Sentenze recenti Tribunale Brescia

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  • L'assemblea condominiale non può adottare delibere prive di giustificazione e finalizzate esclusivamente a recare danno o molestia ad alcuni condomini, in quanto tali atti costituiscono abuso del diritto e violano il divieto di atti emulativi di cui all'art. 833 c.c. L'esercizio del potere deliberativo dell'assemblea deve essere improntato al perseguimento dell'interesse collettivo della comunità condominiale e non può tradursi in decisioni arbitrarie e discriminatorie nei confronti di singoli partecipanti, a prescindere dalla sussistenza di un effettivo vantaggio per il condominio. Pertanto, la delibera assembleare che dispone la rimozione di beni (quali orti e arbusti) insistenti sulle parti comuni senza fornire alcuna giustificazione in ordine alla necessità o utilità di tale intervento, e senza indicare alcun beneficio per la collettività condominiale, integra un abuso del diritto da parte della maggioranza e deve essere annullata dal giudice. L'esercizio del diritto di proprietà e delle facoltà connesse, anche in ambito condominiale, non può essere disgiunto dalla sua funzione sociale e dal rispetto del principio di correttezza e buona fede, essendo precluso alla maggioranza condominiale di adottare delibere prive di ragionevolezza e finalizzate esclusivamente a recare pregiudizio ad alcuni condomini.

  • Il precedente amministratore di un condominio è obbligato, ai sensi dell'art. 1129, comma 8, c.c., a consegnare al nuovo amministratore, al momento della cessazione dell'incarico, tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini, al fine di garantire la corretta e continuativa gestione condominiale. L'eventuale inadempimento a tale obbligo lo rende responsabile di tutti i danni che il condominio dimostri di aver subito per effetto della mancata o ritardata restituzione della documentazione. Tuttavia, qualora emerga che la documentazione contabile precedente non sia mai stata redatta dal precedente amministratore, non può configurarsi alcuna responsabilità per mancata consegna, in quanto non può essere consegnato ciò che non è mai stato prodotto. Inoltre, la richiesta di risarcimento per i maggiori oneri sostenuti dal nuovo amministratore per la ricostruzione della contabilità deve essere adeguatamente provata, non essendo sufficiente la mera allegazione di un maggior impegno lavorativo. Il giudice, pertanto, deve valutare attentamente le risultanze istruttorie per accertare l'effettiva responsabilità del precedente amministratore e la sussistenza di un danno concreto e quantificabile in capo al condominio.

  • Il condomino moroso nel pagamento delle spese condominiali per oltre un semestre può essere legittimamente sospeso dall'amministratore dal godimento dei servizi comuni suscettibili di fruizione separata, come il riscaldamento centralizzato, senza che ciò comporti una lesione del diritto alla salute costituzionalmente garantito, in quanto non sussiste un obbligo per i condòmini in regola di assumersi personalmente i costi delle forniture a favore dei morosi. L'amministratore può pertanto autorizzare l'interruzione del servizio di riscaldamento nei confronti del condomino moroso, previa verifica della sussistenza dei presupposti di legge, senza che ciò determini una violazione del diritto alla salute degli altri condòmini non morosi.

  • Il contratto d'appalto stipulato dall'amministratore di condominio in assenza di preventiva delibera assembleare è inefficace nei confronti del condominio, salvo che i lavori siano caratterizzati dal requisito dell'urgenza ai sensi dell'art. 1135, comma 2, c.c.; in mancanza di tale requisito, il rapporto obbligatorio non è riferibile al condominio, trattandosi di atto posto in essere dall'amministratore al di fuori delle sue attribuzioni, con la conseguenza che gli effetti del contratto si producono nel patrimonio del mandatario, che ha l'obbligo di tenere indenne il mandante da qualsiasi pregiudizio che possa derivare per il suo patrimonio dalla stipulazione e dall'esecuzione del negozio. Tuttavia, in caso di recesso del committente, quest'ultimo è comunque tenuto a corrispondere al professionista un importo pari al 30% del valore residuo dei pagamenti ancora in essere al momento della comunicazione di recesso, a titolo di rimborso spese e mancato guadagno, oltre alla restituzione della caparra confirmatoria versata.

  • L'installazione di un impianto fotovoltaico su parti comuni di un edificio condominiale, senza la preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale, è legittima ai sensi dell'art. 1122-bis c.c., purché non arrechi pregiudizio alla stabilità, al decoro dell'edificio o al pari utilizzo delle superfici comuni da parte degli altri condomini. Il muro perimetrale dell'edificio, anche se arretrato e interno alla proprietà esclusiva di un condomino, rientra tra le parti comuni condominiali ex art. 1117 c.c., in quanto determina la consistenza volumetrica, la protezione dagli agenti atmosferici e termici, la delimitazione della superficie coperta e la sagoma architettonica dell'edificio. L'installazione di un impianto fotovoltaico su tale muro perimetrale, senza la preventiva autorizzazione assembleare, non è pertanto censurabile, salvo che gli altri condomini dimostrino il pregiudizio alla stabilità, al decoro o al pari utilizzo delle parti comuni.

  • La ripartizione delle spese condominiali relative a beni comuni, quali la piscina, deve avvenire secondo il criterio legale dei millesimi di proprietà, salvo diversa convenzione unanime dei condomini. La deroga al criterio legale, contenuta in una delibera assembleare a maggioranza, è nulla, in quanto necessita del consenso unanime di tutti i condomini. Né la mera prassi protratta nel tempo, né la conoscenza tacita o l'acquiescenza di alcuni condomini, possono integrare una valida convenzione modificativa del criterio legale, essendo necessaria l'inequivoca manifestazione di volontà di tutti i partecipanti al condominio. Il diritto di ciascun condomino di far valere la nullità della delibera che approva un criterio di ripartizione difforme dalla legge o dal regolamento contrattuale, non è soggetto a decadenza o prescrizione, potendo essere fatto valere in qualsiasi momento, anche dal condomino che abbia votato favorevolmente.

  • Il negozio fiduciario, pur non richiedendo la forma scritta ad substantiam, deve essere provato in giudizio attraverso elementi idonei a dimostrare l'esistenza di obblighi di fare a carico del fiduciario nei confronti del fiduciante, costituenti il contenuto del mandato senza rappresentanza in cui si inquadra tale tipologia negoziale; in mancanza di tale prova, l'intestazione di un bene immobile al fiduciario non è sufficiente a far ritenere sussistente un pactum fiduciae, con la conseguente impossibilità di accogliere la domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di ritrasferimento del bene al fiduciante. Inoltre, anche ove il pactum fiduciae fosse provato, la sua esecuzione in forma specifica non potrebbe comunque portare al trasferimento del bene in capo al fiduciante, qualora l'impegno assunto fosse quello di trasferire il bene a un terzo soggetto, come nel caso di specie in cui l'accordo fiduciario prevedeva il trasferimento degli immobili alla figlia dei coniugi. Infine, la mancata prova dell'effettivo esborso di denaro da parte del fiduciante o della riconducibilità dello stesso agli immobili oggetto del giudizio impedisce di accogliere le domande di condanna del fiduciario alla restituzione di somme a titolo di mutuo o di indebito arricchimento.

  • Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza può essere così formulato: La divisione ereditaria è soggetta al principio di universalità oggettiva, per cui la divisione parziale è ammessa solo in presenza dell'accordo unanime dei condividenti o quando, di fronte a una domanda giudiziale di divisione parziale, gli altri compartecipi vi aderiscano. In assenza di tale consenso, la domanda di divisione parziale deve essere dichiarata inammissibile, senza precludere una successiva iniziativa per la divisione universale. Tuttavia, l'azione volta ad accertare la spettanza di singoli beni o somme all'asse ereditario resta autonomamente ammissibile e deve essere decisa nel merito, valutando la fondatezza delle allegazioni e delle prove prodotte. In particolare, i prelievi di denaro dal conto corrente del de cuius, anche se effettuati dal coerede, non danno luogo a obbligo di restituzione alla massa ereditaria qualora risultino giustificati da spese sostenute nell'interesse del de cuius, come quelle per la sua assistenza e cura negli ultimi mesi di vita.

  • Il contratto di appalto, disciplinato dagli artt. 1655 e ss. c.c., è caratterizzato dalla presenza di un appaltatore che possiede un'organizzazione imprenditoriale complessa di mezzi e risorse, tale da definirsi almeno un'impresa di medie dimensioni. In tale contesto, il committente ha a disposizione due rimedi alternativi in presenza di vizi o difformità eliminabili dell'opera: domandare all'appaltatore di eliminarli a proprie spese oppure chiedere una proporzionale riduzione del prezzo pattuito. La determinazione del minor valore dell'opera, ai fini della riduzione del prezzo, deve essere commisurata ai costi sostenuti dal committente per renderla utilizzabile, entro i limiti del valore dell'opera stessa, senza che ciò si traduca nell'acquisizione di un'utilità economica eccedente. L'onere della prova grava sull'appaltatore, il quale deve dimostrare di aver eseguito l'opera conformemente al contratto e alle regole dell'arte; in mancanza, il committente può legittimamente contestare i vizi e le difformità, anche attraverso la tempestiva denuncia, senza che ciò comporti l'automatica accettazione tacita dell'opera. La presa in consegna dell'opera da parte del committente non equivale, di per sé, ad accettazione senza riserve, essendo necessario verificare in concreto se il suo comportamento sia incompatibile con la volontà di rifiutarla o di accettarla con riserva. Infine, il risarcimento del danno subito dal committente, ivi compresi i costi sostenuti per rendere l'opera utilizzabile, deve essere determinato equitativamente, ai sensi dell'art. 1226 c.c., qualora la sua esatta quantificazione risulti impossibile o eccessivamente difficoltosa.

  • Il mancato pagamento dei canoni di locazione, anche se parziale o temporaneo, costituisce grave inadempimento contrattuale che legittima il locatore a chiedere la risoluzione del contratto di locazione, salvo che il conduttore non provi di aver regolarmente adempiuto alle proprie obbligazioni. Il conduttore non può sospendere unilateralmente il pagamento del canone neppure in presenza di circostanze che diminuiscano l'idoneità del bene locato all'uso convenuto, a meno che tali circostanze non siano state espressamente escluse dal contratto. Il conduttore ha diritto a un'indennità per i miglioramenti apportati all'immobile solo se vi è stato il previo consenso del locatore, che non può desumersi da un mero comportamento di tolleranza. Le misure restrittive adottate durante l'emergenza sanitaria da COVID-19 non legittimano di per sé la sospensione o la riduzione del pagamento dei canoni di locazione, salvo che il conduttore non dimostri l'impossibilità di adempiere per cause a lui non imputabili. Il principio di buona fede nell'esecuzione del contratto impone al conduttore di attivarsi in favore del locatore, ma sempre entro i limiti del proprio interesse, senza che possa pretendersi da lui un apprezzabile sacrificio.

  • La banca, in quanto operatore qualificato, è tenuta a rispettare obblighi di buona fede, correttezza, informazione e protezione nei confronti della clientela, anche in relazione a investimenti in beni diversi dai tradizionali strumenti finanziari. Pertanto, la banca che promuova l'acquisto di diamanti come investimento, senza fornire adeguate informazioni in merito alla determinazione del prezzo, alla possibilità di rivendita e al reale valore di mercato del bene, risponde dei danni subiti dal cliente per aver concluso l'operazione sulla base di informazioni incomplete e fuorvianti. Tale responsabilità sussiste anche qualora la banca abbia svolto un ruolo di mera intermediazione e segnalazione dell'investimento, in quanto il cliente ripone un legittimo affidamento nella professionalità e correttezza dell'operatore bancario. La banca non può invocare clausole di esonero della responsabilità né la possibilità per il cliente di recedere dal contratto, ove non sia provato che il cliente fosse a conoscenza dell'effettivo valore di mercato del bene al momento in cui poteva esercitare il recesso. Il danno risarcibile è pari alla differenza tra il prezzo di acquisto e il valore di mercato del bene al momento della conclusione del contratto, essendo irrilevante la circostanza che il prezzo comprendesse anche servizi accessori, la cui incidenza non era stata adeguatamente esplicitata.

  • Il contratto di appalto per opere di ristrutturazione comporta per l'appaltatore l'obbligo di eseguire i lavori a regola d'arte, anche con riferimento alle opere affidate in subappalto, e la responsabilità per i danni derivanti da vizi di esecuzione, senza che possano essere invocate a esimente le istruzioni impartite dal committente o dal direttore dei lavori, salvo che l'appaltatore abbia manifestato il proprio dissenso e sia stato ugualmente costretto ad eseguire le opere in qualità di "nudus minister". Pertanto, l'appaltatore è tenuto al risarcimento dei danni cagionati al committente in conseguenza di un difetto di realizzazione dell'impianto idraulico, anche se eseguito da un subappaltatore, qualora non dimostri l'impossibilità dell'adempimento per fatto non imputabile. Il subappaltatore, dal canto suo, è responsabile verso l'appaltatore per i danni derivanti dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle opere affidate in subappalto, non potendo invocare a propria discolpa la mera soggezione alle istruzioni del subcommittente, salvo che abbia provato di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato ugualmente costretto ad eseguire le opere in qualità di "nudus minister". Inoltre, l'assicuratore dell'appaltatore non è tenuto a indennizzare i danni cagionati all'attività del committente in conseguenza di vizi dell'opera realizzata, qualora la polizza assicurativa escluda espressamente la copertura per i danni alle cose sulle quali si eseguono i lavori e per quelli cagionati dalle opere dopo il loro completamento.

  • Il condomino in (presunto) conflitto di interessi non può essere escluso dalla votazione in assemblea condominiale, ma ha la facoltà di astenersi dal voto. L'esclusione dalla votazione deliberata dall'assemblea è nulla in quanto lesiva dei diritti del singolo condomino. Le maggioranze necessarie per l'approvazione delle delibere condominiali sono inderogabilmente quelle previste dalla legge, in rapporto a tutti i partecipanti e al valore dell'intero edificio, sia ai fini del quorum costitutivo, sia ai fini del quorum deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interessi con il condominio. Pertanto, le delibere assembleari adottate senza il rispetto delle maggioranze legali, sia costitutive che deliberative, sono illegittime e devono essere annullate. Il condomino in conflitto di interessi può astenersi dal voto, ma non può essere escluso dalla votazione, la cui esclusione determina la nullità della delibera. Inoltre, eventuali errori formali nel verbale assembleare, come l'erronea indicazione dell'esito della votazione, comportano l'illegittimità della delibera stessa.

  • Il progettista e direttore dei lavori è responsabile per l'inesatto adempimento delle obbligazioni contrattuali relative all'impermeabilizzazione di una copertura, qualora dimostrato che l'impermeabilizzazione non sia stata realizzata conformemente al capitolato d'appalto e che ciò abbia causato infiltrazioni e danni. Tuttavia, l'onere della prova di tali elementi incombe sul committente, il quale deve dimostrare l'inadempimento, il nesso causale con i danni lamentati e la quantificazione del danno. Qualora il committente abbia eseguito unilateralmente e senza previo accertamento tecnico in contraddittorio interventi di modifica radicale dello stato dei luoghi, precludendo ogni possibilità di verifica, la mancanza o incertezza della prova si risolve in pregiudizio del committente stesso, comportando il rigetto della domanda di risarcimento.

  • L'assicuratore può rifiutare il pagamento dell'indennizzo previsto dalla polizza vita quando l'assicurato abbia reso dichiarazioni inesatte o reticenti su circostanze determinanti per il consenso dell'assicuratore, anche in assenza di dolo o colpa grave, purché il sinistro si verifichi prima del termine di decadenza entro il quale l'assicuratore può impugnare il contratto. L'inesattezza e reticenza delle dichiarazioni dell'assicurato, formulate in risposta al questionario sanitario incluso nel testo contrattuale, sono determinanti per il consenso dell'assicuratore quando riguardano patologie preesistenti e accertamenti diagnostici rilevanti per la valutazione del rischio, anche se la causa del sinistro non è direttamente riconducibile a tali patologie. L'assicuratore non ha l'onere di indicare analiticamente tutte le patologie che ritiene influenti sul rischio, essendo sufficiente la richiesta generica di dichiarare ogni stato morboso in atto al momento della stipula, e la formulazione del questionario non può essere interpretata come disinteresse dell'assicuratore alla conoscenza di malattie non espressamente indicate. La prova della consapevolezza dell'assicurato di rendere dichiarazioni non conformi al vero e della rilevanza delle informazioni taciute è sufficiente a integrare la causa di annullabilità del contratto per dichiarazioni inesatte o reticenti, senza necessità della prova dell'intenzione fraudolenta.

  • Il datore di lavoro privato è legittimato a sospendere dal lavoro e dalla retribuzione il dipendente che si rifiuti di esibire la certificazione verde COVID-19 (c.d. "green pass") prevista dalla normativa emergenziale, in quanto tale obbligo è stato introdotto da disposizioni di rango primario applicabili indistintamente a tutti i lavoratori del settore privato, a prescindere dalle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e dallo stato di salute del dipendente. Il rifiuto del datore di lavoro di corrispondere la retribuzione per il periodo di sospensione non integra un inadempimento contrattuale, in quanto la mancata prestazione lavorativa è dovuta all'impossibilità giuridica di adempiere per il dipendente, in applicazione della normativa emergenziale, secondo il principio di cui all'art. 1463 c.c. Pertanto, il datore di lavoro non può essere ritenuto responsabile per aver ottemperato a disposizioni di legge vincolanti, anche qualora il lavoratore ne contesti la legittimità costituzionale ed europea, non essendo ammissibile una valutazione di illegittimità della condotta datoriale sulla base di una mera prospettazione di incostituzionalità della norma applicata.

  • La donazione indiretta è un atto dispositivo del patrimonio del debitore suscettibile di essere revocato dal creditore ai sensi dell'art. 2901 c.c. quando ricorrono i presupposti oggettivi e soggettivi dell'azione revocatoria, anche se il pagamento del prezzo è parziale, in quanto ciò che rileva è la strumentalità della dazione di denaro all'intestazione del bene a nome altrui, quale risultato giuridico ultimo da conseguire, e la volontà concreta delle parti di realizzare tale finalità. Il creditore può ottenere la revoca della donazione indiretta nella misura corrispondente alla quota del bene acquistato dal donatario con il contributo del debitore, senza che sia necessario dimostrare la capienza residua del patrimonio del debitore, essendo onere di quest'ultimo allegare e provare tale circostanza. Il sequestro conservativo ex art. 2905, co. 2, c.c. ha ad oggetto i beni acquistati dal donatario con il contributo del debitore e non il denaro utilizzato per il pagamento del prezzo.

  • Il creditore che agisce in forza di una cessione in blocco di crediti deteriorati ai sensi dell'art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993 ha l'onere di dimostrare, mediante la produzione di idonea documentazione, l'inclusione del credito specifico nell'operazione di cessione, salvo che il debitore non abbia espressamente o implicitamente riconosciuto la legittimazione del cessionario. La semplice dichiarazione del cedente circa l'inclusione del credito nella cessione in blocco non è sufficiente a provare la titolarità del credito in capo al cessionario, essendo necessario che quest'ultimo alleghi e dimostri gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie di crediti ceduti e che le caratteristiche del credito di cui si discute siano riconducibili a tali elementi comuni. In mancanza di tale prova documentale, il precetto notificato dal cessionario deve essere dichiarato nullo per carenza di legittimazione attiva.

  • Il diritto di servitù di transito pedonale e carraio a favore del fondo dominante e a carico del fondo servente, costituito mediante atto formale e debitamente trascritto, deve essere riconosciuto ed esercitato nel rispetto del titolo costitutivo, senza che il proprietario del fondo servente possa limitarne unilateralmente le modalità di esercizio, salvo che non dimostri che l'originario sviluppo della servitù sia divenuto eccessivamente gravoso per il suo fondo o impedisca l'esecuzione di necessari interventi di riparazione o miglioramento, offrendo al titolare del fondo dominante un tracciato alternativo egualmente comodo per l'esercizio del diritto. L'eventuale modifica dello stato dei luoghi sul fondo dominante, pur non incidendo sull'esistenza della servitù, può tuttavia rilevare ai fini dell'accertamento di turbative all'esercizio del diritto di passo, purché il titolare del fondo dominante dimostri che il nuovo assetto impedisca o renda eccessivamente difficoltoso il transito verso il suo fondo. In difetto di tale prova, la domanda di accertamento delle turbative e di risarcimento dei danni deve essere respinta, così come devono essere disattese le domande riconvenzionali volte all'accertamento di un aggravamento della servitù o alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, in assenza di idonea dimostrazione del pregiudizio subito dal proprietario del fondo servente. Le spese di lite e di consulenza tecnica devono essere integralmente compensate tra le parti in ragione della reciproca soccombenza.

  • Il contratto di mediazione atipica, avente ad oggetto la vendita di un immobile, può validamente prevedere una clausola penale a carico del venditore in caso di mancata conclusione dell'affare, purché tale clausola sia stata oggetto di specifica trattativa e accordo tra le parti e non risulti manifestamente sproporzionata rispetto all'attività svolta dall'agente immobiliare e al valore dell'immobile. La mediazione atipica, quando svolta in modo professionale e continuativo, è soggetta all'obbligo di iscrizione all'albo previsto dalla legge, la cui mancanza esclude il diritto alla provvigione. Il contratto di mediazione atipica che non preveda la facoltà di recesso anticipato per entrambe le parti non è da considerarsi vessatorio ai sensi del Codice del Consumo, in quanto l'irrevocabilità dell'incarico per la durata stabilita rappresenta un elemento essenziale di tale tipologia contrattuale.

  • Il giudice di merito, nel valutare il danno biologico permanente derivante da lesioni di lieve entità, non è vincolato all'esclusivo ricorso ad accertamenti strumentali, potendo fondare il proprio giudizio anche su altri elementi di prova, quali la documentazione sanitaria prodotta e l'esame obiettivo del perito, purché l'accertamento sia condotto secondo rigorosi criteri medico-legali. Tuttavia, per la liquidazione del danno da micropermanente, inferiore al 9%, trovano applicazione i parametri risarcitori di cui all'art. 139 del Codice delle Assicurazioni Private, non essendo consentito il ricorso alle Tabelle di Milano, riservate ai soli danni biologici permanenti superiori al 9%.

  • La clausola compromissoria contenuta in un contratto di locazione, pur non precludendo al giudice ordinario di emettere i provvedimenti sommari di rilascio dell'immobile, determina l'improcedibilità delle domande e delle eccezioni relative alla fase di merito della controversia, la cui competenza deve essere declinata in favore dell'arbitrato, in ossequio al principio di autonomia negoziale delle parti e di rispetto della volontà di deferire la decisione della controversia a un giudice privato. Ciò vale anche per le controversie in materia di locazione, in quanto la competenza funzionale ed inderogabile del giudice ordinario per i procedimenti di convalida di sfratto è limitata alla sola fase sommaria, mentre per la fase di merito opera la clausola compromissoria, salvo diversa previsione di legge.

  • Il testamento olografo, quale atto di ultima volontà, è pienamente valido ed efficace solo se redatto da un soggetto dotato di piena capacità di intendere e di volere al momento della sua compilazione. Pertanto, l'istituzione di erede contenuta in un testamento olografo è nulla e priva di effetti qualora sia accertato che il testatore, al tempo della redazione delle disposizioni, fosse incapace di intendere e di volere per infermità di mente o per altro motivo. Inoltre, il testamento può essere annullato per vizi della volontà, quali errore, violenza o dolo, che abbiano determinato il testatore a disporre in un certo modo, in contrasto con la sua reale e libera volontà. Tuttavia, l'onere di provare l'incapacità del testatore o l'esistenza di vizi della volontà grava su colui che contesta la validità del testamento, non potendosi presumere tali circostanze. Parimenti, la semplice chiamata all'eredità non è sufficiente a conferire la legittimazione passiva rispetto a domande giudiziali volte all'esecuzione di legati contenuti nel testamento, essendo necessaria l'accettazione espressa o tacita dell'eredità da parte del chiamato. Pertanto, il decreto ingiuntivo emesso nei confronti di un soggetto che rivesta la mera qualifica di chiamato all'eredità, e non già quella di erede, deve essere revocato per difetto di legittimazione passiva. Infine, la domanda riconvenzionale volta a far dichiarare la nullità del testamento per violazione delle norme che regolano l'amministrazione di sostegno è inammissibile qualora risulti incompatibile con la pretesa azionata in via monitoria, che presuppone la validità del titolo di delazione ereditaria.

  • La clausola di risoluzione del contratto di leasing traslativo che prevede, in caso di inadempimento dell'utilizzatore, il diritto del concedente di trattenere i canoni scaduti, di percepire i canoni a scadere attualizzati e di detrarre il prezzo di opzione dal valore di realizzo del bene, è valida ed efficace, in quanto volta a ripristinare la situazione patrimoniale in cui il concedente si sarebbe trovato in caso di regolare esecuzione del contratto, senza che ciò comporti un ingiustificato arricchimento a suo favore. L'indicizzazione del tasso di interesse al parametro Euribor non integra di per sé la fattispecie di contratto derivato, essendo intrinsecamente collegata allo schema del contratto di leasing e costituendo una previsione accessoria che incide sul contenuto del sinallagma negoziale, senza mutarne la causa tipica. Inoltre, la vendita del bene da parte del concedente a un prezzo inferiore rispetto a quello di acquisto può essere giustificata dallo stato di manutenzione del bene al momento della restituzione, dalla contrazione del mercato immobiliare e dalla concreta dinamica del mercato, senza che ciò integri un pregiudizio per l'utilizzatore, il quale non ha dimostrato la possibilità di una sua migliore collocazione sul mercato. Infine, gli interessi moratori pattuiti con rinvio alla normativa di settore non sono usurari, in assenza di specifica allegazione del superamento del tasso soglia.

  • Il contratto di mutuo non è soggetto a vincoli di forma ad substantiam o ad probationem e può essere provato anche per testimoni e presunzioni, fermo restando il limite di cui all'art. 2721 c.c. Tuttavia, l'attore che agisce per la restituzione di una somma di denaro che allega di avere consegnato a titolo di mutuo ha l'onere di provare, oltre alla consegna del denaro, anche il titolo sul quale si fonda la pretesa di restituzione. Qualora il convenuto, pur riconoscendo i passaggi di denaro, ne alleghi una diversa causa, è pur sempre l'attore ad essere onerato della prova del titolo del proprio diritto alla restituzione e non il convenuto a dover provare l'esistenza della diversa causa riferita. La produzione di una scrittura privata da parte del convenuto, che attribuisca ai versamenti di denaro una diversa causa, costituisce piena prova, fino a querela di falso, quanto alla provenienza e al contenuto delle dichiarazioni negoziali, a meno che l'attore non impugni di falso la scrittura o ne deduca la simulazione, offrendone prova scritta. In assenza di querela di falso o deduzione di simulazione, l'attore non può far valere considerazioni volte ad evidenziare l'inverosimiglianza della ricostruzione del convenuto o proporre prove testimoniali per dimostrare una diversa causa dei versamenti, essendo onerato della prova del titolo di mutuo dedotto.

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