelle posizioni rispettive di mandante e mandataria deducendo la illegittimità della aggiudicazione in quanto disposta a favore di impresa in procedura concordataria ex art. 161 c. 6 Legge Fallimentare, non ammessa alla continuità aziendale, non avendo presentato, nemmeno al momento della aggiudicazione, il relativo piano e lamentando che il raggruppamento aggiudicatario avrebbe omesso di comunicare alla Stazione appaltante tale circostanza, rilevante ai fini della procedura. L'adito Tribunale Amministrativo con la sentenza n. 76/2020 accoglieva il motivo di ricorso relativo alla dedotta violazione dell'art. 80 c. 5 lett. b) del Decreto Legislativo n. 50/2016 in ragione del fatto che la mandante del raggruppamento aggiudicatario aveva presentato, solo in corso di gara, in data 4.2.2019, domanda di concordato con riserva ai sensi dell'art. 161, comma 6 L. Fall e sul presupposto che in tale evenienza sia preclusa la partecipazione a gare pubbliche. Ha altresì rilevato la violazione dell'art. 80 co.5 bis del Codice degli appalti, in ragione del ritardo con cui la mandataria avrebbe comunicato, solo in data 19.7.2019 a distanza di cinque mesi, il fatto che la mandante avesse presentato la domanda di concordato con riserva. L'adito Tribunale Amministrativo respingeva altresì il ricorso incidentale condizionato proposto dalla mandataria del raggruppamento aggiudicatario volto alla designazione di una nuova impresa mandante, ritenendola non consentita ai sensi dell'art. 48 co. 19 ter d.lgs. 50/2016 poiché volta ad eludere in pendenza di gara il riscontrato mancato possesso dei requisiti di partecipazione. Tale sentenza costituiva oggetto di appello al Consiglio di Stato con due distinti ricorsi poi riuniti proposti dalla Ri. Co. e dalla De. Im. s.r.l., ai quali il Ministero aderiva. La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, registrando un conflitto di orientamenti giurisprudenziali, riteneva di rimettere alla Adunanza Plenaria una serie di questioni concernenti il tema ed i profili della presentazione della domanda di concordato in bianco ai fini della valida partecipazione alla gara. L'Adunanza Plenaria si pronunciava in merito a ciò con la sentenza n. 9 del 2021 affermando in sintesi, per quel che qui rileva, che benchè l'autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica debba intervenire entro il momento dell'aggiudicazione, è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un'autorizzazione tardiva, ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione, possa avere efficacia integrativa o sanante. Successivamente la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4728/2023, si pronunziava sugli appelli e li accoglieva, rigettando il ricorso di primo grado. I provvedimenti impugnati costituiscono, quindi attuazione della suindicata sentenza sul cui vincolo conformativo è sceso il giudicato. Il Consiglio di Stato, in particolare, ha affermato che la domanda di presentazione di un concordato in bianco o con riserva non possa considerarsi causa di automatica esclusione, né inibisca la partecipazione alle procedure per l'affidamento di contratti pubblici. Nel caso di specie si era verificato un mancato rilascio della autorizzazione da parte del Tribunale competente prima della aggiudicazione della gara non essendo stata presentata un'istanza in tale senso dalla impresa concordataria; tale autorizzazione era comunque intervenuta prima della stipula del contratto. Il Consiglio di Stato ha stabilito che questa specifica circostanza comporta la necessità che la stazione appaltante provveda ad una apposita valutazione, alla luce della particolarità del caso concreto, sulla rilevanza e sulla idoneità ad assumere efficacia integrativa o sanante, di tale autorizzazione, sottratta al g.a., ai sensi dell'art. 34 co. 2 c.p.a. e rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante. In tale contesto motivazionale il Consiglio di Stato ha anche espressamente respinto la censura dell'odierna ricorrente secondo la quale non sarebbero stati rispettati, nel caso di specie, gli obblighi informativi a carico dell'impresa, precisando che, se l'informazione alla stazione appaltante deve essere tempestiva ed adeguata in applicazione dei principi di buona fede, leale cooperazione e correttezza, in caso di dichiarazione omessa, parziale o reticente spetterà alla stazione appaltante stessa valutarne l'incidenza sul rapporto fiduciario con l'operatore economico, ma senza nessun automatismo espulsivo. Il Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia ed Emilia Romagna provvedeva, quindi, ad ottemperare a quanto stabilito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4728/2023, comunicando agli interessati l'avvio del procedimento con nota 27.10.2023 n. 18407. L'Amministrazione, in seguito ad istruttoria, adottava il provvedimento di conferma della aggiudicazione qui gravato, ritenendo non inficiato il rapporto fiduciario con il raggruppamento capeggiato da De. Im. s.r.l. tenuto conto anche dell'avvenuta informazione degli sviluppi della procedura concorsuale. A sostegno del gravame le odierne ricorrenti hanno dedotto tre articolati motivi di gravame così riassumibili: I)VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 3 E 10 L. N. 241/90. ECCESSO DI POTERE, DIFETTO DI ISTRUTTORIA, CARENZA DI MOTIVAZIONE, PERPLESSITÀ : la stazione appaltante non avrebbe tenuto in considerazione nella motivazione dell'atto gravato l'articolata memoria presentata dalle ricorrenti. II. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 32, 33, 48, 80, 83 E 84, D.LGS. N. 50/16. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 161 E 186-BIS, L. N. 267/42. VIOLAZIONE DELL'ART. 94, COMMA 5, LETT.D), D.LGS. N. 36/2023. VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO. CARENZA DI MOTIVAZIONE. ECCESSO DI POTERE. IRRAGIONEVOLEZZA. ILLOGICITÀ .TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI PRESUPPOSTI DI DIRITTO. CONTRADDITTORIETÀ . SVIAMENTO: sarebbe mancato l'esame delle criticità riguardanti l'impresa controinteressata, dal momento che a) Ri. ha presentato domanda di concordato "in bianco" il 5.02.2019, nel corso della procedura di gara, senza curarsi di domandare al Giudice fallimentare la prescritta autorizzazione; b) al momento della aggiudicazione disposta il favore del RTI De. - Ri. (9.09.2019), la mandante Ri., che versava in situazione di concordato "in bianco" già dal precedente mese di febbraio, non era autorizzata alla prosecuzione della gara; c) l'autorizzazione al Giudice Fallimentare è stata richiesta da Ri. solo dopo l'aggiudicazione e persino dopo l'impugnazione della stessa aggiudicazione da parte del RTI Re. innanzi al TAR; d) nel caso di specie l'autorizzazione sarebbe stata chiesta ed intervenuta con notevole ritardo e dopo la scadenza del termine legale (60 gg) per la stipula del contratto. III. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 32, 33, 48, 80, 83 E 84,D.LGS. N. 50/16. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT.161 E 186-BIS, L. N. 267/42. VIOLAZIONE DELL'ART. 94, COMMA 5, LETT. D), D.LGS. N.36/2023.VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO. CARENZA DI MOTIVAZIONE. ECCESSO DI POTERE. IRRAGIONEVOLEZZA. ILLOGICITÀ .TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI PRESUPPOSTI DI DIRITTO. CONTRADDITTORIETÀ . SVIAMENTO: sarebbero venuti meno in capo a Ri. Co. s.p.a. i requisiti generali e speciali risultando prospettata la cessione del ramo di azienda, come risultante dal provvedimento assunto dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e non preso in considerazione dalla stazione appaltante al momento della conferma dell'aggiudicazione; sarebbe evidente che Ri. in conseguenza della cessione finirà per privarsi dell'azienda necessaria alla realizzazione dell'appalto. Si sono costituiti il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed il Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna eccependo l'infondatezza di tutti i motivi "ex adverso" dedotti costituendo il provvedimento impugnato esecuzione del giudicato reso "inter partes" e non essendo venuto meno il rapporto fiduciario con la stazione appaltante. Si è costituita De. Im. s.r.l. evidenziando tra l'altro come con la sentenza n. 4728 del 2023 il Consiglio di Stato nell'accogliere gli appelli ha respinto il ricorso di primo grado avverso l'originaria aggiudicazione che dunque non è mai stata annullata; l'attività dell'Amministrazione sarebbe orientata al conseguimento del "risultato" inteso come puntuale esecuzione dei lavori oggetto della gara in ossequio appunto all'omo principio compendiato dall'art. 1 del d.lgs. 36 del 2023 non applicabile "ratione temporis" ma comunque utilizzabile in via interpretativa, come recentemente ritenuto dal Consiglio di Stato. Si è costituita anche Ri. Co. s.p.a. eccependo l'inammissibilità del ricorso in quanto parte ricorrente avrebbe dovuto esperire azione di ottemperanza innanzi al Consiglio di Stato trattandosi di dare esecuzione ai criteri conformativi di cui alla sentenza n. 4728/2023 rappresentando altresì la pendenza nell'ambito della procedura concorsuale della cessione del ramo d'azienda e l'individuazione dell'operatore economico che effettuerà i lavori. Alla camera di consiglio del 24 gennaio 2024 parte ricorrente ha rinunciato alla tutela cautelare in vista della celere fissazione dell'udienza di merito. In prossimità della trattazione nel merito le parti hanno depositato ampie memorie e documentazione insistendo per le conclusioni già rassegnate per la fase cautelare. Segnatamente le ricorrenti hanno insistito per la fondatezza della pretesa azionata evidenziando il mancato apprezzamento da parte dell'Amministrazione della attuale situazione di Ri. Co. allo stato priva dei requisiti richiesti per la realizzazione dei lavori per cui è causa, essendo ancora pendente la cessione del ramo di azienda. La difesa della capogruppo De. Im. s.r.l. ha insistito per il rigetto del gravame eccependo altresì l'inammissibilità delle doglianze dirette a rimettere in discussione profili già coperti dal giudicato così come del terzo motivo per la mancata indicazione del requisito generale di cui Ri. Co. sarebbe priva; non sarebbe "ratione temporis" applicabile l'art 94 co.5 del Codice dei contratti pubblici approvato con d.lgs. n. 36/2023 secondo cui l'autorizzazione deve intervenire prima dell'aggiudicazione. Con memoria la difesa di parte ricorrente ha replicato alle suindicate eccezioni evidenziando come l'oggetto dell'impugnativa sia nuovo atto non meramente confermativo affetto da vizi del tutto autonomi rispetto a quelli prospettati con il ricorso avverso l'originaria aggiudicazione. Anche la difesa di De. Im. ha depositato memoria di replica tra l'altro evidenziando come le doglianze di cui al secondo motivo, per quanto appunto già argomentato nella memoria conclusiva o violano il principio del "ne bis in idem" (pretendendo che l'aggiudicazione sarebbe illegittima per contestazioni già sollevate nel giudizio concluso con la sentenza n. 4728/2023) o contrastano con l'art. 80 del d.lgs 50/2016 e con il principio di tassatività delle cause di esclusione nella parte in cui pretendono di imporre un effetto escludente per i tempi in cui svolge la procedura di approvazione del concordato in corso presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere o per le modalità supposte nel concordato medesimo, quali l'ipotizzata cessione di azienda, modalità e tempi che non rientrano in alcuna delle cause di esclusione previste dall'art. 80 del Codice dei contratti, di cui al D.lgs. 50/2016. Alla pubblica udienza del 8 maggio 2024, uditi i difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1.-E' materia del contendere la legittimità del provvedimento del 28 novembre 2023 con cui il Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia e la Emilia Romagna ha confermato relativamente all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forlì - 1° Stralcio" l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 6.9.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto al RTI tra Ri. Co. spa e De. Im. s.r.l. risultato primo in graduatoria. Lamentano le ricorrenti quali imprese del raggruppamento temporaneo capeggiato dal Consorzio Stabile Re. oltre l'insufficiente motivazione del provvedimento impugnato in relazione alle circostanze sopravvenute, il mancato esame da parte della stazione appaltante della situazione attuale della mandante Ri. Co. s.p.a. asseritamente priva dei requisiti generali e speciali per risultare nuovamente aggiudicataria dei lavori di che trattasi. 2.- Preliminarmente va esaminata l'eccezione di inammissibilità del gravame sollevata da Ri. Co.. Diversamente da quanto argomentato dalla controinteressata, con il ricorso in esame le ricorrenti hanno dedotto vizi almeno in parte del tutto nuovi ed autonomi nei confronti dell'aggiudicazione confermativa intervenuta il 28 novembre 2023, sostenendo la carenza in capo a Ri. dei requisiti ex art. 80 d.lgs. 50/2016 in relazione alla perdurante pendenza della procedura di approvazione del concordato con continuità aziendale presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e dell'ipotizzata cessione del ramo di azienda. Tanto basta, ad avviso del Collegio, per superare l'eccezione e ritener per ciò ammissibile il ricorso vertente quanto meno parzialmente su profili di legittimità sopravvenuti al giudicato riguardanti provvedimento di conferma propria in quanto preceduto da una rinnovata valutazione istruttoria da parte dell'Amministrazione, secondo il consolidato criterio distintivo tra conferma propria ed impropria tracciato dalla giurisprudenza (ex plurimis T.A.R. Lombardia Milano sez. II, 29 settembre 2022, n. 2126). 3.- Sono invece inammissibili per violazione del principio del "ne bis in idem" come eccepito da De. Im. s.r.l. le doglianze di cui al secondo motivo di gravame con cui parte ricorrente di fatto pretende di riproporre censure in realtà già sollevate nel giudizio concluso con la sentenza n. 4728 del 2023. Il giudicato ha infatti come visto già ampiamente rilevato come benchè di norma l'autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica debba intervenire entro il momento dell'aggiudicazione, è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un'autorizzazione tardiva, ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione, possa avere efficacia integrativa o sanante, senza possibilità per il g.a. di compiere tale valutazione per il divieto di cui all'art. 34 co. 2 c.p.a. inerente i poteri autoritativi non esercitati. Con la sentenza n. 4728/2023 il Consiglio di Stato ha anche escluso la violazione dell'obbligo di buona fede da parte dell'aggiudicataria la quale ha correttamente informato la stazione appaltante degli sviluppi della procedura concorsuale. Costituisce "ius receptum" in relazione al processo amministrativo che, ai sensi degli artt. 2929 c.c. e 324 c.p.c., la regola del "ne bis in idem" presuppone l'identità nei due giudizi delle parti in causa e degli elementi identificativi dell'azione proposta e quindi che in quei giudizi sia chiesto l'annullamento degli stessi provvedimenti, o di provvedimenti diversi ma legati da uno stretto vincolo di consequenzialità in quanto inerenti ad un medesimo rapporto, sulla base di identici motivi di impugnazione (ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 10 maggio 2021 n. 3618; Id. sez. IV, 23 giugno 2015, n. 3158; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 3 gennaio 2022, n. 4) 4.- Venendo al merito il terzo motivo di gravame, per quanto argomentato, non merita condivisione. 4.1.- Ai sensi dell'art. 80 co. 5 lett b) del d.lgs. n. 50/ 2016 "pro tempore" applicabile "Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni"...omissis..... " l'operatore economico sia stato sottoposto a liquidazione giudiziale o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o sia in corso nei suoi confronti un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, fermo restando quanto previsto dall'articolo 95 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza adottato in attuazione della delega di cui all'articolo 1 della legge 19 ottobre 2017, n. 155 e dall'articolo 110". La suindicata norma va dunque coordinata con il richiamato art. 110 del Codice del 2016 ai sensi del quale l'impresa ammessa al concordato con continuità aziendale su autorizzazione del giudice delegato anche senza la necessità di avvalersi di requisiti di altro soggetto può partecipare a procedure di affidamento di concessioni e appalti di lavori forniture e servizi. Va poi evidenziato che il concordato con continuità aziendale introdotto dall'art. 186 bis R.D. 16 marzo 1942 n. 267 diversamente da quello "ordinario" prevede la prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore e la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il conferimento in una o più società (Anac Determinazione 23 aprile 2014, n. 3; Cassazione civile sez. I, 16 giugno 2023, n. 17273) Ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento di pubbliche commesse, l'impresa che si trovi in concordato preventivo con continuità aziendale, necessita di autorizzazione del giudice per tutto il periodo compreso tra la presentazione della domanda di accesso al concordato e fino all'omologazione del concordato medesimo, ma non successivamente all'intervenuta omologa: dopo di essa infatti, salvo che non intervengano la risoluzione o l'annullamento del concordato, viene meno l'esigenza dell'autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione, così come non occorre che la partecipazione sia accompagnata dal deposito della relazione di un professionista indipendente attestante la capacità dell'impresa di adempiere al contratto (T.A.R. Toscana sez. III, 20 marzo 2023, n. 286). Una volta ottenuta l'autorizzazione giudiziale - che come chiarito dall'Adunanza Plenaria può intervenire per quanto riguarda le procedure di affidamento soggette all'applicazione del d.lgs. 50/2016 anche successivamente all'aggiudicazione e prima della stipulazione del contratto ove la stazione appaltante dia conto in motivazione delle ragioni di pubblico interesse - la perdurante pendenza della procedura di concordato non è motivo di esclusione contemplato dall'art. 80 co. 5 lett. b) del citato decreto. 4.2.- Come noto per giurisprudenza pacifica le cause di esclusione devono ritenersi di stretta interpretazione e l'eventuale incertezza interpretativa va risolta nel senso di assicurare la più ampia partecipazione dei concorrenti, in omaggio al principio eurounitario del "favor partecipationis"(ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 14 marzo 2016, n. 1015; id., sez. V, 17 marzo 2015, n. 1375.) Nel caso di specie le ricorrenti come visto individuano quale causa di esclusione l'art. 80 co. 5 lett. b) d.lgs. 50/2016 requisito di cui la mandante Ri. Co. del RTI aggiudicatario sarebbe privo. Ma diversamente da quanto prospettato dalla difesa di parte ricorrente non risulta provata l'apertura di un procedimento di liquidazione a carico della mandante Ri. Co. non essendo sufficiente in tal senso la nota depositata e firmata dalla stessa (doc. n. 2) tenuto sempre conto la mera pendenza di una istanza di fallimento o di liquidazione giudiziale non è causa di esclusione dalla gara (C.G.A.S. 24 aprile 2015, n. 363). Giova invece rilevare come ai sensi dell'art. 94 co. 5 lett. d) del d.lgs. n. 36/2023 - non applicabile "ratione temporis" alla procedura di che trattasi - costituisce causa di esclusione automatica la sottoposizione dell'operatore economico a procedura di liquidazione giudiziale e di concordato preventivo in difetto di autorizzazione preventiva "entro la data dell'aggiudicazione" e sempre che "non intervengano ulteriori circostanze escludenti relative alle procedure concorsuali". 4.3.- Non ignora il Collegio come in tale ambito le perplessità avanzate dalle ricorrenti in merito alla concreta possibilità per il raggruppamento aggiudicatario di procedere all'esecuzione dei lavori contrattuali possano avere consistenza, venendo però in rilievo una ragione valevole sul piano dell'opportunità, non sindacabile dall'adito Tribunale al di fuori delle tassative fattispecie di giurisdizione estesa al merito, e non su quello della legittimità in assenza di una corrispondente causa di esclusione tra quelle delineate dalla fonte normativa primaria ratione temporis applicabile alla fattispecie. Nel concordato con continuità aziendale di cui all'art. 186 bis L.F. d'altronde diversamente dal concordato "ordinario" l'obiettivo legislativo del recupero della stabilità aziendale può essere perseguito proprio con la cessione dell'azienda in esercizio (ex multis Cassazione civile sez. I, 5 aprile 2022, n. 10988). Infine non da ultimo trascura parte ricorrente che l'esecuzione del contratto potrebbe essere pur sempre assicurata, se del caso, anche con modifiche meramente interne al raggruppamento ovvero tramite l'apporto della mandataria De. Im. (ex multis Consiglio di Stato Ad. plen., 27 maggio 2021, n. 9). 5.- Il primo motivo di gravame, infine, non merita ugualmente adesione. Trascura parte ricorrente che per giurisprudenza del tutto pacifica la valutazione circa la ricorrenza delle cause facoltative di esclusione dalle gare pubbliche rientra nell'ambito della ampia discrezionalità della P.A. ed è sindacabile solo in caso di manifesta pretestuosità e ai soli fini di un eventuale riesame da parte della stessa P.A. (ex plurimis, Consiglio di Stato, A.P. n. 16/2020; Id. sez. V, 18 ottobre 2022, n. 8864; Id. sez. III, 10 febbraio 2021, n. 1248; id. n. 505/2021; Id, sez. IV, 8 ottobre 2020, n. 5967) e che al contempo l'atto di ammissione (a differenza dell'esclusione) è motivabile "per relationem" ove correlato alle deduzioni del concorrente stesso (ex multis T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 22 novembre 2023, n. 2762; Consiglio di Stato sez. IV, 10 novembre 2021, n. 7501). Nella fattispecie la stazione appaltante previo parere dell'Avvocatura dello Stato e richiamata la più volte citata sentenza n. 4728/2023 del Consiglio di Stato ha non irragionevolmente escluso la sussistenza di ragioni ostative alla conferma dell'aggiudicazione, nell'ambito di una valutazione discrezionale di sua spettanza. 6.- Alla luce delle suesposte argomentazioni il ricorso è in parte inammissibile ed in parte infondato. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite attesa l'obiettiva complessità delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia - Romagna Bologna Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile ed in parte lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Carpentieri - Presidente Mara Bertagnolli - Consigliere Paolo Amovilli - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1126 del 2023, proposto da Vi. Br. e Gr. Ro., rappresentati e difesi dagli avvocati Or. Cu. e Mo. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'Avvocato Or. Cu. in Firenze, (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in (...), largo (...); per l'annullamento del Decreto motivato di occupazione di urgenza del Comune di (omissis), Area Tecnica, a firma del Responsabile pro-tempore, Dr. Fa. Al., numero 1 del 25 gennaio 2023, notificato in data 3 febbraio 2023 (AG 78772644938-2 e AG 78772644931-4, emesso ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 22-bis del DPR numero 327 del 2001; nonché di tutti gli atti presupposti, connessi, conseguenti, ancorché incogniti, comprese le Delibere di approvazione del progetto della Giunta del Comune di (omissis) n. 123 del 17 novembre 2022 e n. 124 del 29 novembre 2022 e il silenzio sulla richiesta di annullamento in autotutela, con conseguente inefficacia del Verbale di immissione in possesso del 9 febbraio 2023. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il dott. Giovanni Ricchiuto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO I Sig. Vi. Br. e Gr. Ro. hanno impugnato con ricorso straordinario al Presidente della repubblica il decreto di occupazione di urgenza n. 1 del 25 gennaio 2023, emesso del Comune di (omissis), ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 22 bis del DPR n. 327/2001, nonché le precedenti delibere di approvazione del progetto della Giunta del Comune di (omissis) n. 123 del 17 novembre 2022 e n. 124 del 29 novembre 2022 e il silenzio sulla richiesta di annullamento in autotutela, con conseguente inefficacia del verbale di immissione in possesso del 9 febbraio 2023. Nel ricorso si è avuto modo di evidenziare che il terreno di cui sono proprietari gli attuali ricorrenti è ubicato nel Comune di (omissis), di cui al Foglio (omissis) del N.C.T., particella n. (omissis), ed è stato oggetto di una prima approvazione del progetto definitivo di cui alla delibera della Giunta Comunale n. 76 del 30 giugno 2022 e della deliberazione di avvio del procedimento, n. 100 del 27 settembre 2022, relativa alla realizzazione di un'area dedicata a sport equestri dove ricavare una pista per corse di cavalli e maneggio. Il relativo progetto è stato poi sostituito da un ulteriore progetto prima definitivo e poi esecutivo, contenuto rispettivamente nella delibera n. 123 e 124 del 17 novembre e del 29 novembre 2022, entrambe dirette a consentire la realizzazione di un'area dedicata a sport equestri dove ricavare una pista per corse di cavalli e maneggio, da utilizzare anche per la corsa del Palio delle Contrade. Detti provvedimenti prevedevano l'esproprio di una superficie 1310 mq e, quindi, di una parte del terreno così come previsto dal piano particellare, con la proposta di un'indennità provvisoria di 1310 euro, senza tuttavia specificare i parametri di riferimento. Il successivo decreto del 25 gennaio 2023, n. 1 ha così disposto l'occupazione anticipata di tutta la particella (omissis) per complessivi 2486 mq (senza che questo fosse previsto dalla dichiarazione di pubblica utilità di cui alla Delibera n. 123 del 17 novembre 2022) e un'indennità in via provvisoria per l'intera particella calcolata peraltro sempre per l'importo di Euro 1310,00. In particolare nell'impugnare i provvedimenti sopra citati si sostiene l'esistenza dei seguenti vizi: 1. la violazione degli artt. 1 e 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, degli articoli 20, 21 e 22-bis DPR 327 del 2001, degli artt. 41 e 42 Cost. e l'emergere di diversi profili di eccesso di potere, in quanto il decreto non comprende l'indicazione delle ragioni di urgenza essendo presente solo un generico rinvio alla necessità di rispettare i tempi del previsto finanziamento; 2. la violazione degli artt. 1, 3, 7 e 8 della L. 7 agosto 1990, n. 241, degli artt. 16 e 17 DPR 327 del 2001 e la violazione degli artt. 41 e 42 Cost., oltre vari profili di eccesso di potere, in quanto la delibera n. 123 del 17 novembre 2022 sarebbe stata approvata senza alcuna comunicazione di avvio del procedimento; una volta che è stato riapprovato il progetto definitivo con la delibera 123 del 17 novembre 2022, l'Amministrazione avrebbe dovuto comunicare il relativo avvio del procedimento ai ricorrenti; 3. la violazione degli artt. 1 e 3 L. 7 agosto 1990, n. 241 e l'eccesso di potere, in quanto il decreto n. 1 del 25 gennaio 2023, risulta divergere da quanto previsto dalla precedente delibera 123 del 17 novembre 2023 che non avrebbe legittimato un'occupazione sine titulo sull'intera particella; 4. l'eccesso di potere per irragionevolezza, contraddittorietà, la violazione del principio di proporzionalità e necessarietà e del principio del legittimo affidamento. Il Comune di (omissis) si è opposto al ricorso straordinario promosso dai ricorrenti che è stato poi trasposto presso questo Tribunale. Lo stesso Comune, nel costituirsi, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso in quanto trasposto tardivamente e in violazione dei termini previsti dal combinato disposto di cui agli art. 11 e 119 del cpa. L'inammissibilità del ricorso sussisterebbe anche in considerazione di un altro profilo, in quanto sussisterebbe l'inammissibilità del ricorso per non essere stata impugnata tempestivamente la deliberazione di Giunta Comunale n. 123 del 17 novembre 2022, con la quale è stata dichiarata la pubblica utilità dell'opera. Nel merito si sono contestate le argomentazioni dedotte chiedendo il rigetto del ricorso. In particolare il Comune ha evidenziato che sussisterebbero le ragioni di urgenza alla base dell'adozione del provvedimento di occupazione in quanto nel mese di giugno 2023 sarebbero iniziate le attività prodromiche al Palio delle Contrade, la cui gara ufficiale è fissata per il 18 agosto 2023 e, ancora, in ragione della necessità di non perdere il finanziamento, per una quota pari ad euro 360.000,00 con contributo di Regione Toscana, nella parte in cui si richiede che i lavori devono essere terminati entro il 30/11/2023. Nel corso del giudizio tutte le parti hanno presentato memorie, anche in replica alle eccezioni dedotte. In particolare la ricorrente ha eccepito l'illegittimità costituzionale dell'art. 48 c.p.a. nella parte in cui prevede il termine di sessanta giorni per la trasposizione, perché laddove fosse interpretato come termine dimezzato sia per la notifica del ricorso che del relativo deposito si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Detta interpretazione avrebbe l'effetto di costituire un'implicita abrogazione dell'art. 10 del DPR 1199 del 1971 che legittima i controinteressati e le Amministrazioni a proporre opposizione per la trasposizione in sede giurisdizionale. In questi termini, e all'udienza del 16 maggio 2024, il ricorso è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Il ricorso è irricevibile per tardività della trasposizione del ricorso straordinario in questa sede giurisdizionale, in violazione dei termini previsti dal combinato disposto degli art. 11 e 119 del cpa. 1.1 E' dirimente constatare che il presente giudizio rientra tra le controversie soggette alla dimidazione dei termini processuali di cui all'art. 119 c.p.a., nella parte in cui detta disposizione prevede che "le disposizioni di cui al presente articolo si applicano nei giudizi aventi ad oggetto le controversie relative a... f) i provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità e i provvedimenti di espropriazione delle invenzioni adottati ai sensi del codice della proprietà industriale". In tali procedimenti (in questo senso è il comma 2) "tutti i termini processuali ordinari sono dimezzati salvo, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti, nonché quelli di cui all'articolo 62, comma 1, e quelli espressamente disciplinati nel presente articolo". 1.2 Ai fini di dimostrare la tardività della riassunzione è necessario premettere che il ricorso straordinario è stato notificato il 5 giugno 2023. L'Amministrazione si è opposta al ricorso straordinario con atto del 29 giugno 2023, notificato il 24 luglio 2023, mentre i ricorrenti hanno notificato e depositato il ricorso in riassunzione solo il 23 ottobre 2023, e, quindi, sessanta giorni dopo l'atto di opposizione, al netto della sospensione feriale. Tuttavia, stante la dimidiazione del termine per operare la trasposizione, la successiva notifica del presente ricorso sarebbe dovuta avvenire entro il 23 settembre 2024. 1.3 L'applicabilità del termine dimidiato di trenta giorni per effettuare la trasposizione in sede giurisdizionale di un ricorso al Presidente della Repubblica è stata sancita da un costante orientamento giurisprudenziale, nella parte in cui ha evidenziato che "ragioni di ordine logico, oltre che di sistematicità, impongono di ritenere applicabile la dimidiazione del termine anche nel caso della trasposizione... Alla stessa soluzione si addiviene anche in forza della lettura della norma alla luce della sua ratio, che è quella di garantire il diritto alla difesa, assicurando il mantenimento dell'ordinario termine decadenziale per esercitare l'accesso alla giustizia, nonostante il dimezzamento di tutti gli altri termini endogiudiziali, tra cui quello per la trasposizione. Essa, infatti, non integra una nuova esplicazione del diritto alla difesa, se non mediante la mera riassunzione, che non richiede alcun particolare adempimento giustificante l'equiparazione alla proposizione del ricorso e, dunque, il più lungo termine di sessanta giorni" (T.A.R. Lombardia, sezione staccata di Brescia, sent. n. 371 del 18 maggio 2020; T.A.R. Lombardia, sezione staccata di Brescia, sez. I, sent. n. 204 del 6 marzo 2023). 1.4 In altre pronunce è stato statuito che "...il termine per la trasposizione del ricorso straordinario al Capo dello Stato costituisce termine processuale, soggetto come tale a dimezzamento degli ordinari sessanta giorni, previsti dall'art. 10 d.p.r. 1199, a trenta (Cons. Stato, Sez. VI, 20 agosto 2019, n. 5771; T.A.R. Lazio, sez. I, sent. n. 7674 del 10 giugno 2022). Ancora più chiaramente si è sancito che per le materie soggette all'art. 119 c.p.a., il deposito dell'atto di costituzione, di cui all'art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971, avanti al Tribunale deve eseguirsi nel termine dimidiato di 30 giorni (Cons. St., sez. VI, 20 agosto 2019, n. 5771). 1.5 L'art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971 si limita a sancire l'obbligo di riproporre il ricorso davanti alla sede giudiziaria così come individuata, senza che lo stesso ricorso possa essere integrato o modificato nei motivi e nelle conclusioni, obbligando inoltre la stessa parte che intende riassumere il giudizio a notificare, alle altre parti e a pena di inammissibilità, il successivo avviso di voler insistere nel ricorso. 1.7 Ne consegue che l'atto di trasposizione in nessun modo può essere equiparato alla proposizione del ricorso già introdotto, così come nemmeno l'avviso di voler insistere nel ricorso può essere assimilato alla notificazione del ricorso introduttivo in primo grado (Cons. Stato, sez. VII, sent. n. 1443 del 9 febbraio 2023). 1.8 Si consideri, ancora, che secondo precedenti pronunce, quale che sia la sequenza degli adempimenti formali compiuti per la trasposizione del ricorso straordinario, deve essere osservato per entrambi gli adempimenti (deposito e notifica) il termine perentorio di trenta giorni, laddove risulti operante (come nel caso di specie) l'istituto della dimidiazione di cui all'art. 119, comma 2), termine quest'ultimo che decorre dal perfezionamento, per l'originario ricorrente, della notificazione dell'atto di opposizione (Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 6124 del 26 ottobre 2018 Tar Lazio, Roma, Sez. Terza, 31 maggio 2023, n. 9253). 1.9 L'esistenza delle pronunce sopracitate, oltre il carattere inequivoco dell'art. 119 cpa, consente di ritenere insussistenti i presupposti dell'istituto dell'errore scusabile di cui all'art. 37 cpa, sussistendo la violazione dei termini per operare la trasposizione del ricorso presentato in sede amministrativa. 2. Le argomentazioni sopra citate e dirette a confermare il fondamento dell'eccezione di tardività del ricorso, sono sufficienti anche per ritenere insussistenti anche i profili di illegittimità costituzionale dell'art. 48 cpa. Il ricorrente sostiene che l'art. 48 c.p.a. sarebbe incostituzionale, laddove detta disposizione fosse interpretata applicando anche alla trasposizione e nelle materie di cui all'art. 119 il termine dimezzato, sia per la notifica che per il deposito del ricorso che si intende riassumere. Detta disposizione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, legittimando un'implicita abrogazione dell'art. 10 del DPR 1199 del 1971 nella parte in cui consente ai controinteressati e alle Amministrazioni di proporre opposizione e di consentire la trasposizione in sede giurisdizionale entro il termine di sessanta giorni. A parere del ricorrente, poiché l'abbreviazione dei termini disposta dall'art. 119 c.p.a. non riguarda il termine per la proposizione del ricorso (salvo le disposizioni specifiche dettate dall'art. 120, comma 2 e 5 per le materie di cui all'art. 119, lett. a)), è da ritenere che non si applichi nemmeno all'atto di trasposizione, in quanto esso includerebbe una domanda del soggetto interessato che sarebbe assimilabile al ricorso introduttivo. 2.1 Dette argomentazioni non sono condivisibili, non sussistendo i presupposti di sospetta incostituzionalità . 2.2 Le pronunce sopra citate hanno evidenziato come sussista una sostanziale differenza (per le caratteristiche proprie degli stessi atti) tra l'atto di proposizione del ricorso e la riassunzione a seguito dell'opposizione per la trasposizione in sede giudiziale. 2.3 La trasposizione di un ricorso in origine presentato innanzi al Presidente della Repubblica non integra una nuova esplicazione del diritto alla difesa, ma solo il compimento di alcuni adempimenti processuali, circostanza quest'ultima che è di ostacolo a consentire un'equiparazione con l'atto di proposizione del ricorso e, dunque, anche il termine proprio di quest'ultimo e pari a sessanta giorni. 2.4 Come si è avuto modo di anticipare è, infatti, con l'opposizione che si apre la fase del giudizio in sede giurisdizionale, circostanza quest'ultima che trova conferma proprio nel tenore dell'art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971, laddove il Legislatore ha avuto modo di precisare che, con l'atto di trasposizione, ci si limita a riproporre il ricorso in origine presentato in sede amministrativa, senza che quest'ultimo possa essere integrato o modificato nei motivi e nelle conclusioni. 2.5 Si consideri, inoltre, che il ricorso straordinario è "alternativo" rispetto al ricorso giurisdizionale, secondo quanto previsto dall'art. 8 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 e che, ancora, il ricorso straordinario diviene improcedibile qualora quest'ultimo sia stato erroneamente trasposto in sede giurisdizionale (in questo senso è l'art. 10 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199). 2.6 A conferma di dette considerazioni è possibile far riferimento anche alle conclusioni alle quali è pervenuta di recente l'Adunanza Plenaria n. 11/2024 che, pronunciandosi in merito alla natura del ricorso straordinario, lo ha qualificato come un rimedio "giustiziale alternativo a quello giurisdizionale, di cui condivide solo alcuni tratti strutturali e funzionali". 2.7 Ai fini di operare detta qualificazione l'Adunanza Plenaria ha considerato dirimente l'applicazione del principio di alternatività di cui all'art. 8 sopra citato, in quanto la scelta di optare per la trasposizione impedisce il proseguimento dell'esame della controversia innanzi al Presidente della Repubblica e, ciò, con l'effetto che "la decisione resa su ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, sebbene il giudizio fosse stato ritualmente trasposto in sede giurisdizionale, è nulla ai sensi dell'art. 21-septies del c.p.a., in quanto emanata in difetto assoluto di attribuzione". 2.8 Affermare di fatto l'esistenza di un'unica controversia che, iniziata presso una sede "giustiziale" prosegue (dopo l'opposizione) presso un organo giurisdizionale, ha l'effetto di confermare che l'atto di riassunzione non è suscettibile di essere equiparato all'originaria proposizione del ricorso già introdotto. Ne consegue che la trasposizione si sostanzia nel compimento di una serie di atti (deposito del ricorso e avviso) che hanno la sola finalità di consentire la prosecuzione di un giudizio di fatto già instaurato. 2.9 Ulteriore conseguenza è quella che deve ritenersi ammissibile (senza che risultino esistenti i dedotti profili di sospetta incostituzionalità ) anche la previsione di termini differenti e, quindi, sia per quanto riguarda l'iniziale proponimento di un ricorso sia, ancora, con riferimento all'atto di riassunzione in una sede giurisdizionale e, ciò, nelle materie di cui all'art. 119 c.pa. che risultano disciplinate da un rito che prevede la compressione e la riduzione di tutti i termini processuali. 3. Si consideri, da ultimo, che gli art. 48 e 119 cpa, nella parte in cui prevedono la dimidiazione dei termini in particolari materie come quella in esame e in quanto disposizioni contenute nel codice del processo del 2010, sono disposizioni successive che possono ben incidere su una disciplina speciale e ad esso antecedente, come è appunto il d.P.R. n. 1199 del 1971. 3.1 In conclusione il ricorso va dichiarato irricevibile ai sensi dell'art. 35 comma 1 lett. a), mentre la novità della fattispecie esaminata consente la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile nei termini così precisati in parte motiva. Compensa le spese tra le parti costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Riccardo Giani - Presidente Giovanni Ricchiuto - Consigliere, Estensore Nicola Fenicia - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3509 del 2023, proposto da Es. S.r.l. Si. e Te. in proprio e quale mandataria del costituendo Rti con Im. F.l. Ma. S.r.l. ed altri quali mandanti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Al. Ma. Br., Fa. Ga. e Gi. Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Regione Toscana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Se. Fi. in Roma, Piazzale (...); nei confronti Società Cooperativa Br. Ri. ed altri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Al. Pa. e Ma. Bo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana Sezione Prima n. 265 del 2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Toscana e della Società Cooperativa Br. Ri., di Is. S.r.l. e di Zi. El. S.r.l.; Viste le memorie delle parti; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2023 il Cons. Elena Quadri e uditi per le parti gli avvocati Ra., Tr., in dichiarata delega dell'avvocato Ca., e Pa.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Es. S.r.l. Si. e Te., in proprio e quale mandataria del costituendo Rti con Im. F.l. Ma. S.r.l. ed altri, ha impugnato il decreto dirigenziale n. 26071 del 27 dicembre 2022 con cui il RUP, in relazione all'appalto dei lavori di realizzazione del Lotto (omissis) della Variante alla S.R.T. (omissis) nel tratto compreso tra (omissis) e la Loc. (omissis) in Comune di (omissis) indetto dalla regione Toscana, ha dato atto che l'offerta del Rti Es. S.r.l. è risultata, all'esito della verifica di anomalia, anormalmente bassa e quindi non congrua e non affidabile, con conseguente esclusione dalla gara della stessa offerta e aggiudicazione dei lavori a favore del Rti Soc. Coop. Br. Ri.. La ricorrente ha chiesto, altresì, l'inefficacia del nuovo contratto d'appalto nel frattempo stipulato, ai sensi degli artt. 121 e 122 del d.lgs. n. 104 del 2010. Il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana ha respinto il ricorso con sentenza n. 265 del 2023, appellata per i seguenti motivi di diritto: I - Error in iudicando - Violazione e falsa applicazione della lex specialis (disciplinare di gara) e del principio del contraddittorio endoprocedimentale. Violazione art. 97 Cost. II - Error in iudicando. Eccesso di potere giurisdizionale. Illogicità, contraddittorietà della motivazione. Travisamento. III - Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell'art. 97 del D.lgs. n. 50/2016. Violazione del principio di leale collaborazione e del rispetto del contraddittorio. IV - Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell'art. 97 del D.lgs. n. 50/2016. Violazione dei principi di trasparenza, correttezza e buon andamento dell'azione amministrativa. Illogicità della motivazione. Violazione del disciplinare di gara. V - Error in iudicando. Illogicità e travisamento dei fatti. Elusione del giudicato. VI - Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell'art. 97 del D.Lgs. n. 50/2016 in combinato disposto con l'art. 3 della L. n. 241/1990. Violazione art. 3 cpa. Travisamento dei fatti. Illogicità . Difetto assoluto della motivazione. VII - Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell'art. 97 D.lgs. n. 50/2016, in combinato disposto con l'art. 100 e l'allegato XV del D.lgs. n. 81/2008. Illogicità manifesta. VIII - Riproposizione dei vizi (motivo sub 5) non trattati nel giudizio di primo grado (Violazione e falsa applicazione art. 97 del D.lgs. 50/2016 sotto ulteriore profilo. Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della L. n. 241/1990. Violazione e falsa applicazione dei principi di buona fede, correttezza e trasparenza dell'azione amministrativa. Violazione del Disciplinare di gara ("verifica anomalia dell'offerta" e "allegato 1"). Eccesso di poter per travisamento dei fatti. Difetto di motivazione e di istruttoria. Illogicità ed irrazionalità manifeste. Sviamento di potere). Si sono costituiti per resistere all'appello la Regione Toscana e la Società Cooperativa Br. Ri., Is. S.r.l. e Zi. El. S.r.l. Successivamente le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive conclusioni. All'udienza pubblica del 6 giugno 2023 l'appello è stato trattenuto in decisione. DIRITTO Giunge in decisione l'appello proposto da Es. S.r.l. Si. e Te., in proprio e quale mandataria del costituendo Rti con Im. F.l. Ma. S.r.l. ed altri, per la riforma della sentenza del Tar Toscana n. 265 del 2023 che ha respinto il ricorso dalla stessa proposto per l'annullamento del decreto dirigenziale n. 26071 del 27 dicembre 2022, con cui il RUP, in relazione all'appalto dei lavori di realizzazione del Lotto (omissis) della Variante alla S.R.T. (omissis) nel tratto compreso tra (omissis) e la Loc. (omissis) in Comune di (omissis) indetto dalla regione Toscana e finanziato con il Fondo Europeo di Sviluppo e Coesione, ha dato atto che l'offerta del Rti Es. S.r.l. è risultata, all'esito della verifica di anomalia, anormalmente bassa e quindi non congrua e non affidabile, con conseguente esclusione dalla gara della stessa offerta e aggiudicazione dei lavori a favore del Rti Soc. Coop. Br. Ri.. L'appellante ha chiesto, altresì, l'inefficacia del contratto nel frattempo stipulato, ai sensi degli artt. 121 e 122 del d.lgs. n. 104 del 2010. L'appellante lamenta, sostanzialmente, il difetto di contraddittorio e numerose altre violazioni concernenti il procedimento di verifica dell'anomalia, atteso che, nonostante la produzione da parte della Es. di giustificativi su precisi elementi richiesti con nota del 14 novembre 2022 dal RUP, lo stesso avrebbe poi illegittimamente effettuato il giudizio di congruità dell'offerta su elementi differenti, senza dare la possibilità alla concorrente, come invece imposto dal disciplinare al punto c) di pag. 8, di fornire chiarimenti sugli aspetti ritenuti forieri di maggiori costi. La sentenza impugnata ha così statuito, sul punto: "1.1 E' da respingere il primo motivo con il quale si sostiene la violazione del capitolato, in quanto il RUP non avrebbe richiesto ulteriori giustificazioni, nel momento in cui ha ritenuto le osservazioni pervenute non sufficienti ad escludere l'incongruità dell'offerta. 1.2 Contrariamente a quanto affermato, il capitolato si limita a prevedere che l'Amministrazione richieda ulteriori precisazioni all'offerente solo laddove ritenga le giustificazioni presentate non sufficienti "ad escludere l'incongruità dell'offerta". 1.3 Ne consegue che nel capitolato non vi è alcun obbligo, in capo alla stazione appaltante, di attivare un ulteriore contraddittorio con l'operatore economico che, pertanto, deve essere sentito solo e soltanto qualora residuino dubbi o carenze in ordine alla documentazione presentata e, quindi, alla complessiva attendibilità dell'offerta in esame. 1.4 Nemmeno un obbligo di attivare un successivo contraddittorio è presente nell'art. 97 comma 5 del D.lgs. 50/2016 che, a sua volta, si limita a prevedere un procedimento semplificato (rispetto a quello previsto dal previgente art. 87 del D.lgs. 163/2006), nell'ambito del quale la stazione appaltante è tenuta a richiedere "spiegazioni sul prezzo o sui costi proposti nelle offerte se queste appaiono anormalmente basse". 1.5 In questo senso sono anche precedenti pronunce che hanno chiarito che l'art. 97, comma 5, d.lgs. n. 50 del 2016 prevede per la verifica di anomalia dell'offerta una "struttura monofasica del procedimento (e non più trifasica, cioè articolata in giustificativi, chiarimenti, contraddittorio, com'era, invece, nel regime disegnato N. 00151/2023 REG.RIC. dal previgente art. 87 d.lgs. n. 163/2006)", e "pur consentendo alla stazione appaltante di far luogo a ulteriori approfondimenti istruttori successivi alla presentazione delle spiegaziona, non introduce alcun obbligo in tal senso (Cons. Stato, III, 11 maggio 2021, n. 3709 e 3710 e Cds, sez. V., 26/07/2022 n. 6577)". 1.6 Nel caso di specie il RUP e la Commissione hanno ritenuto che gli elementi acquisiti nel corso del sub procedimento, relativamente all'incongruenza di costi per euro 1.721.341,41, fossero idonei e sufficienti a dimostrare la complessiva non sostenibilità dell'offerta e, pertanto, hanno ritenuto non necessario richiedere ulteriori chiarimenti che nulla avrebbero potuto aggiungere rispetto a quanto già dichiarato e provato dal RTI". Con il primo motivo l'appellante deduce l'erroneità della sentenza, atteso che l'art. 97 del d.lgs. n. 50 del 2016 non escluderebbe (e quindi consentirebbe) che l'Amministrazione possa inserire nel disciplinare disposizioni procedimentali specifiche per la valutazione delle congruità dell'offerta. Nel caso di specie il disciplinare reca una disposizione secondo la quale "il RUP, unitamente alla Commissione, esamina gli elementi costitutivi dell'offerta tenendo conto delle giustificazioni fornite e, ove non le ritenga sufficienti ad escludere l'incongruità dell'offerta, richiede ulteriori precisazioni assegnando un termine non inferiore a 5 giorni dalla richiesta per la presentazione delle stesse e/o convoca l'offerente con un anticipo non inferiore a 3 giorni per ulteriori precisazioni" (pag. 8 lettera c). La norma di gara, pertanto, porrebbe l'obbligo in capo al RUP (e non la facoltà ) di chiedere chiarimenti quando i giustificativi trasmessi non siano ritenuti sufficienti per escludere l'anomalia. Pertanto, il RUP avrebbe palesemente violato la stessa disposizione del disciplinare che era obbligato a rispettare, perché vincolante. Con il secondo motivo l'appellante ha dedotto l'erroneità della sentenza con riferimento al capo 1.6, che, al fine di sostenere che non fosse doveroso per il RUP e la Commissione richiedere al RTI Es. ulteriori precisazioni, ha statuito che tali Soggetti "hanno ritenuto non necessario richiedere ulteriori chiarimenti che nulla avrebbero potuto aggiungere rispetto a quanto già dichiarato e provato dal RTI". In particolare, per l'appellante l'assunto si tradurrebbe non solo nella inammissibile disapplicazione della lex specialis, ma, altresì, in una vera e propria valutazione di merito che esorbiterebbe dal potere giurisdizionale del Giudice Amministrativo. In ogni caso, tutte le voci economiche (comprese quelle correlate alla miglioria sulla quale il RUP non ha formulato richiesta di chiarimenti) sarebbero giustificate e giustificabili, nonostante alcune valutazioni siano state effettuate dal RUP in assenza della necessaria documentazione, che doveva essere invece richiesta all'odierna appellante al fine di compiere una più esatta disamina delle voci dell'offerta formulata dal RTI. Con il terzo motivo l'appellante ha dedotto l'erroneità della sentenza con riferimento al capo 1.4, in cui si afferma che l'obbligo di attivare un successivo contraddittorio non "è presente nell'art. 97 comma 5 del D.lgs. 50/2016", richiamando al riguardo precedenti del Consiglio di Stato sulla struttura "monofasica" del procedimento di anomalia in base all'art 97 del d.lgs. n. 50/2016. Per l'appellante, la decisione sul punto sarebbe errata e non condivisibile rispetto alla fattispecie in esame. Ed invero, ribadito che nel caso di specie l'obbligo di chiedere chiarimenti sulle giustificazioni formulate è imposto dal disciplinare, si osserva che l'art. 97 del d.lgs. n. 50/2016 non escluderebbe la possibilità ma anzi imporrebbe all'Amministrazione di integrare il contraddittorio in presenza di dubbi sull'inadeguatezza dell'offerta. Ed infatti, il procedimento di verifica di anomalia è improntato alla massima collaborazione tra l'amministrazione appaltante e l'offerente, quale mezzo indispensabile per l'effettiva instaurazione del contraddittorio ed il concreto apprezzamento dell'adeguatezza dell'offerta medesima nella sua globalità . Con gli ulteriori motivi l'appellante ha dedotto l'erroneità della sentenza per aver respinto le doglianze con cui era stata censurata la valutazione di anomalia, nonostante che la concorrente, nei giustificativi del 28 novembre 2022, avesse fornito, punto per punto, tutte le giustificazioni richieste. L'appello è infondato. Deve premettersi che, per giurisprudenza costante, la valutazione di anomalia dell'offerta è connotata da ampi margini di discrezionalità e costituisce espressione di discrezionalità tecnica, di pertinenza dell'Amministrazione, esulando dalla sindacabilità del giudice amministrativo salvo che nell'ipotesi di sussistenza di obiettive e macroscopiche incongruità che rendono palese l'inattendibilità complessiva del giudizio. Nella fattispecie in questione la stazione appaltante, mediante l'effettuazione del giudizio di anomalia, accertava maggiori oneri rispetto all'offerta dell'appellante tali da superare ampiamente l'utile complessivamente calcolato per euro 394.942,36, atteso che residuavano maggiori oneri per euro 1.721.341,41 legati ad errori di calcolo e alla mancata coerenza con l'offerta tecnica. Come emerge dalla relazione allegata al verbale della seduta del Rup e della commissione giudicatrice del 22 dicembre 2022, in relazione all'offerta dell'appellante sono stati evidenziati maggiori oneri per euro 3.315.785,99, così suddivisi: 1) maggiori oneri accertati per euro 1.721.341,41, relativi ad oneri mancanti calcolati confrontando i prezzi unitari della lista di offerta presentata dal RTI ed i costi elementari presentati nelle giustifiche, compresi quelli della manodopera, fra i quali i costi per euro 263.296,86 relativi al trasporto ad impianto di recupero inerti di oltre 46.000 mc di materiale proveniente dagli scavi che non può essere reimpiegato nel progetto; i costi per euro 384.300,00 di gestione amministrativa del personale di cantiere e direzione tecnica (poiché nei giustificativi sono state quotate solo 4 delle 6 figure offerte dal RTI nell'offerta tecnica nominativamente indicate); i costi per euro 115.896,00 relativi alla stabilizzazione a calce e/o cemento del materiale di scavo per renderlo idoneo al reimpiego come rilevato calcolato solo sul 50% del materiale per la formazione dei rilevati; i costi per euro 117.035,92 relativi al trasporto dei conglomerati bituminosi, non compresi nei preventivi, e all'incremento dello spessore di base, offerto nella parte tecnica; 2) maggiori oneri per euro 1.594.444,58 rilevati nell'istruttoria, per i quali l'operatore economico, pur non potendoli annullare del tutto, avrebbe potuto dimostrare di averli ridotti godendo di particolari condizioni favorevoli, come ad esempio l'impianto lava-ruote e la rete orsogrill e gli oneri di conferimento ad impianto recupero inerti; 3) ulteriori maggiori oneri di cui, per mancanza di documentazione, non è stata possibile la determinazione (cfr. la pag. 24 dell'Allegato A al verbale del 22 dicembre 2022). La determinazione del giudizio di incongruità dell'offerta si è, dunque, fondata su riscontrati elementi, atteso che dallo stesso verbale del 22 dicembre 2022 si evince che i maggiori oneri non comprimibili: "sono collegati a: 1- errori di calcolo (es. calcolo delle spese generali); 2- coerenza tra offerta tecnica e offerta economica che riguarda sia le migliorie offerte che le spese generali che le analisi dei prezzi". Essendo tali maggiori oneri di notevole consistenza, gli stessi non potevano trovare copertura nell'esiguo margine di utile dichiarato dal RTI pari ad euro 282.581,42 e nell'ulteriore importo di euro 112.360,94 quale economia a "protezione". La stazione appaltante, quindi, avendo rilevato l'assoluta incongruità dell'offerta presentata, legittimamente ha ritenuto superflua una nuova richiesta di chiarimenti, tanto più che i giustificativi presentati in molte voci di spesa andavano a modificare l'offerta tecnica del RTI e dunque gli impegni assunti dal medesimo in gara. Inoltre, come si evince dalla documentazione versata in atti, i lavori oggetto della gara sono finanziati dal Fondo di coesione che impone il rispetto strettissime tempistiche predeterminate. La stazione appaltante, dunque, nel bilanciamento fra gli interessi coinvolti, ha dovuto considerare anche le esigenze di celerità per non perdere i succitati finanziamenti. Ed invero, l'art. 97, comma 5, d.lgs. n. 50 del 2016 prevede per la verifica di anomalia dell'offerta una "struttura monofasica del procedimento (e non più trifasica, cioè articolata in giustificativi, chiarimenti, contraddittorio, com'era, invece, nel regime disegnato dal previgente art. 87 d.lgs. n. 163/2006)", e "pur consentendo alla stazione appaltante di far luogo a ulteriori approfondimenti istruttori successivi alla presentazione delle spiegaziona, non introduce alcun obbligo in tal senso" (cfr. Cons. Stato, V, 26 luglio 2022, n. 6577; Cons. Stato, III, 11 maggio 2021, nn. 3709 e 3710). Deve, poi, evidenziarsi che, nell'ambito del contraddittorio procedimentale, spetta all'offerente fornire le prove documentali a supporto della asserita sostenibilità della sua offerta, ai sensi dell'articolo 97, comma 5, del d.lgs. 50 del 2016, che prevede l'esclusione dell'offerta "se la prova fornita non giustifica sufficientemente il basso livello di prezzi o di costi proposti" (cfr. Cons. Stato, V, 3 maggio 2021, n. 3472). Deve essere, dunque, l'operatore economico a dimostrare la congruità della propria offerta, mediante la produzione di tutta la documentazione necessaria per provare la sufficienza del prezzo offerto a garantire la corretta e puntuale esecuzione di tutte le prestazioni offerte. Nel caso di specie, in cui, come ben noto all'appellante, l'affidamento ed il completamento dei lavori erano strettamente contingentati, pena la perdita dei relativi finanziamenti, tale dovere di completezza della documentazione e dei giustificativi da produrre era tanto più necessario. Nel merito delle singole incongruità, ricordando l'insindacabilità delle scelte di discrezionalità tecnica se non inficiate da illogicità che evidenzino l'erroneità del giudizio, nella specie non sussistenti, la sentenza ha ben posto in luce la piena attendibilità del giudizio valutativo posto in essere dalla stazione appaltante. In particolare, per la sentenza, che il Collegio condivide integralmente: "Il RUP, senza operare alcuna frammentazione dell'offerta, si è limitato a richiedere un'analisi dei prezzi secondo le modalità riportate nell'allegato 1 al Disciplinare di gara che, in quanto tale, non avrebbe non potuto comprendere l'esame delle singole lavorazioni indicate nell'offerta presentata. 2.2 Al contrario di ciò la ricorrente, come è desumibile dalla relazione presentata, ha giustificato i costi non facendo riferimento a quanto proposto nell'offerta tecnica (e quindi all'istallazione di 3 frantoi per la gestione dei materiali provenienti da scavo e demolizione all'interno del cantiere), ma facendo riferimento a quanto previsto in progetto, ovvero fornitura del materiale dall'esterno, pur confermando la realizzazione delle migliorie. 2.3 Detta circostanza risulta in contrasto con quanto previsto dal comma 1 dell'art. 97 del D.lgs. 50/2016, laddove si precisa che ".. le spiegazioni sul prezzo o sui costi proposti nelle offerte si riferiscono a:.. b) le soluzioni tecniche prescelte o le condizioni eccezionalmente favorevoli di cui dispone l'offerente per fornire i prodotti, per prestare i servizi o per eseguire i lavori". 2.4 A prescindere dalla natura di variante o miglioria contenute nell'offerta tecnica (oggetto del precedente contenzioso) è evidente che la quantificazione operata si riferisce ad una valutazione economica diversa da quella del progetto (così come invece avrebbe dovuto essere), essendo previsti macchinari diversi, impianti in loco e una gestione delle terre e rocce e delle demolizioni in sito". Inoltre: "La dichiarazione di anomalia non è conseguente all'istallazione di un frantoio per la gestione delle terre e rocce da scavo, ma si fonda sul fatto che l'offerta è mancante di oneri non valutati e tali oneri sono superiori al complessivo margine di utile dichiarato. 2.8 Come risulta evincibile dal verbale del 22 dicembre 2022 la gestione all'interno del cantiere delle terre e rocce da scavo, così come illustrata, non è sostenibile e presenta aspetti in contraddizione tra loro. 2.9 La ricorrente conferma che per eseguire le lavorazioni dovrà approvvigionare dall'esterno del materiale, circostanza quest'ultima che è in contraddizione con l'offerta, laddove si prevede che tutto il materiale per i movimenti terra e formazione della pavimentazione (esclusa l'usura) possa provenire dal cantiere medesimo. Si consideri, ancora, che alla 76-esima settimana si trovano in cantiere, in cumuli diversi, oltre 70.000 mc di materiale, mentre gli spazi del cantiere consentono la possibilità di ospitare un quantitativo di gran lunga inferiore". Tali considerazioni, così come molte altre contenute nella decisione appellata che si richiama integralmente, non fanno altro che esplicitare come l'appellante si sia posta nella migliore posizione della graduatoria in considerazione di un punteggio, ottenuto anche grazie alle migliorie, per un'offerta che conteneva delle condizioni che non sono risultate supportate dal prezzo offerto, come dimostrato dai giustificativi prodotti nell'ambito del giudizio di anomalia, dai quali la stazione appaltante ha rilevato macroscopiche incongruità dell'offerta. Alla luce delle suesposte considerazioni l'appello va respinto e, per l'effetto, va confermata la sentenza appellata di reiezione del ricorso di primo grado. Sussistono, tuttavia, in considerazione delle peculiarità della presente controversia, giusti motivi per disporre l'integrale compensazione fra le parti delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza appellata di reiezione del ricorso di primo grado. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Alberto Urso - Consigliere Anna Bottiglieri - Consigliere Elena Quadri - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3326 del 2019, proposto da Sa. Bu., rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Ca. e Ri. Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ri. Ta. in Roma, via (...) contro Città Metropolitana di Firenze, non costituita in giudizio nei confronti Comune di Firenze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Mi., An. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Gi. Le. in Roma, via (...); Regione Toscana, non costituita in giudizio per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Terza n. 1259/2018 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Firenze; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 10 maggio 2023 il Cons. Rosaria Maria Castorina; Nessuno è presente; Viste, altresì, le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO L'appellante, proprietaria di un immobile adibito a civile abitazione nel Comune di Firenze, esponeva che con riferimento a tale edificio, il 23 febbraio 1995, il suo dante causa aveva presentato al Comune una domanda di condono edilizio relativa alla realizzazione di un manufatto posto in aderenza all'immobile principale, nella corte tergale, utilizzato come bagno, di modeste dimensioni. Riferiva che con determinazione dirigenziale dell'Ufficio condono edilizio n. 99/6087 del 14 maggio 1999, l'Amministrazione aveva chiesto al padre il pagamento della somma di lire 300.000 a titolo di diritto di segreteria per il rilascio della concessione o della autorizzazione richiesta. Nonostante ciò la concessione in sanatoria non era stata rilasciata e il Comune di Firenze le aveva notificato, quale erede del defunto padre, la comunicazione di avvio del procedimento di diniego di concessione in sanatoria in quanto l'opera in questione sarebbe stata realizzata in un'area ubicata entro 300 metri dal perimetro dell'Aeroporto fi. "Am. Ve.", in zona sottoposta a vincolo aeroportuale, di inedificabilità assoluta. In seguito le era stato notificato il provvedimento dirigenziale del 26 ottobre 2004, con cui era stato disposto il diniego della domanda di concessione in sanatoria "poiché l'opera abusiva determina un incremento volumetrico, in contrasto con il vincolo di inedificabilità di cui al vincolo aeroportuale istituito con R.D. n. 327 del 30/3/1942 "Codice della Navigazione", sovraordinato al P.R.G. ed in esso contemplato all'art. 53 delle Norme Tecniche di Attuazione". Impugnato il provvedimento, il T.A.R. Toscana con la sentenza in epigrafe respingeva il ricorso. Appellata ritualmente la sentenza resisteva il Comune di Firenze. All'udienza di smaltimento del 10 maggio 2023 la causa passava in decisione. DIRITTO 1.Con il primo motivo l'appellante deduce: erronea motivazione circa un punto decisivo della controversia; - violazione e falsa applicazione degli artt. 715 e 715bis del R.D. 30 marzo 1942 n. 327 (codice della navigazione - testo previgente); - eccesso di potere per difetto di motivazione e carenza dei presupposti di legge. Lamenta che il T.A.R. Toscana aveva erroneamente ritenuto che il Comune di Firenze avesse legittimamente negato il condono del manufatto in questione, in ragione del fatto che lo stesso ricadrebbe in area soggetta a vincolo di inedificabilità ex art. 715bis, comma 1, del Codice della Navigazione (vigente all'epoca dell'adozione del diniego impugnato), mentre non era applicabile il vincolo di cui al primo comma dell'art. 715 dello stesso Codice, in quanto il vincolo di inedificabilità di cui all'art. 715bis, comma 1, opera esclusivamente con riguardo alle aree ricadenti nelle direzioni di atterraggio degli aeroporti civili aperti al traffico strumentale notturno. Evidenziava che l'Aeroporto di Fi. è solo formalmente e potenzialmente aperto al traffico notturno; dalle ore 23 alle ore 6.30 i voli sono infatti sospesi, salvo ipotesi eccezionali, quali i voli di Stato e i voli con specifiche autorizzazioni dell'ENAC. 2.Con il secondo motivo l'appellante deduce: erronea motivazione circa un punto decisivo della controversia, sotto ulteriore profilo; - violazione e falsa applicazione degli artt. 714 e 715bis del codice della navigazione (previgente); - eccesso di potere per difetto di motivazione e carenza dei presupposti di legge, sotto ulteriore profilo. Lamenta che Il T.A.R. Toscana aveva ritenuto che, stante la asserita applicabilità del vincolo aeroportuale di cui all'art. 715bis, comma 1 del Codice della Navigazione, all'Amministrazione comunale non fosse consentito di valutare in concreto se il manufatto in questione costituisse o meno un ostacolo alla navigazione aerea senza considerare che la disposizione deve essere letta in combinato disposto con la previsione di cui all'art. 714 dello stesso Codice, secondo cui "sono soggetti alle limitazioni stabilite negli articoli seguenti" le opere che possano "costituire ostacolo alla navigazione aerea". Ciò significa che il divieto di cui all'art. 715bis, comma 1, citato opera sì con riguardo alle costruzioni di "qualunque altezza", ma deve in ogni caso trattarsi di opere che siano effettivamente di intralcio alla navigazione aerea, come del resto si desume dalla lettera della disposizione in esame, che fa riferimento in maniera espressa a "ostacoli di qualunque altezza". Le censure non sono fondate. Il Giudice ha osservato: "All'epoca del provvedimento vigeva l'art. 715-bis C.N. in forza del quale "nelle direzioni di atterraggio degli aeroporti militari in genere e degli aeroporti aperti al traffico strumentale e notturno, non possono essere costituiti ostacoli di qualunque altezza a distanza inferiore ai trecento metri dal perimetro dell'aeroporto". L'aeroporto "Am. Ve." è abilitato al volo notturno a prescindere da quanti siano in concreto i voli notturni effettuati e pertanto deve applicarsi il vincolo di inedificabilità aeroportuale che il P.R.G. per rispetto della norma sovraordinata ha previsto all'art. 53 delle Norme Tecniche di Attuazione". È incontestato che il manufatto si trovi nell'area di inedificabilità assoluta (N.E). In fattispecie analoghe questo Consiglio ha posto in rilievo la diretta derivazione dalla legge dei limiti che gravano a carico dei proprietari di terreni posti in zona limitrofa agli aeroporti (cfr. Cons. Stato, IV, n. 2400 del 14 maggio 2007; V, n. 67 del 15 marzo 2006). Si tratta di vincolo che trova la sua ragione d'essere nell'esigenza di garantire la sicurezza del volo, segnatamente nelle situazioni di maggiore criticità afferenti al decollo ed all'atterraggio dei velivoli. Esso si impone, ai sensi degli artt. 714 e seguenti del codice della navigazione, a partire dal momento in cui interviene il d.m. che individua - unitamente alla destinazione o meno dell'aeroporto al traffico strumentale e notturno - la direzione e la lunghezza di atterraggio, il livello medio dell'aeroporto e dei tratti di perimetro corrispondenti alle direzioni di atterraggio. La limitazione del diritto dominicale non segue ad una scelta discrezionale dell'Amministrazione, così che debbano assumersi a riferimento per la sua efficacia specifici atti ricognitivi dell'estensione e dell'incidenza del vicolo, ma discende dalla qualificazione "ex lege" come zona di rispetto della porzione di territorio posta i prossimità dell'aeroporto (analogamente a quanto avviene per le zone di rispetto stradale, di linea ferroviaria, cimiteriale, ecc.), a salvaguardia di specifici interessi di rilievo pubblico connessi all'utilizzo di beni appartenenti al demanio o destinati ad uso collettivo, a fronte dei quali recedono talune prerogative dei proprietari dei suoli posti in prossimità dei beni stessi. Ciò è la diretta conseguenza delle superiori ragioni di sicurezza del volo cui è preordinata la zona di rispetto aeroportuale che il vincolo stesso è inteso a garantire, a partire dal momento in cui interviene l'atto che, ai sensi dell'art. 714 bis cod. nav., individua la tipologia di utilizzo dell'aeroporto, le direzioni e la lunghezza di atterraggio, nonché gli altri elementi presi in considerazione dalla menzionata disposizione. L'Aeroporto di Fi. è sicuramente abilitato al volo notturno (sia pure in particolari condizioni) e, come tale, soggetto all'applicazione del vincolo di inedificabilità aeroportuale, istituito con R.D. 30 marzo 1942 n. 327 del Codice della Navigazione, sovraordinato al P.R.G. ed in esso contemplato all'art. 53 delle Norme Tecniche di Attuazione. Il primo comma dell'art. 715-bis del R.D. 327/1942 sopracitato - vigente al tempo dell'adozione del provvedimento di diniego - prevedeva che "nelle direzioni di atterraggio degli aeroporti militari in genere e degli aeroporti aperti al traffico strumentale e notturno non possono essere costituiti ostacoli di qualunque altezza a distanza inferiore ai trecento metri dal perimetro dell'aeroporto". Nella specie, il vincolo di inedificabilità per una zona di rispetto di trecento metri dal perimetro dell'aeroporto di Fi. è divenuto operativo a partire dalla data di adozione del decreto ricognitivo delle caratteristiche dell'aeroporto ai sensi dell'art. 714 bis cod. nav. Trattandosi di vincolo di inedificabilità operante da data anteriore all'esecuzione dei lavori (1992) oggetto della domanda di condono edilizio, il Comune ha negato il rilascio del provvedimento di sanatoria in presenza della condizione a ciò preclusiva prevista dall'art. 33, comma 1, della legge n. 47 del 1985. Il vincolo di inedificabilità stabilito dall'art. 715, primo comma, cod. nav. è, invero, indistintamente riferito a qualsiasi ostacolo (costruzione, piantagione, linea elettrica, ecc.) realizzato nella zona di rispetto e non prende in considerazione, ad esclusione dello stesso, eventuali rapporti di pertinenza o di ampliamento di strutture già esistenti. 3.Con il terzo motivo l'appellante deduce erronea motivazione circa un punto decisivo della controversia, sotto ulteriore profilo; - violazione e falsa applicazione degli artt. 715 e 715bis del codice della navigazione (previgente), sotto ulteriore profilo; - violazione e falsa applicazione dell'art. 707 del codice della navigazione; - eccesso di potere per difetto di motivazione e carenza dei presupposti di legge, sotto ulteriore profilo. Lamenta che il T.A.R. Toscana aveva completamente omesso di valutare le argomentazioni dedotte nelle memorie depositate in vista dell'udienza pubblica del 20 settembre 2018, in ordine alla rilevanza che la normativa sopravvenuta in materia (e cioè il D.lgs. n. 96/2005 sopra citato) assume ai fini della interpretazione delle disposizioni vigenti all'epoca in cui il diniego di condono è stato adottato. La censura non è fondata. "Un abuso commesso su un bene sottoposto a vincolo di inedificabilità, sia esso di natura relativa o assoluta, non può essere condonato nel momento in cui vi sia la presenza contemporanea delle seguenti condizioni: 1) l'imposizione del vincolo di inedificabilità prima della esecuzione delle opere; 2) la realizzazione delle stesse in assenza o difformità dal titolo edilizio; 3) la non conformità alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (Consiglio di Stato sez. VI, 09/06/2022, n. 4685). Come già evidenziato, il vincolo aeroportuale, è stato istituito con R.D. 30 marzo 1942 n. 327 del Codice della Navigazione. Ai sensi dell'art. 715 del medesimo codice, le opere di cui si controverte erano state realizzata in assenza di titolo edilizio e non erano conformi alla disciplina urbanistica ex art. 53 delle Norme Tecniche di Attuazione al P.R.G. 4. Con il quarto motivo l'appellante deduce erronea motivazione circa un punto decisivo della controversia, sotto ulteriore profilo; violazione e falsa applicazione dei principi del giusto procedimento e del principio di legittimo affidamento. - eccesso di potere per difetto di motivazione e carenza dei presupposti di legge, sotto ulteriore profilo. Lamenta che la decisione non teneva conto dei principi in materia di legittimo affidamento. Il Tar ha affermato, condivisibilmente che "Il pagamento degli oneri di concessione in corso di istruttoria è un presupposto del rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, ma ciò non significa che la relativa richiesta di pagamento sia l'indice di un sicuro esito positivo della pratica di condono edilizio poiché nel corso dell'istruttoria potrebbero emergere circostanze di fatto che costringono l'Amministrazione comunale ad emanare un provvedimento negativo; in tal caso ovviamente vi sarà il diritto a ripetere quanto già corrisposto a titolo di oneri concessori". Nella specie, posto che il vincolo di inedificabilità deriva dalle superiori ragioni di sicurezza del volo cui è preordinata la zona di rispetto aeroportuale, è evidente che nessun rilievo potrebbe avere l'affidamento del privato comunque irrilevante in materia di abusi edilizi. L'appello deve essere, conseguentemente, respinto. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro2000,00 oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Rosaria Maria Castorina - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 10007 del 2022, proposto dal Ministero dell'istruzione e del merito e dall'Ufficio scolastico regionale per la Toscana, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati, in Roma, via (...); contro -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato An. De An., con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia; per la riforma ella sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana (sezione prima) n. -OMISSIS- Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-; Vista l'ordinanza cautelare della sezione del 1° febbraio 2023, n. 418; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 maggio 2023 il consigliere Fabio Franconiero, sull'istanza di passaggio in decisione di parte appellata; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Il dottor -OMISSIS-, che aveva partecipato al concorso ordinario, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di personale docente per posti comuni e di sostegno nella scuola secondaria di primo e secondo grado indetto dall'(allora denominato) Ministero dell'istruzione, con decreto dipartimentale in data 21 aprile 2020, n. 499, per la classe di concorso A022 (Italiano, storia, geografia) per i posti disponibili nella Regione Toscana, ne ha impugnato per quanto di interesse i relativi atti, tra cui in via di principalità l'elenco dei candidati che superata la prova scritta sono stati ammessi a sostenere la successiva prova orale. In questi non era incluso il ricorrente, perché impossibilitato a partecipare alla prima prova, fissata per il 22 marzo 2022, a causa dalla sua positività al covid-19 e del conseguente regime di isolamento presso la propria abitazione cui era stato costretto secondo la normativa emergenziale allora vigente, che aveva comunicato all'Ufficio scolastico regionale competente al fine di essere ammesso a sostenere una prova suppletiva, senza tuttavia ricevere riscontro. 2. Il ricorso in sede giurisdizionale conseguentemente proposto dall'interessato, al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, era accolto con la sentenza in epigrafe. 3. Questa considerava "irragionevole" il mancato riscontro all'istanza del ricorrente, in ragione del fatto che l'impedimento individuale, per regola generale non idoneo ad imporre "un rinvio generalizzato delle relative prove o la predisposizione di sessioni suppletive di esami", doveva nondimeno trovare una "deroga in casi eccezionali, come è il caso di una emergenza epidemiologica globale senza precedenti", contraddistinto dall'imposizione di misure "limitative delle libertà costituzionali, necessarie per tutelare la salute (non solo individuale, del candidato colpito dall'evento impeditivo, ma anche) pubblica, della generalità dei consociati". Rispetto alla descritta situazione la sentenza statuiva che "la predisposizione di una sessione suppletiva (a cura dello stesso potere pubblico che tali limitazioni ha dovuto introdurre) è finalizzata a ripristinare una condizione di eguaglianza e parità di trattamento nei confronti dei candidati la cui sfera giuridica è stata segnata più degli altri (e per ragioni meramente casuali) dal factum principis". A quest'ultimo riguardo aggiungeva che la sessione suppletiva era stata prevista dallo stesso Ministero dell'istruzione, con il proprio decreto dipartimentale del 5 gennaio 2022, n. 23 (recante Disposizioni modificative al decreto 21 aprile 2020, n. 499). 4. Sulla base delle considerazioni sopra riportate, in accoglimento del ricorso erano annullati gli atti concorsuali con esso impugnati, ed era ordinato alle amministrazioni resistenti "di prevedere lo svolgimento di una prova scritta, mediante la fissazione di un'apposita sessione suppletiva e, ciò, per quanto riguarda la classe di concorso A022, Regione Toscana (ossia quella indicata dal ricorrente in sede di domanda di partecipazione)". 5. Contro la sentenza di accoglimento resa in primo grado il Ministero dell'istruzione e l'Ufficio scolastico regionale per la Toscana hanno proposto appello, al quale resiste l'originario ricorrente. Con ordinanza n. 418/2023 questa Sezione ha sospeso l'esecutività della sentenza impugnata. DIRITTO 1. Con un primo motivo d'appello viene censurata la sentenza per omesso rilievo della nullità della procura alle liti conferita in primo grado dal ricorrente agli avvocati An. De An. e Da. Pr., per difetto dei requisiti di specialità richiesti dal art. 40, comma 1, lett. g), cod. proc. amm., che si assume non sanabile a mezzo della regolarizzazione prevista dall'art. 182, comma 2, cod. proc. civ., considerata espressiva di una regola non estensibile al processo amministrativo. 2. Con un secondo motivo d'appello è dedotta la nullità della sentenza per incompetenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana nel presente giudizio, di impugnazione di atti di una procedura concorsuale indetta con decreto ministeriale, e come tale devoluta alla competenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, in applicazione del criterio della sede dell'autorità enunciato dall'art. 13 cod. proc. amm. 3. Con un ulteriore motivo d'appello viene censurata nel merito la statuizione di accoglimento del ricorso, laddove ha ritenuto che la positività al covid-19 comporta una deroga al principio secondo cui impedimenti della specie sono a carico dell'interessato, in contrasto con la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in materia (viene al riguardo richiamato il precedente di questa sezione di cui alla sentenza 13 dicembre 2022, n. 10914). Si sottolinea sul punto che nemmeno le esigenze di tutela della salute pubblica e di prevenzione della diffusione del contagio, su cui si impernia il dispositivo emergenziale istituito nel regime dell'emergenza epidemiologica nazionale, consentirebbe di derogare ai principi di "contemporaneità, contestualità ed anonimato, garantiti dall'espletamento della prova scritta in un unico momento", posti a tutela della par condicio dei concorrenti e della trasparenza della procedura concorsuale. La deroga a favore dei positivi al covid-19 comporterebbe inoltre una disparità di trattamento rispetto agli altri impedimenti individuali. 4. Con un'ulteriore censura si deduce che il regime normativo dell'emergenza non avrebbe mai previsto la possibilità di rinviare le prove a favore dei candidati ristretti per ragioni connesse all'emergenza pandemica, per cui l'ordine di predisporre una sezione suppletiva per il ricorrente comporterebbe un'invasione della discrezionalità dell'amministrazione scolastica, per un impedimento che contrariamente a quanto statuito dalla sentenza primo grado "non integra nemmeno il cd. factum principis evocabile in materia di adempimento contrattuale". 5. Le censure di merito da ultimo richiamate sono fondate, con carattere assorbente. 6. Va richiamato quale pronuncia in termini alla presente fattispecie controversa, ai sensi degli artt. 74 e 88, comma 2, lett. d), cod. proc. amm., il precedente di questa sezione di cui alla sentenza del 13 dicembre 2022, n. 10914 (già menzionata nell'ordinanza cautelare indicata in preambolo). Con esso si è statuito che la regola generale secondo cui l'impedimento individuale a partecipare alle prove di un concorso pubblico sono a carico dell'interessato è applicabile anche in caso di positività al covid-19 e di sottoposizione al relativo regime restrittivo. Nel precedente ora richiamato si è nello specifico precisato che quand'anche di origine legale, e cioè connesso alla normativa emergenziale, l'impedimento rimane un fatto individuale, irrilevante per l'amministrazione che ha indetto il concorso, e che, pertanto, l'interesse del soggetto da esso colpito a sostenere nondimeno le prove del concorso assume una posizione recessiva rispetto all'esigenza di svolgimento contestuale di queste ultime, a sua volta preordinata ad assicurare la par condicio tra i candidati. Il Collegio ritiene di non doversi discostare da tale precedente, peraltro conforme ad altre decisioni di questa e di altre sezioni del Consiglio di Stato (cfr., Cons. Stato, VII, ord. n. 3312/2022 e III, n. 8301/2022). 7. In continuità ai precedenti conformi sopra richiamati, rispetto ai quali non sussistono ragioni per discostarsi, va aggiunto che non ha rilievo in contrario il fatto che l'impedimento possa nella sostanza essere riconducibile in via esclusiva all'atto della pubblica autorità, come nell'ipotesi di guarigione dalla malattia prima della scadenza del termine di durata della quarantena, e dunque di idoneità sul piano psico-fisico a sostenere le prove del concorso. Anche in questo caso resta il fatto che l'interessato non è legalmente nelle condizioni di presentarsi a sostenere le prove concorsuali per un fatto riconducibile alla sua sfera personale, di cui l'amministrazione, tenuta al rispetto del principio di buon andamento ex art. 97 Cost., non può farsi carico per le ragioni anzidette. 8. Il principio di imparzialità enunciato dalla disposizione costituzionale ora richiamata non consente inoltre di ipotizzare deroghe allo svolgimento della selezione concorsuale nel rispetto delle esigenze di contemporaneità, contestualità ed anonimato delle prove richiamate nell'appello, attraverso un bilanciamento di queste ultime con il contrapposto interesse individuale a sostenere le prove concorsuali malgrado l'impedimento temporaneo, ed in particolare con il differimento delle prove per la parte colpita da quest'ultimo rispetto alla generalità dei concorrenti. Innanzitutto, come statuito nel precedente di questa sezione sopra richiamato nessuna disposizione in questo senso si riscontra a livello normativo. Al medesimo riguardo, diversamente da quanto suppone l'originario ricorrente, non è nemmeno invocabile l'art. 3, comma 6, del decreto dipartimentale del 5 gennaio 2022, n. 23 (Disposizioni modificative al decreto 21 aprile 2020, n. 499, recante: "Concorso ordinario, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento del personale docente per posti comuni e di sostegno nella scuola secondaria di primo e secondo grado", ai sensi dell'articolo 59, comma 11, del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito con modificazioni dalla legge 23 luglio 2021, n. 106). La disposizione ora richiamata prevede infatti quanto segue: "(l)'amministrazione si riserva la possibilità, in ragione del numero di partecipanti, di prevedere, ove necessario, la non contestualità delle prove relative alla medesima classe di concorso, assicurandone comunque la trasparenza e l'omogeneità in modo da garantire il medesimo grado di selettività tra tutti i partecipanti". La non contestualità è dunque prevista in via amministrativa solo per esigenze organizzative connesse allo svolgimento delle prove, quando il numero dei partecipanti non impedisca sul piano materiale e logistico di svolgere queste ultime in una sola giornata. La medesima previsione conferma quindi in via implicita l'irrilevanza dell'impedimento individuale, qualunque ne sia la fonte. 9. L'appello deve quindi essere accolto. Per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado il ricorso deve essere respinto. Le peculiarità della vicenda controversa e la natura delle questioni controverse giustifica nondimeno la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado respinge il ricorso. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere, Estensore Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere Maurizio Antonio Pasquale Francola - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10597 del 2018, proposto da An. Ro., Ma. Mo., rappresentati e difesi dagli avvocati El. Bu., St. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Os. Ma. Gu. Fa. in Roma, via (...); contro Comune di Firenze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Le., An. Mi., An. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Le. in Roma, via (...); nei confronti Fr. Ma., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Terza n. 632/2018, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Firenze; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria del giorno 14 aprile 2023 il Cons. Giovanni Tulumello e viste altresì le conclusioni delle parti come in atti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza gravata il T.A.R. della Toscana ha parzialmente accolto, e in parte respinto, il ricorso proposto dagli odierni appellanti per l'annullamento del provvedimento con cui il Comune di Firenze ha ingiunto la rimozione di alcune opere abusivamente realizzate. I ricorrenti in primo grado hanno impugnato l'indicata sentenza con ricorso in appello. Si è costituito in giudizio, per resistere, il Comune di Firenze. Il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione all'udienza straordinaria del 14 aprile 2023. 2. Il T.A.R. ha parzialmente accolto il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza che ingiungeva la rimozione delle opere eseguite su proprietà condominiale, così descritte nella sentenza impugnata: "chiusura a filo pavimento di un cavedio con un vetro satinato e parziale demolizione delle pareti perimetrali con creazione di aperture su tre lati, delimitate con pannelli in vetro e struttura metallica; sul lato adiacente alla strada, la realizzazione di un condotto costituito in parte con infissi in vetro e in parete in muratura; installazione nell'altro cavedio di due unità monocondensanti, oltre alla presenza di una presa d'aria di una caldaia; nel volume posto al piano della copertura creazione di un vano arredato con cucina componibile avente lunghezza di m. 5,77 circa e larghezza di m. 1,55 circa, in corrispondenza della parete di confine dell'altro vano adibito a bagno, avente dimensioni di m. 1,80x1,27, con la precisazione che l'altezza dei due locali è di m. 2,22 circa". Il ricorso è stato accolto quanto all'ordine di rimozione delle due unità monocondensanti e della presa d'aria posizionate nel secondo cavedio, e respinto per il resto. 3. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente. 3.1. Il primo motivo di appello contesta la sentenza di primo grado nella parte in cui non ha ritenuto fondata la censura la censura secondo la quale i manufatti in questione rientrerebbero nell'attività edilizia libera, ai sensi dell'art. 136, comma 2, della legge regionale della Toscana n. 65/2014. 3.2. Il secondo motivo contesta la parte della sentenza che ha affermato che "l'apposizione di un pavimento in vetro satinato e l'apertura su tre lati delle pareti perimetrali ha indubbiamente creato un incremento di SUL ad esclusivo utilizzo dell'unita immobiliare dei deducenti"; e nella parte in cui non ha ritenuto le opere in questione come di manutenzione straordinaria, come tali soggette a s.c.i.a. 4. Il primo motivo poggia sull'assunto che il condomino possa eseguire opere sulla proprietà comune, e che comunque nel caso di specie sia stato autorizzato dall'assemblea condominiale. Gli appellanti deducono poi l'irrilevanza della suddetta questione, civilistica, rispetto alla qualificazione delle opere in questione nello schema del citato art. 136: "l'Amministrazione Comunale non avrebbe potuto valutare la legittimità o meno delle opere di cui trattasi in ragione di pretesi (e invero insussistenti) diritti condominiali di terzi". Il mezzo è infondato Il motivo principale, e comunque autonomo ed autosufficiente, per cui la sentenza gravata ha ritenuto infondata la corrispondente censura del ricorso di primo grado, consiste nella considerazione (oggetto di gravame con il secondo motivo di appello) che "l'apposizione di un pavimento in vetro satinato e l'apertura su tre lati delle pareti perimetrali ha indubbiamente creato un incremento di SUL ad esclusivo utilizzo dell'unita immobiliare dei deducenti. D'altra parte, se lo scopo fosse stato quello dichiarato dai ricorrenti, non si comprenderebbe il motivo della particolare e impattante modifica impressa ai luoghi, non necessitando, di per sé, l'installazione di impianti tecnologici alcuna delle opere in effetti realizzate. E che l'intervento di cui trattasi non possa considerarsi come manutenzione straordinaria è confermato anche dall'art. 36 del Regolamento edilizio il quale qualifica superficie utile lorda le parti comuni "quando interne a singole unità immobiliari" confermando che, laddove tali locali, pur originariamente condominiali, acquisiscano una funzione diversa e siano trasformati in aree calpestabili ad uso esclusivo di un immobile, non possano che essere considerate quale incremento di superficie utile lorda". In altre parole, la ragione dell'infondatezza della pretesa dei ricorrenti non risiede nel profilo, civilistico, della disponibilità o meno della parte (originariamente) comune da parte del singolo condomino, richiamato incidentalmente dal T.A.R., ma nella sua, trasformazione, mediante le opere in questione, in un (nuovo) volume nella esclusiva disponibilità degli odierni appellanti, tale da incrementare la superfice utile lorda (il che all'evidenza rende impossibile accedere alla qualificazione di attività edilizia libera invocata nell'appello). 5. Anche il secondo motivo è infondato. Esso suppone un travisamento da parte del primo giudice dello stato dei luoghi: "La chiusura a filo pavimento del cavedio, realizzata con una superficie vetrata satinata, infatti, non ha creato alcuna area calpestabile a esclusivo utilizzo dell'unità immobiliare degli odierni appellanti; e ciò giacché lo spazio collocato al livello del terzo piano è completamente circondato da paratie protettive in vetro e metallo e non è accessibile dall'unità immobiliare". Tale asserzione, però, ancorchè supportata da una nota tecnica di parte prodotta in primo grado, come correttamente dedotto in memoria dal Comune appellato, è obiettivamente ed univocamente smentita - oltre che dalla difforme descrizione di tali spazi, come risultanti dall'intervento, nel ricorso di primo grado e in quello d'appello - dalla documentazione fotografica allegata al rapporto della Polizia Municipale anch'esso versato in atti dinnanzi al T.A.R. 6. Sempre con il secondo motivo gli appellanti deducono che "l'art. 36 del Regolamento Edilizio del Comune di Firenze, al comma 4. lett. m) esclude espressamente chiostrini e/o cavedi dal computo delle superfici". Tale assunto non considera però che il medesimo art. 36, come rilevato dalla sentenza gravata nel passaggio motivazionale sopra riportato, qualifica superfice utile quelle parti originariamente condominiali che - come nel caso di specie - vengano trasformate in aree ad uso esclusivo di una singola e specifica unità immobiliare: così perdendo la loro originaria funzione. I primi due motivi pretendono infatti di applicare al risultato di un'opera non assentita il regime previsto per l'ipotesi in cui quell'opera non fosse stata realizzata: il che è inammissibile sul piano logico, prima ancora che su quello strettamente giuridico. Per la stessa ragione il secondo motivo è infondato nella parte in cui tenta di qualificare come "manutenzione straordinaria" (che implica un intervento "neutro" e meramente manutentivo sull'esistente) la creazione di un aliquid novi, tale sia dal punto di vista strutturale che sul piano funzionale 7. Con il terzo motivo di appello si contesta la sentenza di primo grado nella parte in cui ha respinto la censura relativa alla rimessa in pristino senza danno per le opere esistenti. Il mezzo si fonda su di un opinamento del tutto soggettivo ed unilaterale, non supportato da risultanze univoche ed obiettive (dal momento che la nota tecnica invocata a supporto elenca adempimenti precauzionali ma non assevera l'impossibilità tecnica, né il dedotto pericolo). Inoltre, oltre alla considerazione che tale profilo rileva semmai in fase di esecuzione del provvedimento gravato, appare fondato l'argomento del Comune di Firenze laddove rileva che, proprio alla luce della più volte descritta natura delle opere (che risultano additive rispetto ad una struttura preesistente alle stesse e priva di esse), l'impossibilità di procedere alla rimessione in pristino senza compromissione delle parti conformi sarebbe "implausibile". 8. Il quarto motivo contesta la sentenza gravata nella parte relativa al c.d. vano tecnico. Il mezzo è infondato. Lo stesso ricorso in appello deduce che "Il vano attualmente destinato a cucina, originariamente, costituiva un volume tecnico, che rimane tale indipendentemente da tutti gli arredi della cucina componibile". Dunque la trasformazione strutturale ha comportato la trasformazione funzionale da vano tecnico a cucina posta ad uso esclusivo dell'unità immobiliare. In atto tale vano non può qualificarsi come volume tecnico, indipendentemente dall'amovibilità degli "arredi della cucina": la rimessione in pristino, semmai, assicurerà tale qualificazione, con il ritorno alla destinazione originaria. 9. La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5.1.2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12.12.2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22.3.1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16.5.2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19.1.2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Dalle considerazioni che precedono discende che l'appello è infondato e che va pertanto respinto, con conferma della sentenza di primo grado qui gravata. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna gli appellanti, in solido fra loro, al pagamento in favore del Comune di Firenze delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro cinquemila/00, oltre accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 389 del 2023, proposto dalla -OMISSIS- e dalle dott.sse -OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentate e difese dagli avvocati Qu. Lo. e Fr. Qu. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro la ATS - Agenzia di Tutela della Salute di Brescia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ro. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, Sezione Prima, n. -OMISSIS-, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della ATS - Agenzia di Tutela della Salute di Brescia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Le dott.sse -OMISSIS- e -OMISSIS-, all'esito del concorso straordinario indetto nel 2012 dalla Regione Lombardia, ai sensi dell'art. 11 d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, per l'assegnazione di n. 343 sedi farmaceutiche, al quale hanno partecipato in forma associata, avendo accettato la sede -OMISSIS- del Comune -OMISSIS- (BS), hanno ottenuto, mediante la determinazione -OMISSIS- del 31 luglio 2020 del Dirigente Responsabile del Servizio Farmaceutico della ATS - Agenzia di Tutela della Salute di Brescia il riconoscimento congiunto pro indiviso della titolarità della suddetta sede farmaceutica e l'autorizzazione all'apertura ed all'esercizio della farmacia denominata "-OMISSIS-", sita in -OMISSIS- del suddetto Comune, con affidamento della gestione alla suddetta società . 1.1. Con note prot. -OMISSIS- e -OMISSIS- del 27 maggio 2022, il Direttore del Servizio Farmaceutico della medesima ATS ha comunicato alle suddette l'avvio del procedimento di annullamento in autotutela della citata determinazione -OMISSIS- del 31 luglio 2020, essendo emerso che la dott.ssa -OMISSIS- era socia accomandataria dal 26 gennaio 2010 della -OMISSIS-, titolare di farmacia sita in -OMISSIS-, ed amministratrice unica della -OMISSIS-, titolare di farmacia con sede in -OMISSIS-, mentre la dott.ssa -OMISSIS- era socia accomandante della -OMISSIS-, titolare di farmacia con sede in -OMISSIS-, in contrasto con le dichiarazioni sostitutive di atto notorio - rese ai sensi dell'art. 47 d.P.R. n. 445/2000 in sede di presentazione dell'istanza diretta ad ottenere il riconoscimento della co-titolarità della farmacia assegnata a seguito del menzionato concorso straordinario - "di non essere titolare né socio di società titolare di farmacia" ed in violazione del disposto di cui all'art. 8, comma 1, lett. b) l. n. 362/1991, ai sensi del quale "la partecipazione alle società di cui all'articolo 7, salvo il caso di cui ai commi 9 e 10 di tale articolo, è incompatibile (...) con la posizione di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia". 1.2. Con la determinazione -OMISSIS- del 6 giugno 2022, il Dirigente Responsabile del Servizio Farmaceutico della ATS Brescia, rilevato che "risulta documentalmente provato che all'atto della presentazione dell'istanza diretta ad ottenere, a proprio nome, il riconoscimento della co-titolarità della farmacia sede n. 4 del Comune -OMISSIS- vinta a concorso, e all'adozione del provvedimento di riconoscimento della citata co-titolarità, la dott.ssa -OMISSIS- e la dott.ssa -OMISSIS- erano ancora socie di società titolari di farmacia, con ciò contravvenendo al disposto dell'art. 8, comma 1, lett. b), L. n. 362/91 e ss.mm.ii. che esplicitamente prevede che la partecipazione a società titolari di farmacia è incompatibile con la posizione di titolare di farmacia" e rilevato che "detta circostanza se resa nota, avrebbe ex lege impedito, quantomeno sino alla risoluzione della citata incompatibilità, l'adozione da parte del Servizio Farmaceutico della determinazione -OMISSIS- del 31 luglio 2020", ha disposto l'annullamento in autotutela, ex art. 21-nonies l. n. 241/1990, della medesima determinazione. 1.3. Quindi, con la comunicazione prot. -OMISSIS- del 6 giugno 2022, la ATS, in esecuzione della determinazione -OMISSIS-/2022, ha ordinato la chiusura immediata della farmacia. 2. I provvedimenti appena indicati sono stati impugnati dalle loro destinatarie, con il ricorso n. -OMISSIS-, dinanzi al T.A.R. per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, e le censure con esso formulate sono state ampliate dalle ricorrenti con successivi motivi aggiunti. 2.1. Il T.A.R. adito, dopo aver accolto la domanda cautelare delle ricorrenti, essenzialmente sulla scorta di valutazioni attinenti al periculum in mora, con la sentenza n. -OMISSIS- del 30 dicembre 2022 ha respinto il ricorso ed i motivi aggiunti. 2.2. La sentenza, i cui effetti sono stati sospesi da questa Sezione - prima in sede cautelare presidenziale, quindi collegiale - al fine di conservare la res adhuc integra fino alla decisione di merito della controversia, costituisce oggetto dell'appello proposto dalle originarie ricorrenti, al cui accoglimento si oppone la ATS - Azienda di Tutela della Salute di Brescia. 2.3. La molteplicità dei temi sollevati con i motivi di appello consiglia di illustrare il contenuto delle censure contestualmente al relativo esame da parte del giudicante ed alla esposizione delle ragioni della decisione assunta con riferimento a ciascuna di esse. 3. Con il primo motivo di appello, le promotrici del gravame censurano la sentenza appellata nella parte in cui ha dichiarato l'inammissibilità, oltre che l'infondatezza, del motivo del ricorso introduttivo inteso a lamentare la brevità del termine (3 giorni) concesso dall'Amministrazione, con la comunicazione di avvio del procedimento, per la presentazione di eventuali osservazioni. 3.1. La contestata declaratoria di inammissibilità della doglianza si incentra sul rilievo secondo cui "risulta per tabulas che esse sono comunque riuscite a rispettarlo (il termine suindicato, n. d.e.) depositando una memoria partecipativa (v. docc. 9 e 10 fascicolo di parte ricorrente). Sicché, non si vede quale interesse abbiano ora a dolersene, vieppiù considerando che le dott.sse -OMISSIS- e -OMISSIS- non hanno nemmeno allegato di non aver potuto, a causa della brevità del termine, sottoporre al vaglio dell'ATS ulteriori argomenti, che avrebbero potuto incidere sull'esito finale del procedimento. La doglianza è dunque inammissibile per carenza di interesse, prima ancora che infondata giacché è stato comunque assicurato il contraddittorio procedimentale". 3.2. Deducono in chiave critica le appellanti che il termine di tre giorni concesso dall'Amministrazione, da considerarsi peraltro ridotto a due giorni ricadendo uno di essi nella giornata di sabato, ha impedito l'effettivo svolgersi del contraddittorio procedimentale, attraverso la produzione di memorie complete ed accurate. 3.3. Ritiene la Sezione che, nell'ottica applicativa dell'art. 21-octies, coma 2, secondo periodo l. n. 241/1990, a mente del quale "il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato" (disposizione che, essendo testualmente riferita all'ipotesi di radicale omissione della comunicazione di avvio del procedimento, è a fortiori applicabile a quella, ricorrente nel caso di specie, di asserita "inefficiente" gestione del contraddittorio procedimentale, in conseguenza della lamentata eccessiva brevità del termine concesso dall'Amministrazione per la presentazione di memorie difensive), la rilevanza del vizio ai fini della risoluzione della controversia sia assorbita dalle ulteriori questioni sollevate dalle ricorrenti, intese di fatto a mutuare le argomentazioni difensive che non sarebbe stato loro consentito di sviluppare adeguatamente in sede procedimentale (affermando le stesse appellanti che "in tre giorni (uno dei quali sabato: di fatto due giorni) non è stato possibile improvvisare la stesura di una memoria che potesse sintetizzare le numerose doglianze contenute nel ricorso introduttivo e nei motivi aggiunti"). Ne consegue che l'eventuale infondatezza delle ulteriori censure, dimostrando che "il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato", eliderebbe necessariamente, ai sensi della disposizione citata, ogni riflesso invalidante a carico del provvedimento impugnato del lamentato vizio partecipativo. 4. Il successivo motivo di appello si prefigge di ottenere la riforma della sentenza appellata nella parte in cui ha respinto il motivo del ricorso introduttivo diretto a lamentare la violazione del termine di dodici mesi di cui all'art. 21-nonies, comma 1, l. n. 241/1990, decorrente dalla data di adozione del provvedimento annullato, entro il quale è esercitabile il potere di autotutela, non essendo configurabile nella specie, ad avviso delle appellanti, la situazione derogatrice di cui al successivo comma 2-bis, ai sensi del quale "i provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445": ciò in quanto, precisavano le ricorrenti, farebbe difetto nella specie una sentenza passata in giudicato che abbia accertato la falsità delle dichiarazioni rese e la concretizzazione, attraverso di esse, di un reato. 4.1. Va premesso che il giudice di primo grado, al fine di respingere la censura in esame, dopo aver premesso che la giurisprudenza ammette il superamento del termine suindicato ai fini dell'esercizio del potere di annullamento in autotutela in due ipotesi, ovvero, da un lato, nel caso in cui la falsa attestazione, inerente i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all'uopo rese dichiarazioni sostitutive), dall'altro lato, nel caso in cui l'(acclarata) erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all'Amministrazione ma esclusivamente al dolo (equiparabile alla colpa grave) della parte, e che solo nel primo è necessario l'accertamento definitivo in sede penale, chiarito altresì che "non è in contestazione che il dato dichiarato dalle dott.sse -OMISSIS- e -OMISSIS- al momento della presentazione della domanda di riconoscimento della titolarità della -OMISSIS- del Comune -OMISSIS- e di autorizzazione all'apertura e all'esercizio della farmacia, ovverosia di non essere titolari e nemmeno socie di società titolari di altre farmacie, non corrisponde al vero" ed evidenziato che "se anche (le ricorrenti, n. d.e.) non avessero letto il modulo prima di sottoscriverlo e dunque la dichiarazione non veritiera non fosse frutto di dolo, comunque la loro condotta sarebbe gravemente negligente e quindi colposa", ha ritenuto che nel caso di specie risultasse integrata la seconda ipotesi derogatrice del suddetto termine (da considerarsi ex lege "ragionevole") di dodici mesi. 4.2. Deducono in chiave critica le appellanti che il T.A.R. ha erroneamente ritenuto che il caso sottoposto al suo esame rientrasse nella ipotesi relativa alla falsa rappresentazione di fatti anziché in quella concernente la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà mendace, ritenendo quindi superfluo il preventivo accertamento del Giudice penale, laddove la stessa ATS di Brescia, dopo aver accertato la contestata causa di incompatibilità, ha trasmesso alla Procura della Repubblica presso quel Tribunale una "comunicazione/notizia di reato" in data 30 marzo 2022, con la quale le dott.sse -OMISSIS- e -OMISSIS- sono state indicate come responsabili del reato di cui all'art. 76 d.P.R. n. 445/2000. 4.3. Il motivo non può essere accolto. Deve premettersi che la parte appellante non contesta la premessa svolta nella sentenza appellata, laddove subordina il legittimo superamento del termine ragionevole al ricorrere, alternativamente, di una "falsa rappresentazione dei fatti" ovvero di una dichiarazione sostitutiva di certificazione o dell'atto di notorietà falsa o mendace per effetto di una condotta costituente reato accertata con sentenza passata in giudicato, ma contesta l'inquadramento operato dal giudice di primo grado della fattispecie in esame entro la prima fattispecie piuttosto che, come a suo avviso sarebbe corretto alla luce dei dati di fatto pertinenti, nella seconda. 4.4. Ebbene, deve in primo luogo osservarsi che, indipendentemente dalla distinzione astrattamente effettuabile tra le condotte decettive contemplate dall'art. 21-nonies, comma 2-bis, l. n. 241/1990 - a seconda che siano costituite da mere "false rappresentazioni dei fatti" o da "dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci" - e dalle diverse conseguenze che ad essa volessero ricollegarsi - nel senso che solo nella seconda ipotesi sarebbe necessario, ai fini del superamento del "termine ragionevole, comunque non superiore a dodici mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici", entro il quale deve essere adottato il relativo provvedimento di autotutela - occorre porre in evidenza la ratio unitaria della disposizione, intesa a sollevare l'Amministrazione dal rispetto di un termine perentorio e (allo stato attuale) rigorosamente determinato nella sua estensione temporale, in tutti i casi in cui, indipendentemente dalla forma della dichiarazione ingannevole, essa abbia fatto legittimo affidamento sull'apporto dichiarativo del privato ai fini del rilascio del provvedimento favorevole, astenendosi dall'effettuare autonome acquisizioni istruttorie aventi ad oggetto i fatti rilevanti e dall'esercitare i controlli (preventivi o successivi a quel provvedimento) in ordine alla genuinità delle dichiarazioni dell'interessato. Tale conclusione discende dalla ragionevole considerazione che, così come l'Amministrazione non può essere considerata in colpa (nel rilascio del provvedimento ampliativo) laddove sia stata fuorviata dal contributo istruttorio del privato, se non sussistevano oggettive ragioni per dubitare della sua attendibilità e correttezza, allo stesso modo, nessun consolidamento dell'affidamento del suddetto in ordine al vantaggio giuridico (illegittimamente) conseguito può predicarsi qualora questo abbia costituito il frutto di un suo comportamento volto, dolosamente o colposamente, alla rappresentazione artificiosa, recte oggettivamente non veritiera, dei fatti rilevanti. 4.5. In siffatto contesto interpretativo, dalla necessità, normativamente prevista, che la fattispecie decettiva abbia costituito oggetto di una sentenza di condanna del giudice penale passata in cosa giudicata non potrebbe derivare un vantaggio per il privato - tutelato nel mantenimento dell'utilità ad esso attribuita mediante il provvedimento ampliativo emesso in carenza dei suoi presupposti legittimanti per effetto dello "scudo" rappresentato dal decorso del suddetto "termine ragionevole" - proprio nelle ipotesi in cui, in considerazione della astratta rilevanza penale della condotta fuorviante, il suo comportamento sia oggettivamente connotato da un più elevato grado di disvalore e "pericolosità ". Del resto, finché una sentenza penale di condanna non sia stata pronunciata e non sia passata in giudicato, non potrebbe certo essere la P.A. (né tantomeno il giudice amministrativo, chiamato a sindacare la legittimità del provvedimento di autotutela sotto il profilo della sua tempestività ) accertare se la dichiarazione falsificatrice integri o meno, in concreto, una fattispecie di reato, al fine di stabilire se l'esercizio del potere di autotutela sia soggetto al termine perentorio di dodici mesi ovvero ad una più elastica valutazione di ragionevolezza circa il "quando" della adozione del provvedimento di annullamento d'ufficio, non essendo all'uopo evidentemente sufficiente che la falsità rappresentativa sia stata calata nelle forme della dichiarazione sostitutiva. 4.6. Deve piuttosto ritenersi - in linea con la diversa carica di disvalore che presenta la dichiarazione decettiva, a seconda che integri o meno astrattamente una fattispecie criminosa - che la pronuncia di una sentenza penale di condanna passata in giudicato abbia la funzione di ampliare, piuttosto che restringere, lo "spatium temporis" concesso all'Amministrazione ai fini del ripristino (sussistendone le altre condizioni di legge) della legalità violata mediante l'adozione del provvedimento ampliativo, con la conseguenza che essa sarà legittimata all'esercizio del suo potere di autotutela anche oltre il termine suindicato non solo ogniqualvolta abbia accertato che il provvedimento suindicato è stato emesso sulla scorta di una "falsa rappresentazione dei fatti", indipendentemente dalla forma (dichiarazione sostitutiva o meno) in cui essa sia stata versata, ma anche quando la falsità della dichiarazione sostitutiva sia stata acclarata con una sentenza definitiva di condanna. Solo in questo modo, infatti, si scongiura l'effetto paradossale per cui il privato che abbia reso una falsa rappresentazione mediante una dichiarazione sostitutiva (la quale, giova precisare, può avere ad oggetto anche i "fatti", ex art. 46, comma 1, d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445) si giovi del vantaggio ad esso illegittimamente attribuito in forza di quella dichiarazione, non essendo intervenuta una sentenza penale di condanna per il reato di cui all'art. 76 d.P.R. cit., a differenza del privato che si sia reso responsabile di una "mera" "falsa rappresentazione", senza utilizzare il suddetto modulo dichiarativo e senza incorrere nella violazione della menzionata norma incriminatrice. 4.7. Discende, dai rilievi che precedono, che la tesi attorea, intesa a far discendere dal fatto che non era intervenuta, al momento dell'adozione dell'impugnato provvedimento di autotutela, alcuna sentenza penale di condanna passata in giudicato, avente ad oggetto la dichiarazione sostitutiva resa dalle appellanti all'atto della presentazione della domanda di riconoscimento della farmacia di cui le medesime erano risultate assegnatarie all'esito del concorso straordinario, la decadenza dell'Amministrazione in ordine all'esercizio del potere di annullamento, deve essere disattesa, con la conseguente reiezione del motivo di appello in esame e la conferma, sebbene con le integrazioni che precedono al relativo corredo motivazionale, della sentenza impugnata. 5. Con il successivo motivo di appello, le appellanti contestano la sentenza appellata nella parte in cui ha ritenuto la congruità dell'apparato motivazionale del provvedimento di annullamento, benché non contenesse una analitica confutazione delle argomentazioni difensive da loro spese in sede di contradditorio procedimentale, la quale sarebbe stata necessaria in considerazione del grave impatto del provvedimento di annullamento sugli interessi giuridici ed economici delle sue destinatarie. 5.1. Il motivo non può essere accolto. Deve invero osservarsi che, indipendentemente dalla esaustività del contenuto motivazionale del provvedimento impugnato in relazione alle articolate deduzioni difensive delle ricorrenti, le osservazioni da esse formulate in seno al procedimento di autotutela, come indicate nel motivo in esame, afferiscono essenzialmente ai presupposti vincolati dell'esercizio del relativo potere, essendo intese essenzialmente a contestare che il provvedimento annullato dall'Amministrazione fosse affetto dai vizi di illegittimità da essa ravvisati. Ne consegue che lo scrutinio di quelle osservazioni, nella misura in cui sono confluite nei motivi di impugnazione proposti avverso il provvedimento di autotutela, si presta ad essere svolto, con risultati potenzialmente più significativi per le appellanti, in sede di esame da parte dell'organo giudicante di quei motivi piuttosto che in vista della mera riedizione del provvedimento suindicato, quale discenderebbe dall'accoglimento della censura di carenza motivazionale in esame: con l'inevitabile corollario che, laddove quei motivi risultassero anche in questa sede di appello infondati, ed in applicazione della già menzionata previsione di cui all'art. 21-octies, comma 2, secondo periodo, l. n. 241/1990 (secondo cui, come si è detto, "il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato"), applicabile a fortiori al dedotto vizio motivazionale (che, essendo incentrato sul mancato compiuto esame delle osservazioni procedimentali delle interessate, costituisce un minus rispetto alla stessa mancata attivazione del contraddittorio procedimentale, contemplata testualmente dalla disposizione citata), questo non potrebbe comunque mettere capo alla caducazione del provvedimento impugnato. 6. Il successivo motivo di censura si appunta sulla statuizione reiettiva recata dalla sentenza appellata in relazione al motivo del ricorso introduttivo inteso a lamentare che l'Amministrazione sarebbe venuta meno al suo dovere di trasparenza e leale collaborazione con i privati vincitori del concorso straordinario, in quanto, nel richiedere la sottoscrizione del modulo "aggiornato" contenente le dichiarazioni in ordine alla sussistenza di eventuali cause di incompatibilità, non aveva avvertito le odierne appellanti della modifica apportata al modulo da esse già sottoscritto in data 7 maggio 2020, attraverso la previsione, tra le cause di incompatibilità, della qualità di socio di società titolare di farmacia: avvertimento tanto più necessario, ad avviso delle ricorrenti, in quanto la richiesta di integrazione era pervenuta dopo che l'esercizio farmaceutico era stato sottoposto all'ispezione preventiva di cui all'art. 111 del T.U.LL.SS. ed il "modulo aggiornato" era graficamente uguale al precedente, pur implicando un così significativo ampliamento delle cause d'incompatibilità, tanto da rendere indispensabile la cessione immediata delle quote di partecipazione acquistate in pendenza del concorso. 6.1. La corrispondente statuizione reiettiva del T.A.R., incentrata essenzialmente sul principio di auto-responsabilità delle dichiaranti e sul fatto che "nulla nella richiesta della ATS - così come emerge dalla documentazione in atti - poteva indurre a ritenere che il modulo precedente e quello aggiornato non differissero" oltre che sul rilievo secondo cui "ove così fosse, non si comprenderebbe perché mai l'ATS, dopo aver ricevuto dalle interessate il primo modulo (quello in cui non compariva la dichiarazione sulla partecipazione a società titolarità di farmacie) debitamente sottoscritto, ha chiesto di integrare la domanda con il secondo modulo", merita ad avviso del Collegio di essere confermata. 6.2. Deve invero osservarsi che il carattere modificativo - per "addizione" - del modello di dichiarazione sostitutiva trasmesso dall'Amministrazione alla dott.ssa -OMISSIS- in data 6 luglio 2020, rispetto a quello originariamente compilato (in data 7 maggio 2020 dalla dott.ssa -OMISSIS- ed in data 11 maggio 2020 dalla dott.ssa -OMISSIS-), si evince testualmente, sebbene senza evidenziare la modifica apportata, dalla stessa richiesta di integrazione, laddove si chiede di "voler integrare l'istanza in oggetto, rendendo debitamente compilato e sottoscritto - una copia per ciascun socio della società - l'allegato "Modulo_1" aggiornato al 02/20"". Peraltro, proprio il fatto che la modifica fosse circoscritta all'estensione delle cause di incompatibilità alla veste di "socio di società titolare di farmacia", restando immutato - sia graficamente che contenutisticamente - il precedente modello di dichiarazione, non poteva non rendere avvertite le interessate della presenza della predetta modifica, agevolmente rilevabile attraverso il mero confronto tra il precedente ed il nuovo modello. 6.3. Deve quindi ritenersi che non è predicabile alcuna inosservanza degli oneri collaborativi imputabili all'Amministrazione, arrestandosi essi nel punto in cui inizia il dovere del privato di rendersi diligentemente edotto dell'oggetto delle sue istanze e delle dichiarazioni ad esse allegate: punto che nella specie, in ragione dei rilievi che precedono, doveva ritenersi ampiamente superato, non assumendo rilievo decisivo - potendo semmai da essa trarsi argomento per confermare la sussistenza in capo alle ricorrenti di uno specifico onere informativo - la circostanza da queste allegata in ordine all'avvenuta ispezione igienico-sanitaria dei locali destinati all'insediamento della -OMISSIS-. 6.4. Quanto invece alla deduzione secondo cui nella vecchia stesura del modello di dichiarazione sostitutiva veniva richiesta l'intestazione della sede farmaceutica alla società costituita tra le ricorrenti, mentre nella nuova era richiesta l'intestazione alle loro persone fisiche, deve osservarsi che, a prescindere dal fatto che essa non trova riscontro nei documenti prodotti (essendo i due modelli di dichiarazione sostitutiva, da questo punto di vista, del tutto identici), la allegata variazione andrebbe messa in relazione con la modifica introdotta nella dichiarazione, siccome intesa a dare rilievo, ai fini dell'accertamento delle cause di incompatibilità, alla posizione del titolare della farmacia oggetto di assegnazione all'esito del concorso straordinario (da identificarsi, per effetto della sentenza della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 17 gennaio 2020, nei farmacisti partecipanti al concorso) e non alla società costituenda per la relativa gestione associata: sì che essa doveva semmai concorrere a richiamare l'attenzione delle sottoscrittrici sul contenuto delle dichiarazioni rese in ordine alla insussistenza delle cause di incompatibilità . 7. Con il successivo motivo di appello, le appellanti si dolgono della reiezione del motivo di ricorso con il quale lamentavano che l'Amministrazione non aveva concesso un termine ragionevole per rimuovere la causa di incompatibilità . 7.1. Va premesso che il T.A.R. ha respinto la censura sulla scorta del seguente ragionamento. Dopo aver evidenziato che "le cause di incompatibilità vanno rimosse nel momento in cui si verificano e non nel momento in cui vengono scoperte dall'Amministrazione" e che "le dott.sse -OMISSIS- e -OMISSIS- avrebbero così dovuto scegliere tra la sede farmaceutica -OMISSIS- e quelle di cui già erano titolari attraverso la partecipazione societaria nel lasso di tempo, non breve, che intercorre tra la comunicazione della Regione della disponibilità della sede farmaceutica e la presentazione della domanda di autorizzazione all'apertura della farmacia", ha rilevato il T.A.R. che, "come emerge dal provvedimento qui impugnato, la Regione aveva comunicato alla dott.ssa -OMISSIS-, quale referente delle partecipanti al concorso in forma associata, quale fosse il termine ultimo per rimuovere eventuali cause di incompatibilità " (ovvero, come da comunicazione prot. n. -OMISSIS- del 9 settembre 2019, "al momento della domanda di autorizzazione all'apertura, da presentarsi all'ATS di competenza territoriale"), traendone, sul piano strettamente decisorio, la conseguenza che "ora le ricorrenti non possono dolersi che non gli sia stato attribuito un ulteriore termine per operare la scelta tra le diverse farmacie". Infine, il T.A.R. ha osservato che "quanto alla dismissione da parte della dott.ssa -OMISSIS- delle quote societarie detenute nelle società -OMISSIS- (con donazione alla -OMISSIS-) e -OMISSIS- (sempre con donazione alla -OMISSIS- e alla -OMISSIS-), si tratta all'evidenza di sopravvenienze irrilevanti, perché giunte non solo ben oltre il termine indicato dalla Regione per rimuovere eventuali incompatibilità, ma anche dopo l'adozione dell'atto di autotutela da parte della ATS". 7.2. Con il relativo motivo di appello, le appellanti richiamano in primo luogo le disposizioni (artt. 63 d.P.R. n. 3/1957, 53 d.lvo n. 165/2001, 69 d.lvo n. 267/2000 e 3 l. n. 165/2004) che prevedono la diffida alla cessazione, entro il termine di 15 giorni, della situazione che ha causato l'eventuale incompatibilità . Esse deducono altresì che il rigore interpretativo che caratterizza la sentenza impugnata non appare giustificato ove si consideri che, fino a poco tempo prima, la prevista intestazione della farmacia alla società non avrebbe comportato l'insorgere di alcuna incompatibilità e tenuto conto che quella introdotta non era collegata alla tutela di alcun pregnante interesse pubblico, anche alla luce della incertezza applicativa delle disposizioni pertinenti connessa all'evoluzione giurisprudenziale consacrata dalla citata sentenza della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2020. 7.3. Il motivo non è meritevole di accoglimento. Deve in primo luogo rilevarsi la non pertinenza alla fattispecie delle disposizioni di legge invocate dalle appellanti, attenendo esse, nella loro specialità prescrittiva, a materie estranee a quella di cui si tratta e non essendo quindi estensibili, nemmeno in via analogica, alla fattispecie in esame. 7.4. Ciò premesso, è senz'altro condivisibile quanto affermato dal T.A.R. in ordine al carattere meramente interpretativo della pronuncia della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato da cui è derivata l'integrazione delle cause di incompatibilità nel senso innanzi indicato: ciò, tuttavia, non può indurre a trascurare, ai fini del concreto funzionamento del meccanismo decadenziale (conseguente all'accertamento della causa di incompatibilità di cui si tratta), la buona fede riposta dalle interessate in ordine alla irrilevanza ai suddetti fini della veste di socie di società titolari di farmacie, acquisita in pendenza del concorso straordinario, e generata dallo stesso primigenio modulo di dichiarazione sostitutiva disponibile per le vincitrici del concorso medesimo (che pacificamente quella causa di incompatibilità, appunto, non contemplava). Se quindi, a differenza di quanto ritenuto dal giudice di primo grado, non è possibile fare leva, al fine di fissare il termine perentorio entro il quale risolvere la situazione di incompatibilità, sulla data di presentazione della domanda di riconoscimento della titolarità della farmacia e di autorizzazione all'apertura della stessa, secondo le richiamate indicazioni regionali (dal momento che, come si è detto, a quella data la posizione di socio di società titolare di farmacia non era considerata rilevante dall'Amministrazione quale causa generatrice di una possibile fattispecie di incompatibilità ), deve nondimeno osservarsi che le appellanti, omettendo di comunicare diligentemente e lealmente all'Amministrazione la sussistenza della ridetta causa di incompatibilità una volta che, con la richiesta di sottoscrivere il nuovo modello di dichiarazione, era stata superata l'incertezza applicativa preesistente alla suindicata decisione della Adunanza Plenaria, non hanno consentito l'attivazione dell'invocato meccanismo di regolarizzazione, recte di rimozione della causa di incompatibilità, prima dell'adozione del provvedimento autorizzativo: né questo avrebbe potuto avere luogo prima dell'adozione del provvedimento di annullamento, la quale si colloca nella fase (patologica) dell'accertamento della illegittimità del provvedimento di riconoscimento della titolarità della farmacia in capo alle appellanti e non in quella (fisiologica) della rimozione delle cause di incompatibilità portate diligentemente a conoscenza dalle interessate alla P.A., necessariamente antecedente al suddetto provvedimento ampliativo. 7.5. Del resto, alla tesi di parte appellante deve opporsi il rilievo ulteriore secondo cui, una volta acclarata l'illegittimità del provvedimento di riconoscimento della titolarità della farmacia, siccome inficiato dalla sussistenza (alla data della sua adozione) di una (non previamente rimossa) causa di incompatibilità, non sarebbe stato possibile sanare "ora per allora" la situazione di conflitto contestata. Né peraltro, una volta acclarata la sussistenza della suddetta causa di incompatibilità, prevista da una espressa disposizione di legge (e semplicemente richiamata, a titolo ricognitivo, nel menzionato modello di dichiarazione sostitutiva), l'Amministrazione poteva ritenersi tenuta a valutarne l'incidenza sull'interesse pubblico che essa è destinata a presidiare. 8. Le appellanti quindi, dopo aver dichiarato di rinunciare al motivo del ricorso introduttivo inteso a lamentare il vizio di incompetenza a carico del provvedimento impugnato in primo grado, ed aver riproposto la censura di invalidità derivata avverso l'ordine di chiusura della farmacia (la cui reiezione non può che conseguire a quella concernente le censure proposte avverso il propedeutico provvedimento di autotutela), contestano la sentenza appellata nella parte in cui ha respinto il motivo aggiunto inteso a lamentare che la causa di incompatibilità di cui all'art. 8 l. n. 362/1991 era stata applicata alla dott.ssa -OMISSIS- nella qualità di socia accomandante di società titolare di farmacia. 8.1. Va premesso che a sostegno della censura era stato posto sia il fatto che, a giudizio della Corte Costituzionale (sentenza n. 11 del 5 febbraio 2020), l'incompatibilità di cui alla citata disposizione non era riferibile ai soci che fossero unicamente titolari di quote di capitale e non si potessero ingerire nella gestione societaria, come appunto nel caso dei soci accomandanti, sia il rilievo secondo cui i requisiti di partecipazione ad una procedura selettiva debbono essere mantenuti per un arco di tempo ragionevole e non a tempo indefinito, essendo la suddetta divenuta socia della società -OMISSIS- nel 2019, ovverosia sette anni dopo aver presentato la domanda di partecipazione al concorso straordinario del 2012. 8.2. Il T.A.R., dopo aver evidenziato la stretta connessione esistente tra le posizioni delle due ricorrenti (per cui "l'interesse di una delle due ricorrenti a contestare la causa di incompatibilità rilevata dall'ATS nei propri confronti sussiste se e in quanto anche l'altra ricorrente sia in grado di fare altrettanto"), ha evidenziato, in chiave reiettiva, che "la censura confonde due piani, quello della sussistenza dei requisiti di partecipazione al concorso, con quello della incompatibilità ". A tal proposito, ha rilevato il giudice di primo grado che "l'annullamento in autotutela è intervenuto non perché le ricorrenti al momento della presentazione della domanda di partecipazione al concorso non fossero in possesso dei necessari requisiti, né perché questi requisiti siano venuti meno, ma perché, quando hanno chiesto il riconoscimento della titolarità della -OMISSIS- in Comune -OMISSIS- e l'autorizzazione all'apertura e all'esercizio della farmacia, si sono venute a trovare in una condizione di incompatibilità ". Ha aggiunto il T.A.R. che "nel caso di specie vi è in effetti una certa corrispondenza fra i requisiti di partecipazione (non essere, salvo deroghe precise, titolari di farmacia) e la causa di incompatibilità (socio di società titolare di farmacia), ma si tratta di un mero accidente, che non sposta l'essenza della questione. E cioè che qui non vi è un problema di eccessiva durata della permanenza dei requisiti di partecipazione (così come sostiene parte ricorrente), ma della concretizzazione di una causa di incompatibilità preclusiva del conseguimento della sede farmaceutica messa a concorso". Ha inoltre osservato il T.A.R. che "rispetto alla causa di incompatibilità contestata dalla ATS alla dott.ssa -OMISSIS- la tesi dell'interessata, che verte sostanzialmente sul ruolo di socia accomandante rivestito, non è condivisibile", atteso che "il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 11/2020 operato in ricorso non è pertinente, dato che tale pronuncia ha oggetto la causa di incompatibilità prevista alla lettera c) dell'articolo 8 della L. n. 362/1991, mentre alle ricorrenti è stata contestata l'incompatibilità di cui alla lettera b) del medesimo comma. Le considerazioni svolte dalla Consulta, peraltro nell'ambito di una sentenza interpretativa di rigetto, con riferimento alla compatibilità tra la partecipazione a una società titolare di una farmacia e lo svolgimento di un rapporto di lavoro pubblico e privato, non sono estensibili alla diversa ipotesi della compatibilità tra la partecipazione a società titolare di farmacia e l'essere titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia". Ha invero ritenuto il T.A.R. che "viceversa pertinente è il parere della Commissione Speciale del Consiglio di Stato n. 69/2018 a cui fa riferimento la difesa dell'ATS", rilevando che "con ragionamento che la Sezione condivide, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la causa di incompatibilità della lettera b) del comma 1 dell'articolo 8 della L. n. 362/1991 si estende a qualsiasi forma di partecipazione societaria (e dunque, per quanto qui di interesse, anche al socio accomandante), sia per ragioni di ordine testuale non ponendo la norma distinzione alcuna, sia per ragioni di ordine teleologico, essendo la previsione diretta a prevenire situazioni di potenziale conflitto di interesse. La norma, cioè, mira a evitare che "i soggetti titolari, gestori provvisori, direttori o collaboratori di una farmacia (...) contraggano vincoli che impediscano loro un adeguato svolgimento delle prestazioni lavorative in favore della farmacia presso la quale operano", rischio questo che non può essere escluso per il solo fatto che il farmacista sia un socio privo di poteri di amministrazione della società titolare della farmacia concorrente". 8.3. Mediante il corrispondente motivo di appello, le appellanti richiamano la diversa soluzione interpretativa recepita dal T.A.R. per la Toscana con sentenza n. 233 del 20 febbraio 2020, la quale, sulla scorta della predetta sentenza della Corte costituzionale n. 11 del 5 febbraio 2020, ha ritenuto che il possesso della veste di socio accomandante in una società titolare di farmacia non fosse idonea ad integrare la causa di incompatibilità di cui all'art. 8, comma 1, lett. c) l. n. 362/1991, a mente del quale "la partecipazione alle società di cui all'articolo 7, salvo il caso di cui ai commi 9 e 10 di tale articolo, è incompatibile (...) con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato". La parte appellante quindi, dopo aver riportato ampi stralci della sentenza suindicata, deduce che "sussiste in ogni caso l'interesse della singola ricorrente a far constare l'insussistenza della propria incompatibilità, quali che siano la situazione della collega e le conseguenze che possono derivarne anche nell'ambito dei loro rapporti interni, nonché per ogni altro eventuale profilo di natura deontologica". 8.4. Il motivo è complessivamente inammissibile. La parte appellante si limita infatti a ribadire la non riferibilità alla posizione del socio accomandante della causa di incompatibilità di cui all'art. 8, comma 1, lett. c) l. n. 362/1991 (cui si riferisce la stessa invocata sentenza del T.A.R. per la Toscana), omettendo di svolgere qualsiasi critica espressa alla sentenza appellata, sia laddove ha ritenuto che la fattispecie esaminata dalla Corte costituzionale non fosse assimilabile a quella de qua agitur, concernente la diversa ipotesi di cui alla lett. b) (ragionamento compendiato dal giudice di primo grado nella conclusione secondo cui "trattasi infatti di situazioni diverse"), sia laddove ha espressamente dichiarato di aderire al parere della Commissione Speciale del Consiglio di Stato n. 69/2018, direttamente riferibile alla causa di incompatibilità di cui alla richiamata lett. b), cui attiene la presente controversia. 8.5. Del resto, la sussistenza di oggettive diversità tra la fattispecie di incompatibilità di cui alla lett. b) e quella di cui alla lett. c) - con la conseguenza che sarebbe stato onere della parte appellante svolgere specifiche censure al fine di contestare in parte qua la sentenza appellata - si coglie agevolmente ove si consideri che, mentre quella di cui alla lett. c), secondo l'interpretazione offertane dal Giudice delle leggi, è essenzialmente rivolta a salvaguardare l'esclusività dell'impegno dedicato alla gestione farmaceutica dal farmacista abilitato investito di compiti gestionali nell'assetto organizzativo della società titolare della farmacia, quella in esame, come evidenziato dal T.A.R., è funzionale a prevenire situazioni di conflitto di interesse, le quali non vengono automaticamente meno in ragione del ruolo non gestionale del socio accomandante: come infatti si legge nella sentenza appellata, sulla scorta del citato parere del Consiglio di Stato, "la causa di incompatibilità della lettera b) del comma 1 dell'articolo 8 della L. n. 362/1991 si estende a qualsiasi forma di partecipazione societaria (e dunque, per quanto qui di interesse, anche al socio accomandante), sia per ragioni di ordine testuale non ponendo la norma distinzione alcuna, sia per ragioni di ordine teleologico, essendo la previsione diretta a prevenire situazioni di potenziale conflitto di interesse. La norma, cioè, mira a evitare che "i soggetti titolari, gestori provvisori, direttori o collaboratori di una farmacia (...) contraggano vincoli che impediscano loro un adeguato svolgimento delle prestazioni lavorative in favore della farmacia presso la quale operano", rischio questo che non può essere escluso per il solo fatto che il farmacista sia un socio privo di poteri di amministrazione della società titolare della farmacia concorrente". 8.6. Quanto invece alla tesi secondo cui le posizioni delle due farmaciste co-intestatarie della farmacia oggetto di assegnazione non sarebbero interconnesse, le contrarie allegazioni della parte appellante, precisate con la successiva memoria del 3 febbraio 2023, alludono ad una esigenza del tutto ipotetica di prevenire sanzioni di carattere "deontologico" a carico della dott.ssa -OMISSIS- e di "definire con maggior chiarezza i rapporti interni con la collega", la quale confligge con l'oggetto centrale del giudizio de quo il quale, identificandosi nell'impugnato provvedimento di annullamento, presuppone, ai fini della sua (necessariamente integrale e non parcellizzabile) rimozione che sia accertata in giudizio l'insussistenza della causa di incompatibilità con riferimento ad entrambe le assegnatarie nei cui confronti è stata contestata. 9. L'appello si dirige ora verso la statuizione della sentenza appellata reiettiva del motivo aggiunto con il quale veniva dedotto che nei confronti della dott.ssa -OMISSIS- non sussisteva la causa di incompatibilità contestatale, in quanto la società -OMISSIS- era titolare di una farmacia rurale sussidiata e il bando del concorso straordinario del 2012 consentiva ai titolari di tali farmacie di partecipare al concorso, mentre relativamente alla farmacia -OMISSIS- la suddetta ne era stata semplice gestore sino al 15 dicembre 2018, allorché ne era divenuta titolare acquistandola dal Comune. 9.1. Il T.A.R. ha respinto la censura ribadendo, da un lato, l'"insussistenza di un interesse a contestare la propria causa di incompatibilità, laddove non possa ritenersi superata quella in cui è incorsa la collega con la quale si è partecipato in associazione alla procedura concorsuale", dall'altro lato, le considerazioni in precedenza formulate "in ordine all'erronea sovrapposizione effettuata dalle ricorrenti tra requisiti di partecipazione e cause di incompatibilità ", altresì evidenziando che "la dott.ssa -OMISSIS- al momento di acquisire la titolarità della quarta farmacia nel Comune -OMISSIS- era titolare non di una, ma di ben due altre farmacie e che una di queste non era una farmacia rurale sussidiata". 9.2. La parte appellante contesta le suesposte conclusioni del T.A.R. adducendo, in primo luogo, che la dott.ssa -OMISSIS- non era titolare di altre due farmacie, ma soltanto socia di due società titolari di farmacia, ed in secondo luogo che il provvedimento impugnato si basa su due ritenute situazioni di incompatibilità in capo alla dott.ssa -OMISSIS-, per cui l'interessata ha almeno il diritto che venga riconosciuta l'inconsistenza di uno dei due addebiti, se non altro ai fini della misura della sanzione che potrà venirle irrogata dal Giudice penale. Deduce altresì la parte appellante che la partecipazione ad una società titolare di una farmacia rurale sussidiata non era d'ostacolo alla partecipazione al concorso straordinario per espressa previsione di legge (art. 11, comma 3, d.l. n. 1/2012) e che nulla è stato espressamente disposto per il caso in cui il concorrente che si trovasse in tale situazione vincesse il concorso, avendo acquistato una quota di società titolare di farmacia durante gli anni di svolgimento della procedura. 9.3. Il motivo è infondato. In primo luogo, non può essere condiviso l'assunto secondo cui la parte appellante avrebbe interesse a far accertare l'insussistenza della causa di incompatibilità contestata ad una delle farmaciste assegnatarie (ovvero una delle due situazioni di incompatibilità contestate alla medesima farmacista) anche laddove non potesse dare luogo, in ragione della persistenza di quella concernente l'altra farmacista (ovvero l'altra situazione di incompatibilità rilevata nei confronti della medesima farmacista), all'annullamento del provvedimento impugnato: ciò in quanto, come si è già osservato, l'oggetto del giudizio amministrativo, attesa la sua struttura impugnatoria, è costituito dal provvedimento nei cui confronti venga proposto il ricorso, così che è in rapporto allo stesso - ergo, alla luce degli effetti che l'accoglimento delle censure è suscettibile di riverberare sulla validità dello stesso - che deve essere misurato l'interesse della parte ricorrente alla loro proposizione e verificato il dovere del giudice di esaminarle. Ne consegue che, non essendo il motivo in esame, esclusivamente inteso a sostenere la non riferibilità della causa di incompatibilità di cui si tratta alle farmacie rurali sussidiate, idoneo ad inficiare il provvedimento impugnato laddove, relativamente alla posizione della dott.ssa -OMISSIS-, ha individuato una duplice situazione di incompatibilità, connessa al ruolo posseduto in due società titolari di farmacia (di cui una sola qualificabile come rurale sussidiata), esso non può che essere respinto. 10. Con il successivo motivo di censura, la parte appellante contesta la sentenza appellata laddove ha respinto il motivo aggiunto inteso a sostenere l'intervenuta abrogazione implicita dell'art. 8, comma 1, lett. b) l. n. 362/1991. 10.1. La censurata statuizione reiettiva si basa sulle seguenti considerazioni: - "la disciplina sopravvenuta, all'articolo 1, commi 157 e 158, L. n. 124/2017, modifica in modo mirato gli articoli 7 e 8 L. n. 362/1991. E non si vede perché mai, ove il legislatore lo avesse effettivamente voluto, non sia stata introdotta, accanto a una disposizione di modifica, anche una disposizione di abrogazione espressa: il che porta a preferire la conclusione per cui il silenzio indica semmai la non abrogazione della norma, per il principio per cui ubi lex noluit, tacuit"; - "inoltre, le precitate disposizioni, pur modificandole, confermano le ipotesi di incompatibilità previste dall'articolo 7, comma 2, e dall'articolo 8, comma 1, lettera a), L. n. 362/1991, con ciò rendendosi evidente che le cause di incompatibilità non sono di ostacolo al libero dispiegarsi della concorrenza (obiettivo della L. n. 124/2017)"; - "come si evince dall'incipit dell'articolo 1 L. n. 124/2017, tra gli obiettivi che la legge persegue vi è anche la tutela del consumatore. E, rispetto a tale obiettivo, mantiene utilità una norma quale quella contenuta nella lettera b) del comma 1 dell'articolo 8, diretta, come visto in precedenza, situazioni di potenziale conflitto di interessi"; - "le considerazioni sopra svolte già consentono di ritenere insussistente il requisito della non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, sollevate (per vero in termini molto sbrigativi) dalle ricorrenti". Ha inoltre osservato il T.A.R. che: - "la -OMISSIS- del Comune -OMISSIS- è stata assegnata nell'ambito del concorso straordinario bandito ai sensi dell'articolo 11 D.L. n. 1/2012. Ora, l'articolo 11 D.L. n. 1/2012 perseguiva un duplice obiettivo, quello cioè di rendere più capillare il servizio di distribuzione dei farmaci (e a tal fine è stato ridotto il rapporto tra numero di abitanti e numero di farmacie), e quello di ampliare la platea dei professionisti titolari di farmacia (e a tal fine è stato vietato, salvo deroghe, ai titolari di farmacia di partecipare al concorso straordinario ivi previsto). E rispetto a questo secondo obiettivo, pienamente legittimo, le questioni di costituzionalità appaiono ancor più prive del requisito della non manifesta infondatezza"; - "invero, coloro che hanno partecipato al concorso straordinario, hanno beneficiato di una riduzione della platea dei concorrenti con l'esclusione dal concorso di coloro che già erano titolari di farmacia; sicché ora sarebbe contraddittorio che si consentisse di conseguire la titolarità della farmacia messa a concorso a coloro che successivamente si siano venuti a trovare in una condizione preclusiva della partecipazione al concorso"; - "poiché cioè l'obiettivo era quello di ampliare il numero di farmacisti titolari di farmacie, non può assegnarsi la farmacia a chi nel frattempo è divenuto titolare di farmacia, come per l'appunto le odierne ricorrenti. E la preclusione semmai va a evitare la disparità di trattamento con i concorrenti che continuano a non essere titolari di farmacia, e ad assicurare loro la possibilità di esercitare la propria attività lavorativa ed economica". 10.2. Le critiche che la parte appellante rivolge, in parte qua, alla sentenza appellata si propongono di porre in evidenza che, nel mutato contesto ordinamentale del settore farmaceutico, plasmato in senso marcatamente liberalizzante dalla l. n. 124/2017, attraverso la previsione della illimitata possibilità di partecipazione del farmacista a più società titolari di farmacia e l'apertura della partecipazione societaria a non farmacisti, il sistema delle incompatibilità di cui all'art. 8 l. n. 362/1991 (introdotte allorché il sistema era ancora improntato al principio della gestione personale e diretta della farmacia da parte del farmacista, cui era data la facoltà di partecipare ad una sola società titolare di farmacia e la legge voleva che ciascun farmacista titolare o socio di società tra farmacisti si occupasse unicamente della propria farmacia) deve confrontarsi con la clausola di "compatibilità " di cui all'art. 7, comma 2, terzo periodo l. cit.. Evidenzia altresì la parte appellante che la tesi secondo cui la disposizione di cui essa predica l'abrogazione da parte della l. n. 124/2017 sarebbe tuttora funzionale ad evitare situazioni di conflitto di interesse non tiene conto della attuale realtà organizzativa del servizio farmaceutico, in cui la concorrenza si esplica non tra singoli farmacisti, ma tra grandi gruppi di distribuzione farmaceutica ai quali le singole farmacie sono affiliate. 10.1. Il motivo non può essere accolto. In primo luogo, occorre evidenziare che la parte appellante non formula alcuna specifica censura al fine di contestare la sentenza appellata nella parte in cui, al fine di respingere il corrispondente motivo aggiunto (e dissipare le ombre di incostituzionalità che la parte ricorrente sollevava intorno alla disposizione rilevante), ha posto l'accento sulla correlazione tra i requisiti di partecipazione al concorso straordinario - i quali, ai sensi dell'art. 11, comma 3, d.l. n. 1/2012, non consentono la partecipazione al medesimo concorso dei "farmacisti titolari, compresi i soci di società titolari, di farmacia diversa da quelle di cui alle lettere b) e c)", ovvero delle farmacia rurali sussidiate e di quelle soprannumerarie - e le cause di incompatibilità applicabili ai vincitori del medesimo concorso: correlazione dalla quale il giudice di primo grado ha tratto la condivisibile conclusione secondo cui sarebbe irragionevole consentire il riconoscimento della titolarità della farmacia assegnata al vincitore del concorso straordinario a favore di chi, essendo socio di società titolare di farmacia, non avrebbe potuto prendere parte alla selezione. Deve invero osservarsi che la fattispecie in esame è governata dai principi peculiari che ispirano la disciplina del concorso straordinario, siccome orientato, come previsto dall'art. 11, comma 1, del d.l. n. 1/2012, al fine dichiarato di "favorire l'accesso alla titolarità delle farmacie da parte di un più ampio numero di aspiranti, aventi i requisiti di legge, nonché di favorire le procedure per l'apertura di nuove sedi farmaceutiche garantendo al contempo una più capillare presenza sul territorio del servizio farmaceutico". Inoltre, il parallelismo tra requisiti di partecipazione e situazioni di incompatibilità si evince anche da quanto affermato dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la già citata sentenza n. 1 del 17 gennaio 2020, allorché, sebbene in relazione ad altro contesto interpretativo, ha affermato che "se si considera del resto che l'art. 11, comma 3, del d.l. n. 1 del 2012 ha vietato la partecipazione al concorso straordinario a farmacisti che siano già titolari di sede, anche laddove siano soci di società - di persone e oggi, dopo la l. n. 124 del 2017, anche di capitali - titolari di sede, proprio per impedire a chi sia già titolare di sede di ottenere altra sede all'esito del concorso straordinario, sarebbe del resto incongruo e contrario ad ogni principio di concorrenza, sotteso al dichiarato fine di "favorire l'accesso alla titolarità delle farmacie da parte di un più ampio numero di aspiranti, aventi i requisiti di legge", anche solo ipotizzare che l'art. 11, comma 5, del medesimo d.l. n. 1 del 2012 abbia addirittura consentito l'assegnazione di due sedi ai farmacisti in due distinte Regioni, con il risultato di favorire oltre ogni misura i farmacisti persone fisiche, singolarmente o in forma associata, con l'assegnazione di ben due sedi, in deroga al divieto di cumulo generalmente vigente per tutti i farmacisti ai sensi dell'art. 112 del T.U. leggi sanitarie e ribadito nella procedura in questione per i già titolari di sede". 10.2. Ciò premesso, deve osservarsi che la tesi della abrogazione implicita - ovvero, in assoluto ed indipendentemente dalle peculiari esigenze regolatrici del concorso straordinario, così come da ogni altra caratteristica della fattispecie oggetto di giudizio, quale ipotetica conseguenza generalizzata delle modifiche indotte nella disciplina degli esercizi farmaceutici dalla l. n. 124/2017 - dell'art. 8, comma 1, lett. b) l. n. 362/1991 è smentita in primo luogo, sul piano della interpretazione letterale delle disposizioni pertinenti, dalla previsione di cui all'art. 7, comma 2, secondo periodo della legge medesima, così come sostituito dall'art. 1, comma 157, lett. b) l. n. 124/2017, ai sensi del quale "alle società di cui al comma 1 (ovvero alle società titolari di farmacia privata, n. d.e.) si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 8". Premesso, invero, che è proprio sulle previsioni recate dalla l. n. 124/2017 che la parte appellante fa essenzialmente leva al fine di sostenere l'incompatibilità della disposizione citata con il mutato assetto ordinamentale da quella introdotto, deve rilevarsi che, come anche evidenziato dal giudice di primo grado, laddove avesse ritenuto la vigenza della disposizione de qua (come delle altre disposizioni recate dall'art. 8 in tema di incompatibilità ) inconciliabile con i principi di liberalizzazione ispiratori del rinnovato assetto legislativo in tema di disciplina del sistema farmaceutico, il legislatore avrebbe disposto l'abrogazione tout court, senza limitarsi alla apposizione di una clausola di "compatibilità ", della disposizione citata. Né, del resto, la parte appellante formula specifiche deduzioni, con il motivo di appello in esame, per sostenere che sussisterebbero nella specie ragioni atte a rendere "incompatibili" in concreto - e non, come essa sostiene, su un piano assoluto e generale - le norme in tema di incompatibilità rispetto alla specifica fattispecie oggetto di giudizio (salvo per quanto concerne la posizione di socio accomandante della dott.ssa -OMISSIS-, profilo tuttavia della cui non decisività ai fini dell'esito della controversia si è già detto innanzi). 10.3. Se, quindi, la clausola suindicata legittima operazioni interpretative "chirurgicamente" orientate ad adeguare il sistema delle incompatibilità con "il definitivo passaggio da una impostazione professionale - tecnica della titolarità e gestione delle farmacie ad una impostazione economico - commerciale" (come recita la citata sentenza n. 11/2020 della Corte Costituzionale, la quale, proprio facendo leva sulla clausola citata, con una pronuncia interpretativa di rigetto ha escluso dal perimetro applicativo della causa di incompatibilità di cui all'art. 8, comma 2, lett. c) l. n. 362/1991 la figura del socio accomandante), a diversa conclusione deve pervenirsi laddove, sulla scorta della clausola medesima, si affermasse, come fa la parte appellante, che il disposto di cui alla lett. b) (se non l'intera platea delle cause di incompatibilità delineata dall'art. 8 l. n. 362/1991) sia stato travolto, nella sua integralità, dalla disciplina sopravvenuta. 10.4. Anche dal punto di vista teleologico e della coerenza complessiva del sistema, del resto, deve escludersi che la portata delle novità normative di cui si è fatta latrice la l. n. 124/2017 sia tale da determinare la vanificazione della ratio cui l'art. 8, comma 1, lett. b) l. n. 362/1991 era (ed è, come si vedrà ) funzionale. Al fine di chiarire le ragioni di tale conclusione, è d'uopo premettere qualche cenno sull'evoluzione legislativa registratasi in materia. 10.5. La disposizione in tema di incompatibilità di cui si tratta è stata introdotta contestualmente alla previsione della possibile titolarità dell'esercizio della farmacia privata in capo a società (in origine solo di persone) (art. 7, comma 1, l. cit.). All'epoca in cui fu prevista tale possibilità, la gestione della farmacia da parte della società titolare del relativo esercizio doveva rispondere ai medesimi principi di personalità e professionalità che governavano la gestione e la titolarità individuale, essendo prescritto che solo i farmacisti iscritti all'albo potessero essere soci della società titolare dell'esercizio farmaceutico (art. 7, comma 2, l. n. 361/1992) e che la direzione della farmacia gestita dalla società fosse affidata ad uno dei soci che ne era responsabile (art. 7, comma 3, l. cit.). Era inoltre previsto che ciascuna società (di persone, come si è detto) potesse essere titolare dell'esercizio di una sola farmacia (art. 7, comma 5, l. cit.) e che ciascun farmacista potesse partecipare ad una sola società titolare dell'esercizio di farmacia (art. 7, comma 6, l. cit.). In tale contesto normativo, si spiega che il legislatore abbia nel contempo introdotto i necessari contemperamenti tra il nuovo spazio di libertà organizzativa concessa ai farmacisti - non più legati ad una gestione strettamente individuale e monocratica della farmacia, essendo data ad essi la possibilità di associarsi ai fini di una più efficiente e sostenibile gestione collettiva - e l'esigenza che tale possibilità non incidesse sul corretto - dal punto di vista essenzialmente della tutela dell'interesse dei fruitori - esercizio del servizio farmaceutico. In un quadro normativo in cui la società di farmacisti, al pari del farmacista-persona fisica (ex art. 112, comma 2, T.U.LL.SS.), poteva essere titolare di una sola farmacia, e la stessa gestione societaria era fortemente caratterizzata in chiave personalistica, era invero del tutto plausibile, sul piano della coerenza complessiva del sistema, che il legislatore si prefiggesse di evitare commistioni tra gestioni individuali e societarie in capo allo stesso farmacista, le quali, dietro lo schermo della diversa soggettività (sebbene non personalità, trattandosi di società di persone) giuridica tra soci e società, avrebbero dato luogo ad un sostanziale cumulo di distinti esercizi farmaceutici in capo al medesimo professionista, facendogli dismettere la veste professionale, caratterizzante la figura ed orientata alla tutela primaria dell'interesse alla salute degli utenti, per assumere quella propriamente imprenditoriale, ispirata al perseguimento del lucro. Inoltre, il diretto coinvolgimento gestionale del socio, tipico della struttura organizzativa della società di persone (all'epoca unico schema, come si è detto, per attuare la gestione collettiva della farmacia), giustificava la preclusione, posta dalla suindicata norma in tema di incompatibilità, alla contestuale partecipazione a diversi esercizi farmaceutici, in un caso nella veste individuale e in un altro in quella societaria, onde evitare la perdita di "efficacia" nella gestione che la suddivisione delle energie del farmacista tra più sedi farmaceutiche avrebbe determinato. Non trascurabile altresì, quale obiettivo del legislatore del tempo, quello di prevenire situazioni di conflitto di interesse conseguenti alla titolarità, diretta o indiretta, di più esercizi farmaceutici in capo allo stesso farmacista, il quale avrebbe potuto essere indotto ad assumere decisioni gestionali ispirate da interessi alieni rispetto a quello del più efficace e corretto svolgimento del servizio farmaceutico. Da questo punto di vista, invero, la normativa palesa la concezione dell'attività farmaceutica che aveva il legislatore del tempo, secondo la quale ciascun esercizio farmaceutico doveva essere considerato come una entità a sé stante, siccome singolarmente preposto allo svolgimento del servizio (pubblico) della distribuzione dei farmaci, e ciascuno doveva essere gestito secondo canoni di rigorosa efficienza, ai quali avrebbe recato detrimento la contestuale presenza del medesimo farmacista in più sedi farmaceutiche, sia dal punto di vista del venir meno della esclusiva dedizione del suo impegno ad un solo esercizio farmaceutico, sia nella prospettiva della contaminazione dell'unico interesse che doveva guidarne la gestione (quello, come si è detto, alla corretta erogazione del servizio farmaceutico da parte di ciascun soggetto erogatore) con interessi diversi, suscettibili di germinare dalla partecipazione del medesimo farmacista a più entità distributive. 10.6. Il descritto assetto normativo subiva una prima revisione ad opera del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, per effetto del quale, così come modificato ed integrato dalla legge di conversione del 4 agosto 2006, n. 248, veniva in primo luogo ampliato (fino a 4 farmacie, ex art. 7, comma 4-bis, l. n. 362/1991) il previgente limite numerico alla titolarità delle farmacie da parte delle società (di persone o anche delle società cooperative a responsabilità limitata) che avessero ad oggetto esclusivo la gestione di una farmacia, la partecipazione alle quali restava comunque riservata ai farmacisti iscritti all'albo, mentre veniva del tutto rimosso il limite numerico alla partecipazione di ciascun farmacista a società titolari di farmacia. La novella non comportava tuttavia, ad avviso del Collegio, alcuna significativa alterazione della ratio del regime delle incompatibilità, con particolare riguardo a quella che ne occupa. Invero, la possibilità per la società di farmacisti di essere titolare di più di un esercizio farmaceutico attiene al piano meramente patrimoniale e gestionale dell'"azienda" farmacia, ferma restando la connotazione personale e professionale della relativa direzione, la quale continuava, ai sensi dell'art. 7, comma 3, ad essere "affidata ad uno dei soci che ne è responsabile" e garantiva l'indipendenza del servizio, nel suo concreto svolgimento a favore degli utenti, da criteri di carattere meramente speculativo-imprenditoriale. Allo stesso modo, la possibilità per il farmacista di partecipare a più di una società titolare di farmacia concorreva alla emersione, sul piano ordinamentale, di una nuova figura di "farmacista-imprenditore", in quanto interessato più alla gestione (imprenditoriale, appunto) del servizio farmaceutico, avvalendosi dello schema societario, che alla sua concreta erogazione a favore degli utenti, senza intaccare l'esigenza di conservare apposite garanzie - come appunto l'incompatibilità di cui all'art. 8, comma 1, lett. b) l. n. 362/1991 - a tutela del "farmacista-professionista del farmaco" e custode principale dell'interesse degli utenti del servizio. Deve anzi ritenersi che l'ampliamento delle possibilità di ricorso al modulo societario ai fini della titolarità e della gestione delle farmacie, derivante dalla novella legislativa poc'anzi menzionata, rafforzasse la ratio sottesa alla suddetta previsione di incompatibilità, in quanto, contribuendo a delineare più nettamente la distinzione tra le due figure di farmacista (quella del "farmacista-imprenditore" e quella del "farmacista-professionista"), imponeva l'esercizio di una opzione di base a chi intendesse operare nel settore farmaceutico, la quale trovava appunto espressione (e sanzione) nella disposizione innanzi citata in tema di incompatibilità . 10.7. Venendo adesso all'ultima - e, almeno secondo la lettura della parte appellante, più radicale - riforma della materia, la stessa ha trovato il suo fulcro nella l. 4 agosto 2017, n. 124. Essa, oltre a prevedere la possibile titolarità dell'esercizio farmaceutico in capo alle società di capitali (oltre che alle società di persone ed alle società cooperative a responsabilità limitata), elimina sia la precedente limitazione posta ai farmacisti ai fini della partecipazione alle società titolari di farmacie (potendo essi partecipare a più di una società ), sia la necessaria correlazione tra la figura del direttore della farmacia e la posizione di socio (potendo quindi il direttore essere cooptato all'esterno della compagine societaria), sia, infine, il (già in precedenza ampliato) limite numerico alla titolarità di farmacie da parte della stessa società . Va altresì ricordato che, ai sensi dell'art. 1, comma 158, l cit., "i soggetti di cui al comma 1 dell'articolo 7 della legge 8 novembre 1991, n. 362, come sostituito dal comma 157, lettera a), del presente articolo, possono controllare, direttamente o indirettamente, ai sensi degli articoli 2359 e seguenti del codice civile, non più del 20 per cento delle farmacie esistenti nel territorio della medesima regione o provincia autonoma". Infine, con il novellato art. 7, comma 2, l. n. 362/1991, l'applicazione "alle società " delle disposizioni in tema di incompatibilità di cui all'art. 8 viene subordinata, come si è detto innanzi, alla condizione della loro "compatibilità ". 10.8. Ciò premesso, non vi è dubbio che la riforma da ultimo illustrata nei suoi tratti salienti abbia inciso in chiave decisamente "liberalizzante" sul sistema normativo previgente. Tale effetto, tuttavia, attiene pur sempre al piano della titolarità e della gestione patrimoniale dell'azienda "farmacia", ampliando le condizioni affinché le stesse siano attribuite a soggetti organizzati in forma societaria (sia quanto ai tipi societari utilizzabili, sia quanto ai soggetti che possono partecipare alla società, che non devono essere necessariamente in possesso della qualifica di farmacista, sia quanto al numero di esercizi farmaceutici di cui ciascuna società può essere titolare). Riprendendo le considerazioni innanzi sviluppate, le illustrate modifiche normative contribuiscono ulteriormente alla caratterizzazione "capitalistica" dell'assetto proprietario e gestionale della farmacia, lasciando tuttavia sostanzialmente immutato il profilo della conduzione tecnica e professionale dell'esercizio farmaceutico e le connesse garanzie di efficacia, correttezza ed estraneità a logiche di tipo squisitamente imprenditoriale, cui si correla il richiamato regime delle incompatibilità . Ciò vale anche in relazione alla disciplina del limite alla titolarità, diretta o indiretta, di farmacie da parte delle società, attualmente recata dal richiamato art. 11, comma 158, l. n. 124/2017: al quale, va detto per inciso, non può essere attribuita la valenza, che vorrebbe la parte appellante, di alterare la connotazione professionale della figura del farmacista, attesa la riferibilità alle sole società delle disposizioni codicistiche (in tema di controlli e collegamenti societari) da esso richiamate. Del resto, le norme in tema di limiti all'acquisizione di partecipazioni societarie rispondono a finalità diverse da quelle sottese al regime delle incompatibilità, essendo le prime funzionali a controllare il fenomeno delle concentrazioni farmaceutiche in un'ottica di salvaguardia delle condizioni concorrenziali del mercato ed il secondo a garantire il corretto svolgimento del servizio farmaceutico a salvaguardia dell'interesse alla salute dei suoi utenti. Deve invero osservarsi che la ratio profonda del sistema delle incompatibilità non potrebbe pienamente cogliersi senza considerare che l'art. 8, comma 1, lett. b) l. n. 362/1991 colloca, all'altro capo della relazione generatrice della incompatibilità (all'uno della quale è appunto posta "la partecipazione alle società di cui all'articolo 7"), alcune tipiche posizioni professionali presenti nella farmacia, tassativamente indicate in quelle di "titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia". Ebbene, trattasi di figure, chiaramente imputabili alla persona fisica del farmacista e caratterizzate in chiave professionale, che hanno la responsabilità - non della gestione della farmacia nei suoi aspetti aziendali, ma - della concreta erogazione del servizio farmaceutico a favore degli utenti: inoltre, con riferimento ad almeno una di esse (quella cioè del "titolare"), si realizza la piena coincidenza dell'aspetto gestionale (che nelle farmacie organizzate in forma societaria si presenta in guisa tendenzialmente autonoma) con quello relativo al concreto svolgimento del servizio. Se così è, la conclusione non può che essere nel senso che permangono, pur nel mutato contesto normativo innanzi illustrato, le esigenze cui è strumentale la norma in tema di incompatibilità di cui all'art. 8, comma 1, lett. b) l. n. 362/1991, intesa ad evitare che colui il quale si occupa della concreta erogazione del servizio farmaceutico assuma anche la posizione di socio di società titolari di (una o più ) farmacie: evenienza che potrebbe andare a detrimento sia dell'efficiente svolgimento di quel servizio (per effetto del "disinteresse" che rispetto ad esso potrebbe manifestare il soggetto ad esso deputato nell'ambito di una determinata farmacia, in quanto coinvolto nella gestione, o anche solo nella partecipazione al capitale, di una farmacia organizzata in forma societaria), sia della sua indifferenza ad interessi diversi da quello alla corretta erogazione del servizio da parte della farmacia in cui si rivesta una delle posizioni menzionate dalla citata disposizione. Discende da quanto fin qui detto che, anche nel contesto normativo delineato dalla l. n. 124/2017, resta viva l'esigenza di preservare il ruolo del farmacista, nella connotazione tecnica e professionale che lo caratterizza (e che trova compiuta espressione nelle figure richiamate dall'art. 8, comma 1, lett. b) l. n. 362/1991), da quello del soggetto - che sia farmacista o meno, non importa - titolare di quote societarie dalla commistione - e conseguente confusione di logiche e finalità operative - che discenderebbe dalla mancata osservanza della succitata previsione di incompatibilità . Quanto poi alla tesi attorea, secondo cui il T.A.R. avrebbe omesso di considerare la mutata realtà del mercato farmaceutico, che vedrebbe i grandi gruppi imprenditoriali svolgere un ruolo di protagonista, relegando ad una posizione marginale le singole farmacie, è sufficiente osservare che essa è estranea al contenuto dei motivi aggiunti proposti in primo grado e non può, in quanto tale, avere accesso nel giudizio di appello. In ogni caso, essa attiene ad una caratteristica dell'attuale settore farmaceutico di cui non è dimostrato il rilievo assoluto e generalizzato e che, quindi, non priva di utilità una disposizione che, come quella esaminata, conserva la sua utilità in relazione ai segmenti del medesimo settore tuttora organizzati in forma "tradizionale": tanto più in quanto non è dimostrato che le farmacie in cui sono interessate le appellanti rispecchino la prima piuttosto che la seconda configurazione di mercato. 11. Infine, quanto alla eccezione di legittimità costituzionale, la parte appellante si limita a riproporla, del tutto genericamente, con l'atto introduttivo del giudizio di appello, riservandosi di "tornare in argomento con una successiva memoria" (come fatto poi con quella depositata in data 26 aprile 2023), con la conseguenza che l'espressa statuizione reiettiva recata sul punto dalla sentenza appellata, non essendo stata attinta da specifiche e tempestive censure, deve ritenersi ormai passata in cosa giudicata: ciò fermo restando che la sua manifesta infondatezza discende dai rilievi innanzi sviluppati. 12. L'appello, in conclusione, deve essere complessivamente respinto, mentre l'originalità delle questioni esaminate giustifica la compensazione delle spese del secondo grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. 389/2023, lo respinge. Spese del giudizio di appello compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Michele Corradino - Presidente Pierfrancesco Ungari - Consigliere Paolo Carpentieri - Consigliere Stefania Santoleri - Consigliere Ezio Fedullo - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3255 del 2023, proposto dalla Società Fr. Ka. It. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Fr. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...), contro l'ESTAR - Ente Supporto Tecnico Amministrativo Regionale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, la Regione Toscana, in persona del Presidente della G.R. pro tempore, non costituita in giudizio, nei confronti della Società Ma. - Ph. It. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gu. Ba., Ma. Al. Ba. e Fr. Ma. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, dell'Azienda Usl Toscana Centro, dell'Azienda Usl Toscana Sud Est, dell'Azienda Usl Toscana Nord Ovest, dell'AOU Ca., dell'AOU Me., dell'AOU Se. e dell'AOU Pi., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione Terza, n. 1/2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Società Ma. - Ph. It. S.r.l. e di ESTAR - Ente Supporto Tecnico Amministrativo Regionale; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. La società Ma. - Ph. It. S.r.l. (di seguito "Ma. - Ph.") ha impugnato dinanzi al T.A.R. per la Toscana la determinazione del Direttore di Area Direzione Farmaci, Diagnostici e Dispositivi Medici di ESTAR - Ente di Supporto Tecnico Amministrativo Regionale n. 1217 del 6 settembre 2022, avente ad oggetto "Aggiudicazione procedura aperta per la conclusione di una convenzione per l'affidamento della fornitura pluriennale in service di sistemi per la raccolta, la lavorazione sangue ed emocomponenti per le strutture trasfusionali della regione toscana, articolata in cinque lotti (cui 2021-031-003)", recante aggiudicazione del lotto 3 (Sistemi per la raccolta e il frazionamento di sangue intero e la produzione di emocomponenti - CIG 9051458B6D) in favore di Fr. Ka. It. S.r.l. (di seguito "Fr."), ed i relativi atti presupposti. Il suddetto lotto n. 3, in particolare, era destinato a coprire il seguente fabbisogno del sistema sanitario regionale: "dotarsi di adeguata apparecchiatura al fine di raccogliere unità di sangue intero da donatori per la produzione di emocomponenti da destinare ad uso clinico e all'invio all'industria di lavorazione del plasma per la produzione di farmaci plasma derivati" (cfr. allegato E3 del Disciplinare - Capitolato Tecnico). 1.1. Premesso che la gara doveva essere aggiudicata secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, con la prevista attribuzione di 70 punti massimi all'offerta tecnica e di 30 punti massimi a quella economica, la Ma. - Ph., che si era classificata in seconda posizione (con complessivi punti 93,71, a fronte dei 97,52 punti conseguiti dalla Fr.), lamentava in primo luogo la mancata esclusione della controinteressata, i cui prodotti sarebbero risultati privi di due caratteristiche tecniche obbligatorie, espressamente previste dalla legge di gara, altresì censurando le modalità di attribuzione dei punteggi da parte della commissione di gara. 2. Il T.A.R., con la sentenza appellata (n. 1 del 4 gennaio 2023), ha accolto il ricorso della Ma. - Ph., nella parte in cui lamentava la difformità dell'offerta tecnica e di quella economica dell'impresa aggiudicataria dalle regole di gara, disponendo l'esclusione della Fr. dalla gara, il conseguente annullamento del provvedimento di aggiudicazione a favore di quest'ultima e l'aggiudicazione dell'appalto a favore della ricorrente Ma. - Ph.. La sentenza costituisce oggetto dell'appello proposto dalla Fr., al quale sostanzialmente aderisce la stazione appaltante, costituitasi nel giudizio di secondo grado. Si oppone invece al suo accoglimento l'originaria ricorrente Ma. - Ph. It. S.r.l.. 3. In primo luogo, premesso che il Capitolato Tecnico Lotto 3 ("Allegato E3"), tra le "Caratteristiche tecniche obbligatorie" dei prodotti offerti per il lotto 3, previste a pena di esclusione ai sensi dell'art. 16 del disciplinare, contemplava sub J) "INDICATORI DI AVVENUTA E CORRETTA IRRADIAZIONE come da fabbisogni allegati 1. etichette radiosensibili per il controllo dell'avvenuta e corretta irradiazione di emocomponenti", deduceva la ricorrente che la correttezza del trattamento di irradiazione delle sacche era definita dal Decreto del Ministero della Salute del 2 novembre 2015 (recante "Disposizioni relative ai requisiti di qualità e sicurezza del sangue e degli emocomponenti"), che rappresentava l'unico riferimento normativo in ambito di Medicina Trasfusionale e veniva citato nel contesto del medesimo Capitolato Tecnico del lotto 3 (così come in quelli degli ulteriori lotti della procedura). Essa evidenziava altresì che l'Allegato V al citato D.M., laddove dettava, sub B.7, i "Requisiti degli emocomponenti irradiati", stabilendo che "Le unità di emocomponenti, nel caso ne sia indicata l'irradiazione, devono essere sottoposte a una dose di radiazioni compresa tra 25 e 50 Gray, allo scopo di ridurre il rischio di Graft versus Host Disease (GvHD) post-trasfusionale", concorreva a chiarire la portata della richiesta capitolare, che imponeva quindi la fornitura di etichette in grado di controllare la corretta irradiazione nei sensi definiti dalla normativa di settore. 3.1. Ciò premesso, deduceva la ricorrente che dalla documentazione tecnica presentata dalla Fr. si evinceva che il prodotto "RAD 25" dalla stessa offerto non soddisfaceva la richiesta di minima appena riportata, in quanto esso consentiva il solo rilevamento della avvenuta irradiazione dei componenti alla dose minima di 25 Gray, ma non di riscontrarne la correttezza e quindi la collocazione nel range fissato dalla predetta normativa. Infatti, aggiungeva la ricorrente, la descrizione riportata a pagina 67 del documento "Rif.to 2_Relazione Tecnica" così recitava: "È indicato per un irraggiamento minimo di 25 Gy, come raccomandato dalle linee guida del Consiglio d'Europa 2004". Tale indicazione, evidenziava la ricorrente, testimoniava appunto che il prodotto offerto dall'aggiudicataria era in grado di rilevare solo il raggiungimento dell'irraggiamento minimo, ma non di rilevare se la dose a cui gli emocomponenti erano esposti superava il limite massimo di 50 Gray stabilito dal citato D.M.: l'etichetta apposta sulle sacche di raccolta del sangue offerte dalla Fr. non era quindi in grado di attestare la correttezza del trattamento, perché poteva rilevare soltanto l'avvenuta irradiazione alla dose minima prescritta dal decreto del Ministero della Salute del 2 novembre 2015 (pari a 25 Gray), ma non il rispetto del limite massimo (pari a 50 Gray). 3.2. L'inidoneità dell'offerta della Fr., aggiungeva la ricorrente, trovava conferma nelle Istruzioni per l'Uso inserite nella relativa offerta, ove erano descritte le modalità di funzionamento del dispositivo, evincendosi da esse che l'indicatore si limitava a fornire le due seguenti informazioni in base all'intensità della dose rilevata: - "Non Irradiato" (colore rosso) se la dose rilevata era inferiore a 25 Gray; - "Irradiato" (colore nero) se la dose rilevata era superiore a detta soglia. Ne desumeva la ricorrente che difettava quindi la capacità di cogliere l'intensità dell'irradiazione e quindi la sua correttezza. Nel contesto illustrato, rilevava ancora la ricorrente, risultava conseguentemente vana l'indicazione "Conforme al D.Lgs. 2 Novembre 2015", tant'è che il medesimo documento ulteriormente ribadiva la difformità del dispositivo dalle specifiche di gara e normative nella parte in cui riportava che la pellicola utilizzata era "sensibile alle radiazioni 25 Gy", così facendo risaltare, di nuovo, l'incapacità del dispositivo di segnalare situazioni di irradiazione con dose eccessiva, oltre il limite di 50 Gray stabilito dal D.M. cit.. L'incapacità del dispositivo di determinare un dosaggio di radiazione applicata eccessivo, allegava la ricorrente, implicava potenziali pericolosi effetti per gli emocomponenti sottoposti al trattamento di irradiazione e quindi per l'incolumità dei pazienti trattati mediante trasfusione di tali unità . 3.3. Concludeva sul punto la ricorrente che, in ragione di quanto dedotto, la Commissione avrebbe dovuto escludere la Fr. per carenza del requisito minimo richiesto, oltre che per l'inappropriatezza del dispositivo in relazione all'indicazione d'uso prevista e per la potenziale pericolosità derivante dal suo utilizzo in ambito trasfusionale. 4. Il T.A.R., con la sentenza appellata, ha ravvisato la fondatezza della suddetta censura. In proposito, evidenziato che il capitolato tecnico, tra le caratteristiche obbligatorie dei prodotti del lotto 3, prevedeva la presenza di "J) Indicatori di avvenuta e corretta irradiazione", ossia di "etichette radiosensibili per il controllo dell'avvenuta e corretta irradiazione di emocomponenti", e che "la disposizione citata, dunque, richiedeva testualmente la presenza di un'etichetta radiosensibile in grado di rilevare due dati distinti, ossia l'avvenuta irradiazione, da un lato, e la sua correttezza, dall'altro", ha osservato che "mentre il primo dato fa riferimento alla capacità dell'etichetta di segnalare che il trattamento è stato effettuato, indipendentemente dalle sue caratteristiche, il secondo dato - a meno che non lo si voglia privare di qualsiasi utilità e rilevanza - non può che attenere alla capacità dell'etichetta medesima di evidenziare la rispondenza del trattamento ai parametri tecnici che, secondo la normativa vigente, lo rendono efficace e sicuro". 4.1. Tale conclusione, ha evidenziato il T.A.R., poteva desumersi "dall'interpretazione letterale del capitolato tecnico e dal confronto con quanto previsto al paragrafo B.7 "Requisiti degli emocomponenti irradiati", dell'allegato V del decreto del Ministero della Salute, datato 2 novembre 2015, recante "Disposizioni relative ai requisiti di qualità e sicurezza del sangue e degli emocomponenti", in cui si afferma che "al fine di prevenire la consegna di emocomponenti non irradiati per pazienti con specifica indicazione clinica a trasfondere prodotti irradiati, deve essere adottato un sistema convalidato indicatore dell'avvenuta irradiazione" e che "le unità di emocomponenti, nel caso ne sia indicata l'irradiazione, devono essere sottoposte a una dose di radiazioni compresa tra 25 e 50 Gray, allo scopo di ridurre il rischio di Graft versus Host Disease (GvHD) post-trasfusionale...". Dalle richiamate indicazioni del capitolato tecnico e dalla disposizione citata, il T.A.R. ha quindi desunto che "l'etichetta apposta sulle sacche di raccolta - pur non essendo chiamata a misurare in modo esatto lo specifico livello di irradiazione applicato volta per volta - doveva essere in grado di attestare, non soltanto l'avvenuta irradiazione, ma anche la sua "correttezza", ossia il rispetto dei limiti minimo e massimo imposti dal decreto ministeriale, ritenuti idonei ad assicurare l'efficacia e al contempo la sicurezza del trattamento", laddove "l'etichetta presente sui prodotti offerti da Fr. non possiede tale caratteristica, perché - come riconosciuto da tutte le parti del giudizio e come ricavabile dalla relazione tecnica e dalle istruzioni per l'uso prodotte dalla controinteressata (cfr. docc. 17, pag. 67 e 18, pag. 36 di parte ricorrente) - essa è in grado di attestare soltanto l'avvenuta irradiazione ad un livello superiore al livello minimo di 25 Gray, mentre nulla dice in merito al rispetto del limite massimo di 50 Gray", a differenza del sistema offerto dalla ricorrente, che "consente di rilevare più livelli di irradiazione (Nullo/Minimo/Medio/Massimo), sulla base dei valori soglia di 25 Gray (minima) e di 50 Gray (massima) previsti dal decreto ministeriale citato (cfr. doc. 19 di parte ricorrente), e risulta perciò rispondente a quanto richiesto dal capitolato tecnico". 4.2. Ha infine rilevato il T.A.R. che "le procedure operative standardizzate applicate dalle Aziende Sanitarie della Regione Toscana (cfr. doc. 14 di Estar), richiamate da Estar per dimostrare che l'unico valore davvero rilevante sarebbe quello dell'irradiazione minima di 25 Gray (al di sotto della quale il trattamento sarebbe da ritenersi inefficace), non hanno valore normativo e non possono perciò modificare né la previsione di cui al decreto ministeriale che indica un livello minimo e un livello massimo di irradiazione, né le prescrizioni vincolanti dettate dalla legge di gara". 4.3. Per tali ragioni, ha concluso il T.A.R., "la controinteressata avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura di gara per carenza del requisito essenziale prescritto dalla legge di gara". 5. L'esclusione della Fr. veniva perseguita dalla ricorrente anche adducendo una ulteriore carenza, nel prodotto offerto, delle caratteristiche tecniche minime previste dalla lex specialis, ritenuta ugualmente sussistente dal T.A.R.. 5.1. Essa premetteva che, con riferimento ai prodotti "G) Sacche per la raccolta e la conservazione del sangue e degli emocomponenti", ed in particolare ai prodotti G.1) "sacche quadruple per la raccolta di sangue intero con filtro in linea per globuli rossi concentrati tipo T& B", l'allegato E3 del Capitolato Tecnico prescriveva: "sistema di campionamento costituito da mini sacca tale da consentire la deviazione del primo volume di sangue della donazione (circa 30 ml) per l'esecuzione dei test diagnostici tale da garantire la totale assenza di contaminazione da anticoagulante nei campioni biologici e la riduzione della contaminazione batterica degli emocomponenti. Il sistema deve possedere camicia preassemblata compatibile con qualsiasi tipo di provetta". 5.2. Ciò premesso, deduceva la ricorrente che il prodotto offerto dalla Fr. era carente della suddetta caratteristica tecnica minima, difettando di una barriera fisica all'interno della linea di donazione tra la sacca e la linea dell'ago, tale da assicurare la totale assenza di contaminazione da anticoagulante nei campioni biologici, presentando esclusivamente un cono a frattura collocato direttamente lungo la linea di campionamento. Siffatta conformazione, deduceva ancora la ricorrente, esponeva al rischio di risalita di anticoagulante 'CPD'dalla sacca fino all'ago, fattore che (oltre a determinare bruciore nel braccio del donatore) comportava inevitabilmente un trascinamento di tale sostanza all'interno della linea di campionamento adibita alla raccolta dei campioni biologici da analizzare, attraverso i primi 30 ml di sangue raccolto ivi convogliati allo scopo: rischio che, essa aggiungeva, era particolarmente elevato nelle fasi precedenti all'utilizzo del dispositivo (es. stoccaggio, trasporto), quando la "clamp della linea di donazione" risultava aperta e quindi impossibilitata ad attuare un'azione di blocco al ritorno di anticoagulante CPD. 5.3. Allegava ancora la ricorrente che la Fr. forniva, a pag. 100 del documento "Rif.to 2_Relazione Tecnica", la seguente descrizione volta a escludere l'evenienza di risalita dell'anticoagulante CPD e quindi dei rischi annessi di inquinamento biologico che ciò comporta: "La presenza di un copriago termosaldato con il mandrino dell'ago (sistema unico sul mercato) stesso e di un cono a frattura sulla linea di campionamento garantisce una differenza di gradiente pressorio tale per cui il CPD presente nella sacca di donazione non può fisicamente risalire a lungo la linea di donazione e quindi viene in questo modo garantita l'assenza di anticoagulante nella sacca di campionamento". Quanto appena riportato, proseguiva la ricorrente, era tuttavia apertamente smentito dalle Istruzioni per l'Uso del prodotto (IFU) presenti nell'offerta tecnica della stessa Fr., laddove, con riferimento ai prodotti dotati di "cono a frattura posizionato lungo la linea di campionamento" (categoria a cui apparteneva il codice CQ32255 da Fr.), veniva segnalato che "Durante il primo campionamento (Composampler TM con o senza sacchettina di campionamento) si potrà avere, nel campione di sangue, un massimo di 0.2 ml di anticoagulante CPD proveniente dal tubo". 5.4. Dall'incapacità del prodotto offerto dalla Fr. - a differenza di quello offerto dalla ricorrente - di rispettare il suddetto requisito minimo, non poteva quindi che derivare l'esclusione, anche in relazione a tale profilo, della sua offerta. 6. Il T.A.R. ha accolto anche tale profilo di doglianza. Premesso che il capitolato tecnico tra le caratteristiche obbligatorie dei prodotti, per il lotto 3, prevedeva anche "G) Sacche per la raccolta e la conservazione del sangue e degli emocomponenti" caratterizzate da un "5. sistema di campionamento costituito da mini sacca tale da consentire la deviazione del primo volume di sangue della donazione (circa 30 ml) per l'esecuzione dei test diagnostici tale da garantire la totale assenza di contaminazione da anticoagulante nei campioni biologici e la riduzione della contaminazione batterica degli emocomponenti", ha rilevato il giudice di primo grado che, nelle istruzioni per l'uso presenti nell'offerta tecnica della Fr., con riferimento ai prodotti dotati di "cono a frattura posizionato lungo la linea di campionamento", come quelli offerti per il lotto n. 3, si precisa che "Durante il primo campionamento (Composampler TM con o senza sacchettina di campionamento) si potrà avere, nel campione di sangue, un massimo di 0.2 ml di anticoagulante CPD proveniente dal tubo". 6.1. Da tale circostanza il T.A.R. ha fatto discendere la carenza del suddetto requisito essenziale previsto dal capitolato tecnico, non potendo attribuirsi rilievo a quanto affermato dalla controinteressata - secondo la quale il rischio della contaminazione costituirebbe una circostanza del tutto eccezionale, legata esclusivamente ad un utilizzo non corretto delle sacche da parte dell'operatore - atteso che, da un lato, il capitolato richiedeva l'assenza di qualsiasi contaminazione, senza alcuna ulteriore precisazione, dall'altro lato, le istruzioni per l'uso della Fr. non circoscrivevano espressamente l'evento contaminazione all'errato utilizzo delle sacche, ma lo prevedevano in via generale, come eventualità sempre possibile. 6.2. Anche per tale ragione, quindi, il T.A.R. ha ritenuto che la controinteressata dovesse essere esclusa dalla gara. 7. Con la terza censura, la ricorrente lamentava la mancata esclusione della controinteressata nonostante avesse violato l'art. 17 del Disciplinare, recante la disciplina del "CONTENUTO DELLA BUSTA C - OFFERTA ECONOMICA", e in particolare l'art. 17.1 "CONTENUTO DELLA OFFERTA ECONOMICA", il quale disponeva che: "Nella Busta Elettronica C, a pena di esclusione, devono essere inseriti i seguenti documenti o compilate le relative sezioni per ogni singolo lotto", laddove, in particolare, indicava sub 5): "Dichiarazione che lo sconto presentato in gara sarà applicato per altri prodotti similari non previsti e sul listino della ditta". 7.1. Deduceva invero la ricorrente che la suddetta richiesta era stata assolta dall'aggiudicataria solo in maniera apparente dalla Fr., la quale aveva reso la seguente dichiarazione: "DICHIARA che non è possibile indicare una percentuale di sconto sui prodotti non oggetto di offerta, poiché il relativo prezzo di listino potrà subire nel tempo successive revisioni imposte dal continuo aumento dei costi di produzione. Le quotazioni su prodotti non oggetto di offerta verranno formulate di volta in volta in modo congruo con la tipologia e le quantità richieste". In tal modo, lamentava la ricorrente, la Fr. aveva negato l'applicazione dello sconto espresso in gara ad "altri prodotti similari non previsti e sul listino della ditta", come richiesto dalla suindicata prescrizione della lex specialis, impedendo l'incontro delle concordi volontà contrattuali delle parti. 7.2. Deduceva altresì la ricorrente che l'offerta di Fr. si atteggiava anche come condizionata e/o alternativa, in violazione della par condicio e della certezza dei rapporti giuridici e che, come tale, risultava inammissibile, richiamando, a supporto di tale conclusione, l'art. 17.1 del disciplinare, il quale prevedeva che "Non sono ammesse, pena esclusione, offerte incomplete relativamente alle forniture previsti, offerte plurime, condizionate, alternative o parziali", ed il successivo art. 19.3, il quale comminava l'esclusione in caso di "presentazione di offerte parziali, plurime, condizionate, alternative nonché irregolari, ai sensi dell'art. 59, 16 comma 3, lett. a) del Codice, in quanto non rispettano i documenti di gara, ivi comprese le specifiche tecniche". 7.3. Ad ulteriore supporto delle sue deduzioni, inoltre, la ricorrente menzionava il Capitolato Normativo laddove, all'art. 4.04 ("Revisione prezzi"), stabiliva che "Qualora in corso di vigenza contrattuale si verificasse la necessita di acquisire nuovi dispositivi, consumabili o reattivi non oggetto di gara, ma comunque affini, in aggiunta a quelli oggetto di gara, la ditta dovrà mantenere lo sconto massimo offerto sul listino dei prodotti offerti in gara". 7.4. Infine, la ricorrente contestava il verbale del 28 luglio 2022, laddove si affermava che "Il Seggio di Gara comunica che comunque sarà applicato l'art. 11 del Capitolato Normativo", atteso che la previsione menzionata era dedicata all'"Aggiornamento Tecnologico", e quindi riferita a prodotti oggetto del contratto in essere divenuti obsoleti, risultando perciò inconferente rispetto alla richiesta ex art. 17.1 Disciplinare. 8. Il T.A.R. ha accolto anche la censura suindicata, osservando che la dichiarazione contestata, oltre a confliggere con la legge di gara, dava luogo ad un'offerta condizionata, "perché fondata su valutazioni future, indeterminate e indeterminabili, rimesse alla discrezionalità dell'operatore economico", aggiungendo che, "anche a voler ritenere operante la previsione dell'art. 11 del capitolato normativo sopra citato - che secondo le parti resistenti imponeva alla Fr. di applicare ai prodotti similari lo sconto offerto per i prodotti oggetto di gara, a prescindere dalla dissonante dichiarazione resa con l'offerta economica - quest'ultima doveva comunque ritenersi indeterminata": essa, infatti, conteneva distinte manifestazioni di volontà provenienti dalla controinteressata, tra loro antitetiche ed inconciliabili, che rendevano impossibile comprendere se la stessa fosse disposta, o meno, ad applicare lo sconto offerto in gara anche ai prodotti similari non facenti parte della fornitura. 9. I primi due motivi di appello, diretti a sostenere l'insussistenza delle prime due ragioni escludenti ravvisate dal T.A.R. a carico dell'offerta della parte appellante, richiederebbero, ad avviso della Sezione, lo svolgimento di appositi incombenti istruttori, eventualmente nelle forme della verificazione, implicando la soluzione di complesse questioni di carattere tecnico-specialistico. Tuttavia, per ragioni di economia processuale, tenuto conto del fatto che, come si è detto, la sentenza appellata si fonda anche su un terzo profilo di difformità dell'offerta (questa volta economica) della Fr. dalla lex specialis, e che in ordine a tale profilo essa resiste alle censure della parte appellante, ritiene la Sezione di procedere senz'altro alla relativa analisi. 10. Mediante il corrispondente motivo di appello, la parte appellante deduce in primo luogo che la dichiarazione contestata non risulta contraria al disposto della lex specialis, in quanto la Fr. non ha affermato che lo sconto non verrà applicato, ma che occorrerà, per i prodotti non oggetto dell'offerta di gara, verificare caso per caso il prezzo di listino tenendo conto dei quantitativi richiesti. 10.1. Essa evidenzia altresì che la dichiarazione in questione non riguarda prodotti offerti in gara, per i quali invece gli sconti sono stati espressamente indicati, ma è riconducibile a una serie di circostanze ipotetiche e future, trattandosi di richiedere all'aggiudicatario la fornitura di ulteriori prodotti soltanto nell'eventualità, tutt'altro che certa, di necessità concreta di tali forniture. 10.2. Allega altresì la parte appellante che non risulta violato nemmeno l'art. 4.04 dedicato alla "Revisione prezzi", il quale prevede che, "qualora in corso di vigenza contrattuale si verificasse la necessità di acquisire nuovi dispositivi, consumabili o reattivi non oggetto di gara, ma comunque affini, in aggiunta a quelli oggetto di gara, la ditta dovrà mantenere lo sconto massimo offerto sul listino dei prodotti offerti in gara", trattandosi di disposizione che riguarda la fase dell'esecuzione di gara e non quella dell'aggiudicazione, subordinata a una serie di eventi non ancora verificatasi. 10.3. La parte appellante contesta anche la qualificazione come condizionata data dal T.A.R. alla sua offerta, deducendo in senso contrario che non ricorre nella specie il connotato proprio dell'offerta condizionata, individuato dalla giurisprudenza nella presenza di uno schema modificativo contrattuale alternativo rispetto a quello dell'Ente, evidenziando che "la proiezione verso il futuro dell'argomento qui discusso è insita nella stessa logica della richiesta formulata da parte di ESTAR, espressa in via puramente ipotetica". 10.4. Infine, la parte appellante lamenta la mancata considerazione da parte del T.A.R. del disposto dell'art. 11, comma 6, del Capitolato Normativo, a mente del quale "qualora in corso di vigenza contrattuale si verificasse la necessità di acquisire nuovi dispositivi o consumabili non oggetto di gara, ma comunque affini, in aggiunta a quelli oggetto di gara, la ditta dovrà mantenere lo sconto massimo offerto sul listino dei prodotti offerti in gara". Essa, oltre a ribadire che si tratta di previsione integralmente applicabile (non giustificandosi, quindi, l'inciso recato dalla sentenza appellata: "anche a voler ritenere operante la previsione"), deduce che non risultano volontà "antitetiche" della Fr., essendo chiaro - come affermato da ESTAR in corso di gara - che la concorrente sarà comunque sottoposta alle previsioni di cui all'art. 11, comma 6, circa il mantenimento dello sconto massimo. 11. Il motivo, come anticipato, non può essere accolto. 11.1. Facendo leva sulle stesse deduzioni della stazione appaltante, secondo cui "le clausole del Capitolato normativo non costituiscono la "lex di gara", ma la disciplina destinata a regolamentare la futura esecuzione del contratto", occorre preliminarmente sgombrare il campo dalla possibile confusione tra il Disciplinare di gara, destinato a dettare le regole per lo svolgimento della procedura di selezione (con particolare riguardo, per quanto di interesse ai fini della presente controversia, a quelle disciplinanti il contenuto dell'offerta economica e richiedenti, nello specifico, la "Dichiarazione che lo sconto presentato in gara sarà applicato per altri prodotti similari non previsti e sul listino della ditta"), ed il Capitolato Normativo e Prestazionale, contenente invece le disposizioni regolatrici della fase esecutiva del rapporto contrattuale. Ne consegue che rientra nell'autonomia regolatrice della stazione appaltante, quanto appunto alla previsione delle regole del procedimento di gara, cui devono inderogabilmente attenersi le concorrenti, operare gli opportuni raccordi tra i due segmenti normativi, al fine, da un lato, di garantire la piena consapevolezza da parte dei partecipanti alla gara in ordine al contenuto dell'impegno contrattuale che andranno ad assumere laddove risulteranno aggiudicatari dell'appalto, dall'altro lato e di riflesso, di prevenire eventuali contestazioni dell'aggiudicataria quanto alle modalità esecutive della prestazione così come delineate dal Capitolato Normativo. Lo strumento principe di raccordo è appunto rappresentato dalla richiesta di produrre, già in sede di gara ed a corredo dell'offerta, una dichiarazione attestante l'espressa assunzione dell'impegno di rispettare le condizioni dettate dalla stazione appaltante con il Capitolato Normativo, come appunto nel caso della dichiarazione, richiesta dall'art. 17.1, n. 5, del Disciplinare di Gara, "che lo sconto presentato in gara sarà applicato per altri prodotti similari non previsti e sul listino della ditta", la quale riproduce, calandola formalmente nell'assetto contrattuale che verrà a costituirsi una volta che sarà selezionata l'offerta economicamente più vantaggiosa, la previsione generale contenuta, in forma sostanzialmente identica, nell'art. 4.04, comma 3, e nell'art. 11, comma 6, del Capitolato Normativo (i quali recitano che "qualora in corso di vigenza contrattuale si verificasse la necessità di acquisire nuovi dispositivi, consumabili o reattivi non oggetto di gara, ma comunque affini, in aggiunta a quelli oggetto di gara, la ditta dovrà mantenere lo sconto massimo offerto sul listino dei prodotti offerti in gara"). 11.2. Chiarito, quindi, che il carattere imperativo dell'art. 11, comma 6, del Capitolato Normativo - sul quale, come si è visto, il seggio di gara ha fatto leva al fine di escludere che l'omissione (recte, difformità ) dichiarativa contestata dalla ricorrente Ma. - Ph. fosse suscettibile di legittimare l'esclusione della Fr. - non è idoneo a privare di ogni rilevanza, come vorrebbe la parte appellante, la prescrizione di cui all'art. 17.1, n. 5, del Disciplinare di Gara, non resta che dare atto che la dichiarazione resa in (preteso) riscontro alla suddetta richiesta dalla aggiudicataria (formulata nei seguenti termini testuali: "DICHIARA che non è possibile indicare una percentuale di sconto sui prodotti non oggetto di offerta, poiché il relativo prezzo di listino potrà subire nel tempo successive revisioni imposte dal continuo aumento dei costi di produzione. Le quotazioni su prodotti non oggetto di offerta verranno formulate di volta in volta in modo congruo con la tipologia e le quantità richieste") non corrisponde alla richiesta della stazione appaltante di produrre, a pena di esclusione, una dichiarazione che "lo sconto presentato in gara sarà applicato per altri prodotti similari non previsti e sul listino della ditta": ciò in quanto, a rimarcare la differenza tra il modello di dichiarazione e quella concretamente resa dalla concorrente, contribuisce in maniera decisiva l'affermazione secondo cui "non è possibile indicare una percentuale di sconto sui prodotti non oggetto di offerta". 11.3. In tale contesto, le deduzioni della parte appellante, intese ad evidenziare che la suindicata prescrizione della lex specialis fa riferimento ad eventi futuri ed incerti - siccome correlati alla eventuale necessità di acquisire nuovi prodotti non oggetto di gara, ma affini ad essi - non sono idonee, tanto più in quanto non versati (in primo grado) in apposita censura incidentale intesa eventualmente a contestare la legittimità della suddetta previsione, a porre in risalto ragioni giustificatrici della (sostanziale) disapplicazione della stessa, di cui si limitano a descrivere il contenuto prescrittivo. 11.4. Nemmeno meritevole di accoglimento è la deduzione di parte appellante intesa a negare il carattere condizionato dell'offerta da essa presentata, sul presupposto che non ricorrerebbe nella specie il connotato qualificante di tale tipologia di offerta, causatore della sua inammissibilità, relativo alla presenza di uno "schema modificativo contrattuale alternativo rispetto a quello dell'Ente". Deve invero rilevarsi che la stessa sentenza citata (Consiglio di Stato, Sez. V., 14 luglio 2022, n. 5991) completa lo schema qualificante del carattere condizionato dell'offerta, secondo cui "ricorre l'offerta condizionata nel caso in cui l'offerente subordini il proprio impegno contrattuale ad uno schema modificativo rispetto a quello proposto dalla stazione appaltante", precisando che "le regole che informano la materia degli appalti pubblici esigono, a tutela della par condicio e della certezza dei rapporti giuridici (funzionali alla corretta esecuzione dell'appalto), la perfetta conformità tra il regolamento predisposto dalla Stazione appaltante e l'offerta presentata dal candidato. Detta conformità non sussiste allorquando il concorrente subordini appunto la sua adesione al contratto a condizioni non univoche ed estranee all'oggetto del procedimento o ad elementi non previsti nelle norme di gara o al capitolato (Consiglio di Stato, Sez. V, 21 maggio 2020, n. 3226)". Ebbene, deve appunto ritenersi che la Fr., laddove ha subordinato l'applicazione della percentuale di sconto sui prodotti non oggetto di offerta a future valutazioni relative all'andamento del prezzo di listino oltre che alla "tipologia" ed alle "quantità richieste" - in tal modo attribuendo alla sua offerta, in parte qua, carattere indeterminato quanto all'an ed al quantum dello sconto - ha introdotto nella sua proposta contrattuale un elemento (recte, una condizione, peraltro di carattere meramente potestativo) spurio rispetto allo "schema contrattuale" prefigurato dalla stazione appaltante, inteso a richiedere l'impegno ad applicare uno sconto in modo incondizionato nell'an e quantitativamente determinato, corrispondente (ai sensi dell'art. 17.1, n. 5, del Disciplinare di gara) allo "sconto presentato in gara" ovvero, con formula equivalente (ai sensi degli artt. 4.04, comma 3, e 11, comma 6, del Capitolato Normativo) allo "sconto massimo offerto sul listino dei prodotti offerti in gara". 11.5. Infine, non è suscettibile di inficiare la coerenza argomentativa della sentenza appellata il rilievo secondo cui è la stessa clausola di cui la ricorrente contestava la violazione, prima ancora della dichiarazione resa dalla aggiudicataria, a proiettarsi nel futuro: deve invero osservarsi che, sebbene sia la dichiarazione richiesta dalla stazione appaltante che quella concretamente prodotta dalla appellante facciano riferimento ad una situazione futura (correlata alla richiesta da parte dell'Amministrazione di fornitura di prodotti similari a quelli oggetto di offerta ed aggiuntivi rispetto ad essi), la seconda contiene elementi "condizionanti" ulteriori, relativi alle valutazioni della offerente in ordine alla congruità dello sconto da applicare ai suddetti prodotti, che alterano lo "schema" contrattuale predisposto dalla stazione appaltante, spostando il carattere futuro e discrezionale della scelta dalla stazione appaltante (quanto alla richiesta dei suddetti prodotti alle stesse condizioni economiche offerte in gara dalla concorrente) alla stessa offerente (quanto allo sconto da applicare alla fornitura aggiuntiva). 11.6. L'infondatezza del suindicato motivo di appello impedisce quindi l'accoglimento della domanda di riforma della sentenza appellata, trovando questa sufficiente fondamento nella suddetta ragione escludente a carico della appellante. 12. Può prescindersi invece dall'esame delle ulteriori deduzioni della parte appellante, siccome subordinate alla riproposizione da parte della originaria ricorrente - tardivamente avvenuta solo con memoria del 23 maggio 2023, in violazione del termine dimidiato di cui all'art. 101, comma 2, c.p.a., né essendo idonee a rimettere in termini la parte resistente le controdeduzioni "anticipate" svolte con l'atto di appello - delle censure non esaminate dal T.A.R.: censure al cui accoglimento peraltro, attenendo alla valutazione delle offerte, l'originaria ricorrente, per effetto della conferma dell'effetto escludente derivante nei confronti della appellante dalla presente decisione, non ha alcun concreto interesse. 13. La complessità dell'oggetto della controversia giustifica la compensazione delle spese del giudizio di appello. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. 3255/2023, lo respinge. Spese del giudizio di appello compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Michele Corradino - Presidente Pierfrancesco Ungari - Consigliere Paolo Carpentieri - Consigliere Stefania Santoleri - Consigliere Ezio Fedullo - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8692 del 2018, proposto da Consorzio Ma. Pa., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato En. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Grosseto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Su. Cr., Fr. Ma. Po., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Ro. Se., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Seconda n. 00548/2018, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Grosseto; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2023 il Cons. Massimo Santini e preso atto delle richieste di passaggio in decisione depositate in atti dagli avvocati Co., Cr. e Po.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il Consorzio appellante partecipa ad un luna park stagionale (da tenersi ossia durante il periodo estivo) il cui svolgimento avviene all'interno di un'area sita nel territorio del Comune di Grosseto. Quest'ultimo chiedeva dunque il pagamento a carico del Consorzio stesso, come da prescrizione della Commissione Provinciale di Vigilanza sui Locali di Pubblico Spettacolo, degli oneri derivanti dal servizio antincendio che deve essere garantito all'interno del luna park medesimo (prescrizione questa previamente introdotta all'interno del Regolamento comunale sugli spettacoli viaggianti). 2. La richiesta veniva impugnata dinanzi al TAR Toscana che rigettava tuttavia il ricorso per le ragioni di seguito sintetizzate: 2.1. Il Comune non è obbligato ad effettuare una volta per tutte l'elencazione dei siti ove poter svolgere spettacoli viaggianti; 2.2. Non sussiste disparità di trattamento tra il luna park estivo (vicino ad una pineta) e quello autunnale (vicino al centro cittadino e dunque meno esposto ad incendi che si propagano per lo più durante il periodo estivo); 2.3. Nessun obbligo di comunicazione di avvio del procedimento poteva sussistere, in ordine alla modifica del regolamento comunale che ha imposto la presenza del servizio antincendi, atteso che si tratta di disposizioni di carattere generale; 2.4. La presenza dei Vigili del Fuoco è prevista proprio dal DM 19 agosto 1996; 2.5. Le amministrazioni comunali hanno l'obbligo di individuare aree idonee per tali spettacoli, non anche quello di accollarsi i relativi oneri onde renderle sicure. 3. La sentenza di primo grado formava oggetto di appello per i motivi di seguito indicati: 3.1. Erroneità nella parte in cui non sarebbe stata rilevata la violazione dell'art. 9 della legge n. 337 del 1968 nella parte in cui si prevedrebbe "l'obbligo di compilazione dell'elenco delle aree comunali disponibili per lo spettacolo viaggiante" (pag. 24 atto di appello). Più in particolare, l'amministrazione comunale avrebbe omesso di "adottare un unico provvedimento di Giunta Comunale diretto ad individuare tutte le aree disponibili per l'attività di spettacolo viaggiante" (pag. 25 atto di appello). Ed infatti: mentre il parco autunnale di Piazza (omissis) sarebbe individuato dall'art. 12 del Regolamento comunale sullo spettacolo viaggiante, il Luna Park estivo sarebbe stato individuato con separato atto ossia con deliberazione della Giunta comunale n. 234 in data 8 giugno 2017; 3.2. Erroneità nella parte in cui non sarebbe stata considerata la disparità di trattamento tra il luna park estivo, sottoposto a vigilanza antincendio, ed il luna park autunnale, non sottoposto a smile attività preventiva. E ciò nonostante si tratti in entrambi i casi di "spettacolo viaggiante"; 3.3. Erroneità nella parte in cui non sarebbe stata considerata "la perfetta equipollenza della funzione assolta dal "Servizio di Vigilanza Antincendio da parte dei VV.FF." e dal "Piano di Sicurezza Antincendio", di cui al Tit. XVIII, punto 8.5 del D.M. 19.08.1996, con riferimento al Lu. Pa. - Es. di Ma. di Gr." (pag. 31 atto di appello); 3.4. Erroneità nella parte in cui non sarebbe stato considerato che, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 337 del 1968, le amministrazioni comunali debbano farsi altresì "carico delle attività necessarie a garantire il regolare svolgimento delle stesse, in particolare, sotto il profilo della sicurezza antincendio": di qui l'impossibilità di scaricare sugli operatori privati gli oneri del servizio antincendio, e ciò dal momento che questi ultimi sarebbero portatori solo di interessi privati e non anche di interessi pubblici legati alla pubblica incolumità (pag. 34 atto di appello). 4. Si costituiva in giudizio l'appellata amministrazione comunale la quale, nel chiedere il rigetto del gravame mediante articolate controdeduzioni che, più avanti, formeranno oggetto di specifica trattazione, sollevava nuovamente eccezione di inammissibilità del gravame per difetto di legittimazione attiva in capo all'appellante consorzio. 5. Alla pubblica udienza del 6 giugno 2023 la causa veniva infine trattenuta in decisione. 6. Tutto ciò premesso, una volta rigettata l'eccezione di inammissibilità per difetto di legittimazione attiva a causa della estrema genericità della sua formulazione (la domanda di partecipazione al luna park stagionale è tra l'altro presentata dal consorzio appellante), l'appello è infondato e deve essere rigettato per le ragioni di seguito riportate. 7. Con il primo motivo di appello si lamenta la violazione della legge n. 337 del 1968 (disciplina sugli spettacoli viaggianti) la quale prevede la pubblicazione annuale delle sedi idonee, all'interno di ogni comune, ad ospitare simili eventi. Più in particolare: il Comune di Grosseto avrebbe individuato l'area del luna park estivo del consorzio ricorrente con delibera di giunta n. 234 del 2017, laddove quella di altro luna park che si tiene in un altro luogo ed in un altro arco temporale (autunno) sarebbe stata indicato dall'art. 12 del regolamento comunale sugli spettacoli viaggianti. Al riguardo si osserva che: 7.1. La censura, diretta ad evidenziare in concreto la assenza di un "elenco unico" delle aree disponibili, si rivela comunque inammissibile in quanto non si ravvisa quale concreto interesse ossia quale effettiva lesione e dunque quale vantaggio potrebbe scaturire dall'annullamento di un simile atto programmatorio annuale; 7.2. Soprattutto non è dato comprendere quale possa essere il legame o la connessione tra la mancata adozione di un elenco unico su base comunale delle aree disponibili per simili spettacoli e la lesione che in concreto si lamenta nel caso qui controverso, ossia la imposizione di un servizio antincendio che sarebbe ultroneo ed i cui oneri non dovrebbero comunque gravare sui privati operatori; 7.3. Ed anche ove la assenza di un simile "elenco unico" comportasse una situazione di incertezza da parte dei singoli operatori, ciò non potrebbe giammai assurgere a motivo di lagnanza ove questi ultimi non dimostrino che da tale incertezza sia scaturita l'impossibilità - e non la semplice difficoltà - di organizzare la propria attività imprenditoriale; 7.4. E ciò al netto di ogni considerazione circa la possibilità, in capo all'amministrazione comunale, di "ricostruire" e poi "aggiornare" tale elenco anche attraverso più fonti normative ed amministrative (come nel caso di specie, art. 12 del regolamento comunale integrato da delibera di giunta n. 234 del 2017), pratica questa che potrebbe essere suggerita anche dalla presenza di situazioni particolari e contingenti; 7.5. Il motivo di appello è dunque infondato e comunque inammissibile per assenza di specifico interesse. 8. Con il secondo motivo di appello si lamenta che il secondo luna park che si tiene in autunno non sarebbe tenuto ad osservare le stesse prescrizioni sul servizio antincendio (pattuglia dei vigili del fuoco): di qui la ritenuta disparità di trattamento. Al riguardo si osserva che: 8.1. Trattasi in ogni caso di due diverse situazioni: l'area del consorzio appellante è limitrofa ad una pineta ed il luna park si tiene d'estate, che è stagione di incendi; il secondo luna park si tiene invece in autunno in luogo non vicino a simili ambienti (contesto urbano libero da vegetazione); 8.2. Da tale differente situazione di partenza ben può discendere pertanto un diverso trattamento, in termini di proporzionalità e ragionevolezza dell'azione amministrativa (art. 3 Cost.), data la differenza tra i due impianti in termini tecnici e morfologici; 8.3. Il motivo deve dunque essere rigettato. 9. Con il terzo motivo di appello si deduce che la presentazione del piano antincendi sarebbe prescrizione di per sé sufficiente al fine di garantire tale esigenza di sicurezza. Si osserva al riguardo che: 9.1. La presenza fisica dei vigili del fuoco è espressamente prevista, per tali strutture, dal DM 19 agosto 1996 il cui art. 7, secondo comma, prevede proprio che: "I servizi di vigilanza antincendio, nei locali ricadenti nel campo di applicazione del presente decreto, sono espletati dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, secondo la vigente normativa"; 9.2. Ebbene tra i "locali" ricadenti nel campo di applicazione di tale prescrizione rientrano tra l'altro, ai sensi dell'art. 1 dello stesso decreto ministeriale, anche i "luoghi destinati a spettacoli viaggianti e parchi di divertimento"; 9.3. Dunque il piano è condizione necessaria ma non sufficiente - in determinate condizioni ambientali quali quelle di specie e avuta considerazione dei delicati interessi in giuoco (luna park estivo limitrofo a pineta a rischio incendi) - onde garantire le più ampie condizioni di sicurezza; 9.4. In altre parole la decisione di prevedere, accanto al suddetto piano di sicurezza, anche la presenza fisica di personale dei Vigili del Fuoco risponde, in determinate condizioni (luna park estivo da tenersi in luogo limitrofo a pineta oggetto di diversi incendi), ad elementari principi di logicità, proporzionalità e ragionevolezza dell'agire amministrativo; 9.5. Anche tale motivo deve pertanto essere rigettato. 10. Con l'ultimo motivo di appello si lamenta che gli oneri del servizio antincendi dovrebbero essere posti unicamente a carico del Comune che ha l'obbligo di rendere "disponibili" talune aree (art. 9 legge n. 337 del 1968). Al riguardo si osserva che: 10.1. La previsione di imporre taluni oneri a carico dei gestori, nel silenzio della legge di settore (la quale nulla prevede in merito alla ripartizione di tali eventuali corrispettivi) non appare invero irrazionale, né sproporzionata, e ciò anche in considerazione del fatto che la loro attività comporta comunque determinati profitti; 10.2. Del resto si tratta di un corrispettivo dovuto in cambio di un servizio prestato al fine di poter svolgere in condizioni di piena sicurezza l'anelata attività imprenditoriale di che trattasi. Di qui la piana applicazione del principio ubi commoda, ibi incommoda; 10.3. Né potrebbe essere condivisa l'affermazione secondo cui gli operatori sarebbero unicamente portatori di interessi privati, e ciò dal momento che costituisce obbligo di natura generale quello per cui determinate attività imprenditoriali e professionali debbano comunque essere esercitate in condizioni di piena sicurezza per gli utenti e per coloro che si vengano in qualche misura a trovare in contatto con simili attività (si pensi ad eventuali abitazioni limitrofe al luna park): di qui l'obbligo di compartecipare alla migliore organizzazione del servizio di sicurezza a tutela della pubblica incolumità ; 10.4. E tanto anche in ossequio al principio di sussidiarietà orizzontale di cui all'art. 118 Cost.; 10.5. Nei sensi di cui sopra pure tale motivo deve pertanto essere rigettato. 11. In conclusione l'appello è infondato e deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza di primo grado. 12. Le spese di lite possono essere integralmente compensate tra le parti costituite attesa la peculiarità della esaminata fattispecie. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Alberto Urso - Consigliere Anna Bottiglieri - Consigliere Massimo Santini - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1752 del 2018, proposto da Fr. Degl'I., rappresentato e difeso dall'avvocato An. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, via (...), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fa. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (...) per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Terza n. 1578/2017 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 10 maggio 2023 il Cons. Rosaria Maria Castorina e uditi gli avvocati An. Be. per parte appellante e Fa. Fa. per parte appellata; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO L'originario ricorrente impugnava l'ordinanza del Comune di (omissis) n. 17\01 del 26 febbraio 2001 con il quale si contestava l'esecuzione di alcuni lavori edili, tendenti a rendere abitabile un magazzino mediante la realizzazione di una cucina ed un bagno. Il Tar con la sentenza impugnata dichiarava improcedibile il ricorso per sopravvenuto difetto di interesse in quanto, successivamente alla sua proposizione, era stata presentata, in data 14 dicembre 2004, un'istanza di sanatoria straordinaria ai sensi della L. reg. del 20 ottobre 2004 n. 53, avente ad oggetto il "cambio di destinazione d'uso da locale accessorio in civile abitazione indipendente"; riteneva, comunque, infondato nel merito il ricorso. Appellata ritualmente la sentenza resisteva il Comune di (omissis) Il processo era interrotto con provvedimento 3 novembre 2022 a seguito del decesso dell'appellante. Riassumeva il giudizio il figlio dell'originario ricorrente con ricorso depositato su supporto cartaceo, depositando anche il "ricorso in riassunzione" in versione di documento informatico (cd. "nativo digitale"), privo, però, di firma digitale. All'udienza di smaltimento del 10 maggio 2023 la causa passava in decisione. DIRITTO 1.Devono essere preliminarmente disattese le eccezioni relative alla irregolarità della riassunzione. L'articolo 80 del codice del processo amministrativo non prevede, ai fini della riassunzione del processo da parte del soggetto diverso da quello rispetto al quale si è verificato l'evento interruttivo, il previo adempimento della fissazione dell'udienza, propedeutico alla notifica dell'atto di riassunzione alle altre parti, ma dispone che se non avviene la prosecuzione ai sensi del comma 2, il processo deve essere riassunto nel termine perentorio di novanta giorni dalla conoscenza legale dell'evento interruttivo, acquisita mediante dichiarazione, notificazione o certificazione. 1.1.Quanto al deposito in forma cartacea, per ormai consolidata giurisprudenza, l'assenza della sottoscrizione digitale, il deposito della copia del ricorso in forma cartacea e non in formato nativo digitale con sottoscrizione con firma digitale e più in generale le violazioni della normativa PAT, non configurano ipotesi di nullità, ma di irregolarità "sanabili" entro un termine perentorio disposto dal giudice (cfr. Cons. Stato, 2944/2022), termine reso inutile dalla costituzione dell'appellata. 1.2. Devono, altresì, essere disattese le eccezioni relative alle irregolarità della notifica. Non va, infatti, dichiarata la nullità della notifica di un atto giurisdizionale allorquando l'atto stesso abbia raggiunto il suo scopo, ai sensi dell'art. 156, comma 3, c.p.c., quando le parti, come nel caso di specie, si sono costituite in giudizio e hanno svolto le proprie difese, ritenendo pienamente conferente la giurisprudenza amministrativa ed ordinaria richiamata a supporto di questa considerazione (Cons. Stato, Sez. IV, n. 4206/2001; Cass. Civ., S.S.UU., n. 7665/2016). 2. Con il primo motivo l'appellante eccepisce l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha dichiarato l'appello improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse. La censura è fondata. L'istanza di accertamento di conformità non incide di per sé sulla legittimità dell'ordinanza di demolizione né pregiudica definitivamente la sua efficacia, ma ne sospende soltanto gli effetti fino alla definizione, espressa o tacita, dell'istanza (Cons. Stato, Sez. V, 1 marzo 2019 n. 1435). In tal caso, l'ordinanza potrà essere portata ad esecuzione una volta rigettata l'istanza, decorso il termine di adempimento dalla conoscenza del diniego. La conseguenza è - sotto un profilo procedurale - che la proposizione dell'istanza ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 non produce l'improcedibilità del ricorso proposto avverso l'ordinanza di demolizione, "poiché la presentazione dell'istanza diretta ad ottenere il rilascio del permesso di costruire in sanatoria determina solo un arresto dell'efficacia dell'ordine di demolizione, che è posto in uno stato di temporanea quiescenza". (Cons. Stato Sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5939; id. 29/08/2019, n. 5937). Il tal caso ciò che si produce è "unicamente la sospensione temporanea dei suoi effetti, limitatamente al periodo di tempo necessario fino alla definizione, espressa o tacita, dell'istanza medesima". Il Tar ha quindi errato a dichiarare improcedibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. In questa parte l'appello deve essere, pertanto, accolto. 3.Con il secondo motivo l'appellante deduce: Violazione di legge ed erronea interpretazione - con riferimento anche all'art. 31, punto 2, LRT n° 52\99 (eccepito difetto di costituzionalità ). Lamenta che l'ordinanza sarebbe stata emessa da un organo comunale incompetente, in quanto adottata dal Dirigente Area Servizi al Cittadino e non dal Sindaco. La censura non è fondata. Correttamente il Tar ha rilevato che ai sensi dell'art. 107 del D.lgs. 267/2000 la competenza ad adottare gli atti di gestione (così come non può che essere qualificato anche il provvedimento demolitorio) attiene ai dirigenti dell'Amministrazione comunale. La questione è superata a seguito dell'introduzione dell'art. 107 comma 2 del D.lgs. n. 267 del 2000, nella parte in cui attribuisce ai dirigenti la competenza ad adottare sia gli atti di gestione, compresi quelli a tutela del patrimonio comunale sia, ancora, quelli suscettibili di impegnare l'Amministrazione verso l'esterno (Cons. Stato Sez. VI, 17-06- 2014, n. 3048). 4.Con il terzo motivo deduce: Error in iudicando - mancata e\o difetto di pronuncia su travisamento dei fatti. Lamenta che il Tar in sentenza si era pronunciato nel merito solo parzialmente senza considerare tutte le opere. La censura deve essere disattesa. L'abuso consiste in un mutamento di destinazione d'uso con opere a ciò funzionali (in particolare, tra l'altro, la cucina e il bagno prima inesistenti) e dunque ad opere per la cui esecuzione sarebbe stata necessaria la concessione edilizia: l'assenza di titolo non poteva dunque che comportare l'emissione della misura sanzionatoria della demolizione, mentre la concessione in sanatoria n. 370/1996 non riguarda il manufatto in questione, ma abusi realizzati sull'abitazione dell'appellante, posta nelle immediate adiacenze. 5. Con il quarto motivo l'appellante deduce: Error in iudicando - mancata pronuncia sulle istanze istruttorie. L'appellante ripropone le istanze istruttorie non prese in esame dal Tar, con le quali chiedeva che venisse disposta perizia e\o (oggi) verificazione sui fatti descritti e in particolare sui luoghi e sulle istanze presentate al Comune e sui provvedimenti comunali e la loro portata e valenza tecnica. Il motivo deve essere disatteso. Vero è che il Tar non ha motivato sulle istanze istruttore, tuttavia, la necessità di ammissione dei mezzi istruttori è comunque rimessa alla prudente valutazione del giudice adito e, quanto all'acquisizione di ulteriori elementi, gravava sulla parte l'onere della prova che non può essere supplita dai poteri officiosi del giudice. L'appello, accolto il primo motivo, deve essere respinto nel resto. In considerazione della reciproca soccombenza parziale, spese compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie il primo motivo di appello, respingendolo nel resto. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Rosaria Maria Castorina - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2929 del 2022, proposto dalla società R.P. di Ro. Pa. & C. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ge. An., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro la Regione Toscana e l'A.r.p.a.t. - Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Fa. Ci., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Se. Fi. in Ro., (...); il Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, già Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana (sezione seconda) n. 1275 del 7 ottobre 2021, resa tra le parti. Visto il ricorso in appello con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Toscana, A.r.p.a.t. e Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 aprile 2023 il consigliere Silvia Martino; Udito l'avvocato Ma. Tr. (su delega dell'avvocato Fa. Ci.); Dato atto delle istanze di passaggio in decisione depositate dall'avvocato Ge. An. e dall'avvocato dello Stato Tito Varrone; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'impresa "R.P. di Ro. Pa. & C. s.a.s.", odierna appellante, esercita l'attività per il recupero di rifiuti speciali non pericolosi nello stabilimento ubicato nel Comune di (Omissis), originariamente autorizzato con determinazione dirigenziale della Provincia di (Omissis) n. (...) del 19 luglio 2010, successivamente modificata dalle determinazioni n. (...) del 14 ottobre 2011 e n. (...) del 24 gennaio 2014. 1.1. Con istanza del 20 luglio 2017, l'impresa chiedeva alla Regione Toscana, subentrata alla Provincia nell'esercizio delle attribuzioni in materia, l'avvio del procedimento di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale del progetto di modifica sostanziale dell'impianto. 1.2. La Regione, con decreto 5 ottobre 2017 n. 14373, decideva di escludere l'impianto, ai sensi e per gli effetti dell'art. 19 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, dalla procedura subordinatamente al rispetto di alcune prescrizioni specificamente indicate. In particolare, la prescrizione n. 1 dispone che "il proponente dovrà effettuare sul rifiuto in ingresso, per ciascun produttore e per singolo ciclo produttivo di provenienza, un'analisi merceologica dalla quale emerga che il cascame di lana inviato al riutilizzo come ammendante/fertilizzante sia effettivamente costituito esclusivamente da lana o da altre fibre di origine animale". 1.3. Il 30 novembre 2018 l'impresa presentava alla Regione Toscana un'istanza di modifica della prescrizione affinché fosse possibile, per la produzione del concime denominato "Cascami di lana", utilizzare i residui della lavorazione della lana contenenti anche fibre sintetiche, ritenendo illegittima la richiesta che i rifiuti in oggetto siano composti dal 100% di fibra pura. 1.4. L'istanza veniva respinta con decreto dirigenziale 10 aprile 2019, n. 5452, oggetto dell'impugnativa articolata in primo grado innanzi al T.a.r. per la Toscana (n. r.g.762/2019). Nel medesimo provvedimento l'Amministrazione specificava (punto 2 del dispositivo) che il rifiuto in ingresso "può contenere sostanze estranee quali terriccio, sabbia e/o residui vegetali, nonché tracce non quantificabili di altre fibre, a condizione che il rapporto di prova dell'analisi merceologica a cui è stato sottoposto il rifiuto riporti con chiarezza la natura delle sostanze estranee presenti e non contenga generiche descrizioni quali "residuo non fibroso". 1.5. Il ricorso veniva affidato ad un unico complesso motivo (esteso da pagina 10 a pagina 18 del ricorso), di seguito rubricato: "Violazione e/o falsa applicazione artt. 177, 179, 183, 184 - ter, 214, 216 d.lgs. n. 152/2006, D.M. Ambiente 5.2.1998, d.lgs. n. 75/2010, Regolamento UE n. 1007/2011; illogicità della motivazione; eccesso di potere per irragionevolezza e travisamento; carenza di proporzionalità; carenza istruttoria". 2. Nella resistenza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, della Regione Toscana e dell'A.r.p.a.t. (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana), il T.a.r.: - ha accantonato l'esame delle plurime eccezioni di inammissibilità sollevate dalle parti intimate; - ha respinto con dovizia di argomenti il ricorso; - ha compensato tra le parti le spese di lite. 3. La ditta rimasta soccombente ha interposto appello - corredato da domanda cautelare - sviluppando un unico complesso mezzo di gravame (da pagina 17 a pagina 28 del ricorso), con il quale sono state riproposte criticamente le censure articolate in prime cure. 3.1. Nello specifico, parte ricorrente sostiene che la prescrizione di effettuare sul rifiuto, prima dell'ingresso nel ciclo produttivo destinato alla sua trasformazione, un'analisi merceologica al fine di verificare che il cascame di lana inviato al riutilizzo come fertilizzante sia costituito "esclusivamente" da lana o da altre fibre di origine animale, sarebbe in contrasto con quanto dispone la normativa sui concimi oggi recata dal d.lgs. n. 75 del 2010, la quale, con riguardo ai "cascami di lana" al punto 14, sezione 5.1 dell'Allegato 1- "concimi organici azotati" - prevede che gli stessi debbano annoverare i "Residui della lavorazione della lana e dei suoi manufatti" come componenti "essenziali" ma non "esclusivi". La sentenza sarebbe erroneamente motivata, nonché avulsa dalle emergenze istruttorie, nella parte in cui, in adesione alle tesi dell'Amministrazione, avrebbe sovrapposto e confuso i concetti di "essenzialità" ed "esclusività" al fine di avallare la tesi della divergenza tra il processo delle operazioni di recupero, ed il metodo di produzione dei fertilizzanti ai sensi del d.lgs. n. 75/2010. La ricorrente aveva evidenziato altresì come il limite o criterio di accettabilità andasse fissato partendo dalla qualifica di cascame di lana pura (monofibra), anche secondo la definizione del Regolamento UE n. 1007/2011 del Parlamento europeo e del consiglio del 27 settembre 2011 relativo alla denominazione delle fibre tessili. 4. Si sono costituiti, per resistere, la Regione Toscana e il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. 4.1. L'A.r.p.a. Toscana ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva. 5. Nel corso del giudizio: a) con ordinanza n. 2048 del 6 maggio 2022 è stata respinta la domanda cautelare; b) le parti hanno prodotto documenti (la Regione in data 1° maggio 2022) e memorie difensive (la Regione in data 1° maggio 2022, il Ministero in data 2 maggio 2022, l'appellante in data 20 marzo 2023). 6. Alla pubblica udienza del 20 aprile 2023 la causa è stata trattenuta per la decisione. 7. È possibile prescindere dall'esame dell'eccezione di improcedibilità dell'appello - sollevata dalla difesa regionale - come pure della questione relativa al difetto di legittimazione passiva dell'A.r.p.a. Toscana, in quanto l'appello è infondato nel merito e deve essere respinto. 8. In limine litis, si osserva che a seguito della proposizione dell'appello è nella sostanza riemerso interamente il thema decidendum del giudizio di primo grado - che perimetra necessariamente il processo di appello ex art. 104 c.p.a. - sicché, per ragioni di economia dei mezzi processuali e di semplicità espositiva, secondo la logica sottesa alla decisione dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, il Collegio prende direttamente ed esclusivamente in esame gli originari motivi articolati in prime cure (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, n. 22 del 2022; n. 1137 del 2020). 9. Con l'unico articolato motivo di ricorso l'odierna appellante ha sostenuto che l'attività di recupero che svolge non debba essere vincolata all'assoluto rispetto delle caratteristiche descritte nel sub allegato 1 dell'allegato 1 al d.m. 5 febbraio 1998, poiché le caratteristiche ivi riportate riguardano i rifiuti che entrano nel processo di recupero e non i prodotti che dallo stesso escono i quali, nel settore di interesse, sono soggetti alla normativa tecnica contenuta nel d.lgs. 29 aprile 2010, n. 75, allegato 1, sez. 5.1, punto 14. Sarebbe illegittima la pretesa che i rifiuti "in entrata" nel processo di recupero siano composti esclusivamente da fibra pura poiché il legislatore, a tale proposito, ha previsto un quantitativo massimo di piombo e un quantitativo minimo di azoto e una volta rispettati questi parametri, il materiale sarà sempre conforme al d.lgs. n. 75/2010. Una trascurabile presenza di impurezza dovuta a fibre estranee potrebbe al più causare un minor potere fertilizzante nel prodotto finale ma non arrecherebbe pregiudizio all'ambiente, non trattandosi di sostanze pericolose. La prescrizione non avrebbe significato poiché quello che viene ritirato è un rifiuto destinato alla produzione di fertilizzante in conformità al punto 18.2 del decreto del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998. Non sarebbe quindi conforme a legge la richiesta che i rifiuti in oggetto siano composti al 100% di fibra pura, requisito che non è previsto nemmeno per il concime "cascami di lana". Il provvedimento violerebbe anche il principio di proporzionalità poiché applicherebbe all'attività di recupero di cui si tratta una prescrizione esorbitante rispetto alle norme tecniche di riferimento. Lo stesso sarebbe poi viziato per difetto di istruttoria poiché l'iter procedurale si è basato sull'assunto, indimostrato, che la ricorrente intenda effettuare operazioni di recupero sempre partendo da rifiuti contenenti tracce di fibra non naturale. All'opposto, in uno dei campioni allegati erano pacificamente assenti componenti di tal genere; a fondamento dei provvedimenti impugnati sarebbe stata quindi posta una presunzione di pericolosità dei rifiuti e/o dei prodotti priva di supporto tecnico - scientifico. 10. Ciò posto, risulta anzitutto corretto il ragionamento del T.a.r., il quale ha messo in luce che il d.lgs. n. 75 del 2010 non disciplina il materiale utilizzato per la produzione del fertilizzante ma il prodotto finale, di cui indica le caratteristiche per poter essere commercializzato. Le tipologie di rifiuti non pericolosi che possono essere sottoposti a procedure semplificate di recupero, e le relative norme tecniche, sono invece contenute nel d.m. 5 febbraio 1998 (recante "Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22"). Secondo il par. 18.2. dell'Allegato 1, sub allegato 1, del suddetto d.m., in tema di rifiuti destinati alla produzione di fertilizzanti, la tipologia del rifiuto in ingresso è costituita da "scarti, peluria e pelucchi di lana e altre fibre di origine animale, rifilature e scarti di pelo". Essi debbono provenire (punto 18.2.1) dalla "lavorazione della lana e suoi manufatti, ritagli dell'industria conciaria prima del trattamento conciante". I rifiuti di origine animale non debbono contenere "sostanze pericolose" (punto 18.2.2.). 10.1. La prescrizione regionale contestata si è quindi limitata a dare attuazione alla disciplina specificamente dettata per le operazioni svolte dall'odierna appellante, rispetto alla quale non può predicarsi la prevalenza del d.lgs. n. 75 del 2010 il quale disciplina il prodotto finale, fissandone le caratteristiche per poter essere immesso nel mercato interno e dell'Unione europea. 10.2. Per quanto riguarda poi, il pure invocato regolamento UE n. 1007/2011, esso disciplina l'uso delle denominazioni delle fibre tessili, l'etichettatura e il contrassegno della composizione fibrosa dei prodotti tessili, allo scopo di migliorare il funzionamento del mercato interno e di fornire informazioni accurate ai consumatori (articolo 1). Anche in questo caso, pertanto, si tratta di disposizioni non aventi specifiche finalità di protezione ambientale. 10.3. Né sussiste la pretesa violazione dell'art. 3 del d.m. del 5 febbraio 1998, secondo cui "Le attività, i procedimenti e i metodi di riciclaggio e di recupero di materia individuati nell'allegato 1 devono garantire l'ottenimento di prodotti o di materie prime o di materie prime secondarie con caratteristiche merceologiche conformi alla normativa tecnica di settore o, comunque, nelle forme usualmente commercializzate. In particolare, i prodotti le materie prime e le materie prime secondarie dal riciclaggio e dal recupero dei rifiuti individuati dal presente decreto non devono presentare caratteristiche di pericolo superiori a quelle dei prodotti e delle materie ottenuti dalla lavorazione di materie prime vergini". Tale disposizione reca, infatti, una norma generale di "chiusura" ma non esclude l'applicazione della specifica disciplina, contenuta nel medesimo compendio normativo e richiamata nell'avversata prescrizione, relativa al recupero dei rifiuti destinati alla produzione di fertilizzanti. 10.4. Più in generale, come più volte osservato dalla sezione, in sede di rilascio delle autorizzazioni ambientali debbono ritenersi legittime anche prescrizioni più restrittive rispetto a quelle individuate dalla disciplina tecnica di settore. Inoltre, le ragioni tecniche per le quali vengono dettate le prescrizioni non sono sindacabili in sede giurisdizionale amministrativa, allorquando non trasmodino nella abnormità e nella palese illogicità (ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, n. 1761 del 14 marzo 2022; id., n. 8754 del 31 dicembre 2021; n. 1714 del 1 marzo 2021). Il giudice amministrativo, infatti, non può sostituirsi alle valutazioni, anche di tipo tecnico, riservate alle Amministrazioni pubbliche di settore (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, n. 2245 del 3 marzo 2023; n. 2344 del 30 marzo 2022). In tal senso l'art. 214 del c.d. codice dell'ambiente (d.lgs. n. 152 del 2006), applicabile nella fattispecie, è chiaro nello stabilire che "Le procedure semplificate di cui al presente capo devono garantire in ogni caso un elevato livello di protezione ambientale e controlli efficaci ai sensi e nel rispetto di quanto disposto dall'articolo 177, comma 4" (comma 1). La stessa disposizione stabilisce che "Con decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico, della salute e, per i rifiuti agricoli e le attività che generano i fertilizzanti, con il Ministro delle politiche agricole e forestali, sono adottate per ciascun tipo di attività le norme, che fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni in base alle quali le attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi effettuate dai produttori nei luoghi di produzione degli stessi e le attività di recupero di cui all'Allegato C alla parte quarta del presente decreto sono sottoposte alle procedure semplificate di cui agli articoli 215 e 216. Con la medesima procedura si provvede all'aggiornamento delle predette norme tecniche e condizioni" (comma 2). In base al comma 4, "Sino all'adozione dei decreti di cui al comma 2 relativamente alle attività di recupero continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel S.O. alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998 e 12 giugno 2002, n. 161". Pertanto, come fatto osservare dalla Regione, in seno alle procedure autorizzatorie l'Amministrazione procedente, da un lato, deve applicare le norme tecniche di cui all'art. 214, comma 2 (ovvero, allo stato, il d.m. del 5 febbraio 1998), dall'altro garantire un "elevato livello di protezione ambientale", nonché, ai sensi del comma 3 della medesima disposizione, "che i tipi o le quantità di rifiuti ed i procedimenti e metodi di smaltimento o di recupero siano tali da non costituire un pericolo per la salute dell'uomo e da non recare pregiudizio all'ambiente". In tale ottica è pertanto irrilevante che, al momento della formulazione del d.m. 5 febbraio 1998, non esistessero codici CER prevedenti una composizione esclusiva di origine animale per i rifiuti tessili. È infatti il d.m. stesso, al punto 18. 2, a stabilire la tipologia, provenienza e caratteristiche del rifiuto da avviare a recupero. 10.5. Si osserva, ancora, che non ha trovato smentita il rilievo dell'A.r.p.a. Toscana, contenuto nella nota del 6 febbraio 2019 (doc. n. 4 depositato dalla Regione in primo grado), secondo cui una percentuale di 1,6% di poliammide nel prodotto da recuperare - molecola polimerica citata nelle analisi presentate dalla proponente - "implica la cessione al suolo di 16 gr di polimero sintetico per ogni kg di materiale ivi depositato, con accumulo nel tempo. In generale i polimeri di sintesi quali la poliammide hanno nelle condizioni normali quali quelle ambientali elevata resistenza chimica, termica e all'usura e costituiscono un materiale completamente estraneo al suolo. Permangono per lungo tempo quindi nell'ambiente dove però in funzione delle loro caratteristiche tendono ad esempio, quando già non sono in tale forma, a frantumarsi in micro e nano frammenti; forme fisiche che possono condizionare il successivo destino ambientale". 10.6. Va soggiunto che anche l'utilizzo dell'aggettivo "essenziale" - che figura nell'Allegato 1 al d.lgs. n. 75/2010, paragrafo 5.1 - "Concimi Organici Azotati", punto 14, laddove si legge che il "Modo di preparazione e componenti essenziali" riguardano i "residui della lavorazione della lana e dei suoi manufatti" - non depone nel senso voluto dall'appellante. Ribadito quanto in precedenza rappresentato circa il fatto che tali disposizioni disciplinano le caratteristiche del prodotto finale e non del rifiuto da avviare a recupero, l'espressione utilizzata si limita ad esaltare la funzione della materia prima rispetto alle ulteriori sostanze necessarie per la realizzazione in concreto del fertilizzante. Tuttavia, la composizione della materia prima deve, a sua volta, essere esclusivamente quella prevista dalla normativa (nel caso di specie, il cascame di lana inviato al riutilizzo come ammendante/fertilizzante costituito esclusivamente da lana o da altre fibre di origine animale). 11. In definitiva, per quanto sopra argomentato, il ricorso deve essere respinto. Le spese di lite sono regolamentate secondo l'ordinario criterio della soccombenza nei rapporti tra appellante, Regione Toscana e Ministero, e vengono liquidate in dispositivo tenuto conto dei criteri di cui all'art. 26 comma 1 c.p.a. e dei parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014. Sussistono invece i presupposti di legge per la compensazione rispetto all'A.r.p.a. Toscana, tenuto conto della assenza di sostanziale attività difensiva di quest'ultima. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sull'appello n. r.g. 2929 del 2022 di cui in epigrafe, lo respinge. Condanna la società appellante alla rifusione delle spese di lite in favore della Regione Toscana e del Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, che vengono liquidate, in favore di ciascuna parte, nella misura di euro 10.000,00, e quindi per complessivi euro 20.000,00 (ventimila/00), oltre IVA, CPA e rimborso spese generali al 15%, se dovuti, come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Vito Poli - Presidente Silvia Martino - Consigliere, Estensore Giuseppe Rotondo - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Ofelia Fratamico - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. GALTERIO Donatella - Consigliere Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 25-11-2021 della Corte di appello di Firenze; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Fabio Zunica; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Cuomo Luigi, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori di fiducia di (OMISSIS), i quali hanno insistito nell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 24 luglio 2020, il Tribunale di Firenze, per quanto in questa sede rileva, condannava (OMISSIS), con i doppi benefici di legge, alla pena di mesi 10 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole dei reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera B (capo E), nonche' Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 20, comma 13 e L. n. 241 del 1990, articoli 19 - 21 (capo F), reati contestati all'imputato perche', quale tecnico professionista asseveratore e direttore dei lavori svolti presso il (OMISSIS), nell'appartamento denominato "Cimabue" ubicato in (OMISSIS), faceva eseguire opere interne di demolizione, ricostruzione e modifica finalizzate alla destinazione residenziale privata dell'immobile, lavori da considerare abusivi, perche' gia' accertati come tali con pronuncia di questa Corte n. 6873 del 2017 nell'ambito del procedimento penale n. 21240/2010/21; l'imputato, inoltre, attestava il falso nell'accertamento di conformita' n. 4416/2017, asseverando sia la legittimita' urbanistica dello stato dei luoghi, sia la conformita' dei lavori di progetto agli strumenti urbanistici approvati, oltre che alle norme vigenti aventi incidenza sull'attivita' edilizia; fatti accertati in Firenze il 9 maggio 2017. Con sentenza del 25 novembre 2021, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, appellata sia dal P.M. che da (OMISSIS), dichiarava non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo E, perche' estinto per prescrizione, e per l'effetto rideterminava la pena a carico dell'imputato, per il reato di cui al capo F, in mesi 8 di reclusione, confermando nel resto la decisione del Tribunale. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello toscana, (OMISSIS), tramite i suoi difensori, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando cinque motivi. Con il primo, la difesa deduce la violazione della L. n. 241 del 1990, articolo 19 e 21 osservando che l'arch. (OMISSIS) avrebbe dovuto essere assolto, in quanto egli ha solo predisposto una richiesta di sanatoria edilizia regolata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 36, dovendosi escludere che le dichiarazioni del tecnico allegate a tale istanza abbiano efficacia fidefaciente, non applicandosi alla materia del permesso in sanatoria e dell'accertamento di conformita' la disciplina penale prevista per le false asseverazioni in materia di scia e di dia. Ed invero il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 36 non attribuisce alcun effetto giuridico alla dichiarazione del tecnico e alla presentazione della domanda di sanatoria, se non l'obbligo del Comune di pronunciarsi entro 60 giorni, per cui l'atto del privato, pur contenente dichiarazioni in ipotesi non veritiere, non puo' dare luogo al reato di falso, in assenza di una specifica previsione normativa. Con il secondo motivo, sono state censurate la manifesta illogicita' della motivazione e la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 36 e Legge Regionale Toscana n. 65 del 2014, articolo 209, rilevandosi che l'arch. (OMISSIS) si e' limitato ad attestare esclusivamente la conformita' dei modesti lavori abusivi realizzati dai suoi committenti, e non anche la conformita' dell'intero edificio: l'intervento di cui si e' occupato l'imputato, infatti, aveva un impatto minimo, risolvendosi nella rimozione di tamponature in cartongesso poste sopra il vano cucina, tale non da aumentare la superficie utile dell'appartamento, mentre il ricorrente nulla ha attestato circa la legittimita' urbanistica dell'intero edificio, non andando oltre un mero e acritico richiamo alla d.i.a. finale del 2009. La sua dichiarazione sarebbe quindi al piu' carente, ma non certamente falsa. Con il terzo motivo, oggetto di doglianza, oltre la mancanza e manifesta illogicita' della motivazione, e' la violazione sia delle N. T.A. del P.R.G. del Comune di Firenze e del relativo regolamento edilizio, sia del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 10, 22 e 23, Legge Regionale Toscana n. 52 del 1999, articolo 4 e Legge Regionale n. 1 del 2005, articolo 79: si osserva in proposito che la Corte di appello avrebbe mancato di confrontarsi con le obiezioni difensive, con cui era stato rimarcato che il regime urbanistico di "(OMISSIS)" consentiva sia gli interventi di conservazione, sia gli interventi di restauro previsto dal testo unico dei beni culturali, essendovi un pieno parallelismo tra gli interventi realizzabili in base al P.R.G. e quelli assentibili in base al codice dei beni culturali, per cui le opere realizzate erano legittime, avendo la Soprintendenza regolarmente autorizzato l'intervento, come ben spiegato in dibattimento dal suo Dirigente. A cio' si aggiunge che l'aumento della superficie utile e' stato smentito per tabulas dalla verifica effettuata dal Comune, mentre, quanto al frazionamento in piu' unita' del complesso immobiliare e al mutamento di destinazione d'uso, si evidenzia che si tratta di intervento che erano consentiti dal piano regolatore comunale vigente, precisandosi altresi' che il ricorso alla d.i.a. non era consentito dagli articolo 10, 22 e 23 del testo unico dell'edilizia, ma era addirittura imposto dalla Legge Regionale Toscana n. 52 del 1999, articolo 4 e Legge Regionale n. 1 del 2005, articolo 79. Con il quarto motivo, e' stata eccepita la violazione della Legge Regionale Toscana n. 1 del 2005, articolo 59, sottolineandosi al riguardo che la Corte di appello non aveva fornito risposta all'obiezione difensiva secondo cui la destinazione turistico-recettiva valorizzata dal Tribunale riguardava non i lavori eseguiti nel complesso immobiliare, ma l'uso che successivamente era stato fatto di 10 dei 38 appartamenti realizzati, ovvero degli appartamenti di proprieta' della "Associazione Tornabuoni", tra i quali pacificamente non e' compresa l'unita' immobiliare "Cimabue" per la quale e' stato condannato l'arch. (OMISSIS). Ma, piu' in generale, la difesa contesta la tesi della destinazione turistico-recettiva, osservando che l'intervento eseguito su "(OMISSIS)" non ha fatto altro, sotto l'attento controllo del Comune e della Soprintendenza, che recuperare l'immobile alla destinazione voluta dal P.R.G, ossia residenziale e non turistico-recettiva, destinazione questa che presuppone l'offerta al pubblico indifferenziato del bene, elemento questo carente nel caso di specie, atteso che lo scopo del "Club Tornabuoni" e' solo quello di assicurare l'uso ripartito e turnario degli appartamenti da parte dei soci, secondo una finalita' esclusivamente residenziale. Il quinto motivo e' infine dedicato al giudizio sulla configurabilita' dell'elemento soggettivo del reato, precisandosi in proposito che doveva essere escluso il dolo in capo all'arch. (OMISSIS), il quale, essendo rimasto estraneo agli interventi terminati nel 2009, si e' trovato ad occuparsi di una banale pratica di accertamento di conformita' di uno dei 38 appartamenti del complesso edilizio, avendo confidato, magari colposamente ma non certo dolosamente, nelle indicazioni provenienti dall'ente pubblico titolare dei poteri di vigilanza sull'attivita' edilizia, fermo restando il ristretto perimetro della sua dichiarazione. 3. Con memoria pervenuta il 28 dicembre 2022, i difensori di (OMISSIS), nel replicare alle conclusioni del Procuratore generale, hanno insistito nell'accoglimento del ricorso, sviluppandone le argomentazioni. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' infondato. 1. Premesso che i motivi di ricorso, tra loro sostanzialmente sovrapponibili, sono suscettibili di trattazione unitaria, in quanto inerenti al tema della responsabilita' penale, occorre evidenziare che la conferma del giudizio di colpevolezza dell'imputato in ordine al delitto ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 20, comma 13 (capo F, residuato dalla declaratoria di prescrizione che ha riguardato la contravvenzione di cui al capo E, per cui in primo grado vi era stata parimenti condanna) non presenta vizi di legittimita' rilevabili in questa sede. Prima di soffermarsi sul contenuto delle doglianze difensive, si ritiene utile una breve ricostruzione della vicenda che fa da sfondo alle odierne imputazioni. I fatti di causa ruotano, in particolare, intorno a taluni interventi edilizi che, in anni recenti, hanno interessato lo storico (OMISSIS), complesso di edifici realizzato dalla Consorteria (OMISSIS) (chiamata (OMISSIS) dal 1393) negli anni dal 1466 al 1469 su progetto dell'architetto (OMISSIS) e ampliatosi nei secoli successivi su iniziativa dei proprietari che vi si avvicendarono, anche mediante l'accorpamento degli edifici adiacenti su (OMISSIS), tra il (OMISSIS), per cui si e' in presenza di un complesso disomogeneo per strutture orizzontali e verticali e per caratteristiche esteriori e interne; gli edifici riuniti costituiscono oggi un isolato quadrilatero ubicato in zona A Centro Storico del P.R.G. di Firenze e inserito dal 1982 nella perimetrazione del patrimonio dell'Unesco, mentre nel 1918, anno in cui fu acquistato dalla Banca Commerciale italiana, il Palazzo fu interamente sottoposto a vincolo ai sensi della L. n. 364 del 1909, articoli 1-37, tanto all'esterno quanto all'interno, perche' "di importante interesse per l'arte e per la storia". Il complesso edilizio, negli anni, e' stato interessato da una serie di interventi di ristrutturazione: tra questi, nelle due sentenze di merito, sono stati ricordati quelli compiuti tra il 2004 e il 2010 e commissionati prima da (OMISSIS) s.r.l., braccio operativo del gruppo bancario che aveva incorporato la Banca commerciale, e poi dalla s.r.l. (OMISSIS), che acquisto' da (OMISSIS) gran parte degli immobili situati nelle particelle n. 173, 174, 175 e 176. La s.r.l. (OMISSIS), peraltro, figura tra i soci fondatori dell'ente privato senza fini di lucro "Associazione Pal. (OMISSIS)", creato il 26 giugno 2006 con il compito di gestire e manutenere il complesso residenziale nel quale sono collocati gli appartamenti cui gli associati possono avere accesso diretto. Ora, gli interventi realizzati sino al 2010 sono stati oggetto di un procedimento penale iniziato nel 2010 e definito in primo grado dalla sentenza del Tribunale di Firenze del 22 dicembre 2014 che assolveva tutti gli imputati dai reati a loro ascritti (lottizzazione abusiva, falso e abusi edilizi vari) perche' i fatti non sussistono. Tale pronuncia veniva impugnata per saltum dalla Procura della Repubblica di Firenze e questa Corte, con la sentenza n. 6873/2017 emessa da questa Sezione l'8 settembre 2016, depositata il 14 febbraio 2017, annullava con rinvio la decisione del Tribunale, richiamando i principi in tema di ristrutturazione edilizia e cambio della destinazione d'uso elaborati nella fase cautelare del procedimento con la sentenza n. 9845 del 20 ottobre 2011, depositata il 7 marzo 2012, e osservando tra l'altro che, come riconosciuto dallo stesso giudice monocratico, le varie d.i.a. che si erano succedute nel tempo (ben 18) avevano comportato la modifica della destinazione d'uso dell'imponente complesso immobiliare, occupante un intero isolato, da residenziale e direzionale a commerciale, direzionale e residenziale, il che avrebbe comportato la necessita' del rilascio del permesso di costruire o, in alternativa, della d.i.a. sostitutiva di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 22 comma 3 lettera a) (cd. "super d.i.a."), mentre del tutto insufficiente era l'azionato strumento della d.i.a. semplice. In sede di rinvio, la Corte di appello di Firenze, con sentenza del 16 novembre 2018, divenuta definitiva nel 2019, dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati, per essere i reati estinti per prescrizione. Cio' posto, il procedimento in esame costituisce una sorta di prosecuzione dell'iniziale indagine giudiziaria del 2010 e ha visto coinvolti tre imputati, ovvero (OMISSIS), legale rappresentante dell'Associazione (OMISSIS), acquirente di vari appartamenti del Palazzo, (OMISSIS), titolare della omonima ditta esecutrice dei lavori, e appunto l'odierno ricorrente (OMISSIS), tecnico professionista asseveratore e direttore dei lavori. Questi, in primo grado, e' stato condannato per sole due imputazioni, ossia quelle oggetto dei capi E ed F: la prima ha ad oggetto il compimento di abusi edilizi nell'appartamento al primo piano denominato "(OMISSIS)" acquistato il (OMISSIS) dalla Associazione (OMISSIS), in cui furono eseguiti interventi di demolizione, ricostruzione e modifica, in assenza del permesso di costruire. Il capo F concerne invece il delitto di falso ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 20, comma 13 e L. n. 241 del 1990, articoli 19 e 21, contestandosi a (OMISSIS) di aver attestato il falso nell'accertamento di conformita' n. 4416/2017 del 9 maggio 2017, asseverando sia la legittimita' urbanistica dello stato dei luoghi, sia la conformita' dei lavori di progetto agli strumenti urbanistici approvati, oltre che alle norme vigenti aventi incidenza sull'attivita' edilizia. Rispetto a tali imputazioni, il Tribunale (pag. 38 della sentenza di primo grado) ha innanzitutto premesso che il monolocale "(OMISSIS)" di (OMISSIS), posto al primo piano con affaccio su (OMISSIS) ( (OMISSIS)), fu acquistato il (OMISSIS) dai coniugi inglesi (OMISSIS) dalla s.r.l. (OMISSIS), che l'aveva realizzato con d.i.a. n. 5621/09 dal frazionamento della preesistente superficie di piano oggetto delle varianti d.i.a. n. 5547/07 e d.i.a. n. 6128/08. Nel corso di un sopralluogo eseguito il 28 maggio 2012, l'Ispettorato edilizio constatava la presenza, sopra il vano cucina, di un livello di piano intercluso tamponato con cartongesso non graficizzato nelle planimetrie allegate alle d.i.a. I nuovi proprietari fecero quindi realizzare la rimozione delle tamponature in cartongesso per ottenere un ampliamento della superficie utile senza avere ne' titolo edilizio ne' nulla osta della Soprintendenza e, con procura speciale datata 2 agosto 2016, incaricarono il tecnico arch. (OMISSIS) di regolarizzare le innovazioni con la sanatoria; pertanto l'imputato, qualificatosi "tecnico rilevatore e progettista", in data 9 maggio 2017 presentava la richiesta di sanatoria n. 4426 ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 36, preceduta da nulla osta della Soprintendenza, asseverando la preesistente conformita' urbanistico-edilizia del monolocale derivante dalle d.i.a. presentate dalla s.r.l. (OMISSIS). 2. Tanto premesso, il Tribunale ha ritenuto illegittimi i lavori eseguiti nell'appartamento, evidenziando che gli stessi andavano valutati nel contesto complessivo degli interventi svolti sul (OMISSIS), contraddistinti da evidenti profili di illiceita', essendo stata operata una integrale ristrutturazione di tutti gli edifici facenti parte del complesso edilizio senza il titolo legittimamente (ovvero il permesso di costruire), ma solo attraverso molteplici d.i.a. artificiosamente frammentate; invero tali interventi edilizi, piuttosto che mirare alla conservazione dei fabbricati esistenti, hanno di fatto trasformato l'isolato variandone la distribuzione interna, incrementando la superficie utile lorda e cosi' creando una struttura turistica a gestione unitaria, in contrasto con il Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 29, l'articolo 17 NTA e gli articolo 170-171 del regolamento edilizio. La caratterizzazione turistico-recettiva del complesso edilizio e' stata ben descritta dal primo giudice (pag. 31 ss. della sentenza), il quale ha sottolineato, in modo pertinente e all'esito di un giudizio di fatto non suscettibile in essere messo in discussione in questa sede, che la gestione unitaria degli appartamenti da parte del Club (OMISSIS) serviva a coordinare i periodi di godimento degli appartamenti, non diversamente da un albergo che mette a disposizione camere singole, servendo il pagamento delle quote da parte degli associati a garantire la copertura dei costi di manutenzione e di esercizio degli impianti, oltre che del personale di servizio, risultando quindi confacente alla struttura realizzata attraverso le d.i.a. la definizione di residence ex Legge Regionale n. 40 del 2000, articolo 62 secondo cui sono residence le strutture recettive costituite da almeno sette unita' abitative aventi i requisiti igienico-edilizi, arredi cucina gestite unitariamente in forma imprenditoriale per fornire alloggio e servizi. In definitiva, non di restauro o di risanamento conservativo si trattava, ma di una ristrutturazione edilizia richiedente il permesso di costruire, in quanto gli interventi erano volti non a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalita' nel rispetto dei suoi elementi essenziali tipologici, formali e strutturali, ma a modificare la volumetria complessiva degli edifici e a mutare la destinazione d'uso degli stessi, incidendo su sagome e prospetti, fino a portare a un organismo edilizio in tutto o in parte differente da quello preesistente, il che, ai sensi del del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 10 comma 1 lettera c), avrebbe imposto non la presentazione di piu' d.i.a., ma il rilascio di un unico permesso di costruire. Tale impostazione e' stata correttamente condivisa dalla Corte territoriale che, pur dichiarando prescritti gli abusi edilizi, ha tuttavia rimarcato (pag. 6 della sentenza impugnata), in linea con la richiamata pronuncia di annullamento operata da questa Corte (sentenza n. 6873/2017) la necessita' di una visione non atomistica del singolo intervento realizzato nell'appartamento "(OMISSIS)", non potendosi prescindere da una valutazione unitaria della drastica trasformazione edilizia realizzata, nel senso che l'appartamento in esame, come tutti gli altri, non esisteva prima della ristrutturazione ed e' stato appunto uno dei risultati degli abusi edilizi che hanno surrettiziamente fatto diventare (OMISSIS), a lungo sede di una grande banca, una lussuosa struttura turistico-recettiva. I giudici di merito (al di la' della sopravvenuta declaratoria di estinzione del reto per prescrizione) hanno dunque legittimamente ritenuto configurabile il reato di cui all'articolo 44 del Decreto del Presidente della Repubblica cit., essendo stata operata in tal senso corretta applicazione del principio elaborato da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 29251 del 05/05/2017, Rv. 270432 e Sez. 3, n. 51427 del 16/10/2014, Rv. 261330), secondo cui, in tema di edilizia, il regime di denuncia di inizio attivita', anche in relazione a tipologia di interventi sottoposti a tale disciplina dal Decreto Legge n. 133 del 2014, non e' applicabile a lavori da eseguirsi su manufatti originariamente abusivi che non risultano oggetto di condono edilizio o di sanatoria, atteso che gli interventi ulteriori su immobili abusivi ripetono le caratteristiche di illegittimita' dall'opera principale cui ineriscono strutturalmente. La valutazione circa la sussistenza della fattispecie contestata al capo E appare dunque immune da censure, riproponendo il ricorso anche in questa sede osservazioni parcellizzate che perdono di vista il dato sostanziale del pieno inserimento dell'appartamento "(OMISSIS)" in un organismo edilizio che ha subito sine titulo una sostanziale e profonda trasformazione strutturale e funzionale, per cui i singoli interventi oggetto della domanda di sanatoria non possono che essere qualificati alla luce dell'illegittimita' preesistente dell'unita' immobiliare. 3. Le considerazioni appena esposte costituiscono la premessa per affrontare le doglianze riferite alla configurabilita' del reato di cui al capo F. Sul punto deve infatti osservarsi che le due conformi sentenze di merito hanno messo in evidenza la falsita' della dichiarazione del professionista (OMISSIS) contenuta nell'accertamento di conformita' n. 4426 del 9 maggio 2017, nella parte in cui l'imputato ha asseverato sia la legittimita' urbanistica dello stato dei luoghi sia la conformita' dei lavori di progetto agli strumenti urbanistici adottati e ai regolamenti edilizi vigenti, essendosi sottolineato in proposito che tale attestazione, contraria al vero in ragione della natura abusiva dei lavori eseguiti nell'appartamento "(OMISSIS)", e' stata resa dopo che aveva avuto ampio risalto a livello nazionale la notizia dell'annullamento da parte di questa Corte della sentenza assolutoria del Tribunale di Firenze, essendo stata depositata la motivazione della pronuncia di legittimita' il 14 febbraio 2017, ovvero circa tre mesi prima del momento in cui e' stata depositata la relazione di (OMISSIS). La decisione della Corte di cassazione aveva come detto messo ampiamente in discussione la legittimita' degli interventi edilizi realizzati fino al 2010 presso il (OMISSIS), lavori riferibili anche all'appartamento "(OMISSIS)", per cui la falsa attestazione del professionista e' stata non irragionevolmente ritenuta volontaria, tanto piu' ove si consideri che, al diNete: interlocuzioni informali, peraltro neanche adeguatamente provate (l'imputato ha riferito di essersi consultato preventivamente con il geom. (OMISSIS) dell'Edilizia privata e con l'arch. (OMISSIS) della Soprintendenza, testi di cui la difesa non ha chiesto l'escussione), non vi erano validi provvedimenti amministrativi su cui l'arch. (OMISSIS) potesse fare legittimo affidamento ai fini del giudizio di legittimita' degli interventi svolti. Le valutazioni di merito operate dal Tribunale e dalla Corte di appello circa la configurabilita' dell'elemento soggettivo, in quanto sorrette da argomentazioni non manifestamente illogiche, si sottraggono dunque alle obiezioni difensive. 4. Resta tuttavia da precisare un ultimo aspetto in ordine alla sussistenza della fattispecie dal punto di vista oggettivo, avendo la difesa contestato l'applicabilita' del reato contestato alla procedura finalizzata all'accertamento di conformita'. Tale deduzione e' fondata sul rilievo secondo cui l'articolo 20, contenente la sanzione penale, si riferisce alle sole dichiarazioni funzionali al rilascio del permesso di costruire, che presuppone l'emanazione di un provvedimento formale, mentre nel diverso procedimento ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 36 vige la differente regola del silenzio-rifiuto, per cui dalla dichiarazione eventualmente falsa sulla conformita' urbanistica non scaturiscono effetti favorevoli al richiedente. Ora, la tesi difensiva, per quanto indubbiamente suggestiva, non appare tuttavia condivisibile: al riguardo deve premettersi che il reato per cui si procede e' stato introdotto nel testo unico dell'edilizia dal Decreto Legge n. 70 del 2011, articolo 5, n. 3, convertito dalla L. n. 106 del 2011, che, nel riscrivere il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 20 (rubricato "procedimento per il rilascio del permesso di costruire"), ha previsto al comma 13 una nuova fattispecie incriminatrice, cosi' delineata: "ove il fatto non costituisca piu' grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni di cui al comma 1, dichiara o attesta falsamente l'esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al medesimo comma e' punito con la reclusione da uno a tre anni. In tali casi, il responsabile del procedimento informa il competente ordine professionale per l'irrogazione delle sanzioni disciplinari"; a sua volta, il comma 1 del medesimo articolo 20 descrive le modalita' di presentazione della domanda finalizzata al rilascio del permesso di costruire, disponendo che la stessa sia accompagnata da una "dichiarazione del progettista abilitato che asseveri la conformita' del progetto agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi vigenti, e alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attivita' edilizia e, in particolare, alle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie nel caso in cui la verifica in ordine a tale non comporti valutazioni tecnico-discrezionali, alle norme relative all'efficienza energetica". Contestualmente (e parallelamente rispetto alla previsione dettata in tema di permesso di costruire), il Decreto Legge n. 70 del 2011, articolo 5 ha inciso anche sulla L. n. 241 del 1990, articolo 19, il cui comma 6 dispone che, ove il fatto non costituisca piu' grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attivita' (non solo in materia edilizia), dichiara o attesta falsamente l'esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 e' punito con la reclusione da uno a tre anni. Ora, prima della novella del 2011, la condotta del tecnico asseveratore che attestava dati non corrispondenti al vero era gia' ritenuta comunque penalmente rilevante, essendo costante nella giurisprudenza di legittimita' (cfr. Sez. 5, n. 35615 del 14/05/2010, Rv. 248878) l'affermazione secondo cui integra il reato di falsita' ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessita' (articolo 481 c.p.) la condotta del tecnico-professionista che, nell'espletamento del servizio di pubblica necessita' assegnatogli, indichi, in sede di dichiarazione di inizio di attivita', le opere da realizzare sulla base di una descrizione dello stato presente dei luoghi, non corrispondente al vero. All'indomani dell'introduzione della fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 20, comma 13, e' stato invece precisato (cfr. Sez. 3, n. 30168 del 24/05/2017, Rv. 270252), che la nuova previsione criminosa in vigore dal 2011 n. 106, che punisce le false dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni circa l'esistenza dei requisiti e presupposti per il rilascio del permesso di costruire, ha un ambito applicativo che si sovrappone interamente alla fattispecie di falso ideologico in certificati commesso da persone esercenti un servizio di pubblica necessita' (articolo 481 c.p.) e di falsita' ideologica commessa dal privato in atto pubblico (articolo 483 c.p.), di cui assorbe il disvalore, e si consuma quando oggetto di asseverazione siano non esclusivamente fatti che cadono sotto la percezione materiale dell'autore della dichiarazione, ma giudizi. In tal senso, e' evidente che la nuova figura di reato risulta riferite precipuamente alle false attestazioni destinate a confluire nel procedimento amministrativo finalizzato al conseguimento del permesso di costruire, per cui la fattispecie assume carattere speciale rispetto alla norma generale di cui all'articolo 481 c.p., che sarebbe altrimenti applicabile, come pure e' speciale rispetto alla norma codicistica il reato di cui alla L. n. 241 del 1990, articolo 19, che, come si e' anticipato, concerne il differente modulo procedimentale della scia. Tanto premesso e ribadito che nella vicenda in esame il titolo abilitativo necessario per il tipo di opere realizzate era il permesso di costruire in sanatoria e non la s.c.i.a. o la d.i.a.. e' ora possibile soffermarsi sull'obiezione difensiva secondo cui la nuova fattispecie penale di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 20, comma 13, si applica solo alle asseverazioni non veritiere volte al conseguimento del permesso in costruire e non anche all'accertamento di conformita' ex articolo 36 del medesimo decreto relativo al permesso in sanatoria. Ora, l'interpretazione difensiva appare legata a un'impostazione essenzialmente formale, che fa leva sull'inserimento della nuova previsione nell'ambito della norma che regola il procedimento amministrativo finalizzato all'ottenimento del permesso di costruire, ma a tale rilievo puo' replicarsi che, in realta', l'accertamento di conformita' e' a sua volta diretto a conseguire un permesso in sanatoria, che altro non e' che un permesso di costruire che differisce da quello ordinario per il fatto di essere postumo rispetto all'esecuzione dei lavori, ma cio' non toglie che al procedimento di cui all'articolo 36 possa applicarsi, senza che cio' comporti alcuna violazione del divieto di analogia in malam partem, il medesimo regime sanzionatorio previsto dall'articolo 20 del medesimo decreto, e cio' tanto piu' ove si consideri che la giurisprudenza di legittimita' (cfr. ex multis Sez. 3, n. 7405 del 15/01/2015, Rv. 262422 e, da ultimo, Sez. 3, n. 2357 del 14/12/2022, dep. 2023, Rv. 284058) e' costante nel richiedere, in caso di permesso in sanatoria, in coerenza con la previsione di cui all'articolo 36, comma 1, il requisito della cd. "doppia conformita'", ossia la conformita' delle opere sia alla disciplina urbanistica e edilizia vigente al momento della realizzazione che a quella vigente al momento della presentazione della domanda di regolarizzazione, aspetto questo che corrobora il giudizio circa la sostanziale sovrapponibilita' del procedimento di sanatoria rispetto a quello ordinario finalizzato al conseguimento del permesso. Ne' puo' condividersi il rilievo difensivo secondo cui all'asseverazione del tecnico presentata nella procedura di accertamento di conformita' non puo' ricollegarsi alcun effetto giuridico, posto che, al di la' di talune differenze procedimentali tra schema ordinario e procedura di sanatoria, e' indubitabile che la relazione tecnica del professionista incaricato non e' un atto neutro, ma costituisce il presupposto valutativo piu' pregnante, contenendo i dati tecnici essenziali ai fini della verifica della doppia conformita', non potendosi in ogni caso sottacere che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 36, u.c., pone a carico del dirigente del preposto ufficio comunale il dovere di pronunciarsi sulla domanda di sanatoria "con adeguata motivazione", dal che si desume che la relazione tecnica allegata all'istanza e' dotata di una efficacia giuridica, tale da comportare il rilievo penale delle attestazioni mendaci eventualmente rese dal professionista incaricato. Deve pertanto concludersi, in sintonia con le deduzioni del Procuratore generale, che la condotta illecita dell'arch. (OMISSIS) e' inquadrabile non nella norma generale di cui all'articolo 481 c.p., ma in quella speciale ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 20 comma 13, non potendo ritenersi escluso dall'ambito di operativita' di tale norma l'accertamento di conformita', anch'esso finalizzato al rilascio del permesso di costruire, sia pure in sanatoria e all'esito di un diverso iter formale, restando immutato il disvalore del fatto sanzionato dal legislatore. Di qui l'infondatezza delle doglianze difensive in punto di responsabilita'. 5. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) deve essere rigettato, con onere per il ricorrente, ex articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VERGA Giovanna - Presidente Dott. BORSELLINO Maria D. - Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere Dott. DI PISA Fabio - rel. Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato ad (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 27/10/2021 della CORTE APPELLO di PERUGIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO DI PISA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FULVIO BALDI, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; uditi l'Avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS), l'Avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) nonche' l'avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno concluso chiedendo l'accoglimento dei rispettivi ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza in data 12/02/2019, confermava la sentenza del 12/09/2016 con cui il Giudice dell'udienza preliminare dello stesso Tribunale, all'esito di giudizio abbreviato, aveva assolto (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato di peculato. Secondo la prospettazione accusatoria gli imputati - (OMISSIS) e (OMISSIS), nella qualita' di presidenti dei gruppi consiliari regionali; (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita' di consiglieri regionali, ritenuti anch'essi pubblici ufficiali- ed in concorso con i Presidenti dei rispettivi gruppi consigliari e (OMISSIS) nella qualita' di responsabile della Segreteria del gruppo consigliare ed in concorso con il presidente del gruppo - si erano appropriati dei fondi pubblici della Regione (OMISSIS), previsti per il finanziamento delle attivita' dei Gruppi consiliari dalla Legge Regionale n. 34 del 10 agosto 1988. 2. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20535/2020, in accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Ancona, annullava la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia. In tale pronunzia la Suprema Corte formulava tutta una serie di principi in ordine: - alla natura giuridica dei gruppi Consiglieri ed al vincolo di destinazione delle somme erogate; - alla nozione di "spese rimborsabili "; - alla prova della condotta appropriativa. Nel rilevare che i giudici di merito non avevano fatto corretta applicazione dei principi di diritto indicati ha, quindi, onerato la Corte di appello di Perugia in sede di rinvio di verificare, applicando i principi indicati, in ordine alle singole posizioni processuali ed alle singole categorie di spese se, ed in che termini, fosse configurabile il reato contestato. 3. La Corte di appello di Perugia, con sentenza in data 27 ottobre 2021, pronunziando in sede di rinvio, per quello che ancora in questa sede rileva, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) limitatamente ai reati loro ascritti riferiti all'anno 2008 per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione; ha condannato (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 80), 125) e 126), limitatamente alle spese postali e convegnistiche; ha condannato (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 72), 73), 74), 75) e 76) limitatamente alle spese per i periodici "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" e per la messaggistica "(OMISSIS)" e per talune delle spese di ristorazione. Con provvedimento in data 17 gennaio 2022 la Corte di appello, rilevata la sussistenza di un errore materiale nel dispositivo, in relazione alla omessa statuizione di confisca, ha disposto correggersi il dispositivo inserendo l'inciso: "visto l'articolo 322-ter c.p.p. ordina la confisca della somma di Euro 4.600,00 nei confronti di (OMISSIS) e della somma di Euro 21.500,00 + Euro 1.800,00 dei confronti di (OMISSIS) o dei beni di cui gli imputati avessero la disponibilita' per un valore equivalente". 4. Contro detta sentenza hanno proposto ricorsi per cassazione entrambi i predetti imputati a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia. 4.1. (OMISSIS), con un primo ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS), formula i seguenti motivi. Con il primo motivo denuncia, ex articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p., nullita' della sentenza in ragione della mancata rinnovazione della prova dichiarativa in violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. Assume che, valutati anche i principi fissati dalla Corte EDU, nel caso in esame risultava palese la violazione dei diritti difensivi, non essendosi proceduto alla rinnovazione dell'audizione dell'imputato. Rileva che avendo il primo giudice espressamente valorizzato le dichiarazioni del (OMISSIS) ai fini assolutori e posto che la corte di merito aveva operato una "svalutazione" del peso probatorio di tali dichiarazioni, si rendeva indispensabile una rinnovata audizione dello stesso al fine di effettuare i necessari chiarimenti in ordine alla percezione dei rimborsi ed al legame istituzionale delle spese effettuate con la propria attivita' all'interno del gruppo consiliare. Con il secondo motivo denuncia, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), vizio di motivazione per non essersi il giudice del rinvio conformato ai principi di diritto fissati dalla Suprema Corte quanto alla verifica della legittimita' delle spese in questione. Lamenta per l'anno 2009 che: - quanto alla ritenuta illegittimita' delle spesa di ristorazione di Euro 200,00 la Corte territoriale nell'affermare che non era dato sapere se la stessa fosse collegata ad un evento di natura istituzionale, per un verso, aveva finito per rovesciare l'onere della prova a carico dell'imputato e, per altro verso, aveva del tutto trascurato di prendere in esame le giustificazioni fornite dall'imputato nel corso del proprio interrogatorio e del proprio esame; in ordine alla ulteriore spesa di Euro 200,00 per un rimborso legato ad un convegno indetto dal Ministero del lavoro era palese il vizio motivazionale in quanto la Corte di merito aveva omesso di considerare che non e' possibile, da parte del giudice penale, sindacare l'attivita' politica e le scelte di merito del Presidente di un gruppo consiliare. Osserva, quanto all'anno 2010 ed all'anno 2011, che gli addebiti riguardavano spese postali inerenti la spedizione di auguri natalizi corredati da una newsletter, in relazione alle quali non poteva ritenersi, come apoditticamente affermato dalla Corte di appello, che le stesse erano "scisse" dall'attivita' consiliare e riguardavano mera attivita' propagandistica del consigliere. Con il terzo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 314 c.p. nonche' vizio di motivazione in relazione alla nozione di disponibilita' giuridica del denaro in capo all'imputato. Nel premettere che presupposto indefettibile ai fini della configurabilita' del reato di peculato e' che il pubblico ufficiale abbia il possesso o, comunque, la concreta disponibilita' del denaro osserva che i giudici territoriali avevano omesso di considerare che, come precisato dal ricorrente, lo stesso non aveva mai gestito direttamente di denaro ovvero avuto la disponibilita' di carta di credito o di fondo cassa generalizzato e preventivo per le proprie spese. Con il quarto motivo deduce, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione degli articoli 110- 314 c.p. nonche' vizio di motivazione in ordine al ritenuto concorso dell'imputato nei delitto di peculato con i capi-gruppo pro-tempore. Rileva che la sentenza aveva del tutto omesso di motivare in relazione alla condotta concorrente del Consigliere Regionale (OMISSIS) con i tre capi-gruppo succedutisi nella Presidenza del Gruppo Consiliare, non potendosi ritenere l'attivita' concorrente integrata nella richiesta di rimborsi aventi ad oggetto attivita' regolarmente realizzate dal consigliere regionale, ove anche ritenuti non dovuti. Il medesimo (OMISSIS), con altro ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS) formula i seguenti motivi. Con il primo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988 nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione desumibile in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi al Nucleo Polizia Tributaria (OMISSIS)- Gruppo Tutela Spesa Pubblica; esame reso innanzi al G.U.P. in data 12/06/2016 e relazione della Dott.ssa (OMISSIS) Direzione Generale Assemblea Reg. (OMISSIS) depositata con memoria ex articolo 415-bis c.p.p. Osserva che, in disparte la considerazione che la Corte di appello aveva affermato la responsabilita' dell'imputato per l'illecito rimborso di Euro 400,00 per spese per "convegni/convegnistiche" sebbene nella parte ricostruttiva si elencavano "per convegni" solamente Euro 350,00 - dato questo sintomatico della illogicita' del ragionamento - i giudici di appello, dopo avere rilevato il rimborso di Euro 350,00 per spese convegnistiche, constatando che almeno 150,00 Euro di quelle spese erano lecite e giustificate, aveva condannato, del tutto illogicamente, l'imputato per essersi fatto rimborsare Euro 400,00 di spese per convegni. Evidenzia, ancora, che quanto alle spese di Euro 200,00 per la cena con otto commensali al Ristorante "(OMISSIS)", estranee alla suindicata tipologia, a parte la mancanza di coordinamento rispetto alla condanna ritenuta in dispositivo, il dato relativo alla mancanza di documentazione coeva non appariva decisivo, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito, alla luce dei principi fissati alla giurisprudenza di legittimita' in tema di irrilevanza della semplice carenza documentale. Rileva che la sentenza della Corte di appello, in relazione alla ritenuta carenza di documentazione giustificativa coeva, da un lato si poneva in contrasto con il dictum della Cassazione e, per altro verso, appariva il frutto di un errore percettivo in quanto i giudici non avevano tenuto conto di quanto dichiarato dall'imputato in sede di indagini. In ordine alla spesa di Euro 200,00 per il convegno organizzato dalla Fondazione (OMISSIS) con oggetto "Oltre l'ideologia della crisi- lo sviluppo, l'etica ed il mercato nell'enciclica (OMISSIS) con conclusioni del Ministro del Lavoro Sacconi, rileva che la Corte di appello nel affermarne la "non inerenza" aveva violato i principi affermati dalla Suprema Corte in sede di annullamento, non considerando che tale partecipazione costituiva espressione di una scelta politica e che l'evento corrispondeva appieno a quelli che sono gli obiettivi ed i compiti del gruppo consiliare e del singolo consigliere. Con il secondo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34 del 1988, violazione dell'articolo 314 c.p. nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi alla Procuratore Generale della Corte dei Conti in data 15/10/2015; provvedimento di archiviazione del Procuratore Generale della Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale per le (OMISSIS) in data 12/06/2016 e documenti depositati unitamente alla memoria ex articolo 415-bis c.p.p. Deduce che la Corte di appello non aveva considerato che quanto alle "spese postali" ne era previsto il rimborso ai sensi dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34 del 1988, spese in relazione alle quali il Procuratore Generale della Corte dei Conti aveva disposto l'archiviazione e che del tutto erronee erano le conclusioni cui erano pervenuti i giudici in ragione di una asserita insufficienza documentale. Osserva che, nella specie, le spese postali riguardavano gli auguri natalizi inviati dal (OMISSIS) nell'ambito dell'attivita' istituzionale espletata e che il foglio notizie allegato - stampato senza ricorrere a fondi istituzionali - aveva il solo scopo di informare gli elettori della attivita' istituzionale posta in essere dal gruppo, e che i giudici appello aveva omesso di prendere in esame le dichiarazioni rese dall'imputato il quale aveva chiarito la insussistenza di qualunque fine propagandistico. Con il terzo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione degli articoli 516 e 522 c.p.p. nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione. Assume che la condanna dell'imputato era stata basata su una asserita carenza documentale per tutti i capi, non tenendo conto che lo stesso era stato archiviato in sede contabile e che aveva riguardato, nella sostanza, fatti del tutto diversi sostenendosi la non inerenza di spese che, per contro, non apparivano per nulla eccentriche rispetto a quelle ammesse dalla legge regionale. Con il quarto motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. inoltre, vizio di motivazione in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi al Nucleo Polizia Tributaria (OMISSIS)- (OMISSIS); esame reso innanzi al G.U.P. in data 12/06/2016 nonche' spontanee dichiarazioni rese dall'imputato innanzi alla Corte nel precedente grado di appello. Rileva che, in ragione della riforma della pronunzia assolutoria alla luce di quanto in precedenza dichiarato dall'imputato, la corte di appello, al fine di accertare la responsabilita' oltre ogni ragionevole dubbio avrebbe dovuto procedere d' ufficio alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con l'audizione dell'imputato. Con il quinto motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988, violazione dell'articolo 314 c.p. nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione. Osserva che dal momento che la giustizia contabile aveva escluso anche profili di colpa dell'imputato la Corte di appello avrebbe dovuto motivare in relazione all'elemento psicologico del reato, profilo in relazione al quale la motivazione era assai carente. Con il sesto motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p. violazione degli articoli 314 e 640 c.p. nonche' vizio di motivazione in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi al Nucleo Polizia Tributaria (OMISSIS)- (OMISSIS); esame reso innanzi al G.U.P. in data 12/06/2016. Osserva che la Corte di appello non aveva considerato che dalle complessive risultanze istruttorie era emerso che il (OMISSIS) non aveva la disponibilita' di somme sicche', in ipotesi, si era in presenza del reato di truffa. L'Avv. (OMISSIS) ha depositato in data 18 gennaio 2023 nell'interesse dell'imputato memoria, contenente motivi nuovi, con la quale ha precisato che all'esito del giudizio dibattimentale instaurato nell'ambito del medesimo procedimento nei confronti di alcuni imputati che non avevano optato per il rito abbreviato, la Corte d'appello di (OMISSIS), con sentenza del 23 maggio 2022, divenuta irrevocabile il 16 ottobre 2022 stante l'omessa impugnazione da parte del Procuratore generale, aveva assolto gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) (oltre a (OMISSIS)) dall'accusa di peculato contestata agli stessi in qualita' di "Presidenti pro-tempore del Gruppo Consiliare (OMISSIS)", gruppo di cui (OMISSIS) era consigliere. Ha precisato che agli stessi era contestato di essersi appropriati indebitamente di importi assegnati al gruppo e nella loro disponibilita' "a titolo di rimborso delle spese sostenute per ristorazioni, valori bollati, omaggi, telefonia, affitti, stampe, manifesti e servizi televisivi" (in parte riferibili agli imputati personalmente, in parte "genericamente al gruppo"), addebiti fondati sul rilievo per cui "le spese non erano fornite di documentazione idonea a giustificare il costo e la sua riconducibilita' ad attivita' funzionali al Gruppo", rilevando che dalle motivazioni della sentenza della Corte d'Appello di Ancona si aveva riscontro della piena sovrapponibilita' - rispetto al presente giudizio di legittimita' - delle categorie di spesa esaminate (spese per ristorazione, spese postali e spese di rappresentanza), vuoi delle modalita' di documentazione (documentazione contabile coeva alla spesa) vuoi degli indici presuntivi dell'addebito (l'asserita mancanza di idonea giustificazione successiva delle spese da parte degli imputati). Ha, ancora, rilevato che (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita' di Capigruppo del Gruppo consiliare di (OMISSIS) ((OMISSIS)), erano stati irrevocabilmente assolti, quindi, da due contestazioni coincidenti con quelle per le quali l'odierno ricorrente, (OMISSIS), era stato condannato in concorso proprio con i predetti capigruppo. Ha ribadito che, come rilevato nell'atto di ricorso, la decisione impugnata aveva omesso di esaminare il profilo relativo al contributo concorsuale di (OMISSIS) rispetto alla disposizione dei rimborsi operata da quegli stessi Capigruppo, definitivamente ritenuti estranei ad ogni ipotesi appropriativa e che allo stato la conferma della sentenza di appello avrebbe implicato l'accertamento di un dolo di concorso rispetto alla condotta dei capogruppo, la cui illiceita' e' stata definitivamente esclusa nel collegato processo penale. Ha, ancora, osservato che la sentenza della Corte d'appello di (OMISSIS), che aveva assolto i Presidenti del Gruppo consiliare al quale apparteneva l'odierno ricorrente, (OMISSIS), rileva nel presente giudizio di legittimita' anche con riferimento alla definizione del perimetro di legalita' delle spese dei gruppi regionali, fondato specificamente sull'interpretazione della legge regionale vigente al momento dei fatti (I. r. 34/1998), ribadendo come una corretta ermeneusi della disciplina della Regione (OMISSIS) riferita all'epoca dei fatti faceva riferimento a quel parametro indicato dalla Corte in sede di annullamento per sindacare la legittimita' delle spese (sono illegittime le spese "del tutto scisse" dalle iniziative del Gruppo consiliare), radicalmente disatteso dal giudice del rinvio, come gia' dedotto in ricorso. 4.2. (OMISSIS) formula i seguenti motivi. Con il primo motivo, articolato in piu' censure, in relazione alla condanna relativa alle spese telefoniche ed all'acquisto di messagistica (OMISSIS), denuncia, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), omissione della motivazione rafforzata a seguito della riforma della sentenza di primo grado nonche' omessa disamina della memoria difensiva ed omessa valutazione del dolo del reato contestato; violazione dell'articolo 627 comma 3 c.p.p.; violazione del combinato disposto dell'articolo 314 c.p. in relazione all'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988; violazione del diritto di difesa per mancata audizione del teste (OMISSIS). Assume che la corte di appello, nel riformare la pronunzia assolutoria di primo grado, non si era adeguatamente confrontata con la ricostruzione del giudice di primo grado il quale, nel pronunziare l'assoluzione sul punto, aveva affermato che trattavasi di "invii evidentemente finalizzati ad informare la popolazione su attivita' politico istituzionali in corso" da ritenere ammissibili in forza della normativa regionale laddove la corte di appello, del tutto apoditticamente, aveva concluso nel senso che si trattava di attivita' totalmente avulsa da quella istituzionale. Rileva che la motivazione, in proposito, era gravemente carente in quanto i giudici di merito avrebbero dovuto valutare il contenuto dei singoli messaggi per verificare se avessero un mero fine di propaganda elettorale, come ritenuto e che nel pervenire alle proprie conclusioni i giudici del rinvio non si erano conformati ai principi di diritto fissati dalla Suprema Corte quanto alla verifica della legittimita' delle spese in questione non chiarendo per quale ragione le stesse dovevano essere ritenute "scisse" dall'attivita' consiliare e riguardanti mera attivita' propagandistica del consigliere. Deduce, ancora, che la Corte di merito aveva omesso di considerare che le spese per la messagistica (OMISSIS) alla luce del disposto di cui all'articolo 34 L.Reg. 34/1998 erano da ritenere legittime. Assume, altresi', che in ragione della riforma della sentenza assolutoria in primo grado si rendeva necessaria ex articolo articolo 603 comma 3-bis c.p.p. la rinnovazione dell'audizione del teste (OMISSIS) sentito in sede di indagini difensive ed il cui verbale di audizione era stato allegato alla memoria in data 4 marzo 2015, teste il quale aveva reso delle dichiarazioni decisive in relazione alla finalizzazione dei messaggi in questione. Con il secondo motivo articolato in piu' censure, in relazione alla condanna relativa alle spese per la spedizione dei periodici "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" denuncia, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), omissione della motivazione rafforzata a seguito della riforma della sentenza di primo grado nonche' omessa disamina della memoria difensiva ed omessa valutazione del dolo del reato contestato; violazione dell'articolo 627 comma 3 c.p.p.; violazione del combinato disposto dell'articolo 314 c.p. in relazione all'articolo 1-bis Legge Regionale Marche n. 34 del 1988. Assume che la corte di appello, nel riformare la pronunzia assolutoria di primo grado, non si era adeguatamente confrontata con la ricostruzione del giudice di primo grado il quale, nel pronunziare, l'assoluzione sul punto aveva affermato che trattavasi di spese lecite "aventi ad oggetto tematiche strettamente connesse a questioni di interesse regionale ed all'attivita' consiliare e del suo Presidente " da ritenere legittime in forza della normativa regionale ex articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988, laddove la corte di appello, del tutto apoditticamente, aveva concluso nel senso che si trattava di attivita' totalmente avulsa da quella istituzionale. Rileva che la motivazione, in proposito, era gravemente carente in quanto i giudici di merito avrebbero dovuto valutare l'autonomia della scelta del politico di veicolare nel modo ritenuto opportuno le prospettive e le attivita' del gruppo, come ritenuto dal primo giudice, omettendo di considerare che, nel caso in esame, trattavasi di gruppo unipersonale composto dal solo (OMISSIS) e che, peraltro, non potevano immaginarsi mere finalita' propagandistiche in quanto i fatti risalivano agli anni 2008-2009 mentre le elezioni regionali si sarebbero svolte nel 2010. Osserva, ancora, che la corte di merito non aveva adeguatamente motivato sul punto, non aveva rispettato i dicta della Suprema Corte in sede di annullamento ed aveva omesso di considerare che le spese in questione, riguardanti le riviste "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)", erano da ritenere legittime alla luce del disposto di cui all'articolo 1 bis- L.Reg. 34 del 1998. Assume che risultando evidente che dette spese erano legittime e che mancava una condotta distrattiva doveva essere pronunzia sentenza di proscioglimento nel merito in luogo della dichiarata prescrizione per i fatti del 2008. Con il terzo motivo articolato, in piu' censure, in relazione alla condanna relativa alle spese di ristorazione denuncia, ex articolo 606, comma 1, lettera b) c) ed e), c.p.p., violazione dell'articolo 546 comma 3 c.p.p. in relazione all'articolo 81 c.p., violazione dell'articolo 627 comma 3 c.p.p. nonche' vizio di motivazione. Evidenzia che la sentenza doveva essere ritenuta viziata sul punto in quanto nella parte dispositiva si faceva riferimento alla condanna per le spese di ristorazione di cui alla parte motiva in relazione ai capi 72), 73), 74), 75) e 76) ma in seno a tali capi difettava una esatta indicazione dei singoli fatti contestati. Osserva che la corte di appello da un lato non aveva fatto corretta applicazione dei principi di diritto fissati dalla Suprema Corte in sede di annullamento e, per altro verso, aveva finito per operare una invasione di campo laddove aveva ritenuto che all'imputato era precluso la possibilita' di svolgere la propria attivita' istituzionale con lo strumento ritenuto piu' idoneo. Con il quarto motivo denuncia, ex articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p., nullita' della sentenza in ragione della mancata rinnovazione della prova dichiarativa in violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. Assume che, pure valutati i principi fissati dalla Corte EDU, nel caso in esame risultava palese la violazione dei diritti difensivi non essendosi proceduto alla rinnovazione dell'audizione dell'imputato il quale nel corso dell'interrogatorio aveva chiarito che tutte le spese erano finalizzate a fare conoscere l'attivita' del gruppo. Con il quinto motivo deduce, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione degli articoli 81 nonche' vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. Assume che la corte non aveva in alcun modo motivato in relazione ai singoli aumenti di pena in continuazione. Con il sesto motivo deduce, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 130 c.p.p. in combinato disposto con l'articolo 546 comma 3 c.p.p. e dell'articolo 81 c.p. Assume che in ragione dell'esatto ammontare dei profitti non era possibile procedere alla confisca nella forma di correzione di un errore materiale. Gli avv. ti (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori del sig. (OMISSIS), hanno depositato in data 19 gennaio 2023 memoria contenente motivi nuovi con cui hanno ribadito che la sentenza impugnata aveva male individuato il perimetro delle spese legittimamente realizzate dai Presidenti dei Gruppi consiliari alla luce della legge regionale in vigore al tempo nella Regione (OMISSIS) (I. r. 34 del 1998). Hanno rilevato che la patologia che aveva inficiato l'iter valutativo di cui in motivazione della sentenza impugnata appariva ancor piu' evidente sulla scorta dal parallelo giudizio intervenuto nei confronti di alcuni degli altri Presidenti di Gruppi consiliari istituiti in seno all'Assemblea regionale marchigiana definito con sentenza irrevocabile. Hanno assunto che i rilievi contenuti - per la piena omogeneita' del contesto (normativo), della tipologia di spese (spese per ristorazione, spese postali, spese di rappresentanza) e delle contestazioni mosse (mancanza di adeguata giustificazione "successiva") - sgombravano il campo da ogni dubbio in ordine alla legittimita' dei rimborsi ottenuti dal Presidente del Gruppo (OMISSIS), risultando evidente la manifesta illogicita' della motivazione della sentenza gravata e il mancato adeguamento della stessa ai principi di diritto stabiliti dalla sentenza di annullamento con riferimento ai tre insiemi di spese per i quali era intervenuta la condanna dell'imputato e in relazione ai quali erano stati partitamente esposte le doglianze nell'atto di ricorso: le spese di telefonia e concernenti il servizio di messaggistica (OMISSIS) (doglianze raccolte nel motivo n. 1); le spese relative alla spedizione dei periodici "(OMISSIS)" e (OMISSIS)" (doglianze di cui al motivo n. 2); le spese di ristorazione (doglianze di cui al motivo n. 3). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi meritano accoglimento per le ragioni appresso specificate. 2. Appare opportuno un preliminare richiamo ai principi fissati dalla Suprema Corte nella pronunzia di annullamento, indispensabile al fine di valutare la fondatezza delle censure formulate. 2.1. Relativamente alla prima questione, avente ad oggetto la natura giuridica dei gruppi Consigliari ed il vincolo di destinazione delle somme erogate, nel precisare che trattavasi di un argomento rilevante ai fini della corretta definizione delle finalita' in ragione delle quali sarebbe stato possibile fare uso delle somme messe a disposizione dei gruppi consigliari regionali da parte del Consiglio della Regione (OMISSIS), la Corte di Cassazione ha richiamato, in primo luogo, la sentenza n. 1130 del 1988 della Corte Costituzionale in cui e' stato affermato che " dal momento che i gruppi sono gli organi nei quali si raccolgono e si organizzano all'interno dell'assemblea i consiglieri eletti al fine di elaborare congiuntamente le iniziative da intraprendere e di trovare in essi gli adeguati supporti organizzativi per poter svolgere adeguatamente i propri compiti, non e' arbitrario che i gruppi consiliari vengano dotati di mezzi adeguati e di personale idoneo, affinche' ogni consigliere sia messo in grado di concorrere all'espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale e, in particolare, all'elaborazione dei progetti di legge, alla preparazione degli atti di indirizzo e di controllo, all'acquisizione di informazioni sull'attuazione delle leggi e sui problemi emergenti dalla societa', alla stesura di studi, di statistiche e di documentazioni relative alle materie sulle quali si svolgono le attivita' istituzionali del Consiglio regionale". Ha evidenziato che la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 187 del 1990, aveva avuto modo di precisare che "i gruppi consiliari sono organi del Consiglio regionale, caratterizzati da una peculiare autonomia in quanto espressione, nell'ambito del Consiglio stesso, dei partiti o delle correnti politiche che hanno presentato liste di candidati al corpo elettorale, ottenendone i suffragi necessari alla elezione dei consiglieri. Essi, pertanto, contribuiscono in modo determinante al funzionamento e all'attivita' dell'assemblea, curando l'elaborazione di proposte, il confronto dialettico fra le diverse posizioni politiche e programmatiche, realizzando in una parola quel pluralismo che costituisce uno dei requisiti essenziali della vita democratica". Dunque, i gruppi consigliari sono organi del Consiglio regionale al cui interno esprimono i partiti o le correnti che hanno presentato liste di candidati. I gruppi contribuiscono al funzionamento dell'attivita' assemblare ed ogni consigliere deve essere messo in condizione di concorrere, nel modo indicato, all'espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale; un'attivita', quella dei gruppi consigliari, funzionale a quella del Consiglio regionale. Ha, quindi, ulteriormente precisato: " Si tratta di affermazioni riprese in seguito dalla stessa Corte costituzionale che, con la sentenza n. 39 del 2014, richiamando una precedente pronuncia delle Sezioni Unite civili di questa Corte (Sez. U, n. 609 del 01/09/1999, Rv. 529547), ha chiarito e valorizzato ulteriormente la connotazione pubblicistica delle funzioni svolte dai gruppi 5 costituiti in seno ai consigli regionali, definendoli non solo come organi del consiglio e proiezioni dei partiti politici in assemblea regionale, ma anche "come uffici comunque necessari e strumentali alla formazione degli organi interni del consiglio", in quanto funzionalmente inerenti all'istituzione regionale. Nello stesso senso Corte Cost. n. 107 del 2015, in cui si e' aggiunto significativamente che i gruppi consiliari contribuiscono in modo determinante al funzionamento ed all'attivita' dell'assemblea regionale, assicurando "l'elaborazione di proposte, il confronto dialettico fra le diverse posizioni politiche e programmatiche, realizzando in una parola quel pluralismo che costituisce uno dei requisiti essenziali della vita democratica". Si tratta di principi recepiti dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 8145 del 2010, ha concorso a delineare ulteriormente la connessione tra gruppi consigliari e partiti politici. Secondo il giudice amministrativo infatti: "(...) in via generale il gruppo consiliare non e' un'appendice del partito politico di cui e' esponenziale, ma ha una specifica configurazione istituzionale come articolazione del consiglio regionale, i cui componenti esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato dai partiti e dagli elettori (...)". Il Gruppo consigliare non e' un'appendice del partito politico a cui appartiene il singolo consigliere. Non diversamente, le Sezioni Unite civili sono giunte alle stesse conclusioni con l'ordinanza 31 ottobre 2014, n. 23257 (cui hanno fatto seguito le ordinanze 21 aprile 2015, n. 8077, 28 aprile 2015, n. 8570, e 29 aprile 2015, n. 8622) con riguardo alla gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali ed alla ritenuta giurisdizione della Corte dei conti in ordine alla responsabilita' erariale del componente del gruppo, autore di "spese di rappresentanza" prive di giustificativi. Si e' affermato che: a) i gruppi consiliari hanno "natura pubblicistica" "in rapporto all'attivita' che li attrae nell'orbita della funzione istituzionale del soggetto giuridico, assemblea... regionale, nel cui ambito sono destinati ad operare"; b) i contributi pubblici sono erogati ai gruppi consiliari "con gli specifici vincoli ad essi impressi dalla legge": vincoli "dettagliatamente predefiniti... con esplicito esclusivo asservimento a finalita' istituzionali del consiglio regionale e non a quelle delle associazioni partitiche o, tanto meno, alle esigenze personali di ciascun componente"; c) tenuto conto della qualifica di pubblico ufficiale, ai sensi dell'articolo 357 c.p., comma 1, che la giurisprudenza penale della Corte attribuisce al presidente del gruppo partitico del consiglio regionale, questi, nel suo ruolo, partecipa alle modalita' progettuali ed attuative della funzione legislativa regionale, nonche' alla procedura di controllo del vincolo di destinazione dei contributi erogati al gruppo". (in tal senso, Sez. 6, n. 1561 del 14/01/2019, Fiorito, Rv. 274940). In questo contesto assume rilevante valenza Sez. U. civ. n. 12 marzo 2019, n. 10772 in cui la Corte, richiamando le proprie precedenti pronunce (Sez. U, 31 ottobre 2014, n. 23257; Sez. U, 21 aprile 2015, n. 8077; Sez. U, 28 aprile 2015, n. 8570; Sez. U, 29 6 aprile 2015, n. 8622; Sez. U, 8 aprile 2016, n. 6895; Sez. U, 7 settembre 2018, n. 21927; Sez. U., 17 dicembre 2018, n. 32618; Sez. U, 16 gennaio 2019, n. 1035 e 1034, quest'ultima con riferimento alla Regione Emilia Romagna) ha ulteriormente chiarito che "la gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali e' soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilita' erariale, sia perche' a tali gruppi - pur in presenza di elementi di natura privatistica connessi alla loro matrice partitica - va riconosciuta natura essenzialmente pubblicistica in relazione alla funzione strumentale al funzionamento dell'organo assembleare da essi svolta, sia in ragione dell'origine pubblica delle risorse e della definizione legale del loro scopo". Nell'occasione, le Sezioni unite, richiamando Corte Cost. n. 235 del 2015, hanno ulteriormente precisato che: a) in ordine alla gestione delle somme erogate a titolo di contributi pubblici ai gruppi consiliari, i capigruppo dei Consigli regionali e tutti i consiglieri regionali, anche se sottratti alla giurisdizione di conto, restano assoggettati alla responsabilita' amministrativa e contabile (oltre che penale, ricorrendone i presupposti); b) l'accertamento rimesso in tale ambito alla Corte dei conti, affinche' non debordi dai limiti esterni imposti alla sua giurisdizione, non puo' investire l'attivita' politica del presidente del gruppo consiliare o le scelte di "merito" dal medesimo effettuate nell'esercizio del mandato, ma deve mantenersi nell'alveo di un giudizio di conformita' alla legge dell'azione amministrativa (articolo 1 della L. n. 20 del 1994), come ribadito anche dalla Corte costituzionale (n. 235 e 107 del 2015) e che la riconducibilita' delle spese sostenute dai singoli consiglieri a determinate categorie di spesa, pur astrattamente previste, non vale, di per se', a fare escludere necessariamente la possibilita' che le singole spese siano "non inerenti" all'attivita' del gruppo, nei casi in cui non sia rispettato il parametro di ragionevolezza, soprattutto con riferimento alla entita' o proporzionalita', oltre che all'effettivita' delle spese, anche sotto il profilo della veridicita' della relativa documentazione; c) in siffatto alveo rimane la verifica, rimessa alla Corte dei conti, della "manifesta difformita'", in cio' consistendo propriamente il giudizio di non "inerenza" delle attivita' di gestione del contributo erogato ai gruppi consiliari rispetto alle finalita', di preminente interesse pubblico, che allo stesso imprime la normativa vigente, in termini di congruita' e di collegamento teologico delle singole voci di spesa ammesse al rimborso alle finalita' pubblicistiche dei gruppi. Dunque: 1) un collegamento teleologico tra spese e finalita' di preminente interesse pubblico da verificare in termini di congruita'; 2) una verifica che non attiene al merito delle scelte ovvero all'attivita' politica, ma alla conformita' alla legge dell'azione amministrativa, in cui l'astratta riconducibilita' delle spese a determinate categorie, pur teoricamente previste, non esclude che le stesse siano non inerenti rispetto all'attivita' dei gruppo, come definita dalla Corte costituzionale; 3) una verifica che si realizza anche attraverso il parametro di ragionevolezza, in relazione all'entita', alla proporzionalita', alla effettivita' delle spese, alla veridicita' della relativa documentazione e che puo' condurre 7 alla manifesta difformita' della spesa rispetto al perseguimento delle finalita' sottese al funzionamento del Gruppi consigliari. Un denaro, quello attribuito ai gruppi consigliari regionali, pubblico, gestito da pubblici ufficiali, funzionalmente vincolato nel senso indicato; il gruppo consigliare non e' un'appendice del partito politico a cui appartiene il singolo consigliere. Non e' in discussione il principio secondo cui, a seguito delle modifiche apportate alla norma incriminatrice di cui all'articolo 314 co. pen., con la L. n. 86 del 1990, l'origine o - se si preferisce-la natura pubblica o privata del denaro altrui e/o delle altre cose mobili altrui, che costituiscono l'oggetto materiale del peculato, e' un dato irrilevante ai fini del perfezionamento del reato, che e' integrato dal fatto appropriativo di denaro o cosa mobile "altrui" di pertinenza di qualunque soggetto giuridico, pubblico o privato, individuale o collettivo, e non piu' dal denaro o dalla cosa mobile "appartenente alla p.a." secondo la previgente disciplina normativa. Il tema, decisivo rispetto ai fatti oggetto del processo, attiene invece al se ed in che limiti l'attivita' del singolo consigliere componente di un gruppo consiliare, esterna rispetto alla diretta partecipazione ai lavori dell'assemblea dell'ente pubblico territoriale, debba essere scandita da nessi di collegamento funzionale con la vita e le esigenze del gruppo, nel senso indicato dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza richiamata. La questione e' quella di definire la portata del vincolo di destinazione impresso ai contributi erogati dall'ente al gruppo consiliare e, quindi, i limiti entro cui di quei contributi e' possibile fare uso legittimo da parte del singolo consigliere. Limiti in relazione ai quali divenga possibile tracciare, con criteri compatibili con il principio di determinatezza delle condotte pena/mente rilevanti, la pertinenzialita' dell'avvenuto impiego (spendita) da parte del gruppo (e per esso del suo presidente e dei singoli consiglieri) dei contributi gli scopi e obiettivi che di essi contributi costituiscono causa. Sulla base della ricostruzione normativa compiuta e dei principi richiamati, discende in negativo che: a) non possono essere imputate al fondo per il funzionamento dei Gruppi consigliari le spese connesse all'attivita' politica dei partiti, di cui i consiglieri sono espressione, che non siano espressione e connesse ad iniziative del gruppo, volte, cioe', al funzionamento del gruppo; b) non possono essere imputate al fondo le spese che i singoli consiglieri sostengono per la loro personale attivita' politica, spese volte alla "cura" del proprio consenso politico, delle relazioni personali sul territorio con esponenti della societa' civile, con l'informazione, con gli elettori; rapporti finalizzati alla conservazione o all'incremento del consenso politico soggettivo, della visibilita' personale del consigliere, ma del tutto scissi da iniziative e dalle funzioni del gruppo consigliare, nel senso indicato; 8 c) non possono essere imputate al fondo le spese che i consiglieri hanno in ragione dei rapporti personali tra essi, ovvero per l'organizzazione di iniziative politiche che non trovino nel gruppo consigliare la fonte di riferimento e di legittimazione; d) non possono chiaramente essere imputate le spese connesse alle esigenze private del consigliere. Affermare che anche il singolo consigliere possa dare attuazione alle attivita' del gruppo non consente di ritenere che le spese derivanti da ogni atto o comportamento del consigliere possano essere imputate al fondo solo in ragione del rapporto con lo status di consigliere; affermare che le iniziative del gruppo consigliare possano essere attuate anche attraverso il singolo consigliere non consente di ritenere che ogni condotta, ogni comportamento, ogni partecipazione del singolo consigliere ad un evento, anche pubblico, sia espressione dell'iniziativa del gruppo consigliare e che quindi ogni spesa- in quanto di per se' legata all'attivita' del singolo consigliere- sia imputabile al Fondo per il funzionamento. Sul tema si evoca spesso un precedente giurisprudenziale di questa Sezione (Sez. 6, n. 33069 del 12/5/2003, Tretter, Rv. 226531), secondo cui l'attivita' di un gruppo consiliare, estranea alla diretta partecipazione ai lavori dell'assemblea dell'ente pubblico territoriale, sarebbe sempre scandita da nessi di collegamento funzionale con la vita e le esigenze del gruppo, inteso come proiezione del partito politico dei cui progetti e interessi e' portatore". Nell'osservare che con la sentenza impugnata la Corte di merito aveva affermato il principio secondo cui " non risponde del delitto di peculato il presidente di un gruppo consiliare provinciale che si appropri di contributi ottenuti dalla provincia per l'esplicazione dei compiti del proprio gruppo, impiegandoli per sostenere spese di propaganda politica o di rappresentanza (nella specie, per l'acquisto di materiale propagandistico e di oggetto-regalo di modesto valore per gli elettori, per pranzi e rinfreschi in occasione di incontri pre-elettorali), trattandosi di attivita', benche' non istituzionali, comunque legate da nesso funzionale con la vita e le esigenze del gruppo" ha evidenziato la necessita' di una rivisitazione di dette considerazioni in ragione dei principi generali evidenziati. 2.2. In ordine al concetto di spese rimborsabili ed al tema delle spese "c.d. di rappresentanza e di quelle di ristorazione" la Corte di Cassazione ha precisato che il legislatore ha individuato le singole categorie di spesa di rappresentanza ed e' stata la giurisprudenza, soprattutto contabile, a specificare una serie di criteri e principi necessari per delimitarne l'ammissibilita' e la liceita', precisando che vi sono cioe' degli elementi sostanziali e formali che consentono di delimitare la nozione di spesa di rappresentanza e chiarendo che: " La spesa deve essere strettamente correlata con le finalita' istituzionali dell'ente; pertanto, "le spese di rappresentanza possono essere ritenute lecite, solo se sono rigorosamente giustificate e documentate, con l'esposizione, caso per caso, dell'interesse istituzionale perseguito, della dimostrazione del rapporto tra l'attivita' dell'ente e la spesa, della qualificazione del soggetto destinatario e dell'occasione della spesa" (cfr., Corte dei conti, Sez. 2, 20 marzo 2007, n. 64). La spesa deve avere inoltre uno scopo anche promozionale per l'ente; essa deve essere effettuata per l'immagine o per l'attivita' dell'ente: "Le attivita' di rappresentanza, in altri termini, garantiscono una proiezione esterna dell'amministrazione verso la collettivita' amministrata e sono finalizzate ad apportare vantaggi che l'ente trae dall'essere conosciuto"(cfr. Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, 30 luglio 2012, n. 356) Se, quindi, la spesa viene effettuata a fini promozionali di un singolo, per quanto rappresentativo dell'ente (es. il sindaco), la stessa non e' ammissibile e non puo' essere considerata quale spesa di rappresentanza appena delineata (cosi', testualmente, Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione 5 novembre 2012, n. 466). Inoltre, si sottolinea, la spesa deve rispondere a criteri di ragionevolezza, sobrieta', sia con riguardo all'evento eventualmente realizzato, sia con riferimento ai valori di mercato. (cfr., fra gli altri, Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per l'Abruzzo, sentenza 30 ottobre 2008, n. 394). Ancora, secondo la Corte dei conti, affinche' possano essere considerate legittime le spese di rappresentanza, esse devono avere i caratteri dell'ufficialita' e dell'eccezionalita'. Nel primo senso, devono, quindi, finanziare "manifestazioni della pubblica amministrazione idonee ad attrarre l'attenzione di ambienti qualificati o dei cittadini amministrati al fine di ricavare i vantaggi correlati alla conoscenza dell'attivita' amministrativa. L'attivita' di rappresentanza ricorre in ogni manifestazione ufficiale attraverso gli organi muniti, per legge o per statuto, del potere di spendita del nome della pubblica amministrazione di riferimento" (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione 5 novembre 2012, n. 466, citata.) Ovviamente, come ripetuto sovente dalla giurisprudenza, la spesa non puo' essere rivolta nei confronti di politici o di dipendenti interni all'ente, ma dev'essere rivolta all'esterno (cfr., fra le altre, Corte dei conti, sezione giurisdizionale per l'Umbria, sentenza 30 marzo 2000, n. 160). Si aggiunge che, alla luce dei principi di trasparenza e del generale obbligo di motivazione, e' necessario fornire una rigorosa giustificazione del fine istituzionale perseguito e del rapporto tra l'attivita' dell'ente e la spesa; le spese devono essere rendicontate analiticamente, evidenziandone, in modo documentale, la natura, le circostanze che hanno generato la spesa, i modi e i tempi di tali erogazioni (Cfr. Corte 10 dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, sentenza 5 luglio 2013, n. 246). Una nozione di spesa di rappresentanza rigorosa ma coerente con i principi generali in precedenza indicati; una nozione di spesa conforme alla consolidata definizione che di essa fornisce anche la Corte di cassazione secondo cui per "spese di rappresentanza" devono intendersi solo quelle destinate a soddisfare la funzione rappresentativa esterna dell'ente pubblico al fine di accrescere il prestigio dell'immagine dello stesso e darvi lustro nel contesto sociale in cui si colloca (fra le tante, Sez. 6, n. 36827 del 04/07/2018, M, Rv. 274023; Sez. 6, n. 16529 del 23/02/2017, Ardigo', Rv. 270794; Sez. 6, n. 10135 Raimondi, Rv, 254763). Si tratta di principi che certo non possono essere derogati per i gruppi consigliari regionali, atteso che: a) questi non sono "altro" o "cosa diversa" rispetto all'ente Regione; b) i gruppi consigliari gestiscono denaro pubblico della stessa Regione; c) le somme erogate per il fondo per il funzionamento dei gruppi fanno parte del bilancio della Regione; d) le somme erogate devono essere utilizzate per le finalita' di cui si e' detto; e) rispetto a quelle somme vi era un intrinseco dovere di giustificazione e di controllo. Il tema non e' quello del se l'iniziativa e l'attivita' del gruppo possa essere attuata dal singolo consigliere, quanto, piuttosto, come gia' detto, del se esista una "iniziativa" del gruppo in ragione della quale il singolo consigliere regionale opera. Le somme erogate per il funzionamento dei Gruppi consigliari non costituiscono una sorta di "zona franca", di elargizione liberale di denaro da parte della Regione che i singoli consiglieri possono "modellare" e "piegare" liberamente in ragione del senso politico personale, del loro status, come se fossero state somme di cui si possa disporre per creare o gestire il consenso politico del singolo o per tessere relazioni personali in prospettiva di convenienze e di utilita' della propria carriera politica, all'interno o all'esterno del partito di appartenenza. Dunque, ad esempio, non sono spese di rappresentanza e non sono spese di ristorazione rimborsabili quelle prive di uno specifico collegamento con il gruppo, quelle cioe' non imputabili al gruppo nel senso indicato, quelle aventi ad oggetto donativi del singolo consigliere in occasione di feste o ricorrenze, quelle giustificate in ragione dell'attivita' politica e della visibilita' della sola persona; non sono spese di rappresentanza quelle relative ad incontri con colleghi interni all'ente di appartenenza; non sono spese di rappresentanza quelle sostenute in occasione di incontri con avventori casuali, quelle sostenute per cene o pasti con i propri collaboratori, quelle sostenute in occasioni di incontri con politici, ma pur sempre sganciate da funzioni di visibilita' del gruppo consigliare. Non sono spese di rappresentanza, cioe', tutte quelle estranee alla rappresentanza del gruppo, all'accrescimento della sua capacita' operativa all'interno del Consiglio, e connesse solo alla proiezione esterna ed alle esigenze di visibilita' del consigliere o del partito di appartenenza". Ha, infine, chiarito che: "le considerazioni esposte assumono rilievo anche per le altre categorie di spese, nel senso che, pur volendo prescindere dal tema del se all'epoca in cui i fatti sarebbero stati commessi, fosse o meno previsto un trattamento economico onnicomprensivo anche per quel che concerne le spese rimborsabili, il tema che deve essere verificato e' se le "ulteriori" spese, anche diverse da quelle espressamente disciplinate, siano sostenute per il funzionamento del gruppo consigliare e per il perseguimento delle finalita' ad esso sottese, cosi' come indicate". 2.3. Per quanto concerne la prova della condotta appropriativa, nel rilevarevtale concetto "non coincide affatto con l'assenza di giustificazione della spesa" ha evidenziato che ai fini della prova della responsabilita' penale e della condotta di appropriazione, secondo quanto affermato costantemente dalla giurisprudenza di legittimita': " a) non puo' darsi di per se' rilievo alla mancanza di coeva giustificazione, nel senso che non puo' intendersi come intrinsecamente illecita la spesa per il solo profilo formale, salva la sua concreta verifica; b) la prova della condotta appropriativa deve essere fornita dalla Pubblica Accusa. (Sez. 6, n. 38245 del 03/07/2019, De Luca Cateno, Rv. 276712; Sez. 6, n. 35683 del 01/06/2017, Adamo, Rv. 270549). In tale contesto, si pone il tema: a) delle c.d. spese ambivalenti, cioe' di spese la cui natura strutturale non sia di per se' rivelatrice della loro incompatibilita' ontologica rispetto alle finalita' pubbliche attributive del potere di spesa; b) della impossibilita', ai fini penali, di far discendere la prova della condotta appropriativa per le c.d. spese ambivalenti da una giustificazione incerta, incompleta dubbia, non univoca (Sez. 6, n. 2166 del 09/04/2019, Marino, Rv. 276067). Si tratta di un tema che risente tuttavia di quanto gia' in precedenza detto in ordine: a) all'onere oggettivo in capo ai consiglieri di documentazione della spesa e della sua giustificazione, derivante dalla natura del denaro e dalla sua destinazione funzionale; b) alla necessita' che la spesa sia finalizzata al perseguimento degli scopi per cui le somme erano erogate al fondo di funzionamento dei gruppi consigliari; c) all'esatta individuazione delle finalita' del Fondo, di cui pure si e' detto. Il giudizio di ambivalenza, ovvero quello della strutturale incompatibilita' della spesa rispetto alle finalita' istituzionali del gruppo, e' un giudizio di relazione che viene formulato avendo come polo di riferimento la corretta individuazione, nel senso indicato, della 12 finalita' dei gruppi consigliari; la spesa e' davvero ambivalente se e' in astratto compatibile con le reali finalita' del fondo, queste ultime correttamente individuate. Quanto alle spese effettivamente ambivalenti, il tema dell'appropriazione deve senza dubbio prescindere da meccanismi presuntivi e di distribuzione dell'onere della prova; in tal senso va in parte rimodulato il principio affermato da Sez. 6, n. 23066 del 2009, Provenzano, secondo cui integra il delitto di peculato l'utilizzazione di denaro pubblico accreditato su un capitolo di bilancio intestato a "spese riservate", quando non si dia una giustificazione certa e puntuale del suo impiego per finalita' strettamente corrispondenti alle specifiche attribuzioni e competenze istituzionali del soggetto che ne dispone, tenuto conto delle norme generali della contabilita' pubblica, ovvero di quelle specificamente previste dalla legge. La questione ha una dimensione fattuale e probatoria, oltre che giuridica. La prova della finalita' illecita della spesa per cui si chiede ed ottiene il rimborso e' innanzitutto direttamente proporzionale alla "distanza", al "quantum" che intercorre tra la causa apparente della spesa rispetto alla ragione giustificativa dell'attribuzione del potere di spesa. La necessita' di approfondire sul piano probatorio la causale della spesa si pone dunque in senso progressivo rispetto alla capacita' dimostrativa della documentazione "ex ante" prodotta, cioe' al momento in cui viene chiesto il rimborso; quanto piu' sara' neutra o ambigua la documentazione originaria, tanto piu' potra' essere evidente la necessita' di approfondire ed investigare. E' possibile che le indagini colorino di significato indiziario l'originaria documentazione, ed allora, davanti a richieste di spiegazioni, puo' assumere rilievo la capacita' dimostrativa della documentazione "ex post", eventualmente prodotta nell'ambito dello sviluppo dialettico del procedimento, ovvero le giustificazioni fornite. In situazioni come quella in esame, la prova dell'appropriazione e' connessa innanzitutto alla rilevanza causale apparente della spesa, alla sua specificita' originaria, per come rappresentata al momento in cui fu richiesto il rimborso, nel senso che e' possibile che sin dall'inizio la spesa abbia una giustificazione documentale pienamente compatibile ovvero, viceversa, strutturalmente incompatibile con le finalita' giustificative del potere di spesa (es., in astratto, spesa per una festa di compleanno di un parente, per pagare stanze di albergo a soggetti terzi, o per un regalo privato) In questi ultimi casi la prova della condotta appropriativa, per certi versi, e' docu mentale. Nel caso in cui, invece, la documentazione originaria sia causalmente muta (uno scontrino relativo ad una consumazione tra due o piu' persone, o ad un acquisto da un dato negozio, una ricevuta di ristorazione) ovvero sia indicativa di una causale astrattamente compatibile con quelle giustificanti la spesa, ma tuttavia generica (es. "spese di rappresentanza" "spese di ristorazione"), il tema della prova della condotta 13) appropriativa assume una valenza indiziaria e si sposta all'interno dell'accertamento processuale. La questione si pone nei casi in cui, a fronte di una documentazione originaria muta od opaca, vi siano risultanze di indagini che colorino quella documentazione originaria di significato penalmente rilevante sotto molteplici profili; ci si puo' riferire: a) ai casi in cui venga accertato che il consigliere si trovasse in un posto diverso da quello in cui risulta emesso il documento contabile per il quale si e' chiesto il rimborso; b) ai casi in cui, nel corso dello stesso giorno, risultino emessi piu' scontrini in luoghi diversi e distanti tra loro; c) ai casi in cui risultino una quantita' di scontrini o di documenti che, per frequenza e sistematicita', riveli una finalita' non compatibile con quella istituzionale, perche' esplicita la sostanziale inesistenza di una iniziativa del gruppo; d) ai casi in cui la documentazione contabile riguardi spese avvenute in luoghi ovvero in giorni che solitamente si frequentano in periodi di vacanza, quando l'attivita' istituzionale dei gruppi consigliari e' sospesa; e) ai casi in cui le contabili di prelievi dal conto corrente del gruppo siano anticipate e temporalmente distanti dalla data della documentazione per cui si chiede il rimborso. Si tratta di situazioni in cui le risultanze investigative si sviluppano sulla base di una documentazione "neutra" e portano a far emergere una situazione in cui il difetto di giustificazione della spesa si manifesta in modo chiaro e stringente, atteso il numero, il tipo, la sequenza, la sistematicita', l'oggetto, le coordinate di tempo e di luogo delle spese, le modalita' di gestione complessiva del denaro. In tali contesti la dialettica probatoria puo' rivelare e fare emergere l'esistenza di situazioni altamente significative sul piano probatorio della condotta appropriativa. Non si intende fare riferimento ai casi in cui, a fronte di situazioni come quelle appena indicate ed ad una fisiologica richiesta di spiegazioni a seguito delle risultanze di indagini, il soggetto interessato produca documenti o alleghi circostanze che, pur incomplete, pur non decisive, lascino il fondato, ragionevole dubbio che quella spesa possa essere stata comunque sostenuta per il conseguimento delle finalita' istituzionali. Assumono invece i casi in cui l'interessato, in situazioni come quelle descritte, non fornisca nessuna spiegazione - ad esempio del perche' sia stato chiesto il rimborso di una spesa sostenuta in un luogo ed in un tempo in cui egli era altrove - ovvero adduca spiegazioni o produca documenti che, al di la' dei convincimenti soggettivi (che al piu' possono assumere rilievo sul piano dell'accertamento del dolo), confermino, anche solo implicitamente, la causale esterna della spesa rispetto alle finalita' attributive del potere e finiscono per provare l'interversione del possesso. Un procedimento probatorio indiziario complesso, in cui il requisito della molteplicita' degli indizi, che consente una valutazione di concordanza, e quello di gravita' si completano a vicenda; un ragionamento indiziario in cui elementi singoli di limitata valenza possono assumere rilievo per il loro numero elevato e per la loro cadenza 14 sistematica e possono accompagnarsi ad altri indizi, forse numericamente minori, ma di maggiore consistenza dimostrativa del fatto da provare. (ex multis Sez. 5, n. 16397 del 21/2/2014, P.G. in proc. Maggi, Rv. 259552) ". 3. Cio' premesso occorre muovere da un primo dato che inficia la tenuta logica della sentenza impugnata con riferimento alla posizione di entrambi gli imputati, non risultando rispettato il dictum della Cassazione quanto alla esatta individuazione delle "spese non rimborsabili". 3.1. Secondo quanto stabilito in dispositivo (OMISSIS) e' stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 80), 125) e 126): "limitatamente alle spese postali e convegnistiche" e (OMISSIS) e' stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 72), 73), 74), 75) e 76) "limitatamente alle spese per i periodici "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" e per la messaggistica "(OMISSIS)" e per quelle di ristorazione meglio indicate in motivazione", risultando evidente la (parziale) "indeterminatezza" del dispositivo. Orbene i rapporti che regolano la motivazione ed il dispositivo della sentenza penale sono complessi e non sono soggetti ad un'unica disciplina, perche' la regola secondo la quale il rapporto esistente nel processo penale tra il dispositivo e la motivazione della sentenza, regola che si risolve nel ritenere quest'ultima inidonea a svolgere una autonoma efficacia giuridica, capace di incidere, a posteriori, sul contenuto essenziale del dispositivo, puo' essere derogata nei casi in cui, essendo la motivazione ed il dispositivo emessi contestualmente, la prima puo' possedere l'attitudine ad incidere sul comando giuridico che dalla sentenza penale deriva, posto che entrambe le parti essenziali di essa trovano una simultanea origine, capace di rendere intelligibile il comando stesso. Tuttavia, fuori dai casi di emanazione contestuale di motivazione e dispositivo della sentenza penale, e' alla pronuncia di quest'ultimo che e' affidata nel processo penale la funzione dell'applicazione della legge al fatto contestato all'imputato, mentre la motivazione adempie ad una finalita' meramente strumentale per cui e' improduttiva di conseguenze giuridiche diverse da quelle coerenti col dispositivo. Ne consegue che la motivazione non puo', di regola, supplire alle eventuali omissioni del dispositivo. Nel caso in esame la mancata esatta indicazione delle spese "non rimborsabili" oggetto delle contestate condotte di peculato nel dispositivo non poteva essere integrata dalla motivazione ove, peraltro, i giudici di merito, quanto alla specifica posizione del (OMISSIS), hanno introdotto un altro elemento di confusione ed incertezza in quanto hanno indicato come non consentite "spese per ristorazione" che non possono logicamente ricomprendersi nelle speSe "convegnistiche", non comprendendosi, quindi, per quali esatti fatti, alla lettura del dispositivo, il suindicato imputato e' stato ritenuto responsabile. Altrettanto "anomala" appare la condanna dello (OMISSIS) ritenuto responsabile per fatti di peculato individuati solo ex posta fronte di una ben piu' ampia contestazione contenuta nel capo di imputazione riguardante numerose spese. Sotto questo profilo, ove non volesse ritenersi sussistente una vera e propria nullita' ex articolo 546 c.p.p., sussiste certamente un vizio di motivazione decisivo in quanto la suddetta carenza si ripercuote sulla coerenza e logicita' del complessivo impianto motivazionale. 4. Risultano, parimenti, fondate le censure relative alle gravi carenze motivazionali della pronunzia de qua con la quale e' stato operato un parziale "overturning" rispetto alla pronunzia assolutoria di primo grado, senza che la Corte territoriale si sia, peraltro, conformata al thema decidendum come delineato nella sentenza di annullamento. La giurisprudenza di questa Corte si e' ripetutamente occupata del tema del "ribaltamento" della sentenza assolutoria di primo grado. Secondo una prima elaborazione giurisprudenziale la sentenza che, in riforma totale della decisione di primo grado, sostituisce l'assoluzione dell'imputato con l'affermazione di colpevolezza, deve contenere una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni raggiunte. Ne discende che il giudice di appello dovra' confrontarsi con le ragioni addotte a sostegno della decisione impugnata, giustificandone l'integrale riforma senza limitarsi ad inserire delle generiche notazioni critiche di dissenso, ma riesaminando, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito, per offrire un percorso argomentativo, nuovo e compiuto, che dimostri, in primo luogo, con una rigorosa analisi, "l'incompletezza o l'incoerenza" della decisione appellata, "non essendo altrimenti razionalmente giustificata la riforma" (Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. U, n. 6682 del 4/2/1992, Musumeci, Rv. 191229; Sez. U, n. 45276 del 30/10/200.3, Andreotti, Rv. 226093). Per la riforma di una sentenza assolutoria nel giudizio di appello non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio gia' acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, ma occorre invece una "forza persuasiva superiore", tale da far venire meno "ogni ragionevole dubbio". La condanna, infatti, come significativamente evidenziato da Sez. 6, n. 40159 del 3/11/2011, Galante, Rv. 251066 "presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza". Orbene appare evidente che la corte territoriale ha posto a fondamento i medesimi elementi di prova gia' valorizzati dal Tribunale per pervenire ad una pronuncia liberatoria, fornendone una lettura prospettata come piu' plausibile. Nel delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio, non ha, pero', proceduto alla necessaria confutazione delle difformi valutazioni del primo giudice, mettendone in luce le carenze o le aporie o, quanto meno, dando conto delle ragioni dell'incompletezza o incoerenza dei piu' rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza. In particolare la Corte territoriale, senza affrontare funditus il tema delle spese c.d. ambivalenti e di quelle del tutto scisse da iniziative e dalle funzioni del gruppo consiliare (ed in tal modo violando anche il disposto di cui all'articolo 627 c.p.), si e' limitata a richiamare genericamente il tenore della documentazione in atti ed ha ritenuto ininfluenti le dichiarazioni rese dagli imputati sulle quali era stata fondata la pronunzia assolutoria proprio in ragione dei chiarimenti forniti circa la legittimita' delle stesse, pervenendo, del tutto apoditticamente, alla conclusione circa la finalita' di "propaganda politica personale" delle spese per cui e' intervenuta la statuizione di condanna. E sebbene il G.U.P., nel pervenire alla pronunzia assolutoria, aveva anche esaminato la documentazione prodotta dagli imputati e le loro memorie (vedi, in particolare, quanto al (OMISSIS) memoria con allegato provvedimento di archiviazione da parte della Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale delle (OMISSIS) della Corte dei Conti in data 19/11/2015 e quanto allo (OMISSIS) la messagistica (OMISSIS) e le riviste con allegate memorie) la Corte di appello di Perugia non ne ha fatto cenno alcuno (se non per sommi capi) ovvero ne ha richiamato il contenuto con considerazioni del tutto generiche ed apodittiche Il ribaltamento dello scrutinio di responsabilita' compiuto nel processo di appello sullo stesso materiale probatorio acquisito in primo grado doveva essere, comunque, sorretto da 20 argomenti dirimenti, conseguenti alla rinnovata disamina delle prove tale da rendere evidente l'errore della sentenza assolutoria, la quale deve rivelarsi, rispetto a quella di appello, non piu' razionalmente sostenibile, per essere stato del tutto fugato ogni ragionevole dubbio sull'affermazione di responsabilita', procedimento nel caso in esame non correttamente seguito. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, in accoglimento dei motivi sin qui esaminati dedotti dai suindicati ricorrenti, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Firenze, che, nella piena liberta' delle valutazioni di merito di sua competenza, dovra' porre rimedio alle rilevate carenze motivazionali, uniformandosi ai richiamati principi di diritto. Giova rilevare che, a fronte dei cennati vizi e delle anzidette gravi lacune motivazionali, la questione relativa alla nullita' della sentenza impugnata in ragione della mancata rinnovazione della prova dichiarativa in violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. rimane di fatto assorbita: spettera' al giudice del rinvio valutare, se a fronte di quanto argomentato dal primo giudice - le cui argomentazioni dovranno costituire punto di partenza ed oggetto "adeguato confronto" - appaia indispensabile, per esigenze legate ad una rivalutazione di prove dichiarative ritenute decisive, disporre la rinnovazione dell'attivita' istruttoria. Rimangono assorbiti tutti i rimanenti motivi perche' afferenti a questioni la cui delibazione resta logicamente subordinata all'esito del nuovo scrutinio del tema, principale, della responsabilita', fermo restando che gia' in questa sede deve rilevarsi che, alla luce del devoluto e di quanto statuito dalla Suprema Corte con la suddetta sentenza, non potra' piu' essere messa in discussione la qualificazione dei fatti in questione quale ipotesi di peculato ex articolo 314 c.p. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Firenze.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Venezia sezione PRIMA Penale composta dai Magistrati: 1. Dott. Francesco Giuliano - Presidente 2. Dott. Alberta Beccaro - Consigliere 3. Dott. David Calabria - Consigliere Udita la relazione della causa fatta alla udienza pubblica/camerale, odierna dai Dott.ri Beccaro e Calabria Inteso il P.G. dott. appellant (...) difensor come da verbale, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: GI.EM. Nato a Roma il 03.06.1969 Elettivamente domiciliato presso Avv. Or.Do. del Foro di Milano Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Or.Do. del Foro di Difensore di fiducia Avv. Co.Mi. del Foro di Milano MA.PA. Nato a (...) Domiciliato presso l'Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza PE.MA. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna PI.AN. Nato (...) Domiciliato presso Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Difeso di fiducia dall'Avv. Gi.To. del Foro di Milano ZI.GI. Nato a (...) Residente a (...) Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza ZO.GI. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. En.Am. del Foro dì Vicenza Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. En.Am. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Tu.Pa. del Foro di Pisa RESPONSABILE AMMINISTRATIVO BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona del legale rappresentante pro tempore Difensore Avv. Fr.Mu. del Foro di Milano - non presente, sostituito dall'Avv. Ro.Bo. del Foro di Padova per delega orale PRESENTE RESPONSABILE CIVILE - ESTROMESSO con ordinanza depositata all'udienza del 22/04/2022. BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona dei legali rappresentanti pro tempore Di.Gi., Fe.Cl. e Vi.Fa. Parti civili: + 229 (omissis) IMPUTATI: Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. stralciato ad altro procedimento, Zi.Gi. e Zo.Gi., a.1) in ordine al reato previsto e punito dagli arti 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., e 2637 c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amava), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie di seguito descritta, attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della. Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta piassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., stralciato ad altro procedimento in qualità di direttore generale delia medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione. Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuatone della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, della segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; in tempi diversi, diffondevano notizie false e ponevano in essere operazioni simulate ed altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni B. (deliberato annualmente - ai sensi dell'art. 6 dello Statuto sociale e dell'art 2528 c.c. -dall'assemblea dei soci su proposta del consiglio di amministrazione, formulata sulla scorta di una perizia di stima del valore del relativo soprapprezzo elaborata da un esperto indipendente appositamente incaricato), e ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della medesima Banca (...) e dell'omonimo Groppo bancario. Operazioni simulate ed altri artifici consistite (condotte poste in essere da ciascuna delle persone indagate, secondo il rispettivo ruolo): i) nella ripetuta concessione di finanziamenti a favore di terzi soggetti finalizzati all'acquisto (nel mercato secondario) ed alla sottoscrizione (in occasione delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014) di azioni B., per un controvalore complessivo di circa Euro 963 mln (di cui circa Euro 545 mln sino al 31.122012, circa Euro 155 nel 2013, circa Euro 255 nel 2014 e circa Euro 8 mln nel primo trimestre 2015), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito (per talune operazioni formalizzato per iscritto, per un complessivo controvalore azionario di circa Euro 160 mln), cosi determinando una apparenza di liquidità del titolo sul mercato secondario e, al contempo, cosi consentendo la riduzione contabile del controvalore delle azioni proprie detenute; ii) nella omessa iscrizione al passivo dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014 di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., pari all'importo complessivo delle operazioni di finanziamento finalizzate all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. sopra indicato; iii) nella mancata comunicazione all'esperto incaricato della stima del valore del soprapprezzo dell'azione B., dell'esistenza e dell'entità della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come sopra descritta. Diffusione di notizie false compiuta mediante la pubblicazione di comunicati stampa, di comunicazioni al pubblico, anche ex art. 114, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, di comunicazioni ai soci e dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014, contenenti mendaci indicazioni circa (condotte materiali poste in essere da Zo.Gi., Zi.Gi., So.Sa. (Stralciato ad altro procedimento) e Pe.Ma., con il contributo di GI.Em., Pi.An. e Ma.Pa., che partecipavano alla attuazione della prassi dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. sopra descritta): - la reale entità del patrimonio (nei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014), a causa della mancata iscrizione di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., per un importo corrispondente all'ammontare dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. (pari a circa Euro 545 mln al 31.12.2012, circa Euro700 mln al 31.12.2013 e circa Euro 955 mln al 31.12.2014); - la solidità patrimoniale della Banca (comunicati stampa e comunicazioni ai soci del 30/3/2012; 8/8/2012; 3/9/2012; 19/3/2013; 27/4/2013; 27/4/2013; 10/9/2013; 2/4/2014; 9/9/2014; 26/10/2014; 4/12/2014; 19/3/2014) enfatizzata a dispetto della reale situazione derivante dal sopra descritto fenomeno di concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizioni di azioni B. e di lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle medesime e/o di garanzia del rendimento dell'investimento; - la crescita progressiva della compagine sociale (comunicati 27/8/2013; 18/3/2014; 29/8/2014; 26/10/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), lasciando intendere che essa derivasse dalla progressiva maggiore appetibilità dell'azione B. quale strumento di investimento, omettendo di rappresentare resistenza e l'entità della prassi della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie sopra descritta; - il buon esito delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014 (comunicati 9/8/2013; 27/8/2013; 18/3/2014; 8/8/2014; 29/8/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), tacendo la circostanza relativa al massiccio ricorso al finanziamento per la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione nell'ambito dei c.d. Aucap; Con raggravante di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone. In (...), nel corso degli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014. Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) a.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. r) D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - ZO.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società a capo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenite reati della stessa specie, commettevano il reato sub a.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nel mantenimento del valore dell'azione e dell'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto, realizzati anche attraverso un artificioso funzionamento del mercato secondario delle azioni B. e mediante una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca. In (...), nel corso degli anni (...), alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa., (stralciato ed altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., b1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 81, co. II 110, 112, n. 1, c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a., in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1), e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale e traendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti, e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalatone e comunicazioni air Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, durante l'attività ispettiva compiuta dalla stessa Autorità presso la sede sociale, occultavano con mezzi fraudolenti - l'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario, per un controvalore complessivo di circa Euro 250 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di oltre Euro 300 mln, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - l'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. c/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; e, comunque, omettevano di dare comunicazione di tali circostanze, cosi determinando effettivamente, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, che, conseguentemente, non dava luogo ad approfondimenti conoscitivi in sede ispettiva ed alla quale, di fatto, era impedito di accertare l'esistenza della suddetta prassi. Mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale sia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58. In (...) dal (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) b.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub b.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. c.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81 co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.6.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.9.2012) contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 268 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2012), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 280 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia medesima, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2012, stabiliva, con Lettera di intervento datata 5.3.2013, un obiettivo patrimoniale (c.d. Target ratio, in termini di Core Tier 1 capital ratio pari o superiore all'8%) non coerente con la situazione patrimoniale della stessa B. e, comunque, ometteva di assumere ulteriori misure ed iniziative di vigilanza coerenti rispetto alla reale situazione patrimoniale della B., Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.pa, in liquidazione coatta amm.va (già Sc.p.a.) c.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett., a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub al), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad atro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. d.1) reato previsto e punito dagli artt. 61 n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., 2638, co. II e III, c.., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 5.3.2013 - n. 228149, di fornire "dettagliate informazioni in ordine alle motivazioni sottostanti l'incremento, sia a livello individuale che consolidato, delle azioni o quote proprie ricomprese tra gli elementi negativi del patrimonio di base, passate da Euro 30,48 mln a Euro 239,85 mln" nel periodo 30.6/30.9.2012), nella Comunicazione 20.3.2013, con la quale era rappresentato falsamente che "L'incremento ... registrato al 30 settembre 2012 rispetto al 30 giugno 2012 è da ascrivere principalmente a fenomeni di ciclicità legati alle procedure di gestione delle azioni proprie. Le domande di acquisto di azioni della banca si sono invece concentrate nel IV trimestre, anche in relazione alla consueta maggiore propensione e convenienza sotto il profilo finanziario di procedere, da parte dei soci, all'acquisto nell'ultimo periodo dell'anno... I dati al 31 dicembre 2012 evidenziano un Core Tier 1 ratio e un Total Capital ratio rispettivamente all'8,37% e all'11,40%, ipotizzando l'integrale capitalizzazione dell'utile. Nell'ipotesi di distribuire un dividendo pari al 50% dell'utile distribuibile, il Tier 1 ratio si posizionerebbe all'8,23% comunque al di sopra del target minimo". - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.12.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.3.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 545 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistato da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 544 mln; ed inoltre, - nella Informativa preventiva 23.4.2013 relativa alla imminente operazione dì aumento di capitale (mediante emissione di azioni ordinarie e contestuale emissione di prestito obbligazionario convertibile, per l'importo complessivo di Euro 506 mln), nella quale non era indicato che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione di finanziamenti correlati alla sottoscrizione medesima ed era rappresentato, pertanto contrariamente al vero, che il relativo "impatto... sul Tier 1 ratio " era stimato in un incremento complessivo di 175 punti base; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della B., adottava la Lettera di intervento datata 24.6.2013 con la quale (rilevato che "alla data del 30 settembre 2012" B. deteneva azioni proprie per un controvalore complessivo superiore al limite del "5% del capitale" in assenza della necessaria autorizzazione) prescriveva a B. l'adozione di "ogni Iniziativa sul piano procedurale e dei controlli alfine di assicurare uno scrupoloso rispetto dei limiti previsti per il riacquisto o rimborso di proprie azioni" e di richiedere "la prescritta autorizzazione, laddove ne ricorrano i presupposti" senza assumere ulteriori misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, DI L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.p.a.) d.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub d. 1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. e.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, il 2,81, co. II, 110 e 112, n. 1, cp., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione delia medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30-6-2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.9.2013), contraente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 555 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca, anteriore e prossima al 25.10.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 626 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.3.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 700 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e dì garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) e.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di prendente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sube.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. f.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. n. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai scasi della L. 1 settembre 1993, a 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; -- So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delie operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella Informativa preventiva datata 5.3.2014 relativa alla imminente operazione di aumento di capitale mediante emissione di azioni ordinarie per l'importo complessivo massimo di Euro 700 min, tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima e rappresentando, pertanto falsamente, die "nell'ipotesi di effettuazione dell'importo massimo", l'Aucap determinerebbe un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma" del 10,89% (rispetto a quello esistente dell'8,50%) e del ''Total Capital ratio" del 13,85% (rispetto a quello esistente dell'11,41%) con un incremento "quantificabile in circa 239" punti base; - nella Informativa integrativa datata 11.4.2014 relativa alla operazione di aumento di capitale sopra indicata (contenente la precisazione che la stessa sarebbe stata compiuta per un importo massimo di Euro 683,754 mln), tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima ed attestando, pertanto falsamente, che le azioni di nuova emissione soddisfano "tutte le condizioni previste dagli artt. 28 e 29 della CRR" e rappresentando, pertanto ancora falsamente, che la relativa "stima dell'impatto patrimoniale" evidenziava un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma post aucap" del'11,65% (rispetto a quello esistente del 9,21%) e del "Total Capital ratio pro-forma post aucap" del 14,25 (rispetto a quello esistente dell'11,81%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, a seguito della "istanza di autorizzazione a classificare gli strumenti di capitale come strumenti di capitale primario di classe 1 ai sensi dell'art 26 par. 3, del Regolamento (UE) n. 575/2013" (contenuta nella Informativa integrativa suddetta), sulla scorta della mendaci informazioni ricevute, adottava il provvedimento autorizzato richiesto con atto del 15.4.2014, in difetto dei prescritti presupposti (trattandosi, in parte, di c.d. azioni finanziate). Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) BANCA (...) S.p.a. in liquidatone coatta amm.va (già S.c.p.a.) f.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s) D. L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub f1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nella autorizzata classificazione delle azioni di nuova emissione sottoscritte come strumenti di capitale primario di classe 1". In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. g.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co, II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi die precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella Use di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione dì vigilanza periodica al 31.3.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 728 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica ai 30.6.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in data 11.8.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra, indicata, per un importo complessivo di circa Euro 718 mln; - nella Comunicazione 1.9.2014, nella quale era rappresentato falsamente che "con riferimento alla segnalazione di vigilanza prudenziale al 30 giugno 2014... si è ravvisato il mancato soddisfacimento a livello consolidato del requisito combinato di riserva di capitale... con un deficit di euro 85 milioni rispetto al livello minimo previsto.... l'aumento dì capitale di euro 607,8 milioni - già in corso alla data del 30 giugno, completato lo scorso 8 agosto con l'integrale sottoscrizione dello stesso... consentiva di coprire ampiamente il deficit registrato... tenendo conto dell'aumento di capitale già regolato, la posizione patrimoniale del Gruppo risulta in surplus di euro 550,8 milioni..." ed era attestato falsamente il livello dei "Fondi Propri" (indicato in Euro 2,989 mld e, quelli "pro-forma" in Euro 3,635 mld) e dei ratios patrimoniali (ovverosia, 8,55% CET1 Ratio e 10,67% CET1 Ratio pro-forma; 8,55% Tier 1 Ratio e 10,67% Tier 1 Ratio pro-forma; 10,21% Total Capitai Ratio e 12,38% Total Capital Ratio pro-fonna); - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 886 mln; - (a seguito della richiesta di Banca d'Italia, formulata con Nota datata 25.10.2014 - n. 1053731/14 nella quale, dato atto che "Banca (...) ha eseguito dall'inizio del 2014 operazioni di riacquisto di azioni proprie (buybacks) per un ammontare complessivo netto di Euro 195 mln. Le segnalazioni prudenziali di codesta banca confermano il progressivo aumento delle deduzioni per azioni proprie in portafoglio dal common equity tier 1: Euro 32,3 mln a dicembre 2013; Euro 91,7 mln a marzo 2014; Euro 178,2 mln, di cui 52,4 mln detenute indirettamente, a giugno 2014.... (la B.) ha altresì proceduto al rimborso e successivo annullamento di azioni proprie per complessivi Euro 61,7 mln, a motivo di successioni ed escussioni per recupero crediti", era domandata "la puntuale verifica della correttezza dei dati segnalati tempistica e modalità di esecuzione dei buybacks; ... le informazioni necessarie alla comprensione delle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie, precisando le controparti (società veicolo/OICR) presso le quali ì titoli sono depositati; chiarimenti circa la coerenza dei riacquisti effettuati con le disposizioni della Capital Requirement Regulation e delle successive norme tecniche di attuazione") nella Comunicazione datata 4.11.2014, ove era rappresentato falsamente che "La Banca... ha proceduto ai riacquisti da Soci e agli annullamenti delle azioni proprie nella consapevolezza che la riduzione di capitale connessa ai medesimi era più che compensata dalla sottoscrizione degli aumenti di capitale in corso.... le predette operazioni di riacquisto e annullamento di azioni proprie eseguite dalla banca dall'inizio del 2014... sono comunque avvenute nell'ambito dì un complessivo rafforzamento patrimoniale del Gruppo Bancario, che ha visto il proprio Common Equity Tier 1 Ratio incrementarsi dal 1° gennaio 2014 di circa 141 bps"; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) g2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità, di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub g.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., h1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a, in liquidatone cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposte alla vigilanza della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a. 1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente fa predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberatone degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca Centrale Europea, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2014 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 15.3.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2015 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 25.4.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 963 mln; - nella Informativa al Pubblico al 31.12.2014, contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa delia mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln e, di conseguenza, l'indicazione falsata dei requisiti patrimoniali prudenziali (CET 1 ratio pari al 10,44% e Total Capital ratio pari all'11,55%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca Centrale Europea che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a., in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) h.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001. n. 231, perché, in concorso tra loro. - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di (fingente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub h1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. i) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a-1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente si processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinalo ed attuato concretamente la predetta prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alte proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Dividerne Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili relativa alle operazioni di aumento di capitale realizzate nel corso del 2013 (c.d. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2012 e nel primo quadrimestre 2013 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a.1), ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo (felle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo, la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancate evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sui prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In Vicenza, in data 10 giugno 2013 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. 1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a.1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predette prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predispostone dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalatone e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di adoni di nuova emissione relativa alle operazioni di aumento di capitate realizzate nel corso del 2014 (c.c. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2013 e nel primo quadrimestre 2014 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a1) ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo delle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo" la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancata evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sin prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., m.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110, 112, n. 1, c.p. e 2638 co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche in riferimento alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 RGNR - Mod. 21, (allegata al presente Avviso) in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione Della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, e della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di numerosi finanziamenti finalizzati air acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie (operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito, per talune operazioni formalizzato per iscritto), attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallalo la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. Srl, operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attualo concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase dì istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazioni e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea, nell'ambito dello svolgimento dell'esercizio di valutazione approfondita (c.d. "Comprehensive Assessment") previsto dall'art. 33, par. 4, del Regolamento (UE) n. 1024/2013 cit. ed oggetto della Decisione della Banca centrale Europea del 4 febbraio 2014 i) durante l'attività ispettiva compiuta dalla Banca d'Italia presso la sede sociale nel periodo marzo/agosto 2014 (consistita nel c.d. "Asset Quality Rewiev") occultavano con mezzi fraudolenti e, comunque, omettevano di dare comunicazione, - dell'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario e/o alla sottoscrizione delle medesime azioni in sede di operazioni di aumento di capitale, per un controvalore complessivo di circa Euro 728 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di circa 6 886 min, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - dell'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale aia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate; ii) esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 9.6.2014 - il 590133/14 di compilare un "questionario... (Preliminary Capital Plan)" contenente "informazioni idonee a valutare, distintamente per i vari annali di raccolta (interni ed esterni) l'ammontare aggiuntivo di capitale e di strumenti di ATI che potrebbero essere ottenuti in tempi rapidi (6 o 9 mesi) per fronteggiare eventuali shortfall" precisando "sia le operazioni già pianificate o in corso di attuazione, sia le misure aggiuntive che potrebbero essere perfezionate in caso di necessità entro i termini sopra indicati") nella Comunicazione datata 20.6.2014 ove erano indicati, quali interventi di rafforzamento patrimoniale realizzabili celermente, il "rimborso anticipato in azioni del prestito obbligazionario 2013-2018 convertibile di tipo soft mandatory... per un importo di euro 253 milioni e "l'incremento di CET" per effetto degli aumenti di capitale attualmente in corso per un importo totale di euro 673 milioni, di cui euro 608 milioni di aumento in opzione ai soci", omettendo di rappresentare che la sottoscrizione del suddetto prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni dì nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra descritta; - nelle comunicazioni trasmesse alle Autorità di vigilanza nell'ambito dell'esercizio di "stress test", contenenti l'indicazione, contrariamente al vero, di ratios patrimoniali e dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quelli reali, a causa della mancata considerazione, quale cimento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln; - nel Capital Plan comunicato in data 10.11.2014, relativo alle misure programmate per la copertura del deficit di capitale emerso all'esito dell'esercizio di "stress test" (nello scenario avverso, pari a Euro 223 mln), contenente l'indicazione, contrariamente al vero, dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln, ed omettendo di precisare che la sottoscrizione del prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni di nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea medesime, le quali, conseguentemente, non davano luogo, neppure in sede ispettiva, ad approfondimenti conoscitivi, e la BCE valutava idonee le misure di rafforzamento patrimoniale indicate da B. per fare fronte alla deficienza emersa all'esito del c.d. "Comprehensive Assessment" ed all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2014 stabiliva (con la relativa decisione SREP) requisiti prudenziali non coerenti con la reale situazione patrimoniale della stessa B. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richieda di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), dal marzo ad agosto 2014 (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) m.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n, 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em. in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub m.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) SO.SA. (stralciato ad altro procedimento) e GI.EM. n.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso rispetto al capo che precede ed alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 (allegata al presente Avviso), - SO.SA. in qualità di direttore generale, - GI.EM., in qualità di vice direttore generale responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), società sottoposta alla vigilanza della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa ai sensi del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, con riferimento alla operazione di aumento di capitale compiuta nel periodo 12.5/8.8.2014, avente in oggetto una offerta in opzione agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili di azioni ordinarie di nuova emissione e di obbligazioni nominative (e anche una offerta al pubblico indistinto dell'eventuale inoptato), a seguito della richiesta di dati e notizie di CONSOB datata 16.5.2014, nella successiva interlocuzione con la medesima Autorità di Vigilanza, comunicavano, contrariamente al vero (condotta materiale di So.Sa., quale firmatario delle missive, compiuta d'intesa con Gi.Em.), i) nella Nota datata 23.5.2014, - la decisione assunta dalla Banca "di astenersi, con riferimento all'Offerta in opzione, dalla prestazione di raccomandazioni personalizzate all'investimento" e, pertanto, del "divieto di prestare qualsivoglia attività consulenziale a favore dei titolari del diritto di opzione"; - l'adozione da parte della Banca "allo scopo di dare effettività alla menzionata prescrizione interna ed evitare forme surrettizie di raccomandazione personalizzata all'investimento... " di "modalità specifiche di adesione all'offerta idonee a contenere occasioni di contatto diretto tra gli addetti alla rete ed i titolari del diritto di opzione" (costituite, "a seguito della comunicazione informativa" neutra da parte della Banca contenente indicazione delle "caratteristiche principali dell'operazione e le modalità richieste per l'adesione", dalla preventiva manifestatone di interesse alla sottoscrizione da parte degli interessati "accedendo ad una apposita sezione del sito internet della Banca" oppure tramite l'invio per posta di un modulo prestampato, preventivamente trasmesso agli aventi diritto in allegato alla suddetta comunicazione informativa preliminare); - che la Banca si sarebbe astenuta dalla erogazione di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione di azioni B., essendo questa possibilità limitata all'operazione di aumento di capitale riservato a nuovi soci e finalizzato all'ampliamento della base sociale (c.d. "mini Aucap"); ii) nella Nota datata 4.7.2014, che - erano "immutate le modalità di offerta in opzione, agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili... " e, nel fornire i dati relativi all'andamento della operazione, che l'offerta in opzione aveva registrato adesioni da parte di 20.448 clienti, tutte perfezionate ad "iniziativa cliente", con valutazione positiva della appropriatezza nella misura del 83,9%; iii) nella Nota 15.10.2014, - che l'unica operatività effettuata nell'ambito dell'Offerta in opzione, era quella ad "iniziativa cliente"; - che tutti i 29,364 sottoscrittori "aventi diritto" avevano aderito all'offerta previa valutazione di appropriatezza, il cui esito era stato positivo nella misura del 82% circa; - che (nella unita Nota di osservazioni della funzione di Compliance), "la Banca ha inteso presidiare il rischio di consulenze surrettizie prevedendo un meccanismo volto a fare in modo che il contatto tra banca e clienti titolari del diritto di opzione si stabilisse solo in seguito ad una comunicazione preliminare"; e omettevano dunque, di rappresentare alla Commissione medesima, la realizzazione da parte della Banca, sino dal febbraio 2014 (e, dunque, prima dell'approvazione del prospetto previsto dall'art. 94, D.L.vo n. 58/98 cit.), di una strutturata azione commerciale finalizzata alla promozione della partecipazione all'aumento di capitale e concretizzatasi in consigli personalizzati di investimento, cosi ostacolando consapevolmente le funzioni di vigilanza della CONSOB, cui era conseguentemente impedita l'emanazione degli opportuni provvedimenti e l'adozione delle pertinenti iniziative di Vigilanza. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell'art. 116, D.L.vo n. 58/98 cit. ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) n. 2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e punito dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato indicato sub e.l) commesso da - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale, responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), in concorso tra loro, in difetto di un modello di organizzazione idoneo (comunque non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi, e nell'interesse ed a vantaggio della stessa BANCA (...) S.c.p.a., consistiti nel rafforzamento patrimoniale dell'ente perseguito ed attuato con l'operazione dì aumento di capitale compiuta nel corso dell'anno 2014. In (...), in data (...) CONCLUSIONI PEL PROCURATORE GENERALE: Con riferimento agli appelli proposti dagli imputati ZO., MA. e PI. chiede dichiararsi l'improcedibilità con riguardo alle fattispecie medio tempore prescritte, con conseguente rideterminazione della pena, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, Per il resto chiede confermarsi la sentenza. Con riferimento all'appello proposto dall'imputato GI. chiede affermarsi la penale responsabilità del predetto, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando la pena richiesta come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. Con riferimento all'appello proposto da B. in L.c.a. chiede ridursi l'entità della sanzione ex art. 12 comma 2 lett. a) D.Lgs. 231/2001 nella misura massima della metà, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, con irrogazione, per l'effetto, della sanzione pecuniaria nella misura di euro 324.000,00= e conferma nel resto. Con riferimento, infine, agli appelli proposti dal Pubblico Ministero nei confronti degli imputati PE. e ZI. chiede affermarsi la penale responsabilità dei predetti, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando le pene richieste come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di equivalenza. CONCLUSIONI PELLE PARTI CIVILI: Il difensore della parte civile Banca d'Italia, Avv. St.Ce., conclude chiedendo che la Corte rigetti gli appelli degli imputati Gi., Ma., Pi. e Zo. e confermi la sentenza per quanto riguarda le statuizioni civili a favore delta Banca d'Italia, inclusa la conferma della condanna in solido alla provvisionale. In accoglimento degli appelli della Pubblica Accusa, proposti contro gli imputati Pe. e Zi., chiede estendersi ai medesimi le statuizioni civili in favore della Banca d'Italia e per l'effetto la loro condanna in solido al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da liquidarsi in separato giudizio, con condanna a una provvisionale pari a quella stabilita in primo grado. Per il resto conclude come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022. Il difensore della parte civile CONSOB, Avv. Va.Ci., in sostituzione dell'Avv. Deborah Spedicati, chiede la conferma dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato Gi. per il reato di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza svolte da CONSOB, contestato nel capo d'imputazione NI, e la conferma delle statuizioni civili pronunciate in favore della stessa CONSOB, con condanna al pagamento delle spese per questo grado dì giudizio. Si richiama per il resto alla memoria depositata all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Pa.Ci. (67), chiede l'accoglimento delle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Re.Be. (24), si associa alle conclusioni della Procura Generale e si riporta alle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9,2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca. (55), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca., in sostituzione dell'Avv. Br.Ba. (16), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce. (62), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ca.Sp. (205), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimene deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ro.Pa. (163), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ca.Ma. (140), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delie parti civili, Avv. Ca.Ma., in sostituzione dell'Avv. Ni.D'A. (80), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co. (72), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. An.Bu. (42), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. Na.De. (84), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Si.Ba. (13), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ve.Bo. (40), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. An.Ca. (44), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ma.Ma. (139), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Gi.Vi. (219), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa. (160), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa., in sostituzione dell'Avv. Da.Tr. (211), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Pi.Ce. (63), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. St.An. (7), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Lu.Be. (22), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Al.Le. (127), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23,9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Mo. (156), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Sa., in sostituzione dell'Avv. Pi.Lu. (136), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ra.Di. (92), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Si dà altresì atto che all'udienza del 23.9.2022 le parti civili sotto elencate, su invito del Presidente e con l'accordo delle parti, hanno depositano le rispettive conclusioni scritte con allegate note spese, alle quali si riportano integralmente chiedendone l'accoglimento: (omissis) Il difensore delle parti civili, Avv. Fr.Ra., in sostituzione dell'Avv. An.Fi. (105), dichiara di non presentare conclusioni scritte dei propri assistiti e di riportarsi alle conclusioni già depositate in primo grado, chiedendone l'accoglimento, senza ulteriore deposito, CONCLUSIONI DELLE DIFESE MA., PI. e ZO.: Chiedono in principalità l'assoluzione dei rispettivi assistiti, avanzando richieste subordinate come da rispettivi atti di appello e motivi nuovi successivamente depositati, giusta conclusioni rispettivamente rassegnate alle udienze del 28.9.2022 (ZO.), del 30.9.2022 (MA.) e del 5.10.2022 (PI.), alle quali si riportano. CONCLUSIONI DELLA DIFESA GI.: Dichiara di rinunciare espressamente a tutti i motivi enunciati nell'atto di appello tranne che ai motivi nn. II, III, XIII, XX (quest'ultimo peraltro reso oggetto di rinuncia implicita, come da verbale d'udienza 23.9.2022, quanto alla svolta eccezione di nullità della sentenza), XXI, XXII e XXIII. Quanto al trattamento sanzionatorio invoca la rideterminazione in senso più favorevole come da verbale d'udienza 23.9.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA ZI.: Conclude per l'accoglimento del proprio appello e per il rigetto di quello del Pubblico Ministero, come da verbale d'udienza 5.10.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA PE.: Conclude chiedendo il rigetto dell'appello del Pubblico Ministero e la conferma della sentenza di assoluzione, come da verbale d'udienza 30.9.2022. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. La sentenza Con sentenza 19.3.2021, il Tribunale di Vicenza: - dichiarava Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. responsabili, nelle qualità dai predetti rispettivamente rivestite all'interno della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in LCA.), dei reati, siccome loro rispettivamente ascritti in rubrica (il capo NI era ascritto, fra essi, al solo GI.), di aggiotaggio ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 2637 c.c. (reato di cui al capo A1, commesso in Vicenza nel periodo successivo al 27.4,2013 e sino al 2015, in occasione della pubblicazione dei bilanci di esercizio degli anni 2013 e 2014), di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr 1 c.p., 2638 co. II, III c.c., aggravato dalla natura di società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116 D.L.vo 58/98 (capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1, posti in essere in Vicenza, dal maggio del 2012 all'anno 2015, nelle date di cui ai rispettivi capi di imputazione), di falso in prospetto, ex artt. 61 nr. 2, 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 173 bis D.L.vo 58/98 (capi I ed L, posti in essere, in Vicenza, rispettivamente, il 10 giugno del 2013 ed il 9 maggio del 2014) e, esclusa l'aggravante di cui all'art. 112 nr. 1 c.p., riconosciute a tutti gli imputati le attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alle residue aggravanti contestate ed unificati detti reati sotto il vincolo della continuazione, ritenuto più grave il delitto di cui al capo H1, condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione; - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno; - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Dichiarava i predetti imputati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Disponeva nei confronti dei medesimi la confisca per equivalente sino a concorrenza dell'importo di euro 963.000.000. - Dichiarava non doversi procedere nei confronti degli stessi imputati, con riferimento ai reati di aggiotaggio di cui al capo A1 (limitatamente alle condotte contestate fino alla data del 27.4.2013), perché estinti per prescrizione. - Condannava i suddetti imputati, nei termini seguenti, al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili: - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili private di cui all'elenco allegato alla sentenza (con esclusione, relativamente agli imputati GI. e MA., del risarcimento in favore delle parti private Al.Br., Lo.Al., Lo.Da., Lo.Tr., Pi.So. e To.La.), con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute da dette parti; - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile Banca d'Italia, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore della medesima parte, pari ad euro 601,017,39 oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte civile; - Gi.Em. era condannato al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile CONSOB, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore di detta parte nella misura dì euro 186.570,00, oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte avite. - Assolveva Pe.Ma. e Zi.Gi. dai reati loro ascritti perché il fatto non costituisce reato. - Dichiarava, inoltre, Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) e, riconosciuta l'attenuante ex art. 12, co. II, lett. a) D.L.vo 231/01 ed applicata la disciplina della pluralità di illeciti ex art. 21 D.L.vo cit., condannava detto ente al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 364.000,00, oltre al pagamento delle spese processuali, disponendo inoltre, nei confronti del medesimo ente, la confisca della somma di euro 74.212.687,50. - Disponeva, con riferimento alla posizione di Zo.Gi., la trasmissione degli atti al P.M. in relazione all'ipotesi di reato contestata sub capo N1; - Dichiarava improcedibile la domanda risarcitoria avanzata nei confronti del responsabile civile Banca (...) in L.C.A. 1.1 Gli addebiti L'affermazione di penale responsabilità attiene alle vicende emerse a seguito dell'ispezione avviata dalla squadra inviata presso l'istituto di credito vicentino dalla BCE nel febbraio del 2015 in relazione a irregolarità emerse nella gestione dell'attività d'impresa bancaria, irregolarità rappresentate: - dal sistematico ricorso della banca al sostegno finanziario concesso ai clienti/soci per l'acquisto di azioni proprie sul mercato primario e su quello secondario; - dal rilascio, in favore dei soci, di lettere con le quali l'istituto assumeva l'impegno al riacquisto delle azioni ovvero forniva garanzie di rendimento dei titoli; - dagli "storni" di interessi, autorizzati dagli organi di vertice dell'istituto onde neutralizzare i costi dei finanziamenti all'uopo erogati dalla Banca; - dagli investimenti di consistenti risorse in fondi esteri poi utilizzati, almeno in parte, per la detenzione indiretta dì azioni proprie. Tali anomalie operative, per effetto dei provvedimenti adottati all'esito dell'ispezione BCE del febbraio del 2015, avevano generato un impatto negativo sotto il profilo patrimoniale, stimato in circa un miliardo di euro di deduzioni dal patrimonio di vigilanza, come confermato dalla stessa banca verificata nella relazione semestrale del 30.6.2015 e, quindi, nel bilancio d'esercizio 2015. Ne era seguita anche l'iscrizione di rettifiche relative a crediti deteriorati per circa 1,3 miliardi di euro. Quindi, nel 2016, la banca aveva deliberato un piano di rafforzamento patrimoniale che tuttavia non era andato a buon fine (con particolare riferimento all'aumento di capitale, previsto nella consistente misura di 1,5 miliardi, tanto che il Fondo (...) aveva rilevato la proprietà dell'istituto sottoscrivendo aumenti di capitale per complessivi 2,3 miliardi). Di qui la dichiarazione, da parte della BCE, dello stato di dissesto o di rischio di dissesto e, successivamente, ravvio della procedura di LCA, decisa con decreto del Ministro dell'Economia del 25.6.2017. Con sentenza 21.12.2018, poi, il tribunale di Vicenza aveva dichiarato lo stato di insolvenza dell'istituto di credito. E' in questo contesto di crisi - successivamente sfociato, come appena precisato, nella dichiarazione dello stato di insolvenza - che si inscrivono le condotte di aggiotaggio manipolativo ed informativo, di ostacolo alla vigilanza della Banca d'Italia, della BCE e (quanto al solo imputato GI.) della CONSOB, nonché di falso in prospetto, condotte che costituiscono (oltre agli illeciti amministrativi contestati all'ente Banca (...) in L.C.A.) gli addebiti ritenuti provati nella pronunzia del tribunale di Vicenza. In particolare gli imputati, nelle loro rispettive qualità di esponenti di vertice dell'istituto bancario, avrebbero posto in essere una serie di azioni coordinate finalizzate alla manipolazione del mercato, attraverso una artificiosa rappresentazione di una solidità patrimoniale della banca in realtà inesistente e della liquidità del titolo azionario, mediante la sistematica concessione di assistenza finanziaria ai clienti per l'acquisto di azioni della banca, l'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo del valore delle azioni finanziate ed il mantenimento di un valore sovradimensionato del suddetto titolo (aggiotaggio manipolativo). Avrebbero, altresì, diffuso informazioni mendaci (prevalentemente attraverso la emissione di comunicati stampa indirizzati al mercato ed ai soci) inerenti alla situazione della banca, alla liquidità del titolo azionario e al pieno successo delle operazioni di aumento di capitale effettuate negli anni 2013 e 2014 (aggiotaggio informativo). Inoltre avrebbero posto in essere condotte di ostacolo alla vigilanza ai danni della Banca d'Italia e della BCE occultando la sistematica attività di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie e in tal guisa impedendo l'adozione di tempestivi piani di vigilanza coerenti con la reale situazione della banca, conseguendo, inoltre, l'autorizzazione alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale primario di classe 1 e superando positivamente, infine, il Camprehensive Assessment (ovverosia l'esercizio di valutazione approfondita con il quale la BCE aveva verificato lo stato di salute delle principali banche europee) con l'effetto di accedere al Meccanismo Unico di Vigilanza. Il solo GI., poi, avrebbe ostacolato la vigilanza della CONSOB in relazione all'aumento di capitale 2014, omettendo la rappresentazione delle operazioni commerciali finalizzate alla promozione dell'aumento di capitale in questione. Ulteriori condotte delittuose poste in essere dagli imputati, infine, sarebbero state quelle di falso in prospetto in relazione alla predisposizione e diffusione dei prospetti informativi inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni all'atto degli aumenti di capitale degli anni 2013 e 2014. Nell'occasione, infatti, per un verso, sarebbero state occultate le informazioni inerenti al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie; e, per altro verso, sarebbero state comunicate informazioni fuorvianti in merito all'andamento del mercato secondario delle azioni stesse. Nel complesso si sarebbe trattato di condotte tutte avvinte da un evidente nesso di strumentalità in quanto sistematicamente ispirate dalla medesima intenzione, da un lato, di creare un'apparenza di liquidità del titolo azionario e, dall'altro, di accreditare la solidità patrimoniale dell'istituto di credito. Solo in quest'ottica, del resto, nella prospettiva d'accusa, sarebbero interpretabili le condotte dei singoli imputati, altrimenti del tutto prive di senso, posto che le corrette attività di appostazione della riserva di bilancio e di scomputo del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza avrebbero reso prive di ogni effetto le operazioni correlate. Di qui la contestazione della responsabilità concorsuale degli imputati. 1.2 Il compendio probatorio Il giudizio di penale responsabilità scaturiva dalla valutazione coordinata di un panorama probatorio assai vasto e composito, segnatamente costituito da elementi di natura testimoniale (deposizioni degli agenti operanti, di ex dirigenti dell'istituto di credito, nonché di funzionari e dipendenti della banca, di clienti, ecc.) e documentale (e-mail, documenti contabili, verbali del CdA, piani industriali, ecc.), dagli esiti di operazioni di intercettazione telefonica, nonché dalle conclusioni cui erano pervenute approfondite attività di ispezione; conclusioni, queste ultime, che erano state dapprima documentate attraverso l'acquisizione delle relative relazioni e, quindi, confermate e precisate in sede di escussione dibattimentale degli ispettori e dei funzionari di vigilanza. Inoltre un rilievo significativo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato anche all'approdo cui era pervenuta la meticolosa attività di ricostruzione di quegli aspetti della gestione aziendale rilevanti ai fini della compiuta comprensione delle reali dinamiche e della esatta portata del fenomeno delle operazioni di capitale finanziato siccome effettuata dai consulenti tecnici del P.M.. Costoro, in effetti, avevano ripercorso, attraverso uno scrupoloso vaglio della notevole mole della documentazione disponibile, tutte le singole operazioni giungendo ad una precisa quantificazione del fenomeno; quantificazione, peraltro, sostanzialmente allineata, seppure per difetto, ai dati indicati dalla stessa banca nella Relazione sulla Gestione dei bilanci 2015-2016 (euro 1086,9 mln). Le indagini della GdF, poi, avevano consentito di riscontrare le evidenze ispettive e di delineare compiutamente il contributo fornito dai singoli imputati. Infine, anche la relazione ex art 33 L.f. - nella quale erano stati compendiati gli esiti di un accurato esame dei bilanci e degli indici di redditività, efficienza e solidità patrimoniale, nonché dei margini di struttura essenziale dell'istituto di credito - aveva rappresentato un prezioso contributo (peraltro convergente con le ulteriori risultanze processuali) per l'esatta comprensione del fenomeno del capitale finanziato. 1.3 La competenza Il tribunale, dopo avere premesso che la questione della competenza territoriale avrebbe dovuto essere valutata alla stregua delle indicazioni contenute nell'imputazione nonché delle allegazioni delle parti unicamente relative al fatto storico siccome stigmatizzato nell'imputazione medesima (fatta salva l'ipotesi - espressamente esclusa dal primo giudice - che dal capo di incolpazione emergessero macroscopici errori, immediatamente rilevabili come tali), ribadiva la competenza territoriale dell'a.g. vicentina, siccome già affermata (in sede di udienza preliminare e, quindi, negli atti preliminari al dibattimento), ritenendo le eccezioni difensive inammissibili e, comunque, infondate. Sotto il primo profilo il tribunale di Vicenza, per un verso, richiamava il contenuto della decisione della Corte di Cassazione (Cass. Sez. I, nr. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018) che - già investita della questione a seguito di conflitto negativo sollevato dal GIP di Milano - aveva in tal senso deliberato, la trama argomentativa della quale veniva dal primo giudice puntualmente ripercorsa; per altro verso evidenziava il difetto di fatti nuovi idonei a superare tale decisione (posto che il capo di incolpazione, medio tempore, non aveva subito sostanziali modifiche), concludendo, quindi, per la vincolatività della decisione medesima. In ogni caso, sotto il secondo profilo (quello dell'infondatezza delle eccezioni di incompetenza), il tribunale respingeva le ricostruzioni difensive che individuavano in Roma il luogo di commissione del più grave reato contestato sub B1, trattandosi del luogo nel quale aveva sede la Banca d'Italia e ove, pertanto, detto istituto aveva ricevuto il rendiconto ICAAP (Internal Capital Adequacy Assessment Process), al momento della ricezione (ovvero della valutazione) del quale - sempre secondo le prospettazioni difensive -, atteso il contenuto asseritamente decettivo del documento in questione, si sarebbe verificato l'evento di ostacolo. Ciò in ragione del fatto che la falsa informazione - sub specie di "occultamento fraudolento" - contenuta in tale documento non rientrava affatto nel perimetro dell'imputazione di riferimento; imputazione che - precisava il primo giudice - circoscriveva al periodo ricompreso tra l'inizio e la fine dell'ispezione il momento di commissione delle attività di intralcio alla vigilanza. Assegnare rilievo, sul punto, all'invio del citato documento da parte del coimputato So.Sa. (posizione stralciata e giudicata separatamente), infatti, avrebbe significato modificare indebitamente il capo di imputazione (peraltro inserendovi una condotta che, nella sua materialità, sarebbe stata espressione di una differente modalità di aggressione al bene giuridico presidiato dalla fattispecie incriminatrice), con conseguente contestazione di un fatto nuovo. Più nel dettaglio il tribunale non condivideva le osservazioni difensive, le quali: - da un lato evidenziavano come il capo di imputazione sub B1, là dove faceva riferimento all'occultamento o, comunque, alla mancata comunicazione di informazioni, necessariamente ricomprendesse, tra le comunicazioni "fuorvianti", anche la suddetta comunicazione ICAAP (sulla base della quale, del resto, l'ente incaricato della vigilanza aveva determinato l'oggetto dell'attività ispettiva che di lì a poco avrebbe svolto presso la sede dell'istituto vigilato); - dall'altro lato contestavano che dall'indicazione del tempus commissi delicti siccome precisato in imputazione potessero desumersi effetti decisivi in ordine alla delimitazione del perimetro dell'imputazione, trattandosi di indicazione - espressione dell'avvenuta, censurabile selezione, da parte del P.M., di una sorta di "finestra temporale" non corrispondente alle evidenze disponibili - non certo prevalente, sempre secondo le difese, rispetto alla descrizione del fatto siccome esposto nel capo di imputazione medesimo. Ad avviso del primo giudice, invero, la prospettazione d'accusa era chiara nell'individuare l'oggetto dell'addebito nelle condotte poste in essere nel corso dell'attività ispettiva, condotte rispetto alle quali l'invio della citata comunicazione ICAAP costituiva un fatto autonomo, estraneo a quello contestato sub B1 e neppure preso in considerazione come antecedente causale delle medesime condotte incriminate. Conclusivamente, l'eccezione di incompetenza territoriale, avanzata in relazione all'asserito rilievo da assegnarsi, sul punto, alla citata comunicazione ICAAP, oltre ad essere inammissibile per difetto di sopravvenienze rilevanti ex art, 25 c.p.p. (l'addebito di riferimento essendo rimasto inalterato rispetto all'imputazione provvisoria valutata dalla citata Cass. 15537/2018), era comunque infondata. Infine, neanche poteva sostenersi la competenza territoriale dell'a.g. milanese, pure prospettata da talune difese facendo leva sulle contestazioni di falso in prospetto di cui ai capi I ed L della rubrica. Si era in presenza, infatti, di reati puniti con pena edittale inferiore rispetto a quella prevista per il reato ex art. 2638 c.c., siccome nella specie aggravato ai sensi del comma terzo. In effetti, il raddoppio delle pene previsto dall'art. 39 co. 1 L. 262/05 non poteva ritenersi applicabile alla fattispecie in esame, in quanto modificata, anche in punto di trattamento sanzionatorio, dal medesimo intervento legislativo, come arguibile dalla ratio di detto intervento, quale ricavabile tanto dal tenore della disposizione ex art. 39, co. 3 L. cit., quanto dai relativi lavori preparatori. In ogni caso - e fermo, comunque, il principio di irretrattabilità del foro commissorio sancito dall'art. 25 c.p.p., - anche i reati di cui ai predetti capi I ed L erano stati commessi in Vicenza, presso la sede della banca vicentina, all'atto della pubblicazione dei prospetti informativi, tale essendo il momento consumativo del reato (e non già in Milano, sede della CONSOB, presso la quale detti prospetti erano stati depositati per l'approvazione). Donde la conferma della competenza del tribunale berico. 1.4 Il patrimonio di vigilanza e l'acquisto di azioni proprie: quadro normativo di riferimento Il tribunale, dopo avere esplicitamente richiamato il quadro normativo in ordine alla vigilanza informativa, regolamentare ed ispettiva sul settore bancario ed avere puntualmente delineato nozione e caratteristiche del "patrimonio di vigilanza" (nella sua accezione più ampia rispetto al semplice "patrimonio aziendale", in quanto ricomprendente, oltre al capitale sociale e alle riserve, anche gli strumenti di natura non strettamente patrimoniale ma rappresentanti "canali di patrimonializzazione"), precisava come, alia stregua delle disposizioni in materia, il "patrimonio di vigilanza" dovesse necessariamente corrispondere quantomeno all'ammontare del patrimonio interno assorbito dalle attività bancarie, in ragione della funzione assegnatagli di copertura dei rischi di mercato, operativo e di credito. Quindi, richiamati gli indici di riferimento per la valutazione delia capacità degli istituti di credito di sostenere le proprie attività in presenza dei rischi tipici ed evocata, altresì, la più recente disciplina di riferimento, il primo giudice precisava come il patrimonio di vigilanza complessivo dovesse intendersi costituito dalla somma algebrica tra il "patrimonio di base o capitale di classe 1" (Tier 1) e il "patrimonio supplementare o capitale di classe 2" (Tier 2), intesi come insieme di risorse capaci di assorbire le perdite, rispettivamente, in condizioni di continuità di impresa, ovvero di stato di crisi-In un siffatto contesto - proseguiva il tribunale - l'attività di vigilanza della Banca d'Italia assolveva, tra l'altro, alla funzione di valutare se gli strumenti finanziari emessi dagli istituti di credito fossero o meno computabili come strumenti di capitale primario, con la precisazione che, tra gli strumenti destinati ad essere integralmente dedotti dal capitale primario, rientravano certamente gli investimenti in azioni proprie (ivi comprese quelle che la banca fosse stata contrattualmente obbligata ad acquistare), e questo all'evidente fine di evitare il doppio computo del capitale. Con specifico riferimento al periodo interessato dalle imputazioni (2012-2015), poi, il giudice di prime cure puntualizzava come la composizione del patrimonio di vigilanza fosse disciplinata dalle Circolari della Banca d'Italia n. 263 del 27.12.2006 e n. 155 del 18.12.1991, circolari che, identificando il patrimonio di vigilanza come la somma algebrica tra il patrimonio di base (Tier 1) e il patrimonio supplementare (Tier 2), al netto delle deduzioni, esigevano che il rapporto tra il Tier 1 ed il totale delle esposizioni creditizie ponderate non dovesse essere inferiore al 4,00% e che il patrimonio di vigilanza, inteso come la somma di patrimonio di base Ver 1 e patrimonio supplementare Tier 2, dovesse essere almeno pari all'8% delle attività ponderate per il rischio. La Circolare n. 263/2006, poi, non prevedeva alcuna autorizzazione della Banca d'Italia per la computabilità delle azioni proprie nel patrimonio di vigilanza. Inoltre, a decorrere dal 2014, la disciplina di riferimento era costituita dal regolamento UE n. 575/2013 (Capital Requirements Regulation - CRR) e dalla Circolare della Banca d'Italia n. 286 del 17 dicembre 2013, con l'effetto che alla nozione di patrimonio di vigilanza era subentrata quella di "fondi propri" (costituiti dalle tre componenti: CET1, Additional Tier 1 e Tier 2), Secondo il CRR le banche avrebbero dovuto disporre di un requisito di capitale primario di classe 1 (CET) pari al 4,5% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio, di un requisito di capitale di classe 1 (Tier 1) pari al 6% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio e, infine, di un patrimonio di vigilanza totale (patrimonio di base più patrimonio supplementare) pari all'8% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio. Ciò posto, il primo giudice, con riferimento al tema dell'acquisto delle azioni proprie da parte di un istituto di credito, richiamava i limiti progressivamente sempre più stringenti introdotti sul punto, oltre alle specifiche condizioni legittimanti le autorizzazioni in materia da parte dell'autorità di vigilanza, sottolineando come il principio dell'obbligatoria deduzione dal patrimonio di vigilanza delle azioni riacquistate fosse rimasto immutato nel tempo, trattandosi di principio (nel periodo 2006-2013 previsto dalle citate circolari della Banca d'Italia, come progressivamente aggiornate) essenziale per la tutela dei terzi, posto che, nel momento in cui la banca finanziava l'acquisto di azioni proprie, l'apporto patrimoniale era destinato ad assumere carattere fittizio, inidoneo a incrementare il patrimonio destinato alla copertura di rischi e perdite aziendali. E, in proposito, il primo giudice delineava puntualmente il regime prudenziale previsto successivamente all'1.1.2014, regime nel cui ambito rilevava anche il processo interno di autodeterminazione dell'adeguatezza patrimoniale che gli istituti di credito erano chiamati ad effettuare e di cui avrebbero dovuto comunicare gli esiti alfa Banca d'Italia attraverso una apposita comunicazione (ICAAP) - la responsabilità della quale era rimessa agli organi societari di amministrazione e di controllo - destinata ad illustrare le caratteristiche di tale processo. Era proprio il resoconto ICAAP - proseguiva il tribunale - a consentire all'organo di vigilanza di effettuare una valutazione completa (destinata a concludersi con l'attribuzione di un punteggio ricompreso tra 1 e 5) delle caratteristiche qualitative fondamentali (attraverso un'attività di supervisione denominata SREP/Supervisory Review Evaluation Process, caratterizzata anche da un confronto diretto tra organo di vigilanza ed istituto vigilato). 1.5 La ricostruzione dei fatti. 1.5.1 L'ispezione della BCE del febbraio 2015 ed i riscontri all'analisi BCE. In ordine all'ispezione BCE del febbraio 2015 - avviata dopo che una serie di evidenze (ivi compresa la pubblicazione, a ottobre del 2014, di un articolo sul quotidiano "Il Sole 24 Ore", a firma Cl.Ga., nel quale si era fatto espresso riferimento proprio al tema del finanziamento delle azioni) avevano fatto emergere come la B. avesse riacquistato azioni proprie in difetto della previa autorizzazione alla vigilanza - il Tribunale precisava che detta ispezione, svoltasi dal febbraio al luglio del 2015, aveva effettivamente dimostrato il diffuso ricorso da parte dell'istituto di credito ad operazioni di assistenza finanziaria ai soci per l'acquisto di azioni proprie; azioni che, proprio in quanto acquistate con finanziamenti concessi dall'emittente, non avrebbero dovuto essere conteggiate nel patrimonio di vigilanza (ovverosia nei "fondi propri", secondo la terminologia adottata dall'art. 28, par. 1, lett. B, CRR). Sulla base, in particolare, della puntuale deposizione dell'ispettore Em.Ga. (responsabile del team della vigilanza), il primo giudice ricostruiva dettagliatamente natura, svolgimento ed esiti dell'ispezione in questione. Ebbene, si era trattato di una ispezione sul rischio di mercato, finalizzata, nell'ordine: - a verificare eventuali fenomeni di assistenza finanziaria relativi alle operazioni di aumento di capitale; - a controllare la corretta valutazione del prezzo delle azioni; s ad analizzare, infine, le operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi sottoscritti alla fine del 2012 dalla banca vigilata. L'arco temporale di riferimento assunto dagli ispettori era stato quello tra il 1.1.2014 ed il 28.2.2015. Il c.d. "mini aucap", poi, non era stato incluso nell'accertamento perché, in tale occasione, la banca aveva effettuato operazioni dì taglio piccolo (6250 euro/100 azioni) per le quali aveva espressamente previsto la possibilità di finanziamento da parte dello stesso istituto di credito, con corretta deduzione delle azioni acquistate dal patrimonio di vigilanza. Per il mercato secondario, poi, erano state analizzate tutte le operazioni per un controvalore superiore ai 250.000 euro. Quanto alla metodologia operativa seguita per intercettare le operazioni di capitale finanziato erano stati adottati criteri dì tipo quantitativo e qualitativo. Sotto il primo profilo erano state tracciate le operazioni caratterizzate da "una relazione forte" tra ammontare finanziato e sottoscritto (nel senso che il "finanziato" avrebbe dovuto essere superiore al "sottoscritto", sia con riferimento alle operazioni "full", ovverosia quelle in cui l'intero finanziamento era stato utilizzato per l'acquisto delle azioni; sia a quelle cc.dd. "fifty-fifty", ovverosia nelle quali solo una parte del finanziamento era stato impiegato per l'acquisto dei titoli). In ordine al dato temporale erano stati analizzati, in relazione al mercato primario, solo i finanziamenti concessi nel "periodo sospetto", ricompreso tra la data di inizio del collocamento e il giorno della consegna del titolo al cliente (c.d. delivery date), pari a circa tre mesi. Diversamente, in ordine al mercato secondario, erano state analizzate tutte le operazioni di acquisto in cui i finanziamenti erano stati erogati nei tre mesi antecedenti (posto che dai colloqui avuti con Se.Ro., addetto all'ufficio soci, gli ispettori avevano appreso che la tempistica media seguita dalla banca per evadere un ordine di acquisto di azioni non superava, per t'appunto, ì 90 giorni circa). In ogni caso - precisava il tribunale - gli ispettori avevano verificato che, generalmente, ì finanziamenti erano risultati concessi pochi giorni prima dell'esecuzione dell'ordine di acquisto. Altri elementi considerati ai fini ispettivi erano stati l'analisi dei conti, quasi tutti caratterizzati da bassissima operatività, nonché la valutazione delle P.E.F., (ovverosia le pratiche elettroniche di fido), risultate costantemente connotate dall'indicazione di causali estremamente generiche e ripetitive e, pertanto, ritenute sintomatiche di "operazioni eccentriche". Inoltre, anche la circostanza che le operazioni fossero "operazioni in bianco" (ovverosia prive di garanzia) costituiva una prassi anomala rispetto ai normali standard creditizi di sana e prudente gestione del portafogli creditizio di una banca. Quindi, con specifico riferimento agli esiti dell'ispezione, il tribunale illustrava le seguenti evidenze: a) l'esistenza di capitale finanziato per un importo complessivo di 506 milioni, capitale che, proprio in quanto oggetto di finanziamento, avrebbe dovuto essere detratto dal patrimonio di vigilanza; b) il rilascio di lettere di impegno collegate ad acquisti sul mercato secondario (peraltro non registrate nella contabilità aziendale né rappresentate nei documenti di bilancio) con le quali l'istituto si era vincolato al rimborso del capitale investito dagli azionisti nella banca, A fine ispezione, in relazione a tali lettere di impegno (la scoperta delle quali - precisava il tribunale sulla scorta della deposizione del teste Em.Ga. - aveva rappresentato un vero e proprio punto di svolta nell'ispezione, trattandosi della prova documentale della consapevolezza, da parte del management, del carattere finanziato dell'acquisto delle azioni), l'istituto era stato costretto a dedurre dal CET 1 circa 21 milioni di euro; c) il fenomeno degli storni di interessi alla clientela fonde tenerla indenne dei costi derivanti dal finanziamento correlato all'acquisto delle azioni). In alcuni casi si era trattato di storni non "baciati" da finanziamenti e, pertanto, sintomatici di un comportamento concludente dell'azienda finalizzato a riconoscere al cliente un corrispettivo per il possesso delle azioni, con conseguente accrescimento dei rischi legale e reputazionale a carico dell'azienda medesima. Peraltro la pratica degli "storni" aveva generato un vincolo sul rendimento delle azioni tale da precluderne la computabilità nel patrimonio di vigilanza; d) la sopravvalutazione del valore dell'azione, valore deciso a monte dal CdA senza considerare i dati fondamentali dell'azienda sotto il profilo economico-patrimoniale; profilo, in effetti, caratterizzato da risultati economici modesti; e) lo squilibrio del mercato secondario delle azioni, in quanto connotato da una marcata asimmetria tra ordini di acquisto e ordini di vendita (572,5 milioni contro 1.000.000,000, nel periodo gennaio 2013 - dicembre 2014); asimmetria, peraltro, risultata all'origine proprio del ricorso al capitale finanziato, quale strumento per contrastare l'illiquidità del titolo; f) l'investimento per euro 350,000.000 nei fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" ad esposizione sconosciuta, effettuato in modo non prudente né trasparente. Si trattava, in effetti, di fondi ad esposizione non comunicata, dei quali, sostanzialmente, B. era sottoscrittore unico (sicché, più che di fondi, si era in presenza di una gestione patrimoniale delle risorse dell'istituto di credito). Né i dirigenti della banca avevano fornito delucidazioni agli ispettori sulla natura degli investimenti in detti fondi se non a seguito della comunicazione che la mancata disclosure avrebbe comportato lo scomputo dell'intero importo di 350 milioni di euro dal patrimonio di vigilanza. Solo a quel punto, infatti, erano stati comunicati gli investimenti sottostanti ed era così emerso non solo che detti fondi avevano investito in asset in buona parte legati allo stesso istituto di credito ma, soprattutto, che i fondi medesimi erano stati lo strumento utilizzato per l'acquisto di azioni proprie, nel 2012, per un importo di 60 milioni di euro (in luogo di quello dichiarato di 54 milioni circa), titoli poi dismessi al 31 dicembre del 2014; g) l'esistenza della società di diritto irlandese B.Fi., utilizzata anche per alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato (operazioni relative, segnatamente: a) alla campagna "svuota fondo" 2012, tradottasi nell'acquisto dì azioni proprie, per il valore complessivo di 30 milioni di euro, per il tramite delie società italiane denominate Pe., Gi. e Lu., all'uopo provviste del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate da B.Fi.; b) alla dismissione delle azioni proprie detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" ed "(...)" ed acquistate, per una rilevante percentuale, dalla società So. Ltd. a mezzo di un finanziamento erogatole dalla predetta società di diritto irlandese B.Fi.). In definitiva - precisava il primo giudice - gli esiti cui era pervenuta l'attività ispettiva avevano generato un impatto deflagrante sul patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito, comportandone la riduzione per un valore di 607 milioni di euro (come da tabella riassuntiva riportata a pag. 288 della sentenza impugnata). Ne era seguita la predisposizione di un radicale piano di rafforzamento del capitale, onde consentire alla banca di rientrare immediatamente nei parametri richiesti dalla BCE. Nondimeno, nel prosieguo, la verificata impraticabilità degli interventi necessari a ripristinare la corretta operatività dell'istituto ne aveva imposto la liquidazione coatta amministrativa. Quindi, in ordine alla capacità probatoria da riconoscersi, nei limiti delineati dalla giurisprudenza di legittimità, agli accertamenti ispettivi, il tribunale precisava che tale capacità derivava, segnatamente, dalla competenza del personale dell'organo di vigilanza; dalla imparzialità propria dì tale organo (le cui valutazioni, del resto, avevano determinato un nuovo assetto di governance dell'istituto di credito); dalla coerenza, infine, tra gli esiti dell'ispezione e quanto verificato dai consulenti del P.M.. Peraltro anche il dott. Fe.Pa., consulente della difesa dell'imputato PE., aveva rimarcato il carattere "profondamente innovativo" e metodologicamente "ineccepibile" dei criteri seguiti dal team ispettivo nel corso della vigilanza, sottolineando anche la natura prudenziale dell'accertamento (sottostimato) che ne era derivato in punto di quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre - precisava il tribunale - numerosi erano stati i riscontri all'analisi della BCE. Trattavasi: a) dello squilibrio del mercato secondario, siccome manifestatosi a partire dal 2011 (squilibrio che, in difetto del ricorso al finanziamento delle azioni, avrebbe portato al "blocco della liquidità" già dal secondo trimestre del 2012; b) delle dichiarazioni di numerosi esponenti del management aziendale (segnatamente: i testi Fi.Ro., responsabile dell'Ufficio Soci, e Se.Ro., addetto allo stesso Ufficio Soci, i quali avevano rievocato l'incremento della richiesta di vendita delle azioni a partire dagli anni 2011/2012 e l'abbandono del relativo criterio cronologico a decorrere dallo stesso 2011; il teste Co.Tu., il quale aveva riferito che già dal 2009 erano state effettuate "operazioni svuota fondo" - rivolte cioè ad azzerare il fondo acquisto azioni proprie della banca - a ridosso della fine dell'anno per abbellire il bilancio; il teste Ma.Ba., il quale aveva dichiarato che dalla metà del 2011 aveva iniziato a sentire parlare di "operazioni K", finanziamenti correlati e operazioni c.d. "baciate" nel corso delle riunioni della Divisione Mercati con i capi area; l'ex direttore generale dal 2001 al 2005 e dal 2008 all'ottobre 2011, Di.Gr., il quale aveva confermato le tensioni sul mercato a causa della scarsità di domande di acquisto delle azioni, tensioni da lui fronteggiate rivolgendosi a investitori istituzionali che avevano comprato azioni B. con intesa verbale di riacquisto); c) degli appunti del segretario generale Ma.So. relativi alle operazioni c.d. "baciate", dal medesimo teste definite come operazioni sulle quali, dietro indicazione dei vertici aziendali, occorreva "spingere" per aumentare il capitale; d) degli ulteriori riscontri documentali in ordine all'andamento asimmetrico del mercato secondario (in particolare la e-mail di cui al documento nr. 166 e l'appunto di cui al documento 881 prodotti dal P.M. - cfr. pag. 304 della sentenza impugnata); e) delle attività "svuota fondo", attuate anche attraverso le operazioni c.d. "baciate" (per un importo stimato dai CCTT del P.M., con riferimento all'anno 2012, pari a 287 milioni di euro), delle quali avevano complessivamente riferito svariati testi (segnatamente i testi Fi.Ro., En.Da., Gi.Ca., Ma.Ba., Co.Tu. e Fr.Pi.); f) delle stesse dichiarazioni rese, nel corso del suo esame, dall'imputato Gi.Zi. (il quale aveva riferito che alla fine del 2012, attraverso la sua società Ze. s.r.l. aveva acquistato azioni dell'istituto di credito per "dare una mano alla banca" e consentire lo sblocco di richieste di vendita inevase); g) della ricostruzione del fenomeno del capitale finanziato siccome effettuata dall'Internal audit (e compendiata nel documento nr. 22 prodotto dal P.M.); h) delle dichiarazioni dibattimentali del teste Ro.Ri., gestore private di Contrà Porti (il quale aveva riferito delle modalità di attuazione delle operazioni più consistenti di capitale finanziato - i cc.dd. "big ticket" -caratterizzate da un arco temporale ristretto di 6/12 mesi e dalla corresponsione di un compenso variabile tra lo 0,50% e il 2%); i) delle articolate modalità di occultamento delle operazioni correlate, costituite, segnatamente: dal divieto di comunicazioni scritte (come riferito dai testi Co.Tu., Al.Cu. e Gi.Gi.; il teste Fr.Te., dal canto suo, aveva parlato di un eccesso di riservatezza al riguardo); dall'utilizzo di formule generiche nelle causali degli affidamenti (in particolare "cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare e/o immobiliare") tali da occultare all'esterno - ma, al contempo, da rendere immediatamente riconoscibili all'interno - le operazioni correlate; dal distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni; dalla cura prestata nell'evitare l'assoluta coincidenza di importo tra finanziamento ed azioni acquistate; e, infine, dall'inserimento nel portafoglio titoli dei clienti anche di azioni diverse; j) dell'esistenza delle lettere di impegno (l'Internal audit ne aveva censite in numero di 65); k) degli "storni" di interessi, siccome verificati anche dalle attività di audit (il documento richiamato era quello nr. 18 della produzione del P.M.) e oggetto di deposizione testimoniale (segnatamente, le deposizioni di Da.Es., funzionario addetto al "Risk Management", nonché quelle di Co.Tu., di Gi.Ca. e di Lu.Ve.); l) delle modalità seguite per il collocamento delle azioni quali evidenziate, ancora, dalla relazione di audit (modalità costituite: dall'acquisto con mezzi propri a fronte della promessa di una remunerazione proveniente dal pagamento dei dividendi, associata all'eventuale plusvalenza del prezzo dell'azione con eventuali scostamenti compensati attraverso storni di competenze non giustificati; dall'acquisto con mezzi propri di azioni B. per circa il 50% dell'importo disponibile e sottoscrizione per la parte rimanente di un time deposit a tasso di favore, in linea di massima del 4%, acquisto, questo, proposto a partire dal 2013; da finanziamenti "baciati" con storno competenze/spese e rendimento garantito, con durata, in genere, di 6/12 mesi; da fidi per "operazioni K" concessi a clienti cui era proposto un affidamento per ragioni proprie del cliente e con erogazione condizionata alla sottoscrizione di almeno il 10% dell'operazione per acquisto di azioni proprie; operazione, questa, poi estesa anche alle posizioni con fidi a revoca da revisionare su clienti individuati in tabulati forniti dalla Divisione Mercati; dall'acquisto di azioni proprie proposto in occasione di affidamenti su clientela con rating compreso tra 1 e 5 per il retati (ovverosia per i singoli clienti) e tra 1 e 6 per il corporate (ovverosia per le imprese); m) dei riscontri dibattimentali in ordine alla prassi adottata dai vertici dell'istituto per dare attuazione alle operazioni correlate con l'obiettivo di raggiungere, sia in occasione dei nuovi finanziamenti che nelle procedure di rinnovo, il rapporto del 10% tra il capitale sottoscritto e l'importo erogato. Dalle dichiarazioni dei testi, invero, era emersa la forte pressione praticata sulla rete aziendale per la conclusione delle operazioni "baciate" (deposizioni Al.Ba., Gi.Gi., Co.Tu., Ma.Ni., Di.Ip., Al.Cu.) al punto tale che alcuni collaboratori, come i private banker An.Vi. e Fr.Te., avevano rassegnato le dimissioni (il Te. proprio sul rilievo della contrarietà etica rispetto alle operazioni di capitale finanziato). Il verbale di conciliazione successivo alle dimissioni del Te., peraltro, aveva previsto l'inserimento di una clausola di riservatezza. Anche i bollettini sindacali acquisti nel corso del dibattimento, infine, avevano comprovato, così come le e-mail parimenti acquisite, le pressioni per il raggiungimento degli obiettivi di capitale assegnati (cfr. pagg. 317-318 della sentenza); n) delle dichiarazioni dibattimentali rese da clienti di rilievo (cfr. dep. Lo., Fe., Mo., Ro., To., Ti., Ma., Ca., Ma., Br., Ca., Gi. e Si.Ra.) che avevano concluso le operazioni aventi ad oggetto i "big ticket', là dove costoro avevano concordemente delineato lo schema operativo di riferimento (operazione a termine/apertura conto corrente dedicato/remunerazione variabile tra lo 0,5% e l'1%); o) delle dichiarazioni rese dall'ispettore Gi.Ma. (confermate dalla testimonianza del direttore regionale B. della Lombardia, della Liguria e del Piemonte, Gi.Gi. e dal direttore di B.Fi. Pi.Ra.) con specifico riferimento alle modalità operative seguite per realizzare lo "svuota fondo" del 2012 attraverso la società controllata irlandese B.Fi. per il tramite delle tre società italiane Pe., Lu. e Gi., all'uopo provviste -come detto sopra - del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate, per l'appunto, da B.Fi.; p) dell'operazione di acquisto di un'importante frazione delle azioni B. già detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", effettuata dalla società So. Ltd. per l'importo di 25 milioni di euro, secondo quanto emerso dalle stesse risultanze delle attività di revisione interna nonché dal contenuto delle deposizioni dibattimentali, ivi compresa quella di Iorio Francesco, amministratore delegato e d.g. di B. dal 1.6.2015 al 4,12,2016; questi aveva confermato come, di fatto, i suddetti fondi esteri fossero stati utilizzati sia per acquistare in origine azioni della banca sia per effettuare investimenti in società riconducibili a soggetti già finanziati dall'istituto (investimenti, questi ultimi, che, generando un rischio aggiuntivo, avrebbero imposto che fosse seguito un iter autorizzativo ben diverso, con competenza al rilascio del benestare da parte del CdA - cfr. pagine 325-329 della sentenza); q) delle dimissioni del private banker An.Vi., generate dalle pressioni ricevute per concludere le operazioni "baciate" e dall'atteggiamento dilatorio assunto dal d.g. Sa.So. a seguito delle conseguenti richieste di approfondimento della vicenda provenienti dal responsabile dell'audit Ma.Bo. (cfr. deposizione Vi. e documentazione di riferimento); r) della denunzia del fenomeno degli acquisti correlati effettuata, nel corso dell'assemblea del 26 Aprile 2014, dal socio Ma.Da. e della conseguente inerzia degli organi societari; s) delle anomalie riscontrate in occasione della revisione legale del bilancio della banca da parte della società K. in punto di adeguatezza patrimoniale con particolare riferimento alle operazioni fatte in contestualità, anomalie che avevano indotto la responsabile dell'ufficio legale interno a sollecitare l'esecuzione di un apposito audit ottenendo, tuttavia, un fermo diniego da parte del d.g. So. e di Pi.An., responsabile della Divisione Finanza (il quale ultimo aveva replicato: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa" - cfr. deposizione An.Pa., responsabile dell'ufficio legale interno); t) del contenuto del file audio (ritenuto dal tribunale utilizzabile, trattandosi di documento registrato dagli addetti informatici a ciò deputati e non già di abusiva registrazione effettuata da ignoti, donde il rigetto della relativa eccezione avanzata dal difensore dell'imputato MA.) inerente allo svolgimento dei lavori del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Tale registrazione aveva inequivocabilmente documentato tanto l'esistenza del fenomeno delle operazioni "baciate" quanto l'approntamento di strategie per occultare tale fenomeno alla vigilanza (cfr. pagg. 335-336 della sentenza); u) dell'allestimento della "Task Force gestione soci" che, nelle intenzioni dei vertici della banca, avrebbe dovuto approntare, in extremis, una strategia difensiva in relazione ai diversi profili di irregolarità emersi nel corso degli accertamenti ispettivi e favorire l'assunzione di una posizione comune a fronte delle sempre più pressanti richieste da parte dei clienti, dei reclami relativi al deprezzamento delle azioni e del rischio di fuga dei correntisti. Era stata proprio la questione, emersa sin dalle prime interlocuzioni, del fenomeno del capitale finanziato, peraltro di dimensioni notevolissime (pari a un miliardo di euro, secondo il teste Ma.Li.) che, di fatto, aveva impedito alla Task Force di esplicare qualsivoglia concreta attività (cfr. deposizione del teste Gi.Am.; e-mail di cui ai documenti nn.ri 525, 528 del P.M:); v) della quantificazione del capitale finanziato chef determinata dall'audit interno, su incarico BCE, nella misura di euro 941.335.883 e riferita a nr. 917 posizioni correlate, era poi stata fissata dalla società Er. (all'esito di una accurata ricostruzione del fenomeno, a partire dall'anno 2008, che aveva visto coinvolti il personale della Divisione Mercati ed i singoli capi area, questi ultimi richiesti di confermare/integrare i dati che andavano emergendo) nella misura di euro 1.086.892.062; w) della relazione redatta ex art. 33 l.f. dai commissari giudiziali che avevano individuato le cause del dissesto dell'istituto di credito, segnatamente: nella fissazione di un prezzo delle azioni sovrastimato (anche a causa della predisposizione di piani economico-finanziari mirabolanti, se non addirittura fantasiosi e per l'effetto dell'ausilio di professionisti incuranti dei dati utilizzati per le loro stime e valutazioni); nel massiccio ricorso alle operazioni correlate; nell'effettuazione di operazioni non strettamente riconducibili all'attività di erogazione del credito alla clientela bensì consistenti in investimenti in altre società, partecipazioni, ovvero in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) quali i fondi lussemburghesi (che avevano anche agito da "società veicolo" per operazioni "back to back") e, quindi, in definitiva, in operazioni eccessivamente speculative, rischiose o addirittura illecite; nella continua pratica di sollecitare il mercato azionario stimolando gli acquisti di azioni proprie grazie ai finanziamenti correlati, occultando le perdite e sovrastimando i titoli; e, infine, nella decisione di celare il continuo peggioramento della qualità del credito attraverso la sottostima delle rettifiche e l'occultamento delle perdite a bilancio. 1.5.2 La consulenza tecnica dei P.M. Assoluto rilievo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato agli esiti della consulenza tecnica disposta - nel corso delle indagini - dagli inquirenti. In particolare i consulenti dott.ssa La.Ca. e prof. Ro.Ta., all'esito di una valutazione analitica della documentazione a disposizione riferibile a ciascuno dei 965 clienti che erano stati segnatati per avere operato tramite finanziamento - valutazione, peraltro, fondata sull'adozione di un approccio prudenziale (caratterizzato, per evitare duplicazioni nel caso di finanziamenti indiretti, dall'attribuzione all'organo deliberante il finanziamento del controvalore di uno solo degli acquisti) - avevano evidenziato: con riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati (quesito nr. 1): - che dei 965 clienti segnalati solamente 91 non erano stati finanziati da B., sicché le posizioni finanziate erano pari a nr. 874; - che l'ammontare degli acquisti finanziati era pari a complessivi 1.031,6 milioni di euro (per un totale di azioni B. acquistate tramite finanziamento pari a 15.426.391), di cui euro 963 milioni riferiti ad acquisti di azioni B. ed euro 68 milioni riferiti a sottoscrizioni di prestito obbligazionario convertibile; - che la quota prevalente degli acquisti era riferibile a operazioni finanziate da B. (essendo imputabili alle controllate B.Fi. e Ba.Nu., rispettivamente, acquisti per euro 55,4 milioni e per euro 5,2 milioni); - che, quanto all'aumento di 506 milioni di euro di capitale effettuato nel 2013, la banca aveva finanziato il 28% dell'operazione, per un valore complessivo di euro 143 milioni; - che, quanto all'aumento di capitale nell'anno 2014 per euro 607,8 milioni, l'ammontare finanziato era stato di 136 milioni (pari al 22%); - che nel 64% degli acquisti il rapporto tra finanziamento e acquisto delle azioni era risultato pari o superiore al 90%; - che, quanto all'ammontare del valore dei titoli suddiviso per ciascun organo deliberante in relazione al periodo oggetto di indagine (30.6.2012-31-3.2015), al CdA andava "attribuito" un valore di euro 414.193.319 (pari al 35% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al Comitato Crediti un valore di euro 160-029.069 (pari al 13% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile Divisione Crediti, Ma.Pa., un valore di euro 108.418.754 (pari al 9% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile della Divisione Mercati, Gi.Em., un valore di euro 32.941.194; al Comitato Esecutivo un valore di euro 63.196.606; al Comitato Centrale Fidi, infine, un valore di euro 49.936.575; con riferimento al fenomeno della vendita delle azioni con patto di riacquisto (quesito nr. 2): - che tale fenomeno si era concretizzato nel rilascio di lettere in favore di 14 azionisti, trattandosi dei soggetti nei confronti dei quali la banca si era incontrovertibilmente impegnata al riacquisto delle azioni, il tutto per un valore complessivo di 46,6 milioni di euro (le restanti lettere non erano state prudenzialmente considerate in quanto contenenti un impegno "più debole", ovvero perché mai consegnate agli azionisti); con riferimento alla determinazione del patrimonio di vigilanza e del livello dei coefficienti patrimoniali prudenziali (quesito nr. 3) : - che, doverosamente detratti dall'ammontare del patrimonio di vigilanza (ovvero dall'ammontare dei "fondi propri", secondo la terminologia introdotta dal CRR), quale comunicato dalla Banca all'organo di vigilanza, tanto l'importo complessivo degli acquisti di azioni B. effettuati dai clienti considerati finanziati, quanto l'ammontare degli impegni al riacquisto di azioni ritenuti effettivamente vincolanti e prudenzialmente diminuite anche le attività ponderate per il rischio (RWA) del medesimo ammontare (sul rilievo che le operazioni di finanziamento non sarebbero state ragionevolmente poste in essere se non per il raggiungimento dello scopo in questione), la differenza tra il Total Capital Ratio comunicato e quello rettificato andava da un minimo di 1,16% a un massimo del 3,4% (31.3.2015). Inoltre: il CET 1 ratio rettificato al 31.3.2014 (6,63%) ed al 30.6.2014 (6,24%) si attestava a un livello inferiore alla soglia minima regolamentare del 7%; il Tier 1 Ratio rettificato si attestava ad un livello inferiore rispetto alla soglia target comunicata alla Banca d'Italia, pari all'8%, per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013 (valore minimo 6,32%, valore massimo 7,34%); per il Total Capital Ratio, infine, il dato rettificato al 31.3.2014 (8,51%), al 30.6.2014 (7,94%), al 30.9.2014 (9,57%), al 31,12.2014 (8,47%) e, infine, al 31,3,2015 (8,51%), si posizionava costantemente sotto la soglia minima regolamentare del 10,5%. con riferimento all'effetto distorsivo del fenomeno di assistenza finanziaria all'acquisto di azioni sul funzionamento ed andamento del mercato secondario (quesito nr. 5): - che il fenomeno del ricorso al capitale finanziato - risultato massiccio in coincidenza della fine dell'anno, con conseguenti, repentine diminuzioni del fondo acquisto azioni proprie - aveva comportato una profonda distorsione del mercato. In effetti la dettagliata ricostruzione delle dinamiche di acquisto dei titoli sul mercato secondario aveva reso evidente come il ricorso ai finanziamenti degli acquisti di azioni avesse consentito alla banca di mantenere il funzionamento del mercato secondario solo fino al 2012, A partire dall'anno successivo, infatti, l'istituto non era più stato in grado di garantire la liquidità del titolo; con riferimento alla stima del valore dell'azione (quesito nr. 4): - che il prof. Ma.Bi. (l'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) aveva basato il suo giudizio sui criteri, rispettivamente, reddituale (c.d. Income Approach), di mercato (c.d. Market Approach) e del costo (c.d. Cost Approach). Il CdA dell'istituto, dal canto suo, nel determinare il valore del titolo aveva assegnato rilievo pressoché esclusivo al criterio reddituale (Income Approach). Peraltro, l'assemblea, nel triennio di riferimento, aveva approvato il valore dell'azione allineandosi al valore massimo calcolato dal predetto professionista con riferimento al parametro in questione. Ebbene, l'approccio del prof. Bi. non era condivisibile in quanto non conforme alle raccomandazioni della dottrina e della prassi professionale, avendo comportato una sopravvalutazione del capitale economico di B. nel periodo 31.12.2012 - 31.12.2013. Quanto all'anno successivo, sebbene il professionista avesse preso atto di una riduzione del valore del titolo, si era comunque in presenza di una sovrastima dell'azione, in considerazione degli effettivi risultati economici consuntivi dell'attività dell'istituto e del marcato disallineamento con le quotazioni di borsa delle principali banche italiane. Pertanto, doverosamente considerato il fenomeno del capitale finanziato, era stato necessario procedere ad effettuare una nuova stima del capitale economico della banca e, quindi, del valore delle azioni, sia non rettificando gli RWA sia operando tale rettifica (ricostruzione, quest'ultima, più favorevole agli imputati). Il risultato era stato, in entrambi i casi, quello di una significativa riduzione di valore del titolo, stimato nei seguenti termini: al 31.12.2012 tra euro 21,94 e euro 22,49 (a fronte dì un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 55,77 euro e 56,31 euro); al 31.12.2013 tra euro 26,78 ed euro 27,45 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 54,40 e 55,05 euro); al 31.12.2014 tra euro 23,87 ed euro 24,94 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 41,68 euro e 42,70 euro). In definitiva, secondo il tribunale, i consulenti del P.M., avevano compiuto una ricostruzione dei fenomeni analizzati esaustiva e affidabile in quanto espressione di metodologia ispirata a prudenza; ricostruzione, peraltro, significativamente coerente con il perimetro già tracciato dagli ispettori BCE. In particolare ì consulenti avevano verificato che gli acquisti di azioni e obbligazioni fossero avvenuti attingendo, in tutto o in parte, a risorse fornite dalla banca mediante un nuovo affidamento concesso prima dell'operazione, ovvero mediante l'impiego di eventuali preesistenti erogazioni non ancora utilizzate. Inoltre avevano rispettato la normativa prudenziale in materia. In particolare la riprova dello scrupolo che aveva guidato l'azione dei consulenti era costituita dal fatto che i predetti avessero espunto ben 91 posizioni rispetto al numero di operazioni finanziate originariamente individuati dall'Internai audit. La diversa quantificazione del capitale finanziato compiuta dagli ispettori BCE, poi, era essenzialmente dipesa dal differente arco temporale oggetto di verifica (sul punto il tribunale, a pagina 380 della sentenza, riportava una tabella sinottica). Gli esiti di consulenza, inoltre, erano risultati coerenti con il materiale probatorio acquisito, non solo di tipo testimoniale ma anche documentale (davvero inequivoco, sul punto, ad avviso del primo giudice, era il contenuto della registrazione audio della seduta del Comitato di Direzione del 10 novembre 2014, là dove il d.g. So. aveva affermato espressamente "...abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare..."). Né, del resto, i consulenti delle difese avevano proposto una quantificazione alternativa del fenomeno del capitale finanziato in esame, sostanzialmente essendosi limitati a sostenere come i cc.tt. del P.M. avessero effettuato una stima in eccesso. Per converso emergevano dati inequivoci del fatto che si fosse trattato di una stima prudenziale, attuata per difetto. A riscontro di ciò il Tribunale richiamava la vicenda dell'operazione finanziata conclusa con la El. (operazione avente un valore, ad avviso dei consulenti, di 17 milioni di euro ma ammontante, secondo il teste Pi.Ca., a ben 20 milioni di euro). Infine, neppure le ulteriori censure difensive erano fondate ad avviso del primo giudice. In particolare, nella prospettiva del tribunale, era errata la tesi secondo la quale l'obbligo di detrazione dal capitale di vigilanza avrebbe presupposto l'esistenza di un "nesso teleologico" tra il finanziamento erogato e l'acquisto delle azioni (tesi che i consulenti delle difese ZO. e ZI. ancoravano alla circolare n. 263/2006 della Banca d'Italia). In effetti la ratio della normativa prudenziale - precisava il primo giudice - era quella di tutelare l'effettiva integrità del patrimonio aziendale, sicché non era affatto sostenibile un'interpretazione tale da rimettere alla volontà dei contraenti l'individuazione delie operazioni di finanziamento destinate all'acquisto delle azioni, esponendo a scontate elusioni le regole poste a presidio dell'integrità del patrimonio dì vigilanza. In realtà tutta la normativa di riferimento (a partire dalla circolare di Banca d'Italia n. 155/91 fino al Regolamento UE 575/13 e, ancora, al Regolamento UE 241/14) assegnava rilievo unicamente al dato oggettivo dell'utilizzo del finanziamento per l'acquisto delle azioni. Parimenti oggettivi, del resto, erano i criteri di cui alla circolare n. 263/2006 evocata dalle difese (contenente, sul punto, disposizioni che suggerivano di porre a confronto elementi meramente oggettivi, quali il dato temporale dell'erogazione del finanziamento e quello dell'acquisto delle azioni, nonché i relativi importi, senza assegnare rilievo alcuno alla finalità perseguita dalle parti). Anche l'ulteriore prospettazione difensiva secondo cui la deduzione del valore del finanziamento dal patrimonio di vigilanza non si sarebbe dovuta effettuare con riferimento all'acquisto di azioni sul mercato secondario (in quanto, in tal caso, la banca, avendo finanziato un cliente dotato di merito creditizio, non si sarebbe esposta al rischio di impresa) era destituita di fondamento. Questo non solo per l'assenza di un regime differenziato (tanto nella normativa comunitaria quanto in quella nazionale) con riferimento agli acquisti sul mercato primario, ovvero secondario, ma, soprattutto, per ragioni logiche. Anche in caso di acquisto di azioni proprie sul mercato secondario, infatti, l'omessa decurtazione del valore delle azioni dal patrimonio di vigilanza avrebbe determinato l'effetto distorsivo di annacquamento di tale presidio di garanzia. Senza considerare, poi, che subordinare alla ponderazione del merito creditizio la computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza avrebbe significato, in ultima analisi, rimettere a valutazioni discrezionali l'effettiva entità del patrimonio di vigilanza medesimo. Infine, nella prospettiva del primo giudice, neppure la censura relativa alla mancata specifica considerazione - nel valutare l'esistenza di operazioni correlate - del fattore temporale coglieva nel segno. Questo, solo a considerare il fatto che larghissima parte (circa l'86%) degli acquisti di azioni che, secondo i consulenti del P.M., erano stati finanziati aveva avuto luogo entro novanta giorni dal finanziamento. Conclusivamente, le stime effettuate dai predetti consulenti erano affidabili e semmai peccavano per difetto piuttosto che per eccesso nella quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. 1.6 Il reato di aggiotaggio Il tribunale di Vicenza riteneva provata la commissione di una pluralità di reati di aggiotaggio, posti in essere tra l'anno 2012 e l'anno 2015 e concretizzatisi: - nella sistematica concessione di assistenza finanziaria per l'acquisto e la sottoscrizione di azioni della banca onde determinare l'apparenza di liquidità del titolo; nell'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo delle azioni finanziate; e, infine, nella mancata comunicazione all'esperto incaricato di stimare il sovrapprezzo delle azioni B. dell'esistenza della prassi del capitale finanziato (aggiotaggio manipolativo): - nella diffusione di mendaci informazioni relative all'entità del patrimonio societario, alla solidità patrimoniale della banca, alla crescita della compagine sociale e al buon esito delle operazioni di aumento di capitale (aggiotaggio informativo. In particolare, dopo una accurata ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, il tribunale, quanto all'ipotesi di "aggiotaggio manipolativo", indicava come simulate le sistematiche operazioni di capitale finanziato effettuate, trattandosi di operazioni, per l'appunto, di natura simulata o, comunque, artificiosa. Simulata, più precisamente, doveva ritenersi tale natura con riferimento alle operazioni di finanziamento per importi corrispondenti al valore delle azioni e caratterizzate non già dal rimborso del finanziamento da parte del cliente bensì dall'impegno (orale, ovvero assunto per iscritto) al riacquisto delle azioni stesse da parte della banca, senza costi per il cliente (e talvolta con un rendimento garantito), essendosi in presenza, in tal caso, di un mutamento solo apparente della titolarità delle azioni, in realtà sempre rimaste nella proprietà della banca (con conseguente rischio derivante dalla fluttuazione del valore del titolo non già in capo al cliente, ma all'istituto di credito), donde una radicale estraneità di siffatte operazioni rispetto all'ipotesi ex art. 2358 c.c.. Analogamente simulate erano anche le operazioni di acquisto di azioni proprie effettuate tramite i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", trattandosi - di fatto - di una gestione patrimoniale di risorse interne, attuata al solo fine di svuotare il "fondo acquisto azioni proprie". Artificiosa, con riferimento alle altre operazioni di capitale finanziato, doveva ritenersi la loro natura sia quanto allo scopo (costituito, al solito, dal finanziamento dell'acquisto con risorse della banca) sia quanto alle modalità di gestione del trattamento contabile (in ragione dell'omessa appostazione a riserva del controvalore, dell'omessa decurtazione del patrimonio di vigilanza ed anche dell'occultamento al mercato), il tutto al fine di fare apparire tali acquisti come espressione della dinamica fisiologica di un attivo mercato secondario. Peraltro - precisava il tribunale - era emersa la mancata comunicazione al prof. Bi. (ovverosia all'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie, con l'effetto che detta stima (come, del resto, precisato dallo stesso Bi.) ne era risultata pesantemente condizionata (cfr. pagg. 419-422 della sentenza). Quanto, poi, agli addebiti di "aggiotaggio informativo" costituiti dalla diffusione di notizie false, si trattava - secondo la valutazione del primo giudice, pienamente adesiva, anche sul punto, rispetto all'impostazione d'accusa - di informazioni comunicate con una pluralità di mezzi che, per diffusività e platea dei destinatari di riferimento, erano obiettivamente risultate idonee a raggiungere praticamente tutte le tipologie di operatori. Più nel dettaglio, la falsità era risultata effettivamente attinente: - ai bilanci d'esercizio al 31.12.2012, al 31.12.2013 ed al 31.12.2014, stante la mancata iscrizione di una quota di riserva pari al valore delle azioni proprie; -ai comunicati stampa (taluni dei quali - quelli emessi ex art. 114 TUF - valevoli anche come comunicazioni al pubblico) dell'8.8.2012 diffuso ex art. 114 D.L.vo 58/98 (ove si evidenziavano, in particolare, valori falsati quanto alla solidità patrimoniale del gruppo e al miglioramento della liquidità strutturale, il tutto in un contesto nel quale si rimarcavano l'espansione della rete di vendita, l'incremento della clientela e l'aumento della compagine sociale); del 19.3.2013 (nel quale, comunicandosi i risultati del bilancio di esercizio e consolidato al 31.12.2012, si evidenziavano "Il rafforzamento della posizione di liquidità" e "l'ulteriore incremento della solidità patrimoniale" e si riportava l'entusiastico messaggio del presidente ZO.); del 27.4.2013 (di comunicazione del risultato del bilancio al 31.12.2012, nel quale si sottolineava la stabilità del valore dell'azione a 62,50 euro sulla base di un'approfondita perizia formulata da un autorevole consulente esterno", si riportava l'apprezzamento dell'assemblea per i risultati positivi conseguiti dalla banca e, ancora, si citava il giudizio lusinghiero del presidente ZO.); del 27.8.2013 (significativamente dedicato alla comunicazione del "miglioramento della gestione operativa" e del significativo rafforzamento patrimoniale", per effetto della positiva conclusione dell'operazione di raccolta di ingenti risorse, in ragione di un consistente aumento di capitale e di una altrettanto consistente raccolta di ben 253 milioni di prestito convertibile, comunicandosi che l'istituto poteva vantare un Core Tier al 30 giugno pari al 9%; anche in tal caso la comunicazione riportava il consueto messaggio positivo dei presidente ZO.); deH'8.8.2014, effettuato ai sensi dell'art. 114 D.L.vo 58/98 (con il quale si comunicavano i risultati dell'aumento di capitale 2014, conclusosi con "pieno successo", e si riferiva il giudizio del presidente ZO. in ordine al fatto che l'istituto potesse vantare "coefficienti patrimoniali particolarmente elevati"); del 29,8,2014 (nel quale si illustravano ì risultati della semestrale del 2014, ribadendosi il successo dell'aumento di capitale di tale anno, segnalandosi l'accrescimento della base sociale e della clientela e l'incremento "significativo" dei proventi derivanti dall'attività bancaria tradizionale e, complessivamente, si enfatizzavano gli elementi di crescita); del 26.10.2014 (nel quale si comunicava il positivo superamento del Comprehensive Assessment si evidenziavano, altresì, gli effetti positivi delle iniziative di patrimonializzazione esperite nel 2013 e nel 2014 e, infine, si informavano i destinatari che tali iniziative avevano portato l'istituto di credito a poter vantare una *eccedenza di CET1 pari a circa 30 milioni di euro"); del 10.2.2015 (avente ad oggetto i risultati preliminari del bilancio al 31.12.2014, nel quale si evidenziava la politica particolarmente prudenziale adottata dal CdA su indicazione della BCE, con aumento degli accantonamenti su crediti e rettifica degli avviamenti; si precisava che il risultato negativo era conseguente proprio all'adozione di una politica improntata a misura e all'origine, secondo il presidente ZO., di scelte al contempo *coraggiose e prudenziali"; si ribadiva il successo delle iniziative di rafforzamento patrimoniale; si sottolineava, infine, la crescita dei proventi derivanti dall'attività tradizionale in favore di una clientela ulteriormente aumentata); del 3.3.2015 (avente ad oggetto i risultati definitivi al 31.12.2014, nel quale, pur dandosi atto dei rilievi della BCE in ordine alla possibile riduzione del requisito minimo di CET 1, si rassicuravano gli interlocutori con la precisazione che i requisiti minimi erano stati ripristinati e, anzi, superati "già prima della citata riduzione del requisito di Cet1 Ratio"); - alle comunicazioni ai soci (tutte confezionate sulla base di un apposito format e sottoscritte dal presidente ZO.) in data 30.3.2012, 3.9.2012, 19.3.2013, 10.9.2013, 2.4.2014, 9.9.2014, 4.12.2014 e 19.3.2015, tutte costantemente caratterizzate da informazioni rassicuranti in punto di patrimonializzazione dell'istituto, di sicurezza dell'investimento azionario, di enfatizzazione della stabilità del titolo e nelle quali, inoltre, si minimizzava il profilo dell'allungamento dei tempi di vendita dell'azione. Ebbene, tutte le citate condotte manipolative e informative avevano avuto l'effetto di alterare sensibilmente il prezzo delle azioni B.. Se ciò, in effetti, era di immediata percezione per le condotte manipolative (l'investitore essendo stato evidentemente influenzato dalla vivacità degli scambi del titolo sul mercato secondario e dalle valutazioni conseguentemente alterate del valore del titolo medesimo siccome assegnato dall'esperto prof. Bi., la stima del quale aveva prodotto effetti anche sul mercato primario, sollecitato artificiosamente), altrettanto doveva dirsi per quanto riguardava le condotte di alterazione informativa. Questo, in ragione della marcata influenza della comunicazione di dati falsati inerenti a profili di assoluto rilievo nell'economia della scelta di un soggetto interessato all'investimento azionario, in particolare con riferimento ai dati inerenti alla patrimonializzazione dell'emittente (prospettata come particolarmente solida) e alla liquidità del titolo (presentato come appetibile, tanto sul mercato primario quanto su quello secondario). Di qui la conclusione, alla quale coerentemente perveniva il tribunale, in ordine all'efficacia decettiva delle comunicazioni effettuate, nelle occasioni sopra indicate, dall'istituto dì credito. Del resto gli effetti concreti prodotti da tali comportamenti manipolativi e di falsa informazione erano agevolmente riscontrabili - proseguiva il tribunale -analizzando le vicende societarie dell'epoca: - da un lato, infatti, gli investitori avevano perseverato nel riporre fiducia nell'istituto di credito, continuando a investire, ovvero astenendosi dal disinvestimento; - dall'altro, gli aumenti di capitale confluiti senza assistenza finanziaria erano stati comunque consistenti (nell'aucap 2013, su un totale di 506 milioni, 363 milioni erano confluiti senza finanziamenti; nel mini aucap 2013, su 100 milioni, 44 erano confluiti senza assistenza finanziaria; nell'aucap 2014 il rapporto era stato di 471,8 milioni confluiti senza assistenza su un totale di 607,8 milioni; nel mini aucap 2014, infine, il rapporto era stato di 60 milioni su 102 milioni). Inoltre la movimentazione sul mercato secondario, depurata dalle azioni finanziate, sì era attestata sul significativo valore di 900 milioni di euro. Tutto ciò aveva consentito di mantenere il valore del titolo artificiosamente alto. In effetti, a fronte dei valori stimati dal prof. Bi., erano emersi - all'esito di una rinnovata valutazione, posta in essere con criteri prudenziali - valori decisamente inferiori. In particolare: - nel 2012 l'azione era stata sovrastimata di un valore tra 6,73 euro e 6,19 euro rispetto al valore reale, da ridursi, rispettivamente, di una percentuale tra il 10,8% e il 9%; - al 31.12.2013 la sovrastima era stata ricompresa tra 8,10 e 7,20 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 13% alni,9%; - al 31.12.2014 la sovrastima era stata ricompresa tra 6,32 e 5,30 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 18,9% al 16,9%. Inoltre le condotte di aggiotaggio informativo avevano contribuito a rafforzare l'affidamento sulla stabilità patrimoniale dell'istituto di credito. Infatti i dati rettificati avevano evidenziato, anche nell'ipotesi più favorevole, un CET 1 ratio al 31.3.2014 del 6,63% e, al 30.6.2014, del 6,24% (valori, entrambi, al di sotto della soglia regolamentare del 7%); un Tier 1 Ratio dal 6,32% al 7,345% per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013, inferiore, pertanto, rispetto alla soglia-target comunicata alla Banca d'Italia pari all'8%; un Total Capital Ratio al 31.3.2014 dell'8,51%, al 30,6,2014 del 7,94%, al 30.9.2014 del 9,57%, al 31.12.2014 dell'8,47%, al 31.3.2015 dell'8,51% (ovverosia sempre inferiore rispetto alla soglia regolamentare dei 10,5%), Analogamente, le condotte di aggiotaggio manipolativo avevano contribuito ad accreditare l'immagine della banca come credibile e sostenuta del mercato, secondo quanto puntualmente evidenziato dai consulenti del P.M.. Con riferimento, poi, al profilo del concorso dei reati, il tribunale precisava come l'art. 2637 c.c prevedesse tre diverse modalità di esplicazione della condotta delittuosa, all'origine, rispettivamente, delle ipotesi di aggiotaggio informativo e aggiotaggio manipolativo o operativo. Di qui la natura della disposizione in esame quale disposizione contenente "norme penali miste cumulative", ovverosia inerenti a condotte non equipollenti o alternative, bensì costituenti differenti elementi materiali di altrettanti reati, con la conseguenza, nel caso di realizzazione di tali diverse condotte, della sussistenza di una pluralità di reati. Questo con la doverosa precisazione che, mentre tra aggiotaggio manipolativo e informativo era ravvisabile unicamente il concorso materiale di reati, nel caso di pluralità di condotte omogenee, per concludere nel senso dell'unicità ovvero della pluralità di reati, sarebbe stato necessario verificarne l'appartenenza o meno ad un'unica manovra manipolativa, ovvero informativa. E, a tale fine, il tribunale precisava come il momento consumativo del reato dovesse individuarsi nel tempo e nel luogo in cui si fossero verificate la sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario e la destabilizzazione del sistema bancario. In applicazione di tali criteri il primo giudice concludeva nel senso della ravvisabilità di ben 16 reati, posti in essere nel periodo tra il 2012 ed il 2015 e, segnatamente: -di 4 reati di aggiotaggio finanziario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio finanziario operativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario operativo (2012, 2013, 2014, 2015) traendone, peraltro, la conseguenza che le condotte poste in essere sino al 27.4.2013 (data di approvazione del bilancio 2012) dovessero ritenersi prescritte. Infine, quanto alle posizioni soggettive degli imputati - successivamente oggetto di separata, dettagliata analisi - il tribunale precisava che dovevano ritenersi responsabili dei reati di aggiotaggio: - Zo.Gi., per avere egli sostenuto e condiviso l'operatività del capitale finanziato; per avere sottoscritto personalmente i comunicati ai soci rappresentativi dì uno stato patrimoniale, finanziario ed economico, totalmente contrario a quello effettivo; nonché per avere approvato, in qualità di presidente del CdA, il bilancio privo dell'appostazione delle riserve previste per legge, oltre ai comunicati che contenevano le mendaci informazioni della situazione della banca e degli esiti degli aucap, in tal guisa rafforzando con le proprie dichiarazioni, l'apparenza di solidità dell'istituto di credito; - Gi.Em., Ma.Pa. e Pi.An., in ragione del totale coinvolgimento dei predetti nell'operatività dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie, e ciò nella piena, effettiva consapevolezza (stanti le modalità di occultamento) della finalizzazione di tale operatività ad alterare gli equilibri del mercato, ad annacquare il capitale e, infine, ad ingannare il pubblico. 1.7 I reati di ostacolo alla vigilanza Dopo avere effettuato una ricostruzione degli esiti delle attività di vigilanza della Banca d'Italia poste in essere, nei confronti dell'istituto di credito, nel periodo 2007-2012 - esiti che avevano evidenziato delle criticità, poi parzialmente superate dall'istituto - il tribunale collocava le condotte di ostacolo alla vigilanza ravvisabili nella vicenda sub iudice nel periodo che aveva avuto inizio con le ispezioni poste in essere a decorrere dal 2012. Al riguardo il primo giudice premetteva come la fattispecie di reato in esame consistesse, per un verso, nell'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero nonché nell'occultamento, con mezzi fraudolenti, di fatti che avrebbero dovuto essere comunicati all'autorità di vigilanza (2638 co. 1 c.c.); e, per altro verso, nella frapposizione di ostacoli alla vigilanza, posti in essere in qualsiasi forma, anche omissiva (2638, co. 2 c.c.). Segnatamente, la fattispecie di cui al primo comma della disposizione in esame prevedeva un reato di mera condotta, integrato, in via alternativa, da taluni specifici comportamenti; il secondo comma, invece, delineava un reato a forma libera, di danno (consistente nell'evento naturalistico dell'ostacolo). Ciò posto, nell'ipotesi di condotta di omessa comunicazione con mezzi fraudolenti che avesse creato ostacoli rilevanti all'autorità di vigilanza, il tribunale riteneva sussistente unicamente l'ipotesi di reato ex art. 2638, co. 2, c.c., dovendo farsi applicazione, in tal caso, dei principi di sussidiarietà e consunzione (valorizzati anche dalla Corte EDU e riconosciuti nell'art. 4 protocollo 7 CEDU e nell'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea), posto che emergeva con evidenza come l'evento di ostacolo previsto dalla fattispecie di cui all'art. 2638 co. 2 c.p. esaurisse l'intero disvalore della condotta. Nel pervenire a siffatta conclusione, peraltro, il tribunale si discostava motivatamente dalla ricostruzione effettuata, in fattispecie analoga, dalla giurisprudenza di legittimità, là dove la corte regolatrice (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, n. 42778 del 26/05/2017, Consoli e altro) aveva invece ravvisato, tra le due fattispecie in esame, un rapporto riconducibile al concorso formale. Tanto premesso, il primo giudice precisava come la contestazione sub B1 avesse ad oggetto la vigilanza ispettiva a differenza delle condotte stigmatizzate ai successivi capi C1, D1, E1, F1, G1 ed H1, dal primo giudice indicate come inerenti alla vigilanza informativa. Ebbene, nel caso dell'addebito sub B1 si era in presenza sia di attività di occultamento, con mezzi fraudolenti, delle operazioni di capitale finanziato e delle lettere di impegno al riacquisto, al fine di ostacolare l'autorità di vigilanza (attraverso, segnatamente, l'indicazione di una causale generica, la mancata contabilizzazione delle operazioni finanziate e il materiale occultamento delle lettere), sia dell'omessa comunicazione delle suddette operazioni alla squadra ispettiva. Diversamente - proseguiva il tribunale - gli addebiti di cui ai capi C1, D1, G1, H1 avevano ad oggetto l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in relazione alle segnalazioni ed alle interlocuzioni con le autorità di vigilanza (Banca d'Italia e BCE) intercorse negli anni 2012, 2013, 2014, 2015 e, quanto all'addebito di cui al capo F1, l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in occasione dell'aumento di capitale del 2014. Ciò posto, il tribunale: - esclusa, con riferimento alle condotte predette, la ravvisabilità dell'esimente fondata sul principio del nemo tenetur se detegere in relazione al precedente delitto di aggiotaggio (trattandosi di principio unicamente disciplinato nell'art. 384 c.p., ovverosia in una disposizione contenente una norma eccezionale derogatoria rispetto a quella di cui all'art. 61 nr. 2 c.p. e, in ogni caso, di esimente avente valore eminentemente processuale); s escluso, del pari, che quelli oggetto di contestazione fossero addebiti frutto di u una sorta di "replicazione" di contestazioni in realtà aventi ad oggetto una unitaria condotta di ostacolo alla vigilanza, protrattasi per un triennio (essendosi piuttosto in presenza di condotte che erano state realizzate nel corso di plurime attività di vigilanza, ciascuna compiutamente esauritasi), ricostruiva i singoli fatti di reato nei termini di seguito esposti. 1.7.1 L'ostacolo alla vigilanza durante l'ispezione di Banca d'Italia 2012 (capo B1) Nel corso dell'anno 2012 (segnatamente tra il 28 maggio e il 12 ottobre 2012) era stata effettuata una attività di ispezione avente ad oggetto la governance dell'istituto, gli standard creditizi, i meccanismi di sorveglianza e di controllo delle singole posizioni, la correttezza dei criteri di classificazione all'interno delle regole di vigilanza e l'osservanza delle regole di provisioning (attività, questa, di correzione del valore dei crediti con impatto sul conto economico della banca e sul bilancio), ispezione che si era conclusa con un giudizio parzialmente sfavorevole fondato sulla constatazione di un complessivo degrado del portafoglio accompagnato da inefficienze nei processi allocativi e di gestione dell'erogato. Ebbene, alla stregua delle testimonianze degli ispettori (e, segnatamente, di quanto riferito dal teste Gi.Sc., responsabile della squadra ispettiva), poteva dirsi pacifico che ove agli ispettori fossero state esibite le lettere di impegno al riacquisto e fosse stata comunicata l'esistenza del capitale finanziato - come sarebbe stato doveroso, peraltro, nell'ottica di una leale collaborazione tra vigilato e autorità vigilante - sarebbe effettivamente emersa l'irrealizzabilità del piano industriale approntato dall'istituto per migliorare la gestione del credito. La prassi del ricorso al capitale finanziato (e, nell'ambito di tale prassi, quella del rilascio delle lettere di impegno), infatti, era già consolidata nel 2012, come pure documentalmente provato. Né, d'altro canto, poteva sostenersi che tale fenomeno fosse comunque emerso nel corso dell'ispezione, in quanto le dichiarazioni rese, sul punto, dal teste Cl.Am. della Divisione Crediti - là dove questi aveva sostenuto di avere riferito in proposito all'ispettore Ge.Sa. - erano - state decisamente smentite tanto dal predetto Sa. quanto dai restanti componenti della squadra ispettiva. Peraltro - puntualizzava il tribunale - la versione dell'Am., finalizzata a ridimensionare il coinvolgimento della Divisione Crediti nell'operatività illecita della banca sul capitale finanziato, scontava plurimi profili di incertezza e contraddittorietà (segnatamente in relazione al ricorso alla formula generica "cogliere opportunità mobiliari o immobiliari" quale causale dei finanziamenti, nonché in ordine alle motivazioni per le quali il predetto Am. non avrebbe comunicato al collega Bo., responsabile dell'audit, le rivelazioni asseritamente fatte all'ispettore Sa.), Era certamente vero che anche la deposizione del Sa. si presentava scandita da contestazioni e da incertezze circa la corretta individuazione dei documenti esibiti, nel corso dell'ispezione, con riferimento alle posizioni finanziate. Nondimeno, mentre le dichiarazioni dell'Ambrosino in ordine alla presunta rivelazione agli ispettori delle operazioni finanziate non avevano trovato riscontro alcuno, neppure nelle dichiarazioni del collega De. (il quale aveva riferito che l'Am. gli aveva confidato di avere consegnato agli ispettori medesimi documenti che avrebbero potuto loro consentire di verificare l'esistenza di operazioni "baciate", negando, tuttavia, detto teste che l'Am. gli avesse rivelato di avere esplicitamente palesato tale prassi agli ispettori), le stesse erano anzi state smentite dai testi Lu.Br., Fr.Fe. e Sa. Re., dei quali i primi due erano appartenenti alla squadra ispettiva; quanto riferito dal Sa. era stato del resto confermato dalla narrazione dei fatti proposta tanto dal responsabile delia squadra ispettiva, Gi.Sc., quanto dagli altri componenti del team oltre che dal responsabile del servizio di vigilanza ispettiva, Ca.Ba.. Pertanto il tribunale, valorizzando altresì la puntuale deposizione del teste ispettore Gi.Ma., traeva la conclusione che la prassi del capitale finanziato non fosse stata "intercettata" nel corso dell'ispezione del 2012 poiché si era trattato di fenomeno che aveva essenzialmente interessato clienti affidabili sotto il profilo del rischio creditizio, rispetto ai quali, quindi, non emergeva alcuna anomalia (sicché, tenuto conto del perimetro del mandato ricevuto dagli ispettori, non v'era stata ragione di effettuare, con riferimento a costoro, alcun approfondimento ispettivo). Del resto, sul piano logico, la circostanza che nessun dirigente dell'istituto di credito (né il menzionato Cl.Am., né l'imputato Pa.Ma. e neppure l'imputato Em.Gi.) avesse fatto cenno alcuno, in occasione delle successive verifiche ispettive (compresa quella, decisiva, effettuata dalla BCE nel 2015), al fenomeno in esame, nonché il fatto che tutti i predetti dirigenti avessero pervicacemente negato, interloquendo con l'ispettore Ma., la natura finanziata delle operazioni in questione, costituivano formidabili riscontri dell'infondatezza delle dichiarazioni rese dal predetto teste Am.; infondatezza, del resto - soggiungeva il tribunale - ulteriormente avvalorata dal rinvenimento, negli appunti contenuti nell'agenda sequestrata al teste Al.Ba., dell'inequivoca ed assai significativa annotazione, redatta in prossimità del 23.4.2015: "evitare di fare ammissioni. Giustificare creditiziamente le operazioni". Di qui la conclusione della sussistenza dei presupposti tutti del reato di ostacolo contestato, essendosi in presenza, per un verso, del fraudolento occultamento dell'illecita operatività realizzata nel contesto temporale in cui si era svolta l'ispezione del 2012; e, per altro verso, della sistematica omissione della comunicazione agli ispettori tanto delle operazioni di finanziamento correlato quanto delle lettere di impegno al riacquisto delle azioni. 1.7.2 Le condotte di ostacolo successive all'ispezione del 2012 Quindi il tribunale evidenziava come, con riferimento ai periodo successivo all'ispezione del 2012 (e, segnatamente, all'arco temporale ricompreso tra il 30.6,2012 ed il 31.3.2015), fosse stato effettivamente possibile ricostruire documentalmente il dipanarsi del dialogo tra l'istituto bancario vicentino e l'autorità di vigilanza attraverso l'acquisizione dei flussi informativi inviati da B.. A tale riguardo era costantemente emerso l'occultamento della reale situazione patrimoniale del gruppo, in particolare con riferimento all'incidenza del fenomeno del capitale finanziato sui coefficienti del patrimonio di vigilanza in tale ampio periodo. Sul punto le conclusioni cui erano pervenuti i consulenti del P.M. - peraltro, precisava il primo giudice, all'esito di una valutazione particolarmente prudente (in quanto caratterizzata dallo scomputo dal CET 1 anche dell'ammontare degli RWA) - non consentivano davvero di nutrire perplessità. Si era in presenza, in effetti, di violazioni costanti dei requisiti patrimoniali, peraltro mai comunicate nelle informazioni rese all'autorità di vigilanza (comunicazioni, tutte, puntualmente riportate nella tabella riassuntiva di cui al documento nr. 485 prodotto dal P.M. all'udienza del 21.11.2019). Più nel dettaglio: - con riferimento all'anno 2012 (capo CI) si trattava della comunicazione del 17.9,2012, riferita al 30.6.2012, e di quella del 21.11.2012, riferita al 30.9.2012, nelle quali venivano indicati, rispettivamente, valori delle azioni proprie nella misura di 30 milioni e di 240 milioni. In entrambi i casi, infatti, era stata omessa la comunicazione delle operazioni di capitale finanziato per i significativi valori di 268 milioni a giugno e di 280 milioni a fine settembre. L'effetto distorsivo che ne era derivato era evidente, posto che il Tier Ratio, tenuto conto dei valori non comunicati, si sarebbe abbassato al 30 giugno dall'8,20% ai 7,34% nonché, al 30 settembre, dal 7,38% al 6,48%. Analogamente il TCR (Total Capital Ratio) si sarebbe ridotto dall'I 1,33% al 10,50% e dal 10,46% al 9,59%. La falsa comunicazione, poi, era stata all'origine del target patrimoniale deciso dalla Banca d'Italia, come precisato dal teste Ma.Pa.. In effetti, qualora i dati omessi fossero stati comunicati, ciò avrebbe comportato un immediato innalzamento del livello di monitoraggio e l'adozione di provvedimenti restrittivi concernenti operatività dell'istituto, distribuzione degli utili e fissazione di limiti all'importo totale della parte variabile delle remunerazioni della banca. Di assoluta evidenza, quindi, era l'ostacolo frapposto alla vigilanza; con riferimento al primo semestre dell'anno 2013 (capo DI) si trattava: - della falsa rappresentazione dei dati patrimoniali contenuta nelle segnalazioni relative al 31.12.2012 ed al 31.3.2013 (in effetti, con riferimento alia segnalazione relativa al 31.12.2012, la comunicazione del capitale finanziato per 545 milioni, ove effettuata, avrebbe comportato la flessione del Tier 1 Ratio dall'8,23% al 6,46% e del Total Capital Ratio dall'll,26% al 9,55%; nella comunicazione del 31.3.2013, poi, non erano state segnalate azioni proprie); - della falsità della comunicazione inoltrata il 20.3.2013 e relativa al superamento del limite del 5% degli acquisti (comunicazione con la quale, nel rispondere al rilievo critico della Banca d'Italia risalente al 5.3.2013, l'istituto di credito aveva rassicurato la vigilanza sostenendo che l'incremento del valore del fondo acquisto azioni proprie fosse imputabile a una mera contingenza, legata alla gestione delle attività dì compravendita delle azioni proprie con i soci e sostenendo, in particolare, che vi era stata una vendita di azioni da parte di pochi clienti con successivo ricollocamento dei titoli presso clienti soci). Inoltre l'istituto aveva inserito un ulteriore elemento di rassicurazione, là dove aveva dichiarato che era in corso la valutazione di un rafforzamento patrimoniale il quale avrebbe portato il Core Tier 1 al 9% già entro la fine del 2013; aveva prospettato, infine, il raggiungimento del 10% nel biennio successivo. Ne era seguita la lettera di richiamo del 24.6.2013, lettera nella quale era stato stigmatizzato il superamento, a causa dell'acquisto di azioni proprie, del limite del 5% del capitale sociale. A seguito dell'ispezione del 2015, poi, era emersa la falsità delle circostanze esposte nella missiva a firma Sa.So. del 20.3.2013 e, segnatamente, si era compreso come l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie non fosse stato affatto la conseguenza contingente di un'impennata nelle richieste di acquisto di azioni concentrate nel quarto trimestre, bensì l'effetto dell'illiquidità del titolo azionario; illiquidità che, infatti, proprio a partire dal 2012, aveva indotto l'istituto di credito a fare massiccio ricorso alle operazioni di capitale finanziato onde azzerare il fondo acquisto azioni proprie che impattava negativamente sul capitale di vigilanza; - della falsità, infine, dell'informativa preventiva del 23 aprile 2013 relativa al programmato aumento di capitale (informativa, a firma Sa.So., nella quale erano stati illustrati gli effetti del rafforzamento patrimoniale, segnalandosi che dopo tale operazione il Tier Ratio 1 sarebbe passato dall'8,23% al 9,1% e, quindi, al 9,98%, a seguito della conversione del soft mandatory). Peraltro neppure a seguito delle successive interlocuzioni dì Banca d'Italia, inerenti anche al profilo della liquidabilità del titolo, erano stati effettuati riferimenti, da parte dei rappresentanti di B., al fenomeno del capitale correlato. Infatti sì era sempre sostenuto, da parte dell'istituto di credito, che l'operazione di aumento di capitale si sarebbe presto conclusa con pieno successo. Sul punto - precisava il tribunale - il teste Ma.Pa. aveva chiarito che se la prassi delle operazioni di capitale finanziato fosse stata riferita, come doveroso, la Banca d'Italia sarebbe certamente intervenuta esercitando i poteri di controllo derivanti dalla legge. In particolare l'ente di vigilanza avrebbe imposto sia lo scomputo dell'ammontare del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza sia l'adozione di misure di risanamento. Invece, tacendo queste informazioni, l'istituto di credito aveva lucrato effetti favorevoli immediati: la Banca d'Italia aveva deciso di non avviare un procedimento sanzionatorio e neppure aveva adottato interventi che avrebbero precluso la distribuzione dei dividendi ed imposto il decremento della parte variabile della remunerazione dei dirigenti come previsto dalla normativa della stessa Banca d'Italia. La stessa operazione di aumento di capitale, poi, sarebbe stata valutata diversamente; ° con riferimento al secondo semestre dell'anno 2013 (capo E1) si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza relative al 30.6.2013, al 30.9.2013 e al 31.12.2013 (nelle quali mai era stato ricompreso l'ammontare delle operazioni di capitale finanziato per gli importi calcolati dai consulenti tecnici nella misura di 555 milioni a fine giugno, di 626 milioni a fine settembre e di 700 milioni a fine dicembre del 2013). Conseguentemente, senza l'effetto distorsivo prodotto dall'omessa rappresentazione della corretta quantificazione dei coefficienti patrimoniali, il T1 Ratio sarebbe passato a fine giugno dall'8,1% al 6,32%; al 30.9.2013 dall'8,50% al 6,50%; al 31.12.2013 dal 9,1% al 6,89%. Analogamente il TCR si sarebbe ridotto dall'I 1,06% al 9,32% al 30 giugno; dall'11,41% al 9,48% nel settembre; dall'11,8% al 9,55% al 31 dicembre. In definitiva in tutto il periodo in esame il Tier 1 Ratio sarebbe stato ben inferiore alla soglia-target dell'8%, siccome fissata dall'autorità di vigilanza; con riferimento all'aumento di capitale 2014 (capo F1) si trattava: - dell'informativa preventiva del 5.3.2014 e dell'informativa integrativa dell'11.4.2014. In entrambi i casi era stata omessa l'indicazione che l'operazione di aumento di capitale sarebbe stata portata a termine anche mediante la concessione di forme di assistenza finanziaria ai clienti, con conseguente indicazione di ratios patrimoniali post-aucap del tutto falsati. Quanto al c.d. miniaucap (ovverosia ad un aumento di capitale destinato a nuovi soci), previsto anche nel 2014, si era precisato che le quote di capitale finanziato non sarebbero state computate nel patrimonio di vigilanza. Vi era stato anche, in data 9.4.2014, un incontro tra i vertici dell'istituto di credito e la vigilanza. All'esito delle interlocuzioni la Banca d'Italia aveva autorizzato la classificazione patrimoniale richiesta. Solo a seguito dell'ispezione BCE e CONSOB del 2015, infatti, era emerso come l'operazione di aumento di capitale fosse stata pianificata con erogazione di finanziamenti correlati, per un importo accertato di euro 136.314.287 (pari al 22% dell'operazione). I dati dell'aumento di capitale erano stati, pertanto, gravemente falsati. Di qui la conclusione che il provvedimento autorizzativo della Banca d'Italia fosse stato ottenuto a seguito dello sviamento della funzione di vigilanza. Il teste Ma.Pa., del resto, aveva anche in tal caso precisato come, se la Banca d'Italia avesse avuto contezza dei dati occultati, non avrebbe di certo autorizzato l'operazione nei termini in cui ciò era avvenuto. Per contro, sarebbe palesemente emersa la grave difficoltà della banca di collocare i propri titoli sul mercato; - con riferimento alla vigilanza prudenziale della banca d'Italia nel 2014 (capo G1), si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza alla data del 31.3.2014, del 30.6.2014, del 30.9.2014 (per l'omessa indicazione tra gli elementi negativi delle quote di capitale finanziato, pari a 728 milioni alla data del 31 marzo, a 718 milioni alla data del 30 giugno e a 886 milioni alla data del 30 settembre. Conseguentemente il CET 1 ratio era passato, a fine marzo, dall'8,99% al 6,63%; a fine giugno dall'8,55% al 6,24%; a fine settembre dal 10,8% all'8,01%); - della falsità della comunicazione 1.9.2014 nella parte in cui si era attestato il raggiungimento degli obiettivi di raccolta aucap 2014 per l'importo di 607,8 milioni e, di conseguenza, il livello dei fondi propri e dei ratios patrimoniali. In particolare la comunicazione dell'istituto di credito di avere già riassorbito, attraverso la chiusura dell'aumento di capitale, il temporaneo mancato rispetto del "buffer" - ovverosia della riserva obbligatoria di conservazione del capitale pari al 2,5% - aveva indotto l'autorità di vigilanza a non assumere iniziative in ordine a tale violazione (dovuta ai riacquisti di azioni proprie che, dì fatto, avevano neutralizzato, per il valore corrispondente, l'aumento di capitale, come precisato dal teste En.Se.) perché, per l'appunto, immediatamente "riassorbita"; - nonché della falsità della comunicazione 4.11.2014, relativa alle giustificazioni fornite all'organo di vigilanza in relazione al fenomeno di riacquisto delle azioni proprie (per l'ammontare di 194 milioni nel primo semestre del 2014) nonché in relazione ai 52,4 milioni di euro di azioni detenuti indirettamente attraverso i fondi lussemburghesi "(...)" e, "(...)". In particolare la banca, da un lato, aveva ribadito che sì era trattato di riacquisti imposti dalla necessità di evadere (e domande di investimento dei clienti nella consapevolezza che il disavanzo sarebbe stato coperto dall'aumento di capitale in corso; aumento di capitale che, peraltro, aveva portato ad un incremento proprio del CET Ratio di circa 141 bps (punti base). Dall'altro lato la banca aveva confermato la correttezza dei dati contenuti nelle segnalazioni di vigilanza sulle operazioni svolte attraverso i fondi esteri. Diversamente, ove la Banca d'Italia avesse avuto contezza di quanto occultatole (e cioè, complessivamente, delle operazioni di capitale finanziato e dell'impegno al riacquisto delle azioni), avrebbe preso atto di una situazione patrimoniale radicalmente differente. La falsità della comunicazione, quindi, aveva prodotto l'effetto di impedire interventi dì vigilanza coerenti con l'effettiva situazione patrimoniale dell'istituto di credito. 1.7.3 Le condotte di ostacolo alfa vigilanza BCE (capo H1) Al riguardo il tribunale, premesso che a seguito dell'entrata in vigore, in data 4.11.2014, del Sistema di Vigilanza Unico, talune competenze primarie in materia di vigilanza erano state trasferite alla BCE, con conseguente ricomprensione anche della predetta Banca Centrale tra i soggetti destinatari della tutela ex art. 2638 c.c., individuava, alla stregua dell'imputazione, le condotte di ostacolo rispettivamente: - nella segnalazione di vigilanza al 31.12.2014 (in ragione della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dall'11,73% all'8,04%) e nella segnalazione di vigilanza al 31.3.2015 (in ragione, anche in tal caso, della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dal 10,67% al 7,49%). Tali condotte decettive, in entrambi i casi, avevano impedito alla vigilanza l'adozione di tempestivi provvedimenti; - nonché nella informativa al pubblico al 31.12.2014; 1.7.4 Le condotte di ostacolo relative al Comprehensive Assessment (capo M1) Con riferimento alle condotte di ostacolo poste in essere in danno di Banca d'Italia e BCE impegnate nella vigilanza in fase di valutazione approfondita (Comprehensive Assessment), svoltasi nel periodo tra il febbraio e l'agosto del 2014, il tribunale riteneva provate condotte di ostacolo tradottesi tanto nell'omessa comunicazione di informazioni essenziali (inerenti al fenomeno dell'assistenza finanziaria e al rilascio della lettere di impegno al riacquisto) quanto nell'esposizione di fatti non veritieri sulla situazione patrimoniale del gruppo come descritta nella nota 20,6.2014 e nel capital pian inviato in data 10.11.2014. In particolare nel corso della Asset Quality Review - AQR (ovverosia della Revisione della Qualità degli Attivi di bilancio), dopo che erano stati formulati rilievi molto critici per la banca da parte delle autorità di vigilanza (con l'ispettore Vi.Ca. che aveva esposto forti perplessità in ordine alla patrimonializzazione dell'istituto di credito, evidenziando come il progettato aumento di capitale sarebbe sostanzialmente servito solo a colmare il deficit; e aveva anche avanzato seri dubbi sulla stessa concreta possibilità di portare a compimento l'operazione di aumento di capitale), i vertici dell'istituto avevano rassicurato la vigilanza stessa sotto tutti i profili. Nel corso dell'ispezione, tuttavia, non era emerso in alcun modo il fenomeno del capitale finanziato né era venuta alla luce l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto; elementi che, se conosciuti, avrebbero portato ad esiti del Comprehensive Assessment ben diversi. Anche il Preliminary Capital Plan - predisposto dall'istituto di credito su richiesta della Banca d'Italia in data 9.6.2014, in previsione dell'entrata in vigore del meccanismo unico di vigilanza, e inviato all'autorità di vigilanza il 20.6.2014 - era stato caratterizzato dalla prospettazione di un obiettivo di patrimonializzazione rassicurante (euro 608 milioni per effetto dell'aumento di capitale); prospettazione, tuttavia, radicalmente falsata dalla mancata precisazione che anche tale risultato era dovuto al massiccio ricorso al capitale finanziato. Quindi, con il Capital Pian elaborato il 10.11.2014 (e, pertanto, successivamente agli esiti del Comprehensive Assessment che, pubblicati il 26.10.2014, avevano evidenziato la necessità dell'adozione di misure di implementazione del capitale, posto che gli Stress Test avevano rivelato un deficit da scenario avverso di 223 milioni), l'istituto di credito vicentino aveva adottato delle contromisure (segnatamente: l'utilizzo dell'aumento di capitale già collocato e la conversione del soft mandatory per 223 milioni) che avevano portato la BCE ad adottare una decisione SREP (ovverosia una decisione inerente al processo di revisione e valutazione prudenziale, consistente nell'analisi dei profili di rischio delle banche) con la quale veniva fissato un requisito minimo di CET1 ratio pari ad almeno il 10,25% ed erano stati richiesti l'adozione di un piano di capitale, da realizzarsi entro l'aprile del 2016, nonché il rafforzamento delle strutture organizzative dei processi e delle strategie di controllo interno. Al solito, la mancata comunicazione delle essenziali informazioni in ordine al massiccio ricorso al capitale finanziato, anche in occasione dell'aumento di capitale, aveva avuto lo scopo - effettivamente raggiunto - di procrastinare l'emersione delle situazioni di illiquidità del titolo e di sotto-patrimonializzazione dell'istituto di credito, di fatto seriamente ostacolando le funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della BCE, tenute all'oscuro delia esatta situazione patrimoniale e finanziaria del gruppo. Di qui l'adozione da parte degli organi di vigilanza di provvedimenti (la citata decisione SREP del febbraio 2015) incoerenti con tale situazione e, per contro, la mancata adozione di contromisure impellenti e indifferibili (come precisato dal teste ispettore En.Se.). Solo in occasione dell'ispezione BCE del 2015 - concludeva il tribunale - sarebbe effettivamente emersa la macroscopica divergenza tra i flussi informativi indirizzati alla vigilanza nel triennio 2012-2015 e la reale situazione patrimoniale della banca. 1.7.5 L'ostacolo alla vigilanza nei confronti di CONSOB (capo N1 - posizione G1) Il tribunale riteneva provato anche l'addebito stigmatizzato sub N1), inerente alle condotte di ostacolo alla vigilanza poste in essere, nei confronti di CONSOB, in relazione all'operazione di aumento di capitale 2014. In estrema sintesi, dopo avere dettagliatamente illustrato - in relazione tanto alla disciplina generale quanto al modello concretamente adottato da B. - il quadro normativo delle attività di intermediazione finanziaria (con particolare riguardo agli obblighi incombenti sugli intermediari nella relazione con la clientela sia nella fase precontrattuale, sia in quella di conclusione del contratto, sia nel corso dell'esecuzione del rapporto in un'ottica di tutela dell'investitore al fine di agevolarlo nella comprensione delle caratteristiche, dei rischi e dei costi dei prodotti finanziari offerti in un mercato di libera concorrenza), il primo giudice ricostruiva puntualmente l'episodio in questione. Nel caso di specie B. aveva pianificato una operazione che prevedeva un'offerta a pagamento mediante emissione di azioni ordinarie in opzione ai soci per un importo massimo di euro 700.000.000, nonché un aumento di capitale ordinario a pagamento mediante emissioni di azioni ordinarie finalizzata all'ampliamento della base sociale da offrire ai non soci per un importo massimo di 300.000.000 di euro. Nel corso della seduta del CdA 15.4.2014, poi, era stata definitivamente approvata l'operazione in questione, con l'individuazione dell'ammontare definitivo dell'aumento di capitale (aumento di capitale scindibile fino al controvalore massimo di 608.000,000 dì euro), la definizione del rapporto di opzione (una nuova azione ogni nove possedute con definizione del rapporto di attribuzione del premio fedeltà nella misura di un'azione ogni quattro) e la decisione che le azioni eventualmente inoptate sarebbero state offerte al pubblico indistinto e assegnate a coloro che ne avessero fatto richiesta durante il perìodo di offerta. Le azioni erano state emesse al prezzo di 62,5 euro, determinato sulla base della relazione di stima dell'esperto indipendente. Solo con riferimento al mini aucap, poi, era stato previsto che potessero essere concessi ai nuovi soci finanziamenti correlati alla sottoscrizione dell'aumento di capitale. In relazione a tale operazione l'istituto di credito aveva rappresentato, nelle relative comunicazioni inviate alla CONSOB, siccome specificamente richiamate in imputazione (trattasi della comunicazione formale 23.5.2014 in risposta alla richiesta di dati e notizie del 16.5.2014; della nota 4.7.2014; dell'ulteriore nota 15.10.2014), l'adozione di un modello operativo fondato su un atteggiamento neutro in ordine alla collocazione dei propri titoli nei confronti dei titolari dei diritti di opzione, attestando di avere predisposto modelli procedurali tesi a garantire la genuinità dell'iniziativa del cliente e sottolineando altresì che, come deciso, eventuali operazioni dì finanziamento sarebbero state previste solo con riferimento all'operazione di mini aucap. Tali modelli prevedevano, per i soci titolari del diritto di opzione: - da un lato l'esclusione dell'applicabilità della valutazione di adeguatezza, onde non interferire con l'esercizio del predetto diritto di opzione; - dall'altro lato l'astensione dalla prestazione di raccomandazioni all'investimento e di consulenza per i medesimi titolari del diritto di opzione e della connessa prelazione, i quali, infatti, onde contenere le occasioni di contatto diretto tra costoro e gli addetti di rete, avrebbero potuto aderire autonomamente all'aumento di capitale inviando richieste via internet, inserendo il proprio codice fiscale in una apposita pagina web, ovvero a mezzo raccomandata. In altri termini l'istituto di credito aveva rappresentato, nella comunicazione formale 23.5.2014, che avrebbe compensato il "sacrificio" della valutazione di adeguatezza (sacrificio resosi necessario per evitare che tale "filtro", posto a presidio dell'investitore, potesse pregiudicare il libero esercizio del diritto di opzione - e della connessa prelazione - nel caso di soggetto che, già socio e interessato ad avvalersi dell'opzione, non avesse superato detto vaglio) con l'assicurazione che i titolari di opzione sarebbero stati messi al riparo da influenze di sorta da parte della rete dell'istituto di credito, onde scongiurare qualsivoglia rischio che le determinazioni dei clienti potessero essere influenzate da consigli dì investimento fomiti dalla rete della banca in una situazione di conflitto di interesse. La CONSOB aveva approvato il prospetto relativo all'aucap 2014 in data 8.5.2014 e il successivo 9.5.2014 la banca aveva comunicato agli azionisti i dettagli delle operazioni informandoli della facoltà di esercitare i! diritto di opzione. In linea con l'originaria comunicazione alla CONSOB, por, si collocavano le successive comunicazioni dell'istituto all'ente di vigilanza rese nelle date del 4.7.2014 e del 15.10.2014. Ebbene, precisava il primo giudice, contrariamente a quanto comunicato a COIMSOB ed alla stregua di inequivoche prove tanto testimoniali (oltre alla deposizione del dirigente CONSOB, Francesco Adria, il tribunale valorizzava quelle dei dirigenti B. Al.Mo. e Gi.Am.) quanto documentali (tra le quali plurime, assai significative, comunicazioni via e-mail intercorse tra dirigenti B.), era emersa la natura meramente formale dei presidi organizzativi adottati dall'istituto di credito, peraltro sistematicamente aggirati nella pratica commerciale in attuazione di un'attività di pianificazione che si era caratterizzata per una fortissima pressione commerciale sulla rete (come precisato da numerosi dirigenti B. e, segnatamente, dai testi Gi.Ca., Ma.Ni., Lu.Ve., Ro.Pr. e Fu.Bo.), posto che: a) ben lungi dall'essere riconducibili alla spontanea iniziativa dei clienti, gli acquisti erano stati sollecitati dalla rete commerciale dell'istituto, appositamente istruita e sistematicamente resa oggetto di forti pressioni per la collocazione dei titoli; b) circa il 60% delle richieste di acquisto di azioni inviate via internet (modalità che, come detto, secondo il modello predisposto, unitamente all'invio della richiesta in modalità cartacea attraverso la spedizione di lettera raccomandata, avrebbe dovuto essere seguita dalla clientela interessata alla sottoscrizione di azioni onde evitare contatti inappropriati con la rete dell'istituto) erano risultate inviate da indirizzi IP di computer in uso a dipendenti della banca. Inoltre era emersa la prassi della presentazione brevi manu delle missive, in luogo dell'invio per raccomandata; c) contrariamente a quanto esposto all'autorità di vigilanza, in larghissima parte le adesioni all'offerta da parte degli opzionisti (26.000 su 29.000) si erano concretizzate al di fuori del sistema nella preventiva raccolta delle manifestazioni di interesse; d) mediante le modalità predisposte dalla banca, infatti, avevano aderito solo 2778 del 29.360 titolari del diritto di opzione, inviando 1695 lettere e 1083 manifestazioni di interesse via web; e) erano state create vere e proprie liste di clienti da contattare per supportare° la rete di vendita, nell'ambito di un'accurata pianificazione commerciale volta a favorire al massimo la collocazione delle azioni (ben 7434 soci che avevano aderito all'iniziativa, infatti, erano risultati inseriti nelle liste predisposte dalla banca); f) il 32% degli aderenti all'aucap censiti nel database delle manifestazioni di interesse aveva richiesto al momento dell'adesione un quantitativo di azioni esattamente corrispondente a quanto registrato nell'applicativo predisposto dalla banca nella fase di preadesione; g) era emersa la prassi di aggirare il test di adeguatezza (previsto per le adesioni del pubblico indistinto sino al 9.7.2014) facendo acquistare sul mercato secondario al cliente 100 azioni prima dell'aucap, in modo che il medesimo cliente potesse rientrare tra i soci e, quindi, potesse partecipare all'aumento di capitale senza effettuare le valutazioni di adeguatezza. Più nel dettaglio, i casi di consulenza surrettizia accertati - come precisato dall'ispettore An.Me. - erano risultati corrispondenti ad operazioni di acquisto per un valore pari a 143,17 milioni di euro su 497,98 milioni di euro complessivi. Secondo gli esiti della replica del test di adeguatezza standard effettuato in sede ispettiva (test che, infatti, sarebbe stato doveroso effettuare in caso di consulenza) era poi emerso che in almeno il 72% dei casi per un controvalore di 83 milioni di euro si sarebbe trattato di operazioni non adeguate, in quanto tali destinate ad essere bloccate dalla procedura. Inoltre si era acquisita contezza di agevolazioni (segnatamente, time deposit a tassi vantaggiosi) e anche di massicci finanziamenti concessi per l'acquisto di azioni proprie, non solo per garantire l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie ma anche per conseguire gli obiettivi di aumento di capitale, peraltro nell'ambito di iniziative commerciali che erano state taciute alla CONSOB e che avevano portato alla conclusione di operazioni di vendita di titoli in assenza delle doverose informazioni circa la natura e le caratteristiche delle operazioni medesime. Pertanto l'incremento di rischio per la clientela era stato del tutto privo di presidi nei sistemi di verifica di adeguatezza degli investimenti. In definitiva - concludeva il primo giudice - B. aveva fornito alla CONSOB, con riferimento alla predetta operazione di aumento di capitale, un quadro informativo falso e gravemente fuorviante, tanto in ordine al modello di servizio adottato per rapportarsi alla clientela quanto in punto di erogazione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie. La rilevanza decettiva di tali condotte era stata indubbia: ove la CONSOB fosse stata informata della pianificazione commerciale all'origine del collocamento delle azioni, infatti, avrebbe sicuramente esercitato in modo più pervasivo i propri poteri, sia di controllo che istruttori ex art. 94 TUF, e avrebbe imposto un più rigoroso modello di operatività fondato sulla consulenza e sull'obbligo di somministrazione di test di adeguatezza bloccante. Né, ad avviso del giudice di prime cure, poteva aderirsi alla tesi difensiva proposta dall'imputato Em.Gi.. Costui - risultato il dirigente che aveva maggiormente supportato e coadiuvato il direttore generale Sa.So. nell'iniziativa commerciale tesa a garantire il buon esito dell'aumento di capitale - aveva sostenuto, infatti, di avere agito nella convinzione dell'esistenza di una pregressa pianificazione commerciale concordata dall'istituto di credito con l'autorità di vigilanza. Tale tesi difensiva, tuttavia, era stata nettamente smentita dalle emergenze istruttorie. Da un lato, infatti, la banca aveva sempre attestato alla vigilanza che le operazioni di sottoscrizione erano avvenute ad iniziativa dei clienti; dall'altro lato era emersa un'operatività volta alla pianificazione commerciale dell'operazione non verbalizzata e, quindi, evidentemente elaborata e attuata nella piena consapevolezza di agire al di fuori del perimetro di regolarità tracciato dalla normativa Mifid. Né - proseguiva il tribunale - poteva accedersi alla tesi difensiva dell'imputato GI. secondo cui questi non era responsabile del reato in esame essendosi limitato a dare attuazione alle direttive impartitegli; in contrario deponevano la sua veste di dirigente apicale (responsabile della Divisione Mercati e vice direttore generale) nonché la prova - da considerarsi raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio - dell'incondizionato allineamento del GI. all'illecita politica gestoria ideata dal direttore generale So., cui il GI. medesimo aveva contribuito materialmente offrendo un fondamentale apporto partecipativo. Peraltro - concludeva, sul punto, il primo giudice - lo stesso presidente Zo.Gi. aveva preso parte tanto alla riunione del 3 aprile 2014, nel corso della quale il d.g. So. aveva illustrato alla rete le modalità operative pianificate per l'aucap e la campagna di contatto della clientela (al riguardo il riferimento era alla e-mail di cui al doc. 241 del P.M. in cui si esplicitava chiaramente la "campagna di contatto" all'uopo programmata), quanto alla precedente seduta del CdA del 4 marzo, in occasione della quale aveva fatto esplicito riferimento alla necessità dì "fare formazione sulla rete", chiarendo che "non devono parlare", ovverosia all'esigenza di stimolare i clienti ad aderire all'aumento di capitale e alla congiunta necessità di occultare tale prassi operativa. Donde la trasmissione degli atti al P.M. con riferimento alla posizione di tale imputato. 1.8. I reati di falso in prospetto In proposito va premesso che oggetto dei capì di imputazione sub I) ed L) sono i prospetti informativi redatti dall'istituto dì credito e depositati presso la CONSOB relativi agli aumenti di capitale realizzati negli anni 2013 e 2014 ed inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni La condotta di falso, secondo le suddette imputazioni, sarebbe consistita nell'occultamento di informazioni rilevanti in merito all'esistenza, all'entità e agli effetti del fenomeno degli investimenti correlati all'acquisto di azioni B., nonché nella comunicazione dì informazioni fuorvianti in ordine all'andamento del mercato secondario delle stesse azioni. Sul punto il tribunale, dopo avere richiamato il quadro normativo di riferimento (artt. 94, 94 bis, 173 bis D.Lvo 58/98 - TUF), evidenziava gli elementi costituivi della fattispecie delittuosa in esame precisando trattarsi di "reato comune", finalizzato ad approntare tutela al risparmio nella sua accezione "dinamica" e caratterizzato da una condotta reticente o fuorviante idonea a trarre in inganno l'investitore (senza peraltro la necessità della causazione di danno, come invece previsto dalla previgente fattispecie ex art. 2623 c.c.). In siffatta prospettiva la falsità non avrebbe dovuto necessariamente avere a oggetto dati materiali necessari ma anche notizie e valutazioni fondanti l'offerta (con l'ovvia precisazione che, in tal caso, più che di falsità delle predette valutazioni si sarebbe trattato di un difetto di genuinità e di imparzialità delle stesse). Anche l'occultamento di informazioni, poi, avrebbe potuto integrare la condotta materiale della fattispecie in questione, qualora inerente a dati o informazioni parimenti rilevanti. In ogni caso, essendosi in presenza dì reato di pericolo concreto, requisito essenziale della condotta decettiva era l'idoneità a trarre in inganno il destinatario; quest'ultimo, nella concretezza del caso sub iudice, non si sarebbe dovuto identificare nell'investitore professionale e neppure - ed a fortiori - in quello istituzionale, bensì nel piccolo/medio risparmiatore, ovverosia in quel soggetto che, generalmente, si limita alla lettura della sola "nota di sintesi", decisamente più breve e predisposta proprio al fine di renderlo edotto del contenuto "concreto" della proposta di investimento. Sotto il profilo soggettivo, poi, la norma era caratterizzata dalla combinazione del dolo specifico e di quello intenzionale: alla volontà e rappresentazione del fatto tipico commesso con l'intenzione di ingannare i destinatari del prodotto finanziario, infatti, si accompagnava lo scopo di conseguire un ingiusto profitto, per sé ovvero per altri. Tanto premesso - proseguiva il tribunale - negli anni 2013 e 2014 la banca vicentina aveva realizzato due aumenti di capitale, il primo deliberato il 16.4.2013 ed il secondo, caratterizzato da due offerte, il 15.4.2014. In entrambi i casi i prospetti comunicati dalla banca erano risultati caratterizzati dall'occultamento dell'esistenza, dell'entità e degli effetti del fenomeno della concessione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. e, quindi, dall'occultamento di informazioni essenziali perché l'investitore potesse determinarsi correttamente. Questo benché la prassi della concessione di siffatta tipologia di finanziamenti risalisse al 2009 (quando l'istituto aveva iniziato a proporre a clienti "amici" acquisto dì azioni proprie in grandi quantità - i c.d. "big ticket" - nell'ambito di operazioni "baciate", ovvero caratterizzate dalla tendenziale corrispondenza tra importo del finanziamento concesso e controvalore delle azioni acquistate, al fine di procedere allo svuotamento periodico del fondo acquisto azioni proprie) e benché detto fenomeno, che aveva interessato tanto il mercato primario quanto quello secondario, avesse raggiunto dimensioni consistenti già a partire dal 2012 (nel quarto trimestre de) 2012, infatti, il numero dì azioni finanziate era risultato corrispondere ad un controvalore di euro 545.520.996). Ora, con riferimento al mercato primario, nell'ambito degli aumenti di capitale finalizzati all'ampliamento della base sociale (mini aucap 2013 e 2014), l'istituto di credito aveva previsto espressamente l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie. Analoga informativa, invece, non era stata inserita nei prospetti relativi agli aumenti di capitale destinati ai titolari del diritto di opzione, ovvero al pubblico indistinto, sebbene, poi, in concreto, gli accertamenti ispettivi BCE e CONSOB avessero dimostrato come gli aumenti di capitale 2013 e 2014 fossero stati in larga parte realizzati proprio ricorrendo al massiccio finanziamento degli investitori che sottoscrivevano azioni di nuova emissione (nel 2013, su un controvalore totale di euro 506 milioni, le operazioni finanziate erano ammontate a 136.034,044,00 euro; nel 2014, poi, i finanziamenti concessi dall'istituto avevano riguardato azioni per un controvalore di 146,451.259 euro). Solo a seguito dell'ispezione BCE del 2015, infatti, l'istituto aveva ammesso l'esistenza delle operazioni di finanziamento correlato, per un valore complessivo determinato, in sede di internai audit, di 1.086 milioni di euro alla data del 31.10.2015, informazione che, come inevitabile, aveva provocato effetti dirompenti. Di qui la conclusione cui perveniva il primo giudice circa la penale responsabilità derivante dalla radicale assenza, nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento di capitale, dell'esistenza e dell'entità del fenomeno delle operazioni finanziate, trattandosi di informazioni che, ove conosciute, avrebbero evidentemente indotto un investitore ragionevole ad una ben maggiore ponderazione nella decisione di sottoscrivere gli aumenti di capitale. L'occultamento di tali informazioni, poi, aveva ovviamente alterato anche i dati di bilancio e, di conseguenza, le informazioni ad essi inerenti che erano state riportate nei prospetti relativi agli aumenti di capitale in questione. L'effetto che ne era derivato era stato, anche in tal caso, quello di distorcere gravemente la conoscenza degli investitori circa la rappresentazione dei livelli patrimoniali della società. Per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2012, infatti, il Tier 1 Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia dell'8% quale prescritta dalla Banca d'Italia nella lettera di intervento del 2.3.2012. Anche nel 2013, poi, si era registrata analoga violazione di detto requisito target. Così come durante il successivo esercizio 2014, quando il CET Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia regolamentare del 7% e il Total Capital Ratio aveva parimenti raggiunto un livello inferiore a quello minimo regolamentare del 10,5%. I dati di bilancio richiamati nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento del capitale, quindi, avevano indotto i risparmiatori a confidare in un livello di solidità patrimoniale dell'istituto di credito in realtà ben inferiore a quello prescritto. Donde l'idoneità decettiva delle informazioni fornite sul punto. Infine, anche le informazioni inerenti ai volumi delle azioni scambiate nell'ambito del mercato secondario erano risultate del tutto inattendibili per effetto della mancata comunicazione del fenomeno delle operazioni finanziate (fenomeno al quale la banca aveva fatto ricorso massicciamente, a partire dal 2012, proprio allo scopo di assicurare la negoziabilità del titolo, provocando, tuttavia, in tal guisa, una grave alterazione della dinamica del mercato secondario) e avevano ingenerato nei terzi la convinzione di una solo apparente liquidità delle azioni. In questo contesto era stata occultata al mercato - sostenendosi, nei prospetti, che le richieste di cessioni delle azioni sarebbero state sottoposte appena possibile al CdA - la persistente situazione di grave ritardo nell'evasione delle richieste di vendita di azioni provenienti dai soci (nel corso del 2013, in effetti, il time to sell era passato dai 28 giorni del mese di gennaio ai 311 giorni della fine dell'anno); richieste, peraltro, neppure sempre evase in ordine cronologico. In definitiva la mancata comunicazione di tali informazioni aveva ingenerato l'apparenza di un'appetibilità del titolo in realtà inesistente. Donde, anche sotto tale profilo, la sussistenza della condotta di reato di falso in prospetto. Quanto, poi, alle singole posizioni soggettive, il tribunale evidenziava come Zo.Gi., presidente del CdA dal 1996 al 2015, fosse certamente responsabile delle operazioni di aumento di capitale del 2013 e anche della redazione dei relativi prospetti, per avere egli, su incarico del CdA, conferito al d.g. So. e al vice d.g. PI. i poteri all'uopo necessari, nonché per avere egli sottoscritto il documento di registrazione e la dichiarazione di responsabilità. Analogamente, con riferimento all'aumento di capitale 2014, i poteri conferiti allo ZO. dal CdA in ordine all'operazione di aumento di capitale rendevano evidente la responsabilità del predetto nella falsificazione dei prospetti illustrativi di detta operazione Considerazioni del medesimo tenore, poi, venivano dal tribunale svolte con riferimento alla posizione del PI., trattandosi di un vice direttore B. nonché del responsabile della Divisione Finanza, ovverosia di una divisione alla quale, secondo l'organigramma dell'istituto di credito, competeva proprio l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi. Infine anche gli imputati GI. e MA. venivano giudicati responsabili del reato in questione, avendo i predetti, sebbene non coinvolti - secondo il primo giudice - nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, partecipato attivamente ad assicurare, conoscendone perfettamente le esigenze sottostanti, l'operatività del meccanismo dei finanziamenti correlati all'acquisto delle azioni B. mediante massiccio ricorso al capitale finanziato; meccanismo del quale avevano contribuito a occultare l'esistenza e l'entità. 1.9. Le singole posizioni processuali. 1.9.1 Zo.Gi. Il tribunale, dopo avere richiamato la normativa di dettaglio emanata da Banca d'Italia per disciplinare gli assetti del governo societario dell'impresa bancaria (assetti che attribuivano al presidente del CdA il ruolo di garanzia in ordine al corretto funzionamento dell'organo, precisando come costui non dovesse essere un componente esecutivo e non dovesse svolgere, neppure di fatto, funzioni gestionali) e dopo avere ricostruito la composizione, all'epoca dei fatti, del CdA di B., precisava che Zo.Gi. era stato presidente dell'istituto di credito dal 1996 al novembre del 2015 nonché presidente del comitato esecutivo. Tutti gli elementi disponibili, poi, convergevano nel delineare il ruolo dominante e pervasivo svolto dall'imputato nell'organizzazione dell'attività della banca, tanto che l'attenzione degli organi di vigilanza, sin dal 2007, aveva evidenziato tale criticità, stigmatizzando l'autoreferenzialità dei meccanismi di governance instaurati dall'imputato. Peraltro era stata proprio la strategia di crescita (aumento degli sportelli; continua espansione dimensionale) imposta alla banca dal Presidente a porsi all'origine delle problematiche degli aspetti patrimoniali del gruppo che, infatti, proprio per fare fronte alla progressiva crescita dei costi di gestione, era stato costretto a ricorrere sistematicamente ad aumenti di capitale. Inoltre i meccanismi di governo societario - e, in particolare, il ruolo predominante rivestito, nel consiglio di amministrazione, dall'imputato nonché la visione maturata e attuata dallo stesso dì un successo imprenditoriale commisurato alla continua espansione dimensionale dell'istituto - erano stati sistematicamente censurati dall'autorità di vigilanza (in particolare: in occasione del rapporto ispettivo del 2008; dell'ispezione di follow up del 2009; dell'ispezione sul credito del 2012; della vigilanza in relazione all'aumento di capitale del 2013). Del resto la struttura verticistica del governo aziendale era emersa da tutte le risultanze probatorie disponibili. In effetti - precisava il primo giudice - l'imputato esercitava una forma pervasiva di controllo sulle dinamiche del consiglio, nel cui seno le decisioni assunte non erano mai state oggetto di discussione o dibattito, il tutto mentre il controllo assicurato dal collegio sindacale era risultato meramente formale, come verificato da Banca d'Italia nell'ispezione 2008. Di fatto era lo ZO., con riferimento tanto al consiglio di amministrazione, quanto al collegio sindacale, a selezionare i candidati (dep. Zi., Gr., Lo.), scegliendoli, per cooptazione, tra esponenti dell'imprenditoria locale (individuando, peraltro, soggetti inesperti dei complessi meccanismi dell'impresa bancaria) e ad affiancare loro professionisti già legati alla persona dello stesso presidente da pregresse esperienze professionali. In particolare il tribunale, sulla base di puntuali deposizioni al riguardo (trattasi, segnatamente, della deposizione resa dal teste Da.Lo.), ricostruiva una situazione caratterizzata dall'assenza di obiezioni di sorta alle proposte presidenziali, da un clima dì effettiva intimidazione - se non di vero e proprio terrore - che rendeva difficile manifestare qualsiasi dissenso, nonché da modalità di votazione, in assemblea, che rendevano identificabili le singole manifestazioni di voto. In effetti il CdA si era costantemente limitato ad approvare le proposte del presidente e tutte le decisioni erano state sempre unanimi, sicché lo stesso ruolo del consiglio era stato, di fatto, svuotato di ogni profilo sostanziale. Emblematica di ciò - ad avviso del tribunale - era stata la vicenda dell'acquisizione di un immobile da adibire a sportello bancario nella località turistica di Cortina, operazione fortemente voluta dallo ZO. (in particolare per il ritorno di immagine che, a suo giudizio, ne sarebbe derivato) e che era stata conseguentemente accettata dal d.g. So. contro ogni logica dì convenienza economica, tanto che aveva portato all'esito fallimentare di una perdita di oltre venti milioni di euro (come peraltro comprovato dal contenuto della conversazione telefonica intercettata riportata a pag. 589 della sentenza impugnata e come confermato dalla relazione ex art. 33 l.f.). Altrettanto significativa del ruolo predominante dell'imputato in seno al CdA, poi, era la vicenda - la cui ricostruzione esatta era stata resa possibile dalla documentazione costituita dal relativo file audio - inerente alla determinazione del prezzo dell'azione in deroga alle stesse regole procedurali dell'istituto deliberata in occasione della seduta 1.4.2014. Connotato da analoga "impronta padronale", inoltre, era anche il rapporto tra l'imputato, da un lato, ed il management e le strutture aziendali, dall'altro. Infatti, ripetutamente, gli incarichi di vertice erano stati assegnati a soggetti indicati dal presidente (era il caso dei d.g. Gr. e So., di Ro., di Fa., consulente nel settore degli affari internazionali; di Ra., al quale era stato affidato l'incarico di presidente della società Mo. che gestiva il patrimonio immobiliare della banca), con il CdA che si era limitato a ratificarne le decisioni. Era lo ZO. a decidere su tutto: retribuzioni, posizioni, crediti, affidamenti, parco automobili (si veda la deposizione di Um.Se., direttore della controllata siciliana Ba.Nu. dal 2012), L'imputato si era occupato anche delle campagne pubblicitarie (cfr. la deposizione del teste Ma.Pa.) e addirittura della concessione, agli amici, di tassi di interesse fuori mercato ed in perdita per la banca (come nel caso dell'imprenditore amico Re.Ca., secondo la deposizione del teste Gi.Am.). Più nel dettaglio, il coinvolgimento dello ZO. nell'attività gestionale era stato confermato da numerose, convergenti deposizioni. Era il caso, in particolare, delle testimonianze di Al.Sa., Iv.Me. e Gi.Am., quest'ultima relativa anche alla riunione tenutasi l'il.11.2014 a seguito della pubblicazione dell'articolo del Sole 24 Ore che aveva messo in discussione il valore del titolo. In detta riunione ZO. aveva esplicitamente affermato, tra l'altro, che ì soci che avessero voluto vendere i titoli avrebbero potuto essere sostenuti con finanziamenti e la trascrizione della già menzionata seduta del Comitato di Direzione 10.11.2014 (doc. P.M. nr. 110) riscontra tali indicazioni del presidente. Le e-mail acquisite al fascicolo del dibattimento (docc. P.M. nr. 298, 299, 322, 320, 521), al pari degli appunti di Ma.So. contenuti nel "maxi quaderno giallo", poi, confermavano il ruolo operativo del presidente. Il teste Se.Ro., inoltre, aveva riferito al teste Ma.Pa. - cfr. la deposizione di quest'ultimo - che le decisioni di vendita delle azioni andavano ricondotte allo ZO. e, sul punto, non mancavano conferme documentali: la e-mail del 16.6.2014 (allegato 31 relazione CONSOB), avente ad oggetto il sollecito rivolto dalla segreteria del presidente ZO. al Ro. circa un reclamo - indirizzato direttamente al medesimo presidente ZO. -riguardante i ritardi nella vendita di azioni della sig.ra Ro.Sa.; il documento del P.M. nr. 321 (relativo a una corrispondenza e-mail tra Fi.Ro. e Da.Fa. del 20.1.2014); gli appunti del So.; infine le stesse dichiarazioni ammissive rese dall'imputato nel corso dell'interrogatorio del 24.3.2017. Lo strettissimo rapporto tra lo ZO. ed il d.g. So. (quest'ultimo, peraltro, proposto dallo stesso ZO. come consigliere delegato nel 2015, ovverosia poco prima dell'ispezione BCE, quando oramai la banca versava in condizioni di forte criticità ed aveva superato solo per il "rotto della cuffia" il Comprehensive Assessment tramite la conversione del prestito obbligazionario deliberata d'urgenza dal CdA nella seduta del 26.10.2014, convocata presso la tenuta toscana del presidente sita in (...) era stato delineato da numerosi testi escussi (Di.Gr., Se.Ro., Ad.Ca., Pa.An., Vi.Do., Ma.So.) e confermato dallo stralcio della conversazione intercettata tra Gi.Zi. e il suo interlocutore Pa.Ba. nello del 26.8.2015 (riportata a pag. 599 della gravata sentenza), dove si affermava che i due erano sostanzialmente inscindibili e "viaggiavano a braccetto". Lo stesso So. del resto, in occasione di talune conversazioni intercettate, si era riferito spesso al diretto coinvolgimento del Presidente nelle vicende gestorie della banca (il richiamo era ai progressivi 459, 300, 610, 845, 1570, 1587, nonché agli SMS di cui ai documenti nn.ri 653, 654, 655 - pagg. 600-603 della gravata sentenza). Con riferimento all'aucap del 2014, poi, la scheda file audio della seduta del CdA del 4.3-2014 aveva documentato il diretto coinvolgimento del presidente nella pianificazione dell'operazione in questione, mentre le dichiarazioni del coimputato GI. avevano ribadito tale coinvolgimento, peraltro confermato anche dalla documentazione disponibile (era il caso della e-mail costituente l'allegato nr. 75 alla relazione CONSOB). Lo ZO., inoltre, aveva avuto un ruolo attivo anche durante il comitato di direzione "allargato" del 20.4.2015 nel quale erano state affrontate, tra gli altri temi, le questioni dei soci finanziati e della creazione di una task force che avrebbe dovuto gestire il problema dei soci che chiedevano di vendere le proprie azioni. In tal senso deponeva il documento nr. 362 del P.M. costituito dagli appunti di Gi.Am., siccome "interpretati" dallo stesso Am. durante la propria deposizione. Nel corso di tale comitato di direzione, infatti, si era discusso anche del problema costituito dall'impossibilità di ricorrere all'impiego del fondo acquisto azioni proprie, ovvero allo strumento che, ad avviso del Presidente, doveva servire - secondo quanto riferito dal teste Am. - "a rendere più liquido l'investimento in azioni della (...)". Del resto le modalità della risoluzione del rapporto con il d.g. So. (risoluzione intervenuta solo quando, nel corso dell'ispezione BCE, la situazione era divenuta insostenibile a seguito dell'emersione della vicenda dei fondi lussemburghesi, della prassi delle lettere di impegno e dei finanziamenti correlati) dovevano ritenersi sintomatiche - nella ricostruzione dell'episodio fattane dal primo giudice - delle modalità gestorie dello ZO. e della volontà di assicurare al So. un commodus discessus. L'imputato, infatti, aveva fulmineamente risolto il contratto con il direttore generale (al quale, nondimeno, era stato riconosciuto di avere operato "con diligenza e correttezza nell'interesse della banca" e, soprattutto, era stata attribuita una buonuscita di ben 4 milioni di euro); questo era avvenuto nonostante il contrario parere del consigliere Gi.Zi. (documentato dal file audio della seduta del CdA) il quale aveva chiesto di valutare il licenziamento, al posto della risoluzione consensuale, al fine di salvaguardare la posizione dello stesso CdA. Peraltro dell'intervento dello ZI. il verbale consiliare non recava traccia alcuna (e questo nonostante la esplicita richiesta avanzata, in tal senso, dal menzionato consigliere). Si era trattato, quindi, di una decisione unilaterale di ZO., non preceduta da alcun dibattito in seno asl CdA (come riferito dallo stesso ZI. e come, del resto, confermato dalla deposizione del teste Ad.Ca.). Nell'occasione la finalità perseguita dallo ZO. - ad avviso del tribunale - era stata evidentemente quella di assicurarsi, "attraverso il fulmineo e ben retribuito congedo del direttore generale infedele", "un salvacondotto a fronte delle condotte illecite in fase di accertamento da parte della squadra ispettiva" (così si legge a pagina 611 della sentenza impugnata). Solo in quest'ottica, pertanto, poteva essere ragionevolmente interpretato quanto avvenuto in occasione delle successive sedute del CdA del 15 maggio, 27 maggio, 9 giugno e 11 giugno 2015, allorché sì era discusso della possibilità di intraprendere azioni legali nei confronti del So. per poi alla fine decidere, su proposta dello stesso ZO., di non procedere in alcun modo nei confronti dell'ex direttore generale. In definitiva l'accordo per la risoluzione del contratto con il manager con riconoscimento di una buonuscita multimilionaria - accordo deciso e repentinamente attuato dallo ZO. non solo in contrasto con le previsioni statutarie (che attribuivano al CdA la competenza in materia) e con la normativa di vigilanza in materia di remunerazione dei dirigenti, ma anche in radicale conflitto con l'interesse dell'istituto di credito - costituiva un elemento di prova della corresponsabilità dell'imputato. Sintomatiche dell'interesse (a proteggere il So.) perseguito, con detto accordo, dallo ZO. - significativamente definito, in un colloquio captato dagli investigatori, uno che ha governato come un monarca assoluto" e che, quindi, non era certo all'oscuro di quanto andava emergendo nel corso dell'ispezione - erano proprio alcune conversazioni intercettate (cfr. stralci riportati alle pagg. 611-613 della sentenza). Quindi il primo giudice, ad ulteriore sostegno della conclusione cui perveniva in ordine alla piena responsabilità dello ZO. nella gestione dell'istituto di credito con riferimento specifico alle condotte oggetto di imputazione, richiamava specificamente le operazioni correlate effettuate da taluni imprenditori. Trattasi, segnatamente: - di Se.Pi. (presidente del CdA della società It.). Costui, nel corso della deposizione resa in dibattimento, aveva ricostruito gli acquisti "baciati" dì azioni B. effettuati, originariamente su proposta dello ZO., con il ricorso ad affidamenti da parte dell'istituito di credito (il tutto per un'operatività di euro 4.400.000). Secondo detto teste lo ZO. era a conoscenza dell'esistenza dei finanziamenti correlati a lui concessi, iniziati nel 2005. Nel 2013, quando il teste era stato ospite dell'imputato a Castello di Albola, lo ZO. si era dimostrato soddisfatto dell'aumento di capitale e nell'occasione avevano parlato, tra l'altro, delle operazioni finanziate effettuate dal Pitacco, facendo anche specifico riferimento all'importo complessivo; - di Al.Be., imprenditore del settore dell'editoria legato da risalente rapporto di amicizia con l'imputato. Anche tale dichiarante (cfr. verbale di s.i.t. acquisito ex art. 493, co, 3, c.p,p.) aveva ricostruito le operazioni finanziate effettuate al fine di acquistare le azioni di B., per un valore complessivo di euro 1,25 milioni a fronte di un finanziamento di pari importo. Sebbene detto teste avesse riferito di non avere mai parlato con lo ZO. di tali operazioni "baciate", le relative dichiarazioni - sul punto - erano state smentite dai testi Gi.Gi. (direttore regionale della Lombardia) e Al.Ba. (responsabile della Divisione Crediti di B. dal gennaio 2015). Il primo, dopo avere ricostruito le operazioni "baciate" effettuate da detto imprenditore in condizioni di neutralità economica (donde i relativi storni che gli avevano garantito il totale rimborso degli interessi maturati), aveva precisato che il Be. gli aveva riferito di avere parlato con lo ZO. di una di tali operazioni (quella effettuata tramite la B.Me.), Il teste Al.Ba., dal canto suo, aveva dichiarato di avere discusso con l'imputato ZO. della posizione del Be., ragguagliandolo circa gli acquisiti di azioni tramite finanziamenti "baciati" effettuati in precedenza dallo stesso Be. per "Vare una cortesia alla banca". Ciò era avvenuto nel corso di un incontro cui aveva partecipato lo stesso imprenditore, il quale, nell'occasione, aveva espressamente chiesto che l'operazione "fosse smontata"; - di Do.Ir.. presidente di C., società del settore delle costruzioni e amica di famiglia dello ZO.. In questo caso le azioni B. erano state acquistate, per un valore di 1 milione di euro, impiegando parte di un più consistente finanziamento (5 milioni) concesso dall'istituto. A detta della Ir. la proposta iniziale le era stata avanzata, con riferimento all'aumento di capitale allora in fieri, proprio dallo ZO. il quale, poi, l'aveva "dirottata" sul d.g. So.. Dal canto suo il figlio della Ir., Ha.Mi. (vicepresidente e amministratore delegato di C.), il quale aveva poi portato avanti la trattativa, escusso in dibattimento non aveva ricordato con chi avesse effettivamente trattato (sebbene in sede di indagini, come emerso dalla contestazione del P.M., avesse riferito di avere interloquito, in proposito, con lo ZO. oppure con il manager Al.Cu.; soggetto, quest'ultimo, che - parimenti escusso in dibattimento - aveva smentito di essersi personalmente occupato della questione); - dei fratelli Ra.. In particolare Ra.Si., imprenditore del settore abbigliamento e cliente storico di B., aveva riferito di avere aderito, unitamente ad alcuni suoi familiari, alla proposta di operazioni "baciate". Più volte costui (al pari dei fratelli) aveva chiesto rassicurazioni al riguardo allo ZO. ed era stato sempre tranquillizzato. Nel 2013 i Ra. avevano iniziato a sollecitare la chiusura delle operazioni, al che Fu.Bo. ed Em.Gi. avevano tentato di dissuaderli. Dichiarazioni di analogo tenore, poi, erano state rese da Ra.Gi., sebbene costui avesse riferito, diversamente dal fratello, che le discussioni con lo ZO. avevano riguardato la solidità della banca e non già le operazioni "baciate" in corso. Nondimeno - precisava il tribunale - la conversazione nr. 560 intercettata sull'utenza in uso al So., nella quale costui, esprimendo disappunto sull'atteggiamento negazionista dello ZO., riferiva in termini coincidenti con la narrazione di Ra. Silvano, confermava la tesi di quest'ultimo in ordine al contenuto dei colloqui - aventi ad oggetto proprio il tema dell'acquisto delle azioni della banca - intercorsi tra i fratelli Ra. e il presidente ZO.; - di Fr.Zu. e Fe.Ri.. Il primo, cognato di ZO., aveva riferito di un fido concessogli per partecipare, a titolo di amicizia e senza alcun rischio, all'aucap 2014, operazione della quale, tuttavia, non aveva parlato con lo ZO.. Nondimeno dalle schede di analisi dei consulenti del P.M. erano emersi, complessivamente, acquisti di azioni effettuati dalla famiglia Zu. per 984 mila euro con risorse erogate all'uopo dall'istituto. Quanto al Ri., amico dell'imputato da decenni, ex direttore di musei e consulente della banca per la stima delle opere d'arte, aveva effettuato operazioni per gli aucap 2013 (300 mila euro) e 2014 (200 mila euro) e aveva riferito che lo ZO., quando aveva appreso di una di tali operazioni, aveva espresso il proprio compiacimento, sebbene il teste avesse pure precisato che con l'imputato aveva interloquito solo in relazione alla sua sottoscrizione dell'aucap, non già circa le modalità di acquisto delle azioni. Quando poi, nel 2015, aveva manifestato allo ZO. le proprie preoccupazioni per gli acquisti finanziati, l'imputato aveva ribattuto in modo brusco ("Ma chi ti ha detto di farli?"), lasciandolo perplesso; s di Gi.Ro., noto imprenditore del settore della valigeria. In tal caso le operazioni finanziate erano state molteplici (la prima per l'ammontare di 700,000 euro; successivamente anche per l'importo di 5 milioni). Ripetutamente aveva incontrato lo ZO. in occasione di cene e pranzi e, quando gli aveva chiesto rassicurazioni, era stato costantemente tranquillizzato. Richiesto di precisare se l'imputato fosse a conoscenza delle modalità seguite per l'acquisto delle azioni, il teste aveva risposto affermativamente sulla base di considerazioni di tipo logico (basate, per un verso, sulla posizione di vertice rivestita dall'interlocutore, definita dal teste quella del "capo", del "padre-padrone della banca" e, per altro verso, sull'importanza di dette operazioni nell'ambito della gestione dell'istituto di credito). Peraltro, precisava il tribunale, la registrazione del file audio del 18.6,2013 relativo alla breve conversazione intercorsa tra lo ZO. ed il coimputato GI. poco prima dell'inizio della seduta del CdA - conversazione della quale lo stesso GI. aveva poi chiarito il significato (inerente all'interesse manifestato da un imprenditore catanese, tale Riccardo Coffa, per una operazione "baciata") - dimostrava la piena consapevolezza, in capo allo ZO., della prassi esistente in relazione a tale tipologia di operazioni. Altro significativo elemento a carico dello ZO. era rappresentato, nella prospettiva del tribunale, dall'elevatissima concentrazione di operazioni correlate presso il "gestore private" Ro.Ri. nella filiale di Contrà Porti, la stessa ove l'imputato aveva acceso i propri conti correnti. In effetti lo strettissimo rapporto tra i due (ulteriormente comprovato dalla riassunzione de) "gestore" dopo che questi si era dimesso a seguito del trasferimento ad altra filiale; riassunzione, con immediata ricollocazione presso la filiale di Contrà Porti, conseguente a una semplice visita dello stesso Ri. presso l'abitazione dell'imputato) avrebbe avvalorato la conclusione circa la piena consapevolezza, in capo al presidente, della prassi delle operazioni "baciate" che il predetto Ri. effettuava in favore di una selezionatissima cliente, peraltro per importi estremamente ingenti. Questo benché il medesimo Ri. avesse negato di avere parlato di tali operazioni con l'imputato e, a maggior ragione, di avere da questi ricevuto, al riguardo, autorizzazioni di sorta. Del resto - precisava il tribunale - il teste Da.Ti. aveva dichiarato di essere stato rassicurato dallo stesso presidente ZO. - all'uopo interpellato dal "gestore private" Ri. che aveva sostanzialmente fatto da tramite - circa ii fato che le operazioni "baciate" di sua pertinenza sarebbero state chiuse. Anche l'inerzia dell'imputato a seguito della segnalazione di anomalie inerenti ad operazioni correlate ricevuta nella primavera-estate del 2014 deponeva nel senso della fondatezza dell'impostazione d'accusa, al pari, del resto, delle dimissioni del consulente private banker An.Vi., dimessosi in conseguenza delle insostenibili pressioni che riceveva dai superiori (a loro volta in tal senso istruiti dai vertici aziendali) proprio con riferimento alla conclusione di operazioni "baciate". Peraltro, una pec contenente l'esposizione delle ragioni delle dimissioni era stata trasmessa dal Vi., su consiglio del proprio avvocato, sia al CdA che allo stesso ZO., il quale ultimo l'aveva letta in data 7.7.2014 senza, tuttavia, sollecitare approfondimenti al riguardo. Del resto era significativo che la vicenda si fosse poi definita con un accordo transattivo e con l'impegno alla riservatezza. Di spiccato rilievo probatorio, poi, erano tanto l'inerzia manifestata dallo ZO. a seguito della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 26.4.2014, dal socio B. Da. con riferimento alla prassi degli acquisti finanziati, quanto l'atteggiamento, altrettanto inerte, assunto dallo stesso imputato a seguito della ricezione di due lettere anonime che denunziavano il fenomeno della pressione della rete commerciale per favorire la sottoscrizione di operazioni correlate. Conclusivamente, a fronte di tali convergenti elementi, le dichiarazioni rese dall'imputato in occasione degli interrogatori resi in fase di indagine e, successivamente, nel corso dell'esame dibattimentale svoltosi alle udienze - 23,6.2020 e 26.11.2020 - là dove questi aveva sostenuto di essere stato tenuto all'oscuro dell'esistenza del fenomeno delle operazioni correlate, di essersi fidato della valutazione di un esperto di indiscusso prestigio con riferimento al valore assegnato al titolo azionario e, infine, di avere avviato le operazioni di aumento di capitale facendo affidamento sul giudizio della Banca d'Italia in ordine alla solidità dell'istituto di credito - venivano dal tribunale giudicate come destituite di fondamento e scopertamente difensive. I fenomeni del capitale finanziato, delle lettere di impegno e degli investimenti effettuati tramite fondi esteri, infatti, erano stati espressione di prassi note, avallate e, anzi, incentivate dal presidente, vero e proprio dominus assoluto dell'istituto di credito. Egli aveva ricoperto, per circa un ventennio, una posizione di dominio incontrastato, aveva selezionato e fidelizzato il management, anche con trattamenti economici più che generosi (cfr. sul punto, la deposizione del teste Ma.Ma.), aveva imposto la regola dell'approvazione unanime delle sue proposte in CdA ed aveva sistematicamente agito (in forza di una asimmetria di poteri che, peraltro, trovava plastico riscontro anche nell'ammontare delle rispettive retribuzioni, quella dell'imputato risultando quasi dieci volte superiore a quelle degli altri consiglieri) in modo tale da indirizzare l'espansione territoriale dell'istituto nelle aree del Paese ove egli aveva i suoi insediamenti imprenditoriali (Toscana, Friuli, Sicilia), ovvero nelle località di vacanza da lui frequentate (Cortina). In definitiva tutte le dinamiche inerenti alla vita dell'istituto di credito erano state determinate dallo ZO., a partire dalle più importanti strategie d'impresa e fino alle attività più spicciole (posto che era emerso che all'imputato veniva sottoposta, per approvazione, finanche la lista degli invitati alle cene "istituzionali" periodicamente organizzate a casa Lo.), In siffatta prospettiva le conversazioni telefoniche intercettate nelle quali il d.g. Sa.So. evidenziava la piena riconducibilità delle scelte operative al Presidente, ben lungi dall'essere interpretabili come attuazione di una callida determinazione del predetto So., ispirata da logica autodifensiva (come invece sostenuto dalla difesa dello ZO.), costituivano coerente riscontro del pieno coinvolgimelo dell'imputato nell'attività delittuosa. Del resto talune conversazioni significative erano state effettuate impiegando utenze riconducibili a terzi (trattasi dell'utenza 3311650993 intestata a De.Mi.), donde, anche sotto tale profilo, l'insostenibilità della tesi della artificiosità di tali colloqui, il tenore dei quali, peraltro, era del tutto coerente con le richiamate acquisizioni probatorie testimoniali e documentali. Inoltre le affermazioni fatte dal So. in ordine al coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni dì capitale finanziato avevano trovato conforto anche negli SMS inviati dai coimputati MA. e GI. al predetto So., messaggi attraverso i quali costoro sollecitavano il benestare del presidenti su alcune operazioni correlate (trattasi dei documenti nn.ri 653 "ricordati di messaggiare il presidente per le pratiche di oggi in CdA - quelle su acquisto, valori mobiliari... Fe. 11 milioni, Mo. 14 milioni, Fe. 20 milioni"; 654: "il presidente sta arrivando bisogna parlargli di Da. e Ca."; 655: "Ti ricordo Zi. da parlarne al pres per il fido da farsi alla sua finanziaria". Di qui la conclusione in ordine alla sussistenza dei presupposti tutti per affermare il coinvolgimento dell'imputato, a titolo di concorso, in tutti i reati ascrittigli. 1.9.2 Gi.Em. Con riferimento a Gi.Em. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Mercati (della quale egli, a far tempo dalla fine del 2007, era stato il responsabile -spettandogli in tale veste, fino alla cessazione del rapporto avvenuta nel giugno 2015, la direzione e il coordinamento dell'attività commerciale della banca - oltre a rivestire in B. il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma di cui ai docc. nr. 262-267 del Pubblico Ministero. Evidenziava poi come il GI. fosse anche membro del Comitato Soci, ossia dell'organo endoconsiliare deputato alla disamina preventiva delle richieste di acquisto e cessione delle azioni B. prima che le stesse fossero sottoposte al CdA. Ciò premesso il tribunale, nel rinviare al cap. X della sentenza quanto alla disamina della penale responsabilità del GI. per il reato di cui al capo N1, affermava che l'istruttoria dibattimentale consentiva di ritenere "emerso in modo univoco" il diretto coinvolgimento del GI. "in tutti gli aspetti della illecita operatività della Banca", elencando al riguardo le seguenti condotte dal predetto poste in essere: - aveva significativamente contribuito alla definizione e all'attuazione delle prassi operative in tema di capitale finanziato: - aveva partecipato direttamente alle più rilevanti operazioni di capitale finanziato (c.d. "big ticket"); - aveva personalmente sottoscritto alcune lettere di impegno di B. al riacquisto delle azioni precedentemente vendute ai clienti cui esse erano indirizzate, autorizzando altresì in via preventiva la sottoscrizione di analoghe lettere da parte dei funzionari a lui sottoposti; - aveva co-organizzato e programmato una capillare attività di monitoraggio della produttività della rete commerciale, esercitando forti pressioni sui dipendenti della stessa al fine di stimolare il raggiungimento degli obiettivi di raccolta del capitale; - aveva personalmente autorizzato storni di interessi come forma di remunerazione dell'investimento in azioni B.; - aveva, in molteplici occasioni, ostacolato l'accertamento dell'illecita operatività della banca non soltanto nei confronti delle autorità di vigilanza esterna ma altresì nei confronti delle società di revisione (cfr. in particolare l'episodio che aveva coinvolto la società di revisione K.) e della vigilanza interna (audit). Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il primo giudice anzitutto illustrava i contenuti - evidenziati in particolar modo negli appunti manoscritti redatti dal segretario generale Ma.So. (doc. nr. 389 del P.M.), il quale ne aveva riferito nel suo esame dibattimentale - della riunione del Comitato di Direzione tenutasi l'8.11.2011, cui avevano partecipato fra gli altri, oltre al GI., il direttore generale Sa.So., il presidente Zo.Gi., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. (dirigente altresì preposto alla redazione dei documenti contabili), il responsabile della Divisione Finanza An.Pi., il direttore generale della controllata toscana Ca. Fr.To., il vicedirettore generale della controllata siciliana Ba.Nu. Um.Se.. In quella sede, dopo che il PE. aveva evidenziato la necessità di collocare più di 100 milioni di azioni, il To. e il Se. (secondo quanto ricostruito nel suo esame dibattimentale dal teste assistito To., il quale peraltro evidenziava come all'epoca si ritenesse in generale inapplicabile l'art. 2358 c.c. alle banche popolari in quanto cooperative) avevano prospettato espressamente la necessità di ricorrere ad operazioni c.d. "baciate" - benché "non facili da proporre come nell'occasione riconosciuto dal To. - al fine di aumentare il collocamento delle azioni, tenuto conto anche del fatto che mancavano ormai solo poco più di 30 giorni alla chiusura natalizia. Indi il primo giudice evidenziava come al GI. fosse ben nota -quantomeno dal giugno 2011 - la situazione, documentata in atti e altresì, riferita da vari testi, di crescente disallineamento tra le domande di acquisto di azioni e le richieste di vendita delle stesse (le quali sopravanzavano le domande di acquisto in maniera sempre più accentuata ed evidente), il che aveva determinato sin dal 2011 un incremento progressivo ed esponenziale del ricorso al capitale finanziato, secondo un "cambio di passo" riscontrabile proprio all'indomani della menzionata riunione del comitato di direzione tenutasi l'8.11.2011. In tale contesto - proseguiva il tribunale - Em.Gi. si era distinto in modo particolare per l'attivo ruolo svolto nell'organizzazione e nel coordinamento delle iniziative c.d. "svuota fondo", rivolte cioè ad attuare il sistematico svuotamento del fondo acquisto azioni proprie di B. (portato infatti a zero tanto alla fine del 2012 quanto alla fine del 2013) nonché per le pressioni - sempre più accentuate specie a partire dalla fine dell'anno 2012 - da lui esercitate sulla rete commerciale affinché fosse incrementato il collocamento delle azioni. Ampio spazio veniva dato al riguardo, in sentenza, alla deposizione dei testi Fi.Ro. (responsabile dell'Ufficio Soci) e Co.Tu. (funzionario in staff alla Divisione Mercati), secondo i quali il direttore generale So. e il GI. - che veicolava le direttive del So. all'intera rete - monitoravano congiuntamente l'andamento delle domande di acquisto e cessione delle azioni e prendevano le decisioni su quante azioni la banca potesse riacquistare, al che conseguiva il sorgere di un'esigenza di occultamento del capitale finanziato. Indi il primo giudice illustrava gli elementi probatori (fra cui le deposizioni dei testi Co.Tu., Gi.Gi., Ma.Ni., Al.Ba., Al.Cu., En.Da., Lu.Ve., Se.Ro., Ro.Ri. e altri) in base ai quali emergeva il ruolo del GI. nell'organizzazione delle attività di occultamento del capitale finanziato, segnatamente: - mediante il divieto, imposto alla rete, di comunicare per iscritto informazioni sul capitale finanziato; - mediante l'utilizzo nelle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) di una formula - estremamente generica ("necessità per investimenti immobiliari e mobiliari"); - mediante la raccomandazione di attuare un distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni e/o di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche azioni diverse da quelle di B.. La promozione e sollecitazione da parte del GI. dell'occultamento del capitale finanziato, posta in essere nei modi sopra indicati, ad avviso del primo Giudice si traduceva in un rilevante contributo dato dall'imputato all'alterazione della veridicità dei flussi informativi indirizzati all'autorità di vigilanza. In particolare tre episodi, secondo il tribunale, evidenziavano quella che in sentenza (cfr. pag. 647) veniva definita come la * pervicace condotta di Em.Gi. tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delle autorità di vigilanza ovvero della società di revisione": - la vicenda del private banker An.Vi., oggetto di una segnalazione da parte dell'avv. Es. che aveva a sua volta dato luogo ad accertamenti effettuati dall'audit, il cui responsabile Ma.Bo. (sentito come teste in dibattimento) aveva consegnato il 4.9.2014 il relativo report al direttore generale So., che dapprima assumeva un atteggiamento dilatorio salvo poi, pressato dal Bo., convocare il GI. nel gennaio 2015 e consegnargli il report dell'audit; di quest'ultimo, secondo il teste Co.Tu., il GI. aveva detto allo stesso Tu. - il quale pure aveva avuto in visione il report - che non avrebbe dovuto parlare con nessuno; s l'episodio della società di revisione K. (ricostruito all'udienza del 19.12.2019 dal teste Vi.An., partner di detta società; allo stesso episodio aveva altresì fatto riferimento l'avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., ricordando di essere stata zittita in malo modo tanto dal direttore generale So. quanto dal responsabile della Divisione Finanza PI. quando aveva cercato di sollecitare un audit su ciò che era stato riscontrato dalla società di revisione); per la precisione K. aveva, nel corso del suo controllo, individuato 17 posizioni a suo avviso sospette a causa della sostanziale coincidenza tra il valore delle azioni sottoscritte e l'utilizzo dei fidi concessi nonché a causa della vicinanza temporale tra la concessione del finanziamento e la data di acquisto delle azioni; il teste An. aveva dapprima informato il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio, Ma.Pe., e il collegio sindacale; indi, unitamente al PE., aveva presentato l'elenco delle 17 posizioni al direttore generale So. che lo aveva indirizzato al GI.; questi aveva rassicurato l'An. di K. circa la regolarità delle operazioni, l'assenza di criticità, il' rispetto del merito creditizio, l'assenza di correlazioni tra gli acquisti delle azioni e le erogazioni dei finanziamenti; tuttavia K. aveva insistito per ottenere un parere favorevole della direzione affari legali della banca (parere che l'avv. Pa. non riteneva di poter rilasciare), sicché si era giunti a un compromesso - secondo quanto riferito dalla stessa teste Pa. - basato sull'invio a K. di una lettera interlocutoria (elaborata con il contributo anche del GI. che aveva insistito per evidenziare in essa il rispetto del requisito del merito creditizio) contenente l'impegno a svolgere le operazioni necessarie per chiarire le operazioni segnalate; - le modalità di interlocuzione tenute dal GI. con la squadra ispettiva della BCE nel 2015, allorquando l'ispettore Gi.Ma., sentito come teste, aveva cercato di instaurare un contraddittorio preliminare con i vertici aziendali su poco meno di una cinquantina di posizioni già emerse, durante l'ispezione, come connotate dal compimento di operazioni correlate. Secondo quanto riferito dal teste Ma. il GI., nell'incontro con lui avuto il 12.5.2015 (presente anche il teste Al.Ba., la cui agenda conteneva al riguardo appunti idonei a riscontrare appieno il teste Ma.) aveva escluso trattarsi di operazioni correlate, ribadendo all'ispettore che tutti i finanziamenti erano giustificati dal merito creditizio; il GI. aveva anche preso parte alla predisposizione, sempre in relazione a quella cinquantina di posizioni emerse come critiche, di schede da consegnare all'ispettore Ma., il quale però le aveva giudicate inadeguate e insufficienti (analoga valutazione delle schede era stata previamente compiuta dal teste Ma.Bo., responsabile dell'audit). Indi il tribunale passava in rassegna le risultanze istruttorie - indicate in sentenza come plurime e convergenti (fra esse si citavano le deposizioni dei testi Gi.Ca., capo area; Gi.Gi., direttore regionale; Ma.Ni., capo area, Al.Cu., capo area, ed altri ancora) - circa il ruolo svolto dai GI. nell'azione di coordinamento e impulso della rete commerciale tesa a promuovere la stipula, a ritmi sempre più incalzanti, di operazioni correlate. Il primo Giudice evidenziava altresì come il GI. risultasse avere personalmente sottoscritto 16 - per un totale di 80 milioni di euro - fra le 65 lettere B. di impegno al riacquisto delle proprie azioni (tali lettere - in alcuni casi particolarmente impegnative per la banca - avevano l'evidente funzione di rassicurare i soci) consegnate alla squadra ispettiva BCE nella primavera del 2015. Sul punto la sentenza dava ampio risalto, in particolare, alla deposizione del teste Co.Tu. e a quella del teste Lo.Be., capo area. Sempre sul tema delle lettere di impegno il primo giudice indicava come particolarmente significativa, riportandone il contenuto (leggibile a pag. 95 della relativa perizia), la trascrizione della conversazione telefonica n. progr. 359 dell'1.9.2015 intercorsa tra il GI. e il sindaco La.Pi.. Sulle lettere di impegno il tribunale citava altresì - più avanti nel tessuto motivazionale della sentenza: cfr. sue pagg. 671-672 - il contenuto della deposizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'Internal audit, nella parte in cui riferiva di un incontro tenutosi con l'avv. An.Ge. - col quale il d.g. So. voleva concordare una linea difensiva - il 24.4,2015 a Vicenza (presenti, oltre allo stesso Bo. e al So., l'imputato GI. per la Divisione Mercati nonché An.Pi. per la Divisione Finanza, Ma.Pe. per la Divisione Pianificazione e Bilancio, l'avv. An.Pa. dell'ufficio legale e altri ancora); in tale occasione era stato proprio il GI. a parlare espressamente delle lettere di impegno dicendo che erano una ventina (in realtà, come detto, ne emersero oltre il triplo di cui 16 sottoscritte dallo stesso GI.), ammettendo di averne sottoscritte alcune e precisando che la situazione era grave, avendo ormai il fenomeno dei finanziamenti correlati raggiunto dimensioni rilevanti che avrebbero messo in crisi la banca. Il collegio vicentino passava indi ad esaminare le risultanze istruttorie (in particolare le deposizioni dei testi Gi.Ca., Co.Tu., Lu.Ve., nonché la e-mail - doc. 755 del P.M. - inviata il 29.9.2014 da Vi.Ga. al GI.) inerenti al ruolo concretamente svolto dallo stesso GI. nell'attuazione degli storni di interessi. Il primo giudice evidenziava poi come talune fra le operazioni correlate - soprattutto le c.d. big ticket, ossia quelle più importanti per rilevanza ed entità - vedessero un diretto coinvolgimento del GI. in prima persona nella loro conduzione (unitamente al direttore generale So.: i due si recavano appositamente in visita congiunta ai clienti - per lo più imprenditori - maggiormente patrimonializzati), menzionando le evidenze probatorie raccolte al riguardo e in particolare le deposizioni rese dai testi, fra cui Ro.Ri. (gestore private della filiale di Contrà Porti), Tr.Lo. (cliente), Gi.Ra. (cliente), Luca Fe.ni (cliente), Sa.Bu. (cliente), Lu.Mo. (cliente), Gi.Ro. (cliente), Pi.Ca. (cliente) e altri. Indi il tribunale passava in rassegna le deposizioni rese da parecchi testi (Di.Ip., Ma.Ni., Lu.Ve., Fu.Bo.) - fra i quali molti capi area ma anche due private banker come An.Vi. e Fr.Te., dimessisi entrambi, a loro dire, proprio a causa delle pressioni ricevute - dalle quali emergevano, a suo avviso, le sistematiche pressioni esercitate non soltanto dal direttore generale So. ma anche dall'imputato GI. sulla rete commerciale - a partire dal 2012 - affinché fossero raggiunti gli obiettivi di raccolta del capitale prefissati. L'effettivo esercizio di tali pressioni - proseguivano i giudici vicentini - trovava comunque plurimi riscontri documentali, in particolare nelle produzioni di cui ai docc. nn. 22, 91-95, 298, 657, 660 del P.M.. Altro elemento probatorio di pregnante rilevanza a carico del GI., secondo il primo giudice, era rappresentato dalla trascrizione del file audio corrispondente alla registrazione dì quanto detto nell'ambito del Comitato di Direzione tenutosi il 10.11.2014, al quale il GI. aveva preso parte unitamente al direttore generale So. e agli altri immediati suoi sottoposti. Ampi stralci di tale trascrizione sono riportati alle pagg. 666-667 della gravata sentenza. In particolare il direttore generale So., alla pag. 34 della trascrizione, dichiarava fra l'altro agli astanti che la banca aveva "fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare ... Noi dobbiamo selezionare molto di più i nostri impieghi (...). Non possiamo smontarli perché ci sono azioni dietro, ma non possiamo neanche tenerci questo popò di problema. Quindi dobbiamo risolvere il problema delle azioni appiccicate a questi e poi andiamo a vedere nominativo per nominativo (...)". Alla pag. 27 della trascrizione il responsabile della Divisione Finanza, An.Pi., parlava della necessità di collocare 27 milioni residui di azioni detenute dai fondi esteri trovando qualcuno che le compra a sconto"; il GI. gli replicava prospettando un possibile scambio con (...) (già (...)) che deteneva a sua volta titoli di (...) Banca. Alla pag. 67 della trascrizione il GI. si rivolgeva al So. nei seguenti termini: "Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? (...)". Al riguardo il tribunale vicentino affermava che, a differenza di quanto sostenuto dagli imputati in dibattimento, non emergeva dalla trascrizione (e ancor meno dall'ascolto diretto del file audio) alcun disallineamento degli astanti rispetto alla posizione espressa dal direttore generale So., né era dato cogliere, per converso, alcuna supina subordinazione dei predetti alla volontà dello stesso So., trattandosi piuttosto di un dialogo ove ognuno dei presenti prospettava - alla pari - problemi e ipotesi di soluzione. Il primo giudice passava quindi a valutare il complesso delle affermazioni rese dall'imputato GI. in sede di esame dibattimentale, sostenendo che l'assunto di questi circa la sua non consapevolezza delle reali dimensioni quantitative del capitale finanziato era ampiamente smentito da varie convergenti emergenze probatorie fra le quali spiccavano, oltre al tenore della trascrizione del menzionato file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014, alcune produzioni documentali (segnatamente le tabelle di rendicontazione sub docc. nn. 272, 273, 274, 275 del Pubblico Ministero) e varie deposizioni testimoniali (tra cui quelle dei testi Ma.So., Co.Tu., Cl.Gi. e Ro.Pr., quest'ultimo responsabile della direzione private dall'ottobre 2014, ma anche le deposizioni dei testi Gi.Am. e Ma.Li.); veniva riportato al riguardo in sentenza anche il tenore della già sopra menzionata deposizione del teste Ma.Bo. - responsabile dell'Internal audit - in ordine ai contenuti dell'incontro con l'avv. An.Ge. tenutosi in data 24.4.2015. Il tribunale - dopo avere illustrato alle pagg. 672-676 la versione resa dall'imputato GI. su vari argomenti (oltre al tema delle lettere di impegno anche quello degli storni di interessi, quello dell'episodio della società di revisione K., quello dei propri rapporti con il d.g. So. del quale eseguiva le direttive, quello delle pesanti pressioni provenienti a suo dire dallo stesso So. e dal CdA della banca e rivolte a sé come a tutti gli altri manager, sempre a suo dire tutti coinvolti, senza esclusione di alcuno, nella vicenda delle operazioni correlate) - riteneva tale versione smentita, tanto sulla piena consapevolezza dell'illegittimità delle svolte operazioni correlate (che il GI. - a suo dire - pensava fossero invece legittime, specie dopo che l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 non aveva mosso rilievi circa l'operatività dell'art. 2358 c.c.) quanto sul loro occultamento al mercato e alla vigilanza, da una serie di risultanze probatorie di segno contrario, così sunteggiate dai giudici vicentini: - il divieto di dare indicazioni scritte, l'utilizzo della P.E.F. generica, lo scostamento temporale tra delibera di fido e acquisto delle azioni; le indicazioni date di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche titoli diversi dalle azioni di B.; - l'inserimento nelle delibere autorizzale e nei documenti di offerta - in occasione dei miniaucap 2013 e 2014 - del richiamo al rispetto dei limiti di cui all'art 2358 c.c.; - l'omesso riferimento, nel corso dei colloqui con gli ispettori Vi.Ca. (AQR - Asset Quality Review) e Gi.Ma. (BCE), tanto al capitale finanziato quanto, in alternativa, agli esiti - di presunta rassicurazione circa l'inapplicabilità a B. dell'art. 2358 c.c. - dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012; - la valenza dei tre episodi relativi alle vicende del private banker An.Vi., della società di revisione K. e delle schede consegnate all'ispettore Ma.. Il primo giudice escludeva altresì la fondatezza dell'assunto del GI. circa il suo essere convinto che lo scorporo delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza avesse avuto luogo, definendolo come una "tesi (...) assolutamente inverosimile; è evidente che lo scopo delle operazioni finanziate era quello di dissimulare riliquidità del titolo, in ipotesi di corretta appostazione delle stesse esse sarebbero state inutili" (cfr. pag. 677 sentenza gravata). Non poteva avere infine alcuna valenza scriminante, secondo il tribunale, la necessità, dedotta dal GI., di dare esecuzione a direttive impartitegli dal CdA e/o dal direttore generale So., tenuto conto della sua veste di dirigente apicale membro della struttura esecutiva e investito ex lege di dirette responsabilità di gestione. 1.9.3 Ma.Pa. Con riferimento a Ma.Pa. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Crediti (della quale egli era stato il responsabile dal giugno 2010 sino al dicembre 2014, il che lo rendeva membro di diritto del Comitato Centrale Fidi e del Comitato Crediti) oltre a rivestire in B., a far tempo dal 18 ottobre 2011, anche il ruolo di vice direttore generale; citava a tal proposito la relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia nonché (con apparente riguardo alla sola gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati) il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale n. 262 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Crediti erano così descritte dal tribunale: - assicurare, in materia di erogazione del credito, il rispetto delle norme e disposizioni dell'Organo di Vigilanza, dello statuto nonché delle delibere degli organi superiori; - garantire l'analisi e la valutazione degli affidamenti secondo quanto previsto dalla normativa interna, nonché il loro perfezionamento e quello delle relative garanzie; - verificare la regolarità dell'iter di delibera delle concessioni di credito, nei limiti delle facoltà delegate, avvalendosi dell'attività delle strutture preposte che dipendevano dalla Divisione Crediti stessa; - presentare le proposte di finanziamento di competenza degli organi superiori, avvalendosi dell'attività della UO Analisi, anche alla luce dell'andamento del Gruppo e del settore economico di appartenenza; s garantire alla rete delle filiali un adeguato supporto di consulenza sulle tematiche di competenza, in particolare attraverso le strutture delle UO crediti di area e della U.O. Analisi; s assicurare la gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati. Nel far ciò il collegio vicentino affermava più in generale che "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito, compreso il rispetto della normativa in materia, sia di fonte "esterna" (norme e disposizioni delie Autorità di vigilanza) sia di fonte "interna"(statuto e delibere degli organi sovraordinati). In particolare, oltre a curare, per quanto di competenza, la fase di analisi e valutazione degli affidamenti, la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (e delle relative garanzie) e di gestione dell'anagrafe generale (...). In ogni caso la Divisione Crediti era chiamata a stabilire - sulla base degli indirizzi dei CdA e della Direzione Generale e per quanto di competenza - le politiche di gestione del credito" (cfr. pagg. 678-679 sentenza gravata). Nondimeno - proseguiva il tribunale - nel suo esame dibattimentale del "13.6.2013" (rectius 13.6.2019) il teste Cl.Gi., indicato in tale passo della sentenza impugnata come capo area di Vicenza, aveva dettagliatamente spiegato che la struttura dei Crediti era articolata su base territoriale: vi erano una funzione crediti dedicata in capo a ogni singolo capo area e una funzione crediti in capo alla direzione regionale; ciascuna direzione regionale a sua volta coordinava le proprie quattro aree di riferimento; entro certi limiti tali strutture decentrate godevano anche di una potestà deliberativa autonoma, di talché il processo di elaborazione del credito era definito in autonomia quanto agli aspetti relativi all'analisi e alla definizione della delibera; solo se esso eccedeva la potestà deliberativa si faceva luogo a una mera verifica di adeguatezza della proposta che la struttura decentrata inviava alla Divisione Crediti, deputata in quel caso a valutare in autonomia la relativa pratica. Ciò premesso il tribunale affermava che la svolta istruttoria dibattimentale consentiva dì ritenere univocamente provata la penale responsabilità dell'imputato, dimostratosi pienamente consapevole di tutte le condotte di reato ascrittegli. Premetteva al riguardo il collegio che, a detta del teste Em.Ga. (responsabile del team ispettivo che aveva operato nei confronti di B. nell'anno 2015), l'analisi delle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) condotta in sede ispettiva ne aveva subito evidenziato l'assenza di garanzie nonché l'estrema genericità e ripetitività delle causali indicate (le quali per lo più utilizzavano espressioni come cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare o immobiliare), il che era indice di sospettosità dal momento che in genere una banca, in caso di erogazione di fidi destinati ad acquisti di strumenti finanziari, era ben informata su quale tipologia di strumento finanziario il cliente desiderasse acquistare, su quali ne fossero le caratteristiche principali di rischio e su quali beni fossero costituiti in garanzia (essi corrispondevano per lo più agli stessi strumenti finanziari acquistati o ad altri di valore equivalente). Affermava il primo giudice che la svolta istruttoria aveva evidenziato in capo a Pa.Ma. un ruolo di centralità nel garantire che la rete si uniformasse all'istruzione operativa di utilizzare, nelle P.E.F. aventi ad oggetto capitale finanziato, la sopra evidenziata causale improntata a una formula generica e di stile (dal tribunale indicata come "causale sentinella" proprio in quanto consentiva di rendere immediatamente riconoscibile ai diversi addetti l'effettiva finalità dell'operazione di finanziamento). Il collegio giudicante citava al riguardo le deposizioni rese da vari testi. Quanto alla genesi della ed. "causale generica sentinella" il primo giudice evidenziava quanto segue: il capo area Gi.Ca. affermava che l'uso della causale generica gli era stato consigliato dai suoi superiori Ro.Pr., Lu.Ve. e Gi.Gi.; il capo area Lu.Ve. affermava che l'uso della causale generica era stato raccomandato da una direttiva di area illustrata nelle riunioni, probabilmente ad opera del responsabile della Divisione Mercati Em.Gi., ma che la Direzione Crediti ne era a sua volta a conoscenza tanto che in un'occasione egli aveva parlato direttamente con Pa.Ma. - e in maniera esplicita - dell'effettiva natura di un'operazione di finanziamento che andava a perfezionarsi con il titolare di un noto pastificio; il capo area Ma.Ni. indicava Cl.Gi. ed Em.Gi. come i soggetti dai quali proveniva l'indicazione di usare la causale generica aggiungendo che comunque la Divisione Crediti sapeva che un'operazione connotata da siffatta causale era un'operazione correlata all'acquisto di azioni della banca (in alcuni casi gli analisti della Divisione Crediti avevano anche chiesto al capo area di confermare che l'operazione fosse "baciata"); il capo area En.Da. ricordava che in alcune occasioni il direttore di filiale non aveva inserito la causale indicata (al che - a suo dire - l'Ufficio Crediti aveva restituito la pratica per il cambio della causale); il capo area e indi direttore regionale Cl.Gi. affermava di avere parlato - in alcune occasioni - di finanziamenti correlati con la Divisione Crediti e precisamente con il suo responsabile Pa.Ma. (la formula generica era stata a suo dire suggerita forse da Em.Gi. o forse da Co.Tu., funzionario in staff alla Divisione Mercati), fermo restando che - sempre a detta del Gi. - in alcune occasioni lo stesso Comitato Crediti, al quale partecipavano i direttori regionali, aveva deliberato operazioni di finanziamento in tutto o in parte correlate; il capo area e indi direttore regionale Al.Ca. (escusso ex art 210 c.p.p.) aveva attribuito - a seguito di contestazione - al MA. l'indicazione, data nel corso di alcune riunioni operative, di utilizzare la causale generica; anche secondo il teste Co.Tu. l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data dal MA., e ciò ancora alla fine dell'anno 2012 (secondo il teste Tu. il MA. aveva dato tale consiglio "perché questo tipo di operazioni era borderline e poteva destare l'attenzione della CONSOB e della Banca d'Italia"); il teste Gi.Am., responsabile nel periodo 2013-2014 della divisione retail, affermava che l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data da Em.Gi. ma era stata ripresa e ribadita anche da Pa.Ma., il quale - sempre a detta del teste Am. - aveva altresì respinto alcune pratiche in cui era indicata in modo esplicito la destinazione del finanziamento all'acquisto delle azioni di B.. Quanto poi all'altro espediente emerso durante l'istruttoria dibattimentale, ossia la precauzione di mantenere - per prevenire eventuali sospetti - una qual certa sfasatura temporale tra l'erogazione del fido e l'acquisto delle azioni B., il teste Co.Tu. affermava che il consiglio di far intercorrere un lasso di tempo alquanto lungo tra la delibera di affidamento, la sottoscrizione delle azioni e l'addebito sul conto era venuto da Ma.Pa. (peraltro nel corso del controesame il teste Tu. aveva dichiarato che lo scopo dell'indicazione di mantenere una sfasatura temporale non era quello di occultare l'effettiva finalità del finanziamento bensì, "principalmente", quello di evitare sconfinamenti sul c/c); il teste Lu.Ve. ricordava che la raccomandazione di far rispettare la sfasatura temporale era stata del GI., il quale aveva comunque precisato trattarsi di una linea operativa concordata con la Divisione Crediti. A memoria del teste En.Da. il consiglio di osservare la sfasatura temporale era venuto - benché di fatto i fidi non venissero gestiti dalla loro divisione di appartenenza che era la Divisione Mercati - da Em.Gi. e Co.Tu., i quali a loro volta dissero che ciò era stato specificamente concordato con la Divisione Crediti; sempre il teste capo area Da. ricordava che il MA. in una o due occasioni lo aveva contattato per operazioni correlate ove il teste stesso aveva mandato contestualmente alla Divisione Crediti sia la pratica di finanziamento sia il modulo già compilato di acquisto delle azioni, restituendogli tali pratiche con il seguente rimprovero: "non voglio vedere queste cose qua, mandi la pratica in maniera corretta e le azioni le acquisti quando la pratica è stata deliberata". Il teste Se.Ro., dell'Ufficio Soci, affermava che, a seguito dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012, il direttore generale So. e i vicedirettori GI. e MA. avevano raccomandato alla rete di fare in modo che la data di acquisto delle azioni fosse successiva alla data di delibera dei finanziamenti, ma ciò solo per evitare - a suo dire - sconfinamenti sul c/c. Il primo giudice affermava che vi era anche una prova documentale -rappresentata dal sopra illustrato file audio della registrazione dello svolgimento del Comitato di Direzione dd. 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.) - del fatto che la linea di indirizzo in tema di rispetto della sfasatura temporale nelle operazioni "baciate" fosse stata concordata con la Divisione Crediti diretta da Pa.Ma.; ne riportava al riguardo (cfr. pagg. 685-686 sentenza gravata) un lungo stralcio - a suo dire particolarmente eloquente - relativo a un dialogo tra lo stesso MA. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.. Il tribunale procedeva quindi a illustrare la ed. "campagna riqualificazione impieghi", deliberata dal CdA il 21.10.2014 (giusta doc. nr. 102 del P.M.) e presentata al Consiglio proprio da Pa.Ma.; trattavasi di un'iniziativa finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate - in sede di rinnovo o di revisione degli affidamenti - in base al peso percentuale delle azioni B. detenute dal cliente. Il primo giudice, sempre al fine dì illustrare il ritenuto protagonismo della posizione rivestita da Pa.Ma. nell'attuazione delle operazioni correlate, ricordava un episodio narrato da Um.Se., già direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu.: dalla capogruppo B. era giunta (su indicazione di Em.Gi. e Co.Tu. della Divisione Mercati, condivisa dalla Divisione Crediti nella persona di Pa.Ma.) una lista di nominativi ai quali la stessa Ba.Nu. avrebbe dovuto concedere affidamenti accompagnati dall'acquisto di azioni B. per un controvalore pari al 10-15-20% dell'intero affidamento; il teste Se., notando che alcuni dei nomi compresi nell'elenco corrispondevano a società sottoposte a procedura concorsuale, aveva parlato con Cl.Am. - della Divisione Crediti di B., subalterno del MA. - per chiedere spiegazioni; l'Am., dopo aver conferito con il suo superiore Pa.Ma., aveva replicato che Ba.Nu. doveva limitarsi a eseguire le direttive senza discuterle e che un tanto gli era stato detto dal MA.: "Guarda, il dottor Ma. mi ha urlato e mi ha detto che questa cosa la dovete fare. Punto e basta". Il collegio vicentino passava quindi ad illustrare gli estremi di una operazione correlata di finanziamento proposta personalmente nell'ottobre 2012 da Pa.Ma. a un imprenditore da lui conosciuto nel 2007 (quindi tre anni prima di entrare in B.), ossia Ez.Ci. del gruppo (...), del quale veniva acquisito in dibattimento ex art. 493 comma 3 c.p.p. il verbale delle s.i.t. rese il 24.10.2016. Il Ci. aveva dichiarato a s.i.t. che nell'occasione il MA. si era presentato a lui proponendogli di sottoscrivere azioni B. per complessivi 5 milioni di euro; alle perplessità del Ci., che aveva risposto di non disporre delle risorse a ciò necessarie. Il MA. aveva a sua volta replicato che B. avrebbe erogato un finanziamento di pari importo, a termine con scadenza di un anno, destinato ad essere garantito dalle stesse azioni B. che poi sarebbero state tenute in custodia dalla banca. Il Ci. si era risolto ad accettare la proposta dopo che MA. lo aveva rassicurato dicendogli che operazioni analoghe erano del tutto lecite ed erano state proposte anche ad altri imprenditori (da lui non nominati trattandosi a suo dire di notizia riservata); a ottobre 2013 detta operazione era stata rinnovata annualmente e così pure l'anno seguente. Nel maggio-giugno del 2013 B. aveva proposto al Ci. di partecipare all'aumento di capitale di quell'anno, il che anche in tal caso era avvenuto grazie a un finanziamento concessogli dalla stessa B.. Un pieno riscontro alle s.i.t. del Ci. era rappresentato - ad avviso del tribunale - dalla deposizione del teste Fr.Pi., capo area del distretto Veneto occidentale (indicato al Ci., nel racconto di questi, dal MA. come colui che avrebbe seguito la sua pratica, e così era stato). Il primo giudice individuava ulteriori elementi probatori del coinvolgimento a pieno titolo di Pa.Ma. nelle operazioni correlate effettuate da B. mediante c.d. "baciate" nelle deposizioni dei testi Gi.Gi., in B. con il ruolo di direttore regionale di Lombardia, Liguria e Piemonte (secondo il quale le pratiche di fido relative a operazioni "baciate" erano preannunciate alla Divisione Crediti e condivìse con i componenti di essa incluso il suo vertice MA., il quale partecipava altresì al comitato crediti ove pure veniva sempre evidenziata - dai componenti la Divisione Crediti che vi partecipavano - l'eventuale natura "baciata" delle pratiche di fido ivi presentate), e Fu.Bo., capo area (che rendeva sul punto dichiarazioni di analogo tenore), nonché in alcuni messaggi sms (in particolare il doc. nr, 653 del Pubblico Ministero, relativo a un sms del 27.9.2011, e il suo doc. nr. 655, relativo a un sms del 26.10.2012) nei quali il MA. ricordava al direttore generale So. di riferire al Presidente circa alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato, indicandogli nominativamente i soggetti suscettibili di essere finanziati - effettivamente risultati tali in seguito - nonché, in molti casi, il relativo importo). Ulteriore elemento probatorio indicato dal primo giudice a carico del MA. erano le risultanze degli accertamenti interni svolti dall'audit di B. sul capitale finanziato, in particolare la nota 7.5.2015 dell'Internaf audit (doc. nr. 23 del Pubblico Ministero) nella quale si evidenziava tra l'altro come la maggior parte delle numerose posizioni correlate rinvenute nel portafoglio di Ro.Ri., gestore private della filiale di Contrà Porti, fossero state deliberate da organi collegiali su presentazione proprio di Pa.Ma. (87%) oppure fossero state deliberate dallo stesso responsabile della Divisione Crediti. Il collegio vicentino passava quindi a ricostruire le interlocuzioni avute dal MA. con la vigilanza, rinviando - quanto a quelle inerenti all'ispezione della Banca d'Italia del 2012 - all'apposito cap. IX della sentenza, interamente dedicato a tale ispezione. In particolare tanto il teste Ma.Pa. (nel riferire di due incontri interlocutori da lui condotti cui aveva partecipato il MA. nel luglio 2013, il primo assieme al segretario generale Ma.So. e il secondo assieme al direttore generale Sa.So.) quar°z(il teste Vi.Ca. (nel riferire dell'accesso da lui condotto da febbraio ad agosto 2014 nell'ambito dell'AQR - Asset Quality Review, ove si era stabilmente relazionato con il MA.) precisavano che in tali occasioni nessuno aveva fatto il benché minimo riferimento al ricorso all'assistenza finanziaria per il collocamento delle azioni. Il primo giudice indi illustrava la versione dell'imputato, resa in occasione dell'esame dibattimentale tenutosi nelle udienze dell'11 e del 16 giugno 2020, evidenziando come essa da un lato fosse difforme dalle stesse dichiarazioni rese dal MA. in sede di indagini preliminari (interrogatori del 28 aprile e del 2 maggio 2017) e dall'altro lato configgesse in più punti - ad esempio nella parte in cui egli affermava che la causale generica "acquisto valori mobiliari e immobiliari", in uso almeno dal 2006, fosse un mero espediente tecnico per garantire il perfezionamento del fido in quanto, a suo dire, non esisteva il prodotto "finanziamento per acquisto azioni", o nella parte in cui egli affermava di non essere mai stato informato del fatto che i finanziamenti fossero destinati all'acquisto delle azioni - con il sopra delineato quadro probatorio. Il primo giudice evidenziava come l'esame dibattimentale del MA. divergesse radicalmente dai suoi interrogatori resi in sede dì indagine preliminare, in particolare dall'interrogatorio del 28.4,2017 in relazione alla vicenda dell'Operazione Sorgente (in tesi accusatoria si trattava di un'operazione "baciata" attraverso la quale la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato un finanziamento di 25 milioni di euro alla società So. Ltd., facente parte del gruppo Mainetti, che era stato utilizzato per acquisto di azioni B. al fine di consentirne la dismissione dal fondo estero "(...)"). In sede di esame dibattimentale il MA. negava trattarsi di operazione correlata mentre durante le indagini preliminari l'aveva definita "un'operazione baciata imposta da PI. al So. (...) Sono venuto a conoscenza di questa operazione con la proposta di affidamento giunta in Divisione Crediti. Ho compreso che si trattava di un'operazione baciata in quanto la causale dell'affidamento era indicata con la generica dicitura di cui ho detto prima, "cogliere opportunità di mercato" o analoghe, e inoltre vi era l'impegno al deposito dei titoli presso B.". Che la versione rispondente al vero fosse quella resa dal MA. in sede di indagini preliminari - proseguiva il tribunale - lo si evinceva da due elementi di prova rappresentati dal più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014 (nella trascrizione prodotta dal Pubblico Ministero quale suo doc. nr. 110, cfr. ieri particolare sua pag. 43) e da una conversazione intercettata Io.-Ma. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. Il tribunale evidenziava altresì come un ulteriore assunto del MA. - secondo cui egli e il suo sottoposto Cl.Am. avevano disvelato agli ispettori della Banca d'Italia nel 2012 il carattere correlato delle operazioni effettuate da almeno una quindicina circa dei clienti dì cui alla lista dei primi trenta soci di B. - fosse stato smentito dalle deposizioni dei predetti ispettori (che avevano concordemente negato la circostanza) e non avesse trovato il benché minimo riscontro in atti. Né - significativamente, secondo il collegio vicentino - il MA., soggetto da ritenersi nel complesso del tutto inattendibile, aveva mai accennato a tale preteso disvelamento neppure nei suoi atti giudiziari relativi alle cause di lavoro e all'azione di responsabilità dinanzi al tribunale delle imprese. Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono il primo giudice riteneva indubitabili il rilevante apporto causale concorsuale del MA. a tutti i reati ascrittigli (in base alla tabella n. 1 allegata al supplemento di consulenza tecnica del Pubblico Ministero dd. 14.11.2019 egli risultava avere partecipato consapevolmente alla fase deliberativa di finanziamenti correlati per un importo di circa 800 milioni di euro, di cui 414 milioni deliberati dal CdA su pratiche presentate dall'imputato, 160 milioni deliberati dal Comitato Crediti di cui il MA. era membro, 108 milioni deliberati dallo stesso MA. quale organo monocratico dotato di autonoma potestà deliberativa, 63 e 49 milioni rispettivamente deliberati dal Comitato esecutivo e dal Comitato Centrale fidi, anche in tal caso sulla base della presentazione di pratiche effettuata dal MA.) e il pieno ricorrere dell'elemento soggettivo del reato. 1.9.4 Pi.An. Con riferimento all'imputato Pi.An. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Finanza (nella quale egli operava con tale qualifica dal 2009 oltre a rivestire in B. anche il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale nr. 261 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Finanza erano così descritte dal tribunale: - partecipare al coordinamento e allo sviluppo delle attività del mercato primario e secondario su comparti azionari e obbligazionari: - curare l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi e l'emissione dei prestiti obbligazionari del gruppo, coordinandosi con le Unità competenti; - collaborare con la Divisione Mercati nell'adeguare i prodotti e i servizi finanziari da offrire alla clientela, sulla base delle esigenze/opportunità rilevate, tenendo conto delle linee guida definite dal Comitato Prodotti e Wealth Management; s all'interno della Divisione Finanza poi il nucleo "Documentation" si occupava di valutare l'adeguatezza e l'allineamento degli strumenti finanziari e dei processi alla normativa primaria (TUF, TUB, Regolamenti CONSOB e Banca d'Italia) e secondaria nonché alla normativa interna nella prestazione dei servizi d'investimento o comunque nello svolgimento dell'attività della Divisione Finanza, con precipuo riferimento alla materia dei servizi di investimento, supportando la divisione nei rapporti con le funzioni di compliance, legale, auditing e organizzativa; - l'Unità svolgeva inoltre un ruolo di supporto alle funzioni responsabili del processo di gestione delle informative da fornire alla clientela prima della negoziazione di strumenti finanziari, in conformità al dettato dell'art, 31 del Regolamento intermediari, nelle fasi di aggiornamento delle stesse; - partecipazione, per la parte di competenza della Divisione Finanza, alla redazione della relazione per le Autorità di vigilanza sulle procedure di svolgimento dei servizi di investimento; s assicurare l'informativa e le segnalazioni istituzionali di propria competenza, coordinandosi con le Unità competenti. Il primo giudice affermava (cfr. pag. 703 sentenza gravata) che dall'istruttoria dibattimentale era emersa "la prova del ruolo svolto da An.Pi. in alcune operazioni di capitale finanziato di rilevante importo effettuate attraverso la controllata irlandese B.Fi. e nella sottoscrizione dei fondi lussemburghesi utilizzati come strumento di detenzione indiretta delle azioni proprie da parte della banca vicentina, in particolare - attraverso i fondi esteri - nell'ambito dell'iniziativa svuota fondo 2012 furono collocati 60 milioni di euro di azioni B.". Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il collegio vicentino individuava plurime condotte ritenute penalmente rilevanti a carico del PI. e in particolare: - operazioni di capitale finanziato effettuate, estero su estero, dalle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" - tre società denominate Ma., Ju. e Br. - tanto nel 2012 (in occasione della relativa campagna svuota fondo) quanto nel 2013 (in occasione dell'aumento di capitale di quell'anno). Per la precisione - in base alla ricostruzione effettuata in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma., riscontrato dalle deposizioni rese dai testi Gi.Gi. (in B., come detto, con la veste di direttore regionale per Lombardia-Liguria-Piemonte) e Pi.Ra. (d.g. di B.Fi.) - nel novembre/dicembre 2012 la controllata irlandese B.Fi., il cui direttore era il teste Pi.Ra., risultava avere erogato tre fidi c.d. "bullet", di 10 milioni di euro l'uno, alle suddette società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali a loro volta avevano girato la liquidità cosi ricevuta a tre società italiane neocostituite e denominate Pe. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime (facenti capo al gruppo Fi., il cui direttore finanza era Ma.Sb.) avevano provveduto ad acquistare azioni B. per importi corrispondenti ai finanziamenti erogati. Indi, nel luglio 2013, la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato nuovi finanziamenti per 3 milioni di euro alle tre società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali anche in tale occasione avevano girato la liquidità così ricevuta alle tre società italiane denominate Pe.In. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime a loro volta avevano sottoscritto azioni e obbligazioni convertibili per un ammontare equivalente; i testi Gi. e Ra. avevano delineato il ruolo attivo dell'imputato PI. in entrambe le operazioni (la cui istruttoria era stata seguita dalla Divisione Crediti della capogruppo B.) e in particolare il teste Ra., direttore della controllata irlandese B.Fi., aveva indicato il PI. come colui che gli aveva richiesto di impostare i suddetti finanziamenti, affermando altresì essersi trattato di operazioni atipiche per B.Fi., la quale generalmente finanziava aziende produttrici dì beni e non concludeva operazioni strettamente finanziarie (cosa questa obiettata dal Ra. al PI., il quale tuttavia gli aveva replicato - nella prima delle due occasioni - che occorreva fare l'operazione "per aiutare la banca a comprare le proprie azioni" e riuscire così a svuotare il fondo acquisto azioni proprie entro la fine dell'anno 2012). Un altro teste, Gi.Fe., direttore della Divisione Compliance, ricordava che, nel corso di un'attività ispettiva svolta dalla Compliance a Dublino nel 2013 nei confronti di B.Fi., i finanziamenti concessi alle "tre sorelle" lussemburghesi erano emersi, il che lo aveva indotto a rivolgersi al direttore generale So. che a sua volta lo aveva indirizzato al PI.; questi aveva rassicurato il Fe. dicendogli che in quel periodo B. stava acquistando molte azioni (...) e che in contropartita la Save stava comprando azioni B.; s investimento della somma complessiva di 350 milioni di euro (di cui 200 milioni investiti dalla capogruppo B., 100 per ciascun fondo, e i restanti 150 milioni investiti dalla controllata irlandese B.Fi. in due fondi lussemburghesi denominati "(...)" e "(...)" (sotto-fondi (...) Multistrateqy I e II). utilizzati quale strumento di detenzione indiretta delle azioni di B. (per tale tramite nel 2012 erano state concluse operazioni c,d. "svuota fondo" - atte cioè ad alleggerire il fondo acquisto azioni proprie di B. - del valore di 60 milioni di euro). La delibera di investimento nei fondi in oggetto, adottata dal CdA di B. in data 21.2.2012 (in atti quale doc. n. 325 del Pubblico Ministero), era stata sottoscritta dal PI. quale responsabile della Divisione Finanza dopo che lo stesso aveva illustrato al CdA i termini dell'operazione, a sua volta in precedenza pianificata nel corso di una riunione tenutasi il 5.12,2011 tra Ma.So., Fi.Ro. e An.Pi. per B. e la coppia di rappresentanti del fondo "(...)" formata da Al.Ma. - sentito quale teste ex art, 507 c.p.p. su richiesta della difesa del PI. - e Gi.Ma.. Ciò risultava dalle deposizioni del teste ispettore Gi.Ma., dei testi Ma.So. e - soprattutto - Fi.Ro. nonché dai messaggi sms (in atti quale doc. nr. 311 del P.M.) intercorsi nel novembre 2012 - pochi giorni prima della sottoscrizione dei contratti con i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" avvenuta il 28.11.2012 - fra An.Pi. e i gestori dei fondi stessi. Subito dopo aver ricevuto tali capitali i due fondi "(...)" e "(...)" avevano comprato azioni B.. Secondo il tribunale vicentino il fatto che tale investimento di B. nei fondi lussemburghesi - lungi dall'indicare un interesse di questi ultimi a diventare soci della banca, come ammesso, secondo il teste Fi.Ro., anche dal direttore generale So. durante il comitato soci del 18.12.2012 - fosse stato puramente strumentale all'esigenza della stessa banca dì svuotare il proprio fondo acquisto azioni emergeva non soltanto dalla stretta consequenzialità temporale fra tutte le operazioni come sopra descritte ma altresì dalla deposizione dello stesso teste Fi.Ro. (facente parte dell'Ufficio Soci di B.), che ricordava di avere assistito al riguardo - nel novembre 2012 -a un breve incontro sul tema tra il direttore generale Sa.So., il responsabile della Divisione Mercati Em.Gi. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi. (nell'occasione il So., secondo la ricostruzione del teste Ro., aveva esposto la necessità di svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B. per un ammontare di 100 milioni di euro; il PI. si era Impegnato a effettuare operazioni "svuota fondo" per 60 milioni di euro e il GI. aveva assicurato che avrebbe fatto altrettanto per un valore di 40 milioni di euro). Sempre il teste Ro. affermava che, come preannunciatogli dall'imputato PI., egli era stato contattato poco prima della fine del 2012 dagli intermediari dei fondi (per il fondo "(...)" trattavasi del broker inglese Ma.Sp.; l'operazione sul piano amministrativo era stata gestita per Ma.Sp. da Ti.Ch., anch'egli sentito come teste); - di questi, gli investimenti nel sotto-fondo (...) Multistrategy II erano stati posti in essere, come sopra accennato, dalla controllata irlandese B.Fi.. Nel luglio 2013 il CdA della capogruppo B. aveva infatti ampliato il portafoglio di investimento della controllata irlandese B.Fi. portandolo dalla somma di 35 milioni a quella di 300 milioni di euro, dei quali 150 milioni erano stati dalla stessa controllata investiti, nei due mesi seguenti, nel sotto-fondo (...) Multistrategy II in due tranche rispettivamente da 100 e da 50 milioni di euro; tale investimento era avvenuto - in base alla deposizione del teste Pietro Ra., direttore di B.Fi. - su precisa indicazione di An.Pi., il quale, sempre a detta del Ra. (che evidenziava altresì l'anomalia dell'ingente importo degli investimenti in un singolo fondo rispetto a quanto era usuale per B.Fi. nonché l'anomalia relativa alla non visibilità dei sottostanti), aveva messo quest'ultimo in contatto con Gi.St. (membro del CdA di (...) Evolution Fund SIF e funzionario senior di (...) Asset Management), soggetto che - citato a deporre quale teste dalla difesa del PI. nel presente procedimento con le garanzie ex art. 210 c.p.p. in quanto indagato per reato connesso di bancarotta fraudolenta a seguito della dichiarazione di insolvenza di B. - si era avvalso della facoltà di non rispondere. Dal canto suo il teste Pi.Ra. - che aveva evidenziato una progressivamente crescente ingerenza di B. nell'autonomia gestionale di B.Fi. - affermava di essere stato rassicurato dal PI. circa le sue perplessità e preoccupazioni derivanti dalle anomalie come sopra illustrate. Le articolate modalità della successiva dismissione (avvenuta nel corso del 2014, in parte mediante operazione di equity swap in compenso tra azioni B. e azioni Veneto Banca) delle azioni B. detenute dai fondi esteri in oggetto venivano illustrate dal collegio vicentino alle pagg. 712-713 della gravata sentenza (la dismissione, accertata in sede ispettiva, era riscontrata - al pari del ruolo svolto in essa da An.Pi. - anche dalle dichiarazioni del teste Ro.Ri., gestore private della filiale B. di Contrà Porti); s operazione correlata di finanziamento effettuata in favore della società So. Ltd. (appartenente al gruppo MainettO attraverso la controllata irlandese B.Fi., che le aveva erogato un fido c.d. "bullet" per un importo di circa 25 milioni di euro. Con tale liquidità la So. Ltd. a sua volta aveva acquistato, nel dicembre 2014, 13,5 milioni dì euro di azioni B. dal fondo "(...)" di milioni di euro di azioni B. dal fondo "(...)". Il tutto emergeva dall'ispezione BCE del 2015 e anche in questo caso - osservava il primo giudice - il ruolo centrale nell'organizzazione della relativa operazione era stato rivestito da An.Pi., secondo quanto dichiarato in sede dibattimentale dai testi Pi.Ra. - direttore della controllata irlandese B.Fi. - e Wa.Ma., amministratore delegato del gruppo So. (quest'ultimo precisava che era stato il PI. a proporgli un finanziamento di 25 milioni di euro "siccome dobbiamo collocare un po' delle nostre azioni" e affermava che, vinta la propria iniziale perplessità, alla fine aveva accettato); un solido riscontro a tali deposizioni - e non solo ad esse ma altresì, ad esempio, al coinvolgimento del PI. nella decisione della banca di ricorrere alle lettere di impegno nonché al suo attivarsi per reperire una soluzione atta a consentire la dismissione delle azioni B. detenute dai fondi - era individuato dal primo giudice nel più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione tenutosi in data 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.); un ulteriore riscontro veniva individuato nella conversazione intercettata Io./MA. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. A tutto ciò si aggiungeva la deposizione resa da Al.Ma. - fondatore di (...) Asset Management - il quale, sentito come teste ex art, 507 c.p.p., su richiesta della difesa del PI., confermava che i fondi (...) Multistrategy I e II erano stati costituiti nell'interesse esclusivo di B. quale unico investitore del fondo. Il tribunale vicentino proseguiva la propria disamina indicando come dimostrati anche gli investimenti, operati dai fondi esteri in questione, su indicazione del PI., in obbligazioni emesse da società legate ai gruppi imprenditoriali Ma., Fu. e De., già fortemente esposti nei confronti di B.; contestualmente anche gli impieghi in equity risultavano essere stati indirizzati, su indicazione dello stesso PI., nei confronti di società illiquide clienti di B.: la Me.Ca. SpA (legata ad Al.Ma.) e la Ital-Finance SpA (riconducibile al gruppo De Gennaro). Inoltre - notava il primo giudice - il PI. risultava coinvolto più in generale nell'intera illecita operatività di B., risultando egli essere stato fra l'altro presente (giusta appunti manoscritti redatti dal teste Ma.So., in atti quale doc. nr. 389 del P.M.) al Comitato di Direzione tenutosi l'8.11.2011 nel quale erano stati effettuati inequivoci riferimenti alle c.d. operazioni "baciate" quale strumento da adottare per svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B.. Allo stesso modo, sempre secondo la ricostruzione operata dal primo giudice, il PI. doveva ritenersi coinvolto anche nel rilascio delle lettere di impegno da parte di B. oltre che in altre operazioni di capitale finanziato, come riferito dai testi An.Fa. (imprenditore del settore tessile) ed Ed.Ta. (altro imprenditore). Ancora, il teste Ma.So. aveva riferito di avere presenziato a un colloquio tra il direttore generale So. e il PI. su come strutturare "operazioni volte ad acquisire capitale" con l'imprenditore Luca Fe.ni (sentito a sua volta quale teste) e con il Fondo Ag. (in quest'ultimo caso l'operazione - ricostruita in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma. -in sede ispettiva non era stata considerata finanziata pur essendo assistita da una lettera di impegno). Il collegio vicentino richiamava altresì l'episodio della società di revisione K. (già esaminato sopra in relazione alla posizione dell'imputato GI.) evidenziando come, in base alla deposizione resa dalla teste avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., risultasse essere stato presente anche il PI. - assieme al direttore generale So. e al responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. - a una riunione convocata a seguito delle richieste dì delucidazioni rivolte alla banca da K.; nell'occasione, come già detto, l'avv. Pa. si era rifiutata di fornire il parere legale richiestole, suggerendo invece al So. (che aveva reagito in malo modo) di fare subito un audit, al che il PI. - come già evidenziato supra - aveva, a suo dire, ribattuto: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa". L'imputato PI. risultava aver fatto parte anche della già citata "Task Force Gestione Soci" costituita e attivata - ufficialmente - a seguito dell'entrata in vigore del Regolamento UE n. 575/2013 (c.d. CRR) e del Regolamento Delegato UE n. 241/2014 nonché del D.L. n. 3/2015; la costituzione di tale Task Force trasversale alle varie Divisioni, che avrebbe dovuto reperire e adottare misure atte a ripristinare l'interazione con la base sociale attraversata da crescente disorientamento e scontento, era stata preceduta da una documentata riunione operativa tenutasi il 24.4.2015 (il relativo resoconto è in atti quale doc. nn. 525 del P.M.). In realtà - proseguiva il primo giudice - la partecipazione e il coinvolgimento del PI., responsabile della Divisione Finanze, nella Task Force in questione apparivano funzionalmente eccentrici rispetto agli scopi di essa e si spiegavano solo "in ragione dei suo coinvolgimento in tutti gli aspetti relativi all'anomala operatività della banca" (cfr. pag 724 sentenza gravata). Il primo giudice si diffondeva altresì sulle occasioni nelle quali il PI. aveva avuto interlocuzioni con la vigilanza. Per la precisione si trattava di due riunioni interlocutorie tenutesi nel 2013 (durante la fase preparatoria dell'aumento di capitale di quell'anno) e nell'autunno del 2014 (allorquando erano emerse le problematiche relative ai riacquisti effettuati da B. nonché al deficit patrimoniale a seguito del Comprehensive Assessment). Il tribunale affermava che in ambedue le occasioni il PI. aveva fornito alla vigilanza indicazioni false e fuorvianti circa i livelli di patrimonializzazione di B.; era stato altresì omesso in tali occasioni qualsiasi accenno agli squilibri del capitale azionario e al fenomeno del capitale finanziato. Sulla prima riunione interlocutoria, tenutasi il 27 marzo 2013 su richiesta j della stessa B. (e alla quale avevano partecipato per la banca il direttore° generale Sa.So., il segretario generale Ma.So., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. e per l'appunto il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.), il teste Ma.Pa. - nel precisare che si trattava dì una riunione finalizzata a fornire, da parte della banca, aggiornamenti circa gli interventi pianificati per rafforzare il livello di patrimonializzazione del gruppo - aveva affermato che gli esponenti di B. gli avevano illustrato le caratteristiche principali dell'operazione programmata; queste ultime corrispondevano a quelle dell'aucap 2013 poi effettivamente realizzato, compresa la "campagna soci volta all'ampliamento della base azionaria (Euro 100 mln)", con "associata l'erogazione di finanziamenti, ai sensi dell'art. 2358 c.c. riservata ai nuovi soci. Sempre secondo il teste Pa., inoltre, tanto il PI. quanto il PE. avevano dimostrato di essere già a conoscenza del fatto che il capitale sottoscritto mediante finanziamenti concessi dalla banca non potesse essere computato ai fini del patrimonio di vigilanza se non nella quota del finanziamento nel frattempo oggetto di rimborso. A null'altro di quanto fino a quel momento accaduto si era fatto cenno, da parte dei predetti, in tale prima riunione come pure nella seconda riunione, tenutasi il 20.10.2014 tra Banca d'Italia e B. (in rappresentanza di quest'ultima erano stati presenti if PI. e il PE.). In base alla deposizione del teste ispettore Em.Ga., poi, risultava un contegno estremamente reticente del PI. in relazione alla sua conoscenza di quali investimenti fossero sottostanti ai fondi esteri dei quali sopra si è detto. Interpellato al riguardo dal team ispettivo il PI. si era limitato a giustificare tale assenza di informazioni con la reticenza dei gestori. Era stato allora rappresentato al direttore generale So., da parte della vigilanza, che in caso di mancata disclosure degli investimenti sottostanti si sarebbe scomputato l'intero importo di Euro 350 milioni dal patrimonio di vigilanza, al che le informazioni richieste erano prontamente pervenute. Il tribunale vicentino, dopo aver illustrato i contenuti della deposizione resa dal teste Massimo Castelluccio - all'epoca dei fatti in forza alla Divisione Finanza e dunque subalterno del PI. - circa le modalità della predisposizione dei documenti di offerta, passava in rassegna i contenuti di alcune conversazioni telefoniche e messaggi sms oggetto di intercettazione, contenenti, a suo avviso, significative ammissioni dello stesso PI. in ordine al proprio pieno coinvolgimento nei fatti per i quali qui si procede: conversazione progr. n. 360 dell'1.9.2015 tra il PI. e Mo.An.di UBS; messaggi sms scambiati il 3 maggio 2015 dal PI. con Em.Gi. (il primo scriveva ivi al secondo: "Deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori"). Indi il primo giudice illustrava i contenuti della versione dei fatti resa dall'imputato PI. - in sede di esame dibattimentale dd. 3.3.2020 - sui vari temi sopra ampiamente passati in rassegna (fra questi: prassi gestionale dei finanziamenti correlati, a suo dire appresa solo a seguito dell'ispezione BCE; lettera di impegno al riacquisto rilasciata all'imprenditore tessile Fa., in relazione alla quale il PI. sosteneva di avere detto all'imprenditore - che la pretendeva - di non poter fare nulla e di essersi limitato per parte sua a metterlo in contatto con il direttore generale So., che in effetti risultava essere il sottoscrittore della lettera di impegno poi concretamente emessa; operazione "So.", in relazione alla quale il PI. sosteneva non trattarsi di una operazione correlata; triangolazione coinvolgente le società c.d. "tre sorelle lussemburghesi", in relazione alla quale il PI. sosteneva di non aver mai saputo che alle anzidette società fosse stato erogato un finanziamento correlato per l'acquisto di azioni, scoprendolo solo dopo l'erogazione, allorquando si era avveduto che nel portafoglio titoli delle società stesse vi erano azioni B.; episodio, già più volte citato, dello scontro con l'avv. Pa. dell'ufficio legale di B. riguardo alla vicenda della società di revisione K., in relazione alla quale il PI. sosteneva di essersi limitato a dire alla Pa. che, come dirigente dell'ufficio legale alla quale era stato richiesto di redigere un parere, si sarebbe dovuta assumere le sue responsabilità; vicenda fondi "(...)" e "(...)", in relazione alla quale il PI. affermava che si era trattato di un'idea del direttore generale So. in vista dell'aucap 2013, che comunque i fondi erano stati sottoscritti dal So. sulla base del parere favorevole tanto dell'ufficio legale quanto della compliancet che in relazione alla seconda delle due operazioni egli si era limitato a presentare Gi.St. di (...) Asset Management al direttore generale della controllata irlandese B.Fi., Pi.Ra. e che, - in ogni caso - egli non era stato mai coinvolto dai fondi nella scelta degli investimenti sottostanti). Secondo il collegio vicentino tutte le anzidette affermazioni di esclusione della propria responsabilità rese dal PI. in sede di esame trovavano smentita nel complesso delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale come sopra passate in rassegna nel ricostruire i vari episodi ritenuti dallo stesso primo giudice idonei a rivestire rilevanza penale a carico dell'imputato. Quanto poi alla linea difensiva del PI. riguardo a numerosi fra i testi a suo carico (in particolare i testi Pi.Ra. e Fi.Ro.), ossia che si sarebbe trattato di testi del tutto inattendibili perché interessati a incolpare lo stesso PI. pur di allontanare ogni sospetto nei loro confronti, il tribunale ribatteva che le loro deposizioni risultavano munite di plurimi riscontri, indicati nel dettaglio alle pagg. 730-732 della gravata sentenza, 1.9.5 Pe.Ma. Con riferimento a Pe.Ma. il primo giudice - dopo avere richiamato l'ipotesi d'accusa, secondo la quale costui avrebbe concorso nei reati di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza nella sua qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili rilevanti nella prassi aziendale della concessione dì finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. ed avrebbe, altresì, fornito un concreto contributo alla realizzazione dei reati di falso in prospetto in ragione della sua responsabilità nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazioni all'autorità di vigilanza - evidenziava come l'imputato, nel periodo d'interesse 2011-2014, avesse ricoperto l'incarico di responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione nonché quello di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, donde la sua estraneità alla esecuzione delle operazioni di capitale finanziato. La responsabilità del PE., pertanto, avrebbe richiesto la verifica, per un verso, "a monte", della consapevolezza, in capo al predetto, dell'esistenza e della consistenza del fenomeno in esame; e, per altro verso, "a valle", dell'apporto da questi fornito alla realizzazione delle attività delittuose attraverso la predisposizione di documenti, diretti al mercato ed alle autorità di vigilanza, contenenti informazioni caratterizzate dall'occultamento di detto fenomeno. Sotto il primo profilo il tribunale premetteva una analitica individuazione del ruolo concretamente svolto dall'imputato all'interno delia compagine bancaria, sottolineando come il PE., nella sua qualità di direttore della suddetta Divisione, dipendesse gerarchicamente dal solo d.g. So.. Nella sua qualifica di dirigente preposto, poi, il predetto riferiva direttamente al CdA per il tramite del comitato di controllo. Più nel dettaglio, l'imputato costituiva il vertice di una divisione che comprendeva due uffici di staff (l'ufficio studi e lo staff del dirigente preposto), disponeva di ben 75 unità e che, attraverso le sue articolazioni (segnatamente attraverso la Direzione Pianificazione Strategica, diretta da An.Fa.), svolgeva una pluralità di attività che andavano dal supporto alla direzione generale nella redazione dei piani economici pluriennali e dei budget annuali di tutte le strutture della banca, alla gestione dei rapporti con le società di consulenza e con la struttura dell'esperto indipendente incaricato annualmente di effettuare la valutazione dell'azione; dal monitoraggio teso a verificare il rispetto dei ratios patrimoniali della banca in relazione agli attivi ponderati (RWA) e all'andamento del fondo acquisto azioni proprie, al controllo costante dell'andamento della rete commerciale (verificato attraverso l'attività dell'ufficio CRM). Per il tramite della Direzione Ragioneria Generale - diretta da Lu.Tr. e facente parte anch'essa della Divisione Bilancio - poi, venivano curati gli adempimenti fiscali, gestita la contabilità, predisposto il bilancio di esercizio e quello consolidato e, infine, redatte le segnalazioni all'autorità di vigilanza. Ebbene, in un contesto tanto articolato era giocoforza che il PE. svolgesse un ruolo di coordinamento, occupandosi anche di assicurare una garanzia di coerenza fra i dati gestionali e quelli contabili, mentre la gestione dei dati di dettaglio e le attività correnti erano necessariamente demandate alla struttura nel suo complesso, adeguatamente dotata di risorse umane (numerose unità; plurimi dirigenti) e materiali. Quanto, poi, alle funzioni attribuite al dirigente preposto (figura prevista e disciplinata dall'art. 154 bis TUF), tale soggetto si occupava non già della redazione materiale dei documenti contabili societari, bensì della "predisposizione di adeguate procedure amministrative e contabili per la formazione del bilancio di esercizio e, ove previsto, del bilancio consolidato, nonché di ogni altra comunicazione di carattere finanziario" (art. 154 bis co. 3). Inoltre a costui competeva attestare la corrispondenza degli atti e delle comunicazioni "alle risultanze documentali ai libri e alle scritture contabili", come previsto dall'art. 154 bis TUF. Nello specifico, all'interno di B., in linea con la normativa di riferimento, la figura del dirigente preposto era disciplinata dal "Modello del Dirigente Preposto alla redazione dei documenti contabili societari"; modello che prevedeva che ciascuna funzione aziendale di controllo trasmettesse al dirigente preposto i risultati delle verifiche di propria competenza. Di qui la necessità, affinché il dirigente preposto potesse svolgere correttamente il proprio ruolo, della correttezza e veridicità delle informazioni che ciascuna struttura aziendale trasmetteva al suddetto dirigente. Tanto premesso, nessuno degli organi di controllo (collegio sindacale, audit, organismo di vigilanza, compliance) - precisava il primo giudice - aveva segnalato al PE. l'esistenza dì prassi scorrette nell'operatività del mercato interno delle azioni proprie. Quando il responsabile dell'Internal audit Ma.Bo. aveva tentato di portare a compimento la prima attività ispettiva sui finanziamenti correlati, infatti, era stato bloccato dal d.g. Sa.So., il quale gli aveva impedito di divulgare il relativo report. Il collegio sindacale, dal canto suo, pur avendo ricevuto vari segnali (sul punto il riferimento specifico del tribunale era al caso del socio Dalla Grana), non aveva effettuato alcuna comunicazione in proposito. Altrettanto doveva dirsi per la funzione di compliance che, chiamata a gestire la vicenda Vi., non aveva segnalato nulla al riguardo. In definitiva, nessuna informazione in ordine al fenomeno delle operazioni correlate era pervenuta al PE. attraverso i canali istituzionali. Né tale fenomeno era stato percepito nell'ambito dell'attività - parimenti di competenza della Divisione facente capo all'imputato - di gestione della contabilità adottata dalla banca. Il teste Lu.Tr., infatti, aveva dichiarato di avere appreso per la prima volta del fenomeno del capitale finanziato nel marzo del 2015, nel corso di una riunione tra le società di revisione e il collegio sindacale in vista della redazione della relazione al bilancio 2014. Prima di allora, infatti, secondo tale teste, il suddetto fenomeno non era rappresentato nei sistemi contabili, né era comunque noto alla struttura, né, infine, vi erano possibilità che potesse essere rilevato dalla Ragioneria Generale attraverso l'analisi dei dati disponibili. Inoltre, neppure erano emersi elementi che consentissero di concludere che il PE. avesse acquisito aliunde (rispetto ai canali istituzionali) la consapevolezza circa l'operatività dei finanziamenti correlati. Anzi, in senso opposto orientavano le deposizioni dei testi An.Fa., Lu.Tr. e Al.Mo.. Del teste Tr. si è già detto. Il teste Fa., dal canto suo, aveva riferito di avere appreso delle operazioni correlate solo nel corso della ispezione BCE del 2015, precisando che anche il PE., fino ad allora, si trovava nella medesima situazione di ignoranza del fenomeno in questione. Il teste Mo., infine, aveva sostenuto che prima dell'ispezione vi fosse consapevolezza delle "baciate" ma non della loro diffusività e, con riferimento al PE., aveva precisato che costui era a conoscenza solo dello slogan del d.g, Sa.So. secondo il quale ogni cliente affidato avrebbe dovuto possedere azioni B. pari almeno al 10% del finanziamento. Aggiungasi che anche il teste Ma.Li. - all'epoca vicedirettore di Ba.Nu. ed in rapporto di wbuona colleganza" con l'imputato durante la precedente esperienza in B. - aveva dichiarato di avere avuto con costui un colloquio confidenziale nel mese di aprile 2015 (ovverosia in piena ispezione BCE e poco prima dell'avvio della Task Force voluta dal d.g. So.) traendone la convinzione che l'imputato non fosse a conoscenza "di questa rilevanza del problema". Anche la vicenda della comunicazione delle 17 posizioni sospette da parte di K. e la deposizione dell'avvocato Pa. (vicenda oggetto di puntuale ricostruzione da parte del primo giudice alle pagg. 746-748 della sentenza) deponevano tanto per la mancata consapevolezza, in capo al PE., dell'entità del problema del capitale finanziato (problema del quale lo stesso imputato, apprendendone in occasione della qui più volte menzionata riunione nell'ufficio del So., si era poi dimostrato seriamente preoccupato, al pari della suddetta Pa.), quanto per l'estraneità del medesimo PE. rispetto alle macchinazioni tese ad occultarlo. Analoghe conclusioni dovevano trarsi, ad avviso del tribunale, con riferimento alla disclosure sui fondi "(...)" e "(...)". In proposito era stato dall'ufficio del PE. che era partita la richiesta di disclosure sui sottostanti dei fondi (richiesta, peraltro, più volte ripetuta, come precisato dal teste Lu.Tr.). Quindi, in presenza di una risposta solo parziale, l'ufficio ricompreso nella Divisione diretta dall'imputato aveva applicato il trattamento previsto dalla normativa, segnalando l'intera esposizione verso quei fondi come una "esposizione sconosciuta". Peraltro, quando, successivamente, era entrato in vigore il CRR che imponeva alla banca di avere piena conoscenza anche degli investimenti sottostanti, era stato proprio l'imputato a segnalare che, in difetto di disclosure, l'istituto avrebbe dovuto detrarre integralmente l'intero investimento dal CET 1 e solo per effetto di tale segnalazione era stato finalmente comunicato l'investimento in azioni B., come segnalato dal teste ispettore Em.Ga.. Anche l'intervento effettuato dal PE. nel corso della seduta del CdA 1.4.2014 - allorché questi non si era affatto allineato alle valutazioni del prof. Bi. in ordine al valore da assegnare all'azione, ma, al contrario, aveva mosso delle critiche al riguardo - deponeva in senso favorevole all'imputato. Ove costui fosse stato coinvolto nell'illecita operatività del capitale finanziato, infatti, sarebbe stato lecito attendersi che non dissentisse rispetto alla metodologia applicata nella stima del valore del titolo. Né, a fronte di tali plurime emergenze probatorie favorevoli, gli elementi valorizzati in senso contrario dal P.M. potevano legittimare differenti conclusioni circa la consapevolezza, da parte del PE., del fenomeno in esame. Non l'episodio del Comitato di Direzione dell'8 novembre 2011, nel quale pure v'era prova che si fosse parlato delle "operazioni baciate" in presenza del PE., poiché l'affermazione fatta, nell'occasione, da costui, secondo quanto riportato negli appunti del teste Ma.So. ("Avrei bisogno di 110 milioni andare a 8 con capitalizzazione dell'utile trimestrale") e, più in generale, ciò che era stato sostenuto nel corso della riunione, anche dal d.g. So. ("dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. abbiamo degli impegni nei confronti di Banca d'Italia e del Consiglio di Amministrazione"), non consentivano di concludere che il medesimo PE. fosse consapevole delle specifiche caratteristiche di quella tipologia di operazioni, né della diffusività del fenomeno e, quindi, della sua incidenza sul patrimonio della banca. Tutt'altro che inverosimile, infatti, appariva quanto sostenuto, al riguardo, dallo stesso imputato, là dove il predetto aveva precisato di non avere dato adeguato peso agli interventi effettuati, in tale occasione, dal Se. e dal Tonato in quanto, all'epoca, neppure conosceva il significato della parola "baciata". Peraltro - precisava il primo giudice - a tale riunione era stata presente anche l'avv. An.Pa., la quale tuttavia aveva dichiarato di essere venuta a conoscenza del fenomeno solo nel 2015, in occasione della citata comunicazione della società di revisione K.. Non le dichiarazioni rese dal teste So. - sebbene costui avesse narrato di colloqui con figure apicali dell'istituto nei quali si era fatto ripetutamente riferimento alle "baciate" a partire dagli anni 2010-2011 - in quanto detto teste non aveva riferito di colloqui intercorsi, a tale specifico riguardo, con il PE.. E neppure le deposizioni - sostanzialmente analoghe e, comunque, assolutamente vaghe ed incerte - rese dei testi Gi.Am., Al.Ba. e Co.Tu.. Quanto, poi, al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (del quale nel corso dell'istruttoria dibattimentale era stata ascoltata la registrazione audio), il primo giudice precisava, per un verso, che si era trattato di riunione alla quale il PE. non aveva partecipato (in quanto si trovava a Francoforte) e, per altro verso, che il riferimento alla necessità di confrontarsi con il predetto, nell'occasione chiamato in causa da GI. ("... però dobbiamo confrontarci con Ma..."), costituiva un elemento insuscettibile di univoca lettura. Era lecito ipotizzare, infatti, che il predetto GI. - come, peraltro, da questi sostenuto - intendesse riferirsi alla necessità di "tagliare gli attivi", donde, in questa prospettiva, la regolarità del coinvolgimento del PE., in quanto titolare della Divisione "competente in materia". Inoltre, con riferimento alla deposizione rese dal teste Co.Tu. in relazione alla riunione del 7 gennaio 2015 (deposizione nel corso della quale detto testimone, dapprima, aveva riferito che si era trattato della prima occasione nella quale sì era parlato di "baciate" anche in presenza di PE. e successivamente, in sede di controesame, aveva smentito le precedenti dichiarazioni, negando che nel corso di questo incontro fosse stato affrontato tale argomento), si era evidentemente in presenza, ad avviso del primo giudice, di un contributo dichiarativo del tutto inattendibile. Infine il tribunale esaminava la tesi del coimputato GI. (tesi secondo la quale: il fenomeno del capitale finanziato era noto a tutti all'interno della banca; lo stesso GI. ne ignorava la dimensione; il medesimo dichiarante aveva confidato nella regolare appostazione a bilancio dei dati relativi a detto fenomeno) evidenziandone: - per un verso, il contrasto con gli elementi probatori in precedenza citati; ° per altro verso, la intrinseca contraddittorietà (posto che non era dato comprendere cosa avrebbe dovuto appostare a bilancio la ragioneria se neppure il GI. era a conoscenza di dati precisi al riguardo e se difettavano flussi informativi interni sul punto); - e, peraltro verso ancora, la palese illogicità (in quanto la contabilizzazione di tale fenomeno avrebbe vanificato la finalità di evitare la decurtazione del valore delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza). In definitiva - concludeva il primo giudice - il compendio probatorio non consentiva di giungere all'affermazione di responsabilità del PE.. Non solo l'imputato era del tutto estraneo alla strutturazione dell'operatività delle c.d. "baciate", ma neppure era provato che fosse consapevole di tale fenomeno. Al più erano emerse una vaga e generica conoscenza, da parte del predetto, della tematica in esame e la conseguente sottovalutazione della serietà delle relative implicazioni sul patrimonio di vigilanza, non già la consapevolezza delle caratteristiche e della diffusività della illecita operatività in esame, necessarie per fondare l'elemento psicologico dei reati oggetto di addebito. Di qui l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato 1.9.6 Zi.Gi. Con riferimento alla posizione processuale di Zi.Gi., al quale era addebitato il concorso nei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto (concorso estrinsecatosi nell'avere egli avallato la prassi aziendale del capitale finanziato, avendo compiuto per il tramite di Ze. s.r.l. operazioni di tale natura), il tribunale premetteva, alla stregua della deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma., la seguente ricostruzione delie operazioni riferibili all'imputato: - il 13 novembre 2012 il CdA aveva deliberato ex art. 136 TUB un affidamento di 12,5 milioni di euro in favore di Ze. s.r.l.. La causale era: "cogliere eventuali opportunità sia nel settore industriale che nel settore finanziario, nello specifico è in fase di avanzata trattativa l'acquisizione di un rilevante pacchetto di quote di Ar.Li. s.p.a. sono inoltre nell'intenzione degli imprenditori ulteriori significativi investimenti che al momento non sono ancora nel complesso definiti". Il fido era stato accreditato il 21 novembre e, lo stesso giorno, era stato effettuato un giroconto di 10 milioni di euro utilizzati per l'acquisto di azioni B. per un pari importo; - quindi, nel luglio del 2013, la Ze. S.r.l. aveva beneficiato di un finanziamento di 1.5 milioni di euro, fido erogato il 2.9.2013 sul conto corrente (...), intestato alla predetta società. Si trattava di un incremento del fido già concesso nel 2012. In data 2 settembre 2013 - data di regolamento dell'aucap 2013 - risultava poi un'erogazione di 1,13 milioni di euro su altro conto corrente intestato alla medesima società con l'impiego di detta somma per l'acquisto di azioni B. di pari valore; - ancora, il 4.12.2014, Zi.Gi. aveva ricevuto un affidamento di 5.200.000,00 euro. La P.E.F. indicava, quale causale: "finalizzato ad intercettare alcune opportunità immobiliari e di partecipazione". Non appena ricevuta l'erogazione, il relativo importo era stato bonificato su un conto U.It. s.p.a., filiale di Padova; - il 16.2.2015, infine, Ze. s.r.l. aveva venduto 5,5 milioni di azioni sul secondario e, con il ricavato, aveva ridotto parte del debito relativo al finanziamento di 15 milioni di euro. Tale ricostruzione - precisava il tribunale - coincideva con le conclusioni dei cc.tt. del P.M. dove sì attestava che l'importo delle azioni acquistate dalla società Ze. s.r.l. tramite finanziamenti era pari a 10 milioni di euro dal 31.12.2012 al 30.6.2013, ad euro 10.565.250 dal 30.9.2013 al 30.6.2014, ad euro 10.355.250 dal 30.9.2014 al 31.12.2014 e, infine, ad euro 4.855.250 al 31.3.2015. Così ricostruite le evidenze contabili, il primo giudice concludeva per la natura "correlata" delle operazioni effettuate dalla Ze. s.r.l. sulla scorta, in particolare, delle dichiarazioni rese dai testi Ma.Ba. e An.Cr.. Il primo, infatti, aveva rievocato (peraltro coerentemente con gli / esiti della consulenza dei cc.tt. del P.M.) l'operazione (da lui stesso curata su input di Em.Gi. ovvero di Al.Ba.) effettuata alla fine del 2012 e relativa al fido da 12,5 milioni di euro, parte dei quali (2,5 milioni), destinata all'acquisto della partecipazione in Ar.Li., la restante parte riservata a investimenti in azioni della banca. La pratica, poi, era stata materialmente seguita dal Criscuolo. L'operazione avrebbe dovuto avere carattere temporaneo, la liquidità essendo stata "parcheggiata" in azioni B. in attesa di un differente impiego, da effettuare previa liquidazione delle azioni. Nel 2013, poi, in occasione dell'aumento di capitale, il fido era stato esteso di ulteriori 1,5 milioni e con la relativa provvista Ze. s.r.l. aveva aderito all'iniziativa in questione. Il secondo teste (Cr.), poi, aveva sostanzialmente confermato la versione del collega Ba.. Infine anche il teste Al.Ba., responsabile della divisione "Corporate", aveva rievocato l'operazione posta in essere dallo ZI., operazione della quale, in parte, si era anche personalmente occupato allorquando, nel 2012, vi era stato un apposito incontro con lo stesso ZI. e con GI. per discuterne l'impostazione. Il teste Ba. ha precisato che vi era urgenza di effettuare l'operazione con rapidità in quanto si avvicinava la fine dell'anno 2012; che era impellente l'esigenza di liberare il fondo acquisto azioni; che, nell'occasione, ZI. aveva acconsentito ad effettuare l'operazione purché la cosa fosse gradita allo ZO.. Successivamente lo stesso ZI. gli aveva confidato di essersi prestato ad effettuare l'operazione a richiesta dì So. e GI., i quali "in sostanza gli avevano chiesto un favore e che lui si era messo a disposizione della banca". Dal canto suo lo stesso ZI. aveva ricordato di avere agito aderendo alla proposta di GI. e solo dopo avere ricevuto esplicite rassicurazioni in ordine al fatto che l'operazione non fosse intesa dal presidente ZO. come una iniziativa ostile. Il messaggio SMS inviato da MA. a So. il 26.10.2012 (doc. nr. 665 del P.M.) "ti ricordo Zi. di parlarne con il presidente per il fido da farsi sulla sua finanziaria", nonché il precedente' messaggio trasmesso, il 17.10.2012, dal GI. allo stesso So. "faccio anche ZI., Ma. d'accordo. Vedi problemi?" "il fratello ha già in atto l'operazione" costituivano, poi, significativi riscontri documentali dell'operazione in questione. Quindi il tribunale precisava, sulla scorta della deposizione del Criscuolo, che, con rifermento al finanziamento concesso allo ZI., erano stati applicati tassi differenziati per l'importo destinato all'acquisto di Ar. e per la parte destinata all'acquisto delle azioni e che i tassi erano stati "sistemati" con il consueto sistema dello storno. Alcuni documenti disponibili, peraltro, confermavano tale circostanza. Trattasi, segnatamente: - della richiesta di storno di cui al documento nr. 103 del P.M.; - dell'annotazione redatta da Zi.Gi. (doc nr. 730 del P.M.), contenente l'elenco delle azioni acquistate tramite finanziamento con l'indicazione di importi e tasse non deducibili "che avanziamo dalla banca" e con l'indicazione finale rimane da risolvere la vendita delle altre 80.000 azioni"; - del prospetto riassuntivo dell'applicazione del tasso di interesse (doc, nr. 737 del P.M.), estratto dal computer della segretaria della Ze. S.r.l., Ca.Ro., la quale aveva riferito di averlo redatto probabilmente su incarico di Gi.ZI. (questi, tuttavia, non aveva confermato la circostanza). In detto documento veniva riportato il tasso di interesse del 4,5% con riferimento al finanziamento di 2,5 milioni di euro relativo all'acquisizione di Ar.Li. e in esso si leggeva "calcolo eseguito non considerando il milione di aumento di capitale che si riferisce ai 10 milioni". Quanto, poi, al finanziamento di 10 milioni destinati all'acquisto delle azioni, nel consuntivo finale, alle competenze addebitate, comprensive di interessi ed imposte, venivano sottratti gli interessi "effettivamente dovuti" in ordine al finanziamento di 2,5 milioni destinato ad Ar.Li. e la differenza tra queste due somme era indicata come "differenza da rimb"; - della e-mail 15.7.2014 inviata dalla Ca. alla filiale B. in cui si precisava che le imposte di bollo andranno a confluire nel famoso rimborso concordato a suo tempo", così confermandosi l'esistenza dell'accordo per rimborsare a Ze. s.r.l. tutte le spese. La natura correlata delle operazioni effettuate dagli ZI. del resto emergeva, ad avviso del tribunale, anche da un appunto (doc. nr. 731 del P.M.) redatto dallo stesso imputato per ricostruire le operazioni effettuate con la banca. In detto appunto si legge che in data 8 maggio, a colloquio con ZO., Br. e l'avv. Am., ZI. aveva affermato essergli stato chiesto "in due occasioni di comprare azioni (2011 e 2012) con finanziamenti dove non ho percepito utili ma ho anticipato interessi passivi. La prima si è chiusa nel 2014 e la seconda per il 50% nel 2015". "Attualmente ci perdo 280.000 più oltre un milione di calo di valore: quindi la banca non è danneggiata ma ci ha guadagnato. Operazioni proposte da E. ma definite in ufficio da SS che mi ringraziava per l'aiuto. Ho sempre messo due condizioni, di non guadagnarci e che il Presidente fosse informato". Lo stesso imputato, poi, nel corso dell'esame, ha ricordato che il finanziamento era stato strutturato per l'acquisto di azioni dell'istituto e che egli lo aveva effettuato, sollecitato da GI., "per dare una mano alla banca". Del resto, nel corso della conversazione telefonica nr. 153 del 25.8.2015 intercorsa tra l'imputato e Lu.Bo., il primo aveva ammesso di essere stato finanziato dalla banca per l'acquisto delle azioni. Sicché la natura correlata dell'operazione di acquisto finanziato di azioni per 10 milioni di euro non poteva essere fondatamente revocata in dubbio. Altra operazione correlata era stata quella effettuata, per l'importo di 5 milioni di euro, da Zi.Gi. (finanziamento del 27.12.2011 ed acquisto delle azioni effettuato due giorni dopo). Con analoghe modalità, poi, lo stesso Zi.Gi. aveva partecipato all'aumento di capitale del 2013 per l'importo di 500.000 euro. La prima operazione era stata chiusa il 29.5.2014 con rimborso e annullamento delle azioni, ovverosia con un ricorso surrettizio - come emerso anche dalla deposizione del teste Ro. il quale aveva confermato che l'annullamento era un espediente al quale si ricorreva in casi eccezionali per chiudere operazioni correlate - ad uno strumento (quello dell'annullamento) previsto in caso di "inadempienza grave" del socio, inadempienza che, nel caso dì specie, non si era affatto verificata. Quindi il tribunale richiamava il finanziamento di 5 milioni di euro concesso da B. a Ze. s.r.l. e girato sul conto UBS il 5.12.2014. Nell'occasione al dipendente UBS Visentin, il quale si era relazionato con So., PI. e GI., l'imputato aveva riferito che aveva un "credito nei loro confronti" e che questa operazione "gli era dovuta" in quanto "aveva fatto molti favori alla banca". Infine il primo giudice evocava la e-mail inviata dallo ZI. a Em.Gi. e a Cl.Gi. con, in calce, l'analoga missiva inviatagli da Mi.Ga., il quale si lamentava del fatto che un dipendente B. gli avesse comunicato che il rinnovo di un secondo fido era stato anch'esso subordinato, al pari del primo, alla sottoscrizione di 50.000 azioni dell'istituto di credito. Nell'occasione l'imputato si era limitato a spiegare che "B. non opera con questa politica e che forse o hanno capito male o il funzionario si è espresso male". Ebbene, in presenza di tali evidenze probatorie lo ZI., come detto, aveva bensì ammesso di avere effettuato operazioni correlate per dare una mano alla banca ma aveva negato di essere stato consapevole delle problematiche connesse al capitale finanziato e, meno che mai, delle sue dimensioni, protestando altresì la propria totale inconsapevolezza circa la necessità dello scomputo delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza. Pertanto il tribunale riteneva certamente provato che l'imputato, attraverso Ze. s.r.l., avesse posto in essere operazioni correlate. Nondimeno, sempre secondo il tribunale, non soltanto lo ZI. non aveva minimamente preso parte alla concertazione - intercorsa, ai massimi livelli, tra il management della banca ed il presidente ZO. - che aveva reso possibile la manipolazione del mercato e le condotte di false informazioni alla vigilanza, ma neppure vi era prova affidabile circa la consapevolezza, in capo ai membri del CdA (e, quindi, allo stesso ZI.), in ordine alla diffusività dell'operatività illecita in questione. Il teste ispettore Em.Ga., invero, aveva puntualmente evidenziato la difficoltà di percepire se una operazione fosse o meno correlata da parte del CdA. Dal canto suo lo stesso coimputato MA., in sede di esame, aveva ammesso che, quando presentava le pratiche di acquisti correlati in Consiglio, era solito non esplicitare mai la natura delle operazioni, limitandosi a riportare sinteticamente i dati della P.E.F.. In buona sostanza - secondo il tribunale - la valutazione circa la sussumibilità o meno delia condotta dello ZI. nell'alveo della penale responsabilità implicava, necessariamente, la esatta comprensione dei termini della questione inerente al complesso tema della responsabilità dei componenti del CdA non esecutivi, estranei a qualsivoglia funzione gestoria dell'impresa bancaria, questione che, nel caso sub iudice, andava poi "calata" in un contesto obiettivamente peculiare in quanto caratterizzato, per un verso, dalla concreta fisionomia di un organo collegiale - il CdA di B. - sottoposto alla direzione di un presidente "assolutamente operativo"; e, per altro verso, dall'assenza, in capo ai consiglieri, della effettiva conoscenza della situazione di reale illiquidità del titolo azionario. In effetti, solo in presenza di segnali di allarme effettivamente percepibili (e realmente percepiti) come tali dai consiglieri sarebbe stato possibile ritenere costoro - e, quindi, tra essi, lo ZI., il quale non si trovava affatto in una situazione dissimile rispetto a quella dei "colleghi" che avevano posto in essere anch'essi operazioni correlate - responsabili, ex art. 40 c.p., per non avere impedito attività delittuose in itinere, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità. Nel caso di specie, tuttavia, nulla consentiva di affermare che l'imputato avesse volontariamente omesso di intervenire per scongiurare la consumazione dei reati, all'uopo non potendosi ritenere sufficiente la partecipazione, da parte del predetto, ad operazioni di capitale finanziato; operazioni, peraltro, da costui poste in essere su sollecitazione dei vertici dell'istituto e senza alcun tornaconto personale. In definitiva difettavano prove univocamente sintomatiche di un consapevole concorso materiale di Zi.Gi. nei reati ascrittigli, in difetto di adeguati riscontri circa la consapevolezza, in capo al predetto, delle condotte manipolatorie e decettive poste in essere dalle figure apicali dell'istituto di credito e, ancor meno, circa la dimensione del fenomeno del capitale finanziato. Donde l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non costituisce reato 1.10 La responsabilità amministrativa di B. in L.C.A. Il tribunale, inoltre, riteneva Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) in relazione ai reati dì aggiotaggio ex art, 2637 c.c. e di ostacolo alla vigilanza ex art. 2638 c.c. (ovverosia con riferimento a fattispecie incluse nell'art. 25 ter lett. R ed S del D.L.vo 231/01) posti in essere da soggetti sia di vertice che sottoposti alla direzione e vigilanza di posizioni apicali. In proposito, dopo avere richiamato, in ordine alla sussistenza delle ipotesi delittuose di riferimento, quanto già in precedenze esposto al riguardo, il tribunale in primo luogo evidenziava come, ai fini della responsabilità dell'ente, non rivestisse rilievo alcuno la sottoposizione della banca a procedura concorsuale, trattandosi di evento non ricompreso tra le cause dì estinzione dell'illecito da reato previste dalla disciplina in materia (come del resto era evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, che assegnava rilievo, al riguardo, unicamente al decorso del termine di legge, ovvero all'improcedibilità in caso di amnistia in relazione al reato presupposto). Fino alla cancellazione conseguente all'esito della procedura concorsuale, infatti, la società avrebbe dovuto ritenersi esistente. Né, d'altro canto, era possibile opinare diversamente sulla base di una sorta di giudizio prognostico fondato sul prevedibile esito della procedura fallimentare. Tanto premesso, neppure poteva dubitarsi che gli imputati avessero agito nell'interesse e a vantaggio dell'ente. Al riguardo il tribunale premetteva che l'interesse (da valutarsi, ex ante, secondo criteri "soggettivi" che, sebbene non coincidenti con l'elemento psicologico della fattispecie delittuosa di riferimento, dovevano comunque essere tali da esprimere la tensione finalistica dell'operato dell'autore del reato presupposto) avrebbe dovuto individuarsi nella prefigurabilità di un risultato positivo per la società. Quanto poi al vantaggio (da apprezzarsi, ex post, secondo criteri oggettivi), tale requisito si sarebbe dovuto identificare negli effetti favorevoli derivati dalla realizzazione degli illeciti. Questo con la precisazione, per un verso, che la mancata considerazione del criterio del vantaggio secondo la formulazione della disposizione vigente all'epoca dei fatti (art. 25 ter D.L.vo cit.) era circostanza di ben scarso rilievo, posto che, nel caso di specie, tutti i reati perpetrati erano caratterizzati dal correlativo interesse dell'istituto di credito; per altro verso, che l'antieconomicità a posteriori dell'operazione era ininfluente; e, peraltro verso ancora, che l'interesse dell'ente avrebbe potuto essere anche parziale o marginale, dovendosi escludere la responsabilità della società solo nel caso di interesse esclusivo dell'autore del reato (in ragione, in tal caso, della rottura "dello schema di immedesimazione organica" che costituiva il fondamento teorico dell'istituto in questione). Ebbene, nella vicenda sub iudice, le condotte delittuose erano state pacificamente poste in essere nell'interesse (anche) dell'istituto di credito. In effetti la contraria tesi difensiva (secondo la quale dette condotte si sarebbero poste in conflitto con il reale interesse della banca, in quanto, da un lato, avrebbero precluso l'effettuazione di ulteriori operazioni e in tal guisa avrebbero cagionato, fin dal momento genetico, un grave nocumento all'istituto di credito, mentre, dall'altro lato, sarebbero state realizzate nell'esclusivo interesse degli imputati, al di fuori di una politica di impresa e per finalità di mantenimento del potere gestionale da parte dei vertici amministrativi) non poteva affatto essere accolta. Ciò avrebbe infatti rappresentato l'espressione di un'interpretazione atomistica, fuorviante e retrospettiva del fenomeno delittuoso in esame e non già di una doverosa visione prospettica delle azioni criminose. Le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, infatti, erano state funzionali a far conseguire all'ente un beneficio, occultando le operazioni di capitale finanziato e così consentendo all'istituto di credito di mantenere standard elevati nell'esercizio dell'attività bancaria e di acquisire nuovo capitale o mantenere quello esistente. Si era trattato, quindi, di condotte che, a tutto discapito del mercato, avevano generato indubbi benefici per la banca, assicurandone la continuità e garantendone la competitività nel mercato del credito, sia pure in modo rivelatosi non sufficiente, nel lungo termine, a risolvere le carenze di un'errata politica di impresa (peraltro preesistente alle operazioni di capitale finanziato) che aveva portato ad un progressivo, inesorabile, deterioramento della situazione patrimoniale (con i relativi coefficienti che, già dal 2012, erano inferiori alla soglia target, come evidenziato dai consulenti del P.M.). Le ricadute positive per l'ente delle attività delittuose, del resto, erano state convincentemente delineate dalla deposizione del teste ispettore Em.Ga.. In assenza delle condotte delittuose, in effetti, la banca si sarebbe trovata nella necessità di impegnare le risorse disponibili per reintegrare i requisiti patrimoniali, oppure di disvelare una situazione di crisi che avrebbe inevitabilmente impattato negativamente, al contempo, tanto sul capitale (trattandosi di banca cooperativa), quanto sull'operatività (trattandosi di banca commerciale). In definitiva - precisava il primo giudice - occorreva distinguere tra le singole condotte operative di capitale finanziato (che costituivano solo una parte della politica imprenditoriale e non erano indicative della proiezione finalistica del reato) e le soprastanti condotte delittuose delle false prospettazioni al mercato e alla vigilanza, nelle quali si sostanziavano i reati presupposto che erano stati funzionali a favorire l'ente, consentendo alla società di conseguire un vantaggio economico. Ponendosi in questa prospettiva, diveniva allora evidente l'interesse (se non esclusivo, quantomeno prevalente) della banca alla commissione dei delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, in quanto espressione di una politica d'impresa funzionale a garantire la prosecuzione dell'attività dell'istituto, assicurando, per un verso, l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, il mantenimento di quello esistente. D'altronde, il peggioramento delle condizioni economiche dell'ente non era stato certo effetto della commissione dei reati, bensì del ricorso dissennato al capitale finanziato nell'ambito di un meccanismo divenuto progressivamente ingovernabile, il tutto mentre le condotte delittuose (che si ponevano a valle di tale fenomeno) avevano per un certo periodo di tempo consentito di contenere, limitare e ritardare gli ulteriori effetti negativi per l'ente che dal disvelamento di una siffatta realtà sarebbero inevitabilmente derivati. Quanto poi al criterio soggettivo di imputazione dell'illecito, costituito dalla colpa di organizzazione, il primo giudice ne ravvisava il ricorrere in ragione del fatto che l'ente non si fosse strutturato in modo idoneo a prevenire le condotte in questione. Nel caso di specie, infatti, non solo il modello organizzativo, nella versione aggiornata a febbraio del 2012 (documento nr. 269 del P.M.), non era stato predisposto in modo adeguato (essendo prevalentemente strutturato ai fini di anti-riciclaggio), ma neppure era stato applicato ed implementato convenientemente. Nulla era stato previsto in relazione alle modalità di predisposizione dei bilanci, al computo dei requisiti patrimoniali, anche ai fini del patrimonio di vigilanza, all'attività di erogazione del credito, ovvero alla gestione operativa, contabile e patrimoniale delle azioni (proprie e non) che, pure, costituiva l'attività su cui si focalizzava l'operatività della banca. Nessuna procedimentalizzazione delle attività di acquisto e vendita delle azioni, inoltre, era stata programmata nel modello. Né detto modello era mai stato implementato in tal senso. Si aggiunga che erano risultate assenti modalità operative per garantire la tracciabilità dei finanziamenti per l'acquisto dì azioni proprie e che neppure era stato previsto alcunché per assicurare la corretta registrazione dei collegamenti tra affidamenti e acquisto/sottoscrizione di azioni, ovvero per disciplinare le comunicazioni all'esterno, ovvero ancora per regolamentare gli aspetti afferenti al patrimonio di vigilanza. Inoltre il modello aveva previsto un Organismo dì Vigilanza collegiale composto da tre soggetti e, segnatamente, da due avvocati esterni all'istituto di credito, nonché dal responsabile interno dell'audit, soggetto, quest'ultimo, dipendente gerarchicamente dal d.g. e funzionalmente dal CdA, ovverosia proprio da coloro che egli avrebbe dovuto controllare. Donde un evidente deficit di autonomia di tale organismo. Quanto, poi, al Collegio sindacale, era risultato composto da soggetti alcuni dei quali (Za., Za., Ca.) legati personalmente allo ZO., ovvero a società riconducibili a tale imputato. Le stesse relazioni ispettive di Banca d'Italia, del resto, avevano censurato la logica di cooptazione alla base della composizione dell'organo in questione, stigmatizzandone l'attività di mero controllore formale. Di qui il giudizio di complessiva grave inadeguatezza dei presidi organizzativi predisposti da B. per fronteggiare i rischi operativi assunti e la conseguente affermazione della responsabilità dell'ente. Quindi, passando alla quantificazione della sanzione, il primo giudice stabiliva, quanto al più grave delitto di aggiotaggio, il numero di 600 quote (a fronte di una forbice di riferimento tra le 400 e le 1000 quote), ridotte a 400 in ragione dell'attenuante ex art. 12, co, 2, D.L.vo 231/01, essendosi l'ente adoperato (con una proposta di transazione rivolta agli azionisti ed avente ad oggetto l'offerta di una somma a titolo di indennizzo) per ridurre le conseguenze dannose dell'illecito. Considerata, poi, la pluralità di illeciti, il tribunale determinava nella misura di 150 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter R ed in 360 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter S, Conseguentemente, precisato che la prescrizione di talune condotte delittuose non poteva rivestire alcun rilievo in relazione all'illecito amministrativo dell'ente, quantificava le quote complessive nella misura di 910 quote e, determinato il valore di ciascuna quota in euro 400, fissava la sanzione pecuniaria complessiva nella misura di euro 364.000,00. Infine, evidenziato che il profitto del reato andava identificato nel vantaggio economico (inteso come benefìcio aggiunto di tipo patrimoniale) causalmente derivato dal reato presupposto, e sottolineato, inoltre, come una stima in tal senso fosse stata unicamente effettuata con riferimento al reato di cui al capo N2, all'origine del sequestro, disposto dal GIP del tribunale di Vicenza in data 18.5.2017, con riferimento al valore di euro 106.012.687,50 (corrispondente all'ammontare delle sottoscrizioni di capitale versate alla banca, a seguito dell'aucap, dai soci il cui acquisto era stato sollecitato dalla banca stessa e che non avrebbero potuto sottoscriverlo ove fosse stato applicato il "test di adeguatezza bloccante"), il tribunale disponeva la confisca in tal senso, detraendo tuttavia l'importo di euro 31,8 milioni, oggetto di restituzione effettuata a titolo transattivo, e fissando, quindi, l'ammontare della confisca nella misura di euro 74.212.687,50 (con conseguente parziale revoca del sequestro). 1.11 Il trattamento sanzionatorio Con riferimento ai reati commessi dagli imputati ZO., PI., MA. e GI., dei quali andava ad affermare la penale responsabilità, il tribunale ravvisava la sussistenza del vincolo della continuazione, trattandosi di reati espressione di un'unitaria determinazione criminosa. Quindi: - esclusa quanto ai reati di cui ai capi A1, B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1 l'aggravante ex art. 112 nr. 1 c.p., in ragione del numero inferiore a cinque degli autori delle relative condotte; - riconosciuta, quanto ai reati di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1 l'aggravante ad effetto speciale ex art. 2638 co. 3, c.c., essendosi in presenza di istituto di credito emittente strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ex art. 116 D.L.vo 58/98; - riconosciuta, altresì, in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1, N1, l'aggravante di cui all'art. 61 nr. 2 c.p., trattandosi di condotte di ostacolo, susseguitesi nel tempo, al fine di occultare l'illecita manipolazione del prezzo sia di nascondere la falsità dei precedenti flussi informativi; - riconosciute, inoltre, a tutti gli imputati le attenuanti generiche, trattandosi di soggetti incensurati che avevano anche tenuto corrette condotte processuali (in effetti, presenti a tutte le udienze, costoro si erano anche sottoposti ad esame, eccezion fatta per ZO. il quale, peraltro, aveva reso dichiarazioni spontanee); - valutate le predette attenuanti in regime di mera equivalenza rispetto alle ravvisate aggravanti, in considerazione della notevole entità dei danni cagionati con le condotte delittuose; - ritenuto più grave il reato di cui al capo H1, in ragione della pena edittale di riferimento e del tempo significativo di protrazione della relativa condotta (esauritasi solo nell'aprile del 2015); - considerati, infine, i criteri tutti di cui agli art. 132, 133 c.p. (e, segnatamente: il ruolo apicale rivestito dagli imputati; il numero e la varietà delle condotte delittuose, protrattesi per anni; l'intensità del dolo all'origine delle medesime condotte e, in particolare, la pervicacia e l'ostinazione che avevano orientato l'azione di occultamento al mercato e alla vigilanza della reale situazione dell'istituto di credito), condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di anni due in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 ed N1 (essendo evidentemente un errore materiale la quantificazione sintetica di tale aumento nella misura di anni uno, in ragione della specifica indicazione, nella misura di mesi tre, dell'aumento di pena irrogato per ciascuno di detti reati), con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia; aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, infine, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre e mesi sei di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati). Gli imputati, infine, erano dichiarati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. 1.12 La confisca per equivalente. Il tribunale, premesso che la disposizione di cui all'art. 2641 c.c., prevedeva, in relazione ai reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c,, la confisca (diretta, ovvero, in via sussidiaria, per equivalente) non solo del prodotto/profitto dei reati, ma anche dei beni utilizzati per commetterlo, precisava, a tale ultimo riguardo (richiamando sul punto la sentenza della Corte Costituzionale nr. 112/2019 e la giurisprudenza di legittimità espressasi in fattispecie analoga), come in tale categoria di beni non rientrassero unicamente i tradizionali "instrumenta sceleris", ovverosia le cose intrinsecamente pericolose (il grimaldello, la stampante utilizzata per la produzione di cartamoneta falsa, ecc..) bensì qualsivoglia res l'impiego della quale avesse reso possibile la commissione del reato e, pertanto, con riferimento alla vicenda sub iudice, anche le risorse finanziarie concesse dall'istituto a titolo di finanziamento ed impiegate per l'acquisto delle azioni dell'istituto medesimo; risorse che, nella specie, erano state convincentemente quantificate dai consulenti del P.M. nella misura di euro 963,000,000,00. Nella prospettiva del primo giudice, infatti, erano proprio i finanziamenti concessi per le operazioni di capitale finanziato che avevano reso possibili i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, trattandosi di reati che erano stati commessi comunicando un patrimonio di vigilanza non veritiero, in quanto non corrispondentemente decurtato. Erano detti finanziamenti, quindi, che, nel caso in esame, costituivano "i beni utilizzati per commettere i reati". A legittimare, poi, la confisca per equivalente nei confronti degli imputati era il mancato rinvenimento della somma oggetto dì confisca diretta e, quindi, l'impossibilità (peraltro da ritenersi all'uopo rilevante anche ove soltanto transitoria) di tale ablazione diretta. Nel caso di specie la confisca diretta era impedita dall'assoggettamento dell'istituto di credito, al momento della pronuncia, a liquidazione coatta amministrativa, trattandosi di procedura per effetto della quale era venuta meno in capo all'ente la disponibilità del patrimonio societario, destinato esclusivamente ad essere gestito, evitandone il depauperamento, in vista delle finalità della procedura medesima. Di qui la confisca disposta, per il valore di euro 963.000.000, nei confronti degli imputati ZO., PI., GI. e MA., con la precisazione che il principio solidaristico posto a fondamento della disciplina del concorso di persone, da un lato, e la natura eminentemente sanzionatoria della confisca per equivalente, dall'altro, implicavano che il provvedimento ablatorio fosse pronunziato, a carico di ciascuno di costoro, con riferimento all'intero importo. 1.13 Le questioni civilistiche Quindi, con riferimento alla posizione della Banca (...), citata da numerose parti civili in qualità di responsabile civile e in questa veste costituitasi in udienza preliminare, il tribunale riteneva la validità delle argomentazioni poste dall'istituto di credito a fondamento della relativa richiesta di esclusione (originariamente respinta per tardività) ex art. 83 TUB. In effetti la circostanza che l'istituto di credito fosse stato sottoposto a procedura di liquidazione coatta amministrativa con decreto ministeriale nr. 185 del 25 giugno 2017, ove debitamente valutata alla luce delle disposizioni di legge in materia, rispettivamente, di estensione alla procedura in esame delle disposizioni in materia di fallimento (art. 201), di disciplina dell'opposizione allo stato passivo (art. 83 TUB) e di improseguibilità delle pretese creditorie avanzate innanzi al tribunale ordinario (52 TUB), comportava la improcedibilità delle domande avanzate nei confronti della banca. Tutte le ragioni di credito, infatti, avrebbero dovuto essere fatte valere in sede concorsuale e, segnatamente, nell'ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, nel solco, peraltro, di quanto affermato ripetutamente dal giudice di legittimità. Di qui la declaratoria di improcedibilità della domanda avanzata dalle parti civili nei confronti del responsabile civile. Evidenziava infine il tribunale come esulassero dai poteri di ius dicere del giudice penale le domande (in taluni casi affiancate alle richieste risarcitone) volte a ottenere pronunce di accertamento della nullità e/o inefficacia dei contratti di finanziamento sottoscritti per l'acquisto di azioni. Quanto, poi, alle domande risarcitone da talune parti riproposte, in sede di conclusioni, nei confronti dell'Istituto di credito in qualità di ente incolpato ex D.L.vo 231/01, il Tribunale, richiamando i provvedimenti che non avevano ammesso la relativa costituzione di parte civile (sul rilievo della non esperibilità dì azioni civili volte ad ottenere il risarcimento del danno nei confronti degli enti in qualità di responsabili degli illeciti amministrativi), in tal senso espressamente motivava le ragioni che avevano indotto il collegio a non esaminare le relative richieste. Infine, con riferimento alle domande risarcitorie avanzate nei confronti degli imputati, il primo giudice pronunziava sentenza di condanna generica di questi ultimi in favore delle parti civili istituzionali (Banca d'Italia e CONSOB) e di quelle private (azionisti e obbligazionisti di B., siccome indicati negli elenchi, allegati al dispositivo, depurati delle parti le cui costituzioni erano state espressamente revocate, ovvero dovevano intendersi revocate per mancata presentazione delle conclusioni). In ordine ai primi, precisato che il pregiudizio patrimoniale consisteva negli esborsi e nel complessivo dispendio di risorse che le autorità di vigilanza avevano dovuto sostenere per ottenere quelle informazioni che erano state loro occultate, mentre il pregiudizio non patrimoniale doveva identificarsi nella compromissione delle finalità istituzionali delle suddette autorità e nella lesione dell'immagine che ne era derivata, il tribunale evidenziava la necessità di rimessione, per la quantificazione di dette voci dì danno, innanzi al giudice civile, in difetto di concreti elementi probatori idonei ad orientare la relativa determinazione. Nondimeno riconosceva una provvisionale nella misura di euro 601.017,39 in favore di Banca d'Italia e di euro 186.570 in favore di CONSOB, in entrambi i casi parametrandone l'entità ai costi (siccome quantificati dagli uffici interni di detti enti) sostenuti per l'aggravio di attività strettamente conseguenti alle condotte delittuose. Con riferimento, poi, alle parti civili private, osservato come il D.L. 99/17 che aveva posto in liquidazione coatta amministrativa l'istituto di credito avesse conservato i diritti dei titolari di obbligazioni subordinate nella liquidazione, sicché i predetti avrebbero potuto trovare soddisfazione solo una volta soddisfatti gli altri creditori, il primo giudice sottolineava che tutti gli investitori avevano subito un danno dalle condotte manipolative, in quanto indotti all'investimento sul presupposto di una situazione patrimoniale dell'istituto artatamente presentata come positiva e, quindi, senza essere stati posti nelle condizioni dì valutare la rischiosità dell'investimento stesso e la solvibilità della banca nell'estinguere il credito e nell'effettuare il rimborso. Segnatamente, con riferimento al delitto di aggiotaggio, il pregiudizio andava individuato nell'avere acquistato o conservato gli strumenti finanziari a prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, ovvero nell'avere effettuato un investimento che, senza le condotte manipolative, non sarebbe stato posto in essere. Analogamente, con riferimento al reato di falso in prospetto, gli investitori erano stati pregiudicati da condotte delittuose che avevano avuto l'effetto di mantenere artificiosamente alto il valore delle azioni, al contempo rappresentando una solidità patrimoniale dell'istituto in realtà insussistente. Più nel dettaglio, ad essere stati danneggiati - precisava il tribunale - non erano solo coloro che, nel periodo di commissione delle condotte delittuose, avevano acquistato azioni ad un prezzo superiore al reale valore dei titoli, ma anche gli investitori che, già in possesso di detti strumenti finanziari, si erano astenuti dal disinvestimento per effetto delle richiamate condotte manipolative. Di maggiore complessità, poi, era la questione inerente a coloro (peraltro una minima parte degli investitori, prevalentemente acquirenti di obbligazioni subordinate) che avevano acquistato le azioni successivamente alle condotte delittuose, sebbene anche con riferimento a tale categoria di investitori fosse effettivamente prospettabile un pregiudizio derivante dai reati, tenuto conto del periodo apprezzabile intercorso tra la cessazione delle condotte delittuose ed il disvelamento di quanto avvenuto (trattandosi di circostanza che aveva determinato il protrarsi di effetti di errata rappresentazione al mercato della reale situazione dell'istituto di credito, con indubbio svantaggio informativo). Infine vi erano i clienti dell'istituto che avevano effettuato gli acquisti con il denaro erogato dalla banca. Costoro non avevano subito una lesione diretta, non avendo impiegato risorse proprie nell'investimento (se non nel caso di investimento solo parzialmente finanziato); nondimeno, al di là della sussistenza o meno dell'obbligazione restitutoria, l'esposizione debitoria segnalata alla centrale rischi che ne era seguita e l'addebito dei costi di finanziamento costituivano pur sempre un pregiudizio effettivo. Conclusivamente, con riferimento alle parti civili private, emergeva un quadro composito, caratterizzato da posizioni eterogenee. Ebbene - precisava il tribunale - dette parti avevano quantificato: - il pregiudizio patrimoniale nel controvalore del pacchetto azionario calcolato sul valore dell'azione pari a 62,50 euro, ovvero all'ammontare della somma investita nelle operazioni di investimento (e, quindi, sostanzialmente, nella perdita dell'investimento); - ed il danno non patrimoniale in una quota parte di quello patrimoniale. Nondimeno tali parametri non potevano ritenersi appaganti, posto, per un verso, che il danno non si poteva meccanicamente identificare nella perdita del valore dell'azione in quanto i reati di aggiotaggio e falso in prospetto presentavano profili peculiari che non consentivano di determinare il relativo pregiudizio facendo ricorso a siffatto automatismo; e, per altro verso, che le parti civili si erano limitate a documentare i titoli sottoscritti (ovvero acquistati) e il prezzo pagato, senza fornire ulteriori elementi utili per la esatta quantificazione del pregiudizio. Peraltro, nulla era dato conoscere in ordine all'indennizzo corrisposto agli investitori dal FIR (Fondo Indennizzo Risparmiatori). Di qui la condanna generica al risarcimento ed il riconoscimento di una provvisionale nella misura del 5% dell'importo nominale del valore delle azioni od obbligazioni acquistate risultante dagli atti di costituzione di parte civile e, in ogni caso, onde evitare sperequazioni (tenuto conto del fatto che le cifre più consistenti erano quelle inerenti alle operazioni di capitale finanziato), non superiore ad euro 20.000,00 per ciascuna parte (importo dal primo giudice ritenuto tale da coprire almeno il danno non patrimoniale). Infine il primo giudice respingeva la domanda risarcitoria avanzata dagli enti esponenziali (Confconsumatori, Federconsumatori Friuli Venezia Giulia, Federconsumatorì Veneto, Codacons, Cittadinanza Onlus) per difetto di prova alcuna in ordine al pregiudizio non patrimoniale asseritamente subito a seguito delle condotte delittuose. 2. GLI APPELLI DEGLI IMPUTATI 2.1. Appello proposto da Gi.Em. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello la difesa di Gi.Em.. 2.1.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al capitolo I della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari), l'appellante - anteponendogli una premessa nella quale ha censurato in via generale il metodo argomentativo assertivo seguito nella sentenza impugnata, carente nell'enunciazione degli specifici "motivi di fatto e di diritto" attributiva delia responsabilità all'imputato GI. e tendente all'esposizione solo di alcune risultanze processuali senza nel contempo citarne molte altre, pur decisive su aspetti imprescindibili - ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018 del 7.12.2017 dep. 6.4.2018, emessa in sede cautelare, che aveva risolto in favore del foro vicentino il conflitto di competenza; conflitto sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore rispetto all'attuale e oltretutto connotato da una formulazione del capo B1 frattanto considerevolmente modificatasi). Le argomentazioni esposte in questo primo motivo d'appello dalla difesa del GI. a fondamento della dedotta competenza territoriale del Tribunale di Roma sono di tenore sostanzialmente analogo a quelle dell'appello ZO. (v. infra), cui si rinvia per il resto, fermo restando che dalla difesa dell'appellante GI. vengono particolarmente sviluppati i seguenti due argomenti: - il capo B1 contempla in sé, in realtà, sia il delitto di false informazioni (art. 2638 comma 1 c.c.) che quello di ostacolo (art. 2638 comma 2 c.c.) e i suddetti due delitti non si sono realizzati nel medesimo contesto temporale in quanto l'ispezione maggio-ottobre 2012 è stata per l'appunto preceduta dall'invio, in data 26.4.2012, della comunicazione di vigilanza (a firma del d.g. Sa.So.) avente ad oggetto il rendimento ICAAP sulla determinazione del patrimonio di vigilanza della banca al 31.12.2011; - nel decidere la questione di competenza la verifica del giudice non può essere limitata - diversamente da quanto ritenuto dal tribunale vicentino - alla mera enunciazione così come testualmente prospettata nel capo di imputazione, dovendo invece estendersi alla perimetrazione del fatto così come risultante dall'insieme di tutti gli atti allegati dalle parti (la comunicazione ICAAP inviata a Banca d'Italia il 26.4,2012 rientrerebbe per l'appunto fra gli atti di indagine specificamente relativi all'imputazione contestata sub capo B1 trattandosi di atti depositati dal Pubblico Ministero - segnatamente nel faldone n. 7 - e messi a disposizione del giudice con la richiesta di rinvio a giudizio); al riguardo vengono citati arresti giurisprudenziali di legittimità. L'appellante ha ribadito altresì - dopo averla prospettata già in primo grado nelle note d'udienza 2.4.2019 alle quali ha rinviato per tutti gli approfondimenti del caso - la possibilità di individuare in alternativa come territorialmente competente il Tribunale di Milano in quanto sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (ciò solo qualora i sia ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge n. 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile, trattandosi di questione tuttora dibattuta). 2.1.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione al capitolo II della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari) l'appellante ha dedotto la violazione degli art. 185 c.p. e 74 c.p.p. ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p. pronunciata dal tribunale in data 21.3.2019 (parzialmente reiettiva della richiesta di esclusione delle parti civili) e di tutte le parti della sentenza che la richiamano. L'impugnazione dell'anzidetta ordinanza si riferisce, per la precisione, ai suoi paragrafi 1.5, 1-6 e 1.7: s quanto al paragrafo 1.5 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile in capo agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti di causa. Essendo costoro divenuti azionisti od obbligazionisti (puri, subordinati o convertibili) in epoca successiva ai fatti che qui occupano non possono - conseguentemente - lamentare di avere subito un danno immediato e diretto (alcuni di essi, anzi, appaiono piuttosto avere messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti); quanto al paragrafo 1.6 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle c.d. operazioni "baciate"; tali soggetti non possono infatti che definirsi carenti di legitimatio ad causam essendo consapevoli di partecipare a un'operazione asseritamente illecita nella prospettazione d'accusa, a differenza di quanto affermato dal tribunale; al riguardo l'appellante ha ricordato come nella stessa costruzione generale dell'impianto accusatorio si dia indicazione della sottoscrizione, da parte dei clienti/soci/finanziati, di lettere di impegno - dal tenore chiaro ed esplicito - contenenti, per l'appunto, l'impegno da parte della banca al riacquisto delle azioni B. e/o contenenti la garanzia di un determinato rendimento; s quanto al paragrafo 1.7 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno messo in vendita le loro azioni. Nei confronti di tali soggetti si è infatti verificata l'interruzione - a seguito delia vendita - del nesso causale, con il conseguente carattere solo indiretto del danno da reato (commisurato al deprezzamento fra il momento di acquisto dell'azione e la realizzazione effettiva). Ebbene, lo stesso tribunale vicentino più volte ha fatto riferimento, nel contesto dell'ordinanza impugnata, proprio alla consequenzialità immediata fra reato e danno (enunciata negli artt. 1223 e 1227 comma 2 c.c.) dalla quale far discendere la sussistenza della legittimazione. Consequenzialità immediata che, nel caso di danno indiretto, per l'appunto non ricorre. - conseguentemente si è richiesta l'esclusione di tutte le parti civili rientranti nell'una o nell'altra delle suindicate tre categorie. 2.1.3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al capitolo III della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erronea ricostruzione -all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - della posizione del GI. nell'organigramma di B., dovuta tanto a un'erronea valutazione degli elementi ritenuti a carico quanto alla mancata valutazione di molti altri elementi pur esistenti a discarico. Segnatamente: la sentenza impugnata, nel sostenere che il GI. avrebbe svolto un ruolo primario agendo congiuntamente al direttore generale Sa.So. (l'operatività era gestita dal direttore generale So. e dal suo vice Gi."), contrasterebbe con un dato conclamato alla luce dell'intera vasta istruttoria dibattimentale e in particolare testimoniale, ossia il fatto che Sa.So. fosse in realtà da lungo tempo portatore, nei confronti del GI., di un sentimento - da lui apertamente manifestato - di sfiducia, contrarietà e desiderio di causarne l'emarginazione, come riferito - fra gli altri - dai testi Di.Gr., Co.Tu., Cl.Gi., Da.Es., Pa.An. (quest'ultimo in particolare, nell'evidenziare come tale connotazione del rapporto fra i due fosse evidente anche per i componenti del CdA, aveva dichiarato: Sostenere che So. facesse tandem con Gi. anche se poi il fenomeno delle baciate potrebbe anche farlo pensare, è un qualcosa che era assolutamente irreale per chi un minimo respirava la banca, anche perché era notorio che So. non amasse la professionalità di Gi..."). Tutt'altre invero erano le persone che all'interno di B. frequentavano abitualmente l'ufficio del So., menzionate nominativamente - ad esempio - dal teste Esposito in sede dibattimentale; da tale "salotto buono" (cfr, pag. 31 atto di appello) ovvero "cerchio magico" (Ibidem) il GI., in altri termini, era rigorosamente escluso; - la stessa elencazione delle funzioni e competenze tanto della Divisione Mercati quanto del suo responsabile Em.Gi., così come sunteggiata alla pag. 639 della sentenza impugnata, non risponde al vero poiché ignora il fatto che gli organigrammi e i funzionigrammi di B. hanno subito nel tempo, proprio per volere del So., accentuati cambiamenti il cui scopo era esattamente quello di emarginare il GI. coinvolgendo, nel contempo, personale fedele al direttore generale; sono state citate al riguardo tanto l'analisi condotta dal consulente tecnico della difesa prof. Pe. quanto le deposizioni rese da vari testimoni (Al.Mo., Co.Tu., Ma.Ba., Gi.Am., Cl.Am., Cl.Gi., Fi.Ro.); - sempre l'istruttoria dibattimentale, in particolare testimoniale (cfr le deposizioni dei testi Al.Ba., Co.Tu., Cl.Gi., Ma.Ni., Se.Ro., Lu.Ve., En.Da., Di.Ip., Al.Cu.), ha consentito di appurare che le scelte riguardanti le operazioni qui in discussione e le loro modalità erano decise in piena autonomia dal solo So., il quale impartiva alle strutture della banca le conseguenti direttive o in prima persona oppure avvalendosi, a guisa però di mero tramite, del GI. e/o del direttore commerciale Gi.Am.; - sempre l'istruttoria dibattimentale (cfr. le deposizioni dei testi Cl.Gi., En.Da., Co.Tu.) ha evidenziato come anche lo stesso GI. - tratteggiato nella gravata sentenza come l'autore in prima persona di pressioni estreme sulla rete commerciale - fosse in realtà destinatario di minacce e pressioni provenienti direttamente dal So.. Quanto alle fonti di prova citate in sentenza con riguardo alle pretese pressioni esercitate dal GI. (cfr. in particolare le dichiarazioni dei testi Di.Ip. e Ma.Ni.) la difesa ha argomentato nel senso del loro fraintendimento e/o vaglio solo parziale e decontestualizzato da parte del tribunale; - la sentenza gravata ha completamente omesso di considerare i seguenti due episodi - definiti gravi e inquietanti dalla difesa - in danno del GI., i y quali ben evidenziano quanto egli fosse "estraneo al milieu compatto e ristretto di gestione reale della Banca" (cfr. pag. 34 atto di appello): a) riguardo alla questione degli storni è emerso che - in seno alla Divisione Mercati diretta dal GI. - era stato ordinato da Gi.Am. al suo subalterno Al.Fe. di correggere le lettere di storno sottoscritte dallo stesso Am. obliterando la firma di questi e lasciando inalterate solo le lettere firmate dal GI., quando per converso l'estraneità di questi alla procedura degli storni deve ritenersi dimostrata anche dal rigetto, nei suoi confronti, della domanda cautelare presentata in sede civile dalla banca (cfr. documento n. 668 prodotto dallo stesso Pubblico Ministero, corrispondente al provvedimento n. 4414/2015 del Giudice del lavoro presso il Tribunale di Vicenza); b) a detta del teste Co.Tu. il collega Ad.Ca. - uno dei componenti la ristretta cerchia di frequentatori abituali dell'ufficio del d.g. Sa.So. - all'inizio del mese di maggio 2015 aveva minacciato lo stesso Tu. di licenziamento perché si era rifiutato di scrivere una relazione nella quale si dicesse falsamente che il GI. era il responsabile di tutta l'operatività illecita; - l'ostilità nei confronti del GI. si era finanche acuita dopo l'inizio dell'attività ispettiva, essendo sorta - per effetto di quanto andava ivi emergendo - l'esigenza di catalizzare sul predetto ogni responsabilità. 2.1.4 Con il quarto, il quinto e il sesto motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IV, V e VI della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erroneità dell'attribuzione al GI. - all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - dell'ideazione e attuazione delle operazioni di finanziamento correlato, rivendicando altresì in capo al predetto la genuina convinzione che tali operazioni non solo fossero lecite ma altresì che venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. Si è evidenziato in particolare al riguardo quanto segue: - il GI. era entrato in B. nel novembre 2007 allorquando la prassi delle operazioni correlate già era in essere (circostanza riferita non solo dall'imputato nel suo esame dibattimentale ma altresì dai testi Di.Gr. e Alessandro Ba. fra gli altri); - il GI. inizialmente era perplesso, e del resto si trattava di perplessità diffusa all'interno di B., circa l'applicabilità dell'art. 2358 cc. alle banche popolari come società cooperative e ciò quantomeno fino all'anno 2012, anno in cui aveva avuto luogo l'ispezione della Banca d'Italia; in tal senso del resto si era espresso anche un parere legale esterno acquisito dalla stessa B.; - la sentenza impugnata ha comunque errato nel ritenere non credibile il teste Cl.Am. circa l'andamento del suo colloquio con l'ispettore Ge.Sa. (del quale va tenuta in considerazione, in particolare, una conversazione captata - la n. 281 progn del 19.3.2017 - con il consulente tecnico del Pubblico Ministero, Pa., ove il primo diceva al suo interlocutore: "Poi, vedendo le carte, effettivamente alcune operazioni baciate c'erano", il che dimostrerebbe l'effettività dei disvelamento affermato dal teste Am.); né il tribunale ha valutato con adeguato rigore i plurimi elementi istruttori che depongono nel senso di un rapporto istituzionale "non esemplare" intrattenuto dalla Banca d'Italia, nella specifica occasione, con il So.; - plurime sono le evidenze testimoniali - citate nominativamente nell'atto di appello - di una "piana e pacifica conoscenza dell'esistenza delle operazioni correlate in capo a tutti i settori di B., incluso il settore legale nella persona dell'avv. An.Pa. (diversamente da quanto costei ha sostenuto in sede dibattimentale) e incluso soprattutto il settore bilancio e pianificazione di cui era responsabile il coimputato Ma.Pe., che oltretutto faceva parte - circostanza ben nota al Gi. - del milieu ristretto di dirigenti che avevano un rapporto esclusivo con il So. (al riguardo l'appellante ha lamentato il fatto che il PE. sia stato mandato assolto dal tribunale sull'assunto che in capo allo stesso PE. fosse insufficiente la prova dell'elemento soggettivo del reato); - il GI., atteso tutto quanto sopra (in particolare quanto osservato in relazione alla posizione del PE. e al contegno da questi tenuto), non poteva che maturare la convinzione che le operazioni correlate - a tutti note in B. - venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza; - non può condividersi per converso l'argomento, svolto a pag. 216 dalla sentenza impugnata, secondo cui è evidente che le operazioni correlate in oggetto non venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza in quanto, in caso contrario, sarebbero state del tutto inutili; tale argomento prova troppo, giacché, se davvero così fosse stato, tutti coloro che si erano occupati di operazioni correlate in B. (inclusi tutti gli esponenti dell'alta e media dirigenza, ivi compresi quelli più vicini al So.) sarebbero stati raggiunti dalle medesime imputazioni; ciò non è invece avvenuto proprio perché la Procura della Repubblica vicentina ha ritenuto mancante in capo a costoro la consapevolezza dell'intero disegno strategico intessuto al riguardi dal So. (e, con ogni probabilità, da questi tenuto riservato entro la ristretta cerchia delle persone per lui fidate, la quale non comprendeva - come detto - l'imputato GI., tenuto lontano dalle "strategie decisionali" del direttore generale stante il rapporto di emarginazione, sfiducia e contrarietà del quale egli era reso oggetto); - esistono inoltre ragioni prettamente tecniche, illustrate anche dal c.t, della difesa prof, Pe. (e passate in rassegna alle pagg. 50-51 dell'atto di appello), che rafforzano ulteriormente la conclusione da trarsi circa la genuina convinzione, in capo al GI., che le note operazioni correlate venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. 2.1.5 Con il settimo e l'ottavo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli VII e VIII della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha passato dettagliatamente in rassegna le numerose emergenze processuali già evidenziate in prime cure dalla difesa - ma ignorate dalla sentenza impugnata - che a suo avviso depongono nel senso della non consapevolezza, in capo al GI., dell'entità del fenomeno, censurando simmetricamente l'erronea valutazione, da parte del primo giudice, di quegli ulteriori elementi probatori che lo stesso tribunale ha ritenuto pesare a carico dell'imputato. In particolare si è evidenziato che: quanto al contenuto del file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, le frasi ivi pronunciate dal GI. e da altri partecipanti non sono state adeguatamente contestualizzate (a quell'epoca era ormai diffusa in B. una sensazione di "quasi defaul" manifesta e recepita da tutti con ovvie preoccupazioni); in alcuni altri casi invece - come ad esempio è a dirsi per la quantificazione da parte del So. dei "finanziamenti" in oltre un miliardo di euro - sono state travisate nel significato (in realtà sarebbe chiaro, a detta dell'appellante, che il So. non si riferiva al capitale finanziato bensì alla campagna pre-affidamenti, il che emergerebbe da vari elementi della svolta istruttoria); - del tutto neutro è il fatto che il So. prima del 2013 avesse fatto fare un report a Co.Tu. (circostanza evidenziata a pag. 668 della sentenza gravata), dato che la stessa sentenza ha ricordato come tale report - al pari delle tabelle di monitoraggio mensili diffuse nel corso delle riunioni della Divisione Mercati - riguardasse tutti i soci, anche quelli non finanziati; - anche la deposizione del teste Ro.Pr., valorizzata in sentenza quale dato significativo a carico del GI., non sarebbe stata letta ed esaminata nella sua interezza dai giudici vicentini; - le prove a discarico in punto "consapevolezza" del GI. sono state completamente ignorate dal primo giudice, pur provenendo esse a volte finanche da testi altrimenti rivelatisi alquanto "ostili" nei suoi confronti come Lu.Ve., Gi.Ca., En.Da., Se.Ro., Pa.An. (dei quali l'appellante ha riportato gli stralci di deposizione favorevoli al GI.); - quanto agli elementi probatori indicati in sentenza come "a carico" dell'imputato, invece, ivi non si è specificato neppure a quali fra i plurimi distinti reati contestatigli essi si riferiscano; - attesa la sopra ben evidenziata conoscenza diffusa a tutti i livelli, in B., del ricorso a operazioni di capitale finanziato, si svuotano di valenza probatoria "a carico" elementi come gli appunti del teste Ma.So. circa i contenuti del Comitato di Direzione 8.11.2011 e come l'incontestato ruolo di coordinamento della rete che il GI. esercitava in quanto direttamente afferente alla sua qualifica di responsabile della Divisione Mercati; - vari testi, ancora una volta ignorati dalla sentenza gravata, hanno riferito circa il reiterato attivarsi del GI. per favorire l'informatizzazione della procedura (il che avrebbe reso impossibile la prassi contestata), incontrando però sempre la ferma resistenza della Divisione Risorse; - non sono minimamente risolutivi gli asseriti indici di consapevolezza evidenziati in sentenza (il divieto alla rete di comunicare informazioni per iscritto; il ricorso alla ed. "clausola sentinella" generica nelle P.E.F.; l'invito a rispettare un distanziamento temporale tra fido e acquisto delle azioni), posto che, a tacer d'altro, la formula generica - preesistente all'ingresso di GI. in B. - è risultata non essere stata utilizzata in una cospicua percentuale delle stesse operazioni correlate (circa il 35,50%) e che pure la prassi del distanziamento temporale non era stata certo introdotta, come dimostrato dalla svolta istruttoria, dal GI., in capo al quale - diversamente da quanto ritenuto in sentenza - non può affatto di dimostrata una "pervicace condotta tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delie autorità di vigilanza" (cfr. pag. 647 sentenza gravata); - la sentenza impugnata, nell'indicare come elementi a carico significativi la vicenda Vi. (e relativo report Bo.), la richiesta di chiarimenti da parte della società di revisione KP. e le schede consegnate all'ispettore Gi.Ma., ha riportato solo alcuni aspetti della relativa vicenda ignorando le risultanze processuali utili a contestualizzarli e a inquadrarli; aspetti che l'appellante ha illustrato e analizzato alle pagg. 62-66 dell'atto di impugnazione. 2.1.6. Con il nono, decimo, undicesimo e dodicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IX, X, XI e XII della parte III dell'impugnazione) l'appellante ha illustrato quelli che a suo avviso sono fondamentali errori metodologici commessi dal primo giudice nella ricostruzione probatoria dei fatti, con particolare riguardo: - a una visibile confusione fatta tra gli elementi costitutivi della fattispecie legale dell'operazione correlata e l'individuazione dei mezzi probatori atti a verificarne l'effettiva realizzazione in una determinata situazione; all'utilizzo di "criteri" (nomenclatura estranea al diritto delle prove penali) non identificabili con le circostanze indiziarie disciplinate quali mezzi di prova dall'art. 192 comma 2 c.p.p., di talché si sarebbe persa di vista, in sentenza, la necessità che il quadro indiziario risulti connotato dai necessari requisiti di gravità, precisione, concordanza e necessità di adeguati riscontri; in altri termini la sentenza gravata non ha rispettato il citato canone processual-penalistico (cui era tenuta ad attenersi) bensì ha, piuttosto, utilizzato il metodo amministrativistico di cui alla circolare n. 263 della Banca d'Italia, e ciò benché le finalità perseguite dai vari metodi e dai differenti criteri in gioco (BCE, consulenti tecnici del P.M., CONSOB) si differenzino considerevolmente fra loro; - all'utilizzo in particolare, da parte della sentenza gravata, dei criteri impiegati dapprima da BCE e indi dai consulenti tecnici del P.M., che tuttavia sono estranei alla metodologia del processo penale di cui al citato art. 192 comma 2 c.p.p. in tema di valutazione critica delle prove indiziarie; metodologia che, se utilizzata, avrebbe dato esiti finali ben diversi e favorevoli all'imputato. 2.1.7 Con il tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo e sedicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XIII, XIV, XV e XVI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha censurato la sentenza impugnata laddove ha ritenuto di ravvisare una responsabilità concorsuale del GI. ex art, 110 c.p.p., anzitutto, nei reati di aggiotaggio manipolativo-operativo (articolato in una prima condotta relativa alla concessione del capitale finanziato, in una seconda condotta relativa alla mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014 e in una terza condotta relativa alla mancata comunicazione all'esperto prof. Ma.Bi. della prassi aziendale in tema di operazioni correlate), non prima peraltro di avere stigmatizzato l'illegittima "moltiplicazione", operata in sentenza, dei reati di aggiotaggio di cui al capo Al, da ritenersi attuata in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale. Ha evidenziato come l'apoditticità dell'argomentare dei giudici vicentini circa il ravvisato apporto concorsuale del GI. emerga a più riprese dalla lettura della sentenza, fermo restando che, ad applicare uguale metodologia argomentativa a svariati fra i soggetti escussi come testi in dibattimento, gli stessi sarebbero a loro volta dovuti figurare quali coimputati in ragione della loro conoscenza diretta del "fenomeno" del capitale finanziato e della loro altrettanto diretta operatività all'interno del fenomeno medesimo. Ha indicato come profondamente errata, alla stregua di tali considerazioni e della necessità di rispettare i principi generali in tema di concorso nel reato, l'attribuzione generalizzata al GI. (del tutto disancorata dalle prove acquisite al processo, anche per quanto riguarda i dati numerici) della penale responsabilità con riguardo a tutte le 874 operazioni emerse, pur frammentate negli anni oggetto di contestazione. In realtà - ha proseguito l'appellante - sarebbe stato necessario dimostrare, per ciascuna singola operazione correlata, che il GI. ne aveva deliberato il finanziamento per essa specificamente utilizzato; che ne aveva seguito l'intera evoluzione; che infine aveva avuto consapevolezza della non deduzione di tale finanziamento dal patrimonio di vigilanza. L'appellante ha escluso che le generiche affermazioni contenute in sentenza riescano a evidenziare in capo al GI. la prova della sua ravvisata penale responsabilità anche per la condotta di mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014; per converso il primo giudice ha completamente ignorato, ad avviso dell'appellante, una serie di prove a discarico (documentali e testimoniali) che, conducono a non poter ascrivere al GI. tale condotta, per vero del tutto estranea alle competenze della Divisione Mercati. Né - ha proseguito l'appellante - può ritenersi soddisfacente il generico e indistinto ricorso, da parte del primo giudice in aderenza alla formulazione dell'imputazione, alla nozione di "agevolazione", essendo noto che, nella interpretazione giurisprudenziale dell'art. 110 c.p., la c.d. "agevolazione" o il "rafforzamento del convincimento" (dato dal concorrente nel reato a colui che materialmente pone in essere la condotta) deve comunque estrinsecarsi in una condotta individuata nei suoi tratti essenziali. Indi l'appellante ha censurato come ancora una volta apodittico, e anzi in aperto contrasto con le risultanze dell'istruttoria dibattimentale, l'argomentare della sentenza impugnata circa l'asserito apporto concorsuale del GI. al reato di aggiotaggio manipolativo quanto alla condotta di mancata comunicazione all'esperto stimatore esterno incaricato da B. nel 2010, prof. Ma.Bi., della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie. Ha comunque evidenziato che in base alla stessa relazione dei cc.tt del P.M. - pur ampiamente citata e utilizzata in sentenza sotto altri profili e viceversa pressoché ignorata su questo specifico punto - emerge come l'erronea stima del sovrapprezzo dell'azione B. da parte del prof. Bi., lungi dal dipendere esclusivamente dall'omessa comunicazione al predetto esperto circa l'esistenza del capitale finanziato così come adombrato in sentenza, fosse conseguita anche, e soprattutto, a una serie di errori metodologici commessi dallo stesso prof. Bi., il cui operato è in effetti ampiamente stato criticato anche dai cc.tt. del P.M. senza che il primo giudice si sia tuttavia soffermato adeguatamente su tale pur fondamentale parte della relazione di consulenza tecnica dell'accusa. Ad avviso dell'appellante la suddetta omissione del tribunale si è riverberata in maniera determinante sulla valutazione circa l'esistenza o meno di un nesso causale tra la contestata condotta di asserito nascondimento al prof. Bi. del fenomeno delle operazioni correlate e la sovrastima del valore dell'azione da parte dell'esperto, fermo restando che nessun elemento depone nel senso di un qualsivoglia apporto causale, da parte del GI., al suddetto nascondimento (lo stesso prof. Bi., nel suo esame dibattimentale, ha escluso di essersi interfacciato con il predetto). 2.1.8 Con il diciassettesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XVII della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'estraneità del GI. anche al reato di aggiotaggio informativo, posto che il primo giudice, ancora una volta mantenendosi su di un piano di assoluta indeterminata genericità, non ha dato alcuna indicazione (né tantomeno ha indicato elementi probatori a carico) su quale possa essere stato il "contributo" dell'imputato - non meglio specificato nel capo di imputazione - alla materiale diffusione di notizie false nei vari canali informativi. Né certo la prova e la determinazione del preteso "contributo" del GI. a tale specifica condotta possono trarsi, secondo l'appellante, dalla pur data per scontata - ma a sua volta contestata - "consapevolezza", in capo al predetto, delle modalità di occultamento delle operazioni correlate (consapevolezza che in ogni caso attiene al piano dell'elemento soggettivo e non già a quello - ben distinto - dell'individuazione dell'apporto causale), ferma restando l'esatta distinzione giurisprudenziale tra connivenza non punibile e concorso manifestabile nella sua forma minima, ossia appunto nella agevolazione. Ancora una volta difetta totalmente, in tesi difensiva, il rispetto dell'esigenza di individuare in termini ben delineati quale sia stata in concreto la condotta del GI. inteso quale asserito concorrente "agevolatore". 2.1.9 Con il diciottesimo e il diciannovesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XVIII e XIX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'insussistenza di una condotta concorsuale del GI. nei reati di ostacolo alle funzioni di vigilanza di Banca d'Italia e BCE (capi da B1 a MI), evidenziandone in particolare l'obiettiva estraneità alla produzione dei flussi di informazione decettivi destinati alla vigilanza e a nulla potendo valere la sistematica trasposizione reiterata - di stile - operata, in ciascun capo di imputazione, di quello che altro non è se non il criterio di imputazione soggettiva della distinta condotta di aggiotaggio manipolativo di cui al capo A1. Anche in questo caso difetta totalmente in sentenza, secondo l'appellante, l'individuazione per il GI. di una specifica condotta, dotata di tipicità, atta a individuare in capo al predetto la meramente dedotta condotta agevolativa, tanto più ponendo mente al fatto che in questo specifico caso il GI. si pone quale extraneus rispetto a un reato proprio e che pertanto andrebbero semmai applicate le stringenti regole in tema di responsabilità dell'estraneo nel reato proprio. In ogni caso - ha proseguito la difesa concludendo con una disamina analitica, capo per capo dal B1 fino al MI, del compendio istruttorio acquisito in sede dibattimentale - il tribunale ha fatto malgoverno delle prove ignorando, anche per i suddetti reati di ostacolo, i pur esistenti elementi a discarico. 2.1.10 Con il ventesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il tribunale condannato il GI., in relazione al capo N1, per un fatto totalmente nuovo, naturalisticamente autonomo e non enunciato in alcun modo nel decreto che dispone il giudizio: non gli è infatti più stata ascritta una intesa, al riguardo, con il d.g. Sa.So. ma un contegno attuativo di condotte decisionali esclusive e autonome del So. stesso. In altri termini - ha proseguito la difesa - la condotta per la quale il GI. ha riportato condanna non è sovrapponibile a quella originariamente descritta nel decreto che dispone il giudizio. Di qui l'eccepita nullità. 2.1.11 Con il ventunesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p. avendo il tribunale condannato il GI., in relazione ai capi I e L (reati di falso in prospetto), per un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio. In quest'ultimo infatti gli si contestava di avere preso parte alla materiale predisposizione dei testi dei due prospetti. La sentenza gravata, invece, pur dando atto (perché un tanto emerge dalla svolta istruttoria) che il contenuto dei prospetti è direttamente riconducibile alla condotta dolosa degli imputati ZO. e PI., e pur dando atto che il GI. - come pure l'altro imputato MA. - non era direttamente coinvolto nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, ancora una volta ne ha fondato erroneamente la penale responsabilità (come già aveva fatto in relazione ai reati di ostacolo) sulla mera asserita consapevolezza dell'occultamento delle operazioni finanziate. 2.1.12 Con il ventiduesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXII della parte V dell'impugnazione) l'appellante in subordine ha censurato il trattamento sanzionatorio sotto i seguenti profili: non corretta individuazione del reato più grave (ravvisato nel capo H1 quando viceversa, al momento di determinare la competenza territoriale dell'autorità giudiziaria vicentina, esso era stato identificato con il capo B1); mancata determinazione della pena base nei limiti di legge; mancata determinazione degli aumenti per la continuazione nel minimo di legge; mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. Illegittima deve ritenersi infine - e se ne è chiesta la revoca - la disposta confisca per equivalente non avendo il tribunale indicato le ragioni per le quali il GI. sia stato ritenuto responsabile dell'erogazione di tutti i finanziamenti strumentali alla formazione del capitale finanziato de quo. 2.1.13 Con il ventitreesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXIII della parte VI dell'impugnazione) l'appellante, in relazione alle statuizioni civili, ha chiesto la revoca delle stesse; in ogni caso, e in subordine, ha chiesto sospendersi - sussistendo gravi motivi ex art. 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le partì civili. Riassuntivamente l'appellante GI. ha rassegnato le seguenti conclusioni: 1) In via preliminare principale di rito, riconosciuta l'incompetenza per territorio del Tribunale di Vicenza, pronunciarsi sentenza di annullamento ex art. 24 comma 1 c.p.p., della sentenza impugnata ordinando la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ovvero, in subordine, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano. 2) In via preliminare subordinata di rito annullarsi la sentenza impugnata ex art. 603 comma 4 c.p.p. sia in relazione al capo N1 che in relazione ai capi I e L per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il Tribunale di Vicenza condannato per fatti nuovi non enunciati nel decreto che dispone il giudizio. 3) In via principale di merito assolvere l'imputato GI. da tutti i reati a lui ascritti per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato o con altra formula ritenuta di giustizia. 4) In via subordinata di merito quanto al trattamento sanzionatorio, previa individuazione del reato più grave fra quelli ascritti nel capo B1, riduzione ai minimi di legge della pena base nonché di tutti gli aumenti operati per la continuazione interna con riconoscimento del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle residue aggravanti contestate. 5) In via subordinata quanto alle statuizioni civili, escludere quelli - fra soggetti costituitisi parti civili - da valutarsi come carenti di legittimazione attiva nei termini illustrati nel relativo motivo di gravame. In ogni caso revocare tutte le statuizioni civili e sospendere - sussistendo gravi motivi ex art 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le parti civili. 2.2 Appello proposto da Ma.Pa. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Ma.Pa.. 2.2.1 In particolare con il primo motivo, assai articolato, l'appellante ha censurato l'affermazione di responsabilità del MA. in relazione a tutti i reati contestati nel capo di imputazione sotto più profili che vengono qui di seguito illustrati. 2.2.1.1 Preliminarmente l'appellante ha eccepito la nullità della richiesta di rinvio a giudizio reiterando la già sollevata eccezione, respinta dal tribunale vicentino, di nullità delle notifiche dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p. e dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare effettuate - nel domicilio da lui eletto in data 28.4.2017 nell'ambito del solo procedimento n. 5628/2015 RGNR, allora unico procedimento pendente a suo carico - con riguardo afte imputazioni relative alle condotte criminose che lo stesso MA., in tesi d'accusa, avrebbe posto in essere nell'anno 2015 (condotte che dapprima avevano costituito l'oggetto di un distinto procedimento recante il n. 5851/2017 RGNR, iscritto dalla Procura della Repubblica vicentina - a seguito del deposito dell'informativa finale 6.7,2017 della GdF di Vicenza estesa per la prima volta alle condotte commesse nell'anno 2015 - mediante stralcio dal già pendente procedimento n. 5628/2015 RGNR; indi riunito al suddetto procedimento n, 5628/2015 RGNR solo in occasione dell'udienza preliminare tenutasi nell'aprile 2018) per violazione dell'art. 157 c.p.p.. Ciò in applicazione del principio secondo cui l'elezione di domicilio effettuata dall'imputato ha validità unicamente nell'ambito del procedimento in relazione al quale essa viene effettuata, con divieto quindi di una sua ultrattività anche nei procedimenti connessi. 2.2.1.2 Indi l'appellante ha formulato richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, comprensiva in particolare del confronto tra il teste Cl.Am. (già responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B.) e il teste Ge.Sa. (componente del tea/77 ispettivo di Banca d'Italia che aveva operato nel 2012); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, sul file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (ciò solo per il caso di rigetto dell'eccezione di sua inutilizzabilità sulla quale v. infra); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, atta a valutare l'importo complessivo del capitale ritenuto finanziato, a individuare l'effettiva disciplina della sua deducibilità dal patrimonio di vigilanza e - prima ancora - a individuare i criteri che debbono essere utilizzati al fine di stabilire se un'operazione di finanziamento possa o meno dirsi correlata/finalizzata all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni. A tale ultimo proposito la difesa ha affermato di richiamarsi anzitutto alle articolate argomentazioni svolte dalla difesa ZO. (v. infra); ha evidenziato in ogni caso come emblematico, in ordine alla necessità di disporre perizia, il fatto che, mentre il tribunale ha avallato acriticamente il criterio temporale dei tre mesi (criterio basato su una indicazione del teste Ro. nonché adottato dall'ispettore Ma. e indi dai consulenti tecnici del P.M.), nondimeno l'espletata istruttoria dibattimentale ha in realtà consentito di appurare come il concretamente riscontrato intervallo temporale - a detta dello stesso teste Ma. - si fosse di fatto attestato attorno a un massimo di un mese circa. 2.2.1.3 L'appellante ha poi rinnovato la già svolta eccezione di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014; nel caso di specie, infatti, l'autore materiale della registrazione (uno o forse più tecnici all'uopo incaricati, a suo dire, dal segretario generale Ma.So.) era un soggetto - estraneo alla conversazione tra presenti in questione - che aveva operato da una consolle di registrazione sita all'esterno dell'aula consiliare e non vi era neppure stato ammesso ad assistere da alcuno se non eventualmente dal solo So. a insaputa di tutti gli altri partecipanti. 2.2.1.4 L'appellante ha lamentato un malgoverno delle prove in quanto la gravata sentenza, nonostante la mole ponderosa, si caratterizzerebbe: a) per una costante sottrazione di elementi, pur presenti all'interno dell'istruttoria dibattimentale ma nemmeno considerati nella motivazione; b) per una elusione delle questioni di fondo poste dalla difesa dell'imputato. In primo luogo, comunque, non è dato comprendere perché tutta una serie di soggetti (si sono indicati esemplificativamente i testi Cl.Gi., Co.Tu., Gi.Am. e altri), pacificamente resisi autori materiali delle medesime condotte contestate all'imputato, non siano mai stati nemmeno indagati in relazione a tali loro condotte. La suddetta considerazione è prodromica all'ulteriore doglianza difensiva concernente la totale assenza, nella gravata sentenza, di ogni e qualsiasi valutazione in ordine alla componente psicologica dei reati contestati. A tale ultimo proposito la difesa ha evidenziato in particolare come il MA. mai abbia sostenuto di ignorare l'esistenza in B. di operazioni di finanziamento correlato; egli in effetti ha costantemente dichiarato ben altro, ossia di essere sempre stato genuinamente convinto della piena liceità delle operazioni stesse: non solo tale tipologia di operazione veniva eseguito in B. già prima del 2009, anno di assunzione del MA., ma altresì egli, da neoarrivato, aveva ricevuto assicurazioni da vari colleghi, tra cui il GI., il Co. e il Se. (all'epoca responsabile della Divisione Crediti), sul fatto che - trattandosi di una banca cooperativa - non trovasse ad essa applicazione l'art. 2358 c.c.; in tale ultimo senso anzi la banca aveva a suo tempo richiesto e acquisito pure un parere legale formulato da uno studio incaricato ad hoc (trattavasi dello studio Erede-Bonelli; il parere, redatto da uno dei massimi esperti nella materia, era stato favorevole alla tesi della inapplicabilità dell'art. 2358 c.c. alle banche cooperative); in effetti la dottrina e la stessa giurisprudenza fino ad epoca assai recente si erano dimostrate tutt'altro che univoche sul punto. A ciò si aggiunge la circostanza che l'effettuazione di operazioni correlate fosse emersa, alla luce della svolta istruttoria dibattimentale, quale dato pienamente noto anche all'interna audit della banca (il che renderebbe assai precaria, sotto il profilo dell'attendibilità, la posizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'audit) nonché al suo ufficio legale (considerazioni analoghe a quelle relative al teste Bo. andrebbero dunque svolte anche con riguardo alla sua responsabile, l'altra teste avv. An.Pa.): né l'una né l'altra struttura avevano mar avvisato alcuno in B. circa il fatto che si stesse con ciò ponendo in essere un'attività illecita. Anzi la teste Pa. in sede dibattimentale si era trovata costretta ad ammettere che aveva effettivamente potuto visionare la pratica (pacificamente correlata) Ca.-Lu. ma che, essendosi essa positivamente conclusa, non aveva ritenuto di fare nulla. 2.2.1.5 L'appellante ha indi lamentato l'errata ricostruzione operata dal tribunale - alla pag. 678 della gravata sentenza - delle competenze della Divisione Crediti, affermando che i giudici vicentini si sono basati, al riguardo, essenzialmente su quanto affermato dal teste Gi.Sc. nella relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia (laddove lo stesso Sc. in sede dibattimentale ha ammesso di non conoscere le facoltà deliberative autonome riconosciute alla rete), mentre sarebbe stata obliterata la delibera del CdA 7.2.2012 (pur acquisita al fascicolo del dibattimento) la quale aveva ridisegnato le competenze e le funzioni della Divisione Crediti istituendo le Direzioni Regionali. In particolare non risponde affatto al vero - ha proseguito l'appellante - l'assunto del primo giudice secondo cui "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito (...) la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (affida menti) (e delle relative garanzie)". In rea Ita i I perfezionamento e l'erogazione degli affidamenti, come pure l'acquisizione delle eventuali garanzie ad essi relative, erano - nel periodo in esame - demandati a una società controllata da B. e denominata Servizi Bancari, come riferito concordemente in sede dibattimentale dai testi Cl.Am. e Sa.R. oltre che dallo stesso imputato MA.. La difesa del MA. ha affermato altresì che, sempre in tale passo dell'impugnata sentenza, i giudici vicentini hanno equivocato anche sul ruolo svolto dal teste Cl.Gi. indicandolo come "capo area di Vicenza" Al di là del refuso "13.6.2013" in luogo di "13.6.2019" riguardo alla data dell'esame testimoniale del Gi. (che pure - a detta dell'appellante - non depone a favore della precisione ricostruttiva complessivamente impiegata dal collegio giudicante), io stesso Gi. nel corso del suo esame testimoniale aveva chiaramente detto di avere assunto la carica di Direttore regionale Ve.Oc. all'indomani della modifica dell'organizzazione commerciale della banca, disposta nell'aprile - maggio 2012 con l'istituzione delle direzioni territoriali. Infine, e più gravemente, il passo in oggetto della gravata sentenza avrebbe totalmente travisato la stessa spiegazione, in sé completa ed esatta, fornita dal teste Gi.. Dalla parafrasi del tribunale pare che ad essere articolata su base territoriale decentrata fosse la Divisione Crediti ma ciò è difforme da quanto riferito dal teste Gi. (nonché da altri testi come ad esempio il teste Ma.Ba., il teste Lu.Ve. e il teste Gi.Am.): gli Uffici Crediti articolati su base territoriale erano infatti alle dipendenze delle Direzioni Regionali, le quali a loro volta erano gerarchicamente inquadrate all'interno della Divisione Mercati. In altri termini nel periodo 2012-2015 successivo all'ispezione della Banca d'Italia la situazione era la seguente: a) la Divisione Crediti non era coinvolta in alcun modo nell'erogazione e perfezionamento dei finanziamenti; b) ciò che al riguardo veniva deliberato -in piena autonomia - dalle Direzioni Regionali era completamente estraneo al perimetro conoscitivo della Divisione Crediti. Soltanto nel 2015, come riferito con chiarezza dal teste Cl.Am., l'assetto organizzativo di B. era variato nuovamente con il ritorno alla Divisione Crediti della competenza gerarchica sui crediti in rete. Nel periodo 2012-2015, viceversa, alla stregua delle suesposte considerazioni, essendo il processo del credito non accentrato, diversamente da quanto sostenuto nella gravata sentenza, la Divisione Crediti (il cui ruolo e la cui funzione erano circoscritti alla necessità di assicurare la qualità del credito e il recupero di esso) non aveva - né poteva avere - contezza della complessiva entità del capitale finanziato. 2.2.1.6 L'appellante ha poi evidenziato come nessun rilievo fosse stato sollevato dalla vigilanza nei confronti della Divisione Crediti, tanto all'esito dell'ispezione del 2012 quanto all'esito di quella del 2015, mentre per converso erano stati formulati i seguenti rilievi per omissioni e carenze a vario titolo: contro i consiglieri di amministrazione in carica all'epoca dei fatti; contro i sindaci in carica all'epoca dei fatti; contro il direttore generale (Sa.So.) in carica all'epoca dei fatti; contro i vice direttori generali in carica all'epoca dei fatti An.Pi. (Divisione Finanza) ed Em.Gi. (Divisione Mercati); contro le funzioni aziendali di controllo - ossia contro i responsabili della funzione Internai Audit (Ma.Bo.) e della funzione Compliance (Gi.Fe.) - in carica all'epoca dei fatti. 2.2.1.7 L'appellante, con riguardo alla questione della c.d. "causale sentinella" connotata da estrema genericità, ha sollevato forti dubbi sulla valenza sintomatica attribuita in tesi d'accusa - e fatta propria dal tribunale vicentino - alla causale stessa, posto che: s lo stesso teste Gi.Sc., capo team dell'ispezione 2012, aveva affermato che 'le carenze nella causale non erano un fatto sistematico, perché altrimenti lo avremmo registrato nel rapporto o, perlomeno, non mi è stato restituito come un fatto sistematico, poi non posso evidentemente immaginare che tutte le PEF siano state esaustive (...)"; - anche il teste Ge.Sa., altro membro del team dell'ispezione 2012, aveva manifestato, sotto altro profilo, considerevoli dubbi sulla natura effettiva di "sentinella" in capo alla suddetta causale generica; - l'assoluta mancanza di rilievi in merito alla presunta genericità di tale, proposta di fido contenuta nella P.E.F. era stata confermata anche dal teste Ma.D.Bo. (all'epoca direttore dei Crediti Anomali nonché uno dei diretti interlocutori con il team ispettivo); - nemmeno l'ispettore Em.Ga. nel 2015, benché le regole da seguire e applicare fossero frattanto divenute più stringenti (in quanto non più di, matrice nazionale bensì europea), aveva proposto sanzioni al riguardo nemmeno aveva invitato la banca a modificare modulistica, procedura e altro in tema di credito; - la formula generica "cogliere opportunità di investimenti mobiliari e immobiliari", lungi dall'essere stata introdotta dal MA. come poteva sembrare leggendo la sentenza impugnata, preesisteva al suo arrivo in B. e d'altra parte non era applicata unicamente ad operazioni c.d. "baciate" (lo stesso teste Fr.Io., ossia il nuovo direttore generale succeduto a Sa.So., lo aveva confermato in sede dibattimentale al pari del teste Co.Tu.); - in relazione a tutte le operazioni finanziate, così come individuate dalla consulenza tecnica Ta.-Pa.-Ca., l'esame delle P.E.F. faceva emergere il dato statistico secondo cui circa il 40% dell'importo finanziato (esattamente il 41,44%) portava causali diverse da quella sopra indicata. 2.2.1.8 L'appellante ha confutato come non rispondente al contenuto complessivo dell'espletata istruttoria dibattimentale anche l'ulteriore assunto - di cui alle pagg. 680 e ss. della sentenza impugnata - secondo il quale le pratiche riguardanti le operazioni correlate dovevano necessariamente essere predisposte su un format fornito dalla Divisione Crediti, e ciò a pena di essere rifiutate, su disposizione apparentemente impartita dal MA., in caso contrario. In realtà tutti i testi sentiti al riguardo si erano espressi de relato riportando asserite affermazioni rese loro in tal senso dall'uno o dall'altro esponente della Divisione Mercati; non a caso l'espressione utilizzata al riguardo in sentenza - "Inoltre, si disse che tale dicitura era condivisa con la Divisione Crediti e avrebbe consentito l'approvazione della pratica" (cfr. pag. 680 cit.) - era quanto mai generica e impersonale. Anche quanto all'altro preteso indicatore univoco della natura correlata dell'operazione, oltre alla c.d. "clausola sentinella", ossia la c.d. "sfasatura temporale" tra l'erogazione del fido e l'acquisto di azioni, la difesa ha osservato che la sentenza impugnata pare volutamente confondere i piani intersecando l'unica disposizione data dal MA. al riguardo (ossia che il denaro del finanziamento erogato dovesse risultare già accreditato nel c/c prima di poter procedere all'acquisto delle azioni) con il fenomeno - del quale il MA. non era in alcun modo partecipe - dell'occultamento di tale procedura agli occhi dell'eventuale controllore. In altri termini il monito in questione, rivolto dal MA. al personale a seguito della reiterata disinvoltura dimostrata in passato da B. sull'argomento (cfr. ad esempio l'operazione Lu.-Ca.), disinvoltura che come tale era stata censurata dal team ispettivo del 2012, aveva il solo fine di evitare eventuali sconfinamenti in c/c come aveva ad esempio ben spiegato fra gli altri il teste Co.Tu.. Le stesse deposizioni che sul punto vanno apparentemente in senso sfavorevole al MA., segnatamente quelle rese dai testi En.Da., Gi.Am. e Al.Cu., sarebbero state riportate in sentenza dal tribunale vicentino solo per brevi stralci completamente decontestualizzati, sì da stravolgerne il senso. 2.2.1.9 L'appellante indi ha affrontato un altro tema (svolto dalla sentenza impugnata alle pagg. 686-687), quello della "campagna riqualificazione impieghi" - intendendosi per impieghi i prestiti - anche detta "pre-deliberato", connotata semplicemente dallo stanziamento, ad opera di B., di una rilevante somma finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate (ossia più vantaggiose) in sede di rinnovo o revisione degli affidamenti di clienti meritevoli di un particolare rating creditizio. Il compito della Divisione Crediti, a detta dell'appellante, era esclusivamente tecnico e riguardava solo l'individuazione dei criteri di rating da utilizzare per selezionare i clienti ai quali riqualificare il prestito, formare apposite liste e inviarle alla rete per la definitiva verifica. Il tutto - ha proseguito la difesa del MA. - è stato esaustivamente spiegato in dibattimento dai testi Cl.Am. e Ma.Ba. mentre l'appellante, contrariamente a quanto parrebbe desumersi dalla sentenza gravata, non aveva nulla a che vedere con le modalità, più o meno corrette, attraverso cui tale iniziativa era poi stata presentata dalla rete commerciale ai propri clienti, non potendo ascriversi all'imputato le eventuali pressioni esercitate dalla rete medesima ° nei confronti della clientela per accompagnare l'iniziativa con inviti ad acquistare azioni B.. Al riguardo, ad esempio, la sentenza impugnata valorizzerebbe al massimo grado la deposizione del teste Um.Se. ma da un lato trattasi di soggetto che risulta avere deliberato, egli sì, numerosi finanziamenti destinati all'acquisto di azioni (sia come predecessore del MA. alla Divisione Crediti - anteriormente all'introduzione delle Direzioni Regionali - e sia in seguito come direttore generale della controllata Ba.Nu.) mentre dall'altro lato la reale natura dell'iniziativa (di per sé priva di qualsivoglia rilievo nell'alveo del problema del capitale finanziato) risulterebbe assai meglio illustrata nella relativa delibera acquisita al fascicolo del dibattimento. Anche in tal caso comunque - secondo quanto ha lamentato la difesa - il tribunale avrebbe selezionato gli elementi istruttori omettendo di menzionare quelli favorevoli all'imputato. 2.2.1.10 L'appellante ha censurato altresì il grande rilievo attribuito dalla sentenza impugnata a una serie di note e di approfondimenti provenienti dall'audit nella persona del suo responsabile Ma.Bo., posto che - come già sopra accennato - questi, al pari dell'ufficio legale della banca, era perfettamente al corrente dell'esistenza della prassi delle operazioni di finanziamento correlato e che mai tali strutture avevano segnalato alcunché, fermo restando quanto già detto in ordine al convincimento del MA. circa la liceità di tali operazioni ed esulando dall'ambito delle sue competenze quella di controllare se poi il capitale finanziato con tali operazioni venisse correttamente scomputato dal patrimonio di vigilanza. Analogamente - ha proseguito l'appellante - si sarebbe dovuto considerare l'atteggiamento di fuga dalla responsabilità tenuto dal CdA (composto non già da persone digiune della materia ma da docenti universitari, da imprenditori di primo piano e finanche da un ex Ragioniere Generale dello Stato), il quale, sottoscrivendo ogni delibera, aveva a sua volta scelto di abdicare al proprio compito di vigilare sul rispetto degli adempimenti e sulla corretta deduzione del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza. Oltretutto - ha notato la difesa - diversi altri componenti del CdA, e non solo l'imputato Gi.ZI., avevano sottoscritto essi stessi dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni B. 2.2.1.11 L'appellante si è diffuso a lungo sulle due ispezioni (Banca d'Italia 2012; BCE 2015) - in particolare sulla prima - evidenziando la necessità di un confronto tra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. che avevano reso deposizioni tra loro inconciliabili ed erano stati entrambi definiti "debolmente attendibili" dal tribunale (il primo aveva sostenuto che l'effettuazione delle operazioni correlate di finanziamento non fosse stata affatto taciuta al team ispettivo del 2012, con i quali egli aveva avuto una diretta interlocuzione; il secondo - incorso peraltro in pesantissime contraddizioni nelle diverse occasioni in cui era stato sentito durante le indagini preliminari e finanche sottoposto a intercettazione telefonica dagli inquirenti - era tornato, in sede dibattimentale, ad affermare il contrario, ritrattando quanto aveva detto da ultimo agli stessi inquirenti). Ad avviso dell'appellante, comunque, l'Am., responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B. nonché vice - assieme a Ma.D.Bo. - del MA., sarebbe assai più credibile del Sa. e più in generale dell'intero team ispettivo della stessa Banca d'Italia, la quale, dopo avere incentivato la crescita di B., non potrebbe, secondo la difesa, "permettere che qualcuno o qualcosa possa accusarla di essere stata omissiva of peggio, connivente" (cfr. pag. 103 atto di appello). Sul punto la difesa dell'appellante MA. ha menzionato l'esistenza nel web, quale fonte aperta, della registrazione di un colloquio intercorso nei primi mesi del 2014 fra il presidente di B. Zo.Gi., l'allora presidente di Ve.Ba. e l'allora capo della vigilanza della Banca d'Italia da cui si evinceva che quest'ultimo, nel ricordare ai suoi interlocutori che dal 4 novembre di quello stesso anno Banca d'Italia avrebbe dovuto passare ex lege la mano al SSM (Single Supervisory Mechanism) e che dunque i controlli sarebbero stati più severi, stava cercando di convincere Ve.Ba. ad unirsi con B.. 2.2.1.12 L'appellante ha evidenziato altresì come il tribunale non abbia riferito, nell'occuparsi della successiva ispezione del 2015, che in realtà il MA. non vi aveva nemmeno preso parte in quanto trasferito dal 18.12.2014 alla controllata siciliana Ba.Nu.. 2.2.1.13 L'appellante è poi passato a confutare con argomentazione particolarmente articolata (cfr. pagg. 126-149 atto di appello) l'assunto del collegio vicentino in ordine alla pretesa non credibilità e contraddittorietà del MA., sostenendo: a) che il contenuto dell'esame di questi sarebbe viceversa stato equivocato e travisato in più punti dal primo giudice; b) che tra i testi particolarmente valorizzati dal tribunale contro il MA. vi è ad esempio il teste Fu.Bo., non rientrante, così come vari altri, nel novero degli imputati solo a causa di una scelta operativa, definita "discutibile" degli inquirenti. Un soggetto, il Bo., che, in base al complesso dell'espletata istruttoria, emergerebbe viceversa come contraddittorio e poco credibile e del quale, in ogni caso, il tribunale (seguendo invero una tecnica redazionale spesso utilizzata nella gravata sentenza) avrebbe estrapolato solo alcuni frammenti di esame dibattimentale per lo più sfavorevoli al MA., senza porli a confronto con le rettifiche operate dallo stesso teste in sede di controesame. 2.2.1.14 L'appellante, con riguardo al capo MI relativo alle condotte di ostacolo contestate all'imputato MA. durante l'effettuazione del Comprehensive Assessment e dell'AQR (Asset Quality Review), ha escluso anzitutto che l'AQR possa paragonarsi in tutto e per tutto a una normale ispezione, indicandone le ragioni (fra l'altro nel corso di essa, in relazione alle posizioni esaminate, nemmeno era prevista l'interlocuzione tra ispettori e funzionari dell'istituto) ed evidenziando fra l'altro, in tale contesto, come finanche la Banca d'Italia, una volta diffusi i risultati dell'AQR e dello stress test, avesse affermato che il Comprehensive Assessment era stato un esercizio di natura prevalentemente prudenziale e non contabile, ove si era fatto ricorso a metodi di tipo statistico non contemplati dai criteri contabili. Indi la difesa ha ricordato come, per costante giurisprudenza, in tema di ostacolo alla vigilanza assumano rilevanza penale solo quelle false informazioni - ovvero l'omissione o il nascondimento di informazioni - capaci di entrare in conflitto con l'esercizio della funzione concretamente svolta, presupposto a suo avviso non ricorrente nel caso in esame (fermo restando che al MA. non potrebbe contestarsi di avere taciuto al team l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto e degli storni, dal momento che egli era venuto a sapere di tali procedure, come altri in banca, solo all'esito dell'ispezione BCE del 2015; né in atti vi sarebbero elementi idonei a dimostrare il contrario, anzi tutti i testi escussi hanno concordemente dichiarato che le lettere di impegno al riacquisto non erano inserite nelle P.E.F., bensì venivano conservate in cartaceo presso le filiali ove il cliente aveva il c/c di riferimento; in nessun modo era segnalata l'eventuale presenza di tale impegno, che restava una pattuizione riservata tra il responsabile della rete di riferimento e la controparte). 2.2.1.15 L'appellante è passato quindi a contestare (cfr. pagg. 154-172 atto di appello) la configurabilità in capo al MA. di un apporto concorsuale rilevante ai sensi dell'art. 110 c.p., censurando anzitutto la struttura del capo d'imputazione, configurato nel senso di una piena e totale condivisione di tutti gli imputati in relazione alle condotte contestate, a prescindere dal ruolo rivestito e dalle funzioni esercitate, sul presupposto che "tutti avessero fatto tutto" e dunque sulla base di una sorta di automatismo presuntivo, A sua volta la motivazione sui punto della sentenza impugnata - circoscritta alla sua pag. 216 - è stata censurata dall'appellante come sbrigativa e insoddisfacente in quanto basata su un'asserita "consequenzialità" ("In questo contesto operativo, è consequenziale concludere che gli imputati - che nei diversi ruoli hanno posto in essere le singole condotte di manipolazione del mercato - avessero piena ed assoluta consapevolezza dell'occultamento di questa operatività al mercato e alla vigilanza") che non avrebbe invece fondamento alcuno. A parere della difesa nel dibattimento di primo grado non è stata fornita la prova che tutti gli imputati indistintamente, e l'appellante MA. in particolare, sapessero che le c.d. operazioni "baciate" non venivano scomputate dal capitale di vigilanza e che inoltre esse erano finalizzate - oltre che all'esigenza, a tutti nota, di svuotamento del fondo acquisto azioni proprie (soprattutto in coincidenza con il fine anno) nonché a creare liquidità per il mercato secondario - anche a fornire "una distorta immagine di solidità del mercato azionario ferma restando la forte differenza tra il flusso informativo che giungeva alla Divisione Crediti e quello, ben più intenso, diretto e pregnante, che invece perveniva alla Divisione Mercati e ne animava le riunioni. Al riguardo desta forte perplessità nell'appellante il fatto che una similare differenza di flussi informativi tra diverse Divisioni fosse invece stata valorizzata dal tribunale per assolvere il coimputato Ma.PE.. 2.2.1.16 L'appellante ha lamentato altresì come al MA. sia contestato di avere "avallato una prassi" senza tuttavia che - sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato - risulti provato che egli, divenuto a un certo punto consapevole che la prassi da tempo seguita era in realtà illecita, l'avesse ciononostante pervicacemente reiterata. Ha censurato altresì l'operato dell'Accusa la quale, pur dopo l'emersione di un fenomeno - nell'ambito di B. - di autonome potestà deliberative diffuse e non già accentrate, e pur avendo conferito la stessa Accusa a seguito di ciò ai propri consulenti tecnici il compito di redigere una relazione integrativa (atta a identificare, sulla scorta delle delibere esaminate, quale fosse l'organo deliberativo di volta in volta interessato), non vi ha tuttavia dato realmente seguito, astenendosi dal ripartire fra gli autori in concreto delle varie delibere le somme contestate nel capo di imputazione quale importo complessivo del capitale finanziato. D'altra parte - ha proseguito l'appellante - qualora gli inquirenti avessero effettivamente seguito tale ultima via si sarebbero necessariamente dovuti iscrivere nel registro degli indagati alcuni fra i testimoni dell'Accusa quali concorrenti materiali nel reato. Nondimeno, difettando il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso imputabile del maggiore capitale finanziato complessivo, non sarebbe possibile nemmeno valutare la reale offensività di ciascuna condotta. Il tutto comunque - ha precisato la difesa - vale, in relazione alla posizione del MA., per le sole contestazioni di fatti commessi fino al 18 dicembre 2014 dal momento che in tale data egli veniva rimosso dalla Divisione Crediti di B. e trasferito alla controllata Ba.Nu., Viceversa in sentenza il MA. è stato condannato - senza alcuna giustificazione - finanche per i fatti occorsi nell'anno 2015 (l'appellante ha osservato al riguardo che il responsabile della Divisione Crediti in carica per quegli importi è perfettamente identificabile trattandosi del teste non assistito, in quanto mai iscritto nel registro degli indagati, Al.Ba.). In via di mero subordine la difesa ha chiesto quindi che, nel caso di ravvisata penale responsabilità del MA., la stessa sia comunque ritenuta sussistente solo fino al 18 dicembre 2014. 2.2.2 Con il secondo motivo l'appellante ha censurato in via subordinata l'eccessività della pena inflitta, e ciò sia con riferimento alla pena base sia con riguardo agli aumenti operati per la ritenuta continuazione. 2.2.3 Quindi, con il terzo motivo, l'appellante - in via di ulteriore subordine - ha chiesto valutarsi le già riconosciute attenuanti generiche come prevalenti sulle contestate aggravanti nell'ambito del giudizio di bilanciamento. Conclusivamente, l'appellante ha chiesto: 1) assoluzione dell'imputato Ma.Pa. per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato; 2) in subordine, riduzione della pena inflitta (sia attraverso una diminuzione della pena base, quantificata nei minimi edittali, sia attraverso una riduzione dell'aumento operato per la continuazione); 3) in ulteriore subordine, riduzione della pena inflitta per effetto del richiesto giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. 2.2.4 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa ha ulteriormente argomentato in ordine alla già chiesta riapertura dell'istruttoria dibattimentale, insistendo in maniera particolare nella richiesta di confronto fra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. e chiedendo altresì, trattandosi di sopravvenienze: a) l'acquisizione dei verbali relativi alle dichiarazioni testimoniali rese dai predetti (Am. all'udienza 8.3.2022; Sa. all'udienza 18.3.2022) nel distinto procedimento rubricato al n. 1031/2020 pendente dinanzi al Tribunale di Vicenza in composizione collegiale a carico di So.Sa.; b) disporsi, sotto forma di perizia, l'estrazione dei dati contenuti nel server di SEC Servizi corrente in Padova, e ciò al fine di accertare la concreta attività svolta dall'ispettore Ge.Sa. nel corso dell'ispezione 2012 della Banca d'Italia, con particolare riguardo a quanto da lui visionato nei giorni dall'1 al 7 luglio 2012. 2.3. Appello proposto da Pi.An. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Pi.An.. 2.3.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 1 dell'impugnazione), l'appellante ha dedotto, richiamando alcuni arresti della giurisprudenza di legittimità, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p. dovuta alla totalmente omessa considerazione non soltanto di tutti i cospicui contributi orali e documentali forniti dalla difesa nel corso dell'intero dibattimento (inclusi i controesami difensivi - talora viceversa rivelatisi decisivi - dei testi a carico) ma altresì delle argomentazioni difensive esposte in una specifica ampia e dettagliata memoria depositata, nelle forme delle note d'udienza, in data 19 gennaio 2021. 2.3.2 Quindi, con il secondo motivo, l'appellante ha eccepito la violazione dell'art. 210 c.p.p. e dell'art. 192 comma 3 c.p.p., nonché una carenza assoluta di motivazione, in ordine alla valutazione - operata dal tribunale - di coerenza intrinseca ed estrinseca delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri., sulle quali si fonda - a suo avviso in via esclusiva - la ricostruzione dei fatti operata nella sentenza impugnata, e ciò benché la difesa avesse evidenziato, tanto in sede di discussione quanto nelle anzidette note d'udienza depositate il 19.1.2021, evidenti profili di inattendibilità e inutilizzabilità delle rispettive deposizioni. L'appellante ha evidenziato al riguardo i seguenti elementi: - i testi in questione sono soggetti che avevano contribuito in prima persona -loro sì materialmente - a quelle stesse condotte formanti l'oggetto della "prassi" contestata agli imputati, e in particolare al PI., nei capi d'imputazione, il che avrebbe quanto meno imposto un vaglio particolarmente stringente in ordine alla loro credibilità soggettiva e all'attendibilità di quanto da loro dichiarato; - oltre a ciò la pendenza del procedimento penale n. 2147/2019 RGNR (relativo alle asserite condotte di bancarotta connesse alla messa in L.C.A. di B. ha posto i predetti testi nella condizione di dover salvaguardare se stessi dal concreto rischio di essere incriminati in quel procedimento (nel cui ambito il Pubblico Ministero non aveva ancora cristallizzato l'imputazione né aveva ancora definito tutti i coindagati); - gli stessi testi, benché fossero stati sentiti a s.i.t. nel procedimento penale n. 2147/2019 RGNR proprio a ridosso della data del loro esame dibattimentale nel presente procedimento, in quest'ultimo hanno manifestato incertezze e lacune tali da rendere necessarie continue contestazioni, quando non addirittura letture diffuse - "in aiuto alla memoria" - dei verbali delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari quanto ai fatti che qui occupano (ciò varrebbe in particolare per i testi Ma.So. e Fi.Ro.); - più d'uno fra i suddetti testi si ritiene versi, in realtà, addirittura (come già eccepito in primo grado) in una condizione che ne avrebbe reso necessario l'esame nelle forme di cui all'art. 210 c.p.p. dal momento che a loro carico ricorrono obiettivi indizi di reità, quanto meno secondo i canoni del concorso di persone del reato, e ciò in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, prescindendo da indici formali quali l'avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, con la conseguente necessaria escussione non già come testimone bensì quale imputato di reato connesso ai sensi dell'art. 210 c.p.p.. Viceversa sul punto la sentenza impugnata non contiene considerazioni di sorta; - a ciò conseguirebbe la vera e propria inutilizzabilità delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri.; - ancor più peculiare sarebbe in realtà la posizione del teste Al.Ma. (sentito in qualità di testimone ex art. 194 c.p.p. all'udienza del 26.11.2020) posto che, successivamente al deposito della sentenza impugnata, è entrato nella disponibilità della difesa dell'imputato PI. (che lo ha allegato all'atto di appello e che ne ha chiesto - formulando istanza di rinnovazione probatoria ex art. 603 c.p.p. - l'acquisizione) un atto di esecuzione di perquisizione e sequestro a carico del Ma., eseguito per rogatoria dall'A.G, lussemburghese e datato 9.10.2020 (antecedente quindi all'esame dibattimentale del teste nel presente procedimento), dal quale si evincerebbe che anche il predetto Ma. - così come il teste pacificamente ex art. 210 c.p.p. Gi.St., avvalsosi in dibattimento della facoltà di non rispondere - all'epoca della sua deposizione già era iscritto (addirittura a far tempo dal 29 luglio 2020, in tesi difensiva) nel registro degli indagati del procedimento connesso n. 2147/2019 RGNR; - la vicenda relativa al teste Ma. viene indicata come di evidente gravità (la Procura della Repubblica vicentina non aveva, all'evidenza, mai reso noto che il teste, ben prima della sua ammissione ex art. 507 c.p.p., si trovasse già indagato in un procedimento fortemente connesso) ma l'unica sanzione di tale grave violazione delle garanzie difensive risiederebbe - in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità - nell'inutilizzabilità della relativa deposizione. 2.3.3 Quindi, con il terzo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 3 dell'impugnazione, a sua volta articolato in più sotto-paragrafi che vanno dal 3.1 al 3.10), l'appellante ha eccepito il malgoverno delle prove da parte dell'impugnata sentenza, la quale a suo avviso ha ricostruito i fatti in modo incompleto e unilaterale, omettendo di considerare prove decisive in favore dell'imputato. E' stata altresì eccepita la violazione degli artt. 43 e 110 c.p. per essere del tutto carente la motivazione in merito alla prova del concorso del PI. ex art. 110 c.p. nelle condotte contestate, come pure in merito alla prova del dolo che tali condotte dovrebbe sorreggere. Più in particolare l'appellante ha osservato quanto segue; - il ragionamento probatorio del tribunale muove da un'adesione tanto incondizionata quanto infondata dello stesso alla tesi accusatoria circa la strumentali delle condotte di aggiotaggio rispetto a quelle di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza; strumentalità da cui deriverebbe quale consequenziale conclusione il concorso ex art. 110 c.p. di tutti gli imputati aventi posto in essere singole operazioni correlate (e dunque singole condotte di manipolazione del mercato) in tutte le ipotesi di reato contestate nei numerosi capi d'imputazione, e ciò indipendentemente dall'acquisizione di qualsivoglia prova in ordine alla conoscenza, rappresentazione e volontà del fenomeno e della vicenda intesi nella loro complessità; trattasi però di motivazione basata, come tale, su meri sillogismi e asserite prove logiche aventi invece dignità di mera congettura. A ciò si aggiungono, in più passi della gravata sentenza, il vero e proprio travisamento delle prove e/o l'attribuzione di rilevanza a elementi che ne sono del tutto privi (come ad esempio l'assunto - in realtà nemmeno dimostrato - che il PI. fosse uno dei più stretti collaboratori del direttore generale Sa.So.); s per il PI. era impossibile avere conoscenza della "prassi" della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. dal momento che la Divisione Finanza da lui guidata non era, né poteva essere, destinataria dei relativi flussi informativi e ferma restando l'assoluta segretezza con cui la Divisione Mercati, la Divisione Crediti e il Comitato Soci gestivano il fenomeno in oggetto (da soli sotto il controllo del direttore generale Sa.So.); oltretutto la presenza del PI. presso la sede di Vicenza di B. si limitava a una cadenza settimanale (ogni martedi, giorno in cui - pressoché settimanalmente - si teneva il CdA); - in prime cure è stata attribuita una grande rilevanza al fatto che il PI. avesse partecipato al comitato di direzione dell'8.11.2011 ma in realtà il teste Ma.So., assai valorizzato al riguardo, nel deporre non ha riferito un suo ricordo bensì una interpretazione di un suo appunto senza riuscire a ben rammentare cosa fosse effettivamente successo nell'occasione; in altri termini dal materiale probatorio in atti non riesce ad evincersi se davvero i presenti avessero ivi toccato il tema delle operazioni di finanziamento correlate all'acquisto di azioni B., considerando anche la ben scarsa attendibilità complessiva del teste assistito Fr.To., che aveva deposto nella veste di imputato di reato connesso ex art. 210 c.p.p. e che, anteriormente alla sua iscrizione nel registro degli indagati, aveva reso dinanzi agli inquirenti dichiarazioni di tenore tutt'affatto differente; v la motivazione della sentenza impugnata è in ogni caso illogica laddove ha mandato assolto, viceversa, l'imputato Ma.Pe. -responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione - che pure aveva partecipato anch'egli a quello stesso Comitato di Direzione dell'8.11.2011 (assurto invece a "pietra miliare delta responsabilità addebitata al Dott. i Pi.": cfr. pag. 42 atto di appello), ritenendolo attendibile allorquando egli aveva sostenuto di non aver dato peso adeguato, in quell'occasione, agli interventi di Fr.To. e Um.Se. (rispettivamente facenti capo alle controllate Ca. e Ba.Nu.), che si erano riferiti - peraltro in maniera molto superficiale - alla possibile adozione di operazioni "baciate", posto che all'epoca egli nemmeno conosceva la parola "baciata". Non si comprende - prosegue la difesa - perché le analoghe dichiarazioni rese, su tale specifico punto, dal PI. non siano invece state valutate in senso a lui favorevole; - considerazioni analoghe valgono circa l'asserita rilevanza della partecipazione del PI. a ulteriori comitati e/o riunioni successivi all'8.11.2011, fermo restando che né l'appellante né alcun suo sottoposto constano aver preso mai parte alle riunioni della Divisione Mercati diretta da Em.Gi.; - vengono evidenziate le deposizioni rese dal teste Gi.Am., il quale ha espressamente escluso (dopo aver riferito di avere partecipato a 3-4 riunioni del Comitato di Direzione nel 2014) che nel corso di quegli incontri si fosse fatto riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto o sottoscrizione delle azioni B., e dal teste Ad.Ca., espressosi in senso analogo; - il lamentato malgoverno delle prove (e in particolare la totale pretermissione di elementi di prova favorevoli all'imputato PI., inclusi gli esiti del controesame del teste Tagliabue) avrebbe indotto il tribunale vicentino a ritenere - a torto - che il PI. abbia avuto un ruolo nel rilascio di lettere di impegno; quanto poi alla vicenda del teste Fa. l'appellante ha evidenziato come quest'ultimo avesse investito nell'acquisto di azioni B. non già capitale finanziato dalla stessa banca bensì capitale proprio; in ogni caso la lettera di impegno rilasciata al Fa., e a questi esibita in primo grado, risulta sottoscritta - su richiesta dello stesso Fa. - dal direttore generale So. proprio in quanto il PI. aveva rifiutato - come confermato sempre dal teste Fa. - ogni diretto coinvolgimento in un ambito chiaramente esulante dalle competenze della Direzione Finanze di sua pertinenza; infine la lettera rilasciata al Fa. non potrebbe nemmeno definirsi d'impegno, da essa derivando al più una mera disponibilità non vincolante; - quanto all'episodio della società di revisione K. va escluso - secondo la difesa - che il PI. abbia apostrofato l'avv. An.Pa., dell'uffici" legale, con l'icastica e colorita espressione da costei attribuitagli, dato che il parimenti presente dott. Ma.Pe. ha affermato, nel corso del suo esame dibattimentale, di non serbarne ricordo; - quanto alla vicenda delle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" la difesa ha evidenziato come la svolta istruttoria abbia fatto emergere, quale unico autore delle relative operazioni di finanziamento correlato, proprio il dott. Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese B. Fi., la cui deposizione testimoniale - perno della tesi accusatoria sul punto - deve quindi ritenersi inattendibile (se non inutilizzabile per i motivi già visti supra), oltre che basata su mere congetture e ricca di inesattezze e lacune; per giunta la deposizione dell'altro teste Gi.Gi. (appartenente alla Divisione Mercati), ritenuta in sentenza un riscontro a quella del teste Ra., secondo l'appellante è stata travisata giacché in realtà sarebbe, nel suo complesso, di tenore esattamente opposto (anche se il primo giudice ha omesso di considerarne la parte contenente elementi di discolpa per il PI.); lo stesso è a dirsi per la deposizione del teste Gi.Fe. della Co. (che, secondo la difesa, lungi dal riscontrare la deposizione del RA., l'avrebbe confutata). In ultima analisi la deposizione del teste Ra. deve ritenersi priva di riscontri, s quanto alla partecipazione del PI. al Comitato di Direzione del 10.11.2014, il relativo file audio non sarebbe acquisibile ex art. 234 c.p.p., e comunque andrebbe dichiarato inutilizzabile; sul punto l'appellante si è associato, come già in prime cure, alla relativa eccezione svolta dalla difesa del coimputato MA., svolgendo argomentazioni analoghe. Ad ogni modo, anche a voler ritenere acquisibile e/o utilizzabile quel file audio (e la relativa trascrizione), la sentenza ugualmente risulterebbe viziata da un'erronea valutazione degli interventi del PI. in quella sede, il cui tenore testuale (a ben guardare finanche contrario alle proposte fatte dal direttore generale So.) sarebbe stato travisato. Inoltre si è sottolineato (cfr. pag. 93 atto di appello) come il lamentato mancato espletamento di una perizia al riguardo impedisca oltretutto l'individuazione dei partecipanti al comitato e la corretta attribuzione dei singoli passaggi ai rispettivi loro autori. 2.3.4 Quindi, con il quarto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 4 dell'impugnazione), l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. giacché il fatto ritenuto in sentenza - con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B. - non risulta indicato in alcuno dei capi d'imputazione così come formulati dall'Accusa nei confronti dell'imputato PI., In alcun modo tali condotte, ritenute in sentenza commesse dal PI. nonché penalmente rilevanti, potrebbero rientrare nella contestatagli "prassi aziendale" avente ad oggetto "finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario. E d'altra parte, con ogni evidenza, l'investimento in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) non ha alcuna attinenza con l'erogazione del credito né alcuna connessione con le prassi decettive in seno a tale erogazione effettuate da altri. 2.3.5 Quindi, con il quinto motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi 5, 6, 7 e 8 dell'impugnazione), l'appellante ha contestato anche nel merito la fondatezza dell'accusa con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B.. Trattasi a suo dire di contegno non addebitabile al PI., pur non avendo questi mai negato di avere avuto un ruolo nella sottoscrizione dei fondi in questione. L'appellante ha evidenziato al riguardo quanto segue: s la unknown exposure non è sinonimo di decettività (in base alla deposizione del teste Da.Es., del Risk Management, il Comitato Finanza, a differenza di quanto ritenuto in sentenza, era correttamente informato di tutti i dati trasmessi dai fondi senza che alcun suo componente avesse mai lamentato profili di irregolarità); - il ricorso a fondi dedicati (che la gravata sentenza impropriamente definisce "gestione patrimoniale") era prassi diffusa tra gli istituti di credito, non solo italiani, come riferito anche dallo stesso teste Al.Ma., che pure per altri versi - ma non per questa parte della sua deposizione - risulta essere stato assai valorizzato, benché in realtà già indagato in procedimento connesso, dal giudice di prime cure; - le finalità per le quali tale investimento era stato autorizzato (vale a dire il reperimento di liquidità) erano state correttamente perseguite dal PI.; - irrilevante deve ritenersi, a fronte di altre emergenze istruttorie purtuttavia pretermesse dal tribunale, il da esso valorizzato doc. n. 350 delle produzioni del Pubblico Ministero (invero mai pervenuto nella sfera di conoscenza del PI.; né il suo invio aveva avuto alcun seguito); - la sentenza gravata ha travisato il contenuto delle deposizioni rese dai testi Fi.Ro., An.Su. (quest'ultimo peraltro connotato da evidenti profili di inattendibilità), Pi.Ra. e Al.Ma.; s più in generale (come dimostrato anche dalla vicenda dell'acceso confronto tra il teste avv. An.Su. e il teste Pa.Al., quest'ultimo responsabile della direzione Gl.Ma. all'interno della Divisione Finanza di B.; vicenda riferita nel suo esame dibattimentale dallo stesso teste Al.) si è evidenziata l'inattendibilità della ricostruzione della situazione offerta dagli esponenti di "Op." (testi Ma. e Su.), in quanto connotata da un chiaro tentativo di addossare agli esponenti di B., e segnatamente della sua Divisione Finanza, responsabilità eventualmente proprie del suddetto fondo; - peraltro - ha osservato l'appellante - l'attività istruttoria dibattimentale risulta essersi concentrata tutta su "Op." rimanendo carente sul conto di "At."; - la detenzione indiretta di azioni B. mediante i fondi "Op." e "At." in ogni caso non conduce alla prova del concorso del PI. nelle contestate condotte di aggiotaggio manipolativo sicché la sentenza presenta un vizio di motivazione sul punto, ferma restando in proposito la totale inattendibilità del teste Fi.Ro. (reso destinatario di corpose e continue contestazioni operate in dibattimento dal P.M., il Ro. era stato, fra l'altro, platealmente smentito dal teste Ti.Ch. - esponente del broker Ma.Sp. - circa la da lui asserita conoscenza tra questi e il PI., negata dal Ch.); - la condotta ascritta al PI. in relazione ai fondi "Op." e "At." neppure potrebbe condurre alla prova di un concorso dell'appellante nelle contestate condotte di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza, sicché la sentenza risulta erroneamente motivata sul punto con violazione degli artt. 43 e 110 c.p., tanto più che, con il mutare della normativa di settore a seguito dell'introduzione del CRR (Capital Requirements Regulation), Regolamento UE n. 575/2013, le strutture incaricate della tenuta delle comunicazioni avevano tempestivamente adottato le richieste da indirizzare ai fondi, come chiaramente illustrato dal teste Lu.Tr.; - la motivazione della sentenza è illogica nella parte in cui, con riferimento alla posizione personale di altro imputato e segnatamente di Pe.Ma., ha ritenuto sufficiente ad escluderne la responsabilità -mandandolo così assolto - il fatto che avesse formulato una richiesta di informazioni circa i sottostanti ai fondi de quibus. Il PI. infatti, dal canto suo, non solo non aveva avuto conoscenza dell'investimento operato dai fondi stessi in azioni B. ma neppure aveva inteso in alcun modo ostacolare la conoscenza dei sottostanti dei fondi medesimi da parte delle altre funzioni dell'istituto di credito, in particolare da parte delle funzioni di controllo; di fatto, anzi, il PI. aveva delegato i rapporti con i fondi ad altre strutture di B. diverse dalla Divisione Finanza, senza mai avere anche solo azzardato la minima ingerenza nelle loro funzioni; - l'assunto del primo giudice secondo cui anche la fase di dismissione delle azioni B. da parte di "Op." sarebbe stata eterodiretta dal PI. in veste di "regista" non risponde al vero e risulta anzi smentito - sempre secondo l'appellante - dalla deposizione del teste Ti.Ch., esponente del broker Ma.Sp., che evidenzierebbe altresì l'assoluta inattendibilità sul punto del teste Ro.Ri. (appartenente alla rete commerciale e per parte sua artefice di numerosissime operazioni correlate); il Ri. era infatti giunto ad affermare che il PI. lo aveva messo in contatto con il Ch. il quale invece come già detto sopra, negava di conoscere l'imputato. 2.3.6 Quindi, con il sesto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 9 dell'impugnazione), l'appellante ha argomentato in ordine alla dedotta insussistenza di un concorso ex art. 110 c.p., del PI. nella asserita Op." posta alla base di tutti i capi di imputazione, della quale viceversa egli non era consapevole né tantomeno ad essa aveva aderito. Né certo un siffatto apporto concorsuale poteva desumersi dall'assunto che, in quanto vicedirettore generale in B., egli fosse necessariamente vincolato alle scelte del direttore generale Sa.So.. In realtà, essendo concepita l'imputazione come una contestazione complessiva di tutte le condotte in essa descritte nei confronti di tutti gli imputati, ipotizzandosi ivi un concorso di reati riuniti sotto la disciplina della continuazione, la gravata sentenza, ad avviso dell'appellante, non ha assolto al suo onere che era quello di dimostrare - sulla base però di elementi di prova certi e non di mere congetture - che l'imputato: a) fosse consapevole delle condotte poste in essere da tutti o parte degli altri pretesi concorrenti; b) avesse agito con la volontà di portare a compimento il reato. Non è in altri termini condivisibile, per la difesa, l'argomentare di una sentenza la quale, di fatto, finisce con il ricondurre vicende di enorme complessità, articolatesi nel corso di un non trascurabile lasso temporale -nonché coinvolgenti decisioni, valutazioni e specifiche azioni di controllo ascrivibili a una pluralità estremamente variegata di soggetti - a un unico semplicistico schema interpretativo che ripropone il parimenti semplicistico approccio dello spunto investigativo iniziale. Secondo l'appellante va poi considerato quanto segue: - con riguardo alla pretesa manipolazione informativa ogni concorso del PI. deve essere escluso, non avendo egli mai preso parte in alcuna misura alla definizione del contenuto dei comunicati stampa oggetto di contestazione; - con riguardo alla pretesa manipolazione operativa e al preteso ostacolo alla vigilanza la sentenza pretermette diversi fattori di elevata importanza: a) nessuna delle operazioni attribuite in ottica di accusa al PI. risultava essere stata ancora attuata all'epoca della conclusione dell'ispezione 2012 della Banca d'Italia (peraltro mirata unicamente alla verifica del rischio di credito di B.): al 12 ottobre 2012, infatti, Sa.So. e Pi.Ra. non avevano ancora sottoscritto la partecipazione ai fondi lussemburghesi "Op." e "At." né tantomeno la controllata irlandese B. Fi., della quale il Ra. era il direttore generale, aveva erogato i finanziamenti alle società lussemburghesi Br.; c) nel caso dell'ispezione BCE, iniziata il 26 febbraio 2015, B. aveva già comunicato al Regolatore le informazioni frattanto ricevute dai gestori dei suddetti fondi in ordine al preciso ammontare di azioni B. detenute dai comparti di "Op." e "At.", e ciò a far data dal luglio 2014, in perfetta ottemperanza agli obblighi informativi imposti dal CRR (Regolamento UE 575/2013); che la stessa BCE fosse stata portata a conoscenza di un tanto emergeva altresì dal suo stesso rapporto ispettivo del 2015; - manca, in ogni caso, totalmente la prova del dolo; anzi le conversazioni captate del PI. evidenzierebbero un tenore chiaramente incompatibile con la consapevolezza tipica del partecipe. 2.3.7 Quindi, con il settimo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 10 dell'impugnazione), l'appellante in subordine, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio ne ha lamentato il carattere sproporzionato. Ha chiesto altresì che le già riconosciute attenuanti generiche siano valutate prevalenti sulle contestate aggravanti in sede di giudizio di bilanciamento. Ha ribadito inoltre le argomentazioni - già svolte in sede di discussione dinanzi al tribunale - circa la necessità di ricondurre a un'unica fattispecie di ostacolo alla vigilanza le plurime condotte configurate, in tesi d'accusa e in sentenza, come altrettanti reati distinti, fra loro unificati nel vincolo della continuazione. Ha richiamato al riguardo la giurisprudenza di legittimità che costruisce il reato ex art. 2638 comma 2 c.c., come suscettibile di assumere carattere eventualmente permanente. In tal caso, indipendentemente dalla reiterazione dell'invio di comunicazioni mendaci, la prima condotta deve intendersi assorbire le successive. Ha aggiunto che la strumentalità della fattispecie di ostacolo rispetto a quella di aggiotaggio fa sì che il disvalore della condotta decettiva si esaurisca tutto nell'evento del delitto di aggiotaggio. Ritenere diversamente si tradurrebbe altresì in una violazione del principio nemo tenetur se detegere, recentemente meglio delineato da Corte Cost. n. 84 del 2021. 2.3.8 Quindi, con l'ottavo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 11 dell'impugnazione), l'appellante ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018, che aveva risolto in favore del foro vicentino un conflitto di competenza sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore), e ciò sulla base di argomentazioni analoghe a quelle dell'appello ZO. (v. infra) - al quale qui si rinvia per il resto - ovvero in favore del Tribunale di Milano, sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (se ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile). 2.3.9 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa dell'imputato PI. ha ulteriormente argomentato in ordine: a) all'incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza; b) alla violazione dell'art. 210 c.p.p. e dell'art. 192 comma 3 c.p.p. in relazione all'escussione di vari testi; c) alla violazione del principio nemo teneturse detegere. Conclusivamente, quindi, l'appellante ha chiesto l'annullamento o la riforma della sentenza e dell'ordinanza di rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale contestualmente impugnate, instando per l'assoluzione dell'imputato Pi.An. con la formula più ampia. 2.4 Appello proposto da Zo.Gi. Avverso detta sentenza (e con contestuale riferimento alle ordinanze del GUP e del tribunale emesse rispettivamente nelle date del 19.5.2018 e del 7.5.2019, entrambe di rigetto della già proposta eccezione di incompetenza territoriale) ha interposto appello il difensore di Zo.Gi. con impugnazione che ha devoluto alla cognizione della Corte i punti ed i capi della sentenza relativi, nell'ordine, alla competenza territoriale, alla affermazione di penale responsabilità, alla condanna risarcitoria ed alle spese processuali, al trattamento sanzionatorio, al mancato riconoscimento del concorso apparente tra le fattispecie contestate, alla confisca per equivalente e, infine, alla mancata assunzione di perizia. 2.4.1 In particolare, dopo una "introduzione" (oggetto di trattazione al paragrafo 1 dell'impugnazione) finalizzata ad evidenziare gli effetti, ritenuti pregiudizievoli per la serenità del giudizio, della "pressione" esercitata, nel contesto locale, dagli organi di informazione (argomenti già posti a fondamento della richiesta di remissione del giudizio ex art. 45 c.p.p., pure disattesa dalla Corte di Cassazione) il difensore, con il primo motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi da 2.1 a 2.8 dell'impugnazione), ha censurato il rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale. In effetti, premesso: - che la sentenza della Corte di Cassazione n. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018 era stata motivata sul rilievo della connessione per continuazione tra i reati, rispettivamente, di cui ai capi E1 e B1, con la precisazione che il più risalente reato di ostacolo alla vigilanza oggetto di tale ultimo capo di imputazione doveva intendersi verificato in Vicenza, in quanto luogo nel quale "vengono assunte le determinazioni degli organi sociali"; - che, in sede di udienza preliminare, era stata ribadita la competenza del Tribunale di Vicenza in ragione della ritenuta infondatezza della contraria tesi difensiva che sollecitava l'individuazione presso la sede, in Roma, della Banca d'Italia, destinataria della comunicazione ICAAP, del luogo di commissione di tale reato (infondatezza argomentata sul rilievo della necessità di valutare la competenza alla stregua del perimetro dell'imputazione, rispetto al quale dovevano ritenersi estranee le vicende relative all'invio della predetta comunicazione); - che il Tribunale, con ordinanza 7,5.2019, aveva nuovamente confermato tali conclusioni, dichiarando inammissibile l'eccezione difensiva (riproposta nei medesimi termini) in ragione della preclusione derivante dalla vincolatività della citata pronunzia della Corte di Cassazione e, in ogni caso, ne aveva sostenuto l'infondatezza in considerazione della necessità di ancorare il giudizio in materia di incompetenza alla prospettazione accusatoria che, nella specie, non contemplava la contestazione dell'invio della comunicazione ICAAP; - che, infine, nella sentenza impugnata, erano state ancora una volta ribadite le argomentazioni (vincolatività della sentenza della Corte di cassazione, non superata da fatti nuovi; estraneità al perimetro dell'imputazione di riferimento della condotta dell'invio alla Banca d'Italia della comunicazione ICAAP) esposte nella precedente ordinanza 7.5.2019, il difensore ha contestato le conclusioni cui era pervenuto, sul punto, il primo giudice. Quanto al primo profilo, era errato sostenere la vincolatività della decisione della Corte di Cassazione. Si era in presenza, infatti, di pronunzia attinente ad uno specifico thema decidendum (quello della necessità di dirimere il contrasto inerente all'attribuzione della competenza - rispetto a reati oggetto di provvedimento cautelare - all'autorità giudiziaria vicentina, ovvero milanese) in ordine al quale era rimasta del tutto estranea la questione della eventuale competenza del Tribunale di Roma, in quanto non ricompresa nel perimetro del devolutum (come desumibile dalla stessa lettura della citata sentenza n. 15537/2018, sentenza dalla quale emergeva chiaramente che la Corte di cassazione, ai fini della decisione del conflitto, non aveva preso in considerazione la circostanza, pure nota al giudice di legittimità, della sopravvenuta iscrizione per il reato di falso in prospetto e come, del resto, confermato dallo stesso tribunale di Vicenza, a pag. 240 della sentenza impugnata). In ogni caso la diversità delle parti dei procedimenti attinenti, rispettivamente, alla cautela ed al merito impediva che potesse legittimamente evocarsi, sul punto, qualsivoglia preclusione processuale. Quanto al secondo profilo, por, ha contestato l'estraneità dell'invio della comunicazione ICAAP alla Banca d'Italia rispetto al perimetro dell'imputazione di cui al predetto capo B1. A ben vedere, infatti, il riferimento alle comunicazioni ed alle segnalazioni all'autorità di vigilanza, siccome contenuto nel medesimo capo di incolpazione, avrebbe dovuto ritenersi, all'uopo, del tutto sufficiente, trattandosi di riferimento effettuato in modo generico (e, quindi, necessariamente tale da ricomprendere anche l'invio della citata comunicazione). Ciò posto, l'appellante: - evidenziato il difetto di vincolatività della decisione della Corte di Cassazione n. 15537/2018; - sottolineato che l'invio della comunicazione ICAAP (pacificamente costituente, per l'importanza di tale adempimento, il primo degli atti di sviamento della funzione di vigilanza) doveva ritenersi ricompreso nel perimetro dell'imputazione; - precisato, in ogni caso, che il tribunale ben avrebbe potuto attribuire a tale comunicazione il doveroso rilievo, senza affatto indebitamente anticipare un sindacato di merito sulla falsità della comunicazione medesima (donde, anche sotto tale profilo, l'infondatezza delle argomentazioni poste dal primo giudice a fondamento del rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale); - osservato, ancora, che l'indicazione del luogo di consumazione del reato siccome indicato in imputazione Vicenza") non poteva ritenersi vincolante, allorché, come nella specie, un diverso focus commissi delicti ("Roma", sede della Banca d'Italia) fosse ricavabile dagli atti posti a disposizione dei giudicante (il GUP, prima; il tribunale, poi); s e rimarcato, infine, che il primo giudice nell'esercizio del potere/dovere di correggere l'errore nel quale era incorso il P,M. nell'individuazione del luogo di consumazione del reato non avrebbe affatto incontrato i limiti costituiti, rispettivamente, dal carattere macroscopico dello sbaglio e dalle circostanze di fatto siccome descritte in imputazione, purché queste ultime fossero, come nella specie, risultanti ex actis (pena la violazione dei principi in materia di obbligatorietà dell'azione penale e di rispetto del giudice naturale precostituito per legge), ha ribadito l'incompetenza del tribunale di Vicenza per essere competente il tribunale di Roma e, pertanto, ha sollecitato la declaratoria di nullità delle impugnate ordinanze e, quindi, della sentenza che le aveva confermate. 2.4.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi da 3.1 a 3.6 dell'impugnazione), poi, ha contestato l'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, affermazione basata su una motivazione, al contempo, carente e contraddittoria rispetto a specifiche emergenze processuali. Per un verso, infatti, il tribunale aveva omesso di considerare molteplici elementi probatori, in primo luogo in relazione al tema, per vero decisivo, della mancata attivazione di "campanelli d'allarme", da parte degli organismi deputati alla vigilanza interna (e, segnatamente, dell'ufficio di In.) circa il fenomeno del capitale finanziato, ma anche ai profili della vicenda costituiti, nell'ordine, dalle caratteristiche del fenomeno in esame, dal ruolo svolto dall'imputato in relazione a tale fenomeno e, più in generale, dalla posizione rivestita dallo ZO. all'interno dell'istituto di credito. Per altro verso, poi, il percorso argomentativo della decisione appariva viziato, quanto alla posizione processuale del medesimo ZO., da marcati profili di contrasto cori le risultanze probatorie, oltre che di vera e propria illogicità con particolare riferimento alla presunta conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno delle "operazioni baciate". Sotto il primo profilo (quello della mancata valutazione di emergenze probatorie favorevoli) il difensore ha sostenuto che l'imputato non era stato affatto portato a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato da parte degli organismi di vigilanza interna e, in particolare, dai responsabili dell'In., i quali avevano dolosamente sottaciuto, sul punto, circostanze ed esiti ispettivi di assoluto rilievo. Deponevano in tal senso le dichiarazioni, in ordine all'assenza di flussi informativi interni relativi agli esiti delle verifiche compiute dall'Au. e dal Ri., dei testi Do. (membro del CdA dal 2009 e, successivamente, Presidente del Comitato Controlli, poi Comitato Rischi) e Za. (dal 2014 membro del Collegio Sindacale che, dallo stesso anno, aveva assunto la funzione di Organismo di Vigilanza). Peraltro, anche le deposizioni degli ispettori BCE Ga. e Ma. avevano evidenziato le carenze dell'In.. Inoltre, lo stesso teste Bo. aveva dichiarato di essere stato a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato perlomeno dal 2012 ma di averne parlato solo nel corso dell'ispezione, rivolgendosi all'ispettore Ga., ed aveva soggiunto di non averne mai riferito al Collegio Sindacale né all'Organismo di Vigilanza, in quanto rassicurato dal successo dell'operazione di aumento di capitale del 2014. Il teste Es. (responsabile della funzione di Ri.), dal canto suo, con riferimento alle operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi, aveva parimenti dichiarato di non avere effettuato segnalazioni di criticità, precedentemente a quella del 2014 inerente all'incremento degli storni. Infine, anche dalla deposizione del teste Ferrante (responsabile della Co.) era emerso che il Bo. aveva ignorato qualsivoglia segnale di allarme ed aveva omesso di portare a conoscenza di tali criticità il CdA, il Collegio Sindacale e l'Organismo di vigilanza. E, in effetti, la stessa intercettazione telefonica del colloquio intercorso il 28.8.2015 tra tale teste ed il predetto Bo. confermava che mai quest'ultimo aveva riferito alcunché allo ZO.. Così delineato il contesto di omissioni informative imputabili all'ufficio di In., il difensore ha richiamato una serie di episodi specifici ulteriormente dimostrativi delle gravi carenze ed omissioni in ordine al flusso interno di informazioni inerenti al fenomeno delle operazioni "baciate". Trattasi, segnatamente: dell'"insabbiamento" degli esiti delle verifiche di audit relative ad operazioni baciate poste in essere presso le filiali di Padova e di Manzano; - della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 2014, dal socio Da.Gr., "nemico storico" dello ZO., denunzia cui non erano poi seguite attività di controllo di sorta da parte del Collegio Sindacale, al quale, del resto, il responsabile dell'au. aveva negato l'esistenza di fenomeni di capitale finanziato; - delle dimissioni del private banker Vi., dimissioni delle quali l'imputato ZO. non aveva ricevuto informazioni esaurienti, come emerso dai testi escussi e, in particolare, come dichiarato dallo stesso Bo., per effetto di una determinazione ascrivibile al d.g. So.; - della vicenda delle tre lettere anonime inviate a B. negli anni 2013 e 2014, la prima (quella del 7.10.2013), priva di riferimenti al fenomeno del capitale finanziato, le altre non portate a conoscenza del presidente ZO. o, comunque, non seguite da precise informazioni indirizzate all'imputato inerenti al fenomeno del capitale finanziato; - dell'articolo del Sole 24 Ore a firma Cl.Ga. (articolo, peraltro, bensì contenente accuse in ordine alle pressioni rivolte alla struttura per l'acquisto delle azioni, ma non anche la descrizione del fenomeno del capitale finanziato), mai seguito da attività di riscontro da parte della Direzione Generale, ovvero della Funzione di Controllo, ed in relazione al quale, in ogni caso, non era stata predisposta e portata a conoscenza del Presidente una relazione ispettiva. In definitiva, nessun serio segnale d'allarme era stato mai rappresentato allo ZO., la posizione del quale, pertanto, sul punto, non poteva ritenersi differente da quella del coimputato ZI., pure dal tribunale assolto, ovvero da quella degli altri componenti del CdA e del Collegio Sindacale. Tutti costoro, infatti, erano stati tenuti all'oscuro, per volontà del d.g. So., di quanto emerso in relazione al fenomeno del capitale finanziato nel corso delle attività di audit. Di seguito, l'appello ha evidenziato convergenti elementi probatori che avevano delineato il profilo dello ZO. non già nei termini di uno scaltro "padre padrone" dell'istituto di credito, come pure ripetutamente affermato dal primo giudice, bensì come quello di un presidente, certamente energico ma niente affatto autoritario, il quale aveva investito ingenti risorse personali e familiari nella banca, confidando nella solidità dell'istituto (dal miliardo di lire nel 1995 ai 25 milioni di euro del 2015), a riprova della buona fede che ne aveva sempre ispirato la condotta. In particolare, il difensore ha richiamato plurime deposizioni testimoniali dalle quali era emerso che l'imputato: non era affatto aduso imporre le proprie decisioni; era presente raramente presso la sede dell'istituto; si occupava solo di questioni strategiche e non tecniche; non interveniva nelle pratiche di fido e non aveva avuto rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia; pur comprensibilmente aspirando all'incremento del valore delle azioni non aveva fatto pressioni in tal senso; non aveva un ruolo determinante nella gestione del personale; si limitava a firmare i comunicati B. che, quanto alla parte riferibile allo stesso presidente, erano predisposti dal dipendente Ca. Del resto - ha precisato l'appellante - le stesse deposizioni dei testi Se. e Ro., prima facie pregiudizievoli per la posizione dell'imputato, ad una più attenta lettura deponevano in senso contrario, posto che evidenziavano come lo ZO. non avesse mai avuto un ruolo tecnico all'interno dell'istituto e, comunque, non interferisse affatto nelle decisioni di tale natura. D'altronde, a smentire il ruolo di "monarca assoluto" dell'istituto di credito attribuito allo ZO. dal primo giudice concorreva anche la circostanza che mai l'imputato avesse presieduto alcun comitato esecutivo dal 2012 al 2015 (nonostante, secondo le previsioni statutarie, ne costituisse il vertice) e che, quanto ai Comitati di Direzione/Riunioni svoltisi dal 2011 al 2015, lo stesso ZO. (anche in tal caso diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale che, infatti, aveva escluso la presenza dell'imputato al solo incontro del 10 novembre del 2014, peraltro II più importante) si era limitato a presenziare, solo per un breve saluto, a quello dell'8 novembre 2011. In tal senso, infatti, deponeva l'accurata analisi dei dati documentali disponibili e delle deposizioni assunte in dibattimento. Inoltre, nessun ruolo l'imputato aveva mai svolto con riferimento all'erogazione del credito nella consapevolezza della destinazione dei finanziamenti all'effettuazione di operazioni "baciate". In effetti la posizione dello ZO., al riguardo, non differiva da quella degli altri componenti del CdA che lo stesso primo giudice aveva ritenuto fossero rimasti all'oscuro del fenomeno del capitale finanziato (ivi compreso il coimputato ZI., assolto nonostante avesse compiuto, con la propria finanziaria, un paio di operazioni "baciate"). Sul punto, l'appellante ha richiamato plurime deposizioni testimoniali dalle quali emergeva il difetto di tale consapevolezza da parte dei componenti del consiglio, oltre alla importante conversazione telefonica del 28.8.2015, intercorsa tra il coimputato MA. e il responsabile audit Bo., nel corso della quale, al tentativo di quest'ultimo di indurre l'interlocutore a formulare un "atto di accusa" a carico dello ZO., all'evidente scopo di farne una sorta di capro espiatorio di quanto, oramai, andava inequivocabilmente emergendo, il MA. aveva ribattuto sostenendo di non avere fatto il nome del presidente in quanto il direttore generale So. non glielo aveva indicato espressamente come soggetto a conoscenza del fenomeno (ma si era limitato, come suo solito, a sostenere che aveva informato "chi di dovere") e, inoltre, aveva ribadito più volte che mai si era parlato "di baciate", alla sua presenza, con il presidente. Quanto, poi, alla svalutazione del titolo B. nell'aprile del 2015 da 62,50 a 48 euro, si era trattato, come palesato dal tenore di specifiche deposizioni testimoniali, di una decisione in relazione alla quale l'imputato aveva operato nel rispetto delle indicazioni fornitegli dagli organi preposti alla valutazione del titolo e, segnatamente, dall'esperto indipendente prof. Bi. (e, questo, nonostante lo stesso imputato ed i membri della sua famiglia fossero tra i principali azionisti della banca), mentre era stato il So. ad esprimere contrarietà alla svalutazione. In ordine alla predisposizione della "task-force", istituita con delibera del CdA del 28.4.2015, destinata a fronteggiare i problemi sorti con gli azionisti per effetto della svalutazione del titolo e ad affrontare la questione dei finanziamenti correlati, l'imputato era rimasto del tutto estraneo alla relativa iniziativa, in quanto, a partire dal mese di aprile, era stato di fatto esautorato da ogni ruolo nella banca, mentre l'unico dominus delle scelte gestionali ed imprenditoriali era l'amministratore delegato So., tanto che l'incontro dello stesso ZO. con il professionista esterno, avv. Ge., era stato solo fugace e formale. La prima conversazione telefonica intercorsa tra i due, del resto, aveva avuto luogo solo il 7 maggio 2015, al momento della cessazione dell'incarico, quando oramai le risultanze BCE erano emerse. Inoltre, con specifico riferimento alla scoperta delle lettere di garanzia, alla criticità dei fondi lussemburghesi ed alle risposte alle richieste degli ispettori BCE, l'appellante ha evidenziato che ZO., appena venuto a conoscenza dei primi esiti dell'ispezione, non aveva frapposto alcun ostacolo, ma si era attivato affinché la dirigenza fornisse piena collaborazione agli ispettori medesimi, tanto che a costoro erano state consegnate le lettere di impegno solo a seguito dell'intervento dell'imputato. Illuminanti, sul punto, erano le deposizioni degli ispettori Ga. e Ma., là dove il primo aveva riferito che l'imputato aveva dichiarato che la reazione dello ZO. era stata quella di sorpresa per l'entità del fenomeno in esame ed il secondo aveva precisato che le lettere di impegno erano state consegnate solo dopo l'intervento dello ZO. (il quale, peraltro, ad avviso del teste, non aveva colto appieno l'importanza del fenomeno del capitale finanziato, avendo manifestato preoccupazione soprattutto con riferimento al tema dei fondi di investimento e delle lettere di garanzia). Anche le deposizioni dei testi An., So., Co. e Fa., del resto, andavano nella medesima direzione, ovverosia deponevano nel senso della mancata consapevolezza, da parte del presidente, dei fenomeni illeciti (capitale finanziato/lettere di garanzia/fondi lussemburghesi). In relazione alle dimissioni dell'amministratore delegato So. poi, non si era affatto trattato di decisione adottata dal presidente per assicurare un commodus discessus al predetto onde garantirsi un "salvacondotto" a fronte dell'attività di accertamento della squadra ispettiva BCE. In effetti, non solo il tribunale non aveva considerato che i soli soggetti che avevano ottenuto dalla BCE tale "salvacondotto", tanto da essere rimasti estranei al procedimento, erano stati i veri responsabili delle irregolarità emerse (e, segnatamente, da un lato, i preposti ai controlli interni, i quali avevano violato tutti i doveri loro imposti dal ruolo ricoperto, nonché, dall'altro lato, i dirigenti/funzionari che avevano compiuto le "operazioni baciate"), ma aveva anche di fatto ignorato che ZO. mai aveva fatto ricorso ad un finanziamento per l'acquisto di azioni dell'istituto. In ogni caso, la velocità della "sostituzione" del So. era stata imposta dalla BCE che aveva sollecitato una immediata discontinuità nella gestione dell'istituto di credito, come puntualmente dichiarato dallo stesso ZO. in sede di dichiarazioni spontanee (udienza 25.6.2020) e come confermato da specifiche deposizioni testimoniali, in primis quella dell'ispettore Ma., il quale aveva riferito che la scelta di allontanare l'amministratore delegato era ascrivibile proprio alla BCE. Quanto, poi, al compenso milionario riconosciuto al So., le condizioni economiche assicurate a quest'ultimo nell'accordo - condizioni delle quali, peraltro, si erano esclusivamente occupati i dirigenti Ca. e Va. - erano state regolarmente comunicate alla BCE senza che ne derivassero obiezioni di sorta (se non la precisazione che il compenso avrebbe dovuto essere pagato in parte in azioni e, comunque, differito nel tempo). Del resto, la riferibilità alla BCE dell'avvicendamento dei vertici operativi era stata confermata, nel corso del proprio esame, anche dal coimputato GI. (sia pure con riferimento alla posizione del medesimo dichiarante). Infine, il tribunale neppure aveva considerato adeguatamente, per un verso, che ZO., prima di definire l'accordo di risoluzione del rapporto con il So., aveva contattato tutti i membri del CdA, in taluni casi incontrandoli personalmente (tanto che proprio lo ZI. - unico tra i consiglieri - aveva potuto manifestare le proprie perplessità, orientandosi nel senso del licenziamento); e, per altro verso, che la velocità e la spontaneità dell'avvicendamento erano funzionali a limitare il danno reputazionale per la banca. Anzi, lo ZO. non si era successivamente opposto all'iniziativa adottata dall'amministratore Io. di presentare un'istanza di sequestro delle somme pagate al So. ed aveva finanche promosso una azione giudiziaria verso quest'ultimo, obiettivamente incompatibile con l'intenzione di "comprarne il silenzio". Quanto, infine, alla condotta tenuta, negli ultimi mesi di presidenza, dall'imputato, quest'ultimo - il quale, peraltro, unitamente al CdA, già nei primi giorni di agosto 2015 (e, quindi, un anno prima dell'analoga iniziativa di Banca d'Italia) aveva dato incarico di presentare una denunzia presso la Procura della Repubblica di Vicenza - non aveva minimamente ostacolato gli accertamenti interni, lasciando al nuovo amministratore Iorio ogni compito inerente alle verifiche ed alle segnalazioni all'autorità giudiziaria. In definitiva, il primo giudice aveva omesso di considerare numerosi elementi probatori che, in relazione a plurimi e certamente significativi profili della vicenda, deponevano per l'estraneità dell'imputato alla concreta operatività della banca e, in particolare, alle condotte delittuose oggetto di addebito. Ciò posto, l'appello ha censurato la sentenza impugnata anche in relazione alle conclusioni cui era pervenuta in ordine alle caratteristiche del capitale finanziato. In effetti, il primo giudice si era totalmente adagiato sulla ricostruzione del fenomeno in esame siccome effettuata dai consulenti del P.M., giungendo alla conseguente conclusione che un sistema tanto pervasivo non avrebbe potuto essere ignorato dallo ZO. (sebbene, sempre secondo il tribunale, tutti gli altri membri del CdA, ivi compresi quelli che avevano effettuato, attraverso le società di riferimento, operazioni "baciate", fossero rimasti all'oscuro del fenomeno in esame). In realtà, il quadro rivelato dall'istruttoria dibattimentale era ben diverso. Innanzitutto, dalla deposizione del teste Gr. (amministratore delegato dell'istituto tra il 2001 e il 2011) era emerso, da un lato, che, nel suddetto periodo, i fisiologici problemi di liquidità "stagionale" delle azioni erano usualmente risolti mediante la richiesta di acquisti da parte di altre banche popolari, sulla base di intese che non prevedevano obblighi di riacquisto, se non "morali"; dall'altro, che si trattava di questioni rispetto alle quali ZO. - limitatosi costantemente a svolgere un ruolo istituzionale o, tutt'al più, strategico - non aveva concretamente operato. Ulteriori deposizioni testimoniali, poi, avevano consentito di attribuire solo alla persona del d.g. So. la decisione, occasionalmente adottata a fronte di situazioni specifiche, di ricorrere al finanziamento per l'acquisto di azioni proprie. Si era trattato, segnatamente, delle operazioni "De.Ro." e "Lo.Tr.". In effetti, unicamente a partire dall'anno 2012, a causa del perdurare della crisi mondiale (e, quindi, in un contesto nel quale molti clienti e soci avevano problemi di liquidità, sicché avevano iniziato a vendere in modo consistente azioni della banca), il fenomeno del capitale finanziato, per effetto dell'esclusiva iniziativa di So., aveva subito un incremento, con l'avvio di una pressione sulla rete commerciale della banca per il collocamento delle azioni medesime. D'altronde, sul punto, lo stesso coimputato GI., al di là della generica chiamata in correità di tutti i componenti del CdA della B. e di tutti i dirigenti di vertice, non aveva fornito specifici elementi probatori a carico dello ZO.. In definitiva - ha sostenuto l'appellante - tanto la genesi del fenomeno, quanto la sua successiva gestione, erano imputabili a decisioni operative facenti capo al predetto Sa.So.. Inoltre, il tribunale, pur in presenza delle marcate divergenze ravvisabili tra gli esiti degli elaborati predisposti, rispettivamente, dai consulenti del P.M. e della difesa, in ordine all'entità ed alle caratteristiche del fenomeno del capitale finanziato, per un verso aveva respinto la richiesta di perizia sul punto (peraltro motivando il rigetto unicamente con riferimento al profilo dell'entità di detto fenomeno); e, per altro verso, si era supinamente allineato alle conclusioni dei cc.tt. del P.M. (sostenendo, al riguardo, che la relazione del consulente della difesa prof. Gualtieri non aveva proposto una quantificazione alternativa del fenomeno in esame, senza tenere conto del fatto che era stata proprio l'assenza di prove disponibili circa la natura correlata o meno di talune operazioni ad avere impedito tale quantificazione alternativa). A tale riguardo, innanzitutto, il difensore ha evidenziato l'errore nel quale era caduto il tribunale, alla luce della disciplina (circolare 263/2006 di Banca d'Italia) vigente all'epoca di gran parte delle operazioni "incriminate", nell'escludere che la sussistenza del nesso teleologico tra finanziamento ed acquisto delle azioni costituisse dato rilevante per l'individuazione delle operazioni di capitale finanziato. Trattavasi, al contrario, di elemento all'uopo essenziale, non potendosi a tal fine unicamente considerare il fattore rappresentato dalla coincidenza temporale tra i due negozi, pena un automatico obbligo di deduzione dal capitale di vigilanza privo di effettivo ancoraggio normativo. Parimenti errata, poi, era la conclusione secondo la quale l'obbligo di deduzione avrebbe operato tanto con riferimento alle operazioni di acquisto di azioni dell'istituto di credito in sede di aumento di capitale quanto all'atto di acquisto di dette azioni sul mercato secondario. In realtà, poiché solo gli acquisti del primo tipo generavano, a carico della banca, un rischio di impresi; era solo a detti acquisti che conseguiva l'obbligo di deduzione. Che, poi, la disciplina di riferimento nulla precisasse sul punto, come pure evidenziato dal tribunale, derivava dall'ovvietà della circostanza. Né potevano confondersi, in ragione della diversa ratio economica di riferimento, i finanziamenti erogati in vista dell'aumento di capitale con quelli erogati per l'acquisto di azioni già emesse, con l'effetto che, proprio in ragione di tale differenza, solo i primi facevano scattare l'obbligo di deduzione dal capitale di vigilanza. Del resto, un esplicito ancoraggio normativo a tale interpretazione poteva ravvisarsi nella disposizione di cui all'art. 28 CRR, dalla quale era possibile evincere che gli strumenti rilevanti ai fini del CET 1 erano quelli interamente liberati e non finanziati dall'ente che li aveva emessi. Nella prospettiva dell'appellante, infatti, gli unici casi nei quali gli acquisti di azioni sul secondario comportavano l'obbligo di deduzione erano - come, peraltro, ben spiegato dal consulente prof. Gu. - quelli rispetto ai quali la banca si era assunta un obbligo di acquisto ad un dato valore nominale, ovvero che erano stati effettuati, a seguito di finanziamento, da clienti privi di merito creditizio. Questo proprio perché, in entrambi i suddetti casi, la banca finiva per assumere in proprio il relativo rischio di impresa. Ulteriore seria imprecisione nella quale era incorso il primo giudice, poi, era ravvisabile nel passaggio della motivazione nel quale era stato escluso che il merito creditizio assumesse rilievo ai fini della computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza. In effetti, ciò era vero esclusivamente con riferimento alle azioni di nuova emissione. Infine, il giudizio del tribunale era stato ulteriormente viziato dalla confusione tra le pratiche di sviluppo commerciale tipico delle società cooperative ed il fenomeno del capitale finanziato. A ben vedere, infatti, la proposta ai clienti di diventare soci attraverso l'acquisto del pacchetto azionario minimo poteva essere legittima o meno a seconda della prospettazione di vantaggi ovvero dell'adozione di modalità ricattatorie incidenti sulla conclusione del negozio (quali, ad esempio, il subordinare la concessione del finanziamento alla previa acquisizione dei titoli). Tuttavia, le modalità eventualmente illegittime adottate nella vendita dei titoli non avrebbero per ciò solo reso "finanziata" una operazione che non aveva le caratteristiche per la deduzione. In definitiva il primo giudice aveva sbrigativamente liquidato le argomentate conclusioni del prof. Gu., giungendo ad esiti errati con specifico riferimento al grado di diffusione delle operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni. Ciò era dipeso dai vizi metodologici che avevano caratterizzato la consulenza disposta dal p.m., poi integralmente accolta dal tribunale. Quindi, l'atto di appello ha passato in rassegna le risultanze probatorie inerenti alle vicende, individuate secondo il "campione" (necessariamente parziale) selezionato dalla pubblica accusa e ritenute dal tribunale significative della conoscenza da parte dello ZO. del fenomeno del capitale finanziato e del ruolo concretamente rivestito, in proposito, dal predetto imputato. E, a tale disamina, il difensore ha premesso l'avvertenza che tutti i clienti coinvolti nelle operazioni "baciate", avendo subito perdite milionarie in ragione dell'azzeramento del valore del titolo, avevano reso deposizioni che ponevano non trascurabili problemi di piena attendibilità, sotto il profilo del disinteresse alla esatta ricostruzione dei fatti, e che, ciononostante, avevano fornito contributi testimoniali dai quali si ricavava l'estraneità dell'imputato ai fatti sub iudice. In particolare, il difensore ha rievocato la deposizione dell'industriale Al.Fe., il quale - nonostante avesse contratto operazioni "baciate" per circa 18 milioni e ad onta del suo incarico presso il CdA di Servizi Bancari - mai aveva riferito di avere parlato delle operazioni in questione con ZO. (e neppure con il presidente del Collegio Sindacale, Za.). Analoghe considerazioni, poi, valevano per le deposizioni rese da Ca. Em., Br.Ca., Bo.Lo., Ca.Pi. (nonostante questi avesse concluso operazioni "baciate" per venti milioni di euro), Fa.An. (il quale, sebbene non avesse concluso operazioni "baciate", aveva investito somme consistenti nelle azioni della banca), Fe.Lu., Bu.Sa., D.Fr.Ma., Da.Vi.Pi., Va.Lu., Ro.Gi. (il quale, pur avendo sostenuto che il presidente avrebbe dovuto necessariamente essere al corrente della questione, aveva tuttavia escluso di avere parlato di tale questione espressamente con il medesimo presidente o comunque, aveva precisato di non serbarne memoria), Br.Fa., Ta.Ed., Fa.Al., Ri.Fr., De.Ch.Re., Co.Il., Ti.Da., Ti.An., Ma.Si., Tr.Al., Se.Al., To.En., Ba.Al.Te., Se.Cl.. Altrettanto doveva dirsi, poi, con riferimento a quanto dichiarato da Ma.Va., amministratore del gruppo So., il quale aveva trattato una importante operazione esclusivamente con il d.g. So. (e con An.Pi. della Divisione Finanza), Infine, quanto alla deposizione di Ca.Si., il difensore ha evidenziato come costui, dopo avere sostenuto in sede di indagini che, allorquando aveva manifestato perplessità sull'operazione, il funzionario della banca che gli aveva proposto tale operazione aveva replicato che "Gi. e De.Fr." gli avrebbero potuto adeguatamente illustrare, in occasione di una cena, i dettagli dell'operazione, in sede dibattimentale aveva poi mutato versione individuando nello ZO. il soggetto che, secondo il medesimo funzionario, gli avrebbe potuto chiarire i termini della questione onde rassicurarlo. Si era in presenza, ad avviso del difensore, di una testimonianza davvero sintomatica dell'"inquinamento" della genuinità delle deposizioni conseguente ad anni di clamore mediatico in ordine alla posizione di "padre padrone" della banca che i media avevano attribuito allo ZO.. A ben vedere, dalle citate deposizioni testimoniali era emerso che mai l'imputato aveva intrattenuto rapporti con i clienti (tranne in qualche occasione di rappresentanza, ovvero istituzionale) e che, in ogni caso, mai con costoro aveva trattato (e ancora meno concluso) operazioni "baciate". Infatti, neppure nel corso delle occasioni di contatto conviviale (ivi comprese le cene organizzate da Lo.Tr.) ZO. aveva affrontato il tema delle operazioni "baciate". Ciò emergeva dalle deposizioni rese dai testi Mo., Lo.Tr., Ra.Gi.. Perfino un teste ostile come Lo.Da. era stato costretto a riconoscere che mai aveva avuto colloqui con l'imputato in merito alle "baciate", mentre il teste Ra. Silvano aveva unicamente riferito di rassicurazioni generiche fornitegli dallo ZO. a fronte di richieste formulate dallo stesso teste in termini altrettanto vaghi. Inoltre, anche le testimonianze degli "amici" dell'imputato deponevano tutt'altro che a sfavore di quest'ultimo, posto che: - Ca.Re. - cfr. anche deposizione Am. - aveva bensì goduto di tassi di favore, ma non aveva trattato la questione con l'imputato e, in ogni caso, non aveva concluso operazioni "baciate"; - Ri.Fe. aveva reso dichiarazioni assolutamente generiche; - Ir.Do. e, in particolare, il di lei figlio, Ha.Mi., non avevano trattato di operazioni "baciate" con ZO., bensì con altri interlocutori; - Ra.Fo.Fe., a sua volta, non aveva affrontato il tema delle "baciate" con l'imputato; - Be.de.Pa., il quale aveva parimenti affermato di non avere parlato delle "baciate" con ZO., non poteva ritenersi smentito dai testi Gi. e Ba., posto che l'affermazione in tal senso del primo giudice era sfornita di qualsivoglia apparato motivazionale di sostegno. Si aggiunga che, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, né ZO., né le società del gruppo e neppure i familiari del predetto avevano mai concluso operazioni "baciate", fatta eccezione per il cognato dell'imputato, Zu.Fr., il quale, tuttavia, nelle dichiarazioni rese ex art. 391 bis co.2 c.p.p., acquisite al fascicolo del dibattimento, aveva precisato che mai ne aveva parlato con il proprio affine. La stessa "vicenda Ma." (vicenda che, trascurata in sentenza, è stata invece dettagliatamente ripercorsa nell'atto di appello) avrebbe dovuto ritenersi sintomatica, nella sua assoluta inverosimiglianza, del vero e proprio accanimento della pubblica accusa nella ricerca di elementi di responsabilità a carico dell'imputato. Neppure dalle dichiarazioni rese dai funzionari e dirigenti B. - ha proseguito l'appellante - era possibile desumere che ZO. fosse consapevole dell'esistenza del capitale finanziato. Nessuno di costoro, infatti, aveva avuto con l'imputato colloqui inerenti al fenomeno in esame, né aveva appreso da altri colleghi di conversazioni aventi tale oggetto alle quali avesse preso parte il presidente dell'istituto. Così era con riferimento alla deposizione del private banker Ri., dalla quale era peraltro emerso il rapporto di assoluta sudditanza tra il responsabile dell'audit Bo. ed il d.g. So.; così con riferimento alle deposizioni di Gi., dapprima responsabile della più importante area di B. e poi direttore interregionale; così, ancora, in relazione ai contributi dichiarativi: di Tu., direttore regionale (il quale aveva escluso che il coimputato GI. avesse mai parlato del fenomeno in esame allo ZO.), di To., vicedirettore e, quindi, direttore generale area Toscana, di Pa. (responsabile ufficio legale B.), di Ro., responsabile della Direzione Sviluppo, di Cu., capo area Friuli, di Ba., capo area Vicenza sud-ovest, di Te., private area Bassano, di Veronese, capo area Castelfranco e direttore regionale, di Ca., capo, area Treviso, di Da., capo area Vicenza nord, di Pi., direttore area Prato e, successivamente, direttore Veneto occidentale, di Bo., capo area Vicenza, di Ip., responsabile area Brescia, di Gi., di Ma., responsabile corporate Vicenza sud ovest, di Si., responsabile zona Th. e Sc., di Ni., capo zona Bassano, di Pr., capo area province Padova e Rovigo, di Ro., responsabile Ufficio Soci, di Be., viceresponsabile di area, di St., gestore di patrimoni private, di Sa., responsabile divisione estero, di Me., direttore della filiale di Asti, di Ta., direttore private e affluent; così, infine, in relazione alle deposizioni: di Pa. (deposizione pure valorizzata dal tribunale per sostenere il pervasivo controllo del presidente anche sull'operatività spicciola" e, segnatamente, in tema di campagne pubblicitarie); di Gi., direttore regionale di Lombardia, Piemonte e Liguria (il quale, con specifico riferimento alle operazioni "baciate" effettuate da Be.de.Pa., aveva bensì sostenuto che quest'ultimo ne avesse parlato con lo ZO., ma aveva precisato che il medesimo teste, personalmente, non aveva affrontato la questione con l'imputato) e di Ba.. Neanche dalle dichiarazioni dei soggetti addetti agli organi di controllo interno, ovvero dai membri dell'alta direzione (segnatamente, i coimputati), erano emersi elementi ai quali ancorare fondatamente l'affermazione della conoscenza, da parte dello ZO., del capitale finanziato. Quanto ai primi, l'appello ha richiamato le deposizioni del membro del Collegio Sindacale Za., nonché dei consiglieri di amministrazione Do., Co., Ro.di.Sc. e Ti., del vicepresidente Mo. e di Mi.. Quanto ai secondi il riferimento è stato all'esame reso, sul punto, dal coimputato ZI., il quale, per un verso, aveva decisamente escluso che in CdA fosse mai stato affrontato il tema in esame e che ZO. fruisse di un flusso informativo differenziato rispetto a quello degli altri consiglieri; per altro verso, con riferimento all'"operazione Ze.", aveva specificamente riferito che non si era parlato con ZO. di finanziamento correlato; e, per altro verso ancora, aveva evidenziato come l'imputato, a decorrere dagli anni 2012-2013, non avesse più avuto un'idea precisa dei conti della banca ed avesse maturato l'intenzione di dimettersi dalla presidenza nel 2016, in occasione dei 150 anni di vita dell'istituto. Peraltro, anche l'intercettazione del colloquio ZI.-Bo. del 25.8.2015 (inerente all'azione di responsabilità avviata dall'istituto nei confronti del d.g, So.) confermava il tenore delle dichiarazioni rese, con riferimento allo ZO., dal coimputato ZI.. Inoltre, ad essere valorizzate dall'appellante erano anche le deposizioni dei coimputati PI. e PE., oltre al tenore dell'intercettazione dei colloqui intercorsi tra il coimputato MA. e, rispettivamente, i funzionari Bo. (intercettazione nr. 259 del 28.8.2015) e Cu. (intercettazione nr. 526 del 9.9.2015), trattandosi di conversazioni dalle quali era stato possibile apprendere che tanto MA. quanto il Cu. non avevano mai affrontato con il presidente il tema delle operazioni "baciate". Quindi, con specifico riferimento alle dichiarazioni del GI. -dall'appellante qualificato come il vero e proprio dominus" fin dalle origini, di tutte le operazioni "baciate" - il difensore ha evidenziato come la generalizzata chiamata in correità formulata dal predetto (peraltro non accreditata di attendibilità in sentenza, se non con riferimento alla posizione dello ZO.) fosse stata smentita dai dati processuali disponibili e, segnatamente: - dal documento nr. 857 del P.M., costituito da un appunto manoscritto proveniente dallo stesso ZO., intitolato "dichiarazioni Gi." e contenente il riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati, documento dal quale era possibile arguire, sul piano logico, che l'imputato aveva appreso dell'esistenza di tale fenomeno solo allorquando, in data 4.5.2015, aveva raccolto le dichiarazioni del predetto GI.; - dalla deposizione resa il 3.7.2019 dal teste Tu., vice di GI.; - dall'intercettazione del colloquio intercorso tra La.Pi., membro del collegio sindacale, ed il medesimo GI., il quale ultimo neppure in un contesto di espliciti riferimenti ed ammissioni in ordine alle irregolarità degli storni e delle lettere di garanzia aveva coinvolto il presidente in dette irregolarità. Di analogo tenore, poi, era anche la conversazione nr. 2261, relativa al colloquio GI.-ZI. del 24 settembre 2015, trattandosi di colloquio dal quale emergeva che nessuno era a conoscenza dell'entità del fenomeno." D'altronde, nessun esplicito/implicito riferimento al tema delle operazioni "baciate" era contenuto in oltre 2000 ore di registrazione delle riunioni del CdA. In definitiva, il tribunale aveva ritenuto ZO. consapevole dell'esistenza del fenomeno del capitale finanziato pur in presenza di una sequela di testimoni che avevano deposto in senso contrario. Infatti, oltre un centinaio di testi erano stati escussi e pressoché tutti avevano concordemente affermato l'estraneità dell'imputato rispetto a tale fenomeno. Né, del resto, il giudice di prime cure aveva speso considerazioni di sorta per dimostrare la conoscenza in capo all'imputato della criticità dei fondi lussemburghesi, ovvero della presenza delle lettere di garanzia e degli storni, ovvero ancora degli interessi riconosciuti ai clienti che concludevano operazioni "baciate". Ma anche l'argomento, sostanzialmente unico, speso dal primo giudice a sostegno dell'affermazione di responsabilità - ovverosia il ruolo di vertice ricoperto dall'imputato all'interno dell'istituto di credito, in modo "pervasivo", secondo un modello "autocratico" e con una "logica padronale" - appariva obiettivamente infondato. Innanzitutto, non era affatto vero che ZO. avesse pilotato le decisioni degli esponenti di vertice dell'istituto (a partire dal d.g. So., fino ai membri del Collegio Sindacale e dei CdA), essendosi in presenza di interlocutori (imprenditori e professionisti) con competenze tecniche non certo inferiori a quella del presidente. Peraltro, l'istituto operava affidandosi al lavoro di tecnici esperti (era il caso, ad esempio, del prof. Bi.). Né persuadeva la valorizzazione, in chiave accusatoria, del fatto che le decisioni del CdA fossero assunte all'unanimità. In ogni caso, occorreva tenere distinto il piano della scelta "dello staff" e delle opzioni strategiche, inerenti alla politica di espansione della banca, da quello delle modalità tecniche di attuazione di tale "indirizzo politico". In effetti, l'imputato trascorreva pochissimo tempo presso la sede dell'istituto di credito (cfr. deposizione della teste Ca.Li.) e non conosceva ('"operatività tecnica" della banca (cfr. deposizione del teste Um.Se.). Era bensì temuto - in quanto era colui che "comandava", come riferito dal teste Pa. -ma questo non significava affatto che conoscesse il fenomeno del capitale finanziato. Del resto, l'ingerenza del presidente nella vendita delle azioni non poteva essere desunta dalle dichiarazioni rese, sul punto, dal predetto Pa. (dichiarazioni, peraltro, smentite dal teste di riferimento Ro.), né dai documenti prodotti dal P.M. sub 31 e 321 (trattandosi di documenti sostanzialmente irrilevanti sul punto), ovvero dall'autorizzazione data, dall'imputato alla vendita delle azioni possedute dallo ZI. (trattandosi di un membro del consiglio di amministrazione) e neppure, infine, dall'appunto redatto da So. recante la dizione "Ro. fascicoli procedure" (nulla essendo emerso sull'esatto oggetto della conseguente discussione). In ordine alla gestione della "divisione estero", poi, la deposizione del teste Sa. - il quale aveva riferito che il presidente era solito informarsi sull'andamento economico del settore - non provava certo che ZO. si fosse ingerito nell'attività tecnica della banca. Così come le dichiarazioni rese dall'imputato nella riunione 11.11.2014 in ordine ad un articolo di stampa che aveva messo in dubbio il valore del titolo non assumevano reale rilevanza in chiave accusatoria, in quanto non univocamente sintomatiche della conoscenza del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre, quanto riferito dal teste Gi. - secondo il quale, a fronte delle difficoltà nella vendita delle azioni da parte dei soci che intendevano liberarsene, l'imputato aveva ipotizzato l'intervento della banca a mezzo finanziamenti - avrebbe dovuto essere interpretato non già come l'espressione di un parere favorevole al ricorso ad operazioni "baciate", bensì come una proposta di sostegno finanziario da erogarsi in favore degli stessi soci titolari dei titoli, in attesa della vendita degli stessi. Con riferimento, quindi, ai documenti valorizzati dal tribunale per affermare un ruolo operativo del presidente, l'appellante ha evidenziato; - quanto agli appunti di So. relativi alla riunione di budget 9.12.2011, che si trattava di documento che non dimostrava affatto un ruolo "operativo" del presidente; - quanto al documento 322 della produzione del P.M, che si era in presenza di una e-mail (nella quale il dipendente Ro. si lamentava di essere stato costretto, mentre era in ferie, a contattare il d.g. ed il presidente) parimenti priva di significativo rilievo sul punto; s quanto alla e-mail di cui al documento 320 della produzione del P.M., nella quale si riferiva che il presidente sosteneva "che occorre incrementare il possesso azionario delle Za.", che il reale significato di detta comunicazione era stato successivamente chiarito dal teste Ro. (il quale, sul punto, aveva precisato come Za. fosse un socio che stava a cuore allo ZO. in quanto "socio storico", sicché, in questa prospettiva, le istruzioni impartite dall'imputato perdevano di significato, non attestando affatto che il predetto avesse effettiva contezza dei portafogli delle singole posizioni); - quanto al documento 521 della produzione del P.M., che si trattava di una e-mail relativa ad un intervento di repricing dalla quale emergeva bensì l'esistenza di posizioni di "intoccabili" ma che, per un verso, non era diretta all'imputato e, per altro verso, neppure conteneva riferimenti a quest'ultimo. Allo stesso modo, privo di significativo rilievo in chiave accusatoria era il contenuto della trascrizione della seduta del Comitato di Direzione del 10.11-2014. In effetti i passaggi della suddetta trascrizione inerenti, da un lato, allo svuotamento del fondo azioni proprie attraverso il ricorso alla "Fondazione CR Lucca" e, dall'altro lato, alla circostanza che il presidente ed il d.g., avrebbero di lì a poco avuto un incontro con i rappresentanti di tale istituto, non significavano affatto, tenuto conto dell'esatto tenore delle espressioni nell'occasione proferite, che il suddetto incontro fosse stato fissato in vista dell'investimento, bensì l'esatto contrario. Inoltre, la frase "Il presidente vuole vedere i numeri", proferita da An.Fa. nel corso del medesimo comitato, attestava unicamente l'interesse dell'imputato ad approfondire, con il conforto dei dati, un non meglio precisato aspetto di quanto oggetto di discussione nel corso di tale seduta. Ad avviso dell'appellante anche i rapporti tra ZO. e So. - rapporti ai quali la sentenza aveva pure attribuito ampio risalto, interpretandoli nel senso di uno stretto rapporto di collaborazione tra i due - avrebbero dovuto essere diversamente spiegati. In particolare, nessuna "insana complicità", volta a coprire una operatività illecita, aveva spinto il primo a sostenere la nomina del secondo, nel febbraio del 2015 (ovverosia in un momento di palese criticità per l'istituto), a consigliere delegato, bensì il solo, comprensibile interesse a conferire maggiore autonomia gestionale ad un soggetto apicale nei confronti del quale l'imputato nutriva stima. Peraltro, anche i tre messaggi di cui ai documenti nn.ri 653, 654 e 655, espressamente richiamati m sentenza (e relativi a comunicazioni in cui MA. o GI. avevano sollecitato So. a parlare col presidente di alcune posizioni che sarebbero poi risultate "baciate") potevano essere ragionevolmente intesi come finalizzati a preparare il terreno affinché il presidente nulla avesse da eccepire sulla concessione dei finanziamenti, piuttosto che come espressione di un consapevole coinvolgimento dello ZO. in tali operazioni correlate. La stessa risoluzione del rapporto con il d.g., poi, era stata frutto di una decisione - assunta, peraltro, dopo che era oramai emersa la realtà dei fatti - condivisa dalla dirigenza. Inoltre, la repentinità di tale iniziativa, lungi dal dimostrare una complicità dell'imputato con il direttore generale, era espressione di virtuosa capacità di assicurare la necessaria soluzione di continuità nella gestione dell'istituto, coerentemente con le direttive della BCE. L'inserimento della clausola di riservatezza, infine, rientrava nella prassi ordinaria in situazioni consimili. Le conclusioni cui era pervenuto il tribunale - ha proseguito l'appellante - non trovavano sostegno neppure nelle intercettazioni telefoniche, posto che quella, già sopra citata, relativa al colloquio tra lo ZI. ed il Ba. (nel corso della quale il primo aveva sostenuto che ZO. e il direttore generale "viaggiavano a braccetto") non era altro che espressione della obiettiva sintonia tra i due (come spiegato, del resto, dallo stesso ZI.), ma non provava nulla di più. Quanto, poi, ai colloqui intrattenuti dal So. (nn.ri 459 del 31.8.2015, 300 del 7.9.2015, 610 del 2.9.2015, 845 del 6.9.2015), si trattava di conversazioni che non indicavano affatto che il presidente fosse a conoscenza delle operazioni di capitale finanziato (e, men che meno, della questione, connessa, inerente alla mancata decurtazione dal capitale di vigilanza), potendo, in effetti, prestarsi a differenti interpretazioni e, segnatamente, legittimando la conclusione di una ben più generica conoscenza dei fatti. Questo, a fortiori, ove si fosse debitamente considerato che il predetto So., nel periodo di riferimento (da collocarsi in una fase in cui gli accertamenti BCE avevano oramai portato alla luce le gravi irregolarità gestionali), aveva un evidente interesse a sminuire il proprio ruolo e a sovradimensionare quello dello ZO.. Inoltre, l'appellante ha preso in considerazione tutti i rapporti con la clientela considerati dal primo giudice espressione del coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni correlate. Ebbene, anche in questi casi (assai pochi, peraltro in rapporto a quelli, molto più numerosi, in cui i clienti avevano escluso qualsivoglia rapporto con il presidente), le deposizioni degli investitori non provavano in alcun modo la responsabilità dell'imputato: - così era per Ca., il quale, del resto, aveva impiegato fondi propri per l'acquisto delle azioni; - così per Pi., posto che costui, pur avendo riferito di avere parlato con ZO. dei finanziamenti ricevuti per l'acquisto delle azioni, aveva reso una deposizione contraddittoria (anche alla luce del "memorandum" prodotto in dibattimento e dei documenti dalle difese, che ne smentivano la presenza tra gli ospiti che avevano soggiornato nella residenza dell'imputato di Ca.d.), tenuto peraltro conto delle reali finalità all'origine delle operazioni di acquisto di azioni dell'istituto effettuate dal predetto Pi., finalità non già "di cortesia", bensì speculative; s così per Be.de.Pa., il quale aveva negato di aver parlato col presidente delle sue operazioni di capitale finanziato (mentre le contrarie dichiarazioni de relato rese dal Gi. - espresse, peraltro, in forma dubitativa - erano state smentite, per l'appunto, dal teste di riferimento), - così per le dichiarazioni della Ir., posto che costei aveva riferito che l'imputato l'aveva dirottata sul direttore generale (e che il teste Cu. aveva precisato, al riguardo, che a trattare l'operazione erano stati il GI. ovvero il So.); - così, inoltre, per i fratelli Ra., tenuto conto del tenore generico delle relative deposizioni in ordine alle rassicurazioni ricevute dall'imputato circa l'andamento dei loro investimenti; - così, ancora, per quanto riferito dallo Zu. e dal Ri., essendosi in presenza di dichiarazioni che, a ben vedere, deponevano in termini esattamente contrari alla consapevolezza dell'imputato in ordine al fenomeno del capitale finanziato, - così, infine, per la testimonianza di Ro., in quanto la convinzione da questi maturata in ordine alla conoscenza, in capo allo ZO., dei finanziamenti correlati era frutto di una mera deduzione personale ("io faccio riferimento alia mia azienda, Le responsabilità sono sempre del presidente", "per svolgere il compito di presidente sicuramente avrà dovuto sapere tutto"...) non già di dati concreti aventi reale efficacia probante. Quindi, l'appellante ha rievocato la registrazione del colloquio che aveva avuto luogo, tra GI. e ZO., poco prima dell'inizio del CdA del 18.6.2013, colloquio inerente ai finanziamenti chiesti dall'imprenditore catanese Ri.Co.. Ebbene, che si fosse trattato di una richiesta finalizzata a porre in essere una operazione "baciata" era una conclusione cui il tribunale era pervenuto in assenza di adeguato sostegno probatorio. Infatti, per un verso, le dichiarazioni rese sul punto dal coimputato GI. erano contraddette dalla versione dello ZO., secondo il quale l'invito che lui stesso, nell'occasione di tale colloquio, aveva rivolto al predetto GI. E meglio essere prudenti, poiché chiacchiera, chiacchiera...") non dipendeva affatto dalla natura illecita delle operazioni che interessavano il Co. (operazioni nelle quali, pertanto, non era prudente coinvolgere soggetti delle cui riservatezza non si avevano garanzie), bensì dalla scarsa solidità patrimoniale di tale imprenditore; e, per altro verso, quest'ultimo aveva negato di avere mai affrontato con ZO. il tema dei finanziamenti inerenti all'acquisto di azioni. Questo, senza che la circostanza che dall'agenda dell'imputato risultasse un incontro tra i due potesse provare il contrario, ben potendo le parti avere discusso, nell'occasione di tale contatto, di operazioni diverse da quelle "baciate". Né il tribunale aveva minimamente illustrato le ragioni che lo avevano indotto a privilegiare la lettura dell'evento fornita dal coimputato GI. rispetto a quella proposta dal teste Coffa. Infine, neppure i rapporti tra ZO. e il gestore private Ri. rivestivano un rilievo gravemente indiziente. In effetti, sebbene quest'ultimo fosse stato uno dei maggiori artefici delle "baciate", la circostanza che avesse al contempo gestito il portafogli dell'imputato non provava alcunché. Piuttosto, il fatto che ZO. mai avesse posto in essere operazioni di tale natura (avendo egli sempre acquistato azioni della banca con risorse proprie) deponeva, sul piano logico, in senso contrario. In definitiva, la sentenza era caratterizzata, per un verso, dalla sistematica pretermissione dei dati probatori che orientavano nel senso dell'estraneità dello ZO. ai reati contestati e, per altro verso, dalla eccessiva valorizzazione degli "scarni e vaghi" elementi di prova emersi a carico dell'imputato medesimo. 2.4-3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 4 dell'impugnazione), poi, l'appellante ha censurato l'affermazione di penale le responsabilità sul rilievo dell'assenza di riscontro in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico dei delitti oggetto di addebito. In effetti, la contestazione elevata a carico dello ZO. di avere avallato la prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto delle azioni dell'istituto - contestazione già assai problematica sotto il profilo della tipizzazione del contributo concorsuale asseritamente offerto dall'imputato, sul quale, in effetti, non incombeva alcuna posizione di garanzia attivabile in chiave di concorso omissivo nell'altrui reato - presupponeva la consapevolezza in capo allo stesso ZO. dell'esistenza del fenomeno in esame. Sul punto, il difensore, nel sottolineare, anzitutto, la problematicità della stessa definizione delle operazioni "baciate", a fortiori nel periodo in esame, allorché l'unico riferimento normativo era costituito dalla circolare 263/2006 della Banca d'Italia (circolare che parificava le operazioni di finanziamento effettuate dalla banca per finalità di acquisto di azioni proprie al riacquisto dei titoli), ha precisato che tale riacquisto, sotto il profilo contrattuale, era caratterizzato da un "atto coordinato" tra finanziamento ed acquisto delle azioni. Ebbene, ad avviso del primo giudice, perché scattasse l'obbligo di decurtazione dal patrimonio di garanzia dei finanziamenti concessi ai soci, era sufficiente che vi fosse, tra il credito concesso e l'acquisto dei titoli, una "relazione di tipo oggettivo". Tuttavia, tale conclusione contrastava con la natura propria delle Ba.Co., ovverosia di istituti di credito che frequentemente erogavano finanziamenti a soggetti che erano già soci, oppure lo divenivano contestualmente, con l'ulteriore complicazione conseguente alla stessa fungibilità del denaro (sicché era arduo stabilire, anche nel caso di contiguità cronologica tra finanziamento ed acquisto, se le risorse oggetto del credito erogato dalla banca fossero poi state utilizzate per l'acquisto delle azioni). Di qui - ad avviso dell'appellante - la necessità di ricorrere, per individuare le "operazioni baciate", proprio a quell'ulteriore criterio del "nesso teleologico" che era stato illustrato dal consulente della difesa, prof. Gu.. In effetti, i criteri adottati dagli ispettori BCE e, segnatamente, sia quello cronologico (con l'individuazione di un periodo di riferimento di "tre mesi"), sia quello quantitativo (secondo il quale l'ammontare finanziato avrebbe dovuto essere superiore al sottoscritto), non potevano ritenersi appaganti. In particolare il primo di tali criteri, privo di ancoraggio normativo, era stato stabilito unilateralmente ed in via convenzionale. In ogni caso l'insufficienza di tali parametri era emersa anche nel corso del dibattimento, là dove, per un verso, gli stessi cc.tt. del P.M. avevano evidenziato la necessità dell'esame delle singole posizioni riferibili alla clientela e, per altro verso, l'ispettore Ga. aveva segnalato l'esigenza di analisi dettagliata del conto corrente di ciascun cliente. Ebbene, era proprio la complessità delle operazioni necessarie per la comprensione del fenomeno a rendere inverosimile che il presidente avesse potuto apprendere delle operazioni "baciate" nel corso delle attività del CdA, ovvero dall'esame dei dati dei quali disponeva in virtù della carica ricoperta. Questo, a fortiori, ove si fosse prestata la debita attenzione al fatto che i finanziamenti correlati che avevano caratterizzato l'operatività di B. non erano stati "statici" ma erano spesso cambiati nel tempo in ragione di rimborsi ovvero per altre cause (come segnalato dal teste Tr. all'udienza 5.11.2019 e come evidenziato dallo stesso consulente del P.M. dott. Pa. all'udienza 12.11.2019, là dove questi aveva suggestivamente paragonato l'esito dell'attività di consulenza non già ad una fotografia del fenomeno in esame bensì ad un film che, di tale fenomeno, aveva seguito l'andamento a decorrere dal 30.6.2012 e fino al 31.3.2015). Fatta tale premessa e ulteriormente precisato come, con riferimento alla posizione dei coimputati ZI. e PE., il primo giudice avesse correttamente escluso il coinvolgimento di costoro proprio in considerazione della difficoltà di identificare una "operazione baciata", l'appello ha evidenziato, nell'ordine: - che lo ZO., per un verso, non era affatto dotato di una competenza maggiore di quella propria dello ZI. e, per altro verso, non aveva fruito di informazioni maggiori di quelle a disposizione di tale coimputato, come emerso nel corso dell'istruttoria e come già evidenziato nello stesso atto di impugnazione; - che la prova del dolo, tanto con riferimento alla componente rappresentativa quanto a quella volitiva, non tollerava il ricorso a schemi presuntivi (neppure se "agganciati" a ipotetiche ed indimostrate posizioni di "dominio informativo") e men che meno a "indici di sospetto", pena la trasformazione "della colpa in dolo" e la degradazione "del dolo ad eventualità di dolo", proprio per effetto di una inammissibile semplificazione probatoria; - che, con riferimento al tema della decurtazione dei finanziamenti dal patrimonio di vigilanza, lo scarto tra realtà effettiva e dati patrimoniali contabilizzati costituiva un elemento centrale nella ricostruzione dell'oggetto del dolo; - che era già l'impiego, per alludere alle operazioni "baciate", di una sequela di differenti espressioni ("operazioni baciate", "operazioni correlate", "operazioni K", "big ticket", "operazioni di portage", tanto che "ogni area aveva le sue definizioni come precisato dal teste Ba.) a rendere vago il concetto di riferimento; concetto, peraltro, parimenti indeterminato anche quanto alle modalità di ricostruzione (stante la evidenziata diversità di approcci "criteriologici"); - che, per la prova del dolo in ordine alle comunicazioni che avevano omesso di registrare, decurtandoli, i finanziamenti correlati, non poteva ritenersi sufficiente una generica consapevolezza (peraltro, nella specie, insussistente) del fenomeno in esame, ove non accompagnata anche dalla conoscenza della entità delle relative dimensioni in termini di significatività tali da alterare i valori patrimoniali di bilancio e, a cascata, quelli del titolo B.; - che la peculiare natura di banca popolare dell'istituto vicentino rendeva non agevole la distinzione tra la qualifica di socio e quella di "affidato", specie in assenza di censure da parte degli organi di controllo, tanto che, sotto il primo profilo, era generalmente ritenuto fisiologico che il socio avesse pacchetti azionari, depositasse le proprie liquidità in banca e si facesse anche finanziare dalla banca medesima, sicché disporre di informazioni al riguardo costituiva elemento probatoriamente "neutro" ai finì in esame (donde l'irrilevanza di quanto emerso in ordine alle comunicazioni intercorse tra alcuni soci ed il presidente ZO., anche in occasione delle cene periodiche); - che, tenuto conto della contestazione del reato in forma concorsuale, non erano emersi elementi di sorta per ipotizzare la tesi di un previo concerto tra i diversi coimputati ed ipotetici concorrenti; - che, in ogni caso, una eventuale "vaga conoscenza" della possibilità che fossero state realizzate alcune operazioni irregolari, la mancata decurtazione delle quali non avrebbe determinato significativi scostamenti del Tier 1, ovvero degli altri parametri di bilancio (plurime testimonianze, invero, avevano evidenziato come un minimo di operazioni irregolari sarebbero state tollerate o, comunque, considerate non materialmente rilevanti), non poteva certo equivalere alla rappresentazione (e successiva volizione) del fenomeno in concreto realizzatosi, la prova del dolo richiedendo la rappresentazione e volizione "del fatto storico nella sua globalità" (con 1 conseguente irrilevanza dell'eventuale conoscenza delle operazioni poste in essere dai soli clienti Pi., Da.Ro. o Ro.); - che, d'altra parte, neppure era consentito "compensare" un deficit del momento volitivo con un solido momento rappresentativo In definitiva, per non giungere ad una inaccettabile ed incostituzionale equiparazione tra conoscibilità e conoscenza dell'oggetto del dolo e per evitare, in sostanza, di travestire un rimprovero sostanzialmente colposo sotto le mentite spoglie di un rimprovero doloso, quei "segnali d'allarme" che la giurisprudenza aveva ripetutamente valorizzato quali indicatori tanto della componente rappresentativa quanto della "accettazione del rischio", non solo avrebbero dovuto essere "perspicui e peculiari", ma anche effettivamente percepiti come fattori annunciane un illecito in itinere. Ad essi, poi, si sarebbe dovuto necessariamente accompagnare il momento volitivo. Ebbene, nel caso di specie, i segnali d'allarme che l'imputato ZO. aveva ricevuto erano sostanzialmente gli stessi (difficoltà del mercato secondario; detenzione di azioni proprie da parte dei fondi; segnalazioni del socio Da.Gr. e dell'avv. Es.; articoli di stampa; riacquisti di azioni avvenuti nel 2014) che erano pervenuti agli altri componenti del CdA. Si era trattato, inoltre, di segnali vaghi e non precipui e, ad eccezione della vicenda del dipendente Vi., tutti già a conoscenza dell'autorità di vigilanza che, nondimeno, non aveva colto alcunché del fenomeno del capitale finanziato fino a quando, nel 2015, la BCE non aveva proceduto agli approfondimenti ispettivi. E, in ogni caso, i suddetti "segnali d'allarme" non erano stati percepiti dall'imputato (come, del resto, dagli ispettori di Banca d'Italia, dagli altri consiglieri di amministrazione e dai sindaci) in quanto tali, ovverosia come specifici e precipui. Comunque l'analisi di tutti gli "indicatori sintomatico-probatori" rivelatori del dolo eventuale (siccome indicati dalla giurisprudenza di legittimità nella nota Cass. Pen. Sez. (J., 18 settembre 2014, n. 38343, Thyssenkrupp) conduceva ad escludere che l'imputato fosse stato consapevole sia del fenomeno dei finanziamenti correlati, sia - ed in ogni caso - della sua reale entità. Nulla, comunque, avrebbe consentito di affermare che ZO., se avesse avuto certezza della irregolarità della situazione, avrebbe agito in un determinato modo (secondo la verifica controfattuale riconducibile alla c.d. "prima formula di Frank"), ovverosia avrebbe "avallato" la prassi in questione; prassi, del resto, che indeboliva il patrimonio della popolare e che, pertanto, andava in direzione esattamente opposta rispetto all'obiettivo di rafforzamento dell'istituto tenacemente perseguito dal presidente. E, sul punto, l'appellante ha richiamato la pronunzia delle SSUU 26.11.2009, Nocera, in ordine all'atteggiarsi del dolo eventuale nella fattispecie di ricettazione, per evidenziare la necessità, ai fini dell'affermazione della responsabilità penale dello ZO., della conoscenza, da parte del predetto, tanto della effettiva natura quanto della portata del fenomeno delle operazioni "baciate", non essendo all'uopo sufficiente un mero stato di dubbio ovvero di sospetto. Di qui la richiesta di assoluzione per assenza dell'elemento soggettivo dei reati, in difetto di adeguata prova sul punto. 2.4.4 Con il quarto motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi 5 e 6 dell'impugnazione), l'appellante, in via subordinata, ha censurato l'incongruità del trattamento sanzionatorio. Innanzitutto, la pena irrogata allo ZO. era stata determinata in misura superiore rispetto a quella inflitta ai coimputati sulla base di quella inesistente posizione di assoluta egemonia all'interno della struttura di vertice dell'istituto di credito che, fondata esclusivamente sulla vox populi, aveva invece costantemente scandito le argomentazioni del tribunale, pur in difetto di ogni reale riscontro alla stregua degli esiti dell'istruttoria dibattimentale. Peraltro, si trattava di una dosimetria sanzionatoria configgente con la semplice considerazione del ruolo dallo stesso primo giudice attribuito allo ZO. nella vicenda delittuosa in esame, essendosi egli, anche nella prospettiva del tribunale, limitato ad avallare una prassi da altri ideata ed attuata. Sul punto, l'appellante ha infatti ribadito come l'imputato si fosse limitato a svolgere funzioni strategiche e di rappresentanza, astenendosi dal partecipare ai comitati esecutivi e a quelli di direzione, non avesse rilasciato alcuna lettera di garanzia e fosse anche rimasto del tutto estraneo alla vicenda dei fondi lussemburghesi. Anche sotto il profilo dell'intensità del dolo, poi, fi trattamento sanzionatorio non trovava alcuna giustificazione, solo a considerare che l'imputato aveva investito, negli aumenti di capitale dell'istituto, un patrimonio personale di più di venti milioni di euro, peraltro senza mai ricorrere ai finanziamenti della banca. In ogni caso, l'incongruità della pena inflitta era palese ove confrontata con quelle irrogate ai coimputati e, in particolare, al GI., il cui ruolo centrale nell'operatività delittuosa era stato pure espressamente evidenziato dallo stesso tribunale. In definitiva, tutti i parametri ex art. 133 c.p. (e, segnatamente, quelli inerenti alle modalità dell'azione, alla capacità a delinquere, ai motivi a delinquere, alla assenza di precedenti penali, alla condotta di vita antecedente e successiva al reato, al comportamento processuale ed alle condizioni di vita individuale, familiare e sociale) avrebbero dovuto univocamente orientare per il contenimento della pena al minimo, anche con riferimento agli aumenti irrogati a titolo di continuazione per i reati considerati satelliti. Peraltro, a tale ultimo riguardo (ovverosia quello inerente alla pluralità degli addebiti), l'appellante ha lamentato la violazione del divieto di bis in idem sostanziale e del principio del nemo tenetur se detegere. Ciò in quanto, per un verso, le diverse contestazioni (tanto con riferimento alle condotte di ostacolo alla vigilanza quanto a quelle di aggiotaggio) apparivano in realtà riconducibili ad un unico reato; e, peraltro verso, la consumazione della prima condotta di ostacolo alla vigilanza contestata sub B1 avrebbe necessariamente implicato le successive condotte delittuose, pena l'autoincriminazione per tali ulteriori reati. Sotto il primo profilo, infatti, l'informazione taciuta, ovvero falsata, era stata sempre la medesima (ovverosia l'esistenza di finanziamenti correlati che avrebbero comportato lo scomputo del relativo controvalore dal patrimonio di vigilanza), donde la configurabilità, con riferimento all'ipotesi delittuosa ex art. 2638 c.c., pur a fronte di una pluralità di condotte, di un unico reato (analogamente, del resto, a quanto previsto dalle fattispecie di cui agli artt. 513 bis, 609 octies c.p., parimenti caratterizzate dalla considerazione di una pluralità di "atti", rispettivamente, di concorrenza illecita e di aggressione sessuale). Avrebbe dovuto orientare in tal senso una interpretazione conforme ai principi costituzionali di proporzionalità della pena, a fortiori considerato che, nel caso di specie, erano riscontrabili tanto l'identità dei titolari degli interessi lesi dalle condotte contestate quanto la "unicità della spinta motivazionale". Peraltro, nella peculiare vicenda sub iudice, si era in presenza di una triplicazione di fattispecie a fronte di un identico nucleo fattuale di riferimento, consistente nel supposto occultamento del fenomeno delle operazioni "baciate" e nella conseguente alterazione dei dati patrimoniali, nucleo dal quale erano in effetti scaturite tanto le condotte di alterazione del prezzo dell'azione, quanto quelle di falsità in prospetto, quanto, infine, quelle di ostacolo alla vigilanza. Ebbene, il divieto di bis in idem sostanziale, finalizzato ad evitare eccedenze sanzionatone irrispettose del principio di proporzionalità della pena (divieto la cui portata sostanziale era stata recepita, nel solco delle pronunzie della Corte Edu e delia Corte di Giustizia Ue, anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza 43/18), avrebbe imposto, in ragione della sovrapponibilità fattuale delle imputazioni, l'esclusione del concorso dei reati, segnatamente facendo applicazione del principio di consunzione, con conseguente "sopravvivenza" della sola fattispecie di ostacolo alla vigilanza, più grave in ragione della contestazione della relativa aggravante di cui al terzo comma della disposizione incriminatrice di riferimento. Tale soluzione, del resto, sarebbe stata anche coerente con la doverosa considerazione del richiamato principio del nemo tenetur se detegere, rispetto al quale non poteva condividersi quanto sostenuto dal tribunale in ordine alla sua portata sostanzialmente limitata all'ambito processuale. In particolare, sul punto, per contestare la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva affermato che il principio in esame non avrebbe potuto trovare applicazione al di fuori dei casi previsti ex art. 384 c.p., l'appellante ha richiamato la sentenza della Corte di giustizia UE 24.2.2021 (là dove era stato riconosciuto, in conformità con i principi di cui agli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, il diritto al silenzio di chi fosse stato richiesto dall'autorità amministrativa di fornire notizie che avrebbero potuto esporlo a sanzioni penali), nonché la sentenza della Corte Costituzionale n. 112/19. 2.4-5 Infine, con il quinto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 7 dell'impugnazione), l'appellante ha censurato la violazione della disciplina in materia di confisca. In primo luogo, premesso che il tribunale aveva disposto la confisca per equivalente per un ammontare pari all'entità dei finanziamenti erogati per le operazioni "baciate" (considerando tali finanziamenti come i "beni utilizzati per commettere il reato", alla stregua della lettera dell'art. 2641 c.c. e delle considerazioni svolte, sul punto, dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza 112/19), l'appellante ha anzitutto censurato la decisione impugnata per la mancata previa verifica della concreta praticabilità della confisca diretta. In effetti, le considerazioni svolte dal primo giudice - là dove il tribunale aveva argomentato detta impossibilità sul rilievo della sottoposizione dell'istituto di credito a liquidazione coatta amministrativa -non trovavano affatto il conforto della univoca giurisprudenza di legittimità, essendo riscontrabile, in proposito, un contrario, preferibile orientamento. Per vero, l'esistenza di una procedura concorsuale non avrebbe potuto essere considerata preclusiva della confisca diretta dei beni della società, come anche precisato da recenti arresti della giurisprudenza di legittimità non solo con riferimento alla ablazione del profitto dei reati ma anche dei beni utilizzati per commetterli (Cass. Sez. V, 21.1.2020, nr. 5400; Cass. Sez. nr. 6391 del 4-18.2.2021). Peraltro, anche con riferimento al "conflitto" ravvisabile tra il vincolo imposto dall'apertura della procedura e quello discendente dal sequestro, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato la prevalenza del vincolo del sequestro (Cass. Sez. III, 18.1.2020, nr. 15776). Infine, neppure sussisteva, nel caso di specie, l'unico ostacolo effettivamente in astratto ravvisabile rispetto alla confisca diretta - ovverosia quello della riferibilità dei beni da sottoporre a confisca a soggetto estraneo al reato - non potendosi l'istituto di credito ritenere tale, avendo pacificamente tratto profitto dalla commissione dei reati. In secondo luogo, l'appellante ha evidenziato come sottoporre a confisca i finanziamenti concessi dalla B. per l'acquisto delle azioni proprie in quanto "beni utilizzati" per commettere i reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c., avrebbe violato i prìncipi costituzionali. In proposito ha richiamato la già citata sentenza Corte Cost. 112/19 che, ravvisata la natura sostanzialmente punitiva della confisca ex art. 187 sexies TUF in relazione ai beni utilizzati per commettere l'illecito in questione, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione in esame nella parte in cui prevedeva la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo e non del solo profitto. Questo, sul rilievo dei principi della personalità della responsabilità penale, della proporzionalità ed individualizzazione della pena e del necessario orientamento rieducativo della stessa. Sicché, tenuto conto del contenuto - del tutto speculare - ravvisabile tra la disposizione oggetto della citata declaratoria di incostituzionalità e quella di cui all'art. 2641 cc., ha sollecitato la Corte territoriale a fornire una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione da ultimo citata, con conseguente revoca della confisca disposta nei confronti di Zo.Gi., ovvero, in alternativa, a promuovere il relativo incidente di costituzionalità. Conclusivamente, l'appellante ha chiesto: - in via preliminare, dichiararsi l'incompetenza territoriale con conseguente trasferimento del procedimento all'autorità giudiziaria di Roma; - ai sensi dell'art. 603 c.p.p., disporsi la rinnovazione del dibattimento con escussione dei testi specificamente indicati nell'impugnazione e con l'espletamento di perizia ai fini di accertare entità e caratteristiche del fenomeno del capitale finanziato; - in via principale, assolversi l'imputato per non avere egli commesso il fatto, ovvero perché il fatto non costituisce reato e, conseguentemente, revocarsi la condanna al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili; - revocarsi la confisca per equivalente per mancata previa verifica della praticabilità della confisca diretta nei confronti di B.; - in ogni caso, escludersi la possibilità di applicare la confisca per equivalente in relazione ai beni utilizzati per commettere il reato, ovvero, in via gradata, sollevarsi la questione di costituzionalità con riferimento alla disposizione di cui all'art. 2641, co.2, c.c. per contrasto con gli articoli 3, 27, 42 Cost; - in via subordinata, previo assorbimento delle fattispecie di aggiotaggio e falso in prospetto nel più grave delitto di ostacolo alle funzioni di vigilanza, applicarsi il solo trattamento sanzionatorio previsto per tale ultima fattispecie; - comunque, contenersi la pena nel minimo e, questo, tanto con riferimento alla pena base quanto agli eventuali aumenti a titolo di continuazione, previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. 2.4.6 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, i difensori dell'imputato hanno ulteriormente argomentato in ordine alla erroneità della sentenza impugnata con riferimento alla confisca. Inoltre, hanno sollecitato la rinnovazione dell'attività istruttoria nei termini più oltre precisati. Sotto il primo profilo, da un lato, hanno richiamato, oltre alla già citata sentenza della Corte Costituzionale 112/19, le precedenti pronunzie del Giudice delle leggi nn.ri 68/17, 223/18 e 63/19, onde evidenziare la natura di sanzione penale non solo della confisca per equivalente ma anche di quella diretta, stante la sua valenza punitiva là dove la stessa abbia un carattere peggiorativo rispetto alla situazione patrimoniale precedente all'illecito; e, dall'altro, hanno evocato la recente modifica legislativa dell'art. 187 TUF per effetto della Legge Europea 238/21 (che ha escluso che potesse disporsi la confisca del prodotto del reato di abuso finanziario nonché dei beni utilizzati per commetterlo), trattandosi di innovazione legislativa inequivocabilmente attestante come, anche in materia penale, la confisca non possa eccedere il profitto dell'illecito. Conseguentemente, hanno denunziato l'illegittimità costituzionale, non solo, come già sostenuto negli originari motivi, della disposizione di cui all'art. 2641, 2° co, c.c., ma anche di quella di cui al comma primo del medesimo articolo, là dove dette disposizioni prevedono la confisca dei beni utilizzati per commettere il reato, ovvero di beni dal valore equivalente. Si tratterebbe, infatti, delle uniche (residue) ipotesi di disposizioni dell'ordinamento che, nell'ambito dei delitti finanziari, continuerebbero a prevedere la confisca dei beni utilizzati per la commissione del reato, peraltro attraverso il ricorso ad un criterio di quantificazione "rigido", non commisurato alla condotta del reo e non proporzionato al profitto eventualmente da questi conseguito, con violazione, sul punto, dei parametri di cui agli artt. 3, 27 Cost.. Di qui la richiesta, in via prioritaria, di interpretazione di dette disposizioni in modo conforme alla Legge fondamentale, con conseguente limitazione della confisca disposta nei confronti dell'imputato al solo profitto del reato. In subordine, hanno sollecitato la Corte a sollevare incidente di costituzionalità. In via di estremo subordine, infine, hanno chiesto la revoca della confisca perché applicata in difetto del requisito della sussidiarietà, stante la mancata verifica della praticabilità della confisca diretta nei confronti della società, non costituendo, sul punto, la procedura concorsuale un ostacolo decisivo. Sotto il secondo profilo, poi, hanno sollecitato - evocando la giurisprudenza della Corte Edu formatasi in relazione all'art. 6 CEDU - la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e, segnatamente, hanno chiesto l'escussione dei membri del CdA e del collegio sindacale che, già citati nel giudizio di primo grado, si erano in quella sede avvalsi della facoltà di non rispondere in quanto indagati, trattandosi di soggetti la cui posizione era stata medio tempore definita con provvedimento di archiviazione, con conseguente mutamento del regime giuridico di escussione testimoniale. Il principio di effettiva oralità, infatti, avrebbe imposto l'audizione dei testimoni - a fortiori nel caso di fonti mai escusse - non solo nel caso di giudizio d'appello che faccia seguito a sentenza di assoluzione, ma ogniqualvolta si imponga il riesame di una causa, in fatto o in diritto. E, nel caso di specie, le testimonianze dei componenti del CdA e del collegio sindacale rivestirebbero il carattere della decisività ai fini della comprensione dell'effettivo ruolo svolto dallo ZO. nell'ambito di B., tenuto peraltro conto delle peculiari considerazioni svolte, sul punto, nella sentenza di primo grado. Di qui la richiesta di escussione dei testimoni Br., Mo., Do., Zu., Ti., Pa., Sb., Bi., Ma., Fa., Za., Ca. e Pi.. 2.5 Appello proposto da Zi.Gi. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche il difensore di Zi.Gi.. 2.5.1 In particolare, con il primo motivo, l'appellante ha lamentato la erronea formula assolutoria adottata dal tribunale ("perché il fatto non costituisce reato") a fronte di un compendio probatorio che avrebbe dovuto necessariamente orientare per un proscioglimento motivato dalla estraneità dell'imputato alle condotte oggetto di imputazione, ovvero dall'insussistenza dei fatti allo stesso ascritti. A ben vedere, del resto, lo stesso apparato argomentativo della decisione era caratterizzato da plurimi, significativi passaggi nei quali, da un lato, si era dato atto dell'assenza "di alcuna significativa prova del coinvolgimento dell'imputato nella programmazione e/o attuazione delie condotte di manipolazione dei mercato e di ostacolo alla vigilanza, siccome cristallizzate nelle imputazioni" (così era dato leggere alle pagg. 768 e ss. della sentenza); e, dall'altro, si era precisato che "le condotte 0 addebitate a ZI. attengono alla sua operatività in veste di cliente coinvolto in operazioni illegittime", sicché "desumere da ciò la prova di un concorso materiale di condivisione operativa delie condotte manipolatone e di falsa informazione al mercato ed alla vigilanza" avrebbe comportato " una inammissibile semplificazione probatoria..." (così alle pagg. 771 e ss.). 2.5.2 Quindi, con il secondo motivo, ha censurato la erroneità della individuazione e della valutazione delle operazioni di finanziamento correlate all'acquisto di azioni Banca (...) che avrebbero dovuto essere detratte dal capitale della banca con riferimento all'"operazione Ze." In effetti, era errato ritenere che la Ze. s.r.l. avesse acquistato azioni dell'istituto di credito in attuazione di una operazione correlata. Si trattava, in particolare, di una conclusione alla quale il primo giudice era pervenuto sulla scorta delle deposizioni dei testi Ba. e Criscuolo, della contabilizzazione dei relativi interessi e del contenuto del memorandum redatto dall'imputato. Sennonché: - incontestato il fatto che la Ze. s.r.l. avesse impiegato, per l'acquisto di azioni B., finanziamenti erogati dallo stesso istituto di credito; s e considerato che, per unanime riconoscimento, costituiva prassi comune quella dell'erogazione di credito da parte delle banche popolari in favore dei rispettivi soci (come precisato dal teste Barbagallo, le dichiarazioni del quale, del resto, erano state anche riportate nella relazione scritta fornita nel corso dell'audizione parlamentare), ha osservato l'appellante che quella compiuta da Ze. s.r.l. non poteva affatto definirsi una operazione correlata. Sul punto, infatti, il tribunale aveva acriticamente sposato la tesi dei cc.tt. del P.M. - i quali, per individuare quali fossero le cc.dd. operazioni "baciate", avevano all'uopo considerato ogni finanziamento che fosse stato utilizzato per l'acquisto di azioni dell'istituto (a prescindere, quindi, dal tempo intercorso tra finanziamento ed acquisto, nonché dalla stessa percentuale riscontrabile tra entità del capitale erogato ed importo impiegato per l'acquisto dei titoli) - e, così facendo, aveva del tutto trascurato le contrarie, argomentate considerazioni spese dal prof. Pe. e dal prof. Gu., consulenti, rispettivamente, delle parti GI. e ZI.-ZO., là dove costoro avevano dettagliatamente evidenziato come, al fine di individuare correttamente le "baciate", si sarebbero dovuti considerare gli ulteriori criteri del "nesso teleologico" e (nell'ipotesi di acquisto di titoli sul mercato secondario) del "merito creditizio" (come anche precisato, a tale ultimo riguardo, dal teste Pa. il quale, in effetti, aveva sottolineato l'importanza, quale canone interpretativo, proprio del concetto del rischio di impresa). In ogni caso, la varietà dei criteri utilizzabili sul punto - e, quindi, l'incertezza che regnava in materia - era palesemente emersa dalle variegate prassi operative adottate, in proposito, dagli organi di vigilanza (CONSOB/Banca d'Italia/società di revisione). Del resto, gli stessi PP.MM., nel corso delle rispettive requisitorie (così come nella richiesta di archiviazione nel procedimento RGNR 3862/16 iscritto a carico di tutti i membri del CdA), avevano dato mostra di essere ben consapevoli di ciò. Ebbene, nel caso della Ze. srl era decisivo considerare che tale società aveva rimborsato l'intero finanziamento di 14 milioni (versando 8,5 milioni attinti dalla liquidità propria e 5,5 milioni derivanti dalla vendita parziale degli 11 milioni in azioni B. detenuti da tale società), nonostante tale restituzione fosse poi stata del tutto obliterata nella sentenza impugnata. Più nel dettaglio, l'appellante ha precisato: - che Ze. s.r.l. era una holding finanziaria ed immobiliare, nell'ambito della quale l'imputato - il quale, peraltro, poiché quotidianamente impegnato presso l'Associazione Industriali, si recava di rado presso la sede della suddetta società - si occupava delle partecipazioni (all'epoca ammontanti, complessivamente a circa 15 milioni), mentre il fratello, Zi.Gi., curava gli investimenti immobiliari (all'epoca aventi un valore complessivo di circa 10 milioni); - che i fratelli ZI., nell'anno 2008, con i proventi della vendita delia partecipazione nella società Tr., avevano acquistato, per un controvalore di 1,2 milioni di euro, azioni B. ed avevano altresì sottoscritto, per un valore di 300.000 euro, un prestito obbligazionario convertibile, così portando la loro partecipazione nell'istituto di credito ad un valore di circa 1,5 milioni di euro (valore al quale si doveva poi aggiungere quello delle azioni detenute a titolo personale); - che, quindi, tra i titoli posseduti tramite Ze. s.r.l. e quelli posseduti dall'imputato a titolo personale, si era in presenza di strumenti finanziari aventi un valore complessivo di circa 8,5 milioni di euro, sicché lo stesso imputato, dopo il presidente ZO., era il maggior azionista della banca e, quindi, tra i soggetti che avevano subito il danno più consistente (al quale, peraltro, doveva aggiungersi il pregiudizio rappresentato dagli oltre 700,000 euro pagati a titolo di interessi passivi per i finanziamenti ottenuti dalla predetta Ze. s.r.l.); - che, nel 2012 - ovverosia nel periodo nel quale si collocavano le operazioni oggetto di contestazione - Ze. s.r.l. aveva in essere una pluralità di trattative commerciali (alcune poi concretizzatesi, altre no) per un importo complessivo di 14-15 milioni di euro (tra le operazioni in questione l'appellante ha dettagliatamente richiamato quelle relative ad "Ar", a "Do.", a Sa.Im." ed a "Ne.Co.") e, non avendo la liquidità necessaria per portarle a termine, aveva ricercato sul mercato un idoneo finanziamento, innanzitutto rivolgendosi ad U., con cui già intratteneva rapporti, e, successivamente, stanti le difficoltà operative che erano emerse (segnatamente, la necessità di disinvestimento di strumenti finanziari, come precisato dal teste Vi.), seguendo il suggerimento di Gi.Em., a B.; - che era stato intorno alla fine di settembre - inizi di ottobre 2012 che il GI. aveva iniziato ad istruire la pratica di finanziamento per un importo di 12,5 milioni di euro, importo dalla banca ritenuto coerente con il merito creditizio di Ze. s.r.l.; - che solo successivamente - in un "secondo momento" (rispetto all'avvio della pratica di finanziamento) seguendo la terminologia dell'appellante - era stato comunicato a B. che parte di questo importo, pari a circa 2,5 milioni di euro, sarebbe stato impiegato per l'acquisto della partecipazione in Ar., come precisato dai testi Ba. e Cr., il quale ultimo figurava come il proponente della P.E.F. (proposta di fido elettronica), peraltro significativamente caratterizzata da una motivazione sottostante tutt'altro che generica; - che solo a questo punto (e, quindi, in un "terzo momento") lo ZI. era stato richiesto di investire la rimanente somma di 10 milioni di euro (somma che non aveva ancora impiegato, né lo avrebbe fatto a breve) in azioni della banca, fermo restando che, non appena Ze. s.r.l. avesse venduto dette azioni, avrebbe investito il relativo importo nell'acquisto di partecipazioni in altre società, come desumibile, ancora, dalle deposizioni dei citati Ba. e Cr.- Ebbene, tale scansione degli eventi rendeva evidente come l'operazione conclusa da Ze. s.r.l. con B. non fosse affatto una operazione di "portage". Quindi, con riferimento all'Aucap 2013, il difensore ha evidenziato che si era trattato dell'adesione, da parte di Ze. s.r.l. all'operazione di aumento di capitale, adesione effettuata utilizzando, per l'importo complessivo di 1 milione di euro (500,000 euro investiti in azioni, altrettanti in obbligazioni), parte del fido di 1,5 milioni concesso dall'istituto, il tutto mentre la restante parte del finanziamento era stata destinata all'impiego in altre operazioni commerciali, come dettagliatamente riferito dall'imputato nel corso del proprio esame. Quanto, poi, alla vendita parziale delle azioni B. detenute da Ze. s.r.l. effettuata nel 2014, si era trattato della cessione di 88,000 azioni, per un controvalore di 5,5 milioni (ovverosia della vendita di circa la metà delle azioni dell'istituto detenute dalla società in questione), motivata esclusivamente da ragioni fiscali (segnatamente, dalla impossibilità di dedurre completamente gli interessi passivi del finanziamento, stante la natura di società mista immobiliare-finanziaria di Ze. s.r.l., come precisato dal consulente fiscale dott. Ba.). Peraltro, anche successivamente alla svalutazione dell'azione, gli interessi del finanziamento erano stati regolarmente corrisposti da Ze. s.r.l. con fondi propri e, già a maggio del 2014, la società aveva parzialmente restituito il finanziamento (poi rinegoziato ed estinto nel 2016) per l'importo di 1,2 milioni di euro, senza vendere alcuna azione; circostanza, questa, logicamente incompatibile con una operazione concordata ab origine. In definitiva, nessuna delle operazioni di acquisto di azioni B. poste in essere da Ze. s.r.l. aveva le caratteristiche proprie delle "baciate", se non quella della vicinanza temporale (caratteristica, quest'ultima, significativa secondo i parametri valorizzati dalla BCE ma, ad esempio, non per quelli adottati dalla CONSOB). Si era in presenza, infatti, di operazioni: - poste in essere a seguito di finanziamenti inizialmente destinati all'acquisto di partecipazioni in altre società; - caratterizzate da causali dettagliate; - realizzate da società il cui merito creditizio era ampiamente sussistente; s prive di scadenza, bensì connotate dal mantenimento, per un tempo significativo, dei titoli, poi venduti (peraltro solo in parte) unicamente per ragioni fiscali; - non connotate dallo storno di interessi, né dal rilascio di lettere di garanzia; - rispetto alle quali erano stati regolarmente pagati gli interessi (nella specie per l'importo, non certo irrilevante, di 700,000 euro); - alle quali, infine, aveva fatto seguito la restituzione del finanziamento (peraltro effettuata, in prevalenza, con fondi propri). Conseguentemente l'appellante ha escluso che si trattasse di operazioni che avrebbero dovuto comportare lo scomputo dell'importo finanziato dal patrimonio di vigilanza. Inoltre ha contestato che deponessero per la natura correlata delle operazioni effettuate da Ze. s.r.l. le circostanze pure all'uopo valorizzate dal primo giudice ai punti 2 e 2.1 della sentenza impugnata. Così era per il messaggio sms ("Faccio anche ZI.. Ma. d'accordo, Vedi problemi?") intercorso tra GI. e So. di cui al documento 661 del P.M., trattandosi di comunicazione che, al più, dimostrava che quello che era stato fatto era avvenuto all'insaputa dell'imputato; cosi per l'ulteriore messaggio sms ("Ti ricordo ZI. da parlarne con Presidente per fido da farsi sulla finanziaria") inviato da MA. a So. di cui al doc. 665 del P.M., in quanto privo di ogni valore probatorio (risultando evidente il riferimento alla disciplina ex art. 136 TUB e, dunque, alla necessità di avvertire il presidente affinché venisse adottata la relativa procedura di uscita dall'aula dell'interessato); così, inoltre, in relazione alla tabella - peraltro non redatta dall'imputato - contenente lo specchietto di riepilogo delle competenze di cui al documento nr. 737 del P.M., essendo inequivoco che quello del 4,75% ivi indicato era il tasso interno applicato ad Ar. per il favore fattole da Ze. (s.r.l. anticipandole la relativa somma, come precisato dal teste Fr. e come anche dimostrato dal documento nr. 16 prodotto dalla difesa all'udienza 30.6.2020; così, ancora, in ordine alla e-mail di cui al documento nr. 121 del P.M., trattandosi di comunicazione inerente ad una richiesta di rimborso da intendersi come avente ad oggetto la riduzione legittima dei tassi più volte sollecitata da Gi.ZI. e, per suo conto, dalla impiegata della Ze. s.r.l. Ca.Ro., come da quest'ultima precisato nel corso della propria escussione dibattimentale; così, infine, in relazione al rimborso di cui al documento nr, 121 del P.M., trattandosi di documento che andava interpretato come conseguente non già ad una richiesta di storno bensì di mitigazione dei tassi di interesse (peraltro mai andata a buon fine), come desumibile dalla congiunta valutazione delle deposizioni rese dai testi Cr., Ma. ed Am.- Quanto, poi, alle intercettazioni telefoniche valorizzate dal primo giudice al punto 2,2 della sentenza, trattavasi di conversazioni tutte successive ai fatti e che, ove debitamente contestualizzate, non avrebbero potuto affatto costituire elementi di prova a carico, attestando piuttosto - ed unicamente - il disperato tentativo dell'imputato di comprendere la ragione per la quale figurasse tra gli indagati. In tal senso, infatti, andava interpretata la telefonata nr. 135 del 25.8.2015, intercorsa con Bo.Lu. (conversazione nella quale l'imputato aveva affermato di essere uno dei consiglieri finanziati dall'istituto, al contempo negando di essere a conoscenza del fatto che tale pratica riguardasse altri soci), come, d'altronde, convincentemente spiegato dallo stesso ZI. nel corso del proprio esame dibattimentale. Infine, in relazione al memorandum di cui al documento del P.M. nr, 731, parimenti valorizzato al punto 2.2 della sentenza, il difensore ha rappresentato trattarsi di documento redatto "di getto" dal proprio assistito (il quale, peraltro, aveva fatto confusione in ordine alle date delle operazioni effettuate con Ze. S.r.l.); documento, tuttavia, che conteneva il riferimento alle sole operazioni effettuate dalla predetta Ze. s.r.l. per le quali la società aveva pagato interessi passivi ed il cui complessivo tenore, a ben vedere, deponeva per la più totale ed assoluta ignoranza di aver posto in essere operazioni anche solo irregolari. Infine, il difensore ha evidenziato come i punti 3, 4 e 5 della sentenza avessero fatto riferimento a temi (trattasi, segnatamente: dell'operazione effettuata da Gi.ZI.; dell'operazione U. inerente al finanziamento utilizzato dall'imputato per l'acquisto di derivati e non di azioni della banca; della e-mail inviata a GI. e Gi. nella quale l'imputato precisava "B. non opera con questa politica e che forse hanno capito male o il funzionario non si è espresso bene") estranei alla imputazione. Ha concluso, pertanto, chiedendo la modifica, in termini più favorevoli, della formula adottata dal primo giudice per mandare assolto Zi.Gi. e, segnatamente, insistendo per il proscioglimento del proprio assistito non già "perché il fatto non costituisce reato", bensì "per non avere commesso il fatto". 3. Appello proposto da Banca (...) in liquidazione coatta amministrativa. Avverso detta sentenza ha interposto appello Banca (...) in L.C.A. con impugnazione che ha devoluto alla cognizione della Corte i punti della sentenza inerenti alla affermazione di responsabilità dell'ente in relazione agli illeciti amministrativi ascritti ai capi di imputazione sub A2, B2, C2, D2, E2 F2, G2, H2, M2 ed N2, al mancato riconoscimento dell'attenuante ex art. 12, co.2 lett. b, D. L.vo 231/01, alla quantificazione del profitto del reato di ostacolo alla vigilanza di cui al capo N2, alla quantificazione della sanzione ed alle spese processuali. 3-1 Con il primo motivo ha censurato la sentenza impugnata sul rilievo della erroneità dell'affermazione della sussistenza dell'interesse ovvero del vantaggio per l'ente derivante dai reati presupposti. In particolare, il primo giudice aveva esplicitamente sostenuto che i reati in contestazione, sebbene parte integrante di una politica di impresa che, all'esito, si era addirittura rivelata dannosa per l'istituto di credito, fossero stati espressione di una attività posta in essere nell'interesse ed a vantaggio di tale ente, in quanto strumentali a non farne emergere l'operatività illecita e, così, per un verso, a consentire l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, ad assicurare il mantenimento di quello esistente. Questo, sul rilievo della doverosa distinzione tra le singole operazioni di capitale finanziato, da un lato, e le specifiche condotte delittuose, dall'altro; condotte, queste ultime, successive alle prime e funzionali a consentire di realizzare un vantaggio economico immediato nei termini anzidetti. In definitiva - ha precisato l'appellante - il tribunale aveva tarato la prospettiva di giudizio sulla valutazione dell'interesse dell'ente in un momento successivo rispetto alle condotte delittuose. Ebbene, tale interpretazione era errata. In effetti, il difensore, dopo avere premesso: - che la differenza tra l'ente attuale (B. in L.C.A.) e quello amministrato/diretto dagli imputati non aveva rilevanza alcuna in punto di responsabilità amministrativa, in ragione della "autonoma oggettività" che costituiva la "cifra interpretativa" della disciplina in materia; - che il criterio di ascrizione stabilito ex art. 5 D.L.vo 231/01 imponeva di avere riguardo all'interesse o al vantaggio in relazione al singolo e specifico fatto di reato presupposto volta a volta addebitato alla persona fisica; - che il fatto del quale l'ente era chiamato a rispondere, trattandosi di fatto proprio ed autonomo dell'ente medesimo, non poteva identificarsi con il reato commesso, sottolineava come l'elemento costitutivo delia responsabilità amministrativa rappresentato dall'interesse/vantaggio dovesse essere valutato con diretto riferimento alla persona giuridica e dovesse essere necessariamente tale, in un'ottica di valutazione ex ante, da prospettare il verificarsi di una situazione migliorativa per l'ente in questione; prospettiva, peraltro, da valutarsi in termini squisitamente oggettivi e non già sulla base della ricostruzione "dell'attitudine psicologica dell'autore del reato presupposto", nella sfera esclusiva del quale restavano, per contro, gli estremi costitutivi del reato perpetrato. Donde, sotto tale profilo, l'impossibilità di valutare l'interesse dell'ente sulla base del movente che aveva guidato gli autori del reato e che, ripetutamente, era stato da costoro identificato "nell'interesse della banca". In altri termini l'interesse rilevante era solo quello, per un verso, avente una dimensione oggettiva e, per altro verso, identificabile, ex ante, in un reale utile per l'ente; utile, peraltro, da valutarsi in una prospettiva funzionale e (strumentale rispetto alla persona giuridica. Quanto al vantaggio, poi, valevano le medesime considerazioni, con la precisazione, tuttavia, che la identificazione di tale elemento presupponeva una valutazione da effettuarsi ex post. Ebbene, già tali considerazioni consentivano - ad avviso dell'appellante - di apprezzare l'errore di valutazione nel quale era incorso il primo giudice, solo a considerare, da un lato, che non rientrava certamente nell'interesse della banca effettuare un aumento di capitale con mezzi della banca medesima (trattandosi di operazione che, sin dal momento genetico, si presentava come foriera di un impoverimento patrimoniale dell'istituto); e, dall'altro, che nessun vantaggio era derivato alla B. dai reati perpetrati dagli imputati, reati che, al contrario, avevano generato un pregiudizio di vaste dimensioni. Più nel dettaglio, con riferimento al fenomeno sottostante alle condotte contestate di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, il difensore ha sottolineato - alla stregua, segnatamente, di quanto riferito dai testi Ba. e Io. -come gli aumenti di capitale effettuati negli anni 2013 e 2014, lungi dal rafforzare la stabilità patrimoniale dell'istituto vicentino, avessero unicamente creato una parvenza di stabilità e solidità economico-finanziaria (posto che si erano tradotti in una costruzione fittizia di patrimonio). Per un verso, infatti, le risorse utilizzate per gli aucap erano state fornite dal medesimo istituto di credito, sicché non vi era stata alcuna reale immissione di nuove risorse finanziarie; e, per altro verso, la neutralizzazione degli interessi passivi attraverso il cosiddetto "storno" si era tradotta in un depauperamento per l'istituto di credito, per effetto di operazioni "in perdita" (come del resto emerso nel corso dell'esame dell'imputato MA. e comprovato da specifiche deposizioni testimoniali). In effetti, la deposizione del teste ispettore Ma. era stata illuminante in ordine all'antieconomicità di tali operazioni. Il contenuto delle lettere di impegno rinvenute nel corso dell'ispezione BCE, poi, aveva confermato il carattere pregiudizievole per il patrimonio societario delle operazioni suddette (in quanto sostanzialmente tali da trasformare le azioni in obbligazioni, senza alcun reale apporto di risorse nuove in cambio di una quota parte del capitale sociale, come precisato dalla teste Pa.). Donde l'impossibilità di ravvisare, ex ante, alcuna positiva ripercussione di tali operazioni, poste in essere dalle persone fisiche, sulla persona giuridica. Inoltre, altrettanto pregiudizievoli per l'istituto di credito erano state le operazioni legate all'investimento di circa 350 milioni di euro nei fondi lussemburghesi "At." ed "Op.", in considerazione della natura delle operazioni poste in essere, del tutto eccentriche (come emerso solo al momento della disclosure circa il sottostante dei fondi) rispetto all'interesse di B., peraltro unico sottoscrittore dei fondi medesimi, con conseguente aumento del rischio di danno in caso di scelta di disinvestimento (come precisato dal teste Li.), danno, poi, puntualmente verificatosi (come evidenziato dal teste Io.). D'altronde, le operazioni suddette - e, in particolare, le "operazioni baciate" - avevano costretto la govemance aziendale subentrata a seguito delle verifiche BCE a fronteggiare una situazione davvero critica, di assoluta debolezza rispetto al tentativo di recuperare le perdite della precedente amministrazione (amministrazione, la prima, che aveva concesso fidi a clienti dall'apparente merito creditizio, la capacità restitutoria dei quali, al contrario, nella maggior parte dei casi, era risultata inesistente, con l'ulteriore anomalia che le garanzie dei finanziamenti erano state costituite, sovente, dalle stesse azioni; circostanza, questa, che si era riverberata negativamente, ab origine, sulla possibilità di recupero del capitale erogato). Tanto precisato con riferimento all'operatività sottostante alle condotte delittuose ex artt. 2637 e 2638 c.c., il difensore ha ribadito come la sottoscrizione di azioni di nuova emissione attraverso finanziamenti erogati dallo stesso istituto emittente, al pari dell'acquisto delle azioni B. sul mercato secondario ugualmente effettuato attraverso l'erogazione di credito da parte della banca vicentina, fossero operazioni che, sin dall'origine, compromettevano la consistenza economico-patrimoniale dell'istituto. Ed analoghe conclusioni si imponevano per gli investimenti nei fondi lussemburghesi e per gli impegni di garanzia. Ciò posto, era su tali modalità operative sottostanti che si erano innestate le condotte di occultamento, con mezzi fraudolenti, dell'effettività della situazione. Nondimeno, si trattava di condotte (volte a far apparire come effettivo un aumento di capitale; ovvero a sostenere artificiosamente l'appetibilità del titolo; ed, in ogni caso, a nascondere la effettività della situazione sottostante) del tutto distoniche e configgenti, sul piano oggettivo, con l'interesse di B., istituto che, al pari di qualsiasi altra banca, non poteva certo ritenersi oggettivamente interessato ad un aumento di capitale fittizio, tale da risolversi in un depauperamento della consistenza economica della banca. In un siffatto contesto, la tesi espressa dal tribunale, secondo il quale i reati erano stati "strumentali proprio a non rivelare tale operatività lungi dal comprovare l'esistenza di un interesse della banca rispetto a ciascun singolo reato, deponeva in senso esattamente opposto, dato che l'istituto aveva il contrario interesse di concludere operazioni sostenibili, ovvero di interrompere una operatività pregiudizievole per i propri obiettivi istituzionali. L'esito drammatico per B. del disvelamento dell'occultamento di tali irregolari modalità operative, del resto, confermava come queste ultime fossero in radicale contrasto con gli obiettivi della banca. A ben vedere, infatti, il reato ex art. 2638 c.c., non poteva affatto sostenersi fosse stato perpetrato nell'interesse dell'ente, trattandosi di delitto sostanziatosi nell'occultamento alla autorità di vigilanza di informazioni che, se comunicate, avrebbero impedito il rilascio dei nulla osta necessari per gli aumenti di capitale, ovvero per il riacquisto delle azioni proprie e, cioè, per operazioni tutte certamente dannose, sin dall'origine, per l'ente medesimo (come concluso, in fattispecie analoga, dal P.M. presso il tribunale di Siena nel decreto di archiviazione prodotto in allegato all'atto di appello, sub 1), In buona sostanza, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, l'interesse della banca non avrebbe certo potuto essere individuato nell'occultamento della debolezza patrimoniale dell'istituto medesimo al fine di "conseguire afflussi di capitale e mantenere l'operatività" e, così, scongiurare interventi più incisivi dell'autorità di vigilanza, trattandosi di obiettivi contrari a quelli propri di un ente bancario e, anzi, forieri di rischi e pericoli. Diversamente opinando - ha osservato l'appellante - ogni condotta di aggiotaggio ed ostacolo alla vigilanza finirebbe per trarre seco la responsabilità amministrativa dell'ente, anche nelle ipotesi, quali quelle sub iudice, caratterizzate da condotte produttive, ab origine, di un depauperamento per l'ente medesimo, con conseguente surrettizia introduzione di una sorta di responsabilità oggettiva della persona giuridica. Peraltro, la circostanza che la disposizione di cui all'art. 5, co. 2 D. L.vo 231/01 non contenesse riferimento alcuno alla nozione di vantaggio, costituiva significativo indice del fatto, con riferimento alla ipotesi disciplinata dal precedente comma, che, in assenza del relativo interesse, non sarebbe ravvisabile la responsabilità dell'ente. In effetti - ha osservato, conclusivamente, il difensore - l'unico interesse ravvisabile nella specie era quello, esclusivamente proprio del gruppo dirigente, ad occultare la reale situazione dell'istituto di credito per mantenere, il più a lungo possibile, ruoli e posizioni professionali di prestigio ed al contempo scongiurare il discredito che sarebbe derivato da una emersione del fenomeno in esame, interesse che gli imputati avevano perseguito ad ogni costo, in radicale contrasto con quello dell'istituto di credito. 3.2 Con il secondo motivo, poi, il difensore ha contestato la sussistenza della responsabilità dell'ente sotto il diverso profilo della asserita inidoneità del modello di organizzazione e gestione predisposto per la prevenzione dei reati e, in ogni caso, in ragione dell'asserita elusione fraudolenta dello stesso da parte dei vertici aziendali. In particolare l'appellante ha censurato le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, sostenendo, per contro, che B., nel predisporre ed attuare il modello di organizzazione, non si sarebbe affatto discostata dal comportamento astrattamente doveroso, con la conseguenza che, in difetto di un effettivo "scarto" tra ente modello ed ente concreto, difetterebbe il requisito dell'illecito amministrativo costituito dalla "colpa di organizzazione", siccome delineata ex art. 6 D. Lvo 231/01; colpa in concreto insussistente ove, come nella specie, il modello avesse caratteristiche tali da poter essere eluso solo attraverso un comportamento fraudolento. Ciò posto, dopo avere premesso: - che il difetto di analiticità del modello, lungi dall'esprimerne l'inadeguatezza, risponderebbe piuttosto all'ineludibile esigenza di non comprimere la libertà di organizzazione dei fattori produttivi; v che il carattere "ideale" del modello non avrebbe potuto essere "ipostatizzato", dovendosi necessariamente avere attenzione ad un modello "relativamente ideale", tenuto conto dell'attività concretamente svolta dall'ente, delle dimensioni dello stesso e, più in generale, delle caratteristiche tutte della persona giuridica di riferimento; - che, inoltre, nella valutazione del giudizio sulla sussistenza della colpa, rettamente intesa come "rimproverabilità", si sarebbero dovuti adeguatamente considerare eventuali profili di inesigibilità; s che, Infine, non si sarebbe certo potuto far automaticamente discendere dalla commissione dei reati la conclusione circa l'inadeguatezza del modello, il difensore ha analizzato le caratteristiche del modello di organizzazione effettivamente adottato da B., specificando che si trattava di modello - progressivamente aggiornato, sino al 2014 - ispirato ai principi ed alle linee guida dell'ABI.. Più nel dettaglio, la Sezione 11° del modello, con specifico riferimento alla funzione di vigilanza, prevedeva l'esistenza di un organo di controllo che, introdotto nel 2003, a decorrere dal 2008 era stato trasformato in un Organismo di Vigilanza ad hoc, composto da tre membri (il responsabile dell'audit e due soggetti esterni), munito di numerosi poteri (necessari per attuare le procedure di controllo, svolgere verifiche periodiche, coordinarsi con il responsabile della formazione del personale, raccogliere ed elaborare dati rilevanti, verificare le esigenze di aggiornamento del modello) e che curava una funzione di reporting agli organi sociali. Tale Organismo, poi, era integrato da specifiche responsabilità facenti capo alle diverse funzioni aziendali. L'Organismo di Vigilanza, a sua volta, riceveva informazioni e garantiva che coloro che avessero effettuato una segnalazione non subissero conseguenze negative di sorta da tali comunicazioni/denunzie. Inoltre, il modello, da un lato, includeva anche un sistema disciplinare quale elemento costitutivo dell'attività di controllo (sistema che contemplava un apparato sanzionatorio applicabile non solo agli organi apicali, ma a tutti i dipendenti dell'istituto, oltre ai collaboratori esterni); e, dall'altro, prevedeva un continuo monitoraggio del funzionamento del modello stesso, promuovendo all'uopo gli aggiornamenti ritenuti necessari. Nella Sezione IIIA, poi, era delineato un sistema preventivo (suddiviso nelle sotto-sezioni "Rischio", "Processo", "Funzioni Coinvolte", "Protocolli di controllo", "Normativa interna vigente") rivolto alla prevenzione del pericolo di commissione di specifici reati (questi ultimi, peraltro, oggetto di puntuale "mappatura" in un apposito allegato). E, con particolare riferimento alle ipotesi delittuose contestate, l'appellante ha precisato che, contrariamente a quanto sostenuto a pag. 795 della sentenza impugnata, per un verso, la procedura di redazione dei bilanci e la tenuta della contabilità erano effettuate facendo applicazione di manuali appositamente concepiti (ai quali si aggiungevano i "funzionigrammi", gli organigrammi ed i regolamenti interni pubblicati sull'intranet aziendale); e, per altro verso, specifica attenzione era dedicata proprio alle operazioni potenzialmente incidenti sull'integrità del capitale e/o del patrimonio sociale. Anche con riferimento alla trasparenza, poi, il modello conteneva specifiche disposizioni e, così, svolgeva una funzione, sul punto, "integrativa": alle procedure vigenti, infatti, aggiungeva disposizioni ulteriori relative all'osservanza della normativa societaria. In definitiva, quello adottato dall'istituto di credito vicentino era un valido presidio rispetto al rischio di commissione delle fattispecie penali di riferimento. In ogni caso, dopo avere ripercorso struttura e contenuto del modello, l'appellante si è concentrato sulle censure specificamente contenute nella sentenza impugnata, secondo la quale le carenze del modello in questione sarebbero state riferibili: - in primo luogo, alla composizione dell'Organismo di Vigilanza; se, in secondo luogo, all'inefficacia del modello rispetto ai reati contestati agli imputati. Ebbene, sotto il primo profilo, era sufficiente evidenziare come le stesse linee guida predisposte dall'ABI nel 2004 lasciassero ampia discrezionalità con riferimento alla composizione dell'ODV (nel senso che era previsto che le banche potessero creare un organismo ad hoc, ovvero utilizzare un organismo o una funzione già esistenti). Inizialmente la scelta di B. si era indirizzata verso un organo composto dal responsabile dell'internal audit affiancato da due soggetti esterni; quindi, nel 2014, l'istituto vicentino aveva modificato la composizione dell'organo in questione, in linea, peraltro, con l'evoluzione normativa in materia. A seguito dell'inserimento del co, 4 dell'articolo 6 D.Lvo 231/01 per effetto della legge di stabilità del 2012, infatti, B. aveva attribuito al Collegio Sindacale le funzioni in questione. Sicché, sul punto, le scelte della banca non potevano essere censurate. Quanto al secondo profilo, poi, il tribunale era pervenuto ad una valutazione di responsabilità per effetto di una erronea valutazione di inidoneità, conseguente alla stessa commissione dei reati e, in sostanza, adottando un criterio di giudizio basato su un inammissibile automatismo, di fatto tale da rendere del tutto inutili le previsioni ex artt. 6 e 7 D.Lvo 231/01. Per contro, ogni valutazione sul punto avrebbe dovuto essere effettuata secondo i criteri della "prognosi postuma" (pena la inevitabile, costante conclusione, in caso di commissione dei reati, della inadeguatezza del modello adottato dall'ente). Peraltro - ha proseguito, sul punto, il difensore - l'erroneità delle conclusioni, cui era giunto il primo giudice sarebbe emersa in termini di maggiore evidenza ove si fosse debitamente considerata la natura fraudolenta ed elusiva delle modalità di commissione del reato da parte delle persone fisiche in posizione apicale. L'elusione del modello organizzativo da parte di tali soggetti, infatti, era stata tale da "segnare una evidente scissione tra l'ente medesimo e il soggetto apicale autore del reato", la condotta di quest'ultimo non potendosi ritenere espressione "della politica di impresa dell'ente stesso", ma costituendo "una scelta personale e propria dell'autore dei fatto di reato". In definitiva - ha precisato l'appellante - "quando l'autore dei reato è un soggetto apicale, l'ampiezza dei poteri a questi conferiti introduce la variabile umana dell'abuso; essa segna i confini sussistenti tra i comportamenti ex ante prevedibili certamente compresi tra i pericoli che un valido modello organizzativo deve saper inibire, da un lato; e, dall'altro, quelli dei quali è predicabile un'intrinseca valenza fraudolenta perpetrati mediante l'abuso dei supremi poteri sociali come tali necessariamente ribelli alla possibilità di un qualsiasi controllo, seppure ben concepito e calibrato". E, sul punto, erano evidenti tanto le modalità fraudolente adottate per porre in essere le operazioni di capitale finanziato (solo a pensare alle clausole generiche inserite nei contratti di finanziamento), quanto la strumentalità delle operazioni di investimento estero nei fondi lussemburghesi. Donde la conclusione circa l'adeguatezza del modello organizzativo adottato da B.. 3.3 Quindi, con il terzo motivo, articolato in via subordinata, il difensore ha censurato il mancato riconoscimento dell'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b, D. L.vo 231/01, nonché l'errata quantificazione della sanzione pecuniaria rispetto ai criteri di determinazione del valore e del numero delle quote, anche in relazione all'aumento delle quote medesime per effetto della disciplina della pluralità di illeciti. Innanzitutto, la circostanza che la Banca si fosse dotata di un modello organizzativo sin dal 2002 ed il fatto che l'istituto avesse ristorato, a titolo transattivo, ben 66.770 azionisti, avrebbero dovuto fondare il contenimento nei minimi sia del numero delle quote che dell'aumento deriva