Sto cercando nella banca dati...
Risultati di ricerca:
Il beneficiario del reddito di cittadinanza non è tenuto a comunicare all'INPS il proprio stato detentivo, in quanto tale obbligo informativo non è espressamente previsto dalla normativa di riferimento; pertanto, l'omessa comunicazione di tale variazione rilevante ai fini della revoca o riduzione del beneficio non integra il reato di cui all'art. 7, comma 2, del D.L. n. 4 del 2019, essendo il fatto non sussistente. La sentenza chiarisce che, nonostante l'art. 7, comma 2, del D.L. n. 4 del 2019 preveda la punibilità dell'omessa comunicazione di "altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio", tale disposizione non impone espressamente al beneficiario l'obbligo di comunicare il proprio stato detentivo all'INPS. Infatti, gli artt. 3, commi 8, 9 e 11, del medesimo decreto-legge disciplinano esclusivamente gli obblighi informativi relativi alle variazioni del patrimonio e della condizione occupazionale, senza menzionare l'obbligo di comunicare il sopravvenuto stato detentivo. Inoltre, l'art. 7-ter, comma 4, prevede che sia l'autorità giudiziaria a dover comunicare all'INPS i provvedimenti di sospensione del beneficio, senza porre alcun onere informativo a carico del beneficiario. Pertanto, in assenza di una specifica previsione normativa che imponga al beneficiario l'obbligo di comunicare il proprio stato detentivo, la relativa omissione non può integrare il reato di cui all'art. 7, comma 2, del D.L. n. 4 del 2019.
Il reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale ex art. 337 c.p. si configura quando la condotta dell'agente, connotata da violenza o minaccia, sia idonea a impedire o turbare concretamente l'attività del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle proprie funzioni, a prescindere dall'effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento dell'atto e dall'esito positivo o negativo dell'azione. L'elemento soggettivo del reato è il dolo specifico, consistente nella coscienza e volontà di usare violenza o minaccia al fine di opporsi al compimento di un atto d'ufficio, essendo irrilevanti i motivi e gli scopi mediati perseguiti dall'agente. Integra il concorso formale di reati, ai sensi dell'art. 81 c.p., la condotta di chi, nel medesimo contesto fattuale, usi violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio mentre compiono atti del loro ufficio o servizio. La recidiva reiterata, specifica, infraquinquennale e vera, di cui all'art. 99 co. 4 c.p., è configurabile quando i reati, pur disciplinati da disposizioni normative diverse, presentino caratteri fondamentali comuni in relazione alle modalità di esecuzione, agli espedienti adottati o alle modalità di aggressione dell'altrui diritti, rivelando una propensione verso la medesima tecnica delittuosa. Nell'individuazione della pena, il giudice deve valutare tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p., senza che lo stato di salute dell'imputato, da solo, possa giustificare la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Il delitto di bancarotta fraudolenta, sia per distrazione che per sottrazione o distruzione di scritture contabili, è un reato proprio dell'imprenditore o di chi rivesta una posizione qualificata all'interno dell'impresa dichiarata fallita, finalizzato a cagionare un pregiudizio ai creditori sociali. La condotta distrattiva consiste nel sottrarre beni dal patrimonio dell'impresa, in qualsiasi forma e modalità, al fine di impedirne l'acquisizione da parte degli organi fallimentari, a prescindere dalla natura dell'atto negoziale posto in essere. L'occultamento, invece, si realizza attraverso il materiale nascondimento del bene, anche solo temporaneamente, in modo da frapporsi all'acquisizione dello stesso da parte della curatela. Tali condotte, per integrare il delitto di bancarotta fraudolenta, devono essere poste in essere con dolo generico, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte, con la rappresentazione della pericolosità della condotta distruttiva. Non è invece necessaria la volontà di cagionare il fallimento, né la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa. La bancarotta fraudolenta documentale, invece, si realizza attraverso la sottrazione, distruzione o omessa tenuta delle scritture contabili obbligatorie, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori. In tal caso, è richiesto il dolo specifico. Qualora l'imputato abbia posto in essere più condotte di bancarotta, queste mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall'art. 219, comma 2, n. 1 della legge fallimentare. Tale disposizione, pur formalmente configurata come circostanza aggravante, disciplina in sostanza una peculiare ipotesi di continuazione derogatoria rispetto a quella ordinaria di cui all'art. 81 c.p., con la conseguenza che la stessa deve essere sottoposta al giudizio di bilanciamento con le eventuali circostanze attenuanti.
Il falso in dichiarazioni rese a pubblico ufficiale, anche se non contenute in un atto pubblico, integra il reato di cui all'art. 495 c.p., qualora la dichiarazione mendace sia rilevante ai fini della formazione di un atto pubblico, come nel caso di una domanda di inserimento in graduatoria. Inoltre, l'utilizzo di un documento falso, senza concorso nella sua formazione, configura il reato di cui all'art. 489 c.p. Tali condotte, se poste in essere nell'ambito di un medesimo disegno criminoso finalizzato all'ottenimento di un indebito vantaggio, sono soggette al vincolo della continuazione di cui all'art. 81 c.p. La pena, in tali casi, deve essere commisurata all'effettivo disvalore dei fatti, tenendo conto dello stato di incensuratezza dell'imputato e della sua leale condotta processuale, con possibile riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis c.p. e della sospensione condizionale della pena, ove ne ricorrano i presupposti.
Il furto aggravato di merce esposta per consuetudine alla pubblica fede in un esercizio commerciale, mediante l'eliminazione delle etichette antitaccheggio, integra il reato di cui agli artt. 624 e 625, comma 1, n. 7, c.p. anche in presenza di un sistema di videosorveglianza, poiché tale sistema costituisce solo uno strumento di ausilio per l'individuazione degli autori e non garantisce l'interruzione immediata dell'azione criminosa. L'aggravante della pubblica fede sussiste quando la cosa mobile è lasciata dal possessore, in modo temporaneo o permanente, senza custodia continua, per necessità o per consuetudine, essendo esposta al rischio di più facile sottrazione. Inoltre, la recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale, quale sintomo di una accentuata pericolosità sociale del soggetto, può essere rilevata dal giudice anche in presenza di un modesto danno patrimoniale, valutando in concreto il rapporto tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne. In tali casi, la pena può essere contenuta sul minimo edittale, tenuto conto della equivalenza tra le aggravanti e l'attenuante del danno di speciale tenuità, fermo restando l'inapplicabilità della sospensione condizionale della pena per il soggetto recidivo.
Il giudice, nell'ambito di un giudizio di opposizione all'avviso di addebito previdenziale, è tenuto ad applicare i principi in materia di riparto dell'onere della prova, secondo i quali grava sull'ente previdenziale l'onere di provare i fatti costitutivi dell'obbligo contributivo, mentre sulla parte opponente incombe l'onere di contestare tali fatti. Il verbale ispettivo posto a fondamento dell'avviso di addebito non riveste efficacia probatoria diretta fino a querela di falso, ma può essere valutato dal giudice ai fini della formazione del suo convincimento, specie ove le dichiarazioni rese dai lavoratori agli ispettori siano univoche e il datore di lavoro non alleghi e dimostri eventuali contraddizioni in grado di inficiarne l'attendibilità. In caso di pluralità di contratti collettivi nazionali applicabili alla medesima categoria, il giudice è tenuto ad individuare il contratto collettivo "leader", ossia quello stipulato dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative, sulla base di specifici indici rivelatori della maggiore rappresentatività, quali la consistenza numerica delle organizzazioni, l'ampiezza e diffusione delle strutture organizzative, la partecipazione alla formazione e stipulazione di contratti collettivi, nonché alla risoluzione di vertenze individuali, plurime e collettive di lavoro. Ove il datore di lavoro non produca idonea documentazione giustificativa, il giudice può ritenere provate le violazioni accertate dagli ispettori in merito all'omessa registrazione sul libro unico del lavoro di ore di lavoro effettuate e non retribuite, nonché all'omessa corresponsione di trattamenti retributivi previsti dal contratto collettivo applicabile, come la quattordicesima mensilità. La revoca delle agevolazioni contributive indebitamente fruite dal datore di lavoro costituisce conseguenza diretta dell'accertata irregolarità contributiva.
Il reato di cui all'art. 95 del D.P.R. n. 115 del 2002, che punisce le false indicazioni o omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva o in ogni altra dichiarazione prevista per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, richiede la prova rigorosa del dolo generico, che esclude la responsabilità per mera disattenzione o difetto di controllo, configurabile anche nella forma del dolo eventuale. Pertanto, qualora i redditi non integralmente dichiarati risultino comunque rientranti nei limiti di legge per l'accesso al beneficio, l'accertamento dell'elemento soggettivo del reato deve essere condotto con particolare attenzione, al fine di verificare se la condotta del soggetto agente sia effettivamente espressiva di un deliberato mendacio o di una reticenza sulle effettive condizioni reddituali, ovvero sia piuttosto frutto di mera disattenzione, non integrante il dolo richiesto dalla fattispecie. In assenza di univoche e convergenti risultanze processuali che dimostrino la previsione dell'evento e l'adesione del soggetto agente, anche nella forma del dolo eventuale, l'imputato deve essere assolto perché il fatto non costituisce reato.
Il sindaco e il responsabile dell'ufficio tecnico comunale sono titolari di una posizione di garanzia nei confronti della pubblica incolumità, in virtù della quale hanno il dovere di vigilare sull'adeguata manutenzione e il controllo dello stato delle strade e delle opere pubbliche di competenza comunale, adottando ogni misura idonea a prevenire pericoli per i cittadini. La violazione di tale obbligo di diligenza, qualora cagioni la morte o lesioni di una persona a causa del mancato ripristino di condizioni di sicurezza in luoghi di pubblico transito, integra i reati di omicidio colposo e di omissione di cautele contro infortuni sul lavoro, essendo l'evento dannoso prevedibile ed evitabile con l'adozione delle necessarie cautele. Il nesso causale tra la condotta omissiva e l'evento lesivo non viene meno per il sopravvenire di condizioni di salute pregresse della vittima, ove queste non integrino una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento, in quanto il garante è chiamato a governare anche i rischi connessi alle condizioni soggettive della persona offesa.
Il reato di calunnia si configura quando una persona, con denuncia, querela, richiesta o istanza diretta all'Autorità giudiziaria o ad altra Autorità che abbia obbligo di riferirne, incolpa di un reato taluno che essa sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato. L'elemento oggettivo del reato è integrato dalla falsa accusa idonea a determinare l'astratta possibilità di inizio delle indagini a carico dell'accusato, a prescindere dall'effettiva apertura di un procedimento penale. L'elemento soggettivo richiede la consapevolezza dell'innocenza dell'accusato e l'intenzionalità dell'incolpazione, non essendo sufficiente il dolo eventuale. La reiterazione di denunce o querele calunniose, anche se relative a fatti diversi, può integrare un unico reato continuato di calunnia, qualora siano espressione di un medesimo disegno criminoso. L'esimente dell'esercizio del diritto di difesa di cui all'art. 598 c.p. non è applicabile alle condotte calunniose, in quanto tale causa di non punibilità riguarda esclusivamente le offese contenute in scritti o discorsi pronunciati dinanzi all'Autorità giudiziaria o amministrativa, purché pertinenti all'oggetto della causa, e non la veridicità di quanto esposto. Allo stesso modo, l'esercizio del diritto di cui all'art. 51 c.p. non scusa le dichiarazioni accusatorie rese al di fuori della veste di indagato o imputato. Infine, il reato di calunnia è soggetto a prescrizione, il cui termine decorre dalla data di consumazione della singola condotta calunniosa.
Il conduttore che, al termine del contratto di locazione, non restituisce l'immobile al locatore nello stato in cui lo aveva ricevuto, è tenuto a risarcire il maggior danno subito dal locatore, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall'uso della cosa in conformità del contratto, nonché il deterioramento dovuto a vetustà. Il locatore deve provare in concreto l'esistenza e l'entità del maggior danno, anche mediante presunzioni, in relazione alle condizioni dell'immobile, alla sua ubicazione e alle possibilità di una specifica attuale utilizzazione, nonché all'esistenza di soggetti seriamente disposti ad assicurarsene il godimento dietro corrispettivo. Nell'individuare la quota di danni addebitabili al conduttore, il giudice deve tenere conto del normale degrado dell'immobile nell'arco temporale della durata della locazione, attribuendo al conduttore solo la parte di danni direttamente riconducibili alla sua condotta o all'uso non conforme al contratto, nonché la quota di danni dovuti a cause esterne in misura proporzionale.
L'amministratore condominiale è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti i dati dei condomini morosi, in quanto l'art. 63 delle disposizioni di attuazione del codice civile configura in capo ai condomini in regola con i pagamenti un'obbligazione sussidiaria ed eventuale di garanzia, limitata alle quote dovute dai morosi e subordinata alla preventiva escussione di questi ultimi. Il condomino solvente, chiamato dal creditore a rispondere delle quote non pagate dai morosi, assume una posizione assimilabile a quella di un fideiussore ex lege, essendo ciascun condomino realmente obbligato solo per la propria quota di debito e garante per le quote degli inadempienti. L'amministratore che ometta di comunicare i dati dei morosi, nonostante la richiesta del creditore, viola tale obbligo di legge, legittimando il creditore a ottenere la condanna dell'amministratore al pagamento di una somma per ogni giorno di ritardo nell'adempimento, ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c.
Il reato di oltraggio a pubblico ufficiale di cui all'art. 341-bis c.p. richiede, ai fini della sua configurabilità, che l'offesa all'onore e al prestigio del pubblico ufficiale sia stata percepita da una pluralità di persone, diverse dai pubblici ufficiali coinvolti nell'atto di servizio oggetto dell'oltraggio. Pertanto, la mera presenza di altri pubblici ufficiali, che siano intervenuti per lo stesso motivo d'ufficio in relazione al quale è stata posta in essere la condotta oltraggiosa, non è sufficiente a integrare il requisito della "presenza di più persone" richiesto dalla norma incriminatrice. Affinché il reato sia integrato, è necessario che almeno una delle persone presenti al momento dell'oltraggio sia estranea alla pubblica amministrazione e non coinvolta nell'atto di servizio oggetto dell'offesa.
Il liquidatore di una società dichiarata fallita, che distrae numerosi beni mobili registrati di proprietà della società al fine di procurarsi un ingiusto profitto e recare pregiudizio ai creditori, commette il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, punito dagli artt. 223 comma 1 e 216 comma 1 n. 1 del R.D. n. 267 del 1942. Tale condotta, pur essendo autonoma rispetto ad altri fatti di bancarotta eventualmente commessi dallo stesso soggetto nell'ambito della medesima procedura concorsuale, è unificata ai soli fini sanzionatori dalla speciale disciplina della "continuazione fallimentare" prevista dall'art. 219 comma 2 n. 1 della legge fallimentare. Questa disposizione, pur formalmente configurata come circostanza aggravante, ha natura sostanziale di disciplina speciale del concorso di reati, che il giudice è tenuto ad applicare anche in sede esecutiva, nel rispetto dei limiti di cui all'art. 81 comma 3 c.p. e all'art. 671 comma 2 c.p.p. Pertanto, nel caso in cui il liquidatore sia già stato condannato in un precedente giudizio per altro reato di bancarotta commesso nell'ambito della medesima procedura concorsuale, il giudice che procede per il nuovo reato di bancarotta non può rideterminare la pena inflitta nel primo giudizio in modo da superare complessivamente il limite del cumulo materiale delle pene, dovendo invece applicare la sola disciplina della continuazione fallimentare prevista dall'art. 219 comma 2 n. 1 della legge fallimentare.
Il mancato adempimento degli obblighi di assistenza economica nei confronti del coniuge o dei figli, stabiliti dall'autorità giudiziaria in sede di separazione o divorzio, non integra il reato di cui all'art. 570 c.p. (abbandono di famiglia) qualora l'allontanamento dal domicilio domestico sia stato determinato da cause di intollerabilità della convivenza e non abbia comportato la violazione degli obblighi di assistenza inerenti alla qualità di coniuge o di genitore. In tali ipotesi, l'inadempimento degli obblighi economici può al più rilevare come illecito civile, salvo che non ricorrano i presupposti per l'integrazione del più grave reato di cui all'art. 570, comma 2, n. 2, c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare). Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 570 c.p., il giudice non può limitarsi ad accertare il mero fatto dell'abbandono del domicilio domestico, ma deve ricostruire la situazione concreta in cui esso si inserisce, verificando l'eventuale sussistenza di cause di impossibilità, intollerabilità o estrema penosità della convivenza che possano escludere la rilevanza penale della condotta. Inoltre, l'inadempimento degli obblighi economici stabiliti dall'autorità giudiziaria non integra di per sé il reato di cui all'art. 570 c.p., essendo necessario che tale inadempimento abbia concretamente determinato il venir meno dei mezzi di sussistenza per il coniuge o i figli. Pertanto, il mero ritardo o la parzialità del versamento dell'assegno di mantenimento non sono sufficienti a integrare il reato, dovendosi accertare l'effettiva carenza dei mezzi di sostentamento in capo ai soggetti beneficiari.
Il superamento dei limiti tabellari previsti dall'art. 73, comma 1 bis, lett. a) del D.P.R. n. 309 del 1990, come modificato dalla L. n. 45 del 2005, non costituisce una presunzione sulla destinazione della sostanza stupefacente ad un uso non esclusivamente personale. La condizione di tossicodipendenza dell'imputato, il luogo di percorrenza e l'assenza di strumenti atti alla pesatura della sostanza possono far propendere per la conclusione che la detenzione della sostanza sottoposta a sequestro fosse per uso personale, determinando l'assoluzione dell'imputato dal reato di detenzione a fini di spaccio. Tuttavia, ai sensi dell'art. 240, comma 2 n. 2, c.p., deve disporsi la confisca della sostanza sequestrata atteso che la sua alienazione costituisce reato.
Il reato di estorsione si configura quando, mediante minaccia, l'agente costringe la vittima a consegnargli un bene o a compiere un atto di disposizione patrimoniale, procurandosi così un ingiusto profitto. La minaccia deve essere idonea a suscitare nella vittima un fondato timore per la propria o altrui incolumità, tale da annullarne la libertà di autodeterminazione. Perché il reato sia integrato, è sufficiente che la vittima sia costretta a compiere l'atto di disposizione patrimoniale, a prescindere dall'effettivo conseguimento del profitto da parte dell'agente. Inoltre, la simulazione di un reato, al fine di occultare il precedente delitto di estorsione e assicurare l'impunità, integra il reato di simulazione di reato. Tuttavia, per i concorrenti nel reato di ricettazione, l'assenza di prova del dolo esclude la loro responsabilità, essendo necessario che essi abbiano avuto consapevolezza della provenienza illecita del bene. Infine, la recidiva, quale espressione di maggiore pericolosità sociale, può essere riconosciuta anche in concorso con l'istituto della continuazione, in quanto quest'ultima non comporta l'ontologica unificazione dei diversi reati, ma una mera "fictio iuris" a fini di temperamento del trattamento sanzionatorio.
Il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, nel momento in cui l'agente compie un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenerne il possesso come proprio. Pertanto, il termine di prescrizione decorre dalla data di consumazione del reato, a prescindere dal momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del comportamento illecito. Qualora la querela sia proposta oltre il termine previsto dall'art. 124 c.p., il procedimento deve essere dichiarato non doversi procedere per tardività della querela, in applicazione del principio di diritto affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del fatto non è rilevante ai fini della decorrenza del termine di prescrizione per il reato di appropriazione indebita, essendo questo determinato dalla data di consumazione del reato, ovvero dal momento in cui l'agente ha compiuto il primo atto di dominio sulla cosa con la volontà di considerarla come propria.
Il reato di violenza privata, quando non aggravato e non commesso nei confronti di persona incapace, è procedibile a querela della persona offesa. La remissione di querela e la sua accettazione da parte dell'imputato determinano l'estinzione del reato, anche per i fatti commessi prima dell'entrata in vigore della riforma che ha modificato il regime di procedibilità, in applicazione del principio di retroattività della norma più favorevole. La massima giuridica che si può trarre dalla sentenza è la seguente: Il reato di violenza privata, quando non aggravato e non commesso nei confronti di persona incapace, è procedibile a querela della persona offesa. La remissione di querela e la sua accettazione da parte dell'imputato determinano l'estinzione del reato, anche per i fatti commessi prima dell'entrata in vigore della riforma che ha modificato il regime di procedibilità, in applicazione del principio di retroattività della norma più favorevole. Il nuovo regime di procedibilità a querela, introdotto dalla riforma Cartabia, trova infatti applicazione anche ai reati commessi anteriormente alla sua entrata in vigore, in quanto modifica di favore per l'imputato, in coerenza con il disposto dell'art. 2, comma 4, c.p. Pertanto, la remissione di querela e la sua accettazione da parte dell'imputato comportano l'estinzione del reato di violenza privata, non aggravato e non commesso nei confronti di persona incapace, con conseguente declaratoria di improcedibilità dell'azione penale.
Il possesso di un terreno non legittima la realizzazione di opere edilizie in assenza del prescritto permesso di costruire, né l'esecuzione di interventi in zone sottoposte a vincolo paesaggistico senza la preventiva autorizzazione amministrativa. La normativa urbanistica ed ambientale impone il rispetto di specifici obblighi procedurali, a tutela dell'ordinato assetto del territorio e della salvaguardia dei beni paesaggistici, indipendentemente dalla natura e dalle dimensioni delle opere realizzate, le quali devono ritenersi abusive ove eseguite in carenza dei titoli abilitativi necessari. La violazione di tali prescrizioni integra i reati di lottizzazione abusiva e di realizzazione di opere in assenza di autorizzazione paesaggistica, sanzionati penalmente a prescindere dall'effettivo pregiudizio arrecato al bene giuridico tutelato, in ragione del loro carattere formale e di pericolo. Pertanto, la condotta di chi, pur essendo nella disponibilità materiale di un'area, vi esegue interventi edilizi senza il preventivo ottenimento dei titoli edilizi ed ambientali richiesti, è penalmente rilevante e comporta la condanna alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, a spese del responsabile.
Il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nell'esercizio delle proprie funzioni, sia oggetto di minacce o violenza fisica da parte di un privato, al fine di impedirgli di compiere atti del proprio ufficio, integra il reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale di cui all'art. 337 c.p. Tale reato sussiste anche qualora l'atto di ufficio che il pubblico ufficiale stava compiendo fosse pienamente legittimo e corrispondente al mandato ricevuto, non essendo configurabile alcuna causa di giustificazione a favore del privato che abbia reagito con minacce o violenza. La condotta del privato che, con la propria protervia e il rifiuto di ottemperare agli inviti ricevuti, abbia intenzionalmente ostacolato l'attività del pubblico ufficiale, integra gli elementi costitutivi del reato, senza che sia necessario l'effettivo impedimento dell'atto di ufficio. Inoltre, qualora la minaccia o la violenza siano dirette a vulnerare il fisico o l'integrità morale del pubblico ufficiale, trova applicazione l'aggravante di cui all'art. 61, n. 10 c.p. Ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, il giudice può legittimamente negare il beneficio in presenza di indici significativi di capacità a delinquere, quali la protervia e l'incontrollabilità degli impulsi dimostrati dall'imputato, anche in assenza di precedenti penali. Infine, la condotta illecita del privato, integrante reati dolosi contro la pubblica amministrazione, comporta la sua condanna al risarcimento del danno morale in favore della parte civile costituita.
La condotta di simulazione della titolarità di un trattamento pensionistico, finalizzata all'ottenimento indebito di un finanziamento mediante cessione del quinto da parte di un istituto di credito privato, non integra il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all'art. 640-bis c.p., in quanto difetta l'elemento specializzante della finalità pubblicistica sottesa all'erogazione. Pertanto, la fattispecie deve essere ricondotta al reato di truffa semplice di cui all'art. 640 c.p., soggetto al regime di procedibilità a querela di parte, in difetto della quale l'azione penale non può essere iniziata per mancanza della condizione di procedibilità.
Il contratto di mutuo che prevede un tasso di interesse non determinato o determinabile in modo univoco, in quanto il piano di ammortamento allegato al contratto applica un regime di capitalizzazione composta degli interessi anziché la capitalizzazione semplice, senza che ciò sia espressamente pattuito, è nullo per indeterminatezza dell'oggetto ai sensi degli artt. 1418 e 1346 c.c. In tal caso, in applicazione dell'art. 1284 c.c., il tasso di interesse applicabile è quello legale, in luogo di quello ultralegale previsto nel contratto nullo. L'accertamento dell'indeterminatezza del tasso di interesse comporta la riduzione dell'importo dovuto dal mutuatario, in misura corrispondente alla differenza tra gli interessi effettivamente pagati e quelli calcolati al tasso legale.
Il rilascio di false dichiarazioni nella domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in relazione alla composizione del nucleo familiare e al reddito complessivo dello stesso, integra il reato di cui all'art. 95 del D.P.R. n. 115/2002, anche qualora l'imputato versi in errore di diritto circa la rilevanza del periodo di imposta da considerare ai fini della verifica dei limiti reddituali previsti per l'accesso al beneficio, in quanto l'ignoranza evitabile della legge penale non esclude la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. Ai fini della determinazione della pena, non possono essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche in assenza di elementi ulteriori rispetto alla mera incensuratezza, insufficienti ex art. 62-bis c.p. a giustificare un trattamento sanzionatorio più favorevole. Inoltre, non sussiste l'interesse del pubblico ministero a far dichiarare la falsità dell'atto utilizzato dall'imputato per ottenere indebitamente il beneficio del patrocinio a spese dello Stato, atteso che tale atto ha esaurito ogni sua efficacia al momento dell'utilizzo e non può essere più riutilizzato.
Il falso in dichiarazioni rese a pubblici ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni, così come la ricettazione di beni di provenienza delittuosa, integrano reati che offendono la fede pubblica e il patrimonio, la cui punibilità prescinde dall'accertamento del reato presupposto o dall'individuazione dei suoi autori, essendo sufficiente che la provenienza illecita dei beni risulti al giudice. La resistenza meramente passiva, consistente nel rifiuto di ottemperare alle richieste dei pubblici ufficiali, non integra invece il reato di resistenza a pubblico ufficiale, il quale richiede l'uso di violenza o minaccia. Nell'applicazione della pena, il giudice deve tenere conto dell'unitarietà del disegno criminoso, della gravità della condotta, dell'intensità del dolo e dell'assenza di comportamenti collaborativi, senza poter riconoscere le attenuanti generiche o il beneficio della sospensione condizionale della pena, in presenza di precedenti specifici a carico dell'imputato.
Il reato di frode informatica si configura quando l'agente, senza diritto, altera il funzionamento di un sistema informatico o telematico, oppure interviene abusivamente su dati, informazioni o programmi ivi contenuti, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto con altrui danno. Tale reato si differenzia dalla truffa in quanto l'attività fraudolenta non investe la persona, bensì il sistema informatico. Ai fini della configurabilità del reato, è sufficiente l'alterazione, in qualsiasi modo, del regolare funzionamento del sistema, a prescindere dall'effettivo conseguimento dell'ingiusto profitto, essendo il tentativo già punibile. La condotta dell'agente deve essere sorretta dal dolo, che può desumersi anche dalla dinamica dei fatti. Ove il comportamento dell'operatore bancario impedisca l'effettiva realizzazione dell'ingiusto profitto, il reato deve essere ricondotto nell'ambito del tentativo. Anche in assenza di precedenti penali, il giudice può riconoscere all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena, valutati tutti i parametri di cui all'art. 133 c.p.
Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.