Sto cercando nella banca dati...
Risultati di ricerca:
La partecipazione personale della parte al primo incontro di mediazione obbligatoria è necessaria per il raggiungimento dello scopo deflattivo del procedimento, non essendo sufficiente la sola partecipazione del difensore munito di procura alle liti. Ai fini della validità della delega a un terzo per la partecipazione alla mediazione, è necessaria una procura speciale sostanziale che conferisca il potere di disporre dei diritti oggetto della controversia, non essendo sufficiente la procura alle liti autenticata dal difensore. Il mancato rispetto di tali presupposti comporta l'improcedibilità della domanda giudiziale.
Il giudice, nel decidere il giudizio di divisione ereditaria, deve accertare la composizione dell'asse ereditario, determinare il valore dei beni che lo compongono e procedere alla formazione di porzioni diseguali, attribuendole ai condividenti in modo da soddisfare equamente le loro quote, anche mediante la previsione di conguagli in denaro. Nell'esercizio di tale potere discrezionale, il giudice deve contemperare l'interesse dei condividenti a conservare i beni già nella loro disponibilità con l'esigenza di evitare un eccessivo frazionamento dei cespiti, privilegiando, ove possibile, l'assegnazione di interi immobili a ciascun erede, salvo il necessario conguaglio. Il giudice, inoltre, deve tener conto delle dichiarazioni rese dalle parti in atti, riconoscendo efficacia di prova legale alle scritture private non disconosciute, e può liberamente valutare il contenuto di tali documenti in concorso con gli altri elementi di prova acquisiti al processo. Infine, il giudice, in presenza di reciproca soccombenza e di comportamenti meramente dilatori delle parti, può disporre la compensazione integrale delle spese di lite, mentre le spese della consulenza tecnica devono essere poste a carico dei condividenti in parti uguali.
Il contratto di cessione di crediti verso la pubblica amministrazione è opponibile al debitore ceduto anche in assenza della sua espressa accettazione, salvo che si tratti di rapporti di durata, come l'appalto o la somministrazione, rispetto ai quali il legislatore ha previsto l'esigenza di garantire la regolare esecuzione mediante il consenso dell'amministrazione. Tuttavia, per i contratti di fornitura conclusi dalla pubblica amministrazione, la forma scritta ad substantiam è richiesta a pena di nullità, sicché l'esistenza e i diritti derivanti da tali contratti possono essere provati esclusivamente mediante la produzione del relativo atto scritto, non essendo sufficienti altri mezzi probatori, neppure la confessione della parte. Diversamente, per i rapporti di somministrazione di energia elettrica in regime di maggior tutela, che traggono fondamento direttamente dalla legge, non è necessaria la stipulazione di un contratto scritto, essendo onere del fornitore provare la corrispondenza tra i consumi fatturati e quelli effettivi, in caso di contestazione da parte del cliente.
Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: Nel pubblico impiego contrattualizzato, ai fini della configurazione del demansionamento, rileva esclusivamente l'inquadramento formale del lavoratore, a prescindere dalla professionalità concretamente acquisita. Pertanto, il mero svolgimento di mansioni inferiori rispetto a quelle precedentemente esercitate non integra di per sé un'ipotesi di demansionamento, purché il lavoratore sia formalmente inquadrato nella categoria corrispondente alle nuove mansioni assegnate. Inoltre, la compensazione tra crediti e debiti del lavoratore è ammessa quando essi traggono origine dal medesimo rapporto di lavoro, senza necessità di eccezione di parte, in quanto si tratta di un semplice accertamento contabile del dare e dell'avere, non soggetto ai limiti previsti per la compensazione in senso proprio. Infine, la configurazione del mobbing richiede la contestuale presenza di una pluralità di comportamenti persecutori, intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, tali da provocare un effetto lesivo della salute psicofisica del lavoratore, non essendo sufficiente la mera illegittimità di singoli atti di gestione del rapporto.
Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza può essere così sintetizzato: Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1-bis, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta (quale creditore in senso sostanziale). Pertanto, ove la parte opposta non si attivi per l'esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione presso un organismo di mediazione avente sede nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia, come previsto dal novellato art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010, la mancata attivazione della mediazione determina l'improcedibilità della domanda originariamente veicolata nel ricorso monitorio, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo. Tale disciplina, finalizzata a favorire la conciliazione della lite e a deflazionare il contenzioso, non pone problemi di natura costituzionale né risulta lesiva dei precetti di cui alla normativa sovranazionale posta a tutela del diritto di azione e di accesso alla giustizia. Peraltro, l'organismo di mediazione adito deve avere sede nel luogo del giudice competente per la controversia, al fine di consentire al convenuto di partecipare senza oneri eccessivi, non essendo sufficiente che il verbale risulti redatto in tale luogo. Inoltre, la domanda di mediazione presentata unilateralmente dinanzi ad un organismo che non è territorialmente competente non produce alcun effetto e va considerata tamquam non esset. Infine, in ragione della novità della questione trattata e dell'assenza di un univoco quadro giurisprudenziale, possono sussistere i presupposti per disporre la compensazione integrale delle spese di giudizio.
La responsabilità del custode di cui all'art. 2051 c.c. è esclusa: a) dal comportamento imprudente della vittima che, pur potendo prevedere con l'ordinaria diligenza una situazione di pericolo dipendente dalla cosa altrui, vi si esponga volontariamente; b) o ancora quando il danneggiato, pur potendo avvedersi con l'ordinaria diligenza della pericolosità della cosa, accetti di utilizzarla ugualmente; c) dalla condotta colposa della vittima, che abbia usato della cosa fonte di danno in modo anomalo ed imprevedibile. d) Inoltre, la responsabilità del custode è esclusa quando il fatto colposo della vittima, entrata in interazione con la res, esclude il nesso di causa tra la cosa e il danno, in misura tanto maggiore, quanto più il pericolo era prevedibile ed evitabile. In tali ipotesi, la distrazione o imprudenza della vittima possono porsi come fattore causale esclusivo nella produzione dell'evento, interrompendo il nesso eziologico tra la cosa in custodia e il danno. L'accertamento di tali circostanze materiali, rilevanti ai fini della verifica di sussistenza del nesso causale tra fatto ed evento dannoso, costituisce quaestio facti riservata esclusivamente all'apprezzamento del giudice del merito.
La separazione personale dei coniugi può essere pronunciata dal giudice quando risulta l'insorgenza di una situazione di contrasto insanabile tra i coniugi, tale da rendere non più tollerabile la convivenza, anche in presenza di reciproche condotte violente e prevaricatrici, tali da integrare gravi violazioni dei doveri nascenti dal matrimonio. In tal caso, la separazione può essere addebitata ad entrambi i coniugi, senza che rilevi la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale. Nonostante la conflittualità tra i coniugi, ove non emerga una manifesta carenza o inidoneità educativa di un genitore, deve essere disposto l'affidamento condiviso della prole, con collocamento prevalente presso uno dei genitori, al fine di tutelare l'interesse del minore a conservare l'habitat domestico e i rapporti con entrambi i genitori. Il genitore non collocatario è tenuto a corrispondere un assegno di mantenimento per il figlio, determinato in misura proporzionale al proprio reddito e alle esigenze del minore, nonché a contribuire alle spese straordinarie, previamente concordate e documentate. La domanda di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla parte istante può essere rigettata ove l'unico episodio di violenza provato non risulti reiterato e tale da integrare un grave pregiudizio all'integrità fisica o morale della parte.
La separazione personale dei coniugi può essere pronunciata dal giudice quando risulta provata l'insorgenza di una situazione di irreversibile contrasto che ha reso non più tollerabile la convivenza, senza che sia necessario accertare la sussistenza di specifiche violazioni dei doveri coniugali da parte di uno o di entrambi i coniugi. Ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento a carico del coniuge non affidatario dei figli maggiorenni non autosufficienti, il giudice deve tenere conto delle esigenze della prole, del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, nonché delle rispettive capacità economiche dei genitori, desumibili non solo dai redditi dichiarati, ma anche dalla complessiva situazione patrimoniale, senza che il coniuge obbligato possa pretendere di adempiere direttamente nei confronti dei figli in assenza di una loro specifica domanda. L'assegnazione della casa familiare deve essere disposta in funzione dell'interesse preminente dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti, a prescindere da valutazioni di natura esclusivamente economica.
La delibera assembleare condominiale è invalida qualora non sia stata approvata dalla maggioranza dei partecipanti all'assemblea che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio, come richiesto dall'art. 1136 c.c. per le deliberazioni adottate in seconda convocazione. Tale vizio formale, che attiene al quorum deliberativo, comporta l'invalidità della delibera, a prescindere dalla natura meramente ricognitiva o dichiarativa del suo contenuto, essendo la norma inderogabile e non ammettendo eccezioni. L'interesse ad agire per l'annullamento della delibera invalida sussiste in capo a ciascun condomino, senza necessità di dimostrare un interesse ulteriore rispetto alla rimozione dell'atto viziato. Il giudice può rilevare d'ufficio la nullità della delibera per mancato raggiungimento del quorum legale, non essendo tale vizio rimesso alla disponibilità delle parti.
Il custode di un bene è responsabile ai sensi dell'art. 2051 c.c. per i danni cagionati dalla cosa in custodia, a meno che non dimostri l'inidoneità della situazione a provocare l'incidente, la colpa esclusiva del danneggiato o l'esistenza di un caso fortuito idoneo ad interrompere il nesso causale. L'attore deve provare il nesso di causalità tra la cosa in custodia e l'evento lesivo, mentre il convenuto deve dimostrare l'esistenza di un fattore estraneo imprevedibile ed eccezionale. Qualora il custode non riesca a fornire tale prova, egli è tenuto al risarcimento del danno biologico permanente e temporaneo, quantificato secondo i criteri tabellari, senza che possa essere automaticamente liquidato il danno morale in assenza di specifica allegazione e prova di un pregiudizio ulteriore rispetto a quello già risarcito a titolo di danno biologico.
Il principio di non contestazione comporta che nei processi relativi a diritti disponibili i fatti non contestati dalle parti siano posti fuori dal thema probandum, per cui non necessitando di essere provati, devono essere considerati come esistenti dal giudice. Pertanto, laddove una parte non contesti specificamente i fatti allegati dall'altra, il giudice deve porli a fondamento della decisione, ritenendoli provati, al fine di semplificare l'attività processuale ed evitare il compimento di attività inutili. Nel caso di specie, la somma di Euro 70.000 versata dalla convenuta all'attrice, risultante da una scrittura privata non contestata, deve essere considerata esistente e, conseguentemente, deve essere divisa in parti uguali tra le coeredi, con l'obbligo per l'attrice di restituire alla convenuta la metà di tale somma, al netto del conguaglio dovuto per la maggior quota assegnata all'attrice. Il giudice, nel procedere alla divisione ereditaria, deve recepire il progetto redatto dal consulente tecnico d'ufficio, ritenendolo logico e congruo, salvo contestazioni specifiche delle parti, al fine di assicurare un'equa ripartizione dei beni ereditari tra i coeredi, tenendo conto anche di eventuali situazioni personali, come lo stato di salute di uno di essi. La soccombenza reciproca su alcune delle pretese avanzate nel giudizio, l'andamento dello stesso e la particolarità della vicenda giustificano l'integrale compensazione delle spese di lite, mentre le spese della consulenza tecnica d'ufficio devono essere poste in solido a carico delle parti.
La delibera condominiale che regola l'utilizzo delle aree di parcheggio comuni, senza assegnare in via esclusiva tali spazi a singoli condomini, non integra una violazione dei diritti individuali di proprietà o di godimento delle parti comuni, essendo volta a disciplinare in modo razionale e non discriminatorio l'uso di beni comuni. Pertanto, tale delibera non è affetta da nullità, ma al più da annullabilità, la quale può essere fatta valere solo dai condomini assenti o dissenzienti, non essendo sufficiente la mera contestazione di un condomino presente e non contrario alla delibera. Inoltre, il redattore delle tabelle millesimali, estraneo alla regolamentazione dell'area parcheggio, non può essere chiamato in causa per l'impugnazione di tale delibera.
Il proprietario di un fondo può proporre l'azione negatoria di servitù per accertare l'inesistenza di un diritto di servitù a carico del proprio immobile, senza l'onere di provare rigorosamente la proprietà, essendo sufficiente la dimostrazione del possesso in forza di un valido titolo, mentre grava sul convenuto l'onere di provare l'esistenza del diritto di servitù. L'azione possessoria precedentemente esperita dal proprietario del fondo servente interrompe il possesso ad usucapionem, sicché l'eventuale domanda riconvenzionale di usucapione della servitù risulta infondata. L'amministratore di condominio è legittimato passivamente all'azione negatoria di servitù, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei singoli condomini, mentre è privo di legittimazione per proporre domande riconvenzionali di usucapione o costituzione coattiva di servitù, in assenza di un mandato speciale conferito da ciascun condomino. Il giudice, rilevato d'ufficio il difetto di legittimazione dell'amministratore, non può concedere un termine per la sanatoria, qualora sia già maturata la decadenza per la proposizione delle domande riconvenzionali. Infine, il proprietario del fondo servente non può essere condannato al risarcimento dei danni in assenza di specifica allegazione e prova.
La responsabilità della pubblica amministrazione per i danni cagionati da cose in custodia, ai sensi dell'art. 2051 c.c., sussiste anche per i danni derivanti da sinistri stradali verificatisi su strade di proprietà pubblica aperte al transito, salvo che la stessa amministrazione provi il caso fortuito, ovvero l'inesistenza del nesso causale tra la cosa in custodia e l'evento dannoso. L'onere probatorio grava in via prioritaria sul danneggiato, il quale deve dimostrare il nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno subito; solo successivamente incombe sull'amministrazione l'onere di provare l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera di controllo, idoneo ad interrompere il nesso causale. Tuttavia, qualora gli elementi istruttori risultino equivoci e non consentano di accertare con certezza la sussistenza del nesso causale, la domanda di risarcimento del danno deve essere rigettata per mancato assolvimento dell'onere probatorio da parte del danneggiato.
Il creditore che agisce per l'adempimento di un'obbligazione contrattuale, come il mutuo, deve provare soltanto la fonte negoziale del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere di provare l'avvenuto, esatto adempimento o l'esistenza di fatti estintivi o modificativi della pretesa azionata. In assenza di prova liberatoria da parte del debitore, il creditore ha diritto di ottenere la condanna al pagamento della somma dovuta, oltre agli interessi legali dalla domanda giudiziale, senza necessità di preventiva fissazione giudiziale del termine per l'adempimento, quando risulti il rifiuto del debitore di adempiere. La condanna è solidale tra più debitori, in applicazione della presunzione di cui all'art. 1294 c.c. Le spese di lite seguono la soccombenza, con possibilità di compensazione parziale in caso di reciproca soccombenza, e sono liquidate secondo i parametri di cui al D.M. n. 147/2022.
Il lavoro straordinario, le mensilità aggiuntive e il trattamento di fine rapporto spettanti al lavoratore devono essere determinati sulla base di quanto risulta dalle buste paga regolarmente quietanzate, salvo prova contraria a carico del lavoratore. L'accertamento tecnico preventivo, pur essendo uno strumento finalizzato alla composizione bonaria della controversia, non può sostituire la prova documentale del pagamento di somme inferiori a quelle riportate nei cedolini paga. Il giudice, pertanto, nel quantificare le somme dovute al lavoratore, deve tenere conto di quanto già percepito secondo le buste paga, detraendo tali importi dalle maggiori somme eventualmente accertate in sede di consulenza tecnica. Solo per le voci retributive non documentate nelle buste paga, come il lavoro straordinario svolto in un determinato periodo, il giudice può fare riferimento alle risultanze della consulenza tecnica. In ogni caso, l'onere di provare la mancata corresponsione di quanto indicato nelle buste paga quietanzate grava sul lavoratore.
Il coniuge divorziato, in possesso dei requisiti di legge, ha diritto a percepire una quota della pensione di reversibilità del coniuge deceduto, in concorso con il coniuge superstite. La ripartizione della pensione di reversibilità tra i due coniugi deve essere effettuata tenendo conto non solo della durata del matrimonio, ma anche di ulteriori elementi equitativi, quali le condizioni economiche delle parti e l'ammontare dell'assegno divorzile percepito dal coniuge divorziato prima del decesso. Il diritto del coniuge divorziato alla quota di trattamento di fine rapporto del coniuge deceduto sorge nei confronti degli eredi di quest'ultimo, in misura pari al 40% della quota spettante al coniuge superstite, calcolata in proporzione agli anni di matrimonio coincidenti con il rapporto di lavoro, inclusi quelli di separazione legale fino al divorzio.
Il contratto di mutuo fondiario, disciplinato dagli artt. 38 e ss. del D.Lgs. n. 385 del 1993, non è un mutuo di scopo, non essendo previsto che la somma erogata dall'istituto mutuante debba essere necessariamente destinata ad una specifica finalità che il mutuatario sia tenuto a perseguire. L'istituto mutuante non deve controllare l'utilizzazione che viene fatta della somma erogata, essendo il contratto di credito fondiario connotato dalla concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili. Pertanto, la circostanza che i contratti di mutuo siano stati stipulati per sanare debiti pregressi verso la banca mutuante non inficia la piena validità ed efficacia dei negozi, essendo documentata per tabulas l'effettiva erogazione delle somme mutuate. Inoltre, il meccanismo di strutturazione del piano di restituzione rateale con il metodo "alla francese" non determina alcun effetto anatocistico, in quanto gli interessi vengono comunque calcolati unicamente sulla quota capitale via via rimanente e per il periodo corrispondente a quello di ciascuna rata, senza che gli stessi formino oggetto di capitalizzazione. Infine, l'applicazione degli interessi moratori sull'importo delle rate di mutuo scadute e non pagate è conforme all'art. 3 della Del.CICR del 9 febbraio 2000 e, pertanto, non può essere reputata illegittima.
Il contratto di fideiussione omnibus, prestato senza limiti di durata e correlato all'adempimento dell'obbligazione principale anziché alla sua scadenza, non è soggetto al termine di decadenza di cui all'art. 1957 c.c. e resta efficace fino all'estinzione dell'obbligazione garantita. Pur essendo parzialmente nulle, ai sensi dell'art. 2, comma 3, della L. n. 287 del 1990 e dell'art. 1419 c.c., le clausole del contratto di fideiussione che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa vietata dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in quanto restrittive della libera concorrenza, tale nullità parziale non determina l'invalidità dell'intero negozio fideiussorio, salvo che non sia provata l'inscindibilità di tali clausole rispetto all'assetto complessivo degli interessi perseguiti. Inoltre, gli interessi moratori maturati dopo la risoluzione del rapporto di conto corrente per inadempimento del debitore principale restano a carico del fideiussore anche oltre il limite del massimale della fideiussione, in applicazione del principio di responsabilità patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c. e dei principi di divieto dell'abuso del diritto e di correttezza nei rapporti interprivati. Infine, l'insinuazione del credito nel passivo fallimentare del debitore principale interrompe la prescrizione anche nei confronti del fideiussore, ai sensi dell'art. 1310 c.c.
Il venditore di un immobile è tenuto a dichiarare con veridicità le caratteristiche essenziali dell'immobile stesso, ivi compresa la data di costruzione e l'eventuale pendenza di un procedimento finalizzato al rilascio del permesso in sanatoria per sanare abusività edilizie. L'omissione o la falsa dichiarazione di tali elementi integra un inadempimento contrattuale, che obbliga il venditore al risarcimento dei danni patrimoniali subiti dall'acquirente, come gli oneri sostenuti per definire il procedimento di sanatoria. Il venditore non può invocare il proprio affidamento nei tecnici incaricati di verificare la situazione edilizia dell'immobile, in quanto risponde dell'operato dei propri collaboratori ai sensi dell'art. 1228 c.c. Inoltre, non sussiste alcuna norma che escluda la responsabilità contrattuale del venditore donatario o erede in relazione all'obbligo di conoscere e dichiarare lo stato edilizio del bene venduto. Quanto al risarcimento del danno non patrimoniale, esso deve essere specificamente allegato e provato, non essendo sufficiente la mera richiesta generica. La condanna generica al risarcimento dei danni pronunciata in sede penale non comporta automaticamente l'accertamento dell'an e del quantum del danno in sede civile, restando impregiudicata la valutazione del giudice civile.
Il mancato esperimento del procedimento di mediazione delegato dal giudice ai sensi dell'art. 5, comma 2, del D.Lgs. n. 28/2010 determina l'improcedibilità della domanda giudiziale, in quanto tale procedimento costituisce condizione di procedibilità della stessa. Il provvedimento di delega alla mediazione rientra nella discrezionalità del giudice, il quale può disporne l'esperimento valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. Una volta disposta la mediazione delegata, il suo mancato esperimento da parte delle parti comporta l'improcedibilità della domanda, senza possibilità per il giudice di concedere un ulteriore termine, in quanto ciò si porrebbe in contrasto con il termine di durata del procedimento di mediazione previsto dall'art. 6 del D.Lgs. n. 28/2010. Il rilievo dell'improcedibilità per mancato esperimento della mediazione delegata è officioso e deve essere formulato in sentenza, indipendentemente dalla circostanza che la parte attrice abbia esperito la procedura di mediazione prima dell'introduzione del giudizio. In tali ipotesi, le spese del giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti, in presenza di gravi ed eccezionali ragioni, ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c.
Il contratto di apertura di credito in conto corrente bancario è un contratto di durata in cui l'obbligazione, anche quella concernente gli interessi, non riveste il connotato della periodicità, non comportando il saldo a chiusura di ogni trimestre il frazionamento del debito in distinti rapporti obbligatori, trattandosi di obbligazioni unitarie. Pertanto, la prescrizione da applicarsi è esclusivamente l'ordinaria prescrizione decennale in materia contrattuale, non essendo applicabile la prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c. La clausola contrattuale di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi ed attivi è nulla in quanto si basa su un uso negoziale e non su un uso normativo favorevole, ponendosi in contrasto con le limitazioni fissate in materia di anatocismo dall'art. 1283 c.c. Tuttavia, nel periodo successivo al 2000, alla luce delle espresse disposizioni della delibera CICR, la capitalizzazione degli interessi passivi è legittima se applicata con la medesima periodicità. L'istituto di credito si è correttamente adeguato alla delibera CICR attraverso la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale delle modifiche contrattuali e l'invio in calce agli estratti conto di tutte le condizioni contrattuali del rapporto vigenti. La parte che contesti il superamento dei tassi soglia ha l'onere di indicare in modo specifico in che termini sarebbe avvenuto tale superamento e di produrre i decreti ministeriali recanti i tassi soglia. L'assenza di tali allegazioni determina l'infondatezza dell'eccezione di usura. La fideiussione omnibus si estende a tutti gli accessori del debito principale ex art. 1942 c.c., compresi interessi e spese, ma entro il limite contrattualmente fissato. In caso di soccombenza reciproca, le spese di lite possono essere compensate integralmente tra le parti, in presenza di gravi ed eccezionali ragioni.
Il contratto misto avente ad oggetto la fornitura e la posa in opera deve essere qualificato come contratto di appalto se la somministrazione della materia costituisce un semplice mezzo per la produzione dell'opera e il lavoro integra lo scopo del negozio, mentre il negozio va qualificato come contratto di compravendita se il lavoro rappresenta il mezzo per la trasformazione della materia e il conseguimento della res rappresenta l'effettiva finalità del contratto. Ai fini della decisione di una domanda risarcitoria proposta dal committente per vizi o difformità dell'opera, rileva in modo assorbente l'intervenuta decadenza del committente dalla garanzia di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c. per mancata tempestiva denuncia dei vizi entro 60 giorni dalla scoperta, nonché la prescrizione biennale dell'azione di cui all'art. 1667, comma 3 c.c., il cui rispetto costituisce condizione dell'azione e il cui onere probatorio incombe sul committente. La domanda di condanna per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. richiede la prova, a carico della parte istante, sia dell'an che del quantum debeatur del danno, non essendo sufficiente la mera soccombenza.
Il contratto di mutuo bancario, anche se prevede un tasso di interesse moratorio superiore al tasso soglia antiusura, non determina la nullità dell'intero contratto, ma soltanto la nullità della clausola relativa agli interessi moratori. Ciò in quanto gli interessi corrispettivi e gli interessi moratori hanno natura e funzione giuridica distinta: i primi remunerano il godimento del capitale, i secondi costituiscono una sanzione per il ritardato adempimento. Pertanto, il superamento del tasso soglia antiusura da parte del solo tasso di mora non rende il contratto di mutuo gratuito, ma comporta soltanto la sostituzione del tasso di mora con il tasso legale. Inoltre, ai fini del confronto con il tasso soglia antiusura, il tasso di mora deve essere determinato sommando al tasso soglia degli interessi corrispettivi la maggiorazione media degli interessi di mora rilevata dalla Banca d'Italia, senza poter considerare il c.d. "tasso effettivo di mora" (TEMO) calcolato in modo arbitrario dalla parte. Infine, la mera difformità tra il TAEG indicato nel contratto e il costo complessivo effettivo del finanziamento non determina la nullità del contratto, ma al più una responsabilità risarcitoria della banca, a condizione che il cliente provi di aver subito un danno.
Il venditore di un bene di consumo è responsabile contrattualmente nei confronti del consumatore per i vizi o difetti di conformità del bene, anche in presenza di una garanzia convenzionale ulteriore offerta dal produttore. Il consumatore può agire direttamente nei confronti del venditore finale per ottenere la sostituzione del bene o il risarcimento del danno, senza dover preventivamente attivare la garanzia nei confronti del produttore. Il venditore finale, a sua volta, ha diritto di regresso nei confronti del produttore per il danno subito a causa dei vizi o difetti del bene. Il risarcimento del danno in favore del consumatore deve comprendere le spese sostenute per l'acquisto di un nuovo bene sostitutivo, nonché le spese accessorie per lo smontaggio, il montaggio e il ripristino delle parti danneggiate, senza che il consumatore debba fornire una prova analitica di tali voci di danno. Il giudice può liquidare equitativamente il danno, tenendo conto della documentazione prodotta e della corrispondenza tra le voci di spesa e le conseguenze dannose accertate.
Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.