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Il rinnovo tacito dell'incarico di amministratore di condominio, in assenza di espressa previsione contraria nel regolamento condominiale, è legittimo e non necessita del rispetto della maggioranza qualificata prevista per la nomina e la revoca dell'amministratore, in quanto l'art. 1129, comma 10, c.c. stabilisce che l'incarico si intende rinnovato per eguale durata, salvo diversa manifestazione di volontà dei condomini. Inoltre, il rendiconto condominiale, in ossequio al principio di continuità, può riportare i crediti vantati dal condominio nei confronti dei singoli condomini morosi anche negli esercizi successivi, in quanto tali debenze costituiscono non solo un saldo contabile dello stato patrimoniale attivo, ma anche uno permanente posto di debito di quei partecipanti nei confronti del condominio. Pertanto, la delibera assembleare che approva il rendiconto sulla base di tali crediti è legittima, salvo che la loro esattezza non sia stata negata con sentenza passata in giudicato.
Il proprietario esclusivo di un lastrico solare, che ne abbia la disponibilità materiale, risponde ai sensi dell'art. 2051 c.c. dei danni derivanti da infiltrazioni d'acqua nell'appartamento sottostante, salva la prova che il danno sia stato causato da un caso fortuito non imputabile al proprietario. Il condominio, tuttavia, è parimenti responsabile per culpa in vigilando, in quanto tenuto ad adottare i controlli necessari alla conservazione delle parti comuni, tra cui il lastrico solare, ai sensi degli artt. 1130 e 1135 c.c. Il danneggiato che agisce per il risarcimento del danno, sia in ambito contrattuale che extracontrattuale, ha l'onere di provare l'esistenza del danno e il nesso di causalità tra il fatto dannoso e il pregiudizio subito, non potendo il giudice sopperire a tali carenze probatorie mediante l'espletamento di una consulenza tecnica d'ufficio, la quale non può essere utilizzata per esonerare la parte dall'assolvimento di detti oneri. Ove il danneggiato non assolva a tali oneri probatori, la domanda di risarcimento deve essere rigettata, non potendo il giudice procedere alla liquidazione equitativa del danno ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c. in assenza della dimostrazione dell'an debeatur.
La segnalazione negativa di un cliente in una centrale rischi è legittima se l'intermediario finanziario prova: 1) la sussistenza del presupposto sostanziale, ossia l'effettivo inadempimento del cliente; 2) il rispetto del requisito formale, ovvero l'invio al cliente di un preavviso circa l'imminente registrazione dei dati negativi. L'onere della prova di tali requisiti grava sull'intermediario finanziario. Inoltre, il contratto di mutuo stipulato per atto pubblico, con la sottoscrizione di tutte le condizioni ivi previste, tra cui il tasso di interesse e le spese accessorie, è valido ed efficace, in assenza di prova di diversi accordi intercorsi in sede precontrattuale.
Il demansionamento del lavoratore, consistente nell'assegnazione di mansioni inferiori rispetto a quelle precedentemente svolte, comporta il diritto al risarcimento del danno alla professionalità, da liquidarsi in via equitativa in misura pari al 20% della retribuzione netta di base percepita dal lavoratore per il periodo di dequalificazione, tenuto conto dell'anzianità lavorativa e della durata del demansionamento. Tale danno è distinto e autonomo rispetto al danno biologico, la cui sussistenza deve essere specificamente allegata e provata dal lavoratore, non potendosi presumere automaticamente in tutti i casi di demansionamento. Perché il comportamento datoriale integri gli estremi del mobbing, è necessario che esso sia sorretto da intento persecutorio e determini una lesione della dignità, dell'immagine professionale o di altri diritti costituzionalmente tutelati del lavoratore, non essendo sufficiente la mera condizione di disagio psicofisico derivante dalle condizioni usuranti del contesto organizzativo.
Il mancato rispetto del termine di preavviso per la convocazione dell'assemblea condominiale, stabilito dal regolamento condominiale, comporta l'annullabilità della delibera assembleare ai sensi dell'art. 1137 c.c., in quanto ogni condomino deve essere messo in condizione di poter partecipare all'assemblea. Il regolamento condominiale, pur potendo derogare alle norme di legge, non può tuttavia incidere sui diritti inderogabili di ciascun condomino, tra cui il diritto di essere ritualmente convocato entro il termine previsto, a pena di annullabilità della delibera per vizio di convocazione. Pertanto, qualora l'avviso di convocazione sia stato recapitato ai condomini con un preavviso inferiore a quello stabilito dal regolamento, la delibera assembleare è annullabile su istanza dei condomini assenti per mancata rituale convocazione, in applicazione del principio di cui all'art. 1137 c.c.
Il lodo arbitrale irrituale, in quanto negozio giuridico, è impugnabile esclusivamente per vizi della volontà, quali dolo, violenza o errore, ovvero per incapacità delle parti o degli arbitri, senza possibilità di dedurre errori di diritto o di valutazione delle prove. L'errore rilevante è solo quello attinente alla formazione della volontà degli arbitri, che si configura quando questi abbiano avuto una falsa rappresentazione della realtà per non aver preso visione degli elementi della controversia o per averne supposti altri inesistenti, ovvero per aver dato come contestati fatti pacifici o viceversa. Pertanto, l'opposizione al lodo arbitrale irrituale non può essere fondata su una mera critica della decisione nel merito, essendo precluso il riesame della controversia, salvo i vizi di volontà tassativamente previsti dalla legge. Il giudice, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo fondato su un lodo arbitrale irrituale, deve limitarsi a verificare la sussistenza di tali vizi, senza poter entrare nel merito delle valutazioni compiute dagli arbitri, le quali sono insindacabili se sorrette da adeguata motivazione.
L'obbligazione concernente il pagamento di spese condominiali relative ad una unità immobiliare ricevuta per successione è di natura indivisibile, se e fino a quando indivisa resta la proprietà cui la stessa afferisce. Pertanto, i comproprietari rispondono solidalmente del debito di cui trattasi, in forza del combinato disposto degli artt. 1317 e 1294 c.c. Tuttavia, per i debiti maturati prima della morte del de cuius, gli eredi sono chiamati a corrispondere una somma pari alla loro quota di proprietà, in applicazione dell'art. 754 c.c. Spetta al creditore, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, l'onere di allegare e provare l'entità del debito maturato in epoca anteriore e successiva al decesso del debitore originario, al fine di ottenere la condanna degli eredi in solido o pro quota. In mancanza di tale attività istruttoria, il giudice non può pronunciare una condanna generica al pagamento dell'intera somma richiesta, ma deve limitarsi a revocare il decreto ingiuntivo opposto.
Il diritto del lavoratore a ferie annuali retribuite trova fondamento sia nel diritto interno (art. 36 Cost., art. 2109 c.c., D.Lgs. n. 66/2003) sia nel diritto dell'Unione Europea (art. 7 Direttiva 2003/88/CE, art. 31 Carta dei diritti fondamentali dell'UE). La retribuzione dovuta durante il periodo di ferie annuali deve essere calcolata in modo da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore, includendo tutti gli elementi retributivi intrinsecamente connessi all'espletamento delle mansioni e compensativi di specifici disagi derivanti dallo svolgimento dell'attività lavorativa, nonché quelli correlati allo status personale e professionale del lavoratore. Sono pertanto da computare nella base di calcolo della retribuzione durante le ferie le indennità accessorie che presentano tali caratteristiche, come le indennità di trasferta, diaria ridotta, fuori nastro, agente unico, turni di linea e di rifornimento, mentre ne sono esclusi gli elementi diretti a coprire spese occasionali o accessorie. L'interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia UE ha efficacia ultra partes e deve essere seguita nell'applicazione della normativa interna in materia di ferie retribuite, a prescindere dalla mancanza di una specifica definizione di retribuzione. Il termine di prescrizione per i diritti retributivi non ancora prescritti al momento dell'entrata in vigore della legge n. 92/2012 decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro.
La clausola floor inserita in un contratto di mutuo non può essere qualificata come derivato finanziario, in quanto rappresenta esclusivamente una tecnica di determinazione convenzionale del tasso di interesse, finalizzata a garantire all'istituto mutuante una remuneratività minima del finanziamento concesso. Pertanto, tale pattuizione non è soggetta alla disciplina del Testo Unico della Finanza in materia di servizi di investimento, non determinando la realizzazione di un investimento finanziario per il mutuatario. La previsione di una clausola floor non è di per sé illegittima, in quanto risponde all'esigenza dell'intermediario di assicurarsi un livello minimo di redditività del finanziamento, senza sacrificare le esigenze di certezza e determinatezza del contenuto contrattuale, atteso che il soggetto finanziato è a conoscenza che il tasso di interesse passivo non potrà diminuire sotto una certa soglia. Ai fini della verifica dell'usurarietà degli interessi, sia corrispettivi che moratori, il giudice deve tener conto delle rilevazioni statistiche effettuate dalla Banca d'Italia e recepite nei decreti ministeriali, applicando i criteri enunciati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. In particolare, per i contratti conclusi dal 1 aprile 2003 al 30 giugno 2011, il tasso soglia di mora si determina sommando al Tasso Effettivo Globale Medio il valore del 2,1% (maggiorazione media interessi di mora indicata nei decreti), il tutto maggiorato del 50%. Inoltre, ai fini del calcolo del Tasso Effettivo Globale, non può tenersi conto della commissione prevista per l'anticipata estinzione del mutuo, in quanto costituisce una componente del corrispettivo del contratto che non rientra nella categoria del vantaggio usurario. Infine, la mancata consegna del piano di ammortamento al momento della conclusione del contratto non comporta alcuna violazione da parte dell'istituto di credito, né rende indeterminato l'oggetto del contratto, nell'ipotesi in cui nello stesso siano riportate tutte le condizioni economiche relative all'ammortamento, il numero di rate e la relativa modalità di calcolo.
Il dovere di contribuzione ai bisogni della famiglia, di cui all'art. 143 c.c., è da intendersi in senso solidaristico tra i coniugi, senza che il maggior conferimento di uno di essi dia diritto a una "controprestazione". Salvo patto contrario, adeguatamente provato, i coniugi non sono tenuti a ripartire in maniera specifica il loro impegno nel saldare l'obbligazione contratta per l'acquisto della casa coniugale, essendo la loro contribuzione regolata in base alle risorse all'epoca a disposizione di ciascuno. Tuttavia, a seguito dell'intervenuta separazione, sussiste l'obbligo di entrambi i coniugi di contribuire al pagamento del mutuo ipotecario cointestato, salvo la volontà di uno di essi di accollarsi per intero la rata del mutuo e salvo che tale accollo non sia stato disposto dal Giudice. In caso di inadempimento di entrambi i coniugi, il danno economico derivante dalla perdita dell'immobile all'esito della procedura esecutiva è imputabile alla negligenza di entrambe le parti, non potendo il creditore essere risarcito per i danni che avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.
Il genitore che si disinteressa completamente dei bisogni affettivi, materiali ed educativi del figlio minore, abbandonandolo alle cure del solo genitore affidatario, può essere escluso dall'affidamento condiviso e vedersi riconosciuto un diritto di visita limitato e subordinato all'intervento dei Servizi Sociali, dovendo comunque contribuire al mantenimento del figlio in misura proporzionata alle sue capacità economiche. In tali casi, l'interesse superiore del minore impone di disporre l'affidamento esclusivo al genitore che si è fatto carico in via esclusiva della cura e dell'assistenza del figlio, fermo restando il diritto-dovere dell'altro genitore di essere consultato sulle decisioni di maggiore interesse per il minore.
L'appaltatore è responsabile ai sensi dell'art. 1669 c.c. nei confronti del committente e dei suoi aventi causa per i gravi difetti costruttivi dell'opera, anche se non incidenti sulla stabilità strutturale, che menomano in modo apprezzabile e duraturo il godimento e la normale utilizzazione del bene secondo la sua intrinseca natura ed economica destinazione, senza che il committente debba provare la colpa dell'appaltatore, essendo sufficiente la mera sussistenza del vizio grave. Il risarcimento del danno comprende tutte le spese necessarie per eliminare definitivamente i difetti, anche mediante opere diverse da quelle originariamente previste, purché utili a ripristinare la normale funzionalità dell'opera. La transazione intervenuta tra le parti non esclude la responsabilità dell'appaltatore per i vizi costruttivi, in quanto la relativa garanzia legale permane salva.
Il decreto ingiuntivo, una volta opposto, apre un giudizio ordinario a cognizione piena in cui l'oggetto non è la valutazione della legittimità e validità del decreto, ma la fondatezza della pretesa creditoria originariamente azionata in via monitoria, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza. Pertanto, il diritto del preteso creditore deve essere adeguatamente provato, indipendentemente dall'esistenza o persistenza dei presupposti di legge richiesti per l'emissione del decreto ingiuntivo. In tale giudizio, la mancata contestazione specifica dei fatti costitutivi del diritto vantato dal creditore opposto rende superflua la prova di tali fatti, conferendo loro carattere non controverso, in applicazione del sistema delle preclusioni e del principio di economia processuale. Inoltre, la generica allegazione della sussistenza dei presupposti applicativi di una normativa speciale, senza adeguata dimostrazione, non è sufficiente a superare la pretesa creditoria.
Il contratto di assicurazione a favore di terzo non esclude la possibilità per l'assicurato di opporre al beneficiario le eccezioni e le clausole limitative previste nel contratto, tra cui la decadenza dalla garanzia in caso di dolo o colpa grave dell'assicurato nella causazione del sinistro. Tuttavia, la colpa grave che esclude la garanzia assicurativa deve essere specificamente provata dall'assicuratore, non potendosi ritenere integrata dalla mera circostanza che l'assicurato abbia lasciato temporaneamente incustoditi i beni all'interno di un veicolo chiuso a chiave, in assenza di ulteriori elementi che dimostrino una condotta gravemente negligente.
La responsabilità professionale dell'avvocato configura un'obbligazione di mezzi e non di risultato, pertanto la sua affermazione presuppone la prova della violazione del dovere di diligenza professionale media esigibile ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c., nonché del danno subito dal cliente e del nesso di causalità tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, e il pregiudizio lamentato. In particolare, in caso di omesso svolgimento di un'attività professionale, il cliente deve provare non solo il danno, ma anche che, sulla base di criteri probabilistici, senza tale omissione avrebbe conseguito un risultato più favorevole. L'accertamento del nesso causale non richiede la certezza dell'effetto dannoso rispetto alla condotta, ma la ragionevole probabilità di tale effetto e l'idoneità della condotta a produrlo. Pertanto, la responsabilità del professionista non può affermarsi per il solo fatto del mancato corretto adempimento dell'attività, essendo necessario verificare se l'evento produttivo del pregiudizio sia riconducibile alla sua condotta, se vi sia stato effettivamente un danno e se, ove egli avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito avrebbe conseguito, secondo criteri probabilistici, il riconoscimento delle proprie ragioni.
Il reato di gestione di rifiuti non autorizzata, previsto dall'art. 256, comma 1, del D.Lgs. n. 152 del 2006, è un reato comune realizzabile da chiunque svolga tale attività di fatto o in modo secondario, purché non del tutto occasionalmente. Ai fini della configurabilità del reato, è sufficiente anche una sola condotta tra quelle alternative previste dalla norma incriminatrice, essendo necessari solo indizi di una minima organizzazione che escluda la natura estemporanea dell'attività, come il dato ponderale dei rifiuti, la loro natura, la necessità di un veicolo adeguato, il numero di soggetti coinvolti e la provenienza dei rifiuti da un'attività imprenditoriale. L'elemento soggettivo può declinarsi indistintamente come dolo o colpa. Il reato di discarica abusiva, previsto dal comma 3 della medesima norma, si differenzia per la maggiore abitualità della condotta e la presenza di una struttura organizzativa, anche rudimentale, finalizzata alla collocazione definitiva dei rifiuti nell'area interessata. Il concorso di persone nel reato si configura quando il contributo del concorrente, pur non essendo indispensabile per la realizzazione del fatto, rafforza consapevolmente il proposito criminoso dell'autore principale. La concessione delle circostanze attenuanti generiche è subordinata alla valutazione della gravità del fatto e della personalità degli imputati.
La responsabilità oggettiva del custode di un bene pubblico ai sensi dell'art. 2051 c.c. per i danni subiti dal danneggiato a causa dello stato di manutenzione del bene, presuppone che il danneggiato dimostri l'effettivo verificarsi dell'evento dannoso e la sua riconducibilità causale alla cosa in custodia, nonché l'esistenza di una situazione oggettiva di pericolosità dei luoghi tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno. Tuttavia, tale responsabilità può essere esclusa qualora il custode dimostri che il danno è stato determinato da un caso fortuito, inteso come fatto estraneo alla sua sfera di custodia avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e assoluta eccezionalità, ovvero dalla condotta incauta e negligente della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c. Pertanto, il danneggiato che abbia piena conoscenza dello stato di manutenzione del bene pubblico e non adotti le necessarie cautele, concorre con la propria condotta alla determinazione dell'evento dannoso, escludendo la responsabilità del custode.
Il reato di evasione si configura quando il soggetto, consapevole del proprio stato di arresto o detenzione, si sottrae volontariamente alla misura cautelare o esecutiva cui è sottoposto, senza giustificato motivo, indipendentemente dallo scopo o dal movente che lo hanno determinato. La condotta tipica consiste nell'allontanamento dal luogo in cui il soggetto è ristretto, integrando il reato anche la violazione delle prescrizioni correlate alla detenzione domiciliare, senza che rilevi il periodo di assenza. Tuttavia, qualora il soggetto sia affetto da un vizio parziale di mente, tale da aver grandemente scemato, ma non abolito, la sua capacità di intendere e di volere al momento del fatto, la pena può essere diminuita ai sensi dell'art. 89 c.p. Inoltre, la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, comporta un aumento della pena, mentre l'assenza di segni di resipiscenza esclude il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Il contratto di locazione ad uso abitativo, anche se stipulato per un periodo transitorio, come quello di studenti universitari, non può essere risolto per impossibilità sopravvenuta della prestazione ai sensi dell'art. 1463 c.c. in caso di sospensione delle attività didattiche a causa di eventi straordinari, come la pandemia da Covid-19. Infatti, l'immobile locato rimane agibile e utilizzabile, sicché la scelta di non abitarlo da parte del conduttore non dipende da una situazione oggettiva di impossibilità, ma da una sua valutazione soggettiva di inopportunità o inutilità dell'utilizzo. In tali casi, il conduttore può al più recedere dal contratto per gravi motivi, con il preavviso previsto, ma non può sospendere o ridurre unilateralmente il pagamento del canone locativo. Pertanto, il locatore ha diritto di ottenere il pagamento dei canoni maturati, salvo il diritto del conduttore di chiedere una revisione temporanea dell'aspetto economico del contratto, ove ne ricorrano i presupposti. La risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione può essere invocata solo quando l'immobile diventi oggettivamente inutilizzabile o inagibile, per circostanze esterne non imputabili alle parti.
La cessione in blocco di crediti da parte di una banca, ai sensi dell'art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993, è validamente provata dalla produzione dell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti, senza necessità di una specifica enumerazione di ciascuno di essi, purché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione. La cartolarizzazione rientra nella species della cessione di credito e non della cessione del contratto, pertanto il cessionario acquista solo il diritto di credito e non l'intera posizione contrattuale. Il disconoscimento delle copie fotostatiche, ai sensi dell'art. 2719 c.c., richiede una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia le differenze rispetto all'originale, non essendo sufficienti né il ricorso a clausole di stile, né generiche asserzioni. Gli estratti conto bancari, essendo riproduzioni meccaniche di supporti magnetici, sono disciplinati dall'art. 2712 c.c., con la conseguenza che sul cliente grava l'onere di contestare le singole operazioni registrate. La determinatezza o determinabilità dell'onere della commissione di massimo scoperto, ai fini della sua validità, richiede la previsione sia del tasso della commissione, sia dei criteri di calcolo, sia della sua periodicità. L'applicazione della commissione di istruttoria veloce, prevista dall'art. 117 bis, comma 2 del TUB, richiede la prova da parte della banca di ciascuno degli sconfinamenti concessi, in applicazione del principio di vicinanza della prova. È inoltre illegittima l'applicazione, da parte della banca, di una indennità di sconfinamento in concomitanza con una commissione di disponibilità fondi, in ragione del principio di onnicomprensività della commissione di cui al co. 1 dell'art. 117 bis TUB. Ai fini del calcolo del TEG, onde verificarne la conformità alla L. n. 108 del 1990, è necessario applicare le Istruzioni della Banca d'Italia diramate in materia di calcolo del TEGM, in virtù del principio di simmetria/omogeneità fissato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite. L'usura rilevata in alcuni trimestri è mera usura sopravvenuta, che è irrilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 1815 c.c. Pertanto, l'accertamento dell'eventuale carattere usurario del rapporto deve essere effettuato solo con riguardo ai momenti rilevanti, ossia quello della pattuizione iniziale e quello delle successive modifiche contrattuali (usura originaria).
L'amministratore di condominio, per poter validamente conferire incarichi professionali che esulano dalla ordinaria amministrazione, necessita della preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale, la quale deve determinare quantomeno le linee generali dell'incarico, la tipologia delle prestazioni dovute e il compenso preteso. In mancanza di tale preventiva autorizzazione assembleare, l'atto di conferimento dell'incarico professionale rimane inefficace nei confronti del condominio, salvo che non ricorrano i presupposti di urgenza. Inoltre, la mera conoscenza da parte del condominio dell'attività compiuta dal falsus procurator non è sufficiente a integrare la ratifica del contratto concluso senza i necessari poteri, essendo necessaria una chiara ed univoca manifestazione di volontà del rappresentato, diretta a far propri gli effetti del contratto, che deve essere anche comunicata alla controparte.
Il reato di appropriazione indebita aggravata, di cui all'art. 646 e 61 n. 11 c.p., si configura quando il soggetto attivo, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria indebitamente di denaro o di cosa mobile altrui di cui abbia il possesso a qualsiasi titolo, con la consapevolezza e la volontà di trattare la cosa come propria, in violazione del rapporto fiduciario che lo lega al proprietario. Tale condotta è aggravata quando il fatto è commesso con abuso di autorità o di relazioni d'ufficio. Tuttavia, la remissione di querela da parte della persona offesa estingue il reato, venendo meno l'interesse statale alla punibilità del colpevole, in seguito alla rinuncia della persona offesa, anche in caso di condotta riparatoria realizzata dall'imputato.
Il reato di invasione di edifici di cui agli artt. 633 e 639-bis c.p. non sussiste quando l'imputato sia entrato legittimamente in possesso dell'immobile, anche se previa autorizzazione del precedente legittimo detentore, in quanto la fattispecie penale tutela una situazione di fatto tra il soggetto e la cosa, non rilevando ai fini penalistici il possesso o meno delle condizioni richieste per l'assegnazione, circostanza che può avere rilevanza solo in sede amministrativa o civile. Pertanto, l'ingresso nell'alloggio di edilizia residenziale pubblica in qualità di "ospite" del legittimo assegnatario, che abbia avanzato istanza di ampliamento del nucleo familiare, esclude la configurabilità del reato di invasione, in quanto l'imputato non si è introdotto arbitrariamente e contra ius nell'immobile, ma vi ha acceduto legittimamente, non realizzando una turbativa del possesso tale da depauperare le facoltà di godimento del titolare dello ius excludendi.
Il reato di evasione, di cui all'art. 385 c.p., si configura quando il soggetto, consapevole del proprio stato di arresto o detenzione, si sottrae volontariamente alla custodia cui è sottoposto, senza alcuna autorizzazione o giustificazione, indipendentemente dalle ragioni o dallo scopo che hanno determinato la sua condotta. Il dolo richiesto per l'integrazione della fattispecie è di tipo generico, essendo sufficiente la coscienza e volontà di evadere, a prescindere dai motivi che hanno spinto l'agente ad allontanarsi dal luogo di detenzione. Pertanto, il reato di evasione non è strutturato a dolo specifico, essendo sufficiente, per la sussistenza dell'elemento soggettivo, la consapevolezza e la volontà di usufruire di una libertà di movimento vietata dal precetto penale, anche unicamente come fine a sé stessa. Inoltre, il regime della detenzione domiciliare non prevede un periodo di "assenza tollerata" come quello stabilito per la semilibertà, per cui qualsiasi allontanamento non autorizzato dal luogo di custodia integra il reato di evasione, a nulla rilevando la breve durata dell'allontanamento o le ragioni addotte dall'imputato, salvo che ricorrano le condizioni per l'applicazione di una causa di giustificazione. La recidiva infraquinquennale, pur potendo essere bilanciata con le circostanze attenuanti generiche, incide comunque sulla determinazione della pena, che deve essere adeguata al concreto disvalore del fatto e alla personalità del reo.
Il reato di maltrattamenti in famiglia di cui all'art. 572 c.p. può essere integrato non solo mediante la commissione di condotte costituenti autonome ipotesi delittuose, come lesioni personali, ma anche attraverso atti di natura fisica e psichica caratterizzati da continua aggressività e persistente vessatorietà, idonei a ledere la personalità della vittima e a creare uno stato di umiliazione e abituale prostrazione, senza che assuma rilevanza la sussistenza di uno specifico programma criminoso. L'elemento soggettivo del reato non implica l'intenzione di sottoporre la vittima a una serie continua di sofferenze, ma solo la consapevolezza dell'agente di persistere in un'attività vessatoria. Ai fini della configurabilità del reato, è sufficiente che i vari episodi siano legati dal dolo unitario della condotta oppressiva e prevaricatrice del colpevole, il quale è consapevole di sottoporre la vittima a una serie di sofferenze fisiche e morali in modo abituale, instaurando una condizione di vessazione che avvilisce la sua personalità. Pertanto, rientrano nella fattispecie di maltrattamenti in famiglia tutti quegli atteggiamenti dell'agente che, per frequenza e sistematicità, pur se meno appariscenti e tipici rispetto agli insulti, alle minacce e alle percosse, siano tesi a porre la vittima in una condizione di vita avvilente, in uno stato di soggiogamento, incompatibile con la conduzione di una esistenza normale.
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