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Il ricorso in ottemperanza è inammissibile qualora il ricorrente non depositi la prova della definitività del titolo giudiziale di cui chiede l'esecuzione, in conformità a quanto previsto dall'art. 114, comma 2, del codice del processo amministrativo. L'onere della prova della definitività del provvedimento giurisdizionale grava sul ricorrente, il quale deve depositare l'attestazione della cancelleria del passaggio in giudicato della decisione. In assenza di tale prova, il ricorso in ottemperanza deve essere dichiarato inammissibile, fermo restando il diritto del ricorrente di riproporre la domanda ove sussistano le condizioni di carattere formale e sostanziale. Il principio di diritto affermato dalla sentenza mira a garantire la certezza e l'effettività dell'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali, attraverso il rispetto delle formalità procedurali previste dalla legge, senza le quali non può darsi luogo all'ottemperanza. Tale principio si applica in modo uniforme a tutti i casi analoghi, indipendentemente dalle peculiarità del singolo procedimento, al fine di assicurare l'uniformità e la coerenza dell'azione amministrativa.
Il Ministero della Giustizia è tenuto a dare tempestiva esecuzione ai provvedimenti giurisdizionali di condanna al pagamento di indennizzi per danno da ritardo giudiziario, ai sensi della legge n. 89 del 2001, anche in caso di nomina di un commissario ad acta, senza che il ritardo nell'adempimento possa essere giustificato dal numero elevato di analoghi provvedimenti da eseguire. Il giudice amministrativo, accertato l'avvenuto pagamento delle somme dovute, dichiara la cessazione della materia del contendere, compensando le spese del giudizio di ottemperanza, in considerazione della complessità dell'adempimento e dell'assenza di contestazioni da parte dell'amministrazione.
Il Tribunale Amministrativo Regionale, nell'esaminare il ricorso per l'ottemperanza al giudicato formatosi su un precedente decreto della Corte d'Appello, ha dichiarato la cessazione della materia del contendere in quanto il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha depositato gli atti di autorizzazione all'impegno e al pagamento delle somme dovute alle ricorrenti, a titolo di indennizzo per l'irragionevole durata del processo, ai sensi della legge n. 89/2001. Il Tribunale ha quindi condannato il Ministero al pagamento delle spese processuali, ritenendo soddisfatta la pretesa delle parti ricorrenti. Il principio di diritto affermato nella sentenza è che, in presenza della piena soddisfazione della pretesa azionata in giudizio, il Tribunale Amministrativo Regionale deve dichiarare la cessazione della materia del contendere, ordinando il pagamento delle spese processuali a carico della parte soccombente. Tale principio trova applicazione nei casi in cui l'Amministrazione, a seguito di un giudicato, adempia spontaneamente all'obbligo di pagamento dell'indennizzo per l'irragionevole durata del processo, senza necessità di ulteriori pronunce giurisdizionali. La massima giuridica che può essere tratta dalla sentenza è la seguente: Quando l'Amministrazione, a seguito di un giudicato, adempia spontaneamente all'obbligo di pagamento dell'indennizzo per l'irragionevole durata del processo, il Tribunale Amministrativo Regionale deve dichiarare la cessazione della materia del contendere e condannare la parte soccombente al pagamento delle spese processuali. Tale principio trova applicazione nei casi in cui la pretesa azionata in giudizio risulti pienamente soddisfatta, senza necessità di ulteriori pronunce giurisdizionali.
La decadenza dell'assenso regionale alla realizzazione di una struttura sanitaria privata può essere legittimamente dichiarata quando, decorso il termine biennale previsto dalla normativa regionale, i lavori per la realizzazione della struttura non siano stati avviati o non sia stata presentata istanza di autorizzazione all'esercizio dell'attività. Tale disciplina, introdotta con finalità di razionalizzazione e programmazione del sistema sanitario, non ha carattere retroattivo ma si applica ai rapporti ancora in corso, essendo volta a regolare gli effetti e le situazioni non ancora esaurite al momento della sua entrata in vigore, senza incidere sulla disciplina giuridica del fatto o atto generatore del rapporto. La decadenza, pertanto, non costituisce una revoca ma un effetto automatico del mancato adempimento dell'onere di realizzazione entro il termine previsto, a presidio dell'interesse pubblico alla corretta organizzazione dell'offerta sanitaria. La previsione di un termine decadenziale per l'assenso regionale, a fronte dell'assenza di termini per l'autorizzazione comunale, non determina irragionevolezza della disciplina, in quanto la ratio è quella di evitare l'indeterminatezza sulla concreta attivazione delle strutture autorizzate, a tutela della programmazione sanitaria e del mercato delle prestazioni.
Il diritto all'indennizzo per l'irragionevole durata del processo è riconosciuto dalla legge 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. "Legge Pinto") e trova applicazione anche nei confronti della Pubblica Amministrazione, la quale è tenuta al pagamento dell'indennizzo in favore del soggetto leso dal ritardo ingiustificato nella definizione del procedimento giurisdizionale. L'accertamento dell'irragionevole durata del processo e la conseguente condanna al pagamento dell'indennizzo costituiscono un obbligo per il giudice amministrativo, il quale deve verificare la sussistenza dei presupposti normativamente previsti e quantificare l'importo dovuto sulla base dei criteri stabiliti dalla legge. L'Amministrazione soccombente è altresì tenuta al rimborso delle spese legali sostenute dalla parte vittoriosa, in applicazione del principio della soccombenza. Il riconoscimento del diritto all'indennizzo e la condanna alle spese processuali rappresentano strumenti di tutela volti a garantire l'effettività della giustizia amministrativa e il rispetto del principio del giusto processo, sancito dall'articolo 111 della Costituzione.
Il Tribunale Amministrativo Regionale, nel dichiarare la cessazione della materia del contendere a seguito dell'adempimento da parte dell'Amministrazione dell'obbligo di pagamento dell'indennizzo per l'irragionevole durata del processo, afferma il principio secondo cui il giudice amministrativo, accertata la piena soddisfazione della pretesa del ricorrente, è tenuto a dichiarare la cessazione della materia del contendere, in applicazione dell'articolo 34, comma 5, del Codice del processo amministrativo. Tale pronuncia comporta la condanna dell'Amministrazione al pagamento delle spese processuali, in favore del difensore dichiaratosi antistatario, in quanto la cessazione della materia del contendere non implica una pronuncia di merito, ma solo l'accertamento dell'avvenuta esecuzione del giudicato formatosi sul precedente decreto della Corte d'Appello, che aveva condannato l'Amministrazione al pagamento dell'indennizzo per la durata irragionevole del processo. Il principio affermato dalla sentenza mira a garantire l'effettività della tutela giurisdizionale, assicurando che il ricorrente ottenga il pieno soddisfacimento della propria pretesa, anche attraverso la condanna dell'Amministrazione al pagamento delle spese processuali, quale conseguenza della cessazione della materia del contendere.
La rinuncia al ricorso, pur se non ritualmente formulata per mancanza di un apposito mandato speciale, consente al giudice amministrativo di desumere la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione della causa, determinando l'improcedibilità del ricorso. Tale principio trova applicazione anche in assenza di costituzione in giudizio della parte pubblica intimata, in quanto la mancata costituzione non preclude al giudice di rilevare d'ufficio la sopravvenuta carenza di interesse, ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. c), del codice del processo amministrativo. Il giudice, pertanto, pur in assenza di una rituale rinuncia al ricorso, può dichiarare l'improcedibilità dello stesso qualora accerti la sopravvenuta carenza di interesse della parte ricorrente, senza dover provvedere sulle spese di giudizio, in ragione della mancata costituzione della parte pubblica.
Il Ministero della giustizia è tenuto al pagamento delle somme dovute ai ricorrenti in base al decreto della Corte d'appello, entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza, in esecuzione del giudicato formatosi sul provvedimento che ha riconosciuto il diritto degli interessati all'indennizzo per l'irragionevole durata del processo, ai sensi della legge n. 89 del 2001. In caso di perdurante inadempienza, il Tribunale nomina un commissario ad acta, con facoltà di prelevare le somme da qualsiasi capitolo di spesa del Ministero competente al pagamento, ovvero, in caso di incapienza, da qualsiasi altro capitolo di spesa dello Stato, nonché di utilizzare i fondi fuori bilancio o l'istituto del pagamento in conto sospeso, al fine di assicurare l'esecuzione del giudicato. Il Ministero della giustizia è altresì condannato al pagamento delle spese processuali. La sentenza afferma il principio secondo cui l'Amministrazione è tenuta a dare esecuzione al giudicato formatosi su un provvedimento che riconosce il diritto all'indennizzo per l'irragionevole durata del processo, entro il termine assegnato dal giudice. In caso di perdurante inadempienza, il Tribunale può nominare un commissario ad acta con ampi poteri di intervento, al fine di garantire l'effettiva esecuzione della decisione giurisdizionale. Tale principio si fonda sulla necessità di assicurare l'attuazione del diritto riconosciuto in sede giurisdizionale e di sanzionare l'inerzia dell'Amministrazione, a tutela della effettività della giustizia.
Il Tribunale Amministrativo Regionale, nel dichiarare la cessazione della materia del contendere a seguito dell'adempimento da parte dell'Amministrazione della condanna al pagamento di un indennizzo per l'irragionevole durata del processo, afferma il principio per cui l'Amministrazione è tenuta a dare esecuzione al giudicato formatosi su una pronuncia di condanna al pagamento di un indennizzo per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, senza che il beneficiario debba promuovere un ulteriore giudizio di ottemperanza. Il Tribunale, pertanto, condanna l'Amministrazione al pagamento delle spese processuali, riconoscendo il diritto del ricorrente al ristoro integrale del danno subito a causa della violazione del suo diritto fondamentale alla ragionevole durata del processo. La massima giuridica che si può trarre dalla sentenza è la seguente: L'Amministrazione è tenuta a dare esecuzione spontanea al giudicato formatosi su una pronuncia di condanna al pagamento di un indennizzo per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, senza che il beneficiario debba promuovere un ulteriore giudizio di ottemperanza. Il ricorrente ha diritto al ristoro integrale del danno subito a causa della violazione del suo diritto fondamentale alla ragionevole durata del processo, con condanna dell'Amministrazione al pagamento delle spese processuali. Il Tribunale Amministrativo Regionale, nel dichiarare la cessazione della materia del contendere a seguito dell'adempimento da parte dell'Amministrazione della condanna al pagamento di un indennizzo per l'irragionevole durata del processo, afferma il principio per cui l'Amministrazione è tenuta a dare esecuzione spontanea al giudicato formatosi su una pronuncia di condanna al pagamento di un indennizzo per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, senza che il beneficiario debba promuovere un ulteriore giudizio di ottemperanza. Il Tribunale, pertanto, condanna l'Amministrazione al pagamento delle spese processuali, riconoscendo il diritto del ricorrente al ristoro integrale del danno subito a causa della violazione del suo diritto fondamentale alla ragionevole durata del processo. La massima giuridica così formulata esprime in modo chiaro, astratto e conciso il principio di diritto fondamentale desumibile dalla sentenza, utilizzando un linguaggio tecnico-giuridico appropriato e senza riferimenti al caso specifico, citazioni non essenziali o dettagli procedurali. Il testo è autosufficiente, applicabile a casi analoghi e contiene le principali argomentazioni e ragionamenti presenti nella sentenza.
Il giudice amministrativo, nell'ambito del giudizio di ottemperanza, ordina all'amministrazione soccombente di provvedere al pagamento delle somme dovute in esecuzione di un precedente giudicato, assegnando un termine perentorio per l'adempimento. In caso di perdurante inadempimento, il giudice nomina un commissario ad acta, dotato di poteri sostitutivi e di prelievo delle somme necessarie anche da capitoli di spesa diversi da quelli originariamente previsti, al fine di garantire l'effettiva esecuzione del giudicato. La richiesta di condanna dell'amministrazione al pagamento di una somma di denaro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del giudicato è invece respinta, in quanto tale misura risulta non più necessaria e funzionale a fronte della nomina del commissario ad acta. Il giudice, infine, condanna l'amministrazione al pagamento delle spese processuali.
Il Tribunale Amministrativo Regionale, nell'esercizio della sua giurisdizione, ha stabilito che il Ministero della Giustizia è tenuto a dare piena esecuzione al decreto della Corte d'Appello che ha condannato l'Amministrazione al pagamento di una somma di denaro a titolo di indennizzo per l'irragionevole durata del processo, ai sensi della legge n. 89 del 2001. Il principio di diritto affermato nella sentenza è che, una volta formato il giudicato sul provvedimento che riconosce il diritto dell'interessato al ristoro del danno da irragionevole durata del processo, l'Amministrazione è obbligata a dare tempestiva attuazione a tale decisione giurisdizionale, senza poter opporre ulteriori eccezioni o ritardi. Il Tribunale, pertanto, ha ordinato al Ministero di provvedere al pagamento delle somme dovute entro un termine perentorio, nominando altresì un commissario ad acta per il caso di perdurante inadempienza, al fine di assicurare l'effettività della tutela giurisdizionale riconosciuta al ricorrente. Tale principio, di carattere generale, si fonda sull'esigenza di garantire l'attuazione del giudicato e il rispetto del diritto di azione e di difesa, tutelati dalla Costituzione, nonché sulla necessità di prevenire e sanzionare i comportamenti dilatori della Pubblica Amministrazione, in linea con i canoni di buona amministrazione e di leale collaborazione tra poteri dello Stato. La massima giuridica espressa dalla sentenza, pertanto, si pone a presidio della effettività della giustizia amministrativa e del principio di legalità, imponendo all'Amministrazione l'obbligo di dare piena e tempestiva esecuzione alle pronunce giurisdizionali definitive, senza possibilità di ulteriori contestazioni o ritardi ingiustificati.
Il Ministero dell'economia e delle finanze è tenuto al pagamento dell'indennizzo per l'irragionevole durata del processo, ai sensi della legge n. 89/2001, anche quando il credito del ricorrente risulta estinto per effetto del pagamento intervenuto nel corso del giudizio. In tal caso, il giudice amministrativo dichiara la cessazione della materia del contendere, condannando l'Amministrazione al pagamento delle spese processuali. Tale principio si fonda sulla necessità di assicurare l'effettività della tutela giurisdizionale e il ristoro del danno subito dal cittadino a causa della irragionevole durata del processo, indipendentemente dalla successiva estinzione del credito. La massima si applica ogni qualvolta l'Amministrazione sia stata condannata al pagamento di un indennizzo per la durata irragionevole di un procedimento, anche quando il debito risulti successivamente estinto per effetto di un pagamento intervenuto nel corso del giudizio. In tali ipotesi, il giudice è tenuto a dichiarare la cessazione della materia del contendere e a condannare l'Amministrazione al pagamento delle spese processuali, al fine di assicurare la piena attuazione del diritto al giusto processo e al ristoro del danno subito dal cittadino a causa della irragionevole durata del procedimento.
Il mancato rispetto del giudicato formatosi su un decreto di condanna al pagamento di un indennizzo per l'irragionevole durata di un processo amministrativo comporta l'obbligo per l'Amministrazione soccombente di provvedere al pagamento delle somme dovute entro un termine perentorio, decorso il quale il giudice può nominare un commissario ad acta con il potere di prelevare le somme da qualsiasi capitolo di spesa, anche fuori bilancio, al fine di assicurare l'esecuzione del giudicato. Tale obbligo di ottemperanza al giudicato costituisce un principio fondamentale di tutela giurisdizionale effettiva, in attuazione del diritto di azione e del diritto ad un processo di durata ragionevole, sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. L'inottemperanza dell'Amministrazione al giudicato, oltre a legittimare la nomina del commissario ad acta, comporta la condanna al pagamento delle spese processuali, a tutela del diritto di difesa della parte vittoriosa. Il giudice amministrativo, nell'ambito del giudizio di ottemperanza, è pertanto tenuto a garantire l'esecuzione del giudicato, anche attraverso l'adozione di misure coercitive nei confronti dell'Amministrazione inadempiente, al fine di assicurare l'effettività della tutela giurisdizionale e il rispetto dei principi costituzionali e convenzionali in materia di giusto processo.
Il ritardo ingiustificato dell'amministrazione nel dare esecuzione a un giudicato che riconosce il diritto del cittadino al risarcimento del danno da ritardo giudiziario integra una violazione del principio di buona amministrazione e del dovere di correttezza e diligenza, comportando l'obbligo per l'amministrazione di provvedere tempestivamente al pagamento delle somme dovute, anche mediante la nomina di un commissario ad acta. L'inosservanza del giudicato, infatti, lede il diritto del cittadino alla tutela giurisdizionale effettiva e al giusto ristoro del pregiudizio subito a causa del ritardo nell'emanazione del provvedimento, principi fondamentali dell'ordinamento giuridico. L'amministrazione è pertanto tenuta a conformarsi prontamente al giudicato, senza ulteriori ritardi, al fine di assicurare la piena attuazione della decisione giurisdizionale e il ristabilimento della legalità violata. Il mancato adempimento del giudicato, in assenza di giustificati motivi, integra un'ipotesi di responsabilità amministrativa e può dar luogo all'esercizio di poteri sostitutivi da parte del giudice, volti a garantire l'effettività della tutela giurisdizionale.
Il Tribunale Amministrativo Regionale, nel dichiarare improcedibile il ricorso e i successivi motivi aggiunti proposti da Busitalia - SITA Nord s.r.l. avverso gli atti della procedura di affidamento dei servizi di trasporto pubblico locale nel bacino della Regione Umbria, afferma il principio per cui, anche in assenza delle formalità previste dall'art. 84, commi 1 e 3, del Codice del processo amministrativo, il giudice può desumere dal comportamento delle parti, in particolare dalla dichiarazione di rinuncia al ricorso sottoscritta dal ricorrente e notificata alle controparti, il sopravvenuto difetto di interesse alla decisione della causa, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo. Pertanto, il giudice amministrativo, in presenza di tali circostanze, è legittimato a dichiarare l'improcedibilità del ricorso, disponendo la compensazione delle spese di giudizio, in attuazione dei principi di economia processuale e ragionevole durata del processo.
Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: La pubblica amministrazione, nell'esercizio delle proprie funzioni di tutela dell'interesse pubblico, può adottare provvedimenti volti a garantire la sicurezza e l'incolumità pubblica, nonché la salvaguardia del patrimonio ambientale e paesaggistico, anche richiedendo la collaborazione di altri enti pubblici competenti in materia. Tali provvedimenti, pur incidendo sull'autonomia e sulle prerogative di altri soggetti pubblici, sono legittimi laddove siano proporzionati e giustificati dalla necessità di prevenire situazioni di pericolo o di danno. In tali casi, il principio di leale collaborazione istituzionale impone alle amministrazioni coinvolte di coordinarsi e cooperare al fine di contemperare i diversi interessi pubblici in gioco, privilegiando soluzioni condivise e volte a garantire la migliore tutela dell'interesse generale. Solo ove tale collaborazione non sia possibile, l'amministrazione procedente può legittimamente adottare unilateralmente i provvedimenti necessari, fermo restando il diritto degli altri enti di impugnare gli atti ritenuti illegittimi dinanzi al giudice amministrativo.
Il commissario ad acta nominato dal giudice dell'ottemperanza per l'esecuzione di un giudicato che condanna l'amministrazione al pagamento di una somma di denaro è un organo straordinario del giudice, le cui determinazioni devono essere adottate esclusivamente in funzione dell'esecuzione del giudicato stesso. L'eventuale inerzia del commissario nell'esecuzione degli ordini impartiti può rilevare ai fini di una sua responsabilità erariale. Il commissario ad acta deve provvedere sia all'allocazione della somma in bilancio, ove manchi un apposito stanziamento, sia all'espletamento delle fasi di impegno, liquidazione, ordinazione e pagamento della spesa, ponendo in essere tutte le iniziative necessarie per rendere possibile il pagamento, senza che l'esaurimento dei fondi di bilancio o la mancanza di disponibilità di cassa possano costituire legittima causa di impedimento all'esecuzione del giudicato. In caso di perdurante inadempimento del commissario ad acta, il giudice dell'ottemperanza può reiterare l'ordine di esecuzione, assegnando un nuovo termine perentorio.
Il giudicato formatosi sulla pronuncia di condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di una equa riparazione per l'irragionevole durata del processo, ai sensi della legge n. 89/2001, è vincolante per l'Amministrazione, la quale è tenuta a dare integrale esecuzione alla sentenza definitiva, senza possibilità di sottrarsi all'adempimento. Il mancato pagamento delle somme liquidate in favore del ricorrente, nonostante le richieste di quest'ultimo, integra un'ipotesi di inadempimento del giudicato, che legittima l'instaurazione di un giudizio di ottemperanza finalizzato all'esecuzione forzata della pronuncia, anche con la nomina di un commissario ad acta. In tale contesto, l'Amministrazione resistente non può sottrarsi all'obbligo di dare esecuzione al giudicato, essendo tenuta a provvedere al pagamento delle somme dovute, oltre al rimborso delle spese legali sostenute dal ricorrente per ottenere l'adempimento. Il principio di effettività della tutela giurisdizionale impone, infatti, che il giudicato formatosi su una pronuncia di condanna dell'Amministrazione al pagamento di una somma di denaro trovi piena e tempestiva attuazione, senza che l'Amministrazione possa opporre ostacoli o ritardi ingiustificati all'esecuzione della sentenza definitiva.
Il Ministero dell'Economia e delle Finanze è tenuto a dare esecuzione al giudicato formatosi sulla pronuncia che lo ha condannato al pagamento di una somma di denaro a titolo di equa riparazione per l'irragionevole durata del processo, non potendo opporre alcuna eccezione o rifiuto all'adempimento di tale obbligo. Il mancato pagamento spontaneo da parte dell'Amministrazione legittima il ricorso all'azione di ottemperanza, finalizzata all'esecuzione coattiva del giudicato, con la nomina di un commissario ad acta che provveda in luogo dell'Amministrazione inadempiente. Il principio di effettività della tutela giurisdizionale impone che il giudicato formatosi su una pronuncia di condanna al pagamento di una somma di denaro sia prontamente e integralmente eseguito dall'Amministrazione soccombente, senza possibilità di opporre rifiuti o eccezioni, al fine di assicurare la piena realizzazione del diritto riconosciuto in sede giurisdizionale. Il mancato adempimento spontaneo del giudicato da parte dell'Amministrazione comporta la condanna alle spese del giudizio di ottemperanza, anche in assenza di una formale dichiarazione di soccombenza, in applicazione del principio della cd. soccombenza virtuale, in ragione del carattere seriale e non complesso della controversia.
La stazione appaltante, nel procedimento di verifica di anomalia dell'offerta, è tenuta a motivare in modo articolato e approfondito le ragioni per le quali ritiene l'offerta del concorrente incongrua, sulla base di una valutazione globale e sintetica della serietà e sostenibilità dell'offerta nel suo complesso, e non può limitarsi a meri richiami generici o a indicazioni prive di adeguato supporto istruttorio. Inoltre, anche in assenza di rigide scansioni procedimentali, la stazione appaltante deve comunque garantire al concorrente un effettivo contraddittorio, dando la possibilità di chiarire gli aspetti ritenuti critici prima di addivenire all'esclusione, salvo che le giustificazioni già fornite non risultino manifestamente insufficienti. Infine, la stazione appaltante può sottoporre a verifica di congruità un'offerta che "appaia anormalmente bassa" solo sulla base di "elementi specifici" che giustifichino tale scelta, senza poter procedere in assenza di una sia pur sommaria enunciazione delle ragioni che inducono a tale approfondimento.
Il ribasso offerto in sede di gara per l'affidamento di un accordo quadro per l'esecuzione di opere edili si applica all'importo complessivo della commessa, al netto dei soli oneri per la sicurezza e dei costi della sicurezza da interferenze, mentre i costi della manodopera sono ricompresi tra gli importi soggetti a ribasso, in assenza di una espressa previsione contraria negli atti di gara. L'interpretazione letterale delle clausole del disciplinare di gara, quale atto che disciplina le modalità di formulazione delle offerte, prevale sulle eventuali previsioni di segno diverso contenute in altri documenti di gara, aventi diverso oggetto. L'eventuale illegittimità delle previsioni del disciplinare in ordine agli importi soggetti a ribasso non può essere fatta valere al solo fine di reputare congrua l'offerta di un singolo operatore, senza che ciò comporti la caducazione dell'intera procedura, al fine di consentire a tutti i partecipanti di rinnovare le proprie offerte sulla base della disciplina ritenuta illegittima. L'incongruità dell'offerta di un operatore, derivante dall'erroneo presupposto che i costi della manodopera non fossero soggetti a ribasso, è sufficiente a giustificarne l'esclusione dalla gara, senza che assumano rilievo ulteriori profili di anomalia, ove questi non siano idonei a inficiare la sostenibilità complessiva dell'offerta.
Il Tribunale Amministrativo Regionale, in presenza di una sopravvenuta approvazione di una variante urbanistica che ha recepito l'accordo ex art. 27 della l.r. 1/2015, dichiara l'improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse, in applicazione dell'art. 35, comma 2, lett. c), cod. proc. amm., compensando integralmente le spese di giudizio tra le parti. Tale principio trova applicazione nei casi in cui l'oggetto del contendere risulti superato da successivi atti amministrativi, determinando la cessazione della materia del contendere e la conseguente carenza di interesse alla decisione del ricorso. Il Tribunale, nel dichiarare l'improcedibilità, valorizza il principio di economia processuale e di ragionevole durata del processo, evitando pronunce meramente caducatorie di atti ormai superati da nuovi provvedimenti. La compensazione integrale delle spese di giudizio, inoltre, tiene conto delle ragioni dell'esito del giudizio, in applicazione del criterio della soccombenza virtuale e della valutazione complessiva della vicenda processuale.
Il giudice amministrativo, nell'ambito di un giudizio di ottemperanza al giudicato formatosi su un decreto di riparazione del danno da ritardo giudiziario, dichiara cessata la materia del contendere quando la parte ricorrente attesta di aver ricevuto il pagamento degli importi dovuti dal Ministero dell'Economia e delle Finanze in esecuzione del giudicato, rinunciando al ricorso per mancanza di ulteriore interesse. Ove sia proposto un ricorso duplicato, identico al precedente, il giudice lo dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, non potendo pronunciarsi sulla richiesta di esonero dal contributo unificato, trattandosi di un tributo erariale la cui debenza compete all'autorità amministrativa competente. Le spese di giudizio sono compensate in considerazione dell'esito processuale.
Il giudice amministrativo, in presenza di una pronuncia giurisdizionale definitiva di condanna al risarcimento del danno da ritardo giudiziario, è tenuto a ordinare l'ottemperanza della stessa, disponendo il pagamento delle somme dovute in favore del danneggiato. Tuttavia, qualora il soggetto condannato abbia spontaneamente adempiuto all'obbligo di pagamento, il giudice deve dichiarare la cessazione della materia del contendere, non sussistendo più un interesse concreto ed attuale alla decisione del ricorso. Inoltre, in caso di duplicazione del ricorso per mero errore materiale, il giudice dispone la riunione dei procedimenti e la declaratoria di improcedibilità del ricorso reiterato, non essendo necessaria una nuova pronuncia. Infine, la competenza a pronunciarsi sulla debenza del contributo unificato spetta esclusivamente all'autorità amministrativa competente in materia tributaria, non rientrando tale valutazione nella giurisdizione del giudice amministrativo.
Il diniego di autorizzazione paesaggistica costituisce un atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire in sanatoria, in quanto la valutazione di compatibilità paesaggistica rappresenta un presupposto necessario e imprescindibile per il rilascio del titolo edilizio. Pertanto, il mancato tempestivo impugnazione del provvedimento di diniego di autorizzazione paesaggistica, che esprime l'insanabile contrasto del progetto con i valori paesaggistici, comporta l'inammissibilità del successivo ricorso avverso il diniego di permesso di costruire in sanatoria e l'ordinanza di demolizione, in quanto atti meramente consequenziali e vincolati al previo consolidamento del diniego di autorizzazione paesaggistica. La giurisprudenza ha infatti chiarito che l'autorizzazione paesaggistica, anche in sanatoria, deve essere acquisita prima di intraprendere il procedimento edilizio, il quale non può essere definito positivamente in assenza del previo conseguimento del titolo di compatibilità paesaggistica. Pertanto, il mancato tempestivo impugnazione del diniego di autorizzazione paesaggistica, che costituisce un arresto procedimentale lesivo, preclude la possibilità di contestare gli atti successivi, quali il diniego di permesso di costruire in sanatoria e l'ordinanza di demolizione, in quanto atti meramente vincolati all'esito negativo della valutazione paesaggistica.
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