Sentenze recenti Tribunale Chieti

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  • La nullità della notifica dell'atto di precetto, eseguita ai sensi dell'art. 143 c.p.c., può essere dichiarata quando l'ufficiale giudiziario, pur constatando l'assenza del nominativo del destinatario sui citofoni e sulle cassette postali dell'indirizzo di residenza anagrafica, non abbia svolto ulteriori ricerche e indagini in loco per accertare l'effettiva irreperibilità del notificando, come invece richiesto dalla consolidata giurisprudenza di legittimità. Ciò in quanto il ricorso alle formalità di notificazione previste dall'art. 143 c.p.c. per le persone irreperibili non può essere affidato alle sole risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l'ufficiale giudiziario dia espresso conto nella relata di notifica. Inoltre, la nullità della notifica del precetto non può essere sanata dalla semplice proposizione dell'opposizione, qualora il debitore abbia avuto conoscenza dell'atto di precetto solo al momento dell'esecuzione del pignoramento, in un momento cioè non più utile a prevenire l'avvio dell'esecuzione forzata. In tali ipotesi, la nullità della notifica del precetto comporta la nullità del successivo pignoramento.

  • Il giudice di appello, pur in mancanza di specifiche deduzioni sul punto, deve valutare tutti gli elementi di prova acquisiti, quand'anche non presi in considerazione dal giudice di primo grado, in quanto vige il principio di acquisizione processuale, secondo il quale le risultanze istruttorie comunque ottenute concorrono tutte indistintamente alla formazione del convincimento del giudice. Il giudice di secondo grado può agire con piena libertà, senza essere tenuto a seguire criticamente, punto per punto, la sentenza impugnata, e può pervenire a diverse conclusioni in base ad un diverso apprezzamento dei fatti, ovvero giungere alla medesima soluzione in forza di motivi e considerazioni che il primo giudice aveva trascurato. Ai fini del risarcimento del danno al veicolo incidentato, la documentazione prodotta dalla parte danneggiata (fattura di riparazione, fotografie, testimonianza del riparatore) e le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, che hanno confermato la compatibilità dei danni con la dinamica del sinistro, costituiscono prova sufficiente dell'entità del danno, senza necessità di una nuova perizia. Le contestazioni generiche del consulente di parte non sono idonee a inficiare le conclusioni del CTU. In tema di risarcimento del costo del noleggio di auto sostitutiva, la parte danneggiata deve provare l'effettiva necessità di tale noleggio, in ragione delle proprie esigenze lavorative e familiari, nonché la durata del periodo di ricovero del veicolo per le riparazioni. Tuttavia, il giudice può ridurre equitativamente l'importo richiesto, qualora ritenga eccessiva la durata del noleggio rispetto al tempo necessario per le riparazioni. Le spese relative all'assistenza tecnica nella fase stragiudiziale della gestione del sinistro costituiscono danno patrimoniale conseguenziale dell'illecito, ai sensi dell'art. 1223 c.c., e sono pertanto risarcibili, a condizione che risultino necessarie e giustificate in funzione dell'attività di esercizio stragiudiziale del diritto al risarcimento. La mancata adesione della compagnia assicurativa alla proposta di negoziazione assistita non comporta automaticamente una condanna per responsabilità aggravata, qualora risulti pendente il termine di cui all'art. 148 del Codice delle Assicurazioni Private per la formulazione dell'offerta risarcitoria, in quanto in tale fase non esiste ancora una "controversia" da porre ad oggetto della convenzione di negoziazione assistita.

  • Il Tribunale, in composizione collegiale, pronuncia la separazione personale dei coniugi con addebito al marito per la violazione dei doveri di assistenza morale e materiale e di contribuzione al mantenimento dei figli minori, accertata sulla base delle gravi e reiterate condotte di violenza fisica, verbale e sessuale perpetrate dal marito ai danni della moglie, anche in presenza dei figli, e della sua condanna penale definitiva per tali fatti. Dispone l'affidamento super-esclusivo dei figli minori alla madre, autorizzandola al trasferimento definitivo della residenza propria e dei figli in Francia, in considerazione dell'inidoneità genitoriale del padre, accertata anche dalla sua carcerazione per lunga pena detentiva, e del desiderio espresso dai minori di non voler più avere alcun contatto con il padre. Revoca l'assegno di mantenimento a carico del marito in favore della moglie, in ragione del venir meno del tenore di vita coniugale e della capacità lavorativa della moglie, e riduce l'assegno di mantenimento dei figli, ponendo a carico del padre il 50% delle spese straordinarie per la prole. Condanna il marito al rimborso delle spese di lite sostenute dalla moglie, nonché al rimborso delle spese della CTU espletata nel giudizio.

  • Nel contratto di trasporto di persone, il viaggiatore danneggiato ha l'onere di provare, oltre all'esistenza ed all'entità del danno, il nesso causale tra il trasporto e l'evento dannoso, mentre incombe al vettore, al fine di liberarsi della presunzione di responsabilità posta a suo carico dall'art. 1681, comma 1, c.c., la dimostrazione che l'evento dannoso era imprevedibile e non evitabile usando la normale diligenza. La presunzione di responsabilità del vettore opera per i fatti accaduti nel corso del trasporto, dovendo considerarsi avvenuti "durante il viaggio" i sinistri, ad esso direttamente riferibili, che si siano verificati in occasione di operazioni necessarie rispetto alla sua concreta articolazione e prive di soluzione di continuità con il medesimo, fra cui quelle preparatorie o accessorie del trasporto, come la salita e la discesa dei passeggeri dal mezzo al momento delle soste. Tuttavia, qualora il viaggiatore danneggiato non fornisca prova alcuna né dell'avvenuta conclusione del contratto di trasporto, né della dinamica dell'evento dannoso, né del nesso causale tra il trasporto e l'evento, la sua domanda di risarcimento dei danni deve essere respinta, in applicazione del generale principio stabilito dall'art. 2697 c.c. sulla ripartizione dell'onere della prova.

  • Il licenziamento per giusta causa è legittimo quando il lavoratore abbia commesso gravi infrazioni che rendono impossibile la prosecuzione anche temporanea del rapporto di lavoro, per avvenuta grave e irreversibile lesione del rapporto fiduciario. Rientrano in tale ipotesi condotte riconducibili a frode, appropriazione indebita o non corretta tenuta delle scritture contabili aziendali determinanti un danno rilevante per l'impresa, anche se non accompagnate da precedenti disciplinari, in considerazione della posizione di responsabilità e direzione ricoperta dal lavoratore. Il datore di lavoro può legittimamente avvalersi della collaborazione di soggetti esterni per verificare eventuali condotte illecite del dipendente, purché il controllo sia limitato agli atti non riconducibili al mero inadempimento dell'obbligazione lavorativa. La tempestività della contestazione disciplinare va valutata in relazione alle caratteristiche dell'infrazione e alla necessità di un margine temporale per il suo accertamento, senza vanificare il diritto di difesa del lavoratore. Il lavoratore licenziato per giusta causa ha diritto al pagamento degli emolumenti di fine rapporto maturati, quali TFR, ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità, nonché al rimborso delle ferie e permessi residui.

  • Il contratto di mutuo stipulato al fine di ripianare un debito pregresso del mutuatario verso il mutuante non è nullo, in quanto non contrario a norme di legge né all'ordine pubblico, essendo il pagamento dei propri debiti un principio di ordine pubblico. La concessione di un mutuo solutorio non può essere qualificata come una mera dilazione del termine di pagamento del debito preesistente, ma costituisce un contratto autonomo, con la conseguente nascita dell'obbligo di restituzione a carico del mutuatario nel momento in cui la somma mutuata sia posta nella sua disponibilità, a prescindere dalle modalità di utilizzo. La validità del mutuo solutorio non è inficiata dalla circostanza che il mutuatario versi in una situazione di insolvenza, salvo che non emerga una condotta del mutuante contraria ai principi di buona fede e correttezza contrattuale, come nel caso in cui abbia concesso il finanziamento nella consapevolezza dell'irreversibile incapacità del debitore di adempiere. La clausola che proroga il termine di decadenza del fideiussore previsto dall'art. 1957 c.c. non è nulla qualora il fideiussore non rivesta la qualità di consumatore. Infine, la prova del credito azionato in sede monitoria può essere fornita attraverso la produzione del contratto di mutuo, senza che sia necessario l'estratto conto bancario, purché da tale documentazione emerga chiaramente il titolo della pretesa creditoria, l'entità del finanziamento e le modalità di rientro.

  • Il contratto di manutenzione degli ascensori condominiali, stipulato tra il condominio (consumatore) e la società manutentrice (professionista), è soggetto alla disciplina del Codice del Consumo. Le clausole contrattuali che prevedono una multa penitenziale eccessivamente onerosa in caso di recesso anticipato del condominio, nonché un termine di disdetta eccessivamente lungo per evitare il rinnovo tacito del contratto, sono da considerarsi vessatorie ai sensi dell'art. 33 del D.Lgs. 206/2005 e, pertanto, nulle per legge. Il condominio, in quanto consumatore, ha diritto di recedere dal contratto con un preavviso congruo, senza essere gravato da penali eccessive. L'amministratore condominiale non può stipulare contratti contenenti clausole particolarmente onerose per il condominio senza la preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale, trattandosi di atti di straordinaria amministrazione. In caso di recesso anticipato del condominio, la società manutentrice ha diritto di percepire unicamente i canoni maturati fino alla data di cessazione del rapporto contrattuale, senza poter pretendere il pagamento di penali o indennità a titolo di multa penitenziale.

  • Il comportamento del lavoratore che si rifiuta di eseguire una prestazione lavorativa ritenuta estranea alla propria qualifica, senza un previo avallo giudiziario, integra una grave insubordinazione suscettibile di legittimare il licenziamento per giusta causa, in quanto il lavoratore è tenuto ad osservare le disposizioni per l'esecuzione del lavoro impartite dal datore di lavoro, salvo il suo diritto di richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell'ambito della qualifica di appartenenza. Inoltre, la falsa incolpazione di un collega di lavoro circa un episodio occorso in azienda, costituisce un comportamento di particolare gravità, sintomatico di una mancanza di correttezza nei rapporti con i colleghi, idoneo a ledere il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro e a giustificare il licenziamento per giusta causa. Ai fini della valutazione della proporzionalità della sanzione espulsiva, il giudice può tenere conto anche di precedenti sanzioni disciplinari conservative irrogate al lavoratore per fatti analoghi a quelli posti a base del recesso, in quanto tali circostanze confermano la significatività degli addebiti e la complessiva gravità, sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del lavoratore.

  • Il legislatore, nell'ambito della situazione emergenziale determinata dalla pandemia da COVID-19, ha introdotto l'obbligo di vaccinazione per il personale scolastico al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione del servizio essenziale della pubblica istruzione. Tale obbligo, seppure incidente sulla libertà di autodeterminazione individuale in materia di cure sanitarie, è stato ritenuto ragionevole e proporzionato dalla Corte Costituzionale, in quanto sorretta da valutazioni di carattere medico-scientifico e finalizzata al contemperamento del diritto individuale con l'interesse della collettività. La sospensione dal servizio e dalla retribuzione del personale scolastico inadempiente all'obbligo vaccinale, in assenza di comprovati motivi di salute, non configura una sanzione ma una conseguenza sinallagmatica della mancata sussistenza del requisito essenziale per lo svolgimento dell'attività lavorativa, senza che il datore di lavoro sia tenuto a esperire un tentativo di ricollocamento in mansioni diverse. Il lavoratore sospeso non ha diritto alla corresponsione di un assegno alimentare, in quanto la sospensione retributiva è giustificata dalla sua scelta volontaria di sottrarsi alle condizioni di sicurezza necessarie per l'esercizio della prestazione lavorativa.

  • Il lavoratore che, per un certo periodo di tempo, sia stato adibito dal datore di lavoro a mansioni superiori rispetto a quelle proprie della categoria di inquadramento, ha diritto non solo al trattamento economico previsto per l'attività in concreto svolta, ma anche all'assegnazione definitiva a tale attività ed alla relativa qualifica. A tal fine, il giudice deve: 1) individuare i criteri generali ed astratti per l'inquadramento delle singole categorie e qualifiche posti dalla legge oppure dalla contrattazione collettiva; 2) accertare le caratteristiche di fatto delle mansioni in concreto svolte dal lavoratore; 3) comparare le mansioni così accertate con i suddetti criteri generali al fine di verificare la riconducibilità delle mansioni del lavoratore alla qualifica rivendicata. L'assegnazione alle mansioni superiori deve essere stata piena, nel senso che abbia comportato l'assunzione della responsabilità e l'esercizio dell'autonomia proprie della corrispondente superiore qualifica, non essendo sufficiente il mero riferimento al complesso delle operazioni materiali in cui si siano concretizzate le prestazioni del lavoratore. Ove il lavoratore abbia svolto in modo continuativo e prevalente mansioni di livello superiore rispetto a quelle di inquadramento, egli ha diritto alla corresponsione della retribuzione prevista per la qualifica superiore effettivamente esercitata, nonché al versamento dei relativi contributi previdenziali, fermo restando che la condanna al versamento dei contributi non può essere pronunciata nei confronti del lavoratore, ma solo nei confronti degli enti previdenziali competenti. Il comportamento processuale del datore di lavoro, che non si sia costituito in giudizio e non abbia partecipato all'interrogatorio formale ammesso, può essere valutato dal giudice come indice della mancanza di interesse a contrastare la pretesa del lavoratore e, unitamente agli altri elementi di prova, può consentire di ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio e di accogliere la domanda del lavoratore.

  • Il contratto collettivo, in assenza di un termine di efficacia predeterminato, non può vincolare indefinitamente le parti contraenti, in quanto la contrattazione collettiva deve parametrarsi sull'evoluzione della realtà socio-economica. Pertanto, il datore di lavoro può legittimamente recedere unilateralmente dal contratto collettivo, sopprimendo i trattamenti retributivi accessori previsti dagli accordi aziendali, salvo il limite dei diritti quesiti, intesi come le situazioni già definitivamente acquisite nel patrimonio del lavoratore. Le indennità e i trattamenti economici aggiuntivi previsti dalla contrattazione collettiva, pur avendo natura retributiva, non rientrano nella sfera di garanzia dell'art. 36 Cost. e possono essere soppressi per effetto del recesso unilaterale del datore di lavoro, in quanto non costituiscono diritti quesiti, ma mere aspettative future del lavoratore, suscettibili di essere diversamente regolate in caso di successione di contratti collettivi.

  • Il custode di una cosa non risponde dei danni subiti dal danneggiato a causa di una situazione di pericolo prevedibile e superabile mediante l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato. Infatti, quando la pericolosità della cosa è nota o facilmente rilevabile, l'obbligo di cautela a carico del danneggiato è massimo, poiché il pericolo è altamente prevedibile. In tali casi, il comportamento imprudente del danneggiato può interrompere il nesso causale tra il fatto e l'evento dannoso, degradando la cosa a mera occasione dell'evento e integrando il caso fortuito, che esclude la responsabilità del custode ai sensi dell'art. 2051 c.c. Pertanto, qualora il danneggiato non fornisca una precisa e dettagliata allegazione e prova degli elementi costitutivi della responsabilità del custode, e risulti che la situazione di pericolo fosse prevedibile e superabile mediante l'adozione di un comportamento diligente, la domanda risarcitoria deve essere rigettata.

  • Il credito accertato con sentenza irrevocabile non può essere oggetto di compensazione con un credito non ancora definitivamente accertato, in quanto la compensazione giudiziale presuppone l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale è fatta valere, senza poter fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall'esito di un separato giudizio ancora pendente. Pertanto, in presenza di un credito certo, liquido ed esigibile derivante da un titolo esecutivo irrevocabile, la compensazione con un controcredito non ancora definitivamente accertato non può essere ritenuta operante, in applicazione del principio di diritto secondo cui la compensazione giudiziale di cui all'art. 1243, comma 2, c.c. presuppone l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale è fatta valere, senza poter fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo. Ciò in ragione della prevalenza della disciplina speciale dell'art. 1243 c.c. rispetto alle norme processuali generali sulla sospensione del giudizio.

  • La massima giuridica che può essere estratta dalla sentenza è la seguente: L'azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. può essere esercitata anche nei confronti di atti di destinazione di beni immobili ai sensi dell'art. 2645-ter c.c., qualora siano soddisfatti i presupposti di legge, ovvero: l'eventus damni, ossia il pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie, la scientia damni, ovvero la consapevolezza del debitore di arrecare tale pregiudizio, e, per gli atti a titolo oneroso, il consilium fraudis, cioè la consapevolezza del terzo del pregiudizio arrecato al creditore. L'eventus damni non richiede la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, essendo sufficiente la dimostrazione di una variazione quantitativa o qualitativa del patrimonio tale da rendere più incerta o difficile la soddisfazione del credito. La scientia damni può essere desunta dalla semplice previsione di un danno potenziale, senza necessità di accertare l'intento fraudolento del debitore. Tuttavia, qualora l'atto impugnato sia una destinazione di beni immobili ai sensi dell'art. 2645-ter c.c. e tale destinazione risulti genuina e finalizzata ai bisogni della prole, l'interesse sotteso a tale istituto può prevalere sull'interesse creditorio tutelato dall'azione revocatoria, salvo che non ricorrano gli altri presupposti di legge.

  • Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: Il passaggio diretto di personale dipendente di una società in house providing, pur se totalmente partecipata da una pubblica amministrazione, a quest'ultima amministrazione, non può essere consentito in assenza di una specifica previsione normativa che deroghi al principio costituzionale dell'accesso agli impieghi pubblici mediante concorso, in quanto tale ipotesi realizzerebbe un "inquadramento riservato senza concorso" in contrasto con gli artt. 97 e 51 della Costituzione. La disciplina della mobilità volontaria di cui all'art. 30 del d.lgs. n. 165/2001 è riservata al solo personale dipendente a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del medesimo decreto, senza che possa trovare applicazione generalizzata al personale delle società a partecipazione pubblica, per le quali il d.lgs. n. 175/2016 prevede ipotesi limitate e specifiche di mobilità solo in caso di reinternalizzazione di funzioni o servizi esternalizzati. In assenza di una norma di legge che disciplini il passaggio diretto dei dipendenti di società in house alle pubbliche amministrazioni e in mancanza di peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificare una deroga al principio del pubblico concorso, il diniego di ammissione di un dipendente di una società in house alla procedura di mobilità volontaria indetta da una pubblica amministrazione risulta pertanto legittimo.

  • Il bonus per l'acquisto di servizi di baby-sitting, previsto dall'art. 23, comma 8, del D.L. n. 18/2020, spetta ai lavoratori dipendenti e ai lavoratori autonomi iscritti all'INPS o ad altre casse previdenziali per i figli minori di anni 12, anche in assenza di una tempestiva appropriazione telematica del beneficio tramite il libretto famiglia, non essendo tale adempimento previsto dalla norma come condizione di decadenza. L'omessa comunicazione all'interessato dell'accoglimento della domanda amministrativa, inoltre, non può essere considerata una rinuncia tacita al bonus, non essendo tale conseguenza contemplata dalla legge. Pertanto, in presenza dei presupposti di legge, il giudice è tenuto ad ordinare all'INPS l'erogazione del bonus, nel limite massimo complessivo di 1.200 euro, senza che il ritardo nell'appropriazione telematica possa comportare la perdita del beneficio.

  • Il diritto al bonus asilo nido di cui all'art. 1, comma 355, della legge n. 232/2016 sussiste in capo al genitore richiedente che abbia provveduto al pagamento della retta, anche nei periodi di chiusura dell'asilo nido disposti per effetto di misure emergenziali, atteso che il requisito essenziale per l'erogazione della prestazione è l'effettivo sostenimento della spesa, a prescindere dall'effettiva frequenza del minore. Pertanto, l'INPS non può negare il pagamento del bonus in ragione della sospensione dei servizi educativi, in quanto tale circostanza attiene unicamente al rapporto contrattuale tra il genitore e l'asilo nido, senza incidere sulla sussistenza del diritto al beneficio in capo al richiedente che abbia comunque provveduto al pagamento della retta, anche qualora l'asilo nido abbia continuato a erogare servizi di didattica a distanza. Inoltre, l'eventuale impossibilità sopravvenuta di adempimento della prestazione da parte dell'asilo nido non può essere arbitrariamente opposta dall'INPS, in quanto richiede un accertamento giudiziale nel contraddittorio delle parti del contratto, accertamento che nella specie non risulta esservi stato. Pertanto, il diritto al bonus asilo nido sussiste in capo al genitore che abbia provveduto al pagamento della retta, a prescindere dalla circostanza che l'asilo nido sia rimasto chiuso per effetto di misure emergenziali, atteso che il requisito essenziale per l'erogazione della prestazione è l'effettivo sostenimento della spesa, senza che sia necessaria la prova dell'effettiva frequenza del minore.

  • Il condominio non può arbitrariamente negare al singolo condomino l'installazione di un'autoclave a proprie spese in area comune, quando l'approvvigionamento idrico nell'appartamento del condomino risulti insufficiente, con conseguente pregiudizio per le esigenze della vita quotidiana, di igiene e sicurezza, che devono essere garantite a tutti i condomini. Il diritto del singolo condomino di utilizzare la cosa comune ai sensi dell'art. 1102 c.c. deve essere bilanciato con le valutazioni di merito del condominio circa l'effettiva utilità dell'intervento, ma non può essere negato in modo arbitrario, specie quando l'insufficiente approvvigionamento idrico comprometta diritti fondamentali del condomino. In tali casi, il giudice può ordinare al condominio di consentire l'installazione dell'autoclave a spese del condomino richiedente, previo accertamento tecnico della fattibilità dell'intervento.

  • Il socio accomandante di una società in accomandita semplice non risponde, neppure nei limiti della quota conferita, dei debiti della società verso i terzi, salvo le eccezioni espressamente previste dalla legge, come il consenso all'inserimento del proprio nome nella ragione sociale, la violazione del divieto di immistione nella gestione o la responsabilità in sede di liquidazione. Il creditore che sia munito di un titolo esecutivo nei confronti della società può avere interesse a dotarsi di un secondo titolo esecutivo nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, al fine di poter iscrivere ipoteca giudiziale sui beni immobili personali di questi ultimi. Le pronunce giudiziali relative a crediti di lavoro devono avere ad oggetto le somme dovute al lordo delle trattenute fiscali e previdenziali, in quanto il meccanismo della sostituzione di imposta attiene solo alle modalità di adempimento del debito fiscale e non può modificare la consistenza dell'originario credito retributivo. In caso di intempestivo pagamento dei crediti retributivi, il datore di lavoro non può operare la trattenuta dei contributi previdenziali a carico del lavoratore, sicché in tale ipotesi il credito retributivo del lavoratore si estende automaticamente alla quota contributiva a suo carico.

  • Il padre lavoratore dipendente, coniugato con lavoratrice autonoma, ha diritto a fruire del congedo di paternità per un periodo di cinque mesi dalla data di ingresso del figlio minore adottivo nel suo nucleo familiare, anche in caso di rinuncia della madre lavoratrice autonoma all'indennità di maternità, al fine di garantire la parità di trattamento tra i genitori e la migliore cura del minore, in attuazione dei principi costituzionali e della normativa nazionale e comunitaria volta a superare la tradizionale prospettiva di tutela esclusiva della maternità a favore di una concezione che riconosce pari diritti e doveri di entrambi i genitori nella cura del figlio.

  • Il diritto di libera scelta del medico di fiducia da parte dell'assistito deve essere bilanciato con l'esigenza di un'efficiente organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale volta a regolare l'ottimale erogazione delle prestazioni sanitarie. A tal fine, la normativa prevede limiti oggettivi al numero massimo di assistiti per ciascun medico e pediatra di libera scelta, che possono essere superati solo in presenza di specifiche deroghe tassativamente previste. L'Azienda Sanitaria Locale è tenuta a rispettare tali limiti e a dare attuazione alle procedure previste dalla contrattazione collettiva per il ripristino della situazione di legalità, senza che ciò comporti l'obbligo di assegnare un determinato numero di pazienti al singolo medico. Il mancato rispetto di tali limiti e procedure può dar luogo a responsabilità risarcitoria, ma non determina un diritto soggettivo del medico all'assegnazione di un numero di pazienti pari al massimale, essendo la disciplina in materia preordinata all'organizzazione del servizio sanitario e non all'attribuzione di posizioni di esclusiva.

  • Il Tribunale, nell'esaminare l'impugnazione di una delibera assembleare condominiale relativa all'approvazione del rendiconto annuale, afferma che: La delibera assembleare che approva il rendiconto annuale dell'amministratore può essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine di decadenza di cui all'art. 1137 c.c., non per ragioni di merito, ma solo per ragioni di mera legittimità. L'onere della prova in ordine alle cause di invalidità della delibera grava sul condomino impugnante. La semplice difformità tra la somma indicata nel consuntivo allegato alla convocazione e l'importo totale indicato nel piano di riparto non è sufficiente a determinare l'invalidità della delibera, in quanto tale differenza può essere giustificata dall'inclusione nel piano di riparto di spese relative a precedenti esercizi. Il rendiconto consuntivo, che riporti analiticamente le singole voci di spesa sostenute, è pienamente opponibile al condomino, il quale ha la facoltà di richiedere l'esibizione dei documenti contabili in qualsiasi momento, senza che ciò si risolva in un intralcio all'amministrazione. Le contestazioni relative al merito delle spese approvate dall'assemblea non possono inficiare la validità della delibera, in quanto l'opportunità di approvare o meno una certa spesa rientra nella discrezionalità dell'assemblea e non può essere sindacata dal giudice. Le censure relative ai criteri di riparto delle spese condominiali, per essere rilevanti, devono essere specifiche e supportate da adeguata prova, indicando i diversi criteri che si sarebbero dovuti applicare e le somme che si sarebbero dovute porre a carico del condomino impugnante.

  • Il mandato di riscossione conferito a un procacciatore di affari può essere provato anche in assenza di un contratto scritto, qualora emerga dalla valutazione complessiva delle risultanze istruttorie che il procacciatore fosse effettivamente autorizzato dal mandante a incassare i pagamenti per suo conto, anche in deroga alle previsioni contrattuali che escludessero tale potere. Pertanto, il debitore che abbia effettuato il pagamento nelle mani del procacciatore, riconosciuto come tale dalla controparte, non può essere successivamente condannato al pagamento in favore del mandante, in assenza di prova che il procacciatore non fosse legittimato a ricevere il pagamento.

  • La commissione di estinzione anticipata del mutuo, pur non configurando in sé interessi usurari, deve essere considerata ai fini della verifica del superamento del tasso soglia usurario, in quanto rappresenta un costo legato all'erogazione del credito che le parti hanno pattuito nell'ambito del contratto di mutuo. Pertanto, il superamento della soglia usuraria determinato dalla somma degli interessi corrispettivi e della commissione di estinzione anticipata comporta la nullità parziale del contratto di mutuo e l'obbligo di restituzione degli importi indebitamente percepiti dal mutuante a titolo di ripetizione di indebito, fermo restando il diritto del mutuatario di ottenere la gratuità del mutuo per la parte dichiarata nulla.

  • La proprietà comune di un cortile interposto tra due edifici condominiali autonomi ma limitrofi è presunta ai sensi dell'art. 1117 c.c., a prescindere dalla titolarità formale, quando il cortile risulti oggettivamente e stabilmente destinato all'uso e al godimento di entrambi i condomini, in quanto deputato a fornire aria, luce e accesso agli immobili circostanti. Tale presunzione di comunione non può essere superata dalla mera invocazione delle norme generali sull'azione di rivendica, essendo sufficiente l'accertamento della destinazione oggettiva del bene all'uso comune. Pertanto, il condominio che impedisce all'altro condominio di accedere e utilizzare il cortile comune per l'esecuzione di lavori di manutenzione del proprio edificio, compie un atto di turbativa del diritto dominicale spettante pro quota all'altro condominio sulla cosa comune, che il giudice deve ordinare di cessare. La domanda di autorizzazione all'utilizzo del cortile comune per l'esecuzione di lavori, ove nel corso del giudizio le parti abbiano raggiunto un accordo in tal senso, deve essere dichiarata cessata la materia del contendere, mentre la domanda riconvenzionale di usucapione del cortile comune deve essere dichiarata inammissibile per tardività della costituzione del convenuto. Le spese di causa devono essere poste a carico del condominio soccombente, con condanna al rimborso delle spese di consulenza tecnica di parte sostenute dal condominio vittorioso.

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